Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento affari esteri
Titolo: Missione in Afghanistan (22 - 23 giugno 2010)
Serie: Documentazione e ricerche    Numero: 149
Data: 21/06/2010
Descrittori:
AFGHANISTAN   MISSIONI INTERNAZIONALI DI PACE
RELAZIONI INTERNAZIONALI     
Organi della Camera: III-Affari esteri e comunitari

 

Camera dei deputati

XVI LEGISLATURA

 

 

 

Documentazione e ricerche

Missione in Afghanistan

(22 - 23 giugno 2010)

 

 

 

 

 

 

n. 149

 

 

 

21 giugno 2010

 


Servizio responsabile:

Servizio Studi – Dipartimento Affari esteri

( 066760-4939 * st_affari_esteri@camera.it

Hanno partecipato alla redazione del dossier i seguenti Servizi e Uffici:

 

Servizio Studi – Dipartimento Difesa

( 066760-4172 * st_difesa@camera.it

Servizio Rapporti internazionali

( 066760-3948 / 066760-9515 – * cdrin1@camera.it

Segreteria Generale – Ufficio Rapporti con l’Unione europea

( 066760-2145 – * cdrue@camera.it

.

 

 

I dossier dei servizi e degli uffici della Camera sono destinati alle esigenze di documentazione interna per l'attività degli organi parlamentari e dei parlamentari. La Camera dei deputati declina ogni responsabilità per la loro eventuale utilizzazione o riproduzione per fini non consentiti dalla legge.

File: ES0484.doc

 


INDICE

Schede di lettura

Il quadro istituzionale afghano  3

Recenti sviluppi della situazione politica in Afghanistan  4

La missione ‘’ISAF’’9

§      Dati statistici (estratto dal Quaderno Missioni internazionali – giugno 2010)18

Mappa della presenza militare in Afghanistan  40

La presenza civile italiana  (a cura del Ministero degli Affari esteri)43

L’attività di Emergency in Afghanistan  45

I processi di stabilizzazione in Afghanistan (a cura del Ministero degli Affari esteri)46

L’economia afghana  48

Rapporti tra l’Unione europea e l’Afghanistan (a cura dell’Ufficio Rapporti con l’Unione europea)51

Rapporti parlamentari Italia-Afghanistan (a cura del Servizio Rapporti internazionali)55

Profili biografici (a cura del Servizio Rapporti internazionali)

§      Zalmay Rassoul, Ministro degli Affari esteri63

§      Stanley McChrystal, Comandante dell’ISAF  65

§      Mark Sedwill, Rappresentante civile della NATO   66

§      Radgin Spanta, Consigliere per la Sicurezza nazionale  67

§      Yunus Qanooni, Presidente della Camera bassa  69

Allegato

§      Le mozioni parlamentari sull'Afghanistan  73

 


Schede di lettura

 


Il quadro istituzionale

 

 

L’Afghanistan è una Repubblica Islamica. Vige un sistema legale misto fondato sulla sharia e sulla  legge civile.

L’attuale Capo di Stato della Repubblica afgana è Hamid Karzai, (eletto durante le elezioni del dicembre 2004 e riconfermato nell’agosto 2009 in quanto unico candidato di un ipotetico ballottaggio con il rivale Abdullah Abdullah), che esercita anche la funzione di Capo di governo. Il Presidente e i suoi due vice sono eletti a suffragio universale a partire dall’età di 18 anni. Fa parte dell’apparato esecutivo anche un Consiglio dei Ministri, i cui membri, sulla base della nuova Costituzione (ratificata il 26 gennaio 2004), sono nominati dal Presidente e approvati dall’Assemblea Nazionale uno ad uno, tramite voto di fiducia. Il potere legislativo è esercitato dall’Assemblea Nazionale bicamerale, costituita dalla House of Elders (Meshrano Jirga) e dalla House of People (Wolesi Jirga). I 102 membri della House of Elders sono nominati per 1/3 da consigli provinciali, per 1/3 da consigli locali, per 1/3 dal Presidente e restano in carica 4 anni. I componenti della House of People (che non possono essere più di 249), sono invece eletti in modo diretto da tutti i cittadini che abbiano compiuto i 18 anni di età, con un mandato di 5 anni; il sistema elettorale è proporzionale.

Dopo più di venti anni di guerra civile, nel 2001 ancora non esisteva un sistema giuridico nazionale funzionante. A seguito del Trattato di Bonn nel dicembre 2001 si è revisionata temporaneamente la Costituzione del 1964 che combinava la Sharia con i precetti occidentali di giustizia. Agli inizi del 2004 venne introdotta una nuova Costituzione che, pur non facendo degli specifici riferimenti al ruolo della Sharia, stabiliva che le leggi afgane non dovevano contraddire i dettami dell’islam. La Costituzione introdusse una Corte Suprema (Stera Mahkama), il più importante organo giudiziario in Afghanistan. Nel gennaio 2005 venne creata una Corte Suprema ad interim per sostituire temporaneamente l’ufficiale Stera Mahkama.

La Corte Suprema è composta da nove membri tra cui il Capo della Giustizia, che sono nominati dal Presidente su approvazione della Wolesi Jirga.

Il Trattato di Bonn ha istituito anche la Commissione Indipendente Afgana per i Diritti Umani (AIHRC) incaricata di indagare le violazioni dei diritti umani e i crimini di guerra.

La Commissione ha elaborato un Piano di azione per la pace, giustizia e riconciliazione approvato dal Governo e da una Conferenza ufficiale riunitasi nel dicembre 2005.

Nel luglio del 2007 la Conferenza di Roma sulla giustizia e lo stato di diritto in Afghanistan concluse che “ senza giustizia e senza Stato di diritto non possono essere garantiti la sicurezza, la stabilità, lo sviluppo economico e i diritti umani”.


Recenti sviluppi della situazione politica in Afghanistan

 

Dal 2008 la situazione in Afghanistan è connotata da un ininterrotto peggioramento del quadro della sicurezza, che ha visto una sempre più aggressiva azione della guerriglia talebana, la moltiplicazione di attentati e scontri e l’aumento del numero delle vittime. La situazione si è ancor più deteriorata, nonostante la crescente presenza militare internazionale, nel corso del 2009, anno in cui si sono registrati i più elevati livelli di violenza dalla caduta del regime talebano, con una media di 960 “security incidents” al mese, rispetto ai 731 registrati nel 2008. La tendenza, inoltre, è risultata ulteriormente accentuata nel mese di gennaio 2010, nel corso del quale si è registrato un aumento del 40% del numero degli episodi rispetto allo stesso mese dell’anno precedente. Il 2009 è stato l’anno peggiore anche con riferimento alle vittime civili, che sono state 2.412 (+14% sul 2009), di cui 1.630 sono state attribuite agli elementi antigovernativi, 596 alle forze filo-governative (del decesso dei rimanenti 186 non è stata individuata la responsabilità)[1].

Il complesso delle forze antigovernative - un coacervo più ampio della sola rete dei talebani, come si dirà poco più avanti - non solo ha consolidato il proprio controllo nelle aree pashtun al sud e al sud-est, ma ha anche destabilizzato le aree settentrionali ed occidentali del paese.

L’articolazione dell’insorgenza

Come è noto la maggior parte degli insorti appartiene all’etnia pashtun, tradizionalmente dislocata a nelle aree a sud ed est del paese, una delle etnie, insieme a tagiki, hazara e uzbeki, che compone il complesso puzzle etnico afghano. Recentemente è stato rilevato[2] che i pashtun sono rappresentati nel gabinetto Karzai (a sua volta appartenente a tale etnia) dove sono alla guida di importanti ministeri, quali la Difesa con il generale Abdul Rahim Wardak e, prima delle dimissioni intervenute il 6 giugno 2010 (a seguito dell’attentato in occasione della Jirga, di cui si dirà nelle pagine successive della presente Nota), gli Interni con Mohammad Anif Atmar; tuttavia i pashtun risultano meno presenti nei ranghi delle ricostruende forze militari e di polizia. In tale situazione viene individuato un elemento di criticità; se, infatti, il potenziamento delle forze di sicurezza afghane, uno dei cardini della nuova strategia adottata dall’Amministrazione Usa e dagli  alleati dovesse avvenire senza il pieno coinvolgimento della componente pashtun, il dispiegamento di ANA (Afghan National Army) e ANP (Afghan National Police) nelle aree a dove tale etnia rappresenta la maggioranza della popolazione diverrebbe elemento non di stabilizzazione ma, al contrario, di ulteriore instabilità[3]. Tale criticità contrasta, sottolineano gli osservatori, con il ruolo cruciale attribuito alle forze di sicurezza afghane sia sul versante interno, in quanto manifestazione di forza sul territorio, e quindi di controllo dello stesso e di protezione della popolazione da minacce interne ed esterne, sia dal punto di vista dei Paesi occidentali militarmente coinvolti in Afghanistan, in particolare alla luce dei dubbi circa la sostenibilità politica e finanziaria della missione.

Il fenomeno dell’insorgenza in Afghanistan è assai complesso. Secondo uno studio pubblicato nel luglio 2009[4], dal punto di vista organizzativo l’insorgenza consiste di sette strutture armate di differente provenienza.

Il nucleo centrale è rappresentato dal movimento talebano articolato in quattro segmenti, che insieme formano the Islamic Movement of the Taleban:  la corrente principale di Kandahar, il network semi autonomo basato sulle famiglie Haqqani e Mansur e il Tora Bora front presente a est del paese e composto da ex militanti di Hezb-e Eslami. La complessità e il carattere multi-level delle relazioni (tribali, politiche, ideologiche, parentali) tra i componenti dei vari gruppi trova la propria sintesi di coesione e di identità nel leader Mulla Muhammad Omar, nella comune ideologia e, soprattutto, nell’individuazione di un comune nemico. L’organizzazione, strutturata secondo una gerarchia verticale al cui apice sono il leader e il leadership council (la così detta Shura di Quetta, composta da 10-12 membri), si articola a livello provinciale, distrettuale e di villaggio con esponenti sono in grado di far rispettare le decisioni, ponendo in essere una catena di comando e di controllo capace di operare con grande efficacia; tale strutturazione, inoltre, lasciando un certo grado di autonomia ai livelli di comando locali produce l’effetto di aumentare il grado di coesione complessiva dell’organizzazione.

Lo studio individua, inoltre, altre due organizzazioni armate di insurgents, distinte dal punto di vista organizzativo, ossia Hezb-e Eslami Afghanistan (meglio conosciuta come HIA) guidata da GulbuddinHekmatyar e presente in tutto il paese e piccoli Salafi Groups, presenti e rilevanti nella parte orientale dell’Afganistan.

La settima struttura è rappresentata da un recente fenomeno, presente a livello locale, che raggruppa formazioni mujaheddin che sono stati esclusi (o che ritengono di esserlo) dai processi politici successivi al 2001 e che, pur avendo adottato modalità e linguaggi taleban si muovono indipendentemente gli uni dagli altri. Tali gruppi, che pure non considerano il Mulla Omar quale loro leader, occasionalmente agiscono a livello locale insieme ai taleban con i quali conducono operazioni congiunte, e dei quali talvolta utilizzano il “marchio” in azioni di intimidazione alla popolazione.

All’inizio di marzo 2010 si è verificata una frattura tra due dei principali gruppi dell’insorgenza; nella provincia nord orientale di Baghlan i combattenti di Hezb-e Eslami Afghanistan fedeli al warlord Hekmatyar si sono arresi alle forze di sicurezza afghane dopo essere stati circondati e attaccati dai taleban della Shura di Quetta, fedeli al Mullah Omar. E’ stato sottolineato che alle origini dello scontro potrebbe esserci non una mera questione di controllo del territorio, fonte di rilevanti introiti nel periodo del raccolto per la tassa imposta ai contadini, ma una vera e propria questione strategica derivante dalla posizione, da ultimo più conciliante, di Hekmatyar, in merito alla riconciliazione con il Governo.

La risposta della Comunità internazionale

Nella comunità internazionale, negli ultimi anni, si è andata sempre più consolidando la convinzione che per fare fronte alle criticità del quadro afghano non è sufficiente il solo intervento militare, peraltro indispensabile per il mantenimento delle condizioni di sicurezza, ma risulta necessario un approccio globale al problema.

Sul versante statunitense, il comprehensive approach alla questione afghano-pakistanapostula la distruzione di Al Qaeda in Afghanistan e in Pakistan e punta a stabilizzare l’area da un lato incrementando la presenza militare in Afghanistan e intensificando le azioni contro gli insorgenti e, dall’altro, fornendo un maggior sostegno organizzativo e finanziario alla crescita civile dei due paesi.

Quanto alla NATO, il concetto di comprehensive approach, già promosso nel 2008, è stato ribadito dall’Alleanza atlantica nel Vertice di Strasburgo-Kehl (3-4 aprile 2009), dove i paesi membri hanno deciso, tra l’altro, di sostenere il rafforzamento delle istituzioni afghane inviando ulteriore personale militare e civile all’interno di nuove missioni istituite nell’ambito della missione ISAF.

Il 1° dicembre 2009, la nuova strategia per l’Afghanistan e il Pakistan è stata resa pubblica dal presidente degli Stati Uniti, Barak Obama in un discorso tenuto davanti ai cadetti dell’accademia militare di West Point. La nuova strategia di controinsurrezione[5], fortemente voluta dalgenerale Mc Chrystal, che guida le due missioni internazionali (ISAF della Nato e Enduring Freedom a guida Usa) ha previsto l’invio di 30mila ulteriori soldati statunitensi. I paesi alleati hanno risposto all’appello del Presidente americano per un più ampio impegno militare (pari ad ulteriori 7.000 unità). La nuova strategia statunitense si basa su due elementi, entrambi contrassegnati dal rilievo dato al fattore tempo: massiccio rafforzamento della presenza militare, come richiesto dai vertici militari, ma con tempi di dislocazione dei nuovi contingenti nel teatro di guerra più rapidi di quelli prefigurati dagli stessi militari, e con un’aspettativa di risultati (in definitiva, lo smantellamento di Al Qaeda) in tempi brevi; nuove pressioni sul governo del presidente afghano Karzai, chiamato ad assolvere precisi compiti di sicurezza e stabilità.

Al Pakistan, che con l’Afghanistan costituisce – nella visione condivisa dalla comunità internazionale – un’unica partita nella battaglia contro al Qaeda, Obama, in una lettera inviata al presidente Asif Ali Zardari, ha offerto una partnership strategica allargata, fondata su una più ampia cooperazione economica e militare e una più decisa mediazione per la soluzione dei contrasti con l’India, ma che esige che Islamabad rinunci ad usare i gruppi estremisti per perseguire obiettivi politici.

A Karzai, in particolare, Obama ha chiesto impegni precisi, tra cui l'istituzione di tribunali per la lotta alla corruzione. Le forze statunitensi saranno affiancate da unità specifiche dell'esercito afghano in un rinnovato sforzo (i tentativi in questo senso sono sino ad ora falliti) di trasformare le forze locali in una entità combattente autonoma.

Con riferimento alla strategia civile va sottolineato che, in parallelo con il  surge militare, il Dipartimento di Stato americano ha definito il surge civile in un'apposita strategia che prevede anche l’aumento del numero di diplomatici[6] e di esperti dei vari Dipartimenti inviati in Afghanistan, destinati ad aumentare consistentemente rispetto al 2009. La Afghanistan and Pakistan Regional Stabilization Strategy, presentata il 22 gennaio 2010 dal Segretario di Stato Clinton prevede un forte incremento dell’assistenza civile ad Afghanistan e Pakistan nell’ambito di una partnership duratura, destinata a prolungarsi oltre il ritiro delle truppe. Gli sforzi saranno concentrati, in attuazione di una nuova strategia civile-militare, innanzitutto nel sostegno all'agricoltura, cui verranno destinate, tra il resto, opere infrastrutturali di irrigazione.

Quanto ai PRTs, (Provincial Reconstruction Teams) le piccole unità addette alla cooperazione civile-militare (Cimic, secondo il gergo Nato) concepite secondo la dottrina, tipica dei manuali tattici di controinsurrezione, del “vincere i cuori e le menti”, esse si occupano, oltre che di mantenere rapporti con la popolazione, di piccoli progetti di infrastrutturazione e del conferimento di materiale umanitario. Le finalità dei PRT sono l’incremento del margine di sicurezza dei militari sul territorio, la promozione dell’accettazione della missione da parte della popolazione locale e il reperimento di informazioni a fini di intelligence. Non si tratta pertanto di un vero e proprio programma di ricostruzione, bensì di una serie di piccoli progetti non sempre tra di loro articolati. I PRT presenti in Afghanistan sono 26, distribuiti su 34 province e gestiti complessivamente da 14 paesi (gli Usa da soli ne hanno attivati 12, l’Italia uno, con base a Herat).

E’ stato evidenziato che il modello italiano di PRT rappresenta un esempio virtuoso, sia sotto il profilo dell’elevato rapporto tra la quantità di progetti realizzati e la relativa disponibilità finanziaria, sia sul versante metodologico, caratterizzato da un notevole grado di condivisione con le autorità locali e con le maestranze afghane, nonché da una modalità operativa sostanzialmente autonoma della parte civile rispetto a quella militare, pur in un ambito di collaborazione e di ricerca di sinergie. Va tuttavia sottolineato che il limitatissimo apporto di operatori civili che accomuna tutti i PRT, derivante anche dalle difficoltà di reclutamento, rappresenta un elemento di debolezza in quanto il ruolo della componente civile per la sostenibilità a lungo periodo della ricostruzione è unanimemente ritenuto cruciale. Inoltre, le Ong presenti in loco lamentano l’ingerenza del Prt nella sfera umanitaria, sostenendo che essa compromette i principi di neutralità, imparzialità ed indipendenza.

Nel primo trimestre 2010 il PRT italiano ha finanziato una serie di iniziative – portate a termine con manodopera locale -  a favore del Governo della provincia di Herat, tra cui la costruzione di un edificio adibito a sala stampa e di uno destinato ad ospitare i funzionari del Consiglio provinciale, l’installazione di sistemi luce e di videosorveglianza finalizzati ad incrementare la sicurezza del compound del Governatore Nouristani e la costruzione di una base per il Comando Regionale dell’ANP.

L’evoluzione del quadro politico

Il 19 dicembre 2009 è stato presentato alla Camera bassa afghana il nuovo governo di Hamid Karzai, nel quale figuravano numerosi ministri già membri della precedente compagine, oggetto di critiche in relazione a episodi di corruzione. La conferma, da parte di Karzai, dei responsabili dei dicasteri-chiave aveva suscitato una forte opposizione parlamentare; il braccio di ferro era culminato il 2 gennaio 2010 con il diniego della fiducia, in Parlamento, a 17 dei 24 ministri proposti dal presidente. Il carattere prevalentemente interno alle dinamiche politiche afghane del risultato della votazione era dimostrato, sottolineavano gli osservatori, dal fatto che il Parlamento aveva dato il via libera per i dicasteri i cui responsabili designati erano sostenuti dalla Comunità internazionale, come nel caso della Difesa e dell'Interno.

Nel tentativo di presentarsi alla Conferenza di Londra sull'Afghanistan (28 gennaio 2010) forte di una compagine governativa al completo, Karzai aveva revocato la pausa invernale dei lavori parlamentari; il Parlamento, tuttavia, il 16 gennaio aveva nuovamente bocciato 10 dei 17 ministri proposti, pur dando il via libera ai titolari di alcuni importanti Dicasteri, quali gli Esteri, la Giustizia e l’Economia.

La Conferenza di Londra ha fatto emergere un orientamento favorevole all’inizio di un recupero alla vita civile dei combattenti inquadrati dai talebani, ma in molti casi stanchi e sfiduciati: a tale scopo è stato stanziato un Fondo di 140 milioni di dollari, quasi interamente a carico di Germania e Giappone, a valere sul quale – come ha rilevato il Ministro degli Esteri italiano, On. Frattini – saranno finanziati specifici progetti (l’Italia ha mostrato preferenza per la formazione dei diplomatici afghani). Un ruolo di primo piano nella mediazione nei confronti dei talebani è stato affidato alla monarchia saudita, che ha peraltro escluso da ogni trattativa i talebani che fossero in diretto collegamento con Al Qaeda. In tale cornice il Presidente Karzai ha annunciato la convocazione di una Loya Jirga (assemblea) di riconciliazione nazionale, e un inasprimento della lotta alla corruzione. Durante la Conferenza è stato ribadito, da parte britannica e americana, che nel 2010 inizierà il passaggio (assai graduale) alle forze nazionali afghane della responsabilità della sicurezza in alcuni territori, destinato a completarsi, negli auspici della Conferenza, entro cinque anni. Già prima della Conferenza i dirigenti talebani avevano definito l’appuntamento di Londra una perdita di tempo.

Nonostante le speranze alimentate dalla Conferenza di Londra la situazione della sicurezza in Afghanistan è rimasta difficile: in gennaio vi è stata una serie di attentati nella capitale con un bilancio di oltre dieci morti e settanta feriti, mentre il 3 febbraio una pattuglia italiana è stata oggetto di un attentato mediante una bomba posta sul ciglio della strada al passaggio del blindato, fortunatamente senza serie conseguenze.

Il 13 febbraio è iniziata la più vasta offensiva della coalizione internazionale dal 2001, con largo impiego di uomini e mezzi, inizialmente per cacciare i talebani dalla roccaforte di Marjah e dal distretto di Nad Ali, nella provincia di Helmand. L’operazione denominata Moshtarak (“insieme” in lingua dari), che un portavoce del Ministero dell’interno afghano ha dichiarato conclusa il 4 marzo con la conquista di Marjah e la bonifica di parti del distretto di Nad Ali, ha avuto sostanzialmente successo ma, confermando le preoccupazioni preventivamente espresse da Karzai, non ha potuto evitare il coinvolgimento di alcuni civili. Il 7 marzo in visita a Marjah il Presidente afghano, accompagnato anche dal generale Stanley Mc Chrystal, ha incontrato circa 300 capi tribali dell’area ai quali ha chiesto appoggio politico promettendo la costruzione di infrastrutture civili.

Il 21 febbraio in un’altra area dell’Afghanistan un errore della NATO ha provocato 27 morti tra i civili che viaggiavano su un convoglio di minibus, scambiati per guerriglieri.

Una notizia positiva per la coalizione è venuta dalla capitale pakistana, ove i servizi di intelligence, in collaborazione con gli USA, avevano arrestato già il 7 febbraio il numero due dei talebani fedeli al mullah Omar, Abdul Ghani Baradar, con importanti compiti organizzativi militari e finanziari. Il 4 marzo le forze di sicurezza pakistane hanno arrestato Motasim Agha Jan, ex ministro delle finanze all’epoca del governo dei talebani (1996-2001), considerato dal Pakistan il numero sette nella lista dei “most wanted” degli Stati Uniti.

In un attentato compiuto a Kabul il 26 febbraio 2010 è deceduto il funzionario dell’Ambasciata italiana in Afghanistan Pietro Antonio Colazzo; i responsabili, un gruppo di sette talebani agli ordini del “governatore ombra” di Kabul, Daoud Shurkha (forse nascosto in Pakistan) sono stati arrestati, come annunciato dal governo di Kabul, il 24 maggio.  Della serie di attentati suicidi coordinati compiuti nel centro di Kabul nella giornata del 26 febbraio sono rimaste vittime 17 persone tra le quali almeno 9 cittadini indiani e un cittadino francese. In un Consiglio di sicurezza nazionale riunito il 28 febbraio da Karzai  erano state per il momento respinte le dimissioni del capo della polizia di Kabul, generale Abdul Rahman Rahman, del suo vice, e del capo del Dipartimento anticrimine, generale Abdul Ghafar Seyedzada, incaricati di portare a termine le indagini sul gravissimo attentato di Kabul che, secondo una tesi prevalente sebbene non ufficiale, sarebbe da ricondurre all’azione di un commando venuto dall’estero e mirante a scoraggiare il coinvolgimento dell’India nella soluzione della crisi afghana.

