Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione
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Autore: | Servizio Bilancio dello Stato | ||||
Altri Autori: | Servizio Studi - Dipartimento bilancio , Servizio Rapporti Internazionali | ||||
Titolo: | (DV25) La sorveglianza sugli squiliqui macroeconomici | ||||
Serie: | Dossier di verifica Numero: 25 | ||||
Data: | 29/02/2012 | ||||
Descrittori: |
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Camera dei deputati |
XVI LEGISLATURA |
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Documentazione e ricerche |
La sorveglianza sugli squilibri macroeconomici
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n. 326 |
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29 febbraio 2012 |
Servizio responsabile: |
Servizio Studi – Dipartimento Bilancio ( 066760-9932 – * st_bilancio@camera.it Servizio
Bilancio dello Stato |
Ha partecipato alla redazione del dossier il seguente Ufficio: |
Segreteria Generale – Ufficio Rapporti con l’Unione europea ( 066760-2145 – * cdrue@camera.it |
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File: BI0489.doc |
INDICE
1. La relazione della Commissione-com (2012) 68 final – sul meccanismo di allerta
3. Gli indicatori sugli squilibri esterni
4. Gli squilibri interni: il livello di indebitamento del settore pubblico e privato
La relazione oggetto del presente dossier costituisce la prima applicazione della nuova procedura per la sorveglianza sugli squilibri macroeconomici disciplinata da due regolamenti approvati nell’ambito di un pacchetto complessivo di sei atti legislativi sulla governance economica europea (il c.d. six pack).[1]
La procedura si articola, in parziale analogia con il Patto di stabilità e crescita, in una parte preventiva, aperta dalla relazione in esame, ed in una correttiva.
La relazione annuale in esame avvia il meccanismo di allerta volto alla individuazione precoce degli squilibri macroeconomici (definiti come “ogni tendenza che possa determinare sviluppi macroeconomici che hanno, o potrebbero avere, effetti negativi sul corretto funzionamento dell'economia di uno Stato membro, dell'Unione economica e monetaria o dell'intera Unione”). Per squilibri eccessivi si intendono squilibri gravi, compresi quelli che mettono o potrebbero mettere a rischio il corretto funzionamento dell'Unione economica e monetaria.
II Consiglio (e per i profili relativi ai Paesi dell'eurozona anche l'Eurogruppo) esamina e sottopone a valutazione globale la relazione nell’ambito della sorveglianza multilaterale sulle politiche economiche.
La Commissione, tenuto conto delle discussioni in seno al Consiglio e all'Eurogruppo, in caso di sviluppi economici significativi e imprevisti che richiedano un'analisi urgente, prepara un esame approfondito per ogni Stato che, a suo avviso, può presentare squilibri o correre il rischio di presentarli.
Qualora la Commissione, sulla base dell'esame approfondito ritenga che uno Stato presenti squilibri, ne informa il Consiglio e l'Eurogruppo, nonché il Parlamento europeo, aprendo la procedura per l’adozione di misure preventive.
A tale scopo, il Consiglio, su raccomandazione della Commissione, e sulla base delle conclusioni del Consiglio europeo, può rivolgere allo Stato in questione le necessarie raccomandazioni, informandone il Parlamento europeo.
Procedura per gli squilibri eccessivi
La procedura si apre qualora, in esito all'esame approfondito, la Commissione ritenga che uno Stato membro presenta squilibri eccessivi e si articola nella fasi seguenti:
· il Consiglio, su raccomandazione della Commissione, può adottare una raccomandazione in cui constata l'esistenza di uno squilibrio eccessivo e raccomanda allo Stato in questione l'adozione di misure correttive. La raccomandazione precisa il termine entro cui lo Stato interessato deve presentare un piano d'azione correttivo;
· lo Stato interessato presenta, entro il termine sopra indicato, il piano d'azione correttivo che dispone le misure specifiche attuate o che intende attuare;
· il Consiglio valuta il piano d'azione correttivo entro due mesi dalla sua presentazione e, qualora lo consideri soddisfacente, lo approva, su raccomandazione della Commissione, adottando una raccomandazione in cui elenca le misure specifiche necessarie e i termini per la loro adozione e stabilisce un calendario per la sorveglianza;
· ove le misure adottate o previste nel piano d'azione correttivo o il calendario per la loro esecuzione siano invece ritenuti non sufficienti, il Consiglio adotta, su raccomandazione della Commissione, una raccomandazione in cui chiede allo Stato interessato di presentare, di norma entro due mesi, un nuovo piano correttivo, esaminato secondo la stessa procedura sopra richiamata;
· sulla base di una relazione della Commissione, il Consiglio valuta, entro il termine stabilito nella raccomandazione, se lo Stato interessato ha adottato le misure raccomandate. Qualora ritenga che tali misure non siano state assunte, il Consiglio, su raccomandazione della Commissione:
- adotta una decisione, secondo le regole della maggioranza inversa[2], in cui dichiara l'inadempienza. Lo Stato interessato può chiedere la convocazione di una riunione del Consiglio per porre ai voti la decisione;
- adotta una raccomandazione, sempre a maggioranza inversa, che fissa nuovi termini per l'adozione delle misure correttive;
· se il Consiglio ritiene che siano state adottate le misure correttive raccomandate, la procedura è sospesa, e il monitoraggio prosegue secondo il calendario stabilito dalle raccomandazioni del Consiglio;
· il Consiglio, su raccomandazione della Commissione, abroga le raccomandazioni assunte non appena ritiene che lo Stato interessato non presenti più gli squilibri eccessivi rilevati e fa una dichiarazione pubblica al riguardo.
Il regolamento (UE) n. 1174/2011 sulle misure esecutive per la correzione degli squilibri macroeconomici eccessivi stabilisce un sistema di sanzioni applicabile agli Stati che non abbiano adottato le misure correttive previste e la cui inadempienza sia stata accertata con decisione del Consiglio secondo la procedura sopra descritta.
In tal caso, il Consiglio, su raccomandazione della Commissione, può imporre, con apposita decisione, la costituzione di un deposito fruttifero.
Inoltre, il Consiglio, su raccomandazione della Commissione, può adottare una decisione che impone allo Stato interessato il pagamento di un'ammenda annuale se:
· il Consiglio adotta due raccomandazioni successive nell’ambito della medesima procedura per squilibri eccessivi nelle quali giudica insufficiente il piano d’azione correttivo presentato dallo Stato interessato, o
· il Consiglio adotta due decisioni successive nell’ambito della medesima procedura nelle quali constata l’inosservanza delle proprie raccomandazioni relative a misure correttive. In tal caso, la sanzione è irrogata mediante conversione del deposito fruttifero in un’ammenda annuale.
