Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento ambiente
Titolo: Interventi per il rilancio dell'economia e la riqualificazione energetico-ambientale del patrimonio edilizio A.C. 2441 Schede di lettura
Riferimenti:
AC N. 2441/XVI     
Serie: Progetti di legge    Numero: 203
Data: 28/07/2009
Descrittori:
INDUSTRIA EDILIZIA   RISPARMIO ENERGETICO
TUTELA DEL PAESAGGIO     
Organi della Camera: VIII-Ambiente, territorio e lavori pubblici

 

Camera dei deputati

XVI LEGISLATURA

 

 

 

Documentazione per l’esame di
Progetti di legge

Interventi per il rilancio dell'economia e la riqualificazione energetico-ambientale del patrimonio edilizio

A.C. 2441

Schede di lettura

 

 

n. 203

 

 

 

28 luglio 2009

 


Servizio responsabile:

Servizio Studi – Dipartimento Ambiente

( 066760-9253 / 066760-9712 – * st_ambiente@camera.it

 

 

 

 

 

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File: Am0083.doc

 


INDICE

Schede di lettura

§      Art. 1 (Principi e finalità)3

§      Art. 2 (Ambito di applicazione)6

§      Art. 3 (Funzioni delle regioni)8

§      Art. 4 (Funzioni dei comuni)11

§      Art. 5 (Modalità di attuazione degli interventi di ampliamento volumetrico)12

§      Art. 6 (Interventi di rigenerazione urbana)14

§      Art. 7 (Interventi di rivitalizzazione urbana. Potenziamento e riorganizzazione della capacità ricettiva)16

§      Art. 8 (Premialità e classe energetica)19

§      Art. 9 (Soggetti attuatori e modalità di realizzazione degli interventi di sostituzione edilizia)21

§      Art. 10 (Promozione del partenariato)24

§      Art. 11 (Semplificazione delle procedure)26

§      Articolo 12  29

§      Art. 13 (Copertura finanziaria)32

§      Art. 14 (Disposizioni finali)33

Schede di approfondimento

La classificazione energetica degli edifici37

La certificazione energetica  39

Sintesi dell’intesa Governo, Regioni ed Enti Locali47

Leggi regionali per il rilancio del settore edilizio  51

I titoli abilitativi all’attività edilizia  67

L’autorizzazione paesaggistica  79

Normativa di riferimento

§      D.M. 2 aprile 1968, n. 1444.85

§      L. 9 gennaio 1991, n. 10. Norme per l'attuazione del Piano energetico nazionale in materia di uso razionale dell'energia, di risparmio energetico e di sviluppo delle fonti rinnovabili di energia.89

§      D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia. (Testo A) (artt. 6-23)113

§      D.Lgs. 19 agosto 2005, n. 192. Attuazione della direttiva 2002/91/CE relativa al rendimento energetico nell'edilizia.125

§      L. 27-12-2006 n. 296 Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007). (art. 1)139

§      D.Lgs. 29 dicembre 2006, n. 311. Disposizioni correttive ed integrative al D.Lgs. 19 agosto 2005, n. 192, recante attuazione della direttiva 2002/91/CE, relativa al rendimento energetico nell'edilizia.141

§      D.Lgs. 30 maggio 2008, n. 115. Attuazione della direttiva 2006/32/CE relativa all'efficienza degli usi finali dell'energia e i servizi energetici e abrogazione della direttiva 93/76/CEE.147

§      D.L. 25 giugno 2008, n. 112. Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria. (Artt. 6-quinquies e 35)169

§      Provv. 1 aprile 2009, n. 21/CU Intesa, ai sensi dell'articolo 8, comma 6, della legge 5 giugno 2003, n. 131, tra Stato, regioni e gli enti locali, sull'atto concernente misure per il rilancio dell'economia attraverso l'attività edilizia. (Repertorio atti n. 21/CU del 1° aprile 2009).171

§      D.P.R. 2 aprile 2009, n. 59. Regolamento di attuazione dell'articolo 4, comma 1, lettere a) e b), del decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 192, concernente attuazione della direttiva 2002/91/CE sul rendimento energetico in edilizia.175

§      D.M. 26 giugno 2009. Linee guida nazionali per la certificazione energetica degli edifici.189

 


Schede di lettura

 


La proposta di legge A.C. 2441 intende perseguire, come sottolineato nella relazione introduttiva, l’obiettivo di “riqualificare l'Italia, con case e quartieri di qualità, che risparmino energia, non inquinino e garantiscano una moderna ed elevata vivibilità”, attraverso un insieme coordinato di interventi volti a:

1) avviare rilevanti investimenti per il risparmio energetico-ambientale del settore edilizio;

2) rilanciare l'economia attraverso il settore edilizio, in grado di incidere direttamente e indirettamente sul prodotto interno lordo;

3) riqualificare il patrimonio edilizio, attraverso una serie di interventi, dalle nuove costruzioni alle demolizioni, ricostruzioni, ristrutturazioni ed ampliamenti, che sappiano coniugare qualità ambientale e risparmio energetico;

4) promuovere una serie di interventi in grado di favorire un’efficiente attività urbanistica ed edilizia, secondo il principio della premialità volumetrica legata alla classificazione energetica;

5) sostenere la riqualificazione del settore turistico-ricettivo con la realizzazione di una nuova dotazione di servizi capace di migliorarne l'offerta.

Art. 1
(Principi e finalità)

L'articolo 1 reca la finalità della proposta di legge che è quella di dare attuazione all’intesa raggiunta in sede di Conferenza unificata il 1° aprile 2009 tra Stato e regioni per il rilancio del settore edilizio.

Con tale intesa le regioni si sono impegnate ad approvare proprie leggi volte a regolamentare interventi che migliorino la qualità architettonica e/o energetica degli edifici entro il limite del 20% della volumetria esistente di edifici residenziali uni-bi familiari e a disciplinare interventi straordinari di demolizione e ricostruzione con ampliamento per edifici a destinazione residenziale entro il limite del 35% della volumetria esistente, con finalità di miglioramento della qualità architettonica e dell'efficienza energetica (per un approfondimento del contenuto dell’intesa si rinvia alla specifica scheda allegata).

 

Si ricorda, al riguardo, che le regioni hanno interpretato in vario modo l’intesa nelle leggi per il rilancio del settore edilizio che sono in corso di approvazione: alcune (Lombardia, Emilia Romagna, Veneto, Sardegna) hanno ampliato i criteri definiti nell’intesa con il governo, prevedendo ulteriori fattispecie di edifici oltre a quelli residenziali, ad esempio edifici agricoli o produttivi non utilizzati.

Friuli Venezia Giulia, Toscana, Umbria, Marche hanno subordinato la realizzazione degli interventi al miglioramento della sicurezza antisismica ovvero della sostenibilità energetico-ambientale. In particolare, le Marche hanno ammesso l’estensione del beneficio agli insediamenti produttivi, rafforzando il rispetto della normativa in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro.

Altre regioni (ad esempio, la Puglia, il Lazio e il Piemonte) hanno vietato gli ampliamenti in alcune zone di pregio, su immobili vincolati, in aree sottoposte a vincoli e fasce di rispetto costiere o ad alta pericolosità idraulica e geomorfologia.

La Campania e la Provincia di Bolzano, infine, hanno delegato la definizione dell’intervento o di alcuni parametri alla giunta (si veda la tabella sulle leggi regionali allegata).

 

Il comma 2 dispone che le regioni, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della proposta di legge in esame, dovranno emanare norme per l'attuazione degli obiettivi di cui alle lettere a) e b) dell'intesa, in conformità a quanto disposto dall'articolo 2 della proposta di legge in esame.

 

Si riporta il contenuto delle citate lettere a) e b) dell’intesa.

Le Regioni si impegnano ad approvare entro e non oltre 90 giorni proprie leggi ispirate preferibilmente ai seguenti obiettivi:

a)    regolamentare interventi – che possono realizzarsi attraverso piani/programmi definiti tra Regioni e Comuni – al fine di migliorare anche la qualità architettonica e/o energetica degli edifici entro il limite del 20% della volumetria esistente di edifici residenziali uni-bi familiari o comunque dì volumetria non superiore ai 1000 metri cubi, per un incremento complessivo massimo di 200 metri cubi, fatte salve diverse determinazioni regionali che possono promuovere ulteriori forme di incentivazione volumetrica;

b)    disciplinare interventi straordinari di demolizione e ricostruzione con ampliamento per edifici a destinazione residenziale entro il limite del 35% della volumetria esistente, con finalità di miglioramento della qualità architettonica, dell'efficienza energetica ed utilizzo di fonti energetiche rinnovabili e secondo criteri di sostenibilità ambientale, ferma restando l'autonomia legislativa regionale in riferimento ad altre tipologie di intervento;

 

Il comma 3 dispone che le regioni, al fine di promuovere la riqualificazione energetico-ambientale del patrimonio edilizio, possano prevedere anche ulteriori interventi, non previsti, come sottolinea la relazione illustrativa, nella citata intesa:

a) interventi di edificazione di nuove aree, attraverso incrementi dei diritti edificatori esistenti fino a un massimo del 35%;

b) programmi integrati di intervento di cui all'art. 16 della legge 179/1992.

 

Ai sensi del citato art. 16 della legge 179/1992, i comuni, al fine di riqualificare il tessuto urbanistico, edilizio ed ambientale, promuovono la formazione di programmi integrati. Il programma integrato è caratterizzato dalla presenza di pluralità di funzioni, dalla integrazione di diverse tipologie di intervento, ivi comprese le opere di urbanizzazione, da una dimensione tale da incidere sulla riorganizzazione urbana e dal possibile concorso di più operatori e risorse finanziarie pubblici e privati. Soggetti pubblici e privati, singolarmente o riuniti in consorzio o associati fra di loro, possono presentare al comune programmi integrati relativi a zone in tutto o in parte edificate o da destinare anche a nuova edificazione al fine della loro riqualificazione urbana ed ambientale.

 

c) interventi di recupero di edifici la cui presenza costituisce un fattore di grave degrado del paesaggio e dell'ambiente circostanti aventi carattere di particolare pregio;

d) interventi di rivitalizzazione di insediamenti turistico-ricettivi, con incrementi di cubatura fino ad un massimo del 35% e con incrementi dei diritti edificatori esistenti a destinazione turistico-ricettiva fino a un massimo del 35%.

In merito a tali due ultime due tipologie di interventi, si segnala che già alcune regioni, nelle proposte di legge in corso di emanazione o da poco emanate, hanno previsto premi di cubatura. Per citare alcuni esempi l’Emilia Romagna ha introdotto un premio di cubatura del 35% fino ad un max del 50% per ricostruzione di edifici residenziali classificati “incongrui o da delocalizzare” o collocati in zone di tutela, in ambiti a rischio di crisi ambientale o industriale o in aree demaniali. Analogamente la proposta di legge della regione Campania reca un bonus del 50% per la ricostruzione di edifici pubblici situati in aree degradate. La proposta di legge della regione Piemonte dà la facoltà ai Comuni di favorire, anche tramite premi di cubatura, interventi di riqualificazione edilizia su edifici non a destinazione commerciale, ritenuti incongrui con il contesto circostante, in funzione di una maggiore efficienza energetica, o di individuare edifici produttivi o artigianali che costituiscono elementi deturpanti per il paesaggio. Invece la regione Umbria ha previsto incrementi di cubatura per edifici a destinazione artigianale, industriale e per servizi, oggetto di un piano attuativo, che interessi una superficie fondiaria di almeno 2 ettari, preveda la riqualificazione dell'intero complesso e rispetti le condizioni relative al risparmio energetico, ma ha escluso il settore alberghiero, extralberghiero e commerciale di medie e grandi dimensioni. La proposta del Lazio ha previsto un bonus volumetrico del 60% se si decide di trasformare l’edificio in albergo. L’art. 4 della legge dell’8 luglio 2009, n. 14, della regione Veneto ha introdotto un bonus volumetrico per stabilimenti balneari, campeggi, impianti sportivi e ricreativi, con proroga delle concessioni demaniali (per ulteriori dettagli si veda la tabella sulle leggi regionali allegata)


Art. 2
(Ambito di applicazione)

L'articolo 2, nel definire l'ambito di applicazione della legge, richiama gli interventi previsti dalla citata intesa tra Stato e regioni e indica alcuni requisiti di carattere generale volti a garantire il miglioramento della qualità architettonica, dell'efficienza energetica e della sostenibilità ambientale.

 

Il comma 1, nel definire l'ambito di applicazione, richiama gli interventi previsti dalle lettere a) e b) della citata intesa del 1° aprile 2009 tra Stato e regioni (il cui contenuto è stato riportato nel comma 2 dell’art. 1 della pdl in esame), ovvero:

a) interventi - che possono realizzarsi attraverso piani/programmi definiti tra Regioni e Comuni - con ampliamenti massimi del 20% con un incremento complessivo massimo di 200 cubi su edifici residenziali uni-bifamiliari o comunque di volumetria non superiore 1.000 metri cubi volti al miglioramento anche della qualità architettonica e/o energetica degli edifici;

b)    interventi straordinari di demolizione e ricostruzione con ampliamento per edifici a destinazione residenziale entro il limite del 35% della volumetria esistente, con finalità di miglioramento della qualità architettonica, dell'efficienza energetica ed utilizzo di fonti energetiche rinnovabili e secondo criteri di sostenibilità ambientale, ferma restando l'autonomia legislativa regionale in riferimento ad altre tipologie di intervento.

