Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento difesa
Altri Autori: Servizio Studi - Dipartimento affari esteri , Ufficio Rapporti con l'Unione Europea
Titolo: La missione italiana in Afghanistan
Serie: Documentazione e ricerche    Numero: 125
Data: 12/03/2010
Descrittori:
AFGHANISTAN   MISSIONI INTERNAZIONALI DI PACE
Organi della Camera: IV-Difesa
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Camera dei deputati

XVI LEGISLATURA

 

 

 

Documentazione e ricerche

La missione italiana in Afghanistan

 

 

 

 

 

 

 

n. 125

 

 

 

12 marzo 2010

 


Servizio responsabile:

Servizio Studi – Dipartimento Difesa

( 066760-4172 – * st_difesa@camera.it

Hanno partecipato alla redazione del dossier i seguenti Servizi e Uffici:

 

Servizio Studi – Dipartimento Esteri

( 066760-4172 – * st_affari_esteri@camera.it

 

Segreteria Generale – Ufficio Rapporti con l’Unione europea

( 066760-2145 – * cdrue@camera.it

 

 

 

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File: DI0217 Missione in Afghanistan.doc

 


INDICE

Le Missioni ISAF e EUPOL in Afghanistan

La missione ISAF  3

§      Lo strumento militare nel contesto internazionale  6

Il contributo italiano ad ISAF  15

§      I caveat per l’impiego del contingente italiano in operazioni militari17

La missione “EUPOL Afghanistan”  19

Il contributo italiano ad EUPOL  19

§      Rapporti tra l’Unione europea e l’Afghanistan (a cura dell’Ufficio rapporti con l’Unione europea)19

Scheda: La partecipazione italiana ad ISAF (Ministero della Difesa)25

Scheda: La partecipazione italiana all’operazione UE ‘’Eupol Afghanistan’’ (Ministero della Difesa)37

La situazione in Afghanistan

Afghanistan: Scheda – paese politico parlamentare (a cura del Dipartimento Affari Esteri)43

Recenti sviluppi del quadro politico afghano (a cura del Dipartimento Affari esteri)46

Attività parlamentare

L’intervento del Parlamento  57

§      Missione “Enduring Freedom”57

§      Missione ISAF  58

Senato della Repubblica e Camera dei deputati

-       Commissioni riunite e congiunte 3^ (Affari Esteri) e 4^ (Difesa)

Seduta dell’8 luglio 2009 (Comunicazioni del Governo relative alla strategia e agli sviluppi della partecipazione italiana alle missioni internazionali nel 2009)61

Seduta del 10 dicembre 2009 (Comunicazioni dei Ministri degli affari esteri e della difesa sulle strategie e sugli sviluppi della partecipazione italiana alla missione ISAF)95

-       Commissioni riunite III (Affari esteri e comunitari) e 3^ (Affari esteri e emigrazione)

Seduta del 29 settembre 2009 (Audizione del Ministro degli affari esteri, Franco Frattini, sulla situazione in Afghanistan)121

Senato della Repubblica

-       Commissioni riunite 3^ (Affari esteri, emigrazione) e 4^ (Difesa)

Seduta del 2 marzo 2010 (Comunicazioni del Governo sugli ultimi attentati a Kabul)137

Camera dei deputati

-       Assemblea

Seduta del 17 settembre 2009 (Informativa urgente del Governo sul tragico attentato al contingente militare italiano a Kabul)159

Seduta del 18 gennaio 2010 (Discussione di Mozioni sulla situazione in Afghanistan e prospettive dell’impegno del contingente italiano) (n. 1-00239, 1-00313, 1-00314, 1-00315)170

Seduta del 20 gennaio 2010 (Seguito della discussione delle mozionin. 1-00239, 1-00313, 1-00314, 1-00315)193

Documentazione

§      Conferenza internazionale di Londra, 28 gennaio 2010: comunicato finale (in inglese)213

§      Consiglio di sicurezza ONU: Risoluzione n. 1890 (2009) sulla proroga dell’autorizzazione della missione in Afghanistan  223

Approfondimenti

§      Dinamiche etniche, tribali e politiche in Afghanistan - Osservatorio di politica Internazionale, Approfondimenti, n. 6 gennaio 2010  229

 

 


SIWEB

Le Missioni ISAF e EUPOL in Afghanistan

 


La missione ISAF

Enduring Freedom

 

Dopo gli attentati terroristici dell’11 settembre 2001 che hanno colpito gli Stati Uniti, fu avviata l’operazione Enduring Freedom (Libertà duratura), in Afghanistan, con l'obiettivo di combattere il terrorismo internazionale ed i regimi nazionali che lo sostengono.

Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, il giorno successivo agli eventi, adottò la risoluzione n. 1368, nel cui preambolo si riconosceva il diritto di legittima difesa individuale e collettiva degli Stati Uniti. Va aggiunto che il paragrafo 1 definiva gli attacchi terroristici “una minaccia alla pace” e nel paragrafo 5 si affermava che il Consiglio era “pronto ad adottare tutte le misure necessarie per rispondere agli attacchi terroristici”.

Lo stesso 12 settembre 2001, il Consiglio atlantico adottò una determinazione nella quale si affermava che, qualora fosse stato accertata l’origine esterna degli attacchi terroristici, avrebbe trovato applicazione l’articolo 5 del Trattato NATO, ai sensi del quale un attacco armato contro un membro dell’Alleanza deve essere considerato come un attacco contro tutti i membri dell’Alleanza stessa. Il Consiglio ha riconosciuto, il successivo 3 ottobre, per la prima volta nella storia dell'Alleanza, l’esistenza delle condizioni per l'applicazione dell’articolo 5 del Trattato.

Una coalizione di Stati a guida statunitense, di cui favevano parte  sia Paesi dell'Alleanza Atlantica che Paesi non facenti parte della NATO, ha quindi autonomamente avviato l’operazione Enduring Freedom contro obiettivi militari e basi terroristiche in territorio afgano, con l’obiettivo, in particolare, di colpire le cellule dell’organizzazione terroristica Al Qaeda presenti nel Paese.

Le operazioni militari, iniziate il 7 ottobre con una serie di attacchi aerei contro obiettivi militari e basi terroristiche in territorio afgano, sono proseguite nei due mesi successivi provocando la caduta del regime talebano e la costituzione, a seguito della Conferenza di Bonn del 5 dicembre, svoltasi sotto il patrocinio dell'ONU, di un governo ad interim, con il compito di governare il paese per i primi sei mesi del 2002.

L’Italia ha partecipato all’operazione dal 18 novembre 2001 con compiti di sorveglianza, interdizione marittima, nonché di monitoraggio di eventuali traffici illeciti. La partecipazione italiana alla missione si è conclusa il 3 dicembre 2006.

L’operazione Enduring Freedom ha progressivamente sviluppato una diversa configurazione e si è proposta di realizzare la definitiva pacificazione e stabilizzazione del Paese, oltre che con lo svolgimento di attività militari di contrasto degli insorti e delle formazioni terroriste, anche attraverso un supporto alle operazioni umanitarie.

 

ISAF

 

A tale fine è stata costituita la missione ISAF (International Security Assistance Force), a seguito della risoluzione del Consiglio di sicurezza dell'ONU n. 1386 del 20 dicembre 2001 che, come previsto dall'Accordo di Bonn, ha autorizzato la predisposizione di una forza di intervento internazionale con il compito di garantire, nell'area di Kabul, un ambiente sicuro a tutela dell'Autorità provvisoria afghana, guidata da Hamid Karzai, che si è insediata il 22 dicembre 2001 e del personale delle Nazioni Unite presente nel Paese.

La missione è iniziata nel gennaio 2002 ed è stata inizialmente svolta dai contingenti di 19 Paesi sotto la guida inglese.

Il 13 giugno 2002 la Loya Jirga (l'Assemblea tradizionale) ha eletto il premier Hamid Karzai alla guida del governo per un periodo di due anni, fino allo svolgimento delle elezioni generali, che si sono tenute il 9 ottobre 2004 e che hanno confermato presidente Karzai.

Successivamente il vertice NATO di Praga del novembre 2002, ha approvato un nuovo concetto militare che stabilisce un approccio globale per la difesa contro il terrorismo e consente alle forze dell’Alleanza di intervenire ovunque i suoi interessi lo richiedano (quindi anche fuori dall’area dei Paesi membri). Anche a seguito di tali determinazioni, il 16 aprile 2003 il Consiglio Nord Atlantico (NAC) ha deciso l'assunzione, da parte della NATO, del comando, del coordinamento e della pianificazione dell’operazione ISAF, senza modificarne nome, bandiera e compiti. La decisione è stata resa operativa l'11 agosto 2003, con l'assunzione della guida della prima missione militare extraeuropea dell'Alleanza Atlantica.

La risoluzione ONU n. 1510 del 13 ottobre 2003, oltre a prevedere l’ulteriore proroga del mandato di ISAF, ha, altresì, autorizzato l'espansione delle attività della missione anche al di fuori dell'area di Kabul.

La guida politica dell’operazione è esercitata dal NAC, in stretto coordinamento con i Paesi non NATO che contribuiscono all’operazione. Secondo il memorandum sottoscritto fra i Paesi partecipanti e l'Autorità provvisoria afghana il 4 gennaio 2002, mentre le “Coalition Forces, sono quegli elementi militari nazionali della Coalizione guidati dagli Stati Uniti che conducono la guerra al terrorismo in Afghanistan […] ISAF non è parte delle Forze della Coalizione" e rimane pertanto distinta da Enduring Freedom, mantenendo le due missioni differenti mandati e rispondendo a catene di Comando differenti, l'una facente capo al Comando Supremo Alleato della NATO ed al Consiglio Atlantico, l'altra al Central Command statunitense di Tampa (Florida). Le due missioni rimangono però in costante coordinamento operativo, attraverso il Deputy Chief of Staff Operations di ISAF, statunitense, responsabile del raccordo con le Forze di Enduring Freedom.

Lo svolgimento della missione ISAF è articolato in cinque fasi:

- la prima fase ha riguardato l’attività di analisi e preparazione;

- la seconda fase ha avuto l’obiettivo di realizzare l’espansione sull’intero territorio afgano, in 4 distinti stages che hanno riguardato in senso antiorario le aree Nord, Ovest, Sud e d Est;

- la terza fase è volta a realizzare la stabilizzazione del Paese;

- la quarta fase riguarda il periodo di transizione;

- la quinta fase prevede il rischieramento dei contingenti.

I quattro stages della seconda fase sono stati realizzati progressivamente con la sostituzione degli Stati Uniti, da parte della NATO, nella guida delle operazioni di stabilizzazione nelle diverse aree del Paese. La fase di espansione è stata completata nell’ottobre 2006 con l’assunzione del controllo ISAF anche sulla regione orientale del paese.

La fase dell’espansione è stata realizzata attraverso la costituzione in ogni area di una FSB (Forward Support Base), ovvero una installazione militare aeroportuale avanzata necessaria innanzitutto per fornire supporto operativo e logistico ai PRT (Provincial Reconstruction Team) presenti nella stessa regione. In alcune regioni (tra le quali Herat) i PRT erano già stati istituiti nell’ambito dell’operazione Enduring Freedom.

Il PRT è una struttura mista composta da unità militari e civili con il compito di assicurare il supporto alle attività di ricostruzione condotte dalle organizzazioni nazionali ed internazionali operanti nella regione. Ogni PRT é strutturato in base al rischio, alla posizione geografica ed alle condizioni socio economiche della regione in cui opera.

Fin dall’inizio della missione, ISAF, accanto alle attività militari, ha svolto il compito di assicurare la fornitura di beni di necessità alla popolazione e promuovere la ricostruzione delle principali infrastrutture economiche; a tal fine, la missione intrattiene relazioni con numerose organizzazioni internazionali e non-governative e collabora in modo stretto con l’Assistance Mission delle Nazioni Unite in Afghanistan (UNAMA).

La missione ISAF è stata da ultimo prorogata con la risoluzione del Consiglio di sicurezza n. 1890/2009 fino al 13 ottobre 2010.

L’operazione ISAF si configura quindi come operazione di peace enforcing (per approfondimenti cfr. box sotto)

 

 

 

 

 Lo strumento militare nel contesto internazionale

Il sistema delle Nazioni Unite

 

Nel sistema delineato dalla Carta delle Nazioni Unite, al Consiglio di Sicurezza è attribuita (articolo 24) la responsabilità principale del mantenimento della pace e della sicurezza internazionali, da esercitarsi mediante l’esercizio dei poteri attribuiti dai capitoli VI, VII, VIII e XII della Carta medesima.

