Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento agricoltura
Titolo: L'attività delle Commissioni nella XV legislatura Commissione agricoltura
Serie: Documentazione e ricerche    Numero: 1    Progressivo: 13
Data: 14/05/2008
Descrittori:
AGRICOLTURA   COMMISSIONI E GIUNTE PARLAMENTARI
Organi della Camera: XIII-Agricoltura


Camera dei deputati

XVI LEGISLATURA

 

SERVIZIO STUDI

 

Documentazione e ricerche

L’attività delle Commissioni
nella XV legislatura

Commissione agricoltura

 

 

 

n. 1/13

Parte seconda

 

Maggio 2008


La documentazione di inizio legislatura predisposta dal Servizio Studi e, quanto ad alcune parti, dall’Ufficio per i Rapporti con l’Unione europea, dal Servizio Biblioteca, dal Servizio Bilancio dello Stato, dal Servizio Commissioni e dal Servizio per il Controllo parlamentare, si compone di:

§         un dossier ipertestuale su CD-ROM (Documentazione e ricerche, n. 1), che illustra analiticamente le principali politiche legislative e attività istituzionali svolte dalla Camera dei deputati nel corso della XV legislatura;

§      14 fascicoli di accompagnamento (Documentazione e ricerche, nn. da 1/1 a 1/14 – parte prima) recanti, per ciascuna Commissione, una nota di sintesi sulle aree tematiche di interesse, sull’attività svolta e sugli adempimenti governativi nelle materie di competenza;

§      14 volumi (Documentazione e ricerche, nn. da 1/1 a 1/14 – parte seconda) recanti, per ciascuna Commissione, un estratto del dossier ipertestuale concernente le politiche legislative e l’attività istituzionale nelle materie di competenza.

 

 

 

 

 

 

 

Dipartimento Agricoltura

 

SIWEB

 

I dossier del Servizio studi sono destinati alle esigenze di documentazione interna per l'attività degli organi parlamentari e dei parlamentari. La Camera dei deputati declina ogni responsabilità per la loro eventuale utilizzazione o riproduzione per fini non consentiti dalla legge.

 

File: AG0001b.doc


INDICE

Politiche legislative e attività istituzionale

La PAC ed il contesto internazionale  3

Competenze e strutture ministeriali7

Il riordino delle strutture consortili9

Soggetti e attività in agricoltura  13

La semplificazione amministrativa  17

Le filiere agroalimentari21

I prezzi dei prodotti agroalimentari25

La gestione dei rischi in agricoltura  29

Il sostegno alla internazionalizzazione  33

Tutela dei prodotti tipici e di qualità  37

Sicurezza alimentare  41

Le agroenergie  45

Le infrastrutture irrigue  49

Il settore forestale  53

Pesca ed acquacoltura  59

Attività presso le istituzione dell’unione europea (a cura dell’Ufficio Rapporti con l’Unione europea)

Agricoltura  65

§      Valutazione dello stato intermedio della PAC   65

Pesca  67

§      Sistemi di controllo  67

§      Pesca illegale  67

§      Acquacoltura  68

Sicurezza alimentare  69

Schede di approfondimento

Aiuti esenti da notifica in agricoltura  73

Gli orientamenti agroforestali 2007-2013  77

Il PSN per lo sviluppo rurale  81

La ristrutturazione bieticolosaccarifera  87

La riforma della OCM ortofrutta  91

La riforma della OCM vitivinicola  95

§      Le disposizioni comunitarie in vigore  95

§      Normativa statale  96

§      La riforma comunitaria: elementi principali101

§      Indagine conoscitiva sul settore vitivinicolo  105

La riorganizzazione del MIPAAF  107

I Consorzi agrari113

I consorzi di bonifica e miglioramento  123

L’AGEA  131

§      L’istituzione dell’Agenzia  131

§      I compiti dell’AGEA  137

§      I contributi agricoli comunitari e il SIGC   141

Le organizzazioni interprofessionali145

Le organizzazioni di produttori (O.P.)149

§      Le norma comunitarie  149

§      Le disposizioni nazionali152

Le Intese di filiera e i contratti quadro  155

Il Fondo di Solidarietà nazionale  159

Calamità naturali – normativa comunitaria  171

Le società di promozione della qualità  173

§      Prodotti tipici nazionali – Società Buonitalia  173

§      Prodotti tipici nazionali - Naturalmenteitaliano  176

I ddl sull’agricoltura biologica  179

§      Il testo unificato sull’agricoltura biologica  179

§      Il nuovo regolamento europeo  181

§      I controlli sulle produzioni biologiche  183

Le denominazioni protette- IGP DOP e STG   195

§      Le denominazioni d’origine protetta e le indicazioni geografiche protette  196

§      Le specialità tradizionali garantite  200

Etichettatura dei prodotti alimentari203

Le strutture per la sicurezza alimentare  211

§      Strutture di controllo dei prodotti alimentari212

Il sostegno alla filiera agroenergetica  217

§      Quote di biocarburanti da immettere al consumo  217

§      Promozione dell’utilizzo dei prodotti agricoli219

§      Incentivi fiscali222

Il piano irriguo nazionale  225

La politica di tutela delle foreste  231

§      La politica forestale internazionale  231

§      La politica forestale europea  233

§      Kyoto e le misure di gestione forestale sostenibile  235

Il nuovo Fondo europeo per la pesca - FEP   239

 

 


Politiche legislative e attività istituzionale

 


La PAC ed il contesto internazionale

L’analisi delle politiche agricole che sono state sviluppate a livello nazionale nel corso della XV legislatura non può prescindere da una breve ricognizione delle dinamiche in corso in ambito internazionale e comunitario, dal momento che tali dinamiche costituiscono ormai da tempo il quadro generale di riferimento per il settore primario e condizionano, sia sul piano economico che su quello normativo, le scelte degli attori nazionali (e regionali).

 

Sul versante internazionale, la crescente globalizzazione dei mercati, l’emersione di nuovi competitors a livello mondiale, la sempre più diffusa consapevolezza dell’importanza di nuove regole, più eque e condivise, sul commercio dei prodotti agricoli quale chiave di volta per  avviare lo sviluppo dei Paesi più poveri, rappresentano i fattori che hanno contributo a delineare il nuovo sfondo dei negoziati in seno dell’Organizzazione mondiale del commercio (OMC)  ove, nell’ambito di una dialettica crescente tra USA, UE e Paesi in via di sviluppo (PVS), le tematiche agricole sono state spesso al centro dei dibattiti.

I negoziati del cd. Doha round sono però attualmente in una fase di stallo, in buona misura determinata proprio dal permanente contrasto sulle questioni agricole, rispetto alle quali i paesi emergenti chiedono una maggiore liberalizzazione del mercato e lamentano un atteggiamento protezionista degli Usa (decisi a difendere i sussidi agli agricoltori previsti dal “Farm Bill Act”), e anche della U.E., pur riconoscendo a quest’ultima di avere assunto una posizione più flessibile e di avere avviato un processo di riduzione delle sovvenzioni all’esportazione.

 

A livello comunitario è invece proseguito il processo di attuazione e di progressivo adeguamento della riforma di medio-termine della Politica agricola comune (PAC), approvata nel 2003, attraverso la quale l’Europa ha cercato di far fronte, oltre che alle sempre più pressanti sollecitazioni rivolte alla Comunità nell’ambito dei negoziati sul commercio internazionale dell’OMC, anche alle ineludibili esigenze inerenti al processo di allargamento dell’Unione (v. capitolo L’allargamento dell’Unione,nel dossier relativo alla Commissione politiche dell’UE), che nel maggio del 2004 ha visto l’ingresso di 10 nuovi Paesi membri.

La riforma, trasfusa nel regolamento CE n. 1782/2003 del 29 settembre 2003 (nonché nei suoi provvedimenti applicativi: il Regolamento n. 795/2004 e il Regolamento 796/2004) ha trasformato radicalmente l’intervento dell’Unione europea a sostegno del settore agricolo, mirando a garantire gli interessi dei consumatori e a lasciare gli agricoltori liberi di produrre secondo regole di mercato.

Gli elementi salienti della nuova politica agricola comune sono:

§      un pagamento unico per azienda agli agricoltori dell’Unione europea, indipendentemente dalla produzione realizzata (“disaccoppiamento”); alcuni elementi degli aiuti accoppiati possono essere mantenuti, in misura limitata, per evitare l’abbandono della produzione;

§      il pagamento è condizionato al rispetto delle norme in materia di salvaguardia ambientale, di sicurezza alimentare e di protezione degli animali, come pure all’obbligo di mantenere la terra in buone condizioni agronomiche ed ambientali (“condizionalità”);

§      è potenziata la politica di sviluppo rurale (cd.”secondo pilastro”), cui verranno destinati maggiori stanziamenti per nuove misure a favore dell’ambiente, della qualità dei prodotti agricoli, del benessere animale, anche al fine di aiutare gli operatori del settore agricolo ad adeguarsi alle norme di produzione UE;

§      vengono ridotti i pagamenti diretti alle grandi aziende (“modulazione”) allo scopo di finanziare la nuova politica di sviluppo rurale;

§      il bilancio agricolo è fissato sino al 2013, con un meccanismo di disciplina finanziaria teso ad impedire sforamenti rispetto alle previsioni;

§      modifiche alla politica dei singoli mercati e delle relative organizzazioni comuni (OCM).

 

Nel corso deIla legislatura il  processo di attuazione della riforma, che ha avuto un importante aggiornamento nel 2004, con il Regolamento (CE) n. 583/2004, a seguito dell’allargamento dell’Unione ai 10 nuovi Stati membri, è proseguito su diversi versanti. Oltre alla adozione di  ulteriori regolamenti modificativi dei due principali provvedimenti applicativi, costituiti dalRegolamento n. 795/2004, recante modalità di applicazione del regime di pagamento unico, e dal regolamento n. 796/2004, recante modalità di applicazione della condizionalità, della modulazione e del sistema integrato di gestione e di controllo, si segnalano in particolare:

-       la definizione di un nuovo quadro normativo per quanto riguarda gli aiuti di Stato ammessi per il settore agricolo, con l’approvazione del nuovo Regolamento di esenzione dall’obbligo di notifica preventiva alla Commissione U.E.  per alcune tipologie di aiuti diretti alle piccole e medie imprese agricole[1]  (v. scheda Aiuti esenti da notifica in agricoltura, pag.

-       la semplificazione del quadro normativo relativo al ”primo pilastro” della PAC, con la riconduzione ad una sola fonte regolamentare[3] della disciplina relativa alle 21 OCM in precedenza esistenti (con la esclusione del settore ortofrutticolo e del vitivinicolo, oggetto di recenti riforme, che vi potranno confluire in un secondo tempo) ed a numerosi altri prodotti non inseriti in una OCM;

-       la riforma delle organizzazioni comuni di mercato di settori di particolare interesse per il nostro paese: l’ortofrutta[4](v. scheda La riforma della OCM ortofrutta, pag.

 

Parallelamente la Commissione europea ha avviato l’iter per la cd. “valutazione dello stato di salute” (Health check) della PAC riformata, che dovrebbe avere luogo nel corso del 2008.

Le linee di indirizzo proposte per la valutazione sono esposte nella comunicazione della Commissione al Parlamento europeo ed al Consiglio del 20 novembre 2007 (v. paragrafo Valutazione dello stato intermedio della PAC, pag.

In sintesi, la Commissione propone di:

-       semplificare il regime di pagamento unico per superficie con l’adozione graduale di una aliquota forfetaria, in luogo dei criteri attualmente adottati che fanno comunque riferimento ai livelli di produzione raggiunti in passato, a livello individuale o regionale;

-       restringere il campo di applicazione della condizionalità, semplificandone i criteri secondo una logica di costi-benefici;

-       valutare caso per caso le situazioni nelle quali si rende opportuno protrarre ulteriormente il regime di sostegno parzialmente accoppiato;

-       introdurre limiti massimi e soglie minime di accesso al pagamento unico.

La comunicazione della Commissione si sofferma quindi sulle questioni relative ad alcuni settori specifici (tra i quali quello delle quote latte, prevedendone la graduale estinzione) ed alle “nuove sfide” da affrontare, anche mediante un rafforzamento finanziario delle politiche di sviluppo rurale: gestione dei rischi in agricoltura, cambiamenti climatici, bioenergie, gestione delle risorse idriche e biodiversità.

 

Per quanto riguarda infine il cd secondo pilastro della PAC, con il 2007 si è aperto il nuovo ciclo di programmazione finanziaria (2007-2013) del Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale-FEASR.

Il Piano strategico nazionale per lo sviluppo rurale, che costituisce lo strumento per realizzare nella programmazione del FEASR il coordinamento tra priorità comunitarie, nazionali e regionali, è stato notificato dall’Italia alla Commissione Europea nel gennaio 2007; è quindi iniziato il negoziato sui singoli programmi trasmessi dalle regioni. (v. scheda Il PSN per lo sviluppo rurale, pag.


Competenze e strutture ministeriali

Nel corso della legislatura il Ministero agricolo ha dapprima mutato  competenze e denominazione, per effetto del decreto legge n. 181/2006[5]; la struttura organizzativa del Ministero è stata poi conseguentementeridefinita con un nuovo Regolamento di organizzazione[6].

 

Il decreto legge n. 181/2006 (art. 1, comma 9) ha attribuito al Dicastero agricolo (conseguentemente ridenominato “Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali”, ai sensi del comma 11) le competenze sui generi alimentari trasformati industrialmente (per l’innanzi assegnate al Ministero delle attività produttive, ora  per lo sviluppo economico”), previste dall’articolo 1 della legge n.199/1958; lo stesso D.L. n. 181/2006 (art. 1, comma 9-ter), ha poi riattribuito al MIPAAF le competenze in materia di “registrazione a livello internazionale di marchi associati ai segni identificativi delle produzioni di origine nazionale e la loro tutela giuridica internazionale”, che l’articolo 17 del decreto legislativo n.99 del 2004 assegnava alla società per azioni Buonitalia.

Successivamente, una ulteriore modifica alle competenze del MIPAAF è stata disposta dalla legge n. 296/2006[7] (legge finanziaria 2007) che, all’art. 1, comma 1047, ha affidato all’Ispettorato centrale per il controllo della qualità dei prodotti agroalimentari del MIPAAF (contestualmente definito come struttura dipartimentale del ministero) le funzioni statali in materia di vigilanza sugli organismi incaricati del controllo medesimo.

 

Il nuovo regolamento di organizzazione del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali (MIPAAF), approvato conil D.P.R. 9 gennaio 2008, n. 18, disciplina – con contestuale abrogazione del precedente regolamento di organizzazione recato dal D.P.R. 23 marzo 2005, n. 79, - la struttura organizzativa del Ministero, da un lato per adeguarla alle modifiche introdotte dai provvedimenti legislativi sopra citati, dall’altro in conformità al programma di riorganizzazione dei ministeri, finalizzato al contenimento delle spese di funzionamento, previsto dall’art. 1, commi 404-415, della legge n. 296/2006 - finanziaria 2007.

Il nuovo regolamento di organizzazione (v. scheda La riorganizzazione del MIPAAF, pag. 107) dispone che il Ministero sia strutturato nei seguenti tre dipartimenti, in luogo dei due (Dipartimento delle filiere agricole e agroalimentari; Dipartimento delle politiche di sviluppo) in precedenza previsti:

-       Dipartimento delle politiche europee ed internazionali;

-       Dipartimento delle politiche di sviluppo economico e rurale;

-       Ispettorato centrale per il controllo della qualità dei prodotti agroalimentari.

Al riguardo, le linee-guida seguite nella ridefinizione della struttura e delle competenze dei Dipartimenti  sono così sintetizzate nella relazione illustrativa:

-       concentrazione dell’azione a livello internazionale e comunitario per gli aspetti di mercato e dei sostegni diretti di cui al Regolamento (CE) n. 1782/2003 nel Dipartimento delle politiche europee ed internazionali;

-       concentrazione dell’azione a sostegno della competitività interna e delle politiche di filiera nonché dello sviluppo rurale di cui al Regolamento (CE) n. 1698/2005 nel Dipartimento delle politiche di sviluppo economico e rurale:

-       rafforzamento delle funzioni dell’Ispettorato centrale per il controllo della qualità dei prodotti agroalimentari.


Il riordino delle strutture consortili

Nel pur breve arco temporale della XV legislatura sono stati assai numerosi gli interventi che hanno interessato quelle peculiari strutture di natura consortile, a metà strada tra il privato ed il pubblico, che hanno storicamente svolto un ruolo di particolare rilievo per l’agricoltura italiana: i consorzi agrari ed i consorzi di bonifica e miglioramento fondiario.

 

Per quanto riguarda i consorzi agrari, gli interventi legislativi che si sono succeduti trovano la loro motivazione essenzialmente nelle difficoltà riscontrate nel processo di attuazione della riforma approvata con la legge n. 410/1999[8] (v. scheda I consorzi agrari, pag. 113), in particolare per quanto riguarda l’adeguamento degli statuti dei consorzi alle disposizioni civilistiche in materia di società cooperative e la conclusione delle procedure concorsuali da tempo avviate per la liquidazione dei numerosi consorzi che versano in stato di insolvenza.

Un primo intervento in questo ambito è stato realizzato con il D.L. n. 181/2006[9], che all’art. 1, comma 9-bis, è intervenuto sia sui consorzi in liquidazione coatta amministrativa, prevedendo la chiusura delle procedure entro il termine del 30 giugno 2007, sia sugli altri consorzi, prevedendo la cessazione dei commissari in carica e la ricostituzione degli organi statutari.

In particolare, per i consorzi posti in liquidazione coatta amministrativa la norma ha disposto la sostituzione dei commissari in carica alla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto legge con un commissario unico. Per tale sostituzione non è stato previsto alcun termine, che è invece stato indicato per la chiusura delle operazioni di liquidazione, cui deve provvedere il  commissario unico con il deposito degli atti di cui all’art. 213 del R.D. n. 267/1942 di disciplina del fallimento[10], entro il30 giugno 2007. Non si procede alla liquidazione nella ipotesi che entro il medesimo termine l’autorità vigilante abbia autorizzato l'impresa in liquidazione a proporre al tribunale un concordato in base alla procedura di cui all’art. 214 del medesimo regio decreto.

Infine, per tutti gli altri consorzi commissariati è disposto il ritorno in bonis e la fine del commissariamento con la cessazione dall’incarico entro il 31 dicembre 2006 dei commissari in carica e la ricostituzione degli organi statutari.

La norma, inoltre, ha:

-       stabilito che la vigilanza sui consorzi agrari è esercitata congiuntamente dal ministro dello sviluppo economico e da quello delle politiche agricole;

-       fissato il termine del 30 giugno 2007 per l’adeguamento statutario da parte dei consorzi agrari alle disposizioni del codice civile;

-       abrogato la legge 28 ottobre 1999, n. 410, fatta eccezione per alcune disposizioni espressamente individuate.

 

Successivamente la legge finanziaria 2007[11], all’art. 1, comma 1076, hadettato una interpretazione autenticadelle disposizioni di cui sopra, prevedendo che alla nomina di un commissario unico debba provvedersi in sostituzione di tutti i commissari, monocratici o collegiali, dei consorzi agrari in liquidazione. Tale sostituzione inoltre, che doveva riguardare i soli CAP in stato di liquidazione coatta amministrativa, è stata estesa dal menzionato comma 1076 anche a quelli in stato di concordato. Contestualmente il termine per la chiusura delle liquidazioni coatte amministrative in corso è stato differito al 31 dicembre 2007.

Tale termine è stato peraltro poi ulteriormente prorogato al 31 dicembre 2008 con l’art. 26, comma 1, del D.L. n. 248/2007[12], anche allo scopo di consentire la presentazione di una proposta di concordato sulla base dell’art. 124 del R.D. n. 267/1942[13]; contemporaneamente è stato prorogato al 31 dicembre 2008 anche iltermineper l’adeguamento statutario da parte dei consorzi agrari alle disposizioni del codice civile.

 

I Consorzi di bonifica e miglioramento fondiario

L’intervento per il riordino dei consorzi di bonifica e miglioramento fondiario, disciplinati dal R.D. n. 215/1933[14] (v. scheda I consorzi di bonifica e miglioramento, pag. 123) si colloca nel quadro delle misure finalizzate alla riduzione dei costi della politica  (v scheda Il dibattito sui costi della politica, nel dossier relativo alla Commissione affari costituzionali)che sono state adottate con la legge finanziaria 2008[15].

 

L’art. 2, comma 35, della citata legge finanziariadetta disposizioni sulla riduzione dei componenti dei consigli di amministrazione e degli organi esecutivi dei consorzi di bonifica e miglioramento fondiario, di cui al Capo I del titolo V del R.D. 13 febbraio 1933, n. 215, nonché dei consorzi tra comuni compresi nei bacini imbriferi montani, di cui all’art. 1 della legge 27 dicembre 1953 n. 959.

In particolare, il comma dispone che, entro un anno dalla data di entrata in vigore della legge, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano provvedano alla riduzione del numero dei componenti dei consigli di amministrazione e degli organi esecutivi dei consorzi tra comuni compresi nei bacini imbriferi montani, nonché dei consorzi di bonifica e miglioramento fondiario. La riduzione deve essere conforme a quanto disposto dall’art. 1, comma 729, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (finanziaria 2007) per le società partecipate totalmente da enti locali.

L’art. 1, comma 729, della finanziaria 2007 pone il limite numerico di tre componenti ai consigli di amministrazione delle società totalmente partecipate, anche in viaindiretta, da enti locali. Tale limite sale a cinque per le società il cui capitale, interamente versato, raggiunga o superi un determinato importo, il cui ammontare è stato fissato con il DPCM 26 giugno 2007 (G.U. 7 agosto 2007, n. 182). Per tutte le società miste, partecipate cioè anche da altri soggetti pubblici o privati, la norma dispone che il numero massimo dei componenti il consiglio di amministrazione designati dai soci pubblici locali (inclusi, se presenti, quelli di nomina regionale) non sia superiore a cinque. Entro i successivi tre mesi è fatto obbligo alle società di apportare i necessari adeguamenti statutari, nonché di adeguare eventuali patti parasociali.

 

L’articolo 27 del D.L. n. 248/2007[16] (c.d. milleproroghe), a seguito delle modifiche apportate in sede di conversione, interviene sul comma 35 in commento, precisando che la riduzione ivi prevista dei componenti dei consigli di amministrazione e degli organi esecutivi dei consorzi “non si applica ai membri eletti dai consorziati utenti che partecipano agli organi a titolo gratuito”.

Il medesimo articolo 27 del D.L. n. 248/2007 reca inoltre l’abrogazione dei commi 36 e 37 dell’articolo 2 della legge finanziaria 2007, i quali prevedevano, in alternativa alla riduzione del numero dei componenti dei consigli di amministrazione e degli organi esecutivi prevista dal comma 35, che le Regioni e le province autonome, d’intesa con lo Stato, potessero procedere alla soppressione o al riordino dei Consorzi di cui al medesimo comma 35.

Il contenuto dei commi 36 e 37 della L. finanziaria 2008 è peraltro riformulato,  con riferimento ai soli Consorzi di bonifica e miglioramento fondiario (nulla si dispone infatti rispettoai Consorzi tra comuni compresi nei bacini imbriferi montani), dal citato art. 27 del D.L. n. 248/2007[17], con il quale, in particolare, si dispone quanto segue:

-       le regioni possono procedere entro il 30 giugno 2008 (il termine era fissato dalla L. finanziaria al 1°gennaio 2009) al riordino dei consorzi di bonifica, “anche mediante accorpamento o eventuale soppressione di singoli consorzi”, secondo criteri definiti di intesa in sede di Conferenza Stato-Regioni, su proposta dei ministri delle politiche agricole, alimentari e forestali e delle infrastrutture;

-       sono fatti salvi le funzioni ed i compiti attualmente svolti dai Consorzi e le relative risorse, incluse le contribuzioni di carattere statale o regionale;

-       i contributi consortili devono essere contenuti nei limiti dei costi sostenuti per l’attività istituzionale;

-       dall’attuazione delle disposizioni di cui sopra non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.


Soggetti e attività in agricoltura

Nel quadro delle politiche volte alla modernizzazione del settore primario, che nel nostro Paese si contraddistingue per la scarsa diffusione di forme imprenditoriali di tipo professionale, per le ridotte dimensioni aziendali e per l’insufficiente ricambio generazionale, occupano un posto di rilievo gli interventi relativi alla ridefinizione delle figure giuridiche soggettive degli imprenditori agricoli ed ai connessi profili fiscali, all’introduzione di strumenti per il sostegno dell’imprenditoria giovanile, alla ricomposizione fondiaria ed aziendale.

Questi interventi hanno assunto notevole importanza nella XIV legislatura ed hanno trovato nel pur ristretto arco temporale della XV legislatura ulteriori significativi svolgimenti.

Una vicenda di particolare rilievo per le imprese agricole è poi stata quella relativa alla definizione delle modalità per la estinzione dei debiti contributivi nei confronti degli enti previdenziali. Si tratta di una vicenda che si è svolta a livello amministrativo, per la ricostruzione della quale si rinvia al resoconto stenografico della audizione del ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, De Castro, presso la Commissione agricoltura della Camera (17 ottobre 2006).

Misure di particolare interesse per le imprese ed i lavoratori del settore agricolo sono inoltre contenute nella legge n. 247/2007 di attuazione del protocollo sul welfare[18], che ha modificato la normativa in materia di disoccupazione agricola, al fine di rendere omogenee, con riferimento alla misura e alla durata delle provvidenze erogate, le discipline relative all’indennità ordinaria di disoccupazione e ai trattamenti speciali di disoccupazione per i lavoratori agricoli, ed ha previsto misure di incentivazione per nuove assunzioni in agricoltura e per promuovere l’osservanza della normativa in materia di salute e sicurezza dei lavoratori nel settore agricolo, caratterizzato da un’alta percentuale di infortuni sul lavoro. Su questi temi si vedano i capitoli Ammortizzatori sociali, e Misure per promuovere l’occupazione, nel dossier relativo alla Commissione lavoro.

 

Per quanto riguarda le figure giuridiche soggettive, il decreto legislativo n. 99 del 2004[19] ha introdotto nell’ordinamento la nuova figura dell’imprenditore agricolo professionale (IAP)[20] e definito una nuova disciplina delle società agricole[21]. In particolare, per quanto riguarda la promozione della forma societaria in agricoltura, alle società agricole qualificate come IAP sono state estese le agevolazioni tributarie in materia di imposizione indiretta e creditizie previste per i coltivatori diretti. Le medesime agevolazioni sono riconosciute anche alle società agricole di persone in cui almeno un socio sia coltivatore diretto e alle società agricole di capitali e cooperative in cui almeno un socio sia coltivatore diretto.

La legge finanziaria 2007[22] ha completato, sotto il profilo fiscale, il disegno delineato dal D.Lgs. n. 99/2004, estendendo le agevolazioni previste per le società agricole anche alle imposte dirette

Le disposizioni contenute nell’art. 1, commi 1093 e 1095, della finanziaria 2007 consentono infattialle società di persone, alle società a responsabilità limitata ed alle società cooperative, che siano società agricole, di optare per l’applicazione di un regime fiscale più favorevole, cioè di essere tassate in base al reddito catastale agrario, disciplinato dall’articolo 32 del testo unico delle imposte sui redditi (TUIR)[23], anziché con le ordinarie regole del reddito d’impresa applicabili in via generale alle società ai sensi dell’art. 81 del medesimo TUIR. Pertanto in base al comma 1093, ed in virtù del rinvio all’articolo 2 del decreto legislativo n. 99 del 2004, come modificato dal successivo comma 1096, le agevolazioni fiscali, consistenti nella tassazione del reddito agrario su base catastale, sono possibili per tutte le società agricole aventi forma di società a responsabilità limitata o di società di persone o di società cooperativa, a prescindere dal fatto di essere imprenditori agricoli professionali,come è invece richiesto per usufruire delle agevolazioni in materia di imposte indirette (es. nel caso di cessione di terreni).

Le disposizioni attuative sono state quindi emanate, ai sensi del citato comma 1095, con il D.M. n. 213/2007[24].

L’art. 1, comma 1096, della finanziaria 2007 ha inoltre abrogato la norma[25] in base alla quale, in ogni caso le agevolazioni, se richieste dalla società, non potevano essere riconosciute anche al coltivatore diretto socio o amministratore. In seguito a tale abrogazione quindi, le agevolazioni fiscali ai fini delle imposte indirette e quelle creditizie previste dal comma 4 dell'art. 2 del D.Lgs. 99/2004 saranno fruibili sia in capo ai coltivatori diretti che alle società agricole di persone, ovvero di capitali o cooperative, di cui essi siano rispettivamente soci o amministratori.

Un altro tipo di agevolazione tributaria è stato poi introdotto dall’art. 1, comma 1094, della finanziaria 2007, il quale prevede che le società a responsabilità limitata, in nome collettivo e in accomandita semplice si considerino imprenditori agricoli se provvedono esclusivamente alla trasformazione, manipolazione, conservazione, valorizzazione e commercializzazione dei prodotti agricoli ceduti dai soci, determinandosi in questo caso il reddito in misura forfetaria, con applicazione all’ammontare dei ricavi di un coefficiente di redditività del 25%. L’art. 1, comma 177, della finanziaria 2008[26], hapoi reso opzionale tale determinazione forfetaria.

 

Per quanto concerne l’imprenditoria agricola giovanile, la legge finanziaria 2007 (art. 1, commi 1068-1071) haistituito presso il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali un Fondo per lo sviluppo dell’imprenditoria giovanile in agricoltura, con una disponibilità finanziaria di 10 milioni di euro per il quinquennio 2007-2011, le cui modalità di funzionamento verranno definite, in coerenza con la normativa comunitaria in materia di aiuti di Stato nel settore agricolo, con un decreto di natura non regolamentare del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali.

Nello scorcio finale della legislatura il Governo ha poi presentato alle Camere uno schema di decreto legislativo recante disposizioni correttive ed integrative dei decreti legislativi nn. 227/2001, 99/2004 e 102/2005 sulla modernizzazione e regolazione dei mercati in agricoltura[27], contenente tra l’altro disposizioni in materia di imprenditoria giovanile. Lo schema è stato predisposto ai sensi della delega conferita al Governo dall’art. 1, comma 12, della legge n. 228/2006[28], il termine per l’esercizio della quale scadrà il 13 luglio 2008; il relativo decreto legislativo non è stato tuttavia emanato nel corso della legislatura[29].

Lo schema prevede in particolare l’estensione a tutto il territorio nazionale ed al settore della trasformazione e commercializzazione dei prodotti agricoli le agevolazioni per l’imprenditoria agricola giovanile, di cui al D.Lgs. n. 185/2000[30], eliminando nel contempo il requisito del subentro ad un familiare per l’accesso alle agevolazioni in questione; ciò in aderenza alle nuove disposizioni comunitarie nel frattempo intervenute (Regolamenti CE nn. 70/2001 e 1857/2006).

 

Per quanto riguarda infine la ricomposizione fondiaria, la legge finanziaria 2007 (art. 1, comma 1081) autorizza la Cassa depositi e prestiti a concedere all’ISMEA mutui ventennali di incentivo della formazione della piccola proprietà coltivatrice, con pagamento degli interessi a carico dello Stato, per il quale è stabilito il limite d’impegno di 2 milioni di euro annui, che possono essere iscritti in bilancio a decorrere dall’anno 2007.L’attività di incentivazione della proprietà coltivatrice deve avvenire sulla base della legge n. 817/1971[31].

La semplificazione amministrativa

La semplificazione degli adempimenti amministrativi a carico delle imprese agricole rappresenta una chiave di lettura sotto la quale possono essere riuniti diversi interventi normativi che si sono succeduti nel corso della legislatura.

 

In primo luogo deve essere segnalato un intervento che intende semplificare l’avvio di nuove attività imprenditoriali, e che riguarda la generalità delle imprese, comprese quelle agricole. Si tratta della disposizione contenuta nell’art. 9 del D.L. n. 7/2007[32], la quale prevede che gli adempimenti amministrativi a carico delle imprese per l’iscrizione nel Registro delle imprese, a fini previdenziali, assistenziali e fiscali, siano sostituiti da una comunicazione unica all’Ufficio del registro delle imprese delle Camere di commercio, il quale rilascia una ricevuta che costituisce titolo per l’immediato avvio dell’attività imprenditoriale (v. scheda Semplificazione per l’avvio di impresa, nel dossier relativo alla Commissione attività produttive).

 

Un altro filone di intervento riguarda invece gli adempimenti relativi all’aggiornamento dei redditi fondiari e delle banche dati catastali. In questo caso la semplificazione si inserisce in un contesto che è primariamente rivolto al recupero di base imponibile ai fini fiscali(v. capitolo Emersione della base imponibile, nel dossier relativo alla Commissione finanze).

L’art. 2, comma 33, del D.L. n. 262/2006[33], ha modificato l’obbligo di denuncia di variazione del reddito dominicale, previsto dall’articolo 30 del TUIR[34] nel caso di variazioni colturali, per i soggetti che richiedano i contributi agricoli comunitari agli organismi pagatori, in base ai regolamenti (CE) n. 1782/2003 e n. 796/2004.

In base alla nuova norma, a decorrere dal 1° gennaio 2007 le dichiarazioni relative all’uso del suolo sulle singole particelle catastali rese dai soggetti interessati nell’ambito degli adempimenti dichiarativi presentati ai fini dell’erogazione dei contributi agricoli comunitari, esonerano i soggetti tenuti all’adempimento di denunciare la variazione del reddito dominicale, considerandosi sostitutivi di tale dichiarazione di variazione colturale.

Il comma 34 nel testo del D.L. n. 262, ha stabilito inoltre che utilizzando proprio tali dichiarazioni relative all’uso del suolo sulle singole particelle già presentate dai contribuenti nell’anno 2006 e messe a disposizione dell’Agenzia del territorio dall’Agenzia per le erogazioni in agricoltura (AGEA), l’organismo nazionale cui sono demandate la gestione e il controllo dell’attuazione della Politica Agricola Comune (PAC), avvenga, in sede di prima applicazione, l’aggiornamento dei dati della banca dati catastale.

Tali disposizioni sono state poi più volte modificate, anche per rendere più facilmente conoscibili ai contribuenti le risultanze degli atti di aggiornamento catastale effettuate dall’Agenzia del territorio, con i seguenti provvedimenti:

-     art. 1, comma 339, della legge finanziaria 2007[35];

-          art. 26-bis del D.L. n. 159/2007[36];

-     art. 1, comma 273, della legge finanziaria 2008[37].

 

Nello scorcio finale della legislatura il Governo ha poi presentato uno schema di decreto legislativo recante disposizioni correttive ed integrative dei decreti legislativi nn. 227/2001, 99/2004 e 102/2005 sulla modernizzazione e regolazione dei mercati in agricoltura[38], contenente tra l’altro numerose disposizioni di semplificazione amministrativa. Lo schema, predisposto ai sensi della delega conferita al Governo dall’art. 1, comma 12, della legge n. 228/2006[39], il termine per l’esercizio della quale scadrà il 13 luglio 2008, non è stato tuttavia emanato nel corso della legislatura[40].

L’art. 2 dello schema proposto dal Governo reca disposizioni definite come di semplificazione amministrativa nel settore vitivinicolo, le quali:

-        prevedono l’attivazione in via informatica nell’ambito del Servizio Informativo Agricolo Nazionale (SIAN) di un fascicolo aziendale per ciascuna impresa imbottigliatrice;

-        dispongono che l’albo degli imbottigliatori sia suddiviso in due sezioni, una per le imprese che imbottigliano in proprio e l’altra per le imprese che fanno eseguire a terzi le operazioni di imbottigliamento;

-        modificano le norme sulla denuncia delle uve destinate alla produzione di vini doc o igt, prevedendone la presentazione, sulla base dei dati del fascicolo aziendale, al SIAN, con messa a disposizione dei dati mediante i servizi del SIAN per gli enti interessati (Comune, Provincia, Camera di commercio, organismi di controllo, Consorzi di tutela);

-        abrogano gli artt. 14 (denuncia delle superfici vitate) e 15 (albo dei vigneti ed elenco delle vigne) della legge n. 164/1992[41], sostituendo i riferimenti all’albo ed all’elenco citati contenuti in altre parti della legge n. 164/1992 con quelli al fascicolo aziendale di cui al decreto in esame;

-        prevedono l’esclusione dei locali ad uso cantina con capienza complessiva dei recipienti inferiore a 100 ettolitri dall’ambito di applicazione della legge n. 82/2006[42];

-        affidano a decreti del Ministro delle politiche alimentari e forestali, adottati d’intesa con la Conferenza Stato-Regioni: l’esecuzione dei regolamenti comunitari in materia vitivinicola; la disciplina delle modalità di tenuta e compilazione dei documenti di accompagnamento dei prodotti vitivinicoli previsti dalla normativa comunitaria; la disciplina delle modalità di tenuta e aggiornamento dei registri vitivinicoli previsti dalla normativa comunitaria (in questo caso il decreto è emanato di concerto con i ministri della salute e dell’economia);

-        abrogano l’obbligo per i laboratori di analisi di effettuare sistematicamente la ricerca dei denaturanti per ogni prodotto vinoso analizzato (art. 14, comma 8, della L. n. 82/2006).

Il parere favorevole condizionato espresso sullo schema di decreto dalla Commissione agricoltura della Camera il 31 marzo 2008 richiede, in recepimento delle proposte contenute nel parere della Conferenza Stato-regioni, alcune integrazioni e modifiche alle disposizioni di cui sopra[43], nonché l’introduzione di ulteriori norme di semplificazione, riferite all’intero comparto agricolo.

Particolare rilievo sembrano assumere le disposizioni che:

-        delineano in modo sistematico il ruolo del fascicolo aziendale (disciplinato dall’art. 9 del D.P.R. n. 503/1999 e dall’art. 13 del D.Lgs. n. 99/2004) quale strumento centrale e tendenzialmente esclusivo nei rapporti tra imprese agricole e pubbliche amministrazioni, sviluppando ed integrando le disposizioni già contenute al riguardo nell’art. 14, comma 8, del D.Lgs. n. 99/2004. Si prevede così l’obbligo per AGEA, Regioni e organismi pagatori di consentire a ciascuna impresa agricola, entro il 31 dicembre 2008, la consultazione tramite i servizi del SIAN del proprio fascicolo aziendale e degli atti amministrativi connessi. Le informazioni risultanti dal fascicolo aziendale sono l’unica fonte per l’accesso agli aiuti comunitari e per qualsiasi adempimento dichiarativo a carico delle imprese e sono trasmesse, con le modalità di cui agli articoli 13 e 14 del Decreto legislativo n. 99/2004, a tutte le amministrazioni pubbliche. Le domande per l’accesso a provvidenze ed aiuti comunitari, nazionali e regionali possono essere presentate solamente da imprese agricole con un fascicolo aziendale regolarmente costituito e certificato;

-        definiscono un meccanismo semplificato per il recupero delle somme dovute dai produttori agricoli a titolo di rimborso di provvidenze ed aiuti comunitari e nazionali. Tale meccanismo si basa sul presupposto giuridico, definito nel comma 13-bis, della unicità del rapporto intercorrente tra produttori agricoli ed Unione europea, nell’ambito delle misure di finanziamento della PAC di cui al regolamento (CE) n. 1290/2005. Su questo presupposto viene istituito presso L’AGEA il Registro nazionale dei debiti connessi al predetto Regolamento (CE) n. 1290/2005, nel quale sono i scritti, mediante i servizi del SIAN, tutti gli importi accertati a debito dei produttori agricoli, risultanti dai registri degli organismi pagatori; nel registro sono iscritti anche gli importi dovuti a titolo di prelievo supplementare del regime delle quote latte. L’iscrizione delle somme dovute nel registro ha un duplice effetto: da un lato costituisce titolo esecutivo per la riscossione coattiva, dall’altro fa scattare un obbligo di compensazione a carico degli organismi pagatori i quali, in sede di erogazione di provvidenze ed aiuti comunitari ed anche nazionali, sono tenuti a versare all’Agea le somme che risultino dovute dal beneficiario delle provvidenze, a titolo di estinzione del precedente debito.


Le filiere agroalimentari

La normativa per la promozione ed il sostegno delle filiere agroalimentari ècontenuta essenzialmente nel decreto legislativo n. 102/2005[44] (adottato in attuazione della legge n. 38 del 2003, c.d. collegato agricolo) (v. scheda Le intese di filiera e i contratti quadro, pag. 155).

Si tratta di un complesso di strumenti per la regolazione dei mercati agroalimentari, riconducibili a quella particolare forma di regolamentazione concordata tra soggetti pubblici e privati introdotta, a livello generale, dall’articolo 2, comma 203, della legge n. 662 del 1996, la quale ha dettato una prima disciplina organica della c.d. programmazione negoziata.

Nel corso della legislatura sono stati realizzati dapprima alcuni interventi volti ad estendere l’ambito di applicazione della normativa sopra indicata nei settori forestale e delle agroenergie; nello scorcio finale della legislatura, quindi,  il Governo ha proposto, nell’ambito di uno schema  di decreto legislativo recante disposizioni correttive ed integrative dei decreti legislativi nn. 227/2001, 99/2004 e 102/2005 sulla modernizzazione e regolazione dei mercati in agricoltura, alcuni interventi  di modifica alla normativa in materia di intese di filiera, contratti quadro e organizzazioni di produttori. Il decreto legislativo non è stato tuttavia emanato nel corso della legislatura.

 

Un primo intervento di estensione dell’ambito di applicazione della normativa sopra indicata è stato realizzato, con riferimento al settore forestale, dalla legge finanziaria 2007[45].

In connessione con la previsione (art. 1, comma 1082) relativa alla predisposizione di un programma quadro destinato a favorire una gestione sostenibile del territorio e valorizzare la multifunzionalità degli ecosistemi forestali, l’art. 1, comma 1083, della finanziaria per il 2007 estende infatti al settore forestale le forme di accordo previste dagli articoli 9 e 10 del decreto legislativo 27 maggio 2005, n. 102, ovvero le intese di filiera o il contratto quadro, che potranno perseguire i seguenti scopi ulteriori:

§      l'integrazione della filiera forestale con quella agroenergetica;

§      la valorizzazione, la produzione, la distribuzione e la trasformazione di biomasse derivanti da attività forestali;

§      lo sviluppo della filiera legno.

Il secondo periodo del comma 1083 prevede che, in attuazione degli articoli 11, 12 e 13 del D.Lgs. 102/2005, contratti di coltivazione e fornitura possano essere stipulati dai seguenti soggetti:

§      organismi che operano per la gestione forestale in forma associata

§      le imprese di lavorazione e distribuzione del legno e di utilizzazione della biomassa forestale a fini energetici

§      nonché i soggetti interessati, pubblici o privati.

 

Nel settore delle agroenergie (v. capitolo Le agro energie, pag. 45), considerato strategico per le prospettive di sviluppo del comparto agricolo in una dimensione di multifunzionalità, il riferimento agli strumenti di regolazione del mercato di cui al D.Lgs. n. 102/2005 è stato utilizzato al livello massimo di possibile incidenza sulle scelte degli operatori, cioè come elemento condizionante l’accesso ai meccanismi di incentivazione previsti per favorire lo sviluppo del settore.

L’art. 26, comma 4-bis, del D.L. n. 159/2007[46], novellando l’art. 1, comma 382, della legge n. 296/2006 (finanziaria 2007) e aggiungendovi i commi da 382-bis a 382-septies, ha infatti definito una nuova disciplina dei meccanismi di incentivazione della produzione di energia elettrica mediante impianti alimentati da biomasse e biogas derivanti da prodotti agricoli, di allevamento e forestali: tale disciplina riguarda gli impianti autorizzati in data successiva al 31 dicembre 2007 ed è espressamente limitata alle biomasse e biogas ottenuti nell’ambito di intese di filiera o contratti-quadro, oppure nell’ambito di filiere corte (ottenuti cioè entro un raggio di 70 km dall’impianto utilizzatore).

La ratio di tale limitazione è riconducibile alla necessità di garantire le finalità di tutela ambientale sottese alla incentivazione dell’uso di fonti energetiche rinnovabili (congiuntamente a quelle relative alla crescente scarsità delle risorse tradizionali). I differenziali di prezzo tra le materie prime agricole utilizzabili per la produzione di biocarburanti sono infatti così elevati, sul mercato mondiale, da provocare lo spostamento delle medesime materie prime da una parte all’altra del globo, di modo che il bilancio energetico e di impatto ambientale relativo all’intero ciclo di produzione, distribuzione ed utilizzazione dei biocarburanti rischia di diventare negativo.

Occorre tuttavia segnalare che la limitazione delle incentivazioni ai soli prodotti ottenuti nell’ambito di intese di filiera o contratti quadro, nonché, in particolare, nell’ambito di filiere corte (ossia entro un raggio di 70 chilometri dall’impianto che li utilizza), potrebbe presentare profili di compatibilità con la normativa comunitaria. Già in precedenza, d’altra parte, l’Autorità garante della concorrenza e del mercato aveva segnalato, con riferimento a disposizioni volte a riconoscere benefici a favore del biodiesel proveniente da intese di filiera o contratti quadro, che trattasi di misure restrittive della concorrenza, in quanto di carattere discriminatorio tra operatori del medesimo settore (parere AS 368 del 31 ottobre 2006).

Nello scorcio finale della legislatura il Governo ha poi presentato uno schema di decreto legislativo recante disposizioni correttive ed integrative dei decreti legislativi nn. 227/2001, 99/2004 e 102/2005 sulla modernizzazione e regolazione dei mercati in agricoltura[47], contenente tra l’altro disposizioni in materia di intese di filiera, contratti quadro, organizzazioni di produttori. Lo schema è stato presentato ai sensi della delega conferita al Governo dall’art. 1, comma 12, della legge n. 228/2006[48], il termine per l’esercizio della quale scadrà il 13 luglio 2008; il relativo decreto non è stato tuttavia emanato nel corso della legislatura[49].

