Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Bilancio dello Stato
Altri Autori: Servizio Studi - Dipartimento bilancio
Titolo: (D3) L'attuazione dell'articolo 119 della Costituzione: il federalismo fiscale
Serie: Documenti e ricerche    Numero: 3
Data: 19/11/2008
Descrittori:
COSTITUZIONE DELLA REPUBBLICA   FEDERALISMO
ORGANIZZAZIONE FISCALE     
Organi della Camera: V-Bilancio, Tesoro e programmazione

 

 

 

 

 

XVI legislatura

 

 

L’attuazione dell’articolo 119 della Costituzione:

il federalismo fiscale

 

 

 

 

 

 

 

Novembre 2008

n. 3

 

 

 

 

 

 


DOCUMENTAZIONE DI FINANZA PUBBLICA

 

 

 

SENATO DELLA REPUBBLICA:

 

Servizio del bilancio

Tel. 066706-5790

 

 

CAMERA DEI DEPUTATI:

 

Servizio Bilancio dello Stato

Tel. 066760-2174 – 066760-9455

 

Servizio Studi – Dipartimento bilancio e politica economica

Tel. 066760-9932 – 066760-2233

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il presente dossier è destinato alle esigenze di documentazione interna per l’attività degli organi parlamentari e dei parlamentari.

Si declina ogni responsabilità per l’eventuale utilizzazione o riproduzione per fini non consentiti dalla legge.


I N D I C E

 

 

L’attuazione dell’articolo 119 della Costituzione:
il federalismo fiscale

1.  L’articolo 119 della Costituzione. 3

2.  La struttura dei bilanci regionali. 12

2.1  Le entrate delle regioni12

2.2  Le spese delle regioni33

3.  Le entrate e le spese degli enti locali. 47

3.1  Il comparto delle Province. 47

3.2  Il comparto dei Comuni57

4.  Il finanziamento delle autonomie territoriali. I modelli di perequazione  71

4.1  La nozione di fabbisogno nella teoria economica. 71

4.2  I criteri per l’individuazione dei fabbisogni: approcci a confronto. 74

4.3  La perequazione sulle capacità fiscali79

4.4  Fabbisogni e capacità fiscale nel disegno di legge delega. 81

4.5  Il decreto legislativo n. 56/2000. 83

4.6  La sanità: il finanziamento dei livelli essenziali di assistenza. 90

5.  L'assegnazione di tributi propri e i principi per la regionalizzazione delle imposte  110

5.1  La regionalizzazione dell'IVA.. 113

5.2  Il concorso dell’IRPEF al finanziamento delle spese regionali116

6.  La regionalizzazione della spesa statale. 124

6.1  La spesa statale regionalizzata. 124

6.2  La spesa regionalizzata del bilancio dello Stato per categorie economiche  128

6.3  La classificazione funzionale della spesa regionalizzata. 130

6.4  La spesa per l’istruzione. 136

7.  Il finanziamento dei progetti speciali ex art. 119, comma V, della Costituzione  146

8.  Il coordinamento della finanza pubblica. 158

8.1  Princìpi per il coordinamento delle relazioni finanziarie tra diversi livelli di governo  159

8.2  Il Patto di stabilità interno. 161

8.3  Il coordinamento della spesa in conto capitale. 164

8.4  Il coordinamento della finanza pubblica: un confronto europeo. 166

8.5  L'armonizzazione dei bilanci pubblici169

9.  Il finanziamento delle regioni nel ddl delega. 173

9.1  Il finanziamento delle funzioni essenziali174

9.2  Il finanziamento delle altre funzioni179

9.3  Una formula per il finanziamento delle funzioni regionali181

10.    Il finanziamento degli enti locali nel ddl delega. 182

Appendice

La nozione di federalismo fiscale. 189

a)    Perché il federalismo. 189

b)    Alcuni requisiti per il buon funzionamento dei sistemi federali191

Le fonti della finanza locale. 198

I conti pubblici territoriali (CPT). 211


L’attuazione dell’articolo 119 della Costituzione:
il federalismo fiscale

 


1.L’articolo 119 della Costituzione

La riforma del Titolo V della Parte II della Costituzione, introdotta con la legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, ha ridefinito i rapporti tra Stato, regioni ed enti locali anche in materia tributaria e, più in generale, nel settore della finanza pubblica.

In tema di assetti finanziari pubblici, lo Stato ha legislazione esclusiva e competenza regolamentare in materia di sistema tributario e contabile dello Stato e di perequazione finanziaria (art. 117, secondo comma, lett. e), Cost.). Ai sensi dell’articolo 117, terzo comma, Cost., rientrano invece tra le materie di legislazione concorrente, nelle quali allo Stato spetta esclusivamente l’enunciazione dei principi fondamentali della materia, l’armonizzazione dei bilanci pubblici ed il coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario.

Alle regioni ed agli enti locali è riconosciuta (art. 119 Cost.) autonomia di entrata e di spesa, che si sostanzia nell’attribuzione di risorse autonome derivanti da tributi ed entrate propri e da compartecipazioni ai tributi erariali aventi ad oggetto, precisa la disposizione costituzionale, il gettito riferibile ai rispettivi territori. Tali risorse, integrate da un fondo perequativo per i territori con ridotta capacità fiscale, devono rivelarsi sufficienti a finanziare integralmente le funzioni degli enti in questione (art. 119, quarto comma, Cost.). Hanno invece natura aggiuntiva le risorse che lo Stato può destinare a regioni ed Enti locali per favorire lo sviluppo ed il riequilibrio economico e sociale e comunque per provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle funzioni (art. 119, quinto comma, Cost.).

Il nuovo Titolo V sembra orientato, nei termini che verranno in seguito evidenziati, verso un modello di federalismo fiscale di tipo solidaristico e cooperativo, piuttosto che verso un modello marcatamente competitivo come quello statunitense, dove ciascun livello di Governo, dallo Stato federale fino alle amministrazioni locali, è libero di istituire tributi, individuando basi imponibili ed aliquote, senza dover rispettare parametri posti da fonti normative di grado superiore. Alla luce dell’articolo 119 Cost., non deve tuttavia ritenersi preclusa la possibilità di differenziazioni tra i sistemi tributari locali, che potrebbero tra l’altro determinare un certo grado di competizione fiscale.

Il coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario

L’articolo 119, al secondo comma, stabilisce che la potestà impositiva degli enti autonomi deve esplicarsi in armonia con la Costituzione e con i principi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario posti, ai sensi dell’articolo 117, terzo comma, Cost., dal legislatore statale. Agli enti locali è consentito intervenire attraverso la disciplina regolamentare per attuare o integrare il disposto di leggi statali o regionali. L’esercizio del potere di coordinamento attraverso la legge statale e regionale sembra poter comportare anche l’indicazione di livelli massimi della pressione fiscale.

L’azione di coordinamento non è circoscritta alla legislazione ma si estende all’applicazione in via amministrativa dei tributi. L’art. 119, secondo comma, Cost. prevede infatti che Regioni ed enti locali “stabiliscono ed applicano tributi ed entrate propri”. Ciò sembrerebbe comportare, ad esempio, la possibilità di introdurre forme di coordinamento anche delle fasi dell’accertamento e della riscossione, prevedendone l’esercizio unificato da parte di un unico soggetto con effetti di semplificazione della gestione del sistema tributario. Il contenzioso relativo ai tributi regionali e locali è invece di esclusiva competenza della legge statale ai sensi dell’articolo 117, secondo comma, lett. l), Cost., che riserva allo Stato la materia giurisdizionale.

Mediante il coordinamento si tende ad evitare una eccessiva frammentazione del sistema tributario ed a favorirne, all’opposto, una definizione il più possibile organica ed in grado di realizzare una composizione equilibrata del carico fiscale complessivo, evitando un’eccessiva frammentazione e moltiplicazione dei tributi.

Non sono poi da sottovalutare i limiti al potere impositivo degli enti territoriali legati alla disciplina costituzionale e, in particolare, quelli derivanti dai vincoli comunitari e internazionali. Significative a riguardo appaiono le censure di cui è stata fatta oggetto la legge 26 marzo 2002, n. 2, della Regione Sicilia, che aveva istituito un tributo regionale sul passaggio di gasdotti attraverso il proprio territorio. Tale normativa è stata giudicata, sia dai giudici nazionali sia in ambito comunitario (v. TAR Lombardia, sentenza n. 130/2003; Corte di giustizia delle Comunità europee, sentenza 21 giugno 2007, causa C-173/05), incompatibile con il diritto comunitario, che non consente di porre restrizioni alla libera circolazione delle merci né di adottare una politica commerciale e tariffaria con Paesi terzi difforme da quella comunitaria.

La Corte costituzionale ha avuto modo di chiarire le modalità attraverso le quali deve essere esercitato il potere statale di coordinamento. Nella sentenza n. 37 del 2004, la Consulta ha osservato come l’attuazione del disegno costituzionale richieda “l’intervento del legislatore statale, il quale, al fine di coordinare l’insieme della finanza pubblica, dovrà non solo fissare i principi cui i legislatori regionali dovranno attenersi, ma anche determinare le grandi linee dell’intero sistema tributario, e definire gli spazi ed i limiti entro i quali potrà esplicarsi la potestà impositiva, rispettivamente, di Stato, regioni ed enti locali”. La Corte, nella medesima sentenza (si veda anche la sentenza n. 241 del 2004), ha inoltre ritenuto che il previo intervento del legislatore statale costituisca un presupposto necessario per l’esercizio della potestà impositiva da parte degli altri livelli di governo, subordinando pertanto all’attuazione dell’articolo 119 l’esercizio della facoltà di regioni ed enti locali di istituire autonomamente tributi e di intervenire sulla disciplina statale dei tributi regionali e locali. Per la Corte quindi, in deroga ad un principio generale, alle regioni non è consentito, in caso di inerzia dello Stato, di desumere i principi fondamentali dalla legislazione statale vigente. In conseguenza di ciò, prosegue la Corte, si deve ritenere tuttora spettante al legislatore statale la potestà di dettare norme modificative, anche nel dettaglio, della disciplina dei tributi locali esistenti: condizione di legittimità dell’intervento, peraltro, è il divieto di procedere in senso inverso a quanto prescritto dall’art. 119 Cost., sopprimendo, senza sostituirli, gli spazi di autonomia riconosciuti dalle leggi statali, o configurando un sistema finanziario complessivo in contraddizione con l’art. 119 (v. , in particolare, le sentenze nn. 296 e 303 del 2003 e, da ultimo, la sentenza n. 451 del 2007).

Espressione dei poteri di coordinamento statale in materia di finanza pubblica e di sistema tributario è anche il patto di stabilità interno, strumento strettamente connesso al patto di stabilità e crescita al rispetto del quale l’Italia è vincolata in ambito comunitario. A giudizio della Corte costituzionale, il patto di stabilità interno si giustifica proprio alla luce dei vincoli comunitari alle finanze pubbliche nazionali, ma occorre renderlo più conforme alla nuova autonomia finanziaria di regioni ed enti locali, eliminando gli aspetti più dirigistici e lesivi dell’autonomia (sentenze nn. 4 e 36 del 2004).

La Corte costituzionale ha anche precisato i limiti che il legislatore statale è tenuto a rispettare nel dettare i principi di coordinamento della finanza pubblica. La Corte, in più occasioni, ha considerato legittime, in quanto riconducibili al principio di coordinamento della finanza pubblica, disposizioni statali (prevalentemente comprese in leggi finanziarie) incidenti anche in modo penetrante sull’autonomia degli enti territoriali nella gestione della spesa (cfr., ad es., sentenze nn. 4, 17 e 36 del 2004) In alcune recenti pronunce, peraltro, (v. in particolare la n. 417 del 2005), la Corte ha ritenuto che il legislatore statale può legittimamente imporre agli enti autonomi vincoli alle politiche di bilancio solo con “disciplina di principio” e “per ragioni di coordinamento finanziario connesse ad obiettivi nazionali, condizionati anche dagli obblighi comunitari”. Tali vincoli “debbono avere ad oggetto o l’entità del disavanzo di parte corrente o - ma solo in via transitoria ed in vista degli specifici obiettivi di riequilibrio della finanza pubblica perseguiti dal legislatore statale – la crescita della spesa corrente degli enti autonomi”. Sempre secondo la Corte, “la previsione da parte della legge statale di limiti all’entità di una singola voce di spesa non può essere considerata un principio fondamentale in materia di armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza pubblica, perché pone un precetto specifico e puntuale sull’entità della spesa e si risolve perciò ‘in una indebita invasione, da parte della legge statale, dell’area [...] riservata alle autonomie regionali e degli enti locali, alle quali la legge statale può prescrivere criteri [...] ed obiettivi (ad esempio, contenimento della spesa pubblica) ma non imporre nel dettaglio gli strumenti concreti da utilizzare per raggiungere quegli obiettivi” (in tal senso v. tra le altre le sentenze nn. 449 del 2005, 95 del 2007, 159 del 2008).

Il dettato costituzionale, come si è visto, sembra equiparare, per quanto riguarda l’autonomia finanziaria, la posizione delle regioni a quella degli enti locali. Tuttavia, come noto, in materia tributaria opera la riserva di legge relativa di cui all’articolo 23 Cost., suscettibile di essere soddisfatta solo dalla legge statale o regionale. Inoltre, va rammentato come al legislatore regionale spetti assicurare il coordinamento finanziario e tributario, sulla base dei principi stabiliti dalla legge statale. Ciò premesso, si ricorda come la Corte costituzionale, con la sentenza n. 37 del 2004, abbia indicato tre diverse soluzioni per l’attuazione dell’autonomia finanziaria locale: a) concorrenza di leggi statali, regionali e di regolamenti locali; b) concorrenza di leggi statali e di regolamenti locali; c) concorrenza di leggi regionali e di regolamenti locali.

Spetta dunque al legislatore ordinario, in sede di attuazione dell’articolo 119 Cost, scegliere quale via seguire, tenendo conto che la riforma costituzionale ha in ogni caso esteso l’ambito dell’autonomia finanziaria degli enti locali – che già comportava la facoltà di disciplinare con propri regolamenti i tributi locali sulla base della disciplina generale dettata dalla legge statale - sancendo anche nei loro confronti il principio secondo il quale la responsabilità inerente alle entrate non deve essere disgiunta da quella relativa alle spese.

Le fonti di finanziamento degli enti territoriali: tributi propri e compartecipazioni

L’articolo 119, comma primo, Cost., afferma il principio che “i Comuni, le Province le Città metropolitane e le Regioni hanno autonomia finanziaria di entrata e di spesa”. I commi secondo e terzo del medesimo articolo elencano le seguenti fonti ordinarie di finanziamento degli enti autonomi:

§      tributi propri;

§      compartecipazioni al gettito dei tributi erariali riferibile al territorio dell’ente;

§      trasferimenti perequativi, per i territori con minore capacità fiscale per abitante;

§      entrate proprie (quelle derivanti da attività economiche e rendite patrimoniali).

Ai sensi del quarto comma, le risorse di cui ai commi secondo e terzo devono consentire ai Comuni, alle Province, alle Città metropolitane e alle Regioni di finanziare integralmente le funzioni pubbliche loro attribuite. Il sistema tributario, così come configurato dalla legge statale nell’esercizio dei poteri di coordinamento, sembrerebbe quindi tenuto ad assicurare a ciascun ente una quantità di risorse corrispondente al costo delle funzioni ad esso conferite.

Esistono inoltre opinioni difformi in merito alla necessità di finanziare integralmente le funzioni esercitate dalle regioni ordinarie che beneficiano di “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia” ai sensi dell’articolo 116, terzo comma, Cost. Vi è infatti chi sostiene la necessità di applicare anche in questo caso il principio dell’integrale finanziamento e chi fa invece rilevare come - ferma restando la necessità che lo Stato trasferisca, unitamente alle funzioni, le relative risorse finanziarie, umane e strumentali - tali regioni, trattandosi di un ampliamento dell’autonomia costituzionalmente garantita di cui va verificata l’opportunità, dovrebbero coprire le relative spese manovrando le entrate fiscali derivanti dai tributi propri e dalle compartecipazioni.

L’attuazione del federalismo fiscale richiede che siano in primo luogo esattamente individuate le funzioni ordinarie di ciascuna categoria di enti e quantificato il costo delle stesse.

Come ha osservato la Corte costituzionale (sentenza n. 17 del 2004), il nuovo sistema tributario dovrà prevedere, per ogni livello di governo, un insieme equilibrato di tributi propri, compartecipazioni e trasferimenti di natura perequativa, nel rispetto del principio fondamentale del parallelismo tra responsabilità normativa e responsabilità finanziaria. Questo sembra logicamente comportare che, per quanto riguarda gli enti con maggiore capacità fiscale, i tributi propri e la compartecipazione ai tributi erariali devono garantire un gettito tale da coprire integralmente il costo delle funzioni esercitate in via ordinaria. Per gli enti con minore capacità fiscale, invece, tale obiettivo potrà essere raggiunto solo ricorrendo ai meccanismi di carattere perequativo. La stima delle entrate dovrà verosimilmente compiersi assumendo come riferimento determinati tributi ed aliquote standard, fermo restando che, nell’esercizio della potestà impositiva, i singoli enti, nei limiti consentiti dalla legislazione di coordinamento, potranno individuare nuovi tributi e modificare la disciplina dei tributi esistenti.

Secondo la Corte costituzionale (sentenza n. 296 del 2003), i tributi propri vanno identificati con quelli istituiti e stabiliti con legge regionale, nel rispetto dei principi di coordinamento con il sistema tributario. Sulla base di tale assunto, la Consulta è giunta ad affermare che la disciplina sostanziale dell’Irap rientra tuttora nella competenza statale esclusiva in materia di tributi erariali (sentenza n. 296 del 2003) e che anche la tassa automobilistica non è un tributo proprio della regione (sentenza n. 297 del 2003). La conseguenza pratica di tale giurisprudenza - coerente con quella già esaminata che ritiene precluso l’esercizio della potestà impositiva regionale sino all’adozione di una legge di coordinamento statale - è stata la dichiarata illegittimità, nonostante la nuova disciplina costituzionale, dei tentativi delle regioni di modificare la disciplina dei tributi regionali regolati da leggi statali.

Nella prassi si distinguono i tributi propri in senso lato o derivati, istituiti dallo Stato ma la cui concreta applicazione è rimessa a regioni ed enti locali con facoltà di variare le aliquote, prevedere detrazioni ed agevolazioni (esempio tipico le addizionali), ed i tributi propri in senso stretto od autonomi, rispetto ai quali l’intervento della legge statale è limitato ad attribuire determinate basi imponibili alle regioni ed agli enti locali, demandando la disciplina dei relativi tributi, nel rispetto dei principi fondamentali, alle fonti di autonomia (legge regionale e regolamenti provinciali e comunali). Queste due tipologie di tributi vanno distinte dai tributi erariali, istituiti e disciplinati dalla legge statale, il cui gettito è riservato esclusivamente allo Stato per il finanziamento di funzioni amministrative relative a materie di competenza esclusiva o comunque esercitate in applicazione dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza di cui all’articolo 118, primo comma, Cost.

In sede di attuazione dell’articolo 119 Cost., è destinato a porsi il tema dell’individuazione dei tributi propri nel senso individuato dalla Consulta, che rappre­sentano uno degli elementi qualificanti dell’autonomia finanziaria di regioni ed enti locali, come riconfigurata dalla riforma costituzionale. Dovrà, in primo luogo, essere stabilito se consentire o precludere alla finanza regio­nale e locale di fondarsi su tributi che abbiamo le medesime basi impositive ed i medesimi soggetti passivi di tributi erariali.

Per quanto riguarda la compartecipazione ai tributi erariali, va ricordato come attualmente la compartecipazione regionale al gettito di determinate imposte sia regolato interamente dallo Stato e riguardi, in particolare, l’IVA, la quale viene, per una quota assai significativa (negli ultimi anni in misura pari a circa il 40%), utilizzata per finanziare la spesa sanitaria.

L’articolo 119, secondo comma, dispone che la compartecipazione ai tributi erariali riguardi la quota di gettito riferibile al territorio delle regioni e degli enti locali. Il criterio della territorialità dell’imposta può essere attuato in forme diverse. Si potrà, ad esempio, fare riferimento al territorio nel quale il tributo viene riscosso o al luogo della produzione, posto che il luogo del versamento potrebbe non coincidere con quello in cui il tributo incide.

La perequazione finanziaria

Ai sensi dell’articolo 119, terzo comma, i trasferimenti perequativi andranno effettuati a valere su di un apposito fondo istituito con legge dello Stato, privo di vincoli di destinazione e volto a sostenere i territori con minore capacità fiscale per abitante. Il concetto di minore capacità fiscale può essere definito con riferimento ad un valore medio ma anche rispetto al livello richiesto per assicurare l’integrale finanziamento delle funzioni degli enti territoriali. In ogni caso, la formulazione costituzionale sembra implicare, secondo l’opinione prevalente, che, attraverso il fondo perequativo, i divari in termini di entrate debbano essere ridotti, ma non necessariamente eliminati.

La previsione in esame va comunque coordinata con l’articolo 117, secondo comma, lett. m), Cost., che impone allo Stato di garantire su tutto il territorio nazionale i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali. Poiché i livelli essenziali formano oggetto di diritti soggettivi questi, una volta definiti, devono essere uniformemente garantiti a tutti i cittadini e vanno quindi obbligato­riamente finanziati. Tale circostanza, secondo l’opinione prevalente, comporta che, attraverso il fondo perequativo, debba essere assicurato l’integrale finanziamento dei livelli essenziali delle prestazioni in tutti i territori. In questo modo lo Stato, responsabile della perequazione, vede rafforzato il proprio ruolo di garante del soddisfacimento dei diritti connessi ai livelli essenziali.

I livelli essenziali sono stati sino ad oggi definiti esclusivamente in ambito sanitario e non direttamente con legge statale, nonostante si tratti di materia oggetto di competenza esclusiva, bensì attraverso intese tra lo Stato e le regioni. Manca, invece, una definizione dei livelli essenziali in ambiti quali l’assistenza sociale o l’istruzione. E’ generalmente condivisa l’opinione secondo la quale le prestazioni relative ai livelli essenziali hanno un contenuto quantitativo ed uno qualitativo e vanno definite, anche ai fini della relativa copertura finanziaria, tenendo conto delle specificità dei singoli territori. Diviene in questo modo possibile giungere a stabilire dei costi standard, che possono tuttavia anche variare da territorio a territorio.

E’ stato osservato come la perequazione delle risorse finanziarie non risulti una materia in senso tradizionale e si configuri piuttosto, analogamente ad altre competenze esclusive, nei termini di una competenza in senso funzionale che, in virtù del suo carattere teleologico, sembra consentire al legislatore statale di spaziare in una serie di ambiti materiali, con l’effetto di limitare l’esercizio della potestà legislativa concorrente e residuale delle regioni.

La norma costituzionale non chiarisce se tale funzione debba esercitarsi in conformità al principio della “perequazione verticale”, secondo il quale è rimessa allo Stato la salvaguardia dell’equilibrio tra i diversi territori, o se possa invece attuarsi anche attraverso il concorso delle regioni e degli enti locali (c.d. perequazione orizzontale), rimettendo la decisione al legislatore ordinario. Va in ogni caso sottolineato come la perequazione delle risorse finanziarie, ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lett. e), sia materia di esclusiva competenza del legislatore statale. Ricade quindi sullo Stato la responsabilità di assicurare la coerenza del sistema di perequazione con il disposto costituzionale.

Risorse aggiuntive e indebitamento

Il quinto comma dell’articolo 119 Cost. prevede che lo Stato destini agli enti territoriali risorse aggiuntive – rispetto a quelle necessarie allo svolgimento delle funzioni ordinarie – ed effettui interventi speciali al fine di promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale, di rimuovere gli squilibri economici e di favorire l’effettivo esercizio dei diritti della persona. Le risorse di cui al comma in esame, secondo un’opinione ampiamente condivisa, dovrebbero essere destinate al perseguimento di finalità peculiari e diverse rispetto a quelle proprie del fondo perequativo. La specificità di tali risorse, oltre che nel carattere addizionale, risiede nella loro destinazione a politiche di riequilibrio territoriale. In particolare, le risorse aggiuntive sembrano destinate a tradursi in fondi vincolati ed a consentire forme di controllo statale sul relativo utilizzo, mentre gli interventi speciali potrebbero comportare sia forme di collaborazione che di sostituzione dello Stato all’ente interessato.

Nelle sentenze nn. 16 e 49 del 2004, la Corte costituzionale ha precisato che gli interventi speciali di cui all’art. 119, quinto comma, Cost., oltre a dover essere aggiuntivi rispetto al finanziamento integrale delle funzioni previsto dal comma precedente, sono tenuti a riferirsi a finalità di perequazione e di garanzia enunciate dalla norma costituzionale, o comunque a scopi diversi dal normale esercizio delle funzioni, e devono essere destinati a particolari comuni o categorie di comuni. Inoltre, quando i finanziamenti attengano ad ambiti di competenza regionale, spettano alle regioni compiti di programmazione e di riparto dei fondi all’interno del proprio territorio.

Per quanto riguarda le funzioni proprie o ordinarie, è invece esclusa la possibilità di finanziamento statale attraverso trasferimenti erariali o risorse con vincolo di destinazione. La Corte ha infatti attribuito sul punto una valenza immediatamente precettiva all’art. 119 Cost., censurando ripetutamente i tentativi del legislatore statale di riproporre meccanismi di finanza derivata basati su trasferimenti di risorse a destinazione vincolata dal centro alla periferia in materie e funzioni la cui disciplina sia di spettanza della legge regionale a titolo di competenza concorrente o residuale (sul punto vi è una cospicua giurisprudenza della Corte costituzionale, v., tra le altre, la sentenza n. 370 del 2003, nn. 16 e 49 del 2004 , n. 107 del 2005 e n. 118 del 2006).

Le entrate da indebitamento sono previste al sesto comma dell’articolo 119 Cost., ma sono riservate unicamente a spese di investimento (c.d. golden rule). In tal modo viene escluso che le collettività locali si trovino a dover sostenere l’onere derivante dall’indebitamento degli enti territoriali volto a fronteggiare spese correnti. Va osservato come la nozione di spese di investimento si presti ad essere diversamente interpretata dal legislatore ordinario. In proposito si ricorda come la legge finanziaria per il 2004 (legge n. 350 del 2003), nello stabilire cosa si debba intendere per investimenti ai fini della possibilità di indebitamento, ha considerato solo gli investimenti diretti con esclusione di quelli indiretti. Conseguentemente, le regioni e gli enti locali possono, ad esempio, ricorrere all’indebitamento per acquistare immobili ma non per incentivare le imprese ad investire.

 


2.La struttura dei bilanci regionali

2.1   Le entrate delle regioni

a) Regioni a statuto ordinario

Sono fonti di finanziamento delle regioni a statuto ordinario:

§      i tributi propri;

§      le compartecipazioni al gettito dei tributi erariali riferibile al territorio dell’ente;

§      le entrate proprie (quelle derivanti da beni, attività economiche della regione e rendite patrimoniali);

§      i trasferimenti perequativi, per i territori con minore capacità fiscale per abitante;

§      le entrate da indebitamento, che sono però riservate a spese di investimento (art. 119, Cost.).

Le entrate tributarie

Le entrate tributarie delle regioni a statuto ordinario sono costituite da tributi propri e compartecipazioni ai tributi erariali.

Per quanto concerne i tributi, questi sono istituiti dalla legge dello Stato che riserva il corrispettivo gettito alle regioni; queste possono utilizzare la leva fiscale con precisi limiti:

§      determinazione dell’aliquota entro una forbice fissata dalla legge dello Stato e – in alcuni casi – possibilità di differenziazione dei soggetti passivi (scaglioni di reddito per l’addizionale IRPEF, differenziazione categorie economiche per l’IRAP);

§      disciplina e gestione degli aspetti amministrativi: riscossione, rimborsi, recupero della tassa e l'applicazione delle sanzioni, sempre entro limiti e principi fissati dalla legge dello Stato.

 

Ai fini delle politica fiscale regionale rilevano altresì le disposizioni che possono venire introdotte dalla legge finanziaria nazionale. Attualmente devono in particolare segnalarsi i seguenti due interventi: da una parte – dall’esercizio 2007 – è stato tolto completamente il blocco delle aliquote dei due principali tributi (IRAP e addizionale Irpef) introdotto dalla legge 289/2002; dall’altra – ad iniziare dall’esercizio 2006 - le regioni in cui sono stati certificati deficit nel settore sanitario sono obbligate ad innalzare le stesse aliquote - anche oltre il limite massimo fissato dalla legge dello Stato.

Si ricorda inoltre che con la legge finanziaria 2008 (art. 1, comma 167 L. 244/2007) è stato prorogato a tutto il periodo di imposta 2008 l’applicazione delle disposizioni regionali in materia di IRAP e tassa automobilistica emanate in difformità dai poteri attribuiti in materia dalla normativa statale[1].

 

I dati di gettito delle entrate tributarie, per ciascuna regione, sono rilevati dalla Corte dei conti che annualmente presenta al Parlamento la Relazione sulla gestione finanziaria delle regioni a statuto ordinario. Nell’ultima Relazione relativa agli esercizi 2006-2007[2], sono analizzati i principali tributi con riferimento agli accertamenti di competenza relativi all’esercizio 2006.

Negli esercizi 2002-2006 il gettito complessivo delle entrate tributarie delle regioni a statuto ordinario, disaggregato secondo i tributi maggiori, è illustrato nella seguente Tabella 1.

 

Tabella 1 - Entrate tributarie delle regioni a statuto ordinario

 

 

Con riferimento all’ultimo anno disponibile, il grafico seguente mostra i l’incidenza percentuale di ciascun tributo sul totale.

 

Tributi e compartecipazioni

Con la sola eccezione dell’IVA, tributi e compartecipazioni sono – con riferimento al gettito – “tributi” regionali secondo due principali caratteristiche:

§      le somme che affluiscono al bilancio della regione provengono interamente ed esclusivamente dal gettito riferito al rispettivo territorio;

§      quale che sia la disciplina del tributo (aliquota, base imponibile, soggetti obbligati, eccetera) e la quota di gettito assegnata alla regione, le entrate della regione seguono la dinamica di quel gettito nel rispettivo territorio.

 

Imposta regionale sulle attività produttive – IRAP

Istituita a decorrere dal 1998 (Titolo I del D.Lgs. 446/1997, modificato da ultimo dalla L. 244/2007, finanziaria 2008) è destinata al finanziamento della sanità (assieme alla compartecipazione IRPEF). Le regioni possono differenziare le aliquote per settori di attività e per categorie di soggetti, entro i limiti posti dalla legge statale. Questa è in effetti l’imposta che le regioni hanno maggiormente utilizzato – e stanno utilizzando - come strumento di politica fiscale, pur nei limiti della legislazione statale[3].

L’ammontare complessivo dell’imposta per il 2006 è stato pari a 31.976 milioni di euro, che costituisce oltre il 70 per cento delle entrate tributarie (considerate al netto della compartecipazione IVA, vedi infra) e corrisponde a 643 euro pro-capite.

Addizionale regionale all'IRPEF

Istituita dall’art. 50 D.Lgs. 446/1997, l’aliquota può variare da 0,9 a 1,4 per cento, con possibilità di differenziazione secondo scaglioni di reddito. Il gettito complessivo per l’insieme delle regioni a statuto ordinario per l’anno 2006 ammonta a 6.182 milioni di euro (il 13,6 per cento delle entrate tributarie) corrispondente a 124 euro pro-capite.

Tassa automobilistica regionale

Istituita a decorrere dal 1993, le regioni possono variare del 10% (in positivo e negativo) l’importo dell’anno precedente. Il tariffario unico nazionale è stato aggiornato dalla legge finanziaria 2007 e le nuove tariffe sono entrate in vigore nel 2007. Il gettito complessivo per il 2006 ammonta a 4.554 milioni di euro, che costituisce il 10 per cento delle entrate tributarie e corrisponde a 92 euro pro-capite.

Addizionale regionale all'imposta erariale sul gas metano ARISGAM

Istituita dal D.Lgs. 398/1990 (e succ. mod.), base imponibile è costituita dal gas metano (in metri cubi) erogato nel territorio della regione. Per le utenze esenti dall’imposta erariale è istituita una imposta regionale sostitutiva. Le aliquote sono determinate da ciascuna regione, entro una forbice fissata dalla legge statale. Il gettito complessivo per il 2006 ammonta a 475 milioni di euro, che costituisce l’1 per cento delle entrate tributarie e corrisponde a 10 euro pro-capite.

Tributo speciale per il deposito in discarica dei rifiuti solidi

Istituito a decorrere dal 1996 (art. 3, commi dal 24 a 41, L. 549/1995 e successive modifiche e integrazioni), il tributo è dovuto dal gestore della discarica o dell'inceneritore. Il 10% del gettito è devoluto alle Province. Il gettito complessivo per il 2006 ammonta a 186 milioni di euro, che costituisce lo 0,4 per cento delle entrate tributarie e corrisponde a circa 4 euro pro-capite.

 

I tributi ‘minori’

§      Tassa regionale per il diritto allo studio universitario. A decorrere dall'anno accademico 1996-97, la legge n. 549/1995 (art. 3 comma 20) istituisce la tassa regionale per il diritto allo studio universitario Le regioni e le province autonome determinano annualmente l'importo del tributo entro i valori minimo (63 euro) e massimo (103 euro) stabiliti dalla legge dello Stato. Il gettito complessivo nelle regioni a statuto ordinario per l’anno 2005 (ultimo disponibile) è stato pari a 160 milioni di euro, che costituisce lo 0,24 per cento delle entrate tributarie, con una quota pro-capite pari a 2,1 euro.

§      Imposta regionale sulle emissioni sonore degli aeromobili. La legge n. 342/2000 (articoli 90-95) istituisce a decorrere dall'anno 2001 l'imposta regionale sulle emissioni sonore degli aeromobili civili, nelle aree adiacenti gli aereoporti con l’obiettivo prioritario della riduzione dell’inquinamento acustico (tributo di scopo). L'imposta è dovuta alla regione o provincia autonoma per ogni decollo ed atterraggio degli aeromobili civili negli aeroporti civili. Negli anni 2002-2004, a titolo di questa imposta, sono stati iscritte somme nei bilanci di sole cinque regioni - Lombardia, Toscana, Marche, Umbria e Lazio – e accertati nell’anno 2004 complessivi 29 mila euro.

§      Imposta regionale sulla benzina. Benché fin dal 1990 (D.Lgs. 398/1990 art. 17) fosse prevista la possibilità per le regioni a statuto ordinario di istituire un’imposta sulla benzina per autotrazione erogata dagli impianti di distribuzione ubicati nei rispettivi territori, solo recentemente e solo poche regioni lo hanno fatto. La Campania dal 2004, il Molise dal 2005, la Liguria dal 2006 e da ultimo, a decorrere dal 2008, la Puglia al fine esplicito di assicurare la copertura dei disavanzi di gestione in materia sanitaria. Le quattro regioni applicano la misura massima fissata dalla legge dello Stato (euro 0,0258 per litro benzina, L. 662/1996, art. 1, comma 154).

§      Imposte sulle concessioni statali dei beni del demanio e del patrimonio indisponibile (L. 281/1970 e successive modifiche). Dovuta dai titolari di concessioni per l'occupazione e l'uso di beni del demanio e del patrimonio indisponibile dello Stato che si trovano nel territorio della regione (miniere, colture di pioppi su pertinenze idrauliche, demanio marittimo, ecc). Secondo l’ultimo dato disponibile rilevato dalla Corte dei conti, relativo al 2004, il gettito complessivo non arrivava allo 0,03 per cento delle entrate tributarie, con una quota pro-capite pari a 0,2 euro.

§      Tasse sulle concessioni regionali (D.Lgs. 230/1991). A decorrere dall’anno di imposta 1998, la maggior parte delle regioni a statuto ordinario ha disposto la disapplicazione di un notevole numero di tasse sulle concessioni regionali, accogliendo così la disposizione dell’articolo 55 del D.Lgs. 446/1997. Sono state conservate da tutte le regioni quelle relative alle licenze di caccia e di pesca. Secondo l’ultimo dato disponibile rilevato dalla Corte dei conti, relativo al 2004, il gettito complessivo costituisce lo 0,15 per cento delle entrate tributarie, con una quota pro-capite pari a 1,3 euro.

§      Addizionale regionale alle aliquote sulle concessioni di idrocarburi. Per le produzioni ottenute a decorrere dal 1° gennaio 1997 per ciascuna concessione di coltivazione di idrocarburi l’art. 20 del D.Lgs. 625/1996 stabilisce che il 55 per cento del valore dell'aliquota è corrisposto per alla regione. Piemonte, Marche, Abruzzo, Molise, Basilicata e Calabria ricevono questa imposta per un totale, nel 2004, di 52,7 milioni di euro, corrispondente a circa 5 euro pro-capite.

§      Tassa per l’abilitazione all’esercizio professionale. Istituita sulla base dell’art. 190 del Regio Decreto n. 1592/1933, è dovuta da chi ottiene l'abilitazione all'esercizio di una professione e ha conseguito il titolo accademico in una Università che ha sede legale nella Regione. In sette regioni non viene applicata (Piemonte, Veneto, Emilia-Romagna, Umbria, Campania, Basilicata, Calabria). Nelle regioni dove è applicata, nel 2004 ha prodotto come valore pro-capite 0,1 euro.

Compartecipazione all’accisa sulle benzine

Le regioni a statuto ordinario ricevono dal 1996 (L. 549/1995 e succ. mod.) una quota dell'accisa sulla benzina per autotrazione. Gli accertamenti 2006, pari a 1.940 milioni di euro (39 euro pro-capite) costituiscono il 4,3 per cento delle entrate tributarie, registrano un calo del 26,7 per cento rispetto al 2002.

Compartecipazione all’accisa sul gasolio

Alle regioni a statuto ordinario è stata attribuita (dalla finanziaria 2007, poi corretta dalla legge finanziaria per il 2008, L. 244/2008, art. 1 commi 295-303) una compartecipazione al gettito dell’accisa sul gasolio per autotrazione.

Compartecipazione regionale all’IVA

Diversamente da quanto avviene per il gettito dei tributi e compartecipazioni sopra descritte, proveniente interamente dal gettito riferito al territorio, il gettito della compartecipazione regionale all’IVA è attribuito ciascuna regione in base a parametri che dipendono dalla disciplina del finanziamento della spesa sanitaria corrente delle regioni a statuto ordinario secondo i seguenti criteri:

§      la percentuale di compartecipazione al gettito IVA varia annualmente in ragione del fabbisogno necessario a ‘coprire’ la quota di spesa sanitaria corrente non ‘coperta’ dal gettito IRAP, Addizionale IRPEF, accisa e tickets sanitari;

§      la territorializzazione del gettito IVA è determinata in proporzione all’ammontare dei consumi registrati dall’ISTAT per ciascuna regione (c.d. IVA su base consumi);

§      le regioni a cui la territorializzazione assegna somme maggiori del rispettivo fabbisogno sanitario (PIE, LOM, VEN, EMI, TOS, LAZ) ‘cedono’ le somme eccedentarie al Fondo perequativo interregionale. Al bilancio di queste regioni affluisce soltanto una quota- parte dell’IVA territorializzata come propria;

§      le regioni a cui la territorializzazione assegna somme minori del rispettivo fabbisogno sanitario (LIG, UMB, MAR, ABR, MOL, CAM, PUG, BAS, CAL) ricevono integralmente la propria quota IVA territorializzata e, in aggiunta, una quota parte del Fondo perequativo interregionale, questa in misura corrispondente al completamento della ‘copertura’ del rispettivo fabbisogno[4]. Nelle regioni eccedentarie le entrate da compartecipazione IVA sono riferite integralmente al proprio territorio, sebbene siano soltanto una quota parte della rispettiva IVA territorializzata. Nelle regioni deficitarie le entrate IVA riferite al territorio sono costituite dall’intera quota territorializzata; a questa si aggiunge il trasferimento perequativo non riferibile ad uno specifico territorio.

La Tabella 2 mostra il gettito complessivo della compartecipazione IVA, come determinato dai DPCM ai sensi del D.Lgs. 56/2000, secondo i criteri di cui sopra:

 

Tabella 2: Gettito della compartecipazione all’IVA

 

Considerando le entrate della Tabella n. 1 (Entrate tributarie delle regioni a statuto ordinario) e la quota IVA di Tabella 2, somme che insieme, secondo l’attuale disciplina di attribuzione, possono qualificarsi come gettito riferito al territorio dell’ente, il totale delle entrate tributarie del complesso delle regioni a statuto ordinario diviene:

 

Tabella 3: Totale delle entrate considerate di natura tributaria

 

Assumendo questo insieme ed in base alla popolazione residente (ISTAT, 1°gennaio), il valore medio pro-capite di ciascun tributo negli anni 2005 e 2006 è stato:

 

 

Tabella 4: RSO – Entrate tributarie

Fonte dei dati: Corte dei conti, Relazione gestione finanziaria delle regioni anni 05-06 e 06-07 e DPCM ex D.lgs. 56/2000;

 

 

Le altre entrate

Nell’esercizio 2006 - al netto dell’avanzo di amministrazione, delle contabilità speciali e delle partite di giro - le entrate tributarie hanno costituito mediamente il 65% del totale delle entrate delle regioni a statuto ordinario, scontando però un divario fra le regioni che si estendeva dal 32,5% del Molise all’ 83,9% dell’Emilia-Romagna:

 

Tabella 5 - Entrate delle regioni a statuto ordinario

(milioni di €)

Fonte dei dati:   Corte dei conti, Relazione gestione finanziaria delle regioni anni 05-06 e 06-07 e DPCM ex D.Lgs. 56/2000.

Nota:   Per ciascuno degli anni la quota IVA relativa alla perequazione è stata considerata qui al Titolo II anche per le regioni che nel bilancio la cumulano al Titolo I.

 

 

Tabella 6 Entrate esercizio 2006 per regione

 

Dove:

§      Titolo I - Entrate derivanti da tributi propri della regione/provincia autonome e dalla compartecipazione e devoluzione di tributi erariali  ;

§      Titolo II - Trasferimenti e contributi dello Stato, dell'Unione europea e di altri enti;

§      Titolo III - Entrate extratributarie;

§      Tit. IV - Entrate derivanti da alienazioni patrimoniali e da rendite di capitali;

§      Tit. V - Entrate da mutui, prestiti o altre operazioni creditizie.

 


Il gettito tributario in ciascuna regione

L’analisi compiuta dalla Corte dei Conti sugli accertamenti pro-capite dei principali tributi nel periodo 2002-2006, evidenzia forti differenze tra le regioni.

Dai dati della Corte sono tratti i seguenti grafici che mostrano il gettito IRAP e il gettito dell’addizionale IRPEF nelle regioni. Per una più agevole comprensione, il valore medio dell’insieme delle regioni a statuto ordinario (RSO) è posto convenzionalmente uguale a 100.

 

 

IRAP – valori pro-capite 2004-2006 (media RSO =100)

 

 

addIZIONALE IRPEF – valori pro-capite 2004-2006 (media RSO =100)

 


b) Regioni a statuto speciale

L’ordinamento finanziario delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e Bolzano è disciplinato dai rispettivi statuti e dalle cosiddette “norme di attuazione”.

Gli statuti – che hanno forma di legge costituzionale – stabiliscono ambiti e limiti della potestà impositiva, tributaria, finanziaria e contabile di ciascuna regione, riconoscono la titolarità del demanio e del patrimonio regionali, elencano i tributi erariali il cui gettito è devoluto, interamente o in parte, alla regione, attribuiscono ad essa la potestà legislativa e amministrativa sull’ordinamento finanziario degli enti locali del rispettivo territorio.

 

Nei cinque statuti speciali le disposizioni che disciplinano l’ordinamento finanziario sono singolari per il contenuto e per le modalità secondo cui possono essere modificate:

§      lo statuto siciliano attribuisce alla regione l’intero gettito dei tributi erariali il cui presupposto d’imposta si determina sul proprio territorio, ad eccezione delle imposte di produzione (ora, accise) e delle entrate dei monopoli dei tabacchi e del lotto, che sono riservate allo Stato. Questa disposizione è modificabile soltanto con norma di rango costituzionale. Una norma di attuazione – antecedente la riforma tributaria del 1972 – elenca in dettaglio i tributi (allora) spettanti alla Regione;

§      lo statuto della Valle d’Aosta enuncia il principio della compartecipazione della Regione ai tributi erariali ma ne rinvia la determinazione ad una legge dello Stato da emanare “sentito il Consiglio della Valle”. La materia è ora disciplinata da una legge e da norme di attuazione;

§      gli statuti delle regioni Sardegna, Friuli-Venezia Giulia e Trentino-Alto Adige, quest’ultimo anche per le province autonome di Trento e Bolzano, elencano direttamente per ciascun tributo la misura della compartecipazione attribuita alla regione o alla provincia autonoma. Queste disposizioni, se pure inserite in un testo costituzionale, sono modificabili con legge ordinaria ‘d’intesa con la regione o la provincia autonoma’, secondo lo statuto del Trentino-Alto Adige e ‘sentita’ la regione, secondo gli statuti delle regioni Sardegna e del Friuli-Venezia Giulia. Disposizioni ulteriori e di dettaglio sono contenute nelle norme di attuazione.

Per quanto differenziati tra loro per il numero ed il livello delle compartecipazioni ai tributi erariali, l'autonomia ed il sistema finanziario delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e Bolzano corrispondono a caratteristiche unitarie che ricalcano in gran parte l'autonomia ed il sistema finanziario delle regioni a statuto ordinario.

 

La differenza – significativa per quantità e dinamica delle entrate – è segnata dal numero e dalla misura delle compartecipazioni al gettito dei tributi erariali maturato sui rispettivi territori. Fondando su alcune espressioni degli statuti, le regioni a statuto speciale considerano come tributi propri anche le quote di compartecipazione ai tributi erariali; queste entrate sono iscritte al Titolo primo del bilancio. Di fatto, esse non disciplinano alcun elemento dei tributi compartecipati e ne subiscono le variazioni di gettito quando a determinarle è un intervento dello Stato. Dunque, i tributi erariali compartecipati possono considerarsi tributi propri ai soli fini contabili.

Tributi propri

A – Tributi istituiti dalle regioni

Sebbene in più occasioni la Corte costituzionale abbia riconosciuto alle regioni a statuto speciale un maggior grado di autonomia impositiva rispetto ai vincoli e ai limiti posti a tutte le regioni dalla potestà statale di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, di fatto le regioni a statuto speciale non vi hanno fatto ricorso e, quando questo è avvenuto, i margini lasciati alla istituzione di tributi diversi da quelli previsti o istituiti dalla legge dello Stato sono stati del tutto residuali. In particolare:

§      non è più applicata nelle due province autonome l’imposta regionale di soggiorno istituita dalla Regione Trentino-Alto Adige nel 1976. Il gettito era interamente destinato ai comuni;

§      è stato dichiarato incompatibile con la normativa comunitaria (TAR Lombardia, n. 130/2003 e Corte di Giustizia europea, C-173/05, del 21 giugno 2007) il Tributo ambientale, istituito dalla Regione siciliana nel 2002, tributo che ha come presupposto la proprietà di gasdotti ricadenti nel territorio della Regione siciliana;

§      in quanto lesive del limite dell’armonia con i principi del sistema tributario statale sono state dichiarate costituzionalmente illegittime le cosiddette tasse sul lusso istituite dalla Regione Sardegna nel 2006: l’«imposta regionale sulle plusvalenze dei fabbricati adibiti a seconde case» e l’«imposta regionale sulle seconde case ad uso turistico» (C. cost. sentenza n. 102/2008);

§      l’«imposta regionale su aeromobili ed unità da diporto», anch’essa istituita dalla regione Sardegna è sottoposta a questione pregiudiziale, sollevata innanzi la Corte di giustizia CE, in relazione alla sua configurabilità, ai sensi dell’art. 87 del Trattato CE, di un aiuto di Stato alle imprese con domicilio fiscale nel territorio regionale.

 

B – Tributi istituiti da legge dello Stato

Al pari delle regioni a statuto ordinario e con i medesimi limiti e vincoli, sono attribuiti alle regioni a statuto speciale e alle province autonome di Trento e Bolzano taluni dei tributi regionali istituiti e disciplinati dalla legge dello Stato. In particolare:

§      l’Imposta regionale sulle attività produttive (IRAP);

§      l’Addizionale regionale all’IRPEF;

§      il Tributo speciale per il deposito in discarica dei rifiuti;

§      la Tassa per il diritto allo studio universitario;

§      le Tasse di concessione regionale che, come per le regioni a statuto ordinario, sono oramai limitate a quelle relative all’esercizio venatorio e alla pesca;

§      la Tassa automobilistica è tributo proprio istituito con legge dalle province autonome di Trento e di Bolzano. Nelle altre regioni a statuto speciale essa è rimasta imposta erariale, senza alcuna compartecipazione nelle regioni Sardegna e Friuli-Venezia Giulia e con una compartecipazione regionale al gettito (rispettivamente 10/10 e 9/10) nelle regioni Sicilia e Valle d’Aosta.

 

C – Tributi spettanti alle province

Poiché svolgono le funzioni che negli altri territori sono svolte dalle amministrazioni provinciali, alle province autonome di Trento e Bolzano ed alla regione Valle d’Aosta sono attribuiti i seguenti tributi provinciali:

§      Tasse di iscrizione al PRA (D.Lgs. 446/97, art. 56);

§      Tributo per l'esercizio delle funzioni ambientali (D.Lgs. 504/1992, art. 19);

§      Imposta sulle assicurazioni contro la responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli (D.Lgs. 446/97 art. 60 co. 1 e 4);

§      Addizionale provinciale sui consumi di energia elettrica in locali diversi dalle abitazioni (D.L. 511/1988 art. 6, convertito con L 20/1989)

 

D – Contributi assicurativi per il Servizio sanitario

Alle regioni Valle d’Aosta e Friuli Venezia Giulia e alle Province autonome di Trento e di Bolzano sono attribuiti i contributi sui premi delle assicurazioni dei veicoli e dei natanti per la responsabilità civile (art. 334 D.Lgs. 209/2005), in quanto questi enti finanziano integralmente con risorse del proprio bilancio la spesa sanitaria nei rispettivi territori. Queste entrate sono classificate come tributi propri dalle regioni Valle d’Aosta e Friuli Venezia Giulia, mentre per le province autonome sono entrate extratributarie.

Compartecipazioni ai tributi erariali

Le quote di compartecipazione ai tributi erariali costituiscono il connotato più forte dell'autonomia finanziaria delle regioni a statuto speciale e delle province autonome. Il numero dei tributi compartecipati e la misura della compartecipazione sono sensibilmente diversi tra regioni; allo stato, si tratta di determinazioni ispirate in parte al principio della attribuzione proprietaria (i tributi del territorio), in parte al criterio di corrispondenza tra gettito e spesa per le funzioni da finanziare.

 

Diversi (e per taluni aspetti contesi) sono anche i criteri di parametrazione delle quote di compartecipazione: in taluni casi si fa riferimento a tutti i tributi il cui presupposto di imposta si è determinato sul territorio della Regione, anche se versati o incassati fuori da quel territorio; in altre disposizioni il riferimento è alle imposte “percette” o “incassate” nel territorio della Regione; altre disposizioni ancora, , attribuiscono alla regione i tributi versati fuori dal territorio soltanto se relativi ad impianti industriali che hanno sede nel territorio.

 

In sintesi, il prospetto delle compartecipazioni è il seguente:

§      Sicilia: spetta alla regione l’intero gettito di tutti i tributi erariali, ad eccezione delle imposte di produzione (ora, accise) e dei proventi del monopolio dei tabacchi e del lotto;

§      Sardegna: i 7/10 dell’IRPEF e dell’IRPEG, i 9/10 delle imposte ipotecarie, bollo e registro, concessioni, energia elettrica, fabbricazione (accise); dall’anno 2010 i 9/10 dell’IVA e i 7/10 di tutte le altre entrate erariali;

§      Valle d’Aosta: i 9/10 di quasi tutte le imposte e una quota di IVA in cifra fissa, determinata da una precedente compartecipazione all’IVA di importazione;

§      Friuli-Venezia Giulia: i 6/10 dell’IRPEF, i 4,5/10 dell’IRPEG, dall’anno 2008 i 9,1/10 dell’IVA, i 9/10 di altre poche imposte e, attribuite dalla legge finanziaria 2008, il 29,75 % del gettito dell’accisa sulle benzine e il 30,34 % del gettito dell’accisa sul gasolio consumati nella regione;

§      Regione Trentino-Alto Adige: le imposte ipotecarie, 9/10 delle imposte sulle successioni e donazioni e dei proventi del lotto, i 2/10 dell’IVA;

§      Province autonome di Trento e di Bolzano: i 9/10 di quasi tutte le imposte erariali, una quota variabile dell’IVA (max 4/10) stabilita annualmente d’intesa.

Riscossione e accredito delle quote di compartecipazione

La Regione Sicilia riscuote direttamente i tributi sul proprio territorio. Un sistema di regolazioni contabili compensa i tributi spettanti all’Erario e quelli che questo riscuote per la Regione in altre parti del territorio nazionale. Le quote di compartecipazione spettanti alla Regione Sardegna sono versate alla regione negli stessi termini stabiliti per il versamento allo Stato. Dal 1° gennaio 2008 anche la Regione Friuli-Venezia Giulia riceve direttamente (dai soggetti che le riscuotono) le imposte che le spettano; sono versate su conto corrente infruttifero intestato alla Regione presso la Tesoreria centrale dello Stato. Alla Regione Valle d’Aosta le quote di compartecipazione sono versate mensilmente; alla Regione Trentino-Alto Adige e alle province autonome di Trento e Bolzano sono versate trimestralmente. Le quote di compartecipazione ai tributi erariali, con l’eccezione di quelle spettanti alla Regione Sicilia, sono considerate come somme provenienti dal bilancio dello Stato e per questo sottoposte al regime di Tesoreria unica, subordinatamente a quanto non disposto dalle specifiche norme di attuazione.

 

Modifiche alla disciplina dei tributi compartecipati e “riserva all’Erario”

Quando la legge dello Stato modifica la disciplina dei tributi compartecipati gli aumenti e le diminuzioni di gettito che ne derivano si determinano anche sulla quota spettante alla regione. Nei confronti delle regioni che più volte hanno lamentato la diminuzione delle rispettive entrate a seguito di modificazioni introdotte autonomamente dallo Stato, la Corte costituzionale ha ripetutamente affermato che gli statuti speciali garantiscono l’adeguatezza delle loro entrate alle funzioni assegnate e non uno specifico “quantum”, in qualsiasi modo determinato. Per altro, la legge dello Stato può riservare all’Erario il gettito di nuovi tributi ed il gettito proveniente da modificazioni alla disciplina dei tributi compartecipati dalle regioni, purché la riserva sia limitata nel tempo, le somme che ne derivano siano destinate a scopi specifici e le stesse siano quantificabili nel loro ammontare.


Prospetto comparativo delle compartecipazioni al gettito dei tributi erariali spettanti alle regioni a statuto speciale e alle province autonome



Principali entrate tributarie

Sicilia

Sardegna

Valle d'Aosta

Trentino-Alto Adige

Trento e Bolzano

Friuli-Venezia Giulia

Riferimenti normativi

DPR 1074/65

L.Cost. 3/48

Art. 8[5]

L. n. 690/81, Artt. 2,3,4

DPR 670/72

Art. 69

DPR 670/72

Artt. 71-75

L. Cost. 1/63, Art. 49[6]

IRPEF - Imposta sul reddito delle persone fisiche

10/10

7/10

9/10

 

9/10

6/10

IRPEG - Imposta sul reddito delle persone giuridiche

10/10

7/10

9/10

 

9/10

4,5/10

Ritenute alla fonte sui redditi da lavoro autonomo

10/10

7/10

9/10

 

9/10

6/10

Imposta locale sui redditi

10/10

 

 

 

9/10

 

Ritenute sugli interessi e redditi di capitale

10/10

 

 

 

9/10

 

IVA generale riscossa nel territorio della regione (*)

10/10

9/10 5

9/10

(ora quota fissa)

2/10

7/10

9,1/106

IVA all’importazione riscossa nel territorio della regione (*)

10/10

 

9/10

(ora quota fissa)

0,5/10

4/10

53% BZ 47% TN

 

Imposte ipotecarie

10/10

9/10

9/10

10/10

 

 

Imposte sul bollo e di registro

10/10

9/10

9/10

 

9/10

 

Imposte di consumo sull’energia elettrica

10/10

9/10

9/10

 

10/10

9/10

Tasse sulle concessioni governative

10/10

9/10

9/10

 

9/10

 

Imposte sulle successioni e donazioni

10/10

5/10

9/10

9/10

 

 

Imposte di fabbricazione (accise)

--

9/10

9/10

--

 

 

- [solo] su benzine e gasolio per autotrazione

 

 

 

 

9/10

29,75% benz. 30,34 % gasol.6

Monopolio dei tabacchi (imposta erariale di consumo sui prodotti del)

--

9/10

9/10

 

9/10

9/10

Imposte di consumo sul caffè e sul cacao (per memoria)

10/10

-

9/10

 

9/10

 

Proventi del lotto (al netto delle vincite)

-

-

9/10

9/10

 

 

Canone delle concessioni idroelettriche[7]

10/10

10/10

9/10

 

9/10

9/10

Tasse di circolazione (poi Tasse automobilistiche)

10/10

-

9/10

 

9/10[8]

 

Clausola “residuale” per tutte le altre entrate tributarie erariali, dirette o indirette, comunque denominate non escluse dallo statuto e che non siano di spettanza di altri enti pubblici.

10/10

7/10

 

 

9/10

 

(*)Per dar conto delle compartecipazioni diversamente attribuite a ciascuna regione o provincia autonoma l'indicazione relativa all'IVA è stata suddivisa tra “IVA generale” e “IVA alla importazione”.

 

Questo prospetto riporta soltanto i tributi indicati nominativamente, o per categorie, dagli statuti e dalle relative norme di attuazione. Non riproduce cioè tutti i capitoli di entrata del bilancio dello Stato in base ai quali sono calcolate – pro quota – le entrate spettanti a ciascuna regione e provincia autonoma. Sono state aggiunte in ultimo le disposizioni “residuali” che attribuiscono alla regione Sicilia, alle province autonome ed ora anche alla Sardegna, la compartecipazione su tutte le altre imposte e tasse non elencate dallo statuto.

Entrate da tributi e compartecipazioni 2006 e 2007 - valori pro-capite

Nella Tabella 7 le entrate da tributi propri e da compartecipazione ai tributi erariali delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e Bolzano sono indicate in valore assoluto e, complessivamente, in misura percentuale del totale delle entrate di bilancio, al netto dell’avanzo di amministrazione e delle partite di giro.

Per l’anno 2007 l’incidenza percentuale delle entrate di natura tributaria, tributi propri e compartecipazioni ai tributi erariali, si attesta tra l’83,4% della Sardegna e il 92,9 % della Valle d’Aosta, mentre la Sicilia registra il valore più basso, 63%[9].

I dati sono tratti dai Rendiconti delle regioni o dai Giudizi di parificazione del bilancio delle regioni e delle province autonome da parte della Corte dei conti[10].

 

Tabella 7 – Entrate tributarie delle regioni a statuto speciale

 

 

Fonte:Rendiconti generali delle regioni e delle province autonome e/o Giudizi di parificazione del bilancio da parte della Corte dei conti, per il dettaglio vedi nota 10.

 

In termini pro-capite i totali delle tabelle sono espressi nella Tabella 8 che indica anche il rapporto fra le regioni a statuto speciale facendo uguale 100 il valore medio nazionale di ciascun anno:

 

Tabella 8 – Entrate tributarie pro-capite

 

Le entrate per solidarietà

Per la Regione siciliana e per la Regione Sardegna, i rispettivi statuti stabiliscono entrate aggiuntive al fine di colmare il divario economico e strutturale con il resto del Paese.

 

Secondo quanto disposto dall’articolo 38 dello Statuto della Regione siciliana, lo Stato è tenuto a versare annualmente alla Regione, a titolo di solidarietà nazionale, una somma da impiegarsi, in base ad un piano economico, nell'esecuzione di lavori pubblici.