Il capitolo VI della Carta, dedicato alla soluzione pacifica delle controversie internazionali, disciplina quella che può essere definita, in senso lato, la funzione conciliativa del Consiglio di Sicurezza.

Il capitolo VII attribuisce al Consiglio di Sicurezza la competenza a reagire alle situazioni di minaccia alla pace, violazione della pace ed aggressione (articolo 39), in primo luogo attraverso misure non implicanti l'uso della forza, quali le sanzioni economiche e l'interruzione delle relazioni diplomatiche (articolo 41) e, successivamente, in caso di inadeguatezza di queste, mediante "azioni di polizia internazionale" implicanti l'uso della forza per il ristabilimento della pace (articolo 42). Per le azioni previste dall'articolo 42 il Consiglio può intraprendere, con forze aeree, navali o terrestri, ogni azione necessaria per ristabilire la pace e la sicurezza internazionale. A tal fine gli articoli 43 e 47 prevedono l'impegno degli Stati membri di mettere a disposizione del Consiglio – in conformità ad un accordo o ad accordi speciali - le forze armate, l’assistenza e le facilitazioni necessarie.

L’articolo 48, comma 2, prevede poi che le decisioni del Consiglio di Sicurezza per il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale sono eseguite dagli Stati membri dell’ONU direttamente o mediante la loro azione nelle organizzazioni internazionali competenti di cui siano membri.

L’articolo 51 della Carta riconosce altresì, nel caso di attacco armato contro uno Stato membro dell’ONU, il diritto di autotutela individuale o collettiva, fino a quando il Consiglio di Sicurezza non abbia adottato le misure necessarie per il mantenimento della pace. Le misure prese nell’esercizio di tale diritto devono essere immediatamente comunicate al Consiglio di Sicurezza e non pregiudicano i suoi poteri in ordine alle azioni per mantenere o ristabilire la pace e la sicurezza internazionale.

Il contrasto tra i due blocchi in cui si divise il mondo dopo la fine della seconda guerra mondiale, con la conseguente mancanza di unanimità all'interno del Consiglio di Sicurezza, rese di fatto inutilizzabile il capitolo VII della Carta, con la sua previsione di dotare l’ONU di una specifica Forza armata. A questa situazione l’ONU ha reagito attraverso una prassi di intervento che ha visto il Consiglio di Sicurezza decidere l’utilizzo di forze militari appartenenti agli Stati membri al fine di contribuire al mantenimento della pace, o, più raramente, per agire coercitivamente nei confronti di uno Stato membro reo di aver violato norme di diritto internazionale consuetudinario e/o obblighi derivanti dal Trattato.

In sostanza, e in prima approssimazione, si possono enucleare due tipologie d'intervento adottate dal Consiglio di sicurezza:

a) creazione di Forze delle Nazioni Unite incaricate, con compiti per lo più limitati, di operare per il mantenimento della pace, con delega di poteri al Segretario Generale che, a sua volta, conclude gli accordi con gli Stati membri per il reperimento dei contingenti armati (caschi blu) e assume il comando delle operazioni che si svolgono direttamente sotto l'egida dell'ONU;

b) autorizzazione ad uno o più Stati membri o ad Organizzazioni regionali ad usare la forza per il ripristino della pace. Tale seconda tipologia, che consiste in una delega a questi Paesi ed Organizzazioni dell'esercizio del diritto di usare la forza proprio del Consiglio di Sicurezza, viene adottata in quei casi in cui la complessità e l'ampiezza dei compiti operativi sconsiglia l'impegno diretto delle strutture dell'ONU.

 

Le operazioni per il mantenimento della pace

 

Le operazioni per il mantenimento della pacesono state caratterizzate nel corso degli anni da una rilevante evoluzione qualitativa e quantitativa. Si possono individuare sinteticamente differenti tipologie di operazioni di pace, pur nella consapevolezza sia della relatività delle classificazioni, sia della compresenza di differenti tipologie all'interno delle operazioni realizzate:

a) operazioni di formazione della pace e prevenzione del conflitto (peace-making): sono utilizzate in presenza di una controversia che determina un conflitto. Si tratta, perciò, di attività volte prevalentemente alla soluzione pacifica delle controversie attraverso il ricorso ai mezzi diplomatici tipici del diritto internazionale per la soluzione dei conflitti;

b) operazioni di peace-keeping: si tratta di operazioni militari volte a prevenire, limitare od eliminare situazioni di conflitto tra Stati o all'interno di Stati, al fine di mantenere o ristabilire la pace. In particolare, le funzioni cui assolvono tali operazioni hanno un contenuto variabile che va dai compiti di osservazione e verifica (che comprendono il controllo del cessate il fuoco, della liberazione del territorio e del conseguente ritiro delle forze di occupazione) a quelli di interposizione (che comporta l'assunzione di un ruolo di mera presenza tra le due parti in conflitto, allo scopo di ridurre la tensione tra le stesse e di prevenire gli scontri) e a quelli di mantenimento dell'ordine e del rispetto del diritto;

c) operazioni di imposizione della pace (peace-enforcing): si tratta di operazioni militari volte ad imporre con la forza alle parti in conflitto o al soggetto individuato come aggressore, l'attuazione delle misure di controllo e riduzione della situazione di conflittualità decise dall'organizzazione internazionale che invia o autorizza l'operazione. Ciò implica la possibilità di vere e proprie azioni di combattimento;

d) operazioni di assistenza internazionale: si tratta di attività volte a realizzare le condizioni per una pace duratura poste in essere al termine di un conflitto o di una guerra civile, al fine di evitare che sorgano nuove controversie e si determinino altre situazioni di conflittualità. Rientrano in tale categoria tutte le attività che consentono la ripresa delle condizioni di vita ordinaria e comprendono programmi di aiuto e ricostruzione economica, sociale, sanitaria, soprattutto nella fase successiva alla cessazione delle operazioni militari.

 

 

La missione ISAF si trova attualmente nella sua terza fase: quella di stabilizzazione. L’attività di stabilizzazione ha incontrato crescenti difficoltà per l’insorgenza “talebana” contro la presenza internazionale che è andata col tempo notevolmente rafforzandosi.

 

Le origini dell’insorgenza possono essere fatte in realtà risalire già al 2002, pochi mesi dopo, quindi, la caduta del regime talebano in Afghanistan ad opera della coalizione internazionale guidata dagli USA e dell’Alleanza del Nord afghana, composta prevalentemente da elementi tagiki e uzbeki (merita ricordare che tuttavia Hamid Karzai, da subito individuato come leader del nuovo Afghanistan è invece un pashtun). Infatti, fin dall’aprile del 2002, si iniziarono a registrare attacchi, in particolare nelle zone di Kandahar, Khowst, Jalalabad, Kabul ad opera di talebani, di forze del movimento Hezb-I-Islami del signore della guerra Gulbuddin Hakmatyar (già protagonista delle vicende afghane negli anni Novanta del Novecento, successivamente alla caduta del regime filosovietico del presidente Najibullah) e di elementi jihadisti stranieri riconducibili ad Al Qaeda. Dal 2004 le forze della coalizione hanno potuto registrare un aumento delle capacità della guerriglia in termini di penetrazione nel territorio, testimoniato anche dal passaggio all’impiego di unità di combattimento più piccole, di meno di dieci elementi, capaci di creare maggiori difficoltà alla coalizione[1]. Nello stesso periodo l’insorgenza ha potuto trovare sostegno oltre la frontiera con il Pakistan, nelle zone tribali delle province nord-occidentali di quel paese. L’insorgenza si è ulteriormente intensificata nel corso del 2008 e del 2009 in modo particolare nel Sud e nell’Est del paese.

 

Il deterioramento della situazione è testimoniato dall’incremento di vittime civili, provocate non solo delle forze dell’insorgenza ma anche dagli errori delle forze governative afghane e di quelle ISAF e di Enduring Freedom. Dal gennaio all’agosto 2008, secondo fonti dell’Alto commissariato ONU per i diritti umani e di UNAMA, sono risultati uccisi 1445 civili con un aumento del 39 per cento rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Le vittime della guerriglia talebana e delle altre forze antigovernative (800 nel medesimo periodo) sono raddoppiate rispetto ai primi otto mesi del 2007 e sono pari a circa il 55 per cento del totale delle vittime registrate. Nello stesso periodo è aumentato il numero di civili uccisi dalle forze governative e dalle forze militari internazionali: un totale di 577 morti, di cui 395 per raid aerei[2]. Secondo il rapporto annuale di Human Rights Watch, le Nazioni Unite indicano in circa 2021 i civili uccisi dalle forze dell’insorgenza antigovernativa e da quelle governative e internazionali dal gennaio all’ottobre 2009. Di queste il 69 per cento sono attribuite alle forze dell’insorgenza e il 23 per cento alle forze militari internazionali, con un decremento rispetto alla percentuale del 2008, attribuibile ad una revisione nelle modalità operative delle forze NATO e di Enduring Freedom[3]

Esistono diverse interpretazioni del deterioramento della situazione afghana: secondo alcuni l’impegno internazionale in Afghanistan si è posto, dopo il crollo del regime talebano nel dicembre 2001, obiettivi troppo ambiziosi (rispetto a quello essenziale di combattere il terrorismo di Al Quaeda) di State Building e di democratizzazione del Paese per i quali non si era impostato una chiara strategia e non si erano approntati i mezzi necessari, anche a causa del concomitante impegno (in particolare degli USA e della Gran Bretagna) in Iraq[4]. Secondo altri, le forze della coalizione internazionale così come gli Stati confinanti con l’Afghanistan hanno in tutti questi anni privilegiato la ricerca di intese con i leader locali (spesso ex-signori della guerra del periodo successivo alla fine dell’occupazione sovietica), anziché impegnarsi effettivamente in un’opera maggiormente dispendiosa, in termini di uomini e mezzi impiegati, di State building, di promozione della rule of law e di rafforzamento del governo centrale[5].

Nell’insorgenza si devono poi distinguere diverse componenti:

-             una componente ideologicamente talebana (all’interno della quale si deve sottolineare il peso della “filiera talebano-pachistana” alimentata a partire dal 2003 dall’afflusso di guerriglieri del Kashmir, che in molti casi hanno ricevuto sostegno dai servizi segreti pachistani e si sono insediati nella zona di confine tra Pakistan e Afghanistan del Waziristan)

 

Secondo numerose fonti, le forze talebane hanno trovato sostegno e rifugio nelle zone tribali della provincia nord-occidentale del Pakistan, al confine con l’Afghanistan, soprattutto a seguito degli accordi tra il governo Pakistano e i capi tribù locali nel sud del Waziristan tra 2004 e 2005 e nel nord del Waziristan nel 2006, che hanno posto fine ai tentativi dell’allora leader pakistano Musharraf di ottenere un effettivo controllo della regione e hanno condotto alla riduzione dei posti di blocco e della presenza dell’esercito pakistano in quelle zone. Nel febbraio 2009 anche il nuovo presidente pachistano Zardari ha raggiunto un accordo con i leader talebani locali per l’applicazione della Sharia nella zona di Malakand e nel distretto di Swat nella provincia nord-occidentale, in cambio dell’impegno al disarmo delle milizie. Nel corso del 2009 si sono succedute offensive dell’esercito pachistano nella provincia nord-occidentale del paese per porre un argine alla crescente “talebanizzazione” della zona.

 

-             il movimento Hizb I Islam del signore della guerra Gulbuddin Hakmatyar, già protagonista delle vicende afghane negli anni Novanta del Novecento, successivamente alla caduta del regime filosovietico del presidente Najibullah

-             componenti, per così dire “nazionaliste pashtun” che temono la prevalenza in Afghanistan degli elementi dell’Alleanza del Nord prevalentemente tagika e uzbeka, ai danni dell’etnia maggioritaria pashtun,

-             componenti tribali in rotta con il potere centrale.