In particolare, l’articolo 4 dello schema proposto dal Governo prevede le seguenti modifiche al D.Lgs. n. 102/2005 in materia di regolazione dei mercati:

-        svincola la sottoscrizione dei contratti quadro dalla necessità di preventiva definizione di una intesa di filiera e ne consente la sottoscrizione anche a singole grandi imprese di rilevanza nazionale (cioè con fatturato superiore a 200 milioni di euro o quote di mercato superiori al 15% del prodotto in questione);

-        sottrae le vendite effettuate direttamente dai soci aderenti alle organizzazioni di produttori dal computo della quota minima di produzione (75%) che i soci medesimi  devono obbligarsi a vendere tramite l’organizzazione;

-        prevede il riconoscimento diretto come O.P. (senza necessità quindi di uno specifico provvedimento regionale, richiesto in via generale dall’art. 4 del D.Lgs. n. 99/2004) delle cooperative agricole e dalle altre società costituite da imprenditori agricoli ai sensi dell’art. 3, comma 1, del D.Lgs. n. 99/2004, le quali comunichino alle Regioni il possesso dei requisiti previsti dal medesimo art. 3; ciò in quanto, afferma la relazione illustrativa, “per tali  soggetti sussiste l’obbligo di legge che i componenti della società siano esclusivamente imprenditori agricoli e che conferiscano la maggior parte della produzione alle società stesse”;

-        affida ad un decreto del Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, da emanarsi, d’intesa con la Conferenza Stato-Regioni, entro il 31 dicembre 2008, la definizione di requisiti minimi delle O.P. in termini di produttori aderenti e di produzione commercializzata direttamente, in coerenza con la normativa comunitaria e le indicazioni dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato[50].

Il parere favorevole condizionato espresso sullo schema di decreto dalla Commissione agricoltura della Camera il 31 marzo 2008 richiede, in recepimento delle proposte contenute nel parere della Conferenza Stato-regioni, alcune integrazioni e modifiche alle disposizioni di cui sopra:

In particolare:

-        la disposizione che prevede il riconoscimento diretto come O.P. (senza necessità quindi di uno specifico provvedimento regionale, richiesto in via generale dall’art. 4 del D.Lgs. n. 99/2004) delle cooperative agricole e dalle altre società costituite da imprenditori agricoli ai sensi dell’art. 3, comma 1, del D.Lgs. n. 99/2004, è modificata prevedendo la presentazione alle regioni da parte delle cooperative, in luogo della semplice comunicazione, di una istanza di riconoscimento alla quale si applica il meccanismo del silenzio-assenso;

-        è eliminata la norma che affida ad un decreto del Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, da emanarsi, d’intesa con la Conferenza Stato-Regioni, entro il 31 dicembre 2008, la definizione di requisiti minimi delle O.P. in termini di produttori aderenti e di produzione commercializzata direttamente, in coerenza con la normativa comunitaria e le indicazioni dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato.


I prezzi dei prodotti agroalimentari

L’andamento dei prezzi dei prodotti agroalimentari è per evidenti ragioni oggetto di particolare attenzione da parte dei consumatori.

Negli ultimi anni tale andamento ha suscitato notevoli preoccupazioni, per la  concomitanza di fattori negativi di ordine interno ed internazionale.

Sul piano internazionale, l’aumento dei prezzi dei prodotti alimentari è  connesso alla forte crescita della domanda proveniente dai paesi emergenti ed alla tendenziale riduzione dei raccolti, dipendente sia da negativi andamenti climatici, sia dalla maggiore utilizzazione di aree agricole per produzioni bio-energetiche[51].

Sul piano interno incidono negativamente sia la struttura estremamente allungata della catena di trasmissione dal produttore al consumatore finale, sia la crescente pressione dei prezzi dell’energia, anche per quanto riguarda il costo dei trasporti. 

Il problema della formazione dei prezzi lungo le filiere agroalimentari, e della necessità di rendere pubblici eventuali fenomeni speculativi in modo da consentire al consumatore di orientarsi verso acquisti che premino comportamenti virtuosi, è stato quindi ben presente all’attenzione del legislatore.

Già nella XIV legislatura, con l’articolo 2 del DL 182/2005[52], è stato attribuitoalla Guardia di finanza e all’Agenzia delle entrate il compito di realizzare, sulla base delle direttive impartite dal Ministro dell’economia, un più stretto controllo dei prezzi lungo le filiereproduttive agroalimentari nelle quali gli stessi abbiano manifestato un andamento anomalo.

 

 All’inizio della XV legislatura, il D.L. n. 223/2006[53] con l’articolo 9 comma 1 ha disposto ulteriorimisure per il sistema informativo sui prezzi dei prodotti agro-alimentari, prevedendo che entrambi i Ministeri dell’agricoltura e dello sviluppo consentano alle regioni ed agli enti locali di collegarsi con i sistemi informativi ad essi afferenti. Poiché lo scopo è sempre quello di promuovere una più diffusa informazione del consumatore sui prezzi all’ingrosso e al dettaglio dei prodotti agro-alimentari, le disposizioni richiedono anche che i dati aggregati siano resi pubblici anche mediante la pubblicazione su internet, su testate giornalistiche (con stipula di convenzioni gratuite), con emittenti radio-televisive e con gestori del servizio di telefonia.

Con decreto interministeriale in data 22 dicembre 2006 i Ministri dello sviluppo economico e delle politiche agricole hanno approvato le direttive per l’attuazione sperimentale delle disposizioni di cui sopra.

 

Un ulteriore pacchetto di interventi per promuovere la trasparenza dei prezzi dei prodotti alimentari è stato poi adottato con l’art. 2, commi da 127 a 132, della legge finanziaria 2008[54].

Tale intervento si colloca in un più vasto ambito di attenzione al controllo dei prezzi: l’art. 2, commi 196-203, della medesima legge finanziaria (v. capitolo Tutela dei consumatori, nel dossier relativo alla Commissione attività produttive) ha istituito infatti  l”Autorità garante per la sorveglianza dei prezzi”, che deve sovrintende alla tenuta e all’elaborazione delle informazioni che provengono dagli “uffici prezzi” delle camere di commercio, dall'ISTAT, dalla Presidenza del Consiglio, nonché dai competenti uffici del MIPAAF.

Per quanto riguarda specificamente i prodotti alimentari, si prevede (comma 127 citato) che l'Osservatorio del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali[55] verifichi la trasparenza dei prezzi dei prodotti alimentari, con particolare riferimento a quelli al dettaglio, integrando le rilevazioni che debbono essere effettuate ai sensi dell'articolo 127, comma 3 della legge 23 dicembre 2000, n. 388. Oltre ad assicurare la trasparenza del mercato, le verifiche debbono perseguire il fine di contrastare l'andamento anomalo dei prezzi delle filiere agroalimentari, allo scopo di assicurare una tutela del consumatore, la leale concorrenza tra gli operatori e la difesa del made in Italy. I dati aggregati rilevati dall’Osservatorio del MIPAAF dovranno essere resi pubblici, almeno con cadenza settimanale, mediante la pubblicazione sul sito internet del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali e con la stipula di convenzioni gratuite con testate giornalistiche ed emittenti radio televisive e gestori del servizio di telefonia (comma 128). All'Ispettorato centrale per la qualità, struttura dipartimentale del Ministero delle politiche agricole, è attribuito (comma 129) il compito di svolgere i controlli nelle filiere agroalimentari in cui l’ISMEA abbia rilevato ai sensi del comma 1 un andamento anomalo dei prezzi. L’operato dell’ICQ si inserisce nell’ambito dei programmi di controllo ad esso affidati dall’articolo 2, comma 1, lettera b), del decreto-legge 9 settembre 2005, n. 182, e si affianca così all’attività di controllo svolta dalla Guardia di finanza e dell’Agenzia per le entrate ai sensi della lettera a) della norma citata del D.L. n. 182/2005. Il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali riferisce al Presidente del Consiglio dei ministri sugli esiti delle attività di controllo svolte dall’ICQ, formulando le proposte per l’adozione da parte del Governo di adeguate misure correttive dei fenomeni di andamento anomalo nelle filiere agroalimentari (comma 130), ed è altresì incaricato (comma 131) di  promuovere, d’intesa con gli enti locali, l’organizzazione di panieri di prodotti alimentari di generale e largo consumo; il ministero deve anche promuovere l’attivazione di forme di comunicazione al pubblico, anche attraverso strumenti telematici, degli elenchi degli esercizi commerciali presso i quali gli individuati panieri sono disponibili, nonché degli esercizi meritevoli in ragione dei prezzi praticati.

 

Si segnala infine che l’Autorità Garante della concorrenza e del mercato ha concluso il 7 giugno 2007 una indagine conoscitiva sulla distribuzione agroalimentare, con particolare riguardo al settore dei prodotti ortofrutticoli, avviata il 1° giugno 2005[56].

L’indagine, come si legge nella premessa del documento approvato dall’ Autorità“ ha preso spunto anche dalla diffusa percezione di un incremento dei prezzi dei prodotti ortofrutticoli avvenuto in concomitanza con il processo di conversione della lira nell’Euro”, e si è prefissa pertanto di analizzare il funzionamento della filiera distributiva del comparto ortofrutticolo per verificare se le sue caratteristiche strutturali ed organizzative siano tali da ostacolare, tramite specifiche inefficienze e/o deficit concorrenziali, una corretta trasmissione dei prezzi lungo la catena distributiva, con conseguente creazione di effetti moltiplicativi sui prezzi degli ortaggi e della frutta.

Nelle osservazioni conclusive il documento auspica una ulteriore crescita del ruolo della Grande Distribuzione Organizzata (GDO), che nel settore dell’ortofrutta ha ancora una quota di mercato (circa il 50%) largamente inferiore a quella media per gli altri settori, che è circa del 70%; tale crescita dovrebbe andare in sostituzione soprattutto dei tradizionali negozi di frutta e verdura, ed essere però realizzata in condizioni di reale tensione competitiva tra le diverse catene.

Una presenza più significativa della GDO promuoverebbe infatti un assetto più efficiente dell’intera filiera distributiva, ad esempio attraverso la concentrazione dei servizi logistici in capo a piattaforme realizzate presso i mercati all’ingrosso ovvero attraverso una spinta all’aggregazione dell’offerta.

Ciò in quanto, come sottolinea il documento, le modalità di approvvigionamento della GDO, “richiedono a tale tipologia distributiva di confrontarsi necessariamente con interlocutori grandi ed organizzati, non sempre presenti per tutti i prodotti del comparto, soprattutto con riferimento a quelli orticoli. In particolare, le necessità della GDO (in termini di completezza dell’assortimento, continuità e standardizzazione degli assortimenti, centralizzazione dei servizi logistici e di controllo), a fronte di un’offerta agricola caratterizzata da un’estrema frammentazione dei produttori, nonché da un’erraticità intrinseca nelle disponibilità, nei prezzi e negli standard qualitativi, fanno si che tale tipologia distributiva possa sfruttare appieno le proprie potenzialità competitive soltanto nella misura in cui riesce, per una percentuale consistente dei propri approvvigionamenti, ad accorciare la catena distributiva, rivolgendosi a produttori, o a organizzazioni di produttori, di dimensioni sufficienti a soddisfare almeno buona parte della domanda della catena e a stabilizzare conseguentemente il rapporto di fornitura e i prezzi”.


La gestione dei rischi in agricoltura

Nel corso della legislatura sono proseguiti gli interventi relativi alla gestione dei rischi in agricoltura, rispetto ai quali nella XIV legislatura si era andata definendo una politica di razionalizzazione basata su due fondamentali linee direttrici:

-       l’ammodernamento degli strumenti e delle forme di sostegno per i rischi connessi ad eventi atmosferici e calamitosi già previsti dalla normativa vigente, secondo un processo di sviluppo che ha trovato compiuta sistemazione con il decreto legislativo n. 102 del 2004[57];

-       l’individuazione di nuove forme di intervento pubblico, tese a stabilizzare il reddito dei produttori in situazioni di “crisi di mercato”, a fronte delle numerose crisi produttive che hanno colpito vari settori (soprattutto nel settore ortofrutticolo e nel meridione d’Italia, ove si sono registrate sensibili riduzioni dei prezzi all’origine)[58].

Per quanto riguarda i rischi connessi alle calamità sono stati adottati alcuni provvedimenti riferiti a specifiche situazioni di emergenza; nello scorcio finale della legislatura, poi, il Governo ha proposto, con uno schema di decreto correttivo del D.Lgs. n. 102/2004, un provvedimento di riordino della normativa sul fondo di solidarietà nazionale in agricoltura (FSN), che è lo strumento ordinario di intervento destinato a far fronte ai danni alle produzioni agricole e zootecniche a fronte di calamità naturali o eventi eccezionali; il relativo decreto legislativo non è stato tuttavia emanato nel corso della legislatura.

Una prima situazione di emergenza, quella relativa alla crisi del settore avicolo connessa alla influenza aviaria, ha dato luogo, dopo i provvedimenti già adottati nel corso della XIV legislatura[59], alle misure disposte con il D.L. n. 300/2006[60], che all’art. 2, comma 3, ha disposto il differimento del pagamento dei contributi o premi previdenziali e assistenziali e degli adempimenti e versamenti tributari da parte degli allevatori avicoli, delle imprese di macellazione e trasformazione di carne avicola nonché mangimistiche operanti nella filiera e degli esercenti attività di commercio all'ingrosso di carni avicole, entrate in crisi in seguito al possibile sviluppo in Italia dell’influenza aviaria. Il successivo comma 4 ha altresì esteso a qualsiasi emergenza si verifichi nel settore zootecnico i compiti attribuiti al Commissario straordinario per la BSE dall’art. 7-bis del D.L. 1/2001, e nel contempo ne ha prorogato la istituzione al 31 dicembre 2007[61].

Successivamente, l’art. 2, comma 135, della legge finanziaria 2008[62] ha stanziato 50 milioni di euro per la concessione di aiuti alle aziende viticole siciliane colpite nel corso del 2007 dalla peronospora (plasmopora fungina). Gli aiuti sono disposti per le aziende in conseguenza dell’anomalo andamento climatico che ha colpito la regione e per le quali conseguentemente si può invocare uno stato assimilabile alle calamità naturali[63]. Lo stanziamento è trasferito alla regione Sicilia, che erogherà gli aiuti in conformità alla norma in commento ed al Regolamento (CE) n. 1857/2006.

Nello scorcio finale della legislatura il Governo ha poi presentato alle Camere uno schema di decreto legislativo recante disposizioni correttive ed integrative al D.Lgs. n. 102/2004 sugli interventi finanziari a sostegno delle imprese agricole[64]. Lo schema è stato predisposto ai sensi della delega conferita al Governo dall’art. 1, comma 12, della legge n. 228/2006[65], il termine per l’esercizio della quale scadrà il 13 luglio 2008; il relativo decreto legislativo non è stato tuttavia emanato nel corso della legislatura[66].

Per il contenuto delle proposte di modifica al D.Lgs. n. 102/2004, ritenute necessarie dal Governo sia per adeguare la predetta normativa alle nuove disposizioni comunitarie nel frattempo intervenute[67], sia per semplificarne le procedure applicative, si rinvia alla scheda Il Fondo di Solidarietà Nazionale, pag. 159.

Per quanto riguarda invece le situazioni di crisi di mercato, la legge finanziaria 2007[68] (art. 1, comma 1072) ha previsto la istituzione di uno specifico strumento di intervento ordinario, e cioè un apposito Fondo destinato al finanziamento di misure volte a “favorire la ripresa economica e produttiva delle imprese agricole colpite da gravi crisi di mercato”, allo scopo di limitare le conseguenze economiche e sociali di tali crisi nei settori e nelle aree geografiche colpiti.

La norma non ha tuttavia avuto applicazione, anche a causa delle obiezioni avanzate dalla Commissione europea; lo stanziamento del Fondo è stato così via via destinato ad altre finalità con vari provvedimenti legislativi.

 

In un contesto per molti versi analogo a quello che caratterizza le situazioni di crisi di mercato si colloca poi una vicenda che pure presenta peculiarità sue proprie e riguarda l’indebitamento delle aziende agricole della Sardegna.

La legge finanziaria 2008[69] (art. 2, comma 126) ha disposto l'istituzione, con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, di una commissione di tre esperti, avente il compito di formulare proposte per la ristrutturazione dei debiti contratti da imprenditori agricoli sardi, con riferimento alle vicissitudini che hanno riguardato la legge regionale della Sardegna 13 dicembre 1988, n. 44, recante "Costituzione del Fondo regionale di garanzia per l'agricoltura e provvidenze per l'agricoltura"[70]. Entro il 31 luglio 2008, la Commissione dovrà presentare al Presidente del Consiglio dei Ministri proposte per la ristrutturazione dei predetti debiti, nel rispetto della normativa comunitaria in materia di aiuti di Stato. Fino a tale data sono sospesi i giudizi pendenti, le procedure di riscossione e recupero, nonché le esecuzioni forzoserelative ai suddetti mutui risultanti alla data di entrata in vigore della disposizione in esame[71].

Si segnala che la Commissione Agricoltura della Camera era già intervenuta sulla questione nella seduta del 30 ottobre 2007, approvando, con il consenso unanime delle forze politiche, una risoluzione che impegnava il Governo ad intraprendere con la massima urgenza tutte le iniziative che si rendono più opportune per fare fronte alla grave crisi socio-economica in cui versano le aziende agricole ed agropastorali sarde per le quali si stanno applicando le misure di recupero, tramite rimborso, degli aiuti concessi dalla regione Sardegna, in tale ambito provvedendo ad adottare atti idonei a sospendere i giudizi pendenti, le procedure di riscossione e recupero, nonché le esecuzioni forzose relative ai suddetti mutui, ed altresì valutando la necessità di adottare provvedimenti straordinari ed urgenti, anche di natura normativa, che relativamente ai territori rurali della regione Sardegna in cui sono ubicate le aziende agricole sopra indicate ed altresì nei territori, in particolare nelle zone interne, ove sono presenti le aziende agropastorali in analoga situazione di crisi, abbiano gli stessi effetti della dichiarazione dello stato di emergenza socio-economico, di cui all'articolo 5, comma 1, della legge 24 febbraio 1992, n. 225.

La Commissione ha altresì avviato una indagine conoscitiva sulla crisi finanziaria del comparto agricolo, con particolare riferimento alla situazione della regione Sardegna. Nel corso della indagine, autorizzata il 29 novembre 2007, si sono svolte audizioni nelle sedute del 12 dicembre 2007, 16 gennaio e 22 gennaio 2008.


Il sostegno alla internazionalizzazione

I prodotti agroalimentari di qualità rappresentano una delle voci più rilevanti per le esportazioni del nostro paese e svolgono una funzione trainante per il made in Italy nel suo complesso.

I profondi cambiamenti in atto sui mercati internazionali, che da un lato si aprono accrescendo enormemente la domanda di prodotti alimentari, anche di qualità, e dall’altro sono sempre più esposti a dinamiche concorrenziali e a volte speculative che innescano crescenti tensioni sul fronte dei prezzi e  dei prodotti, impongono peraltro una sempre maggiore attenzione alle politiche di sostegno alla competitività internazionale delle nostre imprese (v. capitolo Internazionalizzazione delle imprese, nel dossier relativo alla Commissione attività produttive).

Tali politiche comportano, oltre ad azioni di promozione della qualità dei prodotti e del sistema di produzione, intesa come capacità organizzativa e di penetrazione nei mercati, specifiche iniziative volte a potenziare le strutture ed i servizi a disposizione delle imprese esportatrici e garantire nel contempo un efficace coordinamento delle iniziative promozionali che possono essere assunte dalle imprese medesime e dai diversi soggetti istituzionali.

 

Nel corso della legislatura, gli interventi su questi temi hanno trovato spazio principalmente nella legge finanziaria 2007[72].

In particolare:

-       l’art. 1, comma 935, integrando l’art. 10 del D.L. n. 251/81[73], relativo ai consorzi export multiregionali del settore agro-ittico-alimentare e turistico-alberghiero, ha consentito la concessione di contributi destinati a progetti di promozione e di internazionalizzazione realizzati da consorzi misti tra PMI dei settori agro-ittico-alimentare e turistico-alberghiero, volti esclusivamente ad incrementare la domanda estera del settore;

-       l’art. 1, comma 936, ha disposto un incremento di 20 milioni di euro per l’anno 2007 e di 26 milioni di euro per ciascuno degli anni 2008 e2009 a favore del Fondo a sostegno del made in Italy istituitodalla legge finanziaria per il 2004 (legge n. 350 del 2003)[74];

-       l’art. 1, ai commi da 1088 a 1092, ha introdotto  benefìci fiscali per gli investimenti in attività di promozione pubblicitaria realizzati all’estero per promuovere l’internazionalizzazione delle imprese agroalimentari. In particolare, il comma 1088 esclude dalla base imponibile del reddito di impresa il 25 per cento del valore degli investimenti in attività di promozione pubblicitaria realizzati da imprese agroalimentari in mercati esteri. La norma si applica per tre periodi d’imposta, a partire da quello in corso alla data di entrata in vigore della presente legge finanziaria - pertanto a decorrere dal 2007 - e per i due successivi, ma a condizione che tali investimenti eccedano la media degli analoghi investimenti realizzati nei tre periodi d’imposta precedenti. In base al comma 1089 l’agevolazione è elevata rispettivamente al 35 per cento per gli investimenti di promozione pubblicitaria realizzati sui mercati esteri da consorzi o raggruppamenti di imprese agroalimentari, operanti in uno o più settori merceologici, ed al50 per cento per gli investimenti di promozione pubblicitaria all'estero riguardanti prodotti a indicazione geografica, o comunque prodotti agroalimentari oggetto di intese di filiera o contratti quadro.

Le disposizioni sulla detassazione degli investimenti in pubblicità delle imprese agricole ed agroalimentari sono stateperaltro oggetto, nella parte finale della legislatura, di una proposta di modifica in relazione ai rilievi formulati dalla Commissione europea. Il Governo ha infatti presentato alle Camere uno schema di decreto legislativo recante disposizioni correttive ed integrative dei decreti legislativi nn. 227/2001, 99/2004 e 102/2005 sulla modernizzazione e regolazione dei mercati in agricoltura[75], contenente tra l’altro le seguenti modifiche alla normativa in questione:

-       sostituzione del meccanismo della detassazione con quello del credito di imposta sino al 50% delle spese ammissibili;

-       esclusione dalla agevolazione delle grandi imprese, per le quali resta applicabile solo il regime de minimis;

-        limitazione della agevolazione alle spese per la promozione pubblicitaria dei prodotti di qualità non rivolte al singolo marchio commerciale o riferite direttamente ad una impresa.

Lo schema è stato predisposto ai sensi della delega conferita al Governo dall’art. 1, comma 12, della legge n. 228/2006[76], il termine per l’esercizio della quale scadrà il 13 luglio 2008; il relativo decreto legislativo non è stato tuttavia emanato nel corso della legislatura[77].

 

Sempre nella parte finale della legislatura il D.L. n. 248/2007[78] ha realizzato un intervento di semplificazione delle strutture a supporto dell’export agroalimentare, completando il processo di devoluzione all’Istituto per lo sviluppo agroalimentare  (ISA) S.p.A.[79]delle funzioni e delle risorse in precedenza assegnate alla società Buonitalia[80](v. scheda Le società di promozione della qualità, pag. 173).

In particolare, l’art. 28, comma 1-bis, del citato D.L. n. 248/2007 prevede che il trasferimento di risorse a suo tempo disposto dall’art. 10-ter del D.L. n. 203/2005, da parte di Sviluppo Italia (ora Agenzia nazionale per l’attuazione degli investimenti e lo sviluppo d’impresa, per la quale si veda il commento al primo comma) a beneficio di ISA s.p.,a., si completi con il trasferimento aggiuntivo, entro il termine del 31 marzo 2008, di 150 milioni di euro, per lo svolgimento dei compiti istituzionali della società in favore della filiera agroalimentare.

Per ulteriormente rafforzare la società, l’ISA è inoltre autorizzata ad acquisire per incorporazione entro il successivo 30 giugno la società Buonitalia. A seguito dell’incorporazione la società è tenuta a modificare le proprie norme statutarie in modo che negli scopi sociali vengano incluse le attività di pertinenza della incorporata Buonitalia.


Tutela dei prodotti tipici e di qualità

La tutela dei prodotti agroalimentari tipici e di qualità costituisce per l’Italia una esigenza fondamentale, la cui importanza va probabilmente anche oltre quello che è il pur rilevante valore monetario delle esportazioni ad essi direttamente riferibili.

Questi prodotti sono infatti elementi caratterizzanti ed essenziali di quella immagine complessiva di qualità e di piacevolezza della vita che costituisce l’elemento distintivo ed il punto di forza del made in Italy, e la difesa della loro identità e del loro legame con il territorio da cui nascono va quindi a beneficio di tutte le produzioni italiane di qualità, anche quelle che non rientrano nel comparto agroalimentare.

Peraltro, la tutela delle peculiari qualità riconoscibili in un prodotto alimentare in ragione della provenienza da un determinato territorio o area geografica, nonché del connesso affidamento dei consumatori, rappresenta una questione assai controversa nell’intreccio tra fonti normative internazionali, comunitarie e nazionali.

Prescindendo in questa sede dalla dimensione internazionale[81], la questione deve essere ricostruita su due versanti, il primo relativo ai prodotti alimentari per i quali il legame con il territorio di origine è riconosciuto tramite una specifica procedura, l’altro relativo alla generalità dei prodotti. Vengono pertanto in considerazione:

-       la normativa in materia di indicazioni geografiche e denominazioni di origine (v. scheda Le denominazioni protette: IGP, DOP e STG, pag. 195);

-       la normativa in materia di etichettatura (v. scheda Etichettatura dei prodotti alimentari, pag. 203).

Si tratta di un tema sul quale a livello della normativa comunitaria si confrontano due esigenze potenzialmente contrastanti: quella, relativamente nuova, che attiene alla informazione ed alla tutela dei consumatori, e l’altra invece che trova fondamento diretto nella istanza di libertà degli scambi commerciali che ha accompagnato l’intero processo di formazione della Unione Europea.

Si ricorda che l’articolo 28 TCE vieta fra gli Stati membri le restrizioni quantitative all’importazione e le misure di effetto equivalente. Tuttavia, secondo l’articolo 30 del medesimo Trattato, le restrizioni all’importazione giustificate, tra l’altro, da motivi di tutela della proprietà industriale e commerciale sono autorizzate, qualora non costituiscano un mezzo di discriminazione arbitraria, né una restrizione dissimulata al commercio tra Stati membri. In base all’interpretazione di tale normativa adottata dalla Corte di giustizia, i requisiti cui le normative nazionali assoggettano la concessione di denominazioni nazionali di qualità, a differenza di quanto accade per le denominazioni di origine e le indicazioni di provenienza, possono riguardare solo le caratteristiche qualitative intrinseche dei prodotti, indipendentemente da qualsiasi considerazione relativa all’origine o alla provenienza geografica degli stessi.

La giurisprudenza della Corte di Giustizia ritiene infatti incompatibile con il mercato unico, sulla base dell’art. 28 del Trattato, la presunzione di qualità legata alla localizzazione nel territorio nazionale di tutto o di parte del processo produttivo, “la quale di per ciò stesso limita o svantaggia un processo produttivo le cui fasi si svolgano in tutto o in parte in altri Stati membri”; a tale principio fanno eccezione solo le regole relative alle denominazioni di origine e alle indicazioni di provenienza, regole che peraltro la Corte di Giustizia interpreta in un modo assai limitativo delle competenze nazionali[82].

In questo contesto si collocano le ricorrenti iniziative legislative volte ad apprestare speciali forme di tutela per particolari prodotti tipici o di qualità, le quali si trovano quindi spesso a confrontarsi con specifici problemi di compatibilità con la normativa comunitaria.

Anche nel corso della XV legislatura le competenti Commissioni dei due rami del Parlamento hanno avviato l’esame di numerose proposte di legge su questi temi, nessuna delle quali è peraltro pervenuta alla approvazione.

Si riporta di seguito l’elenco di tali proposte.

A.S. 228, De Petris, “Interventi per la valorizzazione del patrimonio agroalimentare tradizionale” e A.S. 601, Divina, “Norme  per la valorizzazione e la salvaguardia dei prodotti agroalimentari tradizionali, ai sensi dell’articolo 8, comma 2, del decreto legislativo 30 aprile 1998, n. 173”.

A.S. 236, De Petris, “Modificazioni alla disciplina delle denominazioni d’origine dei vini” e A.S. 745, Scarpa Bonazza Buora, “Disciplina delle denominazioni d’origine e delle indicazioni geografiche dei vini”.

A.C. 275,Grillini, ”Disposizioni per la valorizzazione e la promozione della ‘sfoglia emiliano-romagnola’ e disciplina della relativa professione”[83].

A.C. 2005, Misuraca, “Sviluppo della filiera della pasta di alta qualità prodotta in Italia[84].

A.C. 2234, Lion, “Istituzione e disciplina d’uso della denominazione autenticità certificata dei prodotti agroalimentari e disposizioni per lo sviluppo della filiera della pasta di alta qualità, dell’espresso e del cappuccino italiani”[85].

 

In una prospettiva più ampia, ma comunque ricollegabile ai temi qui trattati in ragione della importanza che il comparto riveste per l’economia agricola italiana, si collocano le iniziative legislative che hanno avuto ad oggetto l’agricoltura biologica (v. scheda I ddl sull’agricoltura biologica, pag. 179).

Su questo tema la Commissione agricoltura della Camera ha avviato il 13 dicembre 2006 l’esame di un disegno di legge di iniziativa governativa (A.C. 2604, “Disposizioni per lo sviluppo e la competitività della produzione agricola ed agroalimentare con metodo biologico”), al quale sono state abbinate numerose proposte di legge di iniziativa parlamentare[86].

La Commissione ha quindi adottato come testo base nella seduta del 17 ottobre 2007 un testo unificato del disegno e delle proposte di legge elaborato dal Comitato ristretto e su questo ha svolto un ampio ciclo di audizioni, a conclusione del quale, nella seduta del 29 novembre 2007, ha  adottato un nuovo testo unificato.

Rinviando per una dettagliata illustrazione di tale testo alla già citata scheda di approfondimento, si segnala che esso si propone di disciplinare organicamente l’intera materia della produzione agricola ed agroalimentare biologica e di promuovere lo sviluppo del settore, in connessione anche con i più recenti orientamenti comunitari[87].

In particolare, il testo unificato disciplina:

a) la produzione, la commercializzazione, l'importazione, l'esportazione, la certificazione e il controllo dei prodotti biologici, nonché l’utilizzo dei suddetti prodotti nelle attività di ristorazione collettiva;

b) l'uso di indicazioni relative alla produzione biologica nazionale nell'etichettatura e nella pubblicità;

c) le azioni per la salvaguardia, la promozione e lo sviluppo della produzione biologica, ivi comprese la semplificazione amministrativa ed il sostegno alla ricerca.

La produzione biologica è definita attività di interesse nazionale, quale settore economico basato prioritariamente sulla qualità dei prodotti, la sicurezza alimentare e la tutela dell’ambiente e della biodiversità.


Sicurezza alimentare

Il tema della sicurezza alimentare riveste, per un paese esportatore di prodotti agroalimentari di qualità come è l’Italia, una duplice valenza.

Garantire la sicurezza dei prodotti che vengono immessi al consumo significa infatti tutelare, oltre al bene primario costituito dalla salute dei cittadini, anche l’immagine complessiva del made in Italy agroalimentare e quindi la competitività di un settore di punta del nostro export, come dimostrano con ogni evidenza le pesanti conseguenze negative dei ricorrenti episodi nei quali la sicurezza di determinati prodotti viene messa in dubbio.

Su questo tema nel corso della legislatura sono stati realizzati alcuni interventi normativi volti sia a razionalizzare il sistema dei controlli sulla qualità dei prodotti agroalimentari, sia a garantire una migliore informazione del consumatore.

 

Un primo intervento è stato operato dalla legge finanziaria 2007[88] (art. 1, commi 1047-1050).

In particolare, il comma 1047 è intervenuto sull’Ispettorato Centrale Repressioni Frodi (ICRF) disponendo quanto segue:

§      all’Ispettorato sono attribuite funzioni di vigilanza sugli organismi, tanto pubblici che privati, che espletano attività di controllo sulle produzioni agroalimentari di qualità registrata, ovvero sui prodotti cui è stata riconosciuta la qualifica di Denominazione d’Origine Protetta (DOP), Indicazione Geografica Protetta (IGP) e Specialità Tradizionale Garantita (STG) sulla base delle disposizioni comunitarie;

§      l’Ispettorato cambia la propria denominazione in “Ispettorato centrale per il controllo della qualità dei prodotti agroalimentari”;

§      l’Ispettorato va a costituire la terza struttura dipartimentale del dicastero agricolo, aggiungendosi al Dipartimento delle filiere agricole e agro-alimentari ed al Dipartimento delle politiche di sviluppo.

Le modifiche alle funzioni ed alla organizzazione dell’Ispettorato sono poi state recepite all’interno del nuovo regolamento di organizzazione del MIPAAF, approvato con il D.P.R. 9 gennaio 2008, n. 18 (v. scheda La riorganizzazione del MIPAAF, pag.

Il comma 1048 è intervenuto in merito all’attribuzione di competenze dell’Agenzia per le erogazioni in agricoltura (AGEA). A tale ente sono stati assegnati i controlli sulle operazioni che rientrano nel sistema di finanziamento del fondo europeo agricolo di orientamento e di garanzia (FEAOG), sezione garanzia, che il regolamento CEE n. 4045/89[89] demanda ai singoli Stati membri. Tali compiti sono stati quindi sottratti alle competenze del Corpo forestale dello Stato e all’ICRF, ai quali erano stati attribuiti dall’art. 4, comma 4 del decreto-legge 10 gennaio 2006 n. 2[90].

Il comma 1050ha poi dispostoreca una autorizzazione di spesa pari a 23 milioni di euro, destinati all’Agecontrol Spa affinché questa possa assolvere ai compiti che il decreto-legge 28 febbraio 2005 n. 22[91] le ha attribuito in tema di realizzazione dei controlli di qualità nel settore dell’ortofrutta.

 

Nella parte finale della legislatura, quindi, l’art. 2, comma 356, della L. finanziaria 2008[92], poiintegralmente sostituito dall’art. 11 del D.L. n. 248/2007[93], ha attribuito al “Comitato nazionale per la sicurezza alimentare”, istituito con l’Intesa Stato-Regioni del 17 giugno 2004 e già operativo presso il Ministero della salute, la nuova denominazione di “Autorità nazionale per la sicurezza alimentare”, il che corrisponde al testo originario del medesimo comma 356. A seguito delle modifiche apportate con il D.L. n. 248[94], a decorrere dal 15 gennaio 2008, l’Autorità si trasforma in “Agenzia nazionale per la sicurezza alimentare”, con sede in Foggia[95].

L’Agenzia è posta sotto la vigilanza del Ministero della salute; le norme sull’organizzazione, funzionamento e amministrazione dell’Agenzia saranno adottate con un D.P.C.M. su proposta del ministro della salute con il concerto di quello delle politiche agricole.

All’Agenzia, che funge da interfaccia dell’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA), vengono quindi attribuiti, per lo svolgimento delle attività ed il funzionamento,  2,5 milioni di euro per gli anni 2008 e 2009 e 1,5 milioni di euro per il 2010.

 

Per un quadro riassuntivo della struttura e delle competenze degli organi che concorrono nello svolgimento dei controlli sui prodotti agroalimentari si rinvia alla scheda Le strutture per la sicurezza alimentare, pag. 211.

 

Perquanto riguarda l’informazione dei consumatori si ricorda che l’articolo 4, comma 1, del D.L. n. 7/2007[96], in considerazione del fatto che la data di scadenza o il termine minimo di conservazione dei prodotti alimentari preconfezionati compaiono spesso in modo pressoché invisibile sulle confezioni di molti prodotti alimentari, ha integrato la normativa vigente (art. 3 del D.Lgs. n. 109/1992) in ordine alle modalità con le quali devono essere riportate tali indicazioni, prescrivendo che esse siano collocate ”in modo facilmente visibile, chiaramente leggibile ed indelebile”; in un campo visivo facilmente individuabile e con modalità non meno visibili di quelle indicanti la quantità del prodotto.

Il comma 2 ha assegnato ai soggetti tenuti ad apporre le indicazioni di cui al comma 1 un termine di 180 giorni dalla data di entrata in vigore del decreto per adeguarsi alle nuove disposizioni.


Le agroenergie

La questione dello sviluppo delle agroenergie ha assunto negli ultimi anni notevole importanza per il sistema agricolo italiano, in misura forse ancora più accentuata di quanto non avvenga in altri paesi, anche se il fenomeno ha evidentemente dimensioni mondiali.

La partecipazione dell’agricoltura all’approvvigionamento energetico del nostro paese risponde infatti da un lato alla esigenza ormai pressante di ridurre gli oneri finanziari e l’impatto ambientale che gravano sull’Italia per la dipendenza da fonti non rinnovabili di provenienza estera, dall’altro può fornire a quello stesso mondo una fonte di integrazione del reddito in molti casi indispensabile per garantire la continuità delle proprie attività.

Le politiche volte a incentivare la produzione e il consumo di biocarburanti di origine agricola hanno trovato largo spazio nelle manovre finanziarie per il 2007 ed il 2008; la Commissione agricoltura della Camera ha altresì esaminato in sede referente alcune proposte di legge di iniziativa parlamentare (A.C. 289 e abb.)[97], aventi come obiettivo comune quello di definire un quadro organico di regole capaci di consentire il pieno sviluppo delle potenzialità e delle disponibilità che si colgono nell’agricoltura italiana, tenendo presenti alcuni dati strutturali e di conformazione geografica del paese[98].

Un primo pacchetto di misure è stato approvato con la legge finanziaria 2007[99].

In particolare, l’art. 1, commi da 367 a 369, ha modificato gli obiettivi quantitativi di immissione in consumo di biocarburanti in percentuale del totale del carburante diesel e di benzina utilizzato nei trasporti, prevedendo l’obiettivo del 2,5%, da realizzare entro il 31 dicembre 2008, e quello del 5,75% entro il 31 dicembre 2010. I commi da 371 a 379 hanno interamente riformulato la normativa in materia di agevolazioni sulle accise per la produzione di biodiesel e altri prodotti ad uso energetico ricavati da biomasse, prevedendo per le agevolazioni suddette un fondo di 73 milioni di euro annui, da ripartire dal 1° gennaio 2008 tra: bioetanolo; etere etilterbutilico (ETBE), additivi e riformulanti prodotti da biomasse. E’ stato inoltre esentato dall’accisa l’olio vegetale puro utilizzato a fini energetici nel settore agricolo (commi 380 e 381) e, al fine di incentivare l’impiego di prodotti di origine agricola e zootecnica, è stata demandata a un decreto ministeriale la revisione della disciplina dei certificati verdi (commi 382 e 383).

L’intera normativa in materia di incentivi per la utilizzazione di fonti energetiche rinnovabili è stata poi completamente riscritta con la manovra finanziaria per il 2008. In particolare:

- l’art. 26, comma 4-bis, del D.L. n. 159/2007[100], novellando l’art. 1, comma 382, della legge n. 296/2006 (finanziaria 2007) e aggiungendovi i commi da 382-bis a 382-septies, ha definito una nuova disciplina dei meccanismi di incentivazione della produzione di energia elettrica mediante impianti alimentati da biomasse e biogas derivanti da prodotti agricoli, di allevamento e forestali. Tale disciplina riguarda gli impianti autorizzati in data successiva al 31 dicembre2007 ed è espressamente limitata alle biomasse e biogas ottenuti nell’ambito di intese di filiera o contratti-quadro, oppure nell’ambito di filiere corte (ottenuti cioè entro un raggio di 70 km dall’impianto utilizzatore); (v. scheda Il sostegno alla filiera agroenergetica, pag. 217).

- l’art. 26, commi da 4-ter a 4-sexies, del medesimo D.L. n. 159/2007, ha  modificato  la normativa in materia di agevolazioni sulle accise per la produzione di biodiesel, anch’essaapprovata con la legge finanziaria 2007, novellando ulteriormente (al comma 4-ter) l’art. 22-bis del D.Lgs. n. 504/1995,  che rimane la norma di riferimento in materia, e dettando ai commi da 4–quater a 4-sexies ulteriori disposizioni sull’utilizzazione del contingente di biodiesel agevolato ai sensi del predetto articolo 22-bis, nonché sull’esenzione dal regime di deposito fiscale per gli imprenditori agricoli che producono oli vegetali e li impiegano per autoconsumo come carburante per il parco macchine aziendale;(v. scheda Il sostegno alla filiera agroenergetica, pag. 217).

- l’art. 2, commi 139-140, della legge finanziaria 2008[101] ha ridefinito imeccanismi per la determinazione della quota minima di biodiesel e assimilati da immettere annualmente in consumo, ai sensi dell’art. 2-quater del D.L. 10 gennaio 2006, n. 2, convertito con modificazioni dalla legge 11 marzo 2006, n. 81, già modificato dall’art. 1, comma 368, della legge finanziaria 2007;(v. scheda Il sostegno alla filiera agro energetica, pag. 217).

- ancora l’art. 2 della legge finanziaria 2008, ai commi 143-154, ha definito una nuova disciplina dei meccanismi di incentivazione relativi alla produzione di energia elettrica mediante impianti alimentati da fonti energetiche rinnovabili, entrati in esercizio in data successiva al 31 dicembre 2007, a seguito di nuova costruzione, rifacimento o potenziamento, facendo tuttavia salva la specifica normativa vigente in materia di biomasse agricole, da allevamento o forestali ottenute nell’ambito di intese di filiera o contratti quadro oppure di filiere corte. (v. capitolo Fonti energetiche rinnovabili, nel dossier relativo alla Commissione attività produttive).

Per approfondire le prospettive e le problematiche che potranno emergere in conseguenza dell’utilizzo delle produzioni del settore primario in campo energetico, la Commissione 9ª (Agricoltura e produzione agroalimentare) del Senato ha avviato una indagine conoscitiva[102] che si è conclusa il 26 febbraio 2008 con l’approvazione di un documento conclusivonel quale si afferma che la principale missione dell’agricoltura deve restare la produzione del cibo, dovendosi più correttamente inquadrare le produzioni agroenergetiche nell’ambito delle opportunità offerte dalla multifunzionalità. Tale vocazione della produzione nazionale deriva dalla specializzazione del comparto, dedito a produzioni di particolare pregio, e dalla struttura fondiaria caratterizzata dalla piccola proprietà. Non vanno sottovalutate tuttavia le grandi potenzialità rappresentate dall’impiego dei sottoprodotti agricoli, della forestazione e della zootecnia, in impianti di piccole e medie dimensioni diffusi su tutto il territorio.


Le infrastrutture irrigue

I cambiamenti climatici in corso rendono sempre più scarsa e preziosa la risorsa acqua, accentuando le difficoltà di approvvigionamento dell’agricoltura per gli usi irrigui che in alcune aree del nostro paese sono ormai croniche; tali difficoltà, d’altra parte, cominciano ormai a manifestarsi anche in aree che in passato ne erano immuni.

Di qui la necessità di assicurare il migliore utilizzo delle risorse disponibili, potenziando le infrastrutture irrigue e migliorandone l’efficienza.

 

Nel corso della legislatura, la questione è stata affrontata in primo luogo presso la Commissione agricoltura della Camera, che ha avviato l’esame di tre proposte di legge di iniziativa parlamentare[103]:

-       A.C. 1985, Misuraca, “Istituzione dell’Agenzia per l’utilizzo delle risorse idriche nell’agricoltura”;

-       A.C 2136, Lion, “Istituzione dell’Agenzia per l’utilizzo delle risorse idriche in agricoltura”;

-       A.C. 2214, Delfino, “Istituzione dell’Agenzia per l’utilizzo delle risorse idriche”.

La Commissione ha adottato nella seduta del 17 ottobre 2007 un testo unificato elaborato dal Comitato ristretto, sul quale ha svolto alcune audizioni dei soggetti istituzionali coinvolti.

Il testo unificato prevede la istituzione del “Commissario per le opere irrigue nel Mezzogiorno”, mediante trasformazione del Commissario ad acta di cui all’art. 19, comma 5, del D.L. n. 32/1995[104]. Al Commissario verrebbero devoluti i compiti spettanti al Commissario ad acta, relativi sia alle attività in materia irrigua di competenza della disciolta Agensud, sia a nuove iniziative previste da successivi interventi legislativi); la nuova figura assumerebbe inoltre, limitatamente al territorio delle regioni Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia, le seguenti competenze:

-       elaborazione ed aggiornamento della proposta di Piano generale delle infrastrutture irrigue di rilevanza nazionale nel Mezzogiorno;

-       approvazione dei piani annuali di attuazione del Piano generale e dei relativi progetti e gestione dei relativi finanziamenti;

-       monitoraggio della realizzazione degli interventi previsti dal Piano generale;

-       formulazione di pareri obbligatori per le amministrazioni dello Stato in materia di infrastrutture irrigue di competenza statale, nonché di schemi idrici di rilevanza nazionale coinvolgenti risorse idriche destinate all’irrigazione;

-       espressione di pareri alle regioni per il coordinamento tra la pianificazione regionale e quella nazionale.

Il testo unificato affronta anche il problema della difficoltà incontrate dalle regioni meridionali nell’accedere ai finanziamenti per opere irrigue a causa delle carenze sul versante della progettazione delle opere, prevedendo l’istituzione di un apposito Fondo rotativo per la progettazione delle opere irrigue nel Mezzogiorno.

 

Su questo ultimo punto è intervenuta poi, sia pure con una soluzione diversa, la legge finanziaria 2008[105], che ha operato altresì un intervento di rimodulazione complessiva delle risorse annualmente stanziate per il finanziamento delle infrastrutture irrigue (v. scheda Il piano irriguo nazionale, pag. 225).

L’art. 2, comma 133, della citata legge finanziaria 2008, riserva infatti una quota delle somme assegnate dalla precedente  legge finanziaria 2007[106] per l’avvio o prosecuzione delle opere del Piano irriguo nazionale, alle “attività di progettazione”, in modo da consentire l’immissione nel circuito delle opere finanziabili anche di progetti sinora esclusi perché carenti su questo versante.  L’importo riservato è di 5 milioni di euro annuali per ciascun anno del triennio 2008-2010. Si ricorda al riguardo che le attuali norme sul Piano (L. n. 350/2003[107], art. 4 commi 31-36, e deliberazione CIPE n. 74/2005) prevedono che gli interventi da finanziare siano selezionati sulla base dello stato di avanzamento della progettazione, privilegiando in tal modo i progetti che siano immediatamente cantierabili, ovvero appaltabili.