 

Il comma 2 indica i requisiti di carattere generale volti a garantire il miglioramento della qualità architettonica, dell'efficienza energetica e della sostenibilità ambientale che devono possedere gli interventi di cui al comma 1 e gli ulteriori interventi previsti dal comma 3 dell’art. 1.

Pertanto tali interventi dovranno:

a) essere progettati, realizzati e gestiti secondo un'elevata qualità e criteri avanzati di compatibilità ambientale e di sviluppo sostenibile, nonché con un livello di efficienza energetica corrispondente almeno alla classe energetica C;

b) minimizzare i consumi dell'energia e delle risorse ambientali in generale, nonché contenere gli impatti complessivi sull'ambiente e sul territorio;

c) essere realizzati garantendo il benessere e la salute degli occupanti;

d) promuovere e sperimentare sistemi edilizi a costi contenuti in riferimento al ciclo di vita dell'edificio, anche attraverso l'utilizzo di metodologie innovative o sperimentali;

e) prevedere l'adeguamento degli edifici alla vigente normativa antisismica;

f) promuovere processi di bonifica e di risanamento dei siti industriali dismessi.

 

Il comma 3 fa salva la facoltà delle regioni di stabilire ulteriori criteri di qualità architettonica ed edilizia finalizzati al risparmio energetico e alla compatibilità ambientale, nonché al miglioramento della qualità dei tessuti urbani.

 

Si osserva che già la maggior parte delle regioni nelle proposte di legge in corso di emanazione o da poco emanate è stato previsto che i premi di cubatura siano vincolati al il miglioramento delle prestazioni energetiche (variano da regione a regione il livello di prestazione energetica richiesto).

Alcune regioni richiedono, oltre alle prestazioni energetiche, anche il rispetto di requisiti di sicurezza (Marche e Umbria), il miglioramento della qualità architettonica (Friuli Venezia Giulia e Puglia), l’utilizzo di tecniche costruttive di edilizia sostenibile (Toscana), nonché anche il rispetto delle norme antisismiche (Umbria, Marche, Lazio, Liguria, Emilia Romagna).


Art. 3
(Funzioni delle regioni)

L'articolo 3 attribuisce alle regioni la facoltà di prevedere ulteriori ambiti per i quali gli interventi di ampliamento e di sostituzione siano esclusi o limitati, nonché ulteriori fattispecie di riqualificazione del patrimonio immobiliare meritevoli di promozione e di incentivazione.

 

Il comma 1 definisce le funzioni delle regioni cui è attribuita la facoltà, con proprie leggi e in conformità a quanto previsto dall’intesa del 1° aprile 2009, di:

a) individuare ulteriori ambiti per i quali gli interventi di ampliamento e di sostituzione di immobili sono esclusi o limitati;

b) specificare ulteriori fattispecie di riqualificazione del patrimonio immobiliare, con particolare riguardo ad interventi di valorizzazione urbana, attraverso la ristrutturazione, totale o parziale, di immobili, che possiedono i requisiti di cui all'articolo 2, comma 2;

c) definire criteri volti a incentivare la realizzazione di interventi in zone degradate e defunzionalizzate.

Si rammenta che la facoltà di individuare ulteriori ambiti da parte delle regioni è stata ribadita dall’intesa del 1° aprile della quale si riporta il contenuto “Le leggi regionali possono individuare gli ambiti nei quali gli interventi di cui alle lettera a) e b) sono esclusi o limitati, con particolare riferimento ai beni culturali e alle aree di pregio ambientale e paesaggistico, nonché gli ambiti nei quali i medesimi interventi sono favoriti con opportune incentivazioni e premialità finalizzate alla riqualificazione di aree urbane degradate”.

d) adeguare le procedure per la certificazione energetica degli edifici, di cui al D.P.R. 59/2009, in relazione agli interventi previsti all'articolo 2, comma 1, del provvedimento in esame e definire i requisiti minimi del sistema di accreditamento dei professionisti cui affidare la certificazione energetica degli edifici, in attesa dell'emanazione del decreto di cui all'articolo 4, comma 1, lettera c), del D.Lgs.192/2005[1].

Il DPR 2 aprile 2009, n. 59 recante Regolamento di attuazione dell'articolo 4, comma 1, lettere a) e b), del decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 192, concernente attuazione della direttiva 2002/91/CE sul rendimento energetico in edilizia, definisce i criteri generali, le metodologie di calcolo e i requisiti minimi per la prestazione energetica degli edifici e degli impianti termici per la climatizzazione invernale e per la preparazione dell'acqua calda per usi igienici sanitari. Il DPR,entrato in vigore il 25 giugno 2009, attua parzialmente le lettere a) e b) dell’art. 4, comma 1, del D.Lgs 192/2005, in quanto rinvia a successivi provvedimenti la definizione dei criteri generali, le metodologie di calcolo e i requisiti minimi per la prestazione energetica degli impianti termici per la climatizzazione estiva e per l’illuminazione artificiale degli edifici del settore terziario.

Quanto al DPR attuativo della lettera c) dell’articolo 4, comma 1, del D.Lgs 192 cit., si ricorda che esso dovrà provvedere a fissare i requisiti professionali e i criteri di accreditamento per assicurare la qualificazione e l'indipendenza degli esperti o degli organismi a cui affidare la certificazione energetica degli edifici e l'ispezione degliimpianti di climatizzazione. I requisiti minimi sono rivisti ogni 5 anni e aggiornati in funzione dei progressi della tecnica. Si ricorda che, nelle more dell’adozione del DPR di cui sopra, il D.Lgs. 115/2008, recante Attuazione della direttiva 2006/32/CE relativa all'efficienza degli usi finali dell'energia e i servizi energetici e abrogazione della direttiva 93/76/CEE, all'allegato III ha fissato, in via transitoria, i requisiti di competenza ed indipendenza dei soggetti abilitati alla certificazione energetica.

 

Il comma 2 stabilisce che tra le funzioni affidate alle regioni rientrino anche le attività in materia di monitoraggio, analisi, valutazione e adeguamento della normativa energetica regionale già individuate dall'articolo 10, comma 2, del citato D.Lgs. 192/2005.

L’articolo 10 del D.Lgs. 192/2005 prevede, infatti, un sistema di monitoraggio dell’attuazione del medesimo decreto legislativo, da parte del Ministero dell'attività produttive (ora dello sviluppo economico), del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio, delle regioni e delle province autonome di Trento e Bolzano, negli ambiti di rispettiva competenza ed anche avvalendosi di accordi con enti tecnico scientifici e agenzie, pubblici e privati.

Il comma 2 dell’articolo 10 individua, in particolare, le seguenti attività il cui svolgimento è affidato alle regioni:

a) raccolta e aggiornamento dei dati e delle informazioni relativi agli usi finali dell'energia in edilizia;

b) monitoraggio dell'attuazione della legislazione regionale e nazionale vigente, del raggiungimento degli obiettivi e delle problematiche inerenti;

c) valutazione dell'impatto sugli utenti finali dell'attuazione in termini di adempimenti burocratici, oneri posti a loro carico e servizi resi;

d) valutazione dell'impatto del decreto e della legislazione di settore sul mercato immobiliare regionale;

e) studio per lo sviluppo e l'evoluzione del quadro legislativo e regolamentare;

f) studio di scenari evolutivi;

g) analisi e valutazione degli aspetti energetici e ambientali dell'intero processo edilizio;

h) proposta di provvedimenti e misure necessarie a uno sviluppo organico della normativa energetica nazionale per l'uso efficiente dell'energia nel settore civile.

I risultati delle attività di monitoraggio, analisi e valutazione compiute dalle regioni e dalle province autonome, devono essere trasmessi al Ministero dello sviluppo economico ed al Ministero dell'ambiente, che provvedono a riunirli, elaborarli ed integrarli con i risultati di analoghe attività autonome a livello nazionale, al fine di pervenire ad un quadro conoscitivo unitario da trasmettere annualmente al Parlamento ad integrazione della relazione prevista ai sensi dell'articolo 20 della legge 9 gennaio 1991, n. 10[2], nonché alla Conferenza Unificata (comma 3).

 

Il comma 3 reca la durata dell’efficacia delle disposizioni regionali attuative degli articoli 1, comma 3, e 2, comma 1, pari a diciotto mesi dalla data della loro entrata in vigore, salvo che le stesse regioni stabiliscano un diverso termine di durata.

 

Si ricorda che la stessa durata temporanea è prevista, nell’intesa del 1° aprile, per la disciplina introdotta dalle leggi regionali per il rilancio del settore edilizio, salvo diverse determinazioni delle singole Regioni.

 


Art. 4
(Funzioni dei comuni)

L’articolo 4 riconosce ai comuni la competenza primaria sulla pianificazione di dettaglio, attraverso la predisposizione di un apposito documento nel quale dovranno fornire chiare indicazioni sulle possibili attuazioni degli interventi nei rispettivi territori.

 

Pertanto, il comma 1 prevede che i comuni, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della proposta di legge in esame, fatto salvo quanto diversamente stabilito dalle leggi regionali si dotino di un documento di prescrizioni generali nel quale vengono:

a) individuate le aree urbane nelle quali gli interventi di cui agli articoli 1, comma 3, e 2, comma 1, sono esclusi o limitati;

b) fornite indicazioni prescrittive sulle caratteristiche, sui limiti e sulle specifiche modalità entro i quali è possibile prevedere interventi con incrementi di edificabilità in variante allo strumento di pianificazione urbanistica vigente;

c) eventualmente, fornite ulteriori indicazioni sulle modalità di attuazione degli interventi di cui agli articoli 1, comma 3, e 2, comma 1, anche in riferimento alla legislazione nazionale e regionale e agli strumenti di pianificazione urbanistica vigenti;

d) definiti i tempi e le modalità di presentazione dei progetti di intervento.

 

Si osserva che già la maggior parte delle proposte di legge in corso di emanazione o da poco approvate dalle regioni in materia di riqualificazione del settore edilizio prevede la possibilità, per i comuni, di ampliare o restringere l'ambito applicativo della legge. A titolo di esempio l’Emilia Romagna prevede che i Comuni possono escludere l'applicabilità di tali norme, non solo in relazione agli ambiti del proprio territorio, ma anche rispetto a specifici immobili; la Liguria prevede che gli immobili di valore testimoniale edilizio sono, invece, inclusi solo dietro la presentazione di una relazione tecnica in cui si utilizzano gli stessi materiali e le tecniche costruttive preesistenti, nonché un «premio» di cubatura del + 5% per le coperture in ardesia (dove questo è obbligatorio o consentito); il Piemonte dispone che i Comuni dovranno indicare altri parametri qualitativi e quantitativi definiti dagli strumenti urbanistici a cui non si potrà comunque derogare (per le altre regioni si veda la tabella sulle leggi regionali allegata).

 

Il comma 2 prevede che la pubblicità di tale documento mediante pubblicazione nella rete internet.


Art. 5
(Modalità di attuazione degli interventi di ampliamento volumetrico)

L’articolo 5 reca le modalità con cui dovranno essere realizzati gli interventi di ampliamento volumetrico sugli edifici residenziali.

 

Il comma 1 esclude dagli interventi di ampliamento previsti dall'articolo 2, comma 1, lettera a), sugli edifici residenziali mono o bi-familiari:

 

§         gli edifici superiori a 1.000 metri cubi;

§         le costruzioni abusive;

§         gli edifici sottoposti a vincolo di tutela in quanto beni appartenenti al patrimonio storico, artistico e architettonico ai sensi del D.Lgs. 42/2004 (Codice dei beni culturali e del paesaggio);

§         gli edifici inseriti negli ambiti di esclusione previsti dalle regioni o dai documenti di prescrizioni generali predisposti dai comuni ai sensi del precedente articolo 4.

 

Si rammenta che già l’intesa del 1° aprile esclude da tali interventi di ampliamento gli edifici abusivi, quelli situati nei centri storici o nelle aree di inedificabilità assoluta.

Inoltre la maggior parte delle proposte di legge in corso di emanazione o da poco approvate dalle regioni in materia di riqualificazione del settore edilizio prevedono l’esclusione dei centri storici, delle aree sottoposte a vincoli e gli edifici abusivi. Alcune escludono i cambi di destinazione d’uso, le fasce di rispetto costiere, gli edifici in aree ad alta pericolosità idraulica e geomorfologia, quelli isolati non dotati di approvvigionamento idropotabile e di sistemi di smaltimento delle acque reflue (si veda la tabella sulle leggi regionali allegata).

 

Le leggi regionali e i documenti di prescrizioni generali dei comuni, possono prevedere, ai sensi del comma 2, ulteriori agevolazioni quali la riduzione degli oneri di urbanizzazione oppure la riduzione dei tributi locali anche per più anni.

 

Il comma 3 prevede che l’ammissibilità dell'intervento sia subordinata al passaggio dell'edificio interessato a una classe energetica superiore, a meno che esso non sia già classificato in una delle prime tre classi energetiche.

Le regioni e i comuni possono, inoltre, introdurre ulteriori incentivi e agevolazioni per gli interventi che consentono il passaggio dell'edificio interessato a una classe energetica superiore di due o più livelli.

