Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento affari sociali
Altri Autori: Servizio Studi - Dipartimento lavoro
Titolo: PER VINCERE DOMANI - Famiglia e lavoro al tempo della sussidiarietà - Intergruppo parlamentare per la sussidiarietà - Giornate di formazione 18-19 novembre 2010
Serie: Documentazione e ricerche    Numero: 171
Data: 09/11/2010
Organi della Camera: XI-Lavoro pubblico e privato
XII-Affari sociali
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Camera dei deputati

XVI LEGISLATURA

 

 

 

Documentazione e ricerche

PER VINCERE DOMANI

Famiglia e lavoro al tempo della sussidiarietà

 

Intergruppo parlamentare per la sussidiarietà

Giornate di formazione 18-19 novembre 2010

 

 

 

 

 

 

n. 171

 

 

 

9 novembre 2010

 


Servizio responsabile:

Servizio Studi – Dipartimenti Affari sociali e Lavoro

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( 066760-4884 – * st_lavoro@camera.it -

 

 

 

 

 

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File: AS0239.doc

 


INDICE

Lavoro

DDL “Collegato lavoro”  5

Apprendistato  9

Ammortizzatori sociali11

Pari opportunità e parita’ di trattamento sul lavoro  15

§      Le donne nel mondo del lavoro  23

Famiglia

Misure a sostegno della famiglia  27

§      Le competenze istituzionali27

§      La Carta acquisti27

§      Il bonus straordinario in favore dei nuclei familiari28

§      Fondo di credito per i nuovi nati e acquisto latte artificiale  28

§      Interventi per le famiglie colpite dal sisma della regione Abruzzo  29

I fondi per le politiche sociali31

§      I fondi per le politiche sociali31

Asili nido e servizi socio-educativi per la prima infanzia  33

§      Le risorse  33

§      Asili nido comunali37

§      Asili nido nelle pubbliche amministrazioni38

§      Nidi di famiglia – Tagesmutter40

Documentazione allegata

§      Piano di azione per l’occupabilitá dei giovani attraverso l’integrazione tra apprendimento e lavoro (Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali, Ministero istruzione università e ricerca, del 23 settembre 2009)53

§      Programma di azioni per l’inclusione delle donne nel mercato del lavoro (Ministero del lavoro e delle politiche sociali, Ministero pari opportunità, del 1° dicembre 2009)73

§      Piano per la conciliazione lavoro-famiglia della Conferenza unificata del 29 aprile 2010  97

§      I giovani in Italia del Ministero del lavoro e delle politiche sociali (luglio 2010)103

§      Piano triennale del lavoro, “liberare il lavoro per liberare i lavori” del Ministero del lavoro e delle politiche sociali (30 luglio 2010)129

§      Banca d’Italia, Bollettino economico n. 62 dell’ottobre 2010 – stralcio Capitolo 3.5: dati sul mercato del lavoro  155

§      Conciliare famiglia e lavoro: un aiuto dai fondi Articolo 9 della Legge 53/2000, Focus Isfol n. 2009/2  159

§      Piano d’azione nazionale per l’inclusione sociale, Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali173

§      Programma Nazionale di Riforma presentato dal Governo – novembre 2010 – stralci:201

§      2.2.1. La riforma delle pensioni202

§      3.4. Il mercato del lavoro  206

§      3.5. Il contesto della povertà  210

 


SIWEB

Lavoro

 


DDL “Collegato lavoro

 

Il disegno di legge, risultante dallo stralcio di alcuni articoli dell’originario A.C. 1441, è un provvedimento collegato alla manovra di finanza pubblica per gli anni 2009-2013. Nel corso del lungo iter parlamentare il testo si è andato progressivamente arricchendo di nuovi e più ampi contenuti. Il provvedimento reca alcune ampie deleghe al Governo e varie disposizioni che intervengono in diversi settori della materia lavoristica. Peraltro, per quanto riguarda il settore pubblico, talune disposizioni sono state soppresse in quanto sostanzialmente confluite nel Decreto legislativo, 27 ottobre 2009, n. 150, recante “Attuazione della legge 4 marzo 2009, n. 15, in materia di ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni” (c.d. decreto Brunetta), che ha introdotto una ampia riforma del rapporto di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni.

Il provvedimento conferisce innanzitutto quattro nuove deleghe al Governo, riguardanti:

§         la possibilità di accesso anticipato al trattamento pensionistico per i lavoratori dipendenti impegnati in lavori o attività connotati da un particolare indice di stress psico-fisico (“attività usuranti”);

§         la riorganizzazione di una serie di enti vigilati dal Ministero del lavoro e la ridefinizione del rapporto di vigilanza del medesimo Ministero sugli stessi enti;

§         il riordino della normativa in materia di congedi, aspettative e permessi, comunque denominati, fruibili dai dipendenti pubblici e privati;

§         l'armonizzazione del sistema di tutela previdenziale e assistenziale dei Vigili del fuoco.

 

Viene inoltre disposta la proroga dei termini per l'esercizio delle deleghe in materia di ammortizzatori sociali, di servizi per l'impiego, di incentivi all'occupazione, di apprendistato e di occupazione femminile, già conferite ai sensi dell’articolo 1, commi 28, 30 e 81, della legge 247/2007 (di attuazione del Protocollo sul Welfare del 23 luglio 2007).

 

Altre misure previste dal provvedimento riguardano, in particolare, il contrasto del lavoro sommerso, la sicurezza sul lavoro, la conciliazione e l'arbitrato nelle controversie di lavoro, le Agenzie del lavoro, il lavoro a termine, l'apprendistato, il lavoro a progetto, la somministrazione di lavoro, nonchè il personale delle università, della sanità, della difesa e delle Forze dell'ordine.

 

II 31 marzo 2010 il Presidente della Repubblica ha rinviato il provvedimento alle Camere, con messaggio motivato, ai sensi dell’articolo 74 della Costituzione, chiedendo una nuova deliberazione.

Il messaggio presidenziale si è soffermato, in particolare, sull'articolo 31, che modifica le disposizioni del Codice di procedura civile in materia di conciliazione e arbitrato nelle controversie individuali di lavoro, e sull'articolo 20, relativo alle responsabilità per le infezioni da amianto subite dal personale che presta la sua opera sul naviglio di Stato.

Per quanto attiene al primo profilo, pur ritenendo apprezzabile un indirizzo normativo teso all'introduzione di strumenti arbitrali volti a prevenire e accelerare la risoluzione delle controversie, si evidenzia la necessità di definire, in via legislativa, meccanismi meglio idonei ad accertare l'effettiva volontà compromissoria delle parti e a tutelare il contraente debole (ossia il lavoratore), soprattutto nella fase di instaurazione del rapporto di lavoro. Inoltre, la possibilità di pervenire a una decisione arbitrale "secondo equità" non può in ogni caso compromettere diritti costituzionalmente garantiti, o comunque non negoziabili, di cui è titolare il lavoratore; nel settore del pubblico impiego tale possibilità va altresì coniugata con il rispetto dei principi costituzionali di buon andamento, trasparenza e imparzialità dell'azione amministrativa.

Per quanto attiene al secondo profilo, si evidenzia la necessità di una riformulazione della norma volta ad assicurare, escludendo profili di rilevanza penale (in linea con gli adattamenti del resto previsti al riguardo dal testo unico in materia di sicurezza sul lavoro), l'effettiva sussistenza di un autonomo titolo di responsabilità sul quale fondare il diritto al risarcimento per i danni arrecati alla salute dei lavoratori impiegati sul naviglio di Stato.

A seguito del rinvio presidenziale il provvedimento è stato oggetto di un nuovo esame da parte della Camera dei deputati (AC 1441 quater-D), che lo ha nuovamente approvato, con modifiche, il 29 aprile 2010. Le modifiche hanno riguardato, in particolare, l'articolo 20, che è stato interamente riformulato al fine di meglio specificare l'ambito di esclusione da responsabilità e dare più sicuro fondamento giuridico alle azioni risarcitorie, nonché l'articolo 31, modificato in più parti al fine di prevedere che:

§         nell’arbitrato di equità si debba tener conto, oltre che dei principi generali dell’ordinamento, anche dei principi regolatori della materia, inclusi quelli derivanti da obblighi comunitari;

§         in caso di impugnazione del lodo arbitrale la competenza sia, in unico grado, del tribunale in funzione di giudice del lavoro;

§         la clausola compromissoria può essere pattuita non prima della conclusione del periodo di prova ovvero, ove non previsto, non prima di 30 giorni dalla stipulazione del contratto di lavoro;

§         la clausola compromissoria non può comunque avere ad oggetto le controversie relative alla risoluzione del contratto di lavoro e può avere ad oggetto solo controversie già insorte;

§         davanti alle commissioni di certificazione le parti possono farsi assistere da un legale di fiducia o da un rappresentante dell’organizzazione sindacale o professionale a cui abbiano conferito mandato;

§         in assenza di accordi interconfederali o contratti collettivi volti a definire la pattuizione di clausole compromissorie, trascorsi 12 mesi dalla data di entrata in vigore della legge il Ministro del lavoro e delle politiche sociali convoca le organizzazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori più rappresentative, al fine di promuovere un accordo; nel caso in cui non si giunga ad un accordo nei successivi 6 mesi, il Ministro, con proprio decreto, individua in via sperimentale, tenuto conto delle risultanze istruttorie del confronto tra le parti sociale, le modalità di attuazione della nuova disciplina.

 

Nel corso dell'esame al Senato il testo è stato ulteriormente modificato. In particolare, è stato stabilito che l’accertamento dell’effettiva volontà delle parti di devolvere ad arbitri le controversie di lavoro deve essere verificata all’atto della sottoscrizione della clausola compromissoria e che questa ha ad oggetto le controversie che dovessero successivamente insorgere dal rapporto di lavoro.

Infine, il 19 ottobre 2010 la Camera ha approvato definitivamente il provvedimento, senza ulteriori modifiche.

 


 

Apprendistato

I decreti-leggi 112/2008 e 185/2008 hanno introdotto norme volte a promuovere il ricorso all'apprendistato professionalizzante e a quello finalizzato all'acquisizione di un diploma o per percorsi di alta formazione, nonché per il finanziamento di attività formative nell'esercizio dell'apprendistato.

L’articolo 23 del decreto-legge 112/2008, convertito dalla legge 133/2008, ha disposto che la durata del contratto di apprendistato professionalizzante, prevista nei contratti collettivi stipulati dalle associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o regionale, non possa essere superiore a sei anni, eliminando in tal modo il precedente limite minimo di durata di due anni. Inoltre, in caso di formazione esclusivamente aziendale, i profili formativi dell’apprendistato professionalizzante sono rimessi integralmente ai contratti collettivi di lavoro stipulati a livello nazionale, territoriale o aziendale dalle associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, ovvero agli enti bilaterali.

Nell’apprendistato per l'acquisizione di un diploma o per percorsi di alta formazione vengono compresi i dottorati di ricerca tra i soggetti, di età tra i diciotto anni e i ventinove anni, che possono essere assunti con contratto di apprendistato per il conseguimento di un titolo di studio di livello secondario, di titoli di studio universitari e della alta formazione, nonché per la specializzazione tecnica superiore. In caso di assenza di regolamentazioni regionali, l'attivazione dell’apprendistato di alta formazione è rimessa ad apposite convenzioni stipulate dai datori di lavoro con le università e le altre istituzioni formative.

 

Norme in materia di apprendistato sono contenute all’A.C. 1141-quater-F (cd. collegato lavoro), approvato definitivamente dalla Camera dei deputati il 19 ottobre 2010, dopo il rinvio del provvedimento alle Camere da parte del Presidente della Repubblica. L’articolo 46 posticipa al 1° gennaio 2011 il termine per l'esercizio della delega finalizzata al riordino della disciplina dell’apprendistato, già contenuta nella L. 247/2007.

Si prevede, quindi, ferma restando la disciplina inerente l’apprendistato per l'espletamento del diritto-dovere di istruzione e formazione, che l'obbligo di istruzione di cui all'articolo 1, comma 622, della legge finanziaria per il 2007 (elevazione dell’età minima per l’avviamento al lavoro a 16 anni), si intende assolto anche nei percorsi di apprendistato per l'espletamento del diritto-dovere di istruzione e formazione (articolo 48, comma 8).

Infine, si introduce il principio per cui la contrattazione collettiva nazionale territoriale o aziendale può stabilire la retribuzione dell’apprendista in misura percentuale della retribuzione spettante ai lavoratori con qualificazioni corrispondenti, peraltro, in maniera graduale in rapporto all’anzianità di servizio (articolo 50, comma 7). Al riguardo, si segnala che identica disposizione è contenuta nell'articolo 2, comma 155, della L. 191/2009 (legge finanziaria 2010).