La norma traduce poi in una unica partita finanziaria i tre limiti d’impegno originati dalle leggi finanziarie 2004[108] e 2006[109], già trasformati a norma della medesima legge finanziaria 2004 in contributi in conto capitale, allo scopo di recuperare margini di elasticità nella programmazione e gestione delle risorse. In particolare, icontributi annuali afferenti alle leggi finanziarie 2004 e 2006 sono soppressi a decorrere dall’esercizio 2011, e nel contempo dalla medesima data è autorizzata una spesa annuale, per quindici anni, pari a 100 milioni di euro. A decorrere dal 2011 si realizza pertanto, rispetto a quanto previsto dalla normativa previgente, una rimodulazione delle risorse che ne riduce l’importo complessivo annuo ma ne estende la proiezione temporale fino al 2025.

 

Disposizioni relative ad alcuni enti irrigui sono infine contenute nell’art. 26, comma 6, del D.L. n. 248/2007[110].

In particolare la normadifferisce al 30 aprile 2008 il termine per la definizione del piano di rientro finanziario previsto nell’ambito delle procedure amministrative finalizzate al risanamento e successiva  trasformazione in società per azioni dell’Ente per lo sviluppo dell'irrigazione e la trasformazione fondiaria in Puglia, Lucania e Irpinia (EIPLI); detto termine, inizialmente fissato al 30 settembre 2007[111]), era già stato prorogato al 30 novembre 2007 con l’art. 15, comma 5-bis, del D.L. n. 81/2007[112]. La norma prevede inoltre una procedura volta al recupero di risorse finanziarie da destinare alla erogazione di un contributo straordinario all’EIPLI, nonché al risanamento del bilancio dell’Ente irriguo umbro-toscano di cui all’art. 1, comma 1056, della Legge n. 296/2006.

Si ricorda a questo proposito che entrambi gli enti sono stati inclusi, ai sensi dell’art. 2, comma 636, della legge n. 244/2007 (finanziaria 2008), nell’elenco degli enti da riordinare o sopprimere per finalità di riduzione delle spese di funzionamento delle amministrazioni pubbliche.

Detta procedura è così articolata: il MIPAAF effettua entro il 30 aprile 2008 una ricognizione sull’esecuzione dei progetti finanziati per opere irrigue realizzate o in corso di collaudo finale, allo scopo di verificare l’ammontare degli interessi attivi maturati sui depositi fruttiferi accesi dagli Enti irrigui e non necessari per il completamento delle opere; tali somme, versate come prevede la normativa vigente alle entrate diverse del bilancio dello Stato, saranno  riassegnate  al MIPAAF per la erogazione di un contributo all’EIPLI, facendo tuttavia salvo “quanto necessario per il risanamento per il bilancio” dell’Ente irriguo umbro-toscano, in relazione agli interessi maturati sulle opere realizzate dallo stesso Ente. Si segnala infine che la relazione illustrativa afferma che le disposizioni del comma in esame sono necessarie per consentire il successivo trasferimento dell’EIPLI alle regioni competenti.


Il settore forestale

La tutela del patrimonio forestale corrisponde, oltre che ai principi costituzionali (Art. 9: “La Repubblica…tutela il paesaggio..”) a precisi obblighi assunti dal nostro paese nelle sedi internazionali e comunitarie, nel quadro degli impegni relativi all’attenuazione dei cambiamenti climatici, assunti nel quadro della apposita Convenzione quadro delle Nazioni Unite e del relativo protocollo di Kyoto. (v. scheda La politica di tutela delle foreste, pag. 231).

Nel corso della legislatura sono stati realizzati alcuni interventi legislativi miranti a meglio definire il quadro delle competenze istituzionali e la strumentazione operativa per una gestione sostenibile del territorio.

 

Un primo intervento è stato realizzato con la legge finanziaria 2007[113] (art. 1, commi da 1082 a 1084).

In particolare, il comma 1082 prevede la predisposizione di un programma quadro per il settore forestale destinato a favorire una gestione sostenibile del territorio e valorizzare la multifunzionalità degli ecosistemi forestali.

I soggetti cui compete la elaborazione del programma sono il dicastero agricolo e quello dell'ambiente, che debbono proporre lo strumento di programmazione alla Conferenza Stato-regioni. In tale sede, sulla proposta di programma quadro, i diversi soggetti sono tenuti a trovare un accordo al fine di coordinare l'esercizio delle rispettive competenze e svolgere attività di interesse comune, secondo le modalità definite con l’art. 4 del D.Lgs. n. 281/1997[114].

La predisposizione del programma quadro deve peraltro tener conto di quanto già elaborato sul tema sia in sede internazionale che in ambito interno, ovvero:

§      le disposizioni sovranazionali in materia forestale;

§      il Piano d'azione per le foreste dell'Unione europea;

§      gli esistenti strumenti di pianificazione regionali;

§      le linee guida definite con il DM 16 giugno 2005, adottate sulla base dell’art. 3 del D.Lgs. n. 227/2001[115].

Il secondo periodo del comma 1082 stabilisce che le azioni previste dal programma quadro possano accedere alle risorse del Fondo per le aree sottoutilizzate nei limiti definiti da deliberazione del CIPE.

Il comma 1083 estende al settore forestale le forme di accordo previste dagli articoli 9 e 10 del decreto legislativo 27 maggio 2005, n. 102, ovvero le intese di filiera o il contratto quadro, che potranno perseguire i seguenti scopi ulteriori:

§      l'integrazione della filiera forestale con quella agroenergetica;

§      la valorizzazione, la produzione, la distribuzione e la trasformazione di biomasse derivanti da attività forestali;

§      lo sviluppo della filiera legno.

 

Successivamente, la legge finanziaria 2008[116] ha dettato ulteriori disposizioni volte a promuovere la multifunzionalità nell’ambito degli ecosistemi forestali.

L’art. 2, comma 134, della citata legge finanziaria prevede infatti che le cooperative ed i loro consorzi che esercitino prevalentemente nei comuni montani le loro attività di sistemazione e manutenzione agraria, forestale e, in genere, del territorio e degli ambienti rurali, possano ricevere in affidamento diretto dagli enti locali e dagli altri enti di diritto pubblico, in deroga alle vigenti disposizioni di legge e per un importo non superiore a 190.000 euro per anno, lavori attinenti alla valorizzazione e alla gestione e manutenzione dell’ambiente e del paesaggio – quali la forestazione, la selvicoltura, il riassetto idrogeologico, le opere di difesa e di consolidamento del suolo – nonché servizi tecnici attinenti alla realizzazione di tali opere. Possono inoltre essere affidati alle cooperative di produzione agricolo-forestale i servizi tecnici, la realizzazione e la gestione di impianti di produzione di calore alimentati da fonti rinnovabili di origine agricola.

Il successivo comma 335 ha disposto poi la istituzione, presso il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, di un fondo per la forestazione e la riforestazione di aree incolte, destinate a ridurre le emissioni di CO2, e per la realizzazione di aree verdi in zone urbane e periurbane destinate a migliorare la qualità dell’aria nei comuni a maggiore crisi ambientale e per tutelare la biodiversità. La disposizione ha attribuito al fondo 50 milioni di euro annui per ciascuno degli anni 2008, 2009 e 2010.

 

Un intervento assai ampio di modifica del decreto legislativo di orientamento in materia forestale (il D.Lgs. n. 227/2001) si è poi andato delineando in fine di legislatura, senza giungere tuttavia a conclusione.

Il Governo ha infatti presentato alle Camere uno schema di decreto legislativo recante disposizioni correttive ed integrative dei decreti legislativi nn. 227/2001, 99/2004 e 102/2005 sulla modernizzazione e regolazione dei mercati in agricoltura[117]. Lo schema è stato predisposto ai sensi della delega conferita al Governo dall’art. 1, comma 12, della legge n. 228/2006[118], il termine per l’esercizio della quale scadrà il 13 luglio 2008; il relativo decreto legislativo non è stato tuttavia emanato nel corso della legislatura[119].

In particolare, l’art. 1 del testo presentato dal Governo prevede che entro il 31 dicembre 2008, con Decreto del Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, di concerto con il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, d’intesa con la Conferenza Stato-Regioni, siano approvati i “criteri e buone pratiche di gestione forestale”, nel rispetto degli impegni internazionali assunti dall’Italia ed in attuazione del Regolamento (CE) n. 1698/2005 sul sostegno allo sviluppo rurale. La relazione illustrativa afferma che la norma si rende necessaria per l’attivazione dei programmi di sviluppo rurale presentati dalle regioni, in quanto la Commissione europea, nei negoziati per l’approvazione dei predetti programmi, ha richiesto la definizione di linee guida sulla cui base poter misurare gli impegni assunti dai singoli agricoltori da considerare eccedenti rispetto alla normale gestione forestale.

Numerose sono poi le proposte di modifica al D.Lgs. n. 227/2001 avanzate dalla Conferenza Stato-regioni in sede di esame dello schema di decreto correttivo e delle quali il parere approvato dalla Commissione Agricoltura della Camera chiede il recepimento.

Tali ulteriori proposte di modifica prevedono:

-        l’adozione “ai soli fini statistici, di inventario e monitoraggio”, della definizione di bosco adottata dall’ISTAT e dal MIPAAF per l’Inventario nazionale delle foreste e dei serbatoi forestali di carbonio[120];

-        la predisposizione di un protocollo d’intesa pluriennale tra MIPAAF, ISTAT, Ministero dell’ambiente, d’intesa con le Regioni, per definire competenze e modalità di esecuzione, aggiornamento, diffusione ed utilizzazione dei dati delle statistiche forestali nazionali, in conformità alle attività di prevenzione e lotta agli incendi boschivi di cui alla legge 21 novembre 2000, n. 353;

-        una priorità, ai fini della applicazione della normativa di tutela sulle aree di interesse paesaggistico, per la definizione di bosco stabilita dalle regioni rispetto a quella contenuta nella normativa statale (art. 2, comma 6, del D.Lgs. n. 227/2001);

-        nuove disposizioni sulla programmazione forestale, le quali sostituirebbero integralmente l’art. 3 del D.Lgs. n. 227/2001[121]; rispetto al testo vigente del citato art. 3, le principali differenze sono le seguenti: al comma 1 verrebbe eliminato il riferimento alle “specifiche linee di politica forestale nazionale”, prevedendosi invece che le Regioni provvedano alla redazione e revisione dei propri Piani o Programmi forestali “coerentemente anche agli indirizzi strategici nazionali definiti nel Programma quadro per il settore forestale” di cui alla legge n. 296/2006; sarebbero esonerati dalla valutazione ambientale strategica (VAS) prevista dal Codice ambientale i piani di gestione forestale riferiti ad ambiti aziendali o sovraziendali di livello locale che siano stati approvati dalle regioni; si prevede l’adozione da parte dei ministri dell’ambiente e delle politiche agricole, d’intesa con la Conferenza Stato-Regioni, di uno standard informativo nazionale per la raccolta e gestione dei dati della programmazione forestale nelle aree protette;

-        l’estensione delle disposizioni in materia di trasformazione del bosco, possibile solo su autorizzazione regionale nei casi disciplinati dall’art. 4, comma 2, del D.Lgs. n. 227/2001, anche ai terreni sui quali, ai sensi del R.D. n. 3267/1923[122], siano stati effettuati interventi di rimboschimento, di formazione di nuovi boschi o di ricostituzione di boschi estremamente deteriorati, salvo che la legislazione regionale non disponga diversamente;

-        la possibilità per la legislazione regionaledi derogare al principio per cui le aree di rimboschimento devono ricadere all’interno del medesimo bacino idrografico nel quale è stata autorizzata la trasformazione del bosco;

-        la soppressione nella rubrica dell’art. 5 del D.Lgs. n. 227/2001 (“Forme di sostituzione, gestione e cessione del bosco”) del riferimento alla cessione, che non ha riscontro nel testo dell’articolo, e l’integrazione del testo del comma 1 con un riferimento all’art. 44 della Costituzione e con la previsione di idonee forme di sostituzione nella gestione del bosco;

-        la sostituzione del riferimento ai piani di assestamento con quello ai piani di gestione forestale o equivalenti, ai fini della deroga al divieto generale di taglio a raso dei boschi;

-        la modifica dell’ art. 7, comma 1, del D.Lgs. n. 227/2001, che consente alle Regioni e province autonome di istituire degli albi delle imprese per l’esecuzione di lavori, opere e servizi in ambito forestale, con l’inserimento di un richiamo all’art. 4 del Codice degli appalti che sembra da riferire essenzialmente al comma 3 del predetto articolo, ove si vieta alle regioni di prevedere una disciplina diversa da quella del citato Codice per tutta una serie di profili (qualificazione e selezione dei concorrenti, procedure di affidamento etc..);

-        l’inserimento nel medesimo art. 7 di un nuovo comma 2-bis, con il quale si consente alle regioni di prevedere forme di incentivazione per le attività selvicolturali;

-       la costituzione di un tavolo di concertazione sulla ricerca in ambito forestale.


Pesca ed acquacoltura

Le politiche nazionali nel settore della pesca sono da tempo condizionate dai processi di ristrutturazione imposti dalla attuazione della normativa comunitaria e dalla necessità di accompagnare tali processi con misure di sostegno per gli operatori.

Lo stato allarmante di molti stock ittici, per i quali si è accertato il superamento del limite di sicurezza biologica, nonché la capacità di pesca delle flotte di vari Stati europei, di gran lunga superiore a quella necessaria a sfruttare in modo sostenibile le risorse alieutiche disponibili, hanno infatti indotto una progressiva evoluzione della normativa comunitaria nel senso del miglioramento della gestione delle risorse e della riduzione e ammodernamento delle flotte.

 

In questo quadro si colloca, da ultimo, il Regolamento (CE) del Consiglio n. 1198/2006, del 27 luglio 2006, che ha istituito il Fondo europeo per la pesca (FEP) per il periodo 2007-2013 (v. scheda Il nuovo Fondo europeo per la pesca, pag. 239).

Il FEP può concedere un aiuto finanziario per agevolare l’applicazione dell’ultima riforma della politica comune della pesca (PCP) e sostenere le conseguenti ristrutturazioni e quindi, in particolare, per il raggiungimento di obiettivi analiticamente indicati e sostanzialmente riconducibili alla stabilità delle attività di pesca, allo sfruttamento sostenibile delle risorse alieutiche ed allo sviluppo di imprese economicamente redditizie nel settore.

Gli interventi del FEP si articolano su cinque assi prioritari:

-       misure a favore dell’adeguamento della flotta peschereccia comunitaria;

-       acquacoltura, pesca nelle acque interne, trasformazione e commercializzazione;

-       azioni collettive (miglioramento dei servizi dei porti, potenziamento dei mercati dei prodotti della pesca, etc.); 

-       sviluppo sostenibile delle zone costiere di pesca;

-       assistenza tecnica.

Il FEP ha una dotazione finanziaria di 3.849 milioni di euro per il periodo 2007-2013. Tale dotazione sarà ripartita tra gli Stati membri mediante una procedura di programmazione che prevede la presentazione alla Commissione europea da parte di ciascun Stato di un Piano strategico nazionale, che stabilisce gli obiettivi e le priorità nazionali per l’attuazione della PCP, e di programmi operativi per l’attuazione delle politiche.

 

Sul piano nazionale nel corso della legislatura si è perfezionato l’iter del fondamentale strumento di programmazione di settore, il primo programma triennale della pesca e dell’acquacoltura 2007-2009, approvato con il D.M. 3 agosto 2007, ai sensi del combinato disposto degli articoli 4 e 5 del D.lgs. n. 154/2004[123].

Il documento consta di unaparte descrittiva della situazionedel settore, cui fanno seguito l’indicazione degli obiettivi e degli strumenti di intervento del programma nazionale ed il relativo quadro finanziario.

 

Gli interventi legislativi in materia di pesca hanno poi trovato collocazione essenzialmente nelle manovre finanziarie, per lo più nella forma della proroga di agevolazioni introdotte da precedenti disposizioni, ovvero in provvedimenti d’urgenza.

 

Per quanto riguarda le agevolazioni fiscali sono intervenute le leggi  finanziarie 2007 e 2008.

In particolare, l’aliquota IRAP applicabile alle cooperative della piccola pesca e loro consorzi  è stata confermata nella misura dell’ 1,9% per gli anni d’imposta 2006 e 2007 (in luogo dell’aliquota ordinaria del 3,75%), rispettivamente con l’art. 1, comma 390, della legge finanziaria 2007[124] e con l’art. 1, comma 171, della legge finanziaria 2008[125]. Per il periodo d’imposta 2008 l’aliquota è stata invece fissata da quest’ultima disposizione al3,75 per cento.

Per leimprese che esercitano la pesca costiera e la pesca nelle acque interne e lagunari l’art. 1, comma 391 della finanziaria 2007e l’art. 1, comma 172 della legge finanziaria 2008 hanno prorogato per gli anni 2007 e 2008 i benefici relativi: alla concessione di un credito d'imposta, in misura corrispondente al 70 per cento (80 per cento per il 2008) dell'IRPEF dovuta sulle retribuzioni e sui compensi per lavoro dipendente e autonomo, corrisposti ai marittimi che operano a bordo delle navi iscritte nel Registro internazionale; all’abbattimento del reddito (sempre nelle percentuali sopra indicate) derivante dall’esercizio della pesca, ai fini delle imposte sui redditi; al corrispondente  esonero dal versamento dei contributi previdenziali e assistenziali.

Ancora la legge finanziaria 2008 (art. 2, comma 120) ha ampliato il novero dei soggetti che possono attingere alle risorse del Fondo per lo sviluppo dell’imprenditoria giovanile in agricoltura istituito dall’articolo 1, comma 1068, della legge finanziaria 2007: in base alle nuove disposizioni tale fondo è destinato anche al ricambio generazionale ed allo sviluppo delle imprese giovanili nel settore della pesca. Il successivo comma 121 è intervenuto invece in merito all’utilizzo delle risorse allocate sul Fondo per il credito peschereccio, istituito dall’art. 10 della legge n. 41/82[126], disponendo che le risorse del Fondo siano destinate alla concessione, alle sole imprese che operano nel settore della pesca, delle garanzie che l’art. 17, c. 3 e 4, del D.lgs. n. 102/2004 prevede siano concesse dall’ISMEA in favore del sistema creditizio, allo scopo di agevolare l’accesso al mercato dei capitali da parte delle imprese del comparto primario.

 

Per quanto riguarda i provvedimenti di urgenza, si ricorda che:

-       il D.L. n. 81/2007[127], al comma 1, ha stanziato 12 milioni di euro per il 2007 per le misure di accompagnamento collegate agli interventi di interruzione obbligatoria dell’attività di pesca, riservando 7 milioni di euro per i contributi ai marittimi imbarcati sui pescherecci colpiti nel corso del 2007 da un provvedimento di fermo-pesca, ed attribuendo i restanti 5 al Piano triennale della pesca, per gli ulteriori interventi da adottare in connessione con le misure di fermo; il comma 1-bis ha poi esteso al settore della pesca il credito di imposta previsto per il settore agricolo dall’art. 1, commi 271-279, della legge finanziaria 2007;

-       il D.L. n. 159/2007[128], all’art. 46-quater, ha previsto misure di rateizzazione per il recupero di aiuti di Stato nel settore della pesca dichiarati incompatibili con il mercato comune (comma 1)[129], ed ha altresì disposto che a carico del Fondo di assistenza per le famiglie dei pescatori, istituito dall’art. 5, comma 1-bis, del D.L. 10 gennaio 2006, n. 2, convertito con modificazioni dalla legge 11 marzo 2006, n. 81, siano liquidate, nei limiti della somma di 500.000 Euro, anche le richieste di indennizzo relative agli eventi verificatisi nel triennio 2002-2004 (la normativa previgente copriva gli eventi verificatisi dal 2005 in poi), purché presentate anteriormente alla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge.


 

Attività presso le istituzione dell’unione europea
(a cura dell’Ufficio Rapporti con l’Unione europea)

 


Agricoltura

Valutazione dello stato intermedio della PAC

Il 20 novembre 2007 la Commissione europea ha presentato la comunicazione “Preparare il ‘bilancio di salute’ della PAC riformata” (COM(2007)722), contenente il programma volto a rendere più efficiente e moderna la politica agricola comune dell'Unione europea. La Commissione ha ribadito come l’aggiornamento della PAC, proposto con il documento in questione, non costituisca una riforma ma intenda semplicemente consentire all’agricoltura europea di meglio adattarsi ad un ambiente in rapida evoluzione e contribuire al dibattito sulle priorità future nel settore della politica agricola.

La riforma della politica agricola comune varata dall’Unione europea in questi ultimi cinque anni ha costituito un cambiamento radicale delle modalità fin lì seguite per il sostegno comunitario al settore agricolo. Nel 2003 è stato introdotto il principio del disaccoppiamento degli aiuti dalla produzione agricola (volto a consentire il superamento dei problemi di sovrapproduzione, esistenti in taluni settori) e quello dell’ecocondizionalità di tali aiuti (la cui concessione è subordinata al rispetto di determinate norme di tutela ambientale, sicurezza alimentare, qualità degli alimenti e benessere degli animali);  sono state inoltre riformate alcune organizzazioni comuni di mercato (OCM) come quella dei seminativi, del riso, della frutta a guscio e del latte. Nel 2004 la riforma è stata estesa anche alle OCM del tabacco, dell’olio di oliva, del cotone e del luppolo. Nel 2006 è stato riformato il settore bieticolo-saccarifero e nel 2007 la Commissione ha attuato la riforma del settore ortofrutticolo.

Da ultimo, sulla riforma del settore vitivinicolo la Commissione ha presentato, il 4 luglio 2007,  una proposta di regolamento (COM(2007)372). Gli obiettivi della riforma sono: l’aumento di competitività dei produttori europei, la riconquista dei mercati, l’equilibrio della domanda e dell’offerta, la semplificazione delle norme, la salvaguardia delle migliori tradizioni della produzione vitivinicola europea, il rafforzamento del tessuto delle zone rurali e la salvaguardia dell’ambiente[130]. La proposta, su cui il Consiglio ha raggiunto un accordo politico il 12 dicembre 2007, dovrebbe essere adottata formalmente il 29 aprile 2008.

La riforma si inquadrava anche in una  flessione dell’incidenza del bilancio della PAC sul bilancio generale dell’UE, passato dall’assorbire il 65% delle risorse comunitarie (nel 1990) alla prospettiva di assorbire nel 2013 solo il 35% del bilancio comunitario.

La riforma del 2003 prevedeva inoltre la possibilità di riesaminare alcune questioni, in una “valutazione dello stato di salute della PAC”, alla luce degli esiti che la riforma stessa avrebbe ottenuto, al fine di adeguare meglio talune disposizioni agli sviluppi del mercato; tale “valutazione” avrebbe costituito inoltre un’azione preparatoria della strategia della Commissione per la revisione del bilancio 2008/2009, come annunciato nella comunicazione “Riformare il bilancio, cambiare l’Europa” del 2007.

Per favorire il dibattito sul bilancio di salute della PAC, la Commissione ha lanciato un’ampia consultazione, i cui risultati verranno utilizzati dalla Commissione nella preparazione delle proposte legislative la cui presentazione è prevista per il 27 maggio 2008. La Commissione auspica che tali proposte vengano adottate dal Consiglio agricoltura entro la fine del 2008 per poter entrare in vigore immediatamente.

Oltre ad una valutazione e semplificazione del regime unico di pagamento, la Commissione configura la revisione di alcune questioni come il potenziamento dei fondi destinati allo sviluppo rurale (il secondo pilastro della politica agricola comune) attraverso l’aumento del tasso di modulazione (ossia la riduzione dei pagamenti diretti a tutti gli agricoltori, che ricevono oltre 5000 euro l’anno, e il trasferimento di questi importi nel bilancio destinato allo sviluppo rurale); la revisione del regime di intervento per i cereali e l’abolizione del regime di ritiro dei terreni dalla produzione.

Per quanto riguarda il settore lattiero-caseario, invece, secondo la Commissione non sono più validi i motivi che hanno giustificato l’introduzione delle quote-latte, perché attualmente ci si trova di fronte ad un aumento della domanda di prodotti di alto valore (specialmente formaggi e latticini freschi) sia sul mercato interno che su quello esterno. La recente decisione di aumentare le quote del 2%, a partire dal 1° aprile 2008, è insufficiente a fronteggiare la situazione e pertanto la Commissione, oltre a prefigurare la soppressione delle quote latte entro il 2015, prospetta alcune ipotesi volte a rendere il passaggio meno brusco. Il regime transitorio potrebbe prevedere un graduale aumento delle quote, determinato in relazione alle conseguenze stimate per Stato membro e per regione. Complessivamente la Commissione ritiene che l’abolizione graduale delle quote latte farà aumentare la produzione, abbasserà i prezzi e renderà il settore più competitivo. D’altra parte, alcune regioni prevalentemente montane avranno difficoltà a mantenere le loro produzioni e pertanto andrebbe presa in considerazione la possibilità di istituire un sostegno specifico per aiutare i produttori lattiero-caseari di tali regioni.

In riferimento alla comunicazione - già esaminata dal Parlamento europeo, che il 12 marzo 2008 ha approvato una risoluzione in merito - il Consiglio ha approvato conclusioni il 17 marzo 2008, nelle quali si dichiara favorevole ad una semplificazione del regime di pagamento unico e invita la Commissione ad esaminare tutte le possibili forme di finanziamento (compresa la modulazione) per misure a favore dello sviluppo rurale.


Pesca

Sistemi di controllo

La Commissione considera come il potenziamento delle modalità di controllo della politica comune della pesca costituirà un passo decisivo verso lo sviluppo sostenibile del settore. A tal fine ha annunciato, nel suo programma legislativo per il 2008, la presentazione nel prossimo ottobre di una proposta di regolamento sulla modernizzazione e sulla rifusione del sistema di controllo della politica comune della pesca nel quadro del regolamento (CE) n. 2847/93; tale iniziativa avrebbe come obiettivo la promozione del potenziamento, dell’armonizzazione e della semplificazione delle attuali norme riguardanti il controllo della pesca; la modernizzazione delle procedure migliorerebbe l’applicazione delle norme, riducendo gli oneri ed i limiti imposti all’industria e alle pubbliche amministrazioni e promuovendo l’utilizzo degli strumenti informatici per diminuire gli obblighi di informazione[131]. In tale ambito la Commissione ha quindi avviato una consultazione sulla riforma del sistema di controllo della politica comune della pesca, che si concluderà il 5 maggio 2008; i risultati verranno utilizzati dalla Commissione nella preparazione delle proposte succitate.

Pesca illegale

La lotta contro la pesca illegale e non regolamentata, al fine di favorire una gestione responsabile delle risorse, è una delle priorità per il 2008 segnalate nel suo programma legislativo dalla Commissione europea che, il 17 ottobre 2007 ha presentato una proposta di regolamento che istituisce un regime comunitario per prevenire, scoraggiare ed eliminare la pesca illegale, non dichiarata e non regolamentata (pesca INN) (COM(2007)602). La proposta istituisce un regime destinato a porre fine alle importazioni di prodotti della pesca INN nella Comunità. A questo scopo sarà introdotto un sistema di certificazione in base al quale i prodotti della pesca (anche trasformati) potranno essere importati nella Comunità solo se accompagnati da un certificato dello Stato di bandiera interessato che attesti che sono stati catturati legalmente. Tale misura sarà integrata da nuove disposizioni in materia di accesso ai porti della Comunità e di trasbordi, volte a migliorare il sistema di controllo degli sbarchi effettuati da pescherecci di paesi terzi. La proposta, infine, introduce disposizioni intese a rafforzare la responsabilità degli Stati membri nei confronti dei loro cittadini che partecipano ad attività di pesca praticate al di fuori della Comunità o che forniscono sostegno a tali attività.

Acquacoltura

La Commissione ha annunciato, nel suo programma legislativo per il 2008, la presentazione nel novembre prossimo di una comunicazione sullo sviluppo sostenibile dell’acquacoltura[132] nella Comunità; tale documento, nel richiamare la strategia del 2002 e sulla base della rilevazione del mancato pieno raggiungimento degli obiettivi di crescita fissati dalla stessa strategia, avrebbe come finalità l’individuazione dei principali vincoli e problemi che hanno ostacolato la crescita sostenibile del settore e la definizione di un quadro imprenditoriale e giuridico più trasparente e favorevole alla promozione degli investimenti e dello sviluppo dell’acquacoltura.

Si ricorda che la Commissione ha recentemente svolto una consultazione, conclusasi il 15 luglio 2007, sulle opportunità di sviluppo dell’acquacoltura nell’Unione europea, al fine di stabilire quali iniziative siano auspicabili a livello UE affinché sia i produttori che i consumatori possano trarre i massimi vantaggi dal previsto sviluppo del settore, garantendo al tempo stesso la sostenibilità delle attività in questione. Si ricorda anche la consultazione, conclusasi il  15 giugno 2007, sulla certificazione e sui marchi di qualità, avente come obiettivo l’esplorazione delle opinioni del settore sui sistemi di qualità esistenti e su un’eventuale azione a livello comunitario.

I risultati di entrambe le consultazioni verranno utilizzati dalla Commissione per valutare i possibili aggiornamenti della Strategia per lo sviluppo sostenibile dell’acquacoltura europea del 2002.


Sicurezza alimentare

La promozione di un’alimentazione più sana per i cittadini dell’UE è una delle priorità della Commissione, che intende garantire la salute attraverso efficaci sistemi di controllo degli alimenti e la valutazione della loro conformità con le norme UE in materia di sicurezza e di qualità alimentare. Informazioni chiare, accurate e pertinenti sulle etichette dei prodotti alimentari prodotti consentono inoltre al consumatore di fare scelte nutrizionali consapevoli.

In quest’ambito la Commissione ha in passato presentato un pacchetto di iniziative tuttora all’esame degli organismi comunitari. Si tratta di quattro proposte di regolamento (sulla istituzione di una procedura uniforme di autorizzazione per gli additivi, gli enzimi e gli aromi alimentari; sugli enzimi alimentari; sugli aromi; sugli additivi alimentari), presentate il 28 luglio 2006,  sulle quali il Consiglio ha raggiunto un accordo politico il 17 dicembre 2007 e che dovranno essere esaminate dal Parlamento europeo, in seconda lettura, presumibilmente il 7 luglio  2008.

Più recentemente la Commissione ha presentato, il 14 gennaio 2008, una proposta di regolamento sui nuovi prodotti alimentari (COM(2007)842), volta a centralizzare la procedura di valutazione e autorizzazione di tali alimenti; su tale proposta è previsto un accordo politico del Consiglio per il 9 giugno 2008.

Il 30 gennaio 2008 la Commissione ha presentato una proposta di regolamento sulla fornitura di informazioni alimentari ai consumatori, che aggiorna la legislazione comunitaria in materia di etichettatura degli alimenti (COM(2008)40). Il documento stabilisce inoltre requisiti generali sul modo in cui le informazioni nutrizionali vanno presentate sulle etichette degli alimenti, anche se gli Stati membri avranno la facoltà di applicare misure nazionali addizionali sempre che queste non vanifichino le regole UE. La proposta estende gli attuali requisiti in materia di etichettatura degli allergeni, in modo da coprire anche gli alimenti non preconfezionati, compresi gli alimenti venduti nei ristoranti e in altri luoghi di ristorazione.


Schede di approfondimento

 


PAC e contesto internazionale

Aiuti esenti da notifica in agricoltura

Il 15 dicembre 2006 la Commissione europea ha adottato, per il settore agricolo, il Regolamento CE n. 1857/2006, sulla base dell’art. 87 del Trattato che la autorizza a dichiarare compatibili con il mercato comune, a determinate condizioni, taluni aiuti di Stato. Il Regolamento istituisce un sistema di esenzione dall’obbligo di notifica per talune tipologie di aiuti di Stato (segnatamente quelli rientranti nello sviluppo rurale, concessi entro massimali definiti, diretti al perseguimento di determinati obiettivi.

Il regolamento (entrato in vigore il 5 gennaio 2007) si applica dal 1° gennaio 2007 al 31 dicembre 2013 ed è diretto allepiccole e medie imprese agricole, ovvero (secondo la definizione contenuta nell’allegato I al Regolamento (CE) n. 70/2001, richiamata dal Regolamento in esame) alle imprese che occupino meno di 250 persone e abbiano un fatturato non superiore a 40 milioni di EUR, ovvero un totale di bilancio annuo non superiore a 27 milioni di Eur, e che siano inoltre in possesso del requisito di indipendenza (non siano cioè controllate da imprese non conformi alle definizioni di PMI). Si considerano, in particolare, piccole imprese quelle che occupino meno di 50 persone e realizzino un fatturato annuo o un totale di bilancio annuo non superiori rispettivamente a 7 e 5 milioni di EUR. Va precisato che nella categoria delle PMI sono incluse anche le microimprese che occupano meno di 10 persone e il cui fatturato annuo (oppure un totale di bilancio) non superi i 2 milioni di EUR[133].

Il regolamento si applica alle attività di produzione primaria dei prodotti agricoli, mentre le attività di trasformazione e commercializzazione deimedesimi prodotti, già rientranti nell’ambito di applicazione del precedente regolamento di esenzione per il settore agricolo (reg. 1/2004), sono adesso ricondotte alla disciplina generale sugli aiuti alle PMI (Regolamento (CE) n. 70/2001). 

Restano esclusi dall’ambito di applicazione del reg. 1857/2006:

-       gli aiuti all’esportazione;

-       gli aiuti condizionati all’impiego preferenziale di prodotti interni rispetto ai prodotti di importazione.

Il regolamento esonera dall'obbligo di notifica alla Commissione i seguenti tipi di aiuto, alle condizioni specificate in dettaglio per ciascuno di essi:

-       aiuti agli investimenti concessi agli agricoltori, fino ad un massimo del 40%, che diviene 50% nelle zone svantaggiate; queste soglie possono essere elevate al 50% e, nelle zone svantaggiate, al 60% quando i beneficiari siano giovani agricoltori, ovvero sino al 60% ed al 75% nelle zone svantaggiate per gli investimenti finalizzati alla tutela ed al miglioramento dell’ambiente, degli allevamenti e del benessere degli animali, a condizione che tali investimenti siano intesi a superare i requisiti minimi imposti dalla UE, o che il rispetto dei nuovi requisiti comporti costi aggiuntivi. L'aiuto non deve essere limitato a particolari prodotti agricoli e deve pertanto essere aperto a tutti i settori dell’agricoltura. L’importo globale degli aiuti concessi ad una singola impresa non può superare 400.000 EUR (500.000 nelle zone svantaggiate) erogati su un qualsiasi periodo di tre esercizi;

-       aiuti fino al 100% per le spese inerenti alla conservazione di paesaggi e fabbricati tradizionali; tali spese possono comprendere un congruo compenso per il lavoro svolto dall'agricoltore stesso o dai suoi collaboratori nei limiti di € 10.000 all'anno;

-       aiuti per le spese di trasferimento di fabbricati agricoli nell'interesse pubblico;

-       aiuti fino a € 55.000 per l'insediamento dei giovani agricoltori;

-       aiuti al prepensionamento a condizione che la cessazione delle attività aziendali a fini commerciali sia permanente e definitiva;

-       aiuti all'avviamento di organizzazioni (OP) o di associazioni di organizzazioni di produttori (AOP) possono essere concessi purché l'aiuto globale non superi € 400.000;

-       aiuti destinati a compensare gli agricoltori dei costi per la prevenzione e l’eradicazione di fitopatie ed epizoozie o infezioni parassitarie, purché l’intensità lorda dell’aiuto non superi il 100% e lo stesso sia erogato sotto forma di servizi agevolati e non comporti pagamenti diretti ai produttori;

-       aiuti destinati a compensare gli agricoltori per la perdita di piante o animali o edifici delle aziende causate dalle avversità atmosferiche assimilabili alle calamità naturali, purché l’intensità lorda dell’aiuto non superi l’80% (90% nelle zone svantaggiate); l’evento atmosferico assimilabile alla calamità naturale deve essere formalmente riconosciuto dalle autorità pubbliche;

-       aiuti finalizzati al pagamento dei premi assicurativi, purché l’intensità lorda dell’aiuto non superi  l'80% del costo dei premi volti a coprire gli agricoltori dalle perdite causate da avverse condizioni atmosferiche assimilabili a calamità naturali; il tasso è ridotto al 50% qualora l'assicurazione copra anche altre perdite dovute ad avverse condizioni atmosferiche, o ad epizoozie o fitopatie;

-       aiuti fino al 100% per la ricomposizione fondiaria, unicamente a copertura dei costi legali e amministrativi;

-       aiuti per promuovere la produzione di prodotti agricoli di qualità; possono essere compresi (fino al 100%) i costi per ricerche di mercato e attività analoghe, per l'introduzione di norme di assicurazione della qualità, per corsi di formazione del personale incaricato di applicare tali sistemi, per i contributi chiesti per la certificazione iniziale dell'assicurazione di qualità e di regimi analoghi, nonché per misure di controllo effettuate da terzi; tali aiuti devono essere erogati sotto forma di servizi agevolati e non comportare pagamenti diretti ai produttori;

-       aiuti per prestazioni di assistenza tecnica nel settore agricolo; possono essere compresi (fino al 100%) i costi relativi all'istruzione generale e alla formazione degli agricoltori e dei loro collaboratori, ad alcuni servizi aziendali ausiliari, a servizi di consulenza e all'organizzazione e partecipazione a concorsi, mostre e fiere;

-       aiuti di sostegno al settore zootecnico: può essere concesso fino al 100% a copertura dei costi amministrativi direttamente connessi con l'adozione e la tenuta dei libri genealogici; fino al 70% dei costi dei test di determinazione della qualità genetica o della resa del bestiame effettuati da o per conto di terzi; fino al 40%  per l'introduzione a livello di azienda di metodi o tecniche innovative in materia di riproduzione animale; fino al 100% dei costi per la rimozione dei capi morti e fino al 75% per la distruzione delle carcasse; fino  al 100% a copertura dei costi dei test per le TSE.

 


PAC e contesto internazionale

Gli orientamenti agroforestali 2007-2013

Gli Orientamenti comunitari per gli aiuti di Stato nel settore agricolo e forestale[134] hanno la finalità di illustrare i criteri che la Commissione generalmente segue nelle procedure di valutazione degli aiuti. Gli Orientamenti consentono, in particolare, di assicurare la coerenza tra la politica di controllo degli aiuti di Stato e i contributi concessi sia nell’ambito della PAC, sia nell’ambito della politica di sviluppo rurale.

Gli Orientamenti per l’agricoltura si applicano a tutti gli aiuti di Stato, incluse le misure di aiuto finanziate con prelievi parafiscali, concessi in relazione alle attività di produzione, trasformazione e commercializzazione dei prodotti agricoli di cui all’allegato I del Trattato. Uno specifico capitolo degli orientamenti (cap. VII) contiene le regole per gli aiuti nel settore forestale, compresi quelli per l’imboschimento di superfici agricole; sono invece esclusi, in quanto oggetto di separata disciplina[135], gli aiuti alla pesca ed all’acquacoltura.

Nel documento si precisa innanzitutto che qualsiasi aiuto non espressamente contemplato dal documento stesso sarà valutato in base ai principi ricavabili dagli articoli 87, 88 e 89 del Trattato nonché dalla politica agricola comune (PAC) e dalle politiche di sviluppo rurale della Comunità. In nessun caso, poi, potranno essere autorizzati aiuti incompatibili con le disposizioni che disciplinano un’organizzazione comune di mercato o che perturberebbero il corretto funzionamento di quest’ultima. Inoltre non saranno ammessi aiuti volti esclusivamente a migliorare la situazione finanziaria del beneficiario senza che ciò contribuisca allo sviluppo di determinate attività economiche; in particolare, gli aiuti concessi esclusivamente sulla base del prezzo, della quantità, dell’unità di produzione o dell’unità dei mezzi di produzione saranno considerati aiuti al funzionamento, incompatibili con il mercato comune.  Le misure di aiuto ammissibili dovranno invece includere una componente di incentivo o esigere  una contropartita da parte del beneficiato; in ogni caso, aiuti concessi con effetto retroattivo per attività già intraprese dal beneficiario saranno considerati aiuti al funzionamento e quindi incompatibili con il mercato comune, in quanto privi di effetto incentivante. Infine, gli Stati membri che propongono misure non contemplate dagli orientamenti dovranno fornire una valutazione economica dell’impatto positivo della misura, in termini di sviluppo del settore agricolo e dei rischi di distorsioni della concorrenza: la Commissione autorizzerà le misure solo se il loro contributo positivo allo sviluppo del settore risulterà chiaramente predominante sui rischi di distorsione della concorrenza.

Alla luce di questi principi di carattere generale, gli Orientamenti descrivono i seguenti principali tipi di aiuto che la Commissione può accettare, indicando  analiticamente per ogni tipo di aiuto le pertinenti condizioni per la concessione dell'aiuto stesso che, salvo diversa specificazione, si applicano esclusivamente ai produttori primari (agricoltori):

-       gli aiuti agli investimenti nelle aziende agricole possono di norma essere autorizzati fino al 40% delle spese ammissibili, o al 50% nelle zone svantaggiate; tassi di aiuto più elevati possono talvolta essere autorizzati per investimenti connessi alla conservazione dei paesaggi tradizionali, al trasferimento di fabbricati agricoli nell'interesse pubblico o a migliorie in materia di ambiente, igiene o benessere degli animali; gli aiuti agli investimenti nella trasformazione e commercializzazione di prodotti agricoli sono disciplinati dalle disposizioni in vigore per gli aiuti di Stato nel settore industriale, ma l’intensità dell’aiuto ammessa è più elevata, potendo arrivare sino a tassi del 40%, o 50% nelle zone svantaggiate;

-       gli aiuti agli investimenti nel settore della trasformazione e commercializzazione dei prodotti agricoli sono ammessi esclusivamente se soddisfano tutte le condizioni previste:

-    dall’art. 4 del regolamento. (CE) n. 70/2001[136] sugli aiuti alle PMI;

-    oppure dal Reg. (CE) n. 1628/2006 relativo all'applicazione degli articoli 87 e 88 del trattato agli aiuti di Stato per investimenti a finalità regionale;

-    oppure dagli Orientamenti in materia di aiuti di Stato a finalità regionale[137].

-       gli aiuti a favore di impegni dei produttori primari nel settore agroambientale e per il benessere degli animali assunti dagli agricoltori e altri aiuti ambientali;

-       gli aiuti per il rispetto di requisiti obbligatori prescritti dalla normativa comunitaria in materia di tutela dell’ambiente, sanità pubblica, salute delle piante e degli animali, benessere degli animali e sicurezza sul lavoro;

-       gli aiuti volti a compensare gli handicap naturali nelle regioni svantaggiate;

-       gli aiuti all'insediamento dei giovani agricoltori;

-       gli aiuti al prepensionamento, alla cessazione dell'attività agricola;

-       gli aiuti a favore delle associazioni di produttori;

-       gli aiuti per la ricomposizione fondiaria;

-       gli aiuti destinati a promuovere la produzione e la commercializzazione di prodotti agricoli di qualità, la prestazione di assistenza tecnica nel settore agricolo e il miglioramento della qualità genetica del bestiame;

-       gli aiuti per le regioni ultraperiferiche e per le isole dell'Egeo;

-       gli aiuti a titolo di compenso dei danni causati alla produzione agricola o ai mezzi di produzione agricola da calamità naturali o da altri eventi eccezionali, avverse condizioni atmosferiche o l'insorgenza di epizoozie o fitopatie e gli aiuti per il pagamento di premi assicurativi contro tali rischi;

-       gli aiuti per la chiusura delle capacità di produzione, di trasformazione e di commercializzazione;

-       gli aiuti alla pubblicità dei prodotti agricoli, in precedenza valutati alla luce degli Orientamenti a ciò dedicati pubblicati nella GUCE C n. 252/2001, debbono ora essere definiti sulla base di quanto esposto nel capitolo VI.D dei nuovi Orientamenti in rassegna, che ammettono un contributo pari anche al 5’% delle spese sostenute per la campagna pubblicitaria, elevabili al 100% se trattasi di pubblicità generica e tale da giovare all’intero settore agricolo.

 

Infine, per talune tipologie di aiuti di Stato gli Orientamenti rimandano alla disciplina comunitaria orizzontale sulla materia, valida per tutti i settori. In particolare:

-       gli Stati membri possono ritenere utile approvare regimi di aiuto a favore della creazione di posti di lavoro nel settore agricolo; tali regimi, che si debbono estendere in ogni caso a tutto il settore agricolo e non essere limitati a taluni prodotti, sono valutati alla luce del reg. (CE) n. 2204/2002[138] che non li esonera dall’obbligo di notifica. Tuttavia, data la specificità del settore primario, i benefici conseguenti all’introduzione di tali regimi di aiuto possono essere ritenuti predominanti rispetto al connesso rischio di distorsione del mercato;

-       quanto agli aiuti a favore della ricerca e sviluppo, il documento in base al quale gli aiuti sono esaminati, a decorrere dal 1° gennaio 2007, è costituito dalla Disciplina comunitaria in materia di aiuti di Stato a favore di ricerca, sviluppo e innovazione, Disc. 30 dicembre 2006 (GUUE C 323//2006). Al solo settore agricolo (ma anche a quello della pesca) è riservato il capitolo 9 che eleva dal 75% al 100% il tasso di rimborso per la R&S che soddisfi taluni requisiti;

-       per il salvataggio e ristrutturazione delle imprese in difficoltà si applicano gli Orientamenti comunitari sugli aiuti di Stato per il salvataggio e la ristrutturazione di imprese in difficoltà (GUCE C 244/2002), che riservano il paragrafo 5 al settore agricolo per il quale possono facilmente essere imposte misure compensative anche per le piccole imprese, in conseguenza della sovracapacità strutturale che può connotare numerose produzioni primarie.

