Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione
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Autore: | Servizio Studi - Dipartimento agricoltura | ||||
Titolo: | Disposizioni per la tutela e la valorizzazione della biodiversità agraria e alimentare. A.C. 2744 | ||||
Riferimenti: |
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Serie: | Progetti di legge Numero: 345 | ||||
Data: | 25/05/2010 | ||||
Descrittori: |
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Organi della Camera: | XIII-Agricoltura |
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Camera dei deputati |
XVI LEGISLATURA |
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Documentazione per l’esame di |
Disposizioni per la tutela e la valorizzazione della biodiversità agraria e alimentare A.C. 2744 |
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n. 345 |
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25 maggio 2010 |
Servizio responsabile: |
Servizio Studi – Dipartimento Agricoltura ( 066760-3610 – * st_agricoltura@camera.it |
Hanno partecipato alla redazione del dossier i seguenti Servizi e Uffici: |
Servizio Biblioteca – Osservatorio della legislazione straniera ( 066760-2278 – * bib_segreteria@camera.it Segreteria Generale – Ufficio Rapporti con l’Unione europea ( 066760-2145 – * cdrue@camera.it |
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I dossier dei servizi e
degli uffici della Camera sono destinati alle esigenze di documentazione
interna per l'attività degli organi parlamentari e dei parlamentari. |
File: Ag0137.doc |
INDICE
§ La definizione di biodiversità
§ La protezione internazionale della biodiversità: la Convenzione sulla diversità biologica
§ La protezione della biodiversità nell’Unione europea
§ L’impegno dell’Italia in materia di tutela della biodiversità
§ La biodiversità nel settore dell’agricoltura
§ Articolo 1 (Oggetto e finalità)
§ Articolo 2 (Anagrafe nazionale della biodiversità di interesse agricolo)
§ Articolo 3 (Rete nazionale del germoplasma)
§ Articolo 4 (Conservazione in situ e on farm)
§ Articolo 5 (Linee guida nazionali per la conservazione della biodiversità agraria e alimentare)
§ Articolo 6 (Misure specifiche per la conservazione delle razze locali)
§ Articolo 7 (Comitato permanente per la biodiversità agraria e alimentare)
§ Articolo 10 (Commercializzazioni di sementi di varietà da conservazione)
§ Articolo 11 (Istituzione degli itinerari della biodiversità agraria e alimentare)
§ Articolo 12 (Comunità del cibo e della biodiversità agraria e alimentare)
§ Articolo 13 (Interventi per la ricerca sulla biodiversità agraria e alimentare)
La protezione della biodiversità: elementi di diritto comparato
§ Brasile
§ Cina
§ Francia
§ Germania
§ India
§ Spagna
Il quadro di riferimento
La definizione concettuale di biodiversità o diversità biologica ha un riferimento fondamentale nella Convenzione sulla diversità biologica, (Convention on Biological Diversity - CBD) adottata a Nairobi il 22 maggio 1992. Ai sensi dell’art. 2, per biodiversità si intende «la variabilità degli organismi viventi di ogni origine, compresi inter alia gli ecosistemi terrestri, marini ed altri ecosistemi acquatici, ed i complessi ecologici di cui fanno parte; ciò include la diversità nell'ambito delle specie, e tra le specie degli ecosistemi»[1].
La biodiversitàsi riferisce dunque alla varietà della vita esistente sulla terra ed ai sistemi naturali che essa forma.
Essa può essere in primo luogo riferita all’ampia
varietà di piante, animali e microorganismi esistenti sul pianeta. Allo stato,
risultano identificate 1,75 milioni di specie (per la maggior parte insetti).
Gli scienziati ritengono che le specie esistenti siano circa 13 milioni, ma vi
sono stime che variano da
La biodiversità include anche le differenze genetiche all’interno della stessa specie. Un ulteriore aspetto consiste nella varietà degli ecosistemi; in ogni ecosistema, tutti gli esseri viventi, compresi gli esseri umani, interagiscono tra loro e con l’ambiente circostante, formando una comunità.
Le aree di biodiversità possono essere individuate in relazione ai programmi di lavoro della citata Convenzione e, quindi, identificate nella biodiversità agricola, nella biodiversità delle zone aride e sub-umide, nella biodiversità forestale, nella biodiversità delle acque interne e nella biodiversità delle isole.
La biodiversità agricola include tutte le componenti della diversità biologica inerenti all’alimentazione e all’agricoltura, nonché quelle che costituiscono l’ecosistema agricolo. L’importanza della biodiversità agricola consiste nel fatto che essa fornisce alle comunità umane cibo e materiali grezzi. Non meno importante è la funzione della biodiversità agricola nei confronti dei vari ecosistemi, ad esempio per il ruolo che essa riveste nella conservazione dei suoli e delle riserve idriche, essenziali alla sopravvivenza umana. L’agricoltura ha, nei confronti della biodiversità, un ruolo ambivalente, perché se da un lato contribuisce in modo significativo alla conservazione e all’uso sostenibile della biodiversità, dall’altro è uno dei maggiori responsabili della riduzione di essa.
La biodiversità è infatti colpita da una tendenza alla riduzione di allarmante rapidità, che mette in pericolo la sostenibilità dell’agricoltura e degli ecosistemi e la possibilità che questi si adattino alle mutate condizioni, con gravi rischi per la sicurezza alimentare.
La biodiversità delle zone aride e sub-umide, comprese le regioni semi aride, le praterie, le savane e gli ecosistemi mediterranei, copre all’incirca il 47% della superficie delle terre emerse, con larga prevalenza nel continente australiano, in Cina, in Russia, negli Stati Uniti e nel Kazakistan. Le zone aride e sub-umide includono ecosistemi assai fragili nei cui confronti si deve agire con estrema attenzione per evitare la perdita irreversibile della diversità biologica.
Gli specchi d’acqua ricompresi nelle zone aride e sub-umide, ad esempio, rivestono cruciale importanza nelle tappe degli uccelli migratori. La biodiversità delle zone aride e sub-umide si è adattata assai bene alle dure condizioni climatiche, caratterizzate da precipitazioni irregolari e spesso da elevate temperature.
La biodiversità forestale riguarda diverse fasce climatiche del pianeta: le foreste offrono la più vasta gamma di habitat per piante, animali e micro-organismi e conseguentemente nelle foreste si trova la maggior parte delle specie viventi della Terra. Cionondimeno, esiste una crescente minaccia a questa grande varietà biologica, in gran parte quale risultato dell’attività umana. Il concetto di diversità biologica forestale si riferisce a tutte le forme di vita comprese negli ecosistemi forestali e al loro ruolo ecologico. Pertanto, la diversità biologica forestale va ben oltre il pur grande numero di specie vegetali che include, estendendosi anche alla moltitudine di animali e micro-organismi presenti negli ecosistemi forestali.
Il tasso di riduzione della superficie forestale mondiale è enormemente cresciuto negli ultimi cento anni: stime della FAO hanno evidenziato una perdita annuale di 13 milioni di ettari di superficie forestale, pari allo 0,18% della superficie forestale mondiale. Tuttavia, un approccio diverso nei confronti degli ecosistemi forestali si rende possibile anche in ragione del fatto che, mentre in passato la principale funzione delle foreste si rinveniva nella fornitura di legno, negli ultimi decenni si è assistito a una percezione più diversificata e bilanciata: ad esempio, sono oggi largamente diffuse aspettative di attenuazione dei cambiamenti climatici come effetto del mantenimento di vasti ecosistemi forestali.
La biodiversità delle acque interne concerne gli ecosistemi di acque interne, con influenze sia terrestri che acquatiche. La biodiversità delle acque dolci interne presenta il maggior tasso di riduzione rispetto a tutti gli altri ecosistemi.
Le acque interne includono ecosistemi di acque dolci o salate e possono essere ricomprese tanto in aree continentali che insulari: esse includono laghi, fiumi, stagni, ruscelli, acque sotterranee e di grotta, sorgenti, pianure alluvionali, paludi e pantani, tutti per tradizione classificati come zone umide interne.
Anche la biodiversità delle acque interne costituisce un'importante fonte di cibo e di reddito, in specie nelle aree rurali dei paesi in via di sviluppo. Inoltre questi ecosistemi forniscono acqua, energia, vie di trasporto, opportunità per il turismo, e operano la conservazione di sedimenti ed elementi nutritivi, oltre a fornire habitat per molte specie vegetali e animali.
Le maggiori minacce per la sopravvivenza degli ecosistemi di acque interne e per la loro biodiversità sono rappresentate dallo sviluppo infrastrutturale, dal mutamento nella destinazione dei territori, dall'inquinamento, dal supersfruttamento del suolo e dall'introduzione di organismi vegetali o animali aventi origine in altri ecosistemi e potenzialmente letali per quello di destinazione.
La biodiversità delle isole presenta peculiari aspetti di unicità - unitamente alle zone marine circostanti -, eredità di un separata evoluzione, che ha prodotto risultati parimenti speciali. Gli ecosistemi insulari, ancora più che gli altri, sono anche fondamentali per il sostentamento, le economie e l’identità culturale degli abitanti, che assommano a un decimo della popolazione mondiale.
L'unicità degli ecosistemi insulari risulta anche dalla loro estrema fragilità, come emerge dal fatto che delle specie animali estinte negli ultimi quattro secoli circa la metà originavano da ambienti insulari. Negli ultimi cento anni anche la biodiversità insulare ha subito forti pressioni dall’introduzione di organismi viventi di altra origine, dal supersfruttamento e, in maniera sempre crescente, dai cambiamenti climatici e dall’inquinamento. Tutto ciò ha avuto riflessi sulle economie, soprattutto in alcuni piccoli paesi insulari in via di sviluppo.
La biodiversità
marina e costiera riguarda oltre alle enormi estensioni oceaniche, anche,
ad esempio, le foreste di mangrovie, le barriere coralline, la vegetazione sui
fondi marini, gli estuari dei fiumi, le emissioni idrotermali (corrispettivi marini
di quelle geotermiche), le montagne sottomarine. L'importanza della
biodiversità marina è evidente: si pensi solo che più di due miliardi e mezzo
di persone al mondo ricevono non meno di un quinto del loro fabbisogno proteico
da pesci o invertebrati marini: si calcola che negli oceani vi siano fino a
dieci milioni di specie marine, e se ne scoprono continuamente di nuove. Le più
gravi minacce per gli ecosistemi marini e costieri provengono anzitutto dalla
terraferma, con gli scarichi in mare di pericolosi agenti inquinanti. Inoltre
le pratiche di pesca distruttive, illegali o di supersfruttamento mettono a
rischio le risorse alieutiche. Non vanno però trascurati altri fattori
negativi, quali l'alterazione degli habitat, l'immissione di nuove specie, i
cambiamenti climatici globali. Alcuni dati confermano la gravità della
situazione:
La biodiversità delle aree di montagna si presenta con caratteri assai diversificati, proprio in ragione della vicinanza di diversi ecosistemi e microclimi a diverse altitudini. Agli ecosistemi montani deve la propria sussistenza il 22% della popolazione mondiale che ivi risiede: ma anche gli altri gruppi umani dipendono dalla montagna per un'ampia gamma di beni e servizi - si pensi all'acqua, all’energia, al legname; dalle montagne proviene oltre la metà delle risorse di acqua dolce. Specialmente importante si presenta la biodiversità nei sistemi montani tropicali e delle zone temperate più miti. Inoltre è tipico delle zone di montagna aver consentito anche la sopravvivenza della biodiversità umana, ospitando distinti gruppi etnici portatori di tradizioni culturali e pratiche agricole altrimenti in via di sparizione – come gli indios latinoamericani, gran parte delle cui tradizioni, lingue e culture è sopravvissuta assai più nella fascia andina che nelle foreste e pianure orientali del subcontinente.
La biodiversità montana è anch'essa minacciata da diversi fattori: ad esempio, la deforestazione sistematica provoca erosione dei terreni, accrescendo il rischio di valanghe, frane e inondazioni, con effetti devastanti per molte specie vegetali e animali. Inoltre il degrado dell'habitat montano, provocando soprattutto nei paesi in via di sviluppo la fuga delle popolazioni coinvolte e la corsa all'inurbamento, determina la disintegrazione di intere comunità e antiche culture e lingue. Ulteriori pericoli vengono dalla crescente richiesta di acqua, dalle conseguenze dei cambiamenti climatici globali, dalla crescita del turismo e dalle pressioni industriali e agricole.
Le biodiversità sopra individuate sono oggetto di tutela a livello di
normative internazionali e nazionali, secondo un rapporto in base al quale la
citata Convenzione internazionale sulla biodiversità esprime obiettivi generali
– a differenza di una pluralità di convenzioni ed accordi internazionali con
ambiti precisi di applicazione, quali ad esempio quelli che istituiscono liste
di specie da proteggere o criteri precisi per la definizione di aree da porre
sotto specifici regimi di tutela, o hanno un ambito di applicazione regionale,
come
Il presente dossier da conto della Convenzione citata (nel dettaglio e in versione sintetica) e degli atti internazionali ad essa più immediatamente connessi, della normativa adottata dall’Unione europea – che ha aderito alla Convenzione – dell’implementazione della Convenzione in Italia, in alcuni Stati europei, nel Sud Africa, in Cina e in India, nel Brasile, nonché della normativa vigente negli Stati Uniti.
La consapevolezza della funzione vitale delle risorse biologiche della terra per lo sviluppo economico e sociale dell’umanità e la considerazione che la biodiversità rappresenta un asset globale di importanza cruciale per le generazioni presenti e future hanno generato, negli scorsi decenni, un allarme crescente per le minacce, mai prima così gravi, alle quali talune attività umane sottopongono l’ecosistema e le specie, molte delle quali si sono estinte o sono a rischio di estinzione.
Di fronte a tale situazione il Programma per l’ambiente delle Nazioni Unite, (United Nations Environment Programme - UNEP) istituì, nel novembre 1988, un gruppo di lavoro ad hoc composto da esperti in materia di biodiversità, al quale fu conferito il mandato di verificare la sussistenza dell’esigenza di una convenzione internazionale sul tema.
Pochi mesi dopo, nel maggio 1989, veniva costituito un gruppo di lavoro formato da esperti tecnici e giuridici incaricati di predisporre uno strumento internazionale per la conservazione e l’impiego sostenibile della diversità biologica. Agli esperti si chiedeva anche di tenere in considerazione l’esigenza di ripartire costi e benefici di tale nuovo approccio rispetto alla biodiversità tra i Paesi sviluppati e quelli in via di sviluppo, come pure di individuare le modalità più idonee a supportare a livello locale le innovazioni proposte.
Il lavoro del gruppo (noto come Intergovernmental Negotiating Committee) è culminato il 22 maggio 1992 nell’adozione della Convenzione sulla biodiversità alla Conferenza di Nairobi (Nairobi Conference for the Adoption of the Agreed Text of the Convention on Biological Diversity).
In base alla Convenzione, gli Stati sono responsabili della conservazione della diversità biologica nel loro territorio e dell'utilizzazione durevole delle loro risorse biologiche.
Le informazioni e le conoscenze relative alla diversità biologica sono in genere insufficienti. È quindi necessario sviluppare capacità scientifiche, tecniche ed istituzionali per ottenere le conoscenze basilari grazie alle quali programmare ed attuare opportuni provvedimenti per conservare la diversità biologica.
Gli obiettivi della Convenzione sono la conservazione della diversità biologica, l'utilizzazione durevole dei suoi elementi e la ripartizione giusta ed equa dei vantaggi derivanti dallo sfruttamento delle risorse genetiche, mediante, tra l'altro, un accesso adeguato alle risorse genetiche e il trasferimento opportuno delle tecnologie pertinenti, tenendo conto di tutti i diritti su tali risorse e tecnologie, e mediante finanziamenti adeguati.
Conformemente alla Carta delle Nazioni Unite e ai principi del diritto internazionale, gli Stati hanno il diritto sovrano di sfruttare le loro risorse applicando la propria politica ambientale e hanno il dovere di fare in modo che le attività esercitate sotto la loro giurisdizione o il loro controllo non pregiudichino l'ambiente di altri Stati o di regioni che si trovino al di fuori della giurisdizione nazionale.
Fatti salvi i diritti degli altri Stati, e a meno
che
§ nel caso di componenti della diversità biologica, nel territorio soggetto alla sua giurisdizione nazionale, e
§ nel caso di processi ed attività realizzati sotto la sua giurisdizione o il suo controllo, indipendentemente da dove si manifestino i loro effetti, nel territorio soggetto alla sua giurisdizione o al di fuori di esso.
Ogni Parte contraente coopera, per quanto possibile, con altre parti contraenti, direttamente o, se del caso, tramite organizzazioni internazionali competenti, nei settori non sottoposti alla giurisdizione nazionale e in altri settori di interesse reciproco, per la conservazione e l'utilizzazione durevole della diversità biologica.
Conformemente alle sue condizioni e capacità particolari, ogni Parte contraente:
§ elabora strategie, piani o programmi nazionali volti a garantire la conservazione e l'utilizzazione durevole della diversità biologica oppure adatta a questo fine le strategie, i piani o i programmi esistenti;
§ integra, per quanto possibile e opportuno, la conservazione e l'utilizzazione durevole della diversità biologica nei suoi piani, programmi e politiche settoriali o plurisettoriali pertinenti.
Per quanto possibile, ogni Parte contraente:
§ identifica gli elementi importanti della diversità biologica ai fini della conservazione e di un'utilizzazione durevole, tenendo presente l'elenco indicativo di categorie di cui all'allegato I della Convenzione;
§ controlla, mediante campionamento ed altre tecniche, gli elementi costitutivi della diversità biologica, identificati prestando particolare attenzione a quegli elementi che richiedono urgenti misure di conservazione e a quelli che offrono maggiori possibilità di utilizzazione durevole;
§ identifica i processi e le categorie di attività che hanno o rischiano di avere gravi impatti negativi sulla conservazione e l'utilizzazione durevole della diversità biologica, e sorveglia i loro effetti prelevando campioni ed utilizzando altre tecniche;
§ conserva e gestisce, con qualsiasi mezzo, i dati derivati dalle attività di identificazione e di controllo conformemente ai punti sopra elencati.
Ogni Parte contraente adotta, per quanto possibile, misure economicamente e socialmente positive, che siano di stimolo alla conservazione e all'utilizzazione durevole degli elementi costitutivi della diversità biologica.
§ la preparazione e lo svolgimento di programmi di istruzione scientifica e tecnica e di formazione nelle misure volte all'identificazione, alla conservazione e all'utilizzazione durevole della diversità biologica e dei suoi elementi costitutivi, nonché gli aiuti per tale istruzione e formazione adattate alle esigenze specifiche dei paesi in via di sviluppo;
§ la promozione della ricerca che contribuisce alla conservazione e all'utilizzazione durevole della diversità biologica, in particolare nei paesi in via di sviluppo;
§ che venga sviluppato lo sfruttamento dei progressi della ricerca scientifica sulla diversità biologica, mettendo a punto metodi di conservazione e di sfruttamento durevole della diversità biologica, e che venga promossa la cooperazione a tale scopo.
L'istruzione e la sensibilizzazione del pubblico devono essere promossi favorendo la presa di coscienza dell'importanza della conservazione della diversità biologica mediante la diffusione di tale consapevolezza mediante i mezzi di comunicazione e l'inclusione di questi argomenti nei programmi di insegnamento.
Le parti contraenti facilitano lo scambio di informazioni, che si possono ottenere da fonti pubbliche e che concernono la conservazione e l'utilizzazione durevole della diversità biologica, tenendo conto delle necessità particolari dei paesi in via di sviluppo (scambio di informazioni sui risultati delle ricerche tecniche, scientifiche e socioeconomiche e inoltre sui programmi di informazioni e di studi, ecc.).
Adottata a Nairobi il 22 maggio 1992 al fine di tutelare la diversità biologica, l’utilizzazione durevole dei suoi elementi e la ripartizione giusta dei vantaggi derivanti dallo sfruttamento delle risorse genetiche.
Le tre “Convenzioni di
RIO”
Aperta alla firma il 5 giugno
Lineamenti essenziali
della Convenzione
Gli obiettivi della Convenzione sono la conservazione della diversità
biologica, l'utilizzazione durevole dei suoi elementi e la ripartizione giusta
ed equa dei vantaggi derivanti dallo sfruttamento delle risorse genetiche,
mediante, tra l'altro, un accesso adeguato alle risorse genetiche e il
trasferimento opportuno delle tecnologie pertinenti.