 

A partire dall’anno 2000 (non riceveva finanziamenti dal 1991) il Fondo di solidarietà nazionale è stato ripetutamente finanziato tramite limiti di impegno annuali (attualmente in corso) che hanno consentito alla Regione di attualizzare quei crediti collocati di volta in volta sul mercato. Da ultimo, la legge finanziaria 2007 attribuisce alla Regione siciliana un finanziamento di 60 milioni di euro per ciascuno degli anni 2008 e 2009, finalizzandolo (prevalentemente) al risanamento ambientale dei luoghi di insediamento degli stabilimenti petroliferi. Il contributo è finanziato tramite la ‘retrocessione’ alla regione Siciliana di parte del gettito delle accise che gravano sui prodotti petroliferi immessi al consumo nel territorio della Regione.

In sintesi il Fondo di solidarietà nazionale è stato così finanziato:

§      1.239 milioni di euro, con limiti di impegno dal 2001 al 2016 a copertura del periodo 1991-2000;

§      585 milioni di euro, con limiti di impegno dal 2004 al 2021 a copertura del periodo 2001-2005;

§      complessivi 394 milioni di euro, limiti di impegno dal 2006 al 2022, a copertura del periodo 2006-2007;

§      contributo annuale di 60 milioni di euro per ciascuno degli anni 2008 e 2009.

 

Per quanto concerne la Regione Sardegna, invece, l’articolo 13 dello Statuto dispone che lo Stato è tenuto a predisporre, col concorso della Regione, un piano organico per favorire la rinascita economica e sociale dell’isola.

L’ultimo finanziamento organico esplicitamente destinato a tal fine risale al 1994. Il D.L. 26-4-1994 n. 248, recante provvedimenti urgenti per lo sviluppo economico e sociale della Sardegna, in attuazione dell'articolo 13 dello statuto speciale (convertito con modificazioni con L. 402/1994), stanzia per il periodo 1994-1998 la spesa complessiva di lire 910 miliardi, di cui lire 150 miliardi per l'anno 1994 e lire 190 miliardi per ciascuno degli anni dal 1995 al 1998. Il finanziamento era destinato ad interventi di promozione della formazione professionale, dello sviluppo delle attività produttive, al miglioramento della qualità dei servizi, nonché ad interventi per la continuità territoriale del sistema dei trasporti.

 

Successivamente altri interventi finanziari hanno riguardato singoli aspetti, ad esempio la continuità territoriale , le cui funzioni, peraltro, sono ora trasferite alla Regione nell’ambito delle modifiche apportate alle aliquote delle compartecipazioni ai tributi erariali disposte dalla legge finanziaria del 2007.

 

Dati di bilancio: il complesso delle entrate

A completamento di quanto esposto nella Tabella 7, la seguente Tabella 9 - Entrate delle regioni a statuto speciale, mostra per ciascuna regione e provincia autonoma le iscrizioni di bilancio degli accertamenti suddivisi per titoli, in relazione agli anni 2004-2007. I dati sono in valore assoluto e in percentuale sul totale delle entrate, al netto dell’avanzo di amministrazione, delle contabilità speciali e delle partite di giro.

Tabella 9 – Entrate delle regioni a statuto speciale

Fonte:Rendiconti generali delle regioni e delle province autonome e/o Giudizi di parificazione del bilancio da parte della Corte dei conti, per il dettaglio vedi nota 10.


2.2   Le spese delle regioni

In questa sezione si riportano i dati sulla spesa delle regioni per settori di intervento, nonché per titoli.

Va peraltro segnalato che oltre alla classificazione per titoli, molte regioni utilizzano una classificazione funzionale, la quale, tuttavia, in quanto connessa con la struttura organizzativa di ciascuna regione, non appare omogenea con la classificazione funzionale di altre regioni. Tale situazione non consente, attualmente, di dar conto anche di una compiuta analisi comparativa delle spese per funzioni.

Nel caso delle regioni a statuto speciale e provincia autonoma, inoltre, la comparazione della spesa per funzioni dovrebbe essere accompagnata dal quadro dettagliato delle funzioni esercitate da ciascuna di esse.

Com’è noto, infatti, questi enti, a fronte di un diverso sistema di finanziamento provvedono direttamente – con fondi del proprio bilancio – al finanziamento di diverse funzioni, tra cui:

il servizio sanitario (tutte ad eccezione della Sicilia che riceve un contributo dallo Stato);

l’istruzione: spese per il personale e il funzionamento delle scuole statali (Prov.aut. Trento e Bolzano, Valle d’Aosta);

il finanziamento degli enti locali (Friuli-Venezia Giulia, Prov.aut. Trento e Bolzano; Valle d’Aosta);

pensioni e assegni per gli invalidi civili (Prov.aut. Trento e Bolzano, Valle d’Aosta).

 

Si rammenta che analisi disaggregate dei dati di spesa delle regioni sono effettuate dall’ISTAT, dalla Corte dei conti, e dal nucleo dei Conti pubblici territoriali. In particolare:

 

§      l’ISTAT pubblica l’analisi dei rendiconti delle regioni, classificati per categoria e voce economica, in relazione all’esercizio economico precedente di 3 anni[11];

§      la Corte dei conti, Sezione autonomie, analizza per le Regioni a statuto ordinario i Rendiconti dell’esercizio precedente. Per l’analisi delle spese viene utilizzata la classificazione per titoli. Dal complesso delle spese sono evidenziate le spese per la sanità e le spese per il personale;

§      la banca dati dei Conti Pubblici Territoriali[12] contiene, invece, i dati di consuntivo espressi in termini di cassa, classificati per categoria economica e settore di intervento.

La spesa per settori di intervento

Un dato complessivo della spesa classificata secondo settori di intervento è fornito dal Ministero dell’Economia e delle finanze nella Relazione sulla situazione economica del Paese. Nel volume III, Appendice statistica, la Relazione – che utilizza la fonte ISTAT - riporta il dato complessivo relativo alle regioni a statuto ordinario, nonché il dato complessivo relativo alle regioni a statuto speciale[13]. Gli ultimi dati disponibili sono relativi all’anno 2006.

Per questo tipo di classificazione non sono tuttavia disponibili i dati disaggregati per ciascuna regione[14].

 

Nelle tabelle seguenti sono esposte le spese delle regioni a statuto ordinario e a statuto speciale classificate per settori di intervento.

Da un’analisi dei dati si evince come la maggior entità delle risorse sia assorbita dalla spesa sanitaria di parte corrente, sia per le regioni a statuto ordinario (il 77,5% nel 2005 e il 72,4% nel 2006 del totale delle spese di parte corrente), che per quelle a statuto speciale (il 51,9% nel 2005 e il 50,3% nel 2006). Altra quota rilevante degli impegni di spesa rispetto al totale aggregato delle regioni, secondo le stime dell’ISTAT, risulta quella delle spese correnti di amministrazione connesse al funzionamento degli uffici, seguite da quelle relative ai trasporti. Per quanto riguarda le spese in conto capitale, una parte consistente del totale è assorbita dalle settore delle opere pubbliche e da quello agricolo e zootecnico. In particolare per le regioni a statuto ordinario, un peso crescente è riscontrabile con riferimento al settore dell’industria e delle fonti di energia (+16,2% nel 2006 rispetto all’anno precedente).

Si osserva infine che una quota delle spese per il 2005 e il 2006 non è stata attribuita ovvero risulta non ripartibile ad uno specifico settore d’intervento (rispettivamente il 4,7% e l’8,5% per le regioni a statuto ordinario ed il 13,5% e il 13,3% per quelle a statuto speciale).

 


Tabella 1 - Spese delle regioni a Statuto ordinario per settori di intervento – Impegni

(milioni di euro) (*)

Settori di intervento

2005

2006

Variazioni %
2006/2005

 

Parte corrente

Conto capitale

Parte corrente

Conto capitale

Parte corrente

Conto capitale

Amm. generale e organi istituz.

4.325

957

5.328

916

23,2

-4,3

Lavoro

273

455

492

411

80,2

-9,7

Polizia amm.va e servizi antinc.

14

65

14

104

-

60,0

Istruzione e diritto allo studio

823

339

805

219

-2,2

-35,4

Formazioneprofessionale

1.346

548

1.455

681

8,1

24,3

Organizzazione della cultura

536

570

317

482

-40,9

-15,4

Assistenza sociale

1.960

262

2.062

316

5,2

20,6

Difesa della salute

72.956

1.100

77.133

1.170

5,7

6,4

Sport e tempo libero

109

132

146

63

33,9

-52,3

Agricoltura e zootecnia

487

1.464

480

1.793

-1,4

22,5

Foreste

55

198

70

192

27,3

-3,0

Sviluppo dell’economia montana

13

158

20

152

53,8

-3,8

Acque minerali, (...)

4

10

3

19

-

-90,0

Caccia e pesca

50

23

52

51

4,0

121,7

Opere pubbliche

108

1.678

109

1.806

-0,9

7,6

Acquedotti

187

540

204

800

9,1

48,1

Viabilità

31

1.158

36

810

16,1

-30,1

Trasporti su strada

2.781

577

3.044

619

9,5

7,3

Trasporti ferroviari

1.600

229

1.605

254

0,3

10,9

Trasporti marittimi, (...)

374

39

385

45

2,9

15,4

Trasporti aerei

1

14

-

9

-

-35,7

Altri trasporti

249

370

280

450

12,4

21,6

Artigianato

90

457

80

430

-11,1

-5,9

Turismo e industria alberghiera

198

412

227

381

14,6

-7,5

Fiere, mercati, (...)

39

137

45

171

15,4

24,8

Edilizia abitativa

343

1.001

264

1.106

-23,0

10,5

Urbanistica

13

437

13

767

-

75,5

Industria e fonti di energia

53

1.423

73

1.654

37,7

16,2

Protezione della natura, ...

310

885

383

983

23,5

11,1

Ricerca scientifica

23

170

48

100

108,7

-41,2

Oneri finanziari

701

19

765

72

9,1

278,9

Spese non attribuite

3.998

1.225

10.459

1.142

161,6

-6,8

Interventi non ripartibili

97

116

102

80

5,2

-31,0

Previdenza sociale

3

-

3

-

-

-

Rimborso prestiti

-

3.634

-

13.769

-

278,9

TOTALE

94.150

20.802

106.502

32.017

13,1

53,9

(*)  Dati stimati. Fonte: ISTAT.

_______________

MEF – Relazione generale sulla situazione economica del paese 2007 - Appendice ES. 14


Tabella 1a - Spese delle regioni a Statuto speciale per settori di intervento – Impegni

(milioni di euro) (*)

Settori di intervento

2005

2006

Variazioni %
2006/2005

 

Parte corrente

Conto capitale

Parte corrente

Conto capitale

Parte corrente

Conto capitale

Amm. generale e organi istituz.

3.085

624

3.381

146

9,6

-76,6

Lavoro

524

240

564

212

7,6

-11,7

Polizia amm.va e servizi antinc.

41

191

38

195

-7,3

2,1

Istruzione e diritto allo studio

-

168

1.503

164

8,9

-2,4

Formazioneprofessionale

375

389

379

351

1,1

-9,8

Organizzazione della cultura

384

478

394

516

2 6

79

Assistenza sociale

1.021

237

1.033

174

12

-26,6

Difesa della salute

14.256

509

14.150

450

-0,7

-11,6

Sport e tempo libero

45

80

56

51

24,4

-36,3

Agricoltura e zootecnia

317

1.070

436

968

37,5

-9,5

Foreste

228

157

185

174

-18,9

10,8

Sviluppo dell’economia montana

11

54

13

55

18,2

1,9

Acque minerali, (...)

-

3

-

3

-

-

Caccia e pesca

32

25

39

36

21,9

44,0

Opere pubbliche

20

1.296

38

1.322

90,0

2,0

Acquedotti

98

447

105

351

7,1

-21,5

Viabilità

50

579

48

579

-4,0

-

Trasporti su strada

529

66

557

88

5,3

33,3

Trasporti ferroviari

3

74

12

256

300,0

245,9

Trasporti marittimi, (...)

26

98

35

36

34,6

-63,3

Trasporti aerei

13

12

8

16

-38,5

33,3

Altri trasporti

2

53

12

47

500,0

-11,3

Artigianato

23

191

34

393

47,8

105,8

Turismo e industria alberghiera

149

376

190

760

27,5

102,1

Fiere, mercati, ...

28

62

26

80

-7,1

29,0

Edilizia abitativa

76

563

86

618

13,2

9,8

Urbanistica

11

145

10

112

-9,1

-22,8

Industria e fonti di energia

192

720

176

574

-8,3

-20,3

Protezione della natura, (...)

140

225

156

236

11,4

4,9

Ricerca scientifica

8

66

7

100

-12,5

51,5

Oneri finanziari

363

1

404

15

11,3

-

Spese non attribuite

1.981

645

1.840

494

-7,1

-23,4

Interventi non ripartibili

1.996

627

2.114

792

5,9

26,3

Previdenza sociale

81

26

84

26

3,7

-

Rimborso prestiti

-

739

-

813

-

10,0

TOTALE

27.488

11.236

28.113

11.203

2,3

-0,3

(*)  Dati stimati. Fonte: ISTAT.

_______________

MEF – Relazione generale sulla situazione economica del paese 2007 - Appendice ES. 16


La spesa per titoli

Gli andamenti della spesa regionale possono essere altresì analizzati utilizzando i dati desumibili dai documenti contabili presentati dalle amministrazioni regionali ai fini del controllo sulla gestione finanziaria da parte della Corte dei conti.

Per le regioni a statuto ordinario, la Corte elabora una relazione annuale della spesa distinta in tre titoli corrispondenti alla spesa corrente, in conto capitale e al rimborso prestiti. L’ultima relazione disponibile è riferita agli esercizi 2006-2007[15]. Essa fornisce altresì un’analisi degli andamenti della spesa regionale nel triennio 2005-2007, utilizzando i dati dei documenti finanziari regolarmente approvati con riferimento agli esercizi 2005 e 2006 (bilanci e rendiconti), nonché i dati relativi all’esercizio 2007 non definitivi. I predetti valori di bilancio vengono considerati al netto delle partite di giro.

La tabella 2 fornisce i dati, disaggregati per regione, relativi agli impegni di spesa nel triennio 2005-2007 con riferimento alle spese correnti, alle spese in conto capitale ed al rimborso prestiti, evidenziando per i primi due titoli della spesa i valori assoluti e in percentuale rispetto alla spesa complessiva, nonché i valori pro-capite ed in percentuale rispetto al PIL di ciascuna regione.

 

Con riferimento alle spese correnti, nel triennio considerato, è possibile osservare un trend di crescita costante[16], con aumenti più rilevanti nell’ultimo anno di osservazione (2007) in particolare per Molise, Lazio, Campania, Marche e Basilicata.

In rapporto agli impegni complessivi della spesa corrente, assumono una forte incidenza gli impegni di spesa corrente sanitaria.

A differenza della spesa corrente, la spesa in conto capitale mostra una complessiva diminuzione nell’arco del triennio, ad eccezione di alcune regioni (tra cui in particolare la Campania, la Basilicata e la Calabria) nel 2006, a fronte di una consistente diminuzione nell’anno successivo.

La spesa per rimborso prestiti, infine, registra un tasso complessivo medio di crescita del 60% nel 2006, con una lieve flessione nell’anno successivo. In taluni casi, i tassi di crescita per il 2006 hanno superato il 100% (Lazio, Abruzzo, Campania e Calabria) a seguito di rimborsi di buoni ordinari regionali (BOR) e restituzioni di anticipazioni di tesoreria.


 

Tabella 2 – Impegni di spesa delle regioni a statuto ordinario distinta per titoli (anni 2005-2007)

 

 

Spese correnti

Spese in c/capitale

Rimborso prestiti

Totale

Impegni di spesa

Anno

Val. ass. (mln €)

%

pro-capite*

(in €)

% PIL

Val. ass. (mln €)

%

pro-capite* (in €)

% PIL

Val. ass. (mln €)

%

Abruzzo

2005

2.337

72,6

1.851

9,00

829

25,7

655

3,19

55

1,7

3.220

2006

2.528

71,3

2.002

9,43

861

24,3

682

3,21

156

4,4

3.546

2007

2.987

80,2

2.366

10,65

562

15,1

445

2,00

176

4,7

3.724

Basilicata

2005

1.127

61,5

1.885

11,12

662

36,2

1.108

6,53

43

2,3

1.832

2006

1.120

53,2

1.873

10,62

942

44,7

1.576

8,94

44

2,1

2.105

2007

1.287

62,7

2.152

11,67

736

35,9

1.231

6,67

30

1,4

2.052

Calabria

2005

3.669

77,1

1.824

11,60

1.011

21,2

503

3,20

81

1,7

4.761

2006

3.874

71,5

1.926

11,92

1.199

22,1

596

3,69

346

6,4

5.419

2007

4.182

77,7

2.079

12,30

1.030

19,1

512

3,03

170

3,2

5.382

Campania

2005

9.823

76,0

1.717

10,77

2.963

22,9

518

3,25

138

1,1

12.924

2006

10.270

67,1

1.795

10,88

3.725

24,3

651

3,95

1.310

8,6

15.305

2007

14.612

81,3

2.554

14,81

2.696

15,0

471

2,73

657

3,7

17.965

Emilia Romagna

2005

7.513

86,1

1.886

6,06

895

10,3

225

0,72

321

3,7

8.730

2006

8.408

89,3

2.111

6,53

834

8,9

209

0,65

172

1,8

9.414

2007

9.200

91,6

2.310

6,83

662

6,6

166

0,49

182

1,8

10.045

Lazio

2005

10.238

80,8

2.003

6,59

2.259

17,8

442

1,46

169

1,3

12.667

2006

10.991

81,0

2.150

6,85

2.183

16,1

427

1,36

400

3,0

13.575

2007

14.075

84,8

2.753

8,38

2.423

14,6

474

1,44

108

0,7

16.606

Liguria

2005

3.470

86,5

2.208

8,69

466

11,6

296

1,17

74

1,8

4.010

2006

3.885

87,2

2.472

9,48

488

11,0

310

1,19

80

1,8

4.454

2007

4.168

87,8

2.652

9,72

485

10,2

309

1,13

92

1,9

4.745

Lombardia

2005

16.507

85,1

1.828

5,62

2.131

11,0

236

0,72

756

3,9

19.394

2006

18.555

89,7

2.054

6,07

1.730

8,4

191

0,57

401

1,9

20.686

2007

18.791

90,0

2.080

5,88

1.894

9,1

210

0,59

185

0,9

20.870

Marche

2005

2.687

77,8

1.827

7,26

546

15,8

371

1,48

220

6,4

3.453

2006

2.687

80,8

1.827

6,97

318

9,6

216

0,83

322

9,7

3.327

2007

3.591

89,4

2.442

8,91

343

8,6

234

0,85

82

2,0

4.016

Molise

2005

615

42,9

1.920

10,64

731

51,0

2.280

12,64

87

6,1

1.433

2006

663

55,2

2.068

11,12

529

44,1

1.651

8,88

9

0,7

1.201

2007

947

71,9

2.953

15,19

360

27,3

1.122

5,77

10

0,8

1.317

Piemonte

2005

8.658

77,1

2.054

7,53

1.424

12,7

338

1,24

1.153

10,3

11.236

2006

8.987

70,6

2.132

7,57

1.695

13,3

402

1,43

2.052

16,1

12.735

2007

9.511

86,2

2.257

7,66

1.307

11,8

310

1,05

221

2,0

11.040

Puglia

2005

7.230

82,0

1.798

11,12

1.397

15,9

347

2,15

187

2,1

8.814

2006

7.176

83,4

1.785

10,68

1.241

14,4

309

1,85

182

2,1

8.600

2007

7.670

79,3

1.908

10,91

1.814

18,8

451

2,58

184

1,9

9.669

Toscana

2005

6.863

86,3

1.962

7,17

1.006

12,7

288

1,05

83

1,0

7.952

2006

7.317

88,7

2.092

7,38

849

10,3

243

0,86

81

1,0

8.247

2007

7.984

90,7

2.282

7,70

718

8,2

205

0,69

103

1,2

8.804

Umbria

2005

1.732

76,5

2.097

8,76

479

21,2

580

2,42

54

2,4

2.265

2006

1.831

81,2

2.217

8,87

370

16,4

448

1,79

54

2,4

2.255

2007

1.917

82,5

2.321

8,88

231

10,0

280

1,07

174

7,5

2.322

Veneto

2005

8.447

85,4

1.866

6,33

1.300

13,2

287

0,97

140

1,4

9.887

2006

8.720

85,7

1.926

6,27

1.330

13,1

294

0,96

127

1,2

10.176

2007

9.220

87,2

2.036

6,34

1.288

12,2

284

0,89

67

0,6

10.574

Regioni S. O.
(totale compl.)

2005

90.916

80,8

1.887

7,31

18.101

16,1

376

1,46

3.561

3,2

112.579

2006

97.013

80,1

2.014

7,52

18.294

15,1

380

1,42

5.738

4,7

121.044

2007

110.142

85,3

2.286

8,17

16.550

12,8

344

1,23

2.440

1,9

129.132

 

Fonte: Corte dei conti, Relazione sulla gestione finanziaria delle regioni per gli esercizi 2006-2007 (luglio 2008).

*    Per il calcolo dei valori pro-capite la Corte dei conti ha fatto riferimento ai dati ufficiali del censimento 2001, mentre i valori di PIL regionale sono stati tratti, relativamente al 2006, dai dati ISTAT indicati nei Conti economici regionali, mentre, per l’anno 2007, sono stati stimati aggiungendo ai valori 2006 l’incremento del 4,6%, corrispondente all’incremento del tasso nominale di crescita del PIL nazionale 2007.


Con riferimento alla spesa pro-capite, inoltre, nel 2006 il maggior livello di spesa di parte corrente è stato fatto registrare dalla Liguria (2.427 euro, a fronte di un rapporto della spesa corrente sul PIL del 9,48%), seguita da Umbria (2.217 euro), Lazio (2.150 euro) e Piemonte (2.132 euro). Per lo stesso anno, i livelli di spesa corrente pro-capite più bassi sono quelli della Puglia (1.785 euro) e della Campania (1.795 euro), nonostante tali regioni abbiano fatto registrare un elevata incidenza della spesa corrente sul PIL (rispettivamente 10,68% e 10,88%). Occorre osservare che la spesa riferita a tali valori pro-capite è influenzata dalla dimensione geografica e dalla consistenza, in valore assoluto, della categoria di spesa considerata. Per tale ragione, ad esempio, le dimensioni demografiche delle regioni del Centro, in media meno elevate, determinano un innalzamento delle quote pro-capite di spesa corrente rispetto al Nord e al Sud.

Per quanto riguarda l’anno 2007, è il Molise a presentare il livello di spesa pro-capite più elevato (2.953 euro, a fronte di un rapporto della spesa corrente sul PIL del 15,19%), seguito da Lazio (2.753 euro), Liguria (2.652 euro) e Campania (2.554 euro). I livelli più bassi si registrano invece in Puglia (1.908 euro), Veneto (2.036 euro) e Calabria (2.079 euro), a fronte di un rapporto di spesa corrente sul PIL rispettivamente del 10,91%, 6,34% e 12,3%.

Dal 2006 al 2007, in particolare, il rapporto di spesa pro-capite cresce per ciascuna regione, mentre la quota di spesa corrente in rapporto al PIL diminuisce, sia pure lievemente, per la sola Lombardia.

 

Con riferimento alle regioni a statuto ordinario la successiva tabella 3 mostra, inoltre, le iscrizioni di bilancio degli impegni di spesa suddivisi per i soli titoli della spesa corrente e in conto capitale, per il triennio 2005-2007, con riferimento alle macroaree del Nord, Centro e Sud[17], in valore assoluto e in valore pro-capite, nonché in percentuale rispetto al PIL regionale.

Per tali macroaree, la Corte ha in particolare evidenziato che il trend di crescita media della spesa è inferiore al 4 per cento per il Nord, mentre per il Centro e per il Sud si presenta superiore al 10 per cento. Inoltre, la macroarea settentrionale ha fatto registrare il minore scostamento medio nel 2007 (circa il 7%), anno in cui, come già accennato, vi è stata una forte espansione della spesa corrente.

Si osserva, inoltre, come le spese finali, ossia la somma tra le spese di parte corrente e di quelle in conto capitale, della macroarea del Nord assorbono la maggior parte della spesa complessiva (43,8%) nel 2007, seguite da quelle del Sud (30,1%) e del Centro (24,2%). Ciò è imputabile in prevalenza al maggior peso delle spese correnti (39,4%) al Nord rispetto al Sud, mentre il rapporto si inverte se si considerano le spese in conto capitale, che al Sud presentano un’incidenza più alta (5,6%) sulla spesa complessiva nel 2007 rispetto alle altre due macroaree.

Il maggior livello di spesa finale media pro-capite è registrato dalle regioni del Centro (2.556 euro nel triennio 2005-2007), considerato anche, come già accennato in precedenza, che esse presentano dimensioni demografiche mediamente minori. Seguono le regioni del Sud (2.522 di spese finali medie per abitante nel triennio) e infine le regioni del Nord (2.314 euro).

In rapporto al Pil, la spesa di parte corrente evidenzia un andamento crescente più accentuato al Centro e al Sud. Nel 2007, in particolare, al Sud le spese in rapporto al Pil superano sensibilmente quelle corrispondenti nella macroarea settentrionale.

 


 

Tabella 3 – Impegni di spesa delle regioni a statuto ordinario in conto corrente e in conto capitale per macro-area (anni 2005-2007)

 

 

Spesa corrente

Spesa c/capitale

Totale spesa al netto
del rimborso prestiti
(spesa finale)

Impegni di spesa

Anno

Val. ass. (mln €)

 

% su tot. spesa compl.

Pro-capite
(in €)

% Pil

Val. ass. (mln €)

(B)

% su tot. spesa compl.

Pro-capite
(in €)

% Pil

Val. ass. (mln €)

% su tot. spesa compl.

Pro-capite
 (in €)

Totale Nord

2005

44.595

39,6

1.911

6,31

6.216

5,5

266

0,88

50.811

45,1

2.177

2006

48.556

40,1

2.081

6,62

6.076

5,0

260

0,83

54.632

45,1

2.341

2007

50.890

39,4

2.181

6,64

5.637

4,4

242

0,74

56.527

43,8

2.423

Totale Centro

2005

21.520

19,1

1.973

6,99

4.291

3,8

393

1,39

25.811

22,9

2.366

2006

22.825

18,9

2.093

7,16

3.720

3,1

341

1,17

26.545

21,9

2.434

2007

27.566

21,3

2.527

8,27

3.715

2,9

341

1,11

31.281

24,2

2.868

Totale Sud

2005

24.801

22,0

1.780

10,80

7.594

6,7

545

3,31

32.395

28,8

2.325

2006

25.630

21,2

1.839

10,80

8.498

7,0

610

3,58

34.128

28,2

2.449

2007

31.686

24,5

2.274

12,76

7.198

5,6

517

2,90

38.884

30,1

2.791

 

Fonte: Corte dei conti, Relazione sulla gestione finanziaria delle regioni per gli esercizi 2006-2007 (luglio 2008).

 


I predetti incrementi medi della spesa corrente nel triennio 2005-2007 risultano fortemente influenzati dall’aumento degli impegni di spesa corrente sanitaria, che ne determina peraltro un elevato grado di rigidità.

Rispetto all’ammontare complessivo della spesa corrente delle regioni a statuto ordinario, pari nel 2007 a circa 110 miliardi di euro, oltre l’83 per cento è stato infatti assorbito dalla spesa sanitaria corrente (oltre 92 miliardi di euro).

Proprio in considerazione dell’elevato grado di incidenza della spesa sanitaria sui bilanci regionali, ai fini della tenuta dei conti pubblici sono state introdotte numerose misure volte al contenimento della dinamica espansiva della spesa e dei disavanzi sanitari.

Da ultimo, è intervenuta la stipula di specifici accordi e piani di rientro fra Stato e alcune Regioni (Abruzzo, Campania, Lazio, Liguria, Molise e Sicilia), finalizzati proprio al recupero di stabilità dei conti sanitari, in particolare attraverso la copertura dei disavanzi (per un’analisi dettagliata della spesa sanitaria si rinvia al paragrafo 4.6 del presente dossier).

 

La relazione della Corte dei conti mette in evidenza come la spesa corrente sanitaria abbia fatto registrare una rilevante dinamica espansiva, con un incremento complessivo pari al 17,9% nel 2007 (rispetto al +6,5% del 2006), e con percentuali particolarmente elevate in alcune regioni (Campania: 57,8%, Molise: 49,9%, Marche: 37,9%, Lazio: 35,3%, Liguria: 30,1%). Nel Nord, il tasso medio di incremento appare sostanzialmente stabile nel periodo considerato, mentre cresce nelle altre due aree, soprattutto al Sud (il 29,6% nel 2007), dove sono localizzate tre regioni interessate dai piani di rientro.

 

La successiva tabella 4 pone a confronto gli impegni e i pagamenti della spesa corrente e della relativa quota assorbita dalla spesa sanitaria, evidenziando, anche dal lato della cassa, le variazioni espansive.

 

Si segnala che i dati utilizzati sono tratti dai prospetti inviati dalle regioni al Ministero dell’economia e delle finanze per il monitoraggio della spesa soggetta ai vincoli derivanti dal Patto di Stabilità interno, in quanto unica fonte contenente un grado di dettaglio aggiornato al 2007. Di conseguenza, anche le risultanze di spesa corrente che compaiono nella tabella medesima sono tratte, per ragioni di omogeneità, dai prospetti di monitoraggio del Patto e, pertanto, anch’esse riferite a dati 2007 non definitivamente approvati. Le differenze registrate tra le risultanze dei rendiconti riferiti all’esercizio 2006 e quelle dei prospetti per il monitoraggio sono frequenti e di varia entità. In particolare, nei prospetti di monitoraggio si registrano valori degli impegni superiori a quelli registrati nei rendiconti 2006 in Piemonte, Lazio e Puglia e valori inferiori in Lombardia, Veneto, Liguria, Toscana, Umbria, Calabria.


Tabella 4 - Impegni e pagamenti di spesa corrente e di spesa corrente sanitaria delle regioni a statuto ordinario 2006 e 2007 (*)

(in milioni di euro)

Regione

Spesa corrente

Spesa sanitaria corrente

B/A %

2006

2007
(A)

Var. 07/06

2006

2007
(B)

Var. 07/06

Impegni

Pagamenti

Impegni

Pagamenti

Impegni

Pagamenti

Impegni

Pagamenti

Piemonte

9.704,6

8.544,22

9.824,3

9.250,3

1,2

7.625,5

6.838,8

7.882,1

7.249,2

3,4

80,2

Lombardia

18.028,4

17.794,8

19.016,2

18.784,6

5,5

15.405,0

15.400,2

16.401,7

16.144,0

6,5

86,3

Veneto

8.050,9

8.640,1

9.043,9

9.567,3

12,3

6.916,1

7.383,3

7.861,9

8.317,9

13,7

86,9

Liguria

3.300,6

3.281,1

4.169,3

3.963,0

26,3

2.688,4

2.684,9

3.496,9

3.334,1

30,1

83,9

E. Romagna

8.409,2

8.348,1

9.200,3

9.155,2

9,4

7.070,1

7.065,5

7.922,6

7.903,8

12,1

86,1

Totale Nord

47.493,7

46.609,1

51.254,0

50.720,4

7,9

39.705,1

39.372,8

43.565,2

42.949,1

9,7

85,0

Toscana

7.293,2

7.503,2

7.809,6

7.698,1

7,1

5.999,3

6.397,4

6.322,4

6.269,1

5,4

81,0

Marche

2.685,6

2.661,7

3.553,5

3.287,7

32,3

2.139,2

2.173,7

2.950,8

2.745,2

37,9

83,0

Umbria

1.802,6

1.802,6

1.919,4

1.866,9

6,5

1.464,2

1.464,2

1.456,7

1.456,6

-0,5

75,9

Lazio

10.962,2

10.350,0

14.202,8

12.658,7

29,6

8.725,1

8.575,4

11.806,2

10.896,7

35,3

83,1

Totale Centro

22.743,6

22.317,7

27.485,3

25.511,5

20,8

18.327,8

18.610,8

22.536,1

21.367,7

23,0

82,0

Abruzzo

2.520,6

2.396,6

2.756,0

2.714,6

9,3

2.001,3

1.970,0

2.182,3

2.196,0

9,0

79,2

Molise

662,9

638,8

933,8

777,0

40,9

490,5

470,0

735,4

609,3

49,9

78,8

Campania

9.926,8

9.662,1

14.687,2

12.490,3

48,0

7.974,6

7.828,9

12.580,7

10.654,0

57,8

85,7

Puglia

7.490,3

7.305,2

7.681,6

7.751,4

2,6

5.753,3

5.924,3

6.299,6

6.279,4

9,5

82,0

Basilicata

1.119,3

1.107,3

1.265,0

1.236,1

13,0

813,7

821,3

963,1

929,0

18,4

76,1

Calabria

3.853,1

3.755,1

4.089,8

3.888,0

6,1

2.953,2

2.944,4

3.151,1

3.108,4

6,7

77,0

Totale Sud

25.573,0

24.865,1

31.413,4

28.857,6

22,8

19.986,6

19.959,0

25.912,2

23.776,2

29,6

82,5

Totale

95.810,5

93.791,90

110.152,7

105.089,5

15,0

78.019,5

77.942,6

92.013,3

88.093,1

17,9

83,5

Fonte: Corte dei conti, “Relazione sulla gestione finanziaria delle regioni” 2006-2007.


Considerando la quota dei pagamenti rispetto agli impegni di competenza negli anni 2006 e 2007 per ciascuna regione, e l’incidenza della spesa corrente sanitaria in rapporto alla spesa corrente, è possibile rilevare l’alto tasso di rigidità di tale tipologia di spesa.

 

La rigidità della spesa corrente regionale trova inoltre in altre componenti di spesa forti elementi di sostanziale incomprimibilità, costituiti, in particolare, dalla spesa di personale e per il servizio del debito.

Dal lato degli impegni, la spesa di personale ha fatto registrare un andamento crescente, con una sensibile espansione nel 2006, dovuta ai miglioramenti conseguenti ai rinnovi contrattuali. Come si evince dalla successiva tabella 5, la spesa di personale delle regioni a statuto ordinario rappresenta circa il 13,5 per cento nel 2006 ed il 12,6 per cento nel 2007 della spesa corrente non sanitaria.

 

Sulla base dei dati desunti dai prospetti inviati al Ministero dell’economia e finanze per il monitoraggio del Patto di stabilità, risulta evidente come la percentuale di spesa regionale effettivamente flessibile e disponibile per l’attuazione delle politiche regionali o per fronteggiare variazioni non programmate dei fabbisogni sia effettivamente esigua.

Dalla tabella 5 si evince altresì che, nel 2007, il grado di incidenza della spesa di personale risulta più elevato al Sud (17,5%), seguito dal Centro (11,8%) e dal Nord (9,7%). Per quest’ultima macroarea, in particolare, si osserva che l’incidenza della spesa non sanitaria sulla spesa corrente è la più bassa rispetto alle altre aree territoriali (1,5%), con una conseguente minore flessibilità ai fini dell’attuazione di politiche regionali diverse dalla sanità.

 

Tabella 5 - Impegni di spesa corrente non sanitaria e di spesa di personale delle regioni a statuto ordinario

(dati in milioni di euro)

Regione

Spesa corrente

Spesa corrente non sanitaria

Spesa di personale

C/A %

C/B %

2006

2007
(A)

2006

2007
(B)

2006

2007
(C)

Totale Nord

47.493,7

51.254,0

7.788,6

7.688,9

820,5

746,9

1,5

9,7

Totale Centro

22.743,6

27.485,3

4.415,9

4.949,4

574,3

582,5

2,1

11,8

Totale Sud

25.573,0

31.413,4

5.586,5

5.501,1

1.000,0

960,1

3,1

17,5

Totale

95.810,5

110.152,7

17.791,0

18.139,4

2.394,9

2.289,4

2,1

12,6

 

Fonte: Elaborazioni su dati Corte dei conti, “Relazione sulla gestione finanziaria delle regioni”.

 

La successiva tabella 6mostra, infine, la ripartizione della spesa complessiva per titoli, con riferimento alle regioni a statuto speciale e alle province autonome. I dati sono tratti dai rendiconti delle regioni ovvero dalle relazioni sul rendiconto della regione o provincia autonoma da parte della Corte dei conti.

Per tali regioni e province autonome si evidenzia nel triennio una dinamica tendenzialmente crescente per le spese correnti e decrescente per le spese in conto capitale, ad eccezione della Valle d’Aosta e della provincia autonoma di Trento, che registrano spese in conto capitale crescenti e della Sicilia che, per il solo 2006, presenta un’inversione dei predetti trend.

 

Tabella 6 - Impegni di spesa delle regioni a statuto speciale e province autonome per titoli di spesa -anni 2005-2007

 

Regioni a statuto speciale e province autonome

Spese correnti

Spese c/capitale

Rimborso prestiti

Totale

Impegni di spesa

Anno

Val. ass. (mln €)

%

Val. ass. (mln €)

%

Val. ass. (mln €)

%

Totale

Friuli-Venezia Giulia

2005

3.349

70,3

1.256

26,4

157

3,3

4.762

2006

3.440

71,6

1.180

24,6

185

3,9

4.805

2007

3.729

74,1

1.095

21,8

207

4,1

5.032

Valle d’Aosta

2005

941

60,6

500

33,8

39

2,6

1.480

2006

1.016

60,4

626

37,2

40

2,4

1.682

2007

989

63,8

517

33,4

44

2,8

1.550

Trento

2005

2.390

62,2

1.448

37,7

4

0,1

3.842

2006

2.431

62,4

1.462

37,5

4

0,1

3.897

2007

2.502

63,2

1.453

36,7

4

0,1

3.959

Bolzano

2005

2.880

67,2

1.403

32,7

2

0,0

4.285

2006

2.926

69,1

1.304

30,8

2

0,1

4.232

2007

3.053

69,8

1.315

30,1

2

0,1

4.370

Trentino-Alto Adige

2005

275

72,0

107

28,0

-

-

383

2006

282

69,1

126

30,9

-

-

409

2007

282

74,9

94

25,1

-

-

376

Sardegna

2005

3.973

68,5

1.591

27,4

233

4,0

5.798

2006

4.264

71,7

1.421

23,9

261

4,4

5.945

2007

5.026

80,5

945

15,1

269

4,3

6.240

Sicilia

2005

17.070

65,0

8.858

33,7

323

1,2

26.252

2006

16.322

61,8

9.777

37,0

313

1,2

26.412

2007

17.510

66,8

8.349

31,9

340

1,3

26.199

Fonte:    Corte dei conti, singole relazioni sul rendiconto (per le regioni Friuli Venezia Giulia, Trentino Alto Adige e province autonome di Trento e di Bolzano e per la regione Sardegna) e singoli rendiconti (per le regioni Valle D’Aosta e Sicilia).

 



3.Le entrate e le spese degli enti locali

Nel presente paragrafo viene presentata una analisi delle entrate e delle spese di province e comuni[18].

Per ciascuna tipologia di enti la prima parte presenta una analisi relativa all'intero comparto, evidenziando, sulla base dei dati di contabilità nazionale in termini di competenza economica, le principali categorie di entrata e di spesa. La seconda parte presenta alcune elaborazioni su spese ed entrate, presentando i dati pro capite di accertamento e di impegno desunti dai certificati consuntivi degli enti, ripartiti su base territoriale [19].

3.1   Il comparto delle Province

Nel 2007, le entrate complessive delle Province sono pari a 10.587 milioni di euro, la spesa primaria è pari a 11.536 milioni di euro (Tabella 1)[20].

Le entrate correnti rappresentano l'82 per cento del totale, mentre quelle in conto capitale il 18 per cento. Le imposte indirette e i trasferimenti da enti pubblici costituiscono le principali fonti di finanziamento, rappresentando, rispettivamente, circa il 51 e il 41 per cento delle entrate correnti totali. Le entrate in conto capitale sono in larga parte costituite dai trasferimenti e dai contributi agli investimenti provenienti da enti pubblici che sono pari a 1.811 milioni di euro. Nel complesso i trasferimenti da enti pubblici sono pari a 5.389 milioni di euro (circa il 51 per cento delle entrate totali).

 

Relativamente alla spesa primaria si osserva una netta predominanza di quella di natura corrente, circa il 66 per cento del totale; la spesa in conto capitale, principalmente investimenti fissi lordi, interessa la restante quota di spesa (Grafico 2). Le spese correnti sono principalmente destinate ai redditi da lavoro dipendente e ai consumi intermedi, rispettivamente pari a 2.148 milioni di euro e a 3.628 milioni di euro (Grafico 1).

 

Tabella 1

Entrate e spese del comparto delle Province, anno 2007

 

 

Fonte: Elaborazione su dati ISTAT

Grafico 1

Composizione delle spese correnti provinciali, anno 2007

Fonte: Elaborazione su dati ISTAT

 

Grafico 2

Composizione delle Spese in conto capitale provinciali - Anno 2007

Fonte: Elaborazione su dati ISTAT

 

Prendendo in considerazione le entrate e le spese delle province aggregate per le rispettive regioni di appartenenza[21], la tabella 2 evidenzia, per l'esercizio 2006, i dati riguardanti gli accertamenti dei primi due titoli del bilancio provinciale (entrate tributarie e trasferimenti correnti) e gli impegni di spesa corrente[22]. L’analisi del coefficiente di variazione e del rapporto fra il massimo e il minimo mostra sul lato delle entrate tributarie divari regionali più contenuti rispetto alle spese. Le entrate da trasferimento (comprensive della compartecipazione IRPEF), che rispondono a finalità perequative, presentano una più alta variabilità territoriale.

 

Con riferimento alle entrate la tabella 3 mostra i dati pro capite degli accertamenti per titoli. Il titolo I (entrate tributarie) è presentato evidenziando separatamente le tre categorie che lo compongono, ovvero:

1.      le imposte (addizionale IRPEF, addizionale sul consumo di energia elettrica, imposta provinciale di trascrizione, imposta sulle assicurazioni R.C. auto, tributo provinciale per i servizi di tutela, protezione e igiene dell'ambiente, altre imposte);

2.      le tasse (tassa per l'occupazione degli spazi ed aree pubbliche; altre tasse);

3.      i tributi speciali ed altre entrate tributarie proprie (anche compartecipazione I.R.A.P.).

 

La tabella 4 espone le entrate derivanti da contributi e trasferimenti correnti ripartiti per ente erogatore, da cui si evince che la maggior parte dei trasferimenti che vengono attribuiti alle province proviene dalla propria regione di appartenenza, cui seguono i trasferimenti derivanti dallo Stato.

 

Tabella 2

Entrate e spese del comparto delle Province ripartite per regione. Anno 2006 – (valori pro capite in euro)

Fonte: Elaborazione su dati ISTAT

 

Tabella 3

Province - Distribuzione territoriale delle entrate. Anno -2006 - Accertamenti (valori pro capite in euro)

Fonte: Elaborazione su dati ISTAT

 

Tabella 4

Province - Distribuzione territoriale delle entrate derivanti da contributi e trasferimenti correnti ripartiti per ente erogatore. Anno -2006 - Accertamenti (valori pro capite in euro)

Fonte: Elaborazione su dati ISTAT

 

Dal punto di vista dell’articolazione della spesa per le funzioni che caratterizzano i bilanci del comparto provinciale le tabelle 6 e 7 mostrano, per l'anno 2006, l'andamento degli impegni per la spesa corrente e per la spesa in conto capitale, raggruppate per regione di appartenenza. Il titolo I e il titolo II della spesa del bilancio delle province si articolano in nove funzioni[23]:

1.      funzioni generali di amministrazione, di gestione e di controllo (nella quale rientrano tra gli altri i servizi della gestione economica, finanziaria, programmazione, provveditorato e controllo di gestione, la gestione delle entrate tributarie e servizi fiscali, la gestione dei beni demaniali e patrimoniali, l'ufficio tecnico, il servizio statistico);

2.      funzioni di istruzione pubblica (nella quale rientrano tra le altre le spese per istituti di istruzione secondaria, la formazione professionale ed altri servizi inerenti l'istruzione);

3.      funzioni relative alla cultura ed ai beni culturali (biblioteche, musei e pinacoteche; valorizzazione di beni di interesse storico, artistico e altre attività culturali);

4.      funzioni nel settore turistico, sportivo e ricreativo;

5.      funzioni nel campo dei trasporti;

6.      funzioni riguardanti la gestione del territorio (viabilità, urbanistica e programmazione territoriale);

7.      funzioni nel campo della tutela ambientale;

8.      funzioni nel settore sociale;

9.      funzioni nel campo dello sviluppo economico.

 

Dalle analisi dei valori pro capite della spesa, del coefficiente di variazione e del rapporto tra il valore massimo e il valore minimo della spesa emerge che i differenziali esistenti tra le diverse province, aggregate per la regione di appartenenza, sono rilevanti. Come evidenziato nel Rapporto sulla finanza locale[24] le cause di questa differenziazione possono essere ricondotte all’ampiezza delle funzioni attribuite alle province dalle regioni di appartenenza (ad esempio, le funzioni come il trasporto pubblico), agli effetti di scala dovuti alla ridotta dimensione demografica, tali da accrescere l’incidenza dei costi fissi, e alla sedimentazione pluriennale dei diversi contributi statali.

 


Tabella 6

Province - Distribuzione territoriale della spesa corrente ripartita per funzioni. Anno -2006 - Impegni (valori pro capite in euro)

Fonte: Elaborazione su dati ISTAT

 

Tabella 7

Province - Distribuzione territoriale della spesa in conto capitale ripartita per funzioni. Anno -2006 - Impegni (valori pro capite in euro)

Fonte: Elaborazione su dati ISTAT

 

 

Dal punto di vista dell’articolazione della spesa per categoria economica, sempre con riferimento all’esercizio 2006,[25] il grafico 3 riporta, per il 2006, la spesa corrente pro capite, distinta per voce economica (spesa per il personale, per beni e servizi e altre spese correnti) del comparto delle province, suddivisa per regione; viene altresì riportata la media nazionale. Il grafico 4 propone le medesime informazioni in termini di composizione percentuale.

 

Occorre sottolineare che la collocazione geografica delle province è solo una delle possibili determinanti delle variazioni di spesa, in quanto nel confronto tra singoli enti in termini di livelli (pro-capite) i fattori che determinano l'eterogeneità dei livelli di spesa che si possono riscontrare sono molteplici.

 

L’ISAE sottolinea come le differenze che si osservano nei livelli di spesa pro capite delle amministrazioni provinciali si possano ricondurre a tre categorie principali di fattori: i fattori di struttura, i fattori peculiari e i fattori di efficienza. I fattori di struttura sono dovuti a caratteristiche oggettive delle Province e della loro popolazione (connotazione fisica del territorio, densità della popolazione, struttura geografica, struttura economica, ecc.); i fattori peculiari dipendono dalla realtà delle singole province e sono riconducibili a diversità nel contesto istituzionale in cui le province operano, compresa l’eventuale diversità nelle preferenze dei loro cittadini su quanto e come spendere; i fattori di efficienza riguardano la conduzione del processo di spesa e riflettono i comportamenti degli amministratori[26].

 

Grafico 3

Spesa corrente delle amministrazioni provinciali distribuite per Regione. Anno -2006 - Impegni (valori pro capite in euro)

Fonte: Elaborazione su dati ISTAT

 

Grafico 4

Composizione percentuale delle spese correnti delle Amministrazioni provinciali distribuite per Regione. Anno -2006 - Impegni

Fonte: Elaborazione su dati ISTAT


3.2   Il comparto dei Comuni

Nel 2007 le entrate complessive dei Comuni sono pari a 64.118 milioni di euro, mentre la spesa primaria è pari a 61.812 milioni di euro (Tabella 8)[27].

Le entrate correnti rappresentano l'86 per cento del totale, mentre quelle in conto capitale il 14 per cento. Le entrate di natura corrente sono principalmente imposte indirette (il 29 per cento delle entrate correnti totali) e trasferimenti da enti pubblici, pari a 18.509 milioni di euro (il 33 per cento). Le entrate in conto capitale sono quasi interamente costituite dai contributi agli investimenti e dai trasferimenti provenienti da enti pubblici, pari a 8.029 milioni di euro (circa il 92 per cento delle entrate in conto capitale).

La spesa corrente primaria rappresenta il 71 per cento della spesa complessiva, mentre quella in conto capitale il 29 per cento. La spesa per redditi da lavoro dipendente (36 per cento) e quella per consumi intermedi (47 per cento) rappresentano la parte più consistente delle spese correnti complessive (Grafico 5). Gli investimenti fissi lordi sono invece la maggiore voce di spesa in conto capitale, pari a circa l'86 per cento (Grafico 6).

Tabella 8

Entrate e spese del comparto dei Comuni, anno 2007

 

Fonte: Elaborazione su dati ISTAT

 

Grafico 5

Composizione della spesa corrente delle amministrazioni comunali - Anno 2007

Fonte: Elaborazione su dati ISTAT

 

Grafico 6

Composizione della spesa in conto capitale delle amministrazioni comunali - Anno 2007

Fonte: Elaborazione su dati ISTAT

 


Prendendo in considerazione le entrate e le spese dei comuni, aggregati per le rispettive regioni di appartenenza,[28] relativi all'esercizio 2006, la tabella 9 evidenzia i dati riguardanti gli accertamenti dei primi due titoli delle entrate del bilancio comunale (entrate tributarie e trasferimenti correnti) e gli impegni di spesa corrente[29].

 

Dall’analisi emerge una significativa diversificazione territoriale, con evidenza della peculiarità delle regioni a statuto speciale. L’analisi del coefficiente di variazione e del rapporto fra il massimo e il minimo calcolati per i comuni appartenenti alle regioni a statuto ordinario mostra sul lato delle spese divari regionali più contenuti rispetto alle entrate[30], in quanto le entrate da trasferimento (comprensive della compartecipazione IRPEF) - analogamente alle province - rispondono a finalità perequative e, presentando una più alta variabilità territoriale, compensano i divari di gettito delle entrate tributarie, consentendo ai governi locali di rispondere in modo più uniforme ai fabbisogni di spesa. Dall’analisi dei comuni appartenenti alle regioni a statuto ordinario emerge anche una corrispondenza fra le entrate tributarie e le spese correnti (ad un livello più alto delle prime corrisponde un livello più elevato delle seconde).

Tabella 9

Entrate e spese del comparto dei comuni ripartite per regione. Anno 2006 – (valori pro capite in euro)

Fonte: Elaborazione su dati ISTAT

 

Con riferimento alle entrate, la tabella 10 mostra i dati pro capite degli accertamenti per titoli. Il titolo I (entrate tributarie) è presentato evidenziando le tre categorie che lo compongono, ovvero:

1.      le imposte (I.C.I., Imposta comunale sulla pubblicità, Imposta sulle insegne, addizionale comunale sul consumo di energia elettrica, addizionale IRPEF, altre imposte);

2.      le tasse (tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani, tassa di concessione su atti e provvedimenti comunali, altre tasse);

3.      i tributi speciali ed altre entrate tributarie proprie.

 

La tabella 11 espone la distribuzione territoriale dei valori pro capite delle entrate correnti derivanti da contributi e trasferimenti correnti ripartiti per ente erogatore. Analizzando la composizione dei trasferimenti pro capite si evince che la gran parte dei trasferimenti che vengono attribuiti ai comuni deriva dallo Stato.

Tabella 10

Comuni - Distribuzione territoriale delle entrate. Anno -2006 - Accertamenti (valori pro capite in euro)

Fonte: Elaborazione su dati ISTAT

Tabella 11

Comuni - Distribuzione territoriale delle entrate derivanti da contributi e trasferimenti correnti ripartiti per ente erogatore. Anno -2006 - Accertamenti (valori pro capite in euro)

Fonte: Elaborazione su dati ISTAT

 

 

Per sviluppare una analisi più significativa delle spese i comuni sono stati raggruppati, considerando, da un lato, la numerosità della popolazione (popolazione media nel 2005), misurata secondo cinque differenti classi; dall'altro, l'appartenenza del comune ad una data aggregazione territoriale (la regione di appartenenza) (tabella 12).

 


Tabella 12

Distribuzione dei comuni e della popolazione per regione e per classi dimensionali di popolazione (popolazione media 2005)

 



 

Fonte: Elaborazione su dati ISTAT


Dal punto di vista dell’articolazione della spesa per le funzioni che caratterizzano i bilanci del comparto comunale[31], le tabelle 13 e 14 mostrano l'andamento degli impegni della spesa corrente e della spesa in conto capitale con riferimento alle classi di popolazione individuate precedentemente. Il titolo I e il titolo II della spesa del bilancio dei comuni si articolano in dodici funzioni[32]:

1.      funzioni generali di amministrazione, di gestione e di controllo (nella quale rientrano tra gli altri i servizi della gestione economica, finanziaria, programmazione, provveditorato e controllo di gestione, la gestione delle entrate tributarie e servizi fiscali, la gestione dei beni demaniali e patrimoniali, l'ufficio tecnico, il servizio statistico);

2.      funzioni relative alla giustizia;

3.      funzioni di polizia locale;

4.      funzioni di istruzione pubblica (nella quale rientrano tra le altre, le spese per la scuola materna, l'istruzione elementare e media, l'istruzione secondaria superiore);

5.      funzioni relative alla cultura ed ai beni culturali (biblioteche, musei e pinacoteche; valorizzazione di beni di interesse storico, artistico e altre attività culturali);

6.      funzioni nel settore sportivo e ricreativo;

7.      funzioni nel campo turistico;

8.      funzioni nel campo della viabilità e dei trasporti;

9.      funzioni riguardanti la gestione del territorio e dell'ambiente;

10.  funzioni nel settore sociale;

11.  funzioni nel campo dello sviluppo economico;

12.  funzioni relative a servizi produttivi. e alla

 

L'analisi delle funzioni che caratterizzano la spesa corrente dei bilanci comunali ripartite per classi di popolazione conferma per il totale della spesa corrente e per alcune funzioni (amministrazione, servizi produttivi) un andamento della spesa del tipo "ad U", con livelli di spesa minima intorno a classi di popolazione medie o medio-piccole[33].

 

Tabella 13

Comuni - Distribuzione per classi di popolazione e funzione della spesa corrente. Anno -2005 - Impegni (valori pro capite in euro)

Fonte: Elaborazione su dati ISTAT

 

Tabella 14

Comuni - Distribuzione per classi di popolazione e funzione della spesa in conto capitale. Anno -2005 - Impegni (valori pro capite in euro)

Fonte: Elaborazione su dati ISTAT

 

Dall’analisi della spesa corrente e della spesa in conto capitale su base pro capite emerge inoltre che, indipendentemente dalla classe di popolazione di appartenenza, le funzioni che presentano i valori di spesa pro capite più elevati sono quelle che riguardano l’amministrazione, la gestione del territorio e dell’ambiente, i servizi sociali e la viabilità e i trasporti.

 

Con riferimento all’esercizio 2006 vengono presentati gli impegni di spese corrente (tabella 15) e gli impegni di spesa in conto capitale (tabella 16) tenendo conto della distribuzione territoriale (i dati dei singoli comuni vengono accorpati su base regionale) della spesa pro capite, distinta per le funzioni che caratterizzano il bilancio dei comuni.

 

Dal punto di vista dell’articolazione della spesa per categoria economica, con riferimento all’esercizio 2006, di seguito viene presentato un approfondimento delle principali voci economiche di spesa.

Il grafico 7 riporta, per il 2006, la spesa corrente pro capite, distinta per voce economica (spesa per il personale, per beni e servizi e altre spese correnti), dei comuni ripartiti per regione (i dati dei singoli comuni vengono accorpati su base regionale) e la media nazionale. Il grafico 8 propone le medesime informazioni presentate in termini di composizione percentuale.

 

Anche per il comparto comunale restano valide le considerazioni svolte per le province con riferimento ai fattori che determinano i differenziali nei livelli di spesa delle amministrazioni comunali nelle diverse regioni.

 


Tabella 15

Comuni - Distribuzione Territoriale della spesa corrente ripartita per funzioni. Anno -2006 - Impegni (valori pro capite in euro)

 

 

Fonte: Elaborazione su dati ISTAT

Tabella 16

Comuni - Distribuzione Territoriale della spesa in conto capitale ripartita per funzioni. Anno -2006 - Impegni (valori pro capite in euro)

 

 

Fonte: Elaborazione su dati ISTAT

 


Grafico 7

Spese correnti delle Amministrazioni comunali distribuite per Regione. Anno -2006- Impegni (valori pro capite in euro)

Fonte: Elaborazione su dati ISTAT

 

Grafico 8

Composizione percentuale delle spese correnti delle Amministrazioni comunali distribuite per Regione. Anno -2006- Impegni

Fonte: Elaborazione su dati ISTAT

 


4.Il finanziamento delle autonomie territoriali. I modelli di perequazione

Nei paesi con una forma di finanza decentrata spesso sussiste, per alcuni livelli di governo, un'imperfetta corrispondenza tra entrate e uscite. Tale asimmetria genera cd. gap fiscali sia di tipo verticale, che di tipo orizzontale[34] e suggerisce la definizione di meccanismi per l'assegnazione delle risorse che, riducendo parzialmente o totalmente tali divari, risultino più equi e finanziariamente sostenibili.

La copertura del gap fiscale potrebbe essere effettuata semplicemente assegnando a ciascun governo locale un trasferimento pari alla differenza tra spese effettive e risorse effettive; la teoria economica ha, peraltro, evidenziato come, dall'adozione di schemi di questo genere, potrebbero derivare comportamenti opportunistici dei governi sub-centrali. Per tale motivo sono state sviluppate analisi specifiche dirette ad individuare parametri e indicatori adatti a costituire la base dei meccanismi di perequazione, nonché per governare l’assegnazione delle risorse e l’allocazione dei trasferimenti. I principali meccanismi sono quelli dei fabbisogni di spesa e quello delle capacità fiscali.

4.1   La nozione di fabbisogno nella teoria economica

L'individuazione dei fabbisogni di spesa rappresenta una pratica diffusa in diversi paesi e costituisce sia la base per la determinazione di regole sulla spesa che guidino la definizione delle politiche di bilancio (nonché l'implementazione del bilancio stesso), sia il punto di partenza per definire l'ammontare di risorse che spettano ai livelli di governo sub-centrali (sia mediante trasferimenti, sia con modelli perequativi rispetto alla assegnazione di risorse proprie).[35]

In particolare, con riferimento alla modalità di finanziamento degli enti sub-centrali, la definizione dei fabbisogni di spesa ha costituito e continua a rappresentare un elemento determinante in molti sistemi istituzionali. La letteratura in materia[36] sottolinea come un approccio corretto alla valutazione dei fabbisogni di spesa degli enti sub-centrali dovrebbe essere disegnato nel rispetto dei criteri di legalità, coerenza/razionalità, fattibilità e semplicità. Più in particolare, l’implementazione di tale meccanismo dovrebbe essere coerente con le disposizioni legislative che governano l’assegnazione di funzioni tra livelli di governo, avvenire all'interno di una cornice che consideri gli obiettivi del paese, essere costruito nella consapevolezza dei dati disponibili, nonché risultare facilmente comprensibile a tutte le parti coinvolte.

 

Nello specifico, la definizione di misure di spesa locale che favoriscano comportamenti efficienti dei governi sub-centrali viene sviluppata ricorrendo alla nozione di fabbisogno standard. Teoricamente un valore standard è un valore oggettivo, confrontabile e che incorpora al tempo stesso un criterio di efficienza. Il criterio del fabbisogno standard presenta tuttavia numerosi aspetti che sono ancora oggetto di dibattito[37]. Uno dei punti cruciali consiste nell'approfondire come debba avvenire la costruzione di tali standard, ovvero come pervenire a un'accurata valutazione dei fabbisogni di spesa.

Sotto il profilo della teoria economica, i concetti di fabbisogno di spesa e di spesa standard non sono sempre definiti in modo univoco[38]. Alcuni studiosi fanno riferimento a comportamenti medi di spesa che devono però trovare riscontro in fattori oggettivi esogeni, altri definiscono la spesa standard per abitante mettendola in relazione a variabili ritenute a priori le determinanti dei fabbisogni di spesa dei singoli enti, altri ancora definiscono la spesa standard come il livello di spesa pro-capite che consente la fornitura di un livello di servizi considerato standard.

 

Il termine fabbisogno di spesa può essere generalmente messo in relazione con due vincoli[39]: il primo vincolo concerne il legame risorse e impieghi (le risorse disponibili a livello locale non dovrebbero eccedere gli impieghi), il secondo vincolo è di tipo tecnologico ed è rappresentato dalla funzione di produzione dei beni pubblici locali.

In tale ambito, risulta utile comprendere quali siano i diversi fattori che influenzano il fabbisogno di spesa. Una prima distinzione è quella basata su fabbisogni location-specific e non location specific. I primi fanno riferimento a fabbisogni di spesa imputabili alle specifiche caratteristiche di un territorio (ad esempio, le caratteristiche geografiche dell’ente), mentre i secondi fanno riferimento a un insieme di fabbisogni che accomunano più governi locali.