 

Per quanto riguarda il settore forestale gli orientamenti contengono una elencazione assai dettagliata delle spese ammissibili, rispetto alle quali gli aiuti potranno coprire una percentuale sino al 100%, a condizione che lo Stato membro sia in grado di dimostrare che le misure contribuiscono direttamente a mantenere o a ripristinare le funzioni ecologiche, protettive e ricreative delle foreste, la biodiversità e la sanità dell’ecosistema forestale.


PAC e contesto internazionale

Il PSN per lo sviluppo rurale

Nell’ambito della riforma di medio-termine della politica agricola comunitaria (PAC), il Regolamento (CE) del Consiglio n. 1698 del 20 settembre 2005 ha dettato le nuove disposizioni in materia di sostegno allo sviluppo rurale da parte dell’apposito Fondo europeo (Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale -FEASR).

Gli interventi del FEASR si basano su una articolata procedura di programmazione che prevede (art. 11 del Reg. n. 1698/2005) la presentazione da parte di ciascuno Stato membro, sulla base degli orientamenti comunitari, di un piano strategico nazionale (PSN), da attuarsi mediante specifici programmi di sviluppo rurale (PSR), la cui definizione compete, nell’ordinamento italiano, alle regioni ed alle province autonome.

I piani strategici nazionali sono pertanto lo strumento per realizzare nella programmazione del FEASR il coordinamento tra priorità comunitarie, nazionali e regionali.

Ciascun piano strategico nazionale comprende (art. 11, c. 3, del Reg. n. 1698/2005):

a)      un’analisi della situazione economica, sociale e ambientale e del potenziale di sviluppo;

b)      la strategia scelta per l’azione congiunta della Comunità e dello stato membro interessato, evidenziando la coerenza delle scelte operate con riferimento agli orientamenti strategici comunitari;

c)      le priorità tematiche e territoriali dello sviluppo rurale nell’ambito di ciascun asse, inclusi i principali obiettivi quantificati e gli indicatori pertinenti per la sorveglianza e la valutazione;

d)      un elenco dei programmi di sviluppo rurale destinati ad attuare il PSN e una ripartizione indicativa del FEASR tra i vari programmi;

e)      i mezzi predisposti per garantire il coordinamento con gli altri strumenti della politica agricola comune;

f)        se del caso, le risorse finanziarie stanziate per realizzare l’obiettivo di convergenza;

g)      l’indicazione dei provvedimenti presi e dell’importo stanziato per la costituzione della rete rurale nazionale di cui agli artt. 66 e 68 del medesimo Reg. n. 1698/2005.

 

Per quanto riguarda l’Italia, il Piano strategico nazionale 2007-2013, predisposto dall’apposito tavolo di concertazione istituito e coordinato dal MIPAAF, è stato approvato dalla Conferenza Stato-Regioni il 21 dicembre 2006 e quindi notificato alla Commissione Europea, che in data 12 gennaio 2007 ha dichiarato ricevibile il documento ed avviato il negoziato sui programmi regionali.

A seguito delle osservazioni formulate dalla Commissione, il Piano è stato quindi modificato, nuovamente approvato dalla Conferenza Stato-Regioni il 1° agosto 2007 e trasmesso alla Commissione europea per l’approvazione definitiva.

Il documento da ultimo trasmesso alla Commissione Europea individua i seguenti obiettivi prioritari per ciascuno degli assi di intervento previsti dal Regolamento n. 1698/2005.

 

 

§           ASSI PRIORITARI

§           OBIETTIVI PRIORITARI DI ASSE

§           ASSE I
Miglioramento della competi­tività del settore agricolo e forestale

§           Promozione dell’ammodernamento e dell’innovazione nelle imprese e dell’integrazione delle filiere

§           Consolidamento e sviluppo della qualità della produzione agricola e forestale

§           Potenziamento delle dotazioni infrastrutturali fisiche e telematiche

§           Miglioramento della capacità imprenditoriale e professionale degli addetti al settore agricolo e forestale e sostegno del ricambio generazionale

§           ASSE II
Miglioramento dell’ambiente e dello spazio rurale

§           Conservazione della biodiversità e tutela e diffusione di sistemi agro-forestali ad alto valore naturale

§           Tutela qualitativa e quantitativa delle risorse idriche superficiali e profonde

§           Riduzione dei gas serra

§           Tutela del territorio

§           ASSE III
Qualità della vita e diversifi­cazione dell’economia rurale

§           Miglioramento dell’attrattività dei territori rurali per le imprese e la popolazione

§           Mantenimento e/o creazione di opportunità occupazionali e di reddito in aree rurali

§           ASSE IV
LEADER

§           Rafforzamento della capacità progettuale e gestionale locale

§           Valorizzazione delle risorse endogene dei territori

 

Gli obiettivi prioritari contenuti in ciascuno degli Assi di cui allo schema precedente sono definiti in stretto collegamento con le priorità comunitarie indicate dagli Orientamenti Strategici Comunitari (OSC) per lo sviluppo rurale (periodo di programmazione 2007-2013).

Per ciascuno degli Assi e dei relativi obiettivi è poi riportata una griglia di indicatori di risultato e di impatto (pagg. 66-67 del documento), sulla base dei quali verranno valutati e verificati i programmi regionali.

 

Per quanto riguarda le dotazioni finanziarie, che ammontano, per la quota a carico del FEASR, a 8,292 miliardi di euro, è prevista la seguente ripartizione tra i vari assi:

 

Asse I:......................................... 39%;

Asse II:...................................... 43,2%;

Asse III:..................................... 14,7%;

Assistenza tecnica:.................... 3,1%.

 

Totale......................................... 100%

 

La quota stimata per l’Asse IV (Leader) è stimata nel 6,7% e non è ricompresa nel totale in quanto trattasi (cfr. a pag. 51 del PSN) di un “Asse metodologico, la cui rilevanza finanziaria non va a detrimento del peso degli altri Assi”.

 

Rispetto alla programmazione 2000-2006[139] si registra una diminuzione delle risorse riservate al primo Asse ed un incremento di quelle destinate al secondo e terzo Asse.

 

La distribuzione delle predette risorse tra le regioni e le province autonome è riportata nella seguente tabella:

 


I Programmi di sviluppo rurale e l’allocazione finanziaria

(valori in euro)

§           Programmi 2007-2013

§           Assegnazioni FEASR

§           1

§           Abruzzo

§           168.911.000

§           2

§           Prov. Aut. di Bolzano

§           137.575.000

§           3

§           Emilia-Romagna

§           411.251.000

§           4

§           Friuli Venezia Giulia

§           108.773.000

§           5

§           Lazio

§           288.384.000

§           6

§           Liguria

§           106.047.000

§           7

§           Lombardia

§           395.949.000

§           8

§           Marche

§           202.320.000

§           9

§           Piemonte

§           394.500.000

§           10

§           Toscana

§           369.210.000

§           11

§           Prov. Aut. di Trento

§           100.652.000

§           12

§           Umbria

§           334.430.000

§           13

§           Valle d’Aosta

§           52.221.000

§           14

§           Veneto

§           402.457.000

§           15

§           Molise

§           85.790.000

§           16

§           Sardegna

§           551.250.000

§            

§           Totale Competitività

§           4.109.720.000

§           17

§           Basilicata

§           372.650.000

§           18

§           Calabria

§           623.341.000

§           19

§           Campania

§           1.082.349.000

§           20

§           Puglia

§           851.327.000

§           21

§           Sicilia

§           1.211.163.000

§            

§           Totale Convergenza

§           4.140.830.000

§            

§           Totale PSR

§           8.250.550.000

§            

§           Rete Rurale Nazionale

§           41.459.883

§            

§           Totale ITALIA

§           8.292.009.883

 

 

La Rete rurale nazionale 2007-2013, formata dalle organizzazioni e amministrazioni operanti nel campo dello sviluppo rurale, ha lo scopo di favorire i contatti e gli scambi di informazioni tra agricoltori e altri attori presenti nei territori rurali, ed è ritenute uno strumento indispensabile alla realizzazione e buona riuscita dei programmi di sviluppo rurale, avviati in Italia a livello regionale. Il programma italiano, primo ad essere stato approvato, ha ottenuto il consenso del Comitato sviluppo rurale della Commissione europea il 20 giugno 2007[140] e gode di una dotazione complessiva di 82,9 milioni di euro di fondi pubblici, per il 50% provenienti dall’Unione europea e per l'altra metà a carico del governo italiano.

La partecipazione comunitaria a questo programma rappresenta lo 0,5% dello stanziamento globale assegnato all’Italia per i programmi di sviluppo rurale per il periodo 2007-2013 (8,292 miliardi di euro per 22 programmi).

Il programma “Rete rurale nazionale”, in collegamento con la Rete europea per lo sviluppo rurale favorirà sia la cooperazione interterritoriale (dei vari soggetti e organismi implicati nella gestione dei 21 programmi regionali italiani - regioni, gruppi di azione locale e altri partenariati) che quella  transnazionale.

 

Per quanto riguarda i singoli programmi regionali di sviluppo rurale, ormai tutti approvati, si rimanda al sito del Ministero delle politiche agricole[141].

 

Da ultimo, il 20 marzo 2008 la Conferenza Stato-regioni ha approvato il documento “Sistema nazionale di monitoraggio per lo sviluppo rurale”, con il quale sono state definite le informazioni minime comuni di monitoraggio che dovranno essere raccolte e trasmesse da ogni Stato membro per ogni singola operazione. La necessità di soddisfare le richieste di informativa stabilite dalla normativa comunitaria diviene con la nuova programmazione di assoluta priorità dal momento che, in base all’art. 26 del reg. (CE) n. 1290/05 relativo al finanziamento della politica agricola comune, i rimborsi della quota di cofinanziamento comunitario potranno essere sospesi in presenza di dati incompleti. La raccolta dei dati sarà a cura degli organismi pagatori regionali o, in mancanza della loro istituzione, dell’Agea, per confluire quindi in tempo reale in banche dati regionali i cui dati saranno a disposizione della Autorità di gestione. Le informazioni di monitoraggio dovranno quindi essere trasmesse dall’Autorità di gestione responsabile al sistema informativo gestito dall’Ispettorato generale per i rapporti finanziari con l’Unione Europea (IGRUE) del Ministero dell’Economia.

 


PAC e contesto internazionale

La ristrutturazione bieticolosaccarifera

Nel corso del 2006, con l’approvazione di un pacchetto di tre regolamenti, (Regolamenti (CE) nn. 318[142], 319[143] e 320[144]) anche il settore dello zucchero, come in precedenza già disposto per altri, è stato toccato da una profonda riforma allo scopo di renderlo adeguato con gli impegni giuridici e politici assunti dall'Unione europea a livello internazionale.

Il processo di revisione della OCM è stato particolarmente elaborato a causa della struttura del comparto organizzato con un sistema di quote produttive, governato con alti prezzi garantiti ben lontani da quelli mondiali, e caratterizzato dalla conseguente formazione di eccedenze da smaltire facendo ricorso ad un regime permanente di sussidi all’esportazione.

Per riportare il settore in equilibrio e renderlo maggiormente competitivo, con il regolamento (CE) n. 318 in primo luogo è stata riformata la OCM,  accompagnando la sensibile riduzione del prezzo di intervento con il disaccoppiamento del sostegno ai produttori e, analogamente a quanto già introdotto per altre produzioni, con un  regime di pagamento unico[145].

La legislazione di incentivazione al ridimensionamento delle capacità produttive del comparto fa capo al regolamento (CE) n. 320/2006, cui è seguito il reg. n. 968/2006 di applicazione. Il settore può beneficiare pertanto ai sensi dell’art. 3, per sole quattro campagne di commercializzazione e fino al 2009/2010, di aiuti alla ristrutturazione per tonnellata di quota rinunciata, che vanno fondamentalmente agli zuccherifici e sono diretti ad indurre le imprese meno produttive all’abbandono (tuttavia non meno del 10% è riservato ai coltivatori di bietole ed ai fornitori di macchinari), e di aiuti alla diversificazione (artt. 6 e 7), diretti a promuovere durante le medesime quattro campagne attività alternative alla bieticoltura nelle regioni colpite dalla ristrutturazione (gli aiuti sono progressivamente aumentati se la rinuncia alla propria quota nazionale produttiva da parte di uno Stato membro supera il 50%). La decisione di concedere tale aiuto è stata demandata ai singoli Stati membri, ai quali spetta anche l’esercizio del controllo sull’attuazione della ristrutturazione.

Infine il pacchetto delle riforme ha incluso ulteriori norme dirette sia ad ammortizzare gli effetti del ridimensionamento produttivo avviato dal reg. 320, che a compensare la significativa riduzione del prezzo di sostegno al mercato conseguente al reg. 318. Con il regolamento n. 319 il Consiglio ha definito un regime di sostegno del reddito da applicare al settore dello zucchero[146] nella forma di una specifica forma di aiuto, per un massimo di cinque anni consecutivi, riservata agli Stati membri che hanno rinunciato ad almeno il 50% della propria quota produttiva. In tali Stati pertanto, oltre agli aiuti comunitari alla ristrutturazione di cui al reg. 320, è concesso un aiuto temporaneo nazionale ai produttori di barbabietole da zucchero rimasti attivi[147]; il quinquennio di validità dell’aiuto decorre dall’anno in cui è stata raggiunta la riduzione del 50%, ma può essere erogato al più tardi nella campagna di commercializzazione 2013/2014.

 

Dal canto suo il legislatore nazionale ha cercato di accompagnare la fase di assestamento dell’industria saccarifera, correlata alla riforma comunitaria, prevedendo con l’art. 2 del decreto legge n. 2/2006[148]:

§      la istituzione di un Comitato interministeriale allargato a tre presidenti regionali chiamato ad approvare: il Piano per la razionalizzazione e la riconversione della produzione bieticolo-saccarifera (entro il 26 febbraio 2006); a coordinare le misure comunitarie e nazionali previste per la riconversione del settore; a formulare direttive per l’approvazione dei progetti di riconversione;

§      la presentazione (entro il 13 marzo 2006), da parte delle imprese saccarifere, di progetti di riconversione, soggetti all’approvazione del MIPAAF che beneficia del supporto tecnico dell’ISA Spa[149];

§      l’attribuzione all’AGEA[150] di una dotazione pari a 65,8 meuro per il 2006 destinati all’attuazione della riforma ed alla connessa erogazione di aiuti (così il decreto legge modificato dai commi 1054 e 1063 della L. n. 296/2006 Finanziaria 2007);

§      l’esclusione dal reddito di impresa degli aiuti comunitari alla ristrutturazione.

Il processo di ristrutturazione nazionale è stato quindi avviato sulla base di quanto concordato in sede di tavolo di filiera bieticolo-saccarifera, e formalizzato nell’accordo sottoscritto in data 8 febbraio 2006[151] con il quale sono stati definiti gli impegni alla riconversione degli stabilimenti. Il Piano nazionale richiesto dall’art.2 del decreto legge è stato approvato il 31 gennaio 2007 tenendo conto degli impegni alla riconversione sanciti dal Protocollo del febbraio 2006, e prevede una consistente concentrazione della capacità produttiva negli stabilimenti più funzionali, alla quale si accompagna la riconversione dei rimanenti impianti nelle produzioni della filiera agroenergetica. L’entità della riduzione della quota produttiva nazionale consente peraltro all’Italia di concedere l’aiuto temporaneo previsto dal reg. n. 319 in base al quale i bieticoltori potranno beneficiare, per ogni campagna di commercializzazione, per il trasporto di barbabietole da zucchero, di un aiuto non superiore a 11 euro per tonnellata.

Infine l’Italia, che ha concesso l’aiuto alla diversificazione previsto dal reg. 320, ha assolto all’obbligo di presentare il proprio Programma nazionale di ristrutturazione richiesto dall’articolo 6 dello stesso reg. 320, approvato il 20 marzo 2008 nella Conferenza Stato-regioni.

 


PAC e contesto internazionale

La riforma della OCM ortofrutta

Nel corso del 2007 è giunto a conclusione in sede comunitaria il processo di riforma della Organizzazione comune di mercato del comparto ortofrutta, che è stata approvatacon il Reg. (CE) n. 1182/2007[152], anche se i regimi di aiuto istituiti dai precedenti regolamenti n. 2200/96 sull’OCM ortofrutticola e n. 2201/96 sui prodotti trasformati continuano ad applicarsi alla campagna di commercializzazione che si conclude nel 2008. Va detto in merito peraltro che il regolamento 1182 non ha formalmente abrogato i precedenti regolamenti, fatta eccezione per il regolamento (CE) n. 2202/96 sull’aiuto ai produttori di taluni agrumi, ma li ha modificati; pertanto il completamento della revisione normativa di riferimento è stato definito con il Reg. (CE) n. 1580/2007 che ha recato le nuove modalità di applicazione dei reg. 2200 e 2202 “tenendo conto” delle modifiche apportate dal regolamento (CE) n. 1182/2007.

Si tratta di una riforma di particolare rilievo per l’importanza che il comparto dell’ortofrutta riveste nell’ambito dell’agricoltura comunitaria e di quella italiana.

La produzione di ortofrutticoli rappresenta infatti circa il 17% della produzione agricola complessiva dell’Unione europea (pur ricevendo una parte pari solo al 3,4% della quota del bilancio comunitario relativa agli interventi di mercato in agricoltura); l’Italia, dal canto suo, fornisce il 24,3% della produzione complessiva di ortaggi ed il 29% della produzione complessiva di frutta dell’Unione a 25 Stati membri[153]. Il contesto nel quale si realizza la riforma è inoltre contraddistinto da una accentuata competizione internazionale, soprattutto da parte dei paesi del Mediterraneo e dell’America Latina, che rende ancora più problematica la polverizzazione della base produttiva nazionale e la conseguente scarsa programmazione delle produzioni.

Gli obiettivi della riforma erano potenziare la competitività del settore, ridurre le fluttuazioni di reddito conseguenti a crisi di mercato, incrementare il consumo dell’ortofrutta sui mercati comunitari. I punti salienti della revisione approvata possono così essere sintetizzati:

-       è mantenuto il sostegno alle Organizzazioni di Produttori (OP) che, in ragione del ruolo da loro svolto di garanti della concentrazione dell’offerta[154], viene anche rafforzato con l’aumento in numerosi casi del tasso di finanziamento comunitario dal 50% al 60% (art.10);

-       è ampliato il contenuto dei programmi operativi (PO) nei quali possono essere incluse la prevenzione e gestione delle crisi di mercato, per contrastare le quali sono ammesse anche operazioni di ritiro del prodotto, raccolta prima della maturazione o mancata raccolta degli ortofrutticoli (art. 9). Il cofinanziamento comunitario pari di norma al 50% delle spese sostenute può per gli interventi di ritiro arrivare al 100% delle spese nel caso di ritiri dal mercato di ortofrutticoli in volume non superiore al 5% della produzione commercializzata da ciascuna organizzazione di produttori, e sempreché lo smaltimento dei prodotti sia a titolo gratuito e all’interno dell’UE (art.10, par.4). I precedenti regimi di ritiro di cui al reg. 2200 sono abrogati;

-       l’abolizione degli aiuti al settore degli ortofrutticoli trasformati si accompagna alla concessione di un sostegno disaccoppiato quantificato sulla base degli importi storicamente maturati ed incluso nel regime del pagamento unico;

-       è intensificata la tutela di carattere agroambientale introducendo l’obbligo di includere nei PO due o più azioni ambientali; in alternativa almeno il 10% della spesa prevista dai programmi operativi deve riguardare azioni ambientali.

Le disposizioni sui controlli nazionali e comunitari di cui al titolo VI (artt. 38-42) del reg. 2200 sono state per intero abrogate e sostituite da quelle ben più analitiche di cui al Capo II (artt. 7-20) del reg. (CE) 1580/2007 sulle modalità di applicazione della riforma. È richiesto in primo luogo che ogni Stato membro designi un’unica “autorità di coordinamento” cui competono anche i contatti con gli altri soggetti e autorità, e designi altresì uno o più “organismi di controllo” dei quali deve con precisione definire le sfere di competenza. E’ anche fatto obbligo di istituire una banca dati nazionale nella quale siano registrati tutti gli operatori del settore ovvero di tutte le persone fisiche o giuridiche che detengano prodotti ortofrutticoli freschi destinati ad essere posti in vendita o commercializzati. Spetta poi ai singoli Stati di istituire dei regimi di controllo di conformità sul mercato interno, nella fase di esportazione sui prodotti destinati a paesi terzi ma prima che lascino il territorio, nella fase dell’importazione prima che i prodotti siano immessi in libera pratica. Le metodiche del controllo sono stabilite dalla Commissione (art. 20 all. VI) che ha anche previsto le modalità con le quali è possibile il riconoscimento dei controlli di conformità compiuti da un paese terzo prima della esportazione del prodotto nella Comunità.

A ridosso della pubblicazione della nuova disciplina comunitaria sono state approvate per il settore ortofrutticolo disposizioni legislative che mirano in primo luogo a rafforzare l’attività di controllo, incrementando da 23 a 48 milioni lo stanziamento precedentemente assegnato, con la finanziaria 2007, all'Agecontrol per la realizzazione dei controlli di qualità nel settore dell’ortofrutta (D.L. n. 159/2007[155], art. 42 primo comma). Inoltre 10 milioni di euro sono stati attribuiti all’Agenzia per le erogazioni in agricoltura (AGEA) proprio per attivare le misure nazionali a supporto della riforma della OCM ortofrutticola (comma 2 del citato art. 42)[156].

Anche l’azione del Governo è stata rivolta ad adeguare l’amministrazione e le strutture alle esigenze della nuova OCM, perfino in anticipo sulla pubblicazione definitiva del regolamento comunitario. Allo scopo di conoscere i produttori di ortofrutticoli potenziali beneficiari del nuovo regime di pagamento unico è stata disposta una ricognizione delle aziende ortofrutticole tenute ad integrare le informazioni contenute nei rispettivi fascicoli aziendali (D.M. 22 marzo 2007 modificato con DM 14 settembre 2007). E’ stato quindi aggiornato il manuale operativo delle procedure dei controlli di conformità dei prodotti alle norme comuni di qualità stabilite per gli ortofrutticoli freschi (DM 14 settembre 2007).

La Commissione Agricoltura della Camera ha altresì deliberato il 25 ottobre 2006 lo svolgimento di una indagine conoscitiva sul “sistema di produzione ortofrutticolo del mezzogiorno”.

Il programma dell’indagine poneva l’accento sull’accertamento delle modalità con le quali operano le aziende del settore, in particolare quelle meridionali, e sulla verifica delle condizioni di lavoro degli occupati, sul presupposto che le produzioni nazionali - a carattere prevalentemente intensivo -  debbano competere in ambito internazionale mirando ad un incremento del valore aggiunto, ovvero innalzando le caratteristiche qualitative, piuttosto che attraverso la compressione dei prezzi di produzione.

Nell’ambito dell’indagine la Commissione ha svolto le seguenti audizioni:

-       Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, De Castro (31 gennaio 2007);

-       Ministro del lavoro e della previdenza sociale, Damiano (14 febbraio e 14 marzo 2007);

-       Ministro della solidarietà sociale, Ferrero (21 febbraio 2007);

-       Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura –CRA- (9 maggio 2007);

-       Istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare –ISMEA- (9 maggio 2007);

-       Istituto nazionale di economia agraria –INEA- (15 maggio 2007);

-       Sottosegretario all’interno, Lucidi (12 giugno e 31 luglio 2007).

 


La riforma della OCM vitivinicola

Le disposizioni comunitarie in vigore

Con il Regolamento (CE) 1493/99, che ha sostituito il precedente regolamento 822/87, più volte modificato, nonché una serie assai numerosa di altri provvedimenti comunitari, ora rifusi per motivi di chiarezza nel medesimo Reg. 1493/99, è stata approvata la riforma della Organizzazione comune di mercato (OCM) vitivinicola, che si applica a partire dal 1° agosto 2000, e sarà sostituita a decorrere dal 1° agosto 2008 dalla nuova riforma adottata dal Consiglio dei ministri della U.E. il 29 aprile 2008.

La riforma del 1999 ha tenuto in primo luogo conto della evoluzione verificatasi nel comparto, che si caratterizzava all’epoca per una minore frequenza di eccedenze strutturali, ma anche per una possibile formazione di eccedenze su base pluriennale da connettersi alle sensibili fluttuazioni produttive nella raccolta delle uve.

In secondo luogo, la nuova OCM ha dato attuazione agli accordi di liberalizzazione dei mercati sottoscritti in sede di Uruguay Round, che prevedevano il ridimensionamento degli interventi di sostegno delle produzioni e comportavano il potenziamento della competitività dei prodotti destinati all’esportazione.

La riforma di cui al reg. 1493/99 è stata improntata, pertanto, al fine di garantire una flessibilità sufficiente ad adeguare agevolmente il comparto ai nuovo sviluppi; tale esigenza ha comportato anche come corollario il conferimento da parte del Consiglio alla Commissione delle competenze necessarie alla completa esecuzione della riforma, da realizzarsi anche attraverso una frequente modifica di dati, spesso a carattere fortemente tecnico.

Il reg. n. 1493/1999 (art. 1) designa le merci che, rientrando nel comparto vitivinicolo, sono oggetto di regolazione, mentre l’allegato I dà la esatta definizione dei prodotti. Allo scopo di assicurare il più possibile una posizione di equilibrio fra domanda ed offerta di prodotti enologici, il regolamento detta la disciplina in tema di potenziale viticolo stabilendo: limitazioni agli impianti di vigneti (artt.2-7); premi per l’abbandono definitivo delle superfici viticole (artt. 8-10); un sostegno alla ristrutturazione e riconversione dei vigneti (artt. 11-15); quali siano le informazioni che i singoli Stati debbono possedere o trasmettere alle strutture comunitarie (artt. 16-23). La regolazione del mercato (artt. 24-38) viene esercitata attraverso i seguenti meccanismi: aiuti per il magazzinaggio dei vini e dei mosti, la regolazione della distillazione e la previsione di una distillazione di crisi (in casi eccezionali di turbativa del mercato dovuta ad una notevole eccedenza e/o a problemi di qualità), l’impiego per determinati usi di mosti concentrati. Il Tit. IV dispone in tema di associazioni di produttori e organismi di filiera (artt. 39-41) ed il successivo Tit. V regolamenta i trattamenti enologici, le designazioni e le denominazioni dei prodotti (artt. 42-53).

Infine, con il Tit. VI è disciplinato il settore dei vini di qualità prodotti in regioni determinate (artt. 54- 58) e con il Tit. VII quello degli scambi con paesi terzi (artt. 59-69).

Normativa statale

La disciplina della produzione e commercio dei vini, degli aceti e dei prodotti di uso enologico è stata di recente oggetto di un complessivo intervento legislativo di riordino, adottato con la legge 20 febbraio 2006, n. 82.

Il provvedimento, approvato alla Camera in sede legislativa dalla Commissione agricoltura con il consenso di tutti i gruppi politici, è volto a chiarire il quadro normativo (caratterizzato da una accentuata stratificazione normativa, sulla quale si è intervenuti disponendo numerose abrogazioni), semplificare gli adempimenti a carico dei produttori, razionalizzare le misure finalizzate a garantire la sicurezza dei prodotti e aggiornare il sistema sanzionatorio, superando la logica emergenziale che ha caratterizzato la produzione normativa in materia a partire della vicenda del c.d. vino al metanolo. Più specificamente, la nuova legge introduce (anche al fine di raccordare la normativa interna a quella comunitaria, riconducibile essenzialmente al regolamento CE n.1493/1999 sulla OCM vino) nuove definizioni normative (quali quelle di “vino passito”, “vinsanto” e “vitigno autoctono italiano”), vieta la detenzione di mosti e vini non rispondenti ai parametri o che abbiano subito trattamenti o aggiunte non consentiti, prevede nuove misure in materia di recipienti, bottiglie, sistemi di chiusura, detenzione di prodotti chimici e igiene delle cantine, dispone la costituzione presso il Dicastero agricolo di una Commissione consultiva per l’aggiornamento dei metodi ufficiali di analisi e di un Comitato di coordinamento per il servizio di repressione frodi. Per quanto concerne, in particolare, il sistema sanzionatorio (sul quale si erano appuntate da tempo le maggiori critiche del mondo produttivo), il provvedimento dispone la depenalizzazione delle precedenti figure di reato, strutturando un complesso sistema di sanzioni amministrative pecuniarie (la cui entità viene rapportata alla effettiva gravità dei comportamenti, secondo un principio di gradualità e proporzionalità) e introduce, in via generale, lo strumento della diffida.

L’approvazione della descritta riforma è stata seguita da provvedimenti, decreti o norme di legge, volti a governare il comparto nei termini previsti dalle disposizioni comunitarie.

La legge n. 82/2006 è stata novellata dalla legge finanziaria dello stesso anno[157], che con il comma 1049 è intervenuta sull’articolo 14 comma 8 eliminando dall’ambito dei controlli obbligatori nel settore vitivinicolo la prova preliminare di fermentazione. Tale comma 8 imponeva ai laboratori ufficiali di analisi (autorizzati ai sensi delle norme UNI CEI EN ISO/IEC 17025), nonché ai laboratori di analisi degli organismi di vigilanza, di effettuare sistematicamente, per ogni prodotto vinoso ufficialmente analizzato, la prova preliminare di fermentazione e la ricerca dei denaturanti previsti dalla stessa legge n. 82. Quindi, il risultato di tali prove doveva essere riportato sul certificato di analisi chimica, mentre un eventuale esito irregolare andava segnalato al competente ufficio periferico dell'Ispettorato centrale repressione frodi. La legge finanziaria ha soppresso le parole relative alla prova preliminare di fermentazione, ritenuta non solo obsoleta ma anche penalizzante dal punto di vista economico, poiché la sua esecuzione che si esplica su più giorni impedisce nel frattempo la movimentazione dei vini.

Il Parlamento ha anche approvato, convertendo in  legge il decreto legge n. 10/2007[158], disposizioni dirette alla istituzione di un registro pubblico informatico dei diritti di reimpianto, che rispondendo alle richieste di efficienza e trasparenza contenute nelle norme comunitarie, dovrebbe consentire una maggiore flessibilità nella gestione nazionale dei diritti di reimpianto (art. 4-ter. Co. 2).

Nello specifico la Commissione ha ritenuto che il miglioramento equilibrio del comparto enologico sia stato in gran parte dovuto alle norme di restrizione all’impianto di viti con varietà di uve da vino[159], ed ha pertanto conservato con l’articolo 2 del reg. 1493 tali restrizioni fino al 31 luglio 2010, salvo che l’impianto venga eseguito in forza di uno dei seguenti diritti: diritto di nuovo impianto[160]; diritto di reimpianto; diritto di impianto prelevato dalla riserva costituita con diritti d’impianto e di reimpianto.

L’assegnazione dei diritti di reimpianto, disciplinata dall’articolo 4 del regolamento n. 1492, spetta agli Stati membri che possono attribuirli ai soli produttori che: abbiano estirpato una superficie piantata a vite; che si impegnino ad estirpare una superficie vitata prima della fine della terza campagna successiva a quella in cui tale superficie è stata piantata. Peraltro, come già detto il reimpianto deve avvenire su una superficie equivalente, in coltura pura, a quella in cui ha avuto luogo l'estirpazione, e deve essere esercitato prima della fine della quinta campagna successiva a quella in cui ha avuto luogo l'estirpazione. I diritti non utilizzati entro i termini sono attribuiti a riserva.

In deroga alle illustrate disposizioni  il comma 8 dell’articolo 5  prevede che, qualora uno Stato membro possa dimostrare di disporre nel proprio territorio di un sistema efficace per la gestione dei diritti d'impianto, le disposizioni che impongono la costituzione di una riserva possono essere disattese e i termini per l’esercizio dei diritti di reimpianto, di cinque anni dalla estirpazione, è prorogato di ulteriori cinque campagne.

Dal canto suo il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali ha adottato due decreti, entrambi recanti la data del 31 luglio 2006, con i quali  ha disposto in merito all'aggiunta di denaturanti o indicatori nei prodotti che non possono essere offerti o avviati al consumo umano diretto[161], ed ha stabilito le modalità da osservare per la detenzione, senza la prescritta denaturazione, dei mosti aventi titolo alcolometrico inferiore all'8 per cento in volume[162].

Infine, allo scopo di assicurare la completa utilizzazione delle risorse finanziarie assegnate all'Italia con la decisione CE C(2007) 5293def. del 6 novembre 2007, per la ristrutturazione e riconversione dei vigneti per la campagna vitivinicola 2007/2008, è stato approvato il DM 17 marzo 2008 di riparto delle risorse fra le regioni e province autonome[163].

 

La disciplina delle denominazioni di origine (DOCG, DOC e IGT) è recata dalla legge 10 febbraio 1992, n. 164[164] che delinea un articolato impianto normativo, volto a disciplinare, lungo tutte le sue fasi, il procedimento che conduce all’attribuzione della denominazione di origine, provvedendo in particolare a definire il contenuto dei disciplinari di produzione, a istituire un albo degli imbottigliatori e un albo dei vigneti e delle vigne. Il provvedimento stabilisce inoltre le misure per la gestione e la protezione dei marchi, introduce specifiche procedure di controllo e revoca dei riconoscimenti, definisce il ruolo dei consigli interprofessionali e dei consorzi volontari.

La legge n. 164/1992 definisce puntualmente il quadro entro il quale possono essere attribuite ed impiegate le diverse categorie di denominazione protetta, ovvero le denominazioni di origine controllata e garantita (DOCG), le denominazioni di origine controllata (DOC), e le indicazioni geografiche tipiche (IGT). La legge dà prioritariamente la definizionedi "denominazione di origine" dei vini, con la quale si intende il nome geografico di una zona viticola particolarmente vocata, utilizzato per designare un prodotto di qualità e rinomato, le cui caratteristiche sono connesse all’ambiente naturale ed ai fattori umani. Per "indicazione geografica tipica" dei vini, invece, si intende il nome geografico di una zona utilizzato per designare il prodotto che ne deriva.

Il riconoscimento delle denominazioni di origine e delle indicazioni geografiche tipiche è sottoposto ad un particolare regime che prevede, contestualmente all'approvazione del disciplinare di produzione, l’adozione di uno specifico decreto del Ministro agricolo, previo parere conforme del Comitato nazionale per la tutela e la valorizzazione delle denominazioni d'origine e delle indicazioni geografiche tipiche dei vini - istituito dall'art. 17 della legge stessa -, sentite le regioni interessate.

I disciplinari di produzione, anch’essi approvati con decreto del Ministro, assumono particolare rilevanza per l’applicazione delle disposizioni della legge n. 164, poiché costituiscono il parametro in base al quale vengono individuate e riconosciute le produzioni di qualità dei vini. Il contenuto obbligatorio dei disciplinari è descritto dall’articolo 10 della legge, riguardante tutta una serie di fattori quali, tra l’altro, la delimitazione della zona di produzione, la resa massima di uva e di vino ad ettaro, il titolo alcolometrico volumico minimo, le condizioni di produzione e le caratteristiche dell’ambiente, le modalità dell’esame chimico-organolettico prescritto dalla CE per tutti i vini di qualità riconosciuti. Il DM del 22 aprile 1992[165]hapoi stabilito la facoltà di inserire nei disciplinari ulteriori specificazioni per la migliore individuazione dei vini.

Per quanto riguarda l’attuazione delle disposizioni della legge n. 164, ed in particolare di quelle più strettamente connesse con le modalità e i tempi del procedimento per il riconoscimento di denominazioni protette, che la legge stessa demandava ad uno specifico decreto, con il DPR 20 aprile 1994, n. 348 sono state approvate misure di semplificazione del procedimento di riconoscimento.

Nel procedimento di riconoscimento delle denominazioni di origine un ruolo fondamentale è attribuito ai Consorzi volontari di tutela che hanno, a norma dell’art. 19 della legge n. 164/1992, compiti di tutela, valorizzazione e cura generale degli interessi relativi alle denominazioni; essi hanno inoltre compiti di proposta per la disciplina regolamentare delle rispettive denominazioni e compiti consultivi nei confronti delle regioni e delle Camere di commercio.

Il D.M. 29 maggio 2001[166], ha poi consentito ai Consorzi già incaricati della vigilanza sulle rispettive denominazioni ai sensi dell’art. 19 della legge n. 164/1992 di richiedere al Ministero agricolo un apposito incarico a svolgere anche le funzioni di controllo “su tutte le fasi di produzione dell’uva e della sua trasformazione in vino e della presentazione al consumo dei vini DOC e DOCG., anche al fine di garantire la tracciabilità”.

Lo schema del piano dei controlli da effettuare ai sensi del D.M. 29 maggio 2001 è stato successivamente approvato con il D.M. 21 marzo 2002.

Il D.M. 29 maggio 2001 è stato peraltro abrogato e sostituito dal recente D.M. 29 marzo 2007, che reca le nuove disposizioni sul controllo della produzione di vini di qualità prodotti in regioni determinate.

La nuova disciplina introdotta dal D.M. 29 marzo 2007 si pone espressamente (art. 1) come normativa transitoria, valida “nelle more della revisione strutturale del sistema dei controlli e della revisione della legge n. 164/1992”.

Il ruolo dei Consorzi di tutela appare ulteriormente valorizzato, in quanto gli stessi sono considerati in via generale come soggetti idonei a svolgere le attività di controllo, salva le necessità di una autorizzazione che il MIPAAF rilascia, acquisito il parere della regione ed esaminati il piano dei controlli e quello tariffario; si prevede inoltre che i Consorzi possano svolgere l’attività di controllo anche per le denominazioni di origine per le quali non hanno l‘incarico di vigilanza, purché proposti alla regione competente da almeno il 75% dei componenti della filiera vitivinicola regionale effettivamente rappresentativa della denominazione interessata.

Il D.M. 29 marzo 2007 dispone altresì l‘abrogazione del citato D.M. 21 marzo 2002 sullo schema dei piani di controllo: l’abrogazione è tuttavia differita alla data di pubblicazione del nuovo decreto in materia, da emanare con decreto dirigenziale del MIPAAF, d’intesa con le regioni e le Province autonome.

 

Si segnala infine che nello scorcio finale della legislatura il Governo ha  presentato uno schema di decreto legislativo recante disposizioni correttive ed integrative dei decreti legislativi nn. 227/2001, 99/2004 e 102/2005 sulla modernizzazione e regolazione dei mercati in agricoltura[167], contenente tra l’altro numerose disposizioni di modifica alle leggi n. 164/ 1992 e n. 82/2006. Lo schema, predisposto ai sensi della delega conferita al Governo dall’art. 1, comma 12, della legge n. 228/2006[168], il termine per l’esercizio della quale scadrà il 13 luglio 2008, non è stato tuttavia emanato nel corso della legislatura. Per il contenuto delle modifiche proposte si vedail capitolo La semplificazione amministrativa, pag. 17.

La riforma comunitaria: elementi principali

Il 4 luglio 2007 la Commissione europea ha presentato una proposta di regolamento relativa ad una riforma dell’organizzazione comune del mercato vitivinicolo[169]. La proposta, su cui il Consiglio ha raggiunto un primo accordo politico il 12 dicembre 2007, è stata adottata formalmente il 29 aprile 2008 (si veda il relativo comunicato stampa sul sito della Commissione europea) e dovrebbe entrare in vigore il 1° agosto 2008.

 

La proposta fa seguito alla comunicazione, presentata dalla Commissione nel giugno 2006, nella quale venivano prospettati quattro possibili scenari per la riforma del settore, oggetto di un approfondito e controverso dibattito sia nell’ambito del Consiglio agricoltura che presso il Parlamento europeo. Gli esiti di tale dibattito sono confluiti nell’elaborazione della proposta di regolamento succitata che reca le seguenti novità rispetto alla comunicazione: la riduzione delle estirpazioni dagli iniziali 400 mila ettari a 200 mila ettari; la superficie viticola diventa ammissibile al regime del pagamento unico; particolare attenzione ricevono le misure di promozione dei vini europei sui mercati terzi.

Gli obiettivi principali che la riforma si prefigge sono:

-       rafforzare la competitività dei produttori, sostenere la reputazione dei vini di qualità, riconquistare i vecchi mercati e conquistarne dei nuovi;

-       stabilire un regime vitivinicolo costituito da regole chiare, semplici, ed efficaci, che consentano di porre in equilibrio domanda e offerta;

-       istituire un regime che preservi le migliori tradizioni produttive, che rafforzi il tessuto sociale delle zone rurali, che garantisca il rispetto dell’ambiente.

Per raggiungere tali obiettivi, la Commissione ha proposto una serie di misure in merito all’abolizione delle misure di gestione del mercato, al divieto di impiego di zucchero per l'arricchimento, al regime di estirpazione, al pagamento unico per azienda, alla cessazione delle restrizioni agli impianti, alle pratiche enologiche, alle norme di etichettatura, alle dotazioni finanziarie nazionali, alle misure di sviluppo rurale, alla promozione dei prodotti, alla informazione dei consumatori  ed alla protezione dell’ambiente. Alcune di tali misure sono state modificate in sede di Consiglio; nella sintesi che seguesi dà conto delle proposte della Commissione e delle modifiche risultanti dal citato comunicato stampa.

Abolizione delle misure di gestione del mercato.

La Commissione proponeva di abolire fin dal primo giorno di entrata in vigore della riforma le seguenti misure: la distillazione di crisi, l'aiuto per la distillazione dei sottoprodotti, la distillazione in alcole per usi commestibili e dei vini ottenuti da varietà a doppia classificazione, l'aiuto al magazzinaggio privato, le restituzioni all'esportazione, l'aiuto per il mosto destinato all'arricchimento del vino. Il testo approvato prevede una eliminazione progressiva dei regimi di distillazione.

Impiego di zucchero per l'arricchimento

L’uso di zucchero per arricchire il vino avrebbe dovuto essere proibito, secondo la proposta della Commissione,  a partire dal primo giorno di entrata in vigore della riforma. Tale pratica non rientra tra quelle riconosciute, a livello internazionale, dalla Organizzazione della vigna e del vino (OIV) e, in ambito comunitario, è fortemente controversa. Porre fine alla pratica dello zuccheraggio – prevalentemente utilizzata nei Paesi del nord Europa – e all'erogazione dell'aiuto per il mosto – utilizzato per aumentare la gradazione alcolica nella maggior parte dei Paesi produttori (Italia, Spagna e Grecia) – avrebbe permesso, secondo la Commissione, di mantenere l'equilibrio tra il nord e il sud dell'Europa inducendo tutti i produttori a vinificare esclusivamente con uva e mosto non sovvenzionato.

Il testo approvato prevede invece che la pratica dello zuccheraggio continui ad essere autorizzata, con una riduzione dei livelli massimi di arricchimento; parallelamente, l’aiuto per l’utilizzazione dei mosti potrà essere versato nella forma attuale per quattro anni, dopo di che la spesa corrispondente potrà essere convertita in pagamenti disaccoppiati ai produttori di uve.

Regime di estirpazione

I viticoltori che desidereranno abbandonare l'attività nel settore, potranno accedere ad un programma di estirpazione, del tutto volontario, beneficiando di uno specifico premio. Nel primo anno il premio sarà superiore per incoraggiare un’adesione rapida al nuovo regime, e decrescerà progressivamente nell'arco del quinquennio previsto. Per evitare problemi sociali e ambientali, gli Stati membri potranno prevedere restrizioni alla possibilità di procedere all'estirpazione, in particolare, limitandola nelle zone di montagna, in forte pendenza e nelle regioni sensibili, sotto il profilo ambientale; inoltre, l'estirpazione dovrà cessare non appena la superficie espiantata raggiungerà il 10% della superficie vitata totale del paese. La superficie totale da estirpare sarà di circa 175.000 ettari. La dotazione finanziaria riservata a tale regime scenderà da 430 milioni di euro nel primo anno a 59 milioni di euro nel quinto e ultimo anno. Il premio medio passerà da 7,174 EUR/ha il primo anno a 2,938 EUR/ha il quinto anno.

Pagamento unico per azienda

Tutte le superfici vitate saranno ammesse a beneficiare di aiuti nell'ambito del regime di pagamento unico; anche quelle estirpate saranno automaticamente ammesse a tale pagamento.

Cessazione delle restrizioni agli impianti

La Commissione proponeva di prorogare il sistema dei diritti d'impianto[170] solo fino alla fine del periodo transitorio (dicembre 2013), per permettere ai produttori competitivi di espandere la propria produzione.

Il testo approvato prevede l’abolizione dei diritti di impianto entro la fine del 2015, con possibilità di mantenimento a livello nazionale sino al 2018.

Pratiche enologiche

La competenza ad approvare nuove pratiche enologiche o a modificare le pratiche esistenti viene trasferita dal Consiglio alla Commissione; la Commissione dovrebbe valutare le pratiche enologiche ammesse dall'OIV e inserirle quindi nell'elenco delle pratiche enologiche ammesse dall'UE. L'Unione europea autorizzerà le pratiche ammesse a livello internazionale per la vinificazione di vini da esportare nei rispettivi paesi di destinazione. Saranno mantenuti il divieto di importazione di mosti da usare per la vinificazione e del taglio di vini europei con vini importati.

Migliori norme di etichettatura

Secondo la proposta, il concetto di vino di qualità nell'Unione europea si baserà sull'origine geografica (vino di qualità prodotto in regioni determinate). I vini a indicazione geografica si suddivideranno in vini a indicazione geografica protetta e in vini a denominazione di origine protetta; per la prima volta ai vini europei senza indicazione geografica verrà consentito di indicare in etichetta il vitigno e l'annata. La Commissione ritiene che in questo modo i vini europei monovitigno dovrebbero riuscire a sostenere la concorrenza dei prodotti dei paesi terzi. 

Dotazioni finanziarie nazionali

Secondo la Commissione, tali dotazioni finanziare permetteranno agli Stati membri di adattare le misure alle esigenze locali. Le risorse complessive dovrebbero passare da 623 milioni di euro nel 2009 a milioni di euro a partire dal 2015. L'importo a disposizione di ogni paese verrebbe calcolato in base alla superficie vitata, alla produzione e alla spesa storica. Le misure a disposizione comprenderebbero: la promozione nei paesi terzi, la ristrutturazione e riconversione dei vigneti, l'aiuto per la vendemmia verde, nuove misure di gestione delle crisi come l'assicurazione contro calamità naturali e la copertura dei costi amministrativi per la costituzione di specifici fondi di mutualizzazione.