Gli Stati sono responsabili della conservazione della diversità biologica nel loro territorio e dell'utilizzazione durevole delle loro risorse biologiche.
Conformemente alle sue condizioni e capacità particolari, ogni parte contraente:
§ elabora strategie, piani o programmi nazionali volti a garantire la conservazione e l'utilizzazione durevole della diversità biologica;
§ integra, per quanto possibile, la conservazione e l'utilizzazione durevole della diversità biologica nei suoi piani e politiche pertinenti.
Per quanto possibile, ogni parte contraente:
§ identifica gli elementi importanti della diversità biologica ai fini della conservazione e di un'utilizzazione durevole (tenendo presente l'elenco indicativo di categorie di cui all'allegato I della Convenzione);
§ controlla gli elementi costitutivi della diversità biologica identificati;
§ identifica i processi e le categorie di attività che hanno impatti negativi sulla diversità biologica, e monitora i loro effetti;
§ conserva e gestisce i dati derivati dalle attività di identificazione e di controllo.
§ la preparazione e lo svolgimento di programmi di istruzione scientifica e tecnica e di formazione e gli aiuti ai paesi in via di sviluppo (PVS) per la realizzazione di tali programmi;
§ la promozione della ricerca, in particolare nei PVS;
§ che venga sviluppato lo sfruttamento dei progressi della ricerca scientifica sulla diversità biologica.
Stato delle ratifiche
La ratifica da parte dell’Italia è intervenuta conla legge 14 febbraio 1994,
n. 124. Attualmente le Parti
aderenti alla Convenzione sono 192 (aggiornamento al 27 gennaio 2010):
192 Stati e
Gli
organi previsti dalla CDB
E’ assistita da un Organo
sussidiario di consulenza scientifica, tecnica e tecnologica, composto da
rappresentanti dei governi.
I
programmi di lavoro tematici
I
meccanismi per la realizzazione degli obiettivi
Sul modello di alti trattati internazionali,
Il
Protocollo di Cartagena
Il Protocollo sulla prevenzione
dei rischi biotecnologici è stato adottato nella riunione di Montreal il 29 gennaio 2000 ed è entrato in vigore l’11 settembre
Il Protocollo di Cartagena è il primo strumento legale internazionale che verte in modo specifico su aspetti legati alla sicurezza ambientale e sanitaria (la cd. biosafety), connessi all’utilizzazione di organismi geneticamente modificati (OGM) e rappresenta il primo strumento di attuazione della Convenzione sulla diversità biologica.
Come accennato,
La ratifica da parte del nostro Paese è intervenuta conla legge 14 febbraio 1994, n. 124 (Ratifica ed esecuzione della convenzione sulla biodiversità, con annessi, fatta a Rio de Janeiro il 5 giugno 1992).
Attualmente gli Stati aderenti alla Convenzione
sono 192 (aggiornamento al 27
gennaio 2010): 192 Stati e
L’ultimo Stato Parte in ordine cronologico è
Gli Stati Uniti, che hanno firmato
Nel corso delle sue attività
I Programmi tematici sinora inaugurati riguardano:
a) la biodiversità agricola;
b) la biodiversità delle zone aride e sub-umide;
c) la biodiversità forestale;
d) la biodiversità delle acque interne
e) la biodiversità delle isole;
f) la biodiversità marina e costiera;
g) la biodiversità montana.
In particolare, possono ricordarsi: il Programma di lavoro sulla biodiversità
agricola adottato dalla Conferenza delle Parti, nel corso della sua
riunione del 2000 di Nairobi, imperniato soprattutto sulle capacità di
valutazione e di adattamento alle mutate situazioni e accompagnato da tre
iniziative trasversali che riguardano gli agenti impollinatori, la biodiversità
dei suoli e la biodiversità in rapporto ai mezzi di sussistenza; il Programma di lavoro sulla biodiversità
forestale, adottato dalla Conferenza delle Parti tenutasi nel
Quanto alla biodiversità montana, va sottolineato che la gravità della situazione delle aree di montagna è riscontrabile in diversi rilevanti documenti internazionali, quali l'Agenda 21 e il Piano d'azione uscito dal Vertice mondiale sullo sviluppo sostenibile del 2002.
Il Protocollo sulla prevenzione dei rischi biotecnologici prende il nome dal luogo in cui si è svolta la prima riunione straordinaria (Cartagena, Colombia, febbraio 1999), ma è stato adottato nella riunione di Montreal il 29 gennaio dell’anno successivo.
Il Protocollo è stato aperto alla firma delle Parti
della Convenzione in occasione della quinta Conferenza delle Parti, tenutasi
nel maggio
Il Protocollo di Cartagena è il primo strumento legale internazionale che verte in modo specifico su aspetti legati alla sicurezza ambientale e sanitaria (la cd. biosafety), connessi all’utilizzazione di organismi geneticamente modificati e rappresenta il primo strumento di attuazione della Convenzione sulla diversità biologica.
L'art. 19, comma 3, della Convenzione ha previsto infatti che "le Parti esaminano l'opportunità di adottare e di stabilire le modalità sotto forma di Protocollo, che comprenda in particolare un accordo che stabilisca appropriate procedure per quanto riguarda il trasferimento, la manipolazione e l'utilizzazione, in condizioni di sicurezza, di ogni organismo vivente geneticamente modificato originato dalla biotecnologia e che avrebbe effetti sfavorevoli sulla conservazione e l'uso sostenibile della diversità biologica".
La finalità del Protocollo di Cartagena è quello di contribuire ad assicurare un adeguato livello di protezione nel campo del trasporto, della manipolazione e dell'uso in sicurezza degli organismi geneticamente modificati derivanti dalle moderne biotecnologie i quali possano avere un effetto negativo sulla conservazione e sull'uso sostenibile della diversità biologica, tenendo in considerazione anche i rischi alla salute umana e focalizzandosi specificamente sui movimenti transfrontalieri.
Il Protocollo quindi si pone come strumento giuridico internazionale che contribuisce a regolamentare il trasporto internazionale di OGM. Il Protocollo non pone alcuna limitazione alla sperimentazione, alla produzione o alla coltivazione di organismi geneticamente modificati, ma obbliga i Paesi che volessero esportarne ad ottemperare ad alcune procedure.
Fin dagli albori della Convenzione internazionale sulla biodiversità, si è manifestato
l’impegno della Comunità europea nei confronti della tutela della diversità
biologica, con la sottoscrizione
della stessa Convenzione il 13 giugno 1992 e con la sua approvazione il 21 dicembre dello stesso annocon
Questi atti hanno costituito l’inizio di un impegno di lungo periodo delle istituzioni comunitarie, che si è concretizzato in numerosi atti, tra i quali si possono richiamare i seguenti.
Con
Successivamente è stata adottata
Nel maggio del
Particolarmente rilevante è stata l’adozione del Piano d’azione sulla biodiversità del 2006. Con tale piano la Commissione europea si è posta l’obiettivo di preservare la biodiversità ed arrestarne la relativa perdita sia all'interno delle frontiere dell'Unione europea (UE) che sul piano internazionale.
In particolare, si è insistito sull’esigenza di arrestare le minacce agli ecosistemi per tutelare la natura sia per il suo valore intrinseco (valore ricreativo e culturale) che per ciò che essa offre all’umanità (servizi ecosistemici). I servizi eco sistemici sono essenziali ai fini della competitività, della crescita e dell'occupazione, nonché del miglioramento delle condizioni di vita a livello mondiale.
Questo piano d'azione ha fissato dieci obiettivi prioritari d'intervento ripartiti in base a quattro settori: biodiversità nell'UE, biodiversità nel mondo, biodiversità e cambiamento climatico, base di conoscenze. Esso ha definito, inoltre, quattro grandi misure di sostegno (al finanziamento, al processo decisionale, all’istituzione di partenariati e all’istruzione, alla sensibilizzazione e alla partecipazione dei cittadini) nonché azioni di monitoraggio, di valutazione e di riesame. Il piano d'azione si rivolge sia all'UE sia agli Stati membri. Le misure del avrebbero dovuto essere adottate entro il 2010.
Nella revisione degli Orientamenti Strategici Comunitari (Decisione 2009/61/CE del Consiglio del 19 gennaio 2009) viene rafforzato l’obiettivo della tutela della biodiversità sulla base del quale viene individuato l’arresto del declino della biodiversità come uno dei più importanti traguardi comunitari da raggiungere.
Ricordiamo infatti, come, nel maggio 2006 l’UE si è impegnata ad arrestare la perdita di biodiversità entro il 2010 e a tale scopo ha elaborato un dettagliato piano di azione a favore della biodiversità.
Tuttavia, il rapporto sulla valutazione dello stato di attuazione del piano di azione a favore della biodiversità indica che, se i comportamenti rimarranno immutati, sarà impossibile raggiungere gli obiettivi sulla tutela della biodiversità che ci si è proposti.
L’obiettivo di arrestare il declino della biodiversità entro il 2010 sembra pertanto sempre più difficile da raggiungere, per questo gli Stati Membri devono rispondere a tale difficoltà impegnandosi sempre di più nella definizione di politiche, strategie e programmi traducibili in azioni per la protezione della biodiversità.
In questo senso, lo sviluppo rurale riveste un ruolo strategico essendo il concetto di biodiversità legato e dipendente dall’agricoltura e dalla selvicoltura (vedi infra).
L’impegno dell’Unione europea per la biodiversità si è quindi tradotto anche in una serie di atti legislativi che sono trasversali a diverse politiche dell’Unione. In particolare:
§ nella politica ambientale: la strategia e i piani d'azione comunitari a favore della diversità biologica costituiscono il quadro generale dell'azione a favore della biodiversità. In attuazione di tale quadro, le direttive «uccelli selvatici» (la direttiva 79/409/CEE, ora sostituita dalla direttiva 2009/147/CE) e «habitat» (la direttiva 92/43/CEE) creano la rete «Natura 2000» che intende tutelare gli habitat e le specie. Altre disposizioni ad hoc si concentrano sulla tutela delle specie della flora e della fauna selvatiche (tra queste si ricorda la recente direttiva quadro sulla strategia per l’ambiente marino, direttiva 2008/56/CE);
§ nelle altre politiche dell'Unione: la biodiversità è fattore tenuto in considerazione nell'ambito della politica agricola (riforma della politica agricola comune con il regolamento 1782/2003, regolamento 1698/2005 sullo sviluppo rurale), della politica regionale (ad esempio con le valutazioni d'impatto di cui alla direttiva 85/337/CEE e successive modificazioni e le valutazioni ambientali strategiche di cui alla direttiva 2001/42/CE) e nell’ambito della politica della pesca con il regolamento 2371/2002 e successive modificazioni relativo alla conservazione e allo sfruttamento sostenibile delle risorse della pesca.
Le direttive 79/409/CEE e 2009/147/CE mirano a proteggere, gestire e regolare tutte le specie di uccelli viventi naturalmente allo stato selvatico nel territorio europeo degli Stati membri - comprese le uova, i nidi e gli habitat – e regolare lo sfruttamento delle specie.
A tal fine gli Stati membri sono tenuti a preservare, mantenere o ripristinare i biotopi e gli habitat di questi uccelli: istituendo zone di protezione; mantenendo gli habitat; ripristinando i biotopi distrutti; creando biotopi. Per talune specie di uccelli identificate dalle direttive (allegato I) e le specie migratrici sono previste misure speciali di protezione degli habitat.
Le direttive stabiliscono un regime generale di protezione di tutte le specie di uccelli, comprendente in particolare il divieto di uccidere o catturare deliberatamente le specie di uccelli contemplate dalle direttive. E’ autorizzata, tuttavia, la caccia di talune specie a condizione che i metodi utilizzati rispettino alcuni principi (saggia ed equa utilizzazione, divieto di caccia durante il periodo della migrazione o della riproduzione, divieto di metodi di cattura o di uccisione in massa o non selettiva, di distruggere, danneggiare o asportare i nidi e le uova, di disturbare deliberatamente gli animali o detenerli).
Salvo eccezioni, in particolare per quanto concerne talune specie che possono essere cacciate, non sono autorizzati la vendita, il trasporto e la detenzione ad essa finalizzati nonché l'offerta in vendita degli uccelli vivi e degli uccelli morti, nonché di qualsiasi parte o prodotto ottenuto dall'uccello.
La direttiva 92/43/CEE, invece, ha stabilito una rete ecologica europea denominata "Natura 2000". Tale rete è costituita da "zone speciali di conservazione" designate dagli Stati membri in conformità delle disposizioni della direttiva e da zone di protezione speciale istituite dalla direttiva 79/409/CEE concernente la conservazione degli uccelli selvatici. Gli allegati I (tipi di habitat naturali di interesse comunitario) e II (specie animali e vegetali di interesse comunitario) della direttiva forniscono indicazioni circa i tipi di habitat e di specie la cui conservazione richiede la designazione di zone speciali di conservazione. Alcuni di essi sono definiti come tipi di habitat o di specie "prioritari" (che rischiano di scomparire). L’allegato IV elenca le specie animali e vegetali che richiedono una protezione rigorosa.
Da ultimo, la direttiva 2008/56/CE ha stabilito un quadro normativo e obiettivi comuni per
la protezione e la conservazione dell’ambiente marino fino al 2020. Per poter
raggiungere tali obiettivi, gli Stati membri dovranno valutare i bisogni
esistenti nelle zone marine di loro competenza. Essi dovranno poi elaborare e
attuare piani di gestione coerenti in ogni regione e successivamente
assicurarne il monitoraggio. Il termine di recepimento negli Stati membri è il
15 luglio
Nell’ambito della politica agricola, il tema della biodiversità assume rilievo sotto diversi profili di seguito illustrati.
In materia sviluppo rurale, il regolamento 1698/2005 ha stabilito le norme generali per il sostegno comunitario a favore dello sviluppo rurale finanziato dal FEASR (Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale), istituito dal regolamento (CE) n. 1290/2005. Il fondo si pone gli obiettivi di migliorare la competitività dell’agricoltura e della silvicoltura; l’ambiente e lo spazio rurale; la qualità della vita e la gestione delle attività economiche nelle zone rurali.
Per quanto concerne la gestione del territorio, il sostegno comunitario deve contribuire allo sviluppo sostenibile, incoraggiando in particolare gli agricoltori e i silvicoltori a gestire le terre secondo metodi compatibili con la necessità di salvaguardare i paesaggi e l’ambiente naturale nonché di proteggere e migliorare le risorse naturali. I principali elementi da prendere in considerazione comprendono la biodiversità, la gestione dei siti Natura 2000, la protezione delle acque e del suolo e l’attenuazione dei mutamenti climatici.
Negli ultimi anni è stata fortemente avvertita nel settore agricolo l’esigenza di conciliare un’agricoltura produttiva con la tutela degli ecosistemi, mantenendo la complessità e la ricchezza genetica delle specie agricole, sia quelle coltivate che quelle selvatiche. Alla base di tale sensibilità vi è anche la considerazione del ruolo fondamentale della biodiversità agraria a fini di garanzia della salute e della sicurezza alimentare delle popolazioni. Tra i filoni più significativi nei quali assume rilevanza la tutela della biodiversità per il settore agricolo si possono citare lo sviluppo dell’agricoltura biologica, il principio di coesistenza tra colture transgeniche (OGM) e colture convenzionali e biologiche, la politica a tutela della biodiversità forestale e, seppure di carattere più settoriale, l’istituzione del registro delle nazionale delle “varietà da conservazione”.
La nascita della produzione biologica è da connettersi con l’esigenza manifestata dal consumatore di poter acquistare un prodotto con caratteristiche particolari sotto il profilo della “genuinità”, ottenuto anche con metodologie produttive che assicurino la tutela ambientale e della biodiversità, compatibili con uno sviluppo sostenibile.
A livello europeo l’opera di revisione degli atti normativi vigenti è stata guidata dall’intento di rendere più espliciti gli obiettivi, i principi e le norme applicabili alla produzione biologica e favorire la trasparenza e la fiducia del consumatore verso un sistema produttivo che contribuisca anche alla tutela della biodiversità. Tale revisione si è conclusa con l’approvazione del Reg. (CE) 28 giugno 2007, n. 834/2007 per il quale la produzione biologica è un sistema globale di gestione dell’azienda e della produzione. I procedimenti produttivi biologici non debbono danneggiare le risorse, dovendo anzi contribuire alla loro conservazione attraverso un utilizzo responsabile e, se possibile, migliorare la salute dei suoli, delle acque, delle piante e degli animali (art. 3, lett. a), punto i). Compaiono anche fra gli obiettivi della produzione l’arricchimento della diversità biologica e il rispetto di “criteri rigorosi” in tema di benessere animale.
In base al citato regolamento 834/2007 CE, i principi che regolano il metodo produttivo biologico portano al divieto di utilizzo di OGM e di prodotti derivati da OGM, sia nella forma di alimenti che di mangimi, ausiliari di fabbricazione, prodotti fitosanitari, concimi, ammendanti, sementi, materiale di moltiplicazione, microrganismi e animali in produzione biologica. Sono esclusi dal divieto i soli medicinali veterinari, mentre è chiesta una rigorosa limitazione nell’uso dei fattori di produzione ottenuti da sintesi chimica. E’ peraltro vietato il ricorso ai trattamenti con radiazioni ionizzanti sia sugli alimenti che sui mangimi che sulle materie prime utilizzate.
L’impiego delle risorse non rinnovabili deve essere ridotto al minimo mentre i rifiuti e i sottoprodotti, sia vegetali che animali, debbono essere riciclati.
Nei processi di trasformazione, sia degli alimenti che dei mangimi, debbono essere limitati l’uso di additivi, micronutrienti e ausiliari di fabbricazione.
Le norme del regolamento sul metodo di produzione agricola richiedono che di norma l”intera azienda” sia a produzione biologica; tuttavia, e a determinate condizioni, è ammessa una suddivisione aziendale in più unità con regimi produttivi diversi.
Per dotare il sistema di una certa flessibilità alla Commissione UE è consentito accordare eccezioni alle norme di produzione; tuttavia, per preservare la fiducia del consumatore nei prodotti biologici, tali eccezioni debbono essere strettamente limitate ai casi in cui sia ritenuta giustificata l’applicazione di norme meno restrittive, e concesse per un tempo limitato al minimo.
Le disposizioni del regolamentosull’etichettatura consentono l’utilizzo nell’intera area comunitaria ed in qualunque lingua di un elenco di termini, atti ad indicare il metodo seguito sia sulle etichette che nella pubblicità.
Con riferimento agli organismi geneticamente modificati (OGM) il principio di coesistenza in agricoltura tra le colture transgeniche e quelle convenzionali e biologiche si traduce nella capacità degli agricoltori di fornire ai consumatori la possibilità di scegliere tra prodotti tradizionali, biologici o geneticamente modificati conformi alle norme europee in materia di etichettatura e di purezza. La coesistenza non ha nulla a che vedere con rischi ambientali o per la salute umana, in quanto nell’Unione europea sono ammesse solo le colture geneticamente modificate che siano state autorizzate dopo averne verificato la sicurezza per l’ambiente e per la salute umana. Poiché in natura i diversi tipi di produzione agricola tendono a non restare separati, durante la coltivazione, il raccolto, il trasporto, lo stoccaggio e la lavorazione sono necessarie misure adeguate per gestire la possibilità di una commistione accidentale tra colture geneticamente modificate e non geneticamente modificate, dovuta ad impurità delle sementi, all’impollinazione incrociata, a piante spontanee o anche alle pratiche seguite per la raccolta. Il tema della coesistenza riguarda la possibilità di una perdita economica dovuta alla commistione di colture geneticamente modificate e non geneticamente modificate, che potrebbe ridurre il valore delle colture stesse. Tale problema è affrontato con il ricorso a misure di identificazione e di gestione delle colture che minimizzino il rischio di commistione, anche se tali misure hanno, a loro volta, un problema di costo[7].
Questo ambito è stato oggetto di intervento della normativa comunitaria.
In particolare vanno citate la:
§ Direttiva 2001/18/CE del 12 marzo 2001[8], successivamente modificata dalla direttiva 2008/27/CE, sull’emissione deliberata nell’ambiente di OGM abroga la precedente direttiva 90/220/CEE a partire dal 17/10/2002. La direttiva:
- ribadisce la validità del principio di precauzione;
- prevede un’autorizzazione a tempo determinato;
- è più severa nella valutazione d’impatto ambientale.