Ammortizzatori sociali

Negli anni più recenti l'attività legislativa in materia di politiche del lavoro è stata caratterizzata dal progressivo ampliamento delle misure di sostegno al reddito già previste per le situazioni di crisi aziendale e da un'estensione del campo di applicazione degli ammortizzatori sociali, al fine di affrontare le crisi produttive e i problemi occupazionali che hanno investito alcuni settori produttivi.

 

Nell’attuale legislatura, stante anche la necessità di fronteggiare le ripercussioni della crisi finanziaria ed economica globale, sono stati adottati una serie di interventi urgenti per la tutela del reddito dei lavoratori.

 

L'accordo Stato-Regioni del febbraio 2009

 

L’intervento più rilevante in materia si è avuto con l’Accordo Stato–Regioni del 12 febbraio 2009, sancito nella riunione della Conferenza Stato-Regioni del 26 febbraio 2009 , con il quale sono stati destinati 8 miliardi di euro, nel biennio 2009-2010, per azioni di sostegno al reddito e di politica attiva del lavoro.

 

L’intervento, rivolto ai lavoratori destinatari degli ammortizzatori sociali “in deroga”, è connotato da un contributo nazionale, impiegato per il pagamento dei contributi figurativi e per la parte maggioritaria del sostegno al reddito, e da un contributo regionale, a valere sui programmi regionali FSE, impiegato per azioni formative o di politica attiva governata dalla Regione.

 

In particolare, gli stanziamenti sono stati ripartiti tra un intervento statale, per una somma di 5.350 milioni di euro, e contributi regionali, pari a 2.650 milioni di euro, a valere sui programmi regionali del Fondo Sociale Europeo (FSE).

 

Le risorse statali sono state coperte:

 

§         in parte attraverso precedenti stanziamenti di sostegno al reddito e all'occupazione (circa 1.400 milioni derivanti dalle disposizioni di cui all'articolo 2, comma 35, della legge 203/2008 e dall'articolo 19 del D.L. 185/2008);

§         in parte (3.950 milioni di euro) tramite le assegnazioni del Fondo per le Aree Sottoutilizzate (FAS) , sia per la quota nazionale, sia, ai sensi dell’articolo 6-quater del decreto-legge 112/2008, convertito dalla legge 133/2008, per la quota a favore delle amministrazioni centrali e regionali, nel limite dell’ammontare delle risorse che entro la data del 31 maggio 2008 non sono state impegnate o programmate nell’ambito di accordi di programma quadro (APQ).

 

L’intesa sullo schema di accordo per l’utilizzo del FSE è stata raggiunta l’8 aprile 2009 .

 

Ulteriori interventi

 

Sul piano legislativo, sono stati realizzati una serie di interventi “in deroga” alla disciplina generale, attraverso specifici stanziamenti finalizzati alla proroga della durata dei trattamenti oltre i limiti temporali o all’estensione del loro campo di applicazione (ammortizzatori “in deroga”). Tali provvedimenti rispondono anche a numerosi atti di indirizzo adottati dal Parlamento (tra gli altri, 1-00044; 1-00129; 1-00131; 1-00153; 1-00171; 1-00178; 9/01762/51; 9/01972/52; 9/01972/125).

 

Tra gli interventi effettuati, si segnalano:

 

§         l’articolo 19 del decreto-legge 185/2008, con il quale, nei casi di sospensione dal lavoro, sono stati potenziati ed estesi una serie di ammortizzatori sociali per il triennio 2009-2011;

§         l’articolo 7-ter del decreto-legge 5/2009, traduce in primo luogo sul piano normativo l'Accordo Stato-regioni del 12 febbraio 2009. Il provvedimento, oltre ad una semplificazione e razionalizzazione delle procedure di concessione degli ammortizzatori sociali, è intervenuto sulla normativa relativa alle proroghe, per il 2009, di specifici ammortizzatori sociali in deroga, estendendo in particolare ai lavoratori destinatari della CIG e della mobilità in deroga l’applicazione dei requisiti richiesti per l’accesso ai trattamenti a regime degli stessi strumenti. Inoltre, si dispone l’erogazione di un incentivo per i datori di lavoro, le cui aziende non siano interessate da trattamenti di CIGS, che assumano lavoratori destinatari, per il 2009-2010, di ammortizzatori sociali in deroga, licenziati o sospesi da specifiche imprese;

§         l’articolo 1 del decreto-legge 78/2009, il quale, oltre a destinare nuove risorse per la CIGS in caso di cessazione di attività, ha aumentato l’integrazione salariale per i lavoratori che riducono l’orario di lavoro a seguito della stipulazione di contratti di solidarietà difensivi, nonchè introdotto misure di sostegno per l’attività imprenditoriale posta in essere da lavoratori destinatari di ammortizzatori sociali. In particolare, per il periodo 2009-2010 si prevede:

à        l’erogazione dell’incentivo introdotto dal comma 7 dell’articolo 7-ter del D.L. 5/2009 anche al lavoratore destinatario di ammortizzatori  sociali, a condizione che il medesimo intraprenda un’attività di lavoro autonomo, avvii attività di autoimprenditorialità o micro-impresa, o si associ in cooperativa e si dimetta dall’impresa di appartenenza. L’incentivo è pari all’indennità spettante al lavoratore per il numero di mensilità di trattamento non erogato;

à        la liquidazione, a favore di determinate categorie di lavoratori, del trattamento di integrazione salariale straordinaria per un numero di mensilità pari a quelle deliberate non ancora percepite, e, nel caso in cui il medesimo lavoratore ne abbia diritto in specifici casi, la liquidazione del trattamento di mobilità per un massimo di 12 mesi, sempre a condizione che lo stesso lavoratore si dimetta dall'impresa di appartenenza;

 

   l’articolo 1-bis del decreto-legge 78/2009, che reca disposizioni in materia di ammortizzatori sociali per i settori non coperti dalla Cassa integrazione guadagni.

 

Infine, l'articolo 48, comma 1, lettera a), dell'A.C. 1441-quater-F (cd. "collegato lavoro"), approvato definitivamente dalla Camera dei deputati il 19 ottobre 2010, dopo il rinvio del provvedimento alle Camere da parte del Presidente della Repubblica con messaggio motivato del 31 marzo 2010, ha disposto il rinnovo del termine per l'esercizio della delega finalizzata alla revisione della disciplina degli ammortizzatori sociali, già contenuta nella L. 247/2007 (articolo 1, comma 28), al 1° gennaio 2011 .

 

Si ricorda che disposizioni analoghe a quelle recate dall’articolo 1 del decreto-legge 78/2009 sul sostegno delle attività imprenditoriali sono contenute nella proposta di legge A.C. 2424, attualmente all’esame dell’Assemblea della Camera dal 22 novembre p.v., che prevede, in particolare, il trasferimento ai lavoratori di parte delle risorse destinate agli ammortizzatori sociali per interventi finalizzati all’avvio di nuove attività imprenditoriali, soprattutto nel settore delle imprese artigiane e delle micro-imprese.

 


 

Pari opportunità e parita’ di trattamento sul lavoro

Secondo i risultati di un’indagine ISFOL sui differenziali retributivi di genere in Italia[1] il modello di organizzazione sociale e familiare ancora prevalente in Italia costringe la donna a preoccuparsi della gestione dei tempi di vita e di lavoro e ad attribuire agli aspetti di flessibilità oraria e lavorativa un’importanza maggiore di quella percepita dagli uomini. In questa accezione, la flessibilità è vista più come una necessità che come una scelta volontaria delle occupate che devono ricoprire anche il ruolo di madri e produttrici domestiche. Inoltre, una maggiore flessibilità nei tempi di lavoro può essere utile anche per poter gestire al meglio la propria vita privata.

La componente femminile dell’offerta di lavoro si trova di fronte a un organizzazione sociale e del mondo del lavoro poca adatta alle esigenze e alle necessità imposte alle donne dalla stessa società, ancora distante da un’effettiva divisione paritaria dei ruoli nella gestione e nell’espletamento del lavoro non retribuito.

Nella ricerca di compromessi tra lavoro di cura e lavoro retribuito vengono di fatto minati i percorsi di carriera delle donne. L’instabilità lavorativa si riflette sul lavoro svolto (oltre il 15% delle lavoratrici impiegate in contratti a termine mentre il 10% per gli uomini), sulla posizione professionale (donne concentrate su posizioni intermedie, specie impiegatizie) e sulle retribuzioni.

In primo luogo, la necessità di conciliare i vari aspetti della vita lavorativa, familiare e sociale preclude alle donne lo svolgimento di attività che richiedono mobilità, disponibilità e flessibilità oraria tipiche del lavoro autonomo. Il part-time è l’unico strumento di conciliazione efficace per gran parte delle donne, tanto che l’orario ridotto occupa il 26% delle lavoratrici dipendenti essendo l’istituto contrattuale che più spesso si attaglia alle esigenze delle donne nell’età lavorativa[2].

Il part-time incide anche sulle chance di progressione professionale delle occupate, per cui la quota di occupate a tempo parziale che svolge ore di lavoro straordinario (retribuito o meno) é di gran lunga inferiore alla medesima quota registrata tra le lavoratrici a tempo pieno (21% contro 28,7%).

Il maggiore carico di lavoro domestico corrisponde ad un maggiore sacrificio delle chance di carriera nel mercato del lavoro, visto che in presenza di un figlio piccolo la possibilità di avere un aiuto nelle attività di lavoro domestico e di cura permette alle donne di intensificare sensibilmente il loro impegno nelle attività di lavoro retribuito. Con riferimento alla cura del bambino in caso di malattia il familiare incaricato è al 70 % la madre, mentre nelle famiglie dove il padre viene indicato come persona di riferimento per le attività di cura, la quota di donne che svolgono lavoro straordinario è aumenta al 29 % rispetto al 20% di coloro che si occupano del bambino.

Per quanto concerne i differenziali retributivi, la misura del salario orario è uno strumento utile per cogliere le discrasie esistenti nella valutazione di una singola unità di lavoro prestata da uomini e donne. In base ai dati dell’indagine ISFOL-CPG, 2007, il salario medio per l’uomo è di 8,6 euro e di 8,0 euro per le donne lavoratrici dipendenti. Inoltre, il gap retributivo medio aumenta sia tra i giovani che tra i lavoratori anziani, ampliandosi fino a 15 punti percentuali tra i lavoratori di bassa scolarizzazione che a quelli di alta scolarizzazione, mentre si riduce al di sotto del 10% tra i lavoratori diplomati; d’altra parte, il differenziale è contenuto tra i lavoratori in età compresa tra i 30 e i 39 anni, come anche nelle aree del Mezzogiorno.

 

 

Legislazione italiana

L’esame della legislazione italiana in materia di pari opportunità non può non prendere le mosse da una ricognizione dell’ordinamento dell’Unione europea.

In tal senso si segnala il principio del divieto di discriminazione,contenuto nell’articolo 13 del Trattato di Amsterdam, per cui il Consiglio, su proposta della Commissione e previa consultazione del Parlamento, può prendere opportuni provvedimenti al fine di contrastare le discriminazioni fondate sul sesso, la razza, l’origine etnica, la religione o le convenzioni personali, gli handicap, l’età o le tendenze sessuali.

In questo contesto, vanno inquadrate alcune recenti direttive europee che hanno disciplinato la parità di trattamento e la salvaguardia della dignità nei luoghi di lavoro.

In particolare, sono state recepite nel nostro ordinamento tre importanti direttive concernenti la tutela dei principi in precedenza richiamati[3]:

 

§      la Direttiva 2000/43/CE del 26 settembre 2000, del Consiglio, attuativa del principio della parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla razza e dall'origine etnica (cd. Direttiva “razza”), recepita con il D.Lgs. 9 luglio 2003, n. 215;

 

§      la Direttiva 2000/78/CE del 27 novembre 2000, del Consiglio, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro indipendentemente dalla religione o le convinzioni personali, gli handicap, l’età o le tendenze sessuali (c.d. Direttiva “quadro”), recepita con il D.Lgs. 9 luglio 2003, n. 216;

 

§      la Direttiva 2002/73/CE del 23 settembre 2002, del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la Direttiva 76/207/CEE del Consiglio relativa all'attuazione del principio della parità di trattamento tra gli uomini e le donne per quanto riguarda l'accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali e le condizioni di lavoro, recepita con il D.Lgs. 30 maggio 2005, n. 145.