Il 6 marzo la parlamentare Fozia Kofi, ex vicepresidente della Camera bassa afghana, è uscita illesa da un attentato di un gruppo talebano al convoglio che la accompagnava da Jalalabad verso Kabul, costato invece il ferimento di due guardie del corpo.

In un incontro ad Islamabad il 10 marzo, il presidente afghano Karzai e il suo omologo pakistano Asif Ali Zardari si sono accordati per il rilancio del processo di una grande Jirga (Assemblea) congiunta a sostegno del processo di pace e riconciliazione proposto dal governo afghano. Secondo una sorta di road map concordata tra le due capitali, alla grande Jirga “consultativa” inizialmente convocata da Karzai a Kabul dal 29 aprile (e poi spostata a fine maggio) dovrebbe fare seguito una piccola assemblea (Jirgagai) e quindi una nuova grande Jirga a Islamabad. L’intento è anche quello di studiare il ruolo che le tribù pashtun residenti lungo la frontiera comune possono svolgere per arginare i talebani e al Qaeda.

Secondo quanto riportato dal New York Times il 16 marzo, il generale McCrystal, avrebbe deciso di assumere il controllo diretto dei reparti delle Forze speciali USA al fine di migliorare il coordinamento tra i reparti militari in campo e limitare gli incidenti che hanno frequentemente causato vittime tra i civili.

Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha approvato il 22 marzo la risoluzione 1917(2010) che proroga per un altro anno la missione UNAMA a capo della quale è stato da poco nominato Staffan de Mistura in sostituzione di Kai Eide. La risoluzione, approvata all’unanimità, ha accolto le considerazioni espresse nel Rapporto del Segretario generale dell’ONU del 17 marzo, nel quale venivano indicate tre grandi aree di intervento: il coordinamento della ricostruzione civile con il governo di Kabul; l'assistenza in vista delle prossime elezioni legislative; la riconciliazione con i talebani moderati in seno alla Loya Jirga convocata nelle prossime settimane.

I rapporti tra il presidente afghano e i paesi della coalizione hanno conosciuto un momento di tensione all’inizio di aprile, quando Karzai, nel corso di una conferenza stampa, ha accusato organismi internazionali (Onu), i paesi europei e le rappresentanze diplomatiche straniere a Kabul di aver organizzato i brogli elettorali in occasione delle elezioni presidenziali dell'agosto 2009 e che erano stati imputati agli ambienti vicini allo stesso presidente. Gli osservatori avevano sottolineato come la denuncia di Karzai fosse avvenuta subito la bocciatura, da parte del Parlamento afghano, di un decreto di riforma della legge elettorale volto a revocare la maggioranza di membri stranieri all’interno della Commissione di controllo delle elezioni (Ecc); va rammentato che a settembre 2010 è previsto lo svolgimento delle elezioni legislative per il rinnovo della Wolesi Jirga. Immediata la richiesta di chiarimenti da parte segretario di Stato Usa, Hillary Clinton, alla quale Karzai - nel sostenere di essere stato frainteso - ha confermato la “gratitudine del popolo e del governo afghani per il sostegno e il sacrificio della comunita' internazionale per la pace in Afghanistan e nel mondo''.

La divisione del Parlamento tra Senato (Meshrano Jirga) che appoggia Karzai nel tentativo di emendare la legge elettorale, e Camera bassa (Wolesi Jirga) che, come accennato, lo ha respinto, ben rappresenta il clima di incertezza che caratterizza l’attuale quadro politico interno afghano.

Nonostante l’inquietudine espressa dall’Amministrazione americana per i commenti di Karzai sulle ingerenze occidentali nelle elezioni, il previsto incontro a Washington, tra i presidenti afghano e statunitense ha avuto luogo (11-14 maggio). In tale occasione l’amministrazione Usa ha ribadito al presidente afghano di considerarlo ''un partner affidabile'' nella lotta contro l'estremismo radicale, ma a patto che anche l'Afghanistan faccia la sua parte, e cominci a pensare alla sua sicurezza in termini di ''transizione''. Nel corso degli incontri è stata ribadita l’importanza della piena collaborazione da parte del governo afghano sia per quanto riguarda la lotta alla corruzione, sia per quanto riguarda la percezione delle truppe da parte della popolazione. Karzai, per parte sua, ha assicurato l’impegno afghano nel rafforzamento delle istituzioni per progredire “verso il suo futuro a passi decisi''.

La mattina del 17 maggio 2010 durante il trasferimento di un convoglio composto da numerosi mezzi delle forze internazionali da Herat verso Bala Murghab, nella zona nord-orientale dell'Afghanistan, l'esplosione di uno IED (ordigno improvvisato ad altissima potenza) sotto un Lince italiano che procedeva in quarta posizione nel convoglio ha causato l'uccisione di due alpini della Brigata Taurinense. Sul gravissimo episodio è intervenuto alla Camera il Ministro della difesa, Ignazio La Russa[7].

Gli sviluppi più recenti

In una dichiarazione rilasciata il 26 maggio, Richard Holbrooke, rappresentante speciale di Barack Obama per Afghanistan e Pakistan, nel dirsi impressionato dallo ''sforzo non solo militare che sta facendo l'Italia'', definito determinante anche per la ricostruzione generale dell’Afghanistan, ha affermato che, secondo gli Usa, “gli italiani dovrebbero assumere anche un ruolo politico nell'Ovest, così come i tedeschi nel Nord e gli stessi Stati Uniti nel Sud'', sollecitando il nostro paese “a occupare sul fronte politico la stessa posizione occupata nell'addestramento”.

Nel corso di una conferenza stampa tenutasi il 30 maggio a Kabul il generale americano Stanley McChrystal ha sostenuto che, a seguito dell’esistenza di prove certe di un’attività di fornitura di armi dall’Iran e di addestramento di talebani svolta in territorio iraniano, le forze dislocate in Afghanistan stanno “lavorando per limitare nell'immediato e bloccare in futuro'' tali attività.

Sotto il profilo degli equilibri politici interni afghani va segnalato che il 31 maggio, nell’imminenza della Jirga (per la quale si veda oltre nella presente Nota) Karzai ha nominato sei dei sette membri di uno speciale comitato di controllo dell’attuazione della Costituzione, per dare riscontro a una  richiesta dei parlamentari che hanno minacciato di boicottare l’appuntamento con l’attesa assemblea di pace. Gli osservatori hanno sottolineato che la decisione di Karzai è giunta in un momento di tensione nelle relazioni fra presidenza e Wolesi Jirga (Camera bassa del Parlamento) derivanti dal fatto che i parlamentari hanno deciso di non proseguire il lavoro legislativo se la presidenza non sottoporrà alla necessaria approvazione i nomi dei sette ministri che ancora mancano al governo afghano. Secondo quanto affermato da un portavoce della presidenza, i candidati per il completamento della compagine governativa saranno presentati alla Camera non appena conclusi i lavori della Jirga di pace.

A Kabul, dal 2 al 4 giugno 2010, si è svolta la Consultative Peace Jirga, più volte annunciata dal Presidente Karzai (in particolare nel corso della Conferenza di Londra del 28 gennaio 2010). Alla Jirga hanno partecipato circa 1.400 dei 1.600 delegati invitati (esponenti politici nazionali e locali, anziani tribali, elementi della società civile, personalità religiose) con una ridotta presenza femminile; erano presenti circa 200 osservatori afghani e stranieri. Nelle intenzioni l’assemblea avrebbe dovuto rappresentare tutta la società afghana (ad esclusione dei gruppi militanti che non sono stati invitati) ma, di fatto, la completezza della rappresentanza nazionale è risultata limitata dalla circostanza che i partecipanti sono stati scelti dal governo, in collaborazione con i governatori provinciali. Tale criterio ha provocato malcontento e riserve, e anche prese di posizione pretestuose o eccessivamente critiche. Rilevante l’assenza dell’ex candidato presidente Abdullah Abdullah[8], nonché di una serie di esponenti politici a vario titolo avversi al presidente Karzai.

Assenti anche due esponenti taliban indicati da molti come possibili mediatori nei colloqui di pace con i ribelli: maulawi Wakil Ahmad Mutawakil (ex Ministro degli esteri durante il regime islamico) e maulawi Abdul Salam Zaeef (ex Ambasciatore in Pakistan). Nell’aprire i lavori, il Presidente Karzai ha invitato i taleban a rinunciare alla guerra, creando così le condizioni per il ritiro delle forze straniere e  ha anche offerto un’amnistia e incentivi agli elementi di basso livello che accettano la Costituzione, dichiarandosi pronto a negoziare la cancellazione dei nomi di dirigenti dalla blacklist dell’ONU e a garantire ad alcuni di essi la possibilità di ottenere asilo in paesi islamici. Karzai ha riconosciuto la grave condizione in cui versa la popolazione a causa di operazioni di counterinsurgency (arresti di persone innocenti e uccisione di civili) ma ha anche ribadito che il governo ha fatto il possibile per controllare la situazione, peraltro sensibilmente migliorata dopo la nomina del Generale McChrystal a comandante delle forze NATO e della Coalizione.Le proposte di Karzai erano già note in quanto contenute nell’Afghan Peace and Reintegration Programme, presentato in bozza agli inizi di maggio e illustrato all’Amministrazione Obama nel corso del vertice di Washington di maggio.

La scontata approvazione all’unanimità del piano del Presidente, che prevede, tra l’altro, per i militanti di base che rinunciano alla violenza la creazione di posti di lavoro nei settori delle costruzioni e dell’agricoltura e la possibilità di arruolarsi nell’esercito e nella polizia, nonché opportunità di formazione, e interessa interessando 220 distretti del paese (circa 4.000 villaggi) a partire dalle province di Kandahar, Helmand, Herat, Badghis, Nangarhar, Kunduz e Baghlan, è stata giudicata da taluni analisti come l’esito di un dibattito controllato dai “powerbrokers” filo-governativi a danno dei rappresentanti di interessi e realtà locali. Non manca chi ritiene che la Jirga costituisca un’iniziativa organizzata principalmente per rafforzare, di fronte all’opinione pubblica interna e internazionale, la credibilità di Karzai, seriamente compromessa dalle accuse di brogli che hanno macchiato la sua conferma alla Presidenza (le elezioni hanno avuto luogo il 20 agosto 2009). La conferenza si è conclusa con una risoluzione che chiede l’avvio di un processo articolato, comprendente anche colloqui con i militanti .

La Comunità internazionale ha seguito con grande attenzione i lavori della Jirga:in una conferenza stampa congiunta, il generale McChrystal e il NATO Senior Civilian Representative, Mark Sedwill, hanno ribadito l’appoggio dell’occidente all’iniziativa, sottolineando che si tratta del primo di una serie di importanti eventi politici che si svolgeranno in Afghanistan nel 2010 (Conferenza di Kabul, nel prossimo luglio, ed elezioni politiche, a settembre).

In un comunicato del Segretario generale dell’ONU, rilasciato il 4 giugno, Ban Ki-moon ha definito la Consultative Peace Jirga un passo significativo “toward reaching out to all Afghan people to promote an inclusive dialogue aimed at achieving stability and peace in Afghanistan”.

Per contro, la risposta dei gruppi armati anti-governativi alle offerte della Jirga è stata di netta chiusura come dimostrato, dopo le minacce apparse su siti web alla  vigilia dell’evento, dall’attacco compiuto dai taliban il 2 giugno, durante il discorso di Karzai nel corso della Jirga. Nonostante il fallimento tattico dell’operazione, contenuta dalle forze di sicurezza presenti in formazione massiccia, l’obiettivo strategico di dimostrare che i taleban sono in grado di colpire ovunque a Kabul e sono una forza con la quale è comunque necessario fare i conti è stato conseguito: il 6 giugno, infatti, il Direttore del National Directorate of Security (NDS), Amrullah Saleh, e il Ministro dell’interno, Hanif Atmar si sono dimessi dai rispettivi incarichi, suscitando, negli ambienti occidentali,preoccupazione per gli eventuali  riflessi sulle operazioni in corso o in preparazione, visto il buon livello di cooperazione che era stato raggiunto con le istituzioni da essi dirette.Al posto di Hatmar è stato designato, ad interim, Munir Mangal (attuale Vice Ministro) mentre la direzione del NDS è stata affidata a Ibrahim Spinzada, attuale Vice Direttore.

Le dimissioni delle due personalità sono state diversamente interpretate dagli osservatori. Secondo alcuni, Karzai ha subito le pressioni di Iran e Pakistan, più volte accusati di ingerenza negli affari interni afghani e di sostegno ai gruppi eversivi, evidentemente interessati a sgombrare il campo da interlocutori apprezzati dagli occidentali; nell’opinione di altri, dietro la sfiducia nei confronti dei due importanti collaboratori manifestata dal Presidente, che ha portato alle loro dimissioni, si intravvede l’autonoma volontà di Karzai di ribadire la propria indipendenza dall’Occidente, che aveva apprezzato e appoggiato l’azione dei dimissionari. Le opinioni convergono sul  fatto che non sarà facile trovare sostituti adeguati alla delicatezza dei compiti correlati alla guida dell’ NDS e del dicastero dell’interno, anche tenuto conto del fatto che Karzai non è ancora riuscito a completare la formazione del governo, nonostante i ripetuti richiami da parte della Wolesi Jirga.

Il 7 giugno è stata una giornata molto difficile per le forze NATO che hanno subito 10 vittime. Lo stesso giorno, a Madrid, sono state esaminate le possibili tappe verso un ancora complicato superamento dello stato di guerra in Afghanistan, in occasione della 11ma riunione informale del gruppo 'AfPak', formato dagli inviati speciali per Afghanistan e Pakistan di quasi 40 governi.

Per l’Italia ha partecipato Massimo Iannucci, inviato del Ministro degli affari esteri Franco Frattini. Incontrando la stampa, l’inviato statunitense Richard Holbrook ha ribadito che, sul piano militare, l’obiettivo rimane quello indicato da Obama, ossia avviare nel 2013 il ritiro delle truppe combattenti. Ma prima, sulla base anche delle indicazioni che verranno dalla Conferenza internazionale di Kabul del 20 luglio 2010, dove si prevede che il presidente Karzai annunci nuovi impegni verso il popolo afghano davanti ai rappresentanti della comunità mondiale, lungo il difficile percorso della normalizzazione ci sarà la tappa dell’ “afghanizzazione”: in tempi e modalità ancora da definire – ha spiegato all’ANSA Iannucci – vi sarà la graduale trasmissione alle autorità afghane della responsabilità di governo provincia per provincia, a partire dalle più stabili, “in un quadro di sicurezza garantita''. E fra le prime potrebbe esserci proprio la provincia di Herat, nel settore italiano, ha affermato il rappresentante italiano.

 


La missione ISAF

Enduring Freedom      

Dopo gli attentati terroristici dell’11 settembre 2001 che colpirono gli Stati Uniti, fu avviata l’operazione Enduring Freedom (Libertà duratura), in Afghanistan, con l'obiettivo di combattere il terrorismo internazionale ed i regimi nazionali che lo sostengono.

Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, il giorno successivo agli eventi, adottò la risoluzione n. 1368, nel cui preambolo si riconosceva il diritto di legittima difesa individuale e collettiva degli Stati Uniti. Va aggiunto che il paragrafo 1 definiva gli attacchi terroristici “una minaccia alla pace” e nel paragrafo 5 si affermava che il Consiglio era “pronto ad adottare tutte le misure necessarie per rispondere agli attacchi terroristici”.

Lo stesso 12 settembre 2001, il Consiglio atlantico adottò una determinazione nella quale si affermava che, qualora fosse stato accertata l’origine esterna degli attacchi terroristici, avrebbe trovato applicazione l’articolo 5 del Trattato NATO, ai sensi del quale un attacco armato contro un membro dell’Alleanza deve essere considerato come un attacco contro tutti i membri dell’Alleanza stessa. Il Consiglio ha riconosciuto, il successivo 3 ottobre, per la prima volta nella storia dell'Alleanza, l’esistenza delle condizioni per l'applicazione dell’articolo 5 del Trattato.

Una coalizione di Stati a guida statunitense, di cui favevano parte sia Paesi dell'Alleanza Atlantica che Paesi non facenti parte della NATO, ha quindi autonomamente avviato l’operazione Enduring Freedom contro obiettivi militari e basi terroristiche in territorio afgano, con l’obiettivo, in particolare, di colpire le cellule dell’organizzazione terroristica Al Qaeda presenti nel Paese.

Le operazioni militari, iniziate il 7 ottobre con una serie di attacchi aerei contro obiettivi militari e basi terroristiche in territorio afgano, sono proseguite nei due mesi successivi provocando la caduta del regime talebano e la costituzione, a seguito della Conferenza di Bonn del 5 dicembre, svoltasi sotto il patrocinio dell'ONU, di un governo ad interim, con il compito di governare il paese per i primi sei mesi del 2002.

L’Italia ha partecipato all’operazione dal 18 novembre 2001 con compiti di sorveglianza, interdizione marittima, nonché di monitoraggio di eventuali traffici illeciti. La partecipazione italiana alla missione si è conclusa il 3 dicembre 2006.

L’operazione Enduring Freedom ha progressivamente sviluppato una diversa configurazione e si è proposta di realizzare la definitiva pacificazione e stabilizzazione del Paese, oltre che con lo svolgimento di attività militari di contrasto degli insorti e delle formazioni terroriste, anche attraverso un supporto alle operazioni umanitarie.

ISAF

A tale fine è stata costituita la missione ISAF (International Security Assistance Force), a seguito della risoluzione del Consiglio di sicurezza dell'ONU n. 1386 del 20 dicembre 2001 che, come previsto dall'Accordo di Bonn, ha autorizzato la predisposizione di una forza di intervento internazionale con il compito di garantire, nell'area di Kabul, un ambiente sicuro a tutela dell'Autorità provvisoria afghana, guidata da Hamid Karzai, che si è insediata il 22 dicembre 2001 e del personale delle Nazioni Unite presente nel Paese.

La missione è iniziata nel gennaio 2002 ed è stata inizialmente svolta dai contingenti di 19 Paesi sotto la guida inglese.

Il 13 giugno 2002 la Loya Jirga (l'Assemblea tradizionale) ha eletto il premier Hamid Karzai alla guida del governo per un periodo di due anni, fino allo svolgimento delle elezioni generali, che si sono tenute il 9 ottobre 2004 e che hanno confermato presidente Karzai.

Successivamente il vertice NATO di Praga del novembre 2002, ha approvato un nuovo concetto militare che stabilisce un approccio globale per la difesa contro il terrorismo e consente alle forze dell’Alleanza di intervenire ovunque i suoi interessi lo richiedano (quindi anche fuori dall’area dei Paesi membri). Anche a seguito di tali determinazioni, il 16 aprile 2003 il Consiglio Nord Atlantico (NAC) ha deciso l'assunzione, da parte della NATO, del comando, del coordinamento e della pianificazione dell’operazione ISAF, senza modificarne nome, bandiera e compiti. La decisione è stata resa operativa l'11 agosto 2003, con l'assunzione della guida della prima missione militare extraeuropea dell'Alleanza Atlantica.

La risoluzione ONU n. 1510 del 13 ottobre 2003, oltre a prevedere l’ulteriore proroga del mandato di ISAF, ha, altresì, autorizzato l'espansione delle attività della missione anche al di fuori dell'area di Kabul.

La guida politica dell’operazione è esercitata dal NAC, in stretto coordinamento con i Paesi non NATO che contribuiscono all’operazione. Secondo il memorandum sottoscritto fra i Paesi partecipanti e l'Autorità provvisoria afghana il 4 gennaio 2002, mentre le “Coalition Forces, sono quegli elementi militari nazionali della Coalizione guidati dagli Stati Uniti che conducono la guerra al terrorismo in Afghanistan […] ISAF non è parte delle Forze della Coalizione" e rimane pertanto distinta da Enduring Freedom, mantenendo le due missioni differenti mandati e rispondendo a catene di Comando differenti, l'una facente capo al Comando Supremo Alleato della NATO ed al Consiglio Atlantico, l'altra al Central Command statunitense di Tampa (Florida). Le due missioni rimangono però in costante coordinamento operativo, attraverso il Deputy Chief of Staff Operations di ISAF, statunitense, responsabile del raccordo con le Forze di Enduring Freedom.

Lo svolgimento della missione ISAF è articolato in cinque fasi:

- la prima fase ha riguardato l’attività di analisi e preparazione;

- la seconda fase ha avuto l’obiettivo di realizzare l’espansione sull’intero territorio afgano, in 4 distinti stages che hanno riguardato in senso antiorario le aree Nord, Ovest, Sud e d Est;

- la terza fase è volta a realizzare la stabilizzazione del Paese;

- la quarta fase riguarda il periodo di transizione;

- la quinta fase prevede il rischieramento dei contingenti.

I quattro stages della seconda fase sono stati realizzati progressivamente con la sostituzione degli Stati Uniti, da parte della NATO, nella guida delle operazioni di stabilizzazione nelle diverse aree del Paese. La fase di espansione è stata completata nell’ottobre 2006 con l’assunzione del controllo ISAF anche sulla regione orientale del paese.

La fase dell’espansione è stata realizzata attraverso la costituzione in ogni area di una FSB (Forward Support Base), ovvero una installazione militare aeroportuale avanzata necessaria innanzitutto per fornire supporto operativo e logistico ai PRT (Provincial Reconstruction Team) presenti nella stessa regione. In alcune regioni (tra le quali Herat) i PRT erano già stati istituiti nell’ambito dell’operazione Enduring Freedom.

Il PRT è una struttura mista composta da unità militari e civili con il compito di assicurare il supporto alle attività di ricostruzione condotte dalle organizzazioni nazionali ed internazionali operanti nella regione. Ogni PRT é strutturato in base al rischio, alla posizione geografica ed alle condizioni socio economiche della regione in cui opera.

Fin dall’inizio della missione, ISAF, accanto alle attività militari, ha svolto il compito di assicurare la fornitura di beni di necessità alla popolazione e promuovere la ricostruzione delle principali infrastrutture economiche; a tal fine, la missione intrattiene relazioni con numerose organizzazioni internazionali e non-governative e collabora in modo stretto con l’Assistance Mission delle Nazioni Unite in Afghanistan (UNAMA).

La missione ISAF è stata da ultimo prorogata con la risoluzione del Consiglio di sicurezza n. 1890/2009 fino al 13 ottobre 2010.

L’operazione ISAF si configura quindi come operazione di peace enforcing.

 

 

La missione ISAF si trova attualmente nella sua terza fase: quella di stabilizzazione. L’attività di stabilizzazione ha incontrato crescenti difficoltà per l’insorgenza “talebana” contro la presenza internazionale che è andata col tempo notevolmente rafforzandosi.

 

Le origini dell’insorgenza possono essere fatte in realtà risalire già al 2002, pochi mesi dopo, quindi, la caduta del regime talebano in Afghanistan ad opera della coalizione internazionale guidata dagli USA e dell’Alleanza del Nord afghana, composta prevalentemente da elementi tagiki e uzbeki (merita ricordare che tuttavia Hamid Karzai, da subito individuato come leader del nuovo Afghanistan è invece un pashtun). Infatti, fin dall’aprile del 2002, si iniziarono a registrare attacchi, in particolare nelle zone di Kandahar, Khowst, Jalalabad, Kabul ad opera di talebani, di forze del movimento Hezb-I-Islami del signore della guerra Gulbuddin Hekmatyar (già protagonista delle vicende afghane negli anni Novanta del Novecento, successivamente alla caduta del regime filosovietico del presidente Najibullah) e di elementi jihadisti stranieri riconducibili ad Al Qaeda. Dal 2004 le forze della coalizione hanno potuto registrare un aumento delle capacità della guerriglia in termini di penetrazione nel territorio, testimoniato anche dal passaggio all’impiego di unità di combattimento più piccole, di meno di dieci elementi, capaci di creare maggiori difficoltà alla coalizione[9]. Nello stesso periodo l’insorgenza ha potuto trovare sostegno oltre la frontiera con il Pakistan, nelle zone tribali delle province nord-occidentali di quel paese. L’insorgenza si è ulteriormente intensificata nel corso del 2008 e del 2009 in modo particolare nel Sud e nell’Est del paese.