Un'altra distinzione nell'individuazione dei fabbisogni prende in considerazione la domanda e il costo dei servizi pubblici (rispettivamente demand needs e cost needs). Se si considera la domanda di servizi, il riferimento è ai destinatari dei servizi stessi, ovvero per la valutazione di un fabbisogno pro-capite può essere utile individuare chi effettivamente ha la facoltà di richiedere un certo tipo di servizio (universo rilevante); tale distinzione può essere ad esempio riferita al numero di fruitori o alle caratteristiche dei possibili utilizzatori. Relativamente alla domanda, quindi, può accadere che, per la valutazione di un fabbisogno, l'universo rilevante sia l'intera popolazione locale (questo accade per esempio per i servizi ospedalieri, i quali sono in molti paesi disponibili per l'intera popolazione), oppure solo una quota di essa (questo accade per le scuole, in tal caso la popolazione rilevante è un sottoinsieme della popolazione totale).

Inoltre, differenti caratteristiche nella composizione territoriale della popolazione possono generare fabbisogni diversi; si pensi, ad esempio, a come possa influire sulla domanda di servizi l'età dei fruitori o la composizione etnica di un territorio. Un altro aspetto, sempre legato alla domanda di servizi, riguarda le esternalità; nello specifico, ci si riferisce all'effetto netto di due fattori: la domanda di servizi locali da parte della popolazione non residente nell'ente locale di riferimento e la domanda di servizi locali offerti da enti locali adiacenti da parte della popolazione residente nell'ente di riferimento.

Diversamente, se la valutazione di un fabbisogno vuole essere legata alla fornitura di un determinato livello di servizio, la componente di costo assume un ruolo fondamentale. Si pensi, ad esempio, all'istruzione e a come può variare il costo di fornitura del servizio di istruzione a seconda che ci si riferisca all'istruzione di base o a quella specialistica; maggiore è il livello del servizio di istruzione da fornire (o minore è il numero dei componenti delle classi scolastiche) e maggiori sono i costi connessi ai servizi richiesti (per esempio, la necessità di laboratori specifici). Un altro aspetto che influisce sul costo della fornitura di un determinato livello di servizio è, ad esempio, legato alla distribuzione della popolazione sul territorio locale (a parità di condizioni, uno stesso servizio, per essere garantito allo stesso livello, può avere costi diversi se la fornitura di tale servizio è indirizzata ad una popolazione più concentrata sul territorio o maggiormente dispersa; anche il grado di urbanizzazione è una variabile che influisce sul costo di un servizio, si pensi, ad esempio, a come un elevata urbanizzazione implichi la fornitura di servizi accessori e il potenziamento dei servizi esistenti). Sempre con riferimento ai fattori di costo, si evidenzia come la presenza di economie di scala o di costi degli input più bassi (ad esempio, la disponibilità in loco di determinate materie prime) influisca ancora una volta nella fornitura di un determinato livello di servizio.

 

Inoltre, mentre nella trattazione teorica la distinzione tra demand needs e cost needs è utile per comprenderne i tratti peculiari, nell'esperienza concreta è più facile osservare come nella fase di individuazione di un fabbisogno si pervenga a considerare entrambe le componenti. La fornitura di servizi ospedalieri specializzati (per effettuare un'operazione al cuore sono necessarie attrezzature e personale specializzato) implica, infatti, la considerazione di fattori di costo (la fornitura di un servizio specializzato è particolarmente costosa e per tale motivo, in genere, disponibile su territori in cui sono presenti già grandi strutture mediche specializzate) ma anche fattori di domanda (è evidente come la domanda del servizio specializzato possa provenire anche da popolazioni adiacenti all'ente locale che fornisce il servizio).

 

Infine, la letteratura sottolinea come non tutte le funzioni possono essere oggetto di valutazione; alcuni studi sottolineano, ad esempio, le criticità connesse ad approcci che includono nella valutazione dei fabbisogni standard gli specific-location needs. Analogamente la scelta di un approccio deve tener conto della natura della spesa (fabbisogno di spesa corrente, in conto capitale o fabbisogno di spesa complessivo) e del numero di enti sub-centrali per cui si ritiene necessaria la determinazione del fabbisogno, tenendo conto anche del costo connesso con l'elaborazione di tali valutazioni. Ovvero è opportuno chiedersi se per una funzione, svolta da un numero elevato di enti, ma che occupa un ruolo marginale nel bilancio degli enti, è economicamente vantaggioso introdurre processi di valutazione (inevitabilmente costosi) sul fabbisogno di spesa.

4.2I criteri per l’individuazione dei fabbisogni: approcci a confronto

Un'estesa varietà di approcci alla valutazione dei fabbisogni può essere individuata nella letteratura economica, nonché desunta dall'esperienza internazionale[40].

 

Una prima categorizzazione, introdotta nella letteratura, separa gli approcci alla valutazione dei fabbisogni sviluppati partendo dai valori di spesa, storica o effettiva, da quelli che non considerano i valori di spesa, adottando variabili ad hoc.

Analogamente, un'altra differenza sostanziale concerne la metodologia adottata, distinguendo tra: 1) Approcci sviluppati tramite l'ausilio di analisi econometriche, cioè effettuando regressioni che permettono di individuare la relazione statistica che lega la spesa, variabile dipendente, ad una serie di determinanti; 2) Approcci che determinano i fabbisogni di spesa partendo dall'individuazione di indicatori, definendo a priori un legame tra le varie determinanti della spesa e la spesa stessa (ovvero non utilizzando analisi di regressione per determinare il peso con cui ciascuna determinante influisce sulla spesa).

 

Nella scelta dell'approccio metodologico il livello di disponibilità dei dati assume un ruolo cruciale. Ai fini della determinazione dei fabbisogni di spesa, infatti, i dati utilizzati dovrebbero essere disponibili per ciascun ente sub-centrale, dovrebbero essere comparabili, il più possibile aderenti con i fabbisogni reali, nonché dovrebbero essere aggiornati periodicamente.

Tenendo conto anche delle diversità sopraevidenziate, si presentano sinteticamente i principali approcci metodologici[41]:

1.      approccio basato su valori storici di spesa "lagged expenditure values" o valori di spesa corrente (attuale) "Actual"

2.      approccio "equality" in cui si assume che il livello di fabbisogno delle giurisdizioni locali sia identico; o "equal per capita";

3.      approccio "Weighted indexes of Relative Need" basato sulla stima di indicatori dei fabbisogni di spesa relativi;

4.      approccio top-down;

5.      approccio bottom-up;

6.      Representative Expenditure Systems (RES); RES basato su regressioni.

1)    Lagged expenditure values: approccio basato sulla spesa storica e generalmente applicato in contesti in cui non si dispone di una base dati adeguata e di un "concepual framework" (es. LDTC); semplice e poco costoso, indicato nel breve periodo ma non adatto per misurare i fabbisogni di spesa nel lungo periodo. L'utilizzo è indicato nelle fasi di transizione verso la sperimentazione di nuovi sistemi di finanziamento; generalmente dopo un periodo di due o tre anni, dovrebbe essere introdotto un approccio più avanzato. Fabbisogni fondati su valori di spesa passati rischiano, infatti, di non cogliere importanti cambiamenti (ed esempio variazioni demografiche) e soprattutto di mantenere le inefficienze connesse alla fornitura dei servizi. L'indicizzazione all'inflazione e/o a una serie di altri parametri viene spesso utilizzata per superare i problemi connessi con l'obsolescenza implicita in un approccio basato sulla spesa storica. Anche la scelta di ridefinire la base storica dopo un periodo prefissato rappresenta una possibile soluzione al problema dell'obsolescenza.

2)    Equality: assegna una somma uguale a ciascun ente. Approccio fondato sull'ipotesi che tutti i governi sub-centrali abbiano lo stesso livello di fabbisogno di spesa, indipendentemente dal numero di abitanti o dalle caratteristiche del territorio; utilizzato in contesti in cui l'informazione sulla finanza locale è quasi assente; semplice e trasparente ma il cui utilizzo non è auspicabile nemmeno nel breve periodo. Un approccio così disegnato non incoraggia economie di scala e incentiva la frammentazione. In assenza di dati accurati sulla popolazione una possibile soluzione viene indicata nell'individuazione di categorie di popolosità da attribuire alle diverse giurisdizioni.

Per capita equality: assegna una somma uguale in termini pro-capite a ciascun ente.   Approccio simile ma da preferire all'approccio "equality", poiché costruito su base pro-capite; fondato sempre sull'ipotesi che in assenza di basi dati la migliore approssimazione dei bisogni locali sia garantita assicurando a ciascuna giurisdizione un uguale livello di fabbisogno, in questo caso pro-capite.

3)    Weighted Indexes of relative need: approccio tra i più diffusi, articolato su più fasi e basato sull'individuazione di indicatori di fabbisogno relativo, costruiti considerando una serie di fattori[42] ritenuti alla base delle differenze nei fabbisogni di spesa (o alla base dei differenziali di costo nella fornitura di uno standard di sevizio). La lista dei fattori, inclusi con un peso specifico nella costruzione dell'indice, dipende dalla disponibilità dei dati; l'indicatore più semplice si basa su due fattori (ad esempio, il numero di abitanti e la dimensione del territorio). Elementi di decisione politica influenzano la quantificazione dei fabbisogni di spesa index-based, sia influenzando i fattori da includere/escludere, sia intervenendo sui relativi pesi. Una lista troppo ampia di fattori può rendere eccessivamente onerosa e difficile la misurazione, nonché ridurre la trasparenza. Un aggiornamento anche annuale dei fattori in presenza di una buona qualità dei dati, è consigliato.

A carattere esemplificativo si indicano le sei fasi di un approccio tra i più diffusi e riconducibile all'approccio generale "Weighted Indexes of relative need":

-          nella prima fase, si determina a livello aggregato il fabbisogno di spesa per il comparto sub-centrale. L’individuazione dell’aggregato di spesa può basarsi su valori di spesa storica o su dati contenuti nelle previsioni di bilancio;

-          successivamente, si perviene all'individuazione di una serie di fattori che possono influire sul fabbisogno di spesa (ad esempio: popolazione, collocazione geografica, caratteristiche infrastrutturali, ecc.);

-          si determinano, in seguito, per ciascun ente locale i valori relativi dei fattori individuati precedentemente (ad esempio popolazione locale/popolazione totale);

-          a ciascun indicatore viene, poi, attribuito un peso che ne determina l'importanza relativa, facendo in modo che la somma dei pesi sia pari a uno. In alcuni casi la scelta dei pesi è il frutto della contrattazione fra il governo centrale e i governi locali, in altri casi può derivare dal lavoro di una commissione indipendente[43]. I pesi possono anche essere calcolati con l’ausilio di tecniche statistiche (tale scelta avvicina l’approccio weighted indexes of relative needs a un approccio RES);

-          si utilizzano i pesi per determinare l'indice di fabbisogno di ogni governo locale;

-          infine, si individua il fabbisogno di spesa relativo di ogni governo locale moltiplicando l'indice di fabbisogno identificato nella fase precedente per il fabbisogno aggregato del comparto sub-centrale.

4)    Per Client expenditures norms (top-down): approccio che misura il fabbisogno di spesa partendo dalle risorse complessive disponibili; relativamente semplice sia per quanto concerne l'acquisizione dei dati sia in relazione all'implementazione del processo. Costruito partendo dell'ammontare di risorse che il governo centrale decide di allocare ai governi sub-centrali per lo svolgimento di una determinata funzione e successivamente calcolato ripartendo le risorse di ogni funzione su base pro-capite (la ripartizione può avvenire anche in base all'universo rilevante e non in base all'intera popolazione) con lo scopo di creare una regola di spesa. La regola di spesa costituisce il mezzo per determinare il fabbisogno di spesa per ogni governo locale. In alcuni casi il fabbisogno può essere aggiustato, tramite l'utilizzo di indici, per tener conto di differenze territoriali nel costo di fornitura di un servizio. L'approccio top-down garantisce la sostenibilità dei fabbisogni individuati. Alcune problematiche connesse con un approccio top-down riguardano la possibilità che non ci sia perfetta coerenza con i fabbisogni reali e l'eventualità che un processo di individuazione dei fabbisogni così disegnato sia scarsamente trasparente (soprattutto quando vengono individuati indici per tener conto delle specificità territoriali).

5)    Bottom-up expenditure norms: approccio che misura il fabbisogno di spesa partendo dalle attuali spese dei governi sub-centrali o da un paniere standardizzato di servizi offerti dai governi sub-centrali. Fondato sull'individuazione dettagliata dei costi degli input necessari per fornire un livello di servizio standard. Questo tipo di approccio richiede, tuttavia, un numero elevato di informazioni (informazioni di costo per tutti i fattori che influiscono sulla spesa) e allo stesso modo può non essere coerente con la programmazione finanziaria. Una corretta applicazione di tale approccio necessita, inoltre, una puntuale definizione di che cosa s'intenda per livello standard. Infatti, soprattutto in paesi unitari, il governo centrale determina una serie di standard nazionali o minimi che devono essere garantiti dai livelli sub-centrali. La quantificazione in termini monetari di tali standard, che generalmente sono definiti come dati fisici, richiedeun elevato numero di informazioni circa il costo degli input.

6)    Representative Expenditure System: approccio complesso, articolato su più fasi; sviluppato per pervenire alla costruzione di un indicatore di fabbisogno di spesa che consideri sia i principali fattori che possono influire su determinate categorie di spesa (es. per la spesa in educazione il numero di studenti), sia i fattori di costo, sia il livello di spesa corrente.

 

Una serie di paesi ha implementato approcci innovativi - cd performance-based approach - all'identificazione dei fabbisogni di spesa. Tali approcci, utilizzati soprattutto finora per la determinazione dei fabbisogni di spesa al fine delle analisi di bilancio, abbandonano le tecniche tradizionali, fondate sull'individuazione dei fattori ritenuti in grado di influire sui fabbisogni di spesa, a favore di approcci performance-based. Tali approcci identificano nell'analisi degli obiettivi e dei risultati (nonché nelle risorse necessarie per raggiungere i risultati stessi) delle unità di governo lo strumento più efficace per la determinazione dei fabbisogni di spesa.

Nello specifico, l'approccio performance-based si fonda sulla valutazione del rapporto costo-beneficio, sia connesso ad uno specifico programma di governo, sia relativo alla fornitura di un determinato servizio pubblico. In molti casi, tuttavia, l'identificazione precisa delle variabili che consentono l'ottenimento di un determinato risultato è complessa; inoltre, potrebbe non esserci sempre l'incentivo da parte degli enti sub-centrali nel fornire indicazioni precise sui risultati ottenuti (ad esempio se il governo locale ottiene risultati limitati non ha incentivi nel fornire informazioni trasparenti sulle motivazioni).

Alcuni paesi stanno, infine, sperimentando l'introduzione di accordi formali sui performance targets (performance contracts); tali accordi prevedono l'indicazione puntale del risultato che il governo sub-centrale si impegna a raggiungere dato un determinato ammontare di risorse.

4.3   La perequazione sulle capacità fiscali

La capacità fiscale è un altro dei parametri frequentemente utilizzati nei modelli di perequazione. Nella definizione maggiormente utilizzata la capacita fiscale rappresenta il gettito che un ente territoriale è potenzialmente in grado di raccogliere attraverso la tassazione di basi imponibili locali.

Le disuguaglianze di gettito regionale pro-capite derivano, in genere, da fattori non-discrezionali, quale la diversa consistenza delle basi imponibili, legata alle differenze nella manifestazione oggettiva soggetta a tassazione, (ad esempio, la diversa distribuzione del reddito fra i vari territori o i differenziali di consumo). Allo stesso tempo, la diversità delle basi imponibili può essere spiegata anche da un fattore discrezionale chiamato sforzo fiscale. Esso rappresenta un indicatore del grado di utilizzo della base imponibile potenziale dei tributi locali ed è influenzato dalla definizione della base imponibile stessa, all'aliquota applicata così come alle esenzioni e alle agevolazioni previste.

 

Le misure della capacità fiscale territoriale dovrebbero essere in grado di isolare dal gettito dei tributi propri, l'effetto dei fattori discrezionali.

Nella letteratura si ritrovano diverse metodologie per il calcolo della capacità fiscale. La misura più immediata è quella rappresentata dal gettito corrente dei tributi destinati al finanziamento delle spese degli enti territoriali. Questa metodologia può essere utile quando non vi sono dati disponibili o quando le aliquote e le basi imponibili sono decise dal livello centrale e risultano quindi omogenee per tutti gli enti territoriali. Negli altri casi, questo tipo di criterio premierebbe quegli enti locali che a fronte di uno sforzo fiscale minore (ovvero dell'applicazione di un'aliquota più bassa della media o dell'utilizzo di una base imponibile più ristretta) risulterebbero con un divario fiscale più ampio e potrebbero, di conseguenza, ricevere quote di fondo perequativo più alte.

 

Un'altra metodologia consiste nell'utilizzare una variabile che riflette la capacità fiscale (proxy), come il PIL regionale o il reddito pro-capite, con l'obiettivo di misurare le potenzialità di gettito delle tasse locali.

 

La metodologia più raffinata, detta "Sistema di entrata rappresentativo", consiste nel calcolare, per ogni tipologia di imposta locale, un'aliquota standard ossia identica, nella sua definizione, per tutti gli enti (di solito calcolata come rapporto tra la somma del gettito degli enti sub-centrali e una base imponibile standardizzata[44]). Successivamente, tale aliquota viene moltiplicata per la base imponibile standard locale, giungendo a determinare il gettito standard.

La capacità fiscale pro-capite dell'ente territoriale è ottenuta dalla somma del gettito standard delle imposte considerate diviso il totale della popolazione locale.

Tale metodologia è estremamente accurata in quanto tiene conto del gettito delle diverse imposte rapportato ad una base imponibile standardizzata, in modo che le differenze interregionali siano dovute solamente a fattori non imputabili alle scelte del governo locale.

Essa però richiede una serie di stime per la regionalizzazione (su tale punto si veda il capitolo 5) e la standardizzazione delle basi imponibili e un'ampia disponibilità di dati.

 

La perequazione può essere totale o parziale a seconda che si provveda o meno a finanziare integralmente la differenza fra la capacità fiscale della singola regione e la capacità media. Nel primo caso, si integra completamente la differenza di gettito pro capite rispetto alla media nazionale; nel secondo caso, si integra la capacità fiscale regionale per una quota percentuale della differenza rispetto alla media nazionale.


La formula seguente, che riprende la perequazione parziale già prevista nel D.Lgs. 56/2000, aiuta a comprendere meglio i due concetti:

 

Risorse perequative

dove  rappresenta la media delle capacità fiscali pro-capite regionali,  è la capacità fiscale pro capite della regione j (che ha una capacità fiscale inferiore alla media e per la quale, quindi (t - ti) è positivo) e  è la percentuale del differenziale fra queste due grandezze, su cui opera la perequazione.

Nel caso di perequazione totale,  risulterebbe pari a 1 e non vi sarebbe più alcuna differenziazione nelle risorse pro-capite attribuite alle singole regioni, che riceverebbero ciascuna una quota pari alla capacità fiscale media.

4.4   Fabbisogni e capacità fiscale nel disegno di legge delega

Il disegno di legge delega in materia di federalismo fiscale, nel definire, all’articolo 2, i principi fondamentali del sistema di finanziamento delle autonomia territoriali prevede il superamento graduale, per tutti i livelli istituzionali, del criterio della spesa storica a favore:

§        del fabbisogno standard per il finanziamento delle funzioni corrispondenti ai livelli essenziali e alle funzioni fondamentali, di cui all’art. 117, secondo comma, lettere m) e p) della Costituzione;

§        delle capacità fiscali per le altre funzioni.

 

Il disegno di legge delega di federalismo fiscale implica quindi meccanismi diversificati, prendendo a riferimento un modello di perequazione basata sul fabbisogno di spesa, associato alla definizione dei costi standard per la determinazione delle modalità di finanziamento dei livelli essenziali delle prestazioni e delle funzioni fondamentali degli enti territoriali, nonché un modello di perequazione sulle capacità fiscali per le altre funzioni.

Le regioni

Con riferimento alle regioni, l'articolo 6 (comma 1, lettera b) sottolinea che, nell'attuazione della delega, le spese riconducibili ai livelli essenziali siano determinate nel rispetto dei costi standard associati ai livelli essenziali delle prestazioni[45]. Anche nella definizione della spesa e del relativo finanziamento per il trasporto pubblico locale, si indica quale parametro la fornitura di un livello adeguato del servizio su tutto il territorio nazionale, nonché dei costi standard (lett. c).

L'articolo 7, esponendo i principi e i criteri direttivi in ordine alla determinazione dell'entità e del riparto del fondo perequativo, conferma che le risorse del fondo devono finanziare la differenza tra il fabbisogno finanziario necessario alla copertura delle spese riconducibili al vincolo dell'art.117, secondo comma, lettera m), calcolate ai costi standard e il gettito regionale dei tributi ad esse dedicati (determinato con l'esclusione delle variazioni di gettito prodotte dall'esercizio dell'autonomia tributaria, nonché dall'emersione della base imponibile riferibile al concorso regionale nell'attività di recupero fiscale), in modo da assicurare l'integrale copertura delle spese corrispondenti al fabbisogno standard per i livelli essenziali delle prestazioni (comma 1, lett. c).

 

Relativamente ai criteri di perequazione delle altre funzioni regionali, diverse da quelle essenziali, il ddl prevede che questa avvenga prendendo come riferimento le capacità fiscali regionali. Viene, quindi, istituito un fondo perequativo cui contribuiscono le regioni con capacità fiscale superiore alle media nazionale, che devolverebbero al fondo una quota delle risorse loro assegnata. Le regioni con capacità fiscale inferiore alla media partecipano al riparto del fondo perequativo (per un approfondimento su tale punto si veda il paragrafo 9.2).

Gli enti locali

Relativamente agli enti locali, l'articolo 9 (comma 1, lett. b) indica che le modalità per cui il finanziamento delle spese riconducibili alle funzioni fondamentali, e dei livelli essenziali delle prestazioni da esse implicate, debba avvenire in modo da garantire il finanziamento integrale in base al fabbisogno standard. Alla lettera c) del medesimo comma si precisa che, per le funzioni non fondamentali, il finanziamento incentrato sul gettito dei tributi propri verrà integrato con un fondo perequativo basato sulle capacità fiscali.

L'articolo 11, peraltro - elencando i principi e i criteri direttivi concernenti l'entità e il riparto dei due fondi perequativi, uno destinato alle province e l'altro ai comuni - non riprende le doppia articolazione del fondo in base al carattere fondamentale o meno delle funzioni il cui finanziamento è oggetto di perequazione, ma indica che la ripartizione del fondo debba avvenire in base a due indicatori, uno di fabbisogno finanziario e uno di infrastrutture.

Il criterio di perequazione viene quindi basato su indicatori di fabbisogno (diversamente articolati per la spesa di parte corrente e di conto capitale[46]), mentre sembrerebbe scomparire l'indicatore di capacità fiscale richiamato dall'articolo 9 in relazione alle funzioni diverse da quelle fondamentali (per un approfondimento su tale punto si veda il capitolo 10).

Da notare che nessuno dei due indicatori richiamati dall'articolo 11 incorpora la spesa per interessi, da cui deriverebbe che tale componente di spesa non entra nel calcolo della componente di perequazione.

4.5   Il decreto legislativo n. 56/2000

Il finanziamento della spesa sanitaria nel decreto legislativo n. 56/2000

Un primo tentativo di introdurre il federalismo fiscale, con specifico riferimento al finanziamento del sistema sanitario, si è avuto con il decreto legislativo 18 febbraio 2000, n. 56, recante “Disposizioni in materia di federalismo fiscale, a norma dell’articolo 10 della legge 13 maggio 1999, n. 133.

Due le innovazioni più significative in materia di riordino del sistema di finanziamento delle regioni a statuto ordinario contenute nel provvedimento: l’incremento delle quote di compartecipazione ai tributi erariali e un nuovo sistema di perequazione.

A tali previsioni si accompagnava l’eliminazione dei trasferimenti erariali in favore delle regioni a statuto ordinario a partire dal 2001.

Le regioni, per il finanziamento delle funzioni in materia sanitaria ad esse attribuite, dovevano disporre prevalentemente di tributi propri e di quote di partecipazione ai tributi erariali riscossi sul proprio territorio. I residui trasferimenti dal bilancio dello Stato erano destinati a finanziare: a) le funzioni delegate; b) la solidarietà nazionale in caso di calamità; c) le quote del Fondo sanitario nazionale di parte corrente destinate agli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico, le attività di ricerca scientifica sperimentale, i programmi sanitari di rilievo nazionale e internazionale, le politiche di riequilibrio e promozione strutturale. I trasferimenti dal Fondo sanitario nazionale erano trasformati in compartecipazioni al gettito di imposte erariali (IVA ed IRPEF).

In particolare, per assicurare alle regioni l’ammontare di risorse sino a quel momento trasferite - stimate in circa 39 mila miliardi per il 2001 - veniva istituita una compartecipazione al gettito IVA; era maggiorata l’addizionale regionale IRPEF; era infine aumentata l’accisa sulla benzina attribuita alle regioni.

Nel dettaglio, si attribuiva alle regioni il 25,7% del gettito derivante dall’imposta sul valore aggiunto, usando come indicatore di base imponibile la media dei consumi finali delle famiglie rilevati dall’ISTAT nei tre anni precedenti. Dall’altro lato, l’addizionale regionale all’IRPEF aumentava dallo 0,5 allo 0,9%, a fronte di una riduzione equivalente dell’aliquota erariale. Infine, cresceva di 8 lire l’accisa sulla benzina attribuita alle regioni a statuto ordinario.

La riforma, almeno in fase di avvio, non comportava oneri aggiuntivi per il bilancio dello Stato e per quello delle regioni a statuto ordinario. Le aliquote di compartecipazione venivano infatti fissate in modo da compensare integralmente i trasferimenti soppressi. Nel tempo, tuttavia, le somme derivanti dalle compartecipazioni erano destinate a seguire la dinamica del gettito dei tributi, evidentemente legato all’andamento delle basi imponibili. L’invarianza delle risorse era quindi assicurata solo nella fase iniziale.

L’obiettivo era quello di passare entro il 2014, dopo una fase di transizione, da un sistema basato sul criterio delle spesa storica – in applicazione del quale il fabbisogno futuro veniva determinato in base alla spesa sino ad allora sostenuta - ad uno imperniato sulle autonome capacità fiscali delle regioni, corretto in senso perequativo sia sul versante della capacità fiscale sia su quello dei fabbisogni, attraverso la redistribuzione alla regioni di un fondo perequativo alimentato dalla compartecipazione all’IVA.

La riduzione del parametro rappresentato dalla spesa storica era previsto dovesse avvenire nella misura di 5 punti percentuali all’anno per il biennio 2000-2002 e, quindi, di 9 punti percentuali all’anno sino alla conclusione della transizione.

Il sistema di perequazione doveva operare in favore delle regioni in cui la base imponibile dei tributi non era idonea a garantire un sufficiente livello di entrate. L’articolo 7 del D.Lgs. 56/2000 istituiva a tale scopo il Fondo perequativo nazionale, alimentato dalle compartecipazioni all'IVA ed all'accisa sulla benzina, al fine di consentire che una parte del gettito della compartecipazione all'IVA fosse destinata alla realizzazione degli obiettivi di solidarietà interregionale.

Era prescritto che le somme da erogare a ciascuna regione da parte del Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica fossero determinate in funzione di parametri riferiti alla popolazione residente, alla capacità fiscale - le cui distanze rispetto alla media sarebbero state ridotte del 90 per cento - ai fabbisogni sanitari e alla dimensione geografica di ciascuna regione, come definiti e determinati dalle specifiche tecniche. Le disposizioni prevedevano che le somme erogate dal Fondo alle regioni dovessero essere fissate in modo tale da assicurare comunque la copertura del fabbisogno sanitario alle regioni con insufficiente capacità fiscale.

Il Fondo presentava le caratteristiche dei sistemi di perequazione orizzontale, evidenziando un trasferimento di risorse (l’IVA calcolata su base territoriale) dalle regioni più ricche a quelle più povere. Inoltre, al termine del periodo transitorio, la perequazione interregionale non doveva più considerare la spesa storica ma basarsi sulla “capacità fiscale” di ciascuna regione (integrata al 90% rispetto alla media nazionale), sui fabbisogni sanitari e su un livello uniforme di servizi. In altri termine, a conclusione del predetto periodo, ciascuna regione – una volta assicurata l’integrazione della capacità fiscale al 90% della media nazionale per tutte le regioni – avrebbe potuto beneficiare della dinamica dei propri gettiti tributari.

Per comprendere l’impatto della riforma sulla struttura di finanziamento regionale, va considerato come nella situazione pre-riforma la compartecipazione al gettito nazionale e i tributi propri rappresentassero il 65% delle risorse complessive a disposizioni delle regioni. Tale percentuale era peraltro il prodotto di realtà fortemente differenziate: la Lombardia poteva contare su risorse fiscali pari al 90% del fabbisogno mentre tutte le regioni meridionali si collocavano sotto il 40%.

Nel primo anno di applicazione della riforma (2001), in cui bisognava garantire l’invarianza delle risorse rispetto alla spesa storica, l’applicazione del meccanismo perequativo ha determinato un complesso sistema di riversamento di quote dei tributi erariali (da parte delle regioni in eccedenza) e di prelievo di quote dei medesimi tributi ( da parte delle regioni in deficit).

Nel complesso, nel primo anno di applicazione della riforma, delle 15 regioni a statuto ordinario, 7 sono risultate eccedenti (in ordine decrescente: Lombardia, Emilia Romagna, Veneto, Lazio, Piemonte, Toscana e Marche), ed hanno alimentato il fondo perequativo, ed 8 deficitarie (in ordine decrescente: Campania, Puglia, Calabria, Abruzzo, Basilicata, Liguria, Umbria e Molise), ed hanno dunque prelevato dallo stesso fondo.

Il percorso definito dal decreto legislativo n. 56 è entrato in crisi per le difficoltà incontrate nell’attuare il previsto abbandono del criterio della spesa storica. Il problema è emerso con forza in occasione della ripartizione del fondo sanitario per l’anno 2002, attuata con il D.P.C.M. 14 maggio 2004, quando ad alcune regioni la quantificazione delle risorse risultante dall’applicazione della quota di riduzione della spesa storica apparve decisamente insostenibile.

L’emanazione del DPCM 14 maggio 2004, «Determinazione delle quote previste dall’articolo 2, comma 4, del decreto legislativo 18 febbraio 2000, n. 56 – Anno 2002» ha reso numericamente evidenti gli effetti che sarebbero derivati dal progressivo abbandono del criterio della spesa storica nella ripartizione del fondo perequativo introdotto con il “federalismo fiscale”. Con il crescere della quota ripartita in base ai cosiddetti ‘parametri obiettivi’ stabiliti dall’allegato «A» al D.Lgs. n. 56, le regioni con bassa capacità fiscale, più massicciamente dipendenti dall’ammontare della ‘perequazione’, avrebbero progressivamente perso parte dei trasferimenti che erano loro assicurati dalla invarianza della copertura della spesa storica: poco più che 98 milioni di euro nell’anno 2002, con la prima applicazione e la quota limitata al 5%; già 152 milioni di euro nell’anno successivo, quando la quota da ripartire secondo i parametri obiettivi sarebbe salita al 10%. A partire dal 2004 e sino al 2013 quella quota sarebbe aumentata del 9% annuo (19%, 28%, 37%, rispettivamente negli anni 2004, 2005 e 2006) raggiungendo nell’anno 2013 la quota massima del 100%. Nel 2013 la ‘spesa storica’ sarebbe divenuta una voce ‘per memoria’ ed il finanziamento del fabbisogno sanitario di ciascuna regione sarebbe stato assicurato integralmente secondo i ‘parametri obiettivi’. In questi la correzione della capacità fiscale effettuata fino al 90% (tramite il parametro «ß», o «coefficiente di solidarietà») avrebbe garantito la quasi totale perequazione delle basi imponibili lasciando soltanto il 10% dello sforzo fiscale di ciascuna regione come riconoscimento ad ognuna dell’apporto di quel territorio alla solidarietà generale. Questa prospettiva non si è realizzata: i numeri del decreto hanno fatto emergere la contraddizione fra la generale accettazione dei principi che avevano ispirato il decreto legislativo n. 56/2000 e la contestazione della loro concreta attuazione.

 

Crisi e modifica del meccanismo di superamento della spesa storica definito dal D.Lgs. n. 56 del 2000

A fronte delle riscontrate difficoltà applicative, il decreto-legge 30 dicembre 2004, n. 314, sospendeva l’efficacia del decreto legislativo n. 56/2000 nelle more di un suo adeguamento al nuovo Titolo V della Costituzione. L’articolo 4 del decreto demandava al Governo, previa intesa in sede di Conferenza Stato-regioni, l’approvazione delle proposte normative per adeguare il decreto legislativo 18 febbraio 2000, n. 56, ai princìpi contenuti nel Titolo V della Costituzione, nel rispetto delle disposizioni contenute nelle leggi finanziarie.

Con l’ “Accordo di Santa Trada” del 21 luglio 2005, la Conferenza delle Regioni e delle Province autonome proponeva specifiche modalità di applicazione del D.Lgs. 56/2000, delineando un “percorso di aggiustamento” che contemplasse la modifica del D.Lgs. 56/2000 e proponendo specifiche modalità di riparto delle risorse per gli anni 2002-2004

La disciplina pattizia, e il metodo dell’intesa tra i diversi livelli di governo, sono stati poi sostanzialmente recepiti dalla legge finanziaria 2006. L’articolo 1, comma 320, della legge 266/2005 - riproducendo gli intenti espressi in sede di Conferenza permanente – ha disposto che nella determinazione delle somme spettanti ogni anno a ciascuna regione il parametro della spesa storica decresca più gradualmente (in un arco di tempo pari a 66 anni) rispetto all’originaria curva delineata del decreto legislativo n. 56/2000 e che, conseguentemente, la quota di risorse ripartita secondo i cosiddetti ‘parametri obiettivi’ (di cui all’Allegato A al D.Lgs. 56/2000) non possa crescere oltre il valore nominale della cifra determinata per l’anno 2002.

La quota del fondo ripartita secondo il criterio della spesa storica è stata dunque ridotta del 5 per cento per il 2001 e, a decorrere dall'anno 2003, di un ulteriore 1,5 per cento annuo (sino ad arrivare all’11 per cento per il 2006, come si vedrà infra).

Tale intervento ha consentito di restituire, per l’anno 2002, attraverso il D.P.C.M. 3 ottobre 2006, 77,25 milioni di euro a Lazio, Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, assegnati nel 2004 alle regioni del Nord.

La legge finanziaria per il 2008 ha infine precisato la disciplina dei criteri di ripartizione delle somme dovute alle regioni ai fini della perequazione: è stato infatti previsto (articolo 2, commi 52-54) che detti ammontari possano essere ripartiti sulle base “di uno specifico accordo stipulato tra le regioni”, con l’estensione di questa possibilità anche alle ripartizioni relative agli anni 2005 e 2006, sulle quali peraltro si è già espressa positivamente la Conferenza Stato-regioni.

Riparto delle risorse e finalità perequative

In attuazione del D.Lgs. n. 56 del 2000, con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri - su proposta del Ministro dell’economia, sentito il Ministero della salute e d'intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano sono per l’appunto determinate, entro il 30 settembre di ciascun anno e per il triennio successivo, per ciascuna regione:

a)      la quota di compartecipazione all'IVA;

b)      la quota di concorso di ciascuna regione alla solidarietà interregionale;

c)      la quota di gettito IVA da assegnare a titolo di fondo perequativo nazionale;

d)      infine, le somme da erogare a ciascuna regione da parte del Ministero dell’economia e delle finanze.

Da ultimo, il DPCM 7 dicembre 2007 la quota di gettito complessivo dell’IVA da assegnare alle regioni a titolo di compartecipazione è stata fissata per il 2006 nella misura del 43,58 per cento del gettito realizzato nel 2004.

 

L’importo della compartecipazione all'IVA di cui al comma 2 viene quantificato per ciascuna regione utilizzando, come indicatore di base imponibile, la media dei consumi finali delle famiglie rilevati dall'ISTAT a livello regionale negli ultimi tre anni disponibili.

E’ stato emanato, da ultimo, il DPCM 11 gennaio 2008, che ha effettuato il riparto delle risorse riferibili all’anno 2006. L’articolo 4 del DPCM ha in particolare fissato l’ammontare complessivo delle somme da ripartire alle regioni a statuto ordinario in 40.986 milioni di euro per l’anno 2006.

Si riproduce di seguito la Tabella D allegata al decreto, nella quale sono evidenziate le operazioni che hanno condotto al suddetto riparto di risorse. La nota metodologica allegata agli schemi di DPCM di riparto delle risorse relative agli anni 2003-2005 (inviati alla Conferenza delle Regioni e delle Province autonome) illustra i criteri adottati per effettuare il riparto delle risorse del Fondo perequativo (ex articolo 7, comma 2 del D.Lgs. n. 56/2000) tra le Regioni. Nella nota si sottolinea come la formula per il computo delle somme da erogare a ciascuna regione consti di quattro parametri: popolazione, capacità fiscale, dimensione geografica e fabbisogno sanitario. In particolare, nella nota si rileva come alla definizione di “capacità fiscale” concorrano componenti impositive sia dirette che indirette: addizionale regionale all’IRPEF, IRAP, tasse automobilistiche e accisa sulla benzina.


 

Tabella D – Anno 2006
Somme da ripartire alle regioni

Regioni a Statuto ordinario

Trasferimenti soppressi
(al netto accisa) da coprire con compartec. IVA

89%
Spesa storica

89% Compartecipaz. all'IVA in base ai consumi delle famiglie

Concorso al fondo di solidarietà

Quote regionali

Ripartizione 11% in base all'Allegato A

Totale

Totale da ripartire alle regioni

 

1

2

3

(4 = 3 - 2)

(5 = 2 - 3)

-6

(7 = 5 + 6)

(8 = 3 - 4 + 7)

Piemonte

3.492.125.223

3.107.991.448

3.421.500.105

313.508.656

0

377.001.358

377.001.358

3.484.992.807

Lombardia

5.194.618.598

4.623.210.552

7.619.990.189

2.996.779.637

0

587.474.576

587.474.576

5.210.685.128

Veneto

3.327.392.644

2.961.379.453

3.737.303.271

775.923.818

0

364.262.843

364.262.843

3.325.642.296

Liguria

1.666.313.965

1.483.019.429

1.361.662.004

0

121.357.426

180.284.786

301.642.211

1.663.304.215

Emilia-Rom.

3.151.241.037

2.804.604.523

3.608.214.491

803.609.968

0

342.821.465

342.821.465

3.147.425.988

Toscana

3.221.665.332

2.867.282.146

2.930.242.688

62960542

0

338.598.719

338.598.719

3.205.880.865

Umbria

911.146.655

810.920.523

601.242.477

0

209.678.045

97.315.745

306.993.790

908.236.268

Marche

1.299.080.320

1.156.181.484

1.124.077.385

0

32.104.100

149.097.347

181.201.447

1.305.278.831

Lazio

3.257.298.448

2.898.995.619

4.259.836.094

1.360.840.475

0

379.241.606

379.241.606

3.278.237.225

Abruzzo

1.389.230.435

1.236.415.088

811.736.701

0

424.678.386

150.042.199

574.720.585

1.386.457.286

Molise

417.259.132

371.360.627

185.301.128

0

186.059.499

45.351.318

231.410.817

416.711.945

Campania

6.201.854.162

5.519.650.204

3.108.624.150

0

2.411.026.054

670.924.340

3.081.950.394

6.190.574.544

Puglia

4.295.708.826

3.823.180.855

2.272.097.131

0

1.551.083.724

484.606.269

2.035.689.993

4.307.787.124

Basilicata

727.620.875

647.582.579

306.265.439

0

341.317.140

78.305.448

419.622.588

725.888.027

Calabria

2.433.256.924

2.165.598.663

1.129.279.942

0

1.036.318.721

263.111.365

1.299.430.086

2.428.710.027

Totale RSO

40.985.812.577

36.477.373.193

36.477.373.192

6.313.623.095

6.313.623.095

4.508.439.383

10.822.062.478

40.985.812.577


La colonna 1 mostra l’ammontare regionalizzato dei trasferimenti soppressi dalle disposizioni del D.Lgs. 56/2000; il dato complessivo per le Regioni a statuto ordinario costituisce la base di calcolo della percentuale di gettito IVA da destinare alle Regioni (vedi supra).

La colonna 2 mostra l’ammontare del fabbisogno calcolato secondo il parametro della “spesa storica”; nella colonna 3 è correlativamente illustrato il gettito IVA destinato a coprire il suddetto fabbisogno, “regionalizzato” secondo il citato criterio del consumo delle famiglie.

La colonna 4 illustra il concorso di ciascuna Regione al Fondo perequativo. Le Regioni “eccedenti” (ossia in cui l’ammontare di gettito IVA è superiore all’ammontare di spesa storica da coprire) conferiscono risorse al fondo di solidarietà regionale. La colonna 5 mostra le risorse che le Regioni “deficitarie” (ossia in cui l’ammontare di spesa storica da coprire è superiore al gettito IVA) riceve a titolo di Fondo di solidarietà interregionale.

La colonna 6 invece illustra la quota residua di risorse (11 per cento) ripartite sulla base dei parametri oggettivi dell’Allegato “A” al D.Lgs. 56/2000. Tale ammontare è stato gradualmente aumentato, come si è detto, dal 5 per cento delle risorse disponibili è cresciuto, a decorrere dall'anno 2003, di un ulteriore 1,5 per cento per ogni anno, sino ad arrivare all’11 per cento - per l’anno 2006 - illustrato in tabella.

La colonna 7 illustra la somma delle quote ricevute da ciascuna regione a titolo di fondo perequativo nazionale.

La colonna 8 infine illustra l’ammontare totale delle risorse assegnate a ciascuna Regione, rappresentate dalla somma tra la quota “regionalizzata” del gettito IVA e il totale delle risorse percepite a titolo di Fondo perequativo, al netto della quota di concorso al fondo di solidarietà.

4.6   La sanità: il finanziamento dei livelli essenziali di assistenza

I livelli essenziali di assistenza

Definizione dei Lea

Secondo la Carta costituzionale[47] alla potestà legislativa esclusiva dello Stato compete la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali (LEP), e quindi anche dei livelli delle prestazioni sanitarie, da garantirsi su tutto il territorio nazionale, e la fissazione dei principi della materia “tutela della salute”[48]; la puntuale determinazione dell’assetto organizzativo e delle modalità di erogazione dell’assistenza sanitaria sono invece affidati al legislatore regionale, nel rispetto dei ricordati principi e livelli.

Nella loro prima formale definizione, i Lea sono stati costruiti sulla base delle quote complessive di finanziamento previste per le regioni[49]. Il livello essenziale di assistenza era espresso da una quota capitaria minima che le singole regioni dovevano spendere per la sanità, corrispondente al finanziamento ottenuto dal Fondo sanitario nazionale (FSN). Il contenuto dei Lea era focalizzato sul livello atteso di spesa sanitaria media per abitante.

Con il secondo riordino del SSN (D.Lgs. 229/1999) è emersa una maggiore attenzione al concetto proprio dei Lea da determinarsi, sulla base di una serie di principi e criteri[50], contestualmente e non successivamente alla definizione delle risorse finanziarie destinate al SSN[51].

Pur confermandosi i Lea come espressione dell’interesse pubblico a tutelare dal lato della domanda i bisogni di salute dei cittadini, con la riforma si afferma un’interpretazione dei Lea in termini di prestazioni e servizi che il SSN è tenuto a garantire, entro i limiti delle risorse che le scelte di politica economica rendono disponibili per il suo finanziamento.

In questo contesto, i Lea hanno assunto un ruolo che risponde da un lato all’esigenza di tradurre le aspettative di salute della popolazione in domanda di assistenza da soddisfare attraverso prestazioni omogenee e, dall’altro di garantire la compatibilità tra domanda e risorse messe a disposizione per l’erogazione di quelle prestazioni[52].

Il procedimento di definizione dei Lea

Il procedimento per l’individuazione e l’aggiornamento dei Lea deve ispirasi al principio di leale collaborazione tra livelli di governo, dal momento che il SSN è organizzato nelle sue linee essenziali a livello statale, ma articolato e affidato alla responsabilità delle Regioni.

Il 23 febbraio 2002 è entrato in vigore il D.P.C.M. che definisce i Lea[53], vale a dire le prestazioni e i servizi che il SSN è tenuto a fornire a tutti i cittadini, gratuitamente o dietro pagamento di una quota di partecipazione (ticket), con le risorse pubbliche raccolte attraverso la fiscalità generale.

I Lea sono organizzati in tre grandi Aree:

-         l’assistenza sanitaria collettiva in ambiente di vita e di lavoro;

-         l’assistenza distrettuale;

-         l’assistenza ospedaliera.

 

I tre macro-livelli sono composti a loro volta da 25 livelli intermedi e ulteriori 26 micro-livelli; per alcuni di questi viene definito un elenco di prestazioni anche molto dettagliato.

La determinazione dei Lea ad opera del citato DPCM lascia alle Regioni uno spazio discrezionale nell’organizzare i relativi servizi. Inoltre, i Lea costituiscono il contenuto necessario e sufficiente dell’obbligo di servizio pubblico posto dall’ordinamento a carico di ciascuna Regione nei confronti dei destinatari del servizio stesso. Le Regioni, infatti, possono, con risorse proprie, erogare prestazioni aggiuntive tese a migliorare ulteriormente il livello delle prestazioni, oltre la soglia minima uniforme inclusa nei Lea.

E’ attualmente in corso di svolgimento la procedura per definizione dei nuovi Lea[54]: il procedimento è nella fase di concertazione tra Governo e Regioni, al fine di giungere all’adozione di un documento condiviso.

Gli strumenti per la revisione e l’aggiornamento dei Lea

I livelli essenziali di assistenza non costituiscono un insieme immutabile di prestazioni sanitarie da garantire in ogni tempo ai cittadini, ma richiedono un aggiornamento continuo in coerenza con l’evolversi delle condizioni di salute della popolazione e dei relativi bisogni sanitari, nonché delle conoscenze scientifiche e dello sviluppo tecnologico.

Per questo motivo è emersa l’esigenza di garantire alla loro applicazione un carattere dinamico, che ne mantenesse i contenuti al passo con l’evoluzione del contesto di riferimento. La manutenzione dei Lea è affidata alla Commissione nazionale per la definizione e l’aggiornamento dei Livelli essenziali di assistenza (c.d. Commissione Lea), istituita nel 2002[55].

 

La Commissione, insediatasi a fine luglio 2004, ha iniziato la propria attività con l’elaborazione di una metodologia diretta, da un lato, all’inclusione nei Lea di nuove aree prestazionali o singole prestazioni e, dall’altro, a modificarne o ad escluderne altre già incluse. La Commissione ha prodotto una serie di documenti[56] che costituiscono, insieme alle indicazioni emerse dal “progetto Mattoni”[57], la fonte principale della revisione dei Lea.

Le metodologie di controllo dei Lea

Le crescenti esigenze di verifica della correttezza della gestione delle risorse sanitarie in rapporto all’obbligo di fornire le prestazioni ritenute essenziali hanno condotto allo sviluppo di metodologie di controllo, basate sia sull’utilizzo di indicatori economici, sia su parametri di riferimento, per grandi aggregati di spesa, che permettono di accertare il grado di scostamento di una singola regione da un valore predeterminato.

In attuazione della previsione normativa contenuta nel D.Lgs. n. 56/2000, subito dopo l’emanazione del DPCM di definizione di Lea, è stato emanato, con D.M. 12 dicembre 2001, il cosiddetto sistema di garanziedei Lea, costituito da un insieme minimo di indicatori e di parametri di riferimento finalizzato al monitoraggio del rispetto, in ciascuna Regione, dei livelli essenziali ed uniformi di assistenza, nonché dei vincoli di bilancio delle Regioni a statuto ordinario”.

L’insieme minimo è costituito da 62 indicatori di offerta, di procedura, di output, di outcome e di costo, distribuiti su tre livelli di assistenza, ai quali si affiancano 29 indicatori di contesto (stato di salute e fattori ambientali).

Tali dati confluiscono nel Rapporto nazionale di Monitoraggio dell’assistenza sanitaria, che a partire dal 2001 il Ministero della Salute pubblica periodicamente[58]. Come evidenziato dalla nota introduttiva dell’ultimo Rapporto pubblicato, la qualità dei dati è in progressivo miglioramento, anche se per talune tipologie di assistenza persistono ancora difficoltà di acquisizione delle informazioni in modo uniforme e omogeneo, a causa del diverso grado di sviluppo dei flussi informativi regionali e della differente organizzazione nell’offerta dei servizi.

 

Un secondo strumento, diretto alla verifica del contenuto dei Lea e dell’adozione da parte delle Regioni delle misure di politica sanitaria, è il “Comitato permanente per la verifica dell’erogazione dei Livelli Essenziali di Assistenza”, cui è affidato il compito di verificare l’erogazione dei Lea in condizioni di appropriatezza e di efficienza nell’utilizzo delle risorse, nonché la congruità tra le prestazioni da erogare e le risorse messe a disposizione dal Servizio Sanitario Nazionale.

 

Un ulteriore strumento di monitoraggio è costituito dal Sistema nazionale di verifica e controllo sull’assistenza sanitaria (Siveas), previsto dalla Legge finanziaria 2006, con lo scopo di coordinare le attuali attività di controllo e verifica affidate a diversi organismi ed enti, al fine di facilitare la raccolta dei dati provenienti non solo dal sistema informativo sanitario, ma anche da altri enti (Ministeri Economia e Finanze, ISTAT, Agenzia per i servizi sanitari regionali, Regioni, Asl, NAS, ecc.).

 

Gli ambiti di intervento del Siveas sono individuati in due macro aree[59]:

-       l’area delle garanzie del raggiungimento degli obiettivi del SSN, che comprende le attività finalizzate alla verifica dei criteri di appropriatezza ed efficienza nell’erogazione dei Lea (livelli di qualità delle prestazioni sanitarie attraverso la verifica dei risultati di salute, verifica dei tempi di attesa per le prestazioni sanitarie urgenti, definizione di protocolli di sicurezza durante il ricovero o durante una terapia, etc…);

-       l’area dell’affiancamento e di supporto al Ministero della Salute nelle attività di programmazione, gestione e valutazione dei Sistemi sanitari regionali nelle Regioni che hanno stipulato i Piani di rientro dai disavanzi.

 

Con riferimento al controllo dell’erogazione dei Lea, si segnala il recente avvio di un progetto sperimentale (Re.mo.le.t – Rete di monitoraggio dei Lea tempestiva) da parte dell’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali ed un gruppo di sei Regioni per raccogliere e mettere a disposizione dati tempestivi e ragionati sul funzionamento del sistema sanitario. Tale sistema, che affianca e non sostituisce il sistema tradizionale di raccolta e trasmissione dei dati dalle aziende sanitarie alle Regioni e da queste al Ministero, ha come finalità ultima quella di permettere alle Regioni di confrontarsi a breve sui dati delle altre Regioni per poter valutare se i propri andamenti e scostamenti sono generali o specifici della propria realtà, con particolare riguardo agli aspetti organizzativo-programmatori[60].

 

L’attuale sistema di finanziamento del SSN. La determinazione del fabbisogno e i criteri di riparto tra le Regioni

Determinazione del livello di finanziamento cui concorre lo Stato

Il livello di finanziamento del SSN cui concorre ordinariamente lo Stato è di norma oggetto di accordi tra Stato-Regioni, recepiti successivamente in disposizioni di legge. Da ultimo il finanziamento relativo al triennio 2007-2009 é stato definito in occasione del Patto per la salute del settembre 2006, poi recepito dalla legge finanziaria 2007.

 

Il Patto si compone di un aspetto finanziario e di un aspetto normativo e programmatico. Oltre alla previsione di azioni volte alla razionalizzazione e al contenimento della spesa sanitaria, l’Accordo finanziario ha previsto:

-       l’incremento delle risorse messe a disposizione dallo Stato centrale, in linea con un’evoluzione della spesa sanitaria “agganciata” al PIL;

-       la conferma di meccanismi di piena responsabilizzazione finanziaria per le Regioni che non raggiungono gli obiettivi di spesa concordati, come le misure di affiancamento e gli "automatismi fiscali" (aumento delle aliquote regionali dell'addizionale IRPEF e dell'IRAP).

 

Il finanziamento del SSN, fissato dalla legge finanziaria per il 2007[61] in 96.040 milioni per tale esercizio, 99.082 milioni per il 2008 e 102.285 milioni per il 2009[62], è stato successivamente incrementato per tener conto delle maggiori risorse occorrenti per i rinnovi contrattuali e l’abolizione del ticket sulla specialistica.

 

Per il biennio 2010 e 2011, il livello di finanziamento è stato rideterminato in 103,9 e 106,3 miliardi[63]. Tali importi vanno poi incrementati delle risorse destinate ai rinnovi contrattuali del personale convenzionato relativi al biennio 2006-2007, e di 400 milioni per ciascun anno in seguito all’abolizione del ticket sulla specialistica.

L’importo su cui è calcolato il concorso annuale dello Stato al finanziamento del SSN risulta, pertanto, così determinato:

 

Tabella 1 - Livello del finanziamento del SSN cui concorre lo Stato

                                                                                                                                            (milioni di euro)

 

2006

2007

2008

2009

2010

2011

Legge finanziaria 2006

95.129

 

 

 

 

 

Legge finanziaria 2007

 

96.040

99.082

102.285

 

 

Abolizione ticket[64]

 

511

834

-

-

-

Rinnovi contrattuali biennio 2006-2007[65]

 

 

661

398

398

398

 

 

96.551

 

 

 

 

Totale pre-D.L. 112/08

 

 

100.577

102.683

105.945

109.265

 

 

 

 

 

(+3,18%)

(+3,13%)

DL 112/08

 

 

 

 

 

 

-          nuovo livello finanzia­mento [66]

 

 

 

102.683

103.945

106.265

-          integrazione contratti personale convenzionato [67]

 

 

 

184

69

69

-          concorso Stato abolizione ticket[68]

 

 

 

400

400

400

DL 154/08

 

 

 

 

 

 

-        ulteriore concorso Stato abolizione ticket [69]

 

 

 

434

-

-

TOTALE

 

 

 

103.701

104.414

106.634

La ripartizione del fabbisogno per il finanziamento dei Lea

Una volta definito il budget annuale del SSN, esso viene ripartito - al netto delle quote vincolate in quanto destinate ad alcuni enti sanitari o per alcune attività del Ministero della Salute - tra le Regioni secondo il principio della quota capitaria ponderata, indipendentemente quindi dalla capacità fiscale, in base a criteri concordati in sede di Conferenza Stato-Regioni.

 

 

 

La procedura di ripartizione

 

La procedura di ripartizione delle risorse, basata su una metodologia ormai consolidata, si articola nelle seguenti fasi:

1. Suddivisione del budget di spesa nei tre Livelli essenziali di assistenza, secondo quote programmatiche prestabilite. Nel tempo si è cercato di ridurre la quota destinata all’assistenza ospedaliera e di sviluppare quella territoriale e la prevenzione, destinando a questi due Lea maggiori risorse rispetto alla spesa storica. Attualmente, le quote sono le seguenti:

-       Assistenza sanitaria e collettiva: 5%;

-       Assistenza distrettuale: 51%;

-       Assistenza ospedaliera: 44%.

All’interno del 2° livello, sono individuati 4 sotto-livelli:

-          Medicina di base: 6,9%;

-          Farmaceutica: 13%;

-          Specialistica: 13%;

-          Altra territoriale: 18,1%.

2. Per ogni livello e sottolivello di assistenza, la popolazione regionale viene ponderata attraverso pesi rappresentativi dei consumi o della spesa sanitaria per fasce di età. I pesi rappresentano il rapporto tra la spesa media per abitante della classe di età specifica e il valore pro-capite di tutte le classi di età, assunto come valore unitario. La ponderazione riguarda attualmente la farmaceutica, la specialistica e l’assistenza ospedaliera, perché per le altre funzioni si utilizza la quota capitaria semplice.

 

Livello essenziale di assistenza

 

 

Quota obiettivo

del FSN

 

 

Modalità di ripartizione

 

 

 

 

 

 

Assistenza sanitaria e collettiva

5%

 

 

 

 

 

Quota capitaria semplice

 

Assistenza distrettuale

 

51%

 

Medicina di base PLS

6,9%

 

Quota capitaria semplice

 

 

 

Farmaceutica

13%

Tetto sul fabbisogno

 

 

 

 

 

 

Specialistica

 

 

13%

 

 

Quota capitaria ponderata in base ai consumi di prestazioni ambulatoriali per classi di età

 

 

Altra territoriale

18,1%

Quota capitaria semplice

Assistenza ospedaliera:

 

44%

 

 

 

22%

 

Quota capitaria ponderata in base ai consumi di ricoveri per classi di età

 

 

 

22%

Popolazione assoluta

 

 

 

 

 

 

3. La popolazione ponderata viene quindi riproporzionata alla popolazione reale.

4. Per ogni livello e sotto-livello viene calcolato il valore pro-capite nazionale di finanziamento, dividendo il valore programmatico di cui al punto 1 per la popolazione nazionale.

5. Il valore nazionale di finanziamento per livello è moltiplicato per la popolazione ponderata di ogni Regione, ottenendo il finanziamento regionale per livello e sotto-livello.

6. Il fabbisogno totale di finanziamento per ogni Regione è pari alla somma dei livelli e sotto-livelli ottenuti.

7. Alle Regioni viene assegnata una quota complessiva e indistinta di finanziamento. I valori-obiettivo indicati per i livelli e sotto-livelli non rappresentano un vincolo settoriale alla spesa. Nella successiva ripartizione delle risorse all’interno della Regione, le ASL non sono vincolate ad assegnare le stesse percentuali previste a livello nazionale.

8. Il fabbisogno regionale è infine corretto per la mobilità sanitaria degli assistiti, verificata a consuntivo.

 

Secondo quanto previsto dal Patto della salute, per il riparto 2007 sono stati utilizzati i criteri e le percentuali di accesso al fabbisogno originariamente alla base del riparto 2006. I medesimi criteri e quote, corrette per effetto delle modificazioni intervenute nella distribuzione della popolazione sul territorio nazionale, restano validi anche per il riparto 2008 e 2009 (tenendo presente che, a decorrere dal 2008, il tetto massimo di spesa farmaceutica è stato aumentato dal 13 al 14 per cento del livello di fabbisogno al cui finanziamento concorre lo Stato[70]).

Su tali basi, in seguito alle Intese Stato- Regioni del 15 marzo 2007 e del 14 febbraio 2008 sono stati ripartiti[71], come evidenziato nella tavola seguente, i “fabbisogni indistinti” per tali esercizi. Il livello complessivo di finanziamento definito per ciascun anno è ripartito, infatti, al netto delle quote vincolate a destinazioni specifiche.


Tabella 2 - La ripartizione regionale del fabbisogno per il finanziamento dei Lea, 2006-2008

Regioni

2006

2007

2008

 

(migliaia di euro)

%

(migliaia di
euro)

%

(migliaia di euro)

%

Piemonte

6.915.141

7,67

7.207.440

7,62

7.428.313

7,60

Valle d’Aosta

187.336

0,21

202.721

0,21

209.802

0,21

Lombardia

14.370.042

15,93

15.076.95

15,94

15.613.281

15,97

Bolzano

702.382

0,78

773.520

0,82

804.184

0,82

Trento

747.997

0,83

799.352

0,85

826.484

0,85

Veneto

7.197.130

7,98

7.515.103

7,95

7.783.121

7,96

FVG

1.868.229

2,07

2.020.675

2,14

2.084.724

2,13

Liguria

2.757.224

3,06

2.878.050

3,04

2.969.892

3,04

Emilia-Romagna

6.664.335

7,39

6.966.639

7,37

7.222.899

7,39

Toscana

5.806.597

6,44

6.056.167

6,40

6.257.390

6,40

Umbria

1.388.620

1,54

1.451.844

1,54

1.501.273

1,54

Marche

2.405.106

2,67

2.521.624

2,67

2.605.634

2,67

Lazio

8.059.997

8,94

8.508.972

9,00

8.861.800

9,07

Abruzzo

2.013.994

2,23

2.099.342

2,22

2.168.359

2,22

Molise

503.074

0,56

524.836

0,55

540.173

0,55

Campania

8.471.599

9,39

8.943.520

9,46

9.230.437

9,44

Puglia

6.102.362

6,77

6.404.603

6,77

6.581.380

6,73

Basilicata

933.842

1,04

971.750

1,03

994.356

1,02

Calabria

3.098.906

3,44

3.225.426

3,41

3.305.271

3,38

Sicilia

7.485.654

8,30

7.793.607

8,24

8.043.735

8,23

Sardegna

2.501.201

2,77

2.638.169

2,79

2.718.254

2,78

 

 

 

 

 

 

 

Totale

90.180.769

100

94.580.320

100

97.752.770

100

 

 

 

 

 

 

 

Il fabbisogno 2006 è calcolato sulla base del riparto di 88.180 milioni, corretto con i riequilibri effettuati tra Regioni Lombardia, Liguria e Molise, cui è stato aggiunto il riparto 2006 dei 2 miliardi a copertura di maggiori fabbisogni pregressi.