 

Sulle dinamiche etniche dell’Afghanistan si veda anche l’approfondimento dell’Osservatorio di politica internazionale Dinamiche etniche, tribali e politiche in Afghanistan a cura del CeSI incluso nel presente dossier,

 

Non deve essere sottovalutato inoltre il canale di finanziamento dell’insorgenza rappresentato dalla produzione di oppio che rappresenta il maggior settore dell’economia nazionale afghana (nel 2008 l’Afghanistan rappresentava il maggior produttore mondiale di oppio)[6]

 

L’evoluzione degli eventi ha quindi indotto ad una revisione della strategia della missione ISAF. In particolare la NATO, a partire dal 2008, ha promosso un comprehensive approach alla questione afghana (poi ribadito nel vertice di Strasburgo-Kehl del 3-4 aprile 2009) insistendo sul sostegno al rafforzamento delle istituzioni afghane ed inviando nuovo personale, non solo militare, ma anche civile. Da parte statunitense fin dal marzo 2010, l’amministrazione Obama ha delineato un comprehensive approach alla questione afghano-pakistana postulando la distruzione di Al Qaeda in Afghanistan e Pakistan e la stabilizzazione dell’area mediante un incremento della presenza militare in Afghanistan accompagnata ad un maggior sostegno finanziario e organizzativo alla crescita civile dei due paesi. Dopo un lungo dibattito all’interno dell’Amministrazione, inoltre, nel dicembre 2010, gli USA hanno annunciato l’invio di 30.000 ulteriori soldati USA e, allo stesso tempo, ha indicato il luglio 2011 come data dell’inizio di un graduale ritiro delle truppe USA. Contestualmente la NATO ha annunciato un incremento della propria presenza complessiva di circa 7.000 unità.

Da ultimo, la Conferenza internazionale di Londra ha insistito nelle sue conclusioni del 28 gennaio 2010 sulla necessità di recuperare alla vita civile ai combattenti dell’insorgenza non riconducibili al nucleo più ideologicamente talebano e ad Al Qaeda che accettino la rinuncia alla violenza(a tale proposito è stato istituito anche un apposito trust fund per la “pace e la reintegrazione”); sull’opportunità di incrementare gli aiuti umanitari e sulla ricerca di un maggiore coinvolgimento di tutte le componenti afghane e dei paesi confinanti nella ricerca della pace

 

Su tutti gli aspetti della situazione afghana fin qui descritti cfr. anche infra il paragrafo “I recenti sviluppi della situazione in Afghanistan”.

 

Elemento fondamentale nell’ambito della nuova strategia NATO è lo sviluppo di una capacità autonoma di difesa afgana. Al riguardo si rinvia al box sotto.

 

La riorganizzazione delle forze armate e di sicurezza afghane

 

 Il comunicato finale della Conferenza di Londra ha apprezzato i progressi compiuti nell’organizzazione delle Forze di sicurezza afghane e l’impegno del governo afghano di far assumere all’esercito nazionale afghano e alla polizia nazionale afghana la capacità di guidare e condurre la maggioranza delle operazioni nelle aree insicure dell’Afghanistan entro tre anni e di assumere la responsabilità per il mantenimento della sicurezza nel paese entro cinque anni. Gli Stati e le organizzazioni internazionali partecipanti si sono anche impegnate a garantire il necessario supporto al raggiungimento dell’obiettivo di incrementare, entro l’ottobre 2011, l’esercito nazionale afghano fino 171.600 unità e la polizia nazionale afghana a 134.000 unità.

Fonti NATO indicano, al 22 dicembre 2009, la consistenza dell’esercito nazionale afghano in 100.130 unità. L’esercito dispone di truppe capaci di pianificare ed eseguire operazioni a livello di battaglione senza supporto esterno. In particolare, in simili operazioni possono essere impiegati 26 battaglioni, due quartier generali di corpi d’armata, 8 quartier generali di brigata, 7 unità di supporto alle guarnigioni, 2 quartier generali speciali di supporto alle brigate di sicurezza della città di Kabul.

Dal 2008 è attiva anche l’aviazione afghana che vede impiegate 2.876 uomini e donne, con una flotta di 46 aerei (l’obiettivo è di raggiungere entro il 2016 un personale di oltre 8000 unità con una flotta di 152 aerei.

A partire dall’agosto 2008 l’esercito nazionale afghano si sta gradualmente assumendo la responsabilità per la sicurezza nella provincia di Kabul.

Sempre fonti NATO, indicano, alla fine di dicembre 2009, in 96830 unità gli effettivi della polizia nazionale afghana (con 7650 unità attualmente in addestramento). Degli effettivi 12.800 sono impegnati nella polizia di confine, 3431 nelle forze di ordine pubblico interno (recentemente ridenominate “Gendarmeria” e 2695 nella polizia antinarcotici.

 

 

Nel febbraio del 2010 le truppe ISAF e quelle afghane sono state impiegate in un’importante operazione militare, l’operazione Moshtarak. Al riguardo, si rinvia al box sotto.

 

L’operazione moshTArak

 

Il 13 febbraio 2010 è iniziata la più vasta offensiva della coalizione internazionale dal 2001, con il coinvolgimento anche dell’esercito afghano: l’operazione “moshtarak” (in lingua dari “insieme”). Obiettivo dell’operazione sono state le roccaforti talebane di Marjah e di Nad Ali localizzate nella provincia di Helmand, nel sud dell’Afghanistan.

Fonti nato indicano in 15.000 unità l’entità delle forze della coalizione ed afghane coinvolte.

In particolare sono state impiegate:

-  cinque brigate afghane, con il coinvolgimento dell’esercito nazionale afghano e della polizia nazionale afghana (in particolare della polizia di confine e della gendarmeria afghana).

-  forze del comando regionale meridionale di Isaf appartenenti ai contingenti degli Usa, del Regno Unito, della Danimarca, dell’Estonia e del Canada.

La resistenza talebana è stata inizialmente debole, quindi più forte. l’operazione è stata dichiarata comunque conclusa da un portavoce del ministero dell’interno afghano il 4 marzo 2010, con la caduta di marjah nelle mani delle forze della coalizione e la bonifica di parti del distretto di nad ali.

Si sono registrate vittime civili nelle zone interessate dall’operazione. fonti della missione ONU in Afghanistan indicano in 27.770 i civili che hanno dovuto abbandonare le loro abitazioni nella provincia di Helmand a causa dei combattimenti.

 

 

ISAF comprende attualmente circa 89.480 militari appartenenti a contingenti di 44 Paesi. Il contributo maggiore è fornito dagli Stati Uniti (50.590 unità), seguiti dal Regno Unito (9.500), dalla Germania (4.335), dalla Francia (3.750), dal Canada (2.830), dall’Italia (3.191), dalla Polonia (2.140) e dall’Olanda (1880).

 

I dati sono ripresi dal sito della NATO (www.nato.int), fatta eccezione per quelli relativi alla partecipazione italiana che sono ripresi dalla nota aggiuntiva al bilancio del Ministero della difesa presentata al Parlamento il 30 settembre 2009. Rispetto a tale dato (che indica le truppe effettivamente presenti sul terreno), da ultimo la relazione tecnica al decreto-legge n. 1 del 2010 indica, in coerenza con le autorizzazioni di spesa del provvedimento, un quantitativo di truppe impiegate complessivamente nelle missioni ISAF ed EUPOL in Afghanistan di 3451 unità.

 

Di seguito si fornisce il quadro completo dei diversi contingenti nazionali di ISAF, e la loro dislocazione sul terreno (fonte: NATO):

 


 

Di seguito è invece fornito un confronto nell’evoluzione della partecipazione dei principali contingenti nazionali alla missione ISAF:

 

Contingente missione ISAF in Afghanistan

data

29/1/2007

6/2/2008

12/1/2009

5/3/2010

Paesi

37

40

41

44

Totale militari

di cui

35.460

43.250

55.100

89.480

USA

14.000

15.000

23.220

50.590

Regno Unito

5.200

7.800

8.910

9.500

Germania

3.000

3.210

3.405

4.335

Francia

1.000

1.515

2.890

3.750

Italia

1.950

2.880

2.350

3.160

Canada

2.500

2.500

2.830

2.830

Polonia

160

1.100

1.590

2.140

Olanda

2.200

1.650

1.770

1.880

Turchia

800

675

800

1.835

Australia

500

1.070

1.090

1.550

Spagna

550

740

780

1.075

 

 

 

Merita segnalare che la prosecuzione della partecipazione ad ISAF ha provocato una crisi politica in Olanda. Con una mozione approvata dal parlamento olandese nell’ottobre 2009, infatti la data del ritiro delle truppe di quel paese è stato fissato per l’agosto 2010; la NATO ha quindi richiesto il prolungamento della missione per un altro anno. Questa richiesta ha visto, all’interno del governo olandese, favorevoli i cristiano-democratici del primo ministro Balkenende ma contrari i laburisti. Si è quindi aperta una crisi di governo che condurrà il paese ad elezioni anticipate nel prossimo giugno.

 

Il contributo italiano ad ISAF

La partecipazione italiana, iniziata il 10 gennaio 2002, è inizialmente consistita in un contingente di 450 unità, di cui 400 militari dell’Esercito a Kabul e 50 unità dell’Aeronautica, con compiti di supporto, di stanza ad Abu Dhabi (negli Emirati Arabi).

L’Italia ha assunto, dal giugno 2005, il compito di coordinare la FSB di Herat ed i PRT della regione ovest del Paese (che comprende le province di Farah, Badghis e Ghor, oltre a quella omonima di Herat). L’impegno italiano, accresciuto in questa fase da 600 a 2.000 unità, è stato ulteriormente rafforzato anche in vista dell'assunzione del comando ISAF, che è stato ricoperto dall’Italia dal 4 agosto 2005 al 4 maggio 2006.

Il 2 aprile 2007 il Consiglio supremo di difesa ha fornito concrete indicazioni per un rafforzamento in uomini e mezzi del contingente militare italiano in Afghanistan, quale attuazione dell’impegno assunto dall’Esecutivo in Parlamento, senza mutamenti nel carattere della missione, ma in previsione di una sua durata non breve e di maggiori pericoli potenziali. L’operazione è stata completata nel giugno successivo, con l’arrivo di due velivoli UAV Predator, di cinque elicotteri da combattimento A-129 Mangusta e due plotoni di bersaglieri con otto cingolati Dardo.

In seguito, la componente aerea del contingente è stata rafforzata con la dotazione dei velivoli senza pilota Predator (da giugno 2007), da ricognizione e sorveglianza e degli elicotteri A129 Mangusta (da giugno 2007), per il supporto aereo e successivamente, da dicembre 2008, dei velivoli Tornado (sostituiti dai caccia AMX nel dicembre 2009), per assicurare al contingente nazionale un maggior livello di sicurezza e protezione.

Come già sopra ricordato, la nota aggiuntiva al bilancio di previsione del Ministero della difesa presentata il 30 settembre 2009 indica l’impiego di un contingente effettivo di 3.191 unità. Successivamente il Consiglio dei ministri, nella riunione del 3 dicembre 2009 ha deciso un incremento di 1.000 unità del contingente impegnato in Afghanistan, da attuare con gradualità e con una maggiore incidenza nella seconda parte dell’anno (sul punto si vedano le comunicazioni dei ministri degli esteri e della difesa alle Commissioni riunite Esteri e Difesa di Camera e Senato del 10 dicembre 2009, nella sezione “Attività parlamentare”). Come già ricordato, da ultimo la relazione tecnica al decreto-legge n. 1 del 2010 indica, in coerenza con le autorizzazioni di spesa recate dal provvedimento, un quantitativo di truppe impiegate complessivamente nelle missioni ISAF ed EUPOL in Afghanistan di 3.451 unità.

La missione italiana ha fin qui principalmente interessato le aree di Kabul e di Herat. Al riguardo si segnala che:

Ø      nell’area di Kabul, il 30 ottobre 2009, la missione del contingente italiano a Kabul denominata “ITALFOR XX” è ufficialmente terminata, con il passaggio di consegne al contingente turco.

Ø      nell’area di Herat, il contingente italiano ha la responsabilità del Regional Command West (RC-W), ampia regione dell'Afghanistan Occidentale (pari al Nord Italia) che si estende dal Capoluogo Herat fino a toccare la Provincia di Farah. L’ossatura principale di RC-W è costituita dal personale proveniente dalla Brigata meccanizzata "Sassari", anche se è presente un significativo contributo di uomini e mezzi della Marina Militare, dell’Aeronautica, dei Carabinieri e della guardia di Finanza[7].

 

Durante la missione ISAF hanno perso la vita ventidue militari italiani, di cui 14 in seguito ad attentati o conflitti armati. 6 militari sono deceduti, il 17 settembre 2009, in seguito all’attentato ad un convoglio militare italiano a Kabul.