Misure di sviluppo rurale

La Commissione sottolinea come diverse misure contemplate dal regolamento sullo sviluppo rurale potrebbero rivelarsi interessanti per il settore del vino, come ad esempio l'insediamento dei giovani agricoltori, il miglioramento della commercializzazione, la formazione professionale, il sostegno alle organizzazioni di produttori, il sostegno a copertura dei costi supplementari e delle perdite di reddito per la manutenzione dei paesaggi naturali, il prepensionamento. Per permettere l'applicazione di tali misure verrebbero trasferite risorse alla dotazione dello sviluppo rurale, che passerebbe da 100 milioni di euro nel 2009 a 400 milioni di euro a partire dal 2014. Questi stanziamenti sarebbero riservati esclusivamente alle regioni produttrici di vino.

Promozione e informazione

La Commissione intende portare avanti con determinazione una politica di promozione e informazione responsabile, alla quale verrebbero riservati 120 milioni di euro, a partire dalle dotazioni nazionali per le misure di promozione nei paesi terzi, cofinanziate al 50% dall'UE. Verrebbero attuate nuove campagne di informazione all'interno dell'Unione europea sui vini a indicazione geografica e sul consumo responsabile e moderato di vino, con un tasso di cofinanziamento più elevato, pari al 60% per queste ultime.

Protezione dell'ambiente

La Commissione sottolinea come ammettere tutte le superfici vitate al regime del pagamento unico significhi estendere l'applicazione delle norme ambientali previste dalla condizionalità, anche a tutte le superfici estirpate[171].

Il pagamento degli aiuti per l'estirpazione, per la ristrutturazione dei vigneti e per la vendemmia verde sarebbero pertanto subordinate al rispetto di requisiti ambientali minimi; in aggiunta, nell’ambito dello sviluppo rurale, verrebbero  riservate maggiori risorse alle misure agroambientali.

Indagine conoscitiva sul settore vitivinicolo

La Commissione XIII (Agricoltura) della Camera ha deliberato, nella seduta del 28 giugno 2007, di svolgere un'indagine conoscitiva, al fine di seguire la definizione della riforma dell'OCM del vino a livello comunitario e di valutarne l'impatto a livello nazionale, anche sotto il profilo normativo, con particolare riferimento, innanzitutto, alla riforma della legislazione statale concernente le denominazioni di origine[172].

Lo svolgimento dell'indagine conoscitiva ha avuto inizio con l’audizione del 24 luglio 2007, finalizzata in modo particolare ad acquisire le valutazioni del Governo italiano sulla proposta di regolamento e di riforma dell'OCM vino presentata dalla Commissione europea il 4 luglio 2007. E’ intervenuto il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali il quale ha svolto una relazione sui temi oggetto dell'audizione. Successivamente la Commissione ha svolto audizioni dei seguenti soggetti:

-       organizzazioni professionali agricole Coldiretti, Confagricoltura, CIA e Copagri (18 settembre 2007);

-       cooperative agricole Agci-Agrital, Federagri-Confcooperative, Legacoop-Agroalimentare (19 settembre 2007);

-       Associazione città del vino (25 settembre 2007);

-       Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura –CRA- (26 settembre 2007);

-       Ente vini - enoteca italiana (26 settembre 2007);

-       Associazioni nazionali produttori Federvini, Federdoc, Unione italiana vini (3 ottobre 2007);

-       Istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare –ISMEA- (3 ottobre 2007);

-       Istituto nazionale di economia agraria –INEA- (3 ottobre 2007);

-       Associazione nazionale industriali distillatori di alcoli e di acquaviti -Assodistil - (9 ottobre 2007).

Alla luce di quanto emerso dalle predette audizioni, nonché dall’audizione dei rappresentanti italiani presso la Commissione agricoltura del Parlamento europeo (svolta congiuntamente con la Commissione XIV -Politiche comunitarie- nella seduta del 17 ottobre 2007) la Commissione ha quindi approvato nella seduta del 24 ottobre 2007, ai sensi dell’articolo 127 del Regolamento della Camera, un documento di indirizzo (all. 3) al Governo sugli orientamenti da seguire nel corso delle trattative in sede comunitaria per la definizione del regolamento di riforma della organizzazione comune di mercato del settore vitivinicolo.


Competenze e strutture ministeriali

La riorganizzazione del MIPAAF

Al termine della legislatura è stato approvato con il DPR 9 gennaio 2008, n. 18 il Regolamento recante riorganizzazione del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, a norma dell'articolo 1, comma 404, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 che – con contestuale abrogazione del precedente regolamento di organizzazione recato dal D.P.R. 23 marzo 2005, n. 79, - disciplina la struttura organizzativa del Ministero, per adeguarla alle modifiche introdotte dai seguenti provvedimenti legislativi:

-       il decreto legge 18 maggio 2006, n. 181, recante “Disposizioni urgenti in materia di riordino delle attribuzioni della Presidenza del Consiglio dei Ministri e dei Ministeri”, convertito, con modificazioni dalla legge 17 luglio 2006, n. 233, con il quale (art. 1, comma 9) sono state attribuite al Dicastero agricolo (conseguentemente ridenominato “Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, ai sensi del comma 11) le competenze sui generi alimentari trasformati industrialmente (per l’innanzi assegnate al Ministero delle attività produttive (ridenominato “Ministero per lo sviluppo economico”), previste dall’articolo 1 della legge n.199/1958[173];

-       la legge 27 dicembre 2006, n. 296[174] (legge finanziaria 2007), che, all’art. 1, commi 404-415, ha previsto un vasto programma di riorganizzazione dei ministeri, finalizzato al contenimento delle spese di funzionamento, da attuare attraverso l’adozione di regolamenti di delegificazione da emanarsi, entro il 30 aprile 2007, su proposta da ciascuna amministrazione, ai sensi dell’art. 17, comma 4-bis, della legge n. 400/1988;

-       ancora la legge finanziaria 2007, che, all’art. 1, comma 1047, ha affidato all’Ispettorato centrale per il controllo della qualità dei prodotti agroalimentari (contestualmente definito come struttura dipartimentale del MIPAAF) le funzioni statali in materia di vigilanza sugli organismi incaricati del controllo medesimo[175].

 

In dettaglio, il contenuto degli articoli del regolamento[176] può essere sintetizzato come segue.

L’articolo 1 dispone che il MIPAAF sia organizzato nei seguenti tre dipartimenti, in luogo dei due (Dipartimento delle filiere agricole e agroalimentari; Dipartimento delle politiche di sviluppo) in precedenza previsti:

-       Dipartimento delle politiche europee ed internazionali;

-       Dipartimento delle politiche di sviluppo economico e rurale;

-       Dipartimento dell’Ispettorato centrale per il controllo della qualità dei prodotti agroalimentari.

L’articolo definisce inoltre le funzioni dei capi dei dipartimenti (comma 2) che, ai sensi del decreto legislativo n. 300/1999[177] svolgono compiti di coordinamento, direzione e controllo degli uffici di livello dirigenziale generale compresi nel dipartimento stesso, al fine di assicurare la continuità delle funzioni dell'amministrazione e sono responsabili dei risultati complessivamente raggiunti dagli uffici da loro dipendenti, in attuazione degli indirizzi del ministro.

 

L’articolo 2 definisce le competenzedel Dipartimento delle politiche europee ed internazionali, che si articola in tre direzioni generali:

-       Direzione generale delle politiche comunitarie e internazionali di mercato;

-       Direzione generale per l’attuazione delle politiche comunitarie e internazionali di mercato;

-       Direzione generale della pesca marittima e dell’acquacoltura.

Rispetto all’assetto previgente restano ferme in linea di massima le attribuzioni della Direzione generale della pesca, mentre le aree di competenza delle altre due Direzioni generali (in precedenza: DG delle politiche agricole e DG della trasformazione agroalimentare e dei mercati) sono riaggregate con riferimento rispettivamente alle fasi di elaborazione e di attuazione delle politiche comunitarie e internazionali di mercato.

 

L’articolo 3 definisce le competenzedel Dipartimento delle politiche di sviluppo economico e rurale, che si articola in tre direzioni generali:

-       Direzione generale dello sviluppo rurale, infrastrutture e servizi;

-       Direzione generale sviluppo agroalimentare, qualità e tutela del consumatore;

-       Direzione generale dei servizi amministrativi.

Mentre la DG dello sviluppo rurale, infrastrutture e servizi subentra in linea di massima nelle competenze in precedenza attribuite alla DG dello sviluppo rurale, ampliandole sul versante della ricerca ed innovazione tecnologica e della tutela dei patrimoni genetici delle specie umane ed animali, la DG sviluppo agroalimentare, qualità e tutela del consumatore accorpa le competenze prima spettanti alla DG per la qualità dei prodotti agroalimentari ed alla DG per la tutela del consumatore, realizzando inoltre, come afferma la relazione illustrativa, la riconduzione in un’unica DG del sostegno alle filiere e per la concentrazione dell’offerta da parte dei produttori agricoli.

La Direzione generale dei servizi amministrativi subentra nelle competenze della DG dell’amministrazione, ampliate con riferimento alle problematiche del lavoro nel settore agricolo, al coordinamento della comunicazione istituzionale, alle attività di competenza ministeriale connesse alla organizzazione di giochi e scommesse sulle corse dei cavalli. Nella nuova DG si concentra inoltre la gestione delle risorse umane del Ministero, in quanto la stessa, oltre ad occuparsi del personale del ruolo agricoltura, assicurerà la gestione unitaria dei servizi comuni e del personale (limitatamente al reclutamento, alla formazione generale, al trattamento giuridico ed economico ed al relativo contenzioso) anche per il personale del ruolo ispettorato. L’Ispettorato (v. infra, sub art. 4) mantiene comunque un organico proprio ed una propria organizzazione amministrativa e contabile, gestendo direttamente il trattamento economico accessorio e la mobilità del proprio personale, nonché la formazione specifica per il personale stesso.

 

L’articolo 4 definisce le competenze e la struttura dell’Ispettorato centrale per il controllo della qualità dei prodotti agroalimentari, sistematizzando e riassorbendo nell’ambito del regolamento di organizzazione del Ministero[178] una normativa attualmente frammentata in una serie di provvedimenti legislativi succedutisi dal 1986 sino alla legge finanziaria 2007, i quali hanno via via affiancato alle originarie competenze dell’Ispettorato in materia di prevenzione e repressione delle infrazioni nella preparazione dei prodotti agroalimentari le funzioni di vigilanza a tutela delle produzioni di qualità e di contrasto alla irregolare commercializzazione di prodotti agroalimentari di importazione.

Queste ultime e più recenti funzioni sono ulteriormente specificate nell’ambito delle competenze attribuite alle due direzioni generali nelle quali si articola a livello centrale[179] l’Ispettorato:

-       Direzione generale del controllo della qualità e dei sistemi di qualità;

-       Direzione generale della programmazione, del coordinamento ispettivo e dei laboratori di analisi.

Rispetto al precedente assetto organizzativo dell’Ispettorato[180], infatti, mentre la DG della programmazione, del coordinamento ispettivo e dei laboratori di analisi mantiene l’attuale denominazione e la specifica connotazione di coordinamento delle attività tecnico-ispettive, l’altra DG si caratterizza, come d’altra parte risulta anche dalla nuova denominazione, per l’accentuazione della peculiare missione di tutela della qualità dei prodotti agroalimentari, a fronte di un alleggerimento (V. supra, sub art. 3) delle competenze amministrative e di gestione del personale.

Sotto questo profilo, in particolare, la DG del controllo della qualità e dei sistemi di qualità ha competenza in materia di tracciabilità delle produzioni agroalimentari, di riconoscimento degli organismi di controllo e di certificazione delle produzioni biologiche e di qualità registrata, di certificazione delle attività agricole ecocompatibili.

 

L’articolo 5 definisce struttura e funzioni del Consiglio nazionale dell’agricoltura, dell’alimentazione e della pesca, organo tecnico consultivo del Ministro con funzioni di alta consulenza, studio e ricerca. L’articolo riproduce il testo del vigente art. 4 del D.P.R. n. 79/2005, integrando peraltro la denominazione dell’organo (in precedenza: Consiglio nazionale dell’agricoltura) con il riferimento alle materie dell’alimentazione e della pesca. Si segnala inoltre una integrazione al comma 2, con la quale si prevede che alle riunioni del Consiglio partecipino i Capi di Dipartimento.

 

L’articolo 6 riporta nell’ambito del regolamento di organizzazione del MIPAAF la previsione relativa all’attività del Comitato nazionale italiano per il collegamento tra il Governo italiano e l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura, rinviando per la relativa disciplina alla norma che ha istituito il Comitato (Decreto legislativo 7 maggio 1948, n. 1182).

 

L’articolo 7 disciplina l’attività degli organismi posti alle dipendenze funzionali del Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali:

-       il Comando carabinieri politiche agricole e alimentari;

-       il Reparto pesca marittima (RPM) del corpo delle Capitanerie d porto;

-       il Corpo forestale dello Stato

Non si segnalano modifiche significative rispetto alla normativa previgente, contenuta rispettivamente nell’art. 5, comma 4, del D.P.R. n. 79/2005 e nell’art. 4 del D.Lgs. 27 maggio 2005, n. 100. 

 

L’articolo 8 disciplina l’attività di due organismi istituiti presso il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali:

-       Il Nucleo per i sistemi informativi e statistici in agricoltura;

-       Il Nucleo di valutazione e verifica degli investimenti pubblici del MIPAAF.

Per quest’ultimo organismo è richiamata semplicemente la normativa vigente (legge 17 maggio 1999, n. 144, art. 1, e D.M. 4 novembre 1999), mentre per quanto riguarda il Nucleo per i sistemi informativi e statistici sono introdotte alcune modifiche rispetto al vigente art. 5, comma 3, del D.P.R. n. 79/2005. In particolare, si prevede che il Nucleo sia presieduto dal Capo di gabinetto e che ad esso partecipino i Capi di dipartimento.

 

L’articolo 9, al comma 1, ridetermina le dotazioni organiche del personale del MIPAAF, che è ripartito nel ruolo agricoltura ed in quello Ispettorato (ICQ), rinviando rispettivamente alle tabelle A e B allegate allo schema di regolamento.

In attuazione dell’art. 1, comma 404, della finanziaria 2007, la rideterminazione delle piante organiche comporta:

-       la soppressione di un Ufficio dirigenziale di livello generale: le Direzioni generali previste sono infatti dodici, in luogo delle attuali tredici;

-       la soppressione di quattro posizioni dirigenziali di livello non generale: i relativi uffici sono infatti ottantacinque in luogo degli attuali ottantanove;

-       la riduzione di trentaquattro unità di personale delle diverse qualifiche funzionali.

Le predette variazioni sono peraltro la risultanza algebrica di variazioni di segno opposto registrate nelle dotazioni di personale del ruolo agricoltura e di quello ispettorato.

Infatti:

-       nel ruolo agricoltura si registrano variazioni in diminuzione (7 posti nelle qualifiche dirigenziali, 91 nelle aree funzionali);

-       nel ruolo ispettorato si registrano variazioni in aumento (2 posti nelle qualifiche dirigenziali, 57 nelle aree funzionali).

In ogni caso, come sottolinea la relazione tecnica, le variazioni proposte sono calcolate sugli organici teorici a normativa vigente e non corrispondono pertanto a variazioni relative al personale in servizio, che di fatto è largamente inferiore all’organico teorico.

Le motivazioni della redistribuzione di personale tra i due ruoli, vanno poste in relazione a:

-       la diminuzione del personale del ruolo agricoltura consegue sia al trasferimento all’Ispettorato delle competenze inerenti la vigilanza sugli organismi di controllo della qualità, sia al riassetto della articolazione professionale interna al ruolo, con valorizzazione delle qualifiche elevate richieste dall’attività a livello internazionale e contenimento delle qualifiche meramente ausiliarie, in conseguenza dell’innovazione tecnologica;

-       il potenziamento del ruolo ispettorato è conseguente all’accresciuto fabbisogno di risorse umane qualificate per svolgere le nuove funzioni di vigilanza sugli organismi di controllo e certificazione, di contrasto alla irregolare commercializzazione di prodotti importati, di controllo sui fertilizzanti.

Il comma 2 dell’articolo 9 rinvia a successivi decreti del Ministro, di natura non regolamentare, l’individuazione degli uffici di livello dirigenziale non generale, ivi compresi quelli a livello periferico, e la definizione delle relative attribuzioni. Il numero totale di tali uffici è fissato in ottantacinque (tre dei quali presso gli uffici di diretta collaborazione) dal comma 3, che stabilisce anche che nelle more dell’adozione dei decreti attuativi continuino ad operare gli uffici attualmente esistenti, con competenza prevalente nel settore di attribuzione.

Per quanto riguarda invece il personale delle aree funzionali del ruolo ICQ il comma 4 dell’articolo 9 rinvia ad un D.P.C.M. la ripartizione dei contingenti di personale tra sede centrale e sedi periferiche.

 

L’articolo 10 contiene le disposizioni finali e abrogative, prevedendo tra l’altro la revisione ogni due anni dell’organizzazione del Ministero, ai sensi dell’art. 4, comma 5, del D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 300.

 


Il riordino delle strutture consortili

I Consorzi agrari

L’origine dei consorzi agrari in Italia risale alla metà del secolo scorso quando si costituirono alcuni sodalizi di agricoltori con lo scopo di acquistare in comune le materie ed i mezzi tecnici necessari allo svolgimento delle attività agricole ed in genere di promuovere e migliorare l’agricoltura. Tali associazioni, che sorsero spontaneamente come società cooperative, si riunirono nel 1892 nella Federazione italiana dei consorzi agrari (Federconsorzi), che aveva il compito di fungere da organismo di coordinamento e di impulso. Da allora, quest’ultima ha rappresentato il fulcro intorno al quale ha ruotato tutta l’agricoltura italiana ponendosi essa stessa come promotrice per la creazione di nuovi consorzi e costruendo una complessa organizzazione che ha favorito l’apprestamento dei mezzi necessari per la riduzione dei costi e per la difesa dei prodotti agricoli.

Superato il periodo fascista, durante il quale i CAP non furono esenti dalla progressiva pubblicizzazione cui fu sottoposto tutto l’apparato agricolo, che li vide infine trasformati in “organi di esecuzione” delle operazioni di ammasso obbligatorio e volontario dei prodotti, la nuova disciplina è arrivata con il decreto legislativo n. 1235/48[181], che ha costituito l’impianto normativo generale sulla base del quale i consorzi hanno svolto la loro attività fino all’approvazione della legge n. 410/1999[182], a sua volta in gran parte abrogata all’inizio della legislatura appena terminata con il D.L. n. 181/2006[183].

 

La riforma del 1999 nasce da diverse motivazioni, riconducibili essenzialmente alla persistenza della commistione tra pubblico e privato nella gestione consortile, che non risiedeva tanto nel fatto che funzioni di interesse pubblico fossero, dalla legge del ’48, affidate a strutture private, bensì nella mancanza di un adeguato controllo sull’esercizio di tali funzioni in nome della loro natura privatistica[184].

Le principali novità della riforma introdotta dalla legge n. 410/1999 riguardano la natura giuridica dei CAP, la titolarità della loro vigilanza, l’esercizio del diritto di prelazione, il rimborso dei crediti, la praticabilità del credito agrario in natura e, infine, lo scioglimento della Federconsorzi.

Per quanto riguarda la natura giuridica dei consorzi (art.1), che precedentemente era quella di cooperative speciali ai sensi del decreto n. 1235 del 1948, essa viene modificata in cooperative a responsabilità limitata, equiparando in tal modo i consorzi alle comuni cooperative agricole del settore e facendo venir meno la loro specialità. Viene tuttavia esplicitato che ad essi si applicano gli articoli del codice civile che regolano le cooperative a responsabilità limitata (artt. 2514 e seguenti), “nonché le leggi speciali” in materia di cooperative.

Il decreto legge 181/2006 che, come detto, con l’art. 1 co. 9-bis ha parzialmente abrogato la legge 410 compreso il primo articolo, dichiara adesso con il secondo periodo che i consorzi agrari sono società cooperative a responsabilità limitata, disciplinate a tutti gli effetti dagli articoli 2511 e seguenti del codice civile. Si noti che il riferimento agli articoli del codice civile, senza ulteriori precisazioni, porta a ritenere che siano applicabili le disposizioni codicistiche nel testo vigente, come modificato cioè dal D.Lgs. n. 6/2003[185], mentre la legge delega in base alla quale quest’ultimo decreto legislativo è stato emanato escludeva espressamente i Consorzi agrari  dalla riforma del diritto societario (Art. 5, comma 3, della legge n. 366/2001[186]). 

Quanto alla definizione degli scopi cui sono preposti i consorzi (art. 2 della legge 410 tuttora in vigore), sono ribaditi quelli a suo tempo individuati dal provvedimento del 1948 che richiedono la esecuzione di attività dirette a contribuire alla innovazione ed al miglioramento della produzione agricola, nonché a predisporre e gestire servizi utili per l’agricoltura, conservando così una funzione parapubblica che costringe i consorzi agrari ad operare con tutti gli operatori, soci o non soci[187].

I consorzi vengono anche espressamente abilitati all’esercizio del credito agrario in natura, in merito al quale, in conseguenza dell’abrogazione delle precedenti disposizioni bancarie che espressamente lo consentivano, viene richiamato il nuovo Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia (D.Lgs. n. 385/93[188]), il quale prevede (art. 153) che gli enti non bancari abilitati ad effettuare operazioni di credito agrario possano continuare ad esercitare tale loro funzione purché nel rispetto dei relativi provvedimenti autorizzativi. Viene altresì confermata l’abilitazione da parte dei consorzi alla concessione di tale forma di credito a fronte del conferimento di prodotti agricoli all’ammasso volontario. Poiché peraltro per la copertura del credito derivante da tali anticipazioni si provvede con il rilascio di cambiali agrarie, soggette a più ridotta imposizione fiscale[189], sono state sollevate rispetto a tale normativa riserve in relazione alla distorsione della concorrenza tra i CAP e le altre cooperative.

L’altro punto importante della riforma operata dalla legge 410, ora abrogato, riguardava il potere di vigilanza (art. 4) che veniva trasferito dal dicastero agricolo a quello del lavoro, cui spettava peraltro il controllo su tutte le cooperative. Il Ministro delle attività produttive, con il concerto di quello dell’agricoltura, conservava comunque poteri di controllo relativamente a taluni provvedimenti relativi all’assoggettamento alla liquidazione coatta amministrativa, ovvero l’adozione dei provvedimenti in merito alle operazioni di liquidazione e gestione commissariale e di scioglimento e sostituzione dei liquidatori, ai sensi degli articoli 2540, 2543, 2544 e 2545 del codice civile[190].

Il decreto legge n. 181/2006 (art. 1, comma 9-bis, primo periodo), ribadisce che limitatamente ai provvedimenti descritti nell’articolo 12 del D.lgs. n. 220/2002[191] che ha recato le norme in materia di riordino della vigilanza sugli enti cooperativi, la vigilanza sui consorzi agrari spetta “congiuntamente” al ministro dello sviluppo economico ed a quello delle politiche agricole. I provvedimenti di cui trattasi sono (comma 1 dell’art. 12):

-       cancellazione dall’albo nazionale degli enti cooperativi;

-       gestione commissariale (disciplinata dall’art. 2543 del cod. civ. in caso di irregolare funzionamento della società cooperativa);

-       scioglimento per atto dell’autorità (disciplinato dall’art. 2544 cod. civ.);

-       sostituzione dei liquidatori (prevista dall’art. 2545 cod. civ., in caso d'irregolarità o di eccessivo ritardo nello svolgimento della liquidazione ordinaria);

-       liquidazione coatta amministrativa (prevista dall’art. 2540 cod. civ. per i casi di insolvenza)[192].

La vigilanza in generale sui consorzi agrari, come su tutte le forme di società cooperative e loro consorzi inclusi le piccole società cooperative, in precedenza di competenza del dicastero del lavoro, spetta ora al Ministero delle attività produttive (art. 1 del D.lgs. 220/02).

Sono poi rimaste in vigore le disposizioni dell’articolo 5 della legge 410 che hanno disposto lo scioglimento della Federconsorzi, quelle che consentono di inquadrare i CAP ai fini previdenziali nel settore dell’industria, talune disposizioni attinenti profili occupazionali. Il D.L. n. 181/2006 ha poi fatte salve anche le disposizioni dell’art. 6 della legge n. 410/1999, che regolano l’esercizio del diritto di prelazione da parte di quei consorzi che si trovino in amministrazione ordinaria e siano geograficamente più vicini a quello in liquidazione, così consentendo la formazione di consorzi interprovinciali con un bacino di utenza di grandi dimensioni. Più precisamente, la legge attribuisce ai consorzi agrari in amministrazione ordinaria, costituiti nella regione - o in quella confinante - in cui ha sede il consorzio sottoposto a liquidazione coatta amministrativa[193], la facoltà di esercitare diritto di prelazione sulla vendita dei beni immobili o di vendita in blocco dei beni mobili ovvero nella cessione della relativa azienda o ramo di azienda. Solo in seconda battuta, dopo che tale diritto non sia stato esercitato dai consorzi, un medesimo diritto di prelazione è riservato alle società cooperative agricole che abbiano sede nella provincia, oppure, da ultimo, nella regione[194].

E’ stato invece abrogato l’art. 7della legge 410/1999, che aveva previsto una possibilità di salvezza anche per quei consorzi in liquidazione che avessero già sofferto la revoca dell’esercizio provvisorio d’impresa; in tal caso era necessario che i commissari liquidatori presentassero un adeguato programma per la sistemazione della situazione debitoria pregressa, evidenziando nel contempo quali fossero le disponibilità finanziarie residue, tali da prefigurare la ripresa dell’attività. Perché l’attività del consorzio proseguisse era richiesto che i commissari liquidatori ottenessero una specifica autorizzazione, sentito il comitato di sorveglianza di cui all’art. 198 del R.D. n. 267/1942.

Infine, hanno perso ogni ragione d’essere e sono stati abrogati gli articoli 8-12 della legge 410 che hanno regolato uno degli elementi di maggiore contestazione, portando a definitiva soluzione la annosa questione del rimborso da parte dello Stato dei crediti vantati dai CAP per le campagne ammassi dei cereali, svolte per conto e nell’interesse dello Stato negli anni tra la fine della seconda guerra mondiale e gli anni sessanta, crediti che nel tempo avevano raggiunto la cifra di circa 1.110 miliardi di lire. La legge 410 aveva  previsto che il rimborso avvenisse con la emissione da parte del Tesoro di titoli di Stato in tre tranches: 470 miliardi nel 1999, altri 440 nel 2000 e l’ultima quota da 200 miliardi nel 2001. Nel rimborso erano inclusi anche gli interessi maturati, quali risultavano dai decreti di approvazione dei rendiconti dei consorzi, registrati dalla Corte dei conti. A definitiva chiusura del pregresso veniva anche stabilito che i giudizi pendenti aventi ad oggetto tali crediti fossero estinti d'ufficio, all'atto dell'assegnazione dei suddetti titoli di stato, con perdita di efficacia di quelli non ancora passati in giudicato.

 

Il decreto legge n. 181 ha altresì abrogato le restanti norme della legge n. 4120/1999 dirette ad introdurre una disciplina particolare che consentisse di porre fine alla situazione in cui si trovava la maggioranza dei consorzi agrari, in liquidazione coatta amministrativa ed autorizzati esclusivamente all’esercizio provvisorio delle attività di impresa.

Tali disposizioni consentivano di adottare una procedura concorsuale finalizzata ad una delle seguenti soluzioni:

-        ritorno all’amministrazione ordinaria mediante concordato ex articolo 214 della legge fallimentare;

-        cessione dell’azienda o di ramo di azienda a favore di altro consorzio o di altra società cooperativa agricola operante nella stessa regione o in regione confinante, purché i medesimi fossero in amministrazione ordinaria. In tal caso era prevista la successione nella titolarità di tutte le attività e dei contratti di locazione immobiliare, nonché nelle licenze di produzione e commercio[195].

In assenza di tali procedure si doveva procedere, da parte dell’autorità amministrativa vigilante, alla revoca dell’autorizzazione all’esercizio provvisorio entro la data del 31 dicembre 2005[196].

In merito a tale revoca, con disposizione inserita dall’art. 12, co. 1-bis del D.L. 266/2004 di proroga termini[197], era stato consentito, allo scadere del menzionato termine del 31 dicembre 2005, di concedere nuovamente una autorizzazione all’esercizio provvisorio in presenza di “situazioni oggettive ostative all’attivazione della soluzione concordataria”. L’apprezzamento della situazione era demandato ai due dicasteri delle attività produttive e dell’agricoltura che dovevano procedere di concerto, acquisito il preventivo parere della “Commissione di valutazione delle attività dei consorzi”, istituita dai medesimi dicasteri e costituita da cinque membri appartenenti alla pubblica amministrazione.

Ancora, il comma 4 dell’art. 5 dalla legge 410/99 concedeva, a seguito della modifica approvata con il D.L. n. 273/2005[198], la facoltà di procedere ad una sostituzione generalizzata dei commissari liquidatori dei consorzi agrari, decorso il termine del 31 dicembre 2005 e nei trenta giorni successivi. Il Ministro delle attività produttive, con il concerto del Ministro delle politiche agricole e forestali, poteva pertanto rideterminare, entro il 30 gennaio 2006, la composizione degli organi incaricati della liquidazione dei consorzi, sia sottoposti a procedura di liquidazione o anche solo in amministrazione straordinaria.

Infine, il comma 7-bis dell’art. 5 della legge 410/99 prevedeva che, nell’ipotesi in cui fosse stata disposta la nomina di un commissario ad acta in sostituzione degli organi statutari, per la presentazione del concordato preventivo, il Ministero delle attività produttive, sempre con il concerto di quello agricolo, potesse disporre la sua sostituzione con un commissario governativo[199].

La difficoltà di giungere alla conclusione definitiva di talune vicende consortili aveva condotto a sopprimere il termine (di dodici mesi) per la durata in carica di tale commissario ad acta, con l’articolo 1, comma 227, della legge 30 dicembre 2004, n. 311(legge finanziaria 2005), anch’esso espressamente abrogato dal decreto legge n. 181. Il comma 227 disponeva nel contempo che i commissari liquidatori dei CAP (precedentemente nominati ai sensi dell'articolo 5 della legge 410), dovessero restare in carica fino al momento in cui non fosse stata garantita la ricostituzione degli organi statutari degli enti in questione, ma non oltre due anni dalla conclusione della procedura di concordato preventivo, ovvero, nel caso in cui risultassero pendenti dei contenziosi, fino alla definitiva conclusione dei relativi procedimenti.

 

Cancellato il complesso delle norme sopra descritte, il decreto legge n. 181/2006 ha stabilito nuovamente (con il quinto periodo dell’art. 9-bis) termini che parevano definitivi per la conclusione della fase di commissariamento di numerosi consorzi agrari. In particolare, per i consorzi posti in liquidazione coatta amministrativa l’autorità vigilante avrebbe dovuto procedere alla sostituzione dei commissari in carica alla data del 18 luglio 2006[200] (giorno successivo alla entrata in vigore della legge di conversione del decreto legge), con la nomina di un commissario unico.

La legge finanziaria 2007[201], all’art. 1, comma 1076, hadettato una interpretazione autenticadelle disposizioni di cui sopra, prevedendo che alla nomina di un commissario unico debba provvedersi in sostituzione di tutti i commissari, monocratici o collegiali, dei consorzi agrari in liquidazione. Tale sostituzione inoltre, che doveva riguardare i soli CAP in stato di liquidazione coatta amministrativa, è stata estesa dal menzionato comma 1076 anche a quelli in stato di concordato. Contestualmente il termine per la chiusura delle liquidazioni coatte amministrative in corso è stato differito al 31 dicembre 2007.

Tale termine è stato peraltro poi ulteriormente prorogato al 31 dicembre 2008 con l’art. 26, comma 1, del D.L. n. 248/2007[202], anche allo scopo di consentire la presentazione di una proposta di concordato sulla base dell’art. 124 del R.D. n. 267/1942[203]; contemporaneamente è stato prorogato al 31 dicembre 2008 anche iltermineper l’adeguamento statutario da parte dei consorzi agrari alle disposizioni del codice civile, inizialmente fissato al 30 giugno 2007 dal D.L. n. 181/2006.

Quanto alla situazione nella quale versa oggi il mondo consortile si può precisare che sono 18 i consorzi in liquidazione coatta amministrativa con esercizio provvisorio ed altri 14 senza esercizio provvisorio, hanno chiuso la liquidazione i consorzi di Asti e Caltanissetta


(v. tabella allegata).DA INSERIRE “ASSOCAP

 

 


Il riordino delle strutture consortili

I consorzi di bonifica e miglioramento

Sia i consorzi di bonifica e miglioramento che i consorzi di bacino imbrifero montano rispondono ai requisiti propri della figura consortile che si costituisce allo scopo di consentire ad una pluralità di soggetti di realizzare quelle attività che dovrebbero essere realizzare singolarmente da ciascuno dei consorziati sia volontariamente che per obbligo di legge. Il consorzio pertanto si qualifica come l’organizzazione strumentale senza fini di lucro, e senza conferimento di beni o servizi, deputata a sostituirsi ai singoli nella attuazione di un’opera, nell’esercizio di servizi o uffici, nella migliore utilizzazione di beni, organizzazione che nell’assolvimento dei compiti che le sono propri trova la propria ragione costitutiva. Proprio in relazione con tali compiti, che anche quando non siano di pubblica amministrazione rivestono comunque un particolare interesse generale, i consorzi assumono spesso la qualifica di enti di diritto pubblico, e anche nel caso che conservino un carattere privatistico le norme prevedono l’esercizio di un particolare potere di controllo da parte dello Stato.

In merito alla definizione delle diverse figure consortili vanno distinti i consorzi di bacino imbrifero montano, menzionati all’art.1 della legge n. 959/1953[204], costituiti da persone giuridiche ovvero dai comuni che in tutto o in parte sono compresi in ciascun bacino imbrifero ed aventi come scopo l’esecuzione delle opere di sistemazione montana, per le quali dispongono di un fondo alimentato dai sovracanoni versati dai concessionari di grandi derivazioni di acque produttori di energia elettrica. Per tali consorzi, che attendono a compiti di pubblica amministrazione, è prevista la costituzione in consorzio obbligatorio qualora ne facciano domanda non meno di tre quinti dei comuni partecipanti (art.1 co. 2)

Sono invece di norma costituiti tra persone fisiche, e le eventuali persone giuridiche non hanno una posizione di particolare rilievo: i Consorzi di bonifica e quelli di miglioramento di cui al RD n. 215/1933[205], unioni fra i proprietari dei fondi ricadenti in un comprensorio di bonifica costituiti per la realizzazione di opere di utilità dei fondi stessi; i Consorzi di derivazione di acque per uso irriguo di cui all’art. 59 del TU n. 1775/1933[206], unioni fra tutti o parte degli utenti di un corso o bacino d'acqua; i Consorzi di bonifica montana di cui all’art. 16 della legge n. 991/1952[207] che raccolgono i proprietari interessati alla esecuzione, manutenzione o esercizio delle opere di bonifica dei territori montani ricadenti nei comprensori delimitati e classificati sulla base degli artt. 14 e 15 della stessa legge n. 991.

Relativamente ai consorzi di bonifica e miglioramento la disciplina di riferimento è tuttora recata dal R.D. n. 215/1933 che ancora oggi, integrando le norme di cui agli artt. 857-865 del codice civile, costituisce la normativa principale in materia di interventi di bonifica; il R.D. ha introdotto il concetto di "bonifica integrale", comprensivo sia della bonifica in senso proprio, ovvero delle opere “che si compiono in base ad un piano generale di lavori”, che delle opere di miglioramento fondiario, che sono le opere che “si compiono a vantaggio di uno o più fondi, indipendentemente da un piano generale di bonifica” (art 1 co. 2 e 3 RD n. 215). L'attuazione della bonifica integrale si esplica su aree omogenee particolarmente dissestate e suscettibili di trasformazione, definite comprensori, distinti in due categorie: quelli di prima categoria, che richiedono opere gravemente onerose per i proprietari interessati, e quelli di seconda categoria, che hanno carattere residuale. In entrambi i comprensori la legge pone comunque a carico dello Stato, segnatamente il Ministro dell’agricoltura (art. 13 del RD), la realizzazione – anche in concessione - di numerose opere “necessarie ai fini generali”, quali il rimboschimento e ricostituzione di boschi deteriorati, la bonifica di laghi e stagni, il consolidamento delle dune, le opere stradali o edilizie di interesse comune del comprensorio.

All'attività di bonifica concorrono anche i privati, peraltro obbligati alla realizzazione di tutte le altre opere “giudicate necessarie” alla bonifica (art. 2 co. 3) e cioè di opere di interesse particolare di singoli fondi ma rientranti in un piano generali. La realizzazione delle attività di bonifica, concretizzata nella esecuzione ma anche nella manutenzione o esercizio delle opere di bonifica, può condurre i privati alla costituzione di Consorzi di bonifica, enti pubblici di autogoverno che possono nascere su iniziativa dei proprietari degli immobili che traggono benefici dalla bonifica (disciplinati dal titolo V capo I del decreto n. 215)  Sia l’art. 862 c.c. che l’art. 59 del regio decreto attribuiscono ai detti consorzi una personalità giuridica pubblica, ma sono i privati aderenti che provvedono all’amministrazione dell’ente nonché alle spese per il suo funzionamento alle quali fanno fronte con il versamento obbligatorio di contributi consortili.

I consorzi di bonifica si costituiscono volontariamente su iniziativa dei privati e con l’adozione di un decreto del Capo dello Stato (art. 55), promosso dal Ministero dell’agricoltura; tuttavia al medesimo Ministro dell’agricoltura è consentito di procedere d’ufficio alla costituzione di un consorzio quando sia riconosciuta la necessità e urgenza alla bonifica di un comprensorio (art. 56).

La vita consortile è regolata dallo Statuto che è deliberato dall’Assemblea, ma deve essere approvato dal Ministro agricolo al quale è consentito di apportare modificazioni anche sul testo già approvato.

Le possibilità di ingerenza da parte dello Stato sono numerose altre e possono manifestarsi nei seguenti atti del Ministro dell’agricoltura:

-       avocazione a sé della nomina del Presidente del Consorzio, anche in sostituzione di quello in carica (art. 61, co. 1);

-       facoltà di nominare un proprio delegato a far parte dei Consigli amministrativi dei consorzi  (art. 61 co. 2);

-       possibilità di prorogare i termini per il rinnovo delle cariche consorziali, per un tempo non superiore a quello previsto dallo statuto per la durata delle cariche stesse, allo scopo di assicurare la continuità dell'indirizzo amministrativo dei Consorzi (art. 61 co. 3);

-       provvedere d’ufficio al raggruppamento degli uffici, alla fusione, alla scissione, alla soppressione dei Consorzi ed alla modifica dei loro confini territoriali. Per tali provvedimenti, che vengono assunti con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro per l'agricoltura, è sufficiente che siano “sentiti” i Consorzi interessati (art. 62).

Sono poi sottoposti al controllo preventivo da parte del Prefetto numerosi atti, incluse tutte le deliberazioni del consorzio che gli debbono essere trasmesse quindicinalmente (artt. 63 e 64), con la possibilità sia per il Prefetto che per il Ministro per l'agricoltura di intervenire anche in via surrogatoria, allo scopo di assicurare il buon funzionamento degli enti sui quali debbono vigilare ed assicurare la regolare attuazione dei fini istituzionali (art. 66).

Ai consorzi di miglioramento (disciplinati dal titolo V capo I del decreto n. 215/1933) si applica l’art. 863 c.c. e pertanto ad essi viene attribuita la qualifica di persone giuridiche private. Anche tali figure consortili possono svolgere sia un’attività di esecuzione che di manutenzione o esercizio di opere che tuttavia si contraddistinguono perché “sono indipendenti da un piano generale di bonifica (art. 863 cc). Le norme del codice civile consentono di conferire a tali organismi una personalità giuridica pubblica quando vengano riconosciuti d’interesse nazionale per “la loro vasta estensione territoriale o per la particolare importanza delle funzioni” (art. 863 co. 2 cc); tuttavia i consorzi di miglioramento attualmente costituiti sono tutti enti privati, amministrati dai consorziati che anche in questo caso si autofinanziano essendo i partecipanti obbligati al versamento dei contributi necessari al perseguimento degli scopi, contributi che come per quelli dovuti ai consorzi di bonifica possono essere riscossi anche con cartella esattoriale.

La presenza consortile sul territorio nazionale, 162 consorzi di bonifica e 21 di miglioramento fondiario, investe in media il 59,47% della superficie totale, quasi 18 milioni di ettari dei 30 milioni totali, con punte massime in Emilia Romagna (100% della superficie regionale), nel Lazio (94,14%) e in Sicilia (92,36%), e non scende comunque al di sotto del 38% in Sardegna, del 36% in Umbria e del 21,79% in Molise. In sole due regioni i consorzi sono quasi del tutto assenti: in Trentino Alto Adige 4 consorzi di bonifica gestiscono l’1,14% della superficie regionale, mentre nella regione ligure è presente un solo consorzio che investe lo 0,01 della superficie totale.

In merito alla distribuzione delle opere di bonifica, spiccano le tre regioni del Veneto, Emilia Romagna e Lazio che da sole includono circa la metà dell’intero territorio nazionale servito da opere di scolo delle acque (non meno di mille ettari ciascuna a fronte dei 6.900 nazionali); per quanto riguarda le opere di difesa, la massima estensione degli argini si registra in Veneto e nel Lazio, di briglie e sbarramenti invece in Emilia Romagna.

La superficie investita da opere di irrigazione è particolarmente estesa in tre province settentrionali (Lombardia 770 ha, Veneto 513 ha e Emilia Romagna 650 ha), mentre nel resto d’Italia vanno segnalate la Puglia (210 ettari), la Sardegna e la Sicilia (172 e 164 ha).


(si vedano le tabelle allegate da INSERIRE datiANBI 4 pagine)


 


 


 


Semplificazione amministrativa

L’AGEA

L’istituzione dell’Agenzia

L'Agenzia per le erogazioni in agricoltura (AGEA) è stata istituita con il D.lgs. 27 maggio 1999, n. 165[208], successivamente modificato ed integrato dal D.lgs. 15 giugno 2000, n. 188[209] , cui si sono aggiunte le novelle recate dal DL 22 ottobre 2001, n. 381[210]. Con tali provvedimenti, il primo dei quali è stato adottato nell’ambito del processo di decentramento amministrativo promosso dalla legge Bassanini[211], è stata disposta (art.1) la soppressione dell'Azienda di Stato per gli interventi nel mercato agricolo (AIMA), la sua messa in liquidazione e l’istituzione dell'Agenzia per le erogazioni in agricoltura (AGEA).

Ente di diritto pubblico non economico, sottoposto alla vigilanza del Ministero delle politiche agricole, l'Agenzia è dotata di autonomia statutaria, regolamentare, organizzativa, amministrativa, finanziaria e contabile, ha sede in Roma, ma può dotarsi di una sede di rappresentanza presso l’Unione europea (art.2).

L'Agenzia è subentrata dal 16 ottobre 2000 all'AIMA in tutti i rapporti attivi e passivi, nonché nella qualifica di organismo pagatore attribuito in precedenza all'AIMA[212].

L'Agenzia, in qualità di interlocutore e di responsabile nei confronti dell’Unione europea, esercita le funzioni di coordinamento degli organismi pagatori regionali, nonché altri compiti attribuiti dalla normativa comunitaria e nazionale (art. 3).

Successivamente, con norma introdotta dal D.L. n. 381/2001[213] di modifica del D.lgs. n. 165, è stata riattribuita al Dicastero agricolo la competenza in merito alle attività di monitoraggio dell'evoluzione della spesa per la PAC, nonché alle fasi successive alla decisione di liquidazione dei conti. La scelta di riportare in capo al Ministero tale competenza, precedentemente attribuita all'Agenzia, era diretta ad assicurare al  Ministero medesimo un ruolo centrale nella supervisione e nella partecipazione al processo comunitario di liquidazione dei conti del FEOGA. In quest'ambito, pertanto, rimane all'Agenzia unicamente il compito di prestare al Ministero il proprio supporto tecnico[214].

Lo stesso articolo 3 del d.lgs. n.165/2001 attribuisce alle regioni l’incarico di istituire servizi e organismi regionali (in possesso dei requisiti prescritti dai regolamenti comunitari) con le funzioni di organismo pagatore, spostando così a livello regionale la competenza sulla tenuta dei conti relativi ai finanziamenti Feoga[215], nel contempo riconoscendo all’Agenzia il ruolo di organismo di coordinamento.

Le funzioni di coordinamento peraltro dovrebbero essere le sole, a regime, riconosciute all’Agenzia, che svolge anche la funzione di organismo pagatore dello Stato italiano per l’erogazione di aiuti, contributi e premi comunitari, disposti dall’Unione europea e finanziati dai Fondi agricoli, fino al momento in cui gli organismi pagatori istituiti dalle regioni entreranno nel pieno delle loro funzioni[216].

E’ anche concesso agli organismi pagatori (art. 3-bis) di stipulare convenzioni con centri autorizzati di assistenza agricola, istituiti dalle organizzazioni professionali agricole maggiormente rappresentative, o da loro associazioni, da associazioni dei produttori e dei lavoratori, da associazioni di liberi professionisti e dagli enti di patronato e di assistenza professionale. Con tali convenzioni i CAA possono ricevere l’incarico di effettuare le attività inerenti: la tenuta e conservazione delle scritture contabili; l'assistenza nella predisposizione delle dichiarazioni di coltivazione e di produzione, nella compilazione delle domande di ammissione a benefici comunitari, nazionali e regionali e nel controllo della regolarità formale delle dichiarazioni, anche attraverso l'immissione dei relativi dati nel sistema informativo, mediante utilizzo delle procedure del Sian; lo svolgimento di interrogazioni alle banche dati del Sian per permettere la conoscenza dello stato di ciascuna pratica da parte dei propri associati[217].

Per assicurare una maggiore fluidità procedurale al sistema dei pagamenti agli agricoltori, è stato anche attribuito agli organismi pagatori il potere di conferire immediata esigibilità alle domande di aiuti, presentate attraverso i CAA, rimanendo salvi i controlli comunitari e quanto stabilito dalle convenzioni stipulate tra i Centri e gli organismi pagatori.