 

Per quanto attiene ai primi due provvedimenti - i D.Lgs. 9 luglio 2003, n. 215 e n. 216 - adottati in esecuzione del disposto della legge comunitaria per il 2001 (legge 1° marzo 2002, n. 39) -, il legislatore italiano ha delegato il Governo all’emanazione dei due decreti, limitandosi, per la Direttiva 2000/78/CE, a dettare semplici criteri direttivi generali senza prevedere principi quadro speciali, mentre per la direttiva 2000/43/CE, oltre ai principi generali, sono stati predisposti criteri direttivi speciali all’articolo 29.

Più, specificamente, le due direttive, come riportato nel Rapporto annuale 2005 su uguaglianza e non discriminazione della Commissione europea[4], sono state adottate nel 2000 “per fissare standard minimi comuni nelle leggi in vigore negli Stati membri UE contro la discriminazione fondata sulla razza o l’origine etnica, la religione o le convinzioni personali, la disabilità, l’età o l’orientamento sessuale. L’obiettivo è creare un quadro giuridico generale per combattere queste forme di discriminazione e tradurre così nella pratica il principio della parità di trattamento”.

 

E’ opportuno rilevare come il legislatore italiano abbia scelto di mantenere separati i contenuti e i principi di attuazione delle due direttive, invece di unificare in un unico provvedimento le tutele predisposte. Tale scelta ha portato, secondo parte della dottrina, ad una serie di disparità di tutela tra soggetti discriminati in ragione della razza e dell’origine etnica e soggetti discriminati in ragione della religione, convinzioni personali, handicap, età e orientamento sessuale.

Entrambi i provvedimenti di attuazione introducono le definizioni di discriminazione diretta e discriminazione indiretta, ampliando contestualmente l’operatività della tutela antidiscriminatoria rispetto al dettato delle direttive. In tale contesto, di particolare rilevanza è la disposizione che introduce, seppure in maniera indiretta (e con valenza limitata all’ambito di intervento del provvedimento), nell’ordinamento nazionale, una definizione del c.d. mobbing,individuato nell’attuazione di molestie ovvero di comportamenti indesiderati con lo scopo e l’effetto di violare la dignità personale creando un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante od offensivo. Anche tali “molestie” vengono considerate come comportamenti discriminatori.

Contro gli atti discriminatori (e quindi anche contro il mobbing) si prevedono una serie di tutele anche sul piano giurisdizionale. In primo luogo, sono considerati nulli, in materia di lavoro, i patti o atti volti a discriminare per i motivi suddetti. Per agevolare la prova dei fatti discriminatori, si ammettono le presunzioni semplici anche sulla base di dati statistici. Inoltre, oltre a prevedersi la possibilità di ottenere il risarcimento del danno anche non patrimoniale, si attribuisce al giudice il potere di ordinare la cessazione del comportamento discriminatorio, nonché la rimozione degli effetti.

 

Con il D.Lgs. 30 maggio 2005, n. 145, attuativo della Direttiva 2002/73/CE, vengono codificati i concetti di molestia sessuale e molestia in ragione del sesso nei luoghi di lavoro. In particolare, viene novellata la legge n. 125/1991, recante “Azioni positive per la realizzazione della parità uomo-donna nel lavoro”, successivamente abrogata e sostituita dal D.Lgs. 11 aprile 2006, n. 198, recante “Codice delle pari opportunità tra uomo e donna, a norma dell’articolo 6 della L. 28 novembre 2005, n. 246” (per quanto concerne le pari opportunità nelle istituzioni pubbliche, si rinvia all’apposita scheda).

Nella normativa richiamata, dopo aver riformulato le nozioni di discriminazione diretta e indiretta in ragione del sesso, vengono considerate espressamente come discriminazioni anche le molestie sessuali e le molestie per ragioni connesse al sesso. A tal riguardo, l’articolo 26 del D.lgs. 246/2005 definisce le molestie come quei comportamenti indesiderati, posti in essere per ragioni connesse al sesso, aventi lo scopo o l'effetto di violare la dignità di una lavoratrice o di un lavoratore e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo. Le molestie sessuali invece vengono individuate in quei comportamenti indesiderati a connotazione sessuale, espressi in forma fisica, verbale o non verbale, aventi lo scopo o l'effetto di violare la dignità di una lavoratrice o di un lavoratore e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo.

Per tutelare i lavoratori da tali pratiche si prevede espressamente che gli atti, i patti o i provvedimenti concernenti il rapporto di lavoro dei lavoratori o delle lavoratrici vittime dei comportamenti di molestie di cui sopra sono nulli se adottati in conseguenza del rifiuto o della sottomissione ai comportamenti medesimi. Inoltre, siintroduce per la persona discriminata per motivi connessi al sesso (e quindi anche nel caso di molestie) la possibilità del risarcimento del danno anche non patrimoniale (cd. danno esistenziale).

 

È pacifico osservare che i provvedimenti richiamati operano in realtà strettamente collegate. Si pensi al concetto di “molestia in ragione del sesso nei luoghi di lavoro”, che presenta attinenze sia con il fenomeno delle molestie sessuali, sia con il mobbing. Al riguardo è opportuno ricordare che progressivamente, prima che lo stesso legislatore si occupasse della materia, sia le analisi sociologiche sia l'elaborazione dottrinaria e giurisprudenziale hanno enucleato le due fattispecie delle molestie sessuali nei luoghi di lavoro e del mobbing. Nonostante le differenze, tra i due fenomeni esistono significative analogie, non solo quanto alla loro natura, ma anche per le problematiche connesse a un intervento legislativo volto a reprimerli o prevenirli, in considerazione della difficoltà di tipizzare condotte che si possono esplicare in una grande varietà di atti e comportamenti e in cui entrano in gioco elementi soggettivi di carattere psicologico difficilmente riconducibili sul piano di una rigorosa analisi probatoria.

 

Da ultimo, si ricorda che il D.Lgs. 25 gennaio 2010, n. 5, adottato in attuazione degli articoli 1, 2 e 9 della legge 7 luglio 2009, n. 88 (Legge comunitaria 2008), ha attuato la direttiva 2006/54/CE, del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 luglio 2006, riguardante l’attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego (rifusione).

La direttiva richiamata contiene norme riguardanti la parità di trattamento in materia di accesso al lavoro, promozione e formazione professionale e condizioni di lavoro, compresa la retribuzione e di regimi professionali di sicurezza sociale. In particolare, si segnala i seguenti ambiti di intervento:

·         sulla parità retributiva, si afferma la necessità di eliminare ogni discriminazione tra sessi, diretta o indiretta, nella remunerazione di uno stesso lavoro o di un lavoro al quale è attribuito un valore uguale;

·         sulla parità di trattamento nel settore dei regimi professionali di sicurezza sociale (di protezione controrischiderivanti da malattia, invalidità, vecchiaia, infortunio sul lavoro o malattia professionale e disoccupazione), si vieta ogni discriminazione nell'accesso fondata sulla differenza di genere, nonché nell’obbligo di versamento e la misura dei contributi, come d’altro canto l'importo, la durata e il mantenimento delle prestazioni;

·         sulla parità di trattamento in materia di accesso al lavoro, formazione e promozione professionale e in materia di condizioni di lavoro, si vietano le discriminazioni concernenti i criteri di selezione per l'accesso ad un impiego, pubblico o privato le condizioni di selezione e di assunzione, l’orientamento e la formazione professionale, le condizioni di lavoro, di licenziamento e la retribuzione ed, infine, l'affiliazione e l'attività in un'organizzazione di lavoratori o di datori di lavoro.

 

Il D.Lgs. 5/2010 è intervenuto su alcuni provvedimenti già presenti nell’ordinamento, tra i quali il D.Lgs. 198/2006. Più specificamente, l'articolo 1 del D.Lgs. 5/2010 ha novellando vari articoli del D.Lgs. 198 sopra citato di cui, in sintesi, si riportano le modifiche ed integrazioni più rilevanti.

All’articolo 1 del D.Lgs. 198 si specifica, tra gli altri, che il principio della parità di trattamento e di opportunità tra donne e uomini deve essere assicurato in tutti i campi, compresi quelli dell'occupazione, del lavoro e della retribuzione, non ostando esso al mantenimento o all'adozione di misure che prevedano vantaggi specifici a favore del sesso sottorappresentato.

Agli articoli da 8 a 10 del D.Lgs. n. 198 si modifica la disciplina del Comitato nazionale per l'attuazione dei principi di parità di trattamento ed uguaglianza di opportunità tra lavoratori e lavoratrici (istituito presso il Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali).

Per quanto concerne la composizione dell'organo, si incrementa il numero dei componenti designati da alcune parti sociali, e si prevede che, in caso di ritardo nelle designazioni, il Comitato possa essere costituito sulla base di quelle pervenute (fatta salva la successiva integrazione). Riguardo ai compiti dell'organo, viene aggiunta l'elaborazione di iniziative per favorire il dialogo tra le parti sociali e il dialogo con le organizzazioni non governative che abbiano un legittimo interesse al conseguimento dell'obiettivo della parità, nonché lo scambio di informazioni disponibili in materia con gli organismi europei omologhi.

Agli articoli 12, 14, 15, 16 e 17 del D.Lgs. n. 198, riguardanti la figura delle consigliere e dei consiglieri di parità, si dispone che il supplente agisca su mandato del titolare, mentre viene abrogato il limite di rinnovo per una sola volta del mandato quadriennale. Riguardo all'attività dei consiglieri si introducono i nuovi compiti dello svolgimento di inchieste indipendenti in materia di discriminazioni sul lavoro e della pubblicazione di relazioni indipendenti e di raccomandazioni nella medesima materia .

Per quanto concerne permessi e indennità, le novelle non modificano - fatta eccezione per l’incremento del termine di preavviso dell'astensione dal lavoro (che viene portato a 3 giorni antecendenti l’assenza) - le norme riguardanti la consigliera o il consigliere nazionale e quelle concernenti i permessi retribuiti per le consigliere e i consiglieri regionali e provinciali. Viene, invece, soppresso l'istituto degli ulteriori permessi non retribuiti per le consigliere e i consiglieri regionali e provinciali, in relazione ai quali è viene corrisposta un'indennità mensile, spettante anche nel caso in cui i soggetti siano lavoratori autonomi o liberi professionisti (ai quali la normativa previgente attribuiva, invece, un'indennità rapportata al numero di ore di attività prestata come consigliera o consigliere).

Le novelle agli articoli 25 e 26 del D.Lgs. n. 198 specificano che costituisce discriminazione anche ogni trattamento meno favorevole subito in ragione dello stato di gravidanza, di maternità o di paternità, nonché in conseguenza del rifiuto di atti di molestie o di molestie sessuali.

Riguardo alle novelle relative ai successivi articoli da 27 a 30 del D.Lgs. n. 198, si segnala l'estensione esplicita del divieto di ogni forma di discriminazione alle promozioni professionali, nonché (articolo 28) il divieto di “qualsiasi discriminazione, diretta e indiretta, concernente un qualunque aspetto o condizione delle retribuzioni, per quanto riguarda uno stesso lavoro o un lavoro al quale è attribuito un valore uguale”.

Viene poi inserito un nuovo articolo 30-bis, che introduce la disciplina sul divieto di discriminazione (diretta o indiretta) nelle forme pensionistiche complementari collettive.

Le novelle agli articoli 36, 37, 38 e 41, nonché l'inserimento dell’articolo 41-bis, concernono la tutela giurisdizionale e il regime sanzionatorio. Le modifiche principali appaiono consistere in un più completo richiamo (anche in relazione alle precedenti novelle) dei divieti di discriminazione stabiliti dalle norme sostanziali, in un inasprimento delle sanzioni penali e nell'estensione della tutela contro i comportamenti pregiudizievoli posti in essere, nei confronti di qualsiasi persona (anche terza), quale reazione ad un'attività diretta ad ottenere il rispetto del principio di parità di trattamento tra lavoratori e lavoratrici.

Il nuovo articolo 41-bis introduce il concetto di “vittimizzazione”, ai sensi del quale la tutela giurisdizionale assicurata trova applicazione contro ogni comportamento pregiudizievole posto in essere, nei confronti della persona lesa da una discriminazione o di qualunque altra persona, quale reazione ad una qualsiasi attività diretta ad ottenere il rispetto del principio di parità di trattamento tra uomini e donne.

La novella all'articolo 42 specifica che le azioni positive (ivi definite) possono avere anche lo scopo di "valorizzare" il contenuto professionale delle mansioni a più forte presenza femminile.