 

Le proposte di legge in corso di emanazione o da poco approvate dalle regioni in materia di riqualificazione del settore edilizio, hanno applicato il miglioramento della qualità energetica degli edifici a fronte del loro ampliamento in modo diverso: per citarne alcune l’Emilia Romagna richiede il raggiungimento di livelli di prestazione energetica di almeno il 25% rispetto alla situazione precedente, la Lombardia prevede una riduzione del 10% del fabbisogno di energia primaria per il riscaldamento, il Piemonte la riduzione del 40% del fabbisogno annuo di energia dell'unità edilizia, la Sicilia, in caso di uso di fonti rinnovabili, prevede un ulteriore incremento del + 5% sull’incremento di cubatura, l’Umbria prevede che tutte le parti ampliate dovranno assicurare elevata efficienza energetica definite dalla Giunta (si veda la tabella sulle leggi regionali allegata).

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Il comma 4 prevede la possibilità di cumulare gli incentivi di cui all’articolo in esame con gli altri previsti dalla proposta di legge e dalle disposizioni vigenti in materia.


Art. 6
(Interventi di rigenerazione urbana)

L’articolo 6 reca disposizioni relative ad interventi di rigenerazione urbana, intendendosi con tale termine la sostituzione edilizia di immobili in gravi condizioni di degrado e di abbandono, ai fini della rivitalizzazione del patrimonio edilizio e del miglioramento della qualità insediativa.

 

Il comma 1 esclude dagli ampliamenti previsti dall’art. 2, comma 1, lett b), per gli interventi straordinari di demolizione/ricostruzione di edifici residenziali con la finalità di miglioramento della qualità architettonica ed energetica:

§         gli edifici inseriti in aree sottoposte a vincolo di inedificabilità assoluta;

§         gli edifici abusivi;

§         gli edifici sottoposti a vincolo di tutela in quanto beni appartenenti al patrimonio storico, artistico e architettonico ai sensi del D.Lgs. 42/2004 (Codice dei beni culturali e del paesaggio);

§         gli edifici inseriti negli ambiti di esclusione previsti dalle regioni o indicati dai comuni nei documenti di prescrizioni generali di cui all'articolo 4.

 

 

Si ricorda che i vincoli d’inedificabilità possono essere di due tipi: assoluta e relativa. I primi sono previsti da leggi speciali a tutela di valori di particolare rilevanza. I secondi condizionano l’ottenimento del condono al conseguimento del nulla osta da parte dell’autorità titolare del vincolo. Il comma 27 dell’art. 32 della legge 269/2003 (Misure per la riqualificazione urbanistica, ambientale e paesaggistica, per l'incentivazione dell'attività di repressione dell'abusivismo edilizio, nonché per la definizione degli illeciti edilizi e delle occupazioni di aree demaniali) fa salvo il disposto degli artt. 32 e 33 della legge  47/1985: in particolare, l’art. 33 esclude la sanatoria: a) per i vincoli imposti da leggi statali e regionali nonché dagli strumenti urbanistici a tutela di interessi storici, artistici ed architettonici, archeologici, paesistici, ambientali idrogeologici; b) per i vincoli imposti da norme statali a difesa delle coste marine, lacuali, fluviali; c) per i vincoli imposti a tutela di interessi della difesa militare e della sicurezza pubblica; d) per ogni altro vincolo che importi l’inedificabilità delle aree (ad esempio il vincolo cimiteriale). Si tratta di vincoli di inedificabilità assoluta. In base all’art. 33 sono altresì escluse dalla sanatoria le opere realizzate su edifici ed immobili assoggettati alla tutela dal D.Lgs. 42/2004.

Si ricorda, altresì, che anche le regioni, con proprie leggi, possono prevedere, negli strumenti di pianificazione territoriale generale o settoriale, la inedificabilità assoluta in alcune aree per la sussistenza di specifici limiti o vincoli.

Ai sensi dell’art. 37, comma 4, del DPR 327/2001 (TU espropri) non sussistono possibilità di edificazione quando l’area è sottoposta a un vincolo di inedificabilità assoluta in base alla normativa statale o regionale o alle previsioni di qualsiasi atto di pianificazione o programmazione del territorio, ivi compreso il piano paesistico, il piano del parco, il piano di bacino, il piano regolatore generale, il piano attuativo di iniziativa pubblica o privata.

Esistono, infatti, oltre i vincoli di inedificabilità assoluta sopra richiamati recepiti dal Piano Regolatore in quanto previsti da leggi statali, anche i vincoli di inedificabilità assoluta previsti dallo stesso Piano Regolatore, in particolare sono quelli preordinati all’esproprio per i reperimento delle aree a servizi.

Si veda anche la scheda di approfondimento sull’autorizzazione paesaggistica

 

Le leggi regionali e i documenti di prescrizioni generali dei comuni, possono prevedere, ai sensi del comma 2, ulteriori agevolazioni quali la riduzione degli oneri di urbanizzazione oppure la riduzione dei tributi locali anche per più anni.

 

Si rammenta che l’intesa del 1° aprile esclude gli interventi di demolizione/ricostruzione per edifici abusivi, nei centri storici o in aree di inedificabilità assoluta. Dispone, altresì, che le leggi regionali possono individuare gli ambiti nei quali tali interventi possono essere esclusi o limitati, con particolare riferimento ai beni culturali e alle aree di pregio ambientale e paesaggistico, nonché gli ambiti nei quali i medesimi interventi sono favoriti con opportune incentivazioni e premialità finalizzate alla riqualificazione di aree urbane degradate.

Si segnala, peraltro, che la Lombardia ha ammesso la sostituzione nei centri storici di edifici residenziali non coerenti con le caratteristiche architettoniche, ma solo a seguito del parere delle commissioni paesaggistiche regionali. Anche la regione Molise, nel testo deliberato dalla Giunta regionale, include i centri storici e le aree tutelate.

 


Art. 7
(Interventi di rivitalizzazione urbana. Potenziamento e riorganizzazione della capacità ricettiva)

L'articolo 7 detta disposizioni applicative relative agli interventi di rivitalizzazione urbana e di rivitalizzazione degli insediamenti turistico-ricettivi.

 

Il comma 1 dispone che i programmi integrati di intervento previsti dall'art. 1, comma 3, lettera b), possono interessare più immobili anche non confinanti, a patto che appartengano allo stesso ambito omogeneo e che l'intervento di ricostruzione edilizia sia unitario ponendoli in continuità funzionale.

In tali casi il calcolo dell'incremento della volumetria e la redistribuzione della stessa tra le diverse aree interessate vengono effettuati in riferimento agli immobili complessivamente considerati.

 

Anche se tale fattispecie, come sottolinea la relazione alla proposta di legge in esame, non è inclusa nella citata intesa tra Stato e regioni, alcune proposte di legge in corso di emanazione o da poco approvate dalle regioni in materia di riqualificazione del settore edilizio prevedono già un premio di cubatura (+45%) qualora le ricostruzioni vengano realizzate nell’abito di programmi integrati, intese e concertazioni promossi da regione o comuni (Valle d’Aosta).

 

Il comma 2 fa, invece, riferimento agli interventi di recupero di immobili la cui presenza costituisce un fattore di grave degrado del paesaggio e dell'ambiente circostanti aventi carattere di particolare pregio previsti dall’art. 1, comma 3, lett. c).

Per tali interventi le leggi regionali possono prevedere il recupero della volumetria esistente in un'altra area idonea, compreso un eventuale ampliamento, a condizione che il proponente si impegni ad attuare a proprie spese la completa demolizione dell'edificio che costituisce causa di degrado, nonché a eseguire interventi di riqualificazione paesistico-ambientale dell'area di sedime.

 

Si ricorda che la citata intesa del 1° aprile dispone che le leggi regionali possono individuare gli ambiti nei quali gli interventi di ampliamento e ricostruzione/demolizione, sono esclusi o limitati, con particolare riferimento ai beni culturali e alle aree di pregio ambientale e paesaggistico, nonché gli ambiti nei quali i medesimi interventi sono favoriti con opportune incentivazioni e premialità finalizzate alla riqualificazione di aree urbane degradate.

 

Il comma 3 interessa gli interventi di rivitalizzazione di insediamenti turistico-ricettivi con incrementi di cubatura fino ad un massimo del 35% e con incrementi dei diritti edificatori esistenti a destinazione turistico-ricettiva fino a un massimo del 35% previsti dall’art. 1, comma 3, lett. d).

Qualora tali insediamenti turistico-ricettivi oggetto di interventi di recupero sono compresi in ambiti tutelati ai sensi della parte terza del D.Lgs. 42/2004 (Codice dei beni culturali e del paesaggio), essi devono contribuire alla ricomposizione e alla valorizzazione dei caratteri paesistico-ambientali oggetto di tutela, ai fini del rilascio dell'autorizzazione paesaggistica.

Al riguardo si veda la scheda di approfondimento sull’autorizzazione paesaggistica.

 

In merito a tali due ultime due tipologie di interventi, si segnala che già alcune regioni, nelle proposte di legge in corso di emanazione o da poco emanate, hanno già emanato disposizioni attuative. Per citare alcuni esempi l’Emilia Romagna ha previsto la ricostruzione di edifici residenziali classificati “incongrui o da delocalizzare” o collocati in zone di tutela, in ambiti a rischio di crisi ambientale o industriale o in aree demaniali. Analogamente la proposta di legge della regione Piemonte dà la facoltà ai Comuni di favorire, anche tramite premi di cubatura, interventi di riqualificazione edilizia su edifici non a destinazione commerciale, ritenuti incongrui con il contesto circostante, in funzione di una maggiore efficienza energetica, o di individuare edifici produttivi o artigianali che costituiscono elementi deturpanti per il paesaggio. Invece la regione Umbria ha previsto incrementi di cubatura per edifici a destinazione artigianale, industriale e per servizi, oggetto di un piano attuativo, che interessi una superficie fondiaria di almeno 2 ettari, preveda la riqualificazione dell'intero complesso e rispetti le condizioni relative al risparmio energetico, ma ha escluso il settore alberghiero, extralberghiero e commerciale di medie e grandi dimensioni. Al contrario il disegno di legge della Sardegna dovrebbe prevedere anche la riqualificazione delle strutture alberghiere e quello del Lazio prevede un bonus volumetrico del 60% se si decide di trasformare l’edificio in albergo. La legge regionale del Veneto dell’8 luglio 2009, n. 14, ha introdotto norme specifiche (art. 4) sulla riqualificazione degli insediamenti turistici e ricettivi, prevedendo un bonus volumetrico per stabilimenti balneari, campeggi, impianti sportivi e ricreativi, con proroga delle concessioni demaniali (per ulteriori dettagli si veda la tabella sulle leggi regionali allegata)

 

Il comma 4 esclude dagli interventi di rivitalizzazione di insediamenti turistico-ricettivi di cui all'art. 1, comma 3, lettera d), gli edifici inseriti in aree sottoposte a vincolo di inedificabilità assoluta, le costruzioni abusive, gli edifici sottoposti a vincolo di tutela in quanto beni appartenenti al patrimonio storico, artistico e architettonico ai sensi del citato D.Lgs. 42/2004 (si veda il commento all’articolo 6), nonché gli edifici inseriti negli ambiti di esclusione previsti dalle regioni o indicati dai comuni nei documenti di previsioni generali di cui all'articolo 4 della proposta di legge in esame.

 

La relazione introduttiva sottolinea, infatti, come il potenziamento dell'offerta turistica non possa prescindere dal perseguimento di obiettivi di qualità anche e soprattutto in virtù della specializzazione e della diversificazione della domanda turistica, garantendo comunque il rispetto della normativa ambientale e paesaggistica vigente recata dal Codice dei beni culturali e del paesaggio.

 

Le leggi regionali e i documenti di prescrizioni generali dei comuni, possono prevedere, ai sensi del comma 5, ulteriori agevolazioni quali la riduzione degli oneri di urbanizzazione oppure la riduzione dei tributi locali anche per più anni.


Art. 8
(Premialità e classe energetica)

L’articolo 8 introduce diversi incrementi di volumetria in funzione della classe energetica degli edifici che verranno realizzati ai sensi degli interventi previsti dall’art. 1, comma 3 e dall’art. 2, comma 1, lett b).

Tali interventi riguardano l’edificazione di nuove aree, i programmi integrati di intervento, il recupero di edifici degradati, la rivitalizzazione di insediamenti turistici e gli interventi di demolizione/ricostruzione di edifici residenziali con miglioramento della qualità architettonica ed energetica.

 

Per tali tipologie di interventi il comma 1 riconosce i seguenti incrementi dei diritti edificatori:

a) 20% della volumetria per gli edifici per i quali è certificata l'appartenenza alla classe energetica C;

b) 30% della volumetria per gli edifici per i quali è certificata l'appartenenza alla classe energetica B;

c) 35% della volumetria per gli edifici per i quali è certificata l'appartenenza alla classe energetica A.

 

Il comma 2 rinvia alle normative regionali di attuazione del citato D.Lgs 192/2005 per la definizione delle classi energetiche indicate al precedente comma 1.

 

Si ricorda, al riguardo, che le regioni hanno interpretato in vario modo le disposizioni dell’intesa relative al miglioramento dell’efficienza energetica, nonché all’utilizzo di fonti energetiche rinnovabili con criteri di sostenibilità ambientale per gli interventi di demolizione/ricostruzione nelle leggi per il rilancio del settore edilizio che sono in corso di approvazione. Per citare alcuni esempi: la Basilicata, per esempio, ha previsto per il residenziale realizzato dopo il 1942, un bonus volumetrico del 30% che può salire al 40% della superficie complessiva se si utilizzano tecniche di bioedilizia, pannelli fotovoltaici, e la dotazione di verde venga incrementata fino al 60%. In tali casi, la riduzione del consumo energetico non potrà essere inferiore al 30% del fabbisogno di energia dell'intero edificio; la Lombardia ha previsto un bonus volumetrico del 30%, che può salire fino al 35% con adeguate dotazioni di verde ed una riduzione del fabbisogno di energia primaria del 30% rispetto alla legge regionale 24/2006; l’Umbria ha previsto un incremento del 25% della Suc (superficie utile calpestabile) con l'obbligo di conseguire la certificazione ambientale classe B prevista dalle norme regionali ed un incremento del 35% della Suc se l'intervento riguarda almeno 3 edifici ricompresi in un Piano attuativo, previa certificazione di sostenibilità ambientale (per ulteriori approfondimenti si veda la tabella sulle leggi regionali allegata)

 

Il comma 3 precisa che gli incrementi dei diritti edificatori vengono riconosciuti in riferimento sia alla volumetria presente oggetto di sostituzione sia all'edificabilità esistente.