Le decisioni relative alla costituzione del deposito o all’irrogazione delle ammende si considerano adottate dal Consiglio secondo le regole della maggioranza inversa.
La Commissione presenta la raccomandazione di decisione del Consiglio entro venti giorni a decorrere dalla data in cui sono soddisfatte le condizioni sopra indicate.
L'ammontare del deposito fruttifero o dell'ammenda annuale è pari allo 0,1% del PIL realizzato nell'anno precedente dallo Stato interessato.
Ove il Consiglio accerti, nello stesso anno in cui sono stati costituiti il deposito o irrogata l’ammenda, che lo Stato interessato ha adottato le misure correttive, i relativi importi sono restituiti allo Stato stesso pro rata temporis.
La relazione sul meccanismo di allerta per la prevenzione e la correzione degli squilibri macroeconomici rappresenta il primo strumento di screening volto a consentire alla Commissione di individuare gli Stati membri per i quali gli sviluppi in corso giustifichino un'ulteriore analisi approfondita per stabilire se gli squilibri esistano o vi sia il rischio che emergano.
L'analisi più approfondita dei fattori all'origine degli sviluppi osservati verrà effettuata in successivi studi tesi a determinare la natura degli squilibri, in esito ai quali la Commissione proporrà, se del caso, raccomandazioni politiche nel quadro della parte preventiva o di quella correttiva della procedura.
La decisione sulla necessità di avviare un’analisi approfondita si fonda sugli indicatori del quadro di valutazione e sulle relative soglie indicative – riportati nella tabella 1 della relazione - elaborati dalla Commissione, previa consultazione del Consiglio, del Parlamento europeo e del comitato europeo per il rischio sistemico.
Nell’analisi degli indicatori – che attengono sia agli squilibri macroeconomici esterni, sia a quelli interni – i singoli paesi sono valutati sulla base di un approccio globale e dinamico, che tiene conto dell'andamento nel tempo degli indicatori, degli sviluppi più recenti e delle prospettive evolutive future.
Squilibri esterni |
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indicatore |
Media su tre anni del saldo delle partite correnti in % del PIL |
Posizione patrimoniale netta sull’estero in % del PIL |
Variazione in % (su tre anni) del tasso di cambio effettivo reale, con deflatori IACP rispetto a 35 paesi industrializzati |
Variazione in % (su 5 anni) delle quote del mercato delle esportazioni |
Variazione in % (su tre anni) del costo nominale del lavoro per unità di prodotto (CLUP) |
Squilibri interni |
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indicatore |
Variazione in % su base annua dei prezzi delle abitazioni al netto dell’inflazione |
Flussi di credito al settore privato in % del PIL) |
Debito del settore privato in % del PIL |
Debito pubblico in % del PIL |
Tasso di disoccupazione Media su tre anni |
L'aggiustamento degli squilibri macroeconomici è attualmente in corso in molti Stati membri, soprattutto in quelli che registrano o hanno registrato elevati disavanzi con l'estero e profondi squilibri della situazione finanziaria di famiglie e/o imprese e nel settore pubblico. Questo processo è ancora lungi dall'essere concluso e in alcuni Stati membri si registrano tuttora elevati livelli di disoccupazione e una riduzione del livello dell'attività economica
Per favorire una lettura economica più approfondita degli indicatori principali, il meccanismo di allerta contempla una serie più ampia di indicatori supplementari (riportati nella tabella 3 della relazione), che forniscono ulteriori parametri di valutazione della situazione macroeconomica e degli eventuali squilbri.
Il Consiglio e il Parlamento europeo hanno sottolineato l’importanza di tali indicatori per la lettura economica del quadro di valutazione della procedura per gli squilibri, che deve tenere debitamente conto anche delle circostanze e delle istituzioni specifiche di ogni singolo paese.
Per quanto concerne, in particolare, la struttura del quadro di valutazione del meccanismo di allerta, la relazione evidenzia che la Commissione, per selezionare gli indicatori e le relative soglie, conformemente ai principi enunciati dalla normativa, ha indicato un numero ridotto di indicatori pertinenti, pratici, semplici, misurabili e disponibili. A tal fine, sono stati utilizzati i dati Eurostat, se disponibili, altrimenti si è fatto ricorso a fonti alternative della massima qualità (quali, ad esempio, la BCE).
Gli indicatori selezionati sono volti a consentire l’identificazione tempestiva sia degli squilibri a breve termine, sia di quelli che si manifestano in ragione di tendenze strutturali o a lungo termine.
In questo quadro, la scelta degli indicatori si focalizza sulle dimensioni più pertinenti degli squilibri macroeconomici e della perdita di competitività, con una particolare attenzione al buon funzionamento dell'area dell'euro. Nella relazione viene peraltro precisato che l’indicatore relativo al debito pubblico viene considerato solo in relazione al contributo agli squilibri macroeconomici (in quanto esso concorre all’indebitamento complessivo e, quindi, alla vulnerabilità generale del paese) atteso che i profili attinenti alla sostenibilità delle finanze pubbliche sono già monitorati ai sensi del patto di stabilità e crescita .
Per quanto concerne le soglie associate agli indicatori, esse sono state fissate con criteri prudenziali, tenendo conto sia dell’esigenza di evitare l’emergere di "falsi allarmi", sia di quella di consentire l'individuazione degli squilibri prima che gli stessi siano divenuti cronici. La tabella 2 della relazione riporta, in particolare, i valori degli indicatori del quadro di valutazione della procedura per gli squilibri macroeconomici per il 2010, dai quali si evince, per ciascun paese, il valore dell'indicatore che supera le soglie indicative (che sono le stesse per tutti i paesi, ad eccezione degli indicatori dei tassi di cambio effettivi reali e del costo del lavoro per unità di prodotto, per i quali vi è una distinzione tra paesi appartenenti all'area dell'euro e paesi che non vi appartengono).
Nel complesso, da questa prima attuazione della procedura di sorveglianza si evince che l'aggiustamento degli squilibri macroeconomici è in corso in molti Stati membri, soprattutto in quelli che registrano o hanno registrato elevati disavanzi con l'estero e profondi squilibri della situazione finanziaria di famiglie e/o imprese e nel settore pubblico. Questo processo è lungi dall'essere concluso e in alcuni Stati membri ha determinato nel breve termine un aumento significativo dei livelli di disoccupazione e una riduzione del livello dell'attività economica.
Sulla base della lettura economica del quadro di valutazione, la Commissione ritiene giustificata un'ulteriore analisi approfondita per i seguenti Stati membri: Belgio, Bulgaria, Danimarca, Spagna, Francia, Italia, Cipro, Ungheria, Slovenia, Finlandia, Svezia e Regno Unito.