 

Il deterioramento della situazione è testimoniato dall’incremento di vittime civili, provocate non solo delle forze dell’insorgenza ma anche dagli errori delle forze governative afghane e di quelle di ISAF e di Enduring Freedom. Dal gennaio all’agosto 2008, secondo fonti dell’Alto commissariato ONU per i diritti umani e di UNAMA, sono risultati uccisi 1445 civili con un aumento del 39 per cento rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Le vittime della guerriglia talebana e delle altre forze antigovernative (800 nel medesimo periodo) sono raddoppiate rispetto ai primi otto mesi del 2007 e sono pari a circa il 55 per cento del totale delle vittime registrate. Nello stesso periodo è aumentato il numero di civili uccisi dalle forze governative e dalle forze militari internazionali: un totale di 577 morti, di cui 395 per raid aerei[10]. Secondo il rapporto annuale di Human Rights Watch, le Nazioni Unite indicano in circa 2021 i civili uccisi dalle forze dell’insorgenza antigovernativa e da quelle governative e internazionali dal gennaio all’ottobre 2009. Di queste il 69 per cento sono attribuite alle forze dell’insorgenza e il 23 per cento alle forze militari internazionali. Le perdite civili attribuibili alle forze militari internazionali registrano un decremento rispetto alla percentuale del 2008, attribuibile ad una revisione nelle modalità operative delle forze NATO e di Enduring Freedom[11].

Esistono diverse interpretazioni del deterioramento della situazione afghana: secondo alcuni l’impegno internazionale in Afghanistan si è posto, dopo il crollo del regime talebano nel dicembre 2001, obiettivi troppo ambiziosi (rispetto a quello essenziale di combattere il terrorismo di Al Qaeda) di State Building e di democratizzazione del Paese per i quali non si era impostato una chiara strategia e non si erano approntati i mezzi necessari, anche a causa del concomitante impegno (in particolare degli USA e della Gran Bretagna) in Iraq[12]. Secondo altri, le forze della coalizione internazionale così come gli Stati confinanti con l’Afghanistan hanno in tutti questi anni privilegiato la ricerca di intese con i leader locali (spesso ex-signori della guerra del periodo successivo alla fine dell’occupazione sovietica), anziché impegnarsi effettivamente in un’opera maggiormente dispendiosa, in termini di uomini e mezzi impiegati, di State building, di promozione della rule of law e di rafforzamento del governo centrale[13].

Nell’insorgenza si devono poi distinguere diverse componenti:

-             una componente ideologicamente talebana (all’interno della quale diverse fonti prospettano la presenza di una “filiera talebano-pachistana”, vale a dire la presenza, a partire dal 2003, dell’afflusso di guerriglieri del Kashmir, appartenenti al movimento talebano Lashkar-e-Tayyba, che in molti casi avrebbero ricevuto sostegno dai servizi segreti pachistani per insediarsi nella zona di confine tra Pakistan e Afghanistan del Waziristan)

 

Secondo numerose fonti, le forze talebane avrebbero trovato sostegno e rifugio principalmente nelle zone tribali della provincia nord-occidentale del Pakistan, al confine con l’Afghanistan, soprattutto a seguito degli accordi tra il governo Pakistano e i capi tribù locali nel sud del Waziristan tra 2004 e 2005 e nel nord del Waziristan nel 2006, che hanno posto fine ai tentativi dell’allora leader pakistano Musharraf di ottenere un effettivo controllo della regione e hanno condotto alla riduzione dei posti di blocco e della presenza dell’esercito pakistano in quelle zone. Nel febbraio 2009 anche il nuovo presidente pachistano Zardari ha raggiunto un accordo con i leader talebani locali per l’applicazione della Sharia nella zona di Malakand e nel distretto di Swat nella provincia nord-occidentale, in cambio dell’impegno al disarmo delle milizie. Nel corso del 2009 si sono però anche succedute offensive dell’esercito pachistano nella provincia nord-occidentale del paese per porre un argine alla crescente “talebanizzazione” della zona (rivolte in particolare contro il movimento dei talebani pakistani di Tehrik-e-Taliban). Tali attacchi si sono intensificati nelle prime settimane del 2010. Si ritiene poi che parte consistente della leadership talebana afghana sia attiva nella città di Quetta nel Pakistan occidentale.

 

-             la cosiddetta “rete Haqqani” guidata da Jalaluddin Haqqani, ex-comandante Mujaheddin contro i sovietici, e dal figlio Sirajuddin, fortemente integrata con i talebani della zona di Kandahar e con i gruppi attivi nella provincia nord-occidentale del Pakistan

-             il movimento Hizb I Islam del signore della guerra Gulbuddin Hekmatyar, ex-primo ministro, già protagonista delle vicende afghane negli anni Novanta del Novecento, successivamente alla caduta del regime filosovietico del presidente Najibullah. Merita segnalare che lo scorso 22 marzo è avvenuto un incontro tra il presidente Karzai e Hekmatyar; l’incontro potrebbe precludere ad un cessate il fuoco con questa componente dell’insorgenza, nel quadro della politica di riconciliazione avviata da Karzai.

-             componenti, per così dire “nazionaliste pashtun” che temono la prevalenza in Afghanistan degli elementi dell’Alleanza del Nord prevalentemente tagika e uzbeka, ai danni dell’etnia maggioritaria pashtun,

-             componenti tribali in rotta con il potere centrale[14].

 

Non deve essere sottovalutato inoltre il canale di finanziamento dell’insorgenza rappresentato dalla produzione di oppio che rappresenta il maggior settore dell’economia nazionale afghana (nel 2008 l’Afghanistan rappresentava il maggior produttore mondiale di oppio)[15]

 

L’evoluzione degli eventi ha quindi indotto ad una revisione della strategia della missione ISAF. In particolare la NATO, a partire dal 2008, ha promosso un comprehensive approach alla questione afghana (poi ribadito nel vertice di Strasburgo-Kehl del 3-4 aprile 2009) insistendo sul sostegno al rafforzamento delle istituzioni afghane ed inviando nuovo personale, non solo militare, ma anche civile. Da parte statunitense fin dal marzo 2010, l’amministrazione Obama ha delineato un comprehensive approach alla questione afghano-pakistana postulando la distruzione di Al Qaeda in Afghanistan e Pakistan e la stabilizzazione dell’area mediante un incremento della presenza militare in Afghanistan accompagnata ad un maggior sostegno finanziario e organizzativo alla crescita civile dei due paesi. Dopo un lungo dibattito all’interno dell’Amministrazione, inoltre, nel dicembre 2010, gli USA hanno annunciato l’invio di 30.000 ulteriori soldati USA e, allo stesso tempo, ha indicato il luglio 2011 come data dell’inizio di un graduale ritiro delle truppe USA. Contestualmente la NATO ha annunciato un incremento della propria presenza complessiva di circa 7.000 unità.

Da ultimo, la Conferenza internazionale di Londra ha insistito nelle sue conclusioni del 28 gennaio 2010 sulla necessità di recuperare alla vita civile ai combattenti dell’insorgenza non riconducibili al nucleo più ideologicamente talebano e ad Al Qaeda che accettino la rinuncia alla violenza(a tale proposito è stato istituito anche un apposito trust fund per la “pace e la reintegrazione”); sull’opportunità di incrementare gli aiuti umanitari e sulla ricerca di un maggiore coinvolgimento di tutte le componenti afghane e dei paesi confinanti nella ricerca della pace.

In questo quadro devono essere collocati i tentativi di riconciliazione con componenti dell’insorgenza avviati dal governo afghano: tra questi meritano di essere ricordati i contatti con il movimento Hizb I Islam di Hekmatyar, a cui già sopra si è fatto riferimento,nonché quelli con componenti talebane. Nell’ambito di queste complesse trattative anche il Pakistan si sta muovendo per rivendicare il suo ruolo e la sua influenza nella regione. Secondo alcune fonti, anche il recente arresto in Pakistan del leader dell’insorgenza talebana Baradar, indicato come interlocutore del governo afghano nelle trattative, rientrerebbe in questa logica. Il Pakistan si starebbe comunque anche muovendo autonomamente al fine di raggiungere nuove intese con componenti talebane per limitare la violenza nelle zone di confine, nonché un modus vivendi con l’Alleanza del Nord afghana, rivale storico dei tentativi pakistani di ricondurre l’Afghanistan alla propria sfera di influenza[16].

Nel quadro della strategia delineata dalla Conferenza di Londra si è svolta, a partire dal 2 giugno 2010, la Loya Jirga di riconciliazione nazionale promossa dal presidente Karzai. Infine con un attacco ad opera di un drone USA, alla fine di maggio 2010, nelle aree tribali del Pakistan è rimasto ucciso il leader di Al Qaeda in Afghanistan, al Masri.

 

Elemento fondamentale nell’ambito della nuova strategia NATO è lo sviluppo di una capacità autonoma di difesa afgana. Al riguardo si rinvia al box sotto.

 

La riorganizzazione delle forze armate e di sicurezza afghane

 

Il comunicato finale della Conferenza di Londra ha apprezzato i progressi compiuti nell’organizzazione delle Forze di sicurezza afghane e l’impegno del governo afghano di far assumere all’esercito nazionale afghano e alla polizia nazionale afghana la capacità di guidare e condurre la maggioranza delle operazioni nelle aree insicure dell’Afghanistan entro tre anni e di assumere la responsabilità per il mantenimento della sicurezza nel paese entro cinque anni. Gli Stati e le organizzazioni internazionali partecipanti si sono anche impegnate a garantire il necessario supporto al raggiungimento dell’obiettivo di incrementare, entro l’ottobre 2011, l’esercito nazionale afghano fino 171.600 unità e la polizia nazionale afghana a 134.000 unità.

Fonti NATO indicano, al 19 maggio 2010, la consistenza dell’esercito nazionale afghano in 119.388 unità. L’esercito dispone di truppe capaci di pianificare ed eseguire operazioni a livello di battaglione senza supporto esterno. In particolare, in simili operazioni possono essere impiegati 21 battaglioni, due quartier generali di corpi d’armata, 6 quartier generali di brigata, 6 unità di supporto alle guarnigioni, 2 quartier generali speciali di supporto alle brigate di sicurezza della città di Kabul.

Dal 2008 è attiva anche l’aviazione afghana che vede impiegate 2.876 uomini e donne, con una flotta di 46 aerei (l’obiettivo è di raggiungere entro il 2016 un personale di oltre 8000 unità con una flotta di 152 aerei).

A partire dall’agosto 2008 l’esercito nazionale afghano sta gradualmente assumendo la responsabilità per la sicurezza nella provincia di Kabul.

Sempre fonti NATO, indicano, al 19 maggio 2010, in 104.459 unità gli effettivi della polizia nazionale afghana (con 7.116 unità attualmente in addestramento). Degli effettivi 14.494 sono impegnati nella polizia di confine, 3.964 nelle forze di ordine pubblico interno (recentemente ridenominate “Gendarmeria”) e 2.695 nella polizia antinarcotici.

 

 

Nel febbraio del 2010 le truppe ISAF e quelle afghane sono state impiegate in un’importante operazione militare, l’operazione Moshtarak. Al riguardo, si rinvia al box sotto.

 

L’operazione moshTArak

 

Il 13 febbraio 2010 è iniziata la più vasta offensiva della coalizione internazionale dal 2001, con il coinvolgimento anche dell’esercito afghano: l’operazione “moshtarak” (in lingua dari “insieme”). Obiettivo dell’operazione sono state le roccaforti talebane di Marjah e di Nad Ali localizzate nella provincia di Helmand, nel sud dell’Afghanistan.

Fonti nato indicano in 15.000 unità l’entità delle forze della coalizione ed afghane coinvolte.

In particolare sono state impiegate:

-  cinque brigate afghane, con il coinvolgimento dell’esercito nazionale afghano e della polizia nazionale afghana (in particolare della polizia di confine e della gendarmeria afghana).

-  forze del comando regionale meridionale di Isaf appartenenti ai contingenti degli Usa, del Regno Unito, della Danimarca, dell’Estonia e del Canada.

La resistenza talebana è stata inizialmente debole, quindi più forte. l’operazione è stata dichiarata comunque conclusa da un portavoce del ministero dell’interno afghano il 4 marzo 2010, con la caduta di Marjah nelle mani delle forze della coalizione e la bonifica di parti del distretto di Nad Ali.

Si sono registrate vittime civili nelle zone interessate dall’operazione. Fonti della missione ONU in Afghanistan indicano in 27.770 i civili che hanno dovuto abbandonare le loro abitazioni nella provincia di Helmand a causa dei combattimenti. Secondo alcune analisi dell’operazione, comunque, le nuove direttive del generale McChrystal avrebbero consentito una riduzione dei civili feriti e caduti, in particolare attraverso la limitazione degli interventi di supporto aereo e l’avviso alla popolazione locale delle operazioni con anticipo[17].

 

 

 

Dopo la conclusione dell’operazione Moshtarak è annunciata l’intenzione di avviare operazioni militari e di intelligence nella provincia di Kandahar. Secondo dati forniti da ISAF le violenze nella zona di Kandahar sono andate costantemente aumentando negli ultimi anni; in vista dell’operazione è programmato, entro il mese di luglio, un significativo aumento delle truppe ISAF ed afgane nella regione (su questi aspetti cfr. Dati statistici Figure 1.15, 1.16 e 1.17).

Per ulteriori approfondimenti cfr. Recenti sviluppi e Osservatorio di politica internazionale, Mediterraneo più Medio Oriente, gennaio/marzo 2010.

ISAF comprende attualmente (dati del 7 giugno 2010) circa 119.500 militari appartenenti a contingenti di 46 Paesi. Il contributo maggiore è fornito dagli Stati Uniti (78.430 unità), seguiti dal Regno Unito (9.500), dalla Germania (4.350), dalla Francia (3.750), dal Canada (2.830), dall’Italia (3.300), dalla Polonia (2.500), dalla Turchia (1.710) e dall’Olanda (1.705).

 

I dati sopra riportati sono ripresi dal sito della NATO (www.nato.int). La nota aggiuntiva al bilancio del Ministero della difesa del marzo 2010 indicava invece una consistenza effettiva del contingente italiano di 3.191; la relazione tecnica all’ultimo provvedimento di proroga del finanziamento delle missioni internazionali (decreto-legge n. 1 del 2010) indicava comunque che, in coerenza con l’autorizzazione di spesa, veniva finanziato l’impiego complessivo nelle missioni ISAF ed EUPOL in Afghanistan di 3.451 unità.

 

 

Di seguito è invece fornito un confronto nell’evoluzione della partecipazione dei principali contingenti nazionali alla missione ISAF. Le ultime due colonne riportano gli ultimi aggiornamenti in ordine temporale forniti dalla NATO, risalenti rispettivamente al 5 marzo 2010 e al 7 giugno 2010. Dal raffronto in particolare di tali dati si evidenzia la progressiva attuazione di incremento delle truppe presenti in Afghanistan posta in essere dalla NATO.

 

Contingente missione ISAF in Afghanistan

data

29/1/2007

6/2/2008

12/1/2009

5/3/2010

7/6/2010

Paesi

37

40

41

44

46

Totale militari

di cui

35.460

43.250

55.100

89.480

119.500

USA

14.000

15.000

23.220

50.590

78.430

Regno Unito

5.200

7.800

8.910

9.500

9.500

Germania

3.000

3.210

3.405

4.335

4.350

Francia

1.000

1.515

2.890

3.750

3.750

Italia

1.950

2.880

2.350

3.160

3.300

Canada

2.500

2.500

2.830

2.830

2.830

Polonia

160

1.100

1.590

2.140

2.500

Olanda

2.200

1.650

1.770

1.880

1.705

Turchia

800

675

800

1.835

1.710

Australia

500

1.070

1.090

1.550

1.550

Spagna

550

740

780

1.075

1.415

 

 

Merita segnalare che la prosecuzione della partecipazione ad ISAF ha provocato una crisi politica in Olanda. Con una mozione approvata dal parlamento olandese nell’ottobre 2009, infatti la data del ritiro delle truppe di quel paese è stato fissato per l’agosto 2010; la NATO ha quindi richiesto il prolungamento della missione per un altro anno. Questa richiesta ha visto, all’interno del governo olandese, favorevoli i cristiano-democratici del primo ministro Balkenende ma contrari i laburisti. Si è quindi aperta una crisi di governo che condurrà il paese ad elezioni anticipate nel prossimo giugno.

 

Infine, di notevole importanza potrebbe risultare la ristrutturazione, annunciata da alcune fonti di stampa, della presenza statunitense in Afghanistan. In particolare, sarebbe in corso di trasferimento sotto il comando NATO l’azione delle forze speciali attualmente operanti nel quadro dell’operazione USA Enduring Freedom; ciò potrebbe precludere alla piena integrazione di Enduring Freedom nella missione ISAF (attualmente, come sopra ricordato, le due missioni risultano distinte, anche se entrambe sono poste sotto il comando del generale USA Mc Chrystal).

Il contributo italiano ad ISAF

La partecipazione italiana, iniziata il 10 gennaio 2002, è inizialmente consistita in un contingente di 450 unità, di cui 400 militari dell’Esercito a Kabul e 50 unità dell’Aeronautica, con compiti di supporto, di stanza ad Abu Dhabi (negli Emirati Arabi).

L’Italia ha assunto, dal giugno 2005, il compito di coordinare la FSB di Herat ed i PRT della regione ovest del Paese (che comprende le province di Farah, Badghis e Ghor, oltre a quella omonima di Herat). L’impegno italiano, accresciuto in questa fase da 600 a 2.000 unità, è stato ulteriormente rafforzato anche in vista dell'assunzione del comando ISAF, che è stato ricoperto dall’Italia dal 4 agosto 2005 al 4 maggio 2006.

Il 2 aprile 2007 il Consiglio supremo di difesa ha fornito concrete indicazioni per un rafforzamento in uomini e mezzi del contingente militare italiano in Afghanistan, quale attuazione dell’impegno assunto dall’Esecutivo in Parlamento, senza mutamenti nel carattere della missione, ma in previsione di una sua durata non breve e di maggiori pericoli potenziali. L’operazione è stata completata nel giugno successivo, con l’arrivo di due velivoli UAV Predator, di cinque elicotteri da combattimento A-129 Mangusta e due plotoni di bersaglieri con otto cingolati Dardo.

In seguito, la componente aerea del contingente è stata rafforzata con la dotazione dei velivoli senza pilota Predator (da giugno 2007), da ricognizione e sorveglianza e degli elicotteri A129 Mangusta (da giugno 2007), per il supporto aereo e successivamente, da dicembre 2008, dei velivoli Tornado (sostituiti dai caccia AMX nel dicembre 2009), per assicurare al contingente nazionale un maggior livello di sicurezza e protezione.

 

Come già sopra ricordato, la nota aggiuntiva al bilancio di previsione del Ministero della difesa del marzo 2010 indica l’impiego di un contingente effettivo di 3.191 unità, mentre fonti NATO indicano, al 16 aprile 2010, una presenza effettiva di 3.300 unità. A seguito della nuova strategia per l’Afghanistan annunciata dall’Amministrazione Obama e delle conseguenti decisioni assunte in sede NATO, il Consiglio dei ministri, nella riunione del 3 dicembre 2009, ha deciso un incremento di 1.000 unità del contingente impegnato in Afghanistan, da attuare con gradualità nel corso del 2010 e con una maggiore incidenza nella seconda parte dell’anno (sul punto si vedano le comunicazioni dei ministri degli esteri e della difesa alle Commissioni riunite Esteri e Difesa di Camera e Senato del 10 dicembre 2009).

La missione italiana ha fin qui principalmente interessato le aree di Kabul e di Herat. Al riguardo si segnala che:

Ø      nell’area di Kabul, il 30 ottobre 2009, la missione del contingente italiano a Kabul denominata “ITALFOR XX” è ufficialmente terminata, con il passaggio di consegne al contingente turco.

Ø      nell’area di Herat, il contingente italiano ha la responsabilità del Regional Command West (RC-W), ampia regione dell'Afghanistan Occidentale (pari al Nord Italia) che si estende dal Capoluogo Herat fino a toccare la Provincia di Farah. L’ossatura principale di RC-W è costituita dal personale proveniente dalla Brigata meccanizzata "Sassari", anche se è presente un significativo contributo di uomini e mezzi della Marina Militare, dell’Aeronautica, dei Carabinieri e della guardia di Finanza[18].

 

Tenendo conto delle ultime due vittime dell’attentato del 17 maggio 2010, durante la missione ISAF hanno perso la vita ventitre militari italiani, di cui 15 in seguito ad attentati o conflitti armati.

Nella medesima zona dove ha avuto luogo l’attentato del 17 maggio, Bala Murghab, il contingente italiano era stato fatto oggetto, nei primi giorni di gennaio 2010, di ripetuti attacchi da parte di consistenti nuclei di insorti con colpi di arma da fuoco, mitragliatrici pesanti e razzi controcarro nel corso di attività di consolidamento di avamposti strategici[19]

 

I caveat per l’impiego del contingente italiano in operazioni militari

 

Durante le comunicazioni sugli sviluppi relativi alle missioni internazionali, che sono state svolte nella seduta delle Commissioni riunite Esteri e Difesa della Camera e del Senato l’11 giugno 2008, i Ministri degli affari esteri e della difesa hanno riferito in merito alle modifiche dei cosiddetti caveat[20] per la missione ISAF in Afghanistan.

Il Ministro degli esteri Frattini ha richiamato il Vertice NATO di Bucarest (2-4 aprile 2008), che ha deciso di rafforzare il sostegno militare e politico all'ISAF, considerando la riflessione sui caveat come lo sviluppo di tale decisione.

Il Ministro della difesa La Russa ha precisato che le non esiste “alcuna limitazione all'utilizzo del nostro contingente nelle regioni ovest, nord e della capitale: lì il dispiegamento è già autorizzato. Nelle regioni est e sud, invece, a differenza di molte altre nazioni che operano nel contingente, il nostro contingente può essere dislocato solo per operazioni di eccezionale necessità e urgenza, senza bisogno di alcuna autorizzazione politica, per una scelta che può fare direttamente il comandante della missione. Si tratta di quelle che vengono definite in gergo in extremis operation”.

Qualora “in queste regioni, il comando ISAF, per specifiche e limitate operazioni in tempi ben definiti, chieda che il nostro contingente venga dispiegato” La Russa ricordava che, fino a quel momento, “il caveat prevede che si possa fare, purché ci sia l'ok delle autorità italiane. Il tempo che gli italiani si sono riservati per dare una risposta è di 72 ore” precisando che in “sostanza, non si è mai verificata, fino ad ora, una utilizzazione in questa direzione.”

Il Ministro sottolineava che, invece, “nell'ipotesi in cui ne avessimo bisogno, non avendo gli altri questi caveat, otterremmo in tempi immediati la disponibilità da parte di altri, sempre su richiesta del comando dell'ISAF” e che pertanto era necessario “che la risposta deve arrivare in tempi brevissimi: entro 6 ore anziché entro 72 ore.“

La Russa puntualizzava che “questa variante non deve portare a preoccupazioni in ordine ad un eventuale nuovo utilizzo del contingente (…)” e che “l'eventuale uso della forza da parte dei nostri militari avviene unicamente in funzione delle circostanze e in misura proporzionale alla situazione, nel rispetto del diritto internazionale, delle norme e degli usi sui conflitti armati, nonché delle leggi e dei regolamenti nazionali e in coerenza con quelli delle forze cooperanti. Non modificheremo assolutamente nulla della qualità di impiego dei nostri soldati.”