Art. 9
(Soggetti attuatori e modalità di realizzazione degli interventi di sostituzione edilizia)

 

Il comma 1 dell'articolo in esame prevede che l’attuazione degli interventi di cui agli artt. 1-2 sia effettuata dai proprietari degli immobili, pubblici e privati, ovvero dai loro rappresentanti, anche in forma aggregata.

 

Il comma 2 prevede che i lavori per la realizzazione degli interventi di cui agli artt. 1-2:

§         abbiano inizio entro 12 mesi dall’entrata in vigore delle relative leggi regionali;

§         siano conclusi entro i successivi 36 mesi.

 

Ai sensi del comma 3, qualora l'intervento preveda o richieda l'aggregazione formalizzata di più soggetti, come nel caso di società o di consorzi, la costituzione di tale aggregazione può essere differita e subordinata all'approvazione del medesimo intervento.

 

Il comma 4 esenta da ogni tributo:

§         le eventuali permute di diritti edificatori;

§         i trasferimenti immobiliari.

Lo stesso comma precisa le condizioni per l’esenzione. Le citate operazioni sono infatti esenti solo se avvengono nell'ambito delle previsioni di intervento ed esclusivamente all'interno dei perimetri delle aree individuate nel documento di prescrizioni generali di cui all'art. 4.

 

Ai sensi del comma 5 gli interventi di sostituzione devono prevedere adeguate operazioni volte a incrementare le dotazioni di urbanizzazione e i servizi necessari in funzione dell'incremento del carico insediativo che lo stesso intervento comporta, nel rispetto delle aree necessarie per le superfici minime di spazi pubblici riservati alle attività collettive, a verde pubblico o a parcheggi di cui al D.M. lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444.

Si ricorda che il D.M. 1444/1968 è stato emanato ai sensi dell'art. 17 della legge 6 agosto 1967, n. 765. Tale art. 17 - che ha introdotto l’articolo 41-quinquies nella legge urbanistica n. 1150 del 1942 - ha disposto che in tutti i Comuni, ai fini della formazione di nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti, debbono essere osservati limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza tra i fabbricati, nonché rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, a verde pubblico o a parcheggi.

Tale decreto ha provveduto non solo a fissare i citati limiti, ma anche a definire (all’art. 2) le seguenti zone territoriali omogenee in cui tali limiti devono essere applicati:

A) le parti del territorio interessate da agglomerati urbani che rivestono carattere storico, artistico o di particolare pregio ambientale o da porzioni di essi, comprese le aree circostanti, che possono considerarsi parte integrante, per tali caratteristiche, degli agglomerati stessi;

B) le parti del territorio totalmente o parzialmente edificate, diverse dalle zone A: si considerano parzialmente edificate le zone in cui la superficie coperta degli edifici esistenti non sia inferiore al 12,5% della superficie fondiaria della zona e nelle quali la densità territoriale superi 1,5 mc/mq;

C) le parti del territorio destinate a nuovi complessi insediativi, che risultino inedificate o nelle quali l’edificazione preesistente non raggiunga i limiti di superficie e densità della lettera B;

D) le parti del territorio destinate a nuovi insediamenti per impianti industriali o ad essi assimilati;

E) le parti del territorio destinate ad usi agricoli, escluse quelle in cui - fermo restando il carattere agricolo delle stesse - il frazionamento delle proprietà richieda insediamenti da considerare come zone C;

F) le parti del territorio destinate ad attrezzature ed impianti di interesse generale.

 

 

Il comma 6 fissa un limite del 20%, indipendentemente dal numero di abitanti insediabili, alla quota destinata, nell’ambito delle volumetrie a destinazione residenziale, ad unità immobiliari aventi destinazioni non specificamente residenziali ma strettamente connesse alla residenza quali, a titolo esemplificativo, esercizi commerciali di prima necessità, servizi collettivi per le abitazioni e studi professionali, ai sensi dell'art. 3 del D.M. lavori pubblici 1444/1968.

Lo stesso comma dispone che, nei documenti di previsioni generali, i comuni possono ridurre tale quota sulla base di specifiche valutazioni connesse alle caratteristiche delle zone oggetto di intervento.

Si ricorda che l’art. 3 del D.M. 1444/1968 disciplina i rapporti massimi tra gli spazi destinati agli insediamenti residenziali e gli spazi pubblici o riservati alle attività collettive, a verde pubblico o a parcheggi. In particolare per gli insediamenti residenziali tali rapporti sono fissati in modo da assicurare per ogni abitante - insediato o da insediare - la dotazione minima, inderogabile, di mq. 18 per spazi pubblici o riservati alle attività collettive, a verde pubblico o a parcheggio, con esclusione degli spazi destinati alle sedi viarie e ne viene altresì prevista la ripartizione. L’ultimo comma del citato art. 3 dispone poi che “ai fini dell'osservanza dei rapporti suindicati nella formazione degli strumenti urbanistici, si assume che, salvo diversa dimostrazione, ad ogni abitante insediato o da insediare corrispondano mediamente 25 mq. di superficie lorda abitabile (pari a circa 80 mc. vuoto per pieno), eventualmente maggiorati di una quota non superiore a 5 mq. (pari a circa 20 mc. vuoto per pieno) per le destinazioni non specificamente residenziali ma strettamente connesse con le residenze (negozi di prima necessità, servizi collettivi per le abitazioni, studi professionali, ecc.)”.

 

Ai sensi del comma 7, nell'attuazione dell'art. 5 del D.M. lavori pubblici 1444/1968, gli interventi di cui all'art. 3, comma 1, lett. b), della presente legge devono tenere conto, al fine di migliorare la funzionalità e l'accessibilità dei luoghi:

§         della popolazione turistica;

§         di un'offerta di servizi qualitativamente soddisfacenti.

 

Si ricorda che l’art. 5 del D.M. 1444/1968 disciplina i rapporti massimi tra gli spazi destinati agli insediamenti produttivi e gli spazi pubblici destinati alle attività collettive, a verde pubblico o a parcheggi, distinguendo tra nuovi insediamenti di carattere industriale o ad essi assimilabili compresi nelle zone D (per i quali la superficie da destinare a spazi pubblici o destinata ad attività collettive, a verde pubblico o a parcheggi (escluse le sedi viarie) non può essere inferiore al 10% dell'intera superficie destinata a tali insediamenti) e nuovi insediamenti di carattere commerciale e direzionale (per i quali a 100 mq. di superficie lorda di pavimento di edifici previsti, deve corrispondere la quantità minima di 80 mq. di spazio, escluse le sedi viarie, di cui almeno la metà destinata a parcheggi; tale quantità, per le zone A e B è ridotta alla metà, purché siano previste adeguate attrezzature integrative).


Art. 10
(Promozione del partenariato)

L'articolo in esame reca - al comma 1 - misure in favore del partenariato, attribuendo ai comuni la facoltà di promuovere processi partenariali finalizzati alla ricerca di soluzioni virtuose in termini di sviluppo urbano.

Lo stesso comma elenca obiettivi specifici cui devono tendere tali soluzioni:

a)   maggiore funzionalità e vivibilità dell'area urbana;

b)   incremento delle dotazioni di quartiere;

c)   elevata compatibilità ambientale;

d)   ottenimento di alti livelli di risparmio energetico;

e)   miglioramento della qualità delle abitazioni;

f)     sicurezza;

g)   qualità estetica;

h)   edilizia sociale.

 

L’espressione Partenariato Pubblico-Privato (PPP) non è definita a livello comunitario e si riferisce, in generale, a forme di cooperazione tra le autorità pubbliche e il mondo delle imprese, che mirano a garantire il finanziamento, la costruzione, il rinnovamento, la gestione o la manutenzione di un’infrastruttura o la fornitura di un servizio.

Nell’ambito degli schemi di PPP l’operatore economico partecipa alle varie fasi del progetto (progettazione, realizzazione, attuazione, finanziamento), mentre il partner pubblico si concentra principalmente nella definizione degli obiettivi da raggiungere (in termini di interesse collettivo, qualità dei servizi offerti, ecc.), garantendone il controllo.

Per ciò che attiene, nello specifico, al tema dello sviluppo urbano, “una particolare attenzione è stata rivolta dalle amministrazioni al PPP di tipo istituzionalizzato per lo sviluppo urbano e il governo del territorio, che implica la creazione di un’entità detenuta congiuntamente dal partner pubblico e da quello privato, considerato che la cooperazione diretta permette all’ente nazionale o locale di attuare un livello di controllo elevato sullo svolgimento delle operazioni e di sviluppare un’esperienza propria”[3].

 

 

Il comma 2 dispone che i citati processi partenariali possono prevedere l'aggregazione di più interventi, anche sotto forma di programmi integrati, al fine di consentire più equilibrate soluzioni di rigenerazione urbana.

 

L’art. 16 della legge 179/1992 recante “Norme per l'edilizia residenziale pubblica”, ha introdotto nella legislazione nazionale i programmi integrati d’intervento, disciplinati quale strumento flessibile basato sull’incontro delle volontà pubblico-private nella fissazione delle prescrizioni urbanistiche e finalizzato ad una riqualificazione urbanistico-edilizia-ambientale della zona interessata. Tale tipo di strumento, insieme ai successivi sistemi definiti con il nome di Programmi complessi, ha rappresentato un primo importante passo verso il nuovo “tema” dell’urbanistica consensuale e si propone come uno strumento innovativo per la realizzazione di operazioni territoriali di ampio respiro, nonché quale soluzione strategica per la ridinamizzazione del territorio urbano.

In base al comma 1 del citato art. 16, il contenuto del programma integrato è caratterizzato:

§         dalla presenza di una pluralità di funzioni e dall’integrazione di diverse tipologie di intervento, ivi comprese le opere di urbanizzazione;

§         da una dimensione tale da incidere sulla riorganizzazione urbana;

§         dal possibile concorso di più operatori e risorse finanziarie pubblici e privati.

 

Il favore per il coinvolgimento anche dei privati nella definizione di tale intervento si evidenzia, nel comma 2, nell’attribuzione ai medesimi – singolarmente o riuniti in consorzio o associati tra loro – della facoltà di presentare al comune programmi integrati. Tali programmi possono riguardare non solo zone edificate, ma anche zone da destinare a nuova edificazione al fine della loro riqualificazione urbana e ambientale.

Il comma 8[4] prevede la facoltà per le regioni di destinare parte delle somme loro attribuite alla formazione di programmi integrati; mentre il comma 9 disciplina, infine, il contributo dello Stato alla realizzazione di tali programmi.

 

Lo stesso comma prevede che in tali casi, quando vi sia l'adesione dei proprietari degli immobili, si possono applicare le disposizioni dei commi 3-6 dell’art. 9.

 

 

Nella relazione illustrativa viene sottolineato che l’articolo in esame “consente al comune di promuovere azioni di partenariato razionalizzando gli interventi, al fine di distribuire in modo ottimale funzioni e diritti edificatori, assumendo il ruolo di cabina di regia degli interventi e consentendo la costruzione di assetti urbani più equilibrati, tramite interventi in cui il recupero degli immobili degradati sia il tramite economico per promuovere programmi di rigenerazione su scala urbana. La funzione del comune resta quella di facilitare gli interventi di sostituzione che, ai sensi del decreto del Ministro per i lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444, comportando un aumento del carico insediativo, devono comunque prevedere idonee misure per l'adeguamento dei criteri urbanistici cui non si intende derogare; appare qui evidente come le sostituzioni edilizie vengano intese come occasione per incrementare la qualità insediativa nel suo complesso anche mediante la realizzazione di opere di urbanizzazione primaria e secondaria.

 


 

Art. 11
(Semplificazione delle procedure)

L’articolo 11, ai fini della semplificazione procedurale per l’attuazione degli interventi edilizi, diversifica gli attuali titoli abilitativi all’attività edilizia - permesso di costruire e denuncia di inizio attività (DIA) - a seconda della complessità dell’intervento.

Tale articolo dà infatti attuazione a quanto previsto dalla lettera c) dell’intesa del 1° aprile che prevede che le Regioni introducano “forme semplificate e celeri per l'attuazione degli interventi edilizi di cui alla lettera a) e b) in coerenza con i principi della legislazione urbanistica ed edilizia e della pianificazione comunale”.

 

Si ricorda, al riguardo, che nelle leggi in corso di approvazione la maggior parte delle regioni ha fatto prevalentemente ricorso alla DIA al fine di semplificare i procedimenti per la realizzazione degli interventi edilizi. Alcuni esempi: l’Emilia Romagna ha previsto la DIA sia per gli ampliamenti che per le demolizioni/ricostruzioni, per il Lazio è sufficiente la DIA e il permesso di costruzioni per le demolizioni/ricostruzioni che se superano che superano i 4.000 mc, per l’Umbria è sufficiente la DIA se gli immobili non sono compresi in un eventuale piano attuativo e il procedimento edilizio abbreviato previsto dalla’art. 18 della legge regionale 1/2004.