Tali Stati devono affrontare problemi e rischi potenziali diversi, compresi gli effetti di ricaduta; alcuni devono correggere gli squilibri accumulati nel passato, sia a livello interno, sia esterno, ridurre l'elevato livello di indebitamento complessivo e riconquistare la competitività in modo da migliorare le prospettive di crescita e il risultato delle esportazioni. L'analisi approfondita consentirà di valutare i fattori trainanti della produttività, della competitività e dell'andamento degli scambi, nonché le implicazioni del livello di indebitamento accumulato e il grado dei relativi squilibri in diversi Stati membri.
Si rammenta, infine, che essendo già sottoposti a sorveglianza rafforzata della situazione economica e delle politiche adottate in materia, i paesi beneficiari di un programma di assistenza - Grecia, Irlanda, Portogallo e Romania – essi non sono valutati nel quadro della procedura per gli squilibri macroeconomici.
La Commissione rileva come nel decennio precedente la crisi, l’Europa ha registrato un aumento dei c.d. squilibri esterni. In tali anni, si è determinata una profonda divergenza nelle condizioni di competitività, e il miglioramento continuo della Germania, Paesi Bassi e Svezia si è contrapposto al contestuale peggioramento di altri Stati membri, tra cui l’Italia.
In tali paesi, la perdita di competitività si è riflessa nell’accumulo di deficit delle partite correnti, nel peggioramento della posizione finanziaria sull’estero e nella perdita di quote di mercato, accompagnati da tassi di crescita del PIL più contenuti.
Gli indicatori per il monitoraggio dei rischi di squilibri esterni
Come evidenziato nelle Tavole 1 e 2 contenute nel rapporto in esame, la Commissione ha identificato cinque indicatori per monitorare i rischi di squilibri esterni, che prendono in considerazione la posizione sull’estero di un’economia (saldo della bilancia delle partite correnti e investimenti netti sull’estero) e la competitività (ReeR- tasso di cambio reale effettivo, costo del lavoro per unità di prodotto e quota di mercato delle esportazioni).
Saldo delle partite correnti - Esso riflette l’importo dell’accreditamento/ indebitamento netto dell’economia e in tal modo fornisce informazioni circa le relazioni economiche di un paese con il resto del mondo. Un elevato deficit delle partite correnti indica che l’economia si sta indebitando, importando più di quanto riesce ad esportare. Al contrario, un alto surplus potrebbe certificare una debolezza nella domanda interna. Pertanto, nella Tabella 1, si prevede che il valore del saldo delle partite correnti (calcolato come media dei valori registrati nei tre anni precedenti, al fine di smussare eventuali picchi occasionali), espresso in termini percentuali rispetto al PIL, non debba superare le soglie pari a – 4%/+ 6% del PIL;
Posizione patrimoniale netta sull'estero (NIIP) - Essa rappresenta il corrispondente in termini di stock del saldo della bilancia delle partite correnti e in conto capitale. Un alto debito, risultato di un deficit delle partite correnti elevato e persistente, è spesso associato ad una crescente vulnerabilità nei confronti dei mercati finanziari. Per tale variabile, viene preso in considerazione il solo caso di un saldo negativo (con un’incidenza sul PIL pari o superiore al 35%), mentre un surplus non viene considerato un elemento di squilibrio o potenziale causa di effetti negativi sul funzionamento dell’UEM.
Tasso di cambio effettivo reale (REER) . L’indicatore é deflazionato con l’indice armonizzato dei prezzi al consumo e ponderato con le quote di esportazioni nette nei confronti di 35 paesi industrializzati. Deviazioni significative del REER dai valori di medio periodo possono segnalare che un paese ha perso/guadagnato competitività rispetto ai principali partners commerciali. Per tale indicatore (calcolato come deviazione percentuale rispetto al valore di tre anni prima), la Tavola 1 indica una soglia simmetrica (+/-5% per i paesi dell’area euro e +/-11% per i paesi non UEM).
Costo del lavoro per unità di prodotto (CLUP) - Variazioni significative dell’indicatore possono segnalare una dinamica del costo del lavoro superiore (inferiore) a quelle della produttività e quindi perdite (guadagni) di competitività. Per tale indicatore (calcolato come deviazione percentuale rispetto al valore di tre anni prima), la Tavola 1 indica una soglia pari a +9% per i paesi dell’area euro e +12% per i paesi non UEM.
Quota di mercato delle esportazioni dei beni e servizi - Tale indicatore cattura variazioni di competitività dipendenti non solo da andamenti dei prezzi/costi più accentuati di quelli registrati nei Paesi partner, ma anche fattori quali una scarsa capacità di penetrazione commerciale in nuovi mercati o un eccessivo impiego di risorse nei settori non-tradable. Per tale indicatore, calcolato come variazione percentuale rispetto al valore registrato cinque anni prima, la Tavola 1 indica una soglia negativa pari a -6%.
Per quanto riguarda il saldo corrente della bilancia dei pagamenti, dall’Autumn forecast della Commissione emergono segnali di una tendenza ad un restringimento degli squilibri: in alcuni dei paesi che hanno dovuto affrontare manovre di bilancio più severe (Grecia, Portogallo, Spagna, Irlanda), la conseguente riduzione dei consumi ha favorito un contenimento delle importazioni e più rapido aggiustamento dei conti con l’estero. Al tempo stesso, altri paesi hanno visto un’espansione della domanda e una riduzione del loro surplus commerciale.
Grafico 1: saldo delle partite correnti - (%PIL)
Fonte: Commissione europea, COM (2012)68 final.
In particolare in l’Italia, il valore medio nel triennio 2008-2010 indica un deficit pari a - 2,8% del PIL (rispetto ad una soglia pari a -4%), che sale a -3,5% guardando al solo 2010[3]. Per il 2013, secondo le previsioni della Commissione il deficit dovrebbe diminuire e collocarsi intorno a -2,3%.
Persistenti deficit (o surplus) della bilancia di parte corrente e di parte capitale si riflettono nella posizione patrimoniale netta sull’estero (NIIP). Il grado di vulnerabilità di un paese è tuttavia più basso se le passività in essere non richiedono in futuro la restituzione del capitale o il pagamento di interessi o se il paese è capace di attrarre investimenti esteri. Per tali motivi, ai fini di una lettura complessiva della situazione di uno Stato membro, la Commissione affianca tale indicatore (v. tavola 3 del rapporto), da un lato, con quello relativo ai flussi in entrata degli investimenti diretti esteri (FDI)[4] e, dall’altro, con il debito estero netto (NED), che non prende in considerazione il portafoglio azionario e gli strumenti derivati.