§ Decisione 2002/623/CE del 24 luglio 2002 che fornisce agli Stati membri le linee guida dettagliate affinché gli stessi possano adeguatamente procedere alla valutazione del rischio ambientale richiesta dalla direttiva 2001/18, e possano individuare e valutare gli effetti potenzialmente negativi degli OGM sia diretti che indiretti, immediati o differiti, sulla salute umana e sull’ambiente;
§ Decisione 2002/811/CE del 3 ottobre 2002 che fornisce linee guida dettagliate in merito ai piani di monitoraggio che precedono la immissione in commercio di un OGM. La decisione si rivolge ai soggetti che, volendo per la prima volta immettere in commercio un OGM debbono presentare una notifica agli Stati membri accompagnata dal monitoraggio e da una relazione sull’emissione deliberata nell’ambiente;
§ Regolamento 1829/2003 del 22 settembre 2003[9] relativo agli alimenti e ai mangimi geneticamente modificati che, al fine di proteggere la salute sia umana che animale, definisce una procedura comunitaria affinché sia valutata la sicurezza dei prodotti prima della immissione sul mercato comunitario. Il provvedimento sostanzialmente definisce un sistema nuovo di autorizzazione e vigilanza sia sugli alimenti che sui mangimi, per entrambi reca inoltre disposizioni sull’etichettatura. Il regolamento:
- innova le procedure di autorizzazione in precedenza stabilite dal reg. 258/97 per i nuovi prodotti alimentari;
- sottrae i mangimi al regime in generale previsto dalla dir. 90/220 e prevede per gli stessi, sia per quelli contenenti OGM che per quelli costituiti o prodotti a partire da OGM, una specifica procedura di autorizzazione;
- sottopone all’autorizzazione anche gli additivi contenenti OGM e destinati ad entrare in prodotti alimentari destinati al consumo umano;
- adegua le nuove procedure di autorizzazione ai nuovi principi contenuti nella dir. 2001/18;
- dispone nuove norme, armonizzate ed esaustive, in tema di etichettatura degli alimenti e dei mangimi;
- abroga le disposizioni di cui al reg. 1139/98 e reg. 50/2000.
§ Regolamento 1830/2003 del 22 settembre 2003 che definisce un sistema di tracciabilità che dovrà essere applicato da parte di tutti gli Stati membri sia per gli OGM, che per gli alimenti ed i mangimi ottenuti da OGM, sistema che è destinato ad agevolare il ritiro dei prodotti dal mercato, nonché a monitorare gli effetti sull’ambiente. Gli OGM autorizzati devono essere identificati con un codice trasmesso dagli operatori lungo tutta la catena alimentare e la loro presenza negli alimenti deve essere indicata in etichetta se superiore allo 0,9%, per quelli in corso di autorizzazione l’obbligo è previsto nel caso di una presenza dello 0,5%, mentre l’obbligo di segnalazione in etichetta è tassativo per gli OGM non autorizzati.
§ Regolamento 1831/2003 del 22 settembre 2003 che interviene sul mercato della produzione di mangimi definendo una procedura comunitaria per l’autorizzazione alla immissione e all’utilizzo degli additivi destinati all’alimentazione animale. Uno specifico regime autorizzatorio è definito per gli additivi contenenti, o prodotti a partire da, OGM, autorizzazione nella quale deve comparire il nome del titolare, che è peraltro l’unico soggetto cui è consentita la prima immissione sul mercato del prodotto;
§ Direttiva 2004/35/CE del 21 aprile 2004[10] sulla responsabilità ambientale; in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale il provvedimento si applica anche al danno ambientale causato da qualsiasi uso confinato, compreso il trasporto, di microrganismi geneticamente modificati, nonché da qualsiasi rilascio deliberato nell'ambiente, trasporto e immissione in commercio di organismi geneticamente modificati.
§ Decisione 2004/204/CE del 23 febbraio 2004 che stabilisce disposizioni dettagliate in merito alla compilazione e tenuta dei registri, da parte della Commissione, contenenti le informazioni sulle modifiche genetiche degli OGM. Tali informazioni - che oltre a includere il deposito di campioni di OGM debbono fornire dettagli sulle sequenze nucleotidiche o le altre informazioni necessarie alla identificazione dell’OGM, della sua discendenza, o di un prodotto contenente l’OGM – saranno distinte in informazioni accessibili anche al pubblico, informazioni riservate per la tutela degli interessi commerciali, informazioni supplementari riservate ai soli Stati membri;
§ Regolamento 65/2004 del 14 gennaio 2004 che ha definito i meccanismi che consentono di assegnare ad ogni OGM un identificatore unico atto a realizzare il sistema di tracciabilità previsto dal reg. 1830/2003;
§ Regolamento 641/2004 del 6 aprile 2004 che, in tema di alimenti e mangimi, reca norme di attuazione del reg. 1829/2003 riguardanti la presentazione delle richieste di autorizzazione per nuovi alimenti e mangimi G.M., la presentazione di una notifica per prodotti preesistenti o in merito alla presenza accidentale o tecnicamente inevitabile di materiale geneticamente modificato che è stato oggetto di una valutazione del rischio favorevole;
§ Decisione 2005/174/CE del 25 febbraio 2005 con la quale sono state predisposte note orientative destinate agli Stati membri, al fine di garantire che le autorità nazionali competenti effettuino correttamente la valutazione preliminare sulla sicurezza di un MGM, e forniscano adeguate informazioni agli utilizzatori riguardo al contenuto della documentazione da trasmettere;
§ Decisione 2005/317/CE del 18 aprile 2005 con la quale la Commissione, applicando il principio di precauzione di cui all’art. 174.2 del Trattato di Amsterdam, ha adottato misure di emergenza per impedire la commercializzazione in Europa di prodotti contaminati dal mais geneticamente modificato “BT10”.
Un ulteriore settore coinvolto nella tutela della biodiversità è quello della politica forestale. Per tutela della biodiversità forestale si intende la politica volta ad aumentare gli sforzi necessari a preservare la naturale diversità delle specie e degli habitat forestali, ad ottimizzare i metodi di gestione delle aree protette esistenti e ampliarle, in modo da includere in esse un ampio spettro di tipologie di boschi, e da creare collegamenti che limitino i problemi legati alla eccessiva frammentarietà degli habitat.
Al riguardo vanno citate le quattro conferenze ministeriali sulla protezione
delle forestein Europa, che rappresentano
un’importante iniziativa nel processo di cooperazione tra i Paesi europei (non
solo della Comunità Europea) per contribuire alla protezione e alla gestione
sostenibile delle foreste europee. Si tratta di una risposta congiunta e di un
impegno politico dei paesi europei alla gestione sostenibile e alla
conservazione delle risorse forestali, come suggerito nell'Agenda 21 - il
programma delle Nazioni Unite dedicato allo sviluppo sostenibile che si propone
di dare luogo ad una pianificazione completa delle azioni da intraprendere, a
livello mondiale, nazionale e locale dalle organizzazioni delle Nazioni Unite,
dai governi e dalle amministrazioni in ogni area in cui la presenza umana abbia
impatti sull'ambiente - e nella dichiarazione di principio non giuridicamente
vincolante sulle foreste approvata dalla conferenza delle Nazioni Unite su
Ambiente e Sviluppo (United Nations
Conference on Environment and Development - UNCED), tenendo conto delle
specifiche condizioni ed esigenze delle foreste europee. La "Conferenza
Ministeriale sulla Protezione delle Foreste in Europa" (MCPFE) è ad oggi
un organo di cooperazione tra 44 Paesi europei e
Il processo, iniziato nel 1990 e tuttora in corso, si basa sul già richiamato sistema di Conferenze durante le quali, grazie anche al contributo di esperti, vengono stabilite direttive generali. Il dialogo coinvolge anche altri Paesi rappresentati come osservatori e numerose organizzazioni, nonché responsabili nazionali e internazionali di tutti i settori legati al legno e alle foreste. Le Conferenze costituiscono dunque una base di scambio a livello politico e scientifico, strettamente legata ad altri processi e iniziative globali e regionali che si occupano di foreste e protezione della natura.
Nel corso della quarta conferenza ministeriale, tenutasi a Vienna nel 2003, è stata poi sottoscritta, oltre alle cinque Risoluzioni sopra ricordate (V1-5), una dichiarazione generale che enfatizza la multifunzionalità delle foreste, considerandole una fonte di energia rinnovabile, in grado di fornire protezione dalle catastrofi naturali, di agire come serbatoi di carbonio, di fungere da tamponi contro i cambiamenti ambientali, di partecipare all'equilibrio del ciclo dell'acqua e di svolgere un'importante funzione didattica e ricreativa.
Il regolamento (CE) n. 2371/2002, come modificato dal regolamento (CE) n. 865/2007, ha adottato misure intese a limitare la mortalità per pesca e l’incidenza ambientale delle attività di pesca mediante:
§ la limitazione delle catture;
§ la limitazione dello sforzo di pesca;
§ l’adozione di misure tecniche;
§ l’adozione di piani pluriennali di ricostituzione volti a garantire la ricostituzione di determinati stock in modo che rientrino in limiti biologici sicuri;
§ l’adozione di piani pluriennali di gestione per mantenere gli stock che già rientrano in limiti biologici sicuri.
Questi piani possono comprendere, fra l’altro, misure che consentano di limitare le catture e lo sforzo di pesca, di fissare il numero ed il tipo di navi autorizzate a praticare la pesca e di promuovere una pesca più selettiva o che abbia un impatto lieve sugli ecosistemi marittimi e sulle specie non bersaglio. Possono figurarvi anche misure tecniche relative, in particolare, alla struttura, al numero ed alla dimensione degli attrezzi da pesca presenti a bordo, nonché altre misure volte a stabilire le zone e/o i periodi di divieto o di limitazione delle attività di pesca.
Nella comunicazione relativa al sesto riesame della politica ambientale (COM(2009)304), presentata nel giugno 2009 dalla Commissione europea emerge come priorità per l’UE il contrasto alla perdita della biodiversità.
In particolare,
Le preoccupazioni della Commissione per la perdita della biodiversità sono legate
alla dipendenza degli esseri umani dai beni e dai servizi offerti dagli
ecosistemi, dimostrata anche dai risultati di uno studio, pubblicato nel maggio
Il 16 dicembre 2008 la Commissione ha presentato una Comunicazione relativa alla valutazione intermedia dell’attuazione del piano d’azione comunitario sulla biodiversità (COM(2008)864).
La Commissione ha evidenziato i progressi conseguiti e delineato le attività più importanti intraprese dalla UE e dagli Stati membri al fine di attuare il piano d’azione sulla biodiversità del 2006, affermando tuttavia di ritenere altamente improbabile il raggiungimento dell’obiettivo di arrestare la riduzione della biodiversità entro il 2010.
Inoltre, il 19 gennaio 2010 la Commissione europea
ha presentato
Il documento esamina lo stato della biodiversità in Europa e nel mondo, le conseguenze della perdita della biodiversità, le realizzazioni e le lacune delle politiche attuali, le prospettive per il 2050 e le prossime tappe da intraprendere. In particolare, la comunicazione della Commissione propone una visione strategica per la biodiversità a lungo termine (2050), con quattro alternative per raggiungere l'obiettivo intermedio (2020) differenziate in base al livello di ambizione che può variare da un rallentamento in misura significativa fino all’arresto totale della perdita di biodiversità e al ripristino dei servizi ecosistemici nell'UE.
La presidenza spagnola di turno dell’UE (in carica fino al giugno 2010) si è impegnata a mettere a punto un piano d'azione europeo in materia per il periodo successivo al 2010, nell'intento di migliorare sensibilmente lo stato della biodiversità nell'UE. L’approccio comunitario in tale settore dovrebbe includere:
azioni di contrasto nei confronti di nuove minacce, quali le specie aliene invasive;
la valutazione dell’impatto dei cambiamenti climatici sulla biodiversità e sulle risorse naturali;
la difesa delle foreste contro le calamità naturali, quali la siccità, gli incendi e le intemperie, per cui si prospetta la pubblicazione un Libro verde.
A quest’ultimo riguardo, merita in particolare segnalare il rilievo assunto dalla questione della deforestazione e del degrado delle foreste ha assunto nell’ambito delle iniziative delle Istituzioni dell’Unione europea relative alla lotta ai cambiamenti climatici.
La Commissione europea, in particolare, ha evidenziato in più occasioni che:
- le foreste, coprendo circa il 30% della superficie terrestre (il 42% nell’UE nel 2005 secondo dati Eurostat), immagazzinano circa la metà del carbonio terrestre; pertanto, il processo di deforestazione, che secondo stime della FAO costerebbe la perdita di circa 13 milioni di ettari di foreste l’anno, ovvero una superficie pari circa alla Grecia, sarebbe responsabile di circa il 20% delle emissioni mondiali di biossido di carbonio (IPCC, 2007), equivalenti a più del totale delle emissioni di gas serra della UE;
-
nello sforzo di limitare il riscaldamento della
terra a
- vanno ribaditi il valore economico delle foreste, che forniscono un numero importante di servizi ecosistemici, e la loro importanza ai fini del mantenimento della biodiversità e delle condizioni di vita di circa 1,6 miliardi di persone che dipendono dalle risorse forestali e di 60 milioni di autoctoni che ne dipendono direttamente per la loro sopravvivenza.
In tale contesto, il 17 ottobre 2008 la Commissione ha presentato un pacchetto di proposte inteso rafforzare l'attuale quadro politico della UE in materia di deforestazione e a sostenere le iniziative internazionali per combattere il disboscamento illegale e il relativo commercio di legname. Il pacchetto si compone, in particolare, di: un regolamento che impone ai commercianti di legname e prodotti del legno di accertarsi che il legno sia stato abbattuto legalmente nel paese di origine (COM(2008)644) e una comunicazione che propone di ridurre la deforestazione tropicale di almeno il 50% entro il 2020 e di arrestare la perdita di foreste su scala planetaria entro il 2030 (COM(2008)645).
Sul ruolo chiave della biodiversità nelle strategie di mitigazione ed adattamento ai cambiamenti climatici si è soffermata la recente Carta di Siracusa[11], adottata nell’aprile 2009, nel corso del G8 Ambiente tenutosi nella città siciliana.
L’azione dell’UE a tutela della biodiversità sarà
svolta anche a livello internazionale.
Il 26-27 gennaio 2010 si è tenuta a Madrid una conferenza internazionale sulla
biodiversità oltre il 2010[12], che segna
l’apertura dell'Anno internazionale
della Biodiversità, che le Nazioni
Unite hanno scelto di celebrare quest’anno e che culminerà nell’'Assemblea
generale dell'ONU sulla biodiversità. In preparazione della decima riunione
(COP 10) della conferenza delle parti della Convenzione internazionale sulla diversità biologica (CBD) che si
terrà a Nagoya (Giappone) nell'ottobre 2010, il Consiglio ambiente del 22 dicembre
La definizione del regime di responsabilità e rimedio sarà uno dei punti principali all'ordine del giorno della quinta riunione delle parti (MOP 5) del protocollo sulla biosicurezza.
Le tre presidenze punteranno a rafforzare l'effettiva protezione della biodiversità mediante la partecipazione alla convenzione sul commercio internazionale delle specie di flora e di fauna selvatiche minacciate di estinzione (CITES).
L’Italia è
stata uno tra i primi Paesi a ratificare
Con
Decreto del Ministro per le Politiche Comunitarie del 27 aprile 2004 è stato
istituito il Comitato di Coordinamento
Nazionale per
Nel 2004
l’Italia ha aderito formalmente – istituendo un apposito Comitato - alla iniziativa dell’Unione Internazionale per
Il Comitato promuove questi obiettivi sostenendo le attività dell'IUCN in Italia e nel mondo; sviluppando la collaborazione tra i membri IUCN e gli esperti italiani; favorendo una più ampia partecipazione alla conoscenza e alla capacità italiana all'interno dell'IUCN[16].
Nel corso del 2005, il Ministero dell'Ambiente ha pubblicato un importante volume dal titolo “Stato della biodiversità in Italia”, quale contributo propedeutico alla preparazione di una Strategia nazionale per la Biodiversità[17].
Un importante passo verso l’attuazione della citata strategia è la recente istituzione del Comitato nazionale per la biodiversità (avvenuta con D.M. Ambiente 5 marzo 2010, pubblicato nella G.U. 12 aprile 2010, n. 84) cui è stato attribuito, quale compito principale, quello di “dare attuazione al percorso concertato di predisposizione e approvazione nell'ambito della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano della Strategia nazionale per la biodiversità” nonché di coordinare, monitorare e valutare l'efficacia delle azioni portate avanti per dare attuazione alla medesima Strategia.
Nell’ambito della tutela nazionale della biodiversità va ricordata la legge 6 dicembre 1991, n. 394 (“Legge quadro sulle aree protette”)[18], che ha provveduto alla classificazione delle aree naturali protette[19] ed ha istituito l’Elenco ufficiale delle aree protette[20].
La conservazione dei territori naturali che ancora mantengono inalterate le matrici ecosistemiche rappresenta il principale obiettivo dell’istituzione di aree naturali protette: infatti, attraverso l'individuazione dei territori terrestri e marini nei quali promuovere l'istituzione di riserve naturali statali e parchi nazionali e la definizione dei criteri di gestione, unitamente all'elaborazione di norme generali di indirizzo e coordinamento vengono realizzate le misure conservative.
L’elenco delle aree protette, periodicamente aggiornato a cura del Ministero dell'Ambiente, è stato da ultimo rivisto con la delibera della Conferenza Stato Regioni del 24 luglio 2003[21].
Nella recente Relazione del Ministero dell’ambiente sullo stato di attuazione della legge quadro sulle aree protette (presentata alle Camere nel luglio 2009[22]) si legge che “Dal V ed ultimo aggiornamento pubblicato nel 2003 risulta che circa il 9,66% del territorio nazionale è tutelato da 772 aree protette rispetto alle 455 del Primo elenco del 1993 per un totale di circa 2,9 milioni di ettari di superficie a terra e circa 2,8 milioni di ettari a mare: 22 parchi nazionali, 146 riserve naturali statali, 20 aree marine protette, 105 parchi naturali regionali, 335 riserve naturali regionali, 144 altre aree protette di diversa classificazione e denominazione” e che, in seguito ad ulteriori costituzioni di parchi e riserve intervenute successivamente, la superficie protetta del territorio nazionale è salita al 10,6% dell’intero territorio: “il numero delle aree protette è ora di 875, per un totale di circa 3,2 milioni di ettari a terra e di circa 2,8 milioni di ettari a mare (6 milioni di ettari in totale, quindi)”.
Nel VI aggiornamento dell’Elenco ufficiale delle aree protette, attualmente in itinere, è stato inserito un nuovo dato di riferimento significativo per le aree marine protette, che indica in circa 658 i chilometri di costa tutelati.
La tutela della biodiversità nel settore agricolo risponde all’esigenza, fortemente sentita negli ultimi anni, di conciliare un’agricoltura produttiva con la tutela degli ecosistemi, mantenendo la complessità e la ricchezza genetica delle specie agricole, sia quelle coltivate che quelle selvatiche.
Come ricordato più volte il 2010 è l’Anno
Internazionale per
In tal senso è stato più volte sottolineato a livello internazionale il ruolo fondamentale che la biodiversità agraria ha nel garantire la salute e la sicurezza alimentare delle popolazioni, anche per fare in modo che la ricerca in agricoltura tenga conto dell’immenso potenziale della diversità genetica delle colture per assicurare raccolti migliori e più sicuri e per far fronte al cambiamento climatico.
A livello nazionale la principale istituzione di riferimento è il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare al quale, con Legge 8 luglio 1986, n. 349, recante “Istituzione del Ministero dell'ambiente e norme in materia di danno ambientale” e successive modifiche ed integrazioni, vengono attribuite funzioni specifiche in materia di coordinamento delle attività relative all'attuazione della convenzione sulla Biodiversità; di redazione e gestione del Piano nazionale della biodiversità; di attuazione di accordi internazionali per la biodiversità forestale; di formulazione di linee guida per la gestione forestale sostenibile; di coordinamento delle attività relative alla attivazione e gestione del piano nazionale della Biodiversità.