Viene introdotto, poi, il nuovo articolo 50-bis, in base al quale i contratti collettivi di lavoro possono prevedere misure specifiche - ivi compresi codici di condotta, linee guida e buone prassi - per la prevenzione delle forme di discriminazione in oggetto (e, in particolare, delle molestie e delle molestie sessuali).

 


Le novità del c.d. “Collegato lavoro”

Si ricorda nella legge 4 novembre 2010, n. 183, recante “Deleghe al Governo in materia di lavori usuranti, di riorganizzazione di enti, di congedi, aspettative e permessi, di ammortizzatori sociali, di servizi per l'impiego, di incentivi all'occupazione, di apprendistato, di occupazione femminile, nonché misure contro il lavoro sommerso e disposizioni in tema di lavoro pubblico e di controversie di lavoro", l’articolo 21, modificando in più parti il D.lgs. 165/2001[5], ha introdotto nell’ordinamento alcune norme volte a garantire le pari opportunità, il benessere di chi lavora e l’assenza di discriminazioni all’interno delle pubbliche amministrazioni.

In particolare, con la modifica dell’articolo 7 del D.lgs. 165/2001, in materia di gestione delle risorse umane, le pubbliche amministrazioni devono garantire parità e pari opportunità tra uomini e donne, oltre all’assenza di ogni forma di discriminazione, diretta e indiretta, relativa al genere, all’età, all’orientamento sessuale, alla razza, all’origine etnica, alla disabilità, alla religione o alla lingua, nell’accesso al lavoro, nel trattamento e nelle condizioni di lavoro, nella formazione professionale, nelle promozioni e nella sicurezza sul lavoro.

Viene istituito, poi, presso le p.a. il “Comitato Unico di Garanzia per le pari opportunità, la valorizzazione del benessere di chi lavora e contro le discriminazioni[6], con compiti propositivi, consultivi e di verifica, nonché quelli di contribuire all’ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico, di migliorare l’efficienza delle prestazioni collegata alla garanzia di un ambiente di lavoro caratterizzato dal rispetto dei principi di pari opportunità, di benessere organizzativo e dal contrasto di qualsiasi forma di discriminazione e di violenza morale o psichica per i lavoratori.

Infine, a completamento degli interventi sopra citati si prevede:

·         in tema di azioni delle pubbliche amministrazioni volte a garantire pari opportunità tra uomini e donne ai fini dell'accesso al lavoro e del trattamento sul lavoro, il finanziamento dei programmi di azioni positive e attività da parte dei Comitati unici di garanzia per le pari opportunità, per la valorizzazione del benessere di chi lavora e contro le discriminazioni;

·         l’adozione da parte delle p.a. di tutte le misure per attuare le direttive dell’ Unione europea in materia di pari opportunità, contrasto alle discriminazioni ed alla violenza morale o psichica, sulla base di quanto disposto dal Dipartimento della funzione pubblica della Presidenza del Consiglio dei ministri.


Le donne nel mondo del lavoro

Secondo gli ultimi dati disponibili[7], nel secondo trimestre del 2010, l’offerta di lavoro registra, rispetto allo stesso periodo del 2009, una riduzione dello 0,8% (-195.000 unità). Il numero di occupati risulta pari a 22.915.000 unità (dati destagionalizzati), segnalando un aumento rispetto al trimestre precedente pari allo 0,1 %. Per quanto riguarda i dati di genere, risultano 9.311.000 donne occupate a fronte di 13.696.000 uomini (dati non destagionalizzati).

La caduta tendenziale dell’occupazione riflette il sensibile calo della com-ponente maschile (-1,2%, pari a -172.000 unità) e la contenuta flessione di quella femminile (-0,2%, pari a -23.000 unità). Prosegue per entrambe le componenti di genere la forte riduzione degli occupati italiani (- 257.000 uomini, pari al –2,0 per cento; –108.000 donne, pari al -1,3 per cento) a fronte di un nuovo significativo incremento degli stranieri (+85.000 uomini e +86.000 donne).

Per quanto attiene al tasso di occupazione, per gli uomini tra i 15 e i 64 anni scende nel secondo trimestre 2010 si attesta al 68,0 per cento (-1,1 punti percentuali su base annua), mentre per le donne al 46,5 per cento (-0,3 punti percentuali). Dal primo trimestre del 2009, e nonostante la crescita del numero di occupati, il tasso di occupazione degli stranieri continua a ridursi, posizionandosi al 63,6 per cento (65,2 per cento nel secondo trimestre 2009). Per gli stranieri, l’indicatore si attesta al 76,1 per cento tra gli uomini (78,4 per cento nel secondo trimestre 2009) e al 52,1 per cento tra le donne (52,7 per cento nel secondo trimestre 2009).

Considerando la media nei paesi OCSE, il tasso di occupazione femminile in Italia resta ad un livello basso. Secondo quanto riportato nel Rapporto OCSE sull’occupazione nel 2010[8], infatti, per quanto attiene all’occupazione femminile, l’Italia si è attestata nel 2009 al 46,4%, a fronte del 56,5% della media OCSE.

Per quanto riguarda, infine, il pubblico impiego, sulla base degli ultimi dati disponibili[9] su 3.375.331 lavoratori a tempo indeterminato 1.859.867 sono donne (vedi tabella che segue).


Pubblico impiego. Personale a tempo indeterminato.

Comparto

Tempo Pieno

Part-Time
fino al 50%

Part-Time
oltre il 50%

Totale tempo
indeterminato

Totale

di cui
donne

Totale

di cui
donne

Totale

di cui
donne

Totale

di cui
donne

SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE

631.152

377.659

13.719

12.105

45.068

43.421

689.939

433.185

ENTI PUBBLICI NON ECONOMICI

53.328

28.487

689

470

2.144

1.904

56.161

30.861

ENTI DI RICERCA

16.834

7.000

162

90

341

281

17.337

7.371

REGIONI E AUT.LOC. (CCNL)

478.663

225.607

15.306

9.183

28.298

23.921

522.267

258.711

REGIONI A STATUTO SPECIALE

58.743

31.712

4.173

3.636

9.672

8.846

72.588

44.194

MINISTERI

170.649

84.372

5.154

3.827

7.528

6.127

183.331

94.326

AGENZIE FISCALI

50.609

22.896

744

382

3.886

3.242

55.239

26.520

PRESIDENZA CONSIGLIO MINISTRI

2.345

1.189

27

24

12

9

2.384

1.222

SCUOLA

1.103.304

855.134

11.143

8.448

15.416

12.857

1.129.863

876.439

A.F.A.M.

8.830

3.537

30

20

157

77

9.017

3.634

UNIVERSITA'

115.646

50.460

1.107

626

3.117

2.768

119.870

53.854

VIGILI DEL FUOCO

31.774

1.737

45

22

163

147

31.982

1.906

CORPI DI POLIZIA

325.664

20.811

0

0

0

0

325.664

20.811

FORZE ARMATE

146.393

1.529

0

0

0

0

146.393

1.529

MAGISTRATURA

10.410

4.133

0

0

0

0

10.410

4.133

CARRIERA DIPLOMATICA

935

147

0

0

0

0

935

147

CARRIERA PREFETTIZIA

1.475

739

1

1

2

1

1.478

741

CARRIERA PENITENZIARIA

473

283

0

0

0

0

473

283

TOTALE PUBBLICO IMPIEGO

3.207.227

1.717.432

52.300

38.834

115.804

103.601

3.375.331

1.859.867

Fonte: RGS, Conto annuale 2008

 

Si ricorda che all’articolo 46 della legge 4 novembre 2010, n. 183, recante “Deleghe al Governo in materia di lavori usuranti, di riorganizzazione di enti, di congedi, aspettative e permessi, di ammortizzatori sociali, di servizi per l'impiego, di incentivi all'occupazione, di apprendistato, di occupazione femminile, nonché misure contro il lavoro sommerso e disposizioni in tema di lavoro pubblico e di controversie di lavoro", è stato disposto il rinnovo del termine per l’esercizio della delega riguardante la revisione della disciplina in materia di occupazione femminile, contenuto nell’articolo 1, comma 81, della legge 24 dicembre 2007, n. 247[10]). Con tale rinvio, il termine è stato posticipato di ventiquattro mesi, portando la scadenza al 1° gennaio 2011.


Famiglia

 


Misure a sostegno della famiglia

Le competenze istituzionali

In tema di competenze istituzionali le più recenti previsioni sono contenute nel decreto-legge n. 85/2008, convertito dalla legge n. 121/2008, che ha confermato l’attribuzione al Presidente del Consiglio dei ministri delle funzioni di indirizzo e coordinamento in materia di politiche per la famiglia, riguardanti anche l’Osservatorio nazionale sulla famiglia. Sono inoltre affidate alla Presidenza del Consiglio dei ministri le funzioni di competenza del Governo per l’Osservatorio nazionale per l’infanzia e l’adolescenza nonché la gestione delle risorse finanziarie dedicate alle politiche della famiglia. Sono infine di competenza del Presidente del Consiglio dei ministri le funzioni concernenti il Centro nazionale di documentazione e di analisi per l’infanzia e l’adolescenza. Con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 13 giugno 2008 è stata quindi attribuita la relativa delega al Ministro della gioventù.

La Carta acquisti

Il decreto-legge n. 112/2008, convertito dalla legge n. 133/2008, ha disposto l’istituzione di un Fondo di solidarietà per i cittadini meno abbienti per la concessione della Carta acquisti.

Il decreto interdipartimentale del Ministro dell’economia e delle finanze e del Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali del 16 settembre 2008 ha dettato la disciplina sull’individuazione dei titolari del beneficio, sull’ammontare del beneficio unitarioe sulle modalità di fruizione dello stesso, prevedendo la stipula di convenzioni tra i ministeri interessati ed il settore privato per il supporto economico dei titolari delle carte.

La Carta acquisti viene concessa, con onere a carico dello Stato, ai richiedenti residenti con cittadinanza italiana che versano in condizione di maggior disagio economico, ovvero ai cittadini nella fascia di bisogno assoluto di età uguale o superiore ai 65 anni o con bambini di età inferiore ai tre anni. La Carta è utilizzabile per il sostegno della spesa alimentare e sanitaria e per il pagamento delle spese energetiche.

La Carta vale 40 euro al mese e viene caricata ogni due mesi con 80 euro, sulla base degli stanziamenti disponibili.

Il decreto direttivo 30 novembre 2009 ha disposto l’accredito di un importo aggiuntivo mensile di 10 euro per i titolari della Carta Acquisti che siano utilizzatori, sul territorio nazionale, di gas naturale o GPL.

E' stato poi pubblicato in Gazzetta Ufficiale il D.M. 2 settembre 2009 che dispone l'accredito di un importo aggiuntivo mensile (pari a 25 euro) a titolo di concorso alle spese occorrenti per l'acquisto di latte artificiale e pannolini. Le risorse sono state collocate nel Fondo Carta acquisti.

Il bonus straordinario in favore dei nuclei familiari

Ulteriore provvedimento contenente misure di sostegno in funzione anti-crisi è il decreto-legge n. 185/2008, convertito dalla legge n. 2/2009.

Per l’anno 2009 viene previsto un bonus straordinario in favore dei nuclei familiari che, nel 2008, hanno realizzato un basso reddito. L’ammontare del bonus è fissato per scaglioni di reddito e in base alla numerosità del nucleo familiare, e varia da un minimo di 200 euro ad un massimo di 1.000 euro. Il bonus è attribuito ad un solo soggetto del nucleo familiare e non costituisce reddito: per ottenerlo è necessario presentare domanda autocertificata.

Fondo di credito per i nuovi nati e acquisto latte artificiale

Ulteriori disposizioni agevolano l’accesso al credito per le famiglie con un figlio nato o adottato nel periodo 2009-2011. E’ istituito, presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, un apposito fondo rotativo denominato “Fondo di credito per i nuovi nati”, finalizzato al rilascio di garanzie dirette, anche fidejussorie, alle banche ed agli intermediari finanziari.

Al Fondo è concessa una dotazione pari a 25 milioni di euro per ciascuno degli anni 2009, 2010 e 2011: alla copertura del relativo dell’onere si provvede mediante l’utilizzo delle risorse del Fondo per le politiche della famiglia.

Viene poi demandata ad un apposito decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri la definizione dei criteri e delle modalità di funzionamento del Fondo e del rilascio ed operatività delle garanzie.

Inoltre per il 2009 il “Fondo per il credito per i nuovi nati” viene integrato di 10 milioni di euro. L’integrazione è disposta per la corresponsione di contributi in conto interessi in favore delle famiglie di nuovi nati o con bambini adottati nel medesimo anno che siano portatori delle malattie rare. E' stato recentemente pubblicato il D.P.C.M. 10 settembre 2009 recante la disciplina relativa all'attuazione e alla gestione del Fondo di garanzia, che definisce, tra l'altro, le operazioni ammissibili, i soggetti finanziatori, la natura e misura della garanzia e le condizioni per l'ammissione ad essa.