Per quanto riguarda l’Italia, il valore negativo della posizione netta sull’estero (-23,9% del PIL nel 2010) per quanto inferiore alla soglia di riferimento (-35%) evidenzia, al pari degli altri indicatori (cfr infra), una situazione di perdita di competitività che si è riflessa nell’accumulo dei deficit di parre corrente che hanno caratterizzato gli anni dal 2002 in poi[5].
Ai fini di valutare se i guadagni o le perdite di competitività siano ascrivibili a fattori di prezzo o di costo, la Commissione prende in considerazione gli andamenti del costo del lavoro per unità di prodotto (CLUP) e del tasso di cambio effettivo reale nei confronti dei 35 partner commerciali più rilevanti (REER).
Mentre aumenti del CLUP evidenziano una dinamica dei salari più elevata rispetto alla produttività, andamenti crescenti del REER esprimono una variazione dei prezzi non bilanciate da eventuali svalutazioni del cambio. Poiché tali variazioni possono essere causate da una molteplicità di cause[6] (ad esempio, da aumenti, oltre che del costo del lavoro, dei prezzi delle materie prime importate, o dei prezzi amministrati e di quelli nei settori protetti), l’indicatore può segnalare potenziali rigidità nel mercato dei prodotti o del lavoro. La Commissione rileva, inoltre, che dinamiche dei prezzi più elevati nei settori protetti possono portare ad una allocazione inefficiente delle risorse (favorendo uno spostamento verso tali settori) e causare anche per tale via ulteriori pressioni sulla posizione verso l’estero.
In Italia, nel 2010 il valore del REER (in termini di variazione percentuale rispetto al valore di tre anni prima) ha mostrato per la prima volta dopo diversi anni (dal 2002[7]) un valore negativo (-1%), indicando un lieve recupero di competitività. Se tuttavia l’indicatore si restringe ai paesi dell’area euro, la variazione cambia segno (+0,8% nel 2010, cfr tavola 3) segnando un divario crescente rispetto ai paesi più competitivi[8].
Guardando all’indicatore relativo al costo del lavoro costruito come deviazione dal valore di medio o lungo periodo, esso segnala valori costantemente positivi, sia pure di norma inferiori alla soglia di allerta[9].
Completano l’analisi di competitività gli indicatori relativi agli andamenti delle quote di mercato delle esportazioni di beni e servizi, che consentono di cogliere fattori diversi dai prezzi nella capacità di penetrare i mercati esteri e/o di stare al passo con l’espansione del commercio mondiale. In molti casi, infatti, la perdita di quote di mercato è dovuta non tanto ad una contrazione delle esportazioni, quanto al fatto che esse non crescono allo stesso ritmo delle esportazioni mondiali.
La Commissione rileva come per tale indicatore numerosi paesi evidenzino valori superiori alla soglia di allerta (-6%), sottolineando una debolezza complessiva dell’Europa rispetto alla concorrenza mondiale. Tuttavia alcuni di essi (Belgio, Danimarca, Francia, Italia, Cipro, Finlandia e Regno Unito) perdono quota anche nei confronti degli altri Stati membri.
In particolare, Italia vede il negli ultimi dieci anni,permanere di variazioni negative, con valori significativamente superiori alla soglia di allerta: con riferimento al 2010, la perdita di quote di mercato delle esportazioni a livello globale rispetto al valore di cinque anni prima risulta pari a -19%, superiore quindi alla soglia di allerta [10].
Come evidenziato dal grafico 2, si è ridotta inoltre la sua quota di esportazione verso il mercato europeo.
Grafico 2: Variazione% delle quote di mercato delle esportazioni
Fonte: Commissione europea, COM (2012)68 final.
Con riferimento agli squilibri esterni, la Commissione rileva come l’Italia fin dalla metà degli anni ’90 abbia conosciuto un significativo deterioramento nella competitività, che si esprime anche nella continua perdita di quote di mercato. Tale fenomeno, attribuibile principalmente ad una bassa produttività, influisce tuttavia solo limitatamente sulla posizione sull’estero data la crescita relativamente modesta della domanda interna.
La Commissione conclude pertanto la lettura economica del quadro degli indicatori relativi all’Italia segnalando il superamento delle soglie indicative per quanto riguarda l’area della competitività oltre che del rapporto debito pubblico/PIL (cfr infra) e raccomandando una analisi approfondita per il nostro Paese.
La Commissione rileva come, nel corso della crisi finanziaria, sia apparsa chiara l’importanza del livello di indebitamento complessivo di uno Stato membro, e i forti legami che intercorrono tra debito del settore privato e debito pubblico.
Ingenti passività del settore privato, infatti, pur non avendo un impatto immediato sui livelli del debito, potrebbero influire sulla reputazione di solvibilità di un Paese, data la possibilità che i Governi finiscano con l’accollarsi tali passività. D’altro canto, i soggetti privati (non solo gli istituti finanziari) possono diventare grandi creditori di enti sovrani, divenendo cosi vulnerabili di fronte a difficoltà di bilancio.
Pertanto, il livello di indebitamento di un paese è valutato, nell’ambito del quadro di valutazione degli squilibri macroeconomici, quale fattore cumulato costituito dallo stock di debito del settore privato e dal debito pubblico.
In tale ambito, dunque, la sorveglianza del debito pubblico è limitata al suo contributo agli squilibri macroeconomici, in quanto l'aspetto relativo alla sostenibilità delle finanze pubbliche è già coperto dal Patto di stabilità e crescita.
Gli indicatori per il monitoraggio dei rischi di squilibri interni
Come evidenziato nelle Tavole 1 e 2 contenute nel rapporto, la Commissione ha identificato cinque indicatori per monitorare i rischi di squilibri interni, che prendono in considerazione il livello dell’indebitamento del settore pubblico e del settore privato (comprensivo dell’analisi dei flussi di credito a tale settore), nonché i prezzi delle abitazioni e il mercato del lavoro (Tasso di disoccupazione).
Debito del settore privato – Esso è costituito da passività: somma dalla somma dei prestiti e dei titoli diversi dalle azioni. Sono inoltre esclusi gli “altri conti”, comprensivi principalmente dei debiti commerciali, nonché le riserve tecniche. Relativamente alla definizione di settore privato, cfr. oltre, Flussi di credito del settore privato. Elevati livelli di debito aumentano la vulnerabilità del settore privato rispetto a cambiamenti del ciclo economico, inflazione e tassi di interesse. Il valore soglia per tale indicatore è del 160% del PIL.