Il Ministero dell’Ambiente, sulla G. U. n. 107 del
10/05/1994, ha pubblicato ‘Le linee strategiche per l’attuazione della
convenzione di Rio de Janeiro e per
Ulteriore punto di riferimento a livello nazionale per il settore agricolo è rappresentato dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali (Mipaaf), cui il Decreto Legislativo n. 143 del 04/06/1997 ha affidato il compito di svolgere “… compiti di disciplina generale e di coordinamento nazionale …” fra l’altro anche per la “… salvaguardia e tutela delle biodiversità vegetali e animali, dei rispettivi patrimoni genetici”
Il D.P.R. n. 79 del 23 marzo 2005, inoltre, attribuisce al Dipartimento delle Politiche di sviluppo la materia relativa alla salvaguardia e tutela dei patrimoni genetici delle specie animali e vegetali.
A livello nazionale sono già state avviate le opportune fasi tecniche per favorire l’implementazione del Trattato Internazionale sulle RGVAA, prevedendo apposite risorse logistiche e finanziarie ai fini della conservazione, della caratterizzazione e dell’uso delle risorse genetiche vegetali per l’alimentazione e l’agricoltura.
In questo contesto, il Mipaaf, ha il compito di riferire sul piano internazionale circa lo stato di applicazione del Trattato e di monitorare gli interventi che gli enti locali effettueranno sul territorio; questo in esecuzione di quanto previsto dalla L. 6-4-2004 n. 101 di ratifica del Trattato FAO del 2001 sulle risorse fitogenetiche per l’alimentazione e l’agricoltura, la quale all’Art. 3 affida alle Regioni e Province autonome le competenze in merito all'attuazione e all'esecuzione del Trattato stesso.
Il Corpo Forestale dello Stato (CFS), attraverso le proprie strutture, si occupa della conservazione delle risorse genetiche animali e vegetali, “in situ” ed “ex situ”, assicurando una qualificata gestione dal punto di vista scientifico e naturalistico delle aree protette e degli altri territori.
Gli ambienti protetti sono costituiti dalle Riserve Naturali Statali, che sono diffuse su tutto il territorio nazionale e che comprendono i più svariati “habitat” la cui salvaguardia è di importanza fondamentale per la conservazione di alcuni ecosistemi.
Il patrimonio naturalistico affidato alla custodia del CFS comprende 132 Riserve naturali cui vanno aggiunti alcuni Centri nazionali per lo studio e la conservazione della biodiversità forestale.
I Centri costituiscono un punto nodale a cui affluiscono e da cui si dipartono, dopo lavorazione, i materiali di propagazione, oltre 200 popolamenti di pregio, a diversa caratterizzazione genetica per un razionale impiego nelle diverse zone del territorio nazionale e al fine di garantire il mantenimento di un buon livello di variabilità genetica, un’elevata proporzione di buoni fenotipi e una maggiore e più regolare produzione di seme.
Al riguardo, una particolare rilevanza riveste il Piano nazionale sulla biodiversità di interesse agricolo, redatto dal Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali e approvato dalla Conferenza Stato Regioni il 14 febbraio 2008, che, attraverso una breve analisi delle più importanti problematiche connesse alla scomparsa e alla continua erosione delle risorse genetiche animali, vegetali e microbiche, si pone l'obiettivo di fornire, nel rispetto della normativa esistente e dei principi contenuti nei documenti programmatici nazionali e internazionali, le linee guida per la preservazione e la valorizzazione delle risorse genetiche presenti in agricoltura.
A partire dal 2000, inoltre, sono stati avviati il I e il II Programma Interregionale per rispondere a quanto fissato nell’ambito del Piano Nazionale sulla Biodiversità promosso dal MIPAAF
In molti casi, le risorse finanziarie messe a disposizione dal D L n. 173/1998, sono state integrate da ulteriori risorse regionali al fine di effettuare sul proprio territorio interventi in materia di conservazione della biodiversità animale, vegetale, forestale, ittica e faunistica e interventi tesi alla successiva valorizzazione delle risorse genetiche conservate.
Negli ultimi anni le Regioni hanno intrapreso molte diverse azioni volte alla difesa della biodiversità agraria: dalle iniziative di ricerca, alla promulgazione di specifiche leggi in materia di tutela delle risorse genetiche autoctone di interesse agrario, zootecnico e forestale.
Tutte le Regioni hanno operato sulla salvaguardia delle risorse genetiche autoctone partendo dalle specifiche emergenze del proprio territorio. Questo ha portato ad una prima catalogazione sistematica del germoplasma autoctono locale.
Le iniziative di studio e ricerca intraprese, sono state in parte cofinanziate dal Piano Nazionale sulla Biodiversità e dal Piano di Sviluppo Rurale 2000-2006.
Alcune Regioni hanno da anni legiferato in materia di tutela delle risorse genetiche autoctone anche con specifiche leggi regionali.
Tutte le iniziative regionali hanno riguardato essenzialmente l’individuazione delle risorse, la loro caratterizzazione morfologica e genetica, la conservazione e la valorizzazione.
Progetti specifici sono stati realizzati su particolari territori per il recupero di vecchie cultivar di fruttiferi (melo, pero, limoni, agrumi, mandorlo, fico, noce, ecc.) e di specie erbacee come mais, ortive, foraggere, cereali, ecc. A tal fine, sono stati realizzati programmi interregionali specifici sulla biodiversità, progetti territoriali o di sviluppo locale attraverso il coinvolgimento più o meno attivo di agricoltori “custodi”, interessati alla conservazione e alla valorizzazione delle varietà locali.
A seguito dell’emanazione del Reg. CE 2005/1698, Art. 39, comma 5, e del Reg. CE 2006/1974, Art. 28, le Regioni e le Province Autonome si sono attivate in modo analogo sia per le razze che per le varietà locali a rischio di estinzione.
Dall’esame delle leggi regionali, in modo particolare di quelle specifiche, si individuano innanzitutto, principi generali e definizioni comuni.
Le leggi regionali hanno definito gli strumenti necessari per l’individuazione, la definizione, la caratterizzazione, la conservazione e la valorizzazione delle risorse genetiche autoctone di interesse agrario, zootecnico e forestale.
I sistemi di tutela istituiti dalle varie leggi regionali, sono basati essenzialmente sui seguenti punti principali:
§ l’individuazione della risorsa genetica (razza o varietà locale);
§ la caratterizzazione;
§ l’iscrizione ad un apposito repertorio o registro regionale;
§ la conservazione “in situ” ed “ex situ”;
§ la valorizzazione.
Al perseguimento delle finalità di conservazione e difesa, sono in generale, preordinati più strumenti funzionalmente collegati tra loro, come:
§ i registri regionali;
§ la banca regionale del germoplasma;
§ i coltivatori custodi.
1. La presente legge stabilisce i princìpi per l'istituzione di un Sistema nazionale di tutela e di valorizzazione della biodiversità agraria e alimentare finalizzato alla tutela del territorio da fenomeni di spopolamento, di estinzione e di erosione genetica delle varietà e razze locali autoctone e non, alla tutela e alla conservazione delle colture rurali e delle popolazioni animali locali, alla tutela delle tecniche agronomiche che hanno consentito alle popolazioni la conservazione del paesaggio e delle varietà locali, nonché alla tutela delle varietà e delle razze locali dal rischio di contaminazioni da inquinamento. Il sistema è costituito dalla Rete nazionale del germoplasma, di cui all'articolo 3, dalle Reti nazionali degli agricoltori e degli allevatori custodi, di cui all'articolo 4 e dall'Anagrafe nazionale della biodiversità di interesse agricolo, di cui all'articolo 2.
2. Lo Stato sostiene e incentiva le azioni di tutela della biodiversità agraria e alimentare nonché le azioni previste nell'ambito dei piani di sviluppo rurale delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano conformi alle finalità della presente legge.
3. Ai fini della valorizzazione e della trasmissione delle conoscenze sulla biodiversità agraria e alimentare, il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano sostengono anche le attività degli agricoltori tese al recupero delle varietà e razze a rischio di estinzione, ed allo svolgimento di attività di prevenzione e di gestione del territorio necessarie al raggiungimento degli obiettivi di conservazione della biodiversità agraria.
4. Il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano promuovono progetti tesi alla trasmissione ai giovani agricoltori, agli studenti e ai consumatori delle conoscenze acquisite in materia di biodiversità agraria e alimentare, attraverso adeguate attività di formazione e iniziative culturali.
L'articolo 1 stabilisce l'oggetto e la finalità della proposta di legge, volta all’istituzione di un Sistema nazionale di tutela e di valorizzazione della biodiversità agraria e alimentare.
Oggetto di tutela da parte di suddetto Sistema nazionale sono le varietà e razze locali autoctone e non, anche dal rischio di contaminazioni da inquinamento; le colture rurali e le popolazioni animali locali; le tecniche agronomiche.
In linea generale si può dire che il sistema di tutela introdotto dalla proposta in esame ricalca quelli istituiti dalle varie leggi regionali, ed è basato essenzialmente sui seguenti punti principali:
§ l’individuazione della risorsa genetica (razza o varietà locale);
§ la caratterizzazione;
§ l’iscrizione all’Anagrafe;
§ la conservazione “in situ” ed “ex situ”;
§ la valorizzazione.
Al perseguimento delle finalità di conservazione e difesa, sono preordinati più strumenti funzionalmente collegati tra loro e in particolare:
§ Rete nazionale del germoplasma;
§ Reti nazionali degli agricoltori e degli allevatori custodi;
§ Anagrafe nazionale della biodiversità di interesse agricolo.
Quadro di riferimento: la tutela delle varietà locali
Il termine varietà locale deriva dalla traduzione inglese di landraces. Sotto il profilo normativo, per le specie erbacee di interesse agrario, il termine landraces è stato introdotto in modo cogente per i Paesi della UE, dalla Direttiva 98/95/CEE che prevede la realizzazione della conservazione “in situ” e l’utilizzazione sostenibile delle risorse fitogenetiche, mediante la coltivazione e la commercializzazione di sementi di landraces and varieties, coltivate in modo tradizionale in luoghi particolari e minacciate dall’erosione genetica; le landraces and varieties in seguito alla loro accettazione, sono indicate, nel catalogo comune delle varietà, come varietà da conservazione. Pertanto le varietà da conservazione, secondo la normativa vigente, sono solo quelle a rischio di estinzione, mentre le varietà locali comprendono il complesso delle landraces, incluse le stesse varietà da conservazione. Queste definizioni vengono integrate da quella date dalle varie leggi regionali italiane, in materia di tutela delle risorse genetiche autoctone (di fatto le razze e le varietà locali), in sintesi definite come le specie, razze, varietà, cultivar, popolazioni, ecotipi e cloni originari del territorio regionale, oppure di origine esterna, purché introdotte da almeno 50 anni in esso ed integrate tradizionalmente nella sua agricoltura e nel suo allevamento; sono oggetto di tutela anche le varietà locali attualmente scomparse dal territorio regionale, ma conservate presso orti botanici, allevamenti o centri di ricerca presenti in altre Regioni o paesi.
Secondo i dati FAO, oggi sono circa 7.000 le specie vegetali utilizzate dall'uomo per la sua alimentazione, ma ne vengono coltivate soltanto 150; il 75% degli alimenti consumati dall'uomo è fornito da solo 12 specie vegetali e 5 specie animali.
Circa il 50 % di questi stessi alimenti è fornito soltanto da 4 specie di piante (riso, mais, grano e patata) e da 3 specie principali di animali (appartenenti a bovini, suini e pollame). L'industrializzazione dell'agricoltura e la spinta alla massima produttività delle colture hanno richiesto la selezione e la diffusione di cultivar uniformi e standardizzate sia a livello delle loro sementi che del loro metodo di coltivazione. Le nuove varietà così costituite hanno velocemente soppiantato le numerose varietà locali esistenti. Questa evoluzione ha probabilmente rafforzato l'agricoltura ma ha impoverito la qualità del nostro regime alimentare, con la conseguenza che molte varietà locali sono trascurate ed esposte al rischio di estinzione.
Vi sono anche molte specie di vegetali che, pur contribuendo all'alimentazione e alla diversificazione del regime alimentare, sono spesso ampiamente ignorate in quanto hanno un valore commerciale molto basso o non sono a rischio di estinzione.
A causa dell'incompletezza nelle collezioni di colture, sia maggiori che minori, il fattore aggiunto dell'erosione genetica aumenta l'urgenza di preservare la diversità.
La conservazione “in situ” o “on farm” ed “ex situ” delle varietà locali
Il termine conservazione “in situ” si riferisce all’ambiente naturale in cui si è evoluta e conservata una risorsa genetica e si riferisce prettamente alle specie selvatiche, mentre il termine conservazione “on farm” si riferisce alle specie coltivate. La conservazione in situ significa "conservare nel proprio ambiente". Si tratta della protezione di una specie a rischio di estinzione (pianta o animale nel suo habitat naturale, con o senza proteggere o decontaminare l'habitat in quanto tale o difendere la specie o varietà dai suoi predatori. Per conservazione ex situ si intende la modalità di prelievo di specie minacciate o rare dal loro habitat naturale e la loro tutela in luoghi appositamente predisposti alla loro accoglienza e mantenimento. Si tratta di una strategia fondamentale di conservazione a cui si ricorre quando la conservazione in situ risulta insufficiente. L’espressione “conservazione ex situ” indica la conservazione delle risorse genetiche fuori dal loro ambiente naturale. L’articolo 9 della CBD, trattando la conservazione ex situ, sottolinea l’importanza di integrare la conservazione in situ con attività ex situ e invita gli stati firmatari ad adottare provvedimenti per la conservazione ex situ dei componenti della diversità biologica, di preferenza nel loro paese di origine. Per fare ciò è necessario installare e mantenere strutture per la ricerca e la conservazione ex situ di piante, animali e microrganismi; è importante, inoltre, adottare misure per assicurare la ricostituzione ed il risanamento delle specie minacciate ed il loro re-insediamento negli habitat naturali. I paesi firmatari devono regolamentare e gestire la raccolta delle risorse biologiche negli habitat naturali in modo da evitare che siano minacciati gli ecosistemi e le popolazioni di specie in situ. Si invitano infine le nazioni a cooperare nel fornire un sostegno sia finanziario sia di altro genere per la conservazione ex situ ai Paesi in via di sviluppo.
L’obiettivo primario della conservazione ex situ delle popolazioni è quello di coadiuvare il mantenimento di taxa minacciati, della loro diversità genetica e del loro habitat. I programmi di conservazione ex situ sono complementari e forniscono un valore aggiunto a quelli in situ.
I principi e le definizioni individuate dalle varie leggi regionali
Partendo da quanto richiesto dalla Convenzione sulla Diversità Biologica di Rio de Janeiro del 1992, dalle varie esperienze regionali degli anni seguenti e infine dal Trattato Internazionale sulle RGVAA del 2001, le varie leggi regionali attualmente vigenti individuano nella tutela del proprio patrimonio di risorse genetiche autoctone di interesse agrario, zootecnico e forestale, una delle azioni più importanti ai fini della salvaguardia dell’ambiente, della biodiversità, dello sviluppo rurale e di un’agricoltura sostenibile sul proprio territorio.
Le varie leggi regionali definiscono in modo preciso le risorse genetiche oggetto di tutela, le cosiddette varietà e razze locali, intese come le specie, razze, varietà, cultivar, popolazioni, ecotipi e cloni originari del territorio regionale, oppure di origine esterna, purché introdotte da almeno 50 anni ed integrati tradizionalmente nella sua agricoltura e nel suo allevamento; sono oggetto di tutela anche le varietà e razze locali attualmente scomparse dal territorio regionale, ma conservate presso orti botanici, allevamenti o centri di ricerca presenti in altre Regioni e Province Autonome o Paesi.
Articolo 2
(Anagrafe nazionale della biodiversità di
interesse agricolo)
1. È istituita l'Anagrafe nazionale della biodiversità di interesse agricolo, di seguito denominata «Anagrafe», al fine di aggiornare l'elenco delle varietà e razze locali individuate e caratterizzate presenti sul territorio e delle iniziative locali ad esse legate, di consentire la diffusione delle relative informazioni e di ottimizzare le risorse impiegate nella gestione delle risorse genetiche.
3. Le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano che hanno già un repertorio o un registro delle razze e varietà locali sono inserite di diritto all'Anagrafe.
4. Gli enti di ricerca comunicano tempestivamente alle regioni e alle province autonome di Trento e di Bolzano i risultati delle ricerche effettuate su una determinata varietà o razza locale autoctona del territorio di competenza delle medesime regioni e province autonome.
5. Le varietà e le razze locali iscritte all'Anagrafe sono riconosciute giuridicamente come vecchie varietà o razze. Le varietà non sono brevettabili, non sono oggetto di protezione tramite una privativa dell'Unione europea o nazionale per ritrovati vegetali e sono ascrivibili nei cataloghi dell'Unione europea e nazionale delle varietà solo come «varietà da conservazione».
6. Il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, d'intesa con il Comitato permanente di cui all'articolo 7, con proprio decreto, definisce le modalità di istituzione e di funzionamento dell'Anagrafe.
L'articolo 2 istituisce l'Anagrafe nazionale della biodiversità di interesse agricolo, rinviando l’individuazione delle modalità dell’istituzione e del funzionamento di essa ad un decreto del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, d'intesa con il Comitato permanente per la biodiversità (di cui all’articolo 7).
L’obiettivo, previsto già dal Piano nazionale per la biodiversità di interesse agricolo del 2008, è l’istituzione di un servizio a livello centrale che mantenga aggiornato l’elenco delle varietà e razze locali correttamente individuate e caratterizzate, presenti sul territorio e delle diverse iniziative locali ad esse legate, al fine di consentire la diffusione delle informazioni e di ottimizzare le risorse impiegate nella gestione delle risorse genetiche. Si tratta quindi di una banca dati, che offra informazioni aggiornate e complete sulle diverse iniziative, realizzate e progetti ed attività in corso, al fine di consentire la diffusione delle informazioni e di ottimizzare le risorse impiegate nella gestione delle risorse genetiche.
L’iscrizione di una varietà o razza locale deve essere preceduta da un’istruttoria fatta a livello centrale, della presenza della corretta caratterizzazione e individuazione della risorsa, della presenza di una corretta conservazione “in situ” ed “ex situ”, l’indicazione corretta del luogo di conservazione (banca del germoplasma e coltivatori custodi), la possibilità o meno di disponibilità di materiale di moltiplicazione. In assenza anche di uno di questi elementi, deve essere motivo di non inserimento nella banca dati nazionale.
La banca dati in oggetto, organizzata con criteri che tengano conto delle caratteristiche tecniche di analoghi strumenti eventualmente esistenti a livello regionale ed internazionale, in modo da renderlo quanto possibile omogeneo e confrontabile con gli stessi permetterà la consultazione e l’aggiornamento da parte di tutti i soggetti interessati.
E’ inoltre precisato che le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano che hanno già un repertorio o un registro delle razze e varietà locali sono inserite di diritto all'Anagrafe.
L’articolo è volto altresì a regolare gli effetti giuridici derivanti dall’iscrizione, quali:
§ il riconoscimento delle varietà e le razze locali
§ la non brevettabilità
§ l’impossibilità di costituire oggetto di protezione tramite una privativa dell'Unione europea o nazionale per ritrovati vegetali
§ l’ascrivibilità nei cataloghi dell'Unione europea e nazionale delle varietà solo come «varietà da conservazione».
I registri regionali nel sistema di tutela di Regioni e Province autonome
Nel sistema di tutela individuato dalle Regioni e Province Autonome i registri regionali hanno un ruolo basilare. In essi vengono iscritte le razze e le varietà locali, soprattutto quelle a rischio di estinzione; sono costituiti da una banca dati sulle varietà e razze locali della regione e la loro consultazione è possibile anche attraverso internet. Le risorse genetiche iscritte nei registri sono state individuate sul territorio grazie alle segnalazioni pervenute agli enti regionali incaricati dell’attuazione della normativa regionale, da parte di associazioni di agricoltori, di singoli cittadini, di Università o Istituti di Ricerca pubblici o privati, di liberi professionisti, da hobbisti, oltre che dalla Regione o dagli Enti regionali stessi.