Le funzioni attribuite all'Agenzia (art. 4) sono descritte sulla base della normativa di attribuzione; se afferente quindi alla normativa comunitaria, si stabilisce che, nel rispetto degli indirizzi del Ministro per le politiche agricole, l’Agenzia svolge il ruolo di organismo di intervento dello Stato italiano per l'attuazione degli interventi di mercato comunitari; in base alla normativa nazionale, sempre nel quadro degli indirizzi del Ministro per le politiche agricole, sono assegnati all’Agenzia gli interventi sul mercato nazionale, d’intesa con la Conferenza Stato-Regioni, per sostenere quei comparti in esubero produttivo e per eseguire le forniture di prodotti agro-alimentari per gli aiuti alimentari e la cooperazione economica disposte dallo Stato italiano[218].

L'Agenzia deve annualmente presentare al Ministro per le politiche agricole, che ne informa il Parlamento, una relazione sull'attività svolta, contenente l'ammontare delle somme erogate e l'indicazione degli interventi effettuati[219].

Per quanto attiene alla gestione degli interventi e degli aiuti comunitari (art.5), è stabilito che l’Agenzia, in qualità di organismo coordinatore, ha l’incarico di promuovere una applicazione armonizzata della normativa comunitaria, attivando a tal fine un sistema di verifica che consenta di tenere sotto osservazione le procedure istruttorie e di controllo effettuate dagli organismi pagatori nei vari interventi. Di tutto rilievo è il compito attribuito all’Agenzia di segnalare al Ministro ed alle regioni l’inerzia o inadempienza degli organismi pagatori, così attivandosi le procedure sostitutive previste dall’art. 5, co. 3 del D.lgs. n. 112/98 (legge Bassanini-bis)[220].

Infine, sia l’Agenzia che gli organismi regionali, per l’esercizio delle funzioni di controllo, segnatamente i controlli preventivi basati sul telerilevamento previsto dalla normativa comunitaria (per i quali si veda il paragrafo successivo) possono stipulare convenzione che consentano l’utilizzo del Sistema Informativo Agricolo Nazionale (SIAN).

Sul piano contabile, all’Agenzia spetta la rendicontazione all’Unione europea dei pagamenti effettuati da tutti gli organismi pagatori, mentre in qualità di organismo pagatore, l’Agenzia è tenuta, analogamente agli altri organismi, alla esecuzione e alla contabilizzazione dei pagamenti.

Il trasferimento del personale della soppressa AIMA all’AGEA o alle regioni (art.6) è stato disposto a decorrere dal 16 ottobre 2000.(data in cui l'Agenzia subentra all'AIMA in tutti i rapporti attivi e passivi). Il personale di ruolo dell'AIMA è stato inquadrato nei ruoli dell'Agenzia e le stesse modalità di trasferimento sono state applicate per quei dirigenti del ruolo unico delle Amministrazioni dello Stato in servizio presso l'AIMA considerati necessari per le esigenze organizzativo-funzionali dell'Agenzia, sulla base alle indicazioni del regolamento del personale. Inoltre, è stato previsto il trasferimento alle regioni del personale dell'Agenzia che non risulti più necessario in conseguenza della istituzione degli organismi regionali.

Le entrate dell’Agenzia (art. 7) sono costituite dalle risorse annualmente determinate con la legge finanziaria e da quelle di provenienza europea destinate al funzionamento dell'Agenzia, nonché dalle somme di provenienza dell'Unione europea a titolo di rimborsi forfettari da parte del FEOGA.

Non costituiscono entrate le somme, sia di provenienza nazionale che comunitaria, destinate agli ammassi e agli aiuti comunitari, che debbono essere gestite nella più totale separatezza da quelle destinate fondamentalmente al funzionamento, con conseguente obbligo di scrittura su un conto infruttifero intestato all'Agenzia con la dizione “Aiuti e ammassi comunitari” da tenersi presso la Tesoreria centrale dello Stato[221].

Gli organi dell'Agenzia (peraltro coincidenti con quelli dell’AIMA) sono rappresentati dal Presidente, dal Consiglio di amministrazione, dal Consiglio di rappresentanza[222] e dal Collegio dei revisori (articolo 9). Le modalità di nomina, i tempi di permanenza in carica ed i compiti conferiti sono diversi tra di loro e denotano i tratti di una amministrazione di carattere privatistico.

Il presidente è nominato ai sensi della legge n. 400/88 con decreto del Presidente della Repubblica, emanato su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri, previa deliberazione del Consiglio dei ministri adottata su proposta del ministro competente. Si tratta di una procedura prevista per la nomina alla presidenza di enti, istituti o aziende di competenza dell’amministrazione statale, che sostituisce la precedente vigente per l’AIMA la quale attribuiva la presidenza ope legis al Ministro per le politiche agricole.

Il Consiglio di amministrazione è composto dal Presidente e da cinque membri nominati con decreto del Ministro per le politiche agricole e forestali, ed esercita le competenze amministrative e gestionali dell’azienda.

Il Consiglio di rappresentanza, nominato con decreto MIPAAF su designazione delle organizzazioni di categoria, è composto da sette membri; valuta la compatibilità tra risultati conseguiti ed indirizzi impartiti all'Agenzia e formula i pareri e le proposte al Consiglio di amministrazione. In caso di divergenze tra i due organi, vi è l'obbligo per il Consiglio di rappresentanza di notificare al Ministro delle politiche agricole e forestali, con relazione analitica, le questioni controverse e gli aspetti problematici sollevati. Tale organo pare rispondere, per struttura interna e per competenze attribuitegli, all'esigenza di concertazione con le associazioni di categoria.

Il collegio dei revisori, composto da tre membri effettivi e da due supplenti, nominati con decreto del Ministro per le politiche agricole, esplica il controllo sull’attività dell’Agenzia, sotto la presidenza di un designato del Ministro del Tesoro.

 

L’articolazione delle strutture e l’organizzazione funzionale dell’Agenzia sono disciplinate all’articolo 10che prevede a tal riguardo la approvazione con decreti ministeriali dello Statuto, del regolamento di amministrazione e contabilità e del regolamento del personale.

Lo statuto dell’AGEA, documento costitutivo dell’Agenzia che definisce lo schema organizzativo delle competenze, è stato approvato con il D.M. 28 settembre 2000.

Il regolamento di amministrazione e contabilità - che è l’insieme delle disposizioni che presiedono alla gestione amministrativa dell’Agenzia e regola in particolare la gestione separatadei fondi Feoga da quelli nazionali, gestione nella quale deve essere assicurata la conformità con la normativa comunitaria, anche in deroga alle disposizioni del D.P.R. n. 696/1979[223] e alle norme sulla contabilità generale dello Stato - è stato approvato con il D.M. 29 novembre 2000.

Il regolamento del personale, ossia le prescrizioni relative alla dotazione organica e allo stato giuridico ed economico del personale, è stato approvato con il D.M. 5 dicembre 2000.

Successivamente, lo Statuto, i regolamenti di amministrazione e contabilità e del personale dell'AGEA sono stati sostituiti con tre D.M. in data 14 giugno 2002.

Merita infine ricordare che il decreto legge n. 381/2001 (articolo 1, lettera f), di modifica dell'articolo 10, comma 4, del D.lgs. n.165/1999) ha istituito, in luogo del precedenteComitato,un ufficiomonocratico preposto all'esercizio delle funzioni di organismo pagatore, assicurando così che le funzioni di organismo di coordinamento e quelle di organismo pagatore siano attuate mediante gestioni distinte e contabilità separate, e risolvere le difficoltà di rapporti tra i preesistenti soggetti[224].

L’Agenzia è dotata di un fondo di dotazione, nel quale confluiscono tutti i beni già appartenenti all’AIMA, nonché le assegnazioni a carico dello Stato necessarie per i servizi del SIAN di cui si avvale l’Agenzia, le somme di provenienza dell'Unione europea e i proventi realizzati nell'espletamento delle gestioni di intervento (articolo 11).

Merita segnalare che, relativamente alle controversie, di valore non inferiore ad euro ventimila, che possono sorgere tra AGEA ed imprenditori agricoli, è stata istituita una Camera nazionale arbitrale in agricoltura, con il D.M. 20 dicembre 2006 (GU n. 43/2007), che realizza la semplificazione e la riduzione dei tempi per la risoluzione delle controversie nelle quali AGEA è parte. La previsione di una procedura alternativa ai giudizi ordinari è peraltro analoga a quanto previsto dal reg. (CE) n. 885/2006[225] che con gli articoli 12-16 definisce una procedura conciliativa fra singoli Stati membri e Commissione avente ad oggetto le spese che la Commissione intende escludere dal finanziamento comunitario.

I compiti dell’AGEA

In base al riferito quadro legislativo, all’Agenzia competono attività e funzioni diverse, sia in adempimento di disposizioni comunitarie, che in attuazione delle linee d’indirizzo e d’intervento delle autorità nazionali. Alla legislazione che ha organicamente disciplinato la costituzione e l’attività dell’Agenzia, di cui al paragrafo precedente, si sono aggiunte una serie di disposizioni frammentate che hanno integrato, anche in modo significativo, compiti e funzioni originari, che sono in ogni caso svolti sulla base degli indirizzi del Ministro per le politiche agricole, e, per quanto attiene la realizzazione della politica interna, anche a sulla base di  intese con la Conferenza Stato-Regioni.

Per quanto attiene alla realizzazione della politica comunitaria l’Agenzia:

-       è l’organismo di coordinamento nazionale degli organismi pagatori regionali, ai quali è demandata la gestione ed erogazione degli aiuti comunitari derivanti dalla politica agricola comune (PAC). Nello svolgimento di tale funzione, all’Agenzia spetta di promuovere l’applicazione armonizzata della normativa comunitaria, verificando la conformità e i tempi delle procedure istruttorie, e di controllo, seguite dagli organismi pagatori;

-       interinalmente, è essa stessa organismo pagatore, in attesa che tutte le regioni procedano alla istituzione di un proprio organismo regionale[226];

-       è il soggetto responsabile nei confronti dell’UE[227] della realizzazione della PAC e degli interventi finanziati dal FEAGA e dal FEASR, e pertanto ad esso compete la rendicontazione all’Unione Europea dei pagamenti effettuati da tutti gli organismi pagatori;

-       gestisce gli ammassi pubblici comunitari;

-       gestisce e distribuisce gli aiuti comunitari agli indigenti;

-       realizza i programmi comunitari di miglioramento della qualità dei prodotti;

Per quanto attiene alla realizzazione della politica nazionale l’Agenzia:

-       attua gli interventi sul mercato agricolo e agroalimentare disposti con leggi nazionali. In altri termini l’Agenzia realizza, per periodi temporalmente circoscritti, la politica di sostegno di comparti in situazioni contingenti, al fine di riassorbirne la temporanea sovracapacità produttiva e ricondurre il settore ad un equilibrio di mercato. Per l’utilizzo dei prodotti ritirati l’Agenzia è stata autorizzata (art. 5 co. 1 e 3,D.L. n. 182/2005[228]) a realizzare dei programmi di fornitura a cittadini indigenti e organizzazioni senza fini di lucro; per il medesimo scopo le pubbliche istituzioni che gestiscono servizi di mensa, o le associazioni senza fini di lucro possono acquistare dall’AGEA i prodotti dalla stessa ritirati “allo stesso prezzo di acquisizione”;

-        gestisce le forniture di prodotti agroalimentari disposte dallo Stato italiano anche in attuazione degli impegni assunti in ambito internazionale. E proprio in conseguenza della proroga della Convezione sull’aiuto alimentare del 1999 è stato anche procrastinato l’incarico attribuito all’Agenzia per l’attuazione del programma di aiuto alimentare dell'Unione europea a favore dei Paesi in via di sviluppo (D.L. n. 182/05, artt. 5-bis);

-       con l’articolo 18 del D.lgs. n. 99/2004[229], l'AGEA è stata individuata come l’autorità nazionale responsabile dei controlli di conformità alle norme comunitarie sulla commercializzazione nel settore degli ortofrutticoli, e che può, per la concreta realizzazione dell’attività, avvalersi della società Agecontrol come braccio operativo[230]. Nella ipotesi che il dicastero agricolo individui ulteriori organismi di controllo, all’Agenzia compete anche il coordinamento degli stessi;

-       lo stesso D.Lgs. n. 99/2004 (art. 14, co. 9,10 e 10-bis) ha affidato all’AGEA la gestione del Sistema informativo agricolo nazionale (SIAN), con conseguente trasferimento delle connesse risorse finanziarie, umane e strumentali, allo scopo di semplificare gli adempimenti amministrativi e contabili a carico delle imprese agricole. Con la novella recata dal D.L. n. 182/2005[231] che ha introdotto un comma aggiuntivo, è stato richiesto all’AGEA di costituire una società a capitale misto pubblico-privato, con partecipazione pubblica maggioritaria, alla quale affidare lo sviluppo e la gestione del SIAN[232]. La società deve subentrare all’attuale affidatario dei servizi alla scadenza dei contratti in essere;

-       a seguito dell’approvazione del comma 1048 della L. n. 296/06 finanziaria 2007, espleta i controlli che il regolamento CEE n. 4045/89[233] demanda ai singoli Stati membri, ovvero l’accertamento che le operazioni finanziate dal Fondo europeo agricolo di orientamento sezione garanzia (FEAOG), siano reali e regolari sulla base dei documenti commerciali dei beneficiari o debitori[234]. Ad essa spetta di prevenire e perseguire le irregolarità o negligenze. Da tali verifiche sono escluse le misure contemplate nel sistema integrato di gestione e di controllo (v. paragrafo successivo)istituito dal regolamento (CEE) n. 3508/92.

In attuazione di tale disposto l’Italia ha approvato il D.P.R. n. 447/1982[235] e, a seguito dell’approvazione del menzionato decreto legge n. 2/2006, il D.M. 23 marzo 2006 (G.U. n. 106/2006) che ha definito misure transitorie idonee ad assicurare il corretto espletamento delle attività di controllo in corso. Tali compiti vengono nel contempo sottratti alle competenze del Corpo forestale dello Stato e all’ICRF, ai quali erano stati attribuiti dall’art. 4, comma 4 del decreto-legge 10 gennaio 2006 n. 2[236].

-       raccoglie i dati relativi alla produzione di olio d’oliva e di olive da tavola che i frantoi e le imprese di trasformazione delle olive da tavola hanno l’obbligo di comunicarle mensilmente ai sensi dell’art. 20 della L. n. 13/2007 comunitaria 2006. La raccolta dei dati ha lo scopo di consentire allo Stato italiano di trasmettere all’UE le informazioni richieste dall’art. 6 del regolamento n. 2153 sul regime d’aiuto all’ammasso privato dell’olio d’oliva[237];

-       trasmettere all’Agenzia del territorio, sulla base delle richieste di contributi agricoli ricevute, la proposta di aggiornamento della banca dati catastale, secondo le procedure informatizzate di cui al DM n. 701/1994[238] Con l’art.2, co. 33 del D.L. n. 262/2006, modificato dall’art.1, comma 339 della L. 244/2007 (finanziaria 2008), è stato previsto che la richiesta di contributi agricoli presentata agli organismi pagatori e contenente la dichiarazione relativa all’impiego del suolo nelle singole particelle catastali, sostituisca la dichiarazione di variazione colturale da rendere al catasto terreni in base all’articolo 30 del TUIR, consentendo pertanto l’aggiornamento del catasto terreni (v. scheda L’aggiornamento del catasto terreni nel dossier relativo alla Commissione Finanze);

-       istituisce il Registro pubblico informatico dei diritti di reimpianto del settore vitivinicolo, come richiesto dal reg. (CE) n. 1493/1999 e dal reg. (CE) 1227/2000, sulla base dei dati trasmessi dalle regioni e province autonome con l’utilizzo del Sistema informativo agricolo nazionale (SIAN). Il D.L. n. 10/07[239], art. 4-ter ha richiesto che tale adempimento si realizzasse entro l’11 giugno 2007.

I contributi agricoli comunitari e il SIGC

Il Sistema integrato di gestione e controllo (SIGC) è stato istituito con il Reg. (CEE) n. 3508/92[240] per soddisfare all’esigenza di adeguare i meccanismi di gestione e controllo degli aiuti comunitari da parte degli Stati membri. La eterogeneità dei regimi di aiuto, e la varietà dei sistemi di controllo effettuati secondo norme proprie a ciascun regime, avevano reso necessario fare ricorso ad un sistema più efficace che potesse utilizzare nuovi strumenti informatici per la raccolta dei dati. Il SIGC doveva pertanto, fin dalla sua costituzione, comprendere: una base di dati informatizzata, un sistema alfanumerico di identificazione delle parcelle agricole, domande degli imprenditori, un sistema armonizzato di controllo e, nel settore della produzione animale, un sistema di identificazione e di registrazione degli animali.

La revisione Fischler che ha modificato le modalità di sostegno del settore agricolo ha anche comporto una revisione del sistema di controllo degli aiuti, per adeguarlo sia al nuovo regime del pagamento unico che alla verifica del rispetto dei nuovi vincoli di condizionalità imposti dal regolamenti comunitario 1782/03, che fa parte del pacchetto di provvedimenti di attuazione della riforma di medio termine della politica agricola comunitaria..

Più precisamente il Regolamento (CE) n. 1782/2003[241] ha stabilito la progressiva eliminazione degli aiuti diretti concessi agli agricoltori in relazione alla produzione, ed una loro sostituzione con forme di aiuto disaccoppiate che, prescindendo dalla produzione, assegnano all'agricoltore la più ampia facoltà di decidere in merito alla coltura da produrre. Il reg. 1782, che si applica dal 1° gennaio 2005, pur conservando vari regimi di pagamento diretto preesistenti, ha introdotto per la maggior parte delle organizzazioni comuni di mercato (OCM) un regime di pagamento unico che ha assorbito gli aiuti in precedenza erogati a numerose produzioni vegetali e animali.

Va rilevato che le disposizioni comunitarie chiedono agli agricoltori il rispetto di determinate condizioni in materia di sanità pubblica, salute degli animali e delle piante, salvaguardia dell'ambiente e benessere degli animali (la cosiddetta condizionalità), disponendo che in caso di mancata ottemperanza alle norme ambientali e di sicurezza alimentare i pagamenti diretti siano passibili di una riduzione o annullamento.

Per realizzare un efficace controllo e per evitare la presentazione di molteplici richieste di aiuti a diversi organismi pagatori dello stesso Stato membro, è richiesto che gli Stati membri predispongano un sistema unico per l'identificazione degli agricoltori che presentano domande di aiuto, e mettano in atto un sistema di identificazione delle parcelle agricole comprese nel sistema integrato di controllo.

Il sistema integrato comprende i seguenti elementi:

a) una banca dati informatizzata nella quale sono registrati, per azienda, i dati relativi alle domande d'aiuto. Possono essere create banche dati decentrate a condizione che la loro consultazione sia omogenea e che siano tra loro compatibili;

b) un sistema di identificazione delle parcelle agricolecostituito sulla base di mappe o estremi catastali o altri riferimenti cartografici, con l’utilizzazione delle tecniche del sistema informatizzato d'informazione geografica (SIG). Vanno pertanto incluse, di preferenza, ortoimmagini aeree o spaziali, e va infine applicato un criterio omogeneo di accuratezza equivalente almeno a quello della cartografia su scala 1:10.000;

c) un sistema di identificazione e di registrazione dei diritti all'aiuto che consenta anche verifiche incrociate con le domande d’aiuto e con il sistema di identificazione delle particelle. Debbono essere consultabili i dati relativi ad almeno tre anni precedenti (anni civili o campagne di commercializzazione);

d) le domande di aiuto presentate annualmente da ciascun agricoltore che indichino tutte le particelle agricole dell’azienda, il numero e l’ammontare dei diritti all’aiuto, elementi supplementari per le domande di aiuto per gli oliveti. I singoli Stati possono chiedere che siano indicati i soli elementi che siano variati rispetto al precedente anno;

e) un sistema integrato di controllo, che consenta agli Stati membri di verificare anche la superficie ammissibile, la corrispondenza dei diritti d’aiuto e l’ammissibilità degli aiuti;

f) un sistema unico di registrazione dell'identità degli agricoltori che presentano domande di aiuto.

Il Reg. (CE) n. 796/2004[242] stabilisce le modalità di applicazione del SICG e con l’articolo 6 definisce le modalità di applicazione dell’articolo 20 del reg. 1782/1003, relativo alla identificazione delle parcelle agricole. Tale identificazione, richiede il primo paragrafo, deve essere praticata a livello delle parcelle di riferimento, come la parcella catastale o l'appezzamento, in modo da garantire un'identificazione unica di ciascuna parcella di riferimento. Gli Stati membri provvedono inoltre affinché le parcelle agricole siano identificate in modo attendibile, esigendo, in particolare, che la domanda unica sia corredata degli elementi o dei documenti indicati dall'autorità competente, che consentono di localizzare e misurare ciascuna parcella agricola. II SIG è attuato sulla base di un sistema geodetico nazionale.

 


Le filiere agroalimentari

Le organizzazioni interprofessionali

Il quadro normativo definito dalla legge n. 88 del 1988[243], che ha regolato la conclusione di accordi interprofessionali nel settore agroalimentare, ha trovato completamento ed integrazione nell’articolo 12 del decreto legislativo 173 del 1998[244], (c.d. decreto tagliacosti) - significativamente modificato dall’articolo 25 del D.lgs. n. 228 del 2001[245] (c.d. decreto di orientamento del settore agricolo) e da ultimo nuovamente modificato dal D.lgs. n. 102/2005[246] - che ha per la prima volta definito le caratteristiche e funzioni della organizzazioni interprofessionali (O.I.).

L’organizzazione interprofessionale è una associazione privata dotata di personalità giuridica, costituita per atto pubblico in base agli articoli del codice civile regolanti le associazioni e fondazioni (artt. 14 e ss.) e riconosciuta in base al DPR 361/00 (di semplificazione del procedimento per il riconoscimento delle persone giuridiche private), ossia mediante iscrizione nel registro delle persone giuridiche istituito presso le prefetture.

L’organizzazione interprofessionale deve raggruppare, organizzazioni nazionali che rappresentino le attività economiche connesse con la produzione, il commercio e la trasformazione di un determinato prodotto agricolo; all’iniziativa di dette organizzazione la legge demanda la costituzione dell’O.I.

L’articolo 12 del D.lgs. n. 173/98 prevede, inoltre:

-       quali siano le attività che debbono almeno in parte essere svolte, tenendo conto degli interessi dei consumatori. Tra queste compaiono i compiti di migliorare la conoscenza e la trasparenza del mercato, rafforzare il coordinamento per l’immissione del prodotto sul mercato, elaborare contratti tipo, intraprendere azioni dirette al miglioramento della qualità ed alla valorizzazione del prodotto;

-       che le organizzazioni possano costituire fondi, imporre contributi e regole obbligatorie per tutte le imprese aderenti; per imporre contributi e regole agli associati è tuttavia necessario che le delibere siano adottate con il voto favorevole di almeno l’85% degli stessi. L’estensione erga omnes del vincolo costituito dalla regole richiede che un decreto del MIPAF definisca le relative condizioni (v. infra), e richiede che l’O.I. controlli almeno il 75% della produzione o della commercializzazione sul territorio nazionale;

-       che per ciascun prodotto possa essere riconosciuta una sola organizzazione interprofessionale, la quale può tuttavia articolarsi in sezioni regionali o interregionali;

-       che gli accordi assunti da un organizzazione interprofessionale non possano determinare limitazioni della concorrenza, a meno che non siano basati su una programmazione revisionale e coordinata della produzione in funzione degli sbocchi di mercato o da un programma di miglioramento della qualità che abbia come conseguenza diretta una limitazione del volume di offerta. In tali casi gli accordi devono però essere adottai all’unanimità dagli associati interessati al prodotto.

L’attuazione delle illustrate disposizioni dell’art. 12 è stata disposta con il DM 8 agosto 2003 che ha recato i criteri e modalità per la costituzione ed il riconoscimento degli organismi interprofessionali

La partecipazione alle organizzazioni interprofessionali è riservata agli organismi del settore primario, di quello industriale della trasformazione e del settore del commercio dei prodotti maggiormente rappresentativi a livello nazionale, ossia ai seguenti soggetti elencati dal provvedimento:

§      Organizzazioni professionali degli imprenditori agricoli;

§      Organizzazioni nazionali del settore della trasformazione dei prodotti agricoli;

§      Organizzazioni nazionali del commercio;

§      Associazioni nazionali delle cooperative;

§      Unioni nazionali riconosciute delle organizzazioni dei produttori agricoli.

In quanto chiamate a svolgere unicamente funzioni normative e non anche operative, ed in ciò sostanzialmente distinguendosi dalle Organizzazioni di Produttori, alle organizzazioni interprofessionali è fatto divieto di svolgere direttamente attività relative alla produzione, al commercio e alla trasformazione del prodotto agricolo.

A ciascun organismo partecipante all’organizzazione interprofessionale è riconosciuto il diritto di nominare un proprio rappresentante nel consiglio di amministrazione, mentre all’interno di tutti gli organi decisionali devono essere rappresentate tutte le fasi della filiera.

Il controllo sulle organizzazioni interprofessionali spetta al MIPAF, che lo esercita ad intervalli regolari, in ogni caso almeno una volta ogni due anni, sia su base informatica (al fine di verificare la permanenza dei requisiti per il riconoscimento) che mediante controlli in loco.

L’estensione delle regole obbligatorie adottate dalle organizzazioni interprofessionali a soggetti, associativi o individuali, non aderenti (c.d. erga omnes) è limitata, in primo luogo, alle regole e alle azioni che riguardino i seguenti aspetti:

§      regole di produzione più restrittive della normativa comunitaria e nazionale in materia (ivi comprese quelle di tutela ambientale e benessere animale);

§      elaborazione di contratti tipo compatibili con la normativa comunitaria;

§      regole di commercializzazione;

§      azioni di promozione e valorizzazione della produzione;

§      azioni di tutela della agricoltura biologica.

Fermo restando quanto previsto dall’art. 12 del D.lgs. n. 173 del 1998 (ossia, come detto in precedenza, che l’organizzazione interprofessionale controlli almeno il 75% della produzione o della commercializzazione nazionale del prodotto e che la delibera sia assunta con il voto favorevole di almeno l’85% degli associati), l’estensione erga omnes si realizza, verificata l’esistenza delle condizioni richieste, a seguito di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del decreto del MIPAAF con il quale sono indicate le regole adottate dall’O.I. ed il periodo di validità dell’obbligo. Nel caso in cui le regole obbligatorie o le azioni siano riconosciute di interesse economico generale per gli operatori, il MIPAAF può, sempre con proprio decreto, porre a carico degli operatori individuali o delle associazioni che pur non aderendo all'organizzazione interprofessionale fruiscono di tali regole di corrispondere all'organizzazione medesima il versamento di contributi finanziari nella misura destinata a coprire le spese direttamente conseguenti all'esecuzione delle regole o delle azioni in questione.

 

Per quanto concerne, infine, la normativa comunitaria, si evidenzia che le organizzazioni interprofessionali non hanno trovato una regolamentazione unitaria e generale. A livello dell’Unione europea, pertanto, norme sulle organizzazioni interprofessionali sono recate unicamente dai provvedimenti che regolano singoli mercati, quali quello bieticolo-saccarifero, quello del tabacco (nel quale tali organismi sono regolati dal reg. 2077/92), quello ortofrutticolo (il Reg. n. 2200/1996, di riforma del comparto, dedica l’intero titolo III alle organizzazioni ed accordi interprofessionali[247]) e quello della pesca ed acquacoltura (che vede l’intero titolo III del Reg. n. 104/1999 dedicato alle organizzazioni ed accordi interprofessionali).

La regolazione che hanno ricevuto le organizzazioni interprofessionali all’interno dei provvedimenti di disciplina di talune OCM prevede che i singoli Stati membri possano procedere ad un loro riconoscimento a determinate condizioni, che i medesimi Stati provvedano a notificare le organizzazioni alla Commissione (fornendo, se del caso, le informazioni aggiuntive richieste), che la Commissione possa opporsi al riconoscimento, che a determinate condizioni la stessa possa anche procedere alla revoca del riconoscimento, che nella Gazzetta comunitaria venga data notizia del riconoscimento delle organizzazioni.

Obiettivi principali delle organizzazioni dovrebbero essere un accrescimento della trasparenza del mercato, una migliore commercializzazione dei prodotti, un miglioramento della qualità dei prodotti e lo svolgimento di attività di ricerca, sperimentazione e formazione.

Quanto alla possibilità che l’attività posta in essere dalle organizzazioni interprofessionali si ponga in contrasto con le disposizioni comunitarie sulla concorrenza, va rilevato che, mentre la normativa comunitaria prevede, in via generale, a favore delle organizzazioni di produttori agricoli, un’esplicita sottrazione al genus degli accordi e pratiche anticoncorrenziali, una previsione analoga non vale nel caso degli accordi interprofessionali, posto che per le organizzazioni interprofessionali e i relativi accordi non esiste neppure, come detto, una disciplina comune. Ne’ per gli organismi interprofessionali, stante la loro composizione mista, potrebbe, per estensione, essere assicurata a livello comunitario l’immunità dalla sanzione di anticoncorrenzialità che l’articolo 2 del regolamento n. 26/62 riserva invece espressamente alle organizzazioni di produttori, intese come associazioni di quegli specifici operatori economici che sono i produttori agricoli in seno ad uno stessosegmento di filiera (si evidenzia, infatti, che l’art. 2 del regolamento 26/62 richiama specificamente le sole ipotesi di accordi, decisioni e pratiche di imprenditori agricoli, di associazioni di imprenditori agricoli o di associazioni di dette associazioni appartenenti ad un unico Stato membro e non prevede forme di integrazione di filiera). Pertanto, l’inapplicabilità dell’art. 81 del Trattato per i casi di accordi interprofessionali non sembra poter acquistare carattere generale, ma essa vale certamente entro i limiti della normazione specifica regolante le singole interprofessioni, per le quali quell’inapplicabilità è disposta dai regolamenti di settore[248].

 


Le filiere agroalimentari

Le organizzazioni di produttori (O.P.)

Muovendo da considerazioni connesse alla tradizionale condizione di debolezza economica dei produttori agricoli nei confronti delle imprese di trasformazione e commercializzazione, l’organizzazione economica dei produttori agricoli è stata sin dall’inizio accolta ed incentivata a livello comunitario. In particolare, la presenza di un’offerta concertata o coordinata dei prodotti è stata considerata non già come un elemento di perturbazione del mercato o limitativo della concorrenza ma, al contrario, come un necessario fattore di consolidamento strutturale delle imprese produttrici e di promozione della loro forza di mercato, meritevole pertanto di una disciplina di favore.

Le norma comunitarie

Le norme comunitarie sulla concorrenza sono contenute nel titolo VI del Trattato (art. 81- 97, in precedenza artt. 85/102). L'art. 81, par. 1, dichiara incompatibili con il mercato comune, e conseguentemente vieta, gli accordi fra imprese, le decisioni di associazioni di imprese, e tutte le pratiche concordate che possano pregiudicare il commercio tra gli Stati membri e che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all'interno del mercato comune; la lettera b) del primo paragrafo include fra i comportamenti vietati gli accordi volti a limitare o controllare la produzione. Tuttavia, relativamente all’applicazione di dette regole alla produzione e al commercio dei prodotti agricoli, il Reg. (CE) n. 26 del 1962 ha stabilito che le disposizioni del Trattato non si applicano “agli accordi, decisioni e pratiche di imprenditori agricoli, di associazioni di imprenditori agricoli o di associazioni di dette associazioni appartenenti ad un unico Stato membro, nella misura in cui, senza che ne derivi l'obbligo di praticare un prezzo determinato, riguardino la produzione o la vendita di prodotti agricoli o l'utilizzazione di impianti comuni per il deposito, la manipolazione o la trasformazione di prodotti agricoli, a meno che la Commissione non accerti che in tal modo la concorrenza sia esclusa o che siano compromessi gli obiettivi dell'articolo 39 del trattato” (ora art. 33).

L’intervento normativo direttamente rivolto a favore dell’associazionismo dei produttori, nato e consolidatosi a livello comunitario nel comparto ortofrutticolo, si è per un certo periodo esteso a tutto il settore agricolo, trovando una sistemazione di carattere generale nel reg. (CEE) n. 1360/1978, non più in vigore, cui ha fatto seguito l’approvazione della legge nazionale n. 674 del 1978[249].

Il menzionato regolamento, partendo proprio dalla considerazione che carenze strutturali derivavano dall'esistenza di un gran numero di aziende agricole di dimensioni ridotte e insufficientemente organizzate, e che tali carenze costituivano un ostacolo alla realizzazione degli obiettivi dell’articolo 33, paragrafo 1 (ex 39) del Trattato (incremento della produttività dell’agricoltura, progresso tecnico, sviluppo razionale della produzione, impiego ottimale dei fattori produttivi, realizzazione di un livello di vita equo per la popolazione agricola, stabilizzazione dei mercati e prezzi ragionevoli per i consumatori), ha individuato nella nascita delle associazioni degli agricoltori (e unioni di tali associazioni) uno strumento idoneo ad intervenire nel processo economico con azioni volte a concentrare l’offerta e ad adeguare la produzione alle esigenze del mercato. Veniva pertanto previsto un incentivo finanziario, concepito come strumento di sostegno alla costituzione e all’avvio del funzionamento delle associazioni. Il Reg. n. 1360 è stato ormai abrogato[250], mentre la Comunità europea ha rinunciato ad un intervento di sostegno di carattere orizzontale optando invece per una molteplicità di discipline, inserite nell’ambito della definizione delle singole organizzazioni di mercato[251].

Quanto alle specifiche disposizioni che disciplinano ora le organizzazioni di produttori, valga per tutte quanto stabilito dall’art. 11 del reg. 2200/96[252], sulla nuova OCM ortofrutticola, il quale ha stabilito che l’organizzazione di produttori è un organismo:

-       avente scopo di assicurare la programmazione della produzione e l’adeguamento della stessa alla domanda, promuovere la concentrazione dell'offerta e l'immissione sul mercato della produzione degli aderenti, ridurre i costi di produzione e regolarizzare i prezzi, (il reg. 1182/2007 indica piuttosto la ottimizzazione dei costi e la stabilizzazione dei prezzi[253]), promuovere pratiche colturali rispettose dell'ambiente ;

-       il cui statuto renda obbligatorio per i propri aderenti di: conformarsi alle decisioni assunte in tema di immissione dei prodotti sul mercato e tutela ambientale; aderire ad una sola organizzazione; vendere, salvo le eccezioni dallo stesso art. 11 stabilite (riprodotte nell’art. 3 del reg. (CE) n. 1182/2007 – che ha recatoLa riforma della OCM ortofrutta – v. pag.

E’ infine richiesto che le O.P in attesa del riconoscimento rispondano a taluni specifici requisiti, e in particolare che comprovino di rappresentare un numero minimo di produttori e un volume minimo di produzione commercializzabile. Tali parametri erano stati in precedenza quantificati nei regolamenti di applicazione, ora invece, l’art. 4 del reg. 1182/2007 demanda alla libera decisone degli Stati membri la definizione di parametri significativi della rappresentatività delle organizzazioni, che debbono anche: offrire sufficienti garanzie circa la realizzazione degli obiettivi, in particolare relativamente alla capacità di concentrazione dell’offerta[255]; consentire agli aderenti di usufruire dell’assistenza tecnica nonché dei mezzi tecnici propri; garantire una corretta gestione commerciale e contabile dell’attività; non detenere una posizione dominante in un dato mercato.

Come detto le norme di applicazione, di cui al Reg. (CEE) n. 412/1997 (già abrogate e sostituite con il reg. (CE) 1432/1997), sono ora contenute nel reg. (CE) n. 1580/2007 che con gli artt. 52 e 53 definisce la base di calcolo per pervenire alla quantificazione del valore della produzione commercializzata di un'organizzazione di produttori, e il periodo di riferimento che seppure stabilito dai singoli Stati deve essere di 12 mesi.

Per garantire alle organizzazioni di produttori una stabilità sufficiente alla realizzazione degli obiettivi è anche richiesto che i produttori aderiscano all’organizzazione per un periodo non inferiore ad un anno (art. 24), mentre gli Stati membri debbono accertare che le organizzazioni di produttori dispongano del personale, delle infrastrutture e dell'attrezzature necessarie alle funzioni (art. 25).

Le disposizioni nazionali

La materia, a seguito dell’abrogazione delle norme recate dal D.lgs n. 228/2001, è attualmente disciplinata dagli articoli 1-8 del D.lgs. n. 102/2005[256]. Tali norme definiscono in particolare:

-       gli scopi delle organizzazioni di produttori e delle loro forme associate(programmazione della produzione ed adeguamento della stessa alla domanda; concentrazione dell'offerta e commercializzazione della produzione degli associati; riduzione dei costi di produzione e stabilizzazione dei prezzi di produzione; promozione di tecniche di produzione rispettose dell'ambiente e del benessere degli animali); tali scopi, in conseguenza degli eventi che hanno negli ultimi anni fortemente condizionato il comparto (di natura meteorologica o speculativa) sono stati significativamente ampliati. Le OP sono ora chiamate a partecipare alla gestione delle crisi di mercato e debbono assicurare trasparenza e regolarità nella formazione dei prezzi nelle operazioni che riguardano gli associati (art. 2);

-       la veste giuridica delle organizzazioni dei produttori e delle loro forme associate(deve trattarsi di società di capitali volte alla commercializzazione di prodotti agricoli il cui capitale sia sottoscritto da imprenditori agricoli o da società costituite dai medesimi soggetti o da società cooperative agricole e loro consorzi; società cooperative agricole; consorzi o società consortili) (art.3, co. 1);

-       i requisiti (versare contributi finanziari per la realizzazione delle finalità istituzionali; mantenere il vincolo associativo per almeno un triennio) nei quali compare il contenuto necessario degli statuti delle O.P., che include l’obbligo per gli associati di far vendere almeno il 75% della propria produzione direttamente dall'organizzazione che ha la facoltà di commercializzare in nome e per conto dei soci fino al 25% del prodotto; (art. 3, co.2);

-       l’ulteriore requisito per il riconoscimento che è costituito dal numero minimo diproduttoriche debbonoaderire all’associazione, nonché dal volume e valore minimi di produzione commercializzabile, distinti per tipologie di produzione. In attesa che tali parametri vengano definiti con un decreto ministeriale, le OP debbono contare almeno 5 produttori aderenti e commercializzare almeno 3 meuro di prodotto conferito dagli associati (art.3, co. 3)[257];

-       il riconoscimento che è a cura della regione (tenuta a comunicarlo al SIAN), cui consegue l’iscrizione della O.P. in un Albo nazionale delle organizzazioni dei produttori (rinviato ad un D.M. del MIPAAF), che assume funzioni anche certificatorie (art.4)[258];

-       il rinvio ad un DM del MIPAAF, da adottare d’intesa con la Conferenza Stato-regioni, per la definizione delle modalità di controllo e vigilanza delle organizzazioni di produttori che in ogni caso spetta al MIPAAF[259](art.4, co. 3);

-       l'obbligo per le O.P. già costituite (ai sensi della precedente l. n. 674/1978) di assumere, entro il 31 dicembre 2005, la veste giuridica prescritta, pena la revoca del riconoscimento da parte delle regioni (art. 4, co. 5).

-       l'attribuzione al Ministero delle politiche agricoledel potere di riconoscimento, controllo, vigilanza e sostegno delle forme associate di organizzazioni di produttori (denominate organizzazioni comuni), che sono tenute all’iscrizione nel medesimo Albo delle O.P.; il riconoscimento avviene con il meccanismo del silenzio assenso (art. 6);

-       i requisiti analoghi a quelli definiti per le O.P. (il volume minimo di produzione commercializzata deve essere almeno di 60 meuro), che possono essere integrati con un decreto del MIPAAF (art. 5)[260];

-       gli scopi (concentrare e valorizzare l’offerta sottoscrivendo contratti quadro; gestire le crisi di mercato; costituire un fondo di esercizio per la realizzazione dei programmi; coordinare l’attività delle O.P.; svolgere attività di servizio nei confronti delle O.P. associate)

-       la possibilità di concedere sia alle organizzazioni di produttori che alle loro forme associate contributi pubblici[261] che unitamente ai contributi dei soci confluiscono nel fondo di esercizio;

-       il contenuto dei programmi operativi delle O.P. e delle organizzazioni comuni, che possono beneficiare di aiuti all’avviamento o di ampliamento (art. 8);

-       le modalità di intervento delle O.P., e forme associate, al verificarsi di crisi di mercato (squilibri generalizzati e di carattere strutturale) la cui presenza deve essere accertata in base all’art. 1-bis del D.L. n.22/2005.

 

Va infine rammentato che un regime di aiuto alle unioni nazionali di produttori è stato introdotto con la legge n. 499/99[262] di razionalizzazione degli interventi nel settore agricolo-forestale, che con l’articolo 4 inserisce tra le attività demandate al dicastero il sostegno a tali Unioni; mentre l’art. 10 della legge n. 122/2001[263] aveva disposto uno stanziamento in favore delle azioni svolte dalle Unioni, limitato tuttavia ai prodotti non regolati da una OCM comunitaria.

 

Per quanto riguarda le modifiche alla normativa sulle organizzazioni di produttori proposte dal Governo nello scorcio finale della legislatura si veda il capitolo Le filiere agroalimentari, pag. 21.


Le filiere agroalimentari

Le Intese di filiera e i contratti quadro

Un forte impulso all’organizzazione delle filiere e al loro sostegno è derivato dalle norme (articoli 9 e ss.) approvate con il decreto legislativo n.102 del 2005[264], che ha profondamente innovato il sistema degli strumenti per la regolazione dei mercati agroalimentari.

Nel sistema delineato dalle nuove norme, l’intesa di filiera (che sostanzialmente sostituisce i vecchi accordi interprofessionali) costituisce il quadro di riferimento di una catena “pattizia” che, attraverso passaggi successivi e conseguenti, si sviluppa attraverso contratti quadro, contratti-tipo e contratti di conferimento tra singoli agricoltori e primi acquirenti.

Le intese di filiera sono volte: a definire azioni per migliorare la conoscenza e la trasparenza della produzione e del mercato e il coordinamento dell'immissione dei prodotti sul mercato; a definire modelli contrattuali compatibili con la normativa comunitaria da utilizzare nella stipula dei contratti di coltivazione, allevamento e fornitura; ad individuare modalità di valorizzazione e tutela delle denominazioni di origine, indicazioni geografiche e marchi di qualità, nonché criteri per la valorizzazione del legame delle produzioni al territorio di provenienza; a delineare azioni volte a perseguire condizioni di equilibrio e stabilità del mercato attraverso informazioni e ricerche per l'orientamento della produzione agricola alla domanda e alle esigenze dei consumatori, nonché metodi di produzione rispettosi dell'ambiente.

Le intese di filiera possono essere stipulate, nell’ambito del Tavolo agroalimentare, dagli organismi maggiormente rappresentativi a livello nazionale dei settori della produzione, trasformazione, commercio e distribuzione dei prodotti agricoli, nonché dalle organizzazioni interprofessionali riconosciute, e sono approvate con decreto del Ministro delle politiche agricole e forestali. La definizione delle modalità per la stipula delle filiere, nonché per la costituzione e il funzionamento dei tavoli di filiera, sono state definite con il DPCM 5 agosto 2005 che attribuisce al Ministro delle politiche agricole il compito di verificare la compatibilità con la normativa comunitaria, e nazionale, delle intese di filiera che comportino restrizioni della concorrenza. Tale ultimo provvedimento è stato oggetto di una segnalazione dell’Autorità garante delle concorrenza e del mercato relativamente alle disposizioni che consentono al Ministro delle politiche agricole di approvare intese di filiera restrittive della concorrenza, se finalizzate a una “programmazione previsionale e coordinata della produzione in funzione degli sbocchi di mercato o da un programma di miglioramento della qualità che abbia come conseguenza diretta una limitazione del volume di offerta”[265].

Nella cornice definita dalle intese di filiera si inseriscono i contratti-quadro, sottoscritti dai rappresentanti delle organizzazioni dei produttori (OP) e delle imprese di trasformazione, distribuzione e commercializzazione dei prodotti agricoli in relazione a singoli prodotti ed aree geografiche. I contratti-quadro perseguono gli obiettivi di sviluppare gli sbocchi commerciali sui mercati interno ed estero, orientare la produzione agricola per farla corrispondere alla domanda, al fine di perseguire condizioni di equilibrio e stabilità del mercato, garantire la sicurezza degli approvvigionamenti, migliorare la qualità dei prodotti, con particolare riguardo alle diverse vocazioni colturali e territoriali e alla tutela dell'ambiente, ridurre le fluttuazioni dei prezzi e prevedere criteri di adattamento della produzione all’evoluzione del mercato. La stipula di un contratto-quadro obbliga gli acquirenti a rifornirsi del prodotto tramite un contratto di coltivazione, allevamento e fornitura che rispetti i contenuti del contratto quadro e che trova applicazione anche nei confronti degli imprenditori agricoli non aderenti alle organizzazioni stipulanti (c.d. erga omnes; i beneficiari non aderenti sono però chiamati, a fronte dei vantaggi derivanti dall’applicazione nei loro confronti delle clausole contenute del contratto, a versare i contributi associativi alle organizzazioni firmatarie)

Nel caso in cui non si raggiunga un’intesa di filiera, con decreto del Ministro delle politiche agricole e forestali possono essere definite, per singoli settori produttivi, modalità di stipula dei contratti-quadro che prevedano una rappresentatività specifica, determinata in percentuale al volume di produzione commercializzata, da parte dei soggetti produttivi.

I contratti-quadro stabiliscono, quindi, il contratto-tipo che deve essere adottato nella stipulazione dei contratti di coltivazione, allevamento e fornitura.

Il decreto, infine, prevede una serie di incentivi per promuovere la stipula di contratti di coltivazione, allevamento e fornitura conformi ai contratti-quadro, quali la preferenza nell’erogazione di contributi statali per la ristrutturazione delle imprese e nell’assegnazione degli appalti.