Il Ministro della difesa ammetteva “che da più parti, in via formale o informale, è pervenuta la richiesta di (…) poter già considerare disponibili all'impiego in altri quadranti i nostri soldati” ma che il Governo italiano aveva unicamente “modificato il termine temporale all'interno del caveat” e non “consentito che si aprisse una discussione su «caveat sì» o «caveat no».”

Il Ministro La Russa riconosceva infine che, con questa modifica, potrebbe “anche capitare che (…) avremo un effettivo maggiore impiego dei nostri soldati. D'altronde, non avremmo potuto evitarlo neanche con l'attuale previsione di 72 ore (…) perché da parte nostra sarebbe stato strano, a seguito di una richiesta urgente, aspettare 72 ore per rispondere.”

 

 


 

Consistenza del contingente italiano al 31 gennaio 2010: 3.191unità (su un totale di 63.500)

Serie storica

Gennaio 2007

Gennaio 2008

Gennaio 2009

Contingente italiano

1.800

2.550

2.404

Totale contingenti missione

20.565

49.357

50.500

Riferimenti normativi

Decreto-legge 28 dicembre 2001, n. 451, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 2002, n.15, recante disposizioni urgenti per la proroga della partecipazione italiana ad operazioni militari internazionali

Il D.L. 451/2001 ha prorogato la partecipazione italiana al 31 marzo 2002

Decreto-legge 16 aprile 2002, n. 64, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 giugno 2002, n.116, recante disposizioni urgenti per la prosecuzione della partecipazione italiana ad operazioni militari internazionali

Il D.L. 64/2002 ha prorogato la partecipazione italiana al 31 dicembre 2002

Decreto-legge 20 gennaio 2003, n. 4, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 marzo 2003, n.42, recante disposizioni urgenti per la prosecuzione della partecipazione italiana ad operazioni militari internazionali

Il D.L. 4/2003 ha prorogato la partecipazione italiana al 30 giugno 2003

Decreto-legge 10 luglio 2003, n. 165, convertito, con modificazioni, dalla legge 1° agosto 2003, n. 219, recante interventi urgenti a favore della popolazione irachena

Il D.L. 165/2003, nel testo originario, ha prorogato la partecipazione italiana al 31 dicembre 2003. Durante l'esame parlamentare tale disposizione è stata soppressa e la proroga è stata successivamente operata dalla legge 231/2003.

Legge 11 agosto 2003, n. 231, recante differimento della partecipazione italiana a operazioni internazionali (originata da una proposta di legge il 23 luglio 2003)

La legge 231/2003 ha prorogato la partecipazione italiana al 31 dicembre 2003

Decreto-legge 20 gennaio 2004, n. 9, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 marzo 2004, n. 68, recante proroga della partecipazione italiana a operazioni internazionali

Il D.L. 9/2004 ha differito il termine della partecipazione italiana al 30 giugno 2004.

Decreto-legge 24 giugno 2004, n. 160, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2004, n. 207, recante proroga della partecipazione italiana a missioni internazionali

Il D.L. 160/2004, nel testo originario, ha prorogato la partecipazione italiana al 31 dicembre 2004. Durante l'esame parlamentare tale disposizione è stata soppressa e la proroga è stata successivamente operata dalla legge 208/2004.

Legge 30 luglio 2004, n. 208, recante proroga della partecipazione italiana a missioni internazionali (originata da una proposta di legge presentata l'8 luglio 2004)

La legge 208/2004 ha prorogato la partecipazione italiana al 31 dicembre 2004

Decreto-legge 19 gennaio 2005, n. 3, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 marzo 2005, n. 37, recante proroga della partecipazione italiana a missioni internazionali

Il D.L. 3/2005, nel testo originario, ha differito il termine della partecipazione italiana al 30 giugno 2005. Durante l'esame parlamentare tale disposizione è stata soppressa e la proroga è stata successivamente operata dalla legge 39/2005.

Legge 21 marzo 2005, n. 39, recante disposizioni per la partecipazione italiana a missioni internazionali (originata da una proposta di legge presentata il 2 febbraio 2005)

La legge 39/2005 ha differito la partecipazione italiana al 30 giugno 2005

Decreto-legge 28 giugno 2005, n. 111, convertito dalla legge 31 Luglio 2005, n. 157, recante disposizioni urgenti per la partecipazione italiana a missioni internazionali

Il D.L. 111/2005 ha differito il termine della partecipazione italiana al 31 dicembre 2005.

Decreto-legge 17 gennaio 2006, n. 10, recante disposizioni urgenti per la partecipazione italiana a missioni internazionali (decaduto)

Il D.L. 10/2006, nel testo originario, ha differito il termine della partecipazione italiana al 30 giugno 2006. Le disposizioni del D.L. decaduto sono state inserite nell'articolo 39-vicies semel del D.L. 273/2005, convertito dalla legge 51/2006.

Decreto-legge 30 dicembre 2005, n. 273, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 febbraio 2006, n. 51, recante definizione e proroga di termini, nonché conseguenti disposizioni urgenti. Proroga di termini relativi all' esercizio di deleghe legislative

Il D.L. 273/2005, convertito, con modificazioni, dalla legge 51/2006, ha differito il termine della partecipazione italiana al 30 giugno 2006. La disposizione relativa alle missioni è stata introdotta durante l’esame parlamentare.

Legge 4 agosto 2006, n. 247, recante disposizioni per la partecipazione italiana alle missioni internazionali (originata da un disegno di legge governativo presentato il 5 luglio

La legge 247/2006 ha differito il termine della partecipazione italiana al 31 dicembre 2006.

Decreto-legge 5 luglio 2006, n. 224, recante disposizioni urgenti per la partecipazione italiana alle missioni internazionali (decaduto)

Il D.L. 224/2006, non convertito, ha differito il termine della partecipazione italiana al 31 dicembre 2006. La legge 247/2006 riproduce le disposizioni dello stesso D.L.

Legge 27 dicembre 2006, n. 296 recante disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007)

Il comma 1241 dell'articolo 1 della legge 296/2006 ha prorogato al 31 gennaio 2007 il termine per l'autorizzazione di spesa per la continuazione della missione.

Decreto-legge 31 gennaio 2007, n. 4, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 marzo 2007, n. 38, recante proroga della partecipazione italiana a missioni umanitarie e

Il D.L. 4/2007, convertito, con modificazioni, dalla legge 38/2007, ha prorogato il termine della partecipazione italiana al 31 dicembre 2007.

Decreto-legge 2 luglio 2007, n. 81, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2007, n. 127, recante disposizioni urgenti in materia finanziaria

L'articolo 9 del D.L. 81/2007, convertito, con modificazioni, dalla legge 127/2007, ha autorizzato la partecipazione di ulteriore personale militare italiano fino al 31 dicembre 2007.

Decreto-legge 31 dicembre 2007, n. 248, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 2008, n. 31, recante proroga di termini previsti da disposizioni legislative e disposizioni urgenti in materia finanziaria

Il D.L. 248/2007 convertito, con modificazioni, dalla legge 31/2008, ha prorogato al 31 gennaio 2008 il termine per l'autorizzazione di spesa per la continuazione della missione.

Decreto-legge 31 gennaio 2008, n. 8, convertito, con modificazioni, dalla legge 13 marzo 2008, n. 45, recante disposizioni urgenti in materia di interventi di cooperazione allo sviluppo e a sostegno dei processi di pace e di stabilizzazione, nonché relative alla partecipazione delle Forze armate e di polizia a missioni internazionali

Il D.L. 8/2008, convertito, con modificazioni, dalla legge 45/2008, ha prorogato il termine della partecipazione italiana al 31 dicembre 2008.

Decreto-legge 22 settembre 2008, n. 147, convertito, con modificazioni, dalla legge 20 novembre 2008, n. 183, recante disposizioni urgenti per assicurare la partecipazione italiana alla missione di vigilanza dell'Unione europea in Georgia

Il D.L. 147/2008, convertito, con modificazioni, dalla legge 183/2008, ha autorizzato un'ulteriore partecipazione italiana fino al 31 dicembre 2008

Decreto-legge 29 Settembre 2008, n. 150, recante proroga della partecipazione italiana a missioni internazionali per l'anno 2008 (decaduto)

Il D.L. 150/2008, nel testo originario, ha autorizzato una ulteriore partecipazione italiana al 31 dicembre 2008. Le disposizioni del D.L. decaduto sono state inserite nel D.L. 147/2008, convertito dalla legge 183/2008.

Decreto-legge 30 dicembre 2008, n. 209, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 febbraio 2009, n. 12, recante proroga della partecipazione italiana a missioni internazionali

Il D.L. 209/2008, convertito, con modificazioni, dalla legge 12/2009, ha prorogato il termine della partecipazione italiana al 30 giugno 2009

Decreto-legge 1 luglio 2009, n.78, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n. 102, recante provvedimenti anticrisi

Il D.L. 78/2009, convertito, con modificazioni, dalla legge 102/2009, (all'articolo 24 soppresso durante l'iter parlamentare) ha prorogato la partecipazione italiana al 31 ottobre 2009. La proroga è stata successivamente operata dalla legge 108/2009.

Legge 3 agosto 2009, n. 108, recante proroga della partecipazione italiana a missioni

La legge 108/2009 ha prorogato la partecipazione italiana al 31 ottobre 2009

Decreto-legge 4 novembre 2009, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 dicembre 2009, n. 197, recante disposizioni urgenti per la proroga degli interventi di cooperazione allo sviluppo e a sostegno dei processi di pace e di stabilizzazione, nonché delle missioni internazionali delle Forze armate e di polizia

Il D.L. 152/2009, convertito, con modificazioni, dalla legge 197/2009, ha prorogato la partecipazione italiana fino al 31 dicembre 2009

Decreto-legge 1° gennaio 2010, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 5 marzo 2010, n. 30, recante disposizioni urgenti per la proroga degli interventi di cooperazione allo sviluppo e a sostegno dei processi di pace e di stabilizzazione, nonché delle missioni internazionali delle Forze armate e di polizia e disposizioni urgenti per l'attivazione del Servizio europeo per l'azione esterna e per l'Amministrazione della Difesa

Il D.L. 1/2010, convertito, con modificazioni, dalla legge 30/2010, ha prorogato la partecipazione italiana fino al 30 giugno 2010

 


 

 

 

DATI STATISTICI

Afghanistan

 

 

Di seguito si riporta un estratto del Afghanistan index redatto dalla Brookings Institution del 28 maggio 2010. Nell’Afghanistan index sono riportate statistiche  di diversa natura e diversa fonte sulla situazione afgana, sia dal punto di vista militare sia dal punto di vista politico sociale ed economico. La stessa Brookings Institution precisa che la maggior parte delle informazioni proviene dal Governo USA anche se le stesse vengono spesso rielaborate in modo da mostrare i trend complessivi a partire dal 2001. Le informazioni provengono anche da fonti ONU, da organizzazioni non governative e da giornalisti stranieri sul campo. Ad ogni modo per ogni grafico di seguito fornito viene indicata con un’apposita nota la fonte di provenienza. In particolare nell’estratto vengono di seguito indicati (dove non altrimenti specificato le figure forniscono la serie storica dei relativi dati a partire dal 2001):

§         Figura 1.1 Truppe statunitensi impiegate in Afghanistan;

§         Figura 1.2 Truppe NATO impiegate in Afghanistan;

§         Figura 1.3 entità dei diversi contingenti nazionali

§         Figura 1.4 ripartizione delle truppe NATO nei diversi contingenti regionali,

§         Figura 1.5 dimensione delle forze di sicurezza afgane;

§         Figura 1.6 crescita annua, per effettivi, dell’esercito nazionale afgano dal 2003 ad oggi;

§         Figura 1.14 numero degli attacchi dell’insorgenza;

§         Figura 1.15 numero di eventi violenti nella zona di Kandahar nel 2006 e nel 2009;

§         Figura 1.16 numero stimato di omicidi nella zona di Kandahar nel 2009 e nel 2010;

§         Figura 1.17 forze di sicurezza nella zona di Kandahar, consistenza attuale e proiezioni per il luglio 2010;

§         Figura 1.18 incidenti delle truppe statunitensi e della coalizione

§         Figura 1.20 ripartizioni per categorie delle vittime di incidenti appartenenti alle truppe USA;

§         Figura 1.21 incidenti delle truppe non statunitensi, ripartite per paese di appartenenza;

§         Figura 1.26 incidenti dell’esercito nazionale afgano e della polizia nazionale afgana dal gennaio 2007 ad oggi;

§         Figura 1.27 stima delle vittime civili afgane di incidenti come risultato diretto di combattimenti tra forze internazionali e governative da un lato e truppe di opposizione armata dall’altra negli anni 2006-2009;

§         Figura 1.28 dettaglio delle vittime civili afgane di incidenti stimate per l’anno 2008, ripartite per tipo di incidente;

§         Figura 1.29 ripartizione per mese delle vittime civile afgane di incidenti dal 2007 ad oggi;

§         Figura 1.31 numero stimato di sfollati in Afghanistan dal 2008 ad oggi;

§         Figura 1.32 famiglie afgane sfollate a seguito dell’operazione Moshtarak nella provincia di Hermand;

§         Figura 1.33 stima del numero di profughi negli stati confinanti;

§         Figura 1.34 profughi afgani rientrati volontariamente nel paese tra il 2002 e il 2008;

§         Figura 1.48 confronto delle esplosioni ripartite per provincia e per comando regionale nelle prime 22 settimane (da gennaio alla fine di maggio) del 2008 e del 2009;

§         Figura 2.1 informazioni demografiche sulla popolazione afgana;

§         Figura 2.2 informazioni sulla composizione delle assemblee legislative afgane;

§         Figura 2.3 numero detenuti in Afghanistan (2004-2010);

§         Figura 2.7 coltivazione annua di papavero in Afghanistan per ettari e percentuale sulla coltivazione globale (1990- 2009)

§         Figura 2. 8 produzione annuale di oppio (in tonnellate) e percentuale sulla coltivazione globale (1990- 2009);

§         Figura 2. 9 livelli di coltivazione di papavero, in Afghanistan, per ettari, ripartite per province;

§         Figura 2. 11 prezzo medio mensile dell’oppio dal settembre 2004 (espresso in dollari USA al Kg);

§         Figura 2. 12 posizione dell’Afghanistan nell’indice della libertà di stampa di Reporteurs sans frontières;

§         Figura 2. 13 posizione dell’Afghanistan nell’indice annuale di Transparency international;

§         Figura 3.1 tasso di inflazione annuale (2003-2009);

§         Figura 3. 2 PIL nominale (2002.2010);

§         Figura 3.3 crescita del PIL (2003-2007);

§         Figura 3.6 dimensioni del bilancio statale e locale dell’Afghanistan;

§         Figura 3.7 livelli stipendiali delle forze di sicurezza nazionali afgane;

§         Figura 3.9 depositi nelle banche commerciali afgane nel 2008-2009:

§         Figura 3.11 stima del numero delle utenze telefoniche in Afganistan;

§         Figura 3.12 percentuale stimata della popolazione afgana con accesso a acqua potabile e strutture igieniche (dati 2008);

§         Figura 3.13 iscrizione stimata annuale all’istruzione elementare secondaria;

§         Figura 3.14 livelli di povertà 2007;

§         Figura 3.15 finanziamenti stranieri

 

 

Sul sito della Brookings institution (www.brookings.edu) è possibile consultare un ulteriore aggiornamento, all’11 giugno 2010, dell’Afghanistan index.

 


 

 


La presenza militare italiana in Afghanistan
(a cura del Ministero della Difesa)

 

 

 

 

 

 


Mappa della presenza militare in Afghanistan

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


La presenza civile italiana
(a cura del Ministero degli Affari esteri)

 

Nella nuova fase l’impegno civile italiano in Afghanistan è strategico per la partecipazione allo sforzo della comunità internazionale per la ricostruzione e la stabilizzazione del Paese. L’Italia ha dichiarato la disponibilità di finanziamenti complessivi per i programmi di sviluppo socio-economico ed umanitari per 50 milioni di euro l’anno in media consentendo l’erogazione di oltre 400 milioni su 473 milioni di euro di programmi approvati fino al 2010. Mentre a Kabul è attiva un’Unità Tecnica Locale della Cooperazione, ad Herat opera, oltre ad un nucleo della Cooperazione, anche la Componente Civile del PRT italiano. Guidata da un funzionario diplomatico, quest’ultima si avvale anche dei contributi civili di altri paesi (la Slovenia, ad esempio, invia periodiche missioni temporanee di propri funzionari, diplomatici e tecnici).

I settori di maggior concentrazione della cooperazione civile italiana sono:

-            governance”, a livello nazionale e locale, incentrato sulla Regione Ovest (giustizia, sostegno al bilancio, elezioni locali, formazione della pubblica amministrazione, anticorruzione, “civilian surge”);

-            sviluppo rurale e agricoltura, incentrato nella regione Ovest (sostegno a programmi nazionali afghani con il Ministero dello Sviluppo Rurale, il Ministero dell’Agricoltura, il Ministero delle risorse idriche);

-            sostegno alle fasce vulnerabili, in particolare in ambito sanitario, prevalentemente nella Regione Ovest;

-            infrastrutture stradali, attraverso il sostegno ai programmi del Ministero dei Lavori Pubblici, in particolare nella regione centrale (Bamyan, Wardak, Logar) e nella regione Ovest;

L’adozione della strategia nazionale di sviluppo afgana (Afghan National Development Strategy-ANDS) approvata nel giugno 2008, ha consentito ai donatori di passare da una strategia di aiuto gestito sostanzialmente direttamente dalla Comunità internazionale, ad un contesto in cui sono lo stesso Governo afgano e le proprie Istituzioni ad essere gestori e quindi artefici dei propri processi di sviluppo.

L’Italia ha aderito da subito a tale strategia, canalizzando una parte significativa delle risorse disponibili per il finanziamento dei più importanti programmi di sviluppo definiti dal Governo Afgano, tra cui il maggiore programma bilaterale ad esecuzione governativa in linea con la ANDS (costruzione e riabilitazione della strada Kabul-Bamyan per 104 milioni di euro complessivi), il programma nazionale di sviluppo a livello delle comunità rurali (il National Solidarity Programme) per 20 milioni di Euro e il Programma nazionale per la microfinanza (6,75 milioni di Euro).

L’Italia proseguirà nel corso del 2010 la focalizzazione degli interventi sulla Regione Ovest dove l’Italia ha la responsabilità del comando regionale NATO, in particolare nei settori della sanità, dello sviluppo rurale e dell’agricoltura. Tale impostazione consente, (in un contesto che comunque prevede le necessarie forme di controllo per il corretto utilizzo delle risorse finanziarie), di favorire la crescita delle strutture governative, la maturazione delle necessarie competenze e l’”afganizzazione” della ricostruzione.

L’Italia intende inoltre rafforzare i media afgani, con particolare riguardo alla radio e televisione, per porli in grado di svolgere un ruolo da protagonisti della vita democratica e di farsi portatori di messaggi di tolleranza e convivenza. In questa direzione, si è svolto a Roma nel marzo 2010 un seminario di formazione di 20 giornalisti afgani, focalizzato sul funzionamento dei media in un contesto democratico e sul loro ruolo per la lotta alla corruzione. L’Italia sostiene, con un contributo di circa 3 milioni di euro, anche un programma di rafforzamento dell’ Educational Radio TeleVision afgana.

L’Italia perseguirà altresì il proprio tradizionale sostegno alle iniziative di salvaguardia e valorizzazione del patrimonio culturale, storico ed archeologico dell’Afghanistan ed opererà per incrementare i legami tra le istituzioni culturali ed educative dei due Paesi (missione archeologica ISIAO; corso sul restauro ad opera dell’ICR; 200 mensilità annuali di borse di studio). Nel campo dell’istruzione superiore, l’Italia sta promuovendo lo sviluppo di rapporti di partenariato tra  Università italiane e Università afgane.

Prosegue inoltre l’impegno italiano nel settore del Rule of law, attraverso l’assistenza alle principali Istituzioni di giustizia afgane e la formazione in favore di operatori giuridici (procuratori, giudici, avvocati) e rimane viva la nostra attenzione per le politiche di genere. L’Italia sostiene la missione delle Nazioni Unite, quale referente principale dell’azione di assistenza civile, in stretto raccordo con le altre componenti internazionali in Afghanistan ed ha espresso altresì pieno appoggio a Staffan de Mistura, il Rappresentante Speciale del Segretario Generale dell'ONU in Afghanistan, confermando l'ampia disponibilità del governo italiano a fornire un gruppo di senior experts nel settore della cooperazione.

Sempre sul piano civile, vale ricordata la collaborazione in atto (formazione in Italia di funzionari afgani) tra la Banca Centrale afgana (DAB) e la Banca d’Italia, mentre. Si aggiunge il programma di formazione per diplomatici afghani che verrà avviato nell’autunno 2010 in collaborazione con l’Istituto Diplomatico del Ministero degli Esteri. La Farnesina, in collaborazione con la Guardia di Finanza, ha anche organizzato il corso di formazione per ufficiali dell’ Afghan Border Police presso il centro delle Fiamme Gialle di Orvieto (giugno 2010).

L’impegno italiano sta anche favorendo il passaggio graduale dall’assistenza al partenariato economico (commercio e investimenti) valorizzando il ruolo particolarmente significativo che può essere svolto dal settore privato (italiano e afghano), con l’obiettivo di dare sostenibilità ad uno sviluppo endogeno. Ciò appare di particolare interesse nella regione di Herat, ricca di risorse (marmo, zafferano, frutta, tessuti) non adeguatamente utilizzate per mancanza di capacità tecniche e manageriali e di risorse finanziarie per passare alla fase di lavorazione in loco e commercializzazione. Sono state attuate pertanto iniziative in tale direzione con un incontro tra imprenditori di Herat e operatori e associazioni italiane a Roma nel maggio 2009 cui seguirà un analogo incontro a Herat alla fine di giugno 2010. Tale incontro è stato preparato in occasione della Conferenza internazionale sul marmo, tenuta a Herat dal 12 al 15 aprile 2010.

Organizzato da USAID con il decisivo contributo della nostra Ambasciata a Kabul, l’evento ha visto la partecipazione dei principali operatori afgani del settore, pubblici e privati, e la presenza, accanto a numerose imprese statunitensi e di altri Paesi, di Assomarmomacchine (Confindustria) e di 5 sue aziende associate, a testimonianza delle potenzialità del settore lapideo afgano. D’intesa con il MiSE abbiamo altresì promosso la partecipazione alla conferenza di SIMEST che, sulla base della positiva esperienza della Conferenza di aprile sta già lavorando d’intesa con la Farnesina ad una nuova conferenza (autunno 2010) di valorizzazione delle opportunità di affari presenti nella regione di Herat (nei settori dell’agro-industria, del tessile, delle infrastrutture).


 

L’attività di Emergency in Afghanistan

 

Emergency è un’associazione italiana fondata nel 1994 per offrire assistenza medico-chirurgica alle vittime civili delle guerre, delle mine antiuomo e della povertà.

L’associazione è attiva in Afghanistan dal dicembre 1999 quando, con il paese ancora sotto il controllo dei talebani, ha costruito un Centro chirurgicoad Anabah, un villaggio della valle del Panshir allora sotto il controllo del comandante Massud.

All’inizio del 2001 è stato aperto il Centro chirurgicodi Kabul e, nel 2003, il un Centro di maternità ad Anabah ed un Ospedale a Lashkar-gah, nella provincia di Helmand [21].