L’iscrizione ai registri avviene solo dopo la caratterizzazione della varietà o razza locale sia dal punto di vista morfologico (anche genetico, quando possibile), sia dal punto di vista del legame con la cultura rurale locale e con la tradizione agraria del territorio. Questo viene individuato nell’area in cui la risorsa si è caratterizzata, conservata e valorizzata nel tempo.
La documentazione che deriva dal lavoro di caratterizzazione, completa della parte scientifica e della ricerca storico-documentale e di interviste agli attori locali, viene sottoposta alla valutazione di specifiche Commissioni tecnico-scientifiche, nominate dalla Regione stessa.
L’iscrizione ai repertori o registri regionali di una varietà o razza locale, avviene solo dopo la valutazione positiva da parte delle Commissioni.
Articolo 3
(Rete nazionale del germoplasma)
1. È istituita
a) dall'insieme dei centri regionali di raccolta per la conservazione ex situ del germoplasma vegetale e animale;
b) dalle Reti nazionali degli agricoltori e degli allevatori custodi di cui all'articolo 4.
2.
L'articolo 3 istituisce
Possono svolgere tali attività i soggetti pubblici o privati dotati di strutture o attività idonee a garantire la conservazione delle risorse genetiche che siano individuati e autorizzati dal Ministero d’intesa con le Regioni.
Con riferimento all’individuazione dei soggetti autorizzati a svolgere le attività di cui al comma 1, lettere a) e b), andrebbe valutata l’opportunità di chiarire i tempi e le modalità delle procedure di autorizzazione.
Il quadro di riferimento: le banche del germoplasma in Italia
Il germoplasma rappresenta la variabilità genetica totale disponibile per una specifica popolazione di individui. Esso è rappresentato da semi o tessuti o cellule in grado di ripristinare un organismo intero.
Questo insieme di organismi differenti può essere conservato sul luogo di origine (conservazione in situ) o presso appositi Istituti (conservazione ex situ) che ne curano il mantenimento e la caratterizzazione.
Nel caso delle specie coltivate, la conservazione del germoplasma è particolarmente importante in quanto consente di mantenere elevata la biodiversità di una data specie (tutti gli individui vengono propagati a prescindere dalla loro performance agronomica) e rappresenta la base per l’inserimento di nuovi caratteri utili.
Diverse sono le Banche del Germoplasma che in Italia, a
livello per lo più locale, si occupano di conservare i semi di specie vegetali
che appartengono alla flora autoctona, al fine di conservarne il patrimonio
genetico. Vista la mancanza di un accordo istituzionale per il coordinamento a
livello nazionale, alcuni gruppi (appartenenti per lo più ad istituzioni
pubbliche, ma anche private o onlus) impegnati nel settore della conservazione
ex situ di piante spontanee hanno concordato di costituire una rete nazionale
di banche del germoplasma. La proposta è stata presentata pubblicamente nei
giorni 1 e 2 aprile
Il primo punto
all'ordine del giorno è stata l'ipotesi di costituire una rete nazionale, sull'esempio anche di altre nazioni (es.: Francia,
Spagna) o di iniziative a livello europeo, come ENSCONET (European Native Seed
Conservation Network) o GENMEDOC (Banques de semences de
Un secondo filone di
attività riguarda invece le specie autoctone di interesse per la rinaturazione,
sempre più richieste, ma di difficile reperimento sul mercato. Una ventina di
istituzioni hanno aderito alla proposta, i cui dettagli operativi sono stati
discussi in successivi incontri, presso l'Orto Botanico dell'Università di Roma
“
Il protocollo è stato firmato a Pavia il 9 febbraio 2005, durante la cerimonia di inaugurazione della Lombardy Seed Bank , allestita presso l'Orto Botanico universitario, in presenza di esponenti del Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio -MATT (Dott. Eugenio Duprè), dell'Agenzia per la protezione dell'ambiente e per servizi tecnici-APAT (Dott.ssa Beti Piotto), della Millennium Seed Bank (Dr. Simon Linington), delle regioni Lombardia e Toscana, del Centro Flora Autoctona della Regione Lombardia e dell'Ateneo pavese, nonché di un numeroso pubblico (oltre 150 persone).
Il protocollo d’intesa, ha costituito un importante piattaforma di partenza per le attività della rete, frutto delle discussioni avute negli incontri sopra ricordati, a cui hanno partecipato anche, in veste di esperti e comunque interessati alla conservazione ex situ, vari rappresentanti di istituzioni pubbliche e associazioni scientifiche italiane e straniere, tra cui: il MATT, APAT, gruppi di lavoro della SBI (conservazione, orti botanici, floristica), Federparchi, rappresentanti di ENSCONET, dei Royal Botanic Gardens di Kew (Millennium Seed Bank), degli Orti Botanici di Varsavia, Cordoba e Gran Canaria, rappresentanti dei Conservatoires Botaniques Nationaux sede di Gap (Francia), IPGRI (Roma), ecc.
l protocollo d'intesa è stato sottoscritto da 18 istituzioni, operanti, nel complesso, su gran parte del territorio nazionale. I potenziali nodi della rete rappresentano quasi tutte le regioni italiane e sono principalmente giardini botanici universitari, ma anche amministrazioni locali, musei naturalistici, parchi nazionali, onlus e società commerciali. Alcuni nodi sono già impegnati in altre reti sovranazionali (Ensconet e Genmedoc) dedicate alla stessa tematica e potranno così portare un collegamento diretto con le attività in corso a livello Europeo.
Di seguito si ricordano i soggetti firmatari:
- Banca del Germoplasma delle Alpi sud occidentali, Parchi e riserve naturali cuneesi (B. Gallino);
- Lombardy Seed Bank, CFA-Centro Flora Autoctona della Regione Lombardia (G. Rossi);
- Trentino Seed Bank, Museo tridentino di scienze naturali (C. Bonomi);
- Banca del germoplasma dell'Orto Botanico di Padova, Università di Padova (G. Cassina);
- Laboratorio per la conservazione della diversità vegetale ligure, Giardini Botanici Hanbury - Università di Genova (S. Giammarino);
- Banca del germoplasma dell'Orto Botanico di Pisa, Università di Pisa (G. Bedini);
- Banche del germoplasma livornesi, Provincia di Livorno (M. Lupi);
- Banca del germoplasma per la conservazione delle specie anfiadriatiche, Università politecnica delle Marche (E. Biondi);
- Banca del germoplasma dell'Orto Botanico di Viterbo, Università della Tuscia (A. Scoppola);
- Banca del germoplasma dell'Appennino centrale, Parco Nazionale del Gran Sasso e dei Monti della Laga (I. Londrillo);
- Banca del germoplasma della Majella, Parco Nazionale della Majella (M. Di Cecco);
- Banca del germoplasma del Molise (A. Stanisci);
- Banca del germoplasma del CNR di Bari, Consiglio Nazionale delle Ricerche (D. Pignone);
- Banca del germoplasma, CODRA Mediterranea s.r.l. (E. Lanzillotti);
- Banca del germoplasma della Sardegna, Università di Cagliari (G. Bacchetta);
- Banca del germoplasma dell'Orto Botanico di Palermo, Università di Palermo (A. Scialabba);
- Banca del germoplasma dell'Orto Botanico di Catania, Università di Catania (P. Pavone);
- Banca di germoplasma del Mediterraneo® ONLUS (I. Li Vigni);
-
A questi primi 18 firmatari del protocollo
d'intesa vanno aggiunti l'Orto Botanico dell'Università di Roma “
1. Al fine di rendere più efficace il sistema di conservazione delle varietà e razze locali sono istituite una Rete nazionale degli agricoltori custodi e una Rete nazionale degli allevatori di popolazioni animali a rischio di estinzione e di diminuzione genetica, ciascuna delle quali è composta dalle singole reti locali di agricoltori e di allevatori custodi delle comunità locali iscritte in appositi registri istituiti presso il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali.
2. Le Reti nazionali di cui al comma 1 possono avvalersi del supporto della Rete nazionale del germoplasma e degli esiti di cui al comma 3 al fine di sperimentare metodologie per la conservazione in situ e on farm delle razze locali, nonché l'effettuazione del monitoraggio continuo dell'attività svolta dalle reti locali di cui al citato comma 1.
3. Ai fini di cui al comma 2, il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali fornisce alle Reti di cui al comma 1 una lista di esperti nell'ambito delle risorse genetiche per la caratterizzazione genetica o molecolare delle varietà e razze locali.
L'articolo 4 istituisce:
-
-
Tali Reti sono costituite dalle singole reti locali rispettivamente di coltivatori e di allevatori custodi, iscritte in appositi registri presso il Ministero.
La disposizione prevede il supporto della Rete nazionale del germoplasma anche al fine di sperimentare nuove metodologie di conservazione.
I Coltivatori Custodi all’interno del sistema di tutela istituito
dalle varie leggi regionali, sono individuati tra gli agricoltori che
provvedono o hanno provveduto, alla conservazione “in situ” delle risorse
genetiche a rischio di estinzione iscritte nei registri regionali. Infatti il
coltivatore custode è in generale, colui che ha provveduto e provvede
tutt’oggi, alla messa in sicurezza della singola risorsa genetica proteggendola
e salvaguardandola da qualsiasi forma di contaminazione, alterazione o
distruzione e diffonde la conoscenza e la coltivazione delle risorse genetiche
di cui è custode; effettua la sua attività in stretta collaborazione con
I coltivatori custodi sono spesso gli unici detentori delle conoscenze tecniche legate alla coltivazione o all'utilizzo delle varietà e razze locali e alla cultura rurale ad esse legate
Alcune leggi regionali, inoltre, hanno introdotto il Registro regionale delle varietà da conservazione, per tentare di anticipare i tempi della Commissione Europea in merito alla promulgazione delle norme attuative della Direttiva 98/95/CE, anche se per il momento non sono stati applicati per motivi diversi.
1. Il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali con proprio decreto, da emanare entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, d'intesa con il Comitato permanente di cui all'articolo 7, approva le linee guida per una gestione coordinata e integrata della biodiversità agraria e alimentare su tutto il territorio nazionale, in particolare, per definire criteri omogenei necessari per l'iscrizione all'Anagrafe.
2. Al fine di cui al comma 1, il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali si avvale di esperti scelti mediante procedura ad evidenza pubblica con il compito di:
a) individuare indicatori comuni per l'individuazione e per la caratterizzazione delle varietà e razze locali;
b) definire una metodologia comune per la caratterizzazione morfologica, genetica o molecolare delle varietà e razze locali al fine di consentire il confronto dei dati e dei risultati nonché l'uso comune dei termini e degli strumenti utilizzati a livello locale;
c) definire le modalità per la corretta conservazione in situ ed ex situ delle varietà locali e dei loro parenti selvatici, tenendo conto delle peculiarità locali;
d) definire le linee guida per la corretta conservazione in situ ed ex situ delle razze locali e dei loro parenti selvatici, tenendo conto delle peculiarità locali;
e) definire i criteri per la corretta reintroduzione sul territorio delle varietà e razze locali a rischio di estinzione;
f) individuare i criteri per l'istituzione, l'organizzazione, la gestione e la valorizzazione delle Reti nazionali di cui all'articolo 4;
g) individuare criteri per la definizione del rischio di estinzione o di erosione genetica per le principali varietà e razze locali.
3. Le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, sulla base delle linee guida approvate ai sensi del presente articolo definiscono un sistema comune di individuazione, di caratterizzazione e di valutazione delle varietà e razze locali presenti nei rispettivi territori, al fine di redigere schede descrittive delle principali varietà e razze locali delle quali si richiede l'iscrizione all'Anagrafe.
L'articolo 5 demanda al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali l'approvazione delle linee guida per la gestione della biodiversità agraria e alimentare, da applicare su tutto il territorio nazionale.
Lo scopo della definizione delle linee guida è quello di consentire alle regioni e alle province autonome di usufruire di un sistema comune di individuazione, di caratterizzazione e di valutazione delle varietà e razze locali presenti nei rispettivi territori.
Per l’individuazione delle linee guida il Ministro, d’intesa con il Comitato permanente deve avvalersi del contributo di soggetti esperti scelti mediante procedura ad evidenza pubblica.
I compiti di tali soggetti sono dettagliatamente descritti e consistono essenzialmente nell’elaborare indicatori comuni e metodologia comune al fine di consentire il confronto dei dati e dei risultati; definire le modalità per la corretta conservazione in situ ed ex situ delle varietà locali e delle razze locali nonché i criteri per la corretta reintroduzione sul territorio delle varietà e razze locali a rischio di estinzione. Ulteriori compiti attengono all’individuazione dei criteri per l’attività della Rete nazionale di coltivatori nonché per la definizione del rischio di estinzione o di erosione genetica per le principali varietà e razze locali.
1. Ai fini della tutela delle razze locali, il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, d'intesa con il Comitato permanente di cui all'articolo 7 e avvalendosi di esperti scelti mediante procedura ad evidenza pubblica, provvede, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, con propri provvedimenti:
a) a individuare e a mettere a sistema i programmi di recupero, di conservazione e di ricerca sulla biodiversità animale di interesse zootecnico attuati nelle regioni e nelle province autonome di Trento e di Bolzano;
b) a redigere un inventario completo delle razze locali presenti sul territorio nazionale, allevate in situ, on farm o ex situ o crioconservate presso centri di ricerca o banche locali del germoplasma;
c) a individuare metodi di valutazione e di contenimento della perdita di variabilità genetica animale nelle razze locali non a rischio di estinzione;
d) a individuare e a definire criteri per l'individuazione e per la caratterizzazione fenotipica e morfofunzionale, nonché per la tipizzazione mediante la definizione di protocolli di base per l'uso di marcatori molecolari e genici delle razze locali minori;
e) a definire linee guida e protocolli operativi per la conservazione in situ, on farm ed ex situ nonché per la crioconservazione idonei per le diverse razze considerate;
f) a facilitare l'organizzazione delle Reti nazionali di cui all'articolo 4.
2. Il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, con proprio decreto, da emanare entro due mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, d'intesa con il Comitato permanente di cui all'articolo 7, individua mediante procedura ad evidenza pubblica a livello nazionale almeno due centri di referenza specializzati nella raccolta, nella preparazione e nella conservazione di seme, di ovociti e di embrioni prelevati da riproduttori appartenenti alle razze locali a rischio di estinzione.
L'articolo 6 demanda a successivi provvedimenti del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, l’introduzione di misure specifiche per la conservazione della biodiversità animale di interesse zootecnico. In particolare il Ministro, avvalendosi di soggetti esterni, deve individuare e sistematizzare i programmi di recupero, di conservazione e di ricerca sulla biodiversità animale di interesse zootecnico attuati nelle regioni e nelle province autonome di Trento e di Bolzano nonché redigere un inventario completo delle razze locali presenti sul territorio nazionale, allevate in situ, on farm o ex situ o crioconservate presso centri di ricerca o banche locali del germoplasma
Attività nel settore delle risorse Genetiche Animali
Il Ministero delle Politiche agricole alimentari e forestali ha attivato una serie di iniziative sia per far fronte agli impegni internazionali che per garantire la salvaguardia dei patrimoni genetici presenti nel Paese e razionalizzare gli interventi attualmente in atto nel settore, al fine di favorire la creazione di sinergie sia in termini di azioni da attivare che di disponibilità finanziarie.
Il CRA - Istituto Sperimentale per
In quest’ambito è stato avviato nel 1990 il ‘Programma per la raccolta, la catalogazione, la caratterizzazione e la conservazione delle risorse genetiche delle specie italiane di interesse zootecnico e per il coordinamento nazionale delle azioni di salvaguardia delle risorse genetiche animali, finanziato dal Mipaaf.
Attività svolte dall’Associazione Italiana Allevatori
Il Registro anagrafico delle popolazioni bovine autoctone e gruppi etnici a limitata diffusione è stato istituito dal Ministero delle Politiche agricole alimentari e forestali nel 1985 ed è stato affidato all’Associazione Italiana Allevatori in base a quanto previsto dalla Legge n. 30/91.
Questo Registro rappresenta lo strumento per la salvaguardia delle popolazioni ammesse e ne promuove la valorizzazione economica.
Esso si occupa di un pool di 20 razze bovine ed effettua, grazie all’attività delle Associazioni Provinciale degli Allevatori, il costante monitoraggio della situazione demografica delle popolazioni ammesse al registro anche mediante la messa a punto di schemi di riproduzione che cercano di conciliare le esigenze derivanti dalla loro limitata consistenza con la salvaguardia della variabilità genetica e del miglioramento.
Per le popolazioni fortemente minacciate dal rischio di estinzione, vengono attuati dei piani di accoppiamento miranti a contenere la consanguineità e a fornire indicazioni ulteriori relativamente al valore degli indici genetici periodicamente elaborati dall’Ufficio Studi dell’Associazione Italiana Allevatori.
Con Legge 3 agosto 1999, n. 280 all’ASSONAPA (Associazione Nazionale della Pastorizia) e all’ANAS (Associazione Nazionale Allevatori Suini) è stato affidato rispettivamente il compito per la tenuta dei Registri anagrafici ovicaprini e suini.
1. Al fine di garantire il coordinamento delle azioni a livello statale, regionale e delle province autonome di Trento e di Bolzano in materia di tutela della biodiversità agraria e alimentare, è istituito il Comitato permanente per la biodiversità agraria e alimentare, senza alcun onere aggiuntivo per la finanza pubblica.
2. Il Comitato di cui al comma 1 è presieduto dal Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, o da un soggetto da esso delegato, ed è costituito da sei rappresentanti delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano, da un rappresentante del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali con funzioni di coordinamento, da un rappresentante del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e da un rappresentante del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. Qualora il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, anche su richiesta dei rappresentanti di cui al periodo precedente, lo ritenga necessario, il Comitato può essere integrato con la presenza di rappresentanti di enti e istituzioni pubblici e privati.
3. Il Comitato di cui al presente articolo ha, in particolare, i seguenti compiti:
a) individuare gli obiettivi e i risultati delle singole azioni contenute nel Piano nazionale sulla biodiversità agraria;
b) raccogliere le richieste di ricerca avanzate dai soggetti pubblici e privati e trasmetterle alle istituzioni scientifiche competenti;
c) favorire lo scambio di esperienze e di informazioni al fine di garantire l'applicazione della normativa vigente in materia;
d) assicurare il pieno sviluppo delle iniziative nazionali, regionali e delle province autonome di Trento e di Bolzano;
e) raccogliere e armonizzare le proposte di intervento a livello locale e nazionale coordinando le azioni da realizzare;
f) favorire il trasferimento delle informazioni agli operatori locali.
L'articolo 7 istituisce il Comitato permanente per la biodiversità agraria e alimentare, presieduto dal Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali o da un suo delegato, con compiti di coordinamento e integrazione tra le iniziative e i progetti di tutela della biodiversità agraria e alimentare tra i diversi livelli di governo del territorio.
Per quanto riguarda la composizione il Comitato è costituito da:
§ sei rappresentanti delle regioni e delle province autonome;
§ un rappresentante del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, con funzioni di coordinamento;
§ un rappresentante del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca;
§ un rappresentante del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare.
Al riguardo, occorre ricordare la recente istituzione del Comitato nazionale per la biodiversità, da parte del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare con il compito principale di dare attuazione al percorso concertato di predisposizione e approvazione nell'ambito della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano della “Strategia nazionale per la biodiversità” (vedi sopra) nonché di coordinare, monitorare e valutare l'efficacia delle azioni portate avanti per dare attuazione alla medesima Strategia.
Il
D.M. 5-3-
- il capo di Gabinetto pro-tempore del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, in qualità di presidente;
- il segretario generale pro-tempore del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, in qualità di vice-presidente;
- il direttore generale pro-tempore della Direzione per la protezione della natura e del mare, in qualità di vice-presidente;
- il dirigente pro-tempore della Divisione «Tutela e gestione della biodiversità»;
- un rappresentante del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali;
- un rappresentante del Ministero per i beni e le attività culturali;
- un rappresentante del Ministero dello sviluppo economico;
- un rappresentante del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca;
- un rappresentante del Ministero delle infrastrutture e i trasporti;
- un rappresentante del Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali;
- un rappresentante della Presidenza del Consiglio dei Ministri Dipartimento per lo sviluppo del turismo e la competitività;
- tre rappresentanti designati dalla Conferenza dei presidenti delle regioni;
- tre rappresentanti indicati dalle associazioni ambientaliste riconosciute ai sensi dell'art. 13 della legge 8 luglio 1986, n. 349 facenti parte del Consiglio Nazionale dell'Ambiente;
- un rappresentante indicato dagli enti di ricerca e società scientifiche;
- un rappresentante indicato delle associazioni di categoria.