 

Pertanto il comma 1 dispone che gli interventi di cui all’art. 2, comma 1, lett. a), ovvero gli ampliamenti di edifici residenziali mono o bifamiliari con una volumetria non superiore a 1.000 metri cubi, vengano autorizzati con la DIA, ai sensi degli artt. 22 e 23 del T.U. in materia edilizia approvato con D.P.R. 380/2001, anziché col permesso di costruire.

Per un approfondimento delle norme relative alla DIA contenute nel citato D.P.R. 380/2001 si rinvia alla specifica scheda allegata.

 

Il comma 2 prevede che gli interventi di cui agli artt. 1, comma 3, e 2, comma 1, lettera b), ovvero l’edificazione di nuove aree, i programmi integrati di intervento, il recupero di edifici degradati, la rivitalizzazione di insediamenti turistici e gli interventi di demolizione/ricostruzione di edifici residenziali con miglioramento della qualità architettonica ed energetica, vengano anch’essi autorizzati mediante DIA, anziché col permesso di costruire, qualora conformi al piano urbanistico vigente.

 

Il comma 3 richiede, invece il permesso di costruire o uno strumento equivalente ai sensi della normativa regionale vigente in materia, qualora gli stessi interventi previsti dal precedente comma 2, comportino variante al piano urbanistico.

In tal caso trovano applicazione le disposizioni recate dagli artt. da 10 a 15 del citato D.P.R. 380/2001.

 

Si ricorda brevemente che i citati artt. da 10 a 15 del D.P.R. 380/2001 riguardano solo la Sezione I - Nozione e caratteristiche - del Capo II sul permesso di costruire, ovvero gli interventi subordinati al permesso di costruire, le sue caratteristiche, i presupposti per il suo rilascio, i casi di rilascio in deroga agli strumenti urbanistici, nonché la sua efficacia temporale. La Sezione II riguarda il contributo di costruzione previsto per il suo rilascio, la Sezione III l’iter procedimentale.

Per un approfondimento delle norme relative al permesso di costruire ed alla DIA contenute nel citato D.P.R. 380/2001 si rinvia alla specifica scheda sui titoli abilitativi all’attività edilizia.

 

Si osserva che l’esplicito riferimento ai soli articoli che riguardano le caratteristiche del permesso di costruire e l’omesso riferimento ai restanti articoli del citato D.P.R. 380/2001 (artt. 16-21) sul permesso di costruire relativi alla corresponsione di un contributo previsto per il suo rilascio (commisurato all'incidenza degli oneri di urbanizzazione nonché al costo di costruzione), sembrerebbe ipotizzare una sua gratuità.

 

Si rammenta, al riguardo, che nella legge della regione Veneto dell’8 luglio 2009, n. 14, viene prevista una riduzione del 60% del contributo di costruzione nell'ipotesi di edificio o unità immobiliari destinati a prima abitazione del proprietario o dell'avente titolo (art. 7).

 

Il comma 4 dispone che il permesso di costruire venga rilasciato dal responsabile unico del procedimento, dopo aver verificato il rispetto:

§         delle disposizioni previste dalla proposta di legge in esame;

§         della legge regionale di riferimento;

§         del documento comunale di prescrizioni generali introdotto dall'articolo 4.

 

Si ricorda qui brevemente che il procedimento per il rilascio del permesso di costruire, previsto dall’art. 20 e 21 del citato D.P.R. 380/2001, risulta essere articolato e lungo (per approfondimenti si rinvia alla specifica scheda sui titoli abilitativi all’attività edilizia).

 

Analogamente al comma precedente, si osserva che l’omesso riferimento agli articoli 20 e 21 del citato D.P.R. 380/2001 relativi all’iter procedimentale del rilascio del permesso di costruzione sembrerebbe volto ad una sua semplificazione. Occorrerebbe però precisare i termini entro i quali dovrebbe concludersi il procedimento per il suo rilascio.

 

Il comma 5 stabilisce che, qualora gli interventi riguardino immobili compresi in ambiti tutelati ai sensi della parte terza del citato D.Lgs. 42/2004 sui beni paesaggistici, la presentazione della DIA o il rilascio del permesso di costruire devono essere preceduti dal rilascio dell'autorizzazione paesaggistica prevista dall’art. 146 dello stesso D.Lgs.

 

Si ricorda che qualora i proprietari, possessori o detentori a qualsiasi titolo di immobili ed aree di interesse paesaggistico, intendano intraprendere degli interventi o apportarvi delle modifiche, essi devono richiedere la preventiva autorizzazione paesaggistica prevista dall’art. 146 del D.Lgs 42/2004. Si fa notare però che tale procedura non ha ancora trovato applicazione in quanto è attualmente vigente il regime transitorio previsto dall’art. 159, da ultimo prorogato al 31 dicembre 2009, all’art. 23, comma 6, del decreto-legge 78/2009, in corso di conversione.

Per ulteriori approfondimenti sull’autorizzazione paesaggistica si rinvia alla specifica scheda tematica.

 

 

Il comma 6 prevede, infine, che ai fini del rilancio dell'attività edilizia e per favorire la realizzazione di nuovi complessi insediativi di qualità con adeguata dotazione di attrezzature e servizi pubblici, nel caso di interventi concernenti immobili inclusi nella zona C) di cui all’art. 2 del D.M. 1444/1968, la realizzazione delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria può essere eseguita dal titolare del permesso di costruire a scomputo totale o parziale della quota di contributo relativa agli oneri di urbanizzazione, in deroga a quanto disposto dall'art. 16 del citato D.P.R. 380/2001.

 

Ai sensi dell’art. 2 del D.M. 1444/1968 vengono considerate zone territoriali omogenee C “le parti del territorio destinate a nuovi complessi insediativi, che risultino inedificate o nelle quali la edificazione preesistente non raggiunga i limiti di superficie e densità di cui alla precedente lettera B)”.

A loro volta sono considerate zone territoriali omogenee B “le parti del territorio totalmente o parzialmente edificate, diverse dalle zone A): si considerano parzialmente edificate le zone in cui la superficie coperta degli edifici esistenti non sia inferiore al 12,5% (un ottavo) della superficie fondiaria della zona e nelle quali la densità territoriale sia superiore ad 1,5 mc/mq”.

Si ricorda, infine, che il citato art. 16 del D.P.R. 380/2001 prevede che il permesso di costruire venga rilasciato dietro corresponsione di un contributo commisurato all'incidenza degli oneri di urbanizzazione, nonché al costo di costruzione. Inoltre, l'incidenza degli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria è stabilita con deliberazione del consiglio comunale in base alle tabelle parametriche che la regione definisce per classi di comuni in relazione o, in loro assenza, con deliberazione del consiglio comunale (per ulteriori approfondimenti si rinvia alla specifica scheda tematica relativa ai titoli abilitativi dell’attività edilizia).


Articolo 12

(Detrazione fiscale)

 

L’articolo 12 introduce agevolazioni fiscali sotto forma di detrazione d’imposta relativamente alle spese sostenute per gli interventi edilizi oggetto del provvedimento in esame.

Detrazione del 55 per cento

Il comma 1, introduce un’agevolazione fiscale in favore dei soggetti che effettuano gli interventi di riqualificazione e ristrutturazione indicati nell’articolo 1, comma 3 e nell’articolo 2, comma 1, lettere a) e b) del provvedimento in esame.

Il beneficio consiste in una detrazione fiscale fissata in misura pari al 55 per cento delle spese sostenute dal contribuente, fino ad un valore massimo di 100.000 euro, da ripartire in tre quote annuali di pari importo.

In merito alle modalità attuative, il comma 1 rinvia a quanto disposto dall’articolo 1, commi da 344 a 349, della legge n. 296 del 2006 (finanziaria 2007), recante la disciplina sulle detrazioni IRPEF in favore dei soggetti che effettuano ristrutturazione di immobili con finalità energetica[5].

L’agevolazione prevista dalla norma in esame, tenuto anche conto del rinvio alla legge finanziaria per il 2007, consiste in una detrazione dall’imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF).

Al fine di evitare dubbi interpretativi, sarebbe opportuno un chiarimento diretto a confermare che l’imposta lorda indicata nella norma in esame sia riferibile esclusivamente all’imposta sul reddito delle persone fisiche.

L’articolo 1, commi da 344 a 349 della legge n. 296/2006, che ha introdotto la detrazione IRPEF del 55% delle spese sostenute per la riqualificazione energetica degli edifici, dispone, tra l’altro, che il beneficio è subordinato:

-             all’invio di apposita documentazione all’ENEA;

-             all’asseverazione di un tecnico abilitato diretta a verificare la rispondenza dell’intervento eseguito a quanto disposto dalla norma;

-             ad una certificazione energetica dell’edificio sul quale sono stati effettuati gli interventi;

-             al pagamento delle spese da effettuare esclusivamente con bonifico bancario o postale;

-             all’invio di apposita comunicazione all’Agenzia delle entrate, qualora la realizzazione degli interventi interessi più periodi d’imposta.

Il beneficio non è cumulabile con le altre agevolazioni fiscali previste per i medesimi interventi, come ad esempio, la detrazione del 36 per cento per il recupero del patrimonio edilizio.

Si ricorda, inoltre, che l’articolo 29, comma 6, del decreto-legge n. 185 del 2008 ha introdotto l’obbligo a carico dei contribuenti di inviare all’Agenzia delle entrate una apposita comunicazione in relazione alle spese sostenute, dal 2009, per gli interventi di riqualificazione energetica di cui al richiamato articolo 1, commi da 344 a 349, della legge n. 296 del 2006.

La norma in esame non dispone la incumulabilità del beneficio introdotto con le agevolazioni già disciplinate dalla normativa vigente.

Occorrerebbe pertanto introdurre tale incumulabilità, al fine di evitare che qualora gli interventi eseguiti rientrino anche nell’ambito di applicazione delle altre discipline in vigore, ed in particolare della detrazione del 55% per interventi di riqualificazione ovvero della detrazione del 36% per lavori di ristrutturazione edilizia, il contribuente potrà usufruire di una detrazione IRPEF complessiva pari, rispettivamente, al 110% e al 91% delle spese sostenute.

La detrazione fiscale spetta relativamente alle spese sostenute a decorrere dalla data di entrata in vigore del provvedimento in esame. Tuttavia, in virtù del rinvio al termine stabilito dall’articolo 9, comma 2, l’agevolazione spetta per gli interventi iniziati entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore delle relative leggi regionali e terminati entro i successivi trentasei mesi.

Nel caso in cui gli interventi non siano terminati entro il termine stabilito, andrebbe chiarito se l’agevolazione non operi limitatamente alle spese sostenute oltre il predetto termine ovvero se l’assenza di tale requisito comporti la perdita retroattiva del beneficio anche relativamente alle spese sostenute negli anni precedenti per le quali il contribuente ha già fruito del beneficio. In tale ultima ipotesi, peraltro, andrebbero individuate le modalità per il recupero dell’agevolazione utilizzata.

Detrazione del 36 per cento

Il comma 2 prevede l’applicazione della disciplina relativa alla detrazione IRPEF del 36%, di cui all’articolo 1 della legge n. 449/1997 (legge finanziaria 1998), con riferimento alle spese documentate non rientranti nelle categorie indicate nel comma 1.

Sarebbe opportuno individuare con maggiore dettaglio la natura delle spese documentate “non rientranti nelle categorie di cui al comma 1 del presente articolo” cui la norma fa riferimento.

Inoltre, analogamente a quanto già indicato in relazione al comma 1, sarebbe opportuno un chiarimento diretto a confermare che l’imposta lorda indicata nella norma in esame sia riferibile esclusivamente all’imposta sul reddito delle persone fisiche.

In linea generale, la disciplina contenuta nel richiamato articolo 1 della legge n. 449/1997 prevede:

-             la detrazione spetta per un importo massimo di spesa fissato in 48.000 euro per ciascuna unità immobiliare;

-             la fruizione del beneficio è ammesso in 10 rate annue costanti; il periodo è ridotto a cinque o a tre anni per i contribuenti di età non inferiore, rispettivamente, a 75 e a 80 anni;

-             l’obbligo di invio di una comunicazione di inizio lavori all’Agenzia delle entrate e all’Azienda sanitaria locale competente per territorio;

-             l’obbligo di effettuare il pagamento esclusivamente a mezzo bonifico bancario;

-             il costo della manodopera deve essere distintamente indicato nella fattura.

L’agevolazione spetta per le spese sostenute entro 24 mesi alla dalla data di entrata in vigore della presente legge.

La norma in esame non dispone la incumulabilità del beneficio introdotto con le agevolazioni già disciplinate dalla normativa vigente.

Occorrerebbe pertanto introdurre tale incumulabilità, al fine di evitare che qualora gli interventi eseguiti rientrino anche nell’ambito di applicazione delle discipline in vigore, ed in particolare della detrazione del 55% per interventi di riqualificazione ovvero della detrazione del 36% per lavori di ristrutturazione edilizia, il contribuente potrà usufruire di una detrazione IRPEF complessiva pari, rispettivamente, al 91% e al 72% delle spese sostenute.