Il contingente italiano è stato da ultimo oggetto, nei primi giorni di gennaio 2010, di ripetuti attacchi da parte di consistenti nuclei di insorti con colpi di arma da fuoco, mitragliatrici pesanti e razzi controcarro nel corso di attività di consolidamento di avamposti strategici nei pressi di Bala Morghab. Gli scontri, che hanno visto in particolare impegnata la brigata Sassari, si sono conclusi con la neutralizzazione della minaccia, senza perdite tra i militari della coalizione, tra le forze di sicurezza afghane e tra la popolazione civile[8]

 

 

I caveat per l’impiego del contingente italiano in operazioni militari

 

Durante le comunicazioni sugli sviluppi relativi alle missioni internazionali, che sono state svolte nella seduta delle Commissioni riunite Esteri e Difesa della Camera e del Senato l’11 giugno 2008, i Ministri degli affari esteri e della difesa hanno riferito in merito alle modifiche dei cosiddetti caveat[9] per la missione ISAF in Afghanistan.

Il Ministro degli esteri Frattini ha richiamato il Vertice NATO di Bucarest (2-4 aprile 2008), che ha deciso di rafforzare il sostegno militare e politico all'ISAF, considerando la riflessione sui caveat come lo sviluppo di tale decisione.

Il Ministro della difesa La Russa ha precisato che le non esiste “alcuna limitazione all'utilizzo del nostro contingente nelle regioni ovest, nord e della capitale: lì il dispiegamento è già autorizzato. Nelle regioni est e sud, invece, a differenza di molte altre nazioni che operano nel contingente, il nostro contingente può essere dislocato solo per operazioni di eccezionale necessità e urgenza, senza bisogno di alcuna autorizzazione politica, per una scelta che può fare direttamente il comandante della missione. Si tratta di quelle che vengono definite in gergo in extremis operation”.

Qualora “in queste regioni, il comando ISAF, per specifiche e limitate operazioni in tempi ben definiti, chieda che il nostro contingente venga dispiegato” La Russa ricordava che, fino a quel momento, “il caveat prevede che si possa fare, purché ci sia l'ok delle autorità italiane. Il tempo che gli italiani si sono riservati per dare una risposta è di 72 ore” precisando che in “sostanza, non si è mai verificata, fino ad ora, una utilizzazione in questa direzione.”

Il Ministro sottolineava che, invece, “nell'ipotesi in cui ne avessimo bisogno, non avendo gli altri questi caveat, otterremmo in tempi immediati la disponibilità da parte di altri, sempre su richiesta del comando dell'ISAF” e che pertanto era necessario “che la risposta deve arrivare in tempi brevissimi: entro 6 ore anziché entro 72 ore.“

La Russa puntualizzava che “questa variante non deve portare a preoccupazioni in ordine ad un eventuale nuovo utilizzo del contingente (…)” e che “l'eventuale uso della forza da parte dei nostri militari avviene unicamente in funzione delle circostanze e in misura proporzionale alla situazione, nel rispetto del diritto internazionale, delle norme e degli usi sui conflitti armati, nonché delle leggi e dei regolamenti nazionali e in coerenza con quelli delle forze cooperanti. Non modificheremo assolutamente nulla della qualità di impiego dei nostri soldati.”

Il Ministro della difesa ammetteva “che da più parti, in via formale o informale, è pervenuta la richiesta di (…) poter già considerare disponibili all'impiego in altri quadranti i nostri soldati” ma che il Governo italiano aveva unicamente “modificato il termine temporale all'interno del caveat” e non “consentito che si aprisse una discussione su «caveat sì» o «caveat no».”

Il Ministro La Russa riconosceva infine che, con questa modifica, potrebbe “anche capitare che (…) avremo un effettivo maggiore impiego dei nostri soldati. D'altronde, non avremmo potuto evitarlo neanche con l'attuale previsione di 72 ore (…) perché da parte nostra sarebbe stato strano, a seguito di una richiesta urgente, aspettare 72 ore per rispondere.”

 

Per informazioni più specifiche sull’attività del contingente italiano di ISAF si rinvia alla scheda predisposta dal Ministero della difesa inclusa nel presente dossier.

 

Per informazioni più specifiche sull’attività del contingente italiano di ISAF si rinvia alla scheda predisposta dal Ministero della difesa inclusa nel presente dossier.

 

La missione “EUPOL Afghanistan”

Nel quadro del processo di riforma della polizia afgana, il Consiglio dell’Unione europea ha predisposto, con l’azione comune 2007/369/PESC del 30 maggio 2007, un’attività di pianificazione connessa alla iniziativa PESD denominata European Police Afghanistan (EUPOL AFGHANISTAN).

La missione ha il compito di favorire lo sviluppo di una struttura di sicurezza afgana sostenibile ed efficace, in conformità agli standard internazionali. Tale iniziativa è finalizzata allo svolgimento delle attività di monitoring, training, advising e mentoring a favore del personale afgano destinato alle unità dell’Afghan National Police (ANP), e dell’Afghan Border Police (ABP). Essa prevede, per l’Italia, lo schieramento di uomini dell’Arma dei Carabinieri e della Guardia di Finanza. Attualmente sono presenti 12 carabinieri e 4 unità della Guardia di finanza.

La missione ha sede a Kabul (organismo di direzione) ed è previsto che operi a livello sia regionale (presso i 5 Comandi regionali della Polizia nazionale afgana) sia provinciale (presso i PRT).

Nel corso della riunione del Consiglio UE affari generali e relazioni esterne, tenutasi a Bruxelles il 26 maggio 2008, i ministri degli Esteri dei ventisette Paesi hanno deciso di raddoppiare da 200 a 400 il numero degli effettivi della missione.

 

Il contributo italiano ad EUPOL

In base alla nota aggiuntiva al bilancio di previsione del Ministero della difesa presentata al Parlamento il 30 settembre 2009 il contributo italiano alla missione EUPOL ammonta attualmente a 23 militari dell’Arma dei carabinieri e della Guardia di finanza. Per ulteriori elementi in ordine all’attività del contingente italiano di EUPOL Afghanistan si rinvia alla scheda predisposta dal Ministero della difesa inclusa nel presente dossier.

Rapporti tra l’Unione europea e l’Afghanistan
(a cura dell’Ufficio rapporti con l’Unione europea)

L’Unione europea e il Governo della Repubblica islamica di Afghanistan sono impegnati a raggiungere l’obiettivo di un Afghanistan sicuro, libero, prospero e democratico.

Le basi della cooperazione tra UE e Afghanistan sono state fissate il 16 novembre 2005 con la firma di una dichiarazione congiunta sul partenariato euro-afgano. La dichiarazione traccia le linee di una cooperazione rafforzata in molte aree, tra le quali governance politica ed economica; riforma del sistema giudiziario e di sicurezza; lotta alle droghe; sviluppo; diritti umani; società civile e ritorno dei rifugiati; istruzione e cultura. Viene anche formalizzato un dialogo politico regolare, con incontri annuali a livello ministeriale per discutere i temi di interesse comune. La firma della dichiarazione congiunta rappresenta un’ulteriore conferma del forte impegno dell’UE a sostegno del processo di stabilizzazione in corso nel paese.

In particolare per quanto riguarda la lotta alla droga, si ricorda che nel contesto della Strategia per la dimensione esterna dello spazio di sicurezza, libertà e giustizia, inaugurata dall’UE nel dicembre 2005, è prevista tra le altre un’azione orientata rivolta a combattere la produzione e il traffico di droga in Afghanistan.

Nella delicata situazione venutasi a determinare dopo le elezioni presidenziali di agosto 2009, l’UE ha deciso di rafforzare il proprio impegno verso il paese e verso la regione,adottando il 27 ottobre 2009, nel corso della riunione del Consiglio affari esteri, un piano d’azione per l’Afghanistan e il Pakistan che, sulla base di una revisione delle esigenze, è inteso a razionalizzare l’approccio europeo e a identificare le politiche prioritarie, d’intesa con i governi locali.

In particolare, per quanto riguarda l’Afghanistan l'UE si prefigge di:

-         rafforzare le istituzioni afghane. L’UE metterà a disposizione la sua esperienza per rafforzare le deboli strutture di governo locale e le capacità della pubblica amministrazione e per consolidare il quadro elettorale e le istituzioni democratiche;

-         rafforzare lo stato di diritto, ad esempio aiutando il governo afghano a migliorare i quadri giuridico ed istituzionale e sostenendo le iniziative di sensibilizzazione promosse dalla società civile e dai media in materia di lotta alla corruzione. L’UE appoggerà gli sforzi spiegati dall’Afghanistan per ridurre la coltivazione e produzione illegali di sostanze stupefacenti, attraverso programmi in materia di applicazione della legge, sanità pubblica e sviluppo rurale. La priorità accordata dalla missione EUPOL (vedi infra) alle attività di polizia civile è ritenuta di estrema importanza nel contesto afghano; la costituzione di una forza di polizia civile è infatti parte integrante dello sviluppo e del funzionamento di uno stato di diritto. L’UE porrà dunque l’accento sulla razionalizzazione degli sforzi, privilegiando il rafforzamento del coordinamento tra EUPOL e i programmi bilaterali degli Stati membri. L’UE intende inoltre svolgere un ruolo chiave nella riforma del settore della giustizia, appoggiando anche l'attuazione del programma nazionale per la giustizia. La strategia UE in materia di diritti umani in Afghanistan sarà attuata integralmente. L’UE e gli Stati membri accorderanno inoltre un sostegno vigoroso allo sviluppo delle capacità della società civile afghana affinché essa possa avere un approccio più strategico e coordinato, incentrato sull'interazione con il Parlamento, ed essere maggiormente n grado di fare pressione sul governo afgano in materia di democrazia e diritti umani;

-         promuovere la crescita mediante lo sviluppo agricolo e rurale. Secondo l’UE lo sviluppo agricolo e rurale resta uno degli strumenti principali per migliorare le condizioni di vita, eradicare la povertà e stimolare la ripresa economica, come pure per creare una governance a livello locale. Per approfondire ulteriormente il proprio impegno, l'UE fornirà assistenza al governo afghano in vista dell'elaborazione di politiche e programmi globali per questo settore, finalizzati, tra l'altro, allo sviluppo di mezzi di sostentamento alternativi. I regimi di microcredito destinati a fare del settore privato afghano il motore della crescita e della creazione di posti di lavoro nel settore agricolo dovranno essere sostenuti. Secondo l’UE la promozione degli scambi commerciali rappresenta un aspetto importante dello sviluppo agricolo;

-         rafforzare l'efficacia della presenza e delle attività dell'UE in Afghanistan. Per allineare e coordinare maggiormente gli sforzi della Comunità e degli Stati membri, l'UE si adopererà per avere un'unica rappresentanza a Kabul, che riunisca i ruoli del Rappresentante speciale dell’UE e del capo della delegazione della Commissione europea (vedi infra). Adotterà inoltre iniziative per migliorare il suo allineamento e coordinamento interno e la sua capacità di "parlare con un'unica voce" nell'ambito dei meccanismi di coordinamento dei donatori. Laddove appropriato e fattibile, l'UE dovrebbe sforzarsi di far giungere la sua assistenza quanto più possibile attraverso i canali del governo afghano, accrescendone la capacità di gestire il sostegno diretto dei donatori al bilancio statale;

-         proseguire l’assistenza umanitaria. L'UE continuerà a fornire assistenza umanitaria ai rimpatriati, agli sfollati interni, alle comunità che vivono in condizioni di insicurezza e agli altri gruppi vulnerabili, compresi quelli colpiti da calamità naturali. L'UE sottolinea la necessità di garantire il pieno rispetto del diritto internazionale umanitario in una situazione in cui lo spazio umanitario si sta sempre più restringendo.

L’impegno dell’UE nei confronti del paese è stato rinnovato anche dal Consiglio europeo del dicembre 2009, che nelle sue conclusioni, sottolinea la disponibilità dell'UE ad appoggiare l’amministrazione afghana nell'attuazione dei suoi impegni, enumerati nei cinque settori chiave del suo discorso inaugurale: sicurezza, governance e lotta alla corruzione, sviluppo economico, compresa l'agricoltura, pace e riconciliazione, cooperazione regionale. Ciò richiede, secondo il Consiglio europeo, il coordinamento stretto e strategico degli sforzi internazionali, sotto la guida dell'UNAMA. L'Unione europea è dunque pronta a cooperare da vicino con l'Afghanistan, gli Stati Uniti, i partner regionali e altri nella comunità internazionale per raccogliere le sfide che si pongono in Afghanistan.

Si segnala inoltre che a partire dal dicembre 2001 ha operato nel paese il Rappresentante speciale dell’UE per l’Afghanistan, trasformato dal giugno 2009 in Rappresentante speciale dell’Unione europea per l’Afghanistan e il Pakistan. Dal 24 luglio 2008 – e fino al 31 marzo 2010 - l’incarico è ricoperto dall’italiano Ettore Francesco Sequi[10]. Egli ha il mandato di farsi portavoce della posizione dell'UE sul processo politico in Afghanistan e Pakistan, mantenere uno stretto contatto con le istituzioni rappresentative afghane e pakistane, mantenersi in stretto contatto con i paesi limitrofi ed altri paesi interessati della regione e con le organizzazioni interessate a livello internazionale e regionale.