Il Comitato avrà il compito di:
- dare attuazione al percorso concertato di predisposizione e approvazione nell'ambito della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano della Strategia nazionale per la biodiversità;
- coordinare, monitorare e valutare l'efficacia delle azioni portate avanti per dare attuazione alla Strategia nazionale per la biodiversità, individuando opportuni indicatori di valutazione per il monitoraggio e predisponendo dei rapporti intermedi e finale nell'arco temporale fissato per la sua implementazione;
- promuovere momenti di aggiornamento della Strategia con riferimento ad eventuali necessità e/o criticità emerse a livello internazionale, europeo o nazionale;
- coordinare la revisione della Strategia al termine del periodo fissato per la sua attuazione;
-
coordinare le iniziative di sensibilizzazione e
divulgazione connesse all'Anno Internazionale per
Articolo 8
(Tutela delle varietà vegetali iscritte
all'Anagrafe e dei prodotti agroalimentari tutelati da marchi)
1. Al comma 1 dell'articolo 4 del decreto-legge 10 gennaio 2006, n. 3, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 febbraio 2006, n. 78, è aggiunta, in fine, la seguente lettera:
«f-bis) le varietà vegetali iscritte all'Anagrafe nazionale della biodiversità di interesse agricolo nonché le varietà dalle quali discendono produzioni contraddistinte dai marchi di denominazione di origine protetta, di indicazione geografica protetta o di specialità tradizionali garantite e da cui discendono i prodotti agroalimentari tradizionali».
La norma, novellando il decreto legge n. 3/06 sulla protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche, estende il divieto di brevettabilità alle varietà vegetali che siano iscritte all’Anagrafe nazionale della biodiversità, istituita ai sensi dell’art. 4 del provvedimento in esame, ed alle varietà impiegate nelle produzioni di qualità, contraddistinte dai marchi DOP, IGP, STG, prodotto tradizionale.
Con il D.L. n. 3/2006 è stato recepita nell'ordinamento interno la direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 98/44/CE del 6 luglio 1998, con la quale gli Stati membri sono stati investiti del compito di tutelare le invenzioni biotecnologiche attraverso il diritto nazionale dei brevetti, nel rispetto degli obblighi internazionali sottoscritti.
L’articolo 4, che recepisce le disposizioni di cui agli articoli 5 e 6 della direttiva, indica le fattispecie di esclusione dalla brevettabilità, fra le quali compaiono:
e) le varietà vegetali e alle razze animali, nonché i procedimenti di produzione di animali e vegetali che siano essenzialmente biologici;
f) le nuove varietà vegetali nei casi in cui l'invenzione consista esclusivamente nella modifica genetica - anche se derivante da un procedimento di ingegneria genetica - di altra varietà.
In merito sembrerebbe che le esclusioni di cui alle attuali lettere e) ed f) siano tali nella loro ampiezza da includere già i divieti introdotti con le nuove norme.
Articolo 9
(Fondo per la tutela della biodiversità
di interesse agricolo dal rischio di inquinamento genetico)
1. Ai fini della tutela delle sementi e delle coltivazioni oggetto della presente legge dal rischio di inquinamento genetico, tenuto conto delle disposizioni dell'Unione europea che prevedono la possibilità di coesistenza tra coltivazioni tradizionali e coltivazioni geneticamente modificate, nello stato di previsione del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali è istituito un apposito fondo destinato a sostenere le azioni di tutela della biodiversità di interesse agricolo e a corrispondere indennizzi ai produttori agricoli per fare fronte a eventuali danni.
2. Il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, d'intesa
con
Con l’articolo 9 viene istituito un fondo le cui risorse sono destinate sia a sostenere l’attività di tutela della biodiversità sia ad indennizzare i produttori da danni conseguenti ad inquinamento genetico conseguente alla coesistenza delle coltivazioni g.m.. Il fondo sarà alimentato dalle sanzioni dovute per i danni causati da inquinamento genetico la cui definizione e quantificazione è demandata al Ministro delle politiche agricole, tenuto ad adottare entro due mesi un decreto dopo avere acquisito l’intesa con la conferenza Stato-regioni.
In tema di coesistenza tra agricoltura convenzionale, biologica e transgenica, l'Italia ha emanato il D.L. n. 279/2004[23]“ che ha dato attuazione alla raccomandazione della Commissione 2003/556/CE.
Il principio ispiratore del legislatore nazionale è quello di evitare che l’adozione di una qualsiasi metodologia colturale possa compromettere lo svolgimento delle altre pratiche colturali, stabilendo pertanto che l’introduzione di colture transegiche avvenga non solo senza recare pregiudizio alle attività preesistenti, ma anche senza comportare la necessità di modificare o adeguare le normali tecniche di coltivazione e allevamento (art. 2).
Per consentire poi una scelta reale tra i diversi prodotti (convenzionali, biologici, transgenici), tanto da parte degli agricoltori quanto dei consumatori - tenuto conto che nel corso del processo di produzione i semi ed il polline possono essere trasportati a grande distanza e che nelle successive fasi di raccolta, trasporto e stoccaggio dei prodotti vegetali non si può escludere la contaminazione - viene fatto obbligo di praticare le colture transgeniche all'interno di filiere separate rispetto a quelle convenzionali o biologiche.
Il decreto legge aveva inoltre introdotto (art. 8) una sostanziale moratoria sull’utilizzo di OGM in agricoltura nel nostro Paese, destinata ad essere rimossa solo quando tutte le regioni avessero adottato i Piani regionali di coesistenza tra colture tradizionali, biologiche e transgeniche (ossia le regole tecniche volte ad evitare ogni forma di commistione e ad assicurare la separazione delle filiere). I Piani di coesistenza dovevano essere redatti nel rispetto delle norme quadro definite con decreto del Ministro agricolo sulla base di linee-guida disposte da un apposito Comitato di esperti.
Tuttavia la sentenza della Corte costituzionale n. 116
del
Il decreto pertanto appare ora significativamente ridimensionato, mentre alle regioni è stata riconosciuta la piena ed immediata competenza in materia, anche in ordine all’uso di OGM.
Tuttavia, nonostante la dichiarazione di illegittimità costituzionale del decreto-legge n. 279/2004 (e conseguentemente del venir meno della “moratoria formale“ ivi prevista), sul territorio nazionale non vengono attualmente coltivati OGM (“moratoria sostanziale”), in quanto nessuna autorizzazione è stata rilasciata sulla base del decreto legislativo n. 212 del 2001; la coltivazione, assai contenuta, è realizzata ai soli fini di ricerca.
2. Il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali provvede con proprio decreto, entro due mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, ad apportare le necessarie modifiche al del decreto del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali 18 aprile 2008, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 122 del 26 maggio 2008, al fine di adeguarlo a quanto disposto dal comma 1 del presente articolo.
L’articolo 10 è diretto a disciplinare la vendita e lo scambio delle sementi iscritte nel registro nazionale delle “varietà da conservazione” istituito dall’art. 19-bis della legge n. 1096/1971, che disciplina la produzione a scopo di vendita dei prodotti sementieri.
Le disposizioni pongono i seguenti requisiti:
§ i soggetti cui è consentita la vendita debbono essere essi stessi i produttori delle sementi;
§ il luogo di produzione è circoscritto ai territori dove le sementi evolvendosi hanno sviluppando le proprie caratteristiche;
§ la vendita è ammessa esclusivamente in ambito locale;
§ la vendita deve svolgersi nel rispetto del d.lgs. n. 149/09[24], che disciplina la coltivazione e commercializzazione degli ecotipi minacciati da erosione genetica;
§ l’acquirente può essere esclusivamente chi non sia dedito alla produzione di vegetali in modo professionale e ne garantisca un uso personale e limitato;
§ gli acquirenti saranno anche tenuti ad iscriversi nel “registro ufficiale dei sostenitori” della Rete nazionale degli agricoltori custodi e di quella degli allevatori delle popolazioni animali a rischio d’estinzione, registri che le regioni e province sono tenute ad istituire.
Il comma 2 demanda al Ministro dell’agricoltura l’adeguamento del decreto del 18 aprile 2008 che reca le disposizioni applicative per la commercializzazione di sementi di varietà da conservazione alle nuove norme entro due mesi.
L’articolo 19-bis della legge n. 1096/1971, aggiunto dall’articolo 2-bis del D.L. n. 10/07, ha introdotto disposizioni volte alla tutela delle risorse fitogenetiche a rischio di scomparsa imponendo la istituzione di un registro nazionale riservato alla iscrizione delle “varietà da conservazione”.
Tale norma, insieme alle altre dirette a regolare le condizioni e le modalità di iscrizione sono in gran parte state successivamente abrogate dal d.lgs. 149/09 che ha dato attuazione alla direttiva 2008/62/CE in adempimento della legge comunitaria 2008. Restano in vigore le norme che consentono agli agricoltori produttori delle varietà da conservazione, e residenti nei luoghi propri di tali varietà, di vendere direttamente modiche quantità di sementi e materiale di propagazione (comma 6); resta parimenti in vigore il comma 8 che esclude dal campo di applicazione le varietà geneticamente modificate[25], ed il comma 9 che reca le risorse necessarie al funzionamento del registro.
Il Capo II del D.Lgs. n. 149/09 prevede (con l’art. 3) che le varietà da conservazione, ovvero di ecotipi e varietà adattate naturalmente alle condizioni locali e minacciate di erosione genetica, possano essere iscritte come tali negli esistenti registri nazionali delle varietà di specie di piante agricole. Sono stabilite le norme procedurali per l’ammissione nei registri ed i casi di inammissibilità (artt. 5 e 6); al momento della ammissione viene determinata la “zona d’origine” della varietà intesa come zona di coltivazione tradizionale alle cui condizioni la varietà si sia naturalmente adattata (art. 8).
Il Capo III regola la produzione e commercializzazione delle sementi di varietà da conservazione che di norma debbono essere state prodotte nella zona d’origine e nella stessa zona d’origine debbono essere commercializzate (art. 13). La commercializzazione del prodotto, che deve essere certificato (art. 10) è poi sottoposta a restrizioni quantitative (art. 14). Ulteriori disposizioni richiedono la chiusura del prodotto in contenitori sigillati (art. 17) ed etichettati con le dovute informazione (art. 18). Il sistema dei controlli è demandato all’Ente sementi elette (artt. 16 e 19) al quale - unitamente al MIPAAF – debbono essere notificate le quantità di sementi commercializzate.
Le disposizioni di applicazione sono state definite con il D.M. 18 aprile 2008 che con l’articolo 1 reca una articolata definizione delle varietà da conservazione che possono includere anche specie non autoctone, purché integratesi da almeno 50 anni negli agroecosistemi locali. L’articolo 2 disciplina l’iscrizione delle varietà nel registro, che si configura come una sezione speciale del registro nazionale. L’articolo 3 disciplina la vendita diretta delle sementi e materiale di propagazione fornendo le definizioni di “ambito locale” e di “modica quantità”. L’articolo 4 oltre a ribadire l’esclusione dell’applicazione delle norme alle varietà g.m. introduce anche il divieto di costituzione di varietà g.m. a partire dalle varietà da conservazione.
1. Lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano provvedono all'istituzione degli itinerari della biodiversità agraria e alimentare, accessibili mediante un apposito sito web recante le mappe nazionali delle varietà e delle razze locali iscritte all'Anagrafe, delle Reti nazionali di cui all'articolo 4, dei punti di vendita diretta nonché dei centri di conservazione o didattici.
2. Lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano provvedono a realizzare periodiche campagne promozionali di tutela e di valorizzazione della biodiversità agraria e alimentare, nonché di informazione e di promozione degli itinerari di cui al comma 1, anche con riferimento alla commercializzazione dei prodotti ed, eventualmente, prevedendo l'istituzione di appositi marchi.
L’articolo 11 demanda ad iniziative dello Stato e delle Regioni per l’istituzione degli itinerari della biodiversità agraria e alimentare. Tali itinerari devono essere accessibili tramite un sito web appositamente dedicato che rechi le mappe delle varietà e delle razze locali, indichi i punti di vendita diretta dei prodotti e i centri di conservazione e documentazione.
Dell’esistenza di tali itinerari deve essere data la massima diffusione anche attraverso la realizzazione periodica di campagne d’informazione che promuovano anche i prodotti commercializzati
Si ricorda che, In materia d’informazione e sensibilizzazione sul tema della biodiversità, in sede di conversione del decreto-legge 208/2008 (avvenuta con la legge 27 febbraio 2009, n. 13), sono stati inseriti nel testo del decreto due articoli finalizzati a:
- progetti ed iniziative di educazione ambientale;
L’art. 7-quater prevede lo stanziamento di 9 milioni di euro per il biennio 2009-2010 da assegnare - su proposta del Ministero dell'ambiente, con decreti del Ministro dell'economia e delle finanze – a progetti ed iniziative di “educazione ambientale, comunicazione istituzionale e valorizzazione, anche attraverso il ricorso alle nuove tecnologie, delle aree protette e della biodiversità, ivi inclusa la promozione delle attività turistico-ambientali e interventi di manutenzione ed efficientamento degli immobili di pertinenza del predetto Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare”.
- progetti di promozione della sensibilità ambientale nella scuola secondaria superiore e nell'università;
L’art.
7-quinquies, prevede, al fine di
sensibilizzazione delle giovani generazioni in riferimento alla conservazione
di un ambiente sano, nonché alla promozione delle prassi e dei comportamenti
ecocompatibili, la realizzazione di progetti e iniziative di interesse generale
nell'ambito dei sistemi di istruzione secondaria superiore e universitaria. Lo
stesso articolo dispone che con appositi decreti interministeriali (adottati di
concerto dai Ministri dell'ambiente dell'istruzione, sentita
1. Al fine di sensibilizzare la popolazione, di sostenere le produzioni agrarie e alimentari, in particolare delle Reti nazionali di cui all'articolo 4, nonché di promuovere comportamenti atti a tutelare la biodiversità agraria e alimentare, il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, anche con il contributo delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, dei consorzi di tutela e di altri soggetti riconosciuti, promuovono l'istituzione di comunità del cibo e della biodiversità agraria e alimentare, definite ai sensi del comma 2.
2. Ai fini della presente legge, sono definite comunità del cibo e della biodiversità agraria e alimentare gli ambiti locali derivanti da accordi tra agricoltori locali, coltivatori custodi, gruppi di acquisto solidali, istituti scolastici e universitari, centri di ricerca, associazioni per la tutela della qualità della biodiversità agraria e alimentare, mense scolastiche, ospedali, esercizi di ristorazione, esercizi commerciali, piccole e medie imprese artigiane di trasformazione agraria e alimentare, nonché enti pubblici.
3. Gli accordi di cui al comma 2 possono avere come oggetto:
a) lo studio, il recupero e la trasmissione di conoscenze su varietà e razze locali;
b) la realizzazione di forme di filiera corta, di vendita diretta, di scambio e di acquisto di prodotti agricoli e alimentari nell'ambito di circuiti locali;
c) lo studio e la diffusione di pratiche proprie dell'agricoltura biologica e di altri sistemi colturali a basso impatto ambientale e volti al risparmio idrico, alla minore emissione di anidride carbonica, alla maggiore fertilità dei suoli e al minore utilizzo di imballaggi per la distribuzione e per la vendita dei prodotti;
d) lo studio, il recupero e la trasmissione dei saperi tradizionali relativi alle colture agrarie, alla naturale selezione delle sementi per fare fronte ai mutamenti climatici e alla corretta alimentazione.
Con l’articolo 12 si attribuisce al Ministero agricolo ed alle regioni il compito di promuovere l’istituzione di “comunità del cibo e della biodiversità agraria e alimentare”, che possono nascere dall’accordo tra i diversi soggetti della catena alimentare, inclusi gli enti pubblici: agricoltori produttori, trasformatori, utilizzatori dei prodotti agroalimentari (gruppi di acquisto solidale, istituti scolastici e universitari, centri di ricerca, mense scolastiche, ospedali e esercizi di ristorazione).
Oggetto dell’accordo può essere sia lo studio o lo scambio di informazioni e saperi (sulle varietà vegetali o sulle razze locali, ma anche sulle modalità di coltivazione a minore impatto ambientale), che lo scambio di prodotti a filiera corta o per la vendita diretta.
Una definizione di filiera corta è rintracciabile nel D.M.
2 marzo 2010[26] che, allo scopo di consentire la erogazione
delle agevolazioni previste per l’utilizzo di biomasse nella produzione di
energia elettrica, stabilisce che debba intendersi per biomassa da filiera
corta la biomassa e il biogas prodotti entro il raggio di
Per quanto attiene alle
definizioni prodotto alimentare
proveniente da filiera corta, è
all’esame della Commissione XIII (Agricoltura) l’AC 1481 che qualifica
(articolo 2) a “chilometro zero” i prodotti il cui consumo avviene nella stessa
regione di produzione, o entro un raggio di
La vendita diretta da parte degli imprenditori agricoli dei prodotti “prevalentemente” di provenienza della propria azienda è disciplinata dall’articolo 4 del D.Lgs. n. 228/2001[27], cd legge di orientamento agricolo, che regola la vendita al dettaglio anche nella forma itinerante. La disciplina si estende peraltro alla vendita di prodotti derivati ottenuti con la manipolazione o trasformazione dei prodotti agricoli e zootecnici, che consentono il completo sfruttamento del ciclo produttivo dell'impresa. Soggetti abilitati sono gli imprenditori agricoli iscritti nel registro delle imprese che debbono darne comunicazione al Comune dove ha sede l'azienda (se la vendita è itinerante), oppure al sindaco del comune dove deve essere effettuata la vendita (vendita non itinerante)
1. Il piano triennale di attività del Consiglio di ricerca e la sperimentazione in agricoltura, predisposto ai sensi dell'articolo 2 del decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 454, prevede interventi per la ricerca sulla biodiversità agraria e alimentare, sulle tecniche necessarie per favorirla, tutelarla e svilupparla nonché interventi finalizzati al recupero di pratiche corrette in riferimento all'alimentazione umana, all'alimentazione animale con prodotti non geneticamente modificati e al risparmio idrico.
2. Il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali dispone, per ciascun anno di riferimento dello stato di previsione, una quota nell'ambito dello stanziamento di propria competenza per il finanziamento di progetti innovativi sulla biodiversità agraria e alimentare, proposti da enti pubblici e privati, individuati mediante procedura ad evidenza pubblica. Con proprio decreto, il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali definisce l'entità delle risorse disponibili, le modalità di accesso alla gara e le tipologie di progetti ammissibili.
L’articolo 13, diretto ad incentivare progetti di ricerca sia pubblici che privati a tutela della biodiversità, con il primo comma prevede che nel piano triennale di attività del Consiglio per la ricerca e sperimentazione in agricoltura siano inclusi interventi di ricerca sui seguenti temi: la biodiversità agraria e alimentare e le tecniche necessarie per favorirla, tutelarla e svilupparla; il recupero di pratiche corrette nell’alimentazione umana e animale; il risparmio idrico.
Il Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura
Il CRA è stato istituito con il decreto legislativo n. 454/99[28], che ha riorganizzato il settore della ricerca in agricoltura.
Il Consiglio ha personalità giuridica di diritto pubblico ed è posto sotto la vigilanza del Ministero delle politiche agricole e forestali; è dotato di autonomia scientifica, statutaria, organizzativa, amministrativa e finanziaria; si avvale degli istituti scientifici e tecnologici già operanti nel settore della ricerca agricola ed indicati nel provvedimento di riforma.
Il Consiglio per la
ricerca, sulla base degli indirizzi definiti dal Ministro delle politiche
agricole e forestali, sentito il Ministro delle attività produttive,
L’attività del Consiglio - i cui organi sono il Presidente, il Consiglio di amministrazione, il Consiglio dei dipartimenti e il Collegio dei revisori dei conti – è fondamentalmente diretta alla ricerca scientifica ed applicata, anche al fine di promuovere le zone svantaggiate del Paese; ad individuare i processi produttivi, anche attraverso miglioramenti genetici ed applicazione delle biotecnologie; a fornire consulenza su richiesta dei Ministeri, delle regioni e province autonome; favorire il processo di trasferimento dei risultati ottenuti alle imprese; eseguire ricerche a favore del settore agricolo, ittico ed agroindustriale.