Art. 13
(Copertura finanziaria)

L’articolo 13 dispone che agli oneri derivanti dall’attuazione del precedente articolo 12, relativo a detrazioni fiscali per gli interventi di riqualificazione energetica, ambientale - architettonica degli edifici (rispettivamente previsti dall’articolo 1, comma 3 e dall’articolo 2, comma 1, lett. a e b), si provveda, per gli anni 2009-2011, a carico delle risorse del Fondo infrastrutture, istituito dall’articolo 6-quinquies del decreto legge n. 112/2008[6].

 

Si osserva che la norma non reca la quantificazione degli oneri derivanti  dall’articolo 12.

 

Il Fondo infrastrutture, istituito ai sensi dell’articolo 6-quinquies del D.L. n. 112 del 2008 presso il Ministero dello sviluppo economico, è destinato al finanziamento, in via prioritaria, di interventi finalizzati al potenziamento della rete infrastrutturale di livello nazionale, comprese le reti di telecomunicazione e le reti energetiche, alla messa in sicurezza delle scuole, alla realizzazione di opere di risanamento ambientale, all’edilizia carceraria, alle infrastrutture museali ed archeologiche, all’innovazione tecnologica e alle infrastrutture strategiche per la mobilità.

Il fondo è alimentato con gli stanziamenti nazionali assegnati per l’attuazione del Quadro strategico nazionale per il periodo 2007-2013 in favore di programmi di interesse strategico nazionale, di progetti speciali e di riserve premiali.

Le risorse del Fondo sono ripartite dal CIPE, su proposta del Ministero dello sviluppo economico, d’intesa con il Ministero delle infrastrutture e trasporti, sentita la Conferenza unificata, fermo restando il vincolo di concentrare nelle regioni del Mezzogiorno almeno l’85% degli stanziamenti nazionali per l’attuazione del Quadro strategico nazionale per il periodo 2007-2013. Lo schema di delibera è trasmesso al Parlamento per il parere delle Commissioni competenti per materia e per i profili finanziari.

 

Per quanto concerne la dotazione del Fondo, con delibera 18 dicembre 2008, n. 112, il CIPE ha assegnato al Fondo 7,356 miliardi per il periodo di programmazione 2007-2013.

Con una ulteriore delibera del 6 marzo 2009, n. 3 sono stati assegnati al Fondo altri 5 miliardi per interventi di competenza del Ministero delle infrastrutture e trasporti, di cui 1 miliardo destinato alla messa in sicurezza delle scuole e 200 milioni all’edilizia carceraria.

 

Relativamente alle disponibilità finanziarie del Fondo, si segnala che 3,7 miliardi risultano già utilizzati a copertura finanziaria di oneri recati da provvedimenti approvati nel corso del 2008 e che il decreto-legge 39/2009 (terremoto Abruzzo) prevede, all’articolo 14, comma 1, che il CIPE assegni una quota di risorse del Fondo infrastrutture, pari a 408,5 milioni, da ripartire in quote annuali, al finanziamento degli interventi di ricostruzione delle zone colpite dal sisma.

Con delibera del 26 giugno 2009 il CIPE ha destinato 226,4 milioni in favore della regione Abruzzo per il finanziamento degli interventi di edilizia scolastica connessi agli eventi sismici.


Art. 14
(Disposizioni finali)

L’articolo 14 prevede che in caso di mancata approvazione delle leggi regionali nel termine di novanta giorni dalla entrata in vigore della proposta di legge in esame, il Governo è autorizzato a procedere mediante la nomina di commissari ad acta ai sensi dell'art. 8, comma 1, della legge 131/2003.

 

Si ricorda che l’intesa del 1° aprile prevede che in caso di mancata approvazione delle leggi regionali nel termine stabilito (30 giugno 2009), il Governo e il Presidente della Giunta regionale interessata, congiuntamente, determinano le modalità procedurali idonee ad attuare compiutamente l'accordo, anche ai sensi dell'art. 8, comma 1, della legge 131/2003.

 

Tale articolo ha previsto che, nei casi e per le finalità previsti dall'articolo 120, secondo comma, della Costituzione[7], il Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro competente per materia, anche su iniziativa delle Regioni o degli enti locali, assegna all'ente interessato un congruo termine per adottare i provvedimenti dovuti o necessari; decorso inutilmente tale termine, il Consiglio dei ministri, sentito l'organo interessato, su proposta del Ministro competente o del Presidente del Consiglio dei ministri, adotta i provvedimenti necessari, anche normativi, ovvero nomina un apposito commissario. Alla riunione del Consiglio dei ministri partecipa il Presidente della Giunta regionale della Regione interessata al provvedimento.

 

 


Schede di approfondimento

 


La classificazione energetica degli edifici

Con le Linee guida nazionali per la certificazione energetica degli edifici, adottate con il DM 26 giugno 2009, viene introdottauna metodologia di classificazione degli edifici- intesa quale strumento di orientamento del mercato verso edifici a miglior rendimento energetico - ritenuta particolarmente efficace per il raggiungimento degli obiettivi posti dalla direttiva 2002/91/CE, tenuto conto del patrimonio edilizio nazionale.

Tale classificazione è stata preceduta da sistemi di classificazione energetica degli edifici adottati – oltre che a livello internazionale ed europeo - da alcune regioni e province autonome (cfr. infra).

Il sistema di valutazione delle prestazioni energetiche globali dell’edificio si basa su classi – intese come etichette di efficienza energetica attribuita agli edifici –  contrassegnate da una lettera e comprendenti sottoclassi rappresentative di singoli servizi energetici certificati (quali riscaldamento, raffrescamento, acqua sanitaria e illuminazione).

Le classi sono contrassegnate dalle lettera dalla A alla G, indicanti efficienza decrescente, ed è stata introdotta una classe A+relativamente  alla prestazione globale e a quella concernente la climatizzazione estiva e invernale.

Per la classificazione della prestazione relativa al servizio di climatizzazione invernale è stato posto il requisito minimo a partire dal 2010 quale limite di separazione tra le classi C e D.

Nell’Allegato 4 del DM 26 giugno 2009 viene riportato il sistema di classificazione nazionale concernente: la climatizzazione invernale degli edifici, al punto 1, la produzione di acqua calda sanitaria al punto 2 e il sistema di classificazione della prestazione globale al punto 3.

Come anticipato, in attesa dell’emanazione delle Linee guida nazionali per la certificazione energetica degli edifici diverse amministrazioni locali ed enti di ricerca hanno messo a punto differenti standard di certificazione.

Di seguito si riporta la classificazione basata sulla procedura di certificazione BESTClass elaborata dal Dipartimento BEST del Politecnico di Milano nell’ambito del Tavolo Energia&Ambiente istituito dalla Provincia di Milano, con la collaborazione di ANIT.

La classificazione va da A a G secondo il fabbisogno energetico:

Classe A Fabbisogno energetico ≤ 30 kWh/m2 anno

Classe B Fabbisogno energetico ≤ 50 kWh/m2 anno

Classe C Fabbisogno energetico ≤ 70 kWh/m2 anno

Classe D Fabbisogno energetico ≤ 90 kWh/m2 anno

Classe E Fabbisogno energetico ≤ 120 kWh/m2 anno

Classe F Fabbisogno energetico ≤ 160 kWh/m2 anno

Classe G Fabbisogno energetico > 160 kWh/m2 anno

Nell’Attestato di certificazione energetica sono considerati due indicatori di classificazione energetica: l’indicatore relativo al fabbisogno specifico energetico dell’involucro (PEH) e l’indicatore relativo al fabbisogno di energia primaria (PEG). Nella Targa Energetica è considerato solo l’indicatore relativo al fabbisogno specifico energetico dell’involucro (PEH). Per gli edifici con un fabbisogno di energia primaria inferiore a 15 kWh/m2 anno all’indicatore di classe A è aggiunta la dizione Casa passiva.

Anche la Provincia autonoma di Trento, nell'attesa delle predette Linee guida ha incaricato il Dipartimento di ingegneria civile e ambientale dell'Università di Trento di elaborare una metodologia per la classificazione delle prestazioni energetiche degli edifici in regime invernale ed estivo coerente con le caratteristiche dei consumi del settore edilizio trentino.

Nella tabella che segue si riporta la classificazione energetica individuata ed adottata.

Immagine della tabella del fabbisogno medio per riscaldamento


La certificazione energetica

Si ricorda brevemente che le prime disposizioni in materia di certificazione energetica degli edifici risalgono alla legge 9 gennaio 1991, n. 10 (Norme per l'attuazione del Piano energetico nazionale in materia di uso razionale dell'energia, di risparmio energetico e di sviluppo delle fonti rinnovabili di energia), volta a favorire e ad incentivare, tra l’altro, l'uso razionale dell'energia, lo sviluppo delle fonti rinnovabili e la riduzione dei consumi specifici di energia nei processi produttivi, che al Titolo II recava, un quadro organico di disposizioni per il contenimento dei consumi di energia negli edifici concernente, tra l’altro, proprio la certificazione energetica degli edifici.

Più recentemente le disposizioni in materia sono state riviste ed integrate dai decreti legislativi n. 192/2005 e n. 311/2006 con i quali si è provveduto al recepimento nel nostro ordinamento della direttiva 2002/91/CE relativa al rendimento energetico nell'edilizia che ha introdotta nell’Unione europea la certificazione energetica degli edifici intesa soprattutto come strumento di trasformazione del mercato immobiliare, finalizzato a sensibilizzare gli utenti sugli aspetti energetici all'atto della scelta dell'immobile.

La direttiva 2002/91/CE è stata adottata con l'obiettivo di migliorare la prestazione energetica degli edifici nella Comunità, tenendo conto delle condizioni locali e climatiche esterne, nonché delle prescrizioni riguardanti il clima degli ambienti interni e l'efficacia sotto il profilo dei costi; il miglioramento del rendimento energetico degli edifici è funzionale alla riduzione delle emissioni inquinanti di biossido di carbonio.

Si ricorda, a tale proposito, che nel preambolo dello schema del D.Lgs. 192/2005, il Governo sottolineava come tale direttiva risultasse già in parte attuata nell’ordinamento proprio dalla legge 9 gennaio 1991, n. 10, e dal DPR 26 agosto 1993, n. 412, di attuazione della legge stessa. Alcune disposizioni della legge n. 10/1991 sono state in seguito abrogate e modificate ai fini del coordinamento con le disposizioni dei richiamati decreti legislativi.

Il decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 192, recante Attuazione della direttiva 2002/91/CE relativa al rendimento energetico nell'edilizia, disciplinante - fra l’altro - la metodologia per il calcolo delle prestazioni energetiche integrate degli edifici e l'applicazione di requisiti minimi in materia, ha stabilito (in attuazione dell'art. 7 della direttiva 2002/91/CE) i criteri generali per la certificazione energetica degli edifici, prevedendone l’obbligo per gli edifici di nuova costruzione.

In particolare il D.Lgs. ha previsto che entro un anno dalla data della sua entrata in vigore (vale a dire entro l’8 ottobre 2006), gli edifici di nuova costruzione dovessero essere dotati, al termine della costruzione, di un attestato di certificazione energetica[8]redatto secondo i criteri e le metodologie fissati dall'articolo 4 dello stesso D.Lgs. e fondato, oltre che sulla valutazione dell’appartamento interessato, anche su una certificazione comune dell’intero edificio o su un altro appartamento rappresentativo.

L’attestato ha una validità massima di 10 anni dal rilascio e deve essere aggiornato ad ogni intervento di ristrutturazione modificante le prestazioni energetiche dell'edificio. L’attestato comprende i dati relativi all'efficienza energetica propri dell'edificio, i valori vigenti a norma di legge e valori di riferimento, che consentano ai cittadini di valutare e confrontare la prestazione energetica dell'edificio. E’ inoltre corredato da suggerimenti in merito agli interventi più significativi ed economicamente convenienti per il miglioramento della prestazione energetica.

Il D.Lgs. 192/2005 all’art. 6 ha demandato al Ministro dello sviluppo economico la predisposizione - di concerto con i Ministri dell'ambiente e della tutela del territorio, delle infrastrutture e dei trasporti, d'intesa con la Conferenza unificata, sentito il CNR, l'ENEA e il Consiglio nazionale dei consumatori e degli utenti (CNCU) - delle Linee guida nazionali per la certificazione energetica degli edifici avvalendosi delle metodologie di calcolo definite con i decreti del Presidente della Repubblica di cui all'art. 4, comma 1. Le Linee guida sono state recentemente emanate con il DM 26 giugno 2009, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 10 luglio 2009.

Si ricorda che, ai sensi del su menzionato articolo 4, comma 1, del D.Lgs. 192/2005, con uno o più DPR devono essere definiti:

a) i criteri generali, le metodologie di calcolo e i requisiti minimi finalizzati al contenimento dei consumi di energia e al raggiungimento degli obiettivi di cui all'articolo 1, tenendo conto di quanto riportato nell'allegato «B» e della destinazione d'uso degli edifici. Questi decreti disciplinano la progettazione, l'installazione, l'esercizio, la manutenzione e l'ispezione degli impianti termici per la climatizzazione invernale ed estiva degli edifici, per la preparazione dell'acqua calda per usi igienici sanitari e, limitatamente al settore terziario, per l'illuminazione artificiale degli edifici;

b) i criteri generali di prestazione energetica per l'edilizia sovvenzionata e convenzionata, nonché per l'edilizia pubblica e privata, anche riguardo alla ristrutturazione degli edifici esistenti e le metodologie di calcolo e i requisiti minimi finalizzati al raggiungimento degli obiettivi di cui all'articolo 1, tenendo conto di quanto riportato nell'allegato «B» e della destinazione d'uso degli edifici;

c) i requisiti professionali e i criteri di accreditamento per assicurare la qualificazione e l'indipendenza degli esperti o degli organismi cui affidare la certificazione energetica degli edifici e l'ispezione degli impianti di climatizzazione. I requisiti minimi sono rivisti ogni cinque anni e aggiornati in funzione dei progressi della tecnica.