 

Per quanto riguarda le modifiche alla normativa sulle intese di filiera e sui contratti quadro proposte dal Governo nello scorcio finale della legislatura si veda il capitolo Le filiere agroalimentari, pag. 21.

 


La gestione dei rischi in agricoltura

Il Fondo di Solidarietà nazionale

La peculiare incidenza negativa degli andamenti climatici ed atmosferici sulle produzioni agricole ha tradizionalmente indotto il legislatore a definire interventi in favore delle popolazioni e delle zone colpite da calamità naturali di particolare gravità, allo scopo tanto di assicurare i soccorsi immediati ed alleviare i disagi più gravi, quanto di garantire il più possibile la conservazione del patrimonio produttivo agricolo e delle sue potenzialità e di promuoverne il ripristino. Col passare degli anni e col crescere della complessità degli interventi si è resa necessaria l'introduzione di una normativa di intervento di carattere generale, applicabile costantemente ed uniformemente in tutti i casi di calamità naturali, tale da eliminare la necessità di far ricorso, per ogni evento, a provvedimenti legislativi ad hoc.

Con l'approvazione della legge n. 364/1970[266] il settore agricolo è stato dotato di un quadro normativo permanente che ha definito interventi di primo soccorso ed azioni di sostegno dei redditi agricoli, ed ha consentito altresì di accelerare le procedure di avvio dell'intervento statale, sia garantendo le risorse finanziarie  attraverso la costituzione dell'apposito Fondo di solidarietà nazionale, sia consentendo l'attivazione delle risorse stesse mediante semplice provvedimento amministrativo.

Successivamente al varo del D.P.R. n. 616/77[267], che ha disposto il trasferimento alle regioni dell'esercizio di funzioni amministrative in agricoltura, si rese necessaria una prima revisione della disciplina degli interventi nel settore delle calamità naturali, con specifico riferimento al Fondo di solidarietà nazionale. A tale scopo venne approvata la legge n. 590/1981[268], che si è configurata come normativa quadro indirizzata alle regioni, le quali potevano intervenire prevedendo proprie provvidenze, per le quali attingere a risorse di bilancio proprie.

Il Fondo, secondo le previsioni della legge n. 590/1981, avrebbe dovuto essere (secondo un progetto peraltro non realizzatosi) un semplice elemento riequilibratore di flussi finanziari normalmente destinati alle regioni attraverso la legislazione sulla finanza regionale. Pertanto, le somme prelevate dal Fondo avrebbero dovuto compensare le maggiori eventuali spese sostenute dalle regioni, colpite da calamità eccezionali, per gli interventi dalle stesse decisi.

Anche con la legge 590/1981, così come peraltro nel sistema attualmente in vigore, le azioni di soccorso restano comunque individuate dalla legge statale, stante la necessità di assicurare la omogeneità dei tipi d'intervento e la conseguente parità di trattamento dei produttori agricoli delle diverse regioni. Permangono di competenza del Ministero delle politiche agricole e forestali, per le medesime ragioni, il compito di accertare e dichiarare la eccezionalità dell'evento calamitoso, nonché di prelevare dal Fondo ed assegnare alle regioni le somme destinate al finanziamento delle provvidenze[269]. Sono parimenti di competenza ministeriale, oltre all'accertamento degli effetti degli eventi calamitosi, la determinazione dei parametri di ricostituzione dei capitali di conduzione, la determinazione delle colture coperte da assicurazione agevolata, la determinazione dei contributi una tantum per i pronti interventi.

La legge n. 590/1981, con le successive modificazioni ed integrazioni, ha costituito fino al febbraio del 1992 la normativa fondamentale con la quale sono stati fronteggiati gli eccezionali eventi dannosi nel settore agricolo.

Con la nuova legge n. 185/1992[270] il legislatore ha ridefinito le linee di fondo dell’intervento statale, con uno spostamento dal tradizionale approccio fondato su interventi di tipo contributivo e creditizio, ad un approccio teso a valorizzare la copertura assicurativa, ovvero indurre la aziende a contrarre polizze di copertura dei rischi.

Le maggiori novità introdotte dalla nuova legge sono rappresentate dalla modifica delle modalità di calcolo dei danniper le successive erogazioni contributive o creditizie (art. 3) (prevedendo che l'azienda agricola debba aver subito danni almeno pari al 35% della produzione lorda vendibile) e dall’esclusione dall’indennizzo pubblico per i danni sofferti dalle produzioni ammesse all'assicurazione agevolata (ma non assicurate).

Relativamente alla definizione delle produzioni ammesse, va rammentato che la legge n. 185/1992[271] richiedeva, come peraltro confermato dalle disposizioni attualmente in vigore, che annualmente, ed entro un termine stabilito, il Ministro dell’agricoltura individuasse, con riferimento a territori agricoli omogenei, gli eventi, le colture e le fitopatie che potevano essere oggetto dei contratti assicurativi da stipulare nell’anno successivo. Conseguentemente erano  escluse, dal computo dei danni aziendali sofferti, tutte quelle perdite che avrebbero potuto essere oggetto di una copertura assicurativa, anche se a tale copertura non aveva fatto ricorso l’imprenditore agricolo.

Le illustrate disposizioni hanno, in realtà, avuto vita assai breve poiché già nel 1996 (DL n. 273/1996[272]) il legislatore ha escluso dal computo i soli danni alle produzioni effettivamente assicurate. La novella recata introdotta sul punto dal D.L. n. 273/96 è stata solo recentemente abrogata dal D.L. n. 200/2002[273] (art. 4), che ha riattribuito efficacia alla norma originaria (non indennizzabilità dei danni a colture assicurabili, ancorché non assicurate), confermando un impianto normativo pienamente ribadito nella legislazione attualmente in vigore.

Relativamente alle modalità di calcolo del danno, ed in senso favorevole alle aziende, è intervenuta poi la legge Finanziaria per il 2001[274], ove si è precisato che per arrivare a quantificare le perdite del 35% possono essere computati i danni sofferti dalla medesima azienda, a causa di precedenti eventi calamitosi, purché occorsi nella medesima annata agraria. E’ tuttavia necessario che detti danni non siano stati oggetto di precedenti benefici, ed è altresì precisato che il calcolo della produzione lorda vendibile (PLV) debba essere fatto al netto degli eventuali contributi comunitari. Anche tali disposizioni sono state pienamente accolte nel nuovo impianto legislativo attualmente in vigore.

Tornando alla legge n. 185/1992, in considerazione delle pressanti esigenze delle aziende agricole di disporre in tempi brevi degli aiuti di soccorso, era stata prevista l'attivazione del credito agevolato al verificarsi dell'evento calamitoso eccezionale. Lo strumento individuato, il cui utilizzo è stato confermato nella legislazione di riforma attualmente in vigore, consiste nella proroga delle scadenze delle rate delle operazioni di credito agrario di miglioramento e di garanzia, che avviene immediatamente, una volta che sia stato delimitato il territorio colpito dalla calamità da parte della regione competente. La proroga non può eccedere in ogni caso i ventiquattro mesi ed è assistita dal concorso pubblico nel pagamento degli interessi (gli istituti esercenti il credito agrario possono anticipare le provvidenze anche in assenza del nulla osta regionale).

 

La legislazione che si è venuta a sovrapporre nel tempo è stata interamente sostituita da un provvedimento organico che, oltre ad accogliere le precedenti modalità di intervento compensativo dei danni subiti, ha anche riproposto gli interventi volti ad incentivare misure di protezione precedenti al verificarsi degli eventi calamitosi. Ed è questa seconda direttrice, che incentiva soprattutto il ricorso al sistema assicurativo agevolato, ad aver trovato un nuovo e più forte impulso nel nuovo decreto legislativo n. 102/2004[275], tanto da assurgere a finalità primaria degli interventi del Fondo, che ha, come recita il primo articolo al comma 1, “l’obiettivo di promuovere principalmente interventi di prevenzione”.

 

La normativa contenuta nel decreto legislativo n. 102/2004 è stata oggetto di una proposta di revisione[276] presentata allo spirare della XV legislatura e predisposta ai sensi della delega conferita al Governo dall’art. 1, comma 12, della legge n. 228/2006[277]. Tale proposta aveva la finalità di aggiornare le norme nazionali al mutato quadro di riferimento europeo, tenendo conto in particolare del Regolamento (CE) n. 1857/2006, relativo all’applicazione degli articoli 87 e 88 del Trattato CE agli aiuti di Stato a favore delle piccole e medie imprese attive nel settore della produzione di prodotti agricoli (regolamento cd. di esenzione, che autorizza gli Stati membri a concedere vari tipi di aiuti pubblici senza necessità di ottenere il nulla osta preventivo della Commissione Europea), nonché dei nuovi Orientamenti comunitari per gli aiuti di Stato nel settore agricolo e forestale 2007-2013.

Le modifiche sono state quindi approvate con il D.lgs. 18 aprile 2008, n. 82 (GU 5 maggio 2008, n. 104)[278] .

 

Il sostegno degli strumenti diretti a mitigare i rischi cui sono costantemente sottoposti le produzioni agrarie, e l’incentivazione delle strategie di difesa con il ricorso ad una politica di assicurazione dai rischi meteorologici, (interventi ex ante), sono definiti è definita dai primi cinque articoli del capo I del decreto legislativo n. 102.

L’art. 1, oltre a rimandare alle disposizioni comunitarie per una definizione delle “calamità naturali o eventi eccezionali”, stabilisce l’obiettivo del Fondo di solidarietà e le strategie d’intervento, distinte fra le misure dirette ad incentivare la stipula dei contratti assicurativi, e gli interventi compensativi che, precisa la nuova redazione dell’articolo in commento, saranno erogati nei limiti previsti dalla normativa comunitaria[279]. Peraltro, a seguito della revisione operata con il D.lgs. n. 82/08, saranno indennizzabili non solo i danni alle produzioni, alle strutture ed alle infrastrutture, ma anche quelli agli impianti produttivi.

L’articolo 2 ha definito le modalità di partecipazione dello Stato al pagamento dei premi assicurativi, che - a decorrere dal 1° gennaio 2005 – soggiace alla condizione che il contratto assicurativo sottoscritto preveda, per ciascun prodotto, la copertura della produzione complessiva aziendale all'interno di uno stesso comune. La platea dei beneficiari delle polizze agevolate (comma 1), a seguito delle novelle introdotte, si restringe ai soggetti iscritti nel registro delle imprese o nell’anagrafe delle imprese agricole.

Relativamente all’entità del contributo:

·       il decreto legislativo, prima di essere oggetto di modifica, disponeva che il contributo statale fosse concesso fino all’80% qualora il danno raggiungesse il 30%, ovvero il 20% nelle zone svantaggiate. Le nuove norme, in armonia con le disposizioni comunitarie, richiedono che il danno sia in ogni caso superiore al 30% della produzione, sarà invece l’intensità del rimborso a variare per i territori svantaggiati (comma 2);

·       resta un contributo fino al 50% se ad essere assicurati sono i danni causati da avversità non assimilabili alle calamità, o oggetto della assicurazione sono le perdite causate da epizoozie o fitopatie (comma3).

Annualmente il “Piano assicurativo” richiesto dal successivo art. 4 del decreto n. 102, individua le aree, le colture, le strutture, le avversità, le epizoozie e le garanzie ammesse al contributo, la misura del quale è determinata a consuntivo, nei limiti stabiliti dallo stesso art. 2 in commento, tenendo conto delle disponibilità di bilancio (così l’art. 6 comma 2 del DM  27 dicembre 2006, Piano assicurativo agricolo 2007).

Il comma 5 dell’articolo in commento dispone che la sottoscrizione delle polizze sia volontaria e possa avvenire sia in forma individuale che collettiva per i soggetti che vi sono menzionati[280], ed il nuovo comma 5-bis estende la copertura assicurativa anche ai costi di smaltimento dei capi morti.

Il comma 5-ter introduce disposizioni volte a recepire le osservazioni espresse dalla Commissione XIII sullo schema di decreto, in merito alla opportunità di prevedere meccanismi correttivi della disposizione attualmente in vigore sulla determinazione dei prezzi per il calcolo dei valori assicurabili, che consentano di tener conto delle forti ascese dei prezzi che possono verificarsi nell’anno precedente ma divenire permanenti.

Attualmente infatti i valori delle produzioni assicurabili con polizze agevolate sono stabiliti con decreto del Ministro delle politiche agricole e forestali, da adottare entro il 31 dicembre di ogni anno per l'anno successivo, sulla base delle rilevazioni dei prezzi unitari di mercato alla produzione, effettuate dall'Istituto per studi, ricerche e informazioni sul mercato agricolo (ISMEA) (così l’art. 127, co. 3 della legge n. 388/2000 - legge finanziaria 2001), che allo scopo si basa sulla media dei prezzi dei singoli prodotti rilevati nel triennio precedente[281].

Il nuovo comma 5-ter dispone che, qualora le rilevazioni dell’ultimo anno evidenzino scostamenti dei prezzi unitari superiori al 50% rispetto al biennio precedente, siano i prezzi dell’ultimo anno ad essere assunti per la determinazione dei valori assicurabili.

L’articolo 3 prevede la possibilità per le imprese di assicurazione di costituirsi in consorzi di coassicurazione e coriassicurazione, fissando, tuttavia, in conformità alla disciplina comunitaria in materia, limiti alla concentrazione delle risorse nel relativo mercato (limiti peraltro non applicabili, per tre anni, nel caso di rischi coperti con polizze assicurative innovative).

L’articolo 4 richiede che entro il 30 novembre di ogni anno, con decreto del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, sia approvato il Piano assicurativo agricolo annuale attraverso il quale si procede, tenendo conto di una serie di parametri, alla individuazione dei rischi assicurabili ed alla contestuale determinazione dell’entità del contributo pubblico sui premi assicurativi. Il Piano è elaborato sulla base dei dati rilevati dalla banca dati sui rischi agricoli e, previo parere di una Commissione tecnica istituita allo scopo e rappresentativa di tutti i soggetti istituzionali e le categorie interessate[282].

Introducendo il comma aggiuntivo 5-bis il decreto legislativo di revisione ha peraltro disposto un automatismo di proroga del Piano annuale qualora il nuovo Piano non sia approvato nei termini.

In merito alla riduzione del reddito patita dall’agricoltore, va fatto richiamo all’articolo 11 del reg. (CE) 1857/06 (regolamento di esenzione) che richiede che il danno vada calcolato:

-       sottraendo il risultato ottenuto moltiplicando i quantitativi prodotti nell'anno in cui si sono verificate le avversità atmosferiche per il prezzo medio di vendita ottenuto in tale anno;

-       dal risultato ottenuto moltiplicando i quantitativi medi annui prodotti nei tre anni precedenti (o dalla produzione media triennale calcolata sui cinque anni precedenti, escludendo l'anno con la produzione più bassa e quello con la produzione più elevata) per il prezzo medio di vendita ottenuto.

Gli importi risultanti possono essere maggiorati dell'importo corrispondente ad altri costi specificamente sostenuti dall'agricoltore impossibilitato ad effettuare il raccolto a causa delle avversità atmosferiche.

Quanto alle tradizionali forme di intervento ex post, ovvero interventi compensativi finalizzati alla ripresa economica e produttiva delle aziende, vanno richiamate le disposizioni del Capo II (articoli 5-10) del D.lgs. n. 102/04.

L’articolo 5 individua i soggetti beneficiari delle provvidenze, identificandoli con le imprese rientranti nella definizione codicistica di cui all’art. 2135 cc, ricadenti nelle aree danneggiate (individuate ai sensi dell’art. 6), che abbiano subito danni, che a seguito dell’adeguamento alle norme comunitarie debbono essere superiori al 30% della produzione lorda vendibile. Anche in tal caso infatti non è più compatibile con i nuovi orientamenti comunitari la riduzione al 20% di tale percentuale, in precedenza prevista per le aree svantaggiate, nelle quali peraltro l’importo massimo del contributo erogabile viene elevato dall’80 al 90% del danno accertato.

E’ altresì delimitata la platea dei beneficiari degli interventi compensativi, riservati ai soli soggetti iscritti nel registro delle imprese, ma con la inclusione, come richiesto dalle Commissioni agricoltura di entrambi i rami parlamentari, anche delle cooperative di produzione agricole[283].

Le tipologie di aiuti previsti dall’articolo 5, concessi in forma singola o combinatanei limiti dell'entità del danno, sono:

·         contributi in conto capitale fino all’80% del danno accertato;

·         prestiti ad ammortamento quinquennale, per esigenze di esercizio dell’anno dell’evento e per il successivo, da erogare a tasso agevolato (più favorevole per le imprese nelle aree svantaggiate);

·         proroga delle operazioni di credito agrario;

·         agevolazioni previdenziali.

Il comma 4 precisa che sono esclusi dalle agevolazioni i danni alle produzioni ed alle strutture che siano ammesse all’assicurazione agevolata sulla base della redazione del piano assicurativo annuale, elaborato dal Ministero delle politiche agricole[284].

L’articolo 6 disciplina il trasferimento alle regioni delle disponibilità del Fondo di solidarietà nazionale destinate agli interventi di cui all’articolo 5 (contributi e prestiti per favorire la ripresa delle attività produttive).

L’articolo 7 disciplina le operazioni di credito agricolo a favore delle imprese danneggiate, prevedendo la proroga delle scadenze delle rate delle operazioni di credito agrario, assistite dal concorso nel pagamento degli interessi o, in caso contrario, con applicazione del tasso di riferimento delle operazioni di credito agrario, nonché l’autorizzazione agli istituti di credito agrario ad anticipare le provvidenze di cui all’articolo 5 (contributi e prestiti per favorire la ripresa delle attività produttive), con eventuale concorso pubblico nel pagamento degli interessi.

L’articolo 8 prevede agevolazioni previdenziali e assistenziali a favore delle imprese danneggiate, nella forma dell’esonero parziale del pagamento dei contributi (fino al 50%),  propri e dei lavoratori dipendenti, in scadenza nei 12 mesi successivi all’evento. La misura dell’esonero è aumentata del 10% nel caso in cui i danni si verifichino, a carico della medesima impresa, per due o più anni consecutivi.

L’articolo 9 consente ai consorzi di difesa di intervenire a sostegno del reddito delle imprese zootecniche colpite da epizoozie che determinano l’abbattimento di animali e il divieto di ogni attività commerciale, nonché per l'indennizzo di animali morti a seguito di vaccinazioni  disposte dalla autorità competenti, prevedendo il concorso dello Stato fino alla metà della spesa sostenuta.

L’articolo 10, infine,detta norme volte ad assicurare la pubblicità degli interventi effettuati e dei relativi beneficiari.

Le disposizioni del Capo III (articoli 11-15) del D.lgs. n. 102/04 regolano infine l’attività dei consorzi di difesa ovvero di quei soggetti costituiti da imprenditori agricoli per l'attuazione di iniziative di difesa attiva e passiva delle produzioni.

L’articolo 11 individua le forme giuridiche che essi possono assumere consentendo la trasformazione dei consorzi già esistenti, nonché (in base alle novelle) la possibilità di procedere alla loro fusione previa delibera assembleare. Alle regione è attribuito il riconoscimento della loro idoneità all’attività. L’articolo consente inoltre che i consorzi possano accedere al credito agrario agevolato.

Con l’articolo 12 è definito il quadro entro il quale si organizza l’amministrazione interna dei consorzi, e viene altresì stabilito un contenuto necessario degli statuti.

L’articolo 13 rimette la vigilanza sui consorzi alle regioni, che sono sulla base delle norme novellate, chiamate a svolgere puntuali compiti di controllo sui Consorzi di difesa, in merito ai quali dovrà anche essere verificato che ogni socio aderisca ad un solo organismo. Le regioni sono anche chiamate ad esprimere un parere di ammissibilità dei consorzi al contributo statale sui premi d’assicurazione.

L’articolo 14 concede ai consorzi un’ampia facoltà di scelta, da definirsi in sede assembleare, in merito alle forme d’intervento e di difesa che possono essere adottate nell’interesse degli associati. Fra queste la legge espressamente enuncia il ricorso a forme assicurative, per le quali i consorzi sono autorizzati ad agire anche “in nome e per conto” dei soci.

Tra le successive disposizioni di cui ai Capi IV e V (articoli 15-18)merita richiamare l’articolo 15, relativo alla dotazione finanziaria del fondo che è rimandata alla Tabella D della legge finanziaria annuale, nella quale sono previste l’iscrizione di uno stanziamento sullo stato di previsione del Ministero delle politiche agricole e forestali riservato agli incentivi assicurativi (interventi ex-ante), e di uno stanziamento sullo stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze destinato all’erogazione degli interventi compensativi e di ripristino (o ex post).

Merita parimente rammentare che con l’articolo 17sono state definite novità di rilievo in merito all’attività dell’ISMEA (Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo Alimentare), con l’intento di favorire la capitalizzazione delle impresedel settore primario. L’Istituto, a seguito dell’incorporamento della Sezione speciale del Fondo interbancario garanzia al quale è subentrato (comma 1), assume in primo luogo il compito di concedere garanzia sussidiaria nelle operazioni di credito agrario di cui all’art. 45 del D.lgs. n. 385/93 testo unico delle leggi bancarie, L’Istituto può anche concedere a favore delle imprese agricole e di quelle ittiche la garanzia fidejussoria a fronte di soli finanziamenti bancari a medio e a lungo termine (comma 2), o più in generale  garanzie dirette a fronte di prestiti partecipativi[285] e partecipazioni nel capitale delle imprese medesime assunte da banche, da intermediari finanziari e da Fondi chiusi di investimento mobiliare (commi 2 e 3). L’intervento dell’istituto si può anche configurare come cogaranzia o controgaranzia (comma 4). Le garanzie prestate dall’ISMEA possono a loro volta essere assistite dalla garanzia dello Stato (comma 5-bis)[286].

La revisione disposta dal decreto legislativo n. 82 ha sancito un ampliamento dell’ambito di intervento della garanzia fideiussoria dell’ISMEA sui finanziamenti alle imprese agricole e della pesca che, da un lato, viene esteso anche al settore agroalimentare, e dall’altro viene a coprire anche i finanziamenti a breve termine, cioè con scadenza entro i 18 mesi, nonché le transazioni commerciali effettuate dalle imprese.

Va peraltro detto che l’esame da parte della XIII Commissione (Agricoltura) di queste disposizioni è stato particolarmente approfondito anche in dipendenza della entrata in vigore, a decorrere dal 1° gennaio 2008, dell’Accordo internazionale per la determinazione del capitale regolamentare delle banche (Basilea 2) che fissa i parametri di valutazione affinché le garanzie prestate direttamente dal debitore, o dagli altri soggetti autorizzati, siano in grado di ridurre i rischi da esposizione. La Commissione ha ritenuto fondamentale il ruolo di ISMEA nel mettere specifici strumenti di mitigazione del rischio, nei quali vanno incluse le garanzie prestate nella forma di fideiussioni, a disposizione delle aziende agricole, che presentano costi fissi relativi più elevati ed un maggior grado di rischiosità rispetto alle grandi imprese del medesimo settore, ma soprattutto incontrano difficoltà nel reperire garanzie patrimoniali.

La Commissione ha pertanto espresso parere favorevole, a condizione che con disposizioni aggiuntive si prevedesse che le operazioni di credito agrario fossero assistite dalla garanzia mutualistica dell'ISMEA, salvo che per la quota di finanziamento già assistita dalle garanzie offerte ai sensi dello stesso decreto legislativo.

Inserendo il comma 4-bis nell’articolo 17 il Governo ha recepito tale condizione.

 

Nel quadro delle normevolte a promuovere il sistema assicurativo per i danni derivanti da eventi calamitosi in agricoltura va anche menzionato l’art. 127, comma 3, della legge 388/2000[287] che “al fine di sostenere la competitività delle imprese e favorire la riduzione delle conseguenze dei rischi atmosferici” ha istituito presso l’ISMEA il Fondo per la riassicurazione dei rischi. Tale fondo, che provvede alla compensazione dei rischi agricoli coperti da polizze assicurative agevolate, è stato disciplinato sotto il profilo operativo con il D.M. 7/11/2002[288], che richiede che per esso venga tenuta una contabilità separata, che vi sia l’obbligo di rendicontazione, che alla gestione del fondo l’ISMEA provvede attraverso una struttura dedicata, ovvero con ramo d’azienda.

Ancora in tema di rischi agricoli, va rammentato che con il D.M. 18 luglio 2003[289] è stato istituita presso l'ISMEA la Banca dati sui rischi agricoli, volta a supportare l'intervento pubblico per la gestione dei rischi in agricoltura e a fornire elementi conoscitivi ai soggetti interessati; tale Banca dati è entrata a fare parte del SIAN, che si configura come infrastruttura informativa unica pur costituita da una pluralità di banche gestite con una certa autonomia dai diversi soggetti, ma con caratteristiche unitarie ed integrate su base nazionale[290].

 


La gestione dei rischi in agricoltura

Calamità naturali – normativa comunitaria

Con l’art. 11 del reg. (CE) n. 1857/2006[291]è riconosciuto il diritto degli agricoltori, alle condizioni definite, di ricevere aiuti in conseguenza delle perdite di piante, animali o edifici, causate da avversità atmosferiche assimilabili alle calamità naturali.

Perché tale equiparazione si realizzi, a norma dell’art. 2, numero 8 del regolamento, si deve verificare una perdita superiore al 30% della produzione media annua realizzata nei tre anni precedenti, oppure della produzione media triennale calcolata sui cinque anni precedenti, escludendo l'anno con la produzione più bassa e quello con la produzione più elevata. E per calcolare la riduzione del reddito (art. 11 c.2) va quantificato il reddito dell’annoin cui si è verificata la calamità moltiplicando i quantitativi prodotti per il prezzo medio, che va sottratto dal reddito del triennio prescelto calcolato moltiplicando sempre i quantitativi medi annui prodotti nei tre anni per il prezzo medio di vendita.

La prevista soglia minima del danno è omogenea per tutte le aree, mentre la quantificazione della compensazione massima si differenzia prevedendosi di norma un aiuto di intensità pari all’80%, che si eleva al 90% nelle zone svantaggiate. Debbono essere dedotti gli eventuali importi percepiti in conseguenza della stipula di polizze assicurative e il calcolo delle perdite deve essere valutato per ogni singola azienda.

Infine, poiché la tempestività nella erogazione degli aiuti è un elemento della efficacia dell’aiuto stesso, è imposto che il regime di aiuto sia introdotto entro tre anni dal verificarsi dell’evento, e che l’aiuto sia versato entro quattro anni dalla perdita (o dalla spesa sostenuta).

In ambito europeo, malgrado la difficoltà di individuare il carattere eccezionale di un evento, non vi è mai stata una preclusione totale alla definizione di misure dirette a tutelare il settore agricolo dai danni causati alle produzioni da eventi non prevedibili, fossero questi identificabili con avverse condizioni atmosferiche o con la diffusione di epizoozie o fitopatie. Pertanto, pur mancando nel Trattato una disposizione che esplicitamente consenta la erogazione di aiuti in connessione con l’insorgenza di patologie animali o vegetali, già con gli Orientamenti del 2002[292] la Commissione aveva accettato non solo gli aiuti volti a promuovere l’adozione di misure preventive contro l’insorgere delle epizoozie o fitopatie, ma anche quelli a compensazione delle perdite sofferte.

Quanto al verificarsi di eventi atmosferici estremi, l’art. 87, comma 2, lett. b) del trattato dichiara compatibili con il mercato comune gli aiuti destinati ad ovviare ai danni arrecati dalle calamità naturali oppure da altri eventi eccezionali.

Negli “Orientamenti comunitari per gli aiuti di Stato nel settore agricolo e forestale 2007/2013[293] la Commissione giunge ad enunciare che la corretta gestione dei rischi, e delle crisi, è uno strumento essenziale per la sostenibilità e competitività del settore agricolo, e che gli aiuti di Stato possono costituire un “adeguato strumento di sostegno” (cap. V). Per converso, poiché non v’è alcun obbligo da parte dei singoli Stati di erogare tali aiuti, a rischi analoghi possono non corrispondere analoghi interventi di sostegno, con il conseguente verificarsi di ingiustificate distorsioni nella concorrenza.

Negli Orientamenti citati viene peraltro posto in evidenza che, in conseguenza dell’approvazione del nuovo regolamento sugli aiuti de minimis per l’agricoltura[294], anche il settore primario può beneficiare di un supporto minimo – fino a 200 mila euro per impresa e per triennio finanziario - ma rapido e senza la preventiva autorizzazione della Commissione.

Gli indennizzi per danni contemplati nel capitolo V.B degli Orientamenti, che debbono essere versati “il più presto possibile dopo il verificarsi dell’evento calamitoso”, sono previsti:

-       per ovviare ai danni arrecati da calamità naturali o altri eventi eccezionali, nei quali in passato la Commissione ha eccezionalmente incluso una epizoozia molto diffusa e completamente nuova, purché gli eventi siano descritti con sufficiente precisione;

-       per le perdite causate da avverse condizioni atmosferiche;

-       per la messa in atto di strumenti di lotta contro le epizoozie e fitopatie;

-       per il pagamento di premi assicurativi.

Va infine rilevato che la Commissione, ritenendo che la scarsezza d’acqua rischi di diventare una caratteristica determinante per gli agricoltori di taluna aree, e che pertanto sia i singoli che gli Stati debbano contribuire alla corretta gestione delle acque, ritiene che non debbano essere autorizzate compensazioni se non sia stato pienamente attuato l’articolo 9 della direttiva 2000/60/CE[295], che impone agli Stati membri di recuperare i costi dei servizi idrici, tenuto anche conto del principio “chi inquina paga”.

 


Il sostegno alla internazionalizzazione

Le società di promozione della qualità

Prodotti tipici nazionali – Società Buonitalia

La società per azioni Buonitalia[296], con sede legale a Roma, ha per oggetto la promozione e la valorizzazione della produzione agroalimentare italiana. Creata nel luglio 2003, dovrà essere incorporata entro il 30 giugno 2008 nella società ISA a norma dell’art. 28, co. 1-bis del DL n. 248/07[297]; ha avuto come soci il Ministero delle Politiche Agricole e Forestali, l’Ice (Istituto per il Commercio Estero), l’ISMEA (Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo Alimentare) e l’Unioncamere (Unione Italiana delle Camere di Commercio, Industria, Artigianato e Agricoltura). I suoi interlocutori operativi primari sono il Ministero degli Affari Esteri, il Ministero delle Attività Produttive, nonché le Regioni.

Assumendo a modello la società francese Sopexa “Société pour l’expansion des vendes des produits agricoles et alimentaires”, istituita nel 1961 con capitale misto pubblico e privato, alla quale sono stati attribuiti compiti nella promozione dei prodotti agroalimentari e nella realizzazione di azioni di comunicazione commerciale, le finalità di Buonitalia sono state così individuate dall’articolo 17 del decreto legislativo n. 99/2004[298]:

-       promuovere, valorizzare e diffondere nel mondo la conoscenza del patrimonio agricolo ed agroalimentare italiano, attraverso la creazione di un sistema che permetta di coordinare le diverse attività promozionali;

-       erogare servizi alle imprese del settore agroalimentare per favorire l'internazionalizzazione dei prodotti italiani;

-       tutelare le produzioni italiane attraverso la registrazione e la difesa giuridica internazionale dei marchi associati alle produzioni nazionali di origine.

Le competenze ultime citate sono state tuttavia rimesse al dicastero agricolo dall’art. 1 co. 9-ter del Decreto legge n. 181/2006[299].

Al dicastero agricolo, in quanto depositario delle funzioni di indirizzo politico amministrativo, è riservata la valutazione e approvazione delle iniziative e dei programmi della società Buonitalia.

Va rammentato, infine, che l’attività espletata dalla società doveva porsi “in raccordo” con il Comitato per la valorizzazione e la tutela del patrimonio alimentare italiano, istituito dall’art. 123 della L. n. 388/2000[300] con il compito di censire le lavorazioni alimentari tipiche italiane, nonché di tutelarle, valorizzarle e diffonderne la conoscenza in Italia e nel mondo.

Il decreto legislativo n. 99/2004 è stato novellato dal D.L. 2/2006[301], che ha demandato al Ministro delle politiche agricole il compito di trasferire a Buonitalia Spa, con proprio decreto, le risorse strumentali e finanziarie necessarie all’espletamento delle attività di valorizzazione economica, tutela e controllo dei prodotti a denominazione tutelata ad essa assegnate.

Da ultimo, come già anticipato, con il decreto legge n. 248/07 di proroga termine di fine anno, per ulteriormente rafforzare la società ISA è stata autorizzata la acquisizione per incorporazione da parte di quest’ultima entro il 30 giugno 2008della  società Buonitalia.

 

In tema di fusioni societarie la norma di riferimento è l’art. 2501 c.c. che anche successivamente alla riforma prevede che società distinte vengano unite in un unico ente sociale con la modalità della “fusione in senso proprio” o con  quella dell’”incorporazione”. Con la prima tutte le società interessate si estinguono per integrarsi e dar vita ad una nuova società le cui quote societarie sono attribuite ai soci in modo da commisurarle alla loro situazione patrimoniale. Nella seconda modalità una società (incorporante) rimane in vita ed assorbe le altre (incorporate) che si estinguono e delle quali la società incorporante assume i diritti e gli obblighi, proseguendo peraltro in tutti i suoi rapporti, anche processuali, anteriori alla fusione.

Prodotti tipici nazionali – Società ISA

L’Istituto per lo sviluppo agroalimentare (ISA) S.p.A. è una finanziaria per il settore agricolo, agro-industriale e agro-alimentare, istituita nell’ottobre 2004 allo scopo di subentrare nelle attività allora svolte nel settore da Sviluppo Italia, alla quale è stato pertanto attribuito il compito di assumere partecipazioni in società operanti in agricoltura e nell’agro-alimentare e di erogare assistenza e consulenza nel settore finanziario ad aziende e enti pubblici e privati.

Con il decreto legge sulla competitività, D.L. n. 35/2005[302], sono state disciplinate l’attività e il funzionamento di ISA (art. 10-ter) in particolare configurando un ruolo specifico per l’Istituto in merito alla “valutazione, ammissione e gestione dei contratti di filiera e dei contratti di programma nei quali siano presenti iniziative specifiche per il settore agricolo e agroalimentare. In entrambi i casi sono rimaste comunque ferme le competenze attribuite al CIPE relativamente all’”approvazione” di entrambi gli strumenti della programmazione negoziata. La norma (comma 9 dell’art. 10-ter) aveva quindi autorizzato il dicastero agricolo ad acquistare dall’Istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare (ISMEA) e da Sviluppo Italia S.p.A. le partecipazioni da entrambi possedute in ISA e loro attribuite nelle misura rispettivamente del 60% e del 40% all’atto della costituzione della società.

Successivamente l’art. 10-ter del D.L. n. 203/2005[303] ha disposto il trasferimento di talune risorse dalla società per azioni Sviluppo Italia Spa, alla società ISA.

In particolare era stato disposto che (entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione), in coerenza con la Relazione 2004 predisposta da Sviluppo Italia ai sensi della delibera CIPE n. 90 del 4 agosto 2000[304], fosse trasferito il seguente patrimonio:

-       il credito risultante dal finanziamento ad ISA Spa erogato da Sviluppo Italia Spa il 4 aprile 2005, pari a euro 200 milioni di euro (co. 1, lett. a);

-       le partecipazioni acquisite sia dalla ex-RIBS Spa sia da Sviluppo Italia Spa, nonché i relativi crediti derivanti dai finanziamenti erogati (co. 1, lett. b e c);

-       le disponibilità liquide ai sensi delle disposizioni di cui alla lettera b), pari a 50 milioni di euro (co. 1, lett. d);

-       il debito residuo inerente al finanziamento bancario contratto dalla ex-RIBS per gli interventi di trasformazione e commercializzazione dei prodotti agricoli e zootecnici, ai sensi dell’art. 2 della legge n. 423/1998, con il relativo residuo beneficio del rimborso da parte dello Stato (co. 1, lett. e);

-       gli impegni già assunti da Sviluppo Italia Spa, anche relativi ad iniziative non ancora attuate (co. 2, lett. a);

-       le competenze relative agli interventi di cui alla citata delibera CIPE n. 90 del 4 agosto 2000 (co. 2, lett. b).

Attraverso l’abrogazione poi disposta dal comma 9 dell’art. 10-ter in commento, il trasferimento di competenze verso ISA si è esteso agli interventi di cui alla delibera CIPE n. 90 del 2002, una volta attribuiti alla società per il risanamento del settore saccarifero RIBS.

Gli interventi c. d. ex RIBS riguardano il miglioramento strutturale del reddito dei produttori agricoli, con priorità per le iniziative che: contribuiscano al miglioramento economico delle singole filiere agro-industriali, anche promuovendo processi di aggregazione e di integrazione dei diversi livelli di dette filiere; abbiano come obiettivi lo sviluppo o il mantenimento dei livelli occupazionali diretti ed indotti; prevedano la creazione ed il rafforzamento di piccole e medie imprese; siano localizzate nelle aree depresse del Paese e in particolare in quelle dell’Obiettivo 1; prevedano significative innovazioni di processo o di prodotto; presentino una significativa partecipazione di operatori agricoli al capitale; richiedano una minore intensità di agevolazione; prevedano un cofinanziamento regionale, nazionale e/o comunitario; presentino i requisiti di maggiore sostenibilità ambientale; utilizzino energie rinnovabili o da autoproduzione e introducano o implementino cicli integrati delle risorse idriche; presentino la possibilità di promuovere la quotazione in borsa dell’impresa partecipata.

In conseguenza dell’estensione delle proprie competenze, la società ISA è stata anche chiamata a fornire il proprio supporto tecnico al MIPAAF, in merito ai progetti di riconversione presentati dalle imprese saccarifere per gli impianti industriali dove la produzione di zucchero era destinata a cessare (D.L. n. 2/2006, articolo 2. co. 3).

Da ultimo l’art. 28 co. 1-bis del citato D.L. n. 248/2007 (mille proroghe) ha disposto che il trasferimento di risorse a suo tempo posto a carico di Sviluppo Italia si completi con il trasferimento aggiuntivo, entro il termine del 31 marzo 2008, di 150 milioni di euro per i compiti istituzionalmente assegnati alla società in favore della filiera agroalimentare.

Per ulteriormente rafforzare la società, l’ISA è stata anche autorizzata ad acquisire per incorporazione, entro il 30 giugno 2008, la società Buonitalia con le risorse alla stessa attribuite a suo tempo dall’art. 10 comma 10 del DL n. 35/2005. Il trasferimento di fondi, destinati ai compiti d’istituto, deve avvenire a costo zero per l’ISA, alla quale possono essere attribuite le sole spese notarili.

A seguito dell’incorporazione la società è tenuta a modificare le proprie norme statutarie in modo che negli scopi sociali vengano incluse le attività di pertinenza della incorporata Buonitalia.

Prodotti tipici nazionali - Naturalmenteitaliano

Naturalmente Italiano è il portale dell’agroalimentare di qualità (www.naturalmenteitaliano.it) realizzato dall’ISMEA nell'ambito del programma interregionale "Promozione commerciale sui mercati esteri", promosso dal dicastero agricolo e dalle regioni, con la collaborazione anche dell’Istituto per il commercio con l’estero (ICE). Si tratta di una società a capitale misto pubblico-privato, che si occupa di svolgere attività di promozione e di informazione.

Il portale è provvisto di un database dei prodotti agroalimentari italiani, con informazioni per gli utenti su etichette, itinerari enogastronomici ed eventi. Il sito fornisce inoltre, per ogni prodotto presentato al suo interno, una carta d’identità completa, che include i dati economici sul prodotto e la banca dati delle aziende produttrici; la sezione “servizi alle aziende” presenta guide all'esportazione e contiene informazioni di mercato.

L’articolo 4, comma 62 della legge 350/2003[305] ha attribuito al Ministero delle politiche agricole e forestali la vigilanza del marchio «naturalmenteitaliano» relativo ai prodotti agroalimentari di qualità. Tale norma sembrava presupporre la volontà di costituire un marchio di tutela della qualità dei prodotti agroalimentari nazionali, presumibilmente di proprietà dell’ISMEA, che avrebbe avuto il compito di predisporre un disciplinare sulle tecniche di produzione, al quale avrebbero dovuto aderire le aziende utilizzatrici del marchio.

Il menzionato marchio non è stato a tutt’oggi costituito probabilmente in relazione alla posizione più volte espressa dalla Commissione europea, per la quale i requisiti per la concessione dei marchi nazionali di qualità devono riguardare esclusivamente le caratteristiche intrinseche dei prodotti agricoli e alimentari. In particolare, qualunque requisito che avesse come effetto quello di limitare la concessione del marchio in funzione dell'origine o della provenienza geografica dei prodotti configurerebbe una violazione delle norme in tema di concorrenza, in quanto il marchio o il segno utilizzato possono favorire i prodotti nazionali a scapito dei prodotti provenienti da altri Stati membri. Ne deriverebbe l'illegittimità, per contrasto con le regole del commercio tra Stati membri, di qualsiasi norma nazionale che, al di fuori delle tassative ipotesi previste dal regolamento CEE n. 2081/1992, introduca segni identificativi della sola origine territoriale, indipendentemente da una riscontrata diversità in ordine alle qualità materiali del prodotto.

 


Tutela dei prodotti tipici e di qualità

I ddl sull’agricoltura biologica

Il testo unificato sull’agricoltura biologica

La Commissione agricoltura della Camera ha avviato il 13 dicembre 2006 l’esame di un disegno di legge di iniziativa governativa (A.C. 2604, “Disposizioni per lo sviluppo e la competitività della produzione agricola ed agroalimentare con metodo biologico”), al quale sono state abbinate numerose proposte di legge di iniziativa parlamentare[306]. La Commissione ha quindi adottato come testo base nella seduta del 17 ottobre 2007 un testo unificato del disegno e delle proposte di legge elaborato dal Comitato ristretto e su questo ha svolto un ampio ciclo di audizioni, a conclusione del quale, nella seduta del 29 novembre 2007, ha  adottato un nuovo testo unificato.

Tutti i progetti di legge presentati nella XV legislatura miravano a disciplinare organicamente l’intera materia della produzione agricola ed agroalimentare biologica ed a promuovere lo sviluppo del settore; in particolare la proposta AC 1629, Lion, intendeva in qualche modo anticipare l’applicazione della disciplina che si stava definendo presso le istituzioni europee, e che è stata approvato nel giugno 2007 con il regolamento (CE) n. 834/2007[307], che si applicherà a decorrere dal 1° gennaio 2009.

Il testo unificato adottato dalla Commissione agricoltura, pur tenendo  conto del regolamento comunitario ormai pubblicato, presentava al tempo stesso  profili di originalità e autonomia che meritano di essere evidenziati.

Il testo elaborato in sede di Comitato ristretto ha per oggetto la regolazione dei medesimi beni di cui al regolamento comunitario, ma è anche diretto a disciplinare l’utilizzo dei prodotti biologici nelle attività di ristorazione, la creazione di strumenti di identificazione della produzione nazionale, e prevede anche azioni di salvaguardia, promozione e sviluppo della produzione, di sostegno della ricerca, nonché un processo di semplificazione amministrativa (art.1).

La produzione biologica, in quanto settore economico indirizzato in via prioritaria verso la qualità dei prodotti, la sicurezza alimentare e la tutela dell’ambiente, inclusa la biodiversità, è dichiarato attività d’interesse nazionale (art.2).

L’art. 3 tratta una delle questioni maggiormente dibattute, relativa al rapporto tra agricoltura biologica e organismi geneticamente modificati (OGM). La norma proposta nel testo unificato non si limita a porre il divieto dell’uso di OGM nella produzione biologica, come fa anche il regolamento comunitario (art. 9), ma, a differenza di questo, esclude nei prodotti biologici anche la presenza per contaminazione accidentale di organismi geneticamente modificati[308].

In merito al sistema di controllo, l’autorità competente, “responsabile” dei controlli di cui all’art. 27 del regolamento, è il Ministero delle politiche agricole, che è anche l’autorità cui è consentito delegare i compiti di certificazione e controllo a uno o più organismi di controllo. Regioni e province autonome sono le autorità locali competenti, che svolgono attività di vigilanza territoriale, in coordinamento e collaborazione fra loro e con il Ministero (artt. 4, 5 e 17).

Il testo unificato ha anche disposto la istituzione di un Comitato consultivo per l’agricoltura biologica con ilcompito di favorire la collaborazione e concertazione fra istituzioni, ed avente anche funzioni propositive in materia di attività di promozione del comparto (art. 6).

La introduzione della definizione di distretti biologici è stata finalizzata ad una semplificazione delle procedure di certificazione ambientale e territoriale richieste per le produzioni biologiche (art.7).

Apposite norme sono state dedicate alla definizione delle intese e dei protocolli della filiera biologica, ed allo specifico riconoscimento delle Organizzazioni di Produttori biologici, che è concesso in presenza di almeno 5 produttori che registrino un fatturato complessivo annuo di 300 mila euro (artt. 8 e 9).

L’articolo 11 individua il logo nazionale “BIO ITALIA” riservato ai prodotti il cui intero processo produttivo si sia svolto sul territorio nazionale e quantifica le sanzioni amministrative per il suo indebito uso.

L’articolo 12 è diretto a consentire la conservazione delle risorse fitogenetiche autoctone e non, che rischiano di scomparire in quanto:

-       mai iscritte in registri nazionali, ma integrate negli agrosistemi locali da almeno 50 anni;

-       non più iscritte e minacciate di erosione genetica;

-       non più coltivate sul territorio nazionale ma la cui reintroduzione può presentare un qualche interesse.

Lo strumento è la istituzione di un registro delle varietà da conservazione, nel quale possono essere iscritte gratuitamente le specie di piante a rischio di scomparsa, e l’istituzione di repertori regionali della varietà da conservazione, riservati alle sole varietà mai iscritte in registri nazionali.

Le norme disciplinano anche lo scambio e la vendita, in modiche quantità, delle sementi e del materiale di propagazione di varietà da conservazione che hanno evoluto le proprie caratteristiche e che sono recuperate o conservate dai produttori agricoli, rimanendo escluse le varietà geneticamente modificate o contaminate da OGM (art. 12).