L’Unione europea è inoltre presente nel paese a partire dal giugno 2007 con la missione civile PESD EUPOL istituita con l’azione comune 2007/369/PESC per la durata di tre anni. La missione intende contribuire alla formazione, in Afghanistan, di un servizio di polizia efficiente, che operi nel rispetto del diritto e in accordo con gli standard internazionali e che sia in grado di rispondere al bisogno di sicurezza dei cittadini. A tal fine essa coinvolge oltre 400 persone, per la maggior parte esperti nei settori del diritto, dell’attività di polizia e della giustizia, con compiti di formazione e consulenza, dislocati a livello centrale, regionale e provinciale.

Nelle sue conclusioni del 17 novembre 2009, il Consiglio ha ribadito la determinazione a contribuire in modo significativo alla riforma della polizia afghana: il rafforzamento della polizia afghana e dello stato di diritto ha infatti un'importanza cruciale per la promozione della stabilità e della sicurezza nel paese. Il Consiglio ha sottolineato che il ruolo distintivo della missione EUPOL nell'offrire competenze in materia di polizia civile è fondamentale per garantire la sostenibilità delle riforme nel settore della polizia in Afghanistan e ha riconosciuto l'importanza di una stretta collaborazione tra gli attori sul terreno. Il Consiglio ha inoltre espresso soddisfazione per il consolidamento delle priorità strategiche di EUPOL attorno a sei obiettivi, ossia: attività di polizia fondate sull'intelligence, catena di comando, controllo e comunicazione nel settore della polizia, indagini penali, lotta alla corruzione, collegamenti tra polizia e procuratori e diritti umani e integrazione di genere all'interno della polizia afghana. Il Consiglio ha inoltre preso atto con soddisfazione dei costanti progressi compiuti dalla missione sul piano strategico, operativo e tattico.

L’Unione europea è infine uno dei principali donatori del paese. Tra il 2002 e il 2006 ha messo a disposizione dell’Afghanistan 1,4 miliardi di euro, raggiungendo un importo superiore rispetto agli impegni assunti in occasione della Conferenza internazionale per l’assistenza alla ricostruzione dell’Afghanistan tenutasi a Tokio nel gennaio 2002. Tali risorse sono state destinate - oltre che agli aiuti umanitari – al sostegno alla riforma della pubblica amministrazione e allo sviluppo rurale.

Per quanto riguarda il periodo 2007-2013, allo scopo di massimizzare i benefici dell’assistenza fornita dall’UE, il documento strategico predisposto dalla Commissione in accordo con il governo afgano stabilisce di concentrare le risorse (1.050 milioni di euro per l’intero periodo) in sei aree, di cui tre prioritarie, cui va quasi il 90 per cento delle risorse (sviluppo rurale, salute e governance) e tre non prioritarie (protezione sociale, sminamento e cooperazione regionale). In vista del rafforzamento dell’impegno dell’UE verso il paese, il 5 ottobre scorso la Commissione ha pubblicato il libro blu L’UE e l’Afghanistan in cui dà conto dei contributi forniti dalla Commissione e dagli Stati membri nell’assistenza allo sviluppo del paese. L’obiettivo finale è quello di migliorare l’efficacia degli aiuti e il coordinamento fra i donatori.

Secondo il libro blu della Commissione, l’Italia è fra i dieci maggiori donatori dell’Afghanistan, con un contributo di 430 milioni di euro fra il 2001 e il 2008, destinati in particolar modo al settore della giustizia.

L’Unione europea ha inoltre assistito il paese nel corso del processo elettorale del 2009 attraverso un contributo di 35 milioni di euro al Fondo di sostegno elettorale ONU (ELECT) e una missione di osservazione elettorale, con il compito di condurre una valutazione complessiva del processo elettorale e di valutarne la compatibilità con gli standard internazionali e la normativa locale.

In una dichiarazione rilasciata l’8 settembre 2009, la missione dell’UE esprime la propria preoccupazione per l’ampio numero di irregolarità notificate dalla Commissione per i reclami elettorali (ECC), relative alle elezioni presidenziali del 20 agosto. Come riportato nella dichiarazione, i risultati delle osservazioni della missione UE confermano la diffusione su larga scala della pratica del ballot stuffing (più schede nelle urne rispetto ai votanti effettivi); inoltre, nonostante le previsioni normative per il rilevamento delle frodi e le procedure approvate dalla Commissione elettorale indipendente (IEC), centinaia di migliaia di voti fraudolenti sarebbero stati accettati dal centro di conteggio e inclusi tra i risultati ufficiali preliminari pubblicati sul sito dell’IEC.

Analizzando tali risultati parziali, la missione dell’UE ha rilevato, in particolare, che su un totale di 18.877 seggi scrutinati al 6 settembre, in ben 2.451 oltre il 90% dei voti (pari a 566.076) sono stati espressi nei confronti di un singolo candidato, mentre in 214 seggi il numero dei voti espressi eccede quello dei votanti assegnati al seggio.

Il 16 dicembre 2009, in occasione della presentazione del rapporto finale della missione di osservazione elettorale, la Presidenza ha rilasciato una dichiarazione a nome dell'Unione europea in cui sollecita un processo di valutazione sotto la guida degli Afghani, basato sulle esperienze tratte da queste e da precedenti elezioni, con l'obiettivo specifico di apportare i necessari miglioramenti al sistema elettorale prima dello svolgimento delle elezioni politiche e dei consigli distrettuali. Secondo l’UE questi sforzi dovrebbero essere avviati senza indugio, avere ampia portata ed essere trasparenti, e coinvolgere rappresentanti del Parlamento e della società civile ed altri attori politici. L'Unione europea condivide le principali conclusioni della missione di osservazione elettorale, tra cui la necessità di salvaguardare l'indipendenza della commissione elettorale indipendente (IEC), l'efficienza della commissione elettorale per i reclami (ECC) e un quadro per l'individuazione e la limitazione delle frodi, l'attuazione della legge sui media, l'accuratezza dei registri elettorali e un sistema affidabile di controllo delle candidature.

 

 

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


La situazione in Afghanistan

 


Afghanistan: Scheda – paese politico parlamentare
(a cura del Dipartimento Affari Esteri)

Il quadro istituzionale

L’Afghanistan è una Repubblica Islamica. Vige un sistema legale misto fondato sulla sharia e sulla  legge civile.

L’attuale Capo di Stato della Repubblica afgana è Hamid Karzai, (eletto durante le elezioni del dicembre 2004 e riconfermato nell’agosto 2009 in quanto unico candidato di un ipotetico ballottaggio con il rivale Abdullah Abdullah), che esercita anche la funzione di Capo di governo. Il Presidente e i suoi due vice sono eletti a suffragio universale a partire dall’età di 18 anni. Fa parte dell’apparato esecutivo anche un Consiglio dei Ministri, i cui membri, sulla base della nuova Costituzione (ratificata il 26 gennaio 2004), sono nominati dal Presidente e approvati dall’Assemblea Nazionale. Il potere legislativo è esercitato dall’Assemblea Nazionale bicamerale, costituita dalla House of Elders (Meshrano Jirga) e dalla House of People (Wolesi Jirga). I 102 membri della House of Elders sono nominati per 1/3 da consigli provinciali, per 1/3 da consigli locali, per 1/3 dal Presidente e restano in carica 4 anni. I componenti della House of People (che non possono essere più di 249), sono invece eletti in modo diretto da tutti i cittadini che abbiano compiuto i 18 anni di età, con un mandato di 5 anni; il sistema elettorale è proporzionale.

In particolari situazioni, su temi quali la politica estera, le dichiarazioni di guerra, la legittimazione del governo o l'introduzione di nuove politiche, il governo può convocare un Gran Consiglio (Loya Jirga)che ha la facoltà di emendare disposizioni della costituzione e perseguire il Presidente; comprende a vario titolo leader tribali o regionali, figure politiche, militari e religiose, membri della famiglia reale, funzionari del governo.

 

La situazione politica interna

Le elezioni presidenziali e di 24 Consigli provinciali del 20 agosto 2009 si sono svolte in un clima crescente di tensioni e di polemiche. L’aggravarsi del distacco tra popolazione e politica che ha comportato il basso tasso di partecipazione al voto e il peggioramento della situazione della sicurezza interna hanno in parte ridimensionato la funzione di stabilizzazione che tali elezioni avrebbero potuto giocare. La campagna elettorale è stata macchiata da una intensa azione di boicottaggio condotta dai talebani e da altri gruppi armati anti-governativi tramite attacchi e intimidazioni, che hanno avuto il loro culmine proprio durante il giorno delle votazioni. L’esito dello spoglio delle schede elettorali ha confermato le previsioni dei sondaggi preelettorali che davano per favorito Hamid Karzai, il primo presidente democraticamente eletto del paese nelle elezioni dell’ottobre 2004. La vittoria del leader pastun si pensava fosse avvenuta al primo turno grazie al superamento della soglia  del 50% più uno dei voti (54,6%), contro solo il 27,8% dell’ex ministro degli esteri Abdullah Abdullah, suo principale avversario.

A causa di accuse di brogli generalizzati, la proclamazione del vincitore da parte della Commissione elettorale indipendente afghana (IEC) è stata seguita da un riconteggio del 10% dei voti da parte della Electoral Complaints Commission, organismo creato appositamente  per tutelare la regolarità del voto. Gli osservatori sia stranieri sia interni denunciavano il rilascio di circa 17 milioni di “voter registration cards”, circa tre milioni in più degli aventi diritto e del loro acquistoper cercare di aggirare le misure adottate per evitare brogli. Il risultato del riconteggio aveva attribuito a Karzai un numero di voti inferiore a quello necessario per il superamento della soglia del 50% più uno, rendendo necessario lo svolgimento del ballottaggio, ma il ritiro dalla competizione di Abdhullh Abdullah ha comportato il 2 novembre la proclamazione ufficiale della vittoria di Karzai.

L’Afghanistan è una società tradizionale e tribale in cui gli elettori votano in blocchi, facendo confluire le proprie preferenze sul candidato che mostri interesse a far valere i loro interessi. Molto importanti per la vittoria di Karzai sono stati la conduzione di una politica di accordi per sfavorire i possibili rivali all’interno dell’etnia pashtun, il controllo dei mezzi di informazione pubblici, la mobilitazione dei responsabili locali di province e distretti, ma anche delle strutture di potere tribale ancora molto influenti in questo paese, come gli anziani, malik, shure.

Il secondo mandato di Karzai ha come obiettivi quello di garantire una riconciliazione nazionale attraverso una progressiva assunzione di responsabilità del paese per la sicurezza nazionale e quello di combattere la crescente corruzione per porre fine alla violazione delle leggi e all’ impunità.

Il processo di nomina dei ministri per la costituzione del governo ha registrato numerose difficoltà. Dopo la triplice richiesta di rinvio dell’approvazione dei 25 ministri proposti dal presidente da parte del parlamento, la lista dei ministri è stata presentata il 19 dicembre 2009. Il Parlamento ha approvato il 2 gennaio 2010 solamente 7nominativi, corrispondenti ai titolari dei Dicasteri principali.

Il leader Karzai ha firmato due giorni dopo un decreto di sospensione della normale chiusura invernale del Parlamento e nei giorni successivi ha presentato una lista di 17 nuovi nominativi in linea con il numero di nomine respinte. Nonostante pochi giorni fa il Parlamento abbia di nuovo respinto 10 dei 17 nominativi, Karzai ha ottenuto il via libera per alcuni importanti Dicasteri, come gli Esteri, la Giustizia e l’Economia.

Il primo dicembre Barack Obama, in un discorso tenutosi davanti ai cadetti dell’Accademia militare di West Point, ha presentato la nuova strategia militare per Afghanistan e Pakistan che consiste nell’invio di 30 mila ulteriori soldati statunitensi e il loro graduale ritiro a partire dal luglio 2011.

Questa stessa strategia è stata il punto di partenza delle discussioni svoltesi il 28 gennaio 2010 nell’ambito della Conferenza internazionale di Londra a cui hanno partecipato più di 70 paesi, rappresentanti delle Nazioni Unite, della Banca Mondiale, del Fondo Monetario Internazionale e di numerose Organizzazioni Governative. Nel corso delle discussioni è emersa la volontà di dare inizio ad un dialogo con le componenti talebane che accettino la condivisione del potere in cambio dell’abbandono delle armi, come già in precedenza aveva proposto Karzai.