Le entrate del Consiglio sono rappresentate da: il contributo ordinario annuo; il contributo per singoli progetti o interventi a carico del Fondo integrativo per la ricerca; i compensi ottenuti da ciascun istituto per le attività di ricerca e consulenza svolte; le assegnazioni di spesa finalizzate per progetti speciali da parte del Ministero o di altre amministrazioni pubbliche; rendite del proprio patrimonio, fondi provenienti da lasciti, donazioni e contributi da parte di soggetti pubblici o privati; contributi alla ricerca provenienti dall'Unione europea; i proventi di brevetti ottenuti a seguito di ricerche effettuate; ogni altra entrata.
Il secondo comma demanda al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali la quantificazione delle risorse che su base annuale, ed a valere sulle risorse a lui attribuite con il bilancio dello Stato ed iscritte sullo stato di previsione del MIPAAF, dovranno essere riservate al finanziamento di progetti innovativi sulla biodiversità agraria e alimentare, proposti da enti pubblici e privati.
elementi di diritto comparato
(A cura del servizio Biblioteca)
Ai fini delle presenti schede di diritto comparato ha costituito una fonte privilegiata il sito internet della Convenzione sulla diversità biologica, adottata a Nairobi il 22 maggio 1992, che offre documentazione comparata sui paesi dell’Europa e del mondo che hanno aderito alla Convenzione[29]. In particolare si segnala la pagina[30] dove è possibile selezionare, dal menù a tendina, le varie schede paese (“country profiles”), recanti informazioni sulle misure nazionali di attuazione della convenzione (“Implementation of the Convention”). La pagina web contiene, inoltre, i link ai testi dei rapporti paese e ai siti degli organismi nazionali che si occupano della biodiversità, dove è possibile consultare ulteriore documentazione prodotta dai singoli Stati (studi, rapporti, normative e altri documenti significativi).
Anche il sito internet della Commissione europea, Direzione generale Ambiente, dedicato alla biodiversità[31], offre nella pagina sull’EU Biodiversity Action Plan – Report 2008[32] la possibilità di selezionare i vari “country profiles” con l’indicazione delle misure nazionali di attuazione del Piano d’azione ed una particolare attenzione sul livello degli obiettivi e dei target raggiunti.
Il 28 febbraio 1994 il
Brasile ha ratificato
Il Brasile ospita
oltre il 15% della diversità biologica del pianeta e in esso vive il 70% circa
delle specie animali e vegetali esistenti. Il Ministro dell’ambiente ha
predisposto una strategia nazionale della biodiversità attraverso il Projeto Estratégia Nacional da Diversidade
Biológica[33], iniziato nel 1998 con i seguenti obiettivi:
realizzare e pubblicare studi strategici; elaborare e sviluppare la politica
nazionale della biodiversità; creare e sviluppare la rete informativa sulla
biodiversità; elaborare la relazione nazionale per
Per formulare
Sito della Convention on Biological Diversity, profilo del Brasile: http://www.cbd.int/countries/?country=br
Sito della Convention on Biological Diversity, “Voluntary Report on Implementation of the Programme of Work on Marine and Coastal Biological Diversity” (2009): http://www.cbd.int/doc/world/br/br-nr-vmc-en.pdf
Sito della Convention on Biological Diversity, “Tabella degli obiettivi nazionali della
biodiversità per il
World Resources Institute, Earthtrends, pagine dedicate alla biodiversità e alle aree protette, profilo del Brasile: http://earthtrends.wri.org/text/biodiversity-protected/country-profile-26.html.
Ministero dell’ambiente, sezione dedicata a “biodiversità e foreste”: http://www.mma.gov.br/sitio/index.php?ido=conteudo.monta&idEstrutura=146
La nazione cinese ha intrapreso parecchie iniziative per la conservazione e l’uso sostenibile della diversità biologica, varando una serie di politiche ad hoc con l’adozione di leggi, regolamenti, piani e misure a tutela della biodiversità.
In attuazione della
Convenzione del 1992
Nell’ambito delle sette aree d’intervento tracciate dal Piano d’azione sono stati identificate ventisei iniziative prioritarie e diciotto programmi ai quali dare attuazione immediata, in base all’importanza, l’urgenza e la operatività pratica. In particolare i programmi riguardano: la valutazione dello status di biodiversità ed i suoi valori economici; la valutazione della rappresentatività e dell’effettività delle aree protette; la determinazione delle esigenze per la creazione di nuove aree; l’individuazione dei principali animali selvatici da tutelare in base alla loro importanza ai fini della biodiversità ed al livello del loro rischio di estinzione; il tradizionale inserimento della biodiversità nel piano di sviluppo economico nazionale; la promozione di fattorie ecologiche; la determinazione di tecniche di monitoraggio standardizzate; l’istituzione di aree modello per una tutela della biodiversità ben coordinate con lo sviluppo sostenibile.
Tra le misure adottate
per raggiungere i target fissati per
il 2010,
Convenzione sulla biodiversità (1992), Country Profiles: China http://www.cbd.int/countries/?country=cn
Sito della Biodiversity Clearing House Mechanism of
Ministry of Environmental protection, China Fourth National Report On Implementation of the Convention on Biological Diversity (november 2008) http://www.cbd.int/doc/world/cn/cn-nr-04-en.pdf
Lo stato di conservazione dei differenti habitat naturali, definiti dalla Direttiva Habitat (direttiva 92/43/CEE), è diverso a seconda dell’ambiente considerato (tra questi sono gli habitat marini, costieri, acquatici e umidi a trovarsi in un peggiore stato di conservazione). La riduzione degli ambienti di vita disponibili per le diverse specie è una delle principali minacce della diversità biologica del territorio nazionale francese.
In attuazione della
Convenzione sulla biodiversità
Sebbene non siano
stati identificati target quantitativi da raggiungere,
Numerose iniziative
sono state avviate dal 2006 per la protezione degli habitatnaturali, in particolare con la creazione di nuove aree protette (
Tra le realizzazioni più recenti sono da menzionare, inoltre:
- l’estensione di due riserve naturali esistenti;
-
la stabilizzazione della rete “Natura
-
la designazione di un primo insieme di siti
“Natura
- l’adozione della direttiva–quadro “Strategia marina”(direttiva 2008/56/CE);
- l’iscrizione delle barriere coralline della Nuova Caledonia al patrimonio mondiale;
- una prima valutazione dello stato di conservazione della biodiversità nell’ambito del piano d’azione settoriale Patrimoine naturel;
- il rinnovo del Plan de Développement Rural Hexagonal;
- il lancio del piano interministeriale di riduzione dei rischi legati ai pesticidi;
- la messa a punto di nuovi programmi, tra i quali: le Assises de la forêt, le Assises de l’agricolture ed i lavori del Comitato operativo per definire gli orientamenti nazionali della rete di Trames verte et Bleu, che individuano una “continuità ecologica” tra ambienti limitrofi, finalizzata ad assicurare la tutela globale della biodiversità per le specie di terra e di mare.
Le iniziative
continueranno e dovrebbero essere completate nel
La conoscenza operativa della biodiversità è stata consolidata in Francia con la costruzione di un sistema informativo sulla natura e i paesaggi, lo sviluppo di indicatori di “seguito” della biodiversità ed una approfondita valutazione dello stato di conservazione delle specie e degli habitat d’interesse comunitario.
Il dispositivo di “seguito” dei piani d’azione della Strategia nazionale per la biodiversità e la sua apertura agli attori pubblici, socio-economici e associativi, lo sviluppo di partenariati e adeguate campagne di informazione hanno contribuito in Francia ad accrescere la mobilitazione della società civile in favore della biodiversità.
Il 3 agosto 2009 è
stata infatti promulgata la legge n.
2009-967, detta anche “Loi Grenelle I”[38], che costituisce il primo consistente
provvedimento promosso dal Governo per realizzare il progetto. La legge dedica
alla biodiversità, agli ecosistemi e agli ambienti naturali il Titolo II
(articoli da
Dopo poco più di un
mese dall’approvazione della Loi Grenelle
I, il 15 settembre 2009 è iniziato al Senato l’esame in assemblea del Projet de loi portant engagement national
pour l’environnement[39], detto anche progetto di Loi Grenelle II. Mentre
Il disegno di legge, che dedica alla biodiversità il Titolo IV, è stato presentato dal Ministro dell’Ecologia insieme con “uno studio di impatto”[40] ed è attualmente all’esame delle Commissioni competenti dell’Assemblea Nazionale[41], dopo la prima approvazione del Senato[42].
Nazioni Unite - Sito della Convenzione sulla diversità biologica, Country Profiles: France[43]
Sito del Ministère de l’Ecologie, de l’Energie du
Développement durable et de
Centre d'Echange français pour
Ministère de l’Ecologie, de l’Energie du
Développement durable et de
Commissariat général au développement durable, Rapport annuel au Parlement sur la mise en oeuvre des engagements du Grenelle Environnement[47]
Il 21 dicembre 1993
Con la riforma costituzionale del 2006 è stato abrogato l’art. 75 della Legge fondamentale, relativo alla c.d. legislazione quadro (Rahmengesetzgebung). Contestualmente all’abrogazione della legislazione quadro nel suo complesso, le materie che precedentemente ricadevano in tale ambito sono state trasferite, in parte, alla legislazione esclusiva dei Länder, in parte, alla legislazione esclusiva della Federazione e, in parte, alla legislazione concorrente, come la protezione della natura e la tutela del paesaggio.
L’attribuzione alla legislazione concorrente delle materie relative alla protezione della natura, alla tutela del paesaggio e al regime delle acque ha posto le premesse per l’elaborazione di una nuovo Codice unitario sull’ambiente.
Il 29 luglio 2009 il
Parlamento tedesco ha approvato
Obiettivo della legge di riforma è di garantire anche alle generazioni future il sostentamento naturale, inclusa la biodiversità. La legge mira alla tutela della molteplicità biologica (biologische Vielfalt), della capacità di funzionamento dei sistemi naturali, nonché della varietà, della particolarità e della bellezza della natura e del paesaggio (articolo 1, § 1).
In particolare, l’articolo 1, par. 7, comma 1, della legge definisce la molteplicità biologica come “molteplicità delle specie animali e vegetali nonché delle diverse forme di convivenza e dei differenti biotopi”.
La legge di riforma
consta di 27 articoli. L’articolo 1 contiene la nuova Legge federale sulla
protezione della natura (Bundesnaturschutzgesezt);
gli articoli da
Il 7 novembre 2007 il Governo federale ha approvato la “Strategia nazionale sulla varietà biologica”. Per la prima volta in Germania il Governo centrale ha varato un vasto programma sulla protezione e la conservazione del biotopo e delle specie biologiche. Conseguentemente, entro il 2010 dovrà ridursi la quota delle specie biologiche minacciate o a rischio di estinzione.
“Brochure del Ministero federale dell’interno: Strategia nazionale sulla biodiversità” (BMU-Broschüre: Nationale Strategie zur biologischen Vielfalt – 2007[51]).
È possibile reperire le informazioni dettagliate sulla biodiversità all’interno del Sito ufficiale del Ministero federale dell’ambiente (Bundesministerium für Umwelt, Naturschutz und Reaktorsicherheit)[52].
Convenzione sulla biodiversità (1992); Country Profiles: Germany[53]
EU Biodiversity Action Plan Report 2008;
Country Profiles:
Ceremony launches the International Year of Biodiversity 2010 (Federal Environment Minister Röttgen: loss of habitats and species must be stopped)[55]
L’India, come
L’India ha creato una rete di aree protette che copre il 4,74% del territorio del Paese con 94 parchi nazionali e 501 riserve protette, alle quali si aggiungono 14 Riserve della Biosfera, che fanno parte di un ristretto numero di foreste al di fuori delle aree protette.
In attuazione della Convenzione del 1992 l’India ha lanciato nel 1999 l’ India’s National Policy and Macrolevel Action Strategy on Biodiversity che ha fissato i principali obiettivi da raggiungere:
§ conservazione e uso sostenibile della diversità biologica, con ripopolamento e recupero delle specie in pericolo;
§ partecipazione dei governi dei diversi Stati, delle comunità e, in genere, della società civile;
§ valutazione della biodiversità attraverso gli strumenti della ricerca e innovazione tecnologica;
§ benefici per l’India, in quanto Paese dotato di risorse biologiche proprie, e per le comunità e popolazioni locali quali conservatori della biodiversità, creatori e titolari di sistemi di conoscenza tradizionale;
§ attenzione alla biodiversità nelle altre politiche e programmi di settore.
Nella National Policy and Macrolevel Action Strategy on Biodiversity del 1999 l’India ha indicato gli sforzi in atto per la conservazione della biodiversità, ma anche alcune lacune ancora da colmare e il National Biodiversity Action Plan, approvato nel novembre 2008, è stato frutto di una grande partecipazione degli operatori pubblici e privati su larga scala.
La strategia indiana per il raggiungimento dei target fissati per il 2010, relativi alla conservazione degli ecosistemi, habitat e biomi, consiste soprattutto nel riconoscere status e tutela alle aree ricche di biodiversità.
L’India ha inoltre adottato diverse importanti misure legislative per quanto riguarda l’accesso e la divisione dei benefici della biodiversità. Nel 2002 il Biological Diversity Act[57]ha provveduto a regolare l’accesso alle risorse biologiche e la conoscenza tradizionale ad esse associata (colture di piante vegetali, metodiche di allevamento tradizionali), così da assicurare un’equa divisione dei benefici provenienti dal loro uso. Il Plant Varieties Protection and Farmers’ Rights Act (PVPFRA) del 2001 e le PVPFR Rules del 2003 si sono occupati principalmente dei diritti degli allevatori sulle nuove varietà animali da loro sviluppate e il diritto dei coltivatori agricoli a registrare le nuove varietà di piante da essi create, sviluppate e coltivate da generazioni. Il Patent Second Amendment Act del 2002 e il Patent Third Amendment Act del 2005 hanno, infine, disciplinato la materia dei brevetti collegati alla creazione e registrazione di nuove varietà vegetali o animali.
Per raggiungere i target fissati per il 2010 l’India ha proseguito le diverse iniziative e i progetti avviati negli ultimi anni e tuttora in corso, tra i quali: il Mangrove conservation programme; il Project Tiger e il Project Elephant; il progetto gestito dal National Bureau of Plant Genetic Resources per documentare il grande numero di varietà vegetali e piante originarie del Paese; la creazione e lo sviluppo della Traditional Knowledge Digital Library (TKDL), una banca-dati sui sistemi di medicina indiani, nata per prevenire la richiesta di concessione di brevetti su invenzioni non originali; diversi programmi di silvicoltura sostenibile basati sulle comunità olistiche, come il Joint Forest Management, finalizzati ad andare incontro ai bisogni delle popolazioni locali; la creazione di un sistema di “consenso informato preventivo” e di “equa divisione dei benefici” per abilitare rispettivamente il Paese e le collettività locali a trarre benefici economici dai materiali biologici e dall’uso delle tradizionali conoscenze ad essi collegate.
Convenzione sulla diversità biologica, Country Profiles: India http://www.cbd.int/countries/?country=in
Sito della National Biodiversity Authority http://www.nbaindia.org/index.htm
Sito del Ministry of Environment and Forests,
National Clearing-Houseper
Ministry of Environment and Forests, Achieving
2010. Biodiversity Target:
http://www.nbaindia.org/docs/biodiversity_target_2010.pdf
Ministry of Environment and Forests, India’s Fourth National Report to the Convention on Biological Diversity (2009)
http://www.cbd.int/doc/world/in/in-nr-04-p1-en.pdf
La conservazione della biodiversità è individuata dalla normativa del Regno Unito quale obiettivo e limite generale dell’azione pubblica: ad esso devono attenersi, nell’esercizio delle proprie funzioni, le autorità pubbliche (“biodiversity duty”). I principali provvedimenti attraverso i quali il legislatore nazionale ha inteso dare attuazione ad alcuni specifici aspetti connessi alla diversità biologica sono i seguenti:
L’impegno del Regno Unito per la protezione della biodiversità si è indirizzato verso la prevenzione dei rischi delle variazioni climatiche, in coerenza con la visione integrata dei fenomeni e delle correlate iniziative adottata nel Libro bianco dell’UE sul quadro d’azione europeo per l’adattamento ai cambiamenti climatici (2009).
La legge del
Il legislatore ha
altresì istituito un’autorità indipendente,
Si segnala il country profile del Regno Unito riportato nel sito della Commissione Europea dedicato alla biodiversità[60].
Il piano d’azione nazionale per la biodiversità, aggiornato al 2007, è consultabile presso il sito del Department for Environment Food and Rural Affairs (DEFRA):
§
DEFRA,
Conserving Biodiversity – The
È inoltre da segnalare
la relazione della Commissione Ambiente della Camera dei Comuni, che, dopo aver
esaminato lo stato di attuazione delle iniziative adottate dal Regno Unito per
il raggiungimento di determinati obiettivi entro il
§ HC Enviromental Audit Committee, Halting Biodiversity Loss (October 2008)[62].
Il Governo ha replicato con proprie osservazioni nel gennaio 2009, riconoscendo l’importanza di un ecosystem approach alla materia ed annunciando il finanziamento, da parte del Dipartimento competente (500.000 sterline in due anni), del programma denominato National Ecosystem Assessment (NEA):
§ Halting biodiversity loss: Government Response to the Committee's Thirteenth Report of Session 2007-08 - Environmental Audit Committee[63].
Sul National Ecosystem Assessment, sistema di valutazione delle condizioni dell’ecosistema nazionale avviato nel 2009, la cui impostazione si ispira al modello del Millennium Ecosystem Assessment promosso dall’Organizzazione delle Nazioni Unite nel 2001[64], possono segnalarsi i seguenti studi e documenti:
§ UK National Ecosystem Assessment[65];
§ DEFRA, Securing a healthy natural environment: An Action plan for embedding an ecosystems approach[66].
Informazioni sintetiche sugli effetti del cambiamento climatico sull’ecosistema, sulle relative iniziative adottate nel Regno Unito e sugli indicatori di biodiversità sono contenute in una nota predisposta dall’Ufficio parlamentare per la scienza e la tecnologia (Parliamentary Office of Science and Technology - POST):
§ Biodiversity Indicators (July 2008)[67]
§ Biodiversity and Climate Change (October 2009)[68].
Guide, rispettivamente, sull’attuazione del cosiddetto biodiversity duty da parte degli enti territoriali e sul rispetto della biodiversità nella pianificazione urbanistica sono state predisposte dal Department for Environment Food and Rural Affairs (DEFRA):
§ DEFRA, Life Support. Incorporating Biodiversity into Community Strategies (2004)[69]
§ DEFRA, Planning for Biodiversity and Geological Conservation. A Guide to Good Practice (2006)[70].
Una comparazione tra gli indicatori del Regno Unito e quelli di altri paesi è riportata nel seguente documento a cura del Joint Nature Conservation Committee (JNCC), organo consultivo del Governo in materia ambientale:
§
Joint
Nature Conservation Committee, Correspondance between Global, European,
Studi sui rischi del cambiamento climatico per la biodiversità e sulle relative implicazioni economiche nel Regno Unito sono stati compiuti da esperti e da centri di ricerca (tra cui l’Università di Cambridge):
P.
Watkiss, Scoping Study for a National
Climate Change Risk Assessment and Cost-benefit Analysis. Literatur Review (February
A. Balmford et al., The economics of ecosystems and biodiversity: Scoping the science (2008)[73]
Ulteriori fonti di informazione sulle iniziative adottate in materia di tutela della diversità biologica nel Regno Unito (dai piani d’azione regionali, agli indicatori di biodiversità):
§ National Biodiversity Network[74];
§ UK Biodiversity Action Plan[75];
§ DEFRA, Biodiversity[76].
L’ampio testo della legge è articolato in sei titoli, preceduti da un titolo preliminare e seguiti da diverse disposizioni aggiuntive e finali, ed è completato da otto allegati.