I tre operatori sanitari italiani[22] arrestati lo scorso 10 aprile dalla Direzione nazionale della sicurezza afghana (Nsd) con l’accusa di detenzione di esplosivi e armi da guerra – ritrovati all’interno dell’ospedale – finalizzati all’organizzazione, insieme ad elementi talebani, di attentati, tra i quali uno contro il Governatore di Hemland, Gulab Mangal lavoravano proprio all’ospedale di Lashkar-gah, in un’area sotto il controllo delle forze britanniche. I tre operatori - Marco Garatti, chirurgo, Matteo Dell'Aira, infermiere, e Matteo Pagani, tecnico di logistica, insieme ai quali sono stati arrestati anche sei operatori afgani – sono stati rilasciati il 18 aprile senza la formulazione di alcuna accusa specifica.

Emergency, che ha sempre rivendicato l’estraneità dei suoi operatori a a qualsiasi macchinazione contro le autorità afghane, durante i giorni del fermo ha tenuto una posizione critica nei confronti del Governo italiano, accusato di muoversi con scarsa incisività nei confronti di quello afghano. L’associazione ha contestato anche il fatto che la presenza di militari britannici dell’ISAF all’irruzione nell’ospedale - circostanza che l’ONG dava per certa – facesse presupporre la piena conoscenza dell’operazione da parte del Governo italiano.

Il ministro Frattini, nelle comunicazioni rese alle Commissioni riunite affari esteri di Camera e Senato il 14 aprile, ha decisamente smentito la partecipazione di militari ISAF alla perquisizione e ha dichiarato che “solo in un momento successivo le autorità locali afgane hanno chiesto l'assistenza di una pattuglia di artificieri britannici di ISAF per la messa in sicurezza dei materiali che erano stati trovati…”.

E’ stata contestata da Emergency anche la dichiarazione diffusa dal MAE immediatamente dopo la notizia dell’arresto dei tre italiani secondo la quale essi operavano “in una struttura umanitaria non riconducibile né direttamente né indirettamente alle attività finanziate dalla Cooperazione italiana”. Emergency ha sostenuto infatti che, sebbene le sue attività non siano a carico della cooperazione italiana, il progetto che l’organizzazione promuove in Afghanistan ha ricevuto la “conformità” del ministero.

Il Governo, da parte sua, ha accusato Emergency di fare “un po’ troppa politica”, come ha affermato il sen. Alfredo Mantica, sottosegretario agli esteri, a CNRmedia l’11 aprile, ricordando anche le polemiche sul ruolo di mediazione svolto da Gino Strada in occasione del rapimento del giornalista di Repubblica, Daniele Mastrogiacomo nel 2007.

Il Governo ha poi sempre affermato di aver posto in essere  un’intensa azione diplomatica, tesa a garantire il rispetto dei diritti umani dei tre arrestati e che, nel giro di pochi giorni, in assenza di prove a loro carico, ha condotto al loro rilascio.

In relazione alla sospensione dell’attività dell’ospedale di Lashkar Gah, come affermato dal Sottosegretario agli esteri, Enzo Scotti, che il 22 aprile ha risposto all’interpellanza urgente Tempestini ed altri, n.  2-00680, “l'interruzione dei lavori dell'ospedale di Lashkar Gah è stata disposta dalle autorità afgane per consentire la prosecuzione delle indagini ambientali e dei necessari accertamenti sullo stato dei luoghi, ove sono stati rinvenuti armi e materiale esplosivo sospettati di essere destinati a finalità terroristiche” e che “il Governo italiano non ha alcun titolo per disporne la riapertura”.

Riguardo il futuro dell’ospedale, infatti, il Ministero degli Affari esteri ha da subito precisato la sua incompetenza, precisando che essa spetta a successivi, eventuali accordi tra Emergency e le autorità afghane.

All’indomani del rilascio dei tre italiani, per rispondere a quanto pubblicato sul quotidiano Il corriere della sera, il ministro Frattini, in un’intervista radiofonica in onda su Radio Due ha dichiarato che la chiusura dell'ospedale di Emergency a Lashkar Gah non è stata la condizione pattuita con il governo afghano per la scarcerazione dei tre operatori. In un articolo del 19 aprile, infatti,il quotidiano milanese avanzava l’ipotesi che il Governo italiano avesse dovuto accettare la condizione, imposta da Kabul e dai britannici che controllano il territorio di Lashkar Gah, di mettere fuori gioco la struttura di Emergency, colpevole di aver mediato con i talebani negli anni precedenti per ottenere la liberazione di Daniele Mastrogiacomo e del free lance Gabriele Torsello. 

In questi ultimi giorni si profila nuovamente l’ipotesi di riaprire l’ospedale di Lashkar Gah. Come ha dichiarato all’Ansa il 3 giugno il direttore sanitario della provincia di Helmand, esistono in tal senso contatti tra Emergency, disponibile a ritornare in loco, ed il ministro della Sanità afghano Suraya Dalili, nonché il nulla osta del Governatore di Helmand, “purché vengano rispettate le regole esistenti”.

 

 


 

I processi di stabilizzazione in Afghanistan
(a cura del Ministero degli Affari esteri)

Assolta con un sostanziale successo la Consultative Gira del 2 giugno, è ormai prossimo l’atteso appuntamento internazionale di rilevanza per il dossier afghano, la Conferenza internazionale del 20 luglio. Vedrà riuniti a Kabul a livello di Ministri degli esteri circa 70 paesi e i rappresentanti di numerosi organismi internazionali.Inaugurata dal Presidente Karzai e dal Segretario Generale ONU Ban Ki Moon, la Conferenza si pone comeseguito di quella di Londra del 28 gennaio u.s..

Si tratta di un momento di verifica dello stato di avanzamento degli impegni assunti da parte afghana, incentrati sul tema della transizione(in dari, Inteqal), cioè l’ampliamento sul territorio dell’esercizio di funzioni sovrane da parte del Governo afghano, soprattutto in termini di sicurezza e di governance, lasciando alla Comunità internazionale un ruolo di accompagnamento e assistenza. La Conferenza avrà lo scopo di rinnovare il contratto tra Governo e popolazione afgana, mentre ai donatori si chiederà di riallineare i progetti già finanziati verso le priorità della strategia nazionale di sviluppo afgana e secondo precisi criteri (effettiva ownership afgana e suo coinvolgimento nella fase progettuale dei programmi, accountability ad ogni livello, sostenibilità e fattibilità dei progetti, valorizzazione del capacity building). Da parte afgana è stato annunciato un piano di riforme da effettuare in 100 giorni, per dare, dopo la Conferenza, un segnale immediato di cambiamento.

In materia di sicurezza la transizione consiste nel graduale trasferimento alle Afghan National Security Forcesdi un “leading role” e, contemporaneamente, l’assunzione, da parte delle truppe ISAF, di un  “supporting role”. Ciò fino al raggiungimento da parte dell’ANSF di un’autonoma ed integrale capacità di difesa e controllo del proprio territorio. In quest’ottica, l’approccio adottato alla Conferenza di Londra, e poi ribadito nel corso della Ministeriale NATO di Tallin (aprile 2010), assegna la priorità al training e mentoring senza prevedere una riduzione degli effettivi da parte di ISAF: in prospettiva saranno necessarie meno truppe e più addestratori. Il processo di transizione dovrà rimanere ancorato al verificarsi localmente di determinate condizioni che verranno valutate secondo precisi parametri. Compatibilmente dunque con le effettive circostanze di sicurezza, governance e sviluppo l’annuncio dell’avvio sul terreno della transizione dovrebbe avvenire in occasione del prossimo Vertice NATO di Lisbona, ma l’ufficio del NATO Senior Civilian Representative sta già lavorando all’elaborazione di una strategia congiunta ISAF-Autorità afgane da portare alla Conferenza di Kabul. Il processo comporterà un profondo adeguamento anche per quanto concerne il ruolo e le funzioni dei PRT[23].

Per quanto riguarda lo sviluppo e il coordinamento degli interventi, la creazione a Londra dei clusters (Agricoltura e Sviluppo Rurale, Risorse Umane, Sviluppo economico e Infrastrutture e, successivamente, di un quarto dedicato alla Governance,) aveva come obiettivo di dare alle Autorità afgane un foro d’azione efficace nell’identificazione e perseguimento delle priorità di sviluppo indicate dall’Afghan National Development Strategy, e di rafforzare il coordinamento interministeriale e la coerenza delle politiche di sviluppo. Ad oltre tre mesi dalla Conferenza di Londra, l’esercizio dei clusters sembra aver compiuto qualche progresso, eccetto che nel settore più delicato, la Governance, che dovrebbe fra l’altro essere suddiviso in due sotto-clusters (Riforma della pubblica amministrazione e sub-national governance). Obbiettivamente, non può non essere registrata la  difficoltà degli afghani a dettagliare le strutture facenti capo ad ogni cluster (sono coinvolti 17 Ministeri, che controllano il 90% del bilancio afgano).

Non è del tutto chiaro in che misura la Conferenza di Kabul possa connotarsi come pledging event. Da parte afghana è stata manifestata l’aspettativa di mobilitare risorse per la realizzazione di “bankable national programmes” nonché per raccogliere contributi a favore del “Afghanistan Peace and Reconciliation Trust Fund”.

Su quest’ultimo aspetto si segnala il consenso a livello internazionale e afghano circa la necessità di avviare un processo di riconciliazione (rivolta ai vertici) e reintegrazione (destinata ai livelli medio-bassi dell’insorgenza) trasparente, aperto e sostenibile dovrebbe tradursi in azioni concrete ma rispettose delle sensibilità delle molteplici componenti etniche. L’obiettivo resta quello di consentire il recupero alla vita civile di quegli insorgenti - Pasthun in maggioranza - disposti ad accettare la Costituzione e a rinunciare alla violenza. Si tratterà comunque di un processo necessariamente avviato dagli stessi Afghani e che dovrà essere condiviso con la Comunità internazionale ed attuato con meccanismi finanziari (trust fund) trasparenti e verificabili. Cruciale al riguardo è stato il proficuo svolgimento della Gira di Pace, per raccogliere il più ampio consenso sulla politica di riconciliazione. Si è atteso lo svolgimento della recente visita di Karzai negli Stati Uniti (10-13 maggio) per consentire al Presidente di affrontare con un nuovo credito spendibile il confronto con una difficile Assemblea interna cui hanno partecipato tutte le componenti etniche ed esponenti di diverso orientamento (dai conservatori alla società civile più avanzata). Una Commissione ad hoc seguirà l’attuazione dei principi sanciti dalla Peace Gira nell’attuazione della reintegrazione.

Prosegue l’esercizio in materia di anti-corruzione confermato da ultimo dalla firma di Karzai dei decreti interministeriali in materia in attuazione degli impegni assunti a Londra. Positivo é il rafforzamento dei poteri dell'"High Office of Oversight", che può contare sulla leadership di una personalità apprezzata quale il direttore Osmani, ed altrettanto significative vengono considerate le azioni giudiziarie intraprese di recente dalla MCTF (Major Crimes Task-Force) contro alcune personalità politiche di medio ed alto livello.

L’attività delle Nazioni Unite, con la nuova guida di UNAMA assunta da Staffan de Mistura, e della NATO, con il nuovo Senior Civilian Representative Mark Sedwill, resta il più immediato riferimento in loco degli organismi multilaterali. Il calendario internazionale prevede altresì che il Gruppo dei Rappresentanti Speciali per Afghanistan e Pakistan, dopo la riunione dello scorso 7 giugno a Madrid, si riunisca a Roma (all’incirca nel corso della prima metà di ottobre) per analizzare i risultati delle elezioni per il rinnovo della Wolesi Gira (18 settembre) e gli esiti dell’Assemblea Generale ONU.

Al di là del susseguirsi degli appuntamenti internazionali e dell’avanzamento del processo di transizione e di empowerement delle autorità afghane, è ormai un dato acquisito da Trieste a Londra che la regione circostante l’Afghanistan debba fornire il proprio contributo. L’adeguato impiego della dimensione regionale dovrebbe pertanto continuare ad accompagnare gli sforzi ora condotti a Kabul, ricorrendo anche e soprattutto a quelle istituzioni multilaterali e regionali in grado di esplicare la propria a azione in aree che comprendono realtà diverse ma strettamente interconnesse: come Afghanistan Pakistan, Iran e Paesi dell’Asia centrale. Nonostante da parte afghana non sia ancora stata definita l’agenda della prossima Conferenza di Kabul è previsto che si tratti anche di temi legati alla dimensione regionale.

Le iniziative di UNHCR, UNODC e quelle analoghe di organismi regionali asiatici hanno il vantaggio di presentare maggiore legittimità di intervento nei confronti di realtà diverse e fra loro in conflitto (Afghanistan e Pakistan, Afghanistan e Iran Afghanistan  e vicini centro asiatici). Esse inoltre possono coagulare contributi di altri Paesi asiatici – Cina e India, ad esempio – che, come noto, non solo non sono disposti a fornire apporti dal punto di vista militare ma che finora si sono mostrati  restii a impegnarsi in aspetti di ricostruzione se non sul piano bilaterale. Appare pertanto opportuno incoraggiare la partecipazione a programmi come il Regional Programme di UNODC e le iniziative di resettlement dei rifugiati afghani in Iran e Pakistan a cura dell’UNHCR accompagnando l’iniziativa assunta a Kabul da De Mistura di riunire i paesi nel gruppo della Silk Road.  

Anche l’azione dell’Unione Europea si è fatta più incisiva negli ultimi mesi. Già nell’ottobre 2009 era stato elaborato il “Piano d’Azione UE per l’Afghanistan e il Pakistan”, documento che recepisce molte idee e proposte sostenute dall’Italia. Esso, infatti, valorizza la dimensione regionale della stabilizzazione afgana, tema che è stato al centro della Ministeriale G8 di Trieste. Il “Piano d’Azione” è stato ulteriormente affinato lo scorso aprile per individuare selettivamente i settori di intervento. Inoltre, con la nomina del nuovo EUSR Usackas[24], l’Unione si prefigge maggiore concretezza nell’azione a sostegno dello sviluppo e il coordinamento sia all’interno dell’UE che con i donatori e i partner internazionali. In tale contesto l’Italia ha un ruolo di grande rilevanza: siamo tra i primi contributori di EUPOL e continuiamo a sostenere un più marcato dinamismo europeo nel civilian surge e nel sostegno alle istituzioni e alla governance (settori nei quali l’UE gode di un vantaggio comparato).


 

L’economia afghana

Negli anni dal 2004 al 2008 l’Afghanistan ha registrato una crescita del PIL reale apparentemente molto elevata, mai inferiore all'8% e con picchi del 16,1% nel 2005 e del 12,1% nel 2007. Tuttavia questi dati – che peraltro hanno visto dal 2006 una parallela crescita esponenziale del tasso di inflazione, che ha toccato il 30% nel 2008 – rischiano di ingannare notevolmente, in quanto relativi a un paese che proviene da una serie di guerre ripetute, e che è tuttora interessato da durissimi conflitt interni - tali da creare notevoli difficoltà alla coalizione internazionale.

Un altro tratto non tranquillizzante dell'economia afghana è quello della crescita del disavanzo nelle partite correnti, che nel 2008 è salito a 7 miliardi di dollari.

Per quanto concerne il ruolo delle autorità di governo dell'economia afghana, non sembra aumentare la loro capacità di elevare le entrate fiscali, che mostrano al contrario un trend in leggera discesa come percentuale sul PIL. Accanto a queste insufficienze, il paese lamenta anche una ridotta capacità di spesa, principalmente a causa di una bassa capacità di programmazione e attuazione dei programmi di sviluppo pur generosamente finanziati dai donatori internazionali.

Il rallentamento dell'inflazione stimato a partire dal 2009 è perciò in gran parte il prodotto non delle politiche pubbliche, ma della crisi economica internazionale, e segnatamente della stasi o del calo nei prezzi internazionali dei prodotti alimentari e del petrolio. Tale quadro complessivo fa agevolmente comprendere come l'Afghanistan continuerà per i prossimi anni a dipendere essenzialmente dagli aiuti internazionali, mentre si sposta sempre più in avanti l'obiettivo di una totale copertura del bilancio pubblico mediante le entrate fiscali nazionali, ormai fissato all’anno 2016.

Nella struttura economica dell'Afghanistan, accanto alla scarsità del livello di risparmio, spicca il grande peso dell'agricoltura, che assorbe circa un terzo del PIL, mentre l'industria contribuisce per il 28% e i servizi all’incirca per il 40%. Il fatto che dall’agricoltura dipendano i redditi di due terzi della popolazione afghana fa comprendere la scarsa produttività agricola del paese. Per definizione, poi, queste statistiche non possono includere il grande settore informale delle attività economiche afghane, la cui presenza è di per sé un altro segno delle difficoltà nello sviluppo del paese.

Va infatti ricordato che l'Afghanistan si trova in un contesto geografico e ambientale particolarmente sfavorevole, con un territorio privo di sbocco al mare, dominato per metà da montagne che superano i duemila metri di altezza, per di più con un grave degrado dei suoli, sia per l'eccessivo impatto del bestiame sia per la grande deforestazione, per non parlare dei fenomeni di desertificazione che hanno raggiunto anche l'Afghanistan.

La povertà che affligge gli afghani è però in parte diversa da quella constatabile in altri paesi del Terzo mondo, poiché in Afghanistan appare minore il fenomeno dell’urbanizzazione di massa, presente solo a Kabul. Si tratta quindi di una povertà essenzialmente rurale, la cui risultante è un’estrema fragilità delle condizioni di esistenza, con un’aspettativa di vita estremamente bassa, pari a 44 anni, nonché un reddito pro-capite di 370 dollari - non a caso l'Afghanistan si trova anche agli ultimi posti nella classifica degli indici di sviluppo umano dell’UNDP (Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo).

Nonostante questo quadro sfavorevole, un'annata agricola positiva per l'agricoltura e la crescita dei progetti nel settore delle costruzioni – in dipendenza degli aiuti dei donatori internazionali – lasciano prevedere per il 2010 una forte impennata del PIL (che dovrebbe crescere del 15% circa).

Dal punto di vista dell’equilibrio dei conti con l’estero l’Afghanistan si presenta tuttora fortemente deficitario, con un saldo negativo che ha sfiorato nel 2008, come già ricordato, i 7 miliardi di dollari. Tale situazione riflette impietosamente la debolezza strutturale dell’economia nazionale, che dipende dall’estero tanto per i macchinari e i materiali da costruzione, quanto per più semplici articoli alimentari e generi personali.

E’ recentissima la notizia, pubblicata il 14 giugno sul New York Times, della scoperta - ormai decisamente consolidata - di grandi ricchezze minerarie in Afghanistan: si tratterebbe di grandi giacimenti di ferro, rame, cobalto, oro e litio, grazie ai quali il paese potrebbe divenire in un lasso di tempo non troppo lungo uno dei maggiori produttori mondiali di materie prime essenziali, attirando naturalmente enormi investimenti dalle compagnie internazionali del settore. va però sottolineato come molti di questi grandi giacimenti siano ubicati proprio nelle zone dell'Afghanistan più contese, dove la presenza talebana è assai forte, in particolare nella regione di confine con il Pakistan.

Bisogna poi ricordare come la Cina abbia giocato d’anticipo, avviando un piano di grandiosi investimenti nel settore del rame, in cui una compagnia cinese ha ottenuto per trent'anni la concessione per le prospezioni e lo sfruttamento delle miniere di Aynak, considerate il secondo giacimento del mondo. L'investimento cinese, per un totale di 6 miliardi di dollari - il maggiore mai effettuato in Afghanistan - dovrebbe comprendere la costruzione di una grande centrale elettrica, nonché di ospedali, scuole, moschee, strade e di una ferrovia.

Per quanto concerne i principali partner commerciali dell’Afghanistan, la parte preponderante come paese fornitore dell’Afghanistan spetta al Pakistan, mentre nelle esportazioni i mercati destinatari sono, in maniera quasi equivalente, l’India, il Pakistan e gli Stati Uniti.

Tuttavia non si può parlare in termini realistici dell'economia afghana se si prescinde dal ruolo fondamentale che in essa gioca l'economia illegale legata alla coltivazione del papavero e alla produzione di oppiacei, attività che non risulta assolutamente semplice anche solo iniziare con sistematicità a sradicare.

Se infatti sembra essesi verificato, dopo il boom del 2007, un calo di circa il 10% della produzione di oppio, questo è da attribuirsi a fattori del mercato mondiale, nel quale si registra un eccesso di offerta, assai più che all'azione di contrasto delle varie autorità nazionali e internazionali a ciò deputate. Il paese rimane dunque il primo produttore mondiale di oppio, dal quale deriva più del 90% dell’eroina mondiale. Non va inoltre dimenticato l’incremento della produzione di marijuana e hashish, che in alcune regioni prendono il posto delle colture di oppio, più remunerative ma oggetto di contrasto legale, e che assorbono inoltre più manodopera.

L’Ufficio delle Nazioni Unite contro la droga e la criminalità (UNODC), diretto dall’italiano Antonio Maria Costa, produce un costante monitoraggio della situazione afghana, stimando che nel 2007 circa il 14% degli afghani (pari a 3,3 milioni di persone) sia stato coinvolto più o meno direttamente nei circuiti illegali. Ciò si spiega se si tiene presente che il raccolto di papavero aveva reso in quell’anno circa un miliardo di dollari, e tale valore si era quadruplicato nel corso dei processi di lavorazione e smistamento che sfociano nella preparazione dell’oppio, venendo a costituire circa il 40% del PIL nazionale.

La difficoltà nel contrasto all’economia dell’oppio, oltre che dalla difficoltà di proporre ai coltivatori alternative di pari redditività – i trafficanti pagano oltretutto in anticipo, azzerando i rischi tipici di un’agricoltura fragile e tradizionale come quella afghana - è accresciuta dal ruolo che in essa rivestono i talebani ed i gruppi dell’insorgenza, che, accanto a non meno agguerriti criminali, ne fanno una fonte primaria di finanziamento. Non a caso le regioni di maggiore concentrazione della produzione di oppio sono anche quelle più instabili del sud-ovest del paese.

Per quanto concerne le possibili alternative alla coltivazione del papavero, la situazione corrente vede alcuni contadini privilegiare colture legali, come il grano, il riso o il mais, in ragione degli elevati prezzi di queste derrate, che ne abbassano l’inevitabile gap nei confronti dell’oppio, rendendole più appetibili anche per il loro carattere legale. Non appena, tuttavia, il mercato mondiale registrasse un decremento dei prezzi agricoli, l’oppio - che nel peggiore degli anni, il 2009, ha comunque remunerato i propri coltivatori tre volte più del grano - tornerebbe prevedibilmente ad allargare la propria diffusione.

Un nuovo fenomeno è il consumo di droga in Afghanistan: la droga a basso costo ha infatti invaso il mercato locale, con la conseguente esplosione del problema della tossicodipendenza. La tossicodipendenza in Afghanistan, secondo le ultime stime dell’UNODC, riguarderebbe circa due milioni di afgani, un decimo della popolazione adulta del Paese.

È quasi superfluo notare come l'economia illegale dell'oppio metta in moto traffici altrettanti legali nell'intera regione centro-asiatica, condizionando anche le strutture statuali nei vari paesi, grazie alle grandi possibilità corruttive che gli enormi profitti del commercio della droga portano con sé. Negli ultimi anni, in particolare, la concentrazione delle coltivazioni di papavero nella parte meridionale dell'Afghanistan ha rafforzato i circuiti criminali legati all’Iran e al Pakistan, mentre ha indebolito quelli collegati all'ex Repubbliche sovietiche dell’Uzbekistan, del Turkmenistan e del Tagikistan.