Un ruolo di primo piano nella mediazione nei confronti dei talebani è stato affidato alla monarchia saudita, che ha peraltro escluso da ogni trattativa i talebani che fossero in diretto collegamento con Al Qaeda.

Questa nuova linea di cooperazione con i ribelli e un più efficiente sforzo di ricostruzione si spera possa migliorare alla stabilizzazione del paese.

L’obiettivo centrale della nuova strategia individuato nella riunione di Londra è quello di portare lo Stato afghano all’autosufficienza attraverso la garanzia della sicurezza necessaria al pieno esercizio della sovranità su tutto il territorio.

Sono stati chiariti anche i tempi e gli strumenti per il perseguimento di tale scopo: il raggiungimento di un sufficiente livello di sviluppo economico, di sicurezza e di buon governo dovrebbero permettere il passaggio di consegne dalla coalizione a guida statunitense al governo afghano.

Le fasi della nuova strategia americana dovrebbero essere precisate in una nuova conferenza che dovrebbe essere convocata a Kabul nel prossimo autunno. Oltre al ritiro delle truppe sono previsti anche altri strumenti: un trust fund di circa 500 milioni di dollariper finanziari i talebani moderati che desiderano distaccarsi da Al Qaeda, un maggiore aiuto umanitario e un maggiore coinvolgimento dei paesi della regione nella risoluzione della crisi.

Il presidente Karzai ha più volte manifestato l’intenzione di convocare una Loya Jirga, la tradizionale assemblea tribale afghana, cui sarebbero invitate a partecipare anche le componenti moderate del mondo talebano.

 


Recenti sviluppi del quadro politico afghano
(a cura del Dipartimento Affari esteri)

La situazione in Afghanistan è connotata dal 2008 da un ininterrotto peggioramento del quadro della sicurezza, che ha visto una sempre più aggressiva azione della guerriglia talebana, la moltiplicazione di attentati e scontri e l’aumento del numero delle vittime. La situazione si è ulteriormente deteriorata, nonostante la crescente presenza militare internazionale, tra gennaio e maggio del 2009, quando è stato rilevato un incremento del 60% rispetto all’anno precedente degli attacchi alle truppe straniere e governative, soprattutto nello Helmand, il cuore della produzione di oppio, ma anche a Kandahar, Kunar e Khost, confinanti con il Pakistan[11]. Il complesso delle forze antigovernative - un coacervo ben più ampio della sola rete dei talebani – non solo ha consolidato il proprio controllo nelle aree pashtun al sud e al sud-est ma ha anchedestabilizzato aree un tempo tranquille, a nord e a ovest del paese.

 

Nella Comunità internazionale, nel corso degli ultimi anni, si è andata sempre più consolidando la convinzione che per fare fronte alle criticità del quadro afghano non è sufficiente il solo intervento militare, peraltro indispensabile per il mantenimento delle condizioni di sicurezza, ma risulta necessario un approccio globale al problema.

Sul versante statunitense, il comprehensive approach alla questione afghano-pakistana postula ladistruzione di al Qaeda in Afghanistan e in Pakistan e punta a stabilizzare l’area da un lato incrementando la presenza militare in Afghanistan e intensificando le azioni contro gli insorgenti e, dall’altro, fornendo un maggior sostegno organizzativo e finanziario alla crescita civile dei due paesi.

Quanto alla NATO, il concetto di comprehensive approach, già promosso dalla NATO nel 2008, è stato ribadito dall’Alleanza atlantica nel Vertice di Strasburgo-Kehl (3-4 aprile 2009),dove i paesi membri hanno deciso, tra l’altro, di sostenere il rafforzamento delle istituzioni afghane inviando ulteriore personale militare e civile all’interno di nuove missioni istituite nell’ambito della missione ISAF.

 

Le elezioni presidenziali

Il 20 agosto 2009 in Afghanistan, in un contesto contrassegnatoda un’escalation di azioni violente nelle settimane precedenti il voto, si sono svolte le elezioni presidenziali e quelle per  il rinnovo dei 34 consigli provinciali[12].

I sondaggi pre-elettorali indicavano come favorito il presidente in carica Hamid Karzai, il leader pashtun già a capo del governo interinale e poi di quello provvisorio, e confermato alla presidenza dal voto del 2004[13].

 

Il lunghissimo spoglio delle schede elettorali, nel corso del quale si era andata sempre più chiaramente profilando la riconferma di Karzai al primo turno (per la quale era necessario il 50% più uno dei voti) è terminato il 17 settembre, quando la Commissione elettorale indipendente afghana (IEC) ha reso pubblico l’esito dello scrutinio della totalità dei seggi: lo scrutinio assegnava al presidente uscente Hamid Karzai il 54,6% dei voti (3.093.256 in cifra assoluta), all’ex Ministro degli esteri Abdullah Abdullah il 27,8% dei suffragi (1.571.581) e a Ramazan Bashardost il 9,19% con 520.627 voti. Ha votato il 38,7% degli afghani per un totale di 5.662.758 voti validi.

La diffusione di risultati dai quali discendeva la riconferma di Karzai al primo turno non rappresentava, tuttavia, la proclamazione ufficiale del vincitore in quanto, nel frattempo, era stato avviato il riconteggio dei voti in molti seggi a seguito di denunce di brogli, episodi di intimidazione e irregolarità da parte dei principali contendenti. Tale situazione trovava conferma anche nelle dichiarazioni degli osservatori dell’Unione europea che, per voce della vice responsabile della missione, Dimitra Ioannou, avevano indicato in circa 1,5 milioni i voti potenzialmente fraudolenti, e dunque da ricontrollare, tre quarti dei quali sarebbero stati a favore di Karzai. Il presidente, per parte sua, nel corso di una conferenza stampa tenuta il 18 settembre e ripresa da fonti di agenzia aveva smentito l’esistenza di ''frodi massicce'' affermando che ''i brogli, se ci sono stati, devono essere accertati e accertati equamente, senza prevenzioni''.

Nel frattempo, l’8 settembre, la ECC (Electoral Complaints Commission), organismo afghano preposto all’esame dei ricorsi connessi al procedimento elettorale, riformata proprio in vista delle presidenziali del 2009 (è presieduta dal canadese Grant Kippen e tre dei suoi cinque membri sono stati nominati dalle Nazioni Unite)[14], aveva reso noto di aver trovato prove convincenti di brogli nelle elezioni presidenziali. La ECC aveva pertanto ordinato, il 16 settembre, il riconteggio del 10% dei voti, riguardante circa 2.500 seggi, individuati sulla base diprecisi criteri[15]. La schermaglia sulle delicatissime conseguenze dell’esito del riconteggio dei voti ha visto coinvolti attori interni ed internazionali e la stessa individuazione di una metodologia condivisa - un controllo a campione delle schede sospette - è stata frutto di negoziazione tra i due organismi preposti al controllo del processo elettorale in Afghanistan, ECC e IEC.

Come è noto, il risultato del nuovo conteggio aveva attribuito a Karzai una percentuale di preferenze inferiore alla maggioranza assoluta e ciò aveva reso necessario il turno elettorale di ballottaggio tra i due più forti contendenti, Hamid Karzai e Abdullah Abdullah; la data di svolgimento del secondo turno, frutto anch’essa di non semplici negoziati, era stata individuata nel 7 novembre 2009. Ma dopo la decisione di Abdullah di ritirarsi dalla competizione elettorale, il 2 novembre la Commissione elettorale indipendente afghana ha proclamato Hamid Karzai vincitore delle elezioni del 20 agosto.

La prima reazione del mondo talebano alla conclusione della vicenda elettorale è stata diffusa il 3 novembre con un comunicato in cui, chiedendo alla nazione afghana di restare ''unita contro i nemici e la cospirazione'' e di lottare per la realizzazione di un governo islamico, i talebani affermavano che tutto era stato deciso a Washington per essere poi solo riportato in Afghanistan. Proprio al mondo talebano si è rivolto Karzai nel suo primo appello dopo la rielezione, chiedendo che vengano deposte le armi e che si partecipi al processo di pace nel paese.

Il tema centrale per tutta la Comunità internazionale della lotta alla corruzione ha fatto da sfondo a momenti di attrito tra le autorità di Kabul e le Nazioni Unite e si è ripresentato successivamente alla rielezione di Karzai[16]. Il 7 novembre il governo afghano aveva accusato il rappresentante ONU a Kabul, Kai Eide, di non aver agito ''come una autorità internazionale imparziale'' edi aver infranto “norme internazionalmente accettabili” avendo invitato Karzai a condurre “una vigorosa azione contro la corruzione”, pena la perdita del sostegno internazionale. Due giorni dopo l’Assemblea generale ha approvato all’unanimità una risoluzione non vincolante che, tra il resto, oltre a ribadire l’impegno del Palazzo di Vetro nella ricostruzione dell'Afghanistan e nella lotta ai talebani, chiede a Karzai di “stabilire un’amministrazione più efficace, onesta e trasparente, a livello locale, provinciale e nazionale, nella lotta contro la corruzione”. 

In quegli stessi giorni, a Kabul, il ministro dell'Interno afghano, Hanif Atmar, durante una conferenza in cui è apparso affiancato da alti ufficiali afghani, americani e britannici ha annunciato l’intenzione di costituire un’unità di polizia dedicata ad investigare sulla corruzione e a combattere un fenomeno diffuso tra i dirigenti di alto livello[17].

Il nuovo mandato di Hamid Karzai

Nel discorso pronunciato in occasione della cerimonia di insediamento, svoltasi il 19 novembre nel palazzo presidenziale di Kabul, Karzai ha mostrato di aver recepito, almeno nelle intenzioni, rilievi e critiche manifestati dalla Comunità internazionale per il sostanziale fallimento della sua precedente gestione. Karzai ha presentato un programma di governo per il prossimo quinquennio fitto di impegni e basato sul principio che “è un fatto riconosciuto che la sicurezza e la pace in Afghanistan non possono essere ottenute con la violenza e i combattimenti'', da cui deriva che “una politica di riconciliazione nazionale” è tra le priorità del futuro esecutivo.

Il presidente ha rivolto un invito a cooperare per la riconciliazione del paese a tutti i candidati delle presidenziali, e in particolare “a mio fratello Abdullah Abdullah” (che peraltro ha respinto a stretto giro l’invito, sostenendo che la proclamazione della vittoria di Karzai è illegittima), e ha annunciato la convocazione di una Loya Jirga, l’assemblea dei capi tribali. Tra gli obiettivi del suo mandato il presidente ha indicato il miglioramento delle relazioni con gli Usa, dei quali ha riconosciuto “i grandi sacrifici in vite umane e risorse” e la progressiva assunzione di responsabilità da parte afghana per la sicurezza del paese che “permetterà nei prossimi 5 anni il progressivo disimpegno delle forze internazionali”. In tema di buon governo e lotta alla corruzione Karzai, riconosciuta la necessità di “una lotta senza quartiere a questo fenomeno” si è impegnato a scegliere con attenzione persone dal profilo adeguato per mettere fine “alla cultura dell'impunita' e della violazione delle leggi”. I segnali di buona volontà, particolarmente forti nell’ammissione che il fenomeno della corruzione in Afghanistan ha raggiunto livelli impressionanti, hanno provocato a caldo reazioni positive negli ambienti diplomatici internazionali.Gli analisti hanno sottolineato che il successo di Karzai nella transizione verso la piena sovranità dell'Afghanistan dipenderà dalla capacità del capo dello Stato di ampliare il proprio consenso politico, aprendo il governo a quei settori che Karzai ha definito “compatrioti insoddisfatti che non sono direttamente legati al terrorismo” e che al momento collaborano con i talebani. Ipotesi, questa, non più categoricamente respinta ma anzi accettata da vari paesi membri della coalizione internazionale. Altro elemento ritenuto suscettibile di accelerare la distensione e permettere un progressivo disimpegno occidentale è lo sviluppo di una cooperazione regionale, che Karzai vede innanzitutto con il Pakistan, ma anche con India, Iran e con vari paesi arabi e islamici.