 

Con il decreto legislativo n. 311 del 2006, recante disposizioni integrative e correttive del D.Lgs. 19 agosto 2005, n. 192, l’obbligo della certificazione energetica è stato estesogradualmente a tutti gli edifici preesistenti all’entrata in vigore del D.Lgs. 192/2005 (8 ottobre 2005), purché oggetto di compravendita o locazione, al fine di rendere il provvedimento maggiormente aderente alle disposizioni dell’articolo 7 della direttiva 2002/91/CE[9].

Per l'estensione della certificazione è stato previsto un percorso graduale:

a) a decorrere dal 1° luglio 2007 agli edifici di superficie utile superiore a 1000 metri quadrati, nel caso di vendita dell'intero immobile;

b) a decorrere dal 1° luglio 2008 agli edifici di superficie utile fino a 1000 metri quadrati, nel caso di vendita dell'intero immobile con l'esclusione delle singole unità immobiliari;

c) a decorrere dal 1° luglio 2009 alle singole unità immobiliari, nel caso di vendita.

 

A partire dal 1° gennaio 2007, l’attestato di certificazione energetica è diventato prerequisito essenziale per accedere ad incentivi ed agevolazioni di qualsiasi natura destinati al miglioramento delle prestazioni energetiche – sia sgravi fiscali, sia contributi a carico di fondi pubblici o degli utenti – ed è stato reso obbligatorio per tutti gli edifici pubblici (o comunque in cui figura come committente un soggetto pubblico) in concomitanza con la stipula o il rinnovo dei contratti di gestione degli impianti termici o di climatizzazione, entro i primi sei mesi di vigenza contrattuale.

Inoltre, si stabiliva che, nel caso di trasferimento a titolo oneroso di interi immobili o di singole unità immobiliari, l’attestato di certificazione energetica dovesse essere allegato all'atto di trasferimento (art. 6, co. 3, D.Lgs. 192/2005) e che in caso di locazione lo stesso attestato dovesse essere messo a disposizione del conduttore o ad esso consegnato in copia conforme all'originale (art. 6, co. 4, D.Lgs. 192/2005). In caso di inadempimento si prevedeva la nullità del contratto che poteva essere fatta valere solamente dal compratore o, rispettivamente, dal conduttore (art. 15, co. 8, D.Lgs. 192/2005)[10].

 

Al fine di semplificare il rilascio della certificazione energetica per gli edifici esistenti e renderla meno onerosa per i cittadini è stata prevista la possibilità di predisporre un attestato di qualificazione energetica, a cura dell’interessato, come si precisa nell’Allegato A del decreto (art. 6, co. 2-bis, D.Lgs. 192/2005)[11]

Al riguardo, si segnala che l’allegato A definisce l’attestato di qualificazione energetica come il documento predisposto ed asseverato da un professionista abilitato, non necessariamente estraneo alla proprietà, alla progettazione o alla realizzazione dell’edificio, nel quale sono riportati i fabbisogni di energia primaria, la classe di appartenenza in relazione al sistema di certificazione energetica in vigore, ed i corrispondenti valori massimi ammissibili fissati dalla legge.

Pertanto, al di fuori di quanto previsto dall’articolo 8, comma 2, del D.Lgs. 192/2005 (come modificato dall’art. 3 del D.Lgs. 311/2006)[12] l’attestato di qualificazione energetica è facoltativo ed è predisposto a cura dell’interessato al fine di semplificare il successivo rilascio della certificazione energetica. A tal fine, l’attestato comprende anche l’indicazione di possibili interventi migliorativi delle prestazioni energetiche che potrebbero permettere passaggi di classe energetica. L’estensore del documento provvede ad evidenziare sul frontespizio che il medesimo noncostituisce attestato di certificazione energetica dell’edificio.

Inoltre, il D.Lgs. 311/2006, introducendo una semplificazione temporanea per accelerare l'attuazione della normativa, all’articolo 5 (aggiungendo il comma 1-bis all’articolo 11 del D.Lgs. 192/2005) ha consentito il ricorso, in via provvisoria, alla procedura di qualificazione energetica in luogo dell’attestato di certificazioneenergetica nelle more dell’emanazione delle Linee guida nazionali per la certificazione energetica degli edifici prevista dall’articolo 6, comma 9, del D.Lgs. 192/2005[13].

 

Infine con il D.Lgs. 311/2006 sono state modificate anche le norme relative alle funzioni delle regioni e degli enti locali contenute nel citato D.Lgs. 192/2005 che all’articolo 9 precisa, in particolare, il ruolo delle regioni, delle province autonome e delle autorità competenti in merito agli accertamenti e alle ispezioni sugli edifici e sugli impianti, confermando le competenze in materia già attribuite in sede di decentramento amministrativo dall’articolo 30 del D.Lgs. 112/1998 [14] e stabilendo altresì che le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano riferiscano annualmente alla Conferenza unificata e ai ministeri competenti sullo stato di attuazione del decreto legislativo nei rispettivi territori.

In particolare, ai sensi del comma 3-bis dell'articolo 9, aggiunto dal D.Lgs. 311/2006, entro il 31 dicembre 2008 le regioni e le province autonome, in accordo con gli enti locali, sono tenute a predisporre un programma di riqualificazione energetica del patrimonio immobiliare, sviluppando tra l'altro la realizzazione di campagne di informazione e sensibilizzazione dei cittadini e la promozione, con istituti di credito, di strumenti di finanziamento agevolato destinati alla realizzazione degli interventi di miglioramento individuati con le diagnosi energetiche nell'attestato di certificazione energetica, o in occasione delle attività ispettive. Ai sensi del comma 5-bis dell'articolo 9, le regioni devono considerare, fra gli strumenti di pianificazione ed urbanistici di competenza, le soluzioni necessarie all’uso razionale dell’energia e all’uso di fonti rinnovabili, con indicazioni anche in ordine all’orientamento e alla conformazione degli edifici da realizzare, per massimizzare lo sfruttamento della radiazione solare.

Il decreto legislativo n. 192/2005 e i relativi decreti applicativi nelle materie di legislazione concorrente si applicano alle regioni e alle province autonome che non abbiano ancora adottato propri provvedimenti attuativi della direttiva 2002/91/CE fino all’entrata in vigore della normativa di attuazione adottata da ciascuna regione e provincia autonoma. Nell’adottare la normativa di attuazione le regioni e le province autonome sono tenute a rispettare i vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e i princìpi fondamentali desumibili dal decreto legislativo n. 192/2005 (art. 17 del D.Lgs. 192/2005).

 

Merita segnalare che la legge finanziaria 2008 (legge n. 244/2007) al comma 288 dell'articolo 1 ha disposto che a decorrere dall’anno 2009, in attesa dell’emanazione dei provvedimenti attuativi di cui all’articolo 4, comma 1, del D.Lgs. 192/2005, il rilascio del permesso di costruire sia subordinato alla certificazione energetica dell’edificio, così come previsto dall’articolo 6 del citato decreto legislativo, nonché delle caratteristiche strutturali dell’immobile finalizzate al risparmio idrico e al reimpiego delle acque.

Si segnala, inoltre, il D.Lgs. 30 maggio 2008, n. 115 recante Attuazione della direttiva 2006/32/CE relativa all'efficienza degli usi finali dell'energia e i servizi energetici e abrogazione della direttiva 93/76/CEE, che all’art. 18, comma 6, prevede, nelle more dell'emanazione dei decreti attuativi di cui all’art. 4, comma 1, del D.Lgs. 192/2005 e fino alla data di entrata in vigore degli stessi decreti, l’applicazione delle disposizioni contenute nell'allegato III dello stesso decreto legislativo, relative alle “Metodologie di calcolo della prestazione energetica degli edifici e degli impianti” e al riconoscimento dei “Soggetti abilitati alla certificazione energetica degli edifici”.

 

In materia di certificazione energetica si segnalano inoltre le disposizioni contenute nel decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 recante Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria (Convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133) che all’articolo 35 - volto a semplificare la disciplina per l’installazione degli impianti all’interno degli edifici, rimettendola ad uno o più decreti del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro per la semplificazione – con il comma 2-bisha disposto l’abrogazione di alcune disposizioni del D.Lgs. 192/2005 (introdotte dal D.Lgs. 311/2006) relative all’obbligo di allegare l’attestato di certificazione energetica.

Le disposizioni abrogate stabilivano in particolare che, nel caso di trasferimento a titolo oneroso di interi immobili o di singole unità immobiliari, l’attestato di certificazione energetica dovesse essere allegato all'atto di trasferimento (art. 6, co. 3) e che in caso di locazione lo stesso attestato dovesse essere messo a disposizione del conduttore o ad esso consegnato in copia conforme all'originale (art. 6, co. 4).

Conseguentemente, sono stati abrogati anche i commi 8 e 9 dell’art. 15, che prevedevano la nullità del contratto che poteva essere fatta valere solo dall'acquirente in caso di violazione dell'obbligo di cui all'art. 6, co. 3 (comma 8) o solo dal conduttore in caso di violazione dell'obbligo previsto dall'art. 6, co. 4 (comma 9).

Con il DL 112/2008 è quindi venuto meno l’obbligo di allegare l’attestato di certificazione energetica agli atti di compravendita, ma non l’obbligo di redigerlo, previsto dall’art. 6 del D.Lgs 192/2005.

Si ricorda che con riferimento a tale disposizione del DL 112/2008 la Commissione europea ha avviato una procedura d’infrazione nei confronti dell’Italia per il mancato rispetto della direttiva 2002/91/CE.

 

Si segnala, infine che sulla Gazzetta Ufficiale del 10 giugno 2009 è stato pubblicato il DPR 2 aprile 2009, n. 59 recante Regolamento di attuazione dell'articolo 4, comma 1, lettere a) e b), del decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 192, concernente attuazione della direttiva 2002/91/CE sul rendimento energetico in edilizia, entrato in vigore il 25 gennaio 2009.

Il DPR, che definisce i criteri generali, le metodologie di calcolo e i requisiti minimi per la prestazione energetica degli edifici e degli impianti termici per la climatizzazione invernale e per la preparazione dell'acqua calda per usi igienici sanitari è uno dei tre decreti attuativi del D.Lgs. 192/2005 come modificato dal D.Lgs. 311/2006.

Si consideri che il regolamento in questione attua solamente parzialmente le lettere a) e b), poiché (art. 1, comma 2) rinvia a successivi provvedimenti la definizione dei criteri generali, le metodologie di calcolo e i requisiti minimi per la prestazione energetica degli impianti termici per la climatizzazione estiva e per l’illuminazione artificiale degli edifici del settore terziario.

Non è stato ancora emanato il DPR attuativo della lettera c) dell’articolo 4, comma 1, che provvederà a fissare i criteri di accreditamento degli esperti e degli organismi a cui affidare la certificazione energetica, mentre il decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con i Ministri dell’ambiente e delle infrastrutture, d'intesa con la Conferenza unificata, destinato a definire le Linee guida nazionali per la certificazione energetica degli edifici, in attuazione dell’articolo 6, comma 9, del citato D.Lgs. 192/2005, è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 10 luglio 2009 (DM 26 giugno 2009).

Le disposizioni contenute nel decreto si applicano alle regioni e alle province autonome che non hanno adottato propri strumenti di certificazione energetica degli edifici e rimarranno efficaci fino all'emanazione di strumenti attuativi regionali di certificazione energetica. Tutte le regioni e le province autonome che invece si sono già dotati di strumenti per la certificazione energetica dovranno assicurare un graduale ravvicinamento dei propri strumenti di certificazione alle Linee guida nazionali.

Le Linee guida definiscono in particolare:

-          la prestazione energetica degli edifici;

-          la metodologia di classificazione degli edifici;

-          i Metodi di calcolo;

-          la Rappresentazione grafica delle prestazioni e modello di attestato energetico;

-          l’Autodichiarazione del proprietario e categorie di edifici interessate;

-          la Classificazione energetica per singoli appartamenti.


Sintesi dell’intesa Governo, Regioni ed Enti Locali

(sottoscritta il 1° aprile 2009)

 

Le Regioni si impegnano ad approvare entro e non oltre 90 giorni proprie leggi che prevedono le seguenti tipologie di seguenti interventi edilizi:

 

Tipologia dell’intervento

Edifici interessati

Obiettivo

Ampliamenti massimi del 20% con un incremento complessivo massimo di 200 mc

 

Sono fatte salve diverse determinazioni regionali che possono promuovere ulteriori forme di incentivazione volumetrica.

 

Edifici residenziali uni-bifamiliari o comunque di volumetria non superiore 1000 mc

Migliorare la qualità architettonica e/o energetica degli edifici

Interventi straordinari di demolizione e ricostruzione con un ampliamento massimo del 35%

Edifici a destinazione residenziale

Migliorare la qualità architettonica, dell’efficienza energetica ed utilizzo di fonti energetiche rinnovabili e con criteri di sostenibilità ambientale

 

Con le medesime leggi le regioni si impegnano, altresì, ad introdurre forme semplificate e celeri per l'attuazione degli interventi edilizi indicati, in coerenza con i principi della legislazione urbanistica ed edilizia e della pianificazione comunale.