 

 


 

Rapporti tra l’Unione europea e l’Afghanistan
(a cura dell’Ufficio Rapporti con l’Unione europea)

 

Come indicato nella relazione annuale dell'Alto Rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza al Parlamento europeo sugli aspetti principali e le scelte di base della PESC, presentata l’8 giugno 2010, in Afghanistan l'UE persegue un approccio globale, utilizzando una combinazione di strumenti politici, civili, militari e di sviluppo: in particolare, l'UE concentrerà il suo impegno sul rafforzamento dello stato di diritto, soprattutto tramite la missione EUPOL Afghanistan (vedi infra), della capacità statale e delle istituzioni per promuovere il buon governo, i diritti umani e una pubblica amministrazione efficiente; essa sosterrà inoltre la crescita economica, soprattutto tramite lo sviluppo rurale e il progresso sociale. Le azioni dell'UE offriranno sostegno alla strategia di transizione concordata in occasione della conferenza internazionale sull'Afghanistan, svoltasi a Londra il 28 gennaio 2010.

Le basi della cooperazione tra UE e Afghanistan sono state fissate il 16 novembre 2005 con la firma di una dichiarazione congiunta sul partenariato euro-afgano. La dichiarazione traccia le linee di una cooperazione rafforzata in molte aree, tra le quali:

-  governance politica ed economica;

-  riforma del sistema giudiziario e di sicurezza;

-  lotta alle droghe;

-  sviluppo; diritti umani;

-  società civile e ritorno dei rifugiati;

-  istruzione e cultura.

Viene anche formalizzato un dialogo politico regolare, con incontri annuali a livello ministeriale per discutere i temi di interesse comune. La firma della dichiarazione congiunta rappresenta un’ulteriore conferma del forte impegno dell’UE a sostegno del processo di stabilizzazione in corso nel paese.

In particolare per quanto riguarda la lotta alla droga, si ricorda che nel contesto della Strategia per la dimensione esterna dello spazio di sicurezza, libertà e giustizia, inaugurata dall’UE nel dicembre 2005, è prevista tra le altre un’azione orientata rivolta a combattere la produzione e il traffico di droga in Afghanistan.

Piano d’azione per Afghanistan e Pakistan

Nella delicata situazione venutasi a determinare dopo le elezioni presidenziali di agosto 2009, l’UE ha deciso di rafforzare il proprio impegno verso il paese e verso la regione,adottando il 27 ottobre 2009, nel corso della riunione del Consiglio affari esteri, un piano d’azione per l’Afghanistan e il Pakistan che, sulla base di una revisione delle esigenze, è inteso a razionalizzare l’approccio europeo e a identificare le politiche prioritarie, d’intesa con i governi locali.

In particolare, per quanto riguarda l’Afghanistan l'UE si prefigge di:

-        rafforzare le istituzioni afgane. L’UE metterà a disposizione la sua esperienza per rafforzare le deboli strutture di governo locale e le capacità della pubblica amministrazione e per consolidare il quadro elettorale e le istituzioni democratiche;

-        rafforzare lo stato di diritto, aiutando il governo afgano a migliorare i quadri giuridico ed istituzionale e sostenendo le iniziative di sensibilizzazione promosse dalla società civile e dai media in materia di lotta alla corruzione. L’UE appoggerà gli sforzi spiegati dall’Afghanistan per ridurre la coltivazione e produzione illegali di sostanze stupefacenti, attraverso programmi in materia di applicazione della legge, sanità pubblica e sviluppo rurale. La priorità accordata dalla missione EUPOL (vedi infra) alle attività di polizia civile è ritenuta di estrema importanza nel contesto afghano; la costituzione di una forza di polizia civile è infatti parte integrante dello sviluppo e del funzionamento di uno stato di diritto. L’UE intende inoltre svolgere un ruolo chiave nella riforma del settore della giustizia, appoggiando anche l'attuazione del programma nazionale per la giustizia. L’UE e gli Stati membri accorderanno inoltre un sostegno vigoroso allo sviluppo delle capacità della società civile afgana affinché essa possa avere un approccio più strategico e coordinato, incentrato sull'interazione con il Parlamento, ed essere maggiormente in grado di fare pressione sul governo afgano in materia di democrazia e diritti umani;

-        promuovere la crescita mediante lo sviluppo agricolo e rurale. Secondo l’UE lo sviluppo agricolo e rurale resta uno degli strumenti principali per migliorare le condizioni di vita, eradicare la povertà e stimolare la ripresa economica, come pure per creare una governance a livello locale. Per approfondire ulteriormente il proprio impegno, l'UE fornirà assistenza al governo afghano in vista dell'elaborazione di politiche e programmi globali per questo settore, finalizzati, tra l'altro, allo sviluppo di mezzi di sostentamento alternativi. I regimi di microcredito destinati a fare del settore privato afgano il motore della crescita e della creazione di posti di lavoro nel settore agricolo dovranno essere sostenuti. Secondo l’UE la promozione degli scambi commerciali rappresenta un aspetto importante dello sviluppo agricolo;

-        rafforzare l'efficacia della presenza e delle attività dell'UE in Afghanistan. Per allineare e coordinare maggiormente gli sforzi della Comunità e degli Stati membri, l'UE intende adoperarsi per avere un'unica rappresentanza a Kabul, che riunisca i ruoli del Rappresentante speciale dell’UE e del capo della delegazione della Commissione europea (vedi infra). Adotterà inoltre iniziative per migliorare il suo allineamento e coordinamento interno e la sua capacità di "parlare con un'unica voce" nell'ambito dei meccanismi di coordinamento dei donatori. Laddove appropriato e fattibile, l'UE dovrebbe sforzarsi di far giungere la sua assistenza quanto più possibile attraverso i canali del governo afgano, accrescendone la capacità di gestire il sostegno diretto dei donatori al bilancio statale;

-        proseguire l’assistenza umanitaria. L'UE continuerà a fornire assistenza umanitaria ai rimpatriati, agli sfollati interni, alle comunità che vivono in condizioni di insicurezza e agli altri gruppi vulnerabili, compresi quelli colpiti da calamità naturali. L'UE sottolinea la necessità di garantire il pieno rispetto del diritto internazionale umanitario in una situazione in cui lo spazio umanitario si sta sempre più restringendo.

L’impegno dell’UE nei confronti del paese è stato rinnovato anche dal Consiglio europeo del dicembre 2009, che nelle sue conclusioni, sottolinea la disponibilità dell'UE ad appoggiare l’amministrazione afgana nell'attuazione dei suoi impegni, enumerati nei cinque settori chiave del suo discorso inaugurale: sicurezza, governance e lotta alla corruzione, sviluppo economico, compresa l'agricoltura, pace e riconciliazione, cooperazione regionale. Ciò richiede, secondo il Consiglio europeo, il coordinamento stretto e strategico degli sforzi internazionali, sotto la guida dell'UNAMA (la missione dell’ONU di assistenza all’Afghanistan). L'Unione europea è dunque pronta a cooperare da vicino con l'Afghanistan, gli Stati Uniti, i partner regionali e altri nella comunità internazionale per raccogliere le sfide che si pongono in Afghanistan.

Il Consiglio del 22 marzo 2010

Il 22 marzo 2010 il Consiglio ha discusso sugli sviluppi della situazione in Afghanistan e gli sforzi profusi dall'Unione europea sul terreno in base al piano d'azione per un maggiore impegno dell'UE in Afghanistan e Pakistan.

Il Consiglio ha ribadito che la situazione della sicurezza interna continua ad essere una sfida diretta alla stabilità dell'Afghanistan. Ha rilevato il proprio costante sostegno agli sforzi internazionali nel settore civile in Afghanistan, sottolineando il ruolo centrale di coordinamento svolto dall'UNAMA e ribadendo il proprio appoggio al mandato dell'ONU e agli obiettivi dell'ISAF. Il Consiglio ha rilevato l'importanza della titolarità e leadership afgane.

Il Consiglio ha sottolineato il proprio sostegno ai risultati della conferenza di Londra del 28 gennaio 2010 e ribadito che tutti gli sforzi devono ora concentrarsi sull'attuazione degli impegni in essa assunti, anche per quanto riguarda l'annunciata istituzione del fondo fiduciario per la pace e il reinserimento per finanziare il programma di pace e reinserimento a guida afgana. Il Consiglio ha rilevato l'importanza di equilibrati processi di riconciliazione e reinserimento a guida afgana quali elementi chiave di una soluzione politica duratura in Afghanistan.

L'UE si aspetta che il governo afgano agisca con rapidità e fermezza per tener fede alle promesse fatte al suo popolo. Attraverso il proprio piano d'azione l'Unione europea, in cooperazione con l'UNAMA e altri partner internazionali, continua a fornire assistenza a lungo termine all'Afghanistan nel quadro dei programmi relativi alla costruzione istituzionale e alle capacità civili, anche a livello subnazionale.

Il Consiglio ha esortato il governo dell'Afghanistan a portare avanti senza indugi le riforme del processo elettorale per salvaguardare l'imparzialità, l'indipendenza e l'integrità delle istituzioni elettorali, segnatamente la Commissione elettorale indipendente e la Commissione elettorale per i reclami, in stretta cooperazione con il rappresentante speciale del Segretario generale dell'ONU. Il Consiglio ha sottolineato che solo le riforme strutturali renderanno pienamente efficace l'eventuale sostegno esteso al processo elettorale dalla comunità internazionale. Il Consiglio continuerà a seguire da vicino i preparativi per le prossime elezioni parlamentari.

Presenza dell’UE in Afghanistan

Si segnala inoltre che a partire dal dicembre 2001, ha operato nel paese il Rappresentante speciale dell’UE per l’Afghanistan, trasformato per un breve periodo - dal giugno 2009 al 31 marzo 2010 - in Rappresentante speciale dell’Unione europea per l’Afghanistan e il Pakistan.

A partire dal 1° aprile 2010, al fine di facilitare il coordinamento civile dell’azione dell’UE e per effetto del trattato di Lisbona, l'UE dispone di un'unica rappresentanza in Afghanistan, a seguito dell'integrazione della delegazione della Commissione europea a Kabul nell'ufficio del Rappresentante speciale dell’UE per l'Afghanistan. L’incarico è ricoperto dall'ex ministro lituano degli affari esteri, Vygaudas Usackas[25]. Il Rappresentante speciale ha il mandato di: promuovere la posizione dell'Unione sul processo politico e sugli sviluppi in Afghanistan; mantenere uno stretto contatto con le istituzioni afghane pertinenti, in particolare il governo e il parlamento, sostenendone lo sviluppo, nonché con i soggetti interessati a livello regionale e internazionale; informare in merito ai progressi compiuti nell’attuazione della dichiarazione congiunta UE-Afghanistan e del piano d’azione dell’UE per l’Afghanistan e il Pakistan; partecipare attivamente ai consessi locali di coordinamento.

L’Unione europea è inoltre presente nel paese a partire dal giugno 2007 con la missione civile PESD EUPOL istituita con l’azione comune 2007/369/PESC per la durata di tre anni. Il 18 maggio 2010, in vista della scadenza, la missione è stata prorogata di ulteriori tre anni, fino al 31 maggio 2013. La missione intende contribuire alla formazione, in Afghanistan, di un servizio di polizia efficiente, che operi nel rispetto del diritto e in accordo con gli standard internazionali e che sia in grado di rispondere al bisogno di sicurezza dei cittadini. A tal fine essa coinvolge oltre 400 persone, per la maggior parte esperti nei settori del diritto, dell’attività di polizia e della giustizia, con compiti di formazione e consulenza, dislocati a livello centrale, regionale e provinciale. La missione attualmente impiega 16 unità italiane (di cui 12 provenienti dall’Arma dei carabinieri e 4 dalla Guardia di finanza).

Nelle sue conclusioni del 17 novembre 2009, il Consiglio ha ribadito la determinazione a contribuire in modo significativo alla riforma della polizia afgana: il rafforzamento della polizia afgana e dello stato di diritto ha infatti un'importanza cruciale per la promozione della stabilità e della sicurezza nel paese. Il Consiglio ha sottolineato che il ruolo distintivo della missione EUPOL nell'offrire competenze in materia di polizia civile è fondamentale per garantire la sostenibilità delle riforme nel settore della polizia in Afghanistan e ha riconosciuto l'importanza di una stretta collaborazione tra gli attori sul terreno. Il Consiglio ha inoltre espresso soddisfazione per il consolidamento delle priorità strategiche di EUPOL attorno a sei obiettivi, ossia: attività di polizia fondate sull'intelligence, catena di comando, controllo e comunicazione nel settore della polizia, indagini penali, lotta alla corruzione, collegamenti tra polizia e procuratori e diritti umani e integrazione di genere all'interno della polizia afghana. Il Consiglio ha inoltre preso atto con soddisfazione dei costanti progressi compiuti dalla missione sul piano strategico, operativo e tattico.

Assistenza finanziaria

L’Unione europea è infine uno dei principali donatori del paese. Tra il 2002 e il 2006 ha messo a disposizione dell’Afghanistan 1,4 miliardi di euro, raggiungendo un importo superiore rispetto agli impegni assunti in occasione della Conferenza internazionale per l’assistenza alla ricostruzione dell’Afghanistan tenutasi a Tokio nel gennaio 2002. Tali risorse sono state destinate - oltre che agli aiuti umanitari – al sostegno alla riforma della pubblica amministrazione e allo sviluppo rurale.

Per quanto riguarda il periodo 2007-2013, allo scopo di massimizzare i benefici dell’assistenza fornita dall’UE, il documento strategico predisposto dalla Commissione in accordo con il governo afgano stabilisce di concentrare le risorse (1.050 milioni di euro per l’intero periodo) in sei aree, di cui tre prioritarie, cui va quasi il 90 per cento delle risorse (sviluppo rurale, salute e governance) e tre non prioritarie (protezione sociale, sminamento e cooperazione regionale). In vista del rafforzamento dell’impegno dell’UE verso il paese, il 5 ottobre scorso la Commissione ha pubblicato il libro blu L’UE e l’Afghanistan in cui dà conto dei contributi forniti dalla Commissione e dagli Stati membri nell’assistenza allo sviluppo del paese. L’obiettivo finale è quello di migliorare l’efficacia degli aiuti e il coordinamento fra i donatori.

Secondo il libro blu della Commissione, l’Italia è fra i dieci maggiori donatori dell’Afghanistan, con un contributo di 430 milioni di euro fra il 2001 e il 2008, destinati in particolar modo al settore della giustizia.

Missione di osservazione elettorale

L’Unione europea ha inoltre assistito il paese nel corso del processo elettorale del 2009 attraverso un contributo di 35 milioni di euro al Fondo di sostegno elettorale ONU (ELECT) e una missione di osservazione elettorale, con il compito di condurre una valutazione complessiva del processo elettorale e di valutarne la compatibilità con gli standard internazionali e la normativa locale.

In una dichiarazione rilasciata l’8 settembre 2009, la missione dell’UE esprime la propria preoccupazione per l’ampio numero di irregolarità notificate dalla Commissione per i reclami elettorali (ECC), relative alle elezioni presidenziali del 20 agosto. Come riportato nella dichiarazione, i risultati delle osservazioni della missione UE confermano la diffusione su larga scala della pratica del ballot stuffing (più schede nelle urne rispetto ai votanti effettivi); inoltre, nonostante le previsioni normative per il rilevamento delle frodi e le procedure approvate dalla Commissione elettorale indipendente (IEC), centinaia di migliaia di voti fraudolenti sarebbero stati accettati dal centro di conteggio e inclusi tra i risultati ufficiali preliminari pubblicati sul sito dell’IEC.

Analizzando tali risultati parziali, la missione dell’UE ha rilevato, in particolare, che su un totale di 18.877 seggi scrutinati al 6 settembre, in ben 2.451 oltre il 90% dei voti (pari a 566.076) sono stati espressi nei confronti di un singolo candidato, mentre in 214 seggi il numero dei voti espressi eccede quello dei votanti assegnati al seggio.

Il 16 dicembre 2009, in occasione della presentazione del rapporto finale della missione di osservazione elettorale, la Presidenza ha rilasciato una dichiarazione a nome dell'Unione europea in cui sollecita un processo di valutazione sotto la guida degli afgani, basato sulle esperienze tratte da queste e da precedenti elezioni, con l'obiettivo specifico di apportare i necessari miglioramenti al sistema elettorale prima dello svolgimento delle elezioni politiche e dei consigli distrettuali. Secondo l’UE questi sforzi dovrebbero essere avviati senza indugio, avere ampia portata ed essere trasparenti, e coinvolgere rappresentanti del Parlamento e della società civile ed altri attori politici. L'Unione europea condivide le principali conclusioni della missione di osservazione elettorale, tra cui la necessità di salvaguardare l'indipendenza della commissione elettorale indipendente (IEC), l'efficienza della commissione elettorale per i reclami (ECC) e un quadro per l'individuazione e la limitazione delle frodi, l'attuazione della legge sui media, l'accuratezza dei registri elettorali e un sistema affidabile di controllo delle candidature.

Diritti umani

Della situazione dei diritti umani in Afghanistan si è occupata la relazione sull’azione dell’UE in materia di democrazia e diritti umani nel mondo, presentata Alto Rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza l’11 maggio 2010. Secondo la relazione, malgrado alcuni progressi significativi dalla caduta dei Talebani in poi, l'Afghanistan continua a soffrire di alcuni problemi: il processo di giustizia transizionale per le violazioni dei diritti umani commesse prima della caduta dei Talebani, i diritti delle donne e dei bambini, un sistema giudiziario inaffidabile, la pena di morte, le detenzioni arbitrarie, la libertà di espressione, i difensori dei diritti umani, l'impunità e le vittime civili del conflitto.

Nel 2009 l'UE ha espresso esplicite preoccupazioni per l'incongruenza del nuovo disegno di legge sullo status personale sciita rispetto agli obblighi costituzionali e internazionali dell'Afghanistan. L'UE riconosce la sovranità del processo legislativo della Repubblica Islamica di Afghanistan nonché la possibilità, sancita dall'articolo 131 della costituzione afgana, di istituire una legge specifica per la comunità sciita in materia di vita privata. L'UE ha accolto con favore le modifiche apportate alle disposizioni nell'ambito della legge sulla famiglia basata sulla giurisprudenza sciita tradizionale, ma resta preoccupata riguardo a taluni articoli della legge che sono in contraddizione con gli obblighi giuridici internazionali della Repubblica Islamica di Afghanistan ai sensi del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, la convenzione sull'eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti della donna e la convenzione sui diritti del fanciullo. L'UE ha tuttavia preso atto con soddisfazione dell'adozione della legge sull'eliminazione della violenza contro le donne il 7 ottobre 2009. Ciò ha costituito un positivo passo avanti nella promozione dei diritti delle donne in Afghanistan. Conformemente agli orientamenti dell'UE sulle violenze contro le donne e la lotta contro tutte le forme di discriminazione nei loro confronti, l'UE ha continuato ad incoraggiare il governo afgano a rispettare i suoi impegni internazionali in materia di diritti umani. Lo scopo era garantire il rispetto dei diritti umani di tutti i cittadini afghani, donne e bambini compresi. L'UE ha inoltre incoraggiato la definizione di un piano d'azione per l'attuazione delle raccomandazioni contenute nelle risoluzioni 1325 e 1820 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite sulle donne, la sicurezza e la pace. Erano questi i messaggi principali di una serie di iniziative presso il governo afgano.

L'UE è rimasta uno dei principali donatori per quanto riguarda i diritti umani in Afghanistan. Il programma di ricostruzione gestito dalla Commissione europea ha rispettato le modalità previste per mantenere l'impegno di contribuire al finanziamento della ricostruzione con 700 milioni di euro nel periodo 2007-2010. Il programma prevede una componente importante "diritti umani/società civile", che prevede il sostegno della protezione sociale per i più vulnerabili (21 milioni di EUR). Inoltre, l'UE sostiene il rispetto dei diritti umani mediante lo strumento europeo per la democrazia e i diritti umani (EIDHR). I progetti finanziati dal 2007 a titolo del programma di sostegno con sede nel paese relativo all'Afghanistan vanno dalla promozione della trasparenza e responsabilizzazione del governo alla formazione in diritti umani attraverso la relativa sensibilizzazione.

Si promuove il sostegno alle organizzazioni della società civile e ONG afghane anche attraverso il programma tematico "Attori non statali dello sviluppo". Nel febbraio 2009 è stato lanciato un invito a presentare proposte. Si tratta di un programma "orientato all'attore" che si prefigge di rafforzare la capacità delle organizzazioni della società civile, come prerequisito di una società più giusta, aperta e democratica, attraverso il sostegno alle loro "proprie iniziative". Uno degli obiettivi specifici del suddetto invito era di contribuire agli sforzi per la pace e la riconciliazione con la mediazione,  l'assunzione di responsabilità e la promozione dei diritti umani, pur riconoscendo l'importanza del dialogo a livello di comunità.

 

 


Rapporti parlamentari Italia-Afghanistan
(a cura del Servizio Rapporti internazionali)

 

Presidente della Wolesi Jirga (Assemblea Nazionale /Camera del Popolo)

MOHAMMAD YUNOS QANUNI 

 

Presidente della Meshrano Jirga (Assemblea Nazionale / Camera degli Anziani)

SEBGHATOLLAH MOJADDEDI 

 

Ambasciatore d’Italia a Kabul

 

Claudio GLAENTZER

 

Ambasciatore afghano in Italia

 

Musa M. MAROOFI

 

Si ricorda che l’on. Margherita Boniver (PDL), Presidente del Comitato Parlamentare di controllo sull’attuazione dell’Accordo di Shengen, di vigilanza sull’attività dell’Europol, di controllo e vigilanza in materia di immigrazione, è incaricata di coordinare i rapporti parlamentari con l’Afghanistan ed il Pakistan[26].

 

 

INCONTRI del presidente

 

       Una delegazione di parlamentari italiani, guidata dal Vice Presidente, on. Maurizio Lupi, e composta da otto deputati, Aldo Di Biagio (PDL), Gregorio Fontana (PDL), Gianfranco Paglia (PDL), Luciana Pedoto (PD), Caterina Pes (PD), Manuela Repetti (PDL), Ettore Rosato (PD), Francesco Tempestini (PD) si è recata in visita in Afghanistan dal 2 al 5 maggio 2009. La delegazione ha visitato le province di Herat e Farah. In particolare, la delegazione ha visitato l’Ospedale pediatrico di Herat e la sede del Regional Command – West, accolta dai gen. Castellano e Bartolini. La delegazione ha partecipato anche alla cerimonia di posa della prima pietra della “guest house” che verrà costruita a beneficio dei genitori dei bambini in cura presso l’ospedale. Nel corso della visita, Lupi e gli altri deputati sono stati informati dell’incidente che ha causato la morte accidentale di una bambina afghana nei pressi di Camp Arena[27]. L’on. Lupi ha espresso alle autorità afghane presenti il profondo cordoglio della delegazione. Successivamente la delegazione si è recata a Farah, nell’ovest dell’Afghanistan, per visitare  una base militare che ospita attualmente 150 paracadutisti.

 

       Il 22 dicembre 2008, il Presidente della Camera, on. Gianfranco Fini, si è recato ad Herat, in Afghanistan, per rendere visita al contingente militare italiano. Il Presidente della Camera è stato accompagnato dall’on. Gianfranco Paglia (PdL) e dall’on. Rosa Maria Villecco Calipari (PD).

 

 

INCONTRI DELLE COMMISSIONI

 

       Una nutrita delegazione di giornalisti afghani, rappresentativi delle principali testate operanti nel Paese, si è recata in visita in Italia dal 14 al 20 marzo 2010 per partecipare ad un Forum organizzato dal Ministero degli Affari Esteri. Obiettivo del Forum dedicato ai giornalisti afghani è stato di far conoscere loro in modo più approfondito la presenza dell’Italia in Afghanistan soprattutto sul versante della ricostruzione civile. Nel corso della visita in Italia, la delegazione ha incontrato il 16 marzo alla Camera il Presidente della Commissione Affari Esteri, on. Stefano Stefani, e successivamente il Presidente del Comitato parlamentare di controllo sull’attuazione dell’accordo di Shengen, on. Margherita Boniver, incaricata di coordinare i rapporti parlamentari con l’Afghanistan. Il 17 marzo la delegazione ha incontrato gli Uffici di Presidenza, integrati dai rappresentanti dei gruppi, delle Commissioni Esteri e Difesa. I colloqui sono stati incentrati sull’impegno italiano per la ricostruzione del Paese, sull’inscindibile rapporto tra democrazia e sicurezza, sul contributo di media liberi per la crescita della società. La delegazione, oltre agli incontri presso il Ministero degli Esteri, ha anche potuto visitare alcune delle testate giornalistiche operanti nel nostro Paese.