Gli osservatori hanno sottolineato che l'ipotesi dell'apertura di un dialogo con la componente talebana che accetti una qualche misura di condivisione del potere in cambio dell'abbandono delle armi è il fatto politicamente nuovo del secondo mandato di Karzai. A tale scopo il presidente afghano, come riferito da un portavoce il 22 novembre, potrebbe concretizzare l’intenzione, preannunciata nel discorso di insediamento, di invitare alcuni leader talebani a partecipare a una "Loya Jirga", un gran consiglio di capi tribali, per arrivare a una riconciliazione con i ribelli. Il portavoce ha spiegato, inoltre, che il governo esamina sia l’opzione di  convocare una Loya Jirga senza i ribelli, ma con un'ampia rappresentanza di afghani che possa discutere su come riconciliarsi con loro, sia quella di invitare alcuni talebani a partecipare. A tali aperture del governo sul delicato tema della riconciliazione nazionale dell'Afghanistan, devastato da oltre otto anni di conflitto militare, i talebani che riconoscono l'autorità del mullah Omar hanno risposto con un no a un negoziato che mira a prolungare la presenza militare “degli invasori sulla nostra amata terra'' . Nel tentativo di agevolare un dialogo partito totalmente in salita Karzai ha auspicato la rimozione dei nomi di alcuni leader talebani dalla “lista nera” del Consiglio di sicurezza dell'ONU; lo ha riferito l’agenzia di stampa afghana Pajhwok il 25 novembre citando l'esempio del mullah Mohammad Omar (che ha esplicitamente rifiutato l’offerta di dialogo del presidente Hamid Karzai) e del capo del movimento Hezb-i-Islami Afghanistan (Hia), Gulbadin Hekmatyar.

La nuova strategia americana per l’Afghanistan

Il 1° dicembre 2009, la nuova strategia per l’Afghanistan e il Pakistan è stata resa pubblica dal presidente degli Stati Uniti, Barak Obama in un discorso tenuto davanti ai cadetti dell’accademia militare di West Point. Il presidente ha annunciato l’invio di 30mila ulteriori soldati statunitensi, che saranno schierati sul fronte prima dell’estate 2010, e ha indicato il luglio 2011 come data di inizio di un graduale ritiro delle truppe Usa. Ai paesi alleati Obama ha chiesto di associarsi all’impegno americano. La nuova strategia statunitense si basa su due elementi, entrambi contrassegnati dal rilievo dato al fattore tempo: massiccio rafforzamento della presenza militare, come richiesto dai vertici militari, ma con tempi di dislocazione dei nuovi contingenti nel teatro di guerra più rapidi di quelli prefigurati dagli stessi militari, e con un’aspettativa di risultati (in definitiva, lo smantellamento di Al Qaeda) in tempi brevi; nuove pressioni sul governo dell’appena confermato presidente afghano Karzai, che è chiamato ad assolvere precisi compiti di sicurezza e stabilità – di cui Washington verificherà l’attuazione – a scadenze molto più ravvicinate rispetto ai cinque anni per il “progressivo disimpegno delle forze internazionali” indicato dal presidente afghano nel discorso, prima richiamato, di insediamento del 19 novembre 2009. Al  Pakistan, che con l’Afghanistan costituisce - sottolinea l’amministrazione americana – un’unica partita nella battaglia contro al Qaeda, Obama, in una lettera inviata al presidente Asif Ali Zardari, ha offerto una partnership strategica allargata, fondata su una più ampia cooperazione economica e militare e una più decisa mediazione per la soluzione dei contrasti con l’India, ma che esige, da parte di Islamabad, la rinuncia ad usare i gruppi estremisti per perseguire obiettivi politici.

   La strategia che Obama ha condiviso con i presidenti afghano Hamid Karzai (consultato in una lunga videoconferenza) e pakistano Ali Zardari mira a impedire il ritorno di al Qaeda in Afghanistan e a prevenire che i talebani rovescino il governo di Kabul. Come precisato dal Segretario alla difesa Robert Gates il nuovo approccio “non è un impegno senza fine a fare del paese un moderno Stato all’occidentale” ma, più modestamente punta a “sconfiggere Al Qaeda aumentando le capacità autonome degli afghani”.A Karzai, in particolare, Obama ha chiesto impegni precisi, tra cui l'istituzione di tribunali anti-corruzione. Le forze Usa saranno affiancate da unità specifiche dell'esercito afghano in un nuovo sforzo (i tentativi in questo senso sono sino ad ora falliti) di trasformare le forze locali in una entità combattente autonoma. Il piano prevede la prospettiva di una presenza ridotta di truppe Usa in Afghanistan per anni a venire, sul modello di quanto avvenuto in altri paesi come Germania, Giappone, Corea del Sud e Bosnia.

I costi militari diretti della nuova strategia in Afghanistan sono stati calcolati dalla Casa Bianca in 25-30 miliardi nell'anno fiscale 2010 che si chiude il prossimo ottobre.

La new strategy americana per l’Afghanistan[18] è il risultato di una riflessione interna all’Amministrazione e con gli alleati e di un dibattito negli Usa, dove l’opinione pubblica è nettamente divisa in due sulla possibilità di inviare nuove truppe, durati tre mesi. Come è noto, il rapporto del generale Stanley Mc Crystal che definiva “serious” la situazione in Afghanistan e invocava una nuova strategia, comprensiva di un forte incremento della consistenza del contingente militare (40.000 uomini) risale al 30 agosto; alternativa strategica al rapporto Mc Crystal  era il piano sostenuto dal vicepresidente Joseph Biden, incentrato sulla riduzione della presenza militare nel paese a fronte di  una concentrazione degli attacchi con droni e truppe speciali sulle bande islamiche che hanno base in territorio pachistano.

 

Infine nella riunione dei ministri degli esteri dei paesi appartenenti ad ISAF, svoltasi in ambito NATO il 4 dicembre, i ministri partecipanti hanno espresso, come risulta dalla dichiarazione conclusiva, il loro appoggio alle decisioni statunitensi e hanno salutato con favore “l’intenzione di altri Stati appartenenti alla missione di incrementare la loro presenza militare o civile in Afghanistan”. Nel comunicato stampa emesso a conclusione della riunione (vedi www.nato.int) il contributo militare aggiuntivo a quello statunitense è stimato in circa 7000 unità per il 2010, con la possibilità di ulteriori incrementi.

Ultimi sviluppi

Il 19 dicembre 2009 è stato presentato alla Camera bassa afghana il nuovo governo di Hamid Karzai, nel quale metà dei ministri erano già presenti nella precedente compagine che, come è noto, aveva ricevuto molteplici critiche soprattutto in relazione a episodi di corruzione. Karzai ha confermato tutti i responsabili dei dicasteri-chiave, suscitando da subito una forte opposizione parlamentare. Il braccio di ferro è culminato il 2 gennaio 2010 con la bocciatura in Parlamento di 17 dei 24 ministri proposti dal presidente Karzai: il carattere prevalentemente interno alle dinamiche politiche afghane del notevole insuccesso di Karzai è attestato dal fatto che il Parlamento ha dato il via libera per i dicasteri i cui responsabili designati sono apparsi sostenuti dalla Comunità internazionale, come per il caso della Difesa e dell'Interno. Conseguentemente, il 4 gennaio Karzai ha firmato un decreto di revoca della pausa invernale dei lavori parlamentari - che sarebbe durata altrimenti fin oltre la metà di febbraio -, allo scopo di giungere più rapidamente al completamento dell'organico dell'esecutivo, e dunque all'inizio dell'azione di governo. Non è sfuggito a nessuno il legame di questa accelerazione imposta da Karzai con la Conferenza di Londra del 28 gennaio prossimo sull'Afghanistan, alla quale il presidente intendeva evidentemente giungere con un governo nel pieno dei propri poteri. La volontà di Karzai è stata ulteriormente frustrata il 16 gennaio, quando il Parlamento ha nuovamente bocciato 10 dei 17 ministri ripresentatisi – il presidente Karzai ha però ottenuto il via libera  per alcuni importanti Dicasteri, come gli Esteri, la Giustizia e l’Economia.

La Conferenza di Londra, tenutasi alla fine di gennaio, ha fatto emergere un orientamento favorevole all’inizio di un recupero alla vita civile dei combattenti inquadrati dai talebani, ma in molti casi stanchi e sfiduciati: a tale scopo è stato stanziato un Fondo di 140 milioni di dollari, quasi interamente a carico di Germania e Giappone, a valere sul quale – come ha rilevato il Ministro degli Esteri On. Frattini – saranno finanziati specifici progetti (l’Italia ha mostrato preferenza per la formazione dei diplomatici afghani). Un ruolo di primo piano nella mediazione nei confronti dei talebani è stato affidato alla monarchia saudita, che ha peraltro escluso da ogni trattativa i talebani che fossero in diretto collegamento con Al Qaeda. In questa cornice il Presidente Karzai ha inoltre annunciato la convocazione di una Loya Jirga di riconciliazione nazionale, e un inasprimento della lotta alla corruzione. Durante la Conferenza è stato ribadito da parte britannica e americana che nel 2010 inizierà il passaggio (assai graduale) alle forze nazionali afghane della responsabilità della sicurezza in determinati territori, destinato a completarsi, negli auspici della Conferenza, entro cinque anni. Già prima della Conferenza i dirigenti talebani avevano definito l’appuntamento di Londra una perdita di tempo.

Nonostante le speranze alimentate dalla Conferenza di Londra la situazione della sicurezza in Afghanistan è rimasta difficile: in gennaio vi è stata una serie di attentati nella capitale con un bilancio di oltre dieci morti e settanta feriti, mentre il 3 febbraio una pattuglia italiana è stata oggetto di un attentato mediante una bomba posta sul ciglio della strada al passaggio del blindato, fortunatamente senza serie conseguenze.

Il 13 febbraio è iniziata la più vasta offensiva della coalizione internazionale dal 2001, con largo impiego di uomini e mezzi, inizialmente per cacciare i talebani dalla roccaforte di Marjah e dal distretto di Nad Ali, nella provincia di Helmand. L’operazione denominata Moshtarak (“insieme” in lingua dari), che un portavoce del Ministero dell’interno afghano ha dichiarato conclusa il 4 marzo con la conquista di Marjah e la bonifica di parti del distretto di Nad Ali, ha avuto sostanzialmente successo ma, confermando le preoccupazioni preventivamente espresse da Karzai, non ha potuto evitare il coinvolgimento di alcuni civili. Il 7 marzo in visita a Marjah il Presidente afghano, accompagnato anche dal generale Stanley Mc Chrystal, ha incontrato circa 300 capi tribali dell’area ai quali ha chiesto appoggio politico promettendo la costruzione di infrastrutture civili.

Il 21 febbraio in un’altra area dell’Afghanistan un errore della NATO ha provocato 27 morti tra i civili che viaggiavano su un convoglio di minibus, scambiati per guerriglieri.

Una notizia positiva per la coalizione è venuta dalla capitale pakistana, ove i servizi di intelligence, in collaborazione con gli USA, avevano arrestato già il 7 febbraio il numero due dei talebani fedeli al mullah Omar, Abdul Ghani Baradar, con importanti compiti organizzativi militari e finanziari. Il 4 marzo le forze di sicurezza pakistane hanno arrestato Motasim Agha Jan, ex ministro delle finanze all’epoca del governo dei talebani (1996-2001), considerato dal Pakistan il numero sette nella lista dei “most wanted” degli Stati Uniti.

Va segnalato che la prosecuzione della missione NATO in Afghanistan ha provocato il 20 febbraio la caduta nei Paesi Bassi del Governo di Balkenende, al quale i laburisti hanno fatto mancare il loro appoggio in quanto contrari alla proroga di un anno richiesta dall’Alleanza atlantica al contingente olandese (le elezioni politiche anticipate si svolgeranno a giugno 2010).

In un attentato compiuto a Kabul nella giornata del 26 febbraio 2010 è deceduto il consigliere diplomatico dell’Ambasciata italiana in Afghanistan Pietro Antonio Colazzo. Della serie di attentati suicidi coordinati compiuti nel centro di Kabul nella medesima giornata sono rimaste vittime 17 persone tra le quali almeno 9 cittadini indiani e un cittadino francese. In un Consiglio di sicurezza nazionale riunito il 28 febbraio da un Karzai che le fonti di agenzia hanno definito molto innervosito per i gravi attacchi subiti sia a Kabul sia nella sua provincia natale, Kandahar, negli ultimi giorni, sono state per il momento respinte le dimissioni del capo della polizia di Kabul, generale Abdul Rahman Rahman, del suo vice, e del capo del Dipartimento anticrimine, generale Abdul Ghafar Seyedzada, incaricati di portare a termine le indagini sul gravissimo attentato di Kabul che, secondo una tesi prevalente sebbene non ufficiale, sarebbe da ricondurre all’azione di un commando venuto dall’estero e mirante a scoraggiare il coinvolgimento dell’India nella soluzione della crisi afghana.