Il fabbisogno 2007 è calcolato sulla base del riparto di 96.551 milioni (al lordo delle quote vincolate), comprensivi di 511 milioni per la copertura dei ticket.

Il fabbisogno 2008 include gli 834 milioni per la copertura dei ticket; non comprende invece i 661 milioni a copertura dei maggiori oneri contrattuali relativi al biennio 2006-2007, oggetto di un successivo riparto.

 

Fonte: Intese Conferenza Stato-Regioni e delibere CIPE sul riparto del FSN, vari anni

 

 

Guardando al fabbisogno pro-capite[72], rispetto ad una media pari (nel 2008) a 1.653 euro, si passa dai 1.594 euro della Campania ai 1.847 euro della Liguria (v. tavola 3).

Tale diversità di importi è riconducibile ai criteri che sono alla base della ripartizione del fabbisogno complessivo che, come si è detto, tiene conto della diversa struttura (per classi di età, sesso, ecc) delle popolazioni regionali e dei relativi consumi sanitari.

 

Il risultato dell’applicazione di tale sistema di pesi fa sì che una Regione con una popolazione più anziana della media nazionale avrà una popolazione pesata superiore alla popolazione residente; l’opposto si verifica per una Regione con una popolazione relativamente più giovane.

 

In termini di fabbisogno “pesato”, ogni regione riceve, infatti, lo stesso importo unitario.

 

Tabella 3 Fabbisogno pro-capite                                                                          (euro – numeri indice)

 

Fabbisogno pro capite

2006

Fabbisogno pro capite

2007

Fabbisogno pro capite

2008

Regioni

(euro)

(numeri
indice)

(euro)

(numeri
indice)

(euro)

(numeri
indice)

 

 

 

 

 

 

 

 

Piemonte

1.619

104

1.660

103

1.707

103

 

Valle d'Aosta

1.535

99

1.635

102

1.681

102

 

Lombardia

1.554

100

1.591

99

1.636

99

 

Bolzano

1.489

96

1.603

100

1.649

100

 

Trento

1.524

98

1.591

99

1.630

99

 

Veneto

1.550

100

1.586

99

1.630

99

 

FVG

1.559

100

1.672

104

1.719

104

 

Liguria

1.748

112

1.787

111

1.847

112

 

Emilia-Romagna

1.633

105

1.664

103

1.710

103

 

Toscana

1.628

105

1.673

104

1.720

104

 

Umbria

1.637

105

1.673

104

1.720

104

 

Marche

1.598

103

1.649

102

1.696

103

 

Lazio

1.548

99

1.604

100

1.613

98

 

Abruzzo

1.566

101

1.608

100

1.655

100

 

Molise

1.564

100

1.635

102

1.688

102

 

Campania

1.471

94

1.544

96

1.594

96

 

Puglia

1.510

97

1.573

98

1.617

98

 

Basilicata

1.564

100

1.636

102

1.682

102

 

Calabria

1.541

99

1.609

100

1.654

100

 

Sicilia

1.496

96

1.553

96

1.603

97

 

Sardegna

1.522

98

1.593

99

1.638

99

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Totale

1.558

100

1.610

100

1.653

100

 

Le risorse destinate alla copertura del SSN

Per individuare il finanziamento spettante a ciascuna Regione, all’importo del fabbisogno “indistinto” (calcolato secondo la procedura prima richiamata) sono sottratte le entrate proprie delle ASL e delle aziende ospedaliere, l’IRAP e l’addizionale IRPEF previste. Il risultato costituisce l’assegnazione di cassa che lo Stato eroga alle Regioni, a valere sul Fondo perequativo ex D.Lgs. 56/2000, alimentato dall’IVA e dall’accisa sulla benzina. In aggiunta a tali risorse, vanno considerati i tributi delle Regioni a statuto speciale destinati alla sanità, e la quota del FSN a destinazione vincolata.

 

Più in dettaglio, le principali fonti di finanziamento del SSN sono le seguenti:

-       i ricavi e le entrate proprie varie delle aziende sanitarie, che sono rappresentati dai ricavi derivanti dalla vendita di prestazioni sanitarie e non sanitarie a soggetti pubblici e privati, della Regione e al di fuori della Regione di appartenenza, e da altri ricavi quali interessi attivi e altri proventi finanziari, rimborsi, etc. Sono ricompresi i ticket introitati direttamente e le compartecipazioni per l’attività libero professionale svolta all’interno delle aziende sanitarie;

-       le risorse derivanti dall’IRAP e dall’addizionale regionale IRPEF;

-       il Fondo per il fabbisogno sanitario di cui al decreto legislativo n. 56/2000 (Fondo perequativo nazionale), le cui risorse vengono assegnate alle sole Regioni a statuto ordinario (RSO)[73];

-       gli ulteriori trasferimenti dal settore pubblico e da quello privato, che comprendono le quote di partecipazione delle Regioni a statuto speciale e delle province autonome[74];

-       il Fondo sanitario nazionale assegnato come quota parte a carico dello Stato:

-       per le Regioni, alla sola Sicilia per il finanziamento dei LEA e a tutte le Regioni a statuto ordinario per quanto riguarda i fondi vincolati da norme speciali al finanziamento di spese sanitarie inerenti l’esecuzione di particolari attività e il raggiungimento di specifici obiettivi.

-       per gli altri Enti, ad alcuni enti del SSN[75].

 

Risorse pubbliche aggiuntive vengono, inoltre, destinate al finanziamento degli investimenti e della ricerca in campo sanitario.

 

L’allocazione delle risorse a livello regionale

Le Regioni sono responsabili dell’effettiva erogazione delle prestazioni incluse nei LEA. A tale fine, come si è detto, adottano le misure organizzative e strutturali necessarie a garantire sia il soddisfacimento della domanda di salute da parte degli assistiti, sia l’uso ottimale delle risorse finanziarie ripartite dallo Stato.

Preliminare, pertanto, risulta essere la ripartizione delle risorse finanziarie da parte delle Regioni tra le strutture che compongono il Servizio sanitario regionale, in quanto la metodologia adottata risulta essere funzionale alla politica sanitaria perseguita dalla Regione.

 

Ad esempio, una quota consistente di risorse assegnata all’Assistenza territoriale/Distrettuale può, da un lato, riflettere una organizzazione relativamente povera di strutture ospedaliere ma, dall’altro, può indicare anche la volontà della Regione stessa di incentivare l’assistenza territoriale, con le finalità del perseguimento dell’appropriatezza delle prestazioni e del contenimento della spesa ospedaliera, associando tale misura ad un programma di razionalizzazione delle strutture.

Viceversa, l’allocazione delle risorse tra i diversi livelli di assistenza può essere determinata semplicemente dalla volontà di mantenere il livello della spesa storica, facendo fronte più a problemi di carattere gestionale delle strutture (posti letto, costi fissi, ecc.) che ad una effettiva domanda di prestazioni[76].

Quanto alle modalità effettive di ripartizione tra le aziende sanitarie delle risorse finanziarie, le Regioni generalmente seguono i criteri adottati per il riparto a livello nazionale, introducendo criteri di ponderazione differenziati per livelli di assistenza e in base alle specifiche realtà territoriali.

Più in particolare, la ponderazione è articolata per funzioni di spesa (Livelli di Assistenza)[77], suddivise in un numero variabile a seconda delle Regioni; i pesi sono generalmente costituiti dalla spesa per consumi sanitari per classi di età (in genere 7-8 classi). A tali criteri possono aggiungersi ulteriori fattori di ponderazione, riconducibili alle caratteristiche geomorfologiche del territorio e alle condizioni socio-economiche della popolazione residente[78]. La scelta di quest’ultima tipologia di criteri di ponderazione denota, da parte delle Regioni che lo hanno adottato[79], la volontà di modificare il modello di solidarietà adottato a livello nazionale, inserendo nel mix dei criteri utilizzati per la pesatura della quota capitaria indicatori che possano tenere conto di bisogni di salute differenziati all’interno della stessa fascia di utenza dei servizi sanitari, sia con riferimento alle condizioni di salute sia con riferimento alle condizioni economiche e materiali per l’accesso alle prestazioni[80].

Anche la scelta di ripartire tra le aziende sanitarie tutte le risorse o solo una parte può essere indicativa della scelta di un obiettivo da raggiungere. Infatti, il mantenimento da parte della Regione di una quota a gestione diretta, generalmente utilizzata nel corso dell’esercizio finanziario per esigenze di carattere generale[81], può dipendere anche dalla volontà di ridurre l’autonomia finanziaria delle aziende sanitarie a favore di un maggiore centralismo nelle scelte di politica sanitaria regionale. Spesso, tale scelta dipende anche dall’esigenza di ottenere risparmi a breve termine. Risulta, infatti, che a situazioni finanziarie equilibrate corrisponde un basso livello di centralismo, in quanto le aziende sanitarie hanno a disposizione gran parte del finanziamento, con migliori risultati in termini di efficienza[82].

 

La spesa regionale: i livello pro-capite

Fermo restando, comunque, che le modalità di allocazione delle risorse è relativamente omogeneo tra le Regioni, richiamandosi ai principi di perequazione concordati a livello nazionale, i risultati delle gestione di tali risorse sono estremamente vari.

Con riferimento all’esercizio 2007, il valore medio della spesa pro capite riferito alle Regioni e alle Province autonome è stato pari a 1.731 euro, a fronte di un valore minimo della Calabria pari a 1.581 euro e di un valore massimo della Provincia autonoma di Bolzano pari a 2.202 euro, come risulta dalla tabella che segue[83].

 

Tabella 4 - Spesa sanitaria pro capite regionale (2007)

 

 

Si ricorda a tale proposito che, sulla base della normativa vigente, le regioni devono provvedere con risorse proprie alla copertura degli oneri derivanti dagli eventuali maggiori costi di produzione per l’erogazione di livelli di assistenza superiori a quelli ritenuti essenziali, nonché derivanti da modelli organizzativi diversi da quelli assunti come base per la determinazione del livello complessivo di finanziamento[84].

Le differenze che si rilevano nella spesa pro capite tra le regioni sono, pertanto, imputabili o alla scelta di garantire prestazioni ulteriori rispetto a quelle individuate come essenziali a livello nazionale, o ad inefficienze strutturali[85]. Pertanto, mentre nel primo caso, una spesa media pro capite superiore a quella media nazionale non è necessariamente indice di uno squilibrio finanziario del sistema sanitario regionale, nel secondo caso, una spesa inferiore alla media non necessariamente denota una maggiore efficienza nella gestione dei servizi, potendo viceversa indicare una erogazione dei Lea inferiore a quanto individuato come ottimale a livello nazionale[86].

A questo proposito, anzi, è stato evidenziato che il livello di spesa pro capite è scarsamente correlato sia ai risultati gestionali, sia a quelli di processo, sia a quelli di salute. D’altronde, pur con le differenze che si sono evidenziate, trenta anni di politiche di riequilibrio, attraverso lo strumento del Fondo sanitario nazionale, hanno determinato un sostanziale riallineamento della spesa, che, tuttavia, non ha permesso il superamento di un divario tra le Regioni (sostanzialmente tra quelle del Nord e quelle del Sud) in termini di risultati[87].

 

Un’evoluzione verso un fabbisogno calcolato in base ai costi standard

Definizione dei costi standard

Con il Patto per la salute del settembre 2006, lo Stato e le Regioni hanno concordato che “il settore della sanità deve mantenere una dinamica di crescita compatibile con la programmazione finanziaria del paese” e che “in ogni caso i livelli di finanziamento devono essere parametrati alla verifica dell’effettivo costo dei Lea in condizioni di efficienza ed appropriatezza”.

Risulta pertanto essenziale, in tale prospettiva, la quantificazione dei costi standard per le prestazioni erogate, sulla base della quale determinare il livello del fabbisogno finanziario complessivo del SSN. L’obiettivo è quello di pervenire all’individuazione di un paniere standardizzato di prestazioni sanitarie a cui saranno associati i relativi costi standard. In tale modo, il livello del fabbisogno sanitario sarà costituito dal prodotto tra il paniere standardizzato di prestazioni sanitarie (Lea) e i relativi costi standard .

Il costo standard, come definito dalla teoria economica, rappresenta il costo di riferimento della produzione di un oggetto o di un servizio in condizioni di efficienza produttiva[88]. La valutazione dei processi produttivi necessita, infatti, di tale informazione per valutare gli scostamenti dei costi reali rispetto ad un valore ritenuto “ottimale” e quindi l’efficienza del sistema considerato. L’approccio al costo standard presuppone, inoltre, l’omogeneità degli oggetti prodotti per tipologia, qualità e caratteristiche.

L’applicazione del concetto di costo standard al settore sanitario è, tuttavia, resa difficile non solo dalla complessità dei processi produttivi, dove l’evoluzione delle tecnologie e la connessa dinamica dei costi sono molto rapide, ma anche dalla diversificazione delle prestazioni sanitarie. Infatti, anche la definizione dei micro-livelli, in cui sono articolati i Lea, possono racchiudere un’ampia gamma di prestazioni e soprattutto un ampio spettro di possibili modelli organizzativi adottabili per rispondere agli obiettivi che quel micro-livello qualificano. Pertanto, la determinazione del costo complessivo di un LEA non può essere ricostruito in base alla mera sommatoria dei costi delle singole prestazioni che lo compongono, ma dipenderà dal modo in cui quelle prestazioni vengono combinate sul territorio.

Fondamentale per il raggiungimento dell’obiettivo della determinazione dei costi standard è la costituzione di una rete di monitoraggio delle diverse tipologie di prestazioni erogate, da verificare sia sotto il profilo dei costi, sia, come già illustrato in precedenza, sotto il profilo dell’appropriatezza, per arrivare a costruire un sistema di indicatori condivisi e di standard quantitativi e qualitativi di riferimento[89].

Le principali base-dati attualmente disponibili per il monitoraggio e l’analisi dei costi sono quelle prodotte dai flussi economici del Nuovo Sistema Informativo Sanitario (NSIS)[90]. I dati sono ricavati dai modelli di rilevazione CE, sui costi e ricavi delle aziende del SSN, e LA, sui costi aziendali attribuiti ai Lea. Mentre i primi rilevano i costi delle aziende sanitarie classificati per categoria economica, come da contabilità aziendale, i secondi rilevano i costi classificati per funzioni assistenziali, secondo l’articolazione dei Lea.

Attraverso l’aggregazione dei dati si giunge a determinare il dato a livello nazionale, la cui significatività risulta, peraltro, inficiata dalla eterogeneità dei sistemi contabili adottati a livello locale e regionale. Tale criticità è, inoltre, accentuata, con riferimento alla rilevazione dei dati tratti dai modelli LA, dalla circostanza che non vi sono criteri omogenei per l’attribuzione dei costi aziendali alle funzioni assistenziali classificate secondo l’articolazione dei Lea[91].

Sulla base di dati disponibili nel NSIS, il Ministero della salute elabora, nel Rapporto nazionale di monitoraggio dell’assistenza sanitaria[92], gli indicatori di costo relativi al sistema di classificazione per livelli e sotto-livelli riportato nella tabella seguente.

 

Tabella 5

Schema di classificazione delle voci di costo

 

 

All’esigenza di superare le criticità dell’attuale sistema rispondono sia il Nuovo Sistema Informativo Sanitario (NSIS), sia il progetto “Mattoni del SSN” che, con lo sviluppo di quindici filoni di ricerca che hanno coinvolto i diversi livelli di governo del sistema sanitario, ha individuato elementi fondamentali per la definizione di un sistema condiviso, basato su classificazioni, codifiche, dati rilevanti e flussi informativi, indicatori e standard di riferimento per il monitoraggio dei costi e la misura dell’appropriatezza .

 

Con riferimento, in particolare, al progetto” Mattone 14 (Misura dei costi del SSN)”, si segnala che l'attività si è conclusa con l'approvazione da parte della Cabina di Regia del 11 Luglio 2007 della documentazione finale.

L’obiettivo del progetto era quello di omogeneizzare a livello nazionale i flussi informativi economici per natura e destinazione, al fine di confrontare i costi delle diverse strutture sanitarie.

Attraverso l’esame dei flussi informativi (conto economico, stato patrimoniale, costi dei presidi a gestione diretta delle aziende sanitarie, costi per livelli di assistenza), sono state elaborate linee guida da proporre per il miglioramento del monitoraggio dei costi.

In particolare, con riferimento ai costi per livelli di assistenza (modello LA), sono state elaborate linee guida più articolate rispetto a quelle del modello in uso. Per quanto riguarda il modello relativo ai costi dei Presidi a gestione diretta delle aziende Usl (modello CP), l’analisi ha evidenziato che l’attuale modello, introdotto nel 2001, non contiene le voci relative al “Valore della produzione” (ricavi) benché la normativa vigente preveda l’obbligo del pareggio di bilancio anche per i Presidi ospedalieri; di conseguenza, il nuovo schema del modello CP è stato elaborato tenendo conto della necessità di aggiornamento alla normativa vigente ed è stato uniformato allo schema del modello relativo al Conto economico delle aziende sanitarie e delle aziende ospedaliere (modello CE).

 

Ai fini dell’individuazione degli standard dei costi delle prestazioni sanitarie per pervenire alla definizione delle relative tariffe, si segnala che l’Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali (ANSSR) ha tra i suoi compiti sia quello di tenere sotto controllo i sistemi tariffari regionali dei vari settori, con particolare riferimento a quello ospedaliero e a quello delle prestazioni specialistiche, sia quello dei costi di produzione delle prestazioni, che costituiscono la base sulla quale sono calcolate le tariffe.

In materia, è da ultimo intervenuto il decreto-legge n. 112/2008[93] che ha dettato nuovi criteri per la definizione delle tariffe delle prestazioni sanitarie che tengano conto dei costi standard delle prestazioni (calcolati in riferimento a strutture preventivamente selezionate secondo criteri di efficienza, appropriatezza e qualità dell’assistenza o già disponibili presso le regioni) e dei tariffari regionali e delle differenti modalità di remunerazione delle funzioni assistenziali.


 

I DRG (Raggruppamenti omogenei di diagnosi)

 

Con riferimento al versante della produzione delle prestazioni sanitarie, il sistema di remunerazione delle strutture ospedaliere da parte delle Regioni si fonda sui DRG/ROD (Raggruppamenti omogenei di diagnosi ). Questi costituiscono un sistema di classificazione dei pazienti dimessi dagli ospedali per acuti, utilizzato per il finanziamento delle aziende ospedaliere.

In particolare, il sistema si basa su alcune informazioni contenute nelle schede di dismissione ospedaliera (SDO), individuando circa 500 casistiche, omogenee sotto i profili del consumo delle risorse, della durata della degenza e, in parte, sotto il profilo clinico.

Più in particolare, ciascun DRG individua una categoria di pazienti ospedalieri che presentano caratteristiche cliniche analoghe e richiedono per il loro trattamento volumi omogenei di risorse ospedaliere. Le informazioni necessarie per ricondurre un paziente ad uno specifico DRG sono le seguenti: diagnosi principale di dimissione; diagnosi secondarie; interventi chirurgici; principali procedure diagnostiche e terapeutiche

Per ciascun DRG, sono fissate tariffe la cui determinazione fa riferimento al costo medio dell’assistenza per tutti i pazienti attribuiti allo stesso DRG. Qualora le Regioni non abbiano emanato propri provvedimenti, le tariffe sono determinate sulla base dei criteri fissati dal DM 14 dicembre 1994 e aggiornati nel 1997[94].

L’introduzione dei DRG ha risposto alla necessità di abbandonare il precedente sistema di finanziamento delle strutture ospedaliere, sostanzialmente a piè di lista, per ancorarlo alle prestazioni effettuate, sulla base di parametri unitari, validi per tutte le aziende erogatrici delle medesime prestazioni.

Ciò, da un lato, consente alla Regione di individuare un costo medio unitario a cui far corrispondere il rimborso, dall’altro, costringe le strutture inefficienti ad adeguarsi ai costi standard per rientrare nella tariffa e non erogare prestazioni in perdita, innescando anche un processo di concorrenza fra le strutture.

Il sistema di remunerazione basato sui DRG ha anche consentito di verificare l’appropriatezza delle prestazioni erogate, nel senso di verificare che ad una particolare patologia corrisponda o meno l’applicazione di un protocollo e l’adozione del medesimo iter di cura. Ciò ha anche comportato l’accertamento che alcune patologie, curate in regime di ricovero ordinario e a cui è associato uno standard di spesa, possono efficacemente essere curate in regime di day hospital (se non, addirittura, di assistenza territoriale), con tariffe ridotte. Tale sistema consente, inoltre, di tenere conto della diversa composizione del complesso delle prestazioni erogate.

Al tempo stesso poiché come si è detto, le tariffe sono di norma fissate dalle singole Regioni, è possibile che siano previste remunerazioni diverse, tra Regioni, per la stessa prestazione: il sistema non si configura ancora quindi, a livello nazionale, come basato sui costi standard, che richiederebbero uguali DRG per le medesime prestazioni.


5.L'assegnazione di tributi propri e i principi per la regionalizzazione delle imposte

Il disegno di legge delega in materia di federalismo fiscale prevede che il finanziamento degli enti sub-centrali avvenga attraverso l'assegnazione di tributi propri individuati secondo il principio di correlazione e di compartecipazioni al gettito di tributi erariali, distribuite secondo il principio della territorialità.

 

Nella letteratura economica un tributo proprio si caratterizza per il fatto che l'ente titolare del tributo dispone del potere di determinazione delle basi imponibili e/o delle aliquote di imposizione.

Lo status di tributo proprio è garantito anche dalla semplice fissazione delle aliquote su una base imponibile decisa dal governo centrale.

La fissazione delle aliquote viene intesa anche come autonomia concessa agli enti territoriali sulle addizionali di imposta (aliquote aggiuntive applicate alla base imponibile di un tributo erariale) o sulle sovrimposte (aliquote aggiuntive applicate al gettito di un tributo erariale), purché siano facoltative nel se e nel quanto.

 

La Corte Costituzionale, nell'offrire un'interpretazione del Titolo V (sentenze 296/2003, 297/2003, 37/2004), ha stabilito che per tributo proprio si deve intendere un tributo istituito con proprio atto normativo dall'ente territoriale, nel rispetto dei princìpi del coordinamento con il sistema tributario.

Queste caratteristiche si associano ad un concetto di tributo proprio autonomo. Da ciò deriva che i tributi locali attualmente esistenti, in quanto istituiti e disciplinati da legge statale, rappresenterebbero tributi propri derivati.

 

Il principio di territorialità implica che il gettito erariale compartecipato affluisca direttamente alle regioni al cui territorio è riferibile. Tale formulazione lascia ampi margini interpretativi, in quanto potrebbe riferirsi al luogo della riscossione del tributo, a quello della formazione dell'imponibile o a quello in cui si verificano gli effetti finali dell'imposta.

Il ddl sembrerebbe riferirsi alla seconda interpretazione (formazione dell'imponibile), esplicitando, tra i criteri di delega, quale deve essere inteso come luogo della formazione dell'imponibile a seconda delle fattispecie di imposta e dei tributi considerati.

Per le imposte sui consumi e per quelle sul reddito la regionalizzazione avviene rispettivamente in base al luogo del consumo e a quello di residenza del precettore, mentre si tiene conto della localizzazione dei cespiti per i tributi sul patrimonio e del luogo di prestazione del lavoro per i tributi sulla produzione (art. 5, comma 1, lett. d).

 

La regionalizzazione del gettito e/o della base imponibile dei tributi interessati dal d.d.l risulta quindi fondamentale per determinare le risorse disponibili per ciascun ente territoriale. Relativamente alle funzioni essenziali l'esatta imputazione delle entrate regionalizzate si presenta necessaria per distinguere la quota di fabbisogno standard, per cui le regioni risultano autosufficienti dalla quota finanziata attraverso il fondo perequativo.

Ancora più pregnante è la regionalizzazione dei tributi destinati al finanziamento delle funzioni non essenziali, per cui, essendo la perequazione parziale, l'attribuzione regionale del gettito d'imposta determina buona parte delle risorse disponibili.

 

Il d.d.l richiama anche la necessità di lasciare agli enti territoriali un adeguato livello di flessibilità fiscale, assicurata dall'utilizzo, in misura rilevante, di tributi manovrabili. In letteratura è stato evidenziato come un adeguato livello di flessibilità sia necessario, in modo da permettere la fornitura di prestazioni addizionali, laddove ne sorga la necessità, in termini di preferenze nelle scelte locali[95].

E’ stato, altresì, osservato che l'autonomia dei governi subnazionali non dovrebbe pregiudicare comunque il finanziamento delle spese al margine, cioè di fabbisogni di spesa non previsti, in modo da evitare il ricorso a trasferimenti aggiuntivi da parte del livello centrale[96].

 

Il finanziamento basato sull'addizionale IRE assicurerebbe agli enti territoriali un livello di flessibilità sulle aliquote che invece risulta escluso dall'attribuzione della compartecipazione IVA, anche se, come emerso in diversi contributi di studiosi e istituzionali, tale grado di autonomia implicherebbe una particolare attenzione riguardo alle regole generali di coordinamento della finanza pubblica[97].

 

A seconda che si utilizzi una compartecipazione o una riserva d'aliquota la regionalizzazione delle entrate viene effettuata prendendo a riferimento la base imponibile o direttamente il gettito erariale del tributo in questione.

Come già menzionato precedentemente il d.d.l. prevede un sistema di finanziamento basato, oltre che sui tributi propri, fra i quali l'Irap fino al momento della sua sostituzione con un altro tributo regionale da individuare, su una quota di compartecipazione Iva e sull'utilizzo di compartecipazioni e riserve d'aliquota o addizionali sul gettito IRE.

Seguendo tale formulazione la regionalizzazione dell'Iva avverrebbe attraverso la ripartizione territoriale in base ai consumi regionali della quota di gettito erariale devoluta alle regioni. Poiché la normativa tributaria non prevede in capo alle regioni la facoltà di operare distinzioni sulla base imponibile e sulle aliquote, è possibile regionalizzare direttamente il gettito erariale, senza dover prima procedere a una standardizzazione della base imponibile.

Medesima considerazione vale per l'IRE, poiché almeno sulla parte di competenza erariale le regioni non possono introdurre agevolazioni né sulla base imponibile né sulle aliquote.

 

La metodologia di regionalizzazione dell'IRE si distingue, però, da quella utilizzata per l'IVA per via dell'attribuzione alle regioni di una riserva d'aliquota Ire o di un'addizionale invece che di una compartecipazione.

Le due metodologie si differenziano, oltre che per il grado di autonomia concesso ai governi sub-centrali, anche per il fatto che l'utilizzo di una riserva d'aliquota o di un’addizionale fa sì che modifiche sulle aliquote centrali non si riflettano in variazioni delle risorse regionali.

La differenza non è trascurabile: si pensi al caso di incrementi delle aliquote statali decise centralmente, ad esempio con l'obiettivo di contenere deficit di bilancio. Essi produrrebbero, per effetto della compartecipazione, un aumento delle risorse a disposizione delle regioni, che rimarrebbero, invece, inalterate con l'utilizzo della riserva d'aliquota.

Le formule seguenti possono aiutare a cogliere meglio le differenze sopra descritte:

 

Gettito regione j in caso di compartecipazioni =

dove  è la percentuale di compartecipazione fissata a livello nazionale identica per tutte le regioni,  è l'aliquota centrale e  è la base imponibile regionale.

 


Gettito regione j in caso di riserva di aliquota o di addizionale[98] = ,

mentre il gettito totale (statale + regionale) dell'IRE risulterebbe pari a =

Dove  rappresenta la riserva d'aliquota,  l'aliquota centrale e  e  rispettivamente la base imponibile totale e la base imponibile regionale.

5.1   La regionalizzazione dell'IVA

Il d.d.l. prevede di assegnare alle regioni una compartecipazione Iva che, insieme ai tributi propri regionali e alla riserva d'aliquota Ire, provvede a finanziare i livelli essenziali delle funzioni fondamentali. Alle regioni viene dunque assegnata una frazione del gettito prodotto nel proprio territorio regionale.

Il D.Lgs. n. 56/2000 già prevedeva la devoluzione di una comparte­cipazione regionale dell'Iva alle regioni, ripartita in base alla distribuzione territoriale dei consumi delle famiglie tenuto conto del fabbisogno sanitario e delle dimensioni geografiche[99].

 

In linea teorica il decentramento delle imposte sui consumi soddisferebbe alcuni criteri di efficienza che dovrebbero caratterizzare le imposte devolute ai livelli di governo sub-centrali, quali ad esempio la stabilità del gettito e l'uniformità della base imponibile sul territorio, richiamati dalla delega.

 

La distribuzione dei consumi sul territorio, infatti, appare generalmente molto meno sperequata rispetto alle basi imponibili di altri tipi di imposte. Ciò è spiegato in particolar modo dalla propensione al consumo più elevata delle fasce di popolazione con reddito più basso. Inoltre, partendo dal presupposto che il soggetto passivo d'imposta, ovvero il consumatore, effettua i propri acquisti nel territorio in cui risiede, risulta rispettato il "principio del beneficio". Ciò avviene nel momento in cui il soggetto che usufruisce dei servizi pubblici locali, cofinanziati dall'imposta sui consumi, corrisponde, in linea di massima, al contribuente.

 

Il Dipartimento delle Finanze, nell’ambito delle analisi condotte sulla regionalizzazione del gettito Iva per gli anni 2003 e 2004[100], conferma un livello di sperequazione più contenuto di quello osservato per altre imposte ed evidenzia anche una certa stabilità nella distribuzione regionale del gettito, nei due anni considerati.

 

Sotto un profilo più tecnico l'IVA, andando a colpire il valore aggiunto in ogni fase della produzione invece che il solo consumo finale, presenta degli elementi di complessità, da tenere nella giusta considerazione per operare il suo decentramento a livello locale.

Il gettito IVA deriva da tre componenti: le vendite effettuate verso i consumatori finali, gli acquisti effettuati da soggetti per i quali l'imposta non è detraibile (banche e assicurazioni) e le vendite verso i titolari di partita Iva che non hanno ancora scaricato l'IVA sui consumatori finali.

Per imputare correttamente il gettito ai consumi territoriali, occorrerebbe disporre della distribuzione regionale delle tre fonti di gettito menzionate in precedenza. Regionalizzando il gettito totale per i soli consumi regionali, infatti, non si terrebbe conto della diversa distribuzione territoriale delle tre fonti di gettito.

 

In aggiunta bisogna considerare che i dati Istat sui consumi delle famiglie non forniscono informazioni circa la consistenza dell'evasione fiscale, che si suppone variare, anche in misura considerevole, da regione a regione.

Un norma inserita nella legge finanziaria 2004[101] fornisce uno strumento conoscitivo in grado di attenuare le distorsioni provocate dall'evasione, attraverso l'introduzione il metodo del "frazionamento". Esso consiste nell'inserimento, nel modulo di dichiarazione Iva, di una sezione, denominata quadro VT, in cui il contribuente ha l'obbligo di distinguere l'imponibile Iva in base alle operazioni effettuate verso i consumatori finali e alle vendite verso soggetti titolari di partita Iva. E’ previsto, inoltre, anche se non in via obbligatoria, che il contribuente indichi la ripartizione regionale delle vendite verso le due categorie di soggetti sopra menzionate.

Avendo a disposizione questi dati si può operare una regionalizzazione del gettito Iva basata sul valore delle vendite verso i consumatori finali di una regione, effettivamente dichiarato dal contribuente, isolando, grazie all’indicata metodologia, le problematiche connesse all'evasione fiscale.

 

Nella letteratura si sottolinea come una più trasparente evidenziazione dell'evasione fiscale regionale farebbe sorgere, in capo alle regioni, l'incentivo ad impegnarsi nel recupero di base imponibile, in quanto il maggior gettito accertato andrebbe a costituire un'entrata del bilancio regionale. Tale incentivo verrebbe meno quando l'imposta è regionalizzata in base al dato dei consumi Istat poiché, in tal caso, il maggior gettito accertato verrebbe distribuito fra tutte le giurisdizioni.

Va notato, tuttavia, che il recupero dell'evasione fiscale, da parte delle singole regioni, può essere concretamente realizzato solo nel caso in cui vengano loro assegnati poteri di accertamento e di controllo. A tal fine la delega menziona nell'articolo 2 comma 2 let. q) il coinvolgimento dei diversi livelli istituzionali nell'attività di contrasto all'evasione e all'elusione fiscale.

 

Il Dipartimento delle Finanze, nell’analisi sopra citata, confronta i risultati della ripartizione regionale del gettito a seconda che si utilizzino i consumi Istat o la suddivisione delle vendite dichiarata dai contribuenti. Sebbene vi sia una forte correlazione fra i due risultati, per alcune regioni si riscontrano delle differenze non trascurabili.

 

L'attendibilità dei dati basati sul metodo del frazionamento è, tuttavia, limitata dal carattere facoltativo dell'onere di suddivisione territoriale delle vendite verso i consumatori finali. Ciò comporta che nel 2005, primo anno di applicazione della norma sul frazionamento, solo il 56 per cento delle operazioni imponibili Iva risultava regionalizzato.

 

Risulterebbe utile, per determinare l'effettiva possibilità di utilizzo del metodo del frazionamento, disporre di ulteriori informazioni sulla percentuale di contribuenti che ha compilato per intero il quadro VT, negli anni successivi al 2005. Elemento cruciale è costituito dal lag temporale che intercorre dal momento della dichiarazione a quello in cui l'Agenzia delle Entrate rende disponibile l'analisi dei dati aggregati.

 

Questa informazione assume una valenza fondamentale tenendo conto che i dati delle dichiarazioni dei contribuenti, per loro natura, sono caratterizzati da un lag temporale di un anno, poiché si riferiscono all'imponibile dell'esercizio precedente la dichiarazione.

Come nel caso dell'Irpef la regionalizzazione del gettito dell'anno n con le basi imponibili dell'anno n-1 o addirittura dell'anno n-2 implica un'approssimazione rappresentata dall'ipotesi di invarianza da un anno all'altro della distribuzione delle diverse fonti di gettito.

5.2   Il concorso dell’IRPEF al finanziamento delle spese regionali

Il disegno di legge di delega in materia di federalismo fiscale prevede, ai fini del finanziamento dei fabbisogni di spesa delle regioni, anche il ricorso all’imposta sul reddito delle persone fisiche nelle forme sia di assegnazione di una riserva di aliquota, sia di addizionale dell’imposta erariale. Le modalità di riparto devono conformarsi al principio della territorialità, inteso, per i tributi riferiti ai redditi sulle persone fisiche, in riferimento al luogo di residenza del percettore.

La scelta di devolvere al finanziamento delle spese regionali - anche nell’ambito di un mix di diversi tributi propri e derivati, come previsto per il finanziamento delle spese riconducibili al vincolo costituzionale – una riserva di aliquota, ovvero addizionali applicate alla base imponibile IRPEF, risponde al requisito di operare su una base imponibile estesa, tale da consentire l’individuazione di aliquote di devoluzione presumibilmente contenute. Tuttavia, i cospicui fabbisogni di spesa regionale da finanziare ed il fatto che il ricorso a tale imposta sia previsto, nella forma di addizionali e compartecipazioni al gettito, anche per il finanziamento delle funzioni fondamentali di Comuni e Province, lasciano presupporre la rinuncia da parte dell’erario alla disponibilità e, come si vedrà, anche alla gestione di una quota non certo irrilevante di gettito.

La decisione di destinare al finanziamento delle spese regionali una riserva di aliquota IRPEF, ovvero una addizionale a tale imposta erariale, anziché prevedere direttamente quote di compartecipazione al gettito dell’imposta sembrerebbe funzionale ai fini di ridurre parzialmente l’inconveniente rappresentato dal fatto che l’imposta sul reddito delle persone fisiche è spesso oggetto di modifiche strutturali. Essa rappresenta, infatti, l’imposta attraverso la cui rimodulazione vengono generalmente operati interventi anticongiunturali in favore delle famiglie e delle categorie socialmente più deboli.

Sia la riserva di aliquota che l’addizionale presentano, infatti, la caratteristica di applicarsi in misura proporzionale alla base imponibile regionalizzata dell’imposta. Ciò significa che sui relativi gettiti non influiscono direttamente i parametri strutturali dell’imposta incidenti sulla progressività del tributo, quali il numero e l’ampiezza degli scaglioni, la modulazione delle aliquote, il sistema delle detrazioni, bensì le sole modalità di determinazione della base imponibile dell’imposta.

 

Si segnala, tuttavia, che la misura delle detrazioni d’imposta riconosciute ai fini IRPEF influisce indirettamente sulla platea dei soggetti passivi dell’addizionale, in quanto quest’ultima è dovuta solo se, per lo stesso periodo d’imposta, l’imposta sul reddito delle persone fisiche, al netto delle detrazioni per essa riconosciute e dei crediti d’imposta per i redditi prodotti all’estero, risulta dovuta (articolo 50, comma 2, del D.Lgs. n. 446 del 1997).

 

L’irrilevanza dei principali parametri che assicurano la progressività dell’imposta se da un lato neutralizza l’influenza sulla determinazione della quota di pertinenza di ciascuna regione di quei fattori di carattere socio economico che determinano il grado di concentrazione territoriale del reddito, dall’altro consentirebbe, quindi, all’amministrazione centrale di poter continuare ad intervenire sugli elementi strutturali dell’imposta che assicurano il grado di progressività e di correlazione alla capacità fiscale dei singoli contribuenti, senza dover adottare misure compensative nei confronti delle regioni. Tali misure sono invece necessarie, come richiesto dalle norme di delega ai sensi dell’ articolo 2, comma 2, lettera i), ove lo Stato intervenga a modificare la base imponibile dell’imposta.

 

Occorre sottolineare in proposito che con le leggi finanziarie per gli esercizi 2007 e 2008 gli strumenti di intervento con i quali si è cercato di ridurre l’incidenza dell’imposta in favore delle categorie sociali economicamente più deboli si sono incentrati soprattutto sul sistema delle detrazioni attraverso la trasformazione in riduzioni dall’imposta lorda modulate in base ai livelli di reddito delle precedenti deduzioni per carichi di famiglia e per i possessori di redditi di lavoro dipendente, di pensione e di lavoro autonomo e l’integrazione o l’introduzione di detrazioni per specifiche categorie di contribuenti ovvero per particolari tipologie di oneri.

 

Tuttavia, tale schema funzionale sembrerebbe notevolmente ridimensionato dalla disposizione di cui all’articolo 5, comma 1, lettera c), del disegno di legge, che consente, invece, alle regioni, anche con riferimento alle aliquote riservate a valere sulle basi imponibili di tributi erariali, di modificare le aliquote nei limiti massimi di incremento stabiliti dalla legislazione statale, nonché di disporre esenzioni, detrazioni, deduzioni ed introdurre speciali agevolazioni, facendo salvi gli elementi strutturali dei tributi stessi e la coerenza con il principio di semplificazione.

Tale disposizione appare presentare, con riguardo in particolare all’IRPEF, profili di problematicità sul piano del coordinamento e della coerenza tra il grado di libertà in materia di politica fiscale redistributiva conservato allo Stato centrale e l’esercizio dell’autonomia tributaria consentito alle regioni. Appare, inoltre, difficilmente perseguibile sia il criterio di salvaguardia unitaria degli elementi strutturali del tributo ove si consentano interventi territorialmente diversificati su elementi suscettibili di modificare la progressività stessa dell’imposta, sia il criterio di coerenza con il principio di semplificazione, dovendosi plausibilmente prevedere una duplicazione degli oneri di dichiarazione nei confronti dei contribuenti.

Inoltre, la possibilità di applicare regimi impositivi territorialmente differenziati potrebbe indurre fenomeni di mobilità delle basi imponibili verso realtà territoriali con prelievo più contenuto.

 

Poiché la partecipazione al fondo perequativo per il finanziamento delle spese soggette al vincolo costituzionale finanzia il differenziale tra il fabbisogno ed il gettito dei tributi ad esse dedicati al netto delle variazioni di gettito prodotte dall’esercizio dell’autonomia tributaria, è plausibile ritenere che le misure di agevolazione siano introdotte nelle regioni con maggiori risorse, per le quali non si renda necessario l’esercizio dell’autonomia tributaria per il finanziamento degli altri fabbisogni di spesa. Pertanto il fenomeno di mobilità delle basi imponibili avrebbe l’effetto di accentuare la variabilità territoriale del prelievo.

I dati disponibili

Il problema principale che si pone sul piano attuativo ai fini dell’individuazione dell’ammontare delle risorse a valere sull’IRPEF, ovvero sull’addizionale regionale dell’imposta, è quello di pervenire ad una corretta regionalizzazione delle relative basi imponibili, basata sul criterio della regione di residenza dei percettori dei redditi incisi dai suddetti tributi.

 

Tale criterio, se da un lato non appare del tutto idoneo a garantire che il gettito sia attribuito al territorio nel quale si svolge integralmente l’attività produttiva di reddito da parte del contribuente, appare quello che maggiormente risponde al criterio di correlazione con il beneficio, potendosi plausibilmente ipotizzare che la maggior parte delle funzioni attribuite alle regioni, concretizzandosi soprattutto in prestazioni a domanda individuale, siano legate a servizi resi ai residenti[102].

 

A tal fine appare pertanto necessario procedere ad una ricognizione dei dati disponibili che consentano l’aggregazione per regione delle principali variabili dell’imposta.

Dati analitici relativi alle variabili principali della struttura dell’imposta sul reddito delle persone fisiche sono desumibili dalle dichiarazioni effettuate annualmente dai contribuenti mediante compilazione dei modelli “Unico”, “730” e “770”, relativo quest’ultimo ai sostituti d’imposta.

Dal punto di vista dell’imputazione territoriale, i dati desumibili dalle dichiarazioni sono imputabili al luogo di residenza fiscale del soggetto dichiarante, generalmente coincidente con quello di residenza anagrafica. Ciò significa che, per le ritenute sui redditi di lavoro dipendente e di lavoro autonomo, così come per l’addizionale IRPEF applicata a tali redditi[103], si dispone dei dati riguardanti il sostituto d’imposta, che procede al versamento, regionalizzabili in base al domicilio fiscale di quest’ultimo e non in base al domicilio fiscale del lavoratore percettore del reddito che subisce il prelievo, come sarebbe, invece, necessario in base a quanto previsto dall’articolo 5, comma 1, lettera d) del disegno di legge.

 

Si segnala ai fini dell’individuazione di una possibile metodologia volta al superamento di tale inconveniente che, in uno studio effettuato dal Dipartimento delle Finanze del MEF, relativo alla regionalizzazione delle entrate erariali, si è cercato di risolvere il problema suddividendo le ritenute da lavoro dipendente[104] sulla base dei pesi ricavati dalla distribuzione regionale della stessa variabile presente nei modelli di dichiarazione UNICO e 730.

 

Tuttavia, il problema principale relativo alla utilizzabilità delle informazioni ricavabili dalle dichiarazioni ai fini della individuazione delle basi imponibili regionalizzate permane quello dei tempi di disponibilità di tali informazioni.

Infatti, le dichiarazioni sono effettuate dai contribuenti e dai sostituti d’imposta nel periodo d’imposta successivo a quello di competenza cui si riferiscono. Inoltre, nonostante l’accelerazione del processo di elaborazione delle informazioni contenute in tali dichiarazioni, i relativi dati sono ufficialmente disponibili con uno sfasamento temporale di oltre due anni.

Attualmente, sono pertanto reperibili le elaborazioni riguardanti le dichiarazioni presentate nel 2006, riferite al periodo d’imposta 2005, che non incorporano, quindi, né le modifiche normative successivamente intervenute sui parametri del tributo, né l’effetto di fattori economici, elementi entrambi che possono averne modificato la distribuzione territoriale.

Tale circostanza assume particolare rilievo ove si consideri che il disegno di legge in esame enumera tra le sua finalità quella di garantire agli enti decentrati la certezza delle risorse e la tendenziale stabilità del quadro di finanziamento, in misura corrispondente alle funzioni attribuite. E’, inoltre, prevista espressamente la periodica verifica della congruità in termini di gettito dei tributi destinati alla copertura del fabbisogno standard.

 

Occorre, inoltre, segnalare un altro aspetto importante dell’utilizzo dei dati ricavabili dalle dichiarazioni IRPEF ai fini della regionalizzazione delle basi imponibili e della determinazione del quantum corrispondente all’aliquota destinato alle singole regioni, riguardante l’imputazione temporale dei medesimi.

I dati delle dichiarazioni sono di competenza economica, relativi al periodo d’imposta cui le medesime si riferiscono. L’imposta IRPEF dovuta sulla base di tali dichiarazioni viene versata all’erario in parte nell’esercizio di competenza (11/13 del totale per le ritenute sui redditi di lavoro dipendente e nella misura dovuta per i versamenti in acconto per i soggetti tenuti all’autotassazione) ed in parte a saldo nell’esercizio successivo. L’addizionale regionale è versata, in unica soluzione, nei termini previsti per il versamento delle ritenute e del saldo dell’imposta sul reddito delle persone fisiche.

I dati riguardanti le entrate tributarie desumibili dal bilancio dello Stato, sulla base dei quali vengono formulate le previsioni e gli obiettivi complessivi di bilancio, compresi i vincoli sulla pressione tributaria, sono, invece, dati di cassa e si riferiscono a quanto incassato nell’esercizio.

Con riguardo all’imposta sul reddito delle persone fisiche, pertanto, il gettito annuale rilevabile ai fini degli obiettivi di finanza pubblica a livello aggregato non corrisponde all’imposta dovuta in riferimento alle basi imponibili reddituali effettivamente prodotte nel medesimo anno di riferimento.

Grado di uniformità territoriale del prelievo

Gli studi teorici che hanno assistito la lunga fase di elaborazione della riforma sono concordi nel riconoscere che una delle caratteristiche essenziali di un’imposta a base territoriale debba essere individuata nell’uniformità della sua distribuzione sul territorio, in modo tale da ridurre la necessità di intervenire con ingenti trasferimenti perequativi nei confronti degli enti con minore capacità fiscale, per consentire loro di esercitare le funzioni trasferite.

Con riferimento all’IRPEF non si dispone attualmente di elaborazioni aggiornate che consentano di valutare il grado di sperequazione della base imponibile correttamente territorializzata sulla base dei criteri richiesti dal disegno di legge di riforma.

L’elaborazione già citata, condotta dal Dipartimento delle Finanze del MEF, basata sulle informazioni contenute nelle dichiarazioni, elaborate al fine di ottenere una ripartizione regionale dell’imposta pro capite il più possibile conforme al criterio di residenza dei contribuenti, utilizza i dati di gettito relativi ai periodi d’imposta 2003 e 2004 e considera, ai fini della misura della variabilità del tributo, tutte le regioni.

L’analisi, pertanto, oltre a riferirsi ad una struttura del prelievo notevolmente diversa da quella attualmente in vigore, perviene ad una distribuzione dell’imposta pro capite che include l’effetto dei parametri di progressività del tributo, parametri come si è detto ininfluenti ove si territorializzi una quota sostanzialmente proporzionale del tributo stesso.

I risultati indicano una certa stabilità nella ripartizione regionale del tributo nel biennio.

La ripartizione mostra una marcata divisione tra nord e sud; i valori pro capite del centro nord sono notevolmente al di sopra del valore nazionale, in particolare il nord ovest; il sud e le isole presentano valori molto vicini tra loro ed inferiori al valore nazionale.

Rispetto all’IVA, altro tributo erariale di cui si dispone la parziale regionalizzazione nel disegno di legge, l’indagine mostra una variabilità dell’IRPEF pro capite rispetto al valore medio pro capite nazionale superiore di circa un terzo[105].

Inoltre, la regione che presenta un’imposta IRPEF capitarla più elevata nel biennio (Lombardia) espone un valore pari a circa tre volte quello della regione con il minore importo pro capite (Calabria). Con riguardo all’IVA, la distanza tra valori estremi appare più contenuta.

Uno studio più recente[106] consente di utilizzare, per le sole regioni a statuto ordinario, i dati del reddito imponibile ai fini IRPEF regionalizzato relativi al periodo d’imposta 2005.

La regionalizzazione è stata effettuata sulla base dei dati dell’Agenzia delle entrate, tratti dalle dichiarazioni dei redditi. Tali dati, pertanto, in quanto non espressamente precisato nello studio, non dovrebbero essere stati oggetto di ulteriori elaborazioni finalizzate ad ottenere, con riguardo soprattutto alla voce relativa alle ritenute sui redditi di lavoro dipendente, una corretta imputazione territoriale della base imponibile relativa a tali ritenute (cfr. paragrafo precedente). Tuttavia, essi appaiono fornire una base di calcolo più aderente ai contenuti del disegno di legge ai fini dalla valutazione del grado di sperequazione regionale.

Dividendo le basi imponibili regionali fornite dallo studio per l’ammontare della relativa popolazione residente, rilevata al 31 dicembre del 2004, è possibile ottenere una distribuzione regionale della base imponibile pro capite.

L’analisi di tale distribuzione mostra che, l’eliminazione dei fattori collegati alla progressività dell’imposta non altera in modo significativo la graduatoria regionale, rispetto alla distribuzione basata sulla regionalizzazione del gettito, anche se occorre ricordare la non coincidenza temporale delle due distribuzioni esaminate. Si riduce, peraltro, il grado di dispersione dei valori rispetto al valore medio nazionale e si riduce la distanza tra il valore massimo della distribuzione (Lombardia) ed il valore minimo (Calabria)[107].

Emersione di base imponibile riferibile al concorso all’attività di recupero fiscale

Il disegno di legge in esame prevede, in via generale, il coinvolgimento dei diversi livelli istituzionali nell’attività di contrasto all’evasione ed all’elusione fiscale. In particolare, in relazione alle modalità di riparto del fondo perequativo regionale, prevede che il gettito regionale sia assunto al netto dell’emersione della base imponibile riferibile al concorso regionale nell’attività di recupero fiscale.

Appare evidente come l’attivazione di tale concorso dipenda sia dal grado di autonomia nella gestione dei tributi dedicati concessa alle regioni, che aumenta la convenienza all’emersione marginale di base imponibile, sia dalle potenzialità offerte alle regioni in termini di accesso ed incrocio di dati provenienti da basi statistiche informatizzate, sia dal margine di evasione o elusione recuperabile, cioè dalla distribuzione regionale della propensione all’evasione fiscale.

Con riguardo all’IRPEF, un recente studio[108] è pervenuto alla stima della propensione all’evasione di tale imposta nel 2004, attraverso il confronto tra i redditi rilevati nell’Indagine sui bilanci delle famiglie della Banca d’Italia e quelli dichiarati nei modelli fiscali. In media risulta occultato al fisco il 13,5 per cento dei redditi. In particolare, sarebbero gli autonomi e gli imprenditori, i rentiers e gli autonomi con secondo reddito (da lavoro dipendente o da pensione) a mostrare differenze più marcate nei redditi pro capite risultanti dalle due fonti di dati e, quindi, a presentare tassi di evasione più elevati. La misura dell’evasione per aree territoriali, risente di tale correlazione con le tipologie di reddito considerate. Pertanto, la propensione ad evadere risulta minore nelle regioni del Mezzogiorno rispetto al resto del Paese, a causa di una prevalenza di quelle tipologie di contribuenti che, per la natura del prelievo subito, non hanno la possibilità di evadere l’imposta (lavoratori dipendenti pubblici e pensionati).

 


6.La regionalizzazione della spesa statale

6.1   La spesa statale regionalizzata

La spesa statale regionalizzata rappresenta la spesa complessivamente erogata dal bilancio dello Stato, da enti pubblici[109] e da fondi alimentati con risorse nazionali e comunitarie ripartita per regione o provincia autonoma. Essa offre una rappresentazione della distribuzione geografica dei pagamenti in conto competenza e in conto residui, quali risultano dal rendiconto generale dello Stato.

La Ragioneria generale dello Stato pubblica annualmente le tabelle relative alla spesa regionalizzata riferita alle spese correnti e in conto capitale, con esclusione quindi del rimborso prestiti.

Gli ultimi dati, pubblicati nel novembre 2008, sono relativi all’anno 2006. Per tale anno, la spesa erogata dal bilancio dello Stato, da enti pubblici e da fondi che è stato possibile imputare alle singole regioni secondo i criteri che vengono di seguito illustrati, è stata pari a quasi l’80 per cento del totale della spesa statale e dei citati enti e fondi.

 

I dati vengono ripartiti territorialmente secondo il criterio della localizzazione dei pagamenti presso le Tesorerie dello Stato e in base al criterio della localizzazione fisica dei fattori produttivi impiegati per l’offerta di servizi e per gli investimenti. I criteri di ripartizione, pertanto, non considerano i beneficiari dell’attività amministrativa. Per tale ragione, ad esempio, la spesa per il funzionamento dei ministeri rimane attribuita in misura largamente maggioritaria al Lazio.

Con specifico riferimento ai pagamenti effettuati presso le tesorerie di Roma (a livello centrale e provinciale), sono invece individuate e ridistribuite le quote della spesa destinata ad aree geografiche diverse (ad esempio, per i trasferimenti ad enti di previdenza, o - relativamente ai redditi da lavoro dipendente – per le competenze del Corpo della Guardia di finanza).

In particolare, la ripartizione territoriale dei pagamenti prende in considerazione i seguenti canali di erogazione della spesa:

-       ordinativi di pagamento intestati direttamente al beneficiario;

-       ordinativi di accreditamento, che rappresentano aperture di credito a favore difunzionari delegati alla spesa a livello secondario che sono un tramite per l’emissione di ordinativi a favore di beneficiari finali;

-       ruoli di spesa fissa, che indica la metodologia tipica di pagamento degli stipendi e altre remunerazioni spettanti in via continuativa e a scadenze determinate.

 

Nei casi in cui non sia possibile ridistribuire la spesa o reperire informazioni supplementari da altre fonti, la quota di spesa viene definita come “non regionalizzabile”. Tra i pagamenti non regionalizzabili vi sono quelli destinati ad organismi di carattere internazionale (trasferimenti correnti all’estero e risorse proprie CEE).

In termini di valori pro-capite, nel 2006, i livelli più elevati della spesa regionalizzata evidenziati in tabella, oltre al Lazio – al quale, come si è visto, sono riferite le spese dei ministeri – sono registrati da alcune regioni a statuto speciale (Valle d’Aosta, Trentino A. Adige Friuli V. Giulia), per quanto riguarda sia la quota erogata dal bilancio dello Stato, sia la spesa regionalizzata complessiva.

 

Tabella 1 - Spesa complessiva regionalizzata pro-capite anno 2006

                                                                                                        (in euro)

Regioni

Spesa complessiva procapite

Bilancio dello Stato*

Enti previd.li

Altri enti e fondi

Regioni a statuto speciale

Friuli V. Giulia

11.045

5.656

5.054

334

Sardegna

9.121

4.759

3.749

613

Sicilia

8.203

4.635

3.243

325

Trentino A. Adige

11.673

7.622

3.892

160

Valle d’Aosta

15.304

10.324

4.575

405

Regioni a statuto ordinario

Abruzzo

7.674

3.512

3.911

251

Basilicata

8.070

3.789

3.535

747

Calabria

8.294

4.034

3.546

713

Campania

7.130

3.704

3.078

348

Emilia Romagna

8.019

2.965

4.872

181

Lazio

9.825

4.771

4.344

710

Liguria

9.260

3.525

5.478

257

Lombardia

7.719

3.123

4.470

127

Marche

7.497

2.960

4.294

243

Molise

7.417

3.276

3.640

501

Piemonte

8.348

3.182

4.851

316

Puglia

7.481

3.601

3.603

277

Toscana

8.217

3.274

4.685

256

Umbria

8.705

3.261

4.737

707

Veneto

6.824

2.706

3.968

149

Totali

ITALIA
(spesa regionalizzata)

8.167

3.706

4.138

322

ITALIA
(spesa complessiva)

10.285

5.783

4.140

361

Fonte: RGS. Il calcolo pro-capite si basa su dati ISTAT della popolazione al 2006.

*    Al netto della quota del Bilancio statale erogata a enti e fondi (118,9 mld di euro).

 

Si sottolinea che nelle somme erogate dal bilancio statale alle regioni a statuto speciale (ad eccezione della Sicilia che incassa direttamente i tributi erariali) sono comprese le quote di compartecipazione ai tributi erariali (tra i quali IRPEF, IRPEG, IVA e altre imposte sul patrimonio e sui consumi) previste dai rispettivi statuti e dalle norme di attuazione degli stessi, che contabilmente lo Stato incassa e riversa in quote-parti variabili alle predette regioni. Le quote di compartecipazione ai tributi erariali spettanti a ciascuna regione a statuto speciale sono volte a finanziare alcune funzioni “devolute”, vale a dire le cui competenze sono direttamente esercitate dalle regioni in base al proprio statuto (ad es. l’istruzione pubblica, le funzioni prefettizie del presidente della regione, l’erogazione di pensioni agli invalidi civili con risorse degli enti previdenziali, i servizi del corpo forestale, etc.). Tra le regioni a statuto speciale, pertanto, per il 2006 i valori pro-capite di spesa complessiva regionalizzata oscillano tra unmassimo di oltre 15.300 euro della Valle d’Aosta ad un minimo di circa 8.200 euro della Sicilia.

Tra le regioni a statuto ordinario, la spesa pro-capite complessiva regionalizzata oscilla tra il livello massimo del Lazio (9.825 euro) e quello più basso registrato in Veneto (6.824 euro).

 

I dati riferiti alle spesa regionalizzata pro-capite sono ricavati dalla spesa statale complessiva in valore assoluto, ripartita dalla RGS su base regionale secondo i criteri analizzati in precedenza.

In particolare, con riferimento al bilancio dello Stato, rispetto ad una spesa di 459,8 miliardi circa, non è risultato possibile regionalizzare pagamenti per complessivi 122,4 miliardi, riconducibili principalmente a voci relative all’Estero (comprese le risorse proprie UE), agli interessi passivi (pari al 60% di tale voce), alle poste correttive e compensative delle entrate e agli ammortamenti, come riportato nella successiva tab. 2.

Inoltre, per evitare duplicazioni, il totale della spesa del bilancio dello Stato è riportato al netto di circa 119 miliardi di euro per quote di spesa che transitano attraverso gli enti e i fondi e che risultano regionalizzate nell’ambito della spesa che fa capo a questi ultimi.

 

Tabella 2 - Spesa complessiva regionalizzata in valore assoluto anno 2006

(in milioni di euro)

Regioni

Spesa complessiva

Incidenza sul PIL regionalizzato
(%)

Bilancio dello Stato*

Enti previd.li

Altri enti e fondi

Regioni a statuto speciale

Friuli V. Giulia

13.370

38,97

6.847

6.118

404

Sicilia

41.155

49,62

23.256

16.268

1.631

Sardegna

15.119

46,41

7.889

6.215

1.016

Trentino-Alto Adige

11.555

37,50

7.545

3.853

157

Valle d’Aosta

1.904

46,89

1.284

569

51

Regioni a statuto ordinario

Abruzzo

10.034

37,43

4.592

5.113

329

Basilicata

4.783

45,38

2.246

2.095

442

Calabria

16.599

51,06

8.074

7.097

1.427

Campania

41.288

43,76

21.449

17.824

2.014

Emilia Romagna

33.722

26,18

12.471

20.489

762

Lazio

53.046

33,05

25.760

23.453

3.833

Liguria

14.900

36,34

5.672

8.814

413

Lombardia

73.410

24,03

29.698

42.508

1.204

Marche

11.488

29,81

4.536

6.581

372

Molise

2.377

39,89

1.050

1.167

161

Piemonte

36.293

30,56

13.833

21.087

1.373

Puglia

30.454

45,33

14.659

14.666

1.129

Toscana

29.818

30,08

11.883

17.003

932

Veneto

32.456

23,35

12.872

18.873

712

Umbria

7.577

36,73

2.839

4.123

615

Totali

Spesa regionalizzata

481.347

32,66

218.452

243.917

18.978

Spesa non regionalizzabile

124.856

-

122.432

75

2.350

Totale

606.204

41,09

340.884

243.992

21.327

*    Al netto della quota di 118,9 miliardi del Bilancio statale erogata a enti e fondi.