Prezzi delle abitazioni (al netto dell’inflazione) – Tale indicatore misura la variazione percentuale su base annua dei prezzi delle abitazioni al netto dell’Inflazione (indice armonizzato dei prezzi al consumi). L’andamento del mercato immobiliare è stato uno dei fattori chiave nella recente crisi: il valore soglia per tale indicatore è stabilito in un incremento dei prezzi relativi delle abitazioni (rispetto all’indice armonizzato dei prezzi) pari o superiore al 6% su base annua.
Flussi di credito del settore privato –Valutati in percentuale del PIL, costituiscono la controparte, in termini di flusso, dello stock di debito del settore privato. Per settore privato si intendono le imprese non finanziarie, le famiglie e le organizzazioni senza scopo di lucro al servizio delle famiglie[11]. I flussi di credito sono costituiti dalla somma di prestiti e titoli diversi da azioni. Sono inoltre esclusi gli “altri conti”, comprensivi principalmente dei debiti commerciali, nonché le riserve tecniche. Nelle crisi passate una troppo rapida espansione del credito è stata associata a bolle speculative e a crescenti squilibri: una crescita pari o superiore al valore soglia del 15% del PIL viene ritenuto un possibile segnale di allarme.
Debito pubblico - Il debito delle amministrazioni in percentuale del PIL, in base alla definizione utilizzata ai fini della procedura per i disavanzi eccessivi.
Per l’Italia, tale aggregato, calcolato dalla Banca d’Italia in coerenza con i criteri definiti dall’Unione europea, è costituito dall’insieme delle passività finanziarie del settore delle amministrazioni pubbliche. È consolidato tra e nei sottosettori, ossia esclude le passività incluse nell’attivo degli enti appartenenti allo stesso settore. L’aggregato include i seguenti strumenti finanziari:
a) le monete e i depositi; questi comprendono le monete in circolazione, i depositi presso la tesoreria statale intestati a soggetti non appartenenti al settore delle amministrazioni pubbliche e la raccolta postale inclusa nel passivo di queste ultime;
b) i titoli diversi dalle azioni (esclusi gli strumenti finanziari derivati) emessi dallo Stato e dalle amministrazioni locali;
c) i prestiti erogati in favore di enti appartenenti alle Amministrazioni pubbliche o il cui onere di rimborso sia a carico di queste ultime.
La Relazione evidenzia che il debito pubblico figura nel quadro di valutazione – al valore soglia del 60% previsto nel patto di stabilità e crescita - soltanto in quanto tale indicatore (che contribuisce all’indebitamento complessivo del paese) produce effetti di feed back anche sul debito privato, sebbene la sostenibilità delle finanze pubbliche non venga valutata nel contesto della procedura sugli squilibri macroeconomici, essendo già coperta dal Patto di stabilità e crescita.
Tasso di disoccupazione - E’ costituito dal rapporto tra le persone in cerca di occupazione e le forze di lavoro. Nella tavola di valutazione il tasso di disoccupazione è valutato quale media su tre anni, e dunque quale indicatore non di breve durata. L'indicatore relativo all'andamento della disoccupazione va letto in collegamento con altri indicatori del quadro di valutazione più prospettici e serve a comprendere meglio la potenziale gravità degli squilibri macroeconomici in termini della loro probabile persistenza e della capacità di aggiustamento dell'economia. Il valore soglia è indicato nel 10%.
Per quanto concerne il debito del settore privato, la Commissione sottolinea come, precedentemente alla crisi, si sia evidenziato in Europa un prolungato periodo di espansione del credito, determinato soprattutto dall'accresciuto spessore del mercato finanziario e dalla concomitante convergenza dei tassi di interesse nominali. A tale espansione ha contribuito il forte disallineamento dei prezzi dei beni immobili - accompagnato da una tassazione e da condizioni di prestito favorevoli -, come confermato dall'aumento generalizzato della quota di mutui per l'acquisto dell'abitazione sul totale dei prestiti nel periodo che ha preceduto la crisi.
Nel suo complesso, l’attuale livello di indebitamento del settore privato supera la soglia indicativa del 160% in diversi Stati membri, quali Belgio, Bulgaria, Danimarca, Estonia, Spagna, Cipro, Lussemburgo, Malta, Paesi Bassi, Austria, Finlandia, Svezia e Regno Unito.
In merito, la Commissione rileva come un elevato livello dell'indebitamento del settore privato aumenti l'esposizione del Paese alle variazioni del ciclo economico, dell'inflazione e dei tassi di interesse, e come la correzione di tali posizioni di indebitamento eccessivo possa mettere a repentaglio la crescita e la stabilità finanziaria.
In alcuni Paesi, l’elevato livello di accumulo del debito è attribuibile, essenzialmente, all’attività delle società non finanziarie (Belgio, Spagna, Cipro, Slovenia e Svezia); in altri, è il settore delle famiglie che risulta per la gran parte responsabile dell'aumento dell'indebitamento (Danimarca, Paesi Bassi e Regno Unito).
Per quanto concerne l’Italia, i valori del quadro di valutazione evidenziano un livello di indebitamento del settore privato nel 2012 relativamente contenuto, pari al 126%, inferiore dunque al valore di soglia (160%), soprattutto grazie alla posizione finanziaria delle famiglie. La Commissione affianca a tale indicatore (cfr. tavola 3 della relazione), da un lato, quello relativo al debito consolidato del settore privato, che presenta per l’Italia un valore del 125,4% del PIL, e, dall’altro, quello relativo alle passività finanziarie del settore finanziario, che registrano una crescita non consolidata su base annua dell’1,4% nel 2010.
Secondo i dati diffusi da Banca d’Italia[12] - che confermano le valutazioni della Commissione – il debito del settore privato italiano (famiglie e imprese non finanziarie), se si tiene conto delle passività costituite dalla somma di titoli e prestiti (escluse le azioni, le riserve tecniche e gli “altri conti”) è pari, in percentuale al PIL, a circa il 126,1% nel 2010[13]. Il relativamente basso valore di tale indicatore è dovuto in buona parte alla ridotta quota di debito detenuto dalle famiglie, pari nel 2010 al 45% del PIL, mentre, su valori superiori, pari all’81,1% del PIL si attesta, nello stesso anno, la quota di debito privato di spettanza delle imprese.
Per ciò che concerne, in particolare le passività finanziarie delle famiglie, Banca d’Italia rileva come il debito finanziario delle famiglie italiane in rapporto al reddito disponibile sia cresciuto negli anni più recenti, anche a seguito della contrazione del reddito provocata dalla crisi. Nel confronto internazionale, tuttavia, esso rimane basso, soprattutto nella componente dei mutui.
Secondo i dati Banca d’Italia[14] nel 2010, il totale delle passività finanziarie delle famiglie, calcolato a prezzi correnti, è stato pari a 887 miliardi di euro, in lieve aumento rispetto all’anno 2009, in cui tale dato è pari a 851 miliardi di euro.