Infine è autorizza la spesa di 2 milioni di euro per l’anno 2009 per il rimborso delle spese occorrenti per l’acquisto di latte artificiale e pannolini per i neonati fino a 3 mesi di età. Le risorse relative sono state collocate nel Fondo Carta acquisti.

I destinatari dei rimborsi sono i beneficiari delle provvidenze del Fondo di solidarietà per i cittadini meno abbienti sopra ricordato.

Interventi per le famiglie colpite dal sisma della regione Abruzzo

L’articolo 8, comma 2 del decreto-legge n. 39/2009 convertito dalla legge n. 77/2009, prevede, a valere sulle risorse per il 2009 del Fondo per le politiche della famiglia, nei limiti di una spesa pari a 12 milioni di euro, l'adozione di interventi per: la costruzione e l'attivazione di servizi socio-educativi per la prima infanzia; la costruzione e l'attivazione di residenze per anziani; la costruzione e l'attivazione di residenze per "nuclei monoparentali madre bambino".

 


I fondi per le politiche sociali

I fondi per le politiche sociali

Nel Fondo nazionale per le politiche sociali, istituito dalla legge n. 449/1997 (legge finanziaria per il 1998), sono contenute le risorse che lo Stato stanzia annualmente con la legge finanziaria per le politiche di assistenza sociale, ovvero per il contrasto della povertà, per la promozione dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, dei diritti soggettivi (assegno al nucleo familiare con tre figli minori, per la maternità, agevolazioni disabili e lavoratori talassemici) e per la tutela della condizione degli anziani. Con decreto interministeriale del Ministero del lavoro e delle politiche sociali e del Ministero dell’economia e delle finanze, d’intesa con la Conferenza unificata (Stato, regioni, città e autonomie locali), avviene il riparto annuale degli stanziamenti per le politiche sociali a favore di INPS, regioni, province autonome, comuni e Ministero del lavoro e delle politiche sociali.

Alcuni recenti provvedimenti normativi hanno ridotto gli interventi finanziati a valere sul Fondo nazionale per le politiche sociali - nel quale sono allocate le risorse per il Fondo nazionale per l’infanzia e l’adolescenza, per i diritti soggettivi e per il Fondo ripartito tra regioni e ministero - collocandoli in appositi capitoli di spese obbligatorie iscritti nello stato di previsione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali. Questo è avvenuto, a decorrere dall’anno 2007, per le risorse in dotazione al Fondo nazionale per l’infanzia e l’adolescenza (istituito dalla legge 285/1997) che la legge n. 191/2009 (legge finanziaria per il 2010) ha incrementato di circa 40 milioni di euro e, ad opera della medesima legge finanziaria 2010 per le somme destinate al finanziamento degli interventi costituenti diritti soggettivi (assegno al nucleo familiare con tre figli minori, per la maternità, agevolazioni disabili e lavoratori talassemici). Per il 2010, tali stanziamenti risultano essere pari a circa 854 milioni di euro. Conseguentemente, per il 2010, nel Fondo nazionale per le politiche sociali rimangono risorse pari a 435 milioni di euro, da ripartire con decreto ministeriale tra le regioni, per gli interventi di loro competenza, e il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, per la copertura degli oneri di funzionamento finalizzati al raggiungimento degli obiettivi istituzionali.

Inoltre, la legge n. 244/ 2007 (legge finanziaria 2008) ha stabilito che dal 2008 le risorse del Fondo, destinate al Ministero del lavoro e delle politiche sociali e alle regioni e province autonome, al netto delle somme per i diritti soggettivi, sono anticipate nella misura del 50 per cento con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze.

Da ultimo, con il decreto-legge n. 78/2009, convertito dalla legge n. 102 del 2009, è stato istituito il Fondo per le attività di carattere sociale di pertinenza regionale, per una consistenza minima di 300 milioni di euro annui da istituire nell’ambito del Ministero dell’economia e delle finanze.

L’istituzione di tale Fondo rappresenta una ‘anticipazione’ dell’attuazione delle misure connesse con il sistema di federalismo fiscale delineato dalla legge n. 42/2009, con lo scopo di assicurare la tutela dei diritti e delle prestazioni sociali su tutto il territorio nazionale, secondo quanto disposto dall’articolo 117 Cost., secondo comma, lettera m).

Per quanto concerne le risorse dedicate alla famiglia e ai giovani, il decreto-legge n. 223/2006, convertito dalla legge n. 248 del 2006 ha istituito presso la Presidenza del consiglio dei ministri, rispettivamente, il Fondo per le politiche della famiglia e il Fondo per le politiche giovanili.

Il Fondo per le politiche della famiglia è finalizzato ad istituire e finanziare l'Osservatorio nazionale sulla famiglia, a finanziare le iniziative di conciliazione del tempo di vita e di lavoro, ad avviare le politiche di sostegno per le famiglie numerose, a sostenere l'attività dell'Osservatorio per il contrasto della pedofilia e della pornografia minorile, dell'Osservatorio nazionale per l'infanzia e del Centro nazionale di documentazione e di analisi per l'infanzia, al sostegno delle adozioni internazionali e per il pieno funzionamento della Commissione per le adozioni internazionali. La dotazione 2010 per le politiche della famiglia ammonta a circa 185 milioni di euro.

Il Fondo per le politiche giovanili è istituito al fine di promuovere il diritto dei giovani alla formazione culturale e professionale e all'inserimento nella vita sociale, anche attraverso interventi volti ad agevolare la realizzazione del diritto dei giovani all'abitazione, nonché a facilitare l'accesso al credito per l'acquisto e l'utilizzo di beni e servizi, ed è destinato a finanziare le azioni ed i progetti di rilevante interesse nazionale, nonché le azioni ed i progetti destinati al territorio, individuati di intesa con le regioni e gli enti locali. La dotazione finanziaria per le politiche di incentivazione e sostegno alla gioventù per il 2010 è pari a circa 94 milioni di euro.

Infine, per garantire i livelli essenziali delle prestazioni assistenziali a favore delle persone non autosufficienti, è stato istituito dalla legge n. 296 del 2006 (legge finanziaria 2007) presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, il Fondo per le non autosufficienze, che per il 2010 ha risorse pari a 400 milioni di euro.


Asili nido e servizi socio-educativi per la prima infanzia

Le risorse

Le prime disposizioni normative in materia di assistenza all’infanzia sono contenute nella legge 6 dicembre 1971, n. 1044 Piano quinquennale per l’istituzione di asili-nido comunali con il concorso dello Stato, ove l'assistenza, fornita negli asili-nido ai bambini fino ai tre anni, viene definita un servizio sociale di interesse pubblico. La temporanea custodia dei bambini viene pertanto intesa come un servizio di cura, prestato per assicurare una adeguata assistenza alla famiglia e per facilitare l'accesso della donna al lavoro: a tal fine è programmata la costruzione e la gestione di almeno 3.800 asili-nido nel quinquennio 1972-1976, attraverso l’assegnazione di fondi speciali che lo Stato versa alle regioni per la concessione ai comuni di contributi in denaro.

Nel 1975 la legge 23 dicembre 1975, n. 698 Scioglimento e trasferimento delle funzioni dell’Opera nazionale per la protezione della maternità e dell’infanzia (OMNI), sopprime l’OMNI e trasferisce alle regioni le funzioni amministrative da questa esercitate.

Successivamente, il decreto del Ministero degli Interni del 31 dicembre 1983 (Individuazione delle categorie dei servizi pubblici locali a domanda individuale) inserisce gli asili nido tra i servizi pubblici a domanda individuale stabilendo la conseguente compartecipazione economica delle famiglie ai costi del servizio.

La legge 28 agosto 1997, n. 285, Disposizioni per la promozione di diritti e di opportunità per l’infanzia e l’adolescenza sottolinea per prima l’importanza di servizi socio-educativi per la prima infanzia, incentivando, all’articolo 3, comma 1, lett. b), la realizzazione di progetti che perseguono finalità di innovazione e sperimentazione di servizi socio-educativi per la prima infanzia e stabilendo all’articolo 5, comma 1, che le finalità dei progetti possano essere perseguite attraverso servizi, organizzati secondo criteri di flessibilità, con caratteristiche educative, ludiche, culturali e di aggregazione sociale per bambini da zero a tre anni, che prevedano la presenza di genitori, familiari o adulti che quotidianamente si occupano della loro cura,.

La legge finanziaria 2002[11]definisce ulteriormente gli asili quali strutture dirette a garantire la formazione e la socializzazione delle bambine e dei bambini di età compresa tra i tre mesi ed i tre anni, e riconosce al contempo che tali strutture rientrano tra le competenze dello Stato, delle regioni e degli enti locali. Al fine di favorire la creazione di asili nido e micro-nidi nei luoghi di lavoro viene inoltre istituito un Fondo, da ripartire tra le regioni, nell'ambito dello stato di previsione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali. A seguito della riforma costituzionale del Titolo V della Costituzione, e del diverso assetto delle competenze in questa materia, la sentenza della Corte costituzionale 370/2003 abroga grande parte dei commi dell’art. 70 dedicato alla materia, in particolare quelli che prevedono fondi finalizzati, rendendo pertanto inattuabile il ciclo di finanziamenti.

Stessa sorte subiscono le disposizioni contenute nell’articolo 91 della legge 27 dicembre 2002, n. 289, la finanziaria 2003, che contempla un fondo di rotazione destinato direttamente ai datori di lavoro per la realizzazione di asili nido e micro-nidi nei luoghi di lavoro. Tali disposizioni sono censurate dalla Consulta con la sentenza 320/2004, nella quale viene ribadito che, nel nuovo sistema costituzionale, il servizio pubblico offerto dagli asili nidi rientra palesemente nella sfera delle funzioni proprie delle regioni e degli enti locali.

La successiva finanziaria 2007[12], commi 1259-1260 dell’articolo 1, promuove lo sviluppo del sistema territoriale dei servizi socio-educativi, composto:

·         dagli asili nidi;

·         dai servizi integrativi, diversificati per modalità strutturali, di accesso, di frequenza e di funzionamento;

·         dai servizi innovativi nei luoghi di lavoro, presso le famiglie e presso i caseggiati.

In particolare, il comma 1259 individua nella concertazione, attraverso l’intesa in sede di Conferenza unificata, lo strumento idoneo per l’attuazione di un Piano straordinario di interventi per lo sviluppo del sistema territoriale dei servizi socio-educativi al fine di favorire il conseguimento, entro il 2010, dell'obiettivo comune europeo della copertura territoriale del 33% per la fornitura di servizi per l’infanzia (bambini al di sotto dei tre anni), come fissato dall’Agenda di Lisbona. Contestualmente, l’articolo 1, comma 630, amplia l'offerta formativa rivolta ai bambini dai 24 ai 36 mesi di età, con la creazione di nuovi servizi da articolarsi secondo diverse tipologie, con priorità per quelli qualificati come sezioni sperimentali aggregate alla scuola dell'infanzia (c.d. sezioni primavera).

Il Piano straordinario, approvato il 26 settembre 2007 in Conferenza Unificata con un’intesa tra il Governo, le regioni e le autonomie locali, prevede l’incremento dei posti disponibili nei servizi per i bambini da zero a tre anni, in considerazione del territorio nazionale suddiviso in tre macro aree (Nord, Centro, Sud e Isole comprese). L’intesa ha la finalità di avviare una rete integrata, estesa, qualificata e differenziata in tutto il territorio nazionale, relativa agli asili nido, ai servizi integrativi e ai servizi innovativi nei luoghi di lavoro, volti a promuovere il benessere e lo sviluppo sociale ed educativo dei bambini, il sostegno del ruolo genitoriale, la conciliazione dei tempi di lavoro e di cura tenendo conto della necessità di assicurare il livello di copertura della domanda dei servizi socio–educativi, stabilito nella misura media nazionale del 13% e, all’interno del sistema integrato di ciascuna Regione, in misura non inferiore al 6%. L’attuazione del Piano è sottoposta a un monitoraggio semestrale a cura del Dipartimento per le politiche della famiglia e del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, che, attraverso il Centro nazionale di documentazione e analisi per l’infanzia e l’adolescenza dell’Istituto degli Innocenti e l’STAT, predispongono rapporti e statistiche in materia.