Tra le regioni a statuto ordinario è la Lombardia ad assorbire la quota più consistente della spesa complessivamente erogata (oltre 73,4 miliardi, pari a circa il 15,3% della spesa regionalizzata),seguita dal Lazio (53 miliardi, pari all’11%) e dalla Campania e dalla Sicilia (rispettivamente pari a 41,3 e 41,1 miliardi di euro).

La graduatoria si inverte se si guarda all’incidenza di tali erogazioni rispetto al PIL regionalizzato. La spesa complessiva regionalizzata incide per oltre il 43,7% del prodotto interno lordo in Campania e per il 49,6% in Sicilia, per scendere al 33% nel Lazio e al 24% circa in Lombardia.

6.2La spesa regionalizzata del bilancio dello Stato per categorie economiche

Con riferimento al bilancio dello Stato, la RGS elabora altresì una ripartizione della spesa regionalizzata per categorie.

La tabella 3 evidenzia le percentuali di spesa regionalizzata, divisa per categorie economiche, erogata complessivamente dallo Stato. La quota relativa alle spese correnti, pari al 47,2% è pressoché uguale a quella in conto capitale (47,5%). La restante parte transita attraverso il bilancio di enti e fondi ovvero risulta essere non regionalizzabile (pagamenti all’estero di parte corrente e in conto capitale, poste correttive e compensative delle entrate, ammortamenti e, per il 60% circa, la spesa per interessi).

 

Tabella 3 – Spesa regionalizzata del bilancio dello Stato per categorie - anno 2006

(in milioni di euro)

Categorie economiche

Spesa complessiva Bil. Stato
(A)

Spesa regionalizzata Bil. Stato
(B)

B/A
%

Spese correnti

421.831

198.895

47,2

01. Redditi da lavoro dipendente

86.862

53.957

62,1

02. Consumi intermedi

12.613

12.401

98,3

03. Imposte sulla produzione

4.851

4.851

100,0

04. Trasferimenti correnti PA

178.148

100.276

56,3

05. Trasferimenti corr. famigl.e ISP

4.605

2.802

60,8

06. Trasferimenti corr. a imprese

4.315

2.992

69,3

07. Trasferimenti. corr. all’estero

1.524

-

-

08. Risorse proprie CEE

14.577

-

-

09. Interessi pass./ redd. cap.

70.350

21.287

30,3

10. Poste corrett./comp.

43.060

-

-

11. Ammortamenti

163

-

-

12. Altre uscite corr.

763

330

43,3

Spese in c/capitale

37.971

19.557

51,5

21. Invest. fissi lordi e terreni

3.614

1.635

45,2

22. Contributi a investimenti

17.882

10.478

58,6

23. Contributi a invest. imprese

9.133

6.835

74,8

24. Contributi a invest. famiglie

88

65

73,9

25. Contributi a invest. estero

415

-

-

26. Altri trasferimenti in c/cap.

4.052

545

13,5

31. Acquisti di attività fin.

2.787

-

-

Totale spesa Bilancio dello Stato

459.802

218.452

47,5

 

Si osserva come le quote più consistenti di regionalizzazione della spesa statale rispetto al complessivo della spesa corrente sono relative alle voci “Trasferimenti correnti alle PA” (circa il 50,4%) e “Redditi da lavoro dipendente” (circa il 27%). Dal lato delle spese in conto capitale, la quota maggiore di regionalizzazione della spesa del bilancio della Stato è data dai “Contributi agli investimenti” riferiti alle amministrazioni centrali, locali e agli enti di previdenza, pari a circa il 53,6%.

 

Con riferimento alla sola spesa corrente, in particolare, la successiva tabella 4 espone il confronto dei livelli di spesa pro-capite del Bilancio dello Stato per regione e per categorie economica, con particolare riferimento alla spesa per redditi di lavoro dipendente, consumi intermedi e trasferimenti alle pubbliche amministrazioni. In quest’ultima categoria sono evidenziati separatamente i valori relativi ai trasferimenti alle regioni e agli enti locali. Nelle voce “Altre categorie” sono sommati i valori pro-capite della spesa regionalizzata del bilancio dello Stato con riferimento alle imposte sulla produzione, ai trasferimenti a famiglie e ISP, ai trasferimenti alle imprese, agli interessi passivi e alle altre uscite correnti.

 

 

Tabella 4 – Spesa regionalizzata pro-capite (parte corrente) per categorie e regioni anno 2006

(in euro)

Regioni e Province
autonome

Spesa Bilancio Stato (region.)

Redditi lav. dip.

Consumi interm.

Trasfer. P.A.

di cui a regioni

di cui a comuni e province

Altre categ.

Trento

7.644

292

99

6.834

5.620

1.011

419

Bolzano

7.315

287

76

6.436

6.195

160

517

F. V. Giulia

5.422

1.178

213

2.836

2.541

22

1.195

Sardegna

4.331

1.059

218

2.762

2.316

252

292

Sicilia

4.133

1.047

220

2.535

1.993

332

331

Valle d’Aosta

10.180

407

78

8.872

8.660

25

823

Abruzzo

3.201

996

217

1.505

1.080

231

484

Basilicata

3.197

1.038

198

1.742

1.205

390

219

Calabria

3.454

1.111

240

1.890

1.392

337

305

Campania

3.363

1.025

224

1.849

1.299

356

264

E. Romagna

2.616

693

163

1.312

870

186

448

Lazio

4.363

1.438

300

1.710

755

246

915

Liguria

3.165

954

240

1.524

1.028

248

447

Lombardia

2.937

649

205

1.044

692

200

1.040

Marche

2.660

834

175

1.308

892

216

343

Molise

2.880

1.054

209

1.392

904

301

225

Piemonte

2.827

735

200

1.311

925

221

581

Puglia

3.309

1.101

226

1.724

1.316

241

257

Toscana

2.971

843

187

1.478

1.009

203

463

Umbria

2.918

814

160

1.546

1.008

266

398

Veneto

2.402

771

171

1.128

789

175

332

Spesa regionaliz. dello Stato (Italia)

3.374

915

210

1.701

1.214

247

548

Italia
(spesa statale complessiva)*

7.157

1.474

214

3.022

1.217

247

2.447

Fonte:RGS. Il calcolo pro-capite si basa su dati ISTAT della popolazione al 2006.

*    Il totale “Italia” della spesa pro-capite comprende, oltre alla quota statale regionalizzata, anche quella non regionalizzata, nonché la quota statale erogata a enti e fondi.

 

Considerata l’imputazione contabile al bilancio dello Stato delle quote di compartecipazione delle regioni a statuto speciale ai tributi erariali, che vengono successivamente stornate a tali regioni, risulta più elevata la spesa regionalizzata pro-capite di parte corrente diretta alla Valle d’Aosta (10.180 euro per abitante), seguita dalla provincia autonoma di Trento (7.644 euro), di Bolzano (7.315 euro) e dal Friuli Venezia Giulia (5.422 euro). Sempre al di sopra del livello medio, si collocano la Sardegna (4.331 euro) e la Sicilia (4.133 euro).

Tra le regioni a statuto ordinario, la spesa statale pro-capite più elevata si registra nel Lazio con riferimento alle voci che rappresentano prevalentemente la spesa per il funzionamento delle amministrazioni centrali, vale a dire i “Consumi intermedi” e i “Redditi di lavoro dipendente”, rispettivamente 300 euro e 1.438 euro per abitante.

Rispetto alla voce “Trasferimenti alle P.A.”, si osserva che valori elevati in termini pro-capite sono registrati dalla Calabria (1.890 euro), la Campania (1.849 euro) e la Basilicata (1.742 euro). I livelli più bassi dei dati pro-capite per la stessa voce di spesa, invece, sono registrati da Lombardia (1.044 euro), Piemonte (1.311 euro) ed Emilia-Romagna (1.312).

6.3   La classificazione funzionale della spesa regionalizzata

L’analisi della ripartizione funzionale della spesa statale mediante lo studio dei pagamenti del bilancio dello Stato per funzioni-obiettivo secondo la classificazione COFOG (Classification of the functions of the government) consente di analizzare l’attività pubblica per tipologia di intervento.

Si ricorda che l’introduzione delle funzioni-obiettivo si è resa necessaria per l’individuazione delle politiche pubbliche di settore e per la misurazione del prodotto dell’attività amministrativa. La classificazione funzionale COFOG è una metodologia applicata all’intero aggregato della spesa delle amministrazioni pubbliche a livello internazionale ed è stata adottata come standard dal SEC95, il sistema dei conti pubblici europeo. Le fonti utilizzate sono i conti consuntivi sui quali sono effettuate rielaborazioni di dati in base alle informazioni rese disponibili dagli enti pubblici che rientrano nell’aggregato di riferimento ovvero da rilevazioni statistiche.

 

La Ragioneria generale dello Stato elabora la spesa statale ripartita per regioni e per aggregati funzionali in valore assoluto, in percentuale del totale nazionale e per abitante.

Inoltre, per ogni singola regione, viene fornito il dato economico-funzionale, incrociando i dati derivanti dall’analisi funzionale per categoria economica[110].

In particolare, come già precedentemente esaminato, vengono elaborati i dati del rendiconto del bilancio dello Stato relativi ai pagamenti in conto competenza e residui, rettificandoli allo scopo di eliminare le duplicazioni, come ad esempio accade per la voce “Redditi da lavoro dipendente” calcolati al netto degli oneri contributivi.

In tal modo, si esclude la quota a carico del bilancio dello Stato che viene erogata dagli enti previdenziali ed assistenziali. Per tale motivo, il totale della spesa complessiva del bilancio dello Stato, enti e fondi, che include altresì la quota della spesa statale non regionalizzabile, non coincide con il totale del rendiconto dello Stato per l’anno di riferimento.

Per gli enti diversi dallo Stato che rientrano nelle amministrazioni centrali, è stata inoltre definita una specifica metodologia di rilevazione che si basa sull’analisi delle attività seguendo criteri omogenei per tutte le amministrazioni interessate.

La tabella 5 che segue mostra la ripartizione della spesa funzionale per regione in valore assoluto e per abitante.

In grassetto sono indicati i valori più alti e più bassi fra quelli registrati in ciascuna regione, raggruppati a seconda che siano a statuto ordinario o speciale. I valori sottolineati, inoltre, indicano le cifre più alte e più basse, indipendentemente dal raggruppamento per tipologia di statuto regionale.

 

In termini pro-capite, tra le regioni a statuto ordinario, il Lazio presenta i valori più alti con riferimento alle funzioni-obiettivo dei Servizi generali della PA (F.O.1), della Difesa (F.O.2), dell’Ordine pubblico (F.O.3), degli Affari economici (F.O.4), della Sanità (F.O.7), delle Attività culturali (F.O. 8) e dell’Istruzione (F.O.9)[111] in particolare per le quote di spesa erogata con riferimento alla categoria “Redditi da lavoro dipendente”, dal momento che a tale regione viene integralmente imputata la spesa degli enti centrali per tale voce.

Con riferimento alla F.O.1 (Servizi generali della PA), inoltre, l’elevato valore assoluto della spesa erogata dallo Stato che la Lombardia presenta, è in prevalenza imputabile ai trasferimenti correnti alle amministrazioni pubbliche (oltre 7,8 miliardi di euro), di cui 5,6 miliardi (il 72% circa) per l’amministrazione regionale.

Tra le regioni a statuto speciale, la Val d’Aosta presenta i valori pro-capite tra i più elevati per tutte le funzioni-obiettivo. La ragione è imputabile al fatto che, a parità di erogazione della spesa statale, il valore rapportato alla popolazione risulta più alto, dato il ridotto numero di abitanti nella regione.

Un caso particolare, invece, è rappresentato dalla regione Veneto con riferimento alle funzioni-obiettivo F.O.5 e F.O.6 (rispettivamente “Protezione ambiente” e “Abitazioni e assetto territoriale”). Infatti, per queste due funzioni, un notevole peso assume l’erogazione della spesa statale con riferimento rispettivamente alla sottovoce 5.4 “Protezione della biodiversità e beni paesaggistici”[112] (oltre 180 milioni di euro per contributi agli investimenti dell’amministrazione regionale)ed alle sottovoci 6.1 “Sviluppo abitazioni” e 6.2 “Assetto territoriale” (complessivamente circa 174 milioni di euro per contributi agli investimenti di comuni e province).

Per quanto riguarda la funzione F.O.7 “Sanità”, la Sicilia e la Sardegna presentano i valori pro-capite più elevati, rispettivamente 444 euro e 685 euro per abitante, in quanto per esse è diverso il regime di contribuzione al Fondo sanitario nazionale[113]. A queste due regioni a statuto speciale, infatti, in considerazione della loro situazione di svantaggio, è riconosciuta una partecipazione alla spesa sanitaria non integrale (e pertanto senza alcun onere per lo Stato) come nel caso del Friuli Venezia Giulia, della Valle d’Aosta e delle province autonome di Trento e Bolzano, bensì nella misura del 42,5 per cento (Sicilia) e del 29 per cento (Sardegna)[114].

 

Per quest’ultima regione, in particolare, la legge finanziaria per il 2007 (articolo 1, comma 834-840 della legge n. 296 del 2006) ha previsto che, a decorrere dal 2007, il finanziamento del Servizio sanitario sia a suo totale carico. Pertanto, essa deve provvedere integralmente al finanziamento delle spese sanitarie correnti e in conto capitale, a fronte di una compartecipazione regionale all’IVA sino alla concorrenza dell’importo risultante a carico della regione per la spesa sanitaria.

 


Tabella 5 - Spesa del bilancio dello Stato per funzioni-obiettivo, ripartita per regioni e province a statuto autonomo – Anno 2006

Regioni

Totale

F.O.1

F.O.2

F.O.3

F.O.4

F.O.5

Servizi Gen.li PA

Difesa

Ordine pubblico

Affari economici

Protezione ambiente

Val. ass.
(mln €)

Pro-cap. (€)

Val. ass.
(mln €)

Pro-cap. (€)

Val. ass.
(mln €)

Pro-cap. (€)

Val. ass.
(mln €)

Pro-cap. (€)

Val. ass.
(mln €)

Pro-cap. (€)

Val. ass.
(mln €)

Pro-cap. (€)

Regioni Statuto ordinario

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Abruzzo

4.591

3.512

2.556

1.955

198

152

443

339

192

147

48

37

Basilicata

2.246

3.789

1.216

2.052

59

100

166

280

127

214

25

43

Calabria

8.074

4.034

4.232

2.115

221

110

739

269

594

297

85

43

Campania

21.449

3.704

11.448

1.977

1.117

193

1.666

288

1.274

220

78

14

Emilia Romagna

12.471

2.965

6.198

1.474

672

160

900

214

1.055

251

50

12

Lazio

25.759

4.771

12.529

2.321

2.493

462

3.142

582

1.712

317

156

29

Liguria

5.672

3.525

2.822

1.754

533

331

580

361

392

244

48

30

Lombardia

29.698

3.123

17.757

1.867

1.240

130

2.039

214

1.186

125

76

8

Marche

4.535

2.960

2.197

1.434

364

238

371

242

141

92

36

24

Molise

1.050

3.276

549

1.714

38

118

112

350

41

127

7

23

Piemonte

13.833

3.182

7.684

1.768

695

160

1.089

251

867

199

57

13

Puglia

14.658

3.601

7.677

1.886

1.441

354

1.079

265

669

164

58

14

Toscana

11.883

3.274

6.132

1.690

807

223

981

270

666

184

83

23

Umbria

2.839

3.261

1.473

1.692

92

106

222

255

116

133

22

25

Veneto

12.872

2.706

6.073

1.277

1.133

238

897

189

392

82

458

96

Regioni Statuto speciale

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Friuli-Venezia Giulia

6.847

5.656

4.600

3.800

636

525

362

299

196

162

16

13

Valle d’Aosta

1.284

10.324

1.191

9.579

18

147

35

282

11

90

7

57

Trento

3.938

7.802

3.576

7.085

63

125

102

202

392

116

6

13

Bolzano

3.607

7.434

3.342

6.889

62

127

92

189

52

106

6

13

Sardegna

7.889

4.759

3.911

2.360

399

241

549

331

340

205

37

22

Sicilia

23.255

4.635

12.166

2.425

1.163

232

1.811

361

933

186

69

14

TOTALI

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Italia (S.R.)

218.452

3.706

119.331

2.025

13.448

228

17.379

295

11.017

187

1.430

24

Erogazioni ad Enti e Fondi

118.918

-

11.651

-

5.036

-

5.116

-

19.419

-

87

-

Spesa N. R.

122.432

-

91.755

-

1.571

-

333

-

19.439

-

311

-

ITALIA

459.802

7.801

222.737

3.779

20.054

340

22.828

387

49.875

846

1.829

31


 

Regioni

Totale

F.O 6

F.O.7

F.O.8

F.O.9

F.O.10

Abitazioni e assetto territ.

Sanità

Attività culturali

Istruzione

Protezione sociale

Val. ass.
(mln €)

Pro-cap.
(€)

Val. ass.
(mln €)

Pro-cap. (€)

Val. ass.
(mln €)

Pro-cap.
(€)

Val. ass.
(mln €)

Pro-cap. (€)

Val. ass.
(mln €)

Pro-cap. (€)

Val. ass.
(mln €)

Pro-cap. (€)

Regioni Statuto ordinario

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Abruzzo

4.591

3.512

17

13

47

36

35

27

949

726

105

80

Basilicata

2.246

3.789

8

13

40

67

20

34

516

871

68

115

Calabria

8.074

4.034

24

12

58

29

40

20

1.893

946

187

93

Campania

21.449

3.704

56

10

139

24

179

31

5.109

882

382

66

Emilia Romagna

12.471

2.965

50

12

474

113

98

23

2.730

649

243

58

Lazio

25.759

4.771

112

21

721

133

466

86

3.963

734

465

87

Liguria

5.672

3.525

35

22

148

92

62

39

940

584

111

69

Lombardia

29.698

3.123

105

11

1.153

121

218

23

5.559

585

365

38

Marche

4.535

2.960

10

7

160

104

34

22

1.111

725

111

72

Molise

1.050

3.276

5

15

8

26

10

30

253

791

26

81

Piemonte

13.833

3.182

65

15

329

76

233

54

2.630

605

182

42

Puglia

14.658

3.601

64

16

141

35

78

19

3.227

793

224

55

Toscana

11.883

3.274

28

8

296

82

117

32

2.553

704

218

60

Umbria

2.839

3.261

17

20

110

126

25

28

675

775

87

100

Veneto

12.872

2.706

227

48

436

92

121

26

2.893

608

240

50

Regioni Statuto speciale

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Friuli-Venezia Giulia

6.847

5.656

14

11

54

44

36

30

840

694

92

76

Valle d’Aosta

1.284

10.324

6

49

2

21

1

8

3

22

9

70

Trento

3.938

7.802

9

17

16

32

7

13

77

152

24

47

Bolzano

3.607

7.434

7

14

12

26

7

15

5

11

21

44

Sardegna

7.889

4.759

23

14

1.135

685

48

29

1.338

807

109

66

Sicilia

23.255

4.635

102

20

2.226

444

148

30

5.299

857

338

67

TOTALI

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Italia (S.R.)

218.452

3.706

982

17

7.707

131

1.984

34

41.566

705

3.607

61

Erogazioni ad Enti e Fondi

118.918

-

16

-

251

-

742

-

13.474

-

63.127

-

Spesa N. R.

122.432

-

127

-

242

-

6.572

-

176

-

1.905

-

ITALIA

459.802

7.801

1.126

19

8.200

139

9.298

158

55.216

937

68.639

1.165


6.4   La spesa per l’istruzione

Secondo quanto previsto dal disegno di legge sul federalismo, l’istruzione scolastica dovrebbe rientrare tra le funzioni riconducibili all’art. 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione, finanziate in base al fabbisogno.

Di seguito si forniscono elementi per una prima valutazione circa il peso che tale funzione ha avuto negli ultimi anni, rispettivamente, nel conto delle Pubbliche amministrazioni e nel bilancio dello Stato. Viene, poi, indicato l’ammontare di risorse gestite direttamente dagli Uffici scolastici regionali e la spesa per studente nelle varie regioni.

La spesa per l’istruzione nel conto della P.A.

Nel periodo 2000-2006, i dati riportati nella tabella 1 indicano una crescita di circa il 3 per cento annuo della spesa per l’istruzione delle Pubbliche amministrazioni. Fatta eccezione per l’ultimo anno, l’incidenza sul PIL si mantiene stabilmente intorno al 4,6 per cento[115].

 

La spesa nel conto della PA concerne tutti i livelli di istruzione: essa comprende pertanto, oltre a quella relativa all’istruzione pre-scolastica e alla scuola primaria e secondaria, anche la formazione professionale non universitaria post-diploma (ad esempio, i conservatori), e quella universitaria (c.d. istruzione superiore), nonché l’istruzione per adulti (c.d. istruzione di diverso tipo).

 

Guardando alla ripartizione per livelli di governo, si osserva come la spesa si concentra nelle amministrazioni centrali, ove è quasi interamente assorbita dai redditi da lavoro, mentre per le amministrazioni locali assume un rilievo più marcato la spesa di investimento che copre, in media, il 98 per cento dell’importo complessivamente destinato dalla P.A. a tale finalità.

 

In base alla legge 59/1997 e ai relativi provvedimenti attuativi (D.Lgs. 112/1998 e DPR 275/1999), lo Stato determina gli obblighi formativi e detta le norme di principio che attribuiscono diritti e doveri (obbligo di istruzione, gratuità dell’istruzione nella scuola primaria e secondaria inferiore, diritto al sostegno per gli alunni diversamente abili, dimensione massima delle classi). Le regioni deliberano in merito alla rete scolastica, ovvero alla distribuzione delle scuole sul territorio. I comuni e le province provvedono agli immobili in cui sono collocate le scuole, e alla copertura dei relativi costi di gestione. La competenza dei comuni è limitata alla scuola primaria e alla scuola dell’infanzia; la competenza provinciale riguarda invece la scuola secondaria. Le scuole, infine, in base ai principi dell’autonomia didattica ed amministrativa previsti dalla legge n. 59/1997, decidono in merito all’organizzazione della didattica, con riflessi sugli organici di fatto e dunque sui costi.

 

Tabella 1

La spesa per istruzione della P.A. Ripartizione per livelli di governo e incidenza sul PIL – Anni 2000-2006

                                                                                                                                           (milioni di euro - %)

 

2000

2001

2002

2003

2004

2005

2006

Amministrazioni centrali

40.755

43.150

44.376

47.673

45.834

48.414

47.814

(in percentuale del totale)

75,2

75,0

73,9

74,6

73,2

73,6

72,7

Amministrazioni locali

13.470

14.376

15.636

16.242

16.747

17.340

17.932

(in percentuale del totale)

24,8

25,0

26,1

25,4

26,8

26,4

27,3

Totale Amministrazioni pubbliche

54.225

57.526

60.012

63.915

62.581

65.754

65.746

(in percentuale del totale)

100,0

100,0

100,0

100,0

100,0

100,0

100,0

Totale Amministrazioni pubbliche

 

 

 

 

 

 

 

(in percentuale PIL)

4,6

4,6

4,6

4,8

4,5

4,6

4,5

Fonte: ISTAT

 

 

 

 

 

 

 

 

Guardando alla composizione della spesa per livelli di istruzione secondo la classificazione COFOG, emerge il rilievo della scuola dell’obbligo (inclusa la fascia pre-scolastica), che assorbe oltre l’80% del totale. L’istruzione universitaria (classificata come “istruzione superiore”) pesa per circa il 7,8% della spesa complessiva[116].

 

Tabella 2

Spesa per funzione COFOG - Anni 2000-2006                                                                   (milioni di euro)

 

2000

2001

2002

2003

2004

2005

2006

Istruzione pre-scolastica e primaria

21.492

22.746

22.257

24.602

23.644

25.000

24.795

Istruzione secondaria

23.464

24.816

26.999

28.130

27.462

28.815

28.767

Istruz. post-secondaria non superiore

1.559

2.011

2024

2140

2193

2368

2512

Istruzione superiore

4.216

4.160

4.527

4.597

4.652

4.937

5.078

Istruzione di diverso tipo

614

795

973

1.065

1.116

1.036

1.044

Servizi ausiliari dell'istruzione

2.203

2.314

2.649

2.708

2.862

2.994

3.021

R&S per l'istruzione

4

3

3

10

19

28

27

Istruzione n.a.c.(*)

673

681

580

663

633

576

502

Totale

54.225

57.526

60.012

63.915

62.581

65.754

65.746

(*) non altrimenti classificabile

Fonte: ISTAT

 

La spesa per l’istruzione nel bilancio dello Stato

Prendendo in considerazione la spesa iscritta nel bilancio dello Stato, si conferma il peso dell’istruzione prescolastica e primaria e dell’istruzione scolastica secondaria, che insieme rappresentano, negli anni 2005- 2007, circa l’82 per cento del totale a fronte di una quota intorno al 15-16 per cento della spesa per l’istruzione universitaria. Tale incidenza dovrebbe mantenersi – in base alle previsioni iniziali iscritte nella legge di bilancio 2008 e nel disegno di legge di bilancio a legislazione vigente 2009 – anche nell’esercizio in corso e nel prossimo (cfr tabella 8, riportata in allegato al paragrafo).

Parimenti, si conferma l’elevata incidenza sulla spesa complessiva di quella relativa ai redditi da lavoro dipendente e per consumi intermedi pari (nel 2007), rispettivamente, al 74,5 per cento e al 2,7 per cento (in termini di previsioni definitive di competenza), a fronte di una quota molto limitata di trasferimenti alle imprese (1,3 per cento) e alle famiglie (0,3 per cento), riconducibile essenzialmente a interventi per il sostegno dell’istruzione e della formazione sino al diciottesimo anno di età, corsi di lingua a favore dei cittadini extracomunitari, ecc.

Se si guarda, infine, alla ripartizione della spesa tra dicasteri, si può osservare che la spesa per l’istruzione scolastica e quella universitaria si concentrano, rispettivamente, nel Ministero della pubblica istruzione e in quello dell’Università e ricerca scientifica (negli anni in cui costituivano due dicasteri distinti), mentre marginali (0,2 per cento) sono le quote di pertinenza dei Ministeri degli Esteri e dell’Economia.

Volendo pertanto analizzare la distribuzione territoriale della spesa per l’istruzione scolastica, si può fare riferimento alla ripartizione della spesa per centri di responsabilità del Ministero della P.I.: questa evidenzia, infatti, sia la quota di spesa che rimane in capo all’amministrazione centrale in senso stretto (Gabinetto e Uffici di diretta collaborazione del Ministro, Dipartimento per la programmazione, Dipartimento per l’istruzione), sia la quota diretta agli Uffici scolastici regionali.

Si ottiene così, almeno in via di prima approssimazione, l’ordine di grandezza di quanto viene attualmente speso dallo Stato nelle differenti regioni per l’istruzione pre-scolastica, primaria e secondaria.

 

Occorre, infatti, precisare che l’elevato importo relativo al Dipartimento per la programmazione (circa 3,4 miliardi in termini di impegni nel 2007) è solo limitatamente ascrivibile a spese imputabili al “centro”, in quanto comprende fondi da ripartire (quelli relativi sia alle competenze dovute al personale delle istituzioni scolastiche, sia al finanziamento dei programmi di offerta formativa o delle attività dei singoli istituti, c.d. Fondi di Istituto, e il Fondo per il funzionamento delle istituzioni scolastiche), che saranno quindi successivamente assegnati agli istituti delle varie aree territoriali.

Per contro, la spesa attribuita agli Uffici scolastici regionali comprende nella categoria “trasferimenti alle imprese” (448 milioni in termini di somme impegnate 2007), i trasferimenti alle scuole non statali.

 

Tabella 3

Spesa del Ministero della Pubblica Istruzione per centro di responsabilità - 2007[117]

(milioni di euro)

Centro di responsabilità (CDR)

Stanziamenti iniziali di competenza

Stanziamenti definitivi di competenza

Impegni

Pagamenti totali

Gabinetto ed Uffici di diretta collabor. opera Ministro

12

14

12

12

Dipartimento per la programmazione ministeriale e per la gestione ministeriale del bilancio, delle risorse umane e dell'informazione

3.888

3.879

3.380

3.179

Dipartimento per l'istruzione

142

439

432

461

Uffici scolastici regionali

 

 

 

 

-          Lombardia

5.116

5.426

5.304

5.397

-          Piemonte

2.522

2.640

2.564

2.609

-          Liguria

844

887

866

878

-          Veneto

2.698

2.860

2.805

2.858

-          Emilia Romagna

2.154

2.275

2.237

2.276

-          Friuli – Venezia Giulia

736

775

746

752

-          Toscana

2.085

2.193

2.143

2.167

-          Umbria

570

595

576

581

-          Lazio

3.447

3.620

3.494

3.529

-          Marche

1.013

1.055

1.027

1.039

-          Molise

262

272

260

263

-          Abruzzo

908

946

923

942

-          Puglia

3.089

3.227

3.143

3.188

-          Campania

4.843

5.096

4.912

4.964

-          Basilicata

545

566

546

548

-          Calabria

1.922

2.000

1.912

1.924

-          Sardegna

1.277

1.329

1.292

1.301

-          Sicilia

4.101

4.265

4.122

4.161

Totale Ministero

42.174

44.359

42.696

43.030

N.B. la Valle d’Aosta e le Province autonome di Trento e Bolzano, a norma dei rispettivi statuti, svolgono direttamente le funzioni relative all’istruzione.

Fonte: Rendiconto del bilancio dello Stato 2007

Con riferimento alla spesa dei soli Uffici scolastici regionali, la tavola che segue ne evidenzia l’andamento sia con riferimento al triennio 2005-2007, che all’esercizio in corso e alle previsioni a legislazione vigente 2009.


 

Tabella 4 - Spesa degli Uffici scolastici regionali                                                                                                                                                                                                  (milioni di euro)

Anno

2005

2006

2007

2008

2009

Uffici scolastici regionali

Stanziamenti iniziali di competenza

Stanziamenti definitivi di competenza

Pagamenti totali

Stanziamenti iniziali di competenza

Stanziamenti definitivi di competenza

Pagamenti totali

Stanziamenti iniziali di competenza

Stanziamenti definitivi di competenza

Pagamenti totali

Stanziamenti iniziali di competenza

Stanziamenti iniziali di competenza

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Lombardia

5.190

5.272

5.310

5.145

5.730

6.212

5.116

5.426

5.397

5.409

5.815

Piemonte

2.531

2.561

2.628

2.499

2.801

3.038

2.522

2.640

2.609

2.588

2.795

Liguria

848

860

885

843

944

1.017

844

887

878

870

918

Veneto

2.695

2.744

2.793

2.658

3.011

3.261

2.698

2.860

2.858

2.878

3.095

Emilia Romagna

2.135

2.166

2.248

2.115

2.411

2.616

2.154

2.275

2.276

2.286

2.518

Friuli-V.Giulia

730

737

754

726

815

875

736

775

752

756

795

Toscana

2.094

2.120

2.153

2.080

2.329

2.508

2.085

2.193

2.167

2.144

2.319

Umbria

570

576

593

568

633

682

570

595

581

544

612

Lazio

3.487

3.533

3.663

3.465

3.908

4.186

3.447

3.620

3.529

3.478

3.703

Marche

1.017

1.025

1.049

1.011

1.121

1.217

1.013

1.055

1.039

1.036

1.101

Molise

295

297

241

284

293

313

262

272

263

258

267

Abruzzo

958

966

971

960

1.016

1.126

908

946

942

920

962

Puglia

3.160

3.193

3.312

3.239

3.483

3.799

3.089

3.227

3.188

3.088

3.208

Campania

5.231

5.304

5.208

5.056

5.532

5.963

4.843

5.096

4.964

4.810

4.931

Basilicata

586

592

578

566

610

655

545

566

548

538

554

Calabria

1.962

1.975

2.051

1.967

2.152

2.312

1.922

2.000

1.924

1.883

1.910

Sardegna

1.339

1.352

1.352

1.325

1.432

1.543

1.277

1.329

1.301

1.276

1.330

Sicilia

4.128

4.152

4.268

4.140

4.548

4.921

4.101

4.265

4.161

4.054

4.267

Totale USR

38.956

39.423

40.056

38.649

42.768

46.244

38.133

40.028

39.377

38.816

41.101

Fonte: Rendiconto bilancio dello Stato anni 2005-2007, legge di bilancio 2008, disegno di legge di bilancio a legislazione vigente 2009


Ulteriori indicazioni circa l’andamento della spesa nelle diverse regioni si possono cogliere rapportando i pagamenti[118] alla popolazione studentesca.

Per quanto il dato sia grezzo, in quanto non consente una disaggregazione per livelli di istruzione, esso tuttavia evidenzia come valori superiori (o viceversa inferiori) alla media si riscontrano in tutte le aree geografiche.

Con riferimento al 2007, rispetto ad una spesa media per studente di poco più di 5.000 euro, scostamenti elevati in aumento si rilevano in Calabria, Basilicata, Sardegna e Molise. Superiore alla media anche la spesa del Friuli Venezia Giulia e, in misura minore, quella della Liguria.

 

Tabella 5

Pagamenti per studente (*) degli Uffici scolastici regionali

(euro - numeri indice)

Uffici scolastici regionali

2005

2006

2007

Lombardia

5.083

98

5.855

98

5.011

99

Piemonte

5.336

102

6.100

102

5.172

102

Liguria

5.422

104

6.175

103

5.278

104

Veneto

5.137

99

5.872

98

5.060

99

Emilia Romagna

5.027

97

5.686

95

4.824

95

Friuli - Venezia Giulia

5.698

109

6.511

109

5.496

108

Toscana

5.149

99

5.903

99

5.011

99

Umbria

5.380

103

6.115

102

5.158

101

Lazio

5.169

99

5.874

98

4.952

97

Marche

5.091

98

5.831

97

4.932

97

Molise

5.055

97

6.628

111

5.628

111

Abruzzo

5.233

100

6.106

102

5.144

101

Puglia

4.894

94

5.650

94

4.780

94

Campania

5.156

99

5.961

100

5.026

99

Basilicata

5.917

114

6.820

114

5.821

114

Calabria

6.117

117

7.030

117

5.954

117

Sardegna

5.859

113

6.726

112

5.738

113

Sicilia

5.073

97

5.905

99

5.051

99

Totale USR

5.208

100

5.988

100

5.086

100

Fonti:

Spesa Uffici regionali: Rendiconto del bilancio dello Stato, 2005-2007

Studenti: Ministero dell’Istruzione, dell’università e della ricerca, “La scuola statale: sintesi dei dati”, vari anni

(*)  Per calcolare il numero degli studenti in un anno solare, sono stati considerati i 6/10 degli studenti dell'anno scolastico t-1/t e i 4/10 per l'anno t/t+1

 

 

Al fine di evidenziare alcuni degli elementi che incidono sul diverso livello di spesa per studente riscontrato nelle varie regioni, la tabella che segue riporta alcuni rapporti caratteristici della scuola italiana (riferiti all’anno scolastico 2007-2008): essi indicano, per ciascun livello di istruzione, il numero di docenti per 100 studenti, la numerosità delle classi, l’incidenza degli insegnanti di sostegno sul totale dei docenti e degli alunni disabili sul totale degli alunni.

Dai dati non emergono, a livello di area geografica, scostamenti significativi dai valori medi.

 

Tabella 6

Rapporti caratteristici nella scuola italiana per area territoriale - Anno scolastico 2007-2008.

 

Scuola dell'infanzia

Scuola primaria

Docenti per 100 studenti

Alunni per classe

% docenti sostegno su totale docenti

% alunni disabili su totale alunni

Docenti per 100 studenti

Alunni per classe

% docenti sostegno su totale docenti

% alunni disabili su totale alunni

NORD

9,53

24,24

9,28

1,37

10,93

18,92

11,15

2,48

CENTRO

9,02

23,90

9,35

1,43

10,70

19,09

12,05

2,78

SUD

9,47

21,94

9,08

1,23

10,28

18,27

13,55

2,45

ITALIA

9,40

23,03

9,20

1,31

10,63

18,69

12,25

2,52

 

 

Scuola secondaria I grado

Scuola secondaria II grado

Docenti per 100 studenti

Alunni per classe

% docenti sostegno su totale docenti

% alunni disabili su totale alunni

Docenti per 100 studenti

Alunni per classe

% docenti sostegno su totale docenti

% alunni disabili su totale alunni

NORD

12,04

21,45

12,98

3,43

11,01

21,65

6,26

1,48

CENTRO

11,58

21,34

13,24

3,41

10,85

21,66

7,05

1,78

SUD

12,57

20,41

14,02

3,19

10,74

21,50

8,51

1,73

ITALIA

12,18

20,97

13,48

3,32

10,86

21,59

7,40

1,65

 

Fonte: Ministero dell’Istruzione, dell’università e della ricerca, “La scuola statale: sintesi dei dati”, 2008

 

Per contro, in quelle regioni meridionali (Basilicata, Calabria e Sardegna) che presentano una spesa per studente superiore alla media e nel Molise, più elevato è il numero dei docenti ogni 100 alunni e, per converso, più basso è il numero degli alunni per classe. In linea con la media, o leggermente inferiore, l’incidenza sul totale, rispettivamente, degli insegnati di sostegno e degli alunni disabili. Queste caratteristiche si riscontrano in tutti i livelli di istruzione.

Nelle altre regioni del Centro (Abruzzo, Umbria) e del Nord (Friuli Venezia Giulia, Liguria e Piemonte) caratterizzate da una spesa più elevata rispetto alla media, gli scostamenti più rilevanti di tali indicatori riguardano la scuola primaria e la secondaria di II grado. Sostanzialmente allineati alla media risultano, invece, gli indicatori relativi alla secondaria di I grado.


Tabella 7

Rapporti caratteristici nella scuola italiana per regione - Anno scolastico 2007-2008.

Regione

Scuola dell'infanzia

Scuola primaria

Docenti per 100 studenti

Alunni per classe

% docenti sostegno su totale docenti

% alunni disabili su totale alunni

Docenti per 100 studenti

Alunni per classe

% docenti sostegno su totale docenti

% alunni disabili su totale alunni

Piemonte

9,44

24,18

9,18

1,24

11,47

18,31

11,48

2,47

Lombardia

9,47

24,77

9,37

1,44

10,96

19,37

10,90

2,59

Liguria

9,67

23,66

10,73

1,37

11,39

18,14

12,95

2,61

Veneto

9,95

23,73

9,83

1,62

10,50

18,44

10,80

2,39

Friuli V.G.

9,90

22,97

7,06

1,01

11,42

17,53

8,23

1,98

Emilia R.

9,23

24,33

8,92

1,30

10,57

19,90

12,07

2,44

Toscana

9,14

24,61

7,91

1,06

10,63

19,24

10,30

2,01

Umbria

9,14

23,44

6,80

1,13

10,26

17,37

9,06

1,97

Marche

9,21

24,24

9,95

1,58

10,11

18,93

11,59

2,39

Lazio

8,83

23,37

10,75

1,70

10,98

19,34

13,66

3,49

Abruzzo

9,45

22,43

7,26

1,52

10,15

17,45

10,09

2,61

Molise

10,15

20,52

8,01

0,99

11,15

15,94

10,51

2,08

Campania

9,68

22,23

8,04

1,11

10,10

18,36

14,36

2,61

Puglia

9,00

22,76

10,55

1,28

9,34

20,15

13,49

2,06

Basilicata

10,79

20,22

8,33

1,14

11,45

16,87

10,51

1,69

Calabria

10,49

20,33

7,12

1,13

11,25

15,94

9,84

2,15

Sicilia

8,61

22,15

10,73

1,28

10,41

18,74

16,10

2,82

Sardegna

11,33

20,53

9,11

1,40

11,49

16,75

11,25

2,20

Totale

9,40

23,03

9,20

1,31

10,63

18,69

12,25

2,52

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Regione

Scuola secondaria I grado

Scuola secondaria II grado

Docenti per 100 studenti

Alunni per classe

% docenti sostegno su totale docenti

% alunni disabili su totale alunni

Docenti per 100 studenti

Alunni per classe

% docenti sostegno su totale docenti

% alunni disabili su totale alunni

Piemonte

12,33

21,16

13,00

3,35

11,37

20,98

7,71

1,77

Lombardia

12,17

21,39

12,57

3,68

10,67

22,03

5,27

1,30

Liguria

12,32

21,48

15,54

3,47

10,95

21,22

7,32

1,57

Veneto

11,88

21,70

12,34

3,25

10,99

21,65

4,86

1,11

Friuli V.G.

12,54

20,10

11,49

3,06

12,14

20,13

5,73

1,36

Emilia R.

11,42

22,02

14,28

3,27

11,09

22,19

8,21

2,01

Toscana

11,41

21,73

12,92

2,78

11,07

21,64

8,00

1,83

Umbria

11,90

20,99

10,36

2,74

11,32

20,99

5,69

1,71

Marche

11,55

21,34

12,73

2,80

11,08

21,91

7,22

1,67

Lazio

11,64

21,18

13,99

4,04

10,59

21,71

6,64

1,78

Abruzzo

11,86

19,96

11,97

3,38

10,60

21,63

7,46

2,28

Molise

13,81

19,07

9,61

3,54

11,24

20,78

7,57

2,06

Campania

12,05

20,36

14,86

3,30

10,17

22,07

7,74

1,58

Puglia

10,95

22,05

13,34

2,63

10,60

21,77

8,86

1,73

Basilicata

14,70

18,76

10,93

2,19

11,40

20,66

8,72

1,40

Calabria

14,93

18,90

11,40

3,06

11,30

20,27

7,48

1,61

Sicilia

13,07

20,64

16,21

3,59

10,95

21,69

10,49

1,96

Sardegna

13,93

19,01

11,79

3,13

11,66

20,28

6,54

1,43

Totale

12,18

20,97

13,48

3,32

10,86

21,59

7,40

1,65

Fonte: Ministero dell’Istruzione, dell’università e della ricerca, “La scuola statale: sintesi dei dati”, 2008

 


Allegati

Tabella 8

Spesa per istruzione (F9) nel bilancio dello Stato                                                                           (milioni di euro)

Anni

 

 

Stanziamento Iniziale di Competenza

Stanziamento Definitivo di Competenza

Impegni

Pagamenti totali

2005

9.1

Istruzione prescolastica e primaria

17.855

17.896

18.008

18.027

 

9.1.1

Istruzione prescolastica

4.763

4.773

4.803

4.810

 

9.1.2

Istruzione primaria

13.092

13.123

13.205

13.217

 

9.2

Istruzione secondaria

21.879

21.966

22.052

22.103

 

9.2.1

Istruzione secondaria inferiore

8.681

8.738

8.792

8.813

 

9.2.2

Istruzione secondaria superiore

13.198

13.228

13.260

13.290

 

9.3

Istruzione post-secondaria non superiore

341

364

420

418

 

9.4

Istruzione superiore

7.859

7.887

7.884

7.789

 

9.7

Ricerca e sviluppo per l'istruzione

3

15

15

15

 

9.8

Istruzione non altrimenti classificabile

1.163

1.113

1.062

759

 

9

Totale istruzione

49.100

49.242

49.441

49.112

2006

9.1

Istruzione prescolastica e primaria

17.540

19.285

20.720

20.801

 

9.1.1

Istruzione prescolastica

4.678

5.177

5.559

5.562

 

9.1.2

Istruzione primaria

12.862

14.109

15.161

15.239

 

9.2

Istruzione secondaria

21.487

24.261

26.007

25.680

 

9.2.1

Istruzione secondaria inferiore

8.573

9.405

10.107

10.162

 

9.2.2

Istruzione secondaria superiore

12.914

14.856

15.900

15.518

 

9.3

Istruzione post-secondaria non superiore

349

362

409

410

 

9.4

Istruzione superiore

7.727

7.633

7.630

7.617

 

9.7

Ricerca e sviluppo per l'istruzione

8

10

10

10

 

9.8

Istruzione non altrimenti classificabile

1.333

1.099

1.073

697

 

9

Totale istruzione

48.444

52.651

55.848

55.216

2007

9.1

Istruzione prescolastica e primaria

19.391

20.972

20.468

20.428

 

9.1.1

Istruzione prescolastica

4.577

4.826

4.709

4.748

 

9.1.2

Istruzione primaria

14.814

16.146

15.759

15.680

 

9.2

Istruzione secondaria

21.280

22.663

22.129

22.254

 

9.2.1

Istruzione secondaria inferiore

8.696

9.205

8.991

9.019

 

9.2.2

Istruzione secondaria superiore

12.584

13.459

13.138

13.236

 

9.3

Istruzione post-secondaria non superiore

87

90

93

101

 

9.4

Istruzione superiore

7.952

8.110

7.996

8.140

 

9.7

Ricerca e sviluppo per l'istruzione

10

21

21

22

 

9.8

Istruzione non altrimenti classificabile

1.564

1.154

1.114

789

 

9

Totale istruzione

50.283

53.012

51.821

51.734

2008

9.1

Istruzione prescolastica e primaria

19.887

 

 

 

 

9.2

Istruzione secondaria

21.490

 

 

 

 

9.3

Istruzione post-secondaria non superiore

430

 

 

 

 

9.4

Istruzione superiore

8.003

 

 

 

 

9.6

Servizi ausiliari

249

 

 

 

 

9.7

Ricerca e sviluppo per l'istruzione

9

 

 

 

 

9.8

Istruzione non altrimenti classificabile

1.224

 

 

 

 

9

Totale istruzione

51.294

 

 

 

2009

9.1

Istruzione prescolastica e primaria

17.883

 

 

 

 

9.2

Istruzione secondaria

25.813

 

 

 

 

9.3

Istruzione post-secondaria non superiore

410

 

 

 

 

9.4

Istruzione superiore

7.955

 

 

 

 

9.6

Servizi ausiliari

184

 

 

 

 

9.7

Ricerca e sviluppo per l'istruzione

7

 

 

 

 

9.8

Istruzione non altrimenti classificabile

647

 

 

 

 

9

Totale istruzione

52.901

 

 

 

Fonte: Rendiconto bilancio dello Stato anni 2005-2007, legge di bilancio 2008, d.d.l. BLV 2009


Tabella 9 - Spesa MPI per Centri di responsabilità e per categorie economiche 2007                                                                        (milioni di euro)

 

Centri di responsabilità

di cui

di cui

di cui

Totale

centro di responsabilità

Consumi intermedi

Imposte pagate sulla produzione

Redditi da lavoro dipendente

Impegni

Pagamenti

Impegni

Pagamenti

Impegni

Pagamenti

Impegni

Pagamenti

Gabinetto ed uffici di diretta collaborazione all'opera del ministro

1

1

1

1

10

10

12

12

Dipartimento per la programmazione ministeriale e per la gestione ministeriale del bilancio, delle risorse umane e dell'informazione

962

834

1

1

2.287

2.174

3.380

3.179

Dipartimento per l'istruzione

341

367

2

2

27

27

432

461

USR Abruzzo

2

5

57

57

855

871

923

942

USR Basilicata

1

3

33

33

508

509

546

548

USR Calabria

4

8

115

117

1.773

1.778

1.912

1.924

USR Campania

11

22

293

298

4.517

4.543

4.912

4.964

USR Emilia Romagna

9

15

135

135

2.049

2.079

2.237

2.276

USR Friuli Venezia Giulia

3

4

45

46

689

691

746

752

USR Lazio

10

23

210

214

3.219

3.229

3.494

3.529

USR Liguria

3

5

52

53

796

803

866

878

USR Lombardia

22

32

319

323

4.845

4.909

5.304

5.397

USR Marche

2

6

62

64

955

962

1.027

1.039

USR Molise

1

1

16

16

242

243

260

263

USR Piemonte

9

17

156

157

2.367

2.397

2.564

2.609

USR Puglia

8

16

190

196

2.911

2.936

3.143

3.188

USR Sardegna

3

6

78

79

1.199

1.202

1.292

1.301

USR Sicilia

11

19

249

254

3.843

3.865

4.122

4.161

USR Toscana

7

11

129

129

1.980

1.994

2.143

2.167

USR Umbria

1

3

35

35

535

537

576

581

USR Veneto

13

20

168

171

2.561

2.586

2.805

2.858

Totale MPI

1.423

1.417

2.345

2.382

38.156

38.337

42.696

43.030

 

Fonte: Rendiconto bilancio dello Stato 2007


7.Il finanziamento dei progetti speciali ex art. 119, comma V, della Costituzione

Il quinto comma dell’articolo 119 della Costituzione prevede che lo Stato possa destinare risorse aggiuntive, rispetto a quelle necessarie allo svolgimento delle funzioni ordinarie, ed effettuare interventi speciali in favore di determinati enti territoriali (comuni, province, città metropolitane e regioni) al fine di promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale, di rimuovere gli squilibri economici e sociali e di incentivare l'effettivo esercizio dei diritti della persona nonché, in generale, di favorire la realizzazione di scopi diversi dal normale esercizio delle funzioni ordinarie degli enti territoriali.

La Corte costituzionale, in diverse pronunce, ha indicato le condizioni ed i limiti degli interventi speciali e delle risorse aggiuntive che lo Stato può autorizzare in favore di determinati enti territoriali e per determinate finalità, ex art. 119, quinto comma, della Costituzione.

Tali risorse devono, infatti, essere aggiuntive rispetto a quelle necessarie al finanziamento delle funzioni ordinarie degli enti territoriali, proprie del fondo perequativo, e destinate al perseguimento di finalità specifiche e diverse rispetto a quelle ordinarie.

A tale riguardo, la Corte costituzionale ha precisato che gli interventi speciali di cui all’art. 119, quinto comma, sono tenuti a riferirsi a finalità di perequazione, garanzia e salvaguardia dei diritti, enunciate dalla norma costituzionale, al fine di dare attuazione ai valori di solidarietà e unità nazionale, che assumono importanza centrale in un sistema che viene ad organizzarsi su diversi livelli di Governo.

Va infine sottolineato che tali interventi devono essere destinati a particolari comuni o categorie di comuni. Qualora i finanziamenti in questione attengano ad ambiti di competenza regionale, spetta alle regioni il compito di programmazione e di riparto dei fondi all’interno del proprio territorio.

 

Nell’ambito dei suddetti progetti speciali si inseriscono gli interventi e i cofinanziamenti attivati dalla politica di coesione dell’Unione europea, specificamente rivolta a rispondere alla necessità di rilanciare lo sviluppo delle zone più deboli e più bisognose e a fronteggiare i problemi di natura strutturale presenti in larga parte dei territori dell’Unione, nonché gli interventi finanziati con le risorse del Fondo per le aree sottoutilizzate del Paese, appositamente istituito con finalità di riequilibrio economico e sociale delle diverse aree del territorio.

 

Analisi della distribuzione territoriale degli stanziamenti attivati dalla programmazione comunitaria 2000-2006

 

I Fondi strutturali e gli strumenti finanziari previsti dalla politica di coesione comunitaria sono finalizzati al conseguimento di alcuni obiettivi prioritari della Comunità, specificamente rivolti al superamento degli squilibri economici e sociali che caratterizzano alcune aree dell’Unione e, in particolare, alla riduzione del divario tra i livelli di sviluppo delle varie regioni e del ritardo delle regioni meno favorite[119].

Nel periodo di programmazione 2000-2006, la gran parte degli interventi rientranti nella Politica regionale dell’Unione europea ha perseguito tre obiettivi prioritari di sviluppo:

§      promozione dello sviluppo e adeguamento strutturale delle Regioni che presentano ritardi nello sviluppo (Obiettivo 1);

§      sostegno alla riconversione economica e sociale nelle zone con problemi strutturali, siano esse aree industriali, rurali, urbane o dipendenti dalla pesca (Obiettivo 2);

§      adeguamento e ammodernamento delle politiche e dei sistemi di istruzione, formazione e incremento dell'occupazione (Obiettivo 3).

 

Gli interventi della politica regionale dell’Unione europea che non perseguono i tre obiettivi prioritari di sviluppo sono indicati come “Fuori Obiettivo” e possono essere indirizzati a:

-       individuare soluzioni comuni a problematiche specifiche tramite le Iniziative Comunitarie (PIC);

-       favorire la pesca al di fuori delle regioni Obiettivo 1 (Pesca);

-       sostenere strategie di sviluppo innovative tramite le “Azioni Innovative”.

 

La disciplina dei Fondi strutturali per il periodo 2000-2006 è contenuta nei regolamenti adottati il 21 giugno 1999. In particolare, il Regolamento n. 1260/1999 reca le disposizioni generali sui Fondi strutturali 2000-2006[120].

Per quanto riguarda le regioni interessate dagli interventi dei Fondi strutturali 2000-2006, con le decisioni adottate il 1° luglio 1999, nn. 500-505, la Commissione europea ha individuato le aree interessate e la ripartizione fra gli Stati membri delle risorse destinate ai singoli obiettivi.

Per quanto concerne l’Italia:

§      nell’Obiettivo 1, finalizzato allo sviluppo e all’adeguamento strutturale delle regioni arretrate, il cui PIL pro capite, misurato a parità di potere d'acquisto, risulta inferiore al 75% della media comunitaria, sono state ricomprese le seguenti regioni italiane: Basilicata, Calabria, Campania, Puglia, Sardegna e Sicilia[121];

§      nell’Obiettivo 2, finalizzato alla riconversione economica e sociale delle aree caratterizzate da difficoltà strutturali (si tratta di zone in fase di trasformazione economica, tra cui si distinguono zone industriali, urbane, rurali e dipendenti dalla pesca) sono state ricomprese numerose aree rientranti in 13 regioni italiane del Centro-Nord (Abruzzo, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Liguria, Lombardia, Marche, Piemonte, Toscana, Umbria, Valle d’Aosta, Veneto, le province autonome di Trento e Bolzano), la cui individuazione è stata definita dalla Commissione europea su proposta dell’Italia. Va ricordato, che in Italia, gli interventi dell’Obiettivo 2 sono rivolti, soprattutto, allo sviluppo delle zone rurali in declino e alle zone industriali[122];

§      l’Obiettivo 3, che si concentra principalmente sulle problematiche relative all’adeguamento e all’ammodernamento delle politiche dei sistemi di istruzione, formazione e occupazione, interviene su tutto il territorio dell’Unione, tranne che nelle Regioni dell’Obiettivo 1. In Italia, pertanto, interessa le sole regioni del Centro-Nord.

 

Per le aree che nel periodo di programmazione 2000-2006 “sono uscite” dalla politica di coesione[123], la Commissione ha previsto un periodo di “phasing out”, cioè un periodo di sostegno transitorio nel quadro degli Obiettivi 1 o 2, per consentire a tali aree di non perdere il livello di sviluppo raggiunto[124]. Per l’Italia, il Molise (uscito dall’obiettivo 1 alla fine del 1999) è rientrato nel regime di sostegno transitorio dell’Obiettivo 1 fino al 31 dicembre 2006. Le aree che rientrano nel sostegno transitorio dell’obiettivo 2 sono invece stati individuate per “esclusione”, tra quelle del Centro-Nord, fuoriuscite dai vecchi obiettivi, e non ricomprese nel nuovo obiettivo 2.

 

Gli interventi dell’Obiettivo 1 sono attuati attraverso il Quadro comunitario di sostegno (QCS) 2000-2006, approvato dalla Commissione UE con decisione 2002/555/CE del 1° agosto 2000[125].

Il QCS è articolato in sei assi prioritari:

Asse I      Valorizzazione delle risorse naturali e ambientali (Risorse Naturali);

Asse II     Valorizzazione delle risorse culturali e storiche (Risorse Culturali);

Asse III    Valorizzazione delle risorse umane (Risorse Umane);

Asse IV   Potenziamento e valorizzazione dei sistemi locali di sviluppo (Sistemi Locali di Sviluppo);

Asse V     Miglioramento qualità delle città, delle istituzioni locali e della vita associata (Città);

Asse VI   Rafforzamento delle reti e nodi di servizio (Reti e Nodi di Servizio).

 

Per l’attuazione degli interventi che rientrano nei sei Assi sono stati approvati, nel corso del 2000, 14 Programmi Operativi, di cui 7 di carattere regionale (POR, uno per ciascuna delle 6 regioni dell’Obiettivo 1, cui si aggiunge il Molise, in sostegno transitorio) e 7 di carattere nazionale (PON), gestiti dalle Amministrazioni centrali, relativi ai seguenti settori: “Ricerca scientifica, sviluppo tecnologico, alta formazione”; “La scuola per lo sviluppo”; “Sicurezza per lo sviluppo del Mezzogiorno”; “Sviluppo locale”; “Trasporti”; “Pesca” e "Assistenza tecnica".

Gli interventi dell’Obiettivo 2 sono attuati attraverso 14 documenti unici di programmazione (DOCUP), uno per ogni regione del Centro-Nord, approvati dalla Commissione europea alla fine del 2001.


Le risorse per il periodo 2000-2006

 

Le risorse dei Fondi strutturali destinate all’Italia per il periodo di programmazione 2000-2006 ammontano, tra quota comunitaria, nazionale e privata, a oltre 64.415 milioni di euro, compresi i 2.116 milioni di euro destinati agli interventi “fuori obiettivo”.

I fondi comunitari rappresentano circa il 49% delle risorse complessivamente destinate agli interventi strutturali in Italia, così come le risorse di origine nazionale (entrambi pari a oltre 31 miliardi di euro sui 64 totali); i privati intervengono complessivamente al finanziamento delle politiche di sviluppo strutturale in misura pari al 2%.

Obiettivi Prioritari - Programmazione Finanziaria Generale

(valori in milioni di euro)

Obiettivo

Contributo Totale

Contributo Comunitario

Contributo Nazionale

Contributo Privati

Obiettivo 1

46.019

23.920

21.475

623

Obiettivo 2

7.182

2.721

4.274

186

Obiettivo 3

9.097

4.055

4.957

84

Fuori Obiettivo

2.115

967

903

244

TOTALE

64.415

31.664

31.611

1.139

 

La gran parte delle risorse per gli interventi strutturali in Italia risulta destinata agli interventi dell’Obiettivo 1 (oltre 46 miliardi di euro).

Le risorse destinate all’Obiettivo 1 rappresentano, infatti, quasi i tre quarti degli stanziamenti totali previsti per le politiche strutturali in Italia nel periodo di programmazione 2000-2006 (circa il 72% del totale).

Al finanziamento di azioni nelle zone del centro-nord, ricadenti all’interno dell’Obiettivo 2 e 3, invece, è stato destinato, rispettivamente, l’11% e il 14% del contributo totale.

 


L’analisi della distribuzione territoriale degli stanziamenti complessivamente attivati dalla programmazione comunitaria 2000-2006 evidenzia pertanto la forte concentrazione delle risorse nel Mezzogiorno d’Italia, vale a dire nelle regioni Basilicata, Calabria, Campania, Puglia, Sardegna e Sicilia rientranti nell’Obiettivo 1.

 

Nell’ambito dei Programmi operativi dell’Obiettivo 1, quelli regionali (i POR) assorbono circa il 70% delle risorse stanziate complessivamente per l’Obiettivo 1 (oltre 31,8 miliardi sul totale di 46 miliardi).

Tra questi, la quota maggiore di risorse interessa le regioni Sicilia e Campania: il POR Sicilia è, infatti, l’intervento con la dotazione finanziaria più consistente (circa 8,5 miliardi di euro), seguito dal POR Campania (oltre 7,7 miliardi).

Ai 31,8 miliardi di risorse relative ai POR vanno aggiunti gli importi relativi ai 7 Programmi Operativi Nazionali (PON), pari a 14,1 miliardi di euro, il cui campo d’applicazione riguarda l’intera area Obiettivo 1.

Tra questi, il PON Trasporti e il PON Sviluppo locale assorbono la maggiore quota di risorse, cui segue il PON Ricerca scientifica

Va peraltro sottolineato che, poiché le risorse dei singoli PON sono gestite a livello centrale dalle amministrazioni, la ricaduta degli interventi finanziari nelle singole regioni del Mezzogiorno non può essere evidenziata.