 

 

 

Il Presidente della Commissione Esteri, on. Stefano Stefani, ha incontrato il 26 gennaio 2010 l’Ambasciatore dell’Afghanistan, Musa Maroofi.

 

Al centro del colloquio la situazione nel Paese alla vigilia della Conferenza di Londra (28 gennaio). L’Ambasciatore ha chiesto il sostegno dell’Italia soprattutto nel settore economico e della sicurezza. Il Presidente Stefani ha auspicato una visita di parlamentari italiani in Afghanistan e Pakistan.

 

       La Presidente del Comitato Schengen, nonché Responsabile dei rapporti parlamentari con l’Afghanistan e il Pakistan, on. Margherita Boniver, ha incontrato il 14 luglio 2009 l’Ambasciatore dell’Afghanistan, Musa Maroofi.

 

     Il 25 maggio 2009, l’on. Margherita Boniver (PDL), Presidente del Comitato Parlamentare di controllo sull’attuazione dell’Accordo di Shengen, di vigilanza sull’attività dell’Europol, di controllo e vigilanza in materia di immigrazione, nonché incaricata di coordinare i rapporti parlamentari con l’Afghanistan, ha ricevuto la visita del Governatore della provincia afghana di Herat, Yusuf Nouristani. Nouristani è stato ascoltato anche dalle Commissioni riunite Esteri e Difesa della Camera riunite il 27 maggio 2009.

 

La visita in Italia del Governatore, accompagnato da esponenti della società civile ed imprenditori, ha avuto come scopo quello di presentare la situazione economica della provincia di Herat al fine di sollecitare investimenti italiani che possano contribuire al consolidamento economico dell’area. Fra i settori in cui è stata chiesta la cooperazione, si segnalano la lavorazione del marmo, lo sviluppo della coltivazione dell’olivo.

      

       Il 22 aprile 2009il Ministro della difesa, onorevole Ignazio La Russa, ha reso comunicazioni, sulla situazione militare in Afghanistan, con particolare riferimento al contingente italiano, davanti alle Commissioni Difesa riunite di Camera e Senato (vedi allegato).

Sono intervenuti il deputato Edmondo CIRIELLI, presidente della IV Commissione della Camera dei deputati, il senatore Gianpiero Carlo CANTONI, presidente della 4a Commissione del Senato della Repubblica, il deputato Rosa Maria VILLECCO CALIPARI (PD), il senatore Luigi RAMPONI (PdL), il deputato Augusto DI STANISLAO (IdV), i senatori Giovanni TORRI (LNP) e Roberta PINOTTI (PD), i deputati Salvatore CICU (PdL) e Federica MOGHERINI REBESANI (PD), i senatori Gian Piero SCANU (PD) e Mauro DEL VECCHIO (PD) e il deputato Ettore ROSATO (PD).

 

       Dal 19 al 21  aprile 2009 si è avuta la visita a Roma di una delegazione di Governatori afgani, composta da Habiba Sarabi, Governatore del Bamiyan, e da Rohul Amin, Governatore del Farah (il nuovo Governatore della Provincia di Khost, Hamidullah Qalandarzai, che avrebbe dovuto far parte della delegazione, non ha potuto  partecipare all’incontro). Il 20 aprile la delegazione è stata ricevuta dall’on. Margherita Boniver (PDL), Presidente del Comitato Parlamentare di controllo sull’attuazione dell’Accordo di Shengen, di vigilanza sull’attività dell’Europol, di controllo e vigilanza in materia di immigrazione, nonché incaricato di coordinare i rapporti parlamentari con l’Afghanistan, e dal sen. Mauro Del Vecchio (PD). Il 21 aprile 2009 la delegazione è stata ricevuta dalle Commissioni riunite Esteri e Difesa della Camera.

 

Nel corso della visita, sono stati trattati i temi della sicurezza e della ricostruzione del Paese. In particolare è stato evidenziato il ruolo dell’Italia, che è stato uno dei primi Paesi occidentali a riaprire la propria ambasciata e sta svolgendo un lavoro proficuo nel campo della sicurezza e  della formazione delle istituzioni giudiziarie. Da entrambe le parti è stata evidenziata la necessità di non abbassare la guardia nei confronti dei produttori e dei trafficanti di oppio, anche in considerazione dei vantaggi che traggono i talebani dal commercio di stupefacenti. Dal punto di vista della sicurezza, è stato trattato in particolare l’suo degli elicotteri nella lotta al terrorismo e l’eventualità di un potenziamento dell’impegno militare italiano nell’Afghanistan, sollecitato, insieme ad un maggiore impegno finanziario, dai Governatori afghani. I due Governatori si sono inoltre dimostrati favorevoli nei confronti del tentativo promosso dal Presidente Karzai di avviare un dialogo con le frange moderate dei talebani, purché questi accettino la Costituzione in vigore nel Paese. La delegazione ha accolto con favore la decisione del Governo italiano di inviare rinforzi per garantire il corretto svolgimento delle elezioni presidenziali previste per il 20 agosto 2009. ed ha infine ricordato come la popolazione afghana non ami i talebani e sia portata a schierarsi con loro solo in mancanza di alternative. Per scongiurare quindi tale eventualità, è necessario che la comunità internazionale continui nel suo sforzo di ricostruzione del Paese, nella consapevolezza che gli afghani non possono farcela da soli. 

 

 

       Si è tenuta, il 22 gennaio 2009, presso la Commissione Affari Esteri, l’audizione informale del Rappresentante Civile della Nato in Afghanistan, Ambasciatore Ferdinando Gentilini.

 

       Il Presidente del Comitato parlamentare di controllo sull'attuazione dell'Accordo di Schengen, On. Margherita Boniver, ha incontrato il 24 novembre 2008 la Responsabile del programma dei diritti delle donne per Action Aid in Afghanistan, sig.ra Nasima Rahmani.

 

Nel corso dell’incontro sono stati trattati i temi della stabilizzazione nel Paese, della presenza di truppe straniere e della condizione femminile. L’on. Boniver ha giudicato ancora prematura l’ipotesi di ritiro delle truppe straniere ed ha ricordato la riapertura dell’Ambasciata italiana a Kabul quale segnale positivo verso una normalizzazione della situazione. La crisi economica che sta attanagliando tutto il mondo, ha ricordato Boniver, avrà sicuramente ripercussioni negative anche sull’Afghanistan.

 

       Il 6 novembre 2008 ha avuto luogo presso la III Commissione Affari esteri della Camera l’audizione informale del Rappresentante speciale dell’Unione europea in Afghanistan, Ettore Francesco Sequi. Lo stesso giorno, l’ambasciatore Sequi è stato audito dalla III Commissione Affari esteri ed emigrazione del Senato (vedi allegato).

 

 

Attività legislativa

 

       C 3097 -B

 

       Conversione in legge del decreto-legge 1° gennaio 2010, n. 1, recante disposizioni urgenti per la proroga degli interventi di cooperazione allo sviluppo e a sostegno dei processi di pace e di stabilizzazione, nonché delle missioni internazionali delle Forze armate e di polizia e disposizioni urgenti per l'attivazione del Servizio europeo per l'azione esterna e per l'Amministrazione della Difesa

 

       Approvato definitivamente il 3 marzo 2010. Legge n. 30/10 del 5 marzo 2010, GU n. 55 del 8 marzo 2010. Testo coordinato G.U. n. 55 del 8 marzo 2010.

 

 

       Con la Legge n. 197 del 29 dicembre 2009 è stato convertito in legge il  decreto-legge 4 novembre 2009, n. 152, recante disposizioni urgenti per la proroga degli interventi di cooperazione allo sviluppo e a sostegno dei processi di pace e di stabilizzazione, nonché delle missioni internazionali delle Forze armate e di polizia.  Nel testo è autorizzata l’erogazione di fondi, fino al 31 dicembre 2009,  per tutto il personale italiano operante a vario titolo nella stabilizzazione dell’Afghanistan.

 

ATTI DI SINDACATO ISPETTIVO

 

       In relazione al recente attentato terroristico (17 maggio 2010) in cui sono morti due militari italiani, si ricorda la presentazione interrogazione a risposta immediata in Assemblea 3-01096 (Evangelisti, Di Stanislao, Borghesi e Donaci. 31 maggio 2010) secondo la quale all’attentato sarebbe seguita una ritorsione condotta da forze italiane e forze statunitensi, con l’avallo del Ministero della Difesa italiano nel territorio di Bala Murghab.

 

Il Ministro della Difesa, Ignazio La Russa, rispondendo il 1° giugno 2010 in Aula alla domanda ha affermato che le fonti citate dagli interroganti non sono attendibili (il settimanale “l’Espresso”). Le forze italiane non hanno mai partecipato ad alcuna di ritorsione che violerebbe non solo le regole di ingaggio cui è sottoposto il contingente ISAF, ma anche il dettato Costituzionale, più volte ribadito anche dal Capo dello Stato.

 

       Sempre in relazione all’attentato, si ricorda l’interrogazione scritta del 20 maggio 2010 n. 4-07287[28] (iter in corso) in cui si chiede al Governo se abbia mandato in Afghanistan mezzi più sicuri del blindato “lince” per proteggere i nostri militari.

 

Si ricorda la recente approvazione (20 gennaio 2010) della mozione 1/00315 (primo firmatario Bosi Francesco) discussa insieme alle mozioni 1/00239 (primo firmatario Di Pietro Antonio) 1/00313 (primo firmatario Fassino Piero) e 1/00314 (primo firmatario Cicu Salvatore. Tutti gli atti di indirizzo citati sono stati approvati (cfr fascicolo delle mozioni).




 

UNIONE INTERPARLAMENTARE

 

      

In ambito UIP opera la sezione di amicizia Italia-Asia Meridionale, che ricomprende anche l’Afghanistan, in via di ricostituzione. Nella XVI legislatura e la cui presidenza è stata affidato al sen. Antonio GENTILE (PDL)

 

Si segnala che il 15 maggio 2009 si è costituito, presso la Wolesi Jirga, un Comitato di Amicizia interparlamentare, composto dagli onn. Khudainazar Sarmchar, Obaidullah Halali, Sayed Dawood Hashemi, sig.ra Shukriya Barakzai, sig.ra Hawa Alam Nurestani, sig.ra Faoziya Roofi, sig.ra Homeyra Akakhil, Mohammad Esmail Safdari, Mohammad Aref Noorzai.

 

 

 

      

 

Il Gruppo di contatto delle deputate italiane con le donne afgane

 

 

Va inoltre segnalata, per il suo particolare rilievo, l’attività del gruppo di contatto con le donne afgane, costituito nella XIV legislatura.

 

Il Gruppo si è distinto per aver promosso due eventi di grande rilievo:

 

1) La Conferenza internazionale a favore delle donne afgane, Roma, 28 novembre 2002 

 

Il Gruppo di contatto delle deputate italiane con le donne afgane, coordinato dall’onorevole Paola MANZINI, Questore della Camera dei Deputati nella XIV legislatura, ha promosso, sotto l’alto patrocinio della Presidenza della Camera, una  Conferenza internazionale, che si è svolta a Roma, presso la Camera dei Deputati , il 28 novembre 2002.

L’iniziativa ha costituito un’occasione per incontrare le donne afgane, tra cui Habiba SARABI e Sima SAMAR.

La Conferenza si è aperta con un indirizzo di saluto del Presidente della Camera, on. Casini, cui hanno fatto seguito gli interventi della coordinatrice del Gruppo di contatto con le donne afgane, on. Paola Manzini, dell’allora Ministro degli Affari Esteri, on. Franco Frattini[29], del Sottosegretario di Stato agli Affari Esteri, on. Margherita Boniver, del dottor Mario Serio, Capo Gabinetto del Ministro per le pari opportunità, che ha portato un saluto del ministro, on. Stefania Prestigiacomo, e dell’on. Luana Zanella, componente del Gruppo di contatto con le donne afgane.

I lavori della Conferenza si sono articolati in due sessioni.

Nella prima sessione, dedicata al tema:”La ricostruzione dell’Afghanistan”, sono intervenute le on. Monica Baldi e Laura Cima, le giornaliste Nicoletta Tamberlich, Tiziana Ferrario, Giuliana Sgrena e Mimosa Martini, nonché, per la parte afgana, Orzala Ashraf, Presidente della ONG HAWCA (Humanitarian Assistance for Women and Children in Afghanistan), Hakemah Mashal, operatrice sociale. La sessione è stata conclusa dall’intervento dell’allora Ministro per gli affari femminili afghano, Habiba Sarabi.

Vi è stato quindi un incontro della delegazione delle donne afgane con il giudice della Corte Costituzionale italiana, Fernanda Contri, in cui sono intervenute l’on. Paola Manzini, il Ministro Habiba Sarabi, la direttrice del Dipartimento legale per gli affari femminili, Parwin Rahemi, la Presidente del Tribunale dei minori afgano, Anisa Rassoli, la Presidente della ONG HAWCA, Orzala Ashraf, e Hakemah Mashal.

Nella seconda sessione, dedicata al tema: “La democratizzazione dell’Afghanistan”, sono intervenute le on. Marina Sereni, Franca Bimbi ed Alberta De Simone, nonché la deputata al Parlamento europeo Fiorella Ghilardotti. Sono quindi intervenute le delegate afghane Tahmeena Faryal, rappresentante dell’ONG RAWA (Revolutionary Association of the Women of Afghanistan), Shafeeqa Habibi, giornalista e membro dell’Association New Afghan Women e della Commissione di stato per la Televisione e la Radio, Hangamah Angari, avvocato e funzionario di UN-Habitat, e il Ministro Habiba Sarabi .

L’allora Sottosegretario di Stato per gli Affari Esteri, on. Mario Baccini, ha svolto un intervento conclusivo.

 

A seguito della Conferenza, la Camera dei deputati ha stanziato la somma di 20.000 euro per approvvigionamento idrico a favore di due scuole per bambine in Afghanistan.  I fondi sono stati destinati alle scuole di Ghazi Adeh e Deh Dana a Kabul /distretto n. 7.

 

2) La missione in Afghanistan di una delegazione del Gruppo di contatto, 1° al 5 maggio 2005

Una rappresentanza del Gruppo di Contatto, coordinata dall’On. Paola Manzini, si è recata in Afghanistan dal 1° al 5 maggio 2005 per rinsaldare i vincoli di amicizia tra deputate italiane e donne afgane e per sostenere le donne afgane in vista del successivo svolgimento delle elezioni parlamentari, le prime dalla fine della guerra.

Della delegazione facevano parte, oltre all’onorevole Paola Manzini (DS),  Questore della Camera e Coordinatore del Gruppo di contatto con le donne afgane, le onorevoli Monica Baldi (FI), Giovanna Bianchi Clerici (Lega nord), Dorina Bianchi (Margherita), Carla Castellani (AN), Elettra Deiana (Rifondazione comunista), Anna Maria Leone (UDC), Elena Montecchi (DS) e Luana Zanella (Misto-Verdi).

Durante la visita, la delegazione ha incontrato il Presidente della Repubblica, Hamid Karzai, il Ministro per gli Affari Femminili, Massouda Jalal, il Ministro dell’Istruzione, Noor Mohammad Qarqeen, e la Presidente della Commissione per i Diritti Umani, Sima Samar. Il gruppo è stato anche ricevuto in visita di cortesia dall’ex re Mohammad Zahir. La delegazione ha inoltre visitato la radio femminile “Voice of Afghan Women” e ha incontrato donne afgane candidate alle elezioni parlamentari svoltesi il 18 settembre 2005. Il Gruppo di contatto aveva inoltre espresso l’intenzione di incontrare una delegazione di donne parlamentari, dopo lo svolgimento delle elezioni parlamentari in Afghanistan.

 

 

Successivamente alla missione in Afghanistan del Gruppo di contatto, il Collegio dei deputati Questori della Camera dei Deputati ha deliberato, in data 15 dicembre 2005, di stanziare ulteriori 15.000 euro da destinare al sostegno del diritto all’istruzione delle alunne di due scuole femminili di Ghazi Adeh e Deh Dana a Kabul /distretto n. 7.

 

Si segnala che, nella XV legislatura, il Presidente della Camera Bertinotti, con lettera del giugno 2007, conferì alla Vice Presidente Georgia Meloni l’incarico di coordinare l’attività del Gruppo di Contatto delle deputate italiane con le donne afghane.

 

Il Gruppo di contatto non è stato costituito nella XVI legislatura.

 


Profili biografici
(a cura del Servizio Rapporti internazionali)

 


 

Zalmay Rassoul, ministro degli Affari esteri

 

 

 

 

 

 

 

 

Zalmay Rassoul, nato nel 1923 a Kabul, dopo gli studi presso la Estiqlal High School ha ottenuto il dottorato in medicina all’Università di Parigi.

In qualità di medico Zalmay Rassoul ha prestato servizio in prestigiosi istituti, tra i quali il Research Institute of Cardiac Diseases di Parigi e l’ospedale militare dell’Arabia Saudita.

Zalmay Rassoul è stato capo dello staff di sua altezza Mohammad Zahir a Roma.

L’esperienza maturata in ambito medico, come l’aver operato in diversi Paesi, ne hanno fatto il candidato naturale alla carica di Ministro dell’Aviazione civile e del turismo, nonché Ministro degli esteri anche nell’interim government afghano (dal 2001).

Zalmay Rassoul parla pashto, dari, inglese, francese,italiano ed arabo.

E autore di una trentina di titoli di medicina pubblicati in Europa e negli Stati Uniti.

 

 

 

 


 

Stanley McChrystal

 

 

Il Generale McChrystal è nato nel 1954 nel seno di una famiglia di tradizione militare. Ha terminato la prima formazione militare presso l’accademia di West Point nel 1976. Ha poi conseguito un master in Sicurezza Nazionale e Studi Strategici presso il Naval War College e un master in Relazioni Internazionali presso la Salve Regina University.

Dopo aver assunto dal novembre 1976 incarichi di comandante del gruppo di forze speciali Airborne in North Carolina e della divisione fanteria in Georgia, a partire dal Novembre 1982 ha ricoperto numerosi incarichi come Training Officer presso la John F.Kennedy School of Government, il Naval War College, la Cambridge University e  la Masachusetts University.

Nominato generale di brigata nel 2001, è divenuto Capo di Stato Maggiore della Joint Task Force 180, Operation Enduring Freedom in Afghanistan. Dopo un periodo a  Washington DC, nel 2004 diviene generale di divisione e successivamente Comandante della Joint Special Operations Command (in tale posizione guidò l’azione dei suoi uomini contro Al Zarqawi in Iraq). Da generale di corpo d’armata, grado raggiunto nel 2006, è stato Direttore del Joint Staff a Washington fino a giugno del 2009 quando, oltre alla quarta stella, gli è stato affidato il comando sia di ISAF sia delle forze USA in Afghanistan.


 

Mark Sedwill

 

 

 

 

 

 

 

Mark Sedwill è nato a Ealing nel 1964 e ha studiato presso le università di St. Andrew’s e Ofxord, dove ha ottenuto un MPhil. E’ sposato e ha una figlia

E’ entrato al Foreign Office nel 1989 e, fino al 1991 è stato membro dell’Unità Emergenza Guerra nel Golfo presso il Dipartimento di Sicurezza. Dopo una permanenza presso l’Ambasciata britannica al Cairo e un breve ritorno a Londra, tra il 1996 e il 1997 è stato nominato Primo Segretario in Iraq e ha partecipato alla UN Weapon Inspection. Ha lavorato a Cipro tra il 1997 e il 1999, prima di diventare segretario personale dei Ministri degli Esteri (laburisti) Robin Cook e Jack Straw.

Dal 1997-1999 è stato nominato Primo Segretario politico-militare per la lotta al terrorismo a Cipro. Nel 2002 è stato Portavoce del Governo Britannico per il Medio Oriente, prima di diventare vice capo missione presso l’Alto Commissariato britannico in Pakistan. E’ stato Direttore Internazionale della UK Border Agency e, dal 2009, Ambasciatore a Kabul.

Dal Gennaio 2010 ricopre l’incarico di Senior Civilian Rapresentative della NATO in Afghanistan.

 


 

Rangin Dadfar Spanta

 

 

 

 

 

 

 

Rangid Dadfar Spanta è nato nella provincia di Herat[30] nel 1953 da una facoltosa famiglia locale. Negli anni sessanta suo padre era parlamentare nell’Assemblea Nazionale della Monarchia afgana. Ha iniziato gli studi nel 1974 alla Scuola di Legge e Scienze Politiche dell’Università di Kabul. Nel 1976 ha perfezionato la sua conoscenza della lingua turca andando a studiare all’Università di Ankara, dove si è laureato in Relazioni Internazionali.

In anni giovanili Spanta è stato simpatizzante di movimenti di sinistra e dopo l’invasione sovietica dell’Afghanistan ha militato a lungo nel movimento di resistenza afgano rifugiandosi prima in Iran poi in Pakistan, da dove si trasferì in Germania, continuando la sua attività politica anche nei primi anni del suo esilio tedesco. Presso l’Università di Aquisgrana ha conseguito nel 1991 il Dottorato di Ricerca in Scienze Politiche (Relazioni Internazionali e Cooperazione) che gli ha permesso di diventare, nel 1996, professore ordinario all’Istituto di Scienze Politiche e successivamente Direttore del Third World Studies Institute. Nel gennaio 2005 ha fatto ritorno a Kabul per insegnare all’Università diventando nello stesso anno consigliere per la politica estera del Presidente Karzai.

Il 21 marzo 2006 a seguito di un rimpasto di governo è stato nominato Ministro degli Esteri. La nomina di Spanta a Ministro degli Esteri è stata inizialmente accolta con scetticismo a Kabul, perché ritenuto, rispetto al predecessore Abdullah, un newcomer della politica afgana, dalla quale era rimasto per molto tempo lontano negli anni della sua lunga permanenza all’estero. Si è comunque accreditato come elemento moderato e pragmatico, autodefinendosi un musulmano democratico.

Nel 2007 Spanta è stato sfiduciato due volte dal Parlamento per l’asserita cattiva gestione della questione dei profughi afgani in Iran. La vicenda ha dato luogo ad un braccio di ferro tra Karzai e il Parlamento, conclusosi con il ricorso del Presidente alla Corte Suprema che ha invalidato il voto di sfiducia confermando Spanta nelle sue funzioni. Da ministro Spanta ha visitato l’Italia più volte.

Nel gennaio 2010, dopo la Conferenza di Kabul, ha ceduto la carica di ministro degli Esteri a Zalmay Rassoul, di cui ha preso il posto come Consigliere per la Sicurezza Nazionale.

Parla dari, turco, tedesco e inglese

 


 

Mohammad Younus Qanooni

 

 

Tagiko, nato nel 1957 nella provincia di Panjishir, Qanooni si è laureato alla Kabul University in Giurisprudenza (e Sharia’). E’ sposato e ha cinque figli.

Dal 1980 ha partecipato attivamente alla Jihad in qualità di Segretario del Comitato della Pubblica Istruzione (1981), rappresentante di Ahmad Shah Massoud (1982-1988), capo del Consiglio dei Comandanti della Jihad. Ministro degli Interni nel governo Rabbani, è stato sempre molto vicino a Massoud. Alla morte di quest’ultimo nel 2001, prese il controllo dell’Alleanza del Nord formando un triumvirato con gli allora ministri della difesa (Rahim) e degli esteri (Abdullah). Favorì l’intervento militare straniero che portò alla caduta del regime dei Talebani e fu tra i principali negoziatori afghani durante la conferenza di Bonn.