Il 6 marzo la parlamentare Fozia Kofi, ex vicepresidente della Camera afghana, è rimasta illesa in un attentato di un gruppo talebano al convoglio che la accompagnava da Jalalabad verso Kabul, costato invece il ferimento di due guardie del corpo.

In un incontro a Islamabad il 10 marzo, il presidente afghano Karzai e il suo omologo pakistano Asif Ali Zardari si sono accordati per il rilancio del processo di una grande Jirga (Assemblea) congiunta a sostegno del processo di pace e riconciliazione proposto dal governo afghano. Secondo una sorta di road map concordata tra le due capitali, alla grande Jirga “consultativa” convocata da Karzai a Kabul dal 29 aprile dovrebbe fare seguito una piccola assemblea (Jirgagai) e quindi una nuova grande Jirga a Islamabad. L’intento è anche quello di studiare il ruolo che le tribù pashtun residenti lungo la frontiera comune posono scolgere per arginare i talebani e al Qaeda.

 

 


Attività parlamentare

 


L’intervento del Parlamento

Missione “Enduring Freedom”

 

Il 9 ottobre 2001 entrambi i rami del Parlamento si sono riuniti per comunicazioni del Governo sulla situazione afghana (il 7 ottobre 2001). Al termine del dibattito sulle comunicazioni furono approvate due risoluzioni, sia alla Camera che al Senato in cui si fa riferimento all’impegno “anche militare” (esplicitamente nelle due risoluzioni di maggioranza).

Si tratta, per la Camera delle risoluzioni  Vito ed altri 6-00004, e Rutelli ed altri 6-00006, (quest’ultima approvata nel testo risultante dalla votazione per parti separate): per il Senato, delle proposte di risoluzione n. 3, Schifani ed altri, e n. 4, Angius ed altri.

 

Il dispositivo delle risoluzioni Vito ed altri e Schifani ed altri è identico, come pure è identico il dispositivo delle risoluzioni Rutelli ed altri e Angius ed altri.

 

Il 7 novembre 2001 il Presidente del Consiglio e il Ministro della difesa riferirono nuovamente alle Camere sull’impiego di contingenti militari italiani all’estero in relazione alla crisi internazionale in atto. In quell’occasione il Ministro ha specificato che il contingente militare messo a disposizione dall’Italia ammonta a 2.850 unità e ha fornito informazioni circa il comando operativo di tali forze. Al termine del dibattito sono state approvate, in entrambi i rami del Parlamento, risoluzioni di approvazione delle comunicazioni del Governo. Si tratta delle risoluzioni Vito 6-00009 e Rutelli 6-00010, che vengono votate e approvate per parti separate.

 

Il 2 e 3 ottobre 2002 si svolse un dibattito sulle comunicazioni del  Ministro della difesa Antonio Martino sulla partecipazione italiana alla missione Enduring Freedom. Il Ministro Martino ha in particolare posto l’accento sull’esigenza di continuità con gli impegni assunti sia nell’ambito dell’operazione  Enduring Freedom sia in quello della forza multinazionale ISAF, che nel frattempo (dicembre 2001) era stata avviata. L’invio di un nuovo contingente italiano – circa mille alpini destinati ad operazioni nelle zone montagnose dell’Afghanistan nel quadro della missione Enduring Freedom – si colloca, secondo quanto dichiarato dal Ministro, all’interno degli indirizzi politici già adottati dal Parlamento allo scopo di contribuire alla lotta contro il terrorismo e alla stabilizzazione democratica dell’Afghanistan.

Missione ISAF

La partecipazione dell’Italia alla missione ISAF viene comunicata alle Commissioni riunite Esteri e Difesa di Camera e Senato nella seduta congiunta del 20 dicembre 2001 (senza votazioni) e si ritiene “coperta” dalla autorizzazione ricevuta con l’approvazione delle risoluzioni dell’ottobre e del novembre 2001.

Il Parlamento non ha votato atti relativi alla partecipazione iniziale alla missione ISAF.

 

Nell’ultimo anno il Governo ha riferito in più occasioni al Parlamento sull’impegno italiano in Afghanistan[19].

Nella seduta del 29 settembre 2009 il Ministro degli Affari esteri Franco Frattini è intervenuto alla Camera davanti alle Commissioni riunite esteri della Camera e del Senato, dove ha fatto il punto sulla situazione in Afghanistan e sulle prospettive anche politiche della presenza italiana nel paese. Il Ministro, che in quell'occasione ha escluso l'esistenza nell'agenda del Governo italiano di una exit strategy, ha sottolineto che la posizione dell'esecutivo corrisponde a quella espressa dal Capo dello Stato quando ha dichiarato che "l'Italia mantiene ben fermo il suo impegno in Afghanistan". Dopo aver richiamato le ragioni di politica interna ed internazionale sulle quali si fonda la partecipazione dell'Italia agli sforzi internazionali di stabilizzazione dell'Afghanistan, il Ministro ha indicato l'opportunità che venga attuata nel paese una strategia di transizione, meglio incentrata sulle esigenze della popolazione civile.

Il 10 dicembre 2009 , i Ministri degli Affari esteri, Franco Frattini, e della difesa, Ignazio La Russa, hanno riferito sulle strategie e sugli sviluppi della partecipazione italiana alla missione ISAF presso le Commissioni riunite Affari esteri e Difesa delle due Camere. In quell'occasione il Ministro La Russa ha quantificato in circa mille unità l'incremento complessivo del contingente nazionale, precisando che tale incremento dovrà avvenire nel corso del 2010 con gradualità, nonché con una maggiore incidenza nella seconda metà dell’anno. la parte più consistente di tale incremento sarà realizzata nel secondo semestre.

La Camera ha successivamente discusso e votato, nelle sedute del 18 e 20 gennaio 2010 , mozioni riguardanti la situazione in Afghanistan e le prospettive dell'impegno del contingente italiano: i documenti approvati impegnano il Governo, principalmente, ad adoperarsi per la fissazione, già dalla Conferenza di Londra del 28 gennaio, di comuni obiettivi a breve e medio termine, confermando  il contributo militare aggiuntivo dell’Italia nel quadro della nuova strategia condivisa dall’Alleanza atlantica, e favorendo in tal modo l’accelerazione della fase di transizione verso l’”afghanizzazione” completa del mantenimento della sicurezza nel Paese. A tale scopo si dovrà contribuire a favorire, nelle competenti sedi internazionali, ogni sforzo per la ricostruzione economica e civile dell’Afghanistan, come anche per una vera lotta alla corruzione e ricerca di una riconciliazione nazionale. La realizzazione di tutti gli obiettivi indicati andrà perseguita nel quadro di un approccio regionale, con il coinvolgimento dei Paesi dell’area anche in vista di una possibile Conferenza internazionale ad hoc.

 

 


SIWEB

Documentazione

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


Approfondimenti

 


Dinamiche etniche, tribali e politiche in Afghanistan

 

 


 

 

 

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 

 

 

 


 

 

 

 

 

 


 

 

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 

 

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 

 



[1] S. Jones, Averting Failure in Afghanistan, in “Survival”, Spring 2006, pp.111-128 (nel sito dell’International Institute for Strategic Studies www.iiss.org)

[2] . La situazione in Afghanistan, “Osservatorio di politica internazionale”a cura del CeSPI, 16 dicembre 2008

[3] In www.hrw.org

 

[4] Per questa interpretazione cfr. ad esempio S. Silvestri, Che fare in Afghanistan, in www.affarinternazionali.it, 9 febbraio 2010

[5]    Per questa interpretazione cfr. ad esempio S. Jones, Averting Failure in Afghanistan, in “Survival”, Spring 2006, pp.111-128 (nel sito dell’International Institute for Strategic Studies www.iiss.org) e N. Grono – C. Rondeaux, Dealing with brutal Afghan warlords is a mistake, Boston Globe 17 gennaio 2010, (nel sito dell’International Crisis Group, www.crisisgroup.org)

[6]    Su questi aspetti cfr. La situazione in Afghanistan, “Osservatorio di politica internazionale”a cura del CeSPI, 16 dicembre 2008, e La produzione di oppio in Afghanistan, “Osservatorio di politica internazionale” a cura dell’ISPI, 9 febbraio 2009.

[7]    Fonte: Scheda notizie sulla partecipazione italiana alla missione NATO ISAF (aggiornata al 26 novembre 2009) in www.difesa.it

[8]    Fonte: Notizie dal teatro sulla partecipazione italiana alla missione NATO ISAF (4 gennaio 2010) in www.difesa.it

 

[9]      I caveat sono i limiti all'impiego delle forze nazionali nell’ambito di una missione militare internazionale. Le singole forze nazionali possono applicare tali limitazioni (caveat) alle regole generali dettate per tutti i contingenti della missione.

[10] Secondo notizia di stampa (Agence Europe del 23 febbraio 2010), su proposta dell'Alto Rappresentante per la PESC, il Consiglio affari esteri del 22 febbraio avrebbe raggiunto un accordo politico sulla designazione del lituano Vygaudas Usackas come nuovo Rappresentante speciale dell'UE per l'Afghanistan. La nomina dovrebbe essere formalizzata entro breve tempo. Come previsto nel piano d’azione di ottobre 2009, l'ex ministro lituano degli affari esteri Usackas eserciterà una doppia funzione poiché sarà allo stesso tempo capo della delegazione dell'UE a Kabul.

[11]    EIU, Pakistan Country Report, July 2009, p. 14.

[12]   Le elezioni per la Camera bassa (Wolesi Jirga) ed i consigli distrettuali sono previste per l’estate del 2010.

[13]   Il Presidente ed i due vice-presidenti della Repubblica islamica dell’Afghanistan sono eletti a suffragio universale con mandato quinquennale, rinnovabile. Per l’elezione al primo turno è necessario il 50% dei voti. Hamid Karzai, primo presidente democraticamente eletto in Afghanistan, ha vinto le elezioni del 9 ottobre 2004 con il 55,4% dei voti ed è in carica dal 7 dicembre di quell’anno. Primo vicepresidente è Ahmad Zia Masood e secondo vicepresidente Abdul Karim Khalili.

[14]   L’ ECC è composta da due membri afghani - nominati uno dall’Afghanistan Independent Human Rights Commission e uno dalla Corte Suprema - e tre internazionali, di nomina ONU. Nella sua attuale composizione (2009) i membri afghani sono Ahmad Fahim Hakim e Mawlawi Mohammad Mustafa Barakzai e gli internazionali Grant Kippen, Maarten Halff e Scott Worden. Il presidente Grant Kippen è un esperto canadese che da quasi 30 anni si occupa di supervisione dei risultati elettorali nei cinque continenti.  

[15]   Si tratta dei seggi dove avevano votato oltre 600 elettori (ritenuto il livello massimo di potenziali votanti secondo le stime pre-elettorali della Commissione elettorale indipendente afghana, IEC) e dei seggi in cui un singolo candidato aveva ottenuto il 95% o più dei consensi.

[16]   Si rammenta che a causa dell’elevato grado di rischio per la sicurezza le Nazioni Unite hanno deciso, all’inizio di novembre 2009, di evacuare circa 600 operatori stranieri presenti nell’ambito della missione UNAMA in Afghanistan, dopo che l’attacco sferrato dai talebani contro la foresteria ONU a Kabul, il 28 ottobre, aveva causato la morte di sei dipendenti delle Nazioni Unite ed il ferimento di altre nove persone.

[17]   L’inchiesta aperta dalla magistratura afghana su presunti casi di corruzione di ministri del presidente Hamid Karzai, secondo dichiarazioni rilasciate all’ansa dal vice procuratore della repubblica Fazel Ahmad Faqiryar il 24 novembre, riguarda 15 soggetti fra ministri, ex ministri e funzionari che hanno operato nell'area dei governi Karzai dal 2001.

 

[18]   Gli osservatori hanno rilevato che la nuova strategia accelerata si ispira alle lezioni apprese dopo i rinforzi ordinati dal presidente George W. Bush nel 2007 per combattere la contro insurrezione in Iraq e ne prende a prestito la definizione di ''surge''. 

 

[19] Per il periodo precedente merita ricordare le comunicazioni dei ministri degli esteri e della difesa dell’11 giugno 2008 di fronte alle Commissioni riunite esteri e difesa di Camera e Senato sugli sviluppi relativi alle missioni internazionali, nel corso delle quali vennero forniti elementi sulle regole di ingaggio del contingente italiano della missione ISAF (cfr. supra box “I caveat per l’impiego del contingente italiano in operazioni militari”).