(milioni di euro)

POR - Programmi operativi regionali

31.833,9

Basilicata

1.696,1

Calabria

4.036,4

Campania

7.748,2

Puglia

5.232,3

Sardegna

4.191,9

Sicilia

8.459,9

Molise (phasing out Ob. 1)

469,1

PON - Programmi operativi nazionali

14.118,3

Scuola per lo sviluppo

830,0

Ricerca scientifica

2.267,3

Sviluppo imprenditoriale locale

4.452,8

Pesca

305,1

Sicurezza per lo sviluppo del Mezzogiorno

1.225,8

Trasporti

4.520,2

Assistenza tecnica e azioni di sistema

517,1

 

La distribuzione territoriale tra le regioni del Centro-Nord delle risorse stanziate per i Programmi regionali cofinanziati dall’Obiettivo 2 (Docup) e dall’Obiettivo 3 (POR), illustrata nella Tabella successiva, evidenzia che le regioni maggiormente beneficiarie degli stanziamenti afferenti alla programmazione comunitaria sono il Piemonte, la Lombardia e la Toscana.

In particolare, la regione che beneficia della quota più elevata di finanziamenti dell’Obiettivo 2 risulta essere il Piemonte (1.291 milioni), seguito dalla Toscana (1.231,9 milioni) e dal Lazio (884,4 milioni).

Per quanto riguarda l’Obiettivo 3, 1.583 milioni sono destinati alla Lombardia, 1.324 milioni all’Emilia Romagna e 1.065 milioni al Piemonte.

 

(milioni di euro)

Regioni del Centro-Nord

Obiettivo 2

Obiettivo 3

Abruzzo

546,6

406,6

Emilia Romagna

263,8

1.324,2

Friuli Venezia Giulia

335,8

371,8

Lazio

884,4

902,0

Liguria

694,5

371,4

Lombardia

421,0

1.582,9

Marche

347,0

291,9

Piemonte

1.291,0

1.065,3

P.A. Bolzano

67,6

207,9

P.A. Trento

58,7

230,4

Toscana

1.231,9

705,0

Umbria

400,2

232,2

Valle d’Aosta

41,9

93,2

Veneto

596,9

872,4

TOTALE

7.181,3

8.657,2*

*    Alla somma delle risorse relative all’Obiettivo 3 vanno aggiunti 440,4 milioni di euro, relativi al Piano nazionale “Azioni di sistema”. Poiché il Piano è gestito a livello centrale dal Ministero del lavoro, la ricaduta dei relativi finanziamenti nelle singole regioni non viene evidenziata.

 

* * *

 

La tabella che segue, fornita dalla Ragioneria generale dello Stato – Ispettorato Generale per i rapporti con l’Unione europea, mette in evidenza la distribuzione territoriale delle risorse complessivamente attivate nel periodo di programmazione 2000-2006, con specifica evidenziazione delle risorse provenienti dalla UE e di quelle di cofinanziamento nazionale.

Occorre peraltro precisare che nella Tabella che segue non sono conteggiati i 7 Programmi Operativi Nazionali, il cui campo d’applicazione, come sopra ricordato, riguarda l’intera area dell’Obiettivo 1 e il cui importo complessivo (14.118 milioni di euro) non viene ripartito tra le 6 regioni del Mezzogiorno che ne sono interessate (Basilicata, Calabria, Campania, Puglia, Sardegna e Sicilia).

Sono invece conteggiati e ripartiti per regione gli importi relativi ai c.d. interventi “Fuori Obiettivo” (2.115 milioni di euro), che interessano sia le Regioni del Mezzogiorno che quelle del Centro-Nord.


Programmazione fondi strutturali 2000-2006

Situazione finanziamenti, accrediti comunitari e cofinanziamento legge n. 183/87 e relativi utilizzi

(dati aggiornati al 12 novembre 2008)

 

Regione

Programmazione finanziaria

Situazione finanziamenti UE

Situazione finanziamenti
legge n. 183/87

Importo totale 2000/2006

di cui importo quota comunitaria 2000/2006

di cui importo quota Stato 2000/2006

Importo accrediti UE

Importo trasferimenti UE

Importo decreti

Importo trasferimenti
legge n. 183/87

Abruzzo

993.621.380

394.532.733

399.506.178

331.851.444

326.423.444

399.179.222

323.937.079

Basilicata

1.729.194.554

866.474.000

598.217.666

731.391.383

731.391.383

598.217.666

478.313.228

Calabria

4.068.486.571

2.155.039.788

1.330.850.801

1.577.658.332

1.576.297.227

1.312.922.467

972.178.636

Campania

7.784.029.430

4.306.346.000

2.385.319.504

3.448.919.495

3.448.790.961

2.384.961.004

1.894.819.592

Emilia Romagna

1.621.349.473

732.268.464

677.893.823

694.235.256

694.235.256

677.119.138

669.391.936

Friuli-Venezia Giulia

725.181.571

274.898.476

332.378.457

254.774.248

254.774.248

332.378.457

307.165.528

Lazio

1.836.879.115

804.263.186

759.564.497

598.397.035

597.153.961

759.564.499

544.769.992

Liguria

1.091.190.396

375.662.646

504.515.300

340.082.205

340.082.175

504.515.302

455.083.978

Lombardia

2.026.027.403

924.347.462

842.533.048

877.413.846

877.413.846

842.506.857

803.823.411

Marche

665.668.451

273.205.787

253.452.573

238.582.615

238.582.615

253.234.072

217.653.924

Molise

483.204.034

210.909.437

189.578.168

187.774.187

187.774.187

189.470.835

168.705.046

Piemonte

2.402.325.323

999.148.016

923.792.517

905.679.928

905.679.928

923.792.517

826.029.697

P.A. Bolzano

301.946.154

137.365.435

121.685.092

128.032.068

125.695.007

121.679.093

115.593.226

P.A. Trento

302.651.834

127.255.713

134.084.392

119.938.350

119.938.350

134.084.392

126.712.028

Puglia

5.271.342.948

2.936.511.206

1.612.914.540

2.194.151.261

2.194.151.261

1.611.864.138

1.187.041.148

Sardegna

4.237.124.954

2.112.888.957

1.465.941.371

1.774.218.398

1.774.218.398

1.465.941.370

1.235.565.940

Sicilia

8.502.397.031

4.315.040.790

2.911.432.485

3.180.732.164

3.177.458.445

2.911.432.485

2.181.547.129

Toscana

1.982.910.917

670.463.310

907.819.243

604.353.404

584.650.297

907.547.060

817.082.360

Umbria

660.006.057

274.047.415

279.595.787

242.252.305

242.252.206

278.695.787

246.166.731

Valle d'Aosta

148.036.432

64.400.401

63.613.714

56.942.537

56.942.537

63.613.714

55.674.379

Veneto

1.508.500.725

706.807.425

611.713.739

626.667.847

626.032.105

611.713.738

541.745.263

TOTALI

48.342.074.752

23.661.876.647

17.306.402.894

19.114.048.308

19.079.937.836

17.284.433.813

14.169.000.250

.


Le risorse del Fondo per le aree sottoutilizzate

 

Il Fondo per le aree sottoutilizzate (FAS), quale strumento di attuazione delle politica regionale nazionale, è stato istituito dall’articolo 61, comma 1, della legge n. 289/2002 (legge finanziaria per il 2003), con le risorse autorizzate da specifiche disposizioni legislative, indicate in un apposito allegato alla medesima legge n. 289/2002, con finalità di riequilibrio economico e sociale e, in particolare, per assicurare risorse aggiuntive alle aree più svantaggiate del Paese.

Tali risorse iniziali sono state successivamente integrate dalle leggi finanziarie, che hanno, di volta in volta, assegnato stanziamenti aggiuntivi al Fondo (c.d. risorse aggiuntive). Le risorse aggiuntive del Fondo sono annualmente ripartite dal CIPE.

La norma istitutiva del Fondo per le aree sottoutilizzate prevede che il fondo sia ripartito esclusivamente tra gli interventi previsti dalle disposizioni legislative originariamente in esso confluite, nonché alle finalità espressamente indicate dalla norma: investimenti pubblici e incentivi alle imprese.

Per quanto riguarda la ripartizione territoriale delle risorse del FAS, va ricordato che il CIPE ha definito quale criterio generale l’assegnazione dell’85% delle risorse alle regioni del Mezzogiorno e del 15% alle aree sottoutilizzate del Centro-Nord.

Tuttavia, va segnalato che il CIPE, nel provvedere annualmente al riparto delle risorse aggiuntive, non specifica la localizzazione degli interventi che provvede a finanziare.

Relativamente al finanziamento degli incentivi (legge n. 488/1992, contratti di programma, imprenditorialità giovanile, crediti di imposta), il CIPE si limita a indicare le quote da destinare ai singoli settori di intervento, senza specificarne la destinazione territoriale. L’impatto sul territorio del finanziamento di tali strumenti di incentivazione può pertanto essere desunto soltanto analizzando le relazioni sullo stato di attuazione di ciascun strumento.

Per quanto concerne invece gli investimenti pubblici, il CIPE provvede ad adottare una seconda deliberazione con la quale le risorse vengono ripartite tra le regioni.

Si può avere pertanto una indicazione sulla localizzazione delle risorse aggiuntive del FAS soltanto per quelle destinate, in via programmatica, alla realizzazione dei programmi regionali di investimento, ricompresi negli accordi di programma quadro, sottoscritti da ciascuna regione nell’ambito delle intese istituzionali di programma.


Le risorse FAS programmate dal CIPE per il periodo 2000-2006 per gli Accordi di programma quadro

 

Analizzando la delibera CIPE del 22 marzo 2006, n. 2 di ripartizione delle risorse aggiuntive del FAS previste dalla legge finanziaria per il 2006 (legge n. 266/2005) per le annualità 2006-2009, a fronte di 6,2 miliardi di euro complessivi per il quadriennio, 4,1 miliardi sono stati destinati agli investimenti pubblici (circa il 66% delle risorse aggiuntive complessive).

Con la successiva delibera n. 3/2006, i 4,1 miliardi per investimenti pubblici sono stati assegnati per 820 milioni ai programmi nazionali e per 3.280 milioni ai programmi regionali, di cui 319,2 milioni sono stati accantonati per la premialità (circa il 10%).

Dei 3.280 milioni assegnati ai programmi regionali, 478,8 milioni sono stati destinati alle regioni del Centro-Nord (cui si aggiungono ulteriori 88 milioni per la ricerca e la società dell’informazione) e 2.713,2 milioni alle regioni del Mezzogiorno, secondo la tradizionale chiave di riparto adottata dal CIPE (85% al Mezzogiorno e 15% al Centro-Nord). Tali risorse sono state così ripartite tra le singole regioni, sulla base di quote percentuali definite dalla medesima delibera, concordate in sede di Conferenza Stato-Regioni.

(valori in euro)

 

%

Importi

Emilia-Romagna

3,24

13.961.808

Friuli-Venezia Giulia

3,07

13.229.244

Lazio

18,66

80.409.672

Liguria

8,96

38.610.432

Lombardia

10,53

45.375.876

Marche

4,45

19.175.940

P.A. Bolzano

1,09

4.697.028

P.A. Trento

0,54

2.326.968

Piemonte

18,57

80.021.844

Toscana

14,45

62.267.940

Umbria

5,63

24.260.796

Valle d'Aosta

0,63

2.714.796

Veneto

10,18

43.867.656

CENTRO-NORD

100,00

430.920.000

Abruzzo

4,31

105.245.028

Basilicata

4,45

108.663.660

Calabria

12,33

301.083.804

Campania

23,92

584.097.696

Molise

2,59

63.244.692

Puglia

16,40

400.468.320

Sardegna

12,00

293.025.600

Sicilia

24,00

586.051.200

MEZZOGIORNO

100,00

2.441.880.000

TOTALE (al netto della quota premiale)

 

2.872.800.000

Quota premiale Centro-Nord

 

47.880.000

Quota premiale Mezzogiorno

 

271.320.000

Ricerca e comunicazione (Centro-Nord)

 

88.000.000

TOTALE DELIBERA n. 3/2006

 

3.280.000.000

 

Nella tavola seguente è riportato, a decorrere dal 2000, l’ammontare delle risorse aggiuntive del FAS per gli investimenti pubblici ricompresi negli accordi di programma quadro (al netto della quota premiale), come determinate dalle delibere CIPE di riparto del Fondo, con indicazione delle quote assegnate al Centro-nord e al Mezzogiorno.

 


2000

2001

2002

2003

2004

2005

2006

2007

2008

2009

Totale

L. 208/98

Centro-Nord

61

103

37

 

 

 

 

 

 

 

201

Mezzogiorno

366

620

221

 

 

 

 

 

 

 

1.207

Italia

427

723

258

 

 

 

 

 

 

 

1.408

Fin. 1999

Centro-Nord

 

103

103

 

 

 

 

 

 

 

206

Mezzogiorno

 

657

657

 

 

 

 

 

 

 

1.314

Italia

 

760

760

 

 

 

 

 

 

 

1.520

Fin. 2000

Centro-Nord

 

72

161

81

 

 

 

 

 

 

314

Mezzogiorno

 

408

913

456

 

 

 

 

 

 

1.778

Italia

 

480

1.074

537

 

 

 

 

 

 

2.092

Fin. 2001

Centro-Nord

 

3,5

170

140

 

 

 

 

 

 

314

Mezzogiorno

 

17

832

688

 

 

 

 

 

 

1.537

Italia

 

21

1.002

828

 

 

 

 

 

 

1.858

Fin. 2002

Centro-Nord

 

 

0,4

106

174

 

 

 

 

 

281

Mezzogiorno

 

 

1,2

686

905

 

 

 

 

 

1.591

Italia

 

 

1,6

792

1.079

 

 

 

 

 

1.872

Fin. 2003

Centro-Nord

 

 

 

2

36

385

 

 

 

 

423

Mezzogiorno

 

 

 

7

170

2.222

 

 

 

 

2.399

Italia

 

 

 

9

206

2.607

 

 

 

 

2.822

Fin. 2004

Centro-Nord

 

 

 

 

18

23

259

132

 

 

432

Mezzogiorno

 

 

 

 

102

124

1.431

717

 

 

2.374

Italia

 

 

 

 

120

147

1.691

848

 

 

2.806

Fin. 2005

Centro-Nord

 

 

 

 

 

4,7

9

141

268

 

424

Mezzogiorno

 

 

 

 

 

20

27

1.328

1.025

 

2.401

Italia

 

 

 

 

 

25

36

1470

1294

 

2.825

Fin. 2006

Centro-Nord

 

 

 

 

 

 

7,3

44

93

287

431

Mezzogiorno

 

 

 

 

 

 

41

248

529

1.623

2.442

Italia

 

 

 

 

 

 

49

292

623

1.910

2.873

TOTALE

Centro-Nord

61

2812

471

330

228

413

276

317

362

287

3.026

Mezzogiorno

366

1.702

2.625

1.837

1.177

2.366

1.500

2.293

1.555

1.623

17.043

Italia

427

1.984

3.096

2.166

1.405

2.778

1.776

2.610

1.917

1.910

20.068

Fonte:Ministero dello sviluppo economico, Dipartimento per le politiche di sviluppo e coesione, Rapporto annuale 2007 sugli interventi nelle aree sottoutilizzate.


 

Nella successiva tavola, elaborata sui dati contenuti nel Rapporto annuale 2007 sugli interventi nelle aree sottoutilizzate del Dipartimento per le politiche di sviluppo e coesione (DPS) del Ministero dello sviluppo economico, sono riportati i dati relativi agli accordi di programma quadro (APQ) sottoscritti fino al 31 dicembre 2007.

Sono evidenziate, per ogni regione, le informazioni circa il numero degli APQ sottoscritti (a decorrere dal 1999), il numero degli APQ oggetto di monitoraggio da parte del DPS, il valore (in milioni di euro) dell’accordo al momento della stipula (con l’indicazione della quota delle risorse FAS destinate) e l’indicazione dell’ammontare dei costi realizzati all’ultimo monitoraggio effettuato (e la relativa quota FAS).

 

 

APQ

APQ monitorati

Valore alla stipula

di cui FAS

Costi realizzati (monitoraggio)

di cui FAS

Emilia-Romagna

23

17

3.146,9

150,6

1.262,8

51,4

Friuli-Venezia Giulia

18

14

321,9

108,0

116,6

38,0

Lazio

37

28

1.394,2

621,6

359,1

122,0

Liguria

45

36

620,0

363,7

248,3

151,2

Lombardia

32

26

7.983,0

341,3

3.653,2

124,1

Marche

37

29

554,8

216,1

132,4

45,6

Piemonte

37

29

1.735,1

662,9

891,6

310,3

P.A. Bolzano

16

11

151,9

40,7

100,1

19,9

P.A. Trento

11

9

329,1

20,5

148,2

12,2

Toscana

39

31

7.712,8

495,0

5.555,0

185,5

Umbria

29

22

1.556,9

257,6

540,3

68,6

Valle d'Aosta

10

9

81,3

22,9

27,5

11,0

Veneto

34

26

1835,9

367,1

745,5

146,5

CENTRO-NORD

368

287

27.423,8

3.668,0

13.780,6

1.286,3

Abruzzo

45

41

1.121,8

700,3

378,4

228,9

Basilicata

40

27

2.046,4

777,3

522,7

116,6

Calabria

29

23

8.804,3

1.932,3

1.782,1

244,7

Campania

39

29

7.952,8

3.873,1

2.455,6

969,7

Molise

44

31

881,5

547,1

267,0

103,9

Puglia

50

29

5.498,9

3.191,7

1.137,1

295,2

Sardegna

44

27

4.859,3

1.748,0

1.552,3

373,2

Sicilia

45

37

12.245,2

4.614,2

2.525,9

558,6

MEZZOGIORNO

336

244

43.410,2

17.384,0

10.621,0

2.890,8

TOTALE

704

531

70.834,0

21.052,0

24.401,6

4.176,9

 


8.Il coordinamento della finanza pubblica

Uno degli elementi fondamentali dell’architettura finanziaria dei paesi decentralizzati e federali riguarda i meccanismi di coordinamento tra i diversi livelli di governo in relazione alle politiche di bilancio. In assenza di tali meccanismi la decentralizzazione può, infatti, determinare problemi definiti dalla letteratura come soft budget contraints, ossia situazioni in cui i governi locali tendono a sovra-spendere o ad aumentare il proprio livello di debito, contando sul salvataggio (bailout) del governo centrale. In tali situazioni, il costo di politiche fiscali non sostenibili a livello locale viene posto a carico dell’intera collettività nazionale. La letteratura economica sottolinea la necessità, nel disegnare una nuova architettura federale o decentrata, del rafforzamento dei meccanismi di coordinamento tra i diversi livelli di governo al fine di mantenere la disciplina fiscale. Nel corso del processo di decentramento in atto in Italia nell'ultimo decennio è più volte emersa l’esigenza di un coordinamento fra l’azione dei diversi attori che concorrono congiuntamente a determinare la politica economica del Paese.

 

Il secondo elemento che ha suggerito la necessità di un coordinamento rafforzato tra soggetti istituzionali è stata l'adesione dell'Italia al Patto Europeo di Stabilità e Crescita (PSC). Tale Patto, che, come è noto, impone vincoli specifici alla decisione di politica fiscale, fa riferimento al livello di indebitamento netto delle amministrazioni pubbliche, parametro che include sia il governo centrale, sia i governi locali. Poiché politiche fiscali sostenibili a livello locale sono un requisito essenziale per una sana e sostenibile politica fiscale a livello nazionale, il coinvolgimento delle autonomie risulta determinante. Infatti, poiché la responsabilità del rispetto dei predetti impegni è assunta in sede comunitaria dall’amministrazione centrale, emerge un problema di “azzardo morale” in relazione al grado di autonomia riconosciuta alle amministrazioni locali: queste ultime potrebbero infatti essere incentivate a spendere in deficit, visto che l’obbligo nei confronti della UE, e la correlata applicazione di sanzioni, grava sull’amministrazione centrale.

Nell'esperienza italiana, per indurre i diversi soggetti territoriali che compongono il sistema della finanza pubblica a comportamenti coerenti per il raggiungimento degli impegni comunitari, si è ricorso al Patto di stabilità interno. Ma l'attuazione dell'articolo 119 Cost., mediante attribuzione alle amministrazioni territoriali di risorse proprie in misura adeguata al finanziamento delle funzioni loro assegnate, rafforza l’esigenza di individuare sedi, procedure e strumenti di coordinamento che assicurino la convergenza delle diverse politiche, attuate a livello centrale e locale, verso obiettivi condivisi, salvaguardando al tempo stesso l’autonomia di ciascun comparto.

8.1Princìpi per il coordinamento delle relazioni finanziarie tra diversi livelli di governo

Nel disegno istituzionale che emerge dal Titolo V della Costituzione, lo Stato ha il compito di disegnare un sistema di finanza pubblica che garantisca il rispetto degli equilibri finanziari complessivi e che sia in grado di rispondere alle prescrizioni derivanti dalla sottoscrizione dei trattati internazionali relativi all'ingresso nell'Unione monetaria (Trattato di Maastricht)[126]. Da qui l'esigenza di regole di coordinamento della finanza pubblica tra i diversi livelli di governo finalizzate a garantire che il comportamento fiscale delle autonomie sia compatibile con il rispetto degli obiettivi che il Paese, nel suo complesso, deve raggiungere.

Sul governo centrale ricade, infatti, la responsabilità del rispetto degli impegni di bilancio assunti in sede europea; mentre alla determinazione del saldo di bilancio dell'intera pubblica amministrazione concorrono tutte le autonomie territoriali con le loro politiche di bilancio.

Il percorso di coordinamento presuppone una fase di programmazione della politica di bilancio, cioè la presentazione dell'analisi tendenziale delle grandezze di finanza pubblica, la definizione degli obiettivi di bilancio a livello aggregato, successivamente articolati per sottosettori istituzionali. Poiché il saldo complessivo delle Amministrazioni pubbliche corrisponde alla somma consolidata dei sottosettori istituzionali (Amministrazioni centrali, Amministrazioni locali ed Enti di previdenza), nell'ipotesi di un obiettivo di pareggio di bilancio complessivo l'eventuale disavanzo in un sottosettore deve essere compensato da un avanzo, dello stesso importo, in un altro sottosettore. La fase di programmazione avrebbe, quindi, lo scopo di verificare la coerenza degli obiettivi previsti per ciascun sottosettore alla luce degli obiettivi complessivi.

L'impegno di ciascun livello di governo dovrebbe, poi, proseguire con l'assunzione di misure idonee a realizzare gli obiettivi assunti. Più in concreto dovrebbero essere individuate formule di disciplina fiscale specifiche per ogni livello di governo che garantiscano la trasformazione degli obiettivi interni di bilancio in risultati compatibili con il rispetto dei target generali di politica di bilancio. Infine sarebbe necessario prevedere adeguati strumenti di monitoraggio per verificare in corso d'anno, e alla fine dell'esercizio, i risultati raggiunti.

 

L'articolo 15 del disegno di legge delega di attuazione dell'articolo 119 della Costituzione è dedicato ai princìpi del coordinamento e della disciplina fiscale. Pur evidenziando alcuni elementi fondamentali dell'attività di coordinamento, il testo non indica soluzioni istituzionali specifiche.

Nell'ambito dei criteri direttivi cui si devono uniformare i decreti che regoleranno i rapporti tra i diversi livelli di governo, si trova il principio del rispetto degli obiettivi a consuntivo, al fine di ispirare la gestione in corso d'anno al raggiungimento degli obiettivi della politica fiscale (comma 1, lett. b).

La delega introduce, altresì, la facoltà per le regioni di adattare le regole e i vincoli posti dal legislatore nazionale, differenziando le regole di evoluzione dei flussi finanziari dei singoli enti locali ricadenti nel proprio territorio, in relazione alle diversità delle situazioni finanziarie esistenti nelle diverse regioni (lett. c). Tale principio sembrerebbe sancire il ruolo della regione quale coordinatore della finanza locale, nonché di stanza di compensazione dei saldi finanziari degli enti locali appartenenti alle stesso ambito regionale[127].

Tra i princìpi per il coordinamento vi è la previsione di un sistema premiante a favore degli enti virtuosi e sanzionatorio per penalizzare quelli meno virtuosi (lett. d). Per questi ultimi, in particolare, gli strumenti individuati sono l’aumento delle aliquote al livello massimo indicato per l’autonomia impositiva, il blocco delle assunzioni e il divieto di effettuare spese discrezionali. Inoltre, il disegno di legge introduce meccanismi automatici sanzionatori a carico degli organi di governo e degli amministratori, con l’individuazione di casi di ineleggibilità nell’eventualità di dissesto finanziario.

L’efficacia e la credibilità dei meccanismi sanzionatori è collegata alla disponibilità di strumenti di monitoraggio. La tempestività e l’omogeneità dei dati consente di conoscere e correggere preventivamente andamenti indesiderati ed evitare l’applicazione delle sanzioni. In tal senso, sembrano andare le previsioni di cui all'articolo 4, relativo all'istituzione di una Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica, tra i cui compiti viene individuata l'adozione di misure idonee al rispetto degli obiettivi di finanza pubblica, nonché la verifica della loro attuazione.

 

L'organo istituito dall'articolo 4, che opera nell'ambito della Conferenza unificata, riunisce i rappresentanti dei diversi livelli istituzionali, fornendo altresì, alcune indicazioni sulle modalità e sull'oggetto del coordinamento. Ad esso viene, infatti, assegnato il compito di concorrere alla definizione degli obiettivi di finanza pubblica per comparto, anche in riferimento ai livelli della pressione fiscale e di indebitamento, e delle procedure per accertare eventuali scostamenti dagli obiettivi di finanza pubblica.

 

Il richiamo ai livelli della pressione fiscale e dell'indebitamento come possibili parametri a cui collegare gli obiettivi di finanza pubblica articolati per comparto sembra prefigurare, indirettamente, che la regola di coordinamento intergovernativo possa non limitarsi alla fissazione di un saldo, quanto investire altresì il volume di spesa in conto capitale e la pressione fiscale (e, quindi, congiuntamente al vincolo sul saldo, determinarsi in un vincolo alla crescita della spesa).

8.2   Il Patto di stabilità interno

Il coinvolgimento responsabile delle amministrazioni locali nel rispetto dei vincoli europei determina l’esigenza di definire regole stabili e condivise che determinino entità e modalità del concorso delle amministrazioni locali al miglioramento dei saldi di finanza pubblica. In Italia, a decorrere dalla legge finanziaria per il 1999 (legge n. 448 del 1998), tali regole sono state codificate nel cd. Patto di stabilità interno che vincola le regioni e le autonomie locali a concorrere alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica.

Le leggi finanziarie, a partire dal 2002, hanno chiarito che le regole del Patto di stabilità interno costituiscono principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica, ai sensi degli articoli 117, terzo comma, e 119, secondo comma, della Costituzione. Poiché la materia, analogamente all’armonizzazione dei bilanci pubblici, rientra tra quelle di competenza concorrente, spetta allo Stato la determinazione dei principi fondamentali e alle regioni la definizione della restante disciplina legislativa.

 

Omettendo in questa sede, per ragioni di spazio, una descrizione dell’attuale struttura del Patto di stabilità interno[128], vengono di seguito evidenziati alcuni profili problematici che emergono alla luce delle accresciute esigenze di autonomia finanziaria dei diversi livelli di governo in vista dell’attuazione del disegno di legge sul federalismo fiscale.

 

Con riferimento alle regioni, il mantenimento della formulazione del vincolo solo sul lato della spesa, oltre ad apparire difficilmente conciliabile con il principio di autonomia di bilancio, potrebbe avere effetti distorsivi rispetto all’obiettivo dell’ottimale allocazione delle risorse. Le regioni che dispongono di mezzi finanziari eccedenti i limiti di spesa imposti dal Patto si trovano, infatti, impossibilitate a disporre in merito al relativo utilizzo e quindi, in taluni casi, il raggiungimento dell’obiettivo di comparto comporta un immobilizzo di risorse. Al riguardo si osserva che può risultare difficile assicurare l’efficacia del vincolo in questione nel lungo periodo: le risorse congelate rimangono nella disponibilità delle regioni che potrebbero esercitare pressioni sull’Amministrazione centrale al fine di ottenerne lo sblocco. Peraltro, il vincolo in questione riguarda un segmento assai contenuto della spesa delle regioni, essendo esclusa, tra le altre voci, quella relativa alla spesa sanitaria. In proposito andrà considerato se, in un’ottica di accresciuta autonomia di bilancio delle regioni, sia o meno opportuno mantenere vincoli differenziati - comprensibili nel quadro attuale per le peculiari modalità di finanziamento della spesa sanitaria - sui diversi comparti di spesa che fanno capo alla responsabilità del medesimo ente amministrativo, anche alla luce dell’assenza di vincoli di destinazione delle risorse finanziarie a disposizione delle regioni.

Con riferimento agli enti locali, aspetti problematici vengono evidenziati in relazione alla formulazione dei vincoli sui saldi di bilancio in termini differenziali rispetto a risultati ottenuti in esercizi pregressi. A riguardo sono ipotizzabili effetti distorsivi di diverso genere: in primo luogo, in termini generali, tale formulazione tende a penalizzare le amministrazioni più efficienti che, avendo ottenuto in passato buoni risultati di bilancio, si vedono vincolate a conseguire risultati comparativamente migliori rispetto ad amministrazioni meno efficienti, il cui obiettivo finanziario risente di una base di partenza meno virtuosa. In secondo luogo, si pone l’esigenza di sterilizzare eventuali situazioni straordinarie verificatesi negli anni pregressi, che vengono invece “cristallizzate” nella misura in cui tali esercizi sono presi come base di riferimento per la costruzione dell’obiettivo di bilancio. In terzo luogo, l’esigenza di migliorare progressivamente risultati precedentemente raggiunti conduce a determinare, nel tempo, almeno per una parte delle amministrazioni locali, l’esposizione di posizioni di avanzo di dimensioni crescenti. Andrebbe approfondita l’opportunità di richiedere a enti con autonomia finanziaria di esporre obbligatoriamente avanzi di bilancio, sia perché ciò potrebbe dar luogo a risparmi solo transitori (si veda il già accennato rischio di pressioni perché si consenta di utilizzare gli avanzi), sia perché tale soluzione implica un’allocazione inefficiente di risorse tra amministrazione centrale, in deficit, e amministrazioni locali, con avanzi immobilizzati.

Più in generale, si avverte l’esigenza di una riflessione sul tema di quale sia la ripartizione ottimale dell’avanzo primario fra i diversi comparti delle amministrazioni pubbliche. Il nostro sistema di conti pubblici sconta la presenza di un ingente spesa per interessi, dovuta allo stock di debito pubblico accumulato in esercizi pregressi, che ci costringe ad esporre annualmente posizioni di avanzo primario (eccedenza delle entrate rispetto alle spese al netto di quella per interessi) con cui finanziare la spesa per interessi. In un contesto di progressiva attribuzione alle amministrazioni locali di quote crescenti del bilancio pubblico, sia sul lato della spesa primaria che delle entrate tributarie, emerge il quesito se sia opportuno che esse siano chiamate a concorrere, in proporzione alla quota di risorse pubbliche da loro gestite, alla formazione dell’avanzo primario. In caso contrario infatti, l’amministrazione centrale potrebbe incontrare difficoltà crescenti a produrre l’intero avanzo primario necessario a finanziare la spesa per interessi, in presenza di una progressiva riduzione della quota di risorse pubbliche da essa gestite e dato il carattere in qualche misura esogeno ed obbligatorio delle spese non attribuite a livello territoriale (quale la spesa pensionistica). Peraltro, poiché la funzione dell’avanzo primario è quella di reperire risorse da destinare al pagamento della spesa per interessi, posizioni di avanzo prodotte da amministrazioni diverse da quella che sostiene effettivamente la spesa per interessi (attualmente quasi integralmente a carico dell’amministrazione centrale) determinerebbe una mera compensazione contabile tra il deficit dell’amministrazione centrale e l’avanzo delle amministrazioni locali, che resterebbero di fatto titolari delle proprie risorse eccedentarie (si ricorda infatti che, con il previsto superamento della tesoreria unica, l’eccedenza di risorse delle amministrazioni locali non concorrerebbe, nemmeno in termini di cassa, al finanziamento della spesa per interessi). Diverso sarebbe invece il caso qualora si prevedesse l’effettivo concorso delle amministrazioni territoriali, con propri contributi, al finanziamento della spesa per interessi sostenuta dall’amministrazione centrale. In tale ultimo caso emergerebbe l’esigenza di individuare un criterio per la ripartizione della spesa per interessi tra comparti di governo e, nell’ambito della quota attribuita alle amministrazioni locali, un criterio di attribuzione territoriale dell’onere. Nel determinare la quota di spesa per interessi da attribuire alle amministrazioni locali andrebbe in ultimo considerato che queste ultime, in particolare i comuni, sostengono storicamente, rispetto all’amministrazione centrale, una quota proporzionalmente più elevata della spesa in conto capitale e meno elevata della spesa corrente primaria. Poiché l’avanzo primario deriva interamente dalla gestione corrente (chiamata a finanziare sia il disavanzo della gestione in conto capitale che la spesa per interessi), è nell’ambito della ripartizione della gestione corrente fra diversi livelli di governo che potrebbe essere elaborato un criterio di attribuzione di obiettivi in termini di avanzo primario e di concorso al finanziamento della spesa per interessi.

Fra gli altri aspetti problematici, connessi a profili di incoerenza tra gli attuali vincoli e le esigenze derivanti dal futuro assetto federale della finanza territoriale, sono stati, in particolare, segnalati:

§      l’esigenza di superare il divieto all’utilizzo della leva fiscale locale, la cui manovrabilità costituisce un aspetto centrale dell’autonomia finanziaria. L’eventuale rinuncia all’utilizzo di tale leva non può che basarsi sulla condivisione di obiettivi comuni ritenuti prioritari e definiti mediante intese nelle sedi preposte al coordinamento delle politiche fiscali;

§      l’attuale definizione del saldo in termini di competenza mista fa sì che non sia assoggettata ad alcun vincolo l’assunzione di impegni per la spesa in conto capitale. Qualora gli amministratori non mantengano un profilo degli impegni compatibile con la futura applicazione dei vincoli, operanti al momento erogazioni per cassa, possono generarsi situazioni in cui il rispetto del vincolo sia materialmente reso impossibile dall’esistenza di impegni pregressi sui quali, in fase di pagamento, gli amministratori non dispongono di margini di manovrabilità;

§      l’opportunità di affiancare, agli obiettivi di contenimento del deficit, la definizione di obiettivi di riqualificazione della spesa, al fine di evitare che il perseguimento dei necessari equilibri finanziari da parte delle amministrazioni locali si traduca in un’eccessiva compressione della spesa in conto capitale;

§      l’opportunità di includere tra gli enti partecipanti al Patto i comuni con popolazione inferiore ai 5 mila abitanti, che rappresentano circa il 15 per cento della spesa complessiva;

§      l’esigenza di estendere il controllo pubblico alle dinamiche finanziarie di soggetti privati, esclusi dal comparto della PA, ma facenti sostanzialmente capo, per proprietà societaria o per rapporti contrattuali, ad amministrazioni locali, al fine di evitare forme di esternalizzazione ad elevato rischio di ricaduta sulla finanza pubblica;

§      l’opportunità di introdurre regole atte ad incentivare forme di valorizzazione del patrimonio delle ammini­strazioni pubbliche e ad impedirne il depauperamento per finanziare iniziative di natura corrente o per conseguire i previsti obiettivi di saldo in alternativa ad altre politiche di bilancio di carattere più strutturale.

8.3   Il coordinamento della spesa in conto capitale

Per quanto riguarda la spesa in conto capitale delle autonomie locali, si osserva che esistono differenze tra la disciplina fiscale europea (Patto di Stabilità e Crescita) e regole interne. Infatti, l'art. 119 della Costituzione, al comma 6, recita che i Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni possono ricorrere all'indebitamento solo per finanziare le spese di investimento. Il comma introduce, quindi, una regola fiscale del tipo golden rule[129] per le autonomie territoriali, ponendo limiti precisi alla possibilità di indebitamento degli enti decentrati, con riferimento unicamente alle spese per investimento, e prevedendo di riflesso l'equilibrio di bilancio relativamente alla parte corrente. La disposizione costituzionale detta, quindi, una regola fiscale non completamente allineata con quella europea, che fa perno sull'equilibrio complessivo del bilancio.

Il coordinamento della finanza pubblica implica, quindi, il disegno di regole fiscali che raccordino la disciplina fiscale interna e quella esterna; cioè, la definizione di regole che permettano agli enti territoriali il ricorso all'indebitamento, compatibilmente con il rispetto dei vincoli sul saldo complessivo a cui lo Stato si è impegnato con l’Unione europea.

Infatti all’aumentare del ricorso da parte degli enti all’indebitamento diminuiscono i margini di compatibilità del loro comportamento fiscale con gli obiettivi generali. Il riscorso all'indebitamento genera infatti entrate di natura finanziaria utilizzabili per finanziare le spese in conto capitale lasciando inalterato il saldo complessivo di bilancio. La stessa operazione osservata secondo i canoni stabiliti per il rispetto degli obiettivi europei, determina, invece, uno squilibro del saldo di riferimento (indebitamento netto), che viene definito al netto delle operazioni di natura finanziaria.

 

Un sistema di disciplina fiscale tra livelli di governo che si fonda sulla regolamentazione delle fonti di finanziamento della spesa in conto capitale è stato proposto in alcuni studi recenti[130]. La proposta prevede la ripartizione del volume di indebitamento attribuito a ciascun livello di governo in quote assegnate alle singole unità del sottoinsieme e la facoltà per le stesse unità istituzionali di scambiarsi i permessi di indebitamento loro assegnati mediante libera contrattazione. Questo modello di regolazione garantisce flessibilità alle singole unità istituzionali, riconoscendo alle stesse autonomie margini di manovra nel bilancio per far fronte a particolari esigenze del territorio o ad eventi imprevisti. Ciò permetterebbe il ricorso all'indebitamento per il finanziamento della spesa in conto capitale, entro limiti predeterminati e fissati in coerenza con il raggiungimento degli obiettivi nazionali.

Il modello presenta, però, alcuni svantaggi evidenziati dalla letteratura che lo rendono di difficile realizzazione. Tali difficoltà si collegano, ad esempio, alla mancanza di criteri oggettivi in base ai quali effettuare la distribuzione iniziale dei permessi di deficit, e alla necessità di regolare lo scambio dei permessi intervenendo sul libero meccanismo di formazione del prezzo nel mercato dei permessi. Infatti, per indurre soggetti con elevato stock di debito accumulato a limitare la domanda di permessi di indebitamento, migliorando così la loro posizione fiscale, sarebbe necessario un intervento esterno al mercato finalizzato a fissare un prezzo che cresce più che proporzionalmente all’aumentare dell'esposizione debitoria del soggetto acquirente.

8.4   Il coordinamento della finanza pubblica: un confronto europeo

Nei paesi europei, a seguito del processo di unificazione monetaria codificato nel Trattato di Maastricht, il problema del coordinamento interno è diventato ancora più rilevante.

Il problema del coordinamento interno è accentuato dalla presenza di golden rules previste dalla Costituzione di alcuni paesi europei, tra cui l’Italia, in relazione alle amministrazioni territoriali[131]. Poiché il Patto di Stabilità e Crescita europeo, al contrario, non prevede alcuna golden rule, per alcuni paesi si pone quindi un conflitto potenziale tra la norma costituzionale, meno stringente, e il Patto che impone vincoli più stringenti a livello nazionale.

 

Al fine di facilitare il rispetto della disciplina di bilancio imposta dal PSC, molti paesi europei si sono dotati negli anni ’90 di patti interni di stabilità. Essi possono essere di tipo hard (legalmente vincolanti), oppure soft (ossia basati sulla reputazione). Una delle regole più diffuse nei patti interni è il vincolo di pareggio di bilancio a livello locale, ma molti paesi impongono anche vincoli sul debito o sulla crescita della spesa[132].

La Tabella seguente, tratta da uno studio dell’OCSE del 2003, illustra i meccanismi di coordinamento in quattro paesi europei, Belgio, Germania, Spagna e Italia. Come si vede, il Belgio, esempio recente di decentralizzazione e la Germania, stato federale dalla nascita, utilizzano un approccio cooperativistico, nel quale i governi locali sono attivamente coinvolti nel formulare obiettivi macroeconomici e target di finanza pubblica. Spagna e Italia invece seguono un approccio basato su regole fiscali, che sono imposte ai governi sub-nazionali dalla Costituzione o dalle legge. In tutti questi paesi esistono inoltre vincoli all’indebitamento dei governi locali, sotto forma di golden rule, oppure sotto forma di approvazione da parte del governo centrale. Per quanto riguarda gli strumenti per imporre il rispetto degli impegni fiscali (enforcement), in tutti i paesi vi sono meccanismi che si basano sul confronto tra soggetti appartenenti allo stesso settore istituzionale (peer pressure), rinforzati da sanzioni finanziarie o amministrative. Nelle comparazioni internazionale, Belgio e Spagna risulterebbero due casi di successo del processo di decentramento. I due paesi sono riusciti a condurre un processo di progressivo decentramento, pur proseguendo nel cammino di consolidamento della finanza pubblica. In Germania, invece, le caratteristiche del federalismo fiscale, cosi come definito dalla Costituzione federale, hanno reso difficili le politiche di risanamento finanziario a tutti i livelli di governo[133].

 

Tabella 1 - Framework fiscale a livello sub-nazionale in Spagna, Germania, Belgio e Italia

 

Paese

Tipo di coordinamento

Regole per l’indebitamento

Meccanismi di enforcement.

 

Belgio

Presenza di target per il saldo di bilancio e la crescita delle spese per I differenti livelli di governo.

Regioni e comunità possono ricorrere al debito con l’autorizzazione del governo centrale.

 

Peer-pressure e sanzioni amministrative.

 

Germania

Approccio cooperativo. Esiste un patto di stabilità interno.

Golden rule per la maggior parte dei Länder; per le municipalità golden rule e approvazione del governo regionale.

 

Peer-pressure. Il Financial Planning Council monitora gli sviluppi fiscali ad ogni livello di governo e fa raccomandazioni in caso di non rispetto degli impegni, al fine di reintrodurre la disciplina di bilancio.

 

Italia

Regola fiscale. Un patto interno stabilisce tetti sulla spesa e/o sul deficit dei governi sub-nazionali.

 

Golden rule per le regioni e enti locali.

Peer- pressure e sanzioni, il patto richiede consultazioni tra i livelli di governo.

 

 

Spagna

Regola fiscale. Vincolo del pareggio del saldo di bilancio per tutti I livelli di governo.

Il ricorso al debito è soggetto a golden rule e autorizzazione ministeriale, dipendendo dal peso del servizio del debito.

 

Sanzioni amministrative.- un piano di rientro è richiesto per tutte le giurisdizioni che sforano- e sanzioni finanziarie.

Le sanzioni comminate dal Consiglio dell’Unione europea sono condivise con tutte le giurisdizioni che hanno violato gli impegni.

 

Fonte:   OECD , Fiscal Relations Across Levels of Government (2003), ripreso da Ambrosanio e Bordignon (2007).

 

Da un confronto tra le esperienze dei quattro paesi, si possono trarre alcune indicazioni.

In primo luogo, la necessità di introdurre procedure per il coordinamento delle politiche di bilancio è tanto più forte quanto più il sistema è decentrato, ossia quanto maggiore è la quota della spesa pubblica decisa a livello locale.

Istituzioni intergovernative ed entità indipendenti, come l’High Finance Council[134] in Belgio, svolgono un ruolo importante nel processo di coordinamento delle politiche.

Inoltre, i patti interni di stabilità dovrebbero essere strutturati in modo da consentire una valutazione pluriennale delle performances fiscali, con attenzione al saldo complessivo di bilancio. Ciò permetterebbe una maggiore omogeneità con la struttura del PSC, che impone una valutazione pluriennale delle performances fiscali fondata sul saldo complessivo di bilancio. E’ utile osservare che il patto interno spagnolo soddisfa questi due requisiti.

Il monitoraggio e l’enforcement dei patti interni richiedono la fissazione di obiettivi quantitativi per aggregati finanziari definiti in senso ampio. L’assenza di target quantitativi rende non monitorabile la performance dei governi locali e il grado di rispetto (compliance) degli impegni sottoscritti.

L’attività di monitoraggio deve essere continua, possibilmente su base mensile, come mostra l’esperienza di successo del Belgio, e ciò a sua volta richiede che siano presenti meccanismi per la raccolta delle informazioni da trasmettere a livello centrale, laddove verranno successivamente assunti i correttivi in caso di sforamento.

Infine, il patto interno richiede la definizione ex-ante di sanzioni credibili, commisurate all’entità della violazione, da applicare in caso di sforamento. Sanzioni troppo dure, e pertanto non facilmente applicabili, risultano essere non credibili. E’auspicabile inoltre che le sanzioni riguardino anche gli amministratori locali e non solo i contribuenti residenti nel territorio, su cui ricade l’incremento più o meno automatico dell’imposizione fiscale in caso di mancato rispetto degli impegni.

8.5   L'armonizzazione dei bilanci pubblici

Il tema dell’armonizzazione dei bilanci, dei principi e dei criteri contabili assume uno specifico rilievo in vista dell’attuazione di un modello organizzativo della P.A. articolato su livelli di governo decentrati caratterizzati da un’estesa autonomia finanziaria. Appare infatti essenziale un maggior grado di omogeneità, trasparenza e confrontabilità nella rappresentazione dei dati e dei flussi finanziari, anche al fine di monitorare, misurare e valutare l’impatto delle scelte programmatorie e gestionali effettuate dalle autonomie territoriali. Tale esigenza si fa ancor più sentita in ragione dei vincoli finanziari derivanti dal “Patto di stabilità e crescita” europeo: essendo i principali parametri europei (indebitamento netto e debito) riferiti alla Pubblica Amministrazione nel suo complesso, al conseguimento degli obiettivi di bilancio devono concorrere anche gli enti e gli organismi a finanza derivata, i cui sistemi contabili dovrebbero pertanto consentire un più agevole monitoraggio dei conti, Il sistema di regole contabili europee SEC 95 si ispira infatti ai principi della contabilità economica, mentre le regole interne fanno riferimento alla contabilità finanziaria, sicché l’armonizzazione dei bilanci renderebbe tra l’altro più agevole l’opera di consolidamento dei conti pubblici e i necessari raccordi tra i due sistemi di rilevazione contabile.

La mancata standardizzazione degli schemi di rappresentazione contabile dei bilanci consuntivi di regioni e province autonome, oltre a rendere assai difficoltosi i confronti tra le singole regioni, costituisce un fattore di debolezza ai fini della costruzione dei conti economici secondo le regole europee del SEC 95, facendo gravare sull’Istituto Nazionale di Statistica (ISTAT) un notevole onere di riclassificazione delle poste contabili della maggior parte degli enti.[135] Tali criticità non si limitano al piano della classificazione economica, ma attengono anche alla classificazione funzionale della spesa, per la quale la mancanza di criteri omogenei riconducibili alla classificazione europea COFOG (classificazione funzionale prevista dal SEC 95), oltre a rendere più complessa l’aggregazione dei dati a livello nazionale, ne compromette l’utilizzo ai fini della valutazione delle politiche di spesa regionali relative alla distribuzione delle risorse nei diversi settori di intervento.

Diversa appare la situazione per gli enti locali, nei quali, con l’entrata in vigore del D.P.R. 194/96 e del successivo decreto di attuazione del 24/11/98, sono stati adottati schemi di consuntivo omogenei (certificati di consuntivo oggetto di rilevazione da parte del Ministero dell’interno) tali da consentire una rappresentazione di entrate e spese per competenza e per cassa secondo schemi standard. Anche in tal caso, tuttavia, si presenta l’inconveniente di un disallineamento tra la classificazione economica prevista dallo schema di certificato consuntivo e quella del SEC 95. A ciò si aggiunga come il proliferare di esternalizzazioni attraverso la costituzione di aziende partecipate dagli enti territoriali, ponga il problema della costruzione di un bilancio consolidato per gli enti territoriali che rappresenti la situazione contabile delle società e aziende partecipate degli enti locali, stante la rilevanza delle spese di queste ultime, anche al fine di appurare la qualificazione giuridica di tali aziende con riferimento ai principi contabili comunitari di discriminazione tra aziende pubbliche market e non market (queste ultime da ricomprendere nel perimetro della P.A. a prescindere dalla loro veste giuridica privatistica).

In un’ottica più ampia, il tema dell’armonizzazione contabile appare strettamente connesso con quello della trasparenza nella produzione e nella conoscibilità dei dati di finanza pubblica e della loro tempestiva disponibilità. L’attuazione del federalismo fiscale richiede infatti un circuito informativo e una base di dati contabili condivisa relativa agli andamenti della finanza territoriale che costituisca un riferimento comune per tutti gli attori. L’analisi della spesa storica, l’individuazione dei fabbisogni sulla base di costi standard così come, ad esempio, l’individuazione di adeguati meccanismi di perequazione delle risorse, postula un’armonizzazione dei bilanci pubblici tale da consentire una piena confrontabilità e aggregabilità delle poste di bilancio dei diversi enti.

 

Il tema dell’armonizzazione dei dati contabili non è specificamente affrontato nel provvedimento in esame, in quanto, data l’importanza di tale tema e il suo carattere procedurale, esso sarà presumibilmente oggetto di un apposito progetto di legge[136]. Nondimeno il provvedimento attualmente in esame contiene alcune disposizioni riconducibili alla tematica in questione. In particolare, la previsione contenuta nell’art. 3 - che individua nella Commissione paritetica per l’attuazione del federalismo fiscale la sede di condivisione delle basi informative e finanziarie e prevede che le diverse amministrazioni siano tenute a fornire i necessari elementi informativi - rende evidente che la disponibilità di dati omogenei costituisce una precondizione per l’avvio del processo di decentramento. Pertanto è da ritenersi che la revisione delle procedure contabili possa costituire uno step iniziale nella tempistica di attuazione del processo in atto. Parallelamente, anche a partire dai dati esistenti, necessariamente disomogenei in quanto frutto di sistemi contabili non armonizzati, si rende necessaria l’elaborazione di procedure di riclassificazione e armonizzazione al fine di disporre di una base statistica rappresentativa della situazione iniziale sulla quale operare le elaborazioni necessarie per la prima attuazione del processo in atto. Quindi, accanto alla predetta revisione delle procedure contabili, il citato art. 3 sembra attribuire carattere prioritario all’esigenza di elaborare una base dati che coordini le informazioni disponibili, anche mediante l’indicazione di raccordi di base, in modo da comporre un quadro informativo quanto più possibile coerente ed esaustivo, pur nei limiti consentiti dalla eterogeneità dei dati disponibili.


9.Il finanziamento delle regioni nel ddl delega

Il paragrafo che segue presenta una formalizzazione dei criteri indicati nel ddl per il finanziamento a regime delle regioni.

Il ddl delega stabilisce che le regioni dispongono di tributi e compartecipazioni al gettito dei tributi erariali in grado di finanziare le spese derivanti dall'esercizio delle funzioni nelle materie di loro competenza (art 5, lett. a). Le modalità di attribuzione alle regioni del gettito dei tributi regionali e delle compartecipazioni sono definite in conformità al principio di territorialità.

 

La regionalizzazione delle entrate pone rilevanti problemi tecnici, anche legati alla disponibilità degli elementi informativi. Pur in presenza delle citate indicazioni relative ai parametri per la regionalizzazione, il processo può portare a differenze di valori a seconda delle ipotesi tecniche adottate.

Per maggiori approfondimenti si veda il capitolo 5.

 

Il calcolo del volume di risorse da assegnare alle regioni segue regole differenziate a seconda della natura delle funzioni svolte. Individuate le risorse, viene confermata l'assenza del vincolo di destinazione. In particolare, sono identificate (art. 6, lett. a):

1.      spese riconducibili alle funzioni essenziali (ai sensi dell'art. 117 Cost., secondo comma, lettera m). Rientrano tra esse la sanità, l'assistenza e l'istruzione;

2.      altre funzioni;

3.      spese finanziate con i contributi speciali (come regolati dall'art. 119 Cost., quinto comma, e disciplinati dall'art. 14 della delega).

 

Viene prevista l'istituzione di un fondo perequativo, la cui entità viene determinata in base a due criteri differenziati, ancora una volta a seconda della natura delle funzioni finanziate (art. 7, lett. a), risultando in particolare alimentato dal gettito prodotto da una compartecipazione all'IVA per le spese di cui al punto 1, nonché dal gettito delle addizionali/riserva di aliquota per le spese di cui al punto 2.

 

Le modalità di finanziamento della spesa per trasporto pubblico locale sono trattate separatamente (art. 6, lett. c). L'attuazione della delega richiederebbe qualche indicazione aggiuntiva sui criteri di finanziamento e in particolare l'indicazione di quale modello di perequazione si prevede per tale tipo di funzioni.

9.1   Il finanziamento delle funzioni essenziali

Le spese connesse con le funzioni di cui al punto 1 (da ora in poi Funzioni 1) sono determinate nel rispetto dei costi standard associati ai livelli essenziali delle prestazioni (art. 6, lett. b).

 

Il finanziamento parametrato ai fabbisogni corrispondenti ai livelli essenziali delle prestazioni la valutazione di tali livelli al costo standard implica complesse analisi, sia in relazione alla definizione dei fabbisogni e dei relativi costi standard, sia in merito alla scelta sui livelli essenziali delle prestazioni. In alcuni settori quali la sanità, peraltro si tratta di concetti già presenti nell'ordinamento. Per maggiori approfondimenti, si rinvia al capitolo 4.

 

Tali funzioni sono finanziate con il gettito (valutato ad aliquota e base imponibile uniformi) di tributi regionali, dall'addizionale (o riserva di aliquota) dell'IRE e dalla compartecipazione all'IVA, in via temporanea dall'IRAP, nonché da quote di fondo perequativo. Il complesso delle risorse così acquisite deve garantire, in ciascuna regione, il finanziamento integrale delle Funzioni 1 (art. 6, lett. d).

I criteri per il calcolo delle aliquote dell'addizionale IRE e della compartecipazione IVA, nonché del fondo perequativo, partono dal principio che le aliquote dei tributi e delle compartecipazioni sono determinate al livello minimo sufficiente ad assicurare il pieno finanziamento (dei livelli essenziali, valutati al costo standard) in almeno una regione (art. 6, lett. g).

 

La dizione "almeno una regione" comprende numerose opzioni che possono essere sintetizzate nelle seguenti:

1.      l'aliquota viene determinata in modo tale da coprire il fabbisogno di una sola regione, quindi della regione più ricca (CASO A):

2.      l'aliquota viene determinata in modo tale da coprire il fabbisogno di più regioni (CASO B).

 

Prescelta la regione che funge da parametro di riferimento, possono essere individuate le aliquote di addizionale e compartecipazione, la loro applicazione alla base imponibile/gettito regionalizzato delle altre regioni, implica l'individuazione delle risorse assegnate a ciascuna regione. La differenza tra risorse assegnate sulla base delle aliquote così determinate e fabbisogni regionali determina la quota di fondo perequativo di competenza di ciascuna regione.

 

Per semplicità si ipotizzi che il paese sia formato da 5 regioni (elencate in ordine decrescente, in base ai valori pro-capite di base imponibile IRE), che presentano una determinata distribuzione di basi imponibili IRE pro capite (IMP_IRE), gettito IVA pro capite (GETT_IVA), gettito pro capite degli altri tributi (ALTRO) e fabbisogni pro capite di spesa (FABB) (dove i totali di colonna rappresentano i valori medi nazionali delle rispettive variabili):

 

 

IVA

IRE

ALTRO

Fabbisogni

(livelli essenziali ai costi standard)

Regione A

Regione B

Regione C

Regione D

Regione E

 

GETT_IVA

IMP_IRE

ALTRO

FABB

 

 

IL CASO A

 

Nel Caso A le aliquote di compartecipazione/addizionale sono parametrate in modo tale da coprire il fabbisogno di una sola regione, cioè della regione A. Deriva quindi:

 

 

Che esplicitando per individuare l'aliquota di compartecipazione all'IVA:

 

 

Equazione da cui possono essere individuati "infiniti" set di aliquota di compartecipazione all'IVA (alIVA) e di addizionale IRE (alIRE1) che soddisfano la precedente equazione. Fissata la composizione del finanziamento, ovvero una delle due aliquote, risulta determinata l'altra.

Definite in tal modo le aliquote di compartecipazione all'IVA e di addizionale all'IRE, è possibile determinare, sulla base delle basi imponibili e dei gettiti regionalizzati, le risorse assegnate a ciascuna regione per il finanziamento delle Funzioni 1: la Regione i riceverà, a titolo di compartecipazione all'IVA (COMP_IVAi), un importo corrispondente al proprio gettito IVA regionalizzato moltiplicato per l'aliquota di equilibrio precedentemente determinata. Analogamente, riceverà a titolo di addizionale IRE (ADD_IRE_1i) una quota pari alla propria base imponibile moltiplicata per l'aliquota di equilibrio.

 

 

E in particolare:

 

 

IVA

IRE

Regione A

Regione B

Regione C

Regione D

Regione E

 

COMP_IVA

ADD_IRE_1

 

Il calcolo del Fondo perequativo per le Funzioni 1 (FP1) tiene conto delle risorse già assegnate e dei fabbisogni. Infatti il Fondo deve finanziare integralmente la differenza tra fabbisogno finanziario corrispondente ai livelli essenziali (calcolato ai costi standard) e gettito regionale dei tributi (standardizzato e al netto della emersione) (7, lett. c). In termini aggregati il Fondo viene determinato in modo tale da soddisfare la seguente relazione:

 

 

Il Fondo viene alimentato da una ulteriore compartecipazione all'IVA (7, lett. a), configurando in tal modo un modello perequativo verticale. Dalla equazione precedente si ricava il valore dell'aliquota di compartecipazione IVA (alIVAf ) che, applicata al gettito IVA, è capace di generare un volume di risorse equivalente:

 

 

La scelta della forma di finanziamento del fondo perequativo (compartecipazione ulteriore al gettito IVA) risulta, di fatto, non rilevante ai fini della distribuzione delle risorse, in quanto tale fondo non viene ripartito sulla base del criterio di territorialità proprio della fonte di finanziamento, ma sulla base della distribuzione territoriale dei fabbisogni e del divario di risorse rispetto alle entrate assegnate.

 

La determinazione dell'accesso al FP per ciascuna regione avviene sulla base dei criteri di integrale copertura dei fabbisogni. Per definizione la regione A non accede al fondo, mentre le altre vi accederanno per le rispettive differenze tra fabbisogni e risorse assegnate.

Da notare che la scelta di una composizione di finanziamento più centrata sull'addizionale IRE piuttosto che sulla compartecipazione IVA, comporterà (a causa della maggiore sperequazione dell'imposta) una diversa entità complessiva del Fondo perequativo e quote di accesso superiori per le regioni con reddito pro capite inferiore.

 

 

FONDO PEREQUATIVO F1

Regione A

= 0

Regione B

Regione C

Regione D

Regione E

 

FP1

 

IL CASO B

 

Per il finanziamento delle Funzioni 1, la delega lascia aperta la possibilità che le aliquote di compartecipazione/addizionale siano fissate in modo tale da finanziare integralmente i fabbisogni di più regioni.

Nell'ipotesi che si vogliano coprire integralmente i fabbisogni di 3 regioni (nell'esempio le regioni A, B e C), le aliquote di compartecipazione e addizionale dovrebbero essere fissate prendendo come riferimento il fabbisogno della regione C:

 

 

Che esplicitando per individuare l'aliquota di compartecipazione all'IVA:

 

 

Analogamente al Caso A da tale equazione possono essere individuati "infiniti" set di aliquota di compartecipazione all'IVA (alIVA) e di addizionale IRE (alIRE1) che soddisfano i principi di delega. Fissata una di esse, ne risulta individuata la seconda; applicando le aliquote così determinate alle basi imponibili e ai gettiti regionalizzati, si individua la quota di risorse assegnata a ciascuna regione per il finanziamento delle Funzioni 1. Il calcolo del Fondo perequativo per le Funzioni 1 (FP1) avviene come nel Caso A, tenendo conto delle risorse già assegnate e dei fabbisogni.

 

La differenza rispetto al Caso A consiste nel fatto che, secondo tale schema, la regione A e B avranno, verosimilmente, risorse superiori a quelle necessarie a coprire i propri fabbisogni; la regione C avrà - per definizione - risorse sufficienti a coprire i propri fabbisogni; le restanti regioni avranno risorse inferiori a quelle necessarie a coprire i propri fabbisogni e quindi accederanno al fondo perequativo. A parità di fabbisogni, tale opzione comporta l'attribuzione di un ammontare complessivo di risorse alle regioni maggiore rispetto al precedente: infatti, mentre le regioni C, D ed E ricevono un ammontare di risorse identico in entrambi i casi, le regioni A e B ricevono, nel secondo caso, un ammontare di risorse superiore.