Per le finalità del piano, la finanziaria 2007 autorizza una spesa di 100 milioni di euro per ciascuno degli anni 2007, 2008 e 2009. Il successivo comma 1260 prevede altresì che per le finalità del piano possa essere utilizzata parte delle risorse stanziate per il Fondo per le politiche della famiglia. Tale indicazione viene attuata con il decreto ministeriale 2 luglio 2007, di riparto del Fondo, che assegna 50 milioni di euro di risorse aggiuntive, a carico del Fondo per le politiche della famiglia[13], da destinare allo sviluppo dei servizi socio-educativi, di cui 10 milioni di euro dedicati all’attuazione delle sezioni primavera.

Le risorse per il 2007 vengono ulteriormente rafforzate dagli stanziamenti previsti dal decreto-legge 159/2007[14], che, all’articolo 45, indirizza 25 milioni di euro allo sviluppo del sistema territoriale dei servizi socio educativi[15] e dal decreto ministeriale 7 dicembre 2007 che aggiunge ulteriori 25 milioni di euro da destinarsi alle stesse finalità provenienti dal Fondo per le politiche della famiglia[16].

Il totale delle risorse per il 2007 corrispondono pertanto a un totale di 140 milioni di euro.

La finanziaria 2008[17]interviene ulteriormente in materia. In particolare, l’articolo 2, comma 457, ridefinisce le autorizzazioni di spesa per lo sviluppo del sistema territoriale degli asili nido, portando a 170 milioni di euro lo stanziamento per il 2008, precedentemente fissato in 100 milioni di euro. In particolare, 10 dei 70 milioni aggiuntivi vengono destinati alle sezioni primavera per le quali, nel triennio 2007-2009, il Dipartimento politiche della Famiglia indirizza complessivamente 35 milioni di euro[18]. I successivi commi da 458 e 460 istituiscono un fondo con una dotazione di 3 milioni di euro per ciascuno degli anni 2008, 2009 e 2010 presso enti e reparti del Ministero della difesa, finalizzato all’organizzazione e al funzionamento di servizi socio-educativi per la prima infanzia destinati ai minori di età fino a 36 mesi.

Il totale delle risorse impegnate nel 2008 risulta pertanto pari a 156,462 milioni di euro[19].

Le risorse previste per il 2009 corrispondono all’impegno di 100 milioni di euro discendenti dalla finanziaria 2007[20].

Pertanto ad oggi le risorse complessivamente dedicate al Piano sono pari a 446, 462 milioni di risorse statali e 281 milioni di cofinanziamento regionale, totalmente programmati, per un totale di 727 milioni nel triennio 2007-2009 Dipartimento politiche per la Famiglia: sezione dedicata alle intese ed ai decreti di impegno.

Asili nido comunali

I dati riportati in questa sezione sono in gran parte tratti dall’analisi Asili nido comunali a cura dell’Osservatorio prezzi & tariffe di Cittadinanzattiva del gennaio 2010, riferita agli anni scolastici 2005/06 e 2006/07.

Consistenza e distribuzione territoriale degli asili nido

Nel 2000 il numero complessivo dei nidi comunali ammonta a 2.404 di cui l’84% situato nelle regioni centro-settentrionali ed il restante 16% in quelle meridionali. L’offerta pubblica è integrata da quella privata per un numero di 604 strutture, l’81% delle quali sempre al centro-nord. Complessivamente, quindi, l’offerta totale tra pubblico e privato, ammonta a 3.008 strutture[21]. I posti disponibili nei nidi comunali sono 104.742, corrispondenti al 5,0% dell’utenza potenziale (nel 2000 i bambini con età 0-3 anni sono 2.102.704 - fonte Istat).

Nel 2007 l'offerta delle strutture ammonta a 3.184 con 129.992 posti disponibili (con disparità regionali di rilievo, ad esempio i posti disponibili in Lombardia sono 23.305 a fronte dei 2.213 della Campania)[22]. Il servizio è presente solo nel 17,5% dei comuni italiani ovvero in 1.429 comuni. Relativamente alla distribuzione territoriale, il 59% dei nidi comunali è concentrato nelle regioni settentrionali, il 27% in quelle centrali e solo il restante 14% in quelle meridionali. La copertura territoriale risulta pari al 5,8% con un massimo del 14,6% in Emilia Romagna ed un minimo dell’1% in Campania e Calabria.

Dall’analisi dei dati in possesso al Ministero degli Interni relativi al 2007, emerge inoltre che in media il 25% dei richiedenti rimane in lista d’attesa e la percentuale sale al 27% se si considerano i soli capoluoghi di provincia. In testa la Campania con il 42% di bimbi in lista di attesa, seguita dal Lazio (36%) e dall’Umbria (35%).

Le rette degli asili nido

Come precedentemente ricordato, gli asili nido comunali rientrano nella gamma dei servizi a domanda individuale resi dal Comune a seguito di specifica domanda dell’utente. Nel caso degli asili nido il livello minimo di copertura richiesta all’utente è del 50%, ma le rette variano sensibilmente da comune a comune poiché la misura percentuale di copertura dei costi di tutti i servizi a domanda individuale da parte dell’utenza viene definita al momento dell’approvazione del Bilancio di previsione comunale. Le rette sono determinate nel 75% dei casi in base all’Isee, nel 20% dei casi in base al reddito familiare e nel restante 5% la retta è unica.

L’indagine dell’Osservatorio prezzi e tariffe di Cittadinanzattiva prende in considerazione una famiglia composta da tre persone (genitori più un bambino di 0-3 anni) che percepisce un reddito lordo annuo pari a 44.200 euro. Oggetto della ricerca sono state le rette applicate al servizio di asilo nido comunale per la frequenza a tempo pieno (in media 9 ore al giorno) e, dove non presente, a tempo corto (in media 6 ore al giorno), per cinque giorni a settimana. Secondo tale analisi, una famiglia italiana spende circa 300 euro al mese per mandare il proprio bambino all’asilo nido comunale. La regione mediamente più economica è la Calabria (120 euro) e quella più costosa è la Lombardia (402 euro). Semplificando si può affermare che la retta media mensile al Nord è pari a 358 euro, al centro a 300 euro e al sud a 213 euro.

I dati forniti dalla fondazione Civicum, che ha condotto un studio sugli asili nido di 19 grandi città italiane[23] per il 2008, si allineano alle cifre fornite da Cittadinanzattiva. Nelle 19 città italiane prese in esame attraverso una serie di schede di rilevazione elaborate dal Politecnico di Milano (coprendo una popolazione di 9,4 milioni, il 16% di quella italiana), l'analisi della spesa, relativamente ai costi per l'utente, per una famiglia di 3 persone con un reddito lordo intorno ai 45 mila euro annui, a Trento e Bolzano si attesta sui 400 euro, a Roma sui 150 euro e a Napoli sui 100 euro, con una media, nelle 19 città prese in esame, di 284 euro al mese per residente tra i 0 e i 3 anni.

Asili nido nelle pubbliche amministrazioni

Per incrementare l’offerta di nidi a disposizione dei dipendenti delle PA, alla fine del 2009 è stato avviato il progetto Nidi PA attraverso la sottoscrizione di un protocollo d’intesa tra il Ministro per la pubblica amministrazione e l’innovazione, il Ministro per le pari opportunità e il sottosegretario per le politiche della famiglia.

Il protocollo prevede “l’attivazione di un insieme coordinato di azioni ed interventi volti a favorire la realizzazione, presso le Pubbliche Amministrazioni di tutti i livelli di governo, di nidi aziendali e di eventuali altri servizi socio-educativi per l’infanzia, al fine di tutelare e favorire il lavoro femminile, anche nell’ottica del progressivo innalzamento dell’età pensionabile delle lavoratrici del settore pubblico”. Per la realizzazione di tali interventi si prevede di utilizzare in parte i risparmi derivanti dall’innalzamento dell’età pensionabile delle donne.

Alla fine del 2009 è stato avviato un primo intervento[24]che comprende:

a) un progetto pilota di apertura di nidi aziendali presso le sedi centrali e periferiche delle pubbliche amministrazioni nazionali finanziati con 18 milioni di euro dal Dipartimento per le politiche della famiglia;

b) un intervento a sostegno dell’avvio e della gestione dei servizi di nido, finanziato con 7,2 milioni di euro dal Dipartimento per le Pari Opportunità;

c) un’indagine conoscitiva, curata dal Dipartimento della Funzione Pubblica sulla rete dei servizi educativi per la prima infanzia presso le pubbliche amministrazioni italiane.

Il progetto pilota prevede una seconda fase che si svilupperà nel prossimo decennio. A tale fase parteciperanno tutte le amministrazioni pubbliche, mentre il Dipartimento per la funzione pubblica disporrà, per la sua attuazione, delle risorse liberate dal graduale aumento dell'età pensionabile delle donne nel pubblico impiego.

L’ Indagine conoscitiva sugli asili nido nelle pubbliche amministrazioni, realizzata dal Formez e il cui rapporto di sintesi è stato pubblicato nel marzo 2010, è il risultato di una rilevazione, rivolta a tutte le amministrazioni pubbliche, realizzata tra novembre 2009 e gennaio 2010 con l’utilizzo di un questionario a inviti da compilare esclusivamente on line. Sono stati invitati a partecipare 10.207 enti, tra i quali tutti i comuni e 4972 amministrazioni centrali (comprese alcune strutture periferiche)[25]. Hanno risposto complessivamente 1943 amministrazioni, in rappresentanza di 474.240 dipendenti (il 26% dei dipendenti delle amministrazioni direttamente interessate alla rilevazione). Gli enti che hanno dichiarato di aver aperto almeno un asilo riservato ai dipendenti sono complessivamente 79 pari al 4% degli enti rispondenti. Altre 191 amministrazioni hanno dichiarato di avere un asilo in via di progettazione (41 in tutto) o di avere interesse alla realizzazione di un asilo ma di non averne ancora avviato la realizzazione. La maggiore concentrazione la si ritrova in Lombardia dove sono collocate 25 amministrazioni che presentano almeno 1 asilo (il 31% del totale) seguita dal Lazio e dal Veneto (15 amministrazioni) mentre le amministrazioni del Mezzogiorno sono generalmente poco rappresentate, anche quelle (Campania, Sicilia) di maggiori dimensioni. Per le amministrazioni che non hanno dichiarato interesse all’istituzione dell’asilo nido la motivazione prevalente è l’elevata età media dei dipendenti unita alle dimensioni dell’ente e all’esiguità di bambini potenzialmente interessati. Solo in pochissimi casi l’ostacolo è rappresentato dalla mancanza di locali idonei e in un solo caso si fa riferimento all’esiguità delle risorse disponibili.

La gran parte delle amministrazioni (sia centrali che locali) ha contribuito alle spese di istituzione degli asili e una parte significativa ha ricevuto contributi da altri soggetti (in maggior numero tra le amministrazioni locali che tra quelle nazionali). La modalità prevalente di gestione è la convenzione con cooperative; altrimenti il ricorso all’avviso pubblico per l'individuazione del gestore. Nelle amministrazioni centrali esistono liste d’attesa solo nei Ministeri, mentre nelle amministrazioni locali il numero di asili con liste di attesa è maggiore e concentrato soprattutto nelle aziende sanitarie e ospedaliere e nei comuni. Le rette mensili a carico dei dipendenti (stimate come valori medi e notevolmente diversificate in base al reddito familiare) sono abbastanza differenziate e vanno dai 160 € delle Regioni ai 440 € delle Camere di Commercio.

In conclusione, l’indagine ha rilevato che gli asili aziendali sono una realtà ormai consolidata nelle pubbliche amministrazioni, ma non molto diffusa. Essi assumono caratteristiche particolarmente interessanti quando riescono a fornire un servizio mirato e flessibile, ovvero riescono a strutturare un’offerta che garantisca prestazioni aggiuntive a quelle istituzionali e in linea con l’articolazione dell'orario di lavoro dei dipendenti della pubblica amministrazione a cui offrono il servizio.

Nidi di famiglia – Tagesmutter

La necessità di incrementare le strutture dedicate alla prima infanzia, spesso insufficienti a garantire l’accoglienza dei potenziali utenti, ha nel tempo determinato la ricerca, a livello regionale, di soluzioni diversificate e maggiormente flessibili da affiancare agli asili nido.

In tale direzione, l’articolo 22 del decreto legge 269/2003 prevede che “il mutamento della destinazione d'uso di immobili ad uso abitativo per essere adibiti ad asili nido è sottoposto a denuncia di inizio attività. Restano ferme le previsioni normative in materia di sicurezza, igiene e tutela della salute, nonché le disposizioni contenute nei regolamenti condominiali”. Successivamente, la finanziaria 2007 esplicita le diverse possibilità, inserendo gli asili nido nel sistema integrato di servizi socio-educativi, di cui fanno parte anche servizi integrativi, diversificati per modalità strutturali, di accesso, di frequenza e di funzionamento, e i servizi innovativi di cura della prima infanzia nei luoghi di lavoro, presso le famiglie e presso i caseggiati.