E’ stato Ministro dell’Istruzione del Governo di transizione e ha dato un importante contributo al processo di riforma del sistema scolastico dal 2001-2003. Creatore del Partito Politico New Afghanistan (Hezbe Afghanistan Nawin), ha guidato la prima opposizione parlamentare raggruppata nel movimento Jabhai Tafahom Millie (Understanding National Front) composto nel 2005 da 12 partiti politici.

Nel 2005 è stato eletto Presidente della Wolesi Jirga (camera bassa del Parlamento).

 


Allegato

 


 

 

Mozioni sull’Afghanistan approvate dalla Camera dei deputati il 20 gennaio 2010

 

 

1-00315

 

La Camera,

premesso che:

per il successo della missione Isaf in Afghanistan appare ormai necessario il passaggio ad una nuova strategia, più orientata a favorire aiuti umanitari e di ricostruzione, nonché a garantire più forza ed autorevolezza al Governo locale, facendo leva sull'addestramento delle forze afgane, con particolare riguardo a quelle di polizia; questa nuova strategia è stata auspicata unanimemente anche dall'Assemblea parlamentare della Nato riunita recentemente ad Edimburgo;

il nostro contingente in quel teatro è fortemente impegnato proprio nell'addestramento delle forze armate e delle forze di polizia, affinché esse siano sempre più pronte ed adeguate a contrastare il terrorismo ed a garantire la sicurezza interna del Paese;

il Parlamento, nella sua interezza, deve dimostrare compattezza nel sostenere i nostri soldati, non soltanto nel momento del dolore, ma anche, e soprattutto, nel rifinanziamento delle missioni,

 

impegna il Governo:

 

a rafforzare la capacità di risposta e di protezione dei nostri soldati in termini di mezzi e di equipaggiamenti, nonché ad assumere iniziative per adeguare la tutela normativa connessa all'alto rischio che la missione comporta;

a valutare l'opportunità di potenziare la capacità addestrativa del contingente italiano, che già si è conquistata alta considerazione, riconosciuta a livello internazionale, mediante l'incremento del numero delle unità addestrative; a sviluppare maggiormente gli interventi di ricostruzione e di assistenza umanitaria alla popolazione afgana;

ad adeguare corrispondentemente le risorse necessarie al raggiungimento dei suddetti obiettivi.

 

(Nuova formulazione) «Bosi, Vietti, Volontè, Compagnon, Ciccanti, Naro, Pisacane, Rao, Mereu, Galletti, Occhiuto, Adornato, Libè».

 

 

1-00314

 

La Camera,

premesso che:

il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, con la risoluzione n. 1386 del 20 dicembre 2001, ha autorizzato la costituzione di una forza multinazionale International security assistance force (Isaf), con il compito di condurre operazioni militari secondo il mandato ricevuto, in cooperazione e coordinazione con le forze di sicurezza afghane ed in coordinazione con le forze della coalizione, al fine di assistere il Governo afghano nel mantenimento della sicurezza, favorire lo sviluppo delle strutture di Governo, di estendere il controllo del Governo su tutto il Paese e di assistere gli sforzi umanitari e di ricostruzione, nel quadro degli accordi di Bonn del 5 dicembre 2001;

il nostro Paese è uno dei principali contributori alla missione Isaf in termini di personale militare, il cui operato è ampiamente e pienamente apprezzato non soltanto da tutti i partner presenti in quel teatro operativo, ma anche dalle autorità e dalle popolazioni locali, per l'umanità, la dedizione, la professionalità e lo spirito di sacrificio;

l'Italia ha svolto sin dal 2002 un significativo ruolo nella costruzione istituzionale dell'Afghanistan, a cominciare dall'iniziale assunzione della posizione di «nazione guida» nel settore della giustizia, che ha consentito di accompagnare l'Afghanistan nel lancio di un piano nazionale per la giustizia. Il nostro Paese continua a dare un importante contributo alla progressiva affermazione dei principi dello stato di diritto ed alla tutela e promozione dei diritti fondamentali dei cittadini;

il contributo qualitativo e quantitativo che l'Italia fornisce per la gestione delle crisi, nel più ampio quadro degli sforzi della comunità internazionale nella lotta al terrorismo e per il rispetto dei principi sacri della pace, della libertà e della legalità, e, in questo contesto, il contributo per la stabilizzazione ed il progresso economico, sociale ed istituzionale dell'Afghanistan, nel rispetto dei diritti umani, della Costituzione, delle leggi e dei principi internazionali, hanno consentito al Paese di acquisire un ruolo ed un prestigio di primissimo piano sulla scena internazionale;

l'operazione Isaf, tuttavia, non è una missione a tempo indeterminato, in quanto la strategia è unica ed è destinata a creare le condizioni per lasciare il Paese solo nel momento in cui gli obiettivi di consolidamento della democrazia e delle istituzioni saranno integralmente raggiunti;

la fondamentale azione della componente militare nel garantire le condizioni di sicurezza e di controllo del territorio ed il ruolo della componente civile nella ricostruzione istituzionale ed economica costituiscono i due aspetti inscindibili dell'approccio onnicomprensivo adottato dalla comunità internazionale per la stabilizzazione e la ricostruzione dell'Afghanistan;

allo stesso tempo, serve un deciso cambio di marcia del Governo afghano, in vista della definizione di obiettivi che creino le condizioni per un graduale disimpegno internazionale nei tempi opportuni,

 

Impegna il Governo:

 

a promuovere, nell'ambito della conferenza internazionale, prevista per il 28 gennaio 2010 a Londra, la definizione comune di obiettivi di breve e medio termine e delle modalità concrete per il loro raggiungimento;

a confermare, coerentemente con la nuova strategia discussa e condivisa nell'ambito dell'Alleanza atlantica, il proprio contributo aggiuntivo di risorse militari agli sforzi internazionali, ai fini dell'avvio della fase di transizione, destinata ad accelerare e completare il processo di trasferimento delle responsabilità in materia di sicurezza alle forze afghane;

a promuovere, nelle sedi competenti, le iniziative ed i progetti necessari a favorire la ricostruzione civile ed economica del Paese.

 

«Cicu, Gidoni, Cirielli, Fava, Fallica, Baldelli, Antonione, Ascierto, Barba, De Angelis, Gregorio Fontana, Holzmann, Lamorte, Giulio Marini, Mazzoni, Moles, Paglia, Petrenga, Luciano Rossi, Sammarco, Scandroglio, Speciale, Boniver, Angeli, Biancofiore, Bonciani, Renato Farina, Lunardi, Malgieri, Migliori, Osvaldo Napoli, Nicolucci, Nirenstein, Pianetta, Picchi, Repetti, Tremaglia, Zacchera, Chiappori, Pirovano».

 

 

1-00313

 

La Camera,

premesso che:

la missione Isaf in Afghanistan è stata deliberata con un voto unanime delle Nazioni Unite, in quanto interesse comune della comunità internazionale, ed è stata gestita in un contesto multilaterale, con l'obiettivo di contrastare le reti del terrorismo jihadista e di assicurare la pace e la stabilità in quell'area strategica;

il Paese, dopo la liberazione dal regime talebano, è certamente cambiato, con l'avvio della ricostruzione, la riapertura delle scuole, il rientro di tanti profughi afghani; tuttavia, la situazione, anche a causa del dirottamento in passato di risorse verso la guerra in Iraq, resta drammatica: l'istituzione di autorità afghane deboli e inclini alla corruzione e le troppe e dolorose perdite tra i civili bombardati hanno favorito il reclutamento di nuovi ribelli; le condizioni generali della popolazione sono sempre più difficili; le zone insicure ed instabili si sono allargate oltre il livello di guardia e la pericolosità della minaccia dei talebani e dei gruppi terroristi è diventata più insidiosa;

è, dunque, urgente e necessario proseguire sulla via della ridefinizione della strategia della presenza internazionale nell'area, per avvicinare il momento in cui gli afghani saranno in grado di governare e gestire autonomamente la sicurezza nel loro Paese. Come in ogni pacificazione di successo, è decisivo dare un più consistente impulso all'azione politica e sociale, in modo da rendere efficace quella militare, destinare maggiori risorse alla popolazione e più attenzione allo sviluppo locale, sostenere vigorosamente la nuova concezione della sicurezza che consideri la protezione dei civili una priorità, sulla base della convinzione che la controguerriglia si vince sostanzialmente sul piano politico e non su quello puramente militare;

appare, peraltro, indispensabile avviare quanto prima nelle sedi internazionali un dibattito sulla imprescindibile necessità del superamento delle due missioni presenti in Afghanistan, Isaf ed Enduring freedom, stante il permanere della diversità di fondo dei loro obiettivi e la frequente confusione tra i ruoli e le regole che le presiedono, rilanciando, altresì, nell'ambito del mandato delle Nazioni Unite, il ruolo della Nato quale luogo di elaborazione di decisioni effettivamente condivise tra gli alleati;

la presenza militare internazionale rimane, perciò, ancora indispensabile e solo una strategia graduale e coordinata con gli altri Paesi della Nato e con le Nazioni Unite, nonché il miglioramento della situazione sul terreno, potranno condurre alla progressiva riduzione della presenza militare. Senza le citate premesse il rischio è l'abbandono della popolazione afghana ad una nuova fase di guerra civile e di caos istituzionale ed all'anarchia dei signori della guerra e dell'oppio, con l'alta probabilità di un ritorno vendicativo dei talebani e con la non trascurabile possibilità che Afghanistan e Pakistan si smembrino, con incalcolabili conseguenze per la sicurezza regionale e mondiale, inclusa quella energetica,

 

impegna il Governo:

 

ad avviare quanto prima, nelle opportune sedi internazionali, un dibattito sull'urgente necessità di superare il dualismo esistente tra le due missioni in Afghanistan, nonché ad intensificare, rispetto al passato, la propria azione politico-diplomatica in sede Nato, così da assicurare che questa diventi un foro di decisioni intergovernative condivise e assunte su un piano di effettiva parità tra gli alleati;

a sostenere, specialmente nell'ambito dell'Onu, ogni iniziativa internazionale che promuova forme di coordinamento e coinvolgimento di tutti i Paesi dell'area, a partire da Iran, Pakistan e India, e l'adozione di un approccio regionale per giungere in tempi brevi ad una conferenza internazionale, in cui valorizzare il ruolo di mediazione del nostro Paese e dell'Unione europea;

a promuovere con forza il processo di afghanizzazione della sicurezza dell'area, aumentando le risorse disponibili all'addestramento dell'esercito e della polizia locale, al fine accelerare il trasferimento dei compiti di controllo del territorio;

a verificare l'efficacia dell'azione italiana nel riformare il sistema giudiziario afghano, adottando ogni ulteriore iniziativa utile a combattere con decisione la diffusa corruzione;

ad assumere iniziative volte a stanziare più credibili risorse finanziarie, sia destinate direttamente alla popolazione, sia dirette ad incentivare le attività di cooperazione civile presenti in loco, nonché a promuovere una rinnovata attenzione allo sviluppo locale, verificando e rilanciando nuove strategie atte ad affrontare con efficacia il problema dell'oppio, e a garantire la protezione dei civili, anche attraverso la soddisfazione dei loro diritti primari, quali l'educazione, la salute, l'accesso all'acqua e al cibo;

ad adottare ogni iniziativa utile, nelle opportune sedi internazionali, affinché, anche attraverso una maggior cooperazione con il Governo afghano, la pianificazione e la conduzione delle missioni internazionali in Afghanistan siano improntate ad un nuovo concetto di sicurezza che ponga la tutela dei civili e l'esclusione di cosiddetti «danni collaterali» tra gli obiettivi prioritari, garantendo, altresì, nei casi di vittime civili, indagini trasparenti e chiare sul rispetto delle norme internazionali di diritto umanitario;

 

ad adottare ogni iniziativa utile volta a sostenere un processo di dialogo tra tutte le forze afghane che hanno partecipato al voto, avviando così un serio percorso di riconciliazione con tutte le componenti, anche tra gli insorgenti, disponibili ad abbandonare l'uso della violenza, tale da permettere al popolo afghano di cercare le soluzioni politiche atte a garantire l'equilibrio tra le tradizioni religiose e culturali e la crescita democratica;

ad adottare ogni iniziativa utile, anche nelle opportune sedi internazionali, per la realizzazione di programmi in sostegno delle donne afghane e per la promozione dei loro diritti e, più in generale, a favorire progetti di cooperazione che stimolino i diversi settori della società civile afghana, per una ricostruzione del Paese non solo materiale, ma anche morale e sociale;

a presentare prima dello svolgimento della prossima conferenza di Londra sull'Afghanistan una dettagliata relazione al Parlamento dei Ministri degli affari esteri e della difesa sulla continua evoluzione del contesto afghano, sulla linee politiche che il Governo intende sostenere in occasione della conferenza stessa, al fine di porre le Camere nella condizione di esercitare un effettivo controllo sulla qualità della presenza italiana in Afghanistan, ed infine sulle modalità con cui operano i nostri contingenti e sulle eventuali misure che il Governo intende adottare per rafforzare la protezione dei nostri soldati nello svolgimento della missione.

 

 

«Fassino, Ventura, Maran, Villecco Calipari, Arturo Mario Luigi Parisi, Amici, Rosato, Barbi, Colombo, Corsini, Fedi, Fioroni, Garofani, Giacomelli, La Forgia, Laganà Fortugno, Letta, Migliavacca, Mogherini Rebesani, Narducci, Pistelli, Porta, Recchia, Rigoni, Rugghia, Sereni, Tempestini, Tocci».

 

 

1-00239

 

La Camera,

premesso che:

il nostro Paese è da lungo tempo impegnato in missioni internazionali di stabilizzazione e di mantenimento della pace: dalla prima missione in Libano del 1982 a quella in Afghanistan iniziata nell'agosto del 2003 in ambito Isaf (Nato), che - di fatto - si può considerare una continuazione dell'iniziativa statunitense Enduring freedom, avviata all'indomani dell'attentato alle Torri gemelle dell'11 settembre 2001;

una differenza ed una contraddizione evidente c'è sempre stata fra queste due ultime missioni: la Isaf è sempre stata intesa e percepita, e come tale si è sviluppata, come assistenza o sostegno alla popolazione, secondo i canoni di una vera o propria operazione di peacekeeping, mentre quella sotto il diretto comando Usa è sempre apparsa come una missione di lotta al terrorismo, secondo le logiche e le strategie di una guerra tout court;

tuttavia, nonostante il diffuso apprezzamento per l'azione del nostro contingente in Afghanistan, negli ultimi 4 anni si sono contati già 21 caduti fra i nostri militari e nel frattempo sembrano svaniti o dimenticati i presupposti e le ragioni per cui i nostri soldati partecipano alla missione Isaf;

come risulta da numerose denunce anche degli osservatori dell'Unione europea e dell'Onu, la produzione di oppio è continuata a crescere e i grandi trafficanti hanno fatto campagna elettorale in stretta alleanza con i signori della guerra;

l'attuale presenza militare internazionale ed italiana in quel Paese ha, ormai, assunto i caratteri di un vero e proprio conflitto armato, che mal si concilia e che, invece, è necessario torni a conformarsi con il dettato della nostra Carta costituzionale, e con la dovuta attenzione alla sicurezza dei nostri militari;

il nostro contingente si trova a operare nel pieno di una vera e propria guerra civile ed è quindi necessario porre al centro dell'attenzione nelle sedi internazionali una exit strategy, fermo restando il nostro impegno per la ricostruzione dell'Afghanistan;

il nostro Paese, allorquando il Presidente degli Stati Uniti ha annunciato la nuova strategia americana, prevedendo l'invio di 30.000 soldati in più in Afghanistan entro l'estate 2010, ha fatto sapere di poter assicurare la presenza di ulteriori 1.000 nostri militari (170 dei quali da subito, come indicato nel decreto-legge n. 1 del 2010, in attesa di essere convertito in legge tra qualche settimana), senza che un impegno di tal genere fosse stato portato all'attenzione nelle opportune sedi parlamentari;

il 28 gennaio 2010 si terrà a Londra una conferenza internazionale sull'Afghanistan e la sua stabilizzazione politica, cui parteciperà ovviamente anche il nostro Paese, e proprio su questo vale la pena ricordare che il neo Segretario generale della Nato, Anders Fogh Rasmussen, ha dichiarato: «ora sarà necessario un nuovo patto, un contratto tra Afghanistan e la comunità internazionale con una conferenza che al più presto, all'inizio del 2010, lanci un messaggio forte e chiaro»;

è pertanto auspicabile e non più rinviabile l'avvio di un confronto parlamentare, di un dibattito sereno, equilibrato e maturo sul nostro impegno in Afghanistan,

 

impegna il Governo:

 

a porre, senza indugi, nelle sedi internazionali, l'esigenza di un riesame e di una modifica dei tempi e della strategia d'intervento di ristabilimento della pace e della democrazia in Afghanistan, avviando un percorso di exit strategy, fermo restando il nostro impegno per la ricostruzione dell'Afghanistan;

a compiere tutti i passi necessari, in occasione della partecipazione alla citata conferenza internazionale di Londra, per tradurre in azioni concrete e efficaci gli intenti della nostra diplomazia circa la maggior responsabilizzazione del Governo Karzai sulle varie questioni che riguardano il futuro dell'Afghanistan, quali la lotta alla corruzione e al crimine organizzato, la stabilizzazione politica, la riconciliazione nazionale.

 

(Nuova formulazione) «Di Pietro, Donadi, Leoluca Orlando, Evangelisti, Di Stanislao, Borghesi».

 

 

 

 

 

 



[1]    Informazioni riportate dal sito www.argoriente.it, che le riprende dal rapporto trimestrale Onu diffuso il 10 marzo 2010.

[2]    Ce.S.I., Osservatorio Mediterraneo e Medioriente, gennaio-marzo 2010.

[3] Secondo dati rilasciati ad aprile 2010, la composizione etnica dell’Afghan National Army (ANA), giudicata, a livello di battaglione, etnicamente bilanciata dal Ministero della Difesa afghano, era la seguente:Pashtun 41%, Tajik  34%, Hazara 12%,  Uzbek  8%, altri 5% (www.brookings.edu).

[4] Thomas Ruttig, The Other Side. Dimension of the Afghan Insurgency: Causes, Actors an Approaches to ‘Talks’, rinvenibile all’indirizzo web http://aan-afghanistan.com/uploads/200907%20AAN%20Report%20Ruttig%20%20The%20Other%20Side.PDF

[5]    Tra gli aspetti più significativi della dottrina della controinsurrezione vi è il porre la protezione della popolazione al centro degli sforzi della Coalizione; ciò comporta la necessità di concentrare le risorse militari nei distretti demograficamente più rilevanti, diminuendo quindi l’enfasi sulle attività di contro-terrorismo.

[6]    Nel comunicato finale della Conferenza di Londra si legge che i partecipanti hanno convenuto con il governo afghano riguardo all'attuazione della surge civile e alla designazione di nuovi responsabili civili,quali l'Ambasciatore britannico Mark Sedwill in qualità di NATO Senior Civilian Representative

[7] Seduta dell’Assemblea del 18 maggio 2010.

[8] Nel mese di maggio Abdullah Abdullah ha fondato il partito “Alleanza nazionale per la speranza e il cambiamento” che ha, tra i suoi obiettivi, l’attuazione di riforme per migliorare la governance, combattere la corruzione, garantire elezioni libere e trasparenti e promuovere la decentralizzazione delle strutture di potere.

[9]    S. Jones, Averting Failure in Afghanistan, in “Survival”, Spring 2006, pp.111-128 (nel sito dell’International Institute for Strategic Studies www.iiss.org)

[10]   La situazione in Afghanistan, “Osservatorio di politica internazionale”a cura del CeSPI, 16 dicembre 2008

[11]   In www.hrw.org

 

[12]   Per questa interpretazione cfr. ad esempio S. Silvestri, Che fare in Afghanistan, in www.affarinternazionali.it, 9 febbraio 2010

[13]   Per questa interpretazione cfr. ad esempio S. Jones, Averting Failure in Afghanistan, in “Survival”, Spring 2006, pp.111-128 (nel sito dell’International Institute for Strategic Studies www.iiss.org) e N. Grono – C. Rondeaux, Dealing with brutal Afghan warlords is a mistake, Boston Globe 17 gennaio 2010, (nel sito dell’International Crisis Group, www.crisisgroup.org)

[14]   Su questi aspetti cfr. La situazione in Afghanistan, “Osservatorio di politica internazionale”a cura del CeSPI, 16 dicembre 2008 e www.crisisgroup.org/Afghanistan

[15]   Su questi aspetti cfr. La produzione di oppio in Afghanistan, “Osservatorio di politica internazionale” a cura dell’ISPI, 9 febbraio 2009.

[16]   D. Giammaria, L’ago della bilancia dei negoziati in Afghanistan (26 marzo 2010) in www.affarinternazionali.it

[17]   Cfr. Focus Mediterraneo e Medio Oriente, gennaio-marzo 2010, a cura del CESI.

[18]   Fonte: Scheda notizie sulla partecipazione italiana alla missione NATO ISAF (aggiornata al 26 novembre 2009) in www.difesa.it

[19]   Fonte: Notizie dal teatro sulla partecipazione italiana alla missione NATO ISAF (4 gennaio 2010) in www.difesa.it

[20]   I caveat sono i limiti all'impiego delle forze nazionali nell’ambito di una missione militare internazionale. Le singole forze nazionali possono applicare tali limitazioni (caveat) alle regole generali dettate per tutti i contingenti della missione.

[21]   Oltre a queste strutture, Emergency ha creato una rete di 28 posti di primo soccorso e Centri sanitari per garantire il pronto soccorso e il trasferimento in ospedale dei pazienti. Secondo quanto riporta il sito ufficiale dell’associazione, Emergency ha finora curato in Afganistan oltre 2.514.434 persone.

 

[22]

[23]   La graduale afghanizzazione delle responsabilità, anche in materia di governo locale implica che  la presenza e gli apporti dei paesi che oggi sostengono la missione ISAF in Afghanistan nelle singole province si inseriscano in nuove strutture, più consone all’architettura del processo di transizione. E’ per questo che si comincia a parlare di Provincial and District Support Team, cioè unità di supporto tecnico che operino direttamente all’interno delle strutture provinciali.

[24] L’ex Ministro degli Esteri lituano è il successore del diplomatico  italiano Ettore Sequi.

[25]   Decisione 2010/168/PESC del 22 marzo 2010. Il mandato di Vygaudas Usackas – che termina il 31 agosto 2010 – può concludersi prima se lo decide il Consiglio, a seguito dell'entrata in vigore della decisione che istituisce il servizio europeo per l'azione esterna.

[26]La Presidente Boniver ha ricevuto, in data 28 ottobre 2009, un invito a recarsi con una delegazione parlamentare in Afghanistan da parte del Vice Presidente della Commissione affari internazionali della Wolesi Jirga (Camera bassa) del Parlamento afghano, Fazel Karim Aimaq.

 

[27]Una pattuglia italiana dell’Operational Mentoring Leason Team (OMLT, addestratori) ha esploso dei colpi di arma da fuoco contro un’auto che non aveva rispettato le segnalazioni di avvertimento e sicurezza. L’episodio non ha causato reazioni ostili o manifestazioni popolari di protesta contro i militari italiani.

 

[28] MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI

[29] L’intervento del Ministro degli Affari Esteri è stato pronunciato da Guido Martini, Direttore generale per i Paesi dell’Asia del Ministero degli Affari Esteri.

[30] Area che ricade sotto il comado militare italiano, dove l’Italia guida anche il “Provincial Reconstruction Team” (PRT)