 

Anche in questo caso la determinazione dell'accesso al FP per ciascuna regione avviene sulla base dei criteri di integrale copertura dei fabbisogni, laddove non risultino sufficienti le risorse assegnate come addizionali o compartecipazioni. La regione di riferimento e quelle con reddito pro capite più alto non accederanno al fondo (Regioni A, B e C), mentre le altre vi accederanno per le rispettive differenze tra fabbisogni e risorse assegnate[137].

 

 

FONDO PEREQUATIVO F1

Regione A

= 0

Regione B

= 0

Regione C

= 0

Regione D

Regione E

 

FP1

 

Dati necessari per sviluppare tale analisi:

 

§      definizione delle funzioni che rientrano nella qualifica di cui alla lettera m) dell'articolo 117, comma 2 Cost.;

§      definizione dei fabbisogni corrispondenti ai livelli essenziali valutati ai costi standard e loro regionalizzazione;

§      basi imponibili regionalizzate dell'IRE;

§      gettito regionalizzato (standardizzato) dell'IVA;

§      gettiti regionalizzati dell'IRAP e degli altri tributi propri.

9.2   Il finanziamento delle altre funzioni

Spese di cui al n. 2 (da ora in poi Funzioni 2) sono finanziate con tributi propri e quote del fondo perequativo (art. 6, lett. e). L'importo complessivo dei trasferimenti destinati a finanziare tali funzioni è sostituito dal gettito derivante dall'aliquota media di equilibrio dell'addizionale regionale all'IRPEF, aliquota fissata in modo tale da assicurare al complesso delle regioni un ammontare di risorse tale da pareggiare l'importo dei trasferimenti soppressi (art. 6, lett. h).

 

L'aliquota dell'addizionale IRE destinata a finanziare le Funzioni 2 viene quindi determinata in modo tale da identificare l'equilibrio tra nuove risorse assegnate e trasferimenti soppressi:

 

 

Che esplicitata:

 

 

Si segnala che tale percorso di determinazione delle risorse potrebbe portare ad assegnare alle regioni risorse inferiori a quelle attualmente destinate a finanziare le Funzioni 2, nella misura in cui il vigente volume di spesa per tale tipologia di attività si è finanziato con tributi propri (che nel modello della delega sono destinati ad entrare integralmente nel calcolo della componente riconducibile alle Funzioni 1).

 

L'individuazione di tale ulteriore aliquota di addizionale IRE consente di individuare il gettito assegnato a ciascuna regione per il finanziamento delle Funzioni 2, che sarà pari all'aliquota moltiplicata per la base imponibile regionalizzata. Per ciascuna regione si avrà:

 

 

Anche per le risorse che finanziano le Funzioni 2, il ddl delega prevede un meccanismo di perequazione, in questo caso parametrata alle capacità fiscali. In particolare, le regioni con gettito per abitante superiore alla media nazionale non partecipano alla ripartizione del fondo; quelle con gettito inferiore alla media partecipano al fondo alimentato da una quota del gettito prodotto nelle altre regioni, al fine di ridurre le differenze interregionali di gettito (art. 7, lett. f), nonché per compensare dal fattore dimensionale, per regioni con popolazione al di sotto di una certa soglia.

 

Si tratterebbe, quindi, di un modello orizzontale, in base al quale le regioni alimentano il (o accedono al) Fondo se il proprio gettito pro capite è superiore (inferiore) alla media. Il Fondo viene alimentato con una quota del gettito assegnato alle regioni con imponibile pro capite superiore alla media (-Qi) e le regioni con imponibile inferiore alla media vi accedono nel limite delle risorse messe a disposizione dalle altre regioni (+Qi).

 

 

 

Finanziamento Funzioni 2

Regione A

Regione B

Regione C

Regione D

Regione E

 

E in cui:

 

e

 

La quota di partecipazione al fondo perequativo assume pertanto valore positivo o negativo a seconda che la base imponibile pro capite IRE si collochi sopra o sotto la media nazionale.

Per la determinazione dei parametri Qi il ddl delega fa riferimento alle capacità fiscali e, per l'accesso al fondo, tiene conto anche di fattori dimensionali e demografici. Non viene indicata l'entità della perequazione (viene indicata l'esigenza di ridurre adeguatamente le differenze tra territori, art. 7, lett. b), ma solo che l'accesso al Fondo non deve cambiare la posizione relativa delle regioni (art. 7, lett. b).

In linea generale, è da escludere la possibilità di una perequazione del 100 per cento delle capacità fiscali, in quanto porterebbe tutte le regioni a ricevere risorse pari alla media del gettito pro capite nazionale. Al di sotto di tale importo, la decisione dell'entità della perequazione è rimandata ai decreti legislativi.

 

Dati necessari per sviluppare tale analisi:

-        volume dei trasferimenti destinati a finanziare le Funzioni 2;

-        base imponibile IRE, standardizzata.

9.3   Una formula per il finanziamento delle funzioni regionali

A regime, le regioni nel loro complesso riceveranno quindi:

 

e ciascuna regione riceverà:

 

Dove FP1 è tale da consentire l'integrale finanziamento dei fabbisogni (livelli essenziali valutati al costo standard) per tutte le regioni. Ed FP2 è positivo/negativo se il gettito pro capite dell'IRE è inferiore/superiore alla media nazionale.

 

Da segnalare che, per pervenire alla piena implementazione del sistema a regime, viene previsto un periodo di transizione "sostenibile" per le Funzioni 1 (art. 17, comma 1, lett. b) e pari a 5 anni per le Funzioni 2 (art. 17, comma 1, lett. c).

 


10.   Il finanziamento degli enti locali nel ddl delega

Gli articoli 9, 10 e 11 del disegno di legge delega regolano la finanza degli enti territoriali, disegnando un sistema di finanziamento per province e comuni sostanzialmente analogo. Per tale motivo, in questo paragrafo si esemplifica il modello di finanziamento dei soli comuni.

Il disegno di legge delega stabilisce che le spese riconducibili alle funzioni fondamentali dei comuni e delle province sia assicurato da tributi propri, dalla compartecipazione e dall'addizionale all'IRE e dal fondo perequativo (art. 10, comma 1, lett. b) e avvenga in modo da garantire il finanziamento integrale, valutato in base al fabbisogno standard (art. 9, comma 1, lett. b). Le funzioni non fondamentali sono finanziate con il gettito dei tributi propri e con il fondo perequativo basato sulla capacità fiscale (art. 9, comma 1, lett. c).

 

A differenza del modello previsto per le regioni, tra i principi di delega, non vi è un parametro cui ancorare il processo di individuazione delle aliquote di compartecipazione/addizionale destinate a finanziare la spesa del comparto (nel caso delle regioni, il riferimento è al pareggio dei fabbisogni di “almeno una regione”).

Il modello di finanziamento dei comuni vede, invece, individuata la dimensione del fondo perequativo.

 

 

Pur essendovi, quindi, una distinzione tra funzioni fondamentali e funzioni essenziali, cui viene associato una diversità di schema perequativo, il fondo perequativo (FP) viene individuato in modo unitario per entrambe le tipologie di funzioni e definito come differenza tra i trasferimenti soppressi (TrS) e le entrate proprie assegnate (Entr).

 

Tale formulazione appare suscettibile di produrre risultati non desiderati.

Se, infatti, la variabile "entrate assegnate" presente nella definizione risultasse comprensiva – come sembrerebbe dalla formulazione letterale, che rinvia ai tributi di cui all’articolo 10 – dei tributi propri e compartecipazioni già spettanti (a legislazione vigente) al comparto degli enti locali, così come di quelli di nuova individuazione, la formula definita nel ddl potrebbe non garantire la continuità del finanziamento, producendo – in presenza di entrate proprie previgenti - un finanziamento insufficiente della spesa complessiva o, addirittura, valori pari a zero o negativi del fondo perequativo.

 

Esempio:

 

 

 

L’esempio suppone che si abbia – in una ipotetica situazione previgente - una spesa pari a 100, finanziata da risorse proprie per 40 e trasferimenti per 60.

Nell’attuazione di un modello di finanziamento analogo a quello delineato nella delega, se i tributi propri assegnati al comparto fossero complessivamente 50, il fondo perequativo risulterebbe pari a 10 (60 – 50), risultandone una copertura solo parziale della spesa, tenuto conto che l'assegnazione di risorse complessive sarebbe pari a 60 (post – caso 1).

Se poi la quota di risorse proprie fosse maggiore si registrerebbe un segno negativo nell’algoritmo di calcolo del fondo perequativo (post – caso 2).

Per ovviare a tale situazione e per consentire, a livello di comparto, un livello di finanziamento coerente con la spesa storica, la formulazione relativa alla definizione del fondo perequativo dovrebbe fare riferimento, presumibilmente, alla differenza tra trasferimenti soppressi e nuovi tributi attribuiti al comparto degli enti locali, ovvero, alla differenza tra spesa complessiva e risorse complessivamente assegnate.

 

Considerando che la formula per la definizione del fondo perequativo sia risolta in uno dei due sensi appena indicati, vi sono alcune ulteriori indicazioni da svolgere sullo schema di finanziamento previsto per gli enti locali.

 

Poiché non vi sono parametri cui ancorare la definizione delle aliquote di addizionale/compartecipazione, la composizione tra tributi propri e fondo perequativo nel finanziamento del comparto (e quindi del singolo ente) viene integralmente rimessa alla fase di predisposizione dei decreti legislativi.

I criteri per definire l'entità del fondo (modificati nel senso indicato) garantirebbero che il comparto riceva, nel complesso, lo stesso ammontare di risorse che ha nella situazione previgente, ma i medesimi criteri legano il volume di risorse perequative alla decisione sulla quota di risorse attribuite in via autonoma al comparto (quindi alla decisione sulle aliquote di finanziamento del comparto). A parità di trasferimenti soppressi, l’entità del fondo perequativo risulta dipendere dalla quota di risorse proprie assegnate a ciascun comparto.

Il fatto che la formula del fondo sia chiusa – cioè dipenda dalla scelta operata sulle aliquote e dai trasferimenti soppressi – sembrerebbe non tenere conto che vi sono alcuni principi di delega (quello relativo alle funzioni fondamentali, in particolare) che indirizzano e vincolano il modello perequativo.

La scelta relativa alla composizione del finanziamento sembrerebbe, allora, da un lato essere libera, dall'altro essere vincolata dalla valutazione di compatibilità tra volume di risorse perequative ed esigenze perequative del comparto (che dipendono dalla distribuzione territoriale delle basi imponibili, nonché dal principio di integrale finanziamento delle funzioni fondamentali).

Anche soddisfacendo tale vincolo, però, il volume di risorse perequative potrebbe non essere adeguato a garantire la perequazione delle funzioni non fondamentali, per le quali si rinvia, in termini generali, alle capacità fiscali. Secondo il complesso di disposizioni che emergono dalla delega, la perequazione per le funzioni non fondamentali sembrerebbe poter variare tra un valore poco superiore allo 0 e un valore poco inferiore a 100, il cui valore finale dipenderebbe dalla scelta operata sulle aliquote di compartecipazione/ addizionale/tributi propri assegnata al comparto.

 

L'articolo 11 elenca, altresì, i criteri direttivi concernenti il riparto del fondo perequativo. Essi, peraltro, non riprendono la doppia articolazione della funzione perequativa in base al carattere fondamentale o meno delle funzioni il cui finanziamento è oggetto di perequazione, ma indicano che la ripartizione del fondo deve avvenire in base a due indicatori, uno di fabbisogno finanziario e uno di infrastrutture, mentre sembrerebbe scomparire l'indicatore di capacità fiscale richiamato dall'articolo 9 in relazione alle funzioni diverse da quelle fondamentali.

 

Il fondo perequativo del comune i-esimo dipenderà dal suo fabbisogno finanziario corrente primario (FFi) e dal fabbisogno di infrastrutture (FI).

 

 

Il primo indicatore viene definito come differenza tra il valore standardizzato della spesa corrente (al netto degli interessi) e il valore standardizzato del gettito dei tributi ed entrate proprie di applicazione generale (art. 11, comma 1, lettera c, punto 1). Il secondo viene determinato in coerenza con la programmazione regionale di settore e tenendo conto dell'entità dei finanziamenti dell'Unione europea di carattere infrastrutturale ricevuti dagli enti locali e del vincolo di addizionalità a cui tali enti sono soggetti (art. 11 comma 1, lettera c, punto 2).

 

Dalla applicazione di tali criteri sembrerebbe derivare:

-        non vi è un parametro di riferimento per la perequazione delle funzioni non fondamentali, visto che entrambi gli indicatori riflettono una nozione di fabbisogno;

-        enti non caratterizzati da fabbisogno finanziario potrebbero comunque accedere al fondo perequativo, qualora presentassero carenze infrastrutturali;

-        la spesa per interessi è esclusa dalle variabili incorporate nella distribuzione del fondo e quindi non vi sarà azione perequativa sulle risorse da destinare a tale componente del bilancio;

 

Come nel caso delle regioni, viene previsto un periodo di transizione fra l’attuale sistema e quello prefigurato nel disegno di legge, che - in attesa della definizione normativa dell’ambito di delimitazione delle funzioni fondamentali degli enti locali – prevede che il fabbisogno complessivo degli enti locali vada riferito in misura pari all’80 per cento alle predette funzioni fondamentali e nella misura del 20 per cento alle restanti funzioni (art. 18, comma 1, lett. b). Con riferimento alle prime, si prevede che il superamento del criterio della spesa storica avvenga “in un periodo di tempo sostenibile”, mentre con riferimento alle seconde è previsto che il passaggio si compia in 5 anni.


Appendice


La nozione di federalismo fiscale

Il termine federalismo fiscale e’ apparso per la prima volta in un testo di Musgrave del 1959, in cui si affermava[138]: “lo scopo principale del federalismo fiscale è di consentire ai diversi gruppi che vivono nei diversi stati di esprimere le loro diverse preferenze per i servizi pubblici (…)”. Se inizialmente il termine riguardava essenzialmente le regole per la costruzione di un sistema tributario in cui vi sono sia tributi nazionali, sia tributi regionali, la vera e propria teoria economica del federalismo si sviluppa con la teoria dei beni pubblici di Samuelson del 1954, dando vita a numerosi contributi e percorsi differenziati[139].

a)Perché il federalismo

Il principio di sussidiarietà è alla base del federalismo fiscale: esso postula che la fornitura di beni e servizi (e le fonti di finanziamento) deve essere assegnata al livello di governo più basso in grado di svolgere tale funzione. La letteratura sul federalismo ha al suo centro un altro concetto, quello di esternalità. Il termine "esternalità" sintetizza gli effetti (positivi o negativi) che le decisioni o il comportamento di un determinato soggetto producono sul benessere di soggetti terzi, anche di coloro che non hanno avuto parte nel processo decisionale[140].

 

Le motivazioni del decentramento individuate dalla teoria economica sono le seguenti:

1)     aumento dell’efficienza. La maggiore vicinanza tra governi locali e cittadini consentirebbe ai primi di soddisfare meglio le preferenze di questi ultimi in termini di fornitura di beni e servizi rispetto alla soluzione centralizzata; gli amministratori locali avrebbero, inoltre, maggiori incentivi ad assumere informazioni circa le preferenze dei cittadini. In sostanza, se le preferenze dei cittadini in termini di beni pubblici e finanziamento variano sul territorio nazionale, sarebbe corretto che a preferenze diverse corrispondano politiche di bilancio diverse (combinazioni di beni e servizi pubblici offerti e forme di finanziamento diversificati). Ciò consentirebbe di aumentare l’efficienza e il benessere collettivo[141];

2)     rafforzamento della responsabilizzazione (accountability) dei governi locali verso i cittadini;

3)     e esiste un sufficiente grado di mobilità dei cittadini, questi ultimi possono confrontare le politiche di bilancio promosse dai diversi governi locali, premiando i governi virtuosi e punendo quelli poco efficienti (yardstick competition) [142];

4)     la competizione trai i governi locali può favorire l’adozioni da parte di questi ultimi di buone pratiche (best practices). Il decentramento consentirebbe la sperimentazione di nuove politiche pubbliche a livello locale (laboratory federalism), che, in caso di successo, potrebbero essere adottate da altri governi locali o dal governo centrale (fenomeni di imitazione)[143].

 

La teoria economica sul federalismo ha evidenziato, altresì, alcuni inconvenienti e problemi, connessi con i processi di decentramento. Tra questi:

1)  la dimensione troppo piccola dei governi locali può rendere difficile lo sfruttamento delle economie di scala nella produzione dei servizi pubblici. Inoltre, le amministrazioni locali potrebbero non avere le competenze tecniche necessarie per adottare appropriate politiche di bilancio.

2)  gli effetti di traboccamento (spill-over effects) possono pregiudicare i guadagni di efficienza derivanti dal decentramento. Si tratta di una questione di grande rilevanza, in quanto il decentramento può determinare effetti di traboccamento dei benefici (e dei costi) dei servizi pubblici su altre realtà territoriali. Ad esempio, i servizi pubblici (ad esempio sanità, istruzione) prodotti in una giurisdizione (e coperti con l’imposizione fiscale sui residenti della stessa giurisdizione) possono essere utilizzati anche da residenti in altre giurisdizioni, i quali non ne sopportano il costo in termini di carico fiscale. In questo caso si verifica, da un lato, la congestione dei servizi pubblici offerti, dall’altro il free-riding dei non residenti. Ne deriverebbe, pertanto, un uso delle risorse non efficiente. Tali aspetti sono, in genere, risolti con la previsione di forme di compensazione tra amministrazioni territoriali;

3)  non necessariamente i cittadini-contribuenti hanno le informazioni necessarie per indurre i governi locali ad un uso efficiente delle risorse;

4)  la maggior vicinanza può determinare fenomeni di eccessiva contiguità tra rappresentanti e determinati gruppi di interesse, con conseguente maggior rischio di "cattura", a scapito di un eventuale interesse più generale della collettività locale.

b)Alcuni requisiti per il buon funzionamento dei sistemi federali

Secondo la letteratura economica, alcune caratteristiche istituzionali svolgono un ruolo significativo per il buon funzionamento dell’architettura complessiva dei sistemi federali o decentrati. In particolare, sono stati evidenziati i seguenti elementi: 1) i criteri seguiti per la definizione delle funzioni da attribuire; 2) l’individuazione delle fonti di finanziamento; 3) i meccanismi di perequazione; 4) le regole che assicurino il coordinamento e il rispetto della disciplina fiscale.

b.1 Quali funzioni attribuire

In presenza di più livelli di governo che svolgono funzioni pubbliche è importante stabilire con chiarezza qualifunzioni vengono svolte dai governi regionali e locali, da una parte, e quali restano al governo centrale, dall’altra. Anche se, nei sistemi decentrati o federali, si trovano spesso aree di competenza condivisa tra il governo centrale e i governi sub-nazionali.

La teoria economica assegna tre funzioni fondamentali alle politiche di bilancio: la stabilizzazione dell’economia, la redistribuzione del reddito e della ricchezza e l’allocazione di beni e servizi pubblici.

La teoria classica del federalismo ritiene che le prime due debbano restare di competenza del governo centrale, mentre l’ultima può essere svolta sia dal governo centrale, sia da quelli regionali e locali. La stabilizzazione dell’economia nazionale è infatti un compito complesso con forti esternalità, che richiede la disponibilità di un ampio corredo di indicatori sullo posizione ciclica dell’economia nazionale e l’utilizzo di una combinazione di politica monetaria e fiscale, e pertanto è opportuno che essa rimanga una competenza del governo centrale che dispone delle informazioni, degli strumenti e delle competenze necessarie. Nel caso dei paesi membri dell’Unione monetaria, la perdita di controllo sulla politica monetaria, attribuita alla Banca Centrale Europea ai sensi del Trattato di Maastricht, rende ancor più opportuno che la leva della politica fiscale, ai fini di stabilizzazione dell’economia, rimanga nella competenza dei governi centrali.

Per quanto riguarda la politica redistributiva il governo centrale ha una maggiore capacità di ridistribuire il reddito, stante la sua maggiore capacità impositiva. D’altra parte, le politiche redistributive, se svolte a livello locale, potrebbero provocare fenomeni di race to the bottom (trasferimento dei cittadini ricchi verso le aree dove le imposte sono più basse e di quelli poveri dove maggiore è la spesa pubblica per assistenza).[144]

 

Il decentramento delle funzioni riguarderebbe, quindi, essenzialmente l’allocazione di beni e servizi pubblici, sebbene in tale ambito sia poi da individuare quali funzioni trasferire e come suddividere le responsabilità tra governo centrale e governi locali.

La teoria ha individuato una serie di criteri che dovrebbero guidare la scelta delle funzioni da trasferire, al fine di esaltare i benefici del decentramento ed evitare (o attutire) i potenziali effetti negativi. In primo luogo, è auspicabile che la dimensione degli enti locali sia tale da poter sfruttare le economie di scala nella produzione di beni pubblici.[145] Inoltre, si tratta di valutare gli potenziali effetti di spill-over, cioè delle esternalità, facendo in modo che i benefici e costi della fornitura di beni e servizi pubblici restino all’interno dell’ente locale o che ci siano meccanismi di compensazione tra enti locali (per i costi imposti o i benefici ottenuti da altri enti). Infine, un elemento da valutare nel disegno federale è costituito dalle effettive capacità gestionali e amministrative a livello dei governi locali. Sulla base di questi criteri generali, sono possibili più soluzioni al problema dell’individuazione ottimale delle funzioni da trasferire, come peraltro mostra l’esperienza internazionale.[146] D’altra parte, si tratta spesso di soluzioni storicamente determinate, frutto della sovrapposizione di elementi culturali, storici e politici.

b.2 Le fonti di finanziamento

Un altro elemento fondamentale del disegno federalista è, come si è detto, l’assegnazione delle fonti di finanziamento. Come per l’individuazione delle funzioni, la teoria normativa del federalismo non ha una soluzione univoca, mentre la realtà dei paesi federali mostra assetti diversi, frutto del retaggio storico e della contrattazione politica tra i diversi livelli di governo. Esistono tuttavia una serie di criteri suggeriti dalla teoria.

In primo luogo, è auspicabile l’istituzione di un chiaro collegamento tra decisioni di spesa e fonti di finanziamento, al fine di evitare il fenomeno del free-riding, ossia la possibilità che i governi locali scarichino sulla collettività nazionale i propri comportamenti opportunistici. Inoltre, affinché il decentramento abbia successo, esso dovrebbe riguardare il decentramento sia delle spese, sia delle entrate, e le decisioni sul decentramento delle spese e delle entrate dovrebbero essere simultanee.[147]

Si tratta, poi, di stabilire quanta autonomia impositiva attribuire ai governi locali e come tale autonomia deve essere realizzata in pratica. In sostanza, occorre definire la strutturale verticale della tassazione: quale livello di governo decide le imposte da applicare ad ogni livello di governo, chi decide in merito alle aliquote e alle basi imponibili, chi accerta e amministra le diverse imposte.

La teoria economica evidenzia, inoltre, come le fonti di entrata dovrebbero essere certe, stabili, e manovrabili al margine, al fine di consentire sia la pianificazione delle attività, sia la responsabilizzazione dei governi locali di fronte agli elettori. Non da ultimo l’autonomia impositiva (entrate proprie e fonti marginali di finanziamento) dovrebbe consentire il raggiungimento dell’equilibrio di bilancio degli enti locali.

 

La letteratura propone tre possibili modelli: la legislazione indipendente, le addizionali, le compartecipazioni.

Quello della legislazione indipendente è un caso estremo e puramente teorico di autonomia impositiva massima, in cui ogni governo locale definisce e gestisce il suo sistema tributario in modo del tutto indipendente dal governo centrale e dagli altri governi locali. Tale soluzione è, in genere, ritenuta non praticabile anche alla luce dei costi derivanti dalla moltiplicazione delle strutture amministrative e dei problemi di concorrenza fiscale che potrebbero verificarsi. Di solito, ai governi locali sono assegnati tributi propri che essi possono gestire, spesso entro limiti definiti dal governo centrale.

Le addizionali sono una fonte importante di finanziamento dei governi locali, che applicano una certa aliquota sulla loro quota di base imponibile di una imposta del governo centrale. Il potere impositivo è limitato alla scelta dell’aliquota (in alcuni casi di agevolazioni o detrazioni specifiche), generalmente entro limiti prefissati dal governo centrale. Si tratta di un meccanismo semplice e trasparente, ma che può comportare problemi di equità fiscale orizzontale (quando la base imponibile è differenziata per area geografica) e di esternalità fiscali verticali (quando il governo centrale con suo provvedimento varia la base imponibile).

La compartecipazione consiste nell’acquisizione di una certa quota del gettito di un tributo nazionale. Poiché il governo centrale stabilisce la base imponibile e l’aliquota, e quindi il gettito, ne deriva che nell’ambito di tale fattispecie l’autonomia impositiva dei governi locali è sostanzialmente nulla.

 

Oltre alle imposte, i trasferimenti rappresentano nelle realtà decentrate e federali una quota non trascurabile delle entrate dei governi locali. Essi rispondono a molteplici funzioni. In primo luogo, attenuare i problemi di equità orizzontale, quando la capacità fiscale (ossia la capacità di raccogliere gettito) è difforme sul territorio nazionale, e quelli di equità verticale (disparità di gettito tra livelli diversi di governo riconducibili alla struttura del prelievo). Inoltre consentono, da un lato, di internalizzare gli effetti di spill-over e dall’altro di promuovere alcuni voci di spesa pubblica a livello decentrato (trasferimenti con vincolo di destinazione)[148].

 

La teoria economica ha enucleato alcuni criteri che dovrebbe guidare il disegno di un sistema complessivo di assegnazione delle risorse. Le imposte, in particolare, dovrebbero essere non distorsive, non suscettibili di produrre fenomeni di concorrenza fiscale, non esportabili (cioè devono gravare sui cittadini utenti dei servizi locali), facili da accertare e da amministrare. Inoltre, non dovrebbero creare situazioni critiche sotto il profilo dell’equità orizzontale e verticale. Infine, sarebbero da privilegiare quei tributi per i quali è valido il principio del beneficio, cioè quelli per i quali è presente un elemento di collegamento con i benefici ottenuti dai residenti sul territorio[149].

Nella realtà, poche imposte posseggono contemporaneamente tutti i requisiti enunciati. Tuttavia, alcune tipologie si prestano meglio di altre ad essere utilizzate nell’ambito di una architettura fiscale decentrata o federale.

Le imposte patrimoniali sono considerate tra i migliori strumenti di finanziamento dei governi locali, presentando una base imponibile non mobile, un gettito stabile e prevedibile e di facile amministrazione. Gli svantaggi evidenziati dalla letteratura sono legati ai problemi di accertamento del valore degli immobili e ai possibili vincoli di liquidità dei contribuenti.[150]

Le imposte sui redditi personali presentano difficoltà legate alla disomogeneità territoriale della base imponibile, con conseguente difficoltà di reperire risorse sufficienti nei territori poveri, e alla concorrenza fiscale, che può indurre i contribuenti a trasferirsi nelle aree dove le aliquote sono inferiori. Nella maggior parte dei casi, tali imposte sono applicate dai governi nazionali, mentre i governi locali applicano addizionali o ne condividono il gettito attraverso il sistema delle compartecipazioni.

Le imposte sui profitti non sono considerate una buona fonte di finanziamento per una serie di ragioni che spaziano dalla mobilità della base imponibile all’instabilità del gettito legata al ciclo economico, alle difficoltà di individuare la fonte dei profitti nel caso di imprese con sedi sparse sull’intero territorio nazionale.

Le accise sono considerate una buona fonte di finanziamento, ma presentano lo svantaggio di generare un gettito limitato, quindi insufficiente per le esigenze di finanziamento dei governi locali quando le funzioni decentrate sono numerose.

Le imposte sui consumi presentano problemi di mobilità (i consumatori si spostano per i loro acquisti laddove le aliquote sono inferiori) di frode, evasione e difficoltà di accertamento. Normalmente vengono applicate dal governo centrale, mentre i governi locali ne condividono il gettito attraverso le compartecipazioni.

 

Per quanto riguarda i trasferimenti, la teoria economica stabilisce alcuni criteri di massima. Essi devono trasparenti, prevedibili, stabili nel tempo, in modo da consentire alle amministrazioni locali una adeguata programmazione. Devono costituire una fonte infra-marginale di entrate, in modo da non influenzare le decisioni di spesa al margine. Infine, non devono introdurre distorsioni nel sistema degli incentivi, ad esempio inducendo gli enti con maggior capacità fiscale a raccogliere meno gettito, oppure favorendo la formazione di deficit a livello locale.

b.3 I meccanismi di perequazione

Nell’ambito dei meccanismi di perequazione si distingue tra perequazione verticale, laddove il governo centrale trasferisce risorse agli enti territoriali svantaggiati, e perequazione orizzontale, laddove il trasferimento di risorse avviene tra enti allo stesso livello. Se dal punto di vista sostanziale e del finanziamento della spesa dei governi locali non vi è differenza tra le due forme di perequazione, dal punto di vista politico la perequazione orizzontale rende maggiormente evidenti i flussi finanziari tra territori. Nel caso della perequazione orizzontale è possibile infatti evidenziare i residui fiscali, definiti come gli oneri (benefici) finanziari netti dei residenti in ciascun territorio, sostenuti (ricevuti) a favore (a carico) dei residenti nelle altre aree.[151]

La definizione del modello concreto di perequazione richiede che sia preliminarmente individuata la portata desiderata dell'azione di riduzione delle divergenze tra territori, da cui consegue la decisione in relazione alla dimensione dei fondi destinati alla perequazione, nonché delle relative modalità di ripartizione. I parametri solitamente presi a riferimento per le azioni di perequazione sono i fabbisogni e le capacità fiscali, rispetto ai quali può essere prevista una perequazione totale (che annulla il divario di risorse rispetto al parametro preso a riferimento) o parziale (che limita, ad una quota prefissata, la limitazione del divario).[152]

b.4 Il coordinamento e la disciplina fiscale

Il mantenimento della disciplina fiscale e il coordinamento fiscale nei sistemi decentrati o federali è di primaria importanza. Infatti, i governi locali potrebbero non considerare pienamente gli effetti delle loro decisioni sul complesso della finanza pubblica e produrre esternalità negative, attraverso la non piena considerazione del costo di determinate politiche di bilancio. In particolare, dalla disgiunzione tra costi e benefici della spesa pubblica, possono originarsi problemi di common pool. Con questo termine si intende il fatto che determinati servizi pubblici arrecano benefici principalmente a determinate giurisdizioni, ma sono coperti con un common pool di imposte raccolte su tutto il territorio nazionale. In questo caso la giurisdizione che ne ricava i maggiori benefici paga solo per una frazione del costo totale. La mancata internalizzazione del costo complessivo dei servizi determina un eccesso di spesa pubblica e la tendenza dei governi locali a competere tra di loro per appropriarsi di trasferimenti dal governo centrale costituiti da un common pool di risorse, ossia di imposte.

Anche la sovrapposizione delle competenze e la mancanza di un nesso stretto tra autonomia di spesa e di imposizione potrebbero favorire comportamenti fiscali irresponsabili da parte dei governi locali. Inoltre, la percezione di un possibile salvataggio (bailout) da parte del governo centrale in caso di dissesto finanziario potrebbe contribuire alla deresponsabilizzazione dei governi sub-nazionali.

Per tutti questi motivi, nei sistemi decentrati e federali è necessario definire un contesto coerente di istituzioni, regole e sanzioni per assicurare la disciplina fiscale[153].


Le fonti della finanza locale

Il presente allegato riporta i dati esposti nella Nota di sintesi al Rapporto 2008 sulla legislazione tra Stato, Regioni e Unione europea – presentato a Venezia il 9 e 10 ottobre 2008 nell’ambito del convegno “Il ruolo delle assemblee legislative nel federalismo fiscale” - relativi alle fonti informative nazionali, di carattere istituzionale, che forniscono dati quantitativi sulla finanza delle amministrazioni regionali e locali.

 

Si segnala che l’Istat, nell’audizione del 17 novembre presso le commissioni riunite Affari costituzionali, Bilancio e Finanze e tesoro del Senato, nell’ambito dell’esame del disegno di legge delega in materia di federalismo fiscale, nel riportare la tabella delle fonti relative alla finanza locale, ha fornito un elenco di ulteriori fonti di dati, prodotte dall’Istat, non specificamente riferite alla finanza locale, ma comunque di interesse per le amministrazioni locali. L’elenco di tali ulteriori fonti informative, fornito dall’Istat, è riportato in calce alla tabella delle fonti della finanza locale.

 

Fra le fonti indicate sono ricomprese sia le cosiddette “banche dati primarie” sia quelle “di origine derivata”. Le prime forniscono dati quantitativi, in genere non reperibili presso altre fonti (salvo parziali sovrapposizioni), direttamente rilevati presso le amministrazioni locali o imputati alle stesse secondo gli specifici criteri di classificazione di ciascuna banca dati.

Sono inclusi tra le fonti primarie i bilanci delle regioni, i Conti delle Amministrazioni locali e la Spesa delle amministrazioni locali per funzione (Istat), il Monitoraggio del patto di stabilità interno (RGS), la regionalizzazione della spesa e delle entrate statali (MEF), le banca dati tributaria “Sintesi” (MEF), la banca dati dei certificati di conto consuntivo degli enti locali (Ministero degli interni), la banca dati Conti pubblici territoriali (Ministero dello sviluppo economico), il Siope e le rilevazioni sul debito delle amministrazioni locali (Banca d’Italia), ecc…

 

Le fonti di origine derivata forniscono una rappresentazione analitica delle informazioni ricavate dalle banche dati primarie, a seguito di rielaborazioni condotte per offrire gli specifici contributi informativi previsti in relazione ai fini istituzionali di ciascuna amministrazione.

Sono da annoverare, ad esempio, in questa seconda tipologia le pubblicazioni e relazioni del MEF (Relazione unificata sull’economia e la finanza pubblica, Relazione previsionale e programmatica, Documento di programmazione economica e finanziaria, Relazione sulla situazione economica del paese), le relazioni della Corte dei Conti al Parlamento, le Note regionali annuali prodotte dalla Banca d’Italia e taluni rapporti periodici sulla finanza locale prodotti da enti pubblici (Isae, Issirfa-CNR, ANCI).

 

Dalla ricognizione operata emerge che le fonti istituzionali, primarie e secondarie, deputate a fornire informazioni di carattere quantitativo sulla finanza locale sono numerose e la produzione di dati copre pressoché integralmente tutti gli aspetti economici e finanziari di rilievo. Nel contempo, si rileva una frammentazione delle informazioni disponibili fra le diverse fonti, nessuna delle quali risulta autonomamente idonea a fornire un’informazione esaustiva sulla finanza territoriale.

Inoltre, le informazioni fornite dalle diverse fonti risultano fortemente differenziate su molteplici aspetti che rendono scarsamente comparabili i dati disponibili ed estremamente laboriosa la loro integrazione ai fini di una ricostruzione dell’insieme dei flussi finanziari del comparto della finanza locale.

Nella tabella allegata sono fornite indicazioni, con riferimento a ciascuna fonte analizzata, circa i contenuti e le problematiche riscontrate sulla base del confronto diretto con le stesse istituzioni che gestiscono le diverse banche dati.

In particolare, dal punto di vista delle metodologie adottate, le diverse fonti risultano differenziate sui seguenti aspetti:

A.il criterio contabile adottato.

Alcune fonti forniscono dati espressi in termini di competenza economica (ad esempio ISTAT e CPT), mentre in altri casi i dati sono espressi in termini di competenza giuridica (ad esempio i dati dei bilanci di consuntivo degli enti locali del Ministero degli interni), cassa (SIOPE) o competenza mista (banca dati relativa al patto di stabilità interno della RGS);

B.il comparto territoriale di riferimento.

In alcuni casi la rilevazione riguarda l’intero comparto delle amministrazioni locali (così ad esempio per l’ISTAT), mentre in altri casi la rilevazione è limitata al comparto degli enti locali (Ministero degli interni) o delle regioni (ISSiRFA);

il grado di esaustività della rilevazione.

Nell’ambito del comparto territoriale di riferimento la rilevazione presenta talora ulteriori limiti connessi all’esclusione di talune tipologie di enti (ad esempio, nel caso della banca dati relativa al patto di stabilità interno la rilevazione esclude i comuni con meno di 5000 abitanti e quelli di alcune regioni a statuto speciale). In altri casi, i limiti riguardano le variabili rilevate (oltre al già citato caso della banca dati del patto di stabilità interno, che rileva le sole variabili soggette a vincolo, si segnala il caso della banca dati Sintesi, che fornisce informazioni relative ai soli tributi soggetti a dichiarazione);

D.il livello di disaggregazione dei dati.

Talora il livello di disaggregazione con cui sono forniti i dati risulta limitato, sia con riferimento al comparto territoriale, sia al livello di disaggregazione delle voci economiche rilevate (è questo il caso, ad esempio, della rilevazione delle spese per funzioni operata dall’Istat che risulta limitata al solo comparto aggregato delle Amministrazioni locali e con riferimento al livello COFOG 1 per quanto riguarda il dettaglio funzionale);

la flessibilità della banca dati e la conseguente possibilità di formulare interrogazioni.

In alcuni casi le banche dati forniscono informazioni di estremo dettaglio, riferite anche ai singoli enti o alle singole variabili di spesa e di entrata, ma presentano limiti nella possibilità di elaborare aggregazioni di tali variabili secondo criteri diversi da quelli predefiniti dal sistema (è questo ad esempio il caso del SIOPE o della banca dati del Ministero degli interni sui certificati di bilancio degli enti locali);

F.le modalità di accesso ai dati e il relativo supporto informatico.

In molti casi le informazioni contenute nelle banche dati sono accessibili ad un numero di soggetti estremamente limitato (come nel caso della banca dati relativa al patto di stabilità interno della RGS, accessibile solo per l’Anci e l’Upi. Altri esempi di accessibilità limitata sono rappresentati dal SIOPE e dalla banca dati Sintesi). In altri casi le informazioni non sono disponibili in rete, ma sono contenute in pubblicazioni in vendita (rapporti ISAE e ISSiRFA, Guida normativa Anci);

G.     il grado di aggiornamento dei dati.

Il grado di aggiornamento dei dati pubblicati risulta differenziato nelle diverse banche dati, passando dall’aggiornamento in tempo reale del SIOPE, al ritardo di tre anni nei valori di riferimento della banca dati Sintesi (ritardo di 2 anni con riferimento al periodo di presentazione delle dichiarazioni e di 3 anni con riferimento al periodo d’imposta).

 


Fonte dei dati di finanza locale

Amministrazione
produttrice

Descrizione

Tempo di riferimento dei dati o delle analisi

Modalità di accesso

Problematiche

Conti delle amministrazioni locali

Istat

Dati espressi in termini di competenza economica, aggregati per livello di governo territoriale (amministrazioni locali, regioni, province, comuni). Classificazione per categorie economiche

I dati vengono pubblicati usualmente nel mese di giugno con riferimento al tempo t-1

www.istat.it/istituzioni/pubamm

Non sono disponibili dati con un livello di aggregazione di maggior dettaglio, sia con riferimento al comparto territoriale che con riferimento alle voci di classificazione contabile

I bilanci consuntivi di regioni, province e comuni

Istat

Dati espressi in termini di competenza giuridica e cassa, distinti per singola regione, classificazione per titolo, categoria, voce economica e gestione

I dati relativi alle regioni vengono pubblicati usualmente nel mese di dicembre con riferimento al tempo t-3. Con riferimento a comuni e province le ultime pubblicazioni, del luglio 2008, si riferiscono al tempo t-2

www.istat.it/istituzioni/entilocali

Il notevole ritardo con cui sono disponibili i dati, in particolare con riferimento alle regioni, ne limita le possibilità di utilizzo. Dati non comparabili con quelli espressi in termini di competenza economica.

Spesa delle Amministrazioni locali per funzioni

Istat

Dati riferiti all'intero comparto delle Amministrazioni locali. Classificazione per funzioni di livello Cofog1

I dati vengono pubblicati usualmente nel mese di febbraio con riferimento al tempo t-2

www.istat.it/istituzioni/pubamm/

Il livello di disaggregazione risulta limitato con riferimento sia al comparto territoriale (Amministrazioni locali), sia alla classificazione funzionale (Cofog1)

Relazione sulla situazione economica del Paese

Ministero dell'economia

Dati di consuntivo, espressi in termini di competenza giuridica, aggregati per livelli di governo territoriale (regioni e province autonome, province, comuni). Con riferimento alle regioni a S.O. e a S.S. è disponibile anche la spesa per settori di intervento, espressa in termini di competenza giuridica.

I dati vengono pubblicati nel mese di aprile, con riferimento: al tempo t-1 per quanto riguarda quelli relativi ai trasferimenti statali e ai finanziamenti regionali per il TPL ; al tempo t-2 per quanto riguarda i bilanci degli enti territoriali; al tempo t-3 per quanto riguarda le spese per settori di intervento

www.tesoro.it/doc-finanza-pubblica/dfp.rgse.asp

Non sono disponibili dati con un livello di aggregazione di maggior dettaglio. L'indisponibilità dei dati in formato elettronico (Excel) ne rende più farraginosa la possibilità di utilizzo.

Relazione previsionale e programmatica

Ministro dell'economia

La relazione non porta sistematicamente i dati previsionali riferiti al comparto delle Regioni, ma fornisce informazioni su aspetti di finanza pubblica (Patto di Stabilità Interno e andamenti tendenziali e programmatici)

I dati vengono pubblicati nel mese di settembre, con riferimento al tempo t+1

www.tesoro.it/doc-finanza-pubblica/dfp.rpp.asp

Il carattere non sistematico delle informazioni fornite, talora di carattere meramente descrittivo e non quantitativo, ne limita le possibilità di utilizzo.

Relazione unificata sull'economia e la finanza pubblica

Ministro dell'economia

La relazione contiene i conti consolidati di cassa aggregati per livello di governo.

I dati vengono pubblicati nel mese di marzo, con riferimento al tempo t-1 per quanto riguarda i dati di consuntivo e t per quanto riguarda il dato previsionale

www.tesoro.it/doc-finanza-pubblica/dfp.ruef.asp

La mancata indicazione dei quadri tendenziale e programmatico disaggregati per livello di governo non consente un confronto fra previsioni e risultati.

Monitoraggio del patto di stabilità interno

Ministero dell'economia - RGS

Dati relativi alle variabili di bilancio soggette al patto di stabilità interno (possibile estensione in futuro ad altre informazioni di finanza pubblica, anche con riferimento al debito), espressi in termini di competenza mista.

Dati parziali disponibili in corso d'anno. Dati annuali disponibili con riferimento al tempo t-1

Dati non disponibili salvo convenzioni con RGS. Attualmente tali convenzioni sono stipulate unicamente con ANCI e UPI, ai sensi dell'art. 1, comma 690 della L 296/2006.

Dati non disponibili. Monitoraggio attualmente limitato alle sole voci soggette al patto di stabilità interno. Per le regioni a S.S., che adempiono al patto sulla base di specifici accordi, i dati presentano talune disomogeneità rispetto alle regioni S.O. Per i comuni sono esclusi tutti quelli non soggetti al patto (< 5000 abitanti) e quelli di tre regioni a S.S. (Valle d'Aosta, Friuli-Venezia Giulia e Trentino Alto Adige) che regolano autonomamente il patto per i comuni del proprio territorio.

Dati relativi alla spesa regionalizzata

Ministero dell'economia - RGS - Servizio Studi Dipartimentale

Analisi delle risorse erogate dal Bilancio dello Stato, da Amministrazioni ed altri organismi; da Fondi alimentati con risorse nazionali e comunitarie - Tabelle dei pagamenti del bilancio dello Stato (divisi per regione) per aggregati economici e per funzioni obiettivo.

Lo studio analizza i dati di due esercizi precedenti: ultima pubblicazione novembre 2007 - dati 2005

file pdf scaricabile da http://www.rgs.mef.gov.it/VERSIONE-I/Bilancio-d/Rendiconto/Spesa-stat/index.asp + files xls contenenti le tabelle economico-funzionali per regione (Allegati)

Dati di cassa. Non disponibile la classificazione dei dati per competenza economica. Tale circostanza limita la confrontabilità dei dati ai fini delle analisi di finanza pubblica.

Conto annuale del personale in servizio presso le amministrazioni pubbliche

Ministero dell'economia - RGS - Ispettorato Generale per gli Ordinamenti del Personale e l’Analisi dei Costi del Lavoro Pubblico
(IGOP)

Rilevazione della consistenza delle dotazioni di personale e delle relative spese. La disaggre­gazione a livello regionale è operata solo con riferimento alla consistenza delle dotazioni di personale, mentre i dati relativi alle spese, espressi in termini di cassa, sono aggregati per comparto di enti territoriali (regioni, province, comuni). Viene inoltre fornita una breve analisi comparativa dei dati relativi, di norma, all'ultimo triennio.

Per ciascun anno solare viene pubblicato un volume autonomo del Conto annuale. I dati sono riferiti di norma al tempo t-2.

All'indirizzo www.contoannuale.tesoro.it/sicoSito/PaginaIniziale.jsp sono consultabili i Conti annuali relativi agli anni dal 2001 al 2006

I dati relativi alla spesa sostenuta non sono disaggregati territorialmente. Non risulta inoltre disponibile una disaggregazione del personale impiegato nelle diverse funzioni.

Dati relativi alle entrate regionalizzate

Ministero dell'economia - Dipartimento per le politiche fiscali - Ufficio studi e politiche economico-fiscali

Ripartizione regionale di IRPEF, IRPEG IVA, ACCISE e altre tasse (registro, catastale, ipotecaria, di bollo, sulle assicurazioni)

Dopo una serie uscita negli anni 1992-1994 la pubblicazione ha avuto cadenza incostante. Dopo la penultima, dell'ottobre 2003 (con dati diversi secondo le imposte, in genere 1999-2001), si è avuta recentemente una nuova pubblicazione nell'ottobre 2007 (i dati si riferiscono ai periodi di imposta 2003-2004).

La pubblicazione non è disponibile in rete.

Il carattere non regolare della pubblicazione e l'impossibilità di accedervi in rete ne limitano la possibilità di utilizzo. Si ricorda inoltre il ritardo di circa quattro anni dei dati analizzati rispetto alla data della pubblicazione.

Banca dati "Sintesi"

Ministero dell'economia - Dipartimento delle finanze

Dati riferiti alle entrate tributarie soggette a dichiarazione. Sono disponibili i dati per singole regioni.

I dati sono riferiti alle dichiarazioni presentate nell'anno t-2 (anno d'imposta t-3)

I dati sono accessibili unica­mente ai soggetti autorizzati http://sintesi.finanze.it

Fornisce informazioni utili, ma limitate alle sole imposte soggette a dichiarazione, pertanto non permette la costruzione di un quadro esaustivo delle entrate regionali. Inoltre i criteri di ripartizione territoriale delle variabili sono attinenti al sogetto che effettua la dichiarazione (ad esempio nel caso dell'IVA, le imprese) che non sempre conicide con il soggetto che paga il tributo (nel caso dell'IVA, i consumatori).

Flussi finanziari Italia - Unione Europea

Ministero dell'economia e delle finanze - RGS - IGRUE

Somme accreditate dall'UE all'Italia - Distribuzione per fonte di finanziamento e zona geografica (Regioni e aree geografiche); tabelle analitiche per Fondo (FERS, FEOGA, FSE…)

Cadenza annuale; dati dell'esercizio precedente; ultimo disponibile: dati 2006

http://www.rgs.mef.gov.it/VERSIONE-I/Attivit--i/Rapporti-f/Le-Pubblic/Flussi-Fin/index.asp

Disponibile solo il file pdf - necessaria eleborazione informatica per l'utilizzo dei dati

Conti pubblici territoriali

Ministero dello sviluppo economico - Dipartimento per le politiche di sviluppo

Dati di consuntivo espressi in termini di cassa. Classificazione per categoria economica e settore di intervento, in coerenza con il sistema di classificazione COFOG.

I dati sono riferiti al tempo t-2

www.dps.mef.gov.it/cpt/cpt.asp

Disponibile con aggregazione dei dati al livello regionale, ma non al livello provinciale e comunale.

Banca dati dei Certificati di conto di bilancio

Ministero dell’Interno - Dipartimento per gli affari interni e territoriali - Direzione Centrale della Finanza Locale

Dati di competenza giuridica e cassa puntualmente riferiti ad ogni singolo ente e a ciascuna voce del bilancio. Indicatori finanziari ed economici generali.

I dati sono riferiti al tempo t-2 (gli indicatori finanziari ed economici al tempo t-3)

www.finanzalocale.interno.it

La banca dati, contenendo informazioni puntuali, ha una struttura molto "pesante" dal punto di vista informatico con limitate possibilità di formulazione di interrogazioni da parte degli utenti. Dati non confrontabili con quelli di competenza economica.

SIOPE

Banca d'Italia (in collaborazione con Ministero dell'economia - RGS)

Dati di cassa

Disponibilità in tempo reale

I dati sono accessibili unicamente ai soggetti autorizzati www.siope.it

La possibilità di formulare delle interrogazioni è limitata al singolo ente o all'intero comparto di enti, mentre non è possibile fare interrogazioni per diverse aggregazioni territoriali. Il riferimento esclusivo a dati di cassa limita di fatto la confrontabilità con altre analisi di finanza pubblica.

Note regionali annuali

Banca d'Italia

Analizza principalmente i dati dell'economia reale, ma fornisce anche informazioni relative alla finanza pubblica (utilizzando la banca dati CPT) e al debito.

I dati sono pubblicati nel mese di giugno con riferimento al tempo t-1

www.bancaditalia.it/pubblicazioni/econo/ecore/note

I dati di finanza pubblica hanno una limitata disaggregazione per categoria economica.

Supplementi al Bollettino Statistico
-Debito delle Amministrazioni locali

Banca d'Italia

Dati riferiti al debito delle singole regioni

I dati vengono pubblicati nel mese di ottobre con cadenza annuale, con riferimento al tempo t-1 e al primo semestre dell'anno t

www.bancaditalia.it/statistiche

 

Relazione della Corte dei conti sulla gestione finanziaria delle regioni

Corte dei conti - Sezione delle autonomie

Dati riferiti alle Regioni a statuto ordinario, analisi dei bilanci consuntivi (o preconsuntivi): analisi delle Entrate; dettaglio delle principali entrate tributarie, capacità di spesa, indebitamento, intera sezione dedicata alla sanità.

Disponibilità a cadenza annuale, nel mese di luglio, con riferimento al tempo t-1

sito web della Corte, dopo la presentazione al Parlamento (DOC CI).

Disponibile solo il file pdf - necessaria elaborazione informatica per l'utilizzo dei dati

Relazioni della Corte dei conti su ciascuna regione a statuto speciale e su ciascuna provincia autonoma (Trento e Bolzano)

Corte dei conti - Sezioni regionali

7 Relazioni (5 regioni a statuto speciale e le due province autonome di Trento e di Bolzano), oltre la parificazione del bilancio dell'esercizio precedente, le relazioni hanno impostazioni e contenuti diversi.

Disponibilità a cadenza annuale, in genere nel mese di luglio, con riferimento al tempo t-1

Sito web della Corte; le relazioni relative alla regione Trentino-Alto Adige e alle province autonome di Trento e di Bolzano costituiscono il III Volume della Relazione della Corte dei conti sul rendiconto generale dello Stato (DOC XIV)

Dati disomogenei - ciascuna relazione ha una sua impostazione e analizza diversi aspetti - non sono utilizzabili per analisi aggregate

Relazioni della Corte dei conti sul rendiconto di singole regioni

Corte dei conti - Sezioni regionali

Alcune sezioni regionali - secondo il programma stabilito all'inizio dell'anno , svolgono una relazione sul rendiconto della regione

Disponibilità non prevedibile, comunque riferita al tempo t-1. Nel 2007 sono state pubblicate 4 Relazioni sul rendiconto della regione per l'anno 2006: Emilia Romagna, Marche, Piemonte, Toscana.

Sito web della Corte

Non disponibile per tutte le regioni - Non utilizzabili per analisi aggregate

Relazione sulla gestione finanziaria degli enti locali

Corte dei conti - Sezione delle autonomie

Analisi delle principali voci dei bilanci consuntivi di competenza e cassa, debiti fuori bilancio e gestioni in disavanzo o in dissesto finanziario. Risultati del patto di stabilità interno di comuni e province, disaggregati per regione.

Disponibilità a cadenza annuale, nel mese di luglio, con riferimento al tempo t-1 e, con un maggior grado di dettaglio, al tempo t-2.

Sito web della Corte, dopo la presentazione al Parlamento (DOC XLVI).

Disponibile solo il file pdf - necessaria elaborazione informatica per l'utilizzo dei dati

Bilanci delle singole regioni

20 Regioni e 2 Province autonome

Rendiconto della regione

dovrebbe essere T-1, ma le scadenze non sono sempre rispettate; spesso sono pubblicati con molto ritardo

Pubblicati nei Bollettini Ufficiali della Regione e, a volte, nei rispettivi siti web, in genere come file PDF, in alcuni casi anche dorte

22 enti diversi: classificazione delle voci di entrata e di spesa non omogenea (anche se dovrebbero essere riclassificate secondo la classificazione economica dello Stato, non sempre questa è pubblicata nei documenti di bilancio); in alcuni casi difficoltà di reperibilità e -per tutti - impossibilità di trattamento informatico dei dati

Rapporto Finanza pubblica e istituzioni

Isae

Fino al 2006: Rapporto sull'attuazione del federalismo. Dal 2007 tali tematiche continuano ad essere trattate nel rapporto finanza pubblica e istituzioni. Le analisi condotte riguardano diversi temi della finanza sia regionale che locale

Il rapporto è pubblicato annualmente nel mese di maggio; il tempo di riferimento dei dati analizzati varia sulla base della tematica affrontata.

Il rapporto di ultima pubblicazione è in vendita (in rete è disponibile l'introduzione e sintesi). Il rapporto è in rete a partire dall'anno successivo. Dal Rapporto 2003 a quello 2007 sono in rete (file pdf)

Trattandosi di un rapporto di analisi fornisce in genere i risultati delle stesse, mentre non sono accessibili i dati di base utilizzati e il dettaglio delle elaborazioni condotte. Disponibile file pdf - necessaria eleborazione informatica

Rapporto annuale: La finanza locale in Italia

Isae, Ires Piemonte, Irpet, Srm, Irer

Il rapporto analizza gli andamenti della finanza di comuni e province. Approfondimenti monografici su problematiche di interesse per gli enti locali.

Il rapporto è pubblicato annualmente con riferimento al tempo t-1.

Volume in vendita

Indisponibilità del volume in rete. Analisi limitate al settore degli enti locali (comuni e province).

Rapporti annuali dell'Osservatorio finanziario regionale

ISSiRFA-CNR

Dati di previsione dei bilanci regionali. Di particolare interesse l'analitica disaggregazione delle entrate.

Disponibilità a cadenza annuale con riferimento al tempo t-1

In rete sono disponibili unicamente l'introduzione a ciascun rapporto e alcune tabelle di dati. I volumi sono in vendita.

Indisponibilità del testo integrale in rete. I bilanci di previsione sono indicativi delle politiche programmate dalle regioni, ma sono meno significativi per un'analisi degli andamenti effettivi della finanza territoriale. Non c'è inoltre possibilità di raffronto con informazione di altre banche dati

Rapporto sullo stato regionalismo in Italia - Capitolo relativo alla finanza regionale

ISSiRFA-CNR

Analisi su aspetti di attualità della finanza degli enti locali. Elaborazioni su dati CPT. Nell'ultima pubblicazione (2007) si segnalano in particolare i temi del grado di decentramento della spesa e delle entrate tributarie e del grado di autonomia della finanza regionale.

Disponibilità a cadenza annuale. Il tempo di riferimento dei dati analizzati varia sulla base della tematica affrontata.

Capitolo disponibile in rete all'indirizzo www.issirfa.cnr.it

Trattandosi di un rapporto di analisi fornisce i risultati delle stesse, mentre non sono accessibili i dati di base utilizzati e il dettaglio delle elaborazioni condotte. Disponibile file pdf.

Guida normativa per l'amministrazione locale - Sezione Finanza locale

ANCI - CNC

Analisi su aspetti di attualità della finanza degli enti locali. Dati elaborati dal Ministero dell’interno – Dipartimento per gli affari interni e territoriali – Direzione centrale della finanza locale. Nell'ultima pubblicazione (2008) si segnalano in particolare i dati relativi ai contributi erariali nel triennio 2005-2007, l'analisi delle spese e delle entrate da ICI.

Disponibilità a cadenza annuale con riferimento al tempo t-1

Volumi in vendita, con allegato supporto elettronico con il testo in formato pdf

Le analisi utilizzano dati del Ministero dell'interno relativi ai bilanci di consuntivo degli enti locali, con un grado di aggiornamento (t-1) maggiore rispetto a quello della banca dati e anche con aggregazioni funzionali alle analisi di finanza pubblica. Disponibile solo in formato pdf. Dati limitati al comparto degli enti locali non confrontabili con quelli espressi in termini di competenza economica.

 


 

Ulteriori Fonti Istat di interesse locale

Ammin. produttrice

Descrizione

Tempo di riferimento dei dati o delle analisi

Modalità di accesso

Problematiche

Atlante statistico dei comuni

Istat

Attraverso l’aiuto di un semplice software è possibile la consultazione, l’esportazione e la rappresentazione cartografica di informazioni relative a: Censimenti (dal 1971 per Popolazione e abitazioni e Industria e Servizi; dal 1990 per Agricoltura); Territorio; Popolazione; Sanità; Istruzione; Turismo; Cultura; Credito; Veicoli circolanti. Sono disponibili anche stime per Sistema locale del lavoro. I dati possono essere estratti e consultati secondo una serie molto ampia di partizioni territoriali predefinite (regioni, province, comuni, comunità montane, sistemi locali del lavoro, aziende sanitarie locali, ecc.), oppure attraverso costruzioni personalizzate di comuni.

Disponibilità a cadenza annuale. L'anno di riferimento dei dati diffusi varia a secondo della tematica affrontata, della rilevazione di riferimento e della fonte utilizzata.

http://www.istat.it/dati/catalogo/20061102_00/

 

Atlante statistico territoriale delle infrastrutture

Istat

La banca dati si articola in dieci grandi aree tematiche a loro volta organizzate in un numero variabile di sotto-aree che guidano l’utente nella consultazione e nella successiva analisi dei risultati. Tutte le informazioni, variabili di base e indicatori, sono in serie storica (nella maggior parte dei casi dal 1996 fino all’ultimo dato a oggi reperibile) e sono corredate da una raccolta di metadati che ne spiegano le principali caratteristiche. Infine, il software realizzato per la consultazione dei dati dispone di un modulo cartografico che consente una rapida e dettagliata rappresentazione grafica dei fenomeni di interesse.

Disponibilità a cadenza annuale. L'anno di riferimento dei dati e degli degli indicatori diffusi varia a secondo della tematica affrontata, della rilevazione di riferimento e della fonte utilizzata.

http://www.istat.it/salastampa/comunicati/non_calendario/20080805_00/

 

100 statistiche per il Paese

Istat

E' una pubblicazione che offre, in un'ottica di integrazione, un quadro d'insieme dei diversi aspetti economici, sociali, demografici e ambientali del nostro Paese, della sua collocazione nel contesto europeo e delle differenze regionali che lo caratterizzano. Si tratta di un lavoro che arricchisce l'ampia e articolata produzione dell'Istat attraverso la selezione di alcuni indicatori, aggiornati e puntuali, raccolti in 103 schede e distribuiti su 17 settori di interesse che spaziano dall'economia alla cultura, al mercato del lavoro, alla qualità della vita, alle infrastrutture, alla finanza pubblica, all'ambiente.

Occasionale

http://www.istat.it/dati/catalogo/20080507_01/

 

Indicatori di contesto chiave e variabili di rottura per la valutazione delle politiche di sviluppo

Istat

La banca dati contiene circa 160 indicatori regionali (indicatori di contesto chiave e le variabili di rottura), disponibili per tutte le regioni e per macro-area, articolati secondo gli assi di intervento ed ambiti prioritari del Quadro Comunitario di Sostegno 2000-2006. Sono inoltre disponibili gli indicatori del Quadro Strategico Nazionale 2007-2013, la cui base ha origine nell'evoluzione della banca dati degli indicatori regionali per le politiche di sviluppo. Gli indicatori sono altresì presentati per 22 ambiti tematici trasversali sia al QCS 2000-2006 sia al QSN 2007-2013: Acqua, Aria, Rifiuti, Ambiente (altro), Energia, Beni culturali, Lavoro, Istruzione e formazione, Competitività, Dinamiche settoriali, Demografia d'impresa, Internazionalizzazione, Mercato dei capitali e finanza d'impresa, Ricerca e innovazione, Società dell'informazione, Esclusione sociale, Legalità e sicurezza, Capitale sociale, Servizi di cura, Città, Trasporti e mobilità, Turismo.