Alla fine dell’anno 2010, le passività finanziarie delle famiglie italiane risultano costituite per circa il 41% da mutui per l’acquisto dell’abitazione; la quota di indebitamento per esigenze di consumo ammonta a circa il 13,6%, le rimanenti forme di prestiti al 20%. I debiti commerciali e gli altri conti passivi[15] costituiscono circa il 21% delle passività delle famiglie. Relativamente ai mutui per l’acquisto dell’abitazione, negli ultimi due anni è fortemente rallentata la dinamica del loro valore: l’incremento si è stabilizzato sul 2% annuo contro un valore di circa il 16% annuo del periodo 1995-2009, mentre la categoria degli altri prestiti ha registrato un aumento del 12% circa, sensibilmente superiore alla variazione media annua del periodo 1995-2009 (3%).
Per quanto concerne, invece, l’indebitamento delle imprese, la Banca d’Italia[16] evidenzia come i principali rischi per le imprese derivino dal rallentamento della congiuntura economica e da un peggioramento nelle condizioni di finanziamento conseguente alle tensioni sul fronte della raccolta bancaria. Nonostante il livello relativamente basso dei debiti finanziari in rapporto al PIL, il rischio di tasso di interesse delle imprese italiane è elevato, in ragione soprattutto dell’alta quota di debiti con scadenze ravvicinate (circa il 60% dei debiti bancari ha una scadenza inferiore a due anni). Contribuisce alla vulnerabilità delle imprese la scarsa diversificazione dei debiti, per oltre due terzi di fonte bancaria.
Il grafico che segue illustra l’indebitamento del settore privato, con specifico riferimento alle famiglie e alle imprese, in Italia, Germania, Spagna, Regno Unito, Area euro e Stati Uniti.
L'indebitamento delle famiglie è strettamente legato all'andamento del mercato delle abitazioni: nel decennio che ha preceduto la crisi, la crescita del credito alle famiglie è andata, infatti, di pari passo con gli aumenti dei prezzi delle abitazioni.
Il ciclo dei prezzi delle abitazioni nell'UE è stato particolarmente pronunciato, con una crescita media cumulata dei prezzi superiore al 40%. Sebbene la durata e la rapidità di tale espansione sia stata differenziata tra i diversi paesi, i prezzi delle abitazioni hanno toccato il massimo nella stragrande maggioranza degli Stati membri nel 2007-2008. Le aspettative di aumenti persistenti dei prezzi delle abitazioni hanno, inoltre, favorito lo sviluppo del settore della costruzione. Investimenti massicci nel settore dell'edilizia abitativa sono stati effettuati, in linea con l’aumento dei prezzi delle abitazioni, in molti Stati membri, quali Danimarca, Spagna, Lituania, Malta, Svezia e Regno Unito.
A partire dal 2009, si è registrata una tendenza correttiva, più pronunciata nei paesi che avevano registrato gli aumenti più elevati. La Commissione rileva, tuttavia, che il peggioramento delle condizioni del credito e la debole crescita del PIL peseranno probabilmente sull'andamento dei prezzi delle abitazioni nel prossimo futuro.
Secondo il quadro di valutazione, nel 2010 gli aumenti dei prezzi reali delle abitazioni sono stati inferiori alla soglia indicativa del 6% in quasi tutti gli Stati membri.
Per quanto riguarda l’Italia, il quadro di valutazione riporta un valore negativo della variazione annua dei prezzi della abitazioni pari a -1,4% nel 2010.
Su base triennale, secondo gli indicatori supplementari di cui alla tavola 3, si evidenzia una variazione dei prezzi delle abitazioni pari al 2,3% ed un valore dell’edilizia residenziale in percentuale del PIL pari al 5,3%.
Va peraltro segnalato come anche nel corso del 2011 risultino confermati, rispetto all’anno 2010, i sintomi di debolezza del mercato immobiliare. In particolare, nella prima metà dell’anno gli investimenti in costruzioni sono tornati a diminuire e il numero delle compravendite di abitazioni è sceso ai livelli più bassi da circa dieci anni. I prezzi delle case si mantengono pressoché stabili. Rimangono deboli anche le condizioni del comparto non residenziale, caratterizzato da prezzi stagnanti e da una nuova diminuzione delle compravendite, soprattutto per i locali adibiti a uffici[17].
Con riferimento al credito al settore privato, la Commissione rileva come vi sia stato un forte rallentamento dell’offerta di credito ai privati in alcuni Stati membri, e ciò indica che è iniziato il processo di riduzione dell'indebitamento.
L'aggiustamento, dopo un'espansione ancora forte nel 2008, è iniziato nel 2009 ed è proceduto anche nel 2010. La relazione evidenzia, tuttavia, che la crescita lenta del credito combinata all'aumento del risparmio netto potrebbe, limitando la domanda interna, determinare un effetto negativo sulla crescita del PIL. I dati empirici dimostrano che gli aggiustamenti di bilancio indotti dalla crisi nel settore privato durano in media più di cinque anni, e nel settore delle imprese non finanziarie anche più a lungo. In tale contesto, l'andamento delle esportazioni nette e della produttività sono importanti in quanto principali fattori trainanti della crescita economica.
Secondo i dati del quadro di valutazione, nel 2010, la crescita del credito si è mantenuta per tutti i paesi sotto la soglia indicativa del 15% (fatta eccezione per Cipro).
In Italia, nel 2010, i flussi di credito al settore privato risultano pari al 3,6% del PIL.
Il grafico che segue mostra l’evoluzione del credito al settore privato non finanziario in Italia, anni 2006-2011.
Per quanto concerne il debito pubblico, la Commissione rileva come nel corso della crisi finanziaria siano emerse forti correlazioni tra debito del settore privato e debito pubblico e come pertanto tali aspetti debbano essere considerati congiuntamente, atteso che l'impatto della riduzione dell'indebitamento nel settore privato può essere ampliato da una crisi in corso del debito sovrano che eserciti pressioni su settori pubblici altamente indebitati. Inoltre, se denominato in valuta estera, il debito può aumentare le preoccupazioni in merito alla vulnerabilità derivante dalle fluttuazioni dei tassi di cambio.
Nel grafico che segue sono evidenziati i livelli di debito accumulato nei vari Paesi dell’UE.
I livelli del debito accumulato per settore in % del PIL (2010)
Nota: il debito privato si basa su dati non consolidati.
Fonte: Commissione europea.
Per quanto attiene l’Italia, i valori del quadro di valutazione sono superiori alle soglie indicative per quanto riguarda gli indicatori del debito pubblico, mentre l'indebitamento del settore privato è relativamente contenuto, soprattutto grazie alla posizione finanziaria delle famiglie.