Recentemente, il Ministero delle pari opportunità ha previsto un sistema di interventi per favorire la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, destinando risorse al sostegno di servizi integrativi dedicati alla prima infanzia. In particolare, il decreto del Ministro per le pari opportunità del 12 maggio 2009, inerente la ripartizione del Fondo per le politiche relative ai diritti e alle pari opportunità per l’anno 2009, all’art. 1, lettera a), destina parte delle risorse del Fondo, fino a 40.000.000,00 di euro, alla realizzazione di un sistema di interventi per favorire la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro stabilendo altresì che i criteri di ripartizione di tali risorse, le finalità e le modalità attuative nonché il monitoraggio degli interventi realizzati siano definiti mediante specifica intesa in sede di Conferenza Stato-Regioni o di Conferenza unificata, ai sensi dell’art. 8, comma 6, della L. 131/2003.

La ripartizione delle risorse è stata definita con l' Intesa del 29 aprile 2010 in sede di Conferenza unificata. L’articolo 2 dell’Intesa stabilisce quali finalità specifiche:

a) la creazione o implementazione di nidi, nidi famiglia, servizi e interventi similari (mamme di giorno, educatrici familiari o domiciliari) definiti nelle diverse realtà territoriali;

b) facilitazione per il rientro al lavoro di lavoratrici che abbiano usufruito di congedo parentale;

c) erogazione di incentivi all’acquisto di servizi di cura in forma di voucher/buono per i servizi offerti da strutture specializzate (nidi, centri diurni/estivi per minori, ludoteche, strutture sociali diurne per anziani e disabili) o in forma di buono lavoro per prestatori di servizio (assistenza domiciliare, pulizia, pasti a domicili);

d) sostegno a modalità di prestazione di lavoro e tipologie contrattuali facilitanti come banca delle ore, telelavoro, part-time, programmi locali dei tempi e degli orari;

e) altri eventuali interventi innovativi e sperimentali proposti dalle Regioni e dalle Province autonome purché compatibili con la presente intesa.

L’articolo 3 dell’Intesa prevede che il Dipartimento delle pari opportunità gestisca il circuito finanziario previsto per la messa in disponibilità delle risorse, erogando a ciascuna regione o provincia autonoma una prima quota pari al 40% del totale a seguito della sottoscrizione di una apposita convenzione della durata di 12 mesi contenente il programma attuativo degli interventi proposti. La seconda quota, fino ad un massimo di ulteriore 40% spettante ad ogni regione e provincia autonoma, sarà erogata a seguito della presentazione e verifica della relazione finale sull’utilizzo delle risorse.

Per l’attuazione dell’intesa il Dipartimento delle pari opportunità si riserva l’utilizzo di una quota pari a 1.280.000, 00 euro, fra le regioni e le province autonome saranno pertanto ripartiti 38.720.000 euro.

Esperienze regionali

Le regioni hanno compiti e responsabilità dirette di indirizzo, di sostegno economico e di governance del sistema dei servizi 0-3 anni, pertanto il quadro normativo relativo ai servizi socio-educativi per la prima infanzia varia a seconda delle diverse realtà territoriali: alcune regioni dispongono di normative risalenti, in cui risulta assente lo stesso concetto di servizi integrativi, domiciliari o sperimentali, altre regioni con normativa di settore relativamente recente hanno invece sottolineato l’importanza di creare un sistema integrato pubblico-privato di servizi, ritagliando un ruolo di governance all’ente locale.

Di seguito vengono riportate esperienze regionali particolarmente significative riconducibili ai c.d. nidi famiglia. Il nido in famiglia è un servizio socio educativo innovativo inserito in un contesto ambientale e sociale di tipo familiare che intende fornire una risposta alternativa ai servizi tradizionali (asilo nido e micro-nido), rispetto ai quali si differenzia per la maggiore flessibilità sia negli orari che nella strutturazione del servizio. Tra i principali obiettivi del servizio si rinviene infatti la volontà d’incentivare rapporti di vicinato o di amicizia, l’aggregazione e la cultura dello scambio e delle relazioni, in funzione dell’arricchimento reciproco e del rafforzamento del ruolo genitoriale. Rispetto ai servizi tradizionali si differenzia per la sua totale integrazione con il contesto abitativo, la flessibilità nel funzionamento e la ridotta capacità ricettiva.

Veneto

La Regione del Veneto, con la L.R. 32 del 1990, Disciplina degli interventi regionali per i servizi educativi alla prima infanzia: asili nido e servizi innovativi promuove e sostiene i servizi rivolti alla prima infanzia, al fine di assicurare alla famiglia un sostegno adeguato e consentire altresì l’accesso della donna nel mondo del lavoro. Il progetto sperimentale nido in famiglia, delineato dalle delibere della Giunta regionale Dgr n.674 e 4252 del 2008, consiste in una unità d’offerta con funzioni educativa, di cura e socializzazione rivolta a massimo sei bambini di età compresa tra 0 e 3 anni. L’unità di offerta viene considerata tale e attivata, quando c’è la frequenza di almeno 3 bambini (0-3 anni) per un totale mensile di almeno 300 ore (100 ore ciascuno). A fronte di questa offerta minima, incluso cambio, pasto e merenda ed eventuali altri servizi concordati tra famiglia e collaboratore educativo, deve essere individuata la quota di partecipazione della famiglia ( ad es. il contributo alle spese della famiglia può essere indicativamente di € 300). Nella fase sperimentale è stato previsto un buono famiglia per ogni bambino frequentante (compreso tra i 70 e i 100 euro). La singola unità d’offerta è condotta dal collaboratore educativo, persona professionalmente preparata, che ha frequentato il percorso di qualificazione specifico, a cui si può accedere se in possesso almeno della Licenza media Inferiore. Il collaboratore educativo può operare come ditta artigiana; associazione di partecipazione; azienda agricola;. libera professionista; dipendente di cooperativa; presidente di associazione appositamente costituita; socia di cooperativa e socia di associazione.

Il collaboratore educativo accudisce ed educa bambini, per un numero massimo di sei contemporaneamente, assicurando loro cure familiari inclusi i pasti e il riposo . L’attività di nido in famiglia si svolge in una casa e/o appartamento, classificato come civile abitazione che può essere del “collaboratore educativo”, di una famiglia che la mette a disposizione o altro, preferibilmente l’abitazione o sede deve avere minimo mq. 4 pro capite, destinati esclusivamente ai bambini.

Il progetto sperimentale prevede che ogni collaboratore educativo faccia capo ad un organizzatore. L’organizzatore, in possesso di determinati titoli (laurea in materie attinenti o diploma di scuola secondaria superiore con esperienza quinquennale in gestione e organizzazione di strutture per l’infanzia), nonché appositamente preparato mediante il percorso di qualificazione specifico per svolgere tale funzione, può essere: un dipendente comunale al quale l’Amministrazione Comunale affida questo incarico; un libero professionista; un dipendente o socio di cooperativa o associazione (es. reti di famiglie).

Gli organizzatori, a cui fanno riferimento più collaboratori educativi, svolgono le funzioni di promozione, tutoraggio, mediazione, verifica in relazione ai nidi in famiglia e partecipano al coordinamento a livello regionale per garantire l’uniformità tra le diverse unità d’offerta.

Lombardia

La Lombardia con la L.R. 6 dicembre 1999, n. 23, Politiche regionali per la famiglia, sostiene le iniziative del privato, del sociale e delle famiglie, dirette a organizzare: nidi famiglia, servizi nido, asili nido e banche del tempo (art. 4 co. 2). In base a tale previsione, inizialmente nel solo Comune di Milano, sono nati i nidi in casa, successivamente denominati nidi famiglia, ovvero nidi domiciliari, con finalità educative e sociali per un massimo di 5 bambine/i da zero ai tre anni, senza fini di lucro, con modelli educativi e gestionali spesso non omogenei.

Relativamente alla gestione, e come stabilito nella D.G.R. 20588 dell’11 febbraio 2005, le famiglie concordano le modalità organizzative e la proposta educativa, tenuto conto delle effettive necessità assistenziali ed educative dei bambini ed assumendosene in toto la responsabilità. Il nido famiglia è promosso da associazioni familiari o da famiglie/utenti associate costituite in osservanza all'ordinamento delle associazioni non riconosciute e quindi regolate dagli accordi tra gli associati anche mediante la stipula di una scrittura privata.

Dal punto di vista strutturale, il nido famiglia deve essere realizzato in insediamento a caratteristiche abitative preferibilmente di residenza, o comunque in uso o a disposizione di una delle famiglie o di associazioni di famiglie. Ogni nido famiglia deve garantire il possesso dei requisiti previsti dalle norme vigenti in materia di civile abitazione.

Le famiglie possono gestire il nido famiglia direttamente o attraverso l'individuazione della persona che si occuperà di accudire i bambini tramite affidamento a terzi (professionisti, cooperative) di tutte le attività o parte di esse. Deve pertanto essere individuato un responsabile/coordinatore (scelto anche tra le famiglie) con partecipazione a iniziative di formazione/aggiornamento specifiche comprese tra 50 e 100 ore, mentre il piano annuale della formazione e/o aggiornamento degli addetti con funzioni educative è di almeno 20 ore.

L’apertura minima annuale è prevista da settembre a giugno, secondo le modalità concordate con le famiglie; per una frequenza giornaliera di 6 ore continuative con fornitura pasti

In base alla CIRC R n. 35 del 24 agosto 2005, le famiglie associate/associazioni familiari devono presentare: dichiarazione di inizio attività al Comune di ubicazione e per conoscenza alla ASL, mentre non è richiesta un'autorizzazione al funzionamento.

Dal 2000 al 2005, i nidi famiglia sono stati sostenuti annualmente con i contributi per i progetti innovativi (art. 4, comma 2 e art. 5, comma 1, della LR 23/99).

Emilia-Romagna

La Regione con L.R. 10 gennaio 2000, n. 1, Norme in materia di servizi educativi per la prima infanzia, ha definito le tipologie di servizi che caratterizzano il sistema dei servizi educativi e ha dettato i criteri generali per la loro realizzazione, gestione, qualificazione e controllo, con l’obiettivo di garantire una pluralità di offerte educative ai bambini e alle loro famiglie.

Successivamente, la L.R. 14 aprile 2004, n. 8, ha modificato la L.R. 1/2000 introducendo i nidi aziendali nella rete regionale dei servizi per la prima infanzia. Il Consiglio Regionale, con la direttiva n. 646/2005 ha definito i requisiti strutturali ed organizzativi, i criteri e le modalità per la realizzazione nonché le procedure per l’autorizzazione al funzionamento dei servizi educativi, pubblici e privati.

Inoltre ha stabilito norme specifiche per i servizi sperimentali quali l’Educatrice domiciliare o piccolo gruppo educativo e l’Educatrice familiare.

In particolare:

Provincia autonoma di Trento

Al fine di garantire risposte flessibili e differenziate alle esigenze delle famiglie e ai bisogni delle bambine e dei bambini attraverso soluzioni diversificate sul piano strutturale e organizzativo, la L.P. 12 marzo 2002, n. 4, Nuovo ordinamento dei servizi socio-educativi per la prima infanzia, promuove e sostiene il nido familiare - servizio Tagesmutter quale servizio complementare al nido d'infanzia.

Il nido familiare - servizio Tagesmutter consente alle famiglie di affidare in modo stabile e continuativo i propri figli a personale educativo (Tagesmutter) appositamente formato che professionalmente, in collegamento con organismi della cooperazione sociale o di utilità sociale non lucrativi, fornisce educazione e cura a uno o più bambini presso il proprio domicilio o altro ambiente adeguato ad offrire cure familiari. Il nido familiare - servizio Tagesmutter è sostitutivo del nido d'infanzia solo laddove non sia possibile offrire tale servizio. Il servizio consente di affidare bambini dai tre mesi ai tre anni ad un operatore educativo appositamente formato, che offre, di norma presso il proprio domicilio o altra struttura purché ad uso esclusivo, educazione e cura fino a cinque bambini compresi i propri figli oppure tre se tutti i bambini sono di età inferiore ai nove mesi. Al 31 dicembre 2007 il servizio è attivo in 70 comuni, in 15 dei quali sono presenti anche strutture di nido d’infanzia.