Disponibilità a cadenza annuale ma con aggiornamento mensile. L'anno di riferimento degli indicatori diffusi varia a secondo della tematica affrontata, della rilevazione di riferimento e della fonte utilizzata.

http://www.istat.it/ambiente/contesto/infoterr/azioneB.html

 

Demo: demografia in cifre

Istat

Dati ufficiali recenti sulla popolazione residente nei Comuni italiani derivanti dalle indagini effettuate presso gli Uffici di Anagrafe. Interrogazioni personalizzate (per anno, territorio, cittadinanza, ecc.) permettono di costruire le tabelle di interesse e scaricare i dati in formato rielaborabile. È possibile trovare anche informazioni sui principali fenomeni demografici, come i tassi di natalità e mortalità, le previsioni della popolazione residente, l’indice di vecchiaia, l’età media.

I dati sono aggiornati periodicamente ed hanno cadenza annuale. Il bilancio demografico (nati, morti, iscritti e cancellati, oltre alla popolazione ad inizio e fine anno) sono anche disponibili con aggiornamento mensile. Il dettaglio territoriale arriva f

http://demo.istat.it/

 

Sistema di indicatori territoriali

Istat

Gli indicatori sono raggruppati in 15 aree informative e riferiti a ripartizioni territoriali, regioni, province e capoluoghi. Le aree informative sono le seguenti: Prezzi, Contabilità nazionale, Agricoltura, Ambiente, Imprese, Abitazioni, Attività edilizia ed opere pubbliche, Commercio, Trasporti e turismo, Mercato del lavoro, Condizioni economiche delle famiglie, Famiglie ed aspetti sociali, Popolazione, Sanità, Assistenza e previdenza, Istruzione, Cultura e tempo libero, Giustizia.

I dati sono aggiornati periodicamente ed hanno cadenza annuale.

http://sitis.istat.it/sitis/html/index.htm

 

Health for All – Italia

Istat

Il database di indicatori sul sistema sanitario e sulla salute in Italia è strutturato in maniera tale da poter essere interrogato dal software HFA fornito dall'Organizzazione Mondiale della Sanità adattato alle esigenze nazionali. Attualmente il database contiene 4.000 indicatori, molti dei quali con dettaglio regionale e provinciale. Gli indicatori sono organizzati in 10 gruppi, a loro volta organizzati in varie sezioni e per tutti è disponibile una serie storica.

I dati vengono aggiornati almeno due volte l'anno ed hanno cadenza annuale e/o mensile

http://www.istat.it/sanita/Health/

È possibile realizzare tabelle, grafici (istogrammi, grafici lineari, di frequenze, rette di regressione con calcolo del coefficiente di correlazione, ecc...) e mappe. Tali rappresenta­zioni possono essere esportate in altri programmi (per esempio Word, Excel o Power Point) o stampate direttamente a colori o in bianco e nero.
Alcuni indicatori di Health for All -Italia sono disponibili come tavole Excel nella banca dati "Indicatori socio sanitari regionali" all'indirizzo http://www.istat.it/sanita/sociosan/

Sistema Informativo Territoriale sulla Giustizia

Istat

Una banca dati interamente dedicata alla diffusione delle statistiche sulla giustizia. Ha l'obiettivo di dare un quadro del sistema giudiziario e dei soggetti che vi ricorrono, evidenziando gli aspetti sociali.

I dati sono aggiornati periodicamente ed hanno cadenza annuale.

http://giustiziaincifre.istat.it/Nemesis/index.jsp

 

Cultura in cifre

Istat

Cultura in cifre è un sistema informativo dedicato alle statistiche culturali che contiene dati e informazioni su produzione, distribuzione e fruizione culturale in Italia. Sul sito è presente una sezione esplicitamente dedicata agli indicatori territoriali

I dati sono aggiornati periodicamente ed hanno cadenza annuale.

http://culturaincifre.istat.it/

 

Annuario statistico italiano

Istat

L’Annuario statistico italiano, la più importante fra le pubblicazioni a carattere generale dell’Istat, offre un ritratto sintetico e aggiornato del Paese, a testimonianza dell’ampiezza del patrimonio della statistica pubblica. Schede metodologiche sulle singole fonti statistiche, glossario, bibliografia e indice analitico sono gli strumenti offerti per rispondere al meglio alle esigenze informative e di approfondimento degli utilizzatori. I dati pubblicati nei 26 capitoli, generalmente riferiti al 2007 e disaggregati a livello regionale, sono accompagnati da un confronto sintetico con i quattro anni precedenti. Per rendere più facile la consultazione del volume composto da circa 800 pagine, ciascun capitolo è preceduto da commenti a carattere esplicativo che ne agevolano la comprensione anche a un pubblico di “non specialisti”.

Annuale

http://www.istat.it/salastampa/comunicati/non_calendario/20081112_00/
Volume cartaceo con allegato CD-Rom acquistabile presso i datashop dell'Istat

 

Datawarehouse del censimento della popolazione e delle abitazioni

Istat

Popolazione residente, stranieri, famiglie, persone che vivono in convivenze, grado di istruzione e condizione professionale dei cittadini; consistenza numerica e caratteristiche strutturali di edifici e abitazioni. Il dettaglio è fino al livello comunale

2001 (cadenza decennale)

http://dawinci.istat.it/MD/

 

Datawarehouse del censimento dell'industria e dei servizi

Istat

Imprese, istituzioni pubbliche e non profit, unità locali e addetti, suddivisi per attività economica, classe di addetti e forma giuridica. Sono disponibili confronti con i censimenti dal 1951 in poi. Il dettaglio è fino al livello comunale

2001 (cadenza decennale)

http://dwcis.istat.it/cis/index.htm

 

Datawarehouse del censimento dell'agricoltura

Istat

Aziende agricole, nuove attività (colture biologiche, agriturismo, artigianato), nuove tecnologie, utilizzazione dei terreni, irrigazione, allevamenti, mezzi meccanici, forza lavoro e approcci al mercato

2000 (cadenza decennale)

http://www.census.istat.it/

 

Sistema informativo sulle acque

Istat

L’utente può navigare fra le diverse tavole disponibili scegliendo la tematica e il livello territoriale. La fiancata di ogni tavola è generalmente il livello territoriale attraverso il quale è possibile navigare gerarchicamente; infatti, dove previsto, l’utente può aumentare il livello di dettaglio territoriale (ottenendo informazioni più analitiche) o diminuirlo (ottenendo informazioni di carattere più generale). E’ inoltre possibile cambiare tavola o tematica rimanendo nello stesso livello territoriale. L’utente ha anche la possibilità di scaricare in formato Excel la singola tavola scelta.

1999

http://acqua.istat.it/

 

Coeweb - Statistiche del commercio estero

Istat

Coeweb e' il sistema informativo on-line completamente dedicato alle statistiche del commercio con l'estero che forniscono, con cadenza mensile, un ricco patrimonio informativo sui flussi commerciali dell'Italia con il resto del mondo. La banca dati contiene informazioni dal 1991 ad oggi. Le sue dimensioni superano i 60GB. L'elevato numero di variabili presenti e la possibilita' di realizzare on-line un'ampia gamma di interrogazioni ne fanno uno strumento di grande potenza informativa e di elevata flessibilita' utile ad operatori economici ed istituzionali nazionali ed internazionali.

Dal 1991, con cadenza mensile e annuale

http://www.coeweb.istat.it/

L'accesso alla banca dati e' gratuito

 


I conti pubblici territoriali (CPT)

Un ulteriore strumento di analisi della spesa imputabile alle diverse regioni, che può essere affiancato ai dati relativi alla spesa statale regionalizzata, è rappresentato dai conti pubblici territoriali.

Mentre la spesa statale regionalizzata fornisce la ripartizione geografica della spesa del bilancio dello Stato e di enti e fondi pubblici basandosi, come precedentemente illustrato, sul criterio della localizzazione dei pagamenti presso le Tesorerie dello Stato e sulla localizzazione fisica dei fattori produttivi, i conti pubblici territoriali offrono una ricostruzione dei flussi finanziari a carattere pubblico che transitano in ciascuna regione.

Lo studio di un sistema informativo riferito ai conti pubblici territoriali ha preso inizialmente l’avvio nel 1994, al fine di sopperire alle difficoltà relative alla disomogeneità dei conti finanziari per le singole regioni al momento della verifica del principio di addizionalità delle risorse comunitarie rispetto alle risorse nazionali. A tale scopo fu approvata la costituzione di una banca dati dei conti pubblici territoriali[154] finalizzata alla misurazione degli effetti territoriali ed al monitoraggio delle politiche di spesa a livello regionale. In tal modo, è stato possibile avviare un progetto per dare conto dei flussi di spesa e di entrata a livello regionale con riferimento agli enti appartenenti al settore pubblico allargato.

 

Nella elaborazione dei CPT si considera settore pubblico allargato (SPA) l’insieme degli enti appartenenti alla Pubblica amministrazione e degli enti che, pur non rientrando in quest’ultima categoria, sono sottoposti al controllo pubblico (c.d. imprese pubbliche) ed impegnate nella produzione di servizi destinabili alla vendita (es. telecomunicazioni, energia, etc.). Fanno parte del settore pubblico allargato in particolare cinque diverse categorie di enti erogatori di spesa:

  1. Amministrazione centrale: Stato, Patrimonio dello Stato SpA (acquisita dal 2007 da Fintecna SpA), ANAS e gli enti di previdenza;
  2. Amministrazione regionale: regioni e province autonome, enti dipendenti da regioni, ASL, ospedali e IRCSS (istituti scientifici di cura e ricerca);
  3. Amministrazione locale: province e città metropolitane, amministrazioni comunali, comunità montane e altre unioni di enti locali, camere di commercio, università, enti dipendenti da amministrazioni locali, enti portuali e parchi nazionali;
  4. Imprese pubbliche nazionali: Monopoli di Stato, Cassa depositi e prestiti (fino al 2004), l’Ente tabacchi italiano (fino al 2003), Enel, Poste italiane, Ferrovie dello Stato, ENI, ACI, Aziende ex IRI (Aeroporti di Roma, Alitalia, Finmeccanica, Fintecna e RAI), ENAV (fino al 2004), GSE (Gestore servizi elettrici, ex GRTN), Terna, Infrastrutture Spa (fino al 2005, poi incorporata nella CDP), Italia lavoro, SIMEST (Società italiana per le imprese all’estero), SOGESID (Società gestione impianti idrici), SOGIN (società gestione impianti nucleari), Agenzia nazionale per l'attrazione degli investimenti e lo sviluppo d'impresa (ex Sviluppo Italia);
  5. Imprese pubbliche locali: consorzi, forme associative e fondazione partecipate da enti locali.

 

La banca dati dei conti pubblici territoriali contiene dati di consuntivo espressi in termini di cassa e classificati per categoria economica, nonché per settore di intervento. Essa è alimentata attraverso una rete di 21 nuclei operativi presso ciascuna regione italiana e provincia autonoma, oltre ad un nucleo centrale presso il dipartimento delle politiche di sviluppo del Ministero dello sviluppo economico.

Tale rete è stata istituzionalizzata con decreto del 18 novembre 1997 del Ministro del tesoro, con il quale è stata estesa altresì l'originaria finalità del progetto volto alla verifica del principio di addizionalità dei fondi comunitari. Infatti, i conti pubblici territoriali sono stati altresì impiegati per l'analisi delle politiche pubbliche e per la misurazione dell'allocazione della spesa pubblica fra Mezzogiorno e Centro-Nord e fra singole Regioni, oltre che per lo studio della composizione della spesa in conto capitale fra investimenti pubblici e trasferimenti.

Il progetto è statoda ultimofinanziato nell'ambito del PON ATAS 2000-2006 (misura 1.3 lettera b). Dal 2002, inoltre, sono stati introdotti meccanismi di premialità per la Rete dei Nuclei CPT, da un lato, per potenziare la struttura organizzativa e metodologica del progetto, dall’altro, per incentivare la tempestività e la qualità dei flussi informativi da parte delle amministrazioni regionali.

Nel 2004, è stata effettuata una ricostruzione completa delle serie storiche della banca dati CPTper entrate e spese e, successivamente, i Conti Pubblici Territoriali sono entrati a far parte del Sistema Statistico Nazionale (SISTAN)[155] a partire dal Programma Statistico Nazionale 2005-2007.

Dal 2008 sono state inoltre effettuate delle analisi monografiche per regione con riferimento alla Liguria, Marche, Umbria, Abruzzo, Puglia, Basilicata, Calabria e Sardegna[156].

 

 


 



[1]    Si tratta delle ‘sanatoria’ disposta dalla legge finanziaria 2004, a seguito delle sentenze della Corte costituzionale, estesa poi anche alle leggi regionali emanate prima del 2005 e non sottoposte a giudizio della Corte.

[2]    Corte dei conti - Sezione delle autonomie, Relazione sulla gestione finanziaria delle regioni per gli esercizi 2006-2007, Delibera 25 luglio 2008, n. 11. Doc. Camera CI, n. 1

[3]    Il quadro delle manovre sull’IRAP da parte regionale è molto complesso. Tra le regioni a statuto ordinario solo la regione Calabria ha mantenuto invariate le aliquote stabilite dal D.Lgs. 446/1997. Da una parte le maggiorazioni di aliquote (oltre quelle ‘obbligatorie’ per ripianare i debiti in sanità) riguardano banche, società finanziarie e imprese di assicurazione (altre regioni estendono l’aumento anche ad altri settori, tra cui: telecomunicazioni, attività immobiliari, produzione e distribuzione di energia). Per quanto concerne le agevolazioni è possibile individuare due direttrici di intervento: agevolazioni nel settore del no-profit e della cooperazione sociale, per i quali quasi tutte le regioni applicano aliquote ridotte e incentivi e/o sostegno a tipologie di imprese, aree territoriali, settori produttivi.

[4]    Nella maggior parte delle regioni – ma non in tutte - le somme corrispondenti all’IVA territorializzata sono considerate entrate tributarie e iscritte al Titolo I del bilancio; la quota perequativa è iscritta al Titolo II come trasferimento dello Stato.

[5]    Sardegna, art. 8 L. Cost. 3/48, come sostituito prima dall’art. 1 L. 122/1983 e, da ultimo, dal comma 834 dell’art. 1 della legge n. 296/2006 (finanziaria 2007). Le ultime modifiche apportate (9/10 dell’IVA e 7/10 di tutte le altre imposte) entreranno a regime nel 2010.

[6]    Friuli-Venezia Giulia, art. 49 L. Cost. 1/63, come modificato dal comma 10 dell'art. 30, L. 27 dicembre 2002, n. 289; dal comma 946 dell’art. 1 della legge n. 296/2006 (finanziaria 2007) per l’IVA e dal comma 187 dell’art. 1 L. 244/2007 (finanziaria 2008) per quanto riguarda le accise, a decorrere dal 1/1/2008.

[7]    Gli introiti derivanti dal canone delle concessioni idroelettriche, sono iscritti in bilancio, generalmente, tra le entrate extratributarie (titolo III).

[8]    La compartecipazione alla tassa erariale è stata sostituita dalla tassa automobilistica provinciale istituita con legge da ciascuna provincia ai sensi dell’art. 3 del D.Lgs. 16/3/1992, n. 268.

[9]    Non è stata presa in considerazione la Regione Trentino-Alto Adige poiché costituisce un caso del tutto particolare. In ragione delle esigue funzioni rimaste in capo alla regione stessa – sono le province autonome infatti ad esercitare la quasi totalità delle funzioni - le entrate della regione sono costituite quasi integralmente dalle compartecipazioni ai tributi erariali previsti dallo statuto.

[10]   In particolare: per la regione FRIULI VENEZIA GIULIA: Corte dei conti - Sezione di controllo della regione Friuli-Venezia Giulia, Relazioni sul rendiconto della regione, esercizi 2006 e 2007 (ultima, Deliberazione n. 135/Sez.PI./2008). Per la regione SARDEGNA: Corte dei conti - Sezione di controllo per la regione autonoma della Sardegna, Relazione sul rendiconto della regione per l'esercizio 2006 (Delibera n. 86 del 13/6/2007); per il 2007: dati di consuntivo forniti dalla Regione. Per la regione SICILIA: Rendiconto della Regione siciliana per gli anni 2004-2007 dal sito http://www.regione.sicilia.it/bilancio/. Per le Province Autonome di BOLZANO e di TRENTO; e per la regione TRENTINO-ALTO ADIGE: Corte dei conti - Sezioni riunite, Decisioni e Relazioni sui rendiconti generali della regione Trentino-Alto Adige e delle province autonome di Trento e di Bolzano - Esercizi 2004, 2005, 2006, 2007 - in "Relazione sul rendiconto generale dello Stato", Doc. XIV Camera - Volume III.

Per la regione VALLE d'AOSTA: Rendiconto generale della regione Valle d'Aosta per ciascuno degli anni 2004-2007, dal sito http://www.regione.vda.it/ finanze/bilanci/default_i.asp.

[11]   Il 20 dicembre 2007 è stato diffuso nel sito http://www.istat.it/dati/dataset/20071220_00/ il lavoro relativo agli esercizi 2003-2004.

[12]   Cfr Appendice “I conti pubblici territoriali” e il sito ‘http://www.dps.tesoro.it/cpt/cpt.asp’.

[13]   Rispettivamente Appendice ES. 14 – Spese delle regioni a statuto ordinario per settori d’intervento e Appendice ES. 16 – Spese delle regioni a statuto speciale per settori d’intervento.

[14]   L’ISTAT, nell’analisi dei rendiconti delle regioni, ha infatti abbandonato la classificazione funzionale in quanto ritenuta non più affidabile. Vedi: Nota informativa in http://www.istat.it/dati/dataset/ 20071220_00/. “Negli esercizi più recenti alcune Regioni hanno del tutto abbandonato la classificazione SIR o l’hanno utilizzata solo per la parte economica. La scarsa affidabilità, derivante dalla mancanza di omogeneità o dalla parziale o completa omissione, dell’operazione classificatoria operata da molte amministrazioni ha reso inopportuno la pubblicazione di tavole elaborate secondo la classificazione funzionale.

[15]   Si veda la “Relazione sulla gestione finanziaria delle regioni per gli esercizi 2006-2007”, Corte dei conti - Sezione delle autonomie, delibera del 25 luglio 2008, n. 11 (Doc. Camera CI, n. 1).

[16]   Depurato dalle riduzioni di spesa corrente imposte dalle regole del patto di stabilità (-3,8% nel 2006 rispetto al 2004 e -1,8% nel 2007 rispetto al 2005).

[17]   Si ricorda che nella macroarea Nord rientrano Piemonte, Lombardia, Veneto, Liguria ed Emilia Romagna; Centro: Toscana, Umbria, Marche e Lazio; Sud: Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Basilicata e Calabria. Le rimanenti regioni non vengono considerate in quanto a statuto speciale.

[18]    L'analisi riprende e aggiorna quella effettuata nel dossier del Servizio Bilancio del Senato: Conti pubblici. Contesto di riferimento e andamenti. Una Sintesi. Maggio 2008, n. 3. Si precisa che l'analisi che segue è in linea con quanto stabilito dal regolamento CE 1500/2000. Il totale delle entrate include le voci produzione di servizi vendibili, produzione di beni e servizi per uso proprio e vendite residuali e non include il risultato lordo di gestione. Le spese non includono le seguenti voci: ammortamenti, risultato netto di gestione, produzione di servizi vendibili, produzione di beni e servizi per uso proprio e vendite residuali.

[19]    I dati utilizzati per la prima parte dell'analisi non sono confrontabili con quelli illustrati nella seconda parte, sia in quanto fanno riferimento ad anni diversi, sia perché sono predisposti seguendo principi contabili differenti. Si segnala, inoltre, che i valori pro capite sono calcolati adottando un parametro per la popolazione corrispondente alla media tra la popolazione presente ad inizio d'anno e a fine d'anno in ciascun ente.

[20]    I dati utilizzati per l'analisi aggregata del comparto regioni sono stati diffusi dall'ISTAT il 18

      giugno 2008 nella pubblicazione "Conti ed aggregati economici delle AP".

[21]    Si precisa che l'articolazione per regione si basa sui dati diffusi dall'ISTAT nella pubblicazione "I bilanci consuntivi delle amministrazioni provinciali - anno 2006" diffuso il 21 luglio 2008.

[22]    La compartecipazione all’IRPEF è stata classificata tra i trasferimenti correnti essendo nella sostanza un trasferimento di risorse effettuato dallo stato a partire dal gettito IRPEF pagato dai cittadini nelle varie parti d’Italia.

[23]    L'articolazione delle spese del bilancio provinciale è stabilita dal decreto del Presidente della Repubblica n. 194 del 31 gennaio 1996.

[24]    La finanza locale in Italia. Rapporto 2007, a cura di ISAE, IRES Piemonte, IRPET, SRM e IReR.

[25]    I dati fanno riferimento a 103 Amministrazioni provinciali (per ulteriori informazioni si rimanda alle Note informative Istat).

[26]    Rapporto ISAE, Finanza pubblica e Istituzioni, Capitolo 2, maggio 2008.

[27]   I dati utilizzati per l'analisi aggregata del comparto dei Comuni sono stati diffusi dall'ISTAT il 18 giugno 2008 nella pubblicazione "Conti ed aggregati economici delle AP".

[28]    Si precisa che le elaborazioni presentate nel paragrafo sono basate sui dati relativi al 2006 diffusi dall'ISTAT nella pubblicazione "I bilanci consuntivi delle amministrazioni comunali - anno 2006", 21 luglio 2008. L'ISTAT precisa che per l’esercizio finanziario 2006 i dati disponibili nel database del ministero, su cui sono state eseguite le elaborazioni, riguardano 7.095 comuni. La stima dei valori dell’universo dei comuni è stata ottenuta basandosi sulla popolazione residente al 31/12/2006, tramite coefficienti di espansione calcolati per ciascuna classe di popolazione residente di ciascuna regione.

[29]    La compartecipazione all’IRPEF è stata classificata tra i trasferimenti correnti essendo nella sostanza un trasferimento di risorse effettuato dallo stato a partire dal gettito IRPEF pagato dai cittadini nelle varie parti d’Italia. I comuni non hanno alcuna autonomia nel modificarne ne le aliquote ne la base imponibile

[30]    Il coefficiente di variazione calcolato per le sole regioni a statuto ordinario presenta per le spese valori pari a 0,13 per le entrate tributarie pari a 0,22 e per i trasferimenti pari a 0,2.

[31]    Occorre precisare che nell'analisi non sono presenti i comuni della Valle d’Aosta in quanto hanno fornito per le spese finali solo l’analisi economica, avvalendosi della facoltà loro concessa esplicitamente dal decreto ministeriale di omettere quella funzionale.

[32]    L'articolazione delle spese dei bilanci comunali è stabilita dal decreto del Presidente della Repubblica n. 194 del 31 gennaio 1996.

[33]    Il legame tra l'andamento delle spese correnti pro-capite dei comuni e l'ampiezza demografica viene approfondito dalla Commissione Tecnica per la Finanza Pubblica sia nel rapporto "Primi elementi per una valutazione di benchmarking della finanza pubblica degli enti locali", doc. 2007/5, sia nel Libro verde sulla spesa pubblica, doc. 2007/6 settembre 2007 (pag. 77). In tali rapporti si sottolinea come sulla spesa dei comuni più piccoli pesino le diseconomie di scala (da cui l’opportunità di incentivi diretti a favorire le unioni di Comuni e la conduzione associata dei servizi), mentre al crescere della dimensione dei comuni il pacchetto di servizi pubblici offerto alla cittadinanza aumenta in volume e complessità, comportando un livello di spesa sempre crescente. Come osservato anche dall'ISAE questo andamento ad "u" sembra, quindi, trovare giustificazione nell'esistenza di costi fissi rilevanti per i comuni piccoli e di costi aggiuntivi per i grandi (Isae, Finanza Pubblica e Istituzioni, maggio 2008 pag. 3).

[34]    L’entità del gap fiscale verticale dipende dall’allocazione delle funzioni di entrata e di spesa fra governo centrale e governi locali. L’entità del gap orizzontale dipende dal grado di eterogeneità esistente fra i territori locali.

[35]    Per un ulteriore approfondimento sulle modalità di utilizzo del fabbisogno di spesa, nonché per una rassegna sulle pratiche di utilizzo nei principali paesi si veda J. Alm e J.Martinez-Vazquez:" On the use of budgetary norms as a tool for fiscal management" Andrew Young School of Policy Studies, Maggio 2002.

[36]    Si veda Moore e Rhodes: “The Standard Expenditure Approach to the Assessment of Local Authority Needs”, OECD Publications, 1981,vol.4, pp.175-227.

[37]    Si veda The Copenhagen workshop 2007: "Measuring Local Expenditure Needs".

[38]    Si veda: ISAE; "L'individuazione di un benchmark per il fabbisogno di spesa dei Comuni italiani: una analisi per gruppi omogenei, Rapporto ISAE: Finanza pubblica e Istituzioni, Maggio 2008.

[39]    Si veda: U. Galmarinie L. Rizzo: "Spesa standard e perequazione della capacità fiscale dei comuni", La Finanza pubblica italiana, Rapporto 2008, pag. 254-257.

[40]    Il sistema australiano, ad esempio, ha dedicato una grande attenzione alla definizione dei fabbisogni di spesa, in particolare l'esperienza maturata nel corso degli anni da tale paese consente di individuare alcuni metodi generali. E' importante ricordare che la trattazione seguente è a scopo puramente illustrativo e che accanto agli approcci individuati esistono criteri alternativi alla valutazione dei fabbisogni quali, ad esempio, il riferimento a best practices che eleggono a standard di un servizio il livello offerto dall'ente locale più ricco/efficiente, o ancora il riferimento alla determinazione di un livello minimo di servizio da utilizzare come standard.

[41]    Si veda: J.Boex e J.Martinez-Vazquez: "Designing Intergovermental Equalization Transfers with Imperfect Data: Concepts, Practices, and Lessons", Fiscal Equalization: Challenges in the Design of Intergovernmental Transfers, J. Martinez-Vazquez e B. Searle, 2007; Ehtisham Ahmad "Financing decentralized expenditures. An international Comparison of Grants",1997, cap.3 pag.43-46.

[42]    Ad esempio, per gli enti locali, indicatori di fabbisogno specifici sono la popolazione residente (parametro demografico); l’altimetria ed eventualmente la vicinanza ad una zona costiera (geografico); la quota di popolazione giovane o anziana, il grado di turisticità, la quota di disoccupati, quella di popolazione al di sotto della soglia di povertà (socio-economici).

[43]    Un esempio di applicazione di un criterio di ponderazione di tipo politico dei diversi indicatori di fabbisogno è rappresentato dall’Australia dove una Commissione indipendente stabilisce i pesi percentuali da attribuire a tre specifici indicatori di fabbisogno, rappresentati dalla quota di disoccupati, di giovani e di famiglie monoparentali.

[44]    Per la costruzione della base imponibile standard possono utilizzarsi valori di base imponibile procapite medi nazionali (o di un sottoinsieme di enti ritenuto rappresentativo), scontando l'applicazione delle deduzioni o detrazioni applicate in media dagli enti considerati, ovvero può calcolare la base imponibile applicando le agevolazioni minime previste da parametri normativi.

[45]    La determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni (LEP) è di competenza esclusiva dello Stato (art. 117, comma 2, lett. m) della Costituzione). Per un approfondimento sulla definizione e sull'evoluzione dei Lep si veda " I livelli essenziali delle prestazioni" Quaderni Formez n° 46, Giugno 2006.

[46]    L'indicatore di fabbisogno finanziario viene definito come differenza tra il valore standardizzato della spesa corrente al netto degli interessi e il valore standardizzato del gettito dei tributi ed entrate proprie di applicazione generale (art.11, comma 1, lettera c). Allo stesso articolo, la lettera d) stabilisce che la spesa corrente standardizzata sia calcolata sulla base di una quota uniforme per abitante, corretta per tener conto della diversità della spesa in relazione all'ampiezza demografica, alle caratteristiche territoriali, demografiche e produttive dei diversi enti. Un ulteriore precisazione chiarisce, infine, che il peso delle caratteristiche individuali dei singoli enti nella determinazione del fabbisogno sia determinato con tecniche statistiche, utilizzando i dati di spesa storica dei singoli enti e tenendo conto anche della spesa relativa a servizi esternalizzati o svolti in forma associata. La lettera e) specifica che la entrate considerate ai fini della standardizzazione sono rappresentate dai tributi propri valutati ad aliquota standard.

      L'altro parametro per la ripartizione del fondo perequativo degli enti locali, l'indicatore di fabbisogno di infrastrutture, deve essere determinato in coerenza con la programmazione regionale di settore e tenendo conto dell'entità dei finanziamenti dell'Unione europea di carattere infrastrutturale ricevuti dagli enti locali e del vincolo di addizionalità a cui tali enti sono soggetti (art. 11 comma 1, lettera c, punto 2).

[47]   Come modificata dalla Legge costituzionale n. 3/2001.

[48]   Articolo 117, comma 2, lettera m) Cost.

[49]   La legge di riordino del SSN (D.Lgs. n. 502/1992) ribadisce l’obbligo di definire i Lea nel Psn “come specificazione delle prestazioni da garantire a tutti i cittadini nel rispetto degli obiettivi della programmazione socio-economica nazionale e in coerenza con l’entità del finanziamento assicurato al SSN”, subordinandone così la definizione alle disponibilità di risorse.

[50]   Il D.Lgs. n. 229/1999 elenca esplicitamente i principi e i criteri sottesi alla definizione dei Lea: la dignità umana, il bisogno, la solidarietà sociale, la qualità dell’assistenza e l’economicità dell’impiego delle risorse disponibili.

[51]   Successivamente, nell’ambito dell’accordo stipulato tra il Governo e le Regioni dell’8 agosto 2001, le Regioni chiedono al Governo la specificazione dei Lea ai quali viene collegato il finanziamento del SSN per il triennio 2001-2004; inoltre, viene posta a carico delle Regioni la responsabilità di coprire con proprie risorse gli eventuali disavanzi rispetto al finanziamento individuato come congruo per garantire i Lea , nonché i costi di prestazioni e servizi aggiuntivi.

[52]   Arcangeli – De Vincenti, “Politica sanitaria” in La finanza pubblica italiana – Rapporto 2008.

[53]   Il DPCM 29 novembre 2001 (emanato in attuazione dell’articolo 6 del decreto legge 347/200), poi modificato dai DPCM del 28 novembre 2003 e 5 marzo 2007, viene emanato dopo un percorso iniziato con l’Accordo Stato-Regioni dell’8 agosto 2001, dove per la prima volta vengono individuati i Lea.

[54]   Una precedente proposta di modifica dei Lea era stata presentata dal Governo con il DPCM del 23 aprile 2008, successivamente revocato dallo stesso Governo per carenza di copertura finanziaria.

[55]   Articolo 4bis, comma 10, legge n. 112/2002. La Commissione, nominata e presieduta dal Ministro della salute, è composta da esperti nominati dal Ministero della salute, dalle Regioni e dal Ministro dell’economia e delle finanze. Con decreto firmato l’8 gennaio 2008 il Ministro ha provveduto a nominare la nuova Commissione.

[56]   www.ministerosalute.it

[57]   Cfr. infra.

[58]    L’ultimo Rapporto, contenente i dati relativi al 2004, è stato pubblicato a fine 2007: www.ministerosalute.it/programmazione/lea/lea.jsp.

Il Rapporto è costituito da due sezioni: la prima dedicata all’esposizione delle informazioni più rilevanti che emergono dal processo di monitoraggio, e la seconda contenente il dettaglio di tutti gli indicatori previsti dal DPCM del 12 dicembre 2001.

La fonte informativa dei dati è costituita dai flussi del Nuovo Sistema Informativo Sanitario (NSIS) e dalle banche dati gestite direttamente dall’ISTAT e da altri istituti di ricerca. Per la costruzione di alcuni indicatori, i dati vengono acquisiti mediante la predisposizione di appositi questionari inviati alle regioni e alle province autonome. Con riferimento, in particolare, agli indicatori di costo viene definito l’indicatore di costo globale per livello di assistenza, che misura l’incidenza sui costi complessivi del costo sostenuto in ciascuna regione per assicurare le prestazioni incluse nel livello stesso. Gli indicatori di costo vengono poi disaggregati per sottolivelli di prestazioni, secondo lo schema di classificazione delle voci di costo definito nella nota metodologica al Rapporto.

[59]   Le attività del Siveas sono individuate dal decreto istitutivo (D.M. 17 giugno 2006).

[60]   Ad oggi, risulta pubblicato il primo Rapporto sperimentale, relativo ai ricoveri ospedalieri per acuti nel primo semestre del 2007.

[61]   Legge n. 296/2006, art. 1, comma 796, lett. a.

[62]   Al netto di un Fondo transitorio (1 miliardo nel 2007, 850 milioni nel 2008 e 700 milioni nel 2009) per sostenere il risanamento delle Regioni non in linea con i livelli di spesa concordati.

[63]   In misura ridotta, quindi, rispetto all’evoluzione (in linea con il PIL nominale) prevista dal Patto della salute.

[64]   Per l’anno 2007: art 1-bis del DL 23/2007 convertito dalla legge 64/2007. Per l’anno 2008: Legge 244/2007, art. 2, commi 376 e 377.

[65]   Legge 244/2007, art. 3, comma 139.

[66]   Art 79, comma 1, del DL 112/2008 convertito in legge 133/2008.

[67]   Art 79, comma 2, del DL 112/2008

[68]   Art 61, comma 19 e art 84, comma 1-quinquies del DL 112/2008.

[69]   Art 1, comma 5, del DL 154/2008.

[70]   Art. 5, comma 1, del DL 159/2007.

[71]   Rispettivamente, con delibera CIPE 29 novembre 2007 e 27 marzo 2008.

[72]   Calcolato sulla popolazione residente, dati ISTAT al 1° gennaio dell’anno precedente.

[73]   L’articolo 7 del decreto legislativo n. 56/2000 ha istituito nello stato di previsione del Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica il «Fondo perequativo nazionale», di natura solidaristica, al fine di sostenere quelle regioni finanziariamente non autosufficienti in base alla propria capacità fiscale. Le risorse del fondo perequativo sono costituite dal gettito derivante dalle compartecipazioni IVA e dalle accise sulla benzina.

[74]   La Sardegna dal 2007 non riceve più trasferimenti a carico del bilancio dello Stato, come già avviene per la Val D’Aosta, il Friuli Venezia Giulia e le province autonome di Trento e Bolzano. Infatti, per tali regioni le quote di partecipazione devono intendersi a copertura integrale del loro fabbisogno, mentre per la Sicilia, la cui quota di partecipazione è attualmente fissata nella misura del 44,09% è a parziale copertura del fabbisogno medesimo.

[75]   Enti finanziati con FSN: Croce Rossa Italiana, Cassa DD PP, Università (borse di studio per specializzandi), Istituti Zooprofilattici Sperimentali.

[76]   Cfr. Rapporto CEIS – Sanità 2007.

[77]   Fa eccezione la Regione Abruzzo.

[78]   Prof. A. Cicchetti e Dott.ssa A. Ceccarelli., in Rapporto Osservasalute 2007.

[79]   Nel 2006, Piemonte, Veneto, Lombardia, Emilia Romagna, Toscana, Abruzzo, Campania e Basilicata.

[80]   Cicchetti e Ceccarelli, ibidem. Con riferimento al 2006, la Campania, per alcuni livelli assistenziali ha individuato differenze nel livelli reddituali (c.d. indice di povertà relativa) per ridistribuire diritti e servizi verso cittadini economicamente più bisognosi.

[81]   Il CEIS elenca il seguente elenco di finalità, generalmente riscontrate nelle Regioni che mantengono la quota a gestione diretta: accantonamenti (per progetti obiettivo, per fare fronte a variazioni tariffarie, per spese impreviste, ecc.); fondi per finalità specifiche (per esempio, rinnovi contrattuali); fondi per obiettivi strategici (per esempio, la riqualificazione dell’assistenza sanitaria regionale); fondo per riequilibrio e perequazione; accantonamenti a destinazione vincolata).

[82]    Cfr. ancora CEIS, pagg. 260 e seguenti.

[83]   Relazione generale sulla situazione economica del Paese (RGSEP) 2007. Si segnala che tali dati non tengono conto delle correzioni per mobilità interregionale né di quelle per mobilità internazionale.

[84]   Solo per i maggiori costi imputabili a provvedimenti assunti a livello nazionale concernenti i LEA è prevista la possibilità di finanziamento aggiunti o di ripiano a carico dello Stato.

[85]   A titolo informativo, si segnala che, per esempio, nel 2006 la Calabria per soddisfare i LEA ha speso l’8,77 per cento del suo PIL a fronte del 4,66 per cento speso dalla Lombardia (Rapporto Osservasalute 2007).

[86]   In tale caso, pertanto, potrebbe anche configurarsi l’incapacità di garantire a tutti i cittadini l’eguale possibilità di accedere ai servizi sanitari. Si tenga comunque presente che l’indicatore in questione è fortemente influenzato da differenti fattori: dal differente bisogno di assistenza sanitaria tra le regioni, riconducibile prevalentemente alla composizione per sesso e per età della popolazione e dal quadro epidemiologico (ad esempio, a parità di spesa pro capite, regioni con molti giovani risultano avvantaggiate rispetto a regioni con molti anziani); dal diverso livello dei prezzi tra le regioni (livello dei prezzi nelle regioni meridionali è diverso da quello delle regioni settentrionali).

[87]   Mapelli 2008 su la voce.info.

[88]   Il costo standard non è mai il costo minimo, bensì il costo medio dei processi efficienti.

[89]   Sole24Ore - Sanità n. 36/2008

[90]   Articolo 87 della legge finanziaria 2001.

[91]   Arcangeli – De Vincenti, ibidem.

[92]   Cfr. supra.

[93]   Convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133/2008 (articolo 79, comma 1-quinquies).

[94]   D.M. 30 giugno 1997.

[95]    Si veda il contributo del prof. Vitaletti nell’audizione presso le Commissioni riunite 1^, 5^ e 6^ nell'ambito dell’indagine conoscitiva relativa all'esame dell'AS 1117.

[96]    Si veda il contributo dell’ISAE nell’audizione presso le Commissioni riunite 1^, 5^ e 6^ nell'ambito dell’indagine conoscitiva relativa all'esame dell'AS 1117.

[97]    Si vedano in particolare i documenti della Corte dei Conti e dell'ISAE presentati nelle audizioni nell'ambito dell’indagine conoscitiva relativa all'esame dell'AS 1117.

[98]    Si noti che con la definizione di addizionale si richiama alla struttura dell'addizionale comunale Ire presente nel nostro ordinamento, che tecnicamente risulta più simile a una sovrimposta che a un'addizionale vera e propria, la cui struttura è, invece, rappresentata dalla formula seguente: . Anche l'addizionale Ire regionale ha una struttura che la rende più simile a una sovrimposta; tuttavia a differenza dei comuni le regioni hanno la possibilità di concedere agevolazioni e operare rimodulazioni sulla base imponibile.

[99]    Su tale aspetto si veda il paragrafo 4.5.

[100]  Si veda Ministero dell’economia e delle finanze – Dipartimento per le politiche fiscali – Ufficio studi e politiche economico-fiscali, Studi e analisi n. 4, La regionalizzazione delle entrate erariali per gli anni 2003-2004, ottobre 2007

[101]  Articolo 2, comma 10, lett. i), della legge n. 350/2003.

[102]Cfr. in proposito MEF, Dipartimento per le politiche fiscali, La regionalizzazione delle entrate erariali, ottobre 2003.

[103]Ai sensi dell’articolo 50, comma 5, del D. Lgs. n. 446 del 1997, l’addizionale regionale relativa ai redditi da lavoro dipendente e a quelli assimilati a tali redditi è versata dai sostituti d’imposta alla regione in cui il sostituto ha il domicilio fiscale all’atto delle operazioni di conguaglio relative a tali redditi.

[104]  MEF, Dipartimento per le politiche fiscali, La regionalizzazione delle entrate erariali per gli anni 2003-2004. Ottobre 2007.

[105]La variabilità dei valori pro capite attribuibili alle singole regioni rispetto al valore medio pro capite nazionale è misurata dal coefficiente di variazione. Tale coefficiente di dispersione è dato dal rapporto tra lo scostamento quadratico medio e la media aritmetica. Nello studio mentre i dati regionali dell’IRPEF presentano stabilmente negli anni 2003 e 2004 un coefficiente di variazione dello 0,33, i dati regionali dell’IVA presentano per i medesimi anni un coefficiente dell’0,20 e quindi una dispersione meno marcata rispetto al valore medio nazionale.

[106]M.F. Ambrosiano, M. Bordignon, G. Turati, La stima della proposta di legge al Parlamento n. 0040 approvata dal Consiglio Regionale della Lombardia, “Nuove norme per l’attuazione dell’articolo 119 della Costituzione”, CFREL-Università Cattolica di Milano e Regione Umbra.

[107]Il coefficiente di variazione calcolato sulla distribuzione della base imponibile pro capite è pari allo 0,29 a fronte dello 0,33 evidenziato nello studio del Dipartimento delle finanze. Il rapporto di coesistenza, che misura la distanza massima tra i valori regionali passa da 2,9 a 2,6.

[108]M.R. Marino e R. Zizza, L’evasione dell’IRPEF: una stima per tipologia di contribuente, ottobre 2008.

[109]Gli enti presi in considerazione tra quelli che operano sull’intero territorio nazionale, oltre a quelli previdenziali, sono l’Anas, i Monopoli di Stato, il CNR, l’ENEA, l’istituto Nazionale di Fisica Nucleare, la Croce Rossa Italiana, l’ICE, l’Istituto di patronato ed assistenza sociale, l’ISPEL, il Fondo Edifici di culto, nonché la Presidenza del Consiglio dei Ministri e la Corte dei conti.

[110]Per l’esposizione dei dati relativi all’analisi funzionale per categoria economica di ciascuna regione e provincia autonoma si rinvia alla pubblicazione della RGS sulla Spesa statale regionalizzata al sito ‘http://www.rgs.mef.gov.it/VERSIONE-I/Servizio-s/Studi-e-do/La-spesa-s/Anni-prece/REGIO_06.pdf’, pag. 104-253.

[111]Per l’analisi di questa funzione-obiettivo in particolare si rimanda alla parte di dettaglio sulla spesa regionalizzata per l’istruzione, nei paragrafi seguenti.

[112]Da elementi informativi acquisiti presso gli uffici della Ragioneria generale dello Stato risultano altresì imputabili a tale sottovoce le erogazioni finalizzate al finanziamento del Modulo Sperimentale Elettromeccanico (MOSE) nella laguna di Venezia.

[113]Si ricorda che l’art. 1 del D.Lgs. n. 56 del 2000 ha previsto che la cessazione dei trasferimenti erariali in favore delle regioni a statuto ordinario, dal 1° gennaio 2001, relativi fra l’altro al finanziamento delle spesa sanitaria corrente e in conto capitale fossero compensati con la compartecipazione regionale all’IVA, con l’aumento dell’addizionale regionale all’IRPEF e con l’istituzione di un’aliquota di compartecipazione regionale all’accisa sulle benzine.

[114]Si osserva inoltre che il dato in valore assoluto relativo all’erogazione della spesa statale per la funzione-obiettivo “Sanità”, con riferimento alle regioni Sicilia e Sardegna, è coerente con la spesa del Fondo sanitario nazionale stabilita nella deliberazione annuale del CIPE per la ripartizione delle quote di parte corrente del Servizio sanitario nazionale per l’anno 2006 (rispettivamente di circa 2,2 miliardi e 954 milioni di euro).

[115]Nel 2006 si registra una riduzione anche in valore assoluto della spesa per l’istruzione: su tale fenomeno influisce lo slittamento al 2007 dei rinnovi contrattuali per tale comparto.

[116]Per quanto riguarda l'istruzione superiore (corrispondente alla funzione 9.4 della COFOG), i dati contenuti nella classificazione Istat relativi al conto della PA non sono riferiti alla totalità delle spese delle Università, in quanto queste ultime svolgono altre funzioni, la ricerca di base e la ricerca applicata, che rientrano, rispettivamente, nella classificazione COFOG 1.4 e COFOG 1.5.

[117]La Tabella 3 riporta i dati relativi al solo anno 2007 in quanto, per la parte relativa alle spese dei centri di responsabilità diversi dagli Uffici scolastici regionali, i cambiamenti intervenuti nei vari anni nell’assetto del MIUR (che ha visto prima separati e poi riaccorpati i Ministeri della Pubblica istruzione e quello dell’Università) non consentono una confrontabilità di dati nei diversi esercizi relativamente agli Uffici di diretta collaborazione, Servizi, Dipartimenti, ecc

[118]Si utilizzano i dati relativi ai pagamenti in quanto, con riferimento agli USR, gli impegni - che consentirebbero di ottenere un dato che più si avvicina alla competenza economica – non sono ricavabili dai disegni di legge del Rendiconto del bilancio dello Stato, esercizi 2005 e 2006. Trattandosi, tuttavia, di spese quasi interamente di parte corrente, riferibili prevalentemente a redditi da lavoro dipendente (v. tabella 9 riportata in allegato), non si determinano significativi scostamenti.

[119]La politica regionale dell’Unione europea nel periodo 2000-2006 è stata attuata attraverso quattro Fondi strutturali: Fondo Europeo di Sviluppo Regionale (FESR), che contribuisce ad aiutare le regioni in ritardo di sviluppo, in riconversione economica e con difficoltà strutturali; il Fondo Sociale Europeo (FSE), che interviene principalmente nell'ambito della strategia europea per l'occupazione; il Fondo Europeo Agricolo di Orientamento e Garanzia (FEAOG), volto a consentire il raggiungimento delle finalità della Politica Agricola Comune (PAC) con riferimento alle strutture agricole e rurali; lo Strumento finanziario di orientamento per la pesca (SFOP), per il settore della pesca. Nell’ambito delle azioni strutturali sono compresi inoltre ulteriori interventi finanziati con uno altro fondo, il c.d. “Fondo di coesione”, che nella programmazione 2000-2006 è stato destinato in particolare a Spagna, Irlanda e Portogallo.

[120]Si ricorda che l’attuazione degli interventi relativi al periodo di programmazione 2000-2006 dei Fondi strutturali, che viene qui analizzata, si concluderà alla fine del 2008.

      Dal 2007 ha preso il via il nuovo ciclo di programmazione delle risorse comunitarie per il periodo 2007-2013. Il quadro normativo comunitario che definisce i nuovi obiettivi e gli strumenti finanziari di intervento della politica di coesione ad essi destinati, nonché i criteri per la loro ripartizione, è definito dal Regolamento (CE) n. 1083/2006 del Consiglio dell’11 luglio 2006, che ha abrogato le norme che regolavano la disciplina della precedente programmazione 2000-2006 (Regolamento (CE) n. 1260 del 1999). In particolare, gli interventi strutturali sono programmati in modo da concentrare le risorse su un numero più limitato di priorità. Le risorse disponibili nel periodo 2007-2013 ammontano complessivamente a 308 miliardi di euro, da ripartire fra tre nuovi obiettivi di intervento della politica comunitaria di coesione: l’obiettivo “Convergenza”, che costituisce la priorità dei Fondi cui è destinato oltre l’81% del totale degli stessi; l’obiettivo “Competitività regionale e occupazione” e l’obiettivo “Cooperazione territoriale europea”.

Le risorse dei fondi comunitari assegnate all’Italia ammontano complessivamente a28,8 miliardi di euro, di cui il 75% (21,6 miliardi) destinate all’obiettivo “Convergenza” che riguarda le regioni Calabria, Campania, Puglia e Sicilia.

[121]L'elenco delle regioni europee interessate dall'Obiettivo 1, valido dal 1° gennaio 2000 al 31 dicembre 2006 è riportato nell’allegato I alla decisione della Commissione UE n. 502/1999.

[122]Per l’elenco delle zone italiane rientranti nell’Obiettivo 2, si veda la Decisione (CE) n. 530 del 27 luglio 2000, successivamente modificata dalla Decisione (CE) n. 363 del 27 aprile 2001.

[123]Cioè le aree degli Ob. 1 e 2 dei Fondi strutturali 1994-1999 non ricomprese nei nuovi obiettivi.

[124]Le regioni dei Paesi europei interessate dal sostegno transitorio nel quadro dell'obiettivo 1 sono elencate nell'allegato II alla decisione della Commissione UE 1° luglio 1999, n. 502.

[125]Il QCS 2000-2006 è stato aggiornato, a seguito della revisione di metà periodo, con Decisione della Commissione C(2004)4689 del 30 novembre 2004.

[126]Il coordinamento della finanza pubblica è una funzione di legislazione concorrente tra Stato e Regioni (art. 117 della Costituzione, comma terzo). Lo Stato è quindi responsabile della formulazione dei principi generali relativi al coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario. La competenza esclusiva dello Stato è prevista, invece, in materia di rapporti internazionali e rapporti dello Stato con l’Unione europea (art. 117 della Costituzione, comma due).

[127]Tali compiti richiedono l'impiego di risorse e competenze specifiche per programmare e coordinare la finanza degli enti locali, nonché la previsione di meccanismi di controllo e di sanzione che scoraggino comportamenti opportunistici delle singole autonomie.

[128]Si veda in proposito Coordinamento della finanza pubblica, Patto di stabilità interno e armonizzazione dei bilanci pubblici, in Temi di federalismo fiscale, Servizio studi e Servizio del Bilancio dello Stato, Camera dei Deputati.

[129]Il principio della golden rule era presente nella legislazione relativa alla predisposizione del bilancio degli enti territoriali già prima della sua introduzione nella Costituzione in seguito alla modifica del Titolo V.

[130]Si veda in proposito "Tradable Deficit Permits: Efficient Implementation of the Stability Pact in the European Union", Alessandra Casella (1999). Inoltre, per un'ampia trattazione Isae Finanza pubblica e Istituzioni, maggio 2007.

[131]Ambrosanio e Bordignon, “Il Federalismo fiscale in Italia, fatti e problemi”, Associazione per gli sviluppi degli studi di banca e borsa, Quaderno 234, 2007.

[132]Con riferimento all’indebitamento dei governi sub-nazionali, la letteratura evidenzia quattro possibili forme di coordinamento. La prima fa riferimento alla disciplina di mercato, nel senso che i governi locali possono liberamente indebitarsi sui mercati finanziari. Affinché il mercato possa funzionare come forma di coordinamento, sarebbero necessarie alcune condizioni molto restrittive, tra le quali l’impossibilità disalvataggio (bailout) in caso di dissesto (default), la piena informazione degli operatori, mercati liberi e aperti, nessun vincolo di portafoglio o di riserva sugli intermediari finanziari (ossia i governi locali che emettono debito non devono essere in una situazione privilegiata rispetto agli altri emittenti di strumenti di debito). La seconda modalità afferisce ai controlli diretti del governo centrale sul ricorso al debito dei governi sub-nazionali. Vi sono poi l’approccio cooperativistico tra i diversi livelli di governo, e, infine, l’approccio basato sulle regole imposte ai governi sub-nazionali. Nelle realtà concrete si osserva il ricorso a forme ibride di coordinamento. Vedi Ter-Minassian e Craig, “Control of Subnational Government Borrowing”, in Fiscal Federalism, IMF, 1997.

[133]Ambrosanio e Bordignon, “Il Federalismo fiscale in Italia, fatti e problemi”, op. cit. In Germania, sulla base del dettato costituzionale, la Federazione e i Länder sono autonomi e indipendenti uno dall’altro nella gestione dei rispettivi bilanci. L’organismo incaricato del coordinamento, il Financial Planning Council, assume le proprie decisioni con il consenso di tutti i suoi membri (i ministri federali, rispettivamente, dell’economia e del lavoro, e delle finanze, i ministri delle finanze dei Länder, e quattro rappresentanti dei comuni e dell’associazione dei comuni). Il Financial Planning Council può emettere raccomandazioni in caso di violazioni degli impegni, ma non può comminare sanzioni; di fatto non esiste in Germania un organismo centrale con il potere di decidere a livello nazionale sulle questioni di bilancio. Le caratteristiche peculiari del sistema federale tedesco hanno reso difficoltoso il percorso di rientro dal deficit eccessivo, come sottolineato dai Servizi della Commissione, cfr. Public Finances in EMU, 2006.

[134]L’High Financial Council è incaricato di monitorare le politiche fiscale dei governi regionali. In caso di violazione, può chiedere alle autorità federali di limitare il ricorso al debito da parte delle amministrazioni che violano gli accordi.

[135]In proposito, si ricorda l’istituzione del SIOPE (Sistema di rilevazione telematica degli incassi e dei pagamenti dei soggetti facenti parte della pubblica amministrazione) prevista dall'art. 28 comma 3 della legge n. 289 del 2002, strumento di registrazione telematica delle operazioni gestionali del bilancio degli enti pubblici, attraverso codifiche uniformi applicate ad ogni operazione svolta dai tesorieri degli enti. Il SIOPE codifica le operazioni gestionali del bilancio delle amministrazioni pubbliche, garantendo omogeneità nella rilevazione dei dati contabili, senza però implicare la standardizzazione dei bilanci preventivi e consuntivi delle autonomie.

[136]Si ricorda che in materia di armonizzazione dei bilanci pubblici era intervenuto, da ultimo, il decreto legislativo n. 170 del 2006 - adottato in attuazione della delega conferita dalla legge n. 131 del 2003 (art. 1, comma 4. della cd. “legge La Loggia") – il quale ha ribadito, in osservanza del carattere meramente ricognitivo attribuitogli dalla citata delega,i principi fondamentali desunti dalle leggi vigenti per l’armonizzazione dei bilanci pubblici delle regioni a statuto ordinario e degli enti locali. I principi individuati sono volti alla progressiva armonizzazione dei criteri di redazione dei bilanci dei diversi livelli di governo, allo scopo di definire una migliore conoscenza e confrontabilità dei dati contabili, nonché di incrementare la trasparenza delle decisioni e la responsabilizzazione delle diverse amministrazioni, anche nel quadro del perseguimento degli obiettivi stabiliti dal Patto di stabilità e crescita.

[137]  In realtà, valori particolarmente elevati di fabbisogno a fronte di posizioni relativamente vicine in termini di reddito pro capite potrebbero comportare che qualche regione collocata al disopra della regione adottata come parametro acceda al Fondo perequativo.

[138]  Musgrave, “The Theory of Public Finance: a Study in Public Economy”, 1959.

[139]  Una sintesi della teoria economica del federalismo fiscale si trova in Ambrosanio e Bordignon, “Il Federalismo fiscale in Italia, fatti e problemi”, Associazione per gli sviluppi degli studi di banca e borsa, Quaderno 234, 2007. Si vedano inoltre: Rapporto annuale sull’attuazione del Federalismo, ISAE, 2003; Giarda, “Federalismo fiscale, in Enciclopedia del Novecento”, Treccani.

[140]  Le esternalità possono riguardare sia il consumo, sia la produzione. Un esempio classico di esternalità negativa è l’inquinamento prodotto nell’ambiente circostante da una determinata attività produttiva, i cui danni sono sopportati dai residenti.

[141]  Questa argomentazione è nota come teorema del decentramento di Oates (1972). In presenza di preferenze territoriali non uniformi, un’offerta di servizi e beni pubblici diversificata è preferibile ad una omogenea, a parità di spesa totale. Una delle ipotesi sottostanti il teorema è che le preferenze siano omogenee nell’ambito di ciascuna collettività locale. Per quanto tale ipotesi possa sembrare non realistica, in realtà è ragionevole ipotizzare che la variabilità delle preferenze tra aree sia maggiore di quella all’interno di ciascuna area. Occorre osservare, inoltre, che dal teorema non segue che il decentramento sia l’unica soluzione praticabile, in quanto il governo centrale potrebbe articolare l’offerta di servizi pubblici sul territorio nazionale in modo da soddisfare le diverse preferenze. Si argomenta, tuttavia, che sarebbe più difficile per l’amministrazione centrale l’acquisizione delle informazioni sulle preferenze sia in termini di servizi, sia in termini di prelievo fiscale.

[142]  Secondo Tiebout (1956), i cittadini “votano con i piedi”, ossia tendono a spostarsi nei luoghi in cui la combinazione servizi offerti-imposte prelevate soddisfa meglio le loro preferenze.

[143]  Esempi in questo senso si hanno in Spagna e in Svizzera, dove nuovi programmi sono stati sperimentati su base regionale o cantonale, e successivamente "esportati" a livello centrale. La diffusione delle best practices richiede ovviamente la presenza di meccanismi di condivisione delle informazioni e cooperazione interistituzionale.

[144]  Su questo tema, esistono posizioni differenziate nella letteratura. Secondo alcuni, è efficiente attribuire ai governi locali responsabilità nella gestione di politiche redistributive autonome o integrative di quelle disegnate e promosse dal governo centrale, in particolare nel campo dell’assistenza. Vedi Rapporto annuale sull’attuazione del Federalismo, ISAE, 2003.

[145]  Sulla base della Teoria dei Club di Buchanan (1967), la stessa dimensione degli enti locali non dovrebbe essere fissata, ma dovrebbe essere modificabile al fine di sfruttare le economie di scala. La dimensione ottimale di un ente dipende dalla popolazione che insiste sul territorio e della quantità di servizi offerta. Infatti il costo medio pro-capite dei servizi pubblici è una funzione inversa della dimensione della popolazione, in virtù delle economie di scala; al contempo, all’aumentare degli utenti si verificano fenomeni di congestione. La dimensione ottimale dell’ente si ha pertanto quando il beneficio marginale derivante dalla riduzione di costo è uguale alla disutilità marginale della congestione. Nella realtà, la dimensione territoriale degli enti locali è determinata da fattori storici e politici. Tuttavia, vi sono stati alcuni casi di variazione della dimensione degli enti al fine di sfruttare le economie di scala nell’ambito di processi di decentramento di stati unitari. A tale proposito, si veda la nota successiva.

[146]  Si veda Ambrosanio e Bordignon (2007). Ad esempio la fusione di governi locali di dimensioni troppo piccole per sfruttare le economie di scala (Norvegia, Finlandia, Giappone), oppure un sistema a due velocità, come in Spagna, in cui le funzioni di spesa sono state trasferite ai soli governi locali che avevano la capacità amministrativa necessaria. O ancora la centralizzazione di alcune funzioni (le agenzie di formazione professione in Svizzera).

[147]  Tanzi, "Fiscal Federalism and Decentralization: A Review of Some Efficiency and Macroeconomic Aspects", Annual World Bank Conference on Developments Economics, World Bank, 1995.

[148]  Nella letteratura economica, tra le ragioni addotte a favore dei trasferimenti, vi è anche il cosiddetto effetto Baumol, ossia il fatto che, per loro natura, i servizi locali sono a maggiore intensità di lavoro rispetto ad altri servizi pubblici, e pertanto, con dinamiche di costo superiori alla media. Questo determina un divario strutturale tra costi e risorse per gli enti locali che giustifica la necessità di trasferimenti.

[149]  In astratto, poiché la maggior parte dei servizi locali è di tipo individuale o misto (servizi pubblici divisibili), essi andrebbero finanziati con prezzi pubblici, tariffe e tasse, sulla base della teoria normativa della tassazione, al fine di rispettare il principio del beneficio. Nella realtà, risulta inevitabile il ricorso anche alle imposte.

[150]  Ossia la possibilità che i proprietari di cespiti patrimoniali non abbiano risorse liquide per saldare le imposte patrimoniali dovute.

[151]  Ambrosanio e Bordignon (2007).

[152]  Per un maggiore approfondimento su tale tema si veda il capitolo 4.

[153]  Il tema del coordinamento è oggetto di approfondimento nel capitolo 8.

[154]Con delibera n. 8 del 22 luglio 1994, l'Osservatorio delle Politiche Regionali, nell'ambito delle proprie competenze istituzionali contenute nell'art. 4 del D.L. 96/1993 e recepite dalla delibera CIPE 19.10.93.

[155]Si ricorda che il SISTAN rappresenta la rete di soggetti pubblici e privati italiani che fornisce l'informazione statistica ufficiale.

[156]Si veda ‘http://www.dps.mef.gov.it/cpt/cpt_monografie.asp’.