La Commissione rileva, quindi, come nonostante un livello contenuto di debito del settore privato, l'elevato livello del debito pubblico sia preoccupante, soprattutto a fronte della crescita debole del prodotto e delle debolezze strutturali che caretterizzano il sistema economico. Tali fattori, assimene alle esigenze di consolidamento della finanza pubblica, potrebbero esercitare pressioni anche sulla situazione finanziaria del settore privato.
In questo quadro, la Commissione evidenzia, inoltre, come in un contesto di forte incertezza sui mercati finanziari internazionali, importi elevati del debito nelle mani di investitori non residenti possono rivelarsi come un fattore di preoccupazione, in quanto aumentano la vulnerabilità di un paese alla scarsità di capitali o all'arresto improvviso del loro afflusso.
In proposito, si ricorda che l'Italia presenta, come è noto, il quarto debito pubblico del mondo in termini assoluti (dopo quello statunitense, giapponese e tedesco) – di cui, nel giugno 2011, circa il 39,2 % detenuto da non residenti[18] (cfr. grafico successivo)- e ha dunque la necessità di mantenere la sua presenza sul mercato per consentire il finanziamento dello Stato a condizioni di costo che ne assicurino la sostenibilità.
Al fine di fronteggiare le più recenti tensioni sul debito sovrano, la strategia di emissione, configurata nelle Linee guida sulla gestione del debito pubblico italiano per il 2012, si fonda sull'esigenza di mantenere maggiori spazi di flessibilità, anche attraverso un maggior ricorso nella prima parte dell’anno a titoli a più breve termine, ferma restando una linea di continuità con il passato, che ha visto il Tesoro costantemente impegnato a perseguire due obiettivi principali: il contenimento del costo del debito e la riduzione dei rischi di mercato, in particolar modo il rischio di rifinanziamento e il rischio di tasso.
Per quanto concerne, in particolare, il rischio di rifinanziamento, le modalità di gestione del debito sono state indirizzate a favorire la diluizione nel tempo del rimborso dei titoli di Stato e, quindi, ad allungare la durata dei titoli, allo scopo di non esercitare quella continua pressione sul mercato che mette a rischio la capacità di assorbimento delle emissioni. La necessità di allungare la vita media del debito è stata perseguita a partire dalla metà degli anni '80, dopo che agli inizi del decennio, in un contesto di elevata inflazione, la durata delle emissioni si ridusse al punto che la vita del debito era di un anno o poco più; alla fine del 2011, nonostante il riacuirsi delle turbolenze sui mercati finanziari, la vita media del debito si è attestata a circa 7 anni.
Tra le innovazioni previste per il 2012, si segnala il progetto di emissione di un nuovo titolo destinato al risparmiatore privato italiano da collocare direttamente on line sulla piattaforma MOT della Borsa Italiana.
Per quanto concerne, infine, la disoccupazione, la Commissione sottolinea come i livelli di disoccupazione si siano assestati su livelli piuttosto elevati negli ultimi anni.
L'indicatore del quadro di valutazione (calcolato quale tasso medio di disoccupazione su 3 anni) riporta una soglia indicativa del 10%.
Il rapporto rileva come tale soglia sia stata superata in alcuni paesi (Spagna, Estonia, Lettonia, Lituania e Slovacchia). In molti altri Stati membri questo indicatore, pur mantenendosi inferiore alla soglia, indica comunque un valore elevato di disoccupazione, con un trend al rialzo, in considerazione, del fatto che le prospettive occupazionali risentono dell'attuale incertezza e del rallentamento della crescita, nonché del processo di riduzione dell'indebitamento, in corso in molti Stati membri.
L’Italia si colloca al di sotto della soglia, registrando nel triennio un valore medio del tasso di disoccupazione pari al 7,6%. Per gli anni successivi la Commissione europea, nell’Autumn forecast di novembre 2011, stima una crescita del tasso di disoccupazione in Italia fino all’8,2% nel 2013. Per tale anno, un valore più elevato è previsto nella Relazione di aggiornamento del quadro macroeconomico per gli anni 2011-2014[19] presentata dal Governo il 7 dicembre 2011, in cui si indica un valore pari all’8,7%.
Il rapporto evidenzia la correlazione esistente tra tale indicatore e quello della produttività del Paese, affermando che l'aggiustamento è destinato a essere più problematico in un contesto di bassa crescita della produttività.
La tendenza al calo della produttività ha contribuito all'accumulo degli squilibri macroeconomici e alla perdita di competitività nel periodo che ha preceduto la crisi in alcuni Stati membri. Allo stesso tempo, il conseguimento del necessario aggiustamento del costo del lavoro e dei relativi prezzi è più facile quando la produttività aumenta a un ritmo sostenuto, dato che ciò riduce la pressione sull'andamento dei salari e dei prezzi nominali.
Infatti, la Relazione indica quali indicatori supplementari per la lettura economica di tale indicatore anche la crescita percentuale su base annua della produttività del lavoro, nonché la crescita percentuale su base annua dell’occupazione. Con riferimento a tali due ultimi indicatori correlati, l’Italia nell’anno 2010 si pone, rispettivamente, al 2,3% e a -0,7%.
Il Grafico che segue mostra l’andamento annuale del tasso di disoccupazione in Italia e nei principali paesi europei a partire dal 2005.
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Fonte: Commissione Europea.
[1] Si tratta di sei atti legislativi che, da un lato, rafforzano il Patto di stabilità e crescita, dall’altro rafforzano le norme relative ai quadri di bilancio nazionali e la sorveglianza in materia di squilibri macroeconomici. In particolare, il pacchetto comprende:
- Regolamento (UE) n. 1173/2011, relativo all’effettiva esecuzione della sorveglianza di bilancio nella zona euro;
- Regolamento (UE) n. 1174/2011, sulle misure esecutive per la correzione degli squilibri macroeconomici eccessivi nella zona euro;
- Regolamento (UE) n. 1175/2011, che modifica il regolamento (CE) n. 1466/97 del Consiglio per il rafforzamento della sorveglianza delle posizioni di bilancio nonché della sorveglianza e del coordinamento delle politiche economiche;
- Regolamento (UE) n. 1176/2011, sulla prevenzione e la correzione degli squilibri macroeconomici;
- Regolamento (UE) n. 1177/2011, che modifica il regolamento (CE) n. 1467/97 per l’accelerazione e il chiarimento delle modalità di attuazione della procedura per i disavanzi eccessivi;
- Direttiva 2011/85/UE relativa ai requisiti per i quadri di bilancio degli Stati membri.
[2] Il meccanismo della maggioranza inversa prevede che il Consiglio possa respingere la proposta della Commissione a maggioranza qualificata degli Stati dell'area euro (senza tenere conto del voto dello Stato interessato).