Regione siciliana

Come soluzione diversificata da affiancare agli asili nido ed ai nido aziendali, l’articolo 11 della legge regionale 31 luglio 2003, n. 10, Norme per la tutela e la valorizzazione della famiglia ha previsto le Madri di giorno, ovvero casalinghe in possesso di un'esperienza abilitante, conseguita attraverso la personale esperienza della maternità o attraverso apposite esperienze formative, che durante il giorno assistano nel proprio domicilio, uno o più minori appartenenti ad altri nuclei familiari in età da asilo nido. L’esperienza delle madri di giorno è sostenuta da associazioni di solidarietà familiare che promuovono l'esperienza delle madri di giorno, fornendo loro assistenza sul piano amministrativo e tecnico, garantendo la continuità della presa in cura del minore nel caso di malattia o impedimento e fornendo le necessarie consulenze in campo psicopedagogico. La madre di giorno svolge la propria attività senza ricevere alcun compenso dalle famiglie degli utenti, che versano alle associazioni ed alle organizzazioni un corrispettivo per il servizio ricevuto determinato in misura da consentire la copertura dei costi necessari al suo mantenimento. I comuni possono erogare alle famiglie, secondo livelli di reddito e criteri di attribuzione predeterminati, vaucher spendibili presso le associazioni e gli enti accreditati dalla stessa amministrazione comunale mediante stipula di apposita convenzione. Capo d’Orlando, comune della Provincia di Messina, tra i primi in Sicilia si è dotato nell’aprile 2010 di un regolamento comunale per l’attuazione e la gestione del servizio Nido in famiglia per madri di giorno..

Piemonte

La L.R. 8 gennaio 2004, n. 1, Norme per la realizzazione del sistema regionale integrato di interventi e servizi sociali e riordino della legislazione di riferimento, all’articolo 41 sostiene la famiglia, quale soggetto fondamentale per la formazione e la cura delle persone e ambito di riferimento per ogni intervento riguardante l’educazione e lo sviluppo culturale.

Successivamente la Dgr n. 48-14482 del 29 dicembre 2004, definisce il nido in famiglia un servizio sperimentale socio-educativo-ricreativo destinato a favorire le opportunità di socializzazione dei bambini, nonché a valorizzare il ruolo dei genitori nell’intervento educativo, prevedendone il diretto coinvolgimento nella conduzione e nella gestione del servizio. Il nido accoglie minori di età compresa tra i 3 mesi e i 3 anni, per un massimo di 4 bambini contemporaneamente, compresi quelli dell’ambito familiare. La permanenza del bambino, non appartenente al nucleo familiare di base, non può superare le 5 ore continuative.

L’attivazione del nido in famiglia deve essere concordata con l’Ente locale di riferimento al fine di assicurare il coordinamento con la rete dei servizi per la prima infanzia presenti sul territorio comunale, nonché il raccordo con i servizi sociali del territorio.

L’attività può essere condotta da un genitore con un bambino in età di nido in famiglia, o da un operatore in possesso di titoli di studio quali: diploma di puericultrice; diploma di maestra di scuola d’infanzia; diploma di maturità magistrale; diploma di liceo psico-pedagogico; diploma di vigilatrice d’infanzia; attestato di qualifica di educatore per la prima infanzia o equivalenti; attestato di qualifica di operatore socio-sanitario; - diploma di dirigente di comunità; diploma di educatore professionale o equivalenti; diploma di laurea in scienze dell’educazione, scienze della formazione primaria e lauree con contenuti formativi analoghi; diploma di tecnico dei servizi sociali; altri diplomi di scuola media superiore, dai cui provvedimenti istitutivi, si riconosca un profilo professionale rivolto all’organizzazione e gestione degli asili nido. Il genitore, privo di titolo, potrà condurre l’attività solo fino al compimento del terzo anno di età del proprio figlio o comunque fino al termine dell’anno formativo in cui il bambino è in età di nido, successivamente l’attività potrà essere condotta soltanto con l’acquisizione di uno dei titoli richiesti.

Per condurre l’attività, il genitore privo di titolo, deve dimostrare di aver partecipato ad un percorso di sensibilizzazione sulle problematiche derivanti dalla gestione del servizio di nido in famiglia e essere supportato da un servizio educativo per la prima infanzia pubblico o privato autorizzato attraverso incontri periodici di supervisione.

Dal punto di vista strutturale, il nido in famiglia deve sorgere in immobili ad uso abitativo e l’attività può essere avviata se nell’unità immobiliare sono disponibili uno spazio autonomo con lavandino e fasciatoio, un servizio igienico adeguato all’uso dei bambini nonché un locale cucina dotato di idonee attrezzature per la cottura, il riscaldamento e la conservazione dei cibi. L’immobile deve avere nella disponibilità uno spazio da destinarsi in modo esclusivo all’ospitalità dei bambini, di almeno 5 mq. di superficie utile a bambino con un minimo di 15 mq totali e uno spazio esterno per il gioco dei bambini.

L ‘attività non è soggetta ad autorizzazione all’esercizio, ma ad obbligo di comunicazione di avvio da presentare al Comune dove ha sede almeno 30 gg. prima dell’avvio delle attività.

Tutte le persone addette all’attività devono sottoporsi ai controlli sanitari prescritti dalle A.S.L.

Liguria

La L.R. 9 aprile 2009, n.6, Promozione delle politiche per i minori e i giovani, dedica il titolo II alle politiche per la prima infanzia e ai minori, elencando all'articolo 10 le tipologie di servizi socio-educativi per la prima infanzia (sino ai tre anni di età), con le quali la Regione Liguria diversifica l'offerta dei servizi medesimi al fine di raggiungere la più ampia utenza e soddisfare i bisogni delle differenti realtà regionali. Tali tipologie consistono in: nido d'infanzia; servizi integrativi; servizi domiciliari – mamma accogliente e servizi ricreativi.

In attuazione dell'articolo 30, comma 1, lettera D) della legge regionale. 6/2009, la Giunta regionale ha approvato la deliberazione n.588 del 12 maggio 2009 recante le Linee guida sugli standard strutturali, organizzativi e qualitativi dei servizi socioeducativi per la prima infanzia. In particolare i servizi vengono così definiti:

 


Documentazione allegata

 

 


Piano di azione per l’occupabilitá dei giovani attraverso l’integrazione tra apprendimento e lavoro (Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali, Ministero istruzione università e ricerca, del 23 settembre 2009)

 

DOL 312

 

 


Programma di azioni per l’inclusione delle donne nel mercato del lavoro (Ministero del lavoro e delle politiche sociali, Ministero pari opportunità, del 1° dicembre 2009)

 

DOL 301

 


Piano per la conciliazione lavoro-famiglia della Conferenza unificata del 29 aprile 2010

 

DOL 336

 

 


I giovani in Italia del Ministero del lavoro e delle politiche sociali (luglio 2010)

 

 

 

DOL 337

 


Piano triennale del lavoro, “liberare il lavoro per liberare i lavori” del Ministero del lavoro e delle politiche sociali (30 luglio 2010)

 

 

DOL 338

 

 


Banca d’Italia, Bollettino economico n. 62 dell’ottobre 2010 – stralcio
Capitolo 3.5: dati sul mercato del lavoro

 

 

Boleco62

 

 


Conciliare famiglia e lavoro: un aiuto dai fondi Articolo 9 della Legge 53/2000,
Focus Isfol n. 2009/2

 

 

isfol

 

 


Piano d’azione nazionale per l’inclusione sociale,
Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali

 

 

Ministero_lavoro

 

 


Programma Nazionale di Riforma presentato dal Governo – novembre 2010 – stralci:


2.2.1. La riforma delle pensioni


3.4. Il mercato del lavoro


3.5. Il contesto della povertà

 

 

PNR2010

 



[1]Rompere il cristallo, 2010.

[2]Peraltro, per una donna con figli in età inferiore ai 6 anni aumenta di circa 13 punti percentuali la probabilità di essere occupata a tempo parziale.

[3]     Tali direttive riguardano, in alcuni casi, la parità di trattamento in linea generale, applicandosi quindi anche alla materia del lavoro, come la direttiva 2000/43/CE; mentre in altri si riferiscono esclusivamente alla parità di trattamento in tema di occupazione e di condizioni di lavoro, come nelle direttive 2000/8/CE e 2002/73/CE.

[4]     Commissione europea, Direzione generale dell’Occupazione, degli affari sociali e delle pari opportunità: Uguaglianza e non discriminazione - Rapporto annuale 2005 (aprile 2005).

[5]    D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, “Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche”.

[6] Il comitato, di composizione paritetica e formato da un rappresentante delle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative e da uno dell’amministrazione, mentre il presidente è designato dall’amministrazione, sostituisce, unificando le relative competenze, i Comitati per le Pari opportunità e dei Comitati paritetici per il fenomeno del mobbing.

[7] ISTAT, Occupati e disoccupati, II trimestre 2010, Roma 23 settembre 2010 (http://www.istat.it/salastampa/comunicati/in_calendario/forzelav/20100923_00/)

[8]    OECD Employment Outlook 2010, pag. 276. http://browse.oecdbookshop.org/oecd/pdfs/browseit/8110081E.PDF.

[9]    Ragioneria generale dello Stato, Conto annuale 2008.

[10]   “Norme di attuazione del Protocollo del 23 luglio 2007 su previdenza, lavoro e competitività per favorire l'equità e la crescita sostenibili, nonché ulteriori norme in materia di lavoro e previdenza sociale”.

[11] L. 28 dicembre 2001, n. 448, art. 70

[12] Legge 26 dicembre 2006, n. 296

[13]   Decreto di impegno: Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento per le politiche della famiglia, Decreto 2 luglio 2007

[14]   Decreto legge 1 ottobre 2007 n. 159, Interventi urgenti in materia economico-finanziaria, per lo sviluppo e l'equità sociale, convertito con modificazioni dalla legge 29 novembre 2007, n. 222

[15]   Decreto di impegno: Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento per le politiche della famiglia, Decreto 2 luglio 2007

[16]   Decreto di impegno: Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento per le politiche della famiglia, Decreto 21 dicembre 2007

[17]   L. 24 dicembre 2007, n. 244, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2008)

[18]   A tale proposito sono stati stipulati i seguenti Accordi: Accordo tra il Ministro della Pubblica Istruzione, il Ministro delle Politiche per la Famiglia, il Ministro della Solidarietà sociale, le Regioni, le Province autonome di Trento e Bolzano, le Province autonome di Trento e Bolzano, le Province, i Comuni e le Comunità montane, per la promozione di un’offerta educativa integrativa e sperimentale per i bambini dai due ai tre anni - Accordo ai sensi dell’articolo 9, comma 2, lett. c) del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, Repertorio atti n. 44 del 14 giugno 2007; Accordo quadro per la realizzazione di un’offerta di servizi educativi a favore di bambini dai due ai tre anni, volta a migliorare i raccordi tra nido e scuola dell'infanzia e a concorrere allo sviluppo territoriale dei servizi socio educativi 0-6 anni - Accordo ai sensi dell’articolo 9, comma 2, lett. c) del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, Repertorio atti n. 40 del 20 marzo 2008; Accordo per la realizzazione di un’offerta di servizi educativi a favore di bambini dai due ai tre anni, volta a migliorare i raccordi tra nido e scuola dell'infanzia e a concorrere allo sviluppo territoriale dei servizi socio educativi 0-6 anni Accordo ai sensi dell’articolo 9, comma 2, lett. c) del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, Repertorio atti n. 53/ CU del 29 ottobre 2009 - Tale accordo è valido esclusivamente per l'anno scolastico 2009-2010.

[19]   Decreto di impegno: Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento per le politiche della famiglia, Decreto 3 marzo 2008

[20]   Decreto di impegno: Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento per le politiche della famiglia, 15 aprile 2009

[21]   Dati contenuti in pubblicazioni del Centro nazionale di documentazione e analisi su infanzia e adolescenza

[22]   Elaborazione di Cittadinanzattiva di dati in possesso del Ministero dell'interno relativi alla Finanza locale (Anagrafica enti locali - Conti consuntivi)

[23]   Civicum, I dati sui servizi all’infanzia nelle nostre città, maggio 2009

[24]   Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento per le Politiche della Famiglia, Dipartimento per le Pari Opportunità, Bando per il finanziamento di nuovi nidi d’infanzia presso i luoghi di lavoro delle pubbliche amministrazioni nazionali, G. U. n. 293 del 17 dicembre 2009

[25]   Non sono state coinvolte nella rilevazione le scuole, le forze di polizia e altri comparti per un totale di circa 1.400.000 dipendenti