Il Titolo preliminare
inquadra la nuova legge nell’ambito dell’articolo 45, comma 2, della
Costituzione spagnola, che stabilisce, al tempo stesso, il dovere di conservare
e il diritto ad usufruire di un ambiente adeguato per lo sviluppo della
persona. Nel testo sono poi elencati i principi ispiratori della legge, seguiti
da una lunga lista con la definizione dei termini usati (ad esempio per
“biodiversità” o “diversità biologica” si intende la “variabilità degli
organismi vivi di qualunque provenienza, tra i quali gli ecosistemi terrestri e
marini, gli altri ecosistemi acquatici ed i complessi ecologici dei quali
formano parte; comprende la diversità all’interno di ciascuna specie, tra le
specie e degli ecosistemi”). Da segnalare inoltre la promozione di meccanismi
di coordinamento e cooperazione tra l’Amministrazione centrale dello Stato e le
Comunità autonome; a tale scopo sono istituiti, in primo luogo, la Commissione
statale per il Patrimonio naturale e
Il Titolo I elenca gli strumenti per la conoscenza e la pianificazione del patrimonio naturale e della biodiversità, a partire dall’Inventario spagnolo del Patrimonio naturale e della Biodiversità, strumento atto a censire distribuzione, ricchezza, stato di conservazione e utilizzazione del patrimonio naturale, elaborato ed aggiornato dal Ministero dell’ambiente, con la collaborazione delle Comunità autonome e degli istituti e organizzazioni di carattere scientifico. Ad esso segue il Piano strategico statale del Patrimonio naturale e della Biodiversità, volto a stabilire e definire obiettivi, criteri ed azioni per favorire la conservazione, l’uso sostenibile ed eventualmente il ripristino del patrimonio naturale; anch’esso è elaborato dal Ministero dell’ambiente, in collaborazione con altri Ministeri competenti e con le Comunità autonome, ed è sottoposto all’approvazione del Consiglio dei Ministri. Infine sono previsti specifici Piani di ordinamento delle Risorse naturali, elaborati dalle singole Comunità autonome, in conformità con apposite direttive per la gestione e l’uso delle risorse naturali, elaborate dal Ministero dell’ambiente, con la partecipazione delle Comunità autonome.
Il Titolo II concerne
la catalogazione, conservazione e ripristino degli habitat e degli spazi
appartenenti al patrimonio naturale, con disposizioni specifiche per gli
habitat a rischio di sparizione, i parchi e le riserve naturali, le aree marine
protette, i monumenti naturali ed i paesaggi protetti. Istituisce inoltre
Il Titolo III si occupa della conservazione della biodiversità, con distinzione tra le azioni di conservazione da realizzare nell’habitat naturale delle specie (in situ) e quelle che necessitano lo spostamento in apposite riserve (ex situ). Da segnalare, in tale ambito, anche le misure per la prevenzione e il controllo delle specie esotiche invadenti.
Il Titolo IV
disciplina l’uso sostenibile del patrimonio naturale e della biodiversità ed
istituisce
Il Titolo V riguarda
il sostegno alla conoscenza, alla conservazione e al ripristino del patrimonio
naturale e crea un apposito Fondo
per il Patrimonio naturale e
Il Titolo VI contiene le norme sugli illeciti amministrativi alla legge e sulle corrispondenti sanzioni, di natura pecuniaria, che vanno da un minimo di 500 euro, per le infrazioni lievi, fino ad un massimo di 2 milioni di euro, per gli illeciti classificati come molto gravi.
§ Sito della Convention on Biological Diversity, profilo della Spagna[79];
§ Sito della Convention on Biological Diversity, “Cuarto informe nacional sobre la diversidad biológica”(2009)[80];
§ EU Biodiversity Action Plan Report, profilo della Spagna[81];
§ Fundación Biodiversidad[82];
§ Ministero dell’ambiente, sezione dedicata alla Biodiversidad[83].
Gli Stati Uniti hanno
firmato nel 1993
Non esiste una normativa organica della biodiversità, tuttavia alcune disposizioni in materia sono contenute in diversi atti normativi. Tra questi l’Endangered Species Act of 1973 – ESA[84] fu approvata allo scopo di proteggere le specie in pericolo di estinzione a causa delle conseguenze della crescita economica e dello sviluppo non controllato. Essa protegge quasi duemila specie e sulla sua attuazione vigilano due agenzie federali: il National Marine Fisheries Service (NMFS[85]) e lo US Fish and Wildlife Service (USFWS[86]). Un altro provvedimento è il Marine Mammal Protection Act of 1972 – MMPA (legge sulla protezione dei mammiferi marini[87]), che proibisce, con talune eccezioni, la cattura di mammiferi marini nelle acque territoriali e in alto mare (per i cittadini statunitensi), nonché l’importazione degli stessi animali e dei prodotti derivati.
Tra le molte leggi a protezione dell’ambiente e delle foreste, sono da ricordare il National Environmental Policy Act – NEPA[88], in vigore dal 1970, che impose alle agenzie federali di integrare nei loro processi decisionali le considerazioni ambientali in maniera da prevedere le conseguenze sull’ambiente delle decisioni adottate.
Importante appare inoltre la legislazione in favore dell’acqua e dell’aria: ricordiamo il Clean Water Act of 1972[89] approvato allo scopo di preservare l’integrità fisica, chimica e biologica delle acque nazionali, e le norme a tutela della salubrità dell’aria, dall’Air Pollution Control Act of 1955 al Clear Air Act of 1970 (più volte modificato[90]).
§ Sito della Convention on Biological Diversity, profilo degli Stati Uniti[91];
§ Sito della Convention on Biological Diversity, “Voluntary Report on Implementation of Expanded Programme of Work on Forests” (2004)[92];
§ World Resources Institute, Earthtrends, pagine dedicate alla biodiversità e alle aree protette, profilo degli Stati Uniti[93];
§ Sito della United States Environmental Protection Agency (EPA)[94].
Il Sudafrica ha
firmato nel 1993
La normativa sulla biodiversità si inquadra nel più ampio quadro della gestione dell’ambiente regolata dal National Environmental Management Act, n. 107 del 1998.
Più recentemente sono stati emanati due provvedimenti, il Biodiversity Act, n. 10 del 2004[95], e il Protected Areas Act, n. 57 del 2003[96].
Il Biodiversity Act ha istituito il South African National Biodiversity Institute (SANBI), un ente pubblico dipendente dal Dipartimento degli affari ambientali e del turismo, con l’obiettivo di condurre ricerche, fornire informazioni e consulenza al Governo, gestire giardini botanici e attuare programmi per il recupero di ecosistemi e la determinazione di buone pratiche per la gestione della biodiversità.
Nel 2005 è stato pubblicato il primo National Biodiversity Strategy and Action Plan (NBSAP[97]), che definisce una strategia di lungo termine nella conservazione e l’uso sostenibile della biodiversità sudafricana. Il NBSAP si articola in 5 obiettivi strategici, la cui implementazione contribuisce all’attuazione della Convenzione sulla biodiversità.
Il Biodiversity Act richiede anche l’elaborazione di una Cornice della biodiversità nazionale (NBF), che deve essere aggiornata ogni 5 anni. Una bozza della prima NBF è stata resa pubblica nel 2007, mentre la versione definitiva è in corso di pubblicazione. Lo scopo è quello di coordinare l’attività delle organizzazioni e degli individui che operano per conservare e gestire in modo sostenibile la biodiversità nel paese.
§ Sito della Convention on Biological Diversity, profilo del Sudafrica[98];
§ Sito della Convention on Biological Diversity, Quarto rapporto nazionale (2009)[99];
§ World Resources Institute, Earthtrends, pagine dedicate alla biodiversità e alle aree protette, profilo del Sudafrica[100];
§
Sito
§ Dipartimento degli affari ambientali e del turismo[102].
[1] La traduzione italiana del termine inglese biodiversity modifica in parte il significato originario della parola. In inglese, diverse significa infatti vario, molteplice, mentre in italiano il termine diverso sottolinea l’idea di differenza rispetto ad uno standard di riferimento. Una traduzione più fedele potrebbe essere dunque quella di biovarietà. Il termine biodiversità risulta comunque ormai consolidato sia a livello legislativo che nell’ambito del dibattito scientifico e culturale.
[2] Dati pubblicati sul sito web della Convenzione sulla biodiversità, all’indirizzo http://www.cbd.int/convention/parties/list/. L’”approvazione”, al pari dell’”adesione”, è considerata, ai fini della Convenzione, pienamente equivalente alla ratifica.
[3] Dati pubblicati sul sito web della Convenzione sulla biodiversità, all’indirizzo http://www.cbd.int/convention/parties/list/. Come già accennato a pag. 17, l’”approvazione”, al pari dell’”adesione” è considerata, ai fini della Convenzione, pienamente equivalente alla ratifica.
[4] Per l’illustrazione di tale Protocollo v. supra pag. 23 del presente dossier.
[5] Tali Linee costituiscono lo strumento facoltativo di applicazione della Convenzione sulla biodiversità.
[6] Si consulti la pagina al seguente indirizzo:
http://www.iucn.it/documenti/pdf/MalahideMessage.pdf.
[7] La Commissione europea ha pubblicato nel 2009 un nuovo rapporto che analizza la coesistenza delle colture biologiche geneticamente modificate con l’agricoltura tradizionale e biologica. Secondo il rapporto nel corso degli ultimi anni, gli Stati membri hanno fatto dei progressi considerevoli nell’elaborazione di una normativa sulla coesistenza. In particolare la creazione di un quadro legislativo al riguardo ha comportato un aumento moderato della superficie coltivata consacrata alle colture geneticamente modificate. Il rapporto della Commissione indica che le colture geneticamente modificate non hanno causato alcun danno dimostrabile all'agricoltura che non usa OGM.
[8] In
Italia
[9] In Italia disposizioni sanzionatorie per le violazioni delle norme previste dal suddetto regolamento sono state adottate con il D.Lgs. n. 70/2005.
[10] In Italia prescrizioni per una valutazione del rischio per l'agrobiodiversità, per i sistemi agrari e per la filiera agroalimentare, conseguenti al deliberato rilascio nell'ambiente di OGM, sono state definite con il D.M. del 19 gennaio 2005, del Ministero delle politiche agricole.
[11] www.g8ambiente.it/public/images/20090424/docita/09_04_24_Carta di Siracusa sulla Biodiversità.pdf.
[12] Si
veda, in allegato,
[13] http://www.cbd.int.
[14] Si rammenta
che l’articolo 3 della legge n. 124 del 14 febbraio 1994 con la quale l’Italia
ha ratificato
L’articolo 1, comma 279 della legge n. 311 del 2004 (legge finanziaria per 2005) ha autorizzato la spesa complessiva di 2 milioni di euro per l'anno 2005 per campagne di comunicazione e sensibilizzazione riferite alla Convenzione sulla biodiversità fatta a Rio de Janeiro il 5 giugno 1992 e per dare avvio all'esecuzione del Protocollo di Cartagena sulla prevenzione dei rischi biotecnologici (si veda infra). Per la prosecuzione di tali interventi, successivamente, l’articolo 11-quaterdecies, comma 3, del D.L. 30 settembre 2005, n. 203, aggiunto dalla relativa legge di conversione, ha autorizzato la spesa di ulteriori 3 milioni di euro a decorrere dall'anno 2006.
[15] http://www.iucn.it/documenti/pdf/MalahideMessage.pdf.
[16] L’Italia ha lanciato il sito web www.iucn.it.
[17]www.minambiente.it/opencms/opencms/home_it/menu.html?menuItem=/menu/menu_informazion i/Verso_la_Strategia_Nazionale_per_la_Biod.html&menu=/menu/menu_informazioni/argomentihtml|/menu/menu_informazioni/biodiversita_fa.html|/menu/menu_informazioni/Verso_la_Strategia_Nazionale_per_la_Biod.html&lang=it.
[18] Si segnala che è all’esame della 13ª Commissione permanente (Territorio, ambiente, beni ambientali) l’A.S. 1820 recante “Nuove disposizioni in materia di aree protette” che – come evidenziato nella relazione illustrativa - propone alcuni interventi di modifica della disciplina sulle aree protette nazionali con particolare riferimento alle aree marine protette e si pone altresì come finalità la valorizzazione delle stesse nell’affermazione della centralità del principio di compatibilità tra ecosistemi naturali e attività antropiche, sociali ed economiche.
[19] La
classificazione delle aree protette è disciplinata dalla deliberazione del
21/12/1993 (G.U. n. 62/1994), che è stata integrata con
[20] Tale elenco include tutte le aree che rispondono ai criteri fissati dalla delibera 1° dicembre 1993 del Comitato Nazionale per le Aree Naturali Protette (comitato soppresso dal D.Lgs. 281/1997).
[21] Pubblicata nella G.U. n. 205 del 4 settembre 2003 – S.O. n. 144.
[22] Doc. CXXXVIII, n. 1, disponibile all’indirizzo internet:
www.camera.it/_dati/leg16/lavori/documentiparlamentari/indiceetesti/138/001/INTERO.pdf
[23] D.L. n. 279/2004 Disposizioni urgenti per assicurare la coesistenza tra le forme di agricoltura transgenica, convenzionale e biologica (convertito con modificazioni dalla L. n. 5/2005).
[24] D.Lgs. 29 ottobre 2009, n. 149 Attuazione della direttiva 2008/62/CE concernente deroghe per l'ammissione di ecotipi e varietà agricole naturalmente adattate alle condizioni locali e regionali e minacciate di erosione genetica, nonché per la commercializzazione di sementi e di tuberi di patata a semina di tali ecotipi e varietà
[25] Si ricorda che l’art. 19 della legge n. 1096/1971 prevede che l'iscrizione di una varietà geneticamente modificata nel registro nazionale può avvenire solo se sono state adottate tutte le precauzioni atte ad evitare danni per la salute e per l'ambiente
[26] Attuazione della legge 27 dicembre 2006, n. 296, sulla tracciabilità delle biomasse per la produzione di energia elettrica
[27] D.Lgs. 18-5-2001 n. 228, Orientamento e modernizzazione del settore agricolo, a norma dell'articolo 7 della L. 5 marzo 2001, n. 57.
[28] D.Lgs. 29-10-1999 n. 454, Riorganizzazione del settore della ricerca in agricoltura, a norma dell'articolo 11 della L. 15 marzo 1997, n. 59.
[29] All’indirizzo: http://www.cbd.int/.
[30] All’indirizzo http://www.cbd.int/countries/.
[31] Disponibile all’indirizzo: http://ec.europa.eu/environment/nature/index_en.htm.
[32] Disponibile all’indirizzo:
http://ec.europa.eu/environment/nature/biodiversity/comm2006/bap_2008.htm.
[33] http://www.mma.gov.br/sitio/index.php?ido=conteudo.monta&idEstrutura=37
[34]http://legislacao.planalto.gov.br/legisla/legislacao.nsf/fraWeb?OpenFrameSet&Frame=frmWeb2&Src=%2Flegisla%2Flegislacao.nsf%2FViw_Identificacao%2FDEC%25204.339-2002%3FOpenDocument%26AutoFramed
[35] Testo disponibile all’indirizzo di rete:
http://www.legifrance.gouv.fr/./affichTexte.do?cidTexte=JORFTEXT000000731610&fastPos=4&fastReqId=1115438916&categorieLien=cid&oldAction=rechTexte).
[36] Vedi la pagina internet http://www.ecologie.gouv.fr/-Strategie-nationale-pour-la-.html.
[37] Vedi il sito internet dedicato al progetto Grenelle: http://www.legrenelle-environnement.fr/.
[38] Testo disponibile all’indirizzo:
http://www.legifrance.gouv.fr/affichTexte.do?cidTexte=JORFTEXT000020949548&dateTexte.
[39] S. Projet n. 155, http://www.senat.fr/leg/pjl08-155.html.
[40] Testo disponibile al’indirizzo http://www.senat.fr/leg/etudes-impact/pjl08-155-ei/pjl08-155-ei.html.
[41] A.N. Projet n. 1965, http://www.assemblee-nationale.fr/13/projets/pl1965.asp).
[42] Per l’iter legislativo del provvedimento cfr.:
http://www.assemblee-nationale.fr/13/dossiers/engagement_environnement.asp.
[43] Al link http://www.cbd.int/countries/?country=fr.
[44] http://www.ecologie.gouv.fr/-Strategie-nationale-pour-la-.html.
[45] http://biodiv.mnhn.fr/
[46] http://www.cbd.int/doc/world/fr/fr-nr-04-fr.pdf.
[47] http://lesrapports.ladocumentationfrancaise.fr/BRP/094000582/0000.pdf (ottobre 2009).
[48] http://lesrapports.ladocumentationfrancaise.fr/BRP/094000054/0000.pdf (gennaio 2009)
[49] Gesetz zu dem Übereinkommen vom 5. Juni 1992 über die biologische Vielfalt, reperibile, in lingua tedesca, all’indirizzo internet: http://www.biodiversitaet.info/images/5/5f/BGBL.pdf.
[50] Il testo della legge del 29 luglio 2009 è consultabile, in lingua tedesca, all’indirizzo internet http://fzu.rewi.hu-berlin.de/Dokumente/BGBl_2542.pdf.
[51] Il documento è consultabile, in lingua tedesca ed inglese, all’indirizzo internet:
http://www.bmu.de/naturschutz_biologische_vielfalt/downloads/doc/40333.php.
[52] Alla pagina web: http://www.bmu.de/naturschutz_biologische_vielfalt/kurzinfo/doc/4025.php.
[53] http://www.cbd.int/countries/?country=de.
[54] http://ec.europa.eu/environment/nature/biodiversity/comm2006/pdf/profiles/de.pdf
[55] http://www.bmu.de/english/current_press_releases/pm/45522.php
[56] Sono Paesi “megadiverse” : Australia, Brasile, Cina, Colombia, Repubblica del Congo, Ecuador, India, Indonesia, Madagascar, Messico, Nuova Guinea, Perù, Filippine, Sud Africa, USA, Venezuela.
[57] http://www.nbaindia.org/act/act_english.htm
[58] http://www.opsi.gov.uk/acts/acts2006/ukpga_20060016_en_1
[59] http://www.opsi.gov.uk/acts/acts2008/ukpga_20080027_en_1
[60] http://ec.europa.eu/environment/nature/biodiversity/comm2006/pdf/profiles/uk.pdf.
[61] http://www.defra.gov.uk/environment/biodiversity/documents/conbiouk-102007.pdf
[62] http://www.parliament.the-stationery-office.co.uk/pa/cm200708/cmselect/cmenvaud/743/743.pdf
[63] http://www.publications.parliament.uk/pa/cm200809/cmselect/cmenvaud/239/23904.htm
[64] http://www.millenniumassessment.org/en/Index.aspx,
[65] http://uknea.unep-wcmc.org/
[66] http://www.defra.gov.uk/wildlife-pets/policy/natural-environ/documents/eco-actionplan.pdf
[67] http://www.parliament.uk/documents/upload/postpn312.pdf
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[69] http://www.defra.gov.uk/environment/biodiversity/documents/lifesupport.pdf
[70] http://www.communities.gov.uk/documents/planningandbuilding/pdf/143792.pdf
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[73] http://uknea.unep-wcmc.org/LinkClick.aspx?fileticket=5qNPMsbueBU%3d&tabid=85
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[76] http://www.defra.gov.uk/environment/biodiversity/index.htm
[77] http://noticias.juridicas.com/base_datos/Admin/ir190194-je.html
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[79] http://www.cbd.int/countries/?country=es
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[88]http://frwebgate.access.gpo.gov/cgibin/getdoc.cgi?dbname=browse_usc&docid=Cite:+42USC4321
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[90] http://www.epa.gov/air/caa/index.html
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[93] http://earthtrends.wri.org/text/biodiversity-protected/country-profile-190.html
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[95] http://www.environment.gov.za//PolLeg/Legislation/2004Jun7_2/Biodiversity%20Act-7%20June%202004.pdf
[96] http://www.environment.gov.za//PolLeg/Legislation/2004Mar17/Protected_Areas_Act57-03.pdf
[97] http://www.cbd.int/doc/world/za/za-nbsap-01-en.pdf
[98] http://www.cbd.int/countries/?country=za
[99] http://www.cbd.int/doc/world/za/za-nr-04-en.pdf
[100] http://earthtrends.wri.org/text/biodiversity-protected/country-profile-165.html
[101] http://www.sanbi.org
[102] http://www.environment.gov.za/