[3] Il peggioramento del saldo corrente registrato nel 2010 (cresciuto al 3,5% del PIL dal 2% nel 2009), riflette quello del saldo merci, largamente attribuibile a due comparti: gli apparecchi fotovoltaici sulle cui importazioni (prevalentemente dalla Germania) ha influito anche l’aumento dei sussidi pubblici al settore, e le materie prime energetiche il cui deficit, prevalentemente attribuibile al rincaro delle quotazione petrolifere, è passato dal 2,7% del PIL nel 2009 al 3,4% nel 2010. La dinamica più marcata delle importazioni (beni intermedi e strumentali) rispetto alle esportazioni (prodotti meccanici) ha portato, inoltre, ad un significativo aumento del disavanzi nei confronti della Cina. E’ aumentato, invece, il surplus nei confronti degli USA per effetto di un aumento delle esportazioni che ha riguardato la generalità dei settori.
Secondo le stime di B.I. (Bollettino economico n.67, gennaio 2012), nel 2011 si è manifestata una tendenza alla riduzione del disavanzo di conto corrente, come riflesso del miglioramento del saldo merci e, in misura minore, dei servizi.
[4] Anche i FDI non sono, tuttavia, esenti da rischiosità: essi possono, infatti, evidenziare nel tempo una volatilità e comportare un rischio di uscita di capitali, soprattutto in presenza di crisi economico-finanziarie.
[5] Il valore del NIIP è passato da -5,8% del PIL nel 2001, al 16,8% nel 2005 e al 25,2% nel 2009, per poi scendere al 23,9% nel triennio terminante con il 2010 (Cfr tavola 21dell’allegato statistico al Rapporto della Commissione (2012)68).
[6] L’indicatore REER si basa su un indice complessivo di variazione dei prezzi, quali l’indice armonizzato dei prezzi al consumo (HIPC).
[7] Cfr tavola 21dell’Allegato statistico. Nell’ultimo anno la variazione del REER è stata spinta dall’aumento dei prezzi dei prodotti energetici importati, a fronte di una lieve flessione del costo del lavoro.
[8] Con riferimento ai paesi dell’area euro, il REER ha sempre indicato variazioni positive nel periodo 2001-2010, salvo nel triennio terminante con il 2007 (Cfr tavola 66 dell’Allegato statistico).
[9] Cfr tavole 2 e 3 del Rapporto Com(2012)68 e tavole 21, 70 e 71 dell’Allegato statistico.
[10] Va rilevato al riguardo che, a differenza di altri paesi europei come la Germania che sono riusciti recuperare il livello delle esportazioni pre-crisi, l’Italia si trovava alla fine del 2010 ancora ad un livello di vendite inferiore del 5 per cento. Come rilevato nell’analisi di Banca d’Italia (Relazione annuale 2010), la maggiore capacità di espansione verso i mercati esterni all’area euro, in particolare quelli caratterizzati da una più forte dinamica della domanda, spiega il migliore andamento delle esportazioni tedesche dopo la crisi. La quota di esportazione della Germania verso i mercati asiatici è aumentata tra il 2007 e il 2010, mentre l’Italia non ha registrato aumenti significativi.
[11] Secondo la contabilità nazionale, che si basa sui criteri dettati dal Sec95:
- le Società e quasi società non finanziarie, comprendono le società di capitali, le società cooperative, le società di persone, e le società semplici e le imprese individuali con oltre 5 dipendenti. Il settore include anche le istituzioni nonprofit (NPI) che producono beni e servizi destinabili alla vendita che possono essere oggetto di scambio sul mercato oppure esclusivamente destinati ad altre società non finanziarie (ad es, Confindustria, Confcommercio);
- le Famiglie, sono intese sia come unità consumatrici che produttrici. Le unità produttrici sono le società semplici e le imprese individuali che operano nel settore non finanziario ed occupano fino a 5 dipendenti e le unità, prive di dipendenti, produttrici di servizi ausiliari dell’intermediazione finanziaria. L’attività produttiva delle famiglie nella loro veste di consumatori include la produzione legata ai fitti figurativi delle abitazioni di proprietà, l’attività dei portieri, dei custodi e dei domestici e la produzione per proprio uso finale, derivante dal consumo personale di prodotti agricoli e dalla manutenzione ordinaria e straordinaria delle abitazioni effettuata in proprio.
- le Istituzioni sociali private al servizio delle famiglie (ISP), che comprendono i produttori privati di beni e servizi non destinabili alla vendita quali associazioni culturali, sportive, fondazioni, partiti politici, sindacati ed enti religiosi. I risultati economici di questo settore non vengono presentati in maniera autonoma, restando aggregati a quelli del settore Famiglie.
[12] Banca d’Italia, Relazione annuale 2010 e Rapporto sulla stabilità finanziaria n. 2 del 2011.
[13] Da informazioni ricevute da Banca d’Italia, per il computo dell’indicatore relativo al debito del settore privato si fa riferimento alla somma dei settori “Imprese non finanziarie” e “Famiglie e istituzioni senza fini di lucro al servizio delle famiglie”. Esso include le sole passività in prestiti (bancari e non bancari), e in titoli di debito. Restano esclusi, in particolare, i debiti commerciali, fiscali e contributivi, nonché le passività azionarie.
I dati non sono consolidati (non escludono i rapporti interni al settore considerato). La metodologia adottata per la definizione dei due settori e degli strumenti finanziari considerati è data dal manuale SEC95 (Regolamento(CE) n. 2223/96 del 25 giungo 1996).
[14] Banca d’Italia, Rapporto sulla Ricchezza delle famiglie italiane, Supplemento al Bollettino Statistico, n. 64 del 14 dicembre 2011.
[15] Negli altri conti passivi confluiscono imposte, tasse, prestazioni sociali e altri trasferimenti che le famiglie pagano alle Amministrazioni pubbliche in anni successivi a quelli cui si riferiscono.
[16] Banca d’Italia, Rapporto sulla stabilità finanziaria n. 2 del 2011.
[17] Cfr. Banca d’Italia, Rapporto sulla stabilità finanziaria, n. 2, novembre 2011.
[18] Fonte Banca d’Italia, Rapporto sulla stabilità finanziaria, n. 2, novembre 2011.
[19] Relazione concernente gli effetti di correzione degli obiettivi della manovra finanziaria per il triennio 2012-2014 (doc. LVII, n. 4-ter, 7 dicembre 2011) – Relazione di aggiornamento del quadro macroeconomico per gli anni 2011-2014 rispetto al DEF 2011 e alla Nota di aggiornamento (c.d. Relazione al parlamento 2011)