 

Sono esclusi da tali interventi gli edifici abusivi, quelli situati nei centri storici o nelle aree di inedificabilità assoluta.

 

Le leggi regionali possono, inoltre, individuare ulteriori ambiti di esclusione o limitazione per gli interventi previsti ed ambiti nei quali i medesimi interventi sono, invece, favoriti con incentivazioni e premialità finalizzate alla riqualificazione di aree urbane degradate.

 

La disciplina regionale sarà limitata temporalmente a 18 mesi, salvo che le regioni non dispongano diversamente.

 

In caso di mancata approvazione delle leggi regionali nel termine stabilito, il Governo e il Presidente della Giunta regionale interessata, congiuntamente, determinano le modalità procedurali idonee ad attuare compiutamente l'accordo, anche ai sensi dell'art. 8, comma 1, della legge n. 131/2003.

 

Il Governo e le Regioni ribadiscono la necessità assoluta del pieno rispetto della vigente disciplina in materia di rapporto di lavoro, con particolare riguardo agli aspetti previdenziali e assistenziali e di sicurezza nei cantieri e la necessità di elaborate una procedura che garantisca trasparenza come, per esempio, quella utilizzata per lo sgravio Irpef del 36%.

 

Il Governo si impegna, inoltre, ad avviare congiuntamente con le Regioni e le autonomie locali uno studio di fattibilità per un nuovo piano casa che individui risorse pubbliche e private per soddisfare il fabbisogno abitativo delle famiglie o particolari categorie, che si trovano nella condizione di più alto disagio sociale e che hanno difficoltà ad accedere al libero mercato della locazione.

 

Viene fatta salva ogni prerogativa costituzionale delle Regioni a statuto speciale e delle province autonome.



Leggi regionali per il
rilancio del settore edilizio



[1]    Decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 192 recante Attuazione della direttiva 2002/91/CE relativa al rendimento energetico nell'edilizia.

[2]    Norme per l'attuazione del Piano energetico nazionale in materia di uso razionale dell'energia, di risparmio energetico e di sviluppo delle fonti rinnovabili di energia

[3]    Documento presentato il 27 maggio 2009 dall’Unità tecnica finanza di progetto (UTFP) nel corso della Tavola rotonda ABI, ANCI, UTFP e OICE (http://www.oice.it/documenti/do_att.php?DO_ID=10251) sull’attuazione del PPP nelle politiche di sviluppo urbano.

[4]    I commi da 3 a 7 non vengono qui ricordati poiché dichiarati costituzionalmente illegittimi (Corte costituzionale, sentenza 7-19 ottobre 1992, n. 393).

[5]    Il comma 348 dell’articolo 1 della legge n. 296 del 2006 rinvia, a sua volta, alle modalità stabilite dall’articolo 1 della legge n. 449 del 1997 (legge finanziaria 1998) recante la disciplina sulla detrazione IRPEF fissata in misura pari al 36% delle spese di ristrutturazione delle abitazioni principali.

[6] Convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008.

[7]    Si ricorda che ai sensi del secondo comma dell’art. 120 Cost., il governo può esercitare i poteri sostitutivi, nel rispetto del principio di sussidiarietà e del principio di leale collaborazione, tra l’altro, quando lo richiedano la tutela dell'unità giuridica o economica e, in particolare, la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, prescindendo dai confini territoriali dei governi locali.

[8]    Ai sensi dell’art. 2, lett. d) del D.Lgs. 192/2005 per «attestato di certificazione energetica o di rendimento energetico dell'edificio» si intende “il documento redatto nel rispetto delle norme contenute nel presente decreto, attestante la prestazione energetica ed eventualmente alcuni parametri energetici caratteristici dell'edificio”.

[9]    In particolare l'articolo 7della citata direttiva stabilisce che in fase di costruzione, compravendita o locazione di un edificio, l’attestato di certificazione energetica sia messo a disposizione dell'acquirente o del conduttore che in tal modo è in grado di valutare e raffrontare la prestazione energetica dell'edificio ai fini della comparazione dei costi.

[10]   Tali disposizioni relative all’obbligo di allegare l’attestato di certificazione energetica sono state in seguito abrogate dal decreto-legge n. 112/2008.

[11]   Introdotto dall’art. 2, co. 3, D.Lgs. 311/2006.

[12]   Il menzionato articolo 8, comma 2, prevede che la conformità delle opere realizzate rispetto al progetto e alle sue eventuali varianti ed alla relazione tecnica di cui al precedente comma 1, nonché l'attestato di qualificazione energetica dell'edificio come realizzato, devono essere asseverati dal direttore dei lavori e presentati al comune di competenza contestualmente alla dichiarazione di fine lavori, senza alcun onere aggiuntivo per il committente. La dichiarazione di fine lavori non accompagnata da tale documentazione asseverata è inefficace a qualsiasi titolo.

[13]   Le Linee guida sono state recentemente emanate con il DM 26 giugno 2009 (cfr. supra, nel testo).

[14]   Il decreto legislativo n. 112/98, recante Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della L. 15 marzo 1997, n. 59, nel delegare alle regioni le funzioni amministrative in tema di energia che non siano riservate allo Stato ovvero attribuite agli enti locali, trasferisce alle regioni i compiti previsti all'articolo 30 della legge n. 10/1991 in materia di certificazione energetica degli edifici e assegna alle medesime amministrazioni funzioni di coordinamento dei compiti attribuiti agli enti locali per l'attuazione del citato DPR n. 412/1993, nonché compiti di assistenza agli stessi per le attività di informazione al pubblico e di formazione degli operatori pubblici e privati nel campo della progettazione, installazione, esercizio e controllo degli impianti termici.

[15]   Solo le regioni Toscana, Umbria, Veneto, Prov. Bolzano e Prov. Trento hanno pubblicato la legge in GU. Le notizie relative alle regioni Emilia Romagna, Lombardia e Piemonte sono tratte da fonti di stampa specializzata nel settore edilizia e confermate da documenti ufficiali (anche se non definitivi) pubblicati sui siti istituzionali delle regioni interessate. Per quanto riguarda le regioni Basilicata, Calabria, Campania, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Liguria, Marche, Molise,Puglia, Sardegna, Sicilia  e Valle d’Aosta non è stato possibile reperire notizie dai siti ufficiali, pertanto si riportano solo le informazioni tratte dalla stampa specializzata.

[16]   Sono considerate zone territoriali omogenee A ai sensi dell’art. 2 del DM 1444/1968 “le parti del territorio interessate da agglomerati urbani che rivestono carattere storico, artistico o di particolare pregio ambientale o da porzioni di essi, comprese le aree circostanti, che possono considerarsi parte integrante, per tali caratteristiche, degli agglomerati stessi”.,

[17]   L’art. 25 prevede, appunto, che nei procedimenti relativi ad opere o lavori incidenti su beni culturali ove si ricorra alla conferenza di servizi, l'assenso espresso in quella sede dal competente organo del Ministero con dichiarazione motivata, acquisita al verbale della conferenza e contenente le eventuali prescrizioni impartite per la realizzazione del progetto, sostituisce, a tutti gli effetti, l'autorizzazione del soprintendente prevista dall’art. 21 dello stesso D.Lgs.

[18]   Si tenga peraltro presente che l'art. 4 del D.L .398/1993 è stato espressamente abrogato dall'art. 136 del T.U., sicché gli interventi ivi previsti, come assoggettati a DIA, rientrano ora nella categoria residuale degli interventi che non costituiscono né nuove costruzioni, né attività edilizie libere, a norma dell'art. 22, comma 1, T.U., ove non superino la soglia della rilevante trasformazione urbanistico-edilizia, oltre la quale rientrerebbero nell'ambito delle nuove costruzioni, assoggettate a permesso di costruire.

[19]   Alla stregua della previgente giurisprudenza, la concessione edilizia era necessaria per la recinzione di un fondo rustico, se realizzata con opere edilizie permanenti; non lo era invece nel caso di semplice recinzione con paletti conficcati nel terreno o di ogni altro manufatto che, per le sue caratteristiche di precaria installazione, avesse insita in sé la caratteristica della precaria installazione (Cons. Stato n. 3320 del 15 giugno 2000). Allo stesso modo, l'installazione di un cancello, non comportando trasformazione edilizia ed urbanistica del territorio, non richiedeva il rilascio della concessione edilizia, ma la semplice autorizzazione (Cons. Stato n. 720 del 12 maggio 1999).

[20]   Occorre tuttavia precisare che le opere pertinenziali - per le quali è sufficiente la DIA - sono solo quelle non assoggettate a permesso di costruire dall'art. 3, lett. e.6) del TU. Analogamente le demolizioni senza successiva ricostruzione o le demolizioni con ricostruzione dell'edificio - nel rispetto dei limiti di cui all'art. 3, comma 1, lett. d) del TU - sono assoggettate a DIA e non a permesso di costruire. La DIA occorre invece per il reinterro o gli scavi, che non riguardino la coltivazione di cave o torbiere. Le occupazioni di suolo mediante deposito di materiali o esposizione di merci a cielo libero sono assoggettate a DIA, a condizione che non determinino la realizzazione di deposito di merci o materiali cui consegua la trasformazione permanente del suolo inedificato perché, in tal caso, ricadrebbero nella previsione di cui all'art. 3, lett. e.7) del TU.

[21]   Per quanto riguarda gli “interventi di nuova costruzione” , definiti dall'art. 3, comma 1, lett. e), del TU, la disciplina risultante dal combinato disposto delle lett. b) e c) dell'art. 22, comma 2, del TU - così come novellato dal D.Lgs. 301/2002 - comporta che quando il piano regolatore prescriva la mediazione di piani attuativi, di lottizzazione o di altri strumenti esecutivi, l'esecuzione degli interventi di nuova costruzione, mediante superDIA, può avvenire soltanto a seguito della approvazione di tali strumenti, che definiscano gli interventi sotto il profilo planovolumetrico, tipologico, formale e costruttivo.

[22]   Anche se ai sensi dell’art. 27, comma 2, alla DIA non sono applicabili le sanzioni penali previste dall’art. 44 dello stesso T.U. ma solo quelle amministrative dell’art. 37 (mentre alla superDIA sono applicabili le sanzioni penali ai sensi dell’art. 44, comma 2-bis) il reato che la più recente giurisprudenza (Cassazione penale sentenza 1818/2009) – dopo alcune pronunce contrastanti – ritiene configurabile è quello di falsità ideologica in certificati commessa da persona esercente un servizio di pubblica necessità. La pena per la falsa certificazione è la reclusione fino a un anno o la multa da euro 51 a euro 516, se il reato è commesso a fine di lucro, la pena detentiva e quella pecuniaria si applicano congiuntamente. È prevista anche la pena accessoria dell’interdizione dalla professione da un minimo di un mese a un massimo di 5 anni. http://www.ambientediritto.it/sentenze/2009/Cassazione/Cassazione_2009_n._1818.htm

 

[23]   La fattispecie di “ristrutturazione edilizia” è stata ridefinita dall'art. 3, comma 1, lett. d), del T.U. novellato dal D.Lgs. 301/2002, nel senso che sono interventi di ristrutturazione di edilizia gli interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare a un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente. Ai sensi dell'ultima parte della citata lett. d) nell'ambito della ristrutturazione edilizia, sono ricompresi anche gli interventi consistenti nella demolizione e ricostruzione "con la stessa volumetria e sagoma di quelle preesistenti, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l'adeguamento alla normativa antisismica". La precedente formulazione del TU ricomprendeva, nella ricostruzione edilizia, la sola demolizione e successiva fedele ricostruzione di un fabbricato identico quanto a sagoma, volumi, area di sedime e caratteristiche dei materiali a quello preesistente. E dunque, perché sia configurabile la ristrutturazione mediante demolizione e successiva ricostruzione, non è più necessario che il nuovo fabbricato sia identico a quello preesistente, quanto a sagoma, volumi, area di sedime e caratteristiche dei materiali; ma è sufficiente che la ricostruzione mantenga la volumetria e la sagoma originaria, fatte salve le innovazioni necessarie per l'adeguamento alla normativa antisismica. La ricostruzione può, quindi, comportare anche mutamenti dell'area di sedime e delle caratteristiche dei materiali, purché tali mutamenti siano mantenuti nel limite della trasformazione dell'organismo originario. Il principio vale anche per l'impiego di materiali diversi che mutino anche esteriormente l'aspetto dell'edificio, quando questi ultimi materiali si rivelino maggiormente idonei, rispetto a quelli originari, al risparmio energetico.

[24]   L’art. 67 prevede che tutte le costruzioni di cui all'art. 53 (in conglomerato cementizio armato normale, precompresso e a struttura metallica), la cui sicurezza possa comunque interessare la pubblica incolumità devono essere sottoposte a collaudo statico.

[25]   L’art. 77 prevede che i progetti relativi alla costruzione di nuovi edifici privati, ovvero alla ristrutturazione di interi edifici, ivi compresi quelli di edilizia residenziale pubblica, sovvenzionata ed agevolata, vengano redatti in osservanza delle prescrizioni tecniche previste per l’eliminazione delle barriere architettoniche. L’art. 82 riguarda l’eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici pubblici e privati aperti al pubblico.

[26]   L’at. 5, comma 3, prevede che, aii fini del rilascio del permesso di costruire o del certificato di agibilità, il comune acquisisca direttamente, ove non sia stato già allegato dal richiedente il parere dell'A.S.L. nel caso in cui non possa essere sostituito da una autocertificazione.

[28]   http://www.beniculturali.it/pdf/circolare_125_2008.pdf