Il testo prevede poi che continui ad essere operativo il Sistema d’informazione nazionale sull’agricoltura biologica SINAB che fornisce anche servizi agli operatori del settore, e dispone la istituzione di due Fondi, per la ricerca l’uno e per lo sviluppo l’altro, per i quali oltre ad una dotazione iniziale è prevista la possibilità del rifinanziamento annuale in tabella D della legge finanziaria (art.14-16). 

Il Comitato di valutazione, seppure riformato per dare adeguata rappresentanza agli enti locali, prosegue la sua attività che è quella di esprimere pareri sugli organismi di controllo, e sono anche riscritte le norme sulle diverse componenti del sistema di controllo, organismi di controllo e  operatori, a carico dei quali viene definito un articolato quadro sanzionatorio per le irregolarità o infrazioni commesse.

Il nuovo regolamento europeo

Il 21 dicembre 2005 la Commissione europea aveva presentato una proposta di regolamento per la sostituzione della disciplina allora in vigore, anche accogliendo le conclusioni del Consiglio del 18 ottobre 2004 sul Piano d’azione europeo trasmesso dalla Commissione, che auspicavano una maggiore armonizzazione delle norme, la loro semplificazione e, ove possibile, norme di minore dettaglio.

L’opera di revisione, che ha inteso rendere più espliciti gli obiettivi, i principi e le norme applicabili alla produzione biologica, e favorire la trasparenza e la fiducia del consumatore verso un sistema produttivo che contribuisce alla tutela ambientale, si è conclusa con l’approvazione del Reg. (CE) 28 giugno 2007, n. 834/2007 per il quale la produzione biologica è un sistema globale di gestione dell’azienda e della produzione. I procedimenti produttivi biologici non debbono danneggiare le risorse, dovendo anzi contribuire alla loro conservazione attraverso un utilizzo responsabile e, se possibile, migliorare la salute dei suoli, delle acque, delle piante e degli animali (art. 3, lett. a), punto i). Compaiono anche fra gli obiettivi l’arricchimento della diversità biologica e il rispetto di “criteri rigorosi” in tema di benessere animale.

Il regolamento si applica ai seguenti prodotti, provenienti dall’agricoltura e dall’acquacoltura (at.1):

-       prodotti agricoli non trasformati e animali vivi;

-       prodotti agricoli trasformati e destinati al consumo umano;

-       mangimi;

-       materiale di propagazione vegetativa e sementi.

Non  possono invece essere considerati biologici i prodotti della caccia e della pesca di animali selvatici, ma sono biologici, a determinate condizioni, la raccolta di vegetali selvatici e di alghe marine selvatiche (artt. 12 e 13).

I principi che regolano il metodo produttivo portano al divieto di utilizzo di OGM, e di prodotti derivati da OGM, sia nella forma di alimenti che di mangimi, ausiliari di fabbricazione, prodotti fitosanitari, concimi, ammendanti, sementi, materiale di moltiplicazione, microrganismi e animali in produzione biologia (art. 9). Sono esclusi dal divieto i soli medicinali veterinari, mentre è chiesta una rigorosa limitazione nell’uso dei fattori di produzione ottenuti da sintesi chimica (art.4). E’ peraltro vietato il ricorso ai trattamenti con radiazioni ionizzanti sia sugli alimenti che sui mangimi che sulle materie prime utilizzate (art. 10).

L’impiego delle risorse non rinnovabili deve essere ridotto al minimo mentre i rifiuti e sottoprodotti, sia vegetali che animali, debbono essere riciclati. Per le produzioni zootecniche si deve aver cura di selezionare razze e varietà adatte alle condizioni locali, che possano manifestare una capacità di resistenza alle malattie e che possano beneficiare di un rafforzamento del proprio sistema immunitario con l’accesso a spazi aperti ed un regolare esercizio fisico (art.5)

Nei processi di trasformazione, sia degli alimenti che dei mangimi, debbono essere limitati l’uso di additivi, micronutrienti e ausiliari di fabbricazione (artt. 6 e 7).

Le norme sul metodo di produzione agricola richiedono che di norma l”intera azienda” sia a produzione biologica; tuttavia, e a determinate condizioni, è ammessa una suddivisione aziendale in più unità con regimi produttivi diversi. Sono anche ammesse produzioni zootecniche miste biologiche e non se relative a specie distinte, e per quanto riguarda le piante deve trattarsi di varietà distinte. Per l’acquacoltura, le specie possono anche essere le stesse ma debbono essere adeguatamente separati i siti di allevamento (art.11).

Alle dettagliate disposizioni per la produzione di vegetali (art.12), alghe marine (art.13), animali e animali di acquacoltura (artt. 14 e 15) segue l’individuazione dei prodotti – fitosanitari, concimi e ammendanti, additivi dei mangimi, prodotti per la pulizia e disinfestazione - il cui uso può essere autorizzato dalla Commissione sulla base dei criteri ivi specificati (art.16) e con la procedura di cui all’articolo 37 par.2.

La produzione di mangimi trasformati è disciplinatadall’art. 18, e nel successivo art. 19 sulla produzione di alimenti trasformati è anche regolata la produzione di lievito biologico.

Per dotare il sistema di una certa flessibilità alla Commissione è consentito accordare eccezioni alle norme di produzione; tuttavia, per preservare la fiducia del consumatore nei prodotti biologici, tali eccezioni debbono essere strettamente limitate ai casi in cui sia ritenuta giustificata l’applicazione di norme meno restrittive, e concesse per un tempo limitato al minimo (art. 22).

Le disposizioni sull’etichettatura consentono l’utilizzo nell’intera area comunitaria ed in qualunque lingua di un elenco di termini, atti ad indicare il metodo seguito sia sulle etichette che nella pubblicità (art. 23). L’uso del termine biologico, o equivalente, è consentito per i prodotti vivi o non trasformati quando oltre al metodo di produzione anche tutti gli ingredienti siano ottenuti conformemente alle prescrizioni; per gli alimenti trasformati è necessario che almeno il 95% (in peso) degli ingredienti sia da produzione biologica.

E’ anche consentito l’utilizzo del logo comunitario (vietato per i prodotti in conversione) e di loghi nazionali e privati (at. 25).

In merito agli scambi con i paesi terzi, è ammessa l’importazioni di prodotti provenienti da paesi che rispettino le norme UE ovvero offrano garanzie equivalenti (artt. 32 e 33).

I controlli sulle produzioni biologiche

Il sistema di controllo delineato dalle norme comunitarie

Per assicurare l’osservanza delle norme di produzione con il metodo biologico è necessario impiantare un regime di controllo regolare che assoggetti tutti gli operatori alle verifiche messe in atto da organismi riconosciuti, che si concluda  con la comparsa in etichetta di un segno comunitario indicativo del controllo.

Il sistema di controllo comunitario è stato definito con l’art. 28 del regolamento (CE) n. 834/2007 che sottopone gli operatori che producono, preparano, immagazzinano, esportano o importano da un Paese terzo i prodotti biologici per poterli commercializzare, nonché quelli che li commercializzano, all’obbligo di notificare tale attività all'autorità (o all’organismo) competente dello Stato membro in cui si svolge l'attività stessa. La designazione dell’autorità spetta ad ogni singolo Stato che deve mettere a disposizione, di che ne abbia interesse, un elenco contenente nomi ed indirizzi degli operatori biologici (par.5). Gli operatori debbono altresì assoggettare la loro azienda al sistema di controllo di cui al precedente art. 27.

Il Consiglio ha ritenuto necessario rafforzare il sistema dei controlli precisando che è sottoposto ai medesimi obblighi anche l’operatore che subappalti una delle attività, e richiedendo le medesime verifiche per le attività subappaltate[309].

Per converso, è stata attribuita ai singoli Stati membri la possibilità di esentare taluni operatori al dettaglio (che rivendono direttamente al consumatore) dai previsti obblighi in tema di notifica e controllo, se ritenuti sproporzionati.

L’articolo 27 prevede l'instaurazione da parte di ciascuno Stato membro di un sistema di controllo comprensivo delle misure previste dal regolamento (CE) n. 882/2004, di riorganizzazione dei “controlli ufficiali” dei prodotti alimentari e dei mangimi, e comprensivo delle “misure precauzionali” che la Commissione riterrà di adottare (par.2), che consentano la tracciabilità del prodotto in ogni sua fase (par. 13). Il sistema è gestito da un complesso di autorità e organismi di controllo al vertice dei quali ogni Stato membro deve designare una (o più) autorità competente, che è l’autorità centrale dello Stato cui spetta l’organizzazione deicontrolli. L’autorità competente può conferire le sue competenze di controllo a autorità di controllo che, in presenza delle adeguate garanzie di oggettività e imparzialità, svolgono l’attività ispettiva e di certificazione delle produzioni. L’autorità competente può altresì delegare compiti di ispezione e certificazione ad uno o più organismi di controllo, enti terzi indipendenti che debbono possedere tutti i requisiti di cui al paragrafo 5, incluso l’accreditamento secondo le norme EN 45011 o ISO 65 (che definiscono i "Requisiti generali relativi agli organismi che gestiscono sistemi di certificazione dei prodotti); qualora si opti per una pluralità di organismi di controllo, lo Stato membro deve indicare le autorità responsabili dell’autorizzazione e della vigilanza sui detti organismi (par.4).

Le norme comunitarie individuano anche gli elementi che debbono essere oggetto di valutazione nella procedura di riconoscimento degli organismi di controllo (par.6), le attività che non possono essere delegate da parte dell’autorità competente e le verifiche poste a suo carico (par. 7- 9). A ciascuna autorità di controllo e a ciascun organismo deve essere attribuito un codice di riconoscimento (par. 10).

La definizione della natura e frequenza dei controlli è lasciata alla libera valutazione degli Stati che sono tenuti a decidere ciascuno sulla base del rischio di irregolarità e infrazioni; in ogni caso tutti gli operatori (con le sole esclusioni di cui al par. 3) debbono essere sottoposti a verifica almeno una volta l’anno e annualmente, entro la fine di gennaio, le autorità e gli organismi di controllo trasmettono alle autorità competenti l’elenco degli operatori che nell’anno precedente sono stati oggetto del controllo, volto all’applicazione almeno delle misure di controllo di cui al regolamento n. 882/2004 e di quelle precauzionali integrative (par. 3, 12 e 14). L’accertamento del possesso dei requisiti richiesti si traduce nel rilascio di un documento giustificativo, a validità limitata, che consenta l’identificazione dell’operatore e del prodotto.

Qualora le autorità di controllo e gli organismi privati riconosciuti accertino un'infrazione nell'applicazione delle disposizioni sulla produzione biologica, incombe sui medesimi l’obbligo i far sopprimere ogni riferimento al metodo biologico per l’intera partita; le norme comunitarie richiedono in tal caso che vi sia un nesso di proporzionalità fra la sanzione l’entità della violazione. Qualora invece si accerti un'infrazione “grave” essi debbono ritirare all'operatore interessato il diritto di commercializzare prodotti biologici per un periodo di tempo determinato dall'autorità competente dello Stato (art.30).

Lo scambio di informazioni fra i menzionati soggetti deputati al controllo, deve avvenire “senza indugio” per quanto riguarda le infrazioni o irregolarità, per la altre “informazioni utili” la trasmissione, precedentemente ammessa solo su richiesta “debitamente giustificata”, è ora anche lasciata alla libera iniziativa dei soggetti stessi (art. 31).

Il sistema di controllo nazionale

Lo strumento che recependo le disposizioni comunitarie garantisce la corretta competizione fra aziende produttrici, e nel contempo consente la tutela del consumatore che opta per i prodotti biologici, è costituito dal D.Lgs. n. 220/1995[310], che ha dato attuazione agli articoli 8 e 9 del reg. (CE) n. 2092/1991 (ora sostituiti dagli artt. 27-31 del reg. 834/2007), definendo il sistema nazionale di controllo e certificazione delle produzioni biologiche. Le disposizioni elaborate si fondano sui seguenti principi di base: l'individuazione in capo al Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali dell'unica autorità responsabile a livello nazionale dell'attività di controllo e coordinamento dell'applicazione della normativa comunitaria; la scelta di organismi privatiper il concreto svolgimento delle attività di controllo; la sottoposizione di tali organismi alla sorveglianza delMinistero; la concomitante partecipazione delle regioni alla attività di vigilanza sugli organismi privati ricadenti nel proprio territorio, per i quali hanno diritto di proporre la revoca della autorizzazione.

Individuata quindi nel MIPAAF l'autorità preposta al coordinamento delle attività (come richiesto in precedenza dall’art. 1 del 2092/91), il decreto legislativo prevede l'istituzione presso il Ministero medesimo del Comitato di valutazione degli organismi di controllo, nella veste di soggetto cui è affidata l’espressione di un parere sui provvedimenti di autorizzazione o revoca degli organismi privati di controllo (art.2). Per quanto riguarda la composizione del Comitato, costituito da nove membri, è stabilito che tre di essi siano funzionari del dicastero agricolo, altri tre designati rispettivamente dai ministeri dell’industria, della sanità e del turismo[311], e tre dalla conferenza dei Presidenti delle regioni e province autonome. Il Presidente e il segretario devono in ogni caso essere nominati tra i rappresentanti del dicastero agricolo [312].

Gli articoli 3 e 4, relativi agli organismi di controllo, disciplinano innanzitutto la procedura e le modalità per il loro riconoscimento, che si attiva su istanza degli interessati, e si perfeziona con un decreto del Ministro dell’agricoltura. Accertata la regolarità e la completezza della domanda, e verificato il possesso dei requisiti previsti dal regolamento comunitario, deve anche essere verificata la loro rispondenza agli ulteriori requisiti dettagliatamente elencati negli allegati I e II del decreto legislativo. La vigilanza sugli organismi di controllo è attribuita sia al dicastero agricolo, sia alle regioni e province autonome per le strutture ricadenti nel proprio territorio; ma è alle regioni che spetta di proporre la revoca dell’autorizzazione, nella ipotesi che in sede di controlli si sia constatato il venir meno dei requisiti necessari.

Per quanto riguarda i controlli che gli organismi autorizzati devono effettuare sugli operatori, l'art. 5prevede che detti organismi procedano seguendo un piano-tipo annualmente da loro predisposto e trasmesso entro il 30 novembre di ciascun anno al Ministero delle politiche agricole: questi, d’intesa con le regioni, può formulare rilievi ed osservazioni alle quali l’organismo è tenuto a conformarsi. Le ispezioni con esito favorevole si concludono con il rilascio di una certificazione da parte dell'organismo di controllo.

Il successivo art. 6 definisce gli obblighi posti a carico degli operatori che debbono  notificare l'inizio dell'attività di produzione biologica alle regioni e province autonome nel cui territorio è ubicata l'azienda (art. 8, par. 1, lett. a) del reg. CEE 2092/91, ora art. 27, par. 1 del reg. 834), mentre nel caso di importazione la notifica deve essere inviata al dicastero agricolo; in entrambi i casi copia della notifica deve essere trasmessa all'organismo di controllo autorizzato, a cui l'operatore fa riferimento.

In ottemperanza ai criteri contenuti nella delega il decreto legislativo reca l'istituzione, acura delle regioni, degli elenchi degli operatori dell'agricoltura biologica, distinti in tre sezioni: "produttori agricoli", "preparatori" e "raccoglitori di prodotti spontanei" (art. 8). Nella prima sezione sono comprese le "aziende biologiche", le "aziende in conversione" e le "aziende miste", mentre nella sezione "preparatori" rientrano gli operatori che nello svolgimento della propria attività utilizzano prodotti provenienti da aziende biologiche e quindi già certificati. Gli elenchi degli operatori iscritti nei suddetti elenchi regionali vanno comunicati, entro il 31 marzo di ogni anno, al Ministero agricolo, al fine di costituire l'elenco nazionale degli operatoridell'agricoltura biologica (art. 9): in tale ultimo elenco compare una quarta sezione riservata agli operatori che svolgono attività di importazione. Presso il Ministero è inoltre istituito l'elenco degli organismi di controllo autorizzati. Tutti gli elenchi previsti, e cioè gli elenchi regionali degli operatori dell'agricoltura biologica, l'elenco nazionale, e l'elenco degli organismi di controllo autorizzati, sono pubblici.

Le eventuali modifiche ed integrazioni degli allegati al decreto legislativo sono adottate con decreto interministeriale, sentita la Conferenza Stato-regioni (art. 10).

Il quadro normativo nazionale è stato completato con il D.M. 4 agosto 2000, già modificato dal D.M. 29 marzo 2001, che ha stabilito le modalità di attuazione delle disposizioni comunitarie recate dal Reg. 1804/99, che modificando il precedente reg. 2092/91 ha regolamentato anche le produzioni zootecniche biologiche. Di rilievo è l’allegato II del provvedimento ministeriale che ha definito il sistema per rendere rintracciabili gli alimenti biologici di origine animale, disponendo che siano mantenuti separati gli animali biologici da quelli allevati convenzionalmente, dall'uscita dall'allevamento fino al momento della macellazione, anch’essa separata. Le specie e i prodotti che trovano disciplina nel decreto sono i bovini, suini, ovicaprini, volatili, prodotti a base di carne, uova, latte e prodotti lattiero-caseari, miele e cera. Peraltro è stato proprio il regolamento 1804 approvato dal Consiglio ad individuare nella “rintracciabilità” lo strumento da utilizzare “per quanto tecnicamente possibile” per fornire ai consumatori le garanzie che il prodotto è ottenuto in conformità alle disposizioni (11° considerando).

In merito poi alle strutture preposte all’attività di vigilanza, il D.M. n. 266/2004[313] ha istituito presso il dicastero agricolo una Unità nazionale di coordinamento della vigilanza (UNCV), ed ha imposto alle regioni e province autonome di attivare ciascuna una propria Unità territoriale di vigilanza (UTV). Il provvedimento definisce le modalità di costituzione, funzioni e attività della nuova rete di strutture. Nella specifica ipotesi che una UTV sia revocata o sospesa, spetta al competente Dipartimento del dicastero agricolo di individuare il personale degli uffici periferici dell’Ispettorato centrale repressione frodi (ICRF) da adibire temporaneamente alle attività di controllo e certificazione.

Nel 2005 infine il dicastero agricolo si è avvalso della possibilità di concedere taluni esoneri a determinati operatori, dando attuazione all’articolo 8, co. 1 del reg. 2092/92 (ora art. 27, par. 3 del reg. 834/07) con il D.M. 7 luglio 2005[314]. Gli operatori che rivendono i prodotti biologici al consumatore o utilizzatore finale in imballaggio preconfezionato e pre-etichettato, e che non li producono (preparano o immagazzinano) solo in connessione con il punto vendita, o non li importano da un Paese terzo, sono esentati dagli obblighi previsti dal menzionato articolo 8 del regolamento comunitario.

Gli organismi di controllo e l’accreditamento internazionale

La nascita della produzione biologica è da connettersi con l’esigenza manifestata dal consumatore di poter acquistare un prodotto con caratteristiche particolari sotto il profilo della “genuinità”, ma anche ottenuto con metodologie produttive che assicurino una certa “tutela ambientale” e si connettano quindi ad uno “sviluppo sostenibile”.

La definizione dei parametri produttivi da rispettare, ritenuti atti ad assicurare il soddisfacimento di siffatte esigenze, è stata ormai codificata sia in ambito comunitario che in quello, di completamento, dei singoli Stati membri dell’U.E. Al rispetto delle disposizioni consegue il diritto per il prodotto di fregiarsi di un marchio di qualità ecologica attestante la sua rispondenza ai requisiti richiesti, marchio che può esser utilizzato in etichetta ed in ogni altro contesto anche pubblicitario.

Il diritto al marchio, come già detto, consegue alla iscrizione dell’operatore economico nell’elenco tenuto dall’organismo di controllo, che ne certifica il comportamento rispettoso degli obblighi indicati nel regolamento. La scelta, pertanto, dell’operatore di aderire al metodo della produzione biologica, e potersi fregiare del marchio, è volontaria; ma i criteri valutativi del suo operato, nonché il procedimento di valutazione della conformità, sono definiti in regole cogenti.

Per tali marchi, pertanto, la realizzazione della qualità del prodotto che si immette alla vendita deve anche essere assicurata attraverso la concessione di una certificazione da parte di un apposito organismo di controllo, in grado di valutare la conformità del prodotto ai requisiti dovuti.

L’idoneità dell’organismo di controllo ad operare in modo congruo le valutazioni richieste viene riconosciuta attraverso il suo accreditamentoad opera di un ente, il cui compito è proprio quello di garantire le competenze e la professionalità dell’organismo certificatore, e quindi il valore e la credibilità stessa delle certificazioni.

L’intervento dell’ente di accreditamento peraltro non intacca la potestà della Pubblica Amministrazione in merito al rilascio delle autorizzazioni, intervenendo l’ente di accreditamento solo nell’accertamento tecnicodel possesso dei requisiti necessari per l’attività di certificazione, e del mantenimento di tali requisiti, da parte dell’organismo di controllo e certificazione.

E’ in tale ottica di collaborazione che lo stesso Ministero delle politiche agricole e forestali ha fatto ricorso all’associazione SINCERT, Sistema Nazionale per l’Accreditamento degli Organismi di Certificazione, proprio in riferimento ai prodotti biologici[315]. L’ente, costituito nel 1991 nella forma per l'appunto di associazione senza fini di lucro, ha ottenuto il riconoscimento da parte dello Stato italiano nel 1995[316]: l’attività richiesta all’ente dal Ministero è quella di concorrere all'accertamento della conformità degli organismi di certificazione (e controllo), autorizzati dallo stesso Ministero, alla norma EN 45011, come richiesto dall’art. 9, co. 11 del regolamento comunitario.

Per un mercato che si connota ormai per la sua dimensione, almeno potenzialmente, globale, può facilmente desumersi quanto possa essere rilevante che l’opera di certificazione ed accreditamento abbia un riconoscimento anche a livello internazionale. La ricerca di sintonizzazione fra sistemi frammentati e nazionali si svolge lungo due direttrici distinte ma in connessione.

Da una parte si configurano Accordi internazionali di mutuo riconoscimento (MLA) tra gli enti di accreditamento dei diversi paesi, accordi in virtù dei quali le successive certificazioni (di prodotto, di sistema di personale, ambientale, o di laboratori) trovano un riconoscimento in ambito extra nazionale, che può essere europeo o anche mondiale.

Dall’altra, si costituiscono fra gli enti di accreditamento associazioni internazionali che si pongono come obiettivo la eliminazione delle barriere tecniche agli scambi commerciali, e che sono poi i soggetti che sottoscrivono i MLA. In ambito europeo è sorta l’EA (European Cooperation for Accreditation)[317] che copre tutte le attività europee di “valutazione di conformità”. Associazione senza fini di lucro, con sede in Olanda, ne fanno parte:

-        gli enti di accreditamento riconosciuti dagli Stati membri della Comunità;

-        gli enti di accreditamento riconosciuti da Stati europei, che siano in grado di dimostrare di essere idonei ad operare in conformità alla norma EN 45010 sull’accreditamento degli organismi di certificazione[318].

In concreto l’attività dell’EA è diretta al raggiungimento di:

-        un approccio uniforme all’accreditamento in ambito europeo;

-        l’accettazione universale dei certificati coperti da un accreditamento;

-        una condivisione delle norme relative all’accreditamento;

-        una implementazione di accordi di mutuo riconoscimento.

In ambito internazionale sono sorti lo IAF (International Accreditation Forum), che è l’organismo associativo degli enti di accreditamento di organismi di certificazione, che si pone obiettivi analoghi, in un ambito mondiale, e l’ILAC (International Laboratory Accreditation Cooperation).

Gli adempimenti a carico dei diversi soggetti

Da quanto enunciato può ben desumersi come il sistema produttivo dei vegetali o della zootecnia biologica si configuri come un sistema al vertice del quale si pone il diritto di fregiarsi del marchio “biologico”, che denomina e qualifica legalmente una categoria di alimenti, facilmente individuata dal consumatore per le sue caratteristiche di naturalità[319]. Alle radici del segmento produttivo si pone invece un sistema di controlli che soli possono tutelare lo stesso consumatore, e giustificare il diritto legale del produttore di utilizzare un marchio che delimita un nuovo campo merceologico e lo distingue dal complesso dei prodotti generici che biologici non sono.

In altri termini, il complesso e articolato sistema di controlli e verifiche che ruota intorno al marchio “biologico” è il frutto della potenza evocativa del marchio stesso, che implicitamente e tacitamente assicura al consumatore di avere operato una determinata scelta, rendendo peraltro superflua l’apposizione di informazioni aggiuntive. L’utilizzo del simbolo, in tal caso, riduce le necessità di dialogo con il consumatore il quale peraltro, dando per scontata la presenza delle qualità implicitamente connesse, traduce il proprio gradimento nell’accettazione del prezzo richiesto.

La base del sistema piramidale è costituita dagli operatori sui quali gravano i seguenti obblighi:

-       notifica dell’inizio di attività di produzione (o notifica di variazione delle informazioni precedentemente fornite) alla regione o provincia autonomo sul cui territorio è ubicata l’azienda. Le notifiche debbono essere fatte mediante compilazione degli appositi moduli;

-       oppure notifica dell’inizio di attività di importazione al Ministero delle politiche agricole;

-       trasmissione delle copie degli atti di notifica all’organismo di controllo con cui è in contatto l’azienda;

-       iscrizione in una delle tre sezioni in cui si articola l’elenco degli operatori tenuto dalla regione, riservate rispettivamente ai produttori, preparatori (ossia coloro che utilizzano prodotti già provvisti di certificazione biologica) o raccoglitori di prodotti spontanei;

-       iscrizione nella sezione degli importatori istituita presso il Ministero delle politiche agricole. Tale quarta sezione integra i dati della altre sezioni tenute dalle regioni che sono comunque tenute a trasmetterli annualmente al dicastero agricolo entro il 31 marzo. L’elenco degli operatori, costituito dalle quattro sezioni, è pubblico.

 

In una posizione intermedia si trovano gli organismi deputati al controllo delle aziende ed al rilascio alle stesse delle etichette per la commercializzazione del prodotto con il marchio biologico. Tali organismi sono tenuti ai seguenti principali adempimenti:

-       presentare domanda per il riconoscimento, nella forma di richiesta sottoscritta con firma autenticata dal rappresentante legale dell’organismo. La richiesta deve essere corredata di tutta le informazioni indicate nell’allegato I del decreto 220/95;

-       ottenuta l’autorizzazione con decreto ministeriale, procedere alla iscrizione nell’elenco degli organismi di controllo autorizzati, elenco che è pubblico ed è istituito presso il dicastero agricolo;

-       predisporre un “piano tipo” annuale nel quale venga programmata la propria attività di controllo, e sua trasmissione al Ministero ed alle regioni e province autonome interessate entro il 30 novembre[320];

-       svolgere la propria attività di controllo in modo conforme al piano presentato, anche tenendo conto delle modifiche eventualmente apportatevi dal ministero d’intesa con le regioni ed entro trenta giorni dal ricevimento del piano;

-       conseguentemente alla ispezione conclusasi con esito favorevole, rilasciare alla azienda la certificazione dovuta;

-       comunicare immediatamente al Ministero le violazioni commesse dai produttori;

-       trasmettere a regioni e Ministero entro il 31 gennaio di ogni anno l’elenco delle notifiche, ricevute entro il 31 dicembre dell’anno precedente, di inizio o variazione di attività;

-       trasmettere ai medesimi soggetti ed entro gli stessi termini di cui sopra una dettagliata relazione sulla propria attività e sui controlli esercitati;

-       trasmettere, entro il 31 marzo, l’elenco degli operatori riconosciuti entro l’anno precedente;

-       redigere un elenco aggiornato dei prodotti certificati, e costituire l’elenco degli operatori autorizzati all’uso delle dicitura “Agricoltura biologica – Regime di controllo CE”;

-       in caso di scioglimento o revoca dell’autorizzazione consegna al Ministero di tutta la documentazione inerente il sistema di controllo e certificazione.

 

Al Ministero delle politiche agricole sono demandati i seguenti compiti[321]:

-       accertare la regolarità e completezza della domanda presentata dall’organismo richiedente l’autorizzazione a svolgere il controllo sulle attività della produzione biologica;

-       verificare il possesso da parte dell’organismo dei requisiti tecnici di cui all’allegato II del 220 relativi alla organizzazione, utilizzazione di personale, dotazione di strutture;

-       verificare il possesso da parte dei rappresentanti e degli amministratori dei requisiti di cui al medesimo allegato II, ivi compreso il requisito dell’idoneità morale;

-       entro il termine di novanta giorni pronunciarsi sulla istanza ricevuta e, sentito il Comitato di valutazione degli organismi di controllo, eventualmente concedere all’organismo di controllo l’autorizzazione con decreto ministeriale;

-       anche la revoca deve essere disposta con decreto ministeriale.

Gli obblighi a carico dell’amministrazione centrale comportano anche i seguenti adempimenti nei confronti della Commissione europea da parte dello stesso ministero:

-       entro il 1° luglio di ogni anno trasmettere l'elenco degli operatori assoggettati al regime di controllo;

-       entro il 1° luglio di ogni anno comunicare una relazione concernente la supervisione esercitata sugli organismi di controllo riconosciuti;

-       entro il 31 marzo di ogni anno, trasmettere l'elenco degli organismi di controllo riconosciuti al 31 dicembre dell'anno precedente.

 

 

Alle regioni spetta:

-       l’attività di vigilanza sulle strutture ricadenti nel proprio territorio, che si svolge essenzialmente attraverso la UTV regionale;

-       la presentazione al Ministero della proposta di revoca dell’autorizzazione, a seguito dell’accertamento del venir meno alla rispondenza della struttura di controllo ai requisiti richiesti.


Tutela dei prodotti tipici e di qualità

Le denominazioni protette- IGP DOP e STG

La materia è disciplinata a livello comunitario sino dal 1992, quando il Consiglio ha adottato il regolamento (CEE) n. 2081/92[322] sulle denominazioni d’origine e sulle indicazioni geografiche, ed il regolamento (CEE) n. 2082/92[323] sulle specialità tradizionali, oggi entrambi sostituiti dal regolamento (CE) n. 510/2006[324] e regolamento (CE) n. 509/2006[325].

La disciplina approvata nel ’92 era diretta ad introdurre un regime comunitario di protezione di prodotti agricoli di qualità, al fine di garantire condizioni di concorrenza uguali fra i produttori, superando la preesistente eterogeneità di disposizioni dei Paesi membri, e rispondere all’esigenza di tutelare il consumatore, assicurandogli informazioni chiare e sintetiche sull’origine del prodotto, da esporre in etichetta sulla base di norme che assumono pertanto carattere di specialità rispetto alla normativa generale sull’etichettatura.

Le modifiche apportate con la nuova versione dei due regolamenti, dove restano sostanzialmente invariate le definizioni delle denominazioni, attengono essenzialmente alle procedure per il riconoscimento che dovrebbero risultare semplificate e abbreviate[326], ed alla volontà di consentire l’iscrizione nei registri comunitari di denominazioni legate ad un territorio di origine non comunitaria, accogliendo  quanto emerso in sede di negoziati WTO e per maggiore aderenza all’accordo TRIPS sulla tutela internazionale dei diritti di proprietà intellettuale. Il regolamento sulle DOP e sulle IGP prevede infatti la possibilità di assicurare la protezione mediante registrazione anche ai prodotti dei paesi terzi che siano già oggetto di analoga tutela nel loro paese d'origine (considerando n. 13 e art. 5, par. 9, primo comma del reg. 510; in precedenza la registrazione era aperta ai paesi terzi - dall’art. 12 - su base di reciprocità e in condizioni di equivalenza). Il regolamento sulle specialità tradizionali garantite concede ad ogni produttore, anche di un paese terzo, di associare la denominazione STG al prodotto, a condizione che tale prodotto sia conforme ad un disciplinare sul metodo di produzione, e che la verifica del rispetto del disciplinare sia effettuata prima della immissione sul mercato sia da una autorità pubblica designata dal paese terzo, che da uno o più organismi di certificazione conformi alle norme europee o internazionali di certificazione (EN 45011 o ISO/CEI 65) (considerandon. 14 e artt. 7 e 15).

Il Reg. (CE) n. 510/2006 si applica ai prodotti agro-alimentari destinati all'alimentazione umana, con l'espressa esclusione dei vini e delle bevande spiritose, disciplinati per questi profili separatamente, con provvedimenti che hanno visto la luce già alla fine degli anni ‘70. Scopo del regolamento è quello di assegnare ai detti prodotti una denominazione d’origine o una indicazione geografica in ragione delle specificità possedute, da ricollegarsi essenzialmente al territorio e alle caratteristiche organolettiche che diventano irripetibili al di fuori del territorio designato come area di produzione. In entrambi i casi pertanto si tratta di prodotti a forte caratterizzazione territoriale, da cui consegue l’attribuzione di una denominazione che si identifica con il nome di una regione, di un luogo determinato o, in casi eccezionali, di un paese.

La definizione di specialità tradizionali garantite dei prodotti agricoli o alimentari è desumibile dall’art. 4 del Regolamento (CE) n. 509/2006, ai sensi del quale un prodotto agricolo o alimentare, per essere iscritto nel registro delle IGP, deve “essere ottenuto utilizzando materie prime tradizionali oppure essere caratterizzato da una componente tradizionale o aver subito un metodo di produzione  e/o di trasformazione che rispecchia un tipo tradizionale di produzione e/o di trasformazione”; in altri termini, come è stato efficacemente sintetizzato, deve corrispondere ad una ricetta tradizionale, con ciò sottolineando che al legame con il territorio si sostituisce la metodologia produttiva.

Le denominazioni d’origine protetta e le indicazioni geografiche protette

Il Reg. CEE 510/2006 detta le norme per l'attribuzione della Denominazione di Origine Protetta (DOP), al fine di poter designare con il nome della regione, o del luogo d'origine, un prodotto agro-alimentare originario della regione o del luogo medesimo. Il prodotto deve presentare qualità particolari, dovute principalmente o esclusivamente all'ambiente geografico, comprensivo dei fattori naturali ed umani; è inoltre richiesto che le diverse fasi di produzione, trasformazione ed elaborazione si svolgano tutte nell'area geografica delimitata. Con l’attribuzione di una denominazione esclusiva viene garantito al prodotto l'uso di un elemento in grado di identificarlo con immediatezza, separandolo dalla originaria categoria di appartenenza.

Come detto il Reg. (CE) 510/2006 fissa anche le regole per il riconoscimento dell'Indicazione Geografica Protetta (IGP), disponendo che un prodotto possa essere designato con il nome di una regione o di un luogo determinato a condizione che sia originario di tale regione o di tale luogo, che una determinata qualità, la reputazione o un'altra caratteristica del medesimo, possa essere attribuita all'origine geografica, nonché che almeno una delle tre fasi sopracitate - produzione, trasformazione ed elaborazione - si svolga nell'area geografica determinata. Viene in tal modo confermato il legame tra prodotto e territorio, ma tale legame è meno intenso di quanto richiesto per una DOP, essendo sufficiente che una sola operazione si svolga sul territorio individuato.

Il regolamento disciplina, in particolare, i seguenti profili:

   Definizioni

Oltre alla definizione di DOP e di IGP sopra ricordate, il regolamento reca (art. 3) la definizione di denominazioni divenute generiche, allo scopo di vietarne la registrazione. Sono da considerarsi generici i nomi di prodotti che, pur collegati con il nome della regione o del luogo in cui essi siano stati inizialmente prodotti o commercializzati, siano tuttavia divenuti, nel linguaggio corrente, il nome comune di un prodotto agricolo.

   Disciplinare di produzione

Condizione essenziale affinché un prodotto possa beneficiare di una delle diciture menzionate è la sua conformità ad un disciplinare, il cui contenuto minimo è determinato con l’art. 4. Ai sensi dell’art. 9 il disciplinare può essere modificato su richiesta dello Stato membro.

   Procedura di registrazione di una denominazione

I soggetti cui è consentito, a norma dell’art. 5, di inoltrare la domanda per ottenere la registrazione comunitaria di una DOP o IGP sono esclusivamente le associazioni di produttori e/o trasformatori, oppure, a titolo eccezionale ed alle condizioni stabilite dall’art. 2 del  reg. (CE) 1898/2006 di applicazione[327], le persone fisiche o giuridiche. Per la registrazione di denominazioni ricadenti in aree geografiche transfrontaliere possono attivarsi diverse associazioni per la presentazione di una domanda comune.

La domanda, cui va accluso il disciplinare, deve essere inviata allo Stato membro sul cui territorio è situata l'area geografica di produzione della DOP, il quale Stato, verificata la sussistenza dei requisiti richiesti, la trasmette alla Commissione. In attesa della pronuncia comunitaria è consentito a singoli Stati di accordare alla denominazione una protezione transitoria valida solo sul proprio territorio; alla protezione transitoria può essere fatto ricorso anche in caso di modifica di un disciplinare.

Le domande relative ai prodotti di paesi terzi vanno presentate alla Commissione, direttamente o tramite un’autorità del Paese di appartenenza, e debbono includere la documentazione che comprovi la protezione del paese d’origine.

La norma richiede infine agli Stati membri di adottare le disposizioni legislative, regolamentari o amministrative necessarie per l'osservanza delle norme testé illustrate[328].

Gli artt. 6 e 7 prevedono che, entro dodici mesi dalla ricezione della domanda, la Commissione UE proceda ad un esame formale della medesima e aggiorni mensilmente l’elenco, che deve essere pubblico, delle domande di registrazione. In caso di esito positivo, il documento unico e il riferimento della pubblicazione del disciplinare sono pubblicati nella Gazzetta Ufficiale della UE; qualora non vengano presentate opposizioni nel termine di sei mesi, la denominazione è iscritta nel "Registro delle denominazioni di origine protette e delle indicazioni geografiche protette", e di essa viene data notizia nella Gazzetta Ufficiale UE.

Le norme consentono, a chiunque sia interessato, anche se stabilito in un paese terzo, di far valere i propri diritti presentando una dichiarazione debitamente motivata alla Commissione tramite lo Stato di appartenenza, entro sei mesi dalla prima pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale. La disposizione fissa le condizioni di ricevibilità della dichiarazione d'opposizione.

   Strutture di controllo

Ai sensi degli artt. 10 e 11 agli Stati membri compete la individuazione delle strutture di controllo deputate alla verifica della conformità al disciplinare dei prodotti che utilizzano le DOP e le IGP, designando la, o le, autorità il cui elenco è pubblicato nella Gazzetta comunitaria[329].

Le autorità che verificano il rispetto dei disciplinari debbono garantire obiettività ed imparzialità nei confronti del "controllato", nonché disporre di esperti e mezzi adeguati; gli organismi di certificazione dei prodotti dovranno rispondere alla norma EN 45011 o ISO/CEI 65 a decorrere dal 1° maggio 2010[330].

I costi dei controlli sono a carico dei produttori che utilizzano le denominazioni protette.

   Tutela contro abusi e contraffazioni

L’art.13 definisce l’estensione della tutela assicurata ai prodotti a denominazione d’origine, conseguente alla registrazione della denominazione nel rispetto della disciplina comunitaria.

In particolare vengono vietati:

-       l’utilizzo abusivo delle denominazioni registrate per prodotti comparabili, o comunque per prodotti per i quali si renda possibile l’indebito sfruttamento della maggiore notorietà dei prodotti tutelati;

-       qualsiasi usurpazione, evocazione o imitazione della denominazione. L’illiceità non viene peraltro meno neanche se viene contemporaneamente indicata la vera origine del prodotto, né se la denominazione protetta viene riportata in traduzione o accompagnata da espressioni quali “genere”, “tipo”, “metodo”, “alla maniera”, “imitazione” e altre similari;

-       ogni altra indicazione falsa od ingannevole relativa alla provenienza, origine, natura o altre qualità essenziali dei prodotti, usata sulla confezione o sugli imballaggi, nella pubblicità o sui documenti relativi ai prodotti considerati, nonché l'impiego per la confezione di recipienti, che possa indurre in errore sull'origine;

-       qualsiasi altra prassi che possa indurre in errore sull’origine.

Il medesimo articolo 13 regolamenta anche l’ipotesi di una denominazione registrata che contenga una denominazione generica, o la coesistenza di una denominazione registrata con una denominazione identica non registrata.

Inoltre, l'art. 14 estende la tutela anche all’uso dei marchi identificativi dei prodotti disponendo che sia respinta ogni richiesta di registrazione di un marchio che contrasti con la tutela accordata dall’articolo 13 ad una denominazione già registrata; la registrazione eventualmente già avvenuta viene annullata.

A certe condizioni, accompagnate dalla buona fede, la prosecuzione dell’uso del marchio preesistente è comunque consentita.

Al contrario, infine, in presenza di un marchio preesistente accompagnato da notorietà, la nuova registrazione di una denominazione è negata se sia tale da indurre in errore il consumatore.

   Pagamento di tasse

L’articolo 18 autorizza gli Stati membri ad esigere il pagamento di una tassa a copertura delle spese conseguenti all’esame delle domande di registrazione, alle dichiarazioni di opposizione, alle richieste di modifica o cancellazione da essi sostenute[331].

Le specialità tradizionali garantite

Il reg. n. 2082/92, ora sostituito dal regolamento (CE) n. 509/2006, ha introdotto nella normativa comunitaria un sistema di tutela delle Specialità tradizionali Garantite, con l’assegnazione di una attestazione che riconosce l’esistenza in un prodotto di caratteristiche degne di tutela in ragione: dell’utilizzo di materie prime tradizionali, del metodo tradizionale di produzione o trasformazione, dell’uso di una denominazione tradizionale o consacrata dall’uso. L’applicazione del regolamento si estende a tutti i prodotti agricoli di cui all’allegato I del trattato, nonché ai seguenti prodotti alimentari: Birra; cioccolata e altre preparazioni alimentari contenenti cacao; prodotti della confetteria, della panetteria, della pasticceria o della biscotteria; paste alimentari anche cotte o farcite; piatti precotti; salse per condimento preparate; minestre o brodi; bevande a base di estratti di piante; gelati e sorbetti.

Con la concessione della STG, denominazione peraltro introdotta proprio dal reg. 509 che ha disposto la sostituzione della precedente espressione “attestazione di specificità” con quella più facilmente comprensibile di “specialità tradizionale garantita”, la Comunità attesta che un prodotto possiede un insieme di caratteristiche specifiche conseguenti al rispetto delle regole di produzione stabilite. La specificità, peraltro, può anche collegarsi alle tradizioni di una determinata area geografica, ma l’elemento qualificante deve essere la procedura stabilita nel disciplinare relativamente alle modalità di produzione. In base all’art. 4, comma 1, infatti, il prodotto deve “essere ottenuto utilizzando materie prime tradizionali oppure essere caratterizzato da una componente tradizionale o aver subito un metodo di produzione  e/o di trasformazione che rispecchia un tipo tradizionale di produzione e/o di trasformazione”.

In proposito è significativo che per definire la sostanza delle attestazioni di specificità si sia utilizzata la espressione di “ricette tradizionali”, peraltro utile anche per evidenziare come dal campo di applicazione del reg. n. 509 vengano a trovarsi esclusi i prodotti semplici come gli ortofrutticoli.

Il riconoscimento di una STG, proprio perché prescinde dalla esistenza di un legame geografico fra prodotto e territorio, diviene patrimonio dell’intera collettività, comunitaria e non, e chiunque, ovunque ubicato, produca quello specifico alimento nel rispetto delle regole stabilite con il disciplinare, può fregiarsi della relativa denominazione accompagnata dal logo “specialità tradizionale garantita”. Il prodotto è pertanto tutelato in quanto risultato di una consolidata tradizione che ne assicura caratteri distintivi, senza che sia richiesto alcun legame con l’area dove sia eventualmente stata elaborata quella modalità di produzione. Successivamente alla registrazione, ed alla sua pubblicazione nella gazzetta comunitaria, il nome non può più essere utilizzato per quei prodotti che non rispondano al disciplinare e tutti gli Stati membri sono tenuti a garantirne la protezione giuridica contro ogni utilizzazione abusiva o fallace, e contro le contraffazioni (art. 17).

Quanto alla denominazione della quale si chiede la registrazione (articolo 4, par. 2), il provvedimento comunitario, peraltro non chiarissimo, esige che essa sia di per sé specifica, oppure indichi la specificità del prodotto; la denominazione specifica deve essere tradizionale e conforme ad una normativa nazionale o essere consacrata dall’uso. L’articolo 4, par. 1 secondo comma vieta espressamente la registrazione di una STG le cui caratteristiche risiedano nella provenienza o nell’origine geografica; può tuttavia essere autorizzato l’uso di un termine geografico, purché non vengano infrante le disposizioni che disciplinano la proprietà intellettuale, in particolare le specifiche norme sulle indicazioni geografiche (cfr. reg. 510/2006) e sui marchi.

La protezione accordata dal regolamento riguarda l’intera area comunitaria.

 


Tutela dei prodotti tipici e di qualità

Etichettatura dei prodotti alimentari

L’articolo 3 del D.Lgs. n. 109/1992[332] reca l’elenco delle indicazioni che debbono essere riportate sui prodotti alimentari preconfezionati destinati al consumatore.

In conformità a quanto disposto nell’art. 3 della direttiva 2000/13/CE, la norma citata stabilisce l’obbligo di presentare nella etichetta soltanto talune indicazioni, che sono ritenute fondamentali: denominazione di vendita, elenco degli ingredienti (per alcuni specificando anche la quantità), quantità netta, termine minimo di conservazione e condizioni particolari di conservazione e di utilizzazione, nome, ragione sociale o marchio e sede del fabbricante, sede dello stabilimento, titolo alcolometrico volumico effettivo per le bevande alcoliche (a contenuto alcolico maggiore di 1,2% in volume), lotto di appartenenza, modalità di conservazione, istruzioni per l'uso (ove necessario).

Per quanto attiene l'indicazione del luogo d'origine o di provenienza, la scelta del legislatore comunitario è che questa possa essere resa obbligatoria solo nella ipotesi che l'omissione della indicazione stessa possa indurre in errore il consumatore circa l'origine o la provenienza effettiva del prodotto alimentare.

Da un lato, quindi, l’art. 2 del D.Lgs. n. 109/1992 fa divieto di inserire in etichetta elementi suscettibili di indurre in errore l’acquirente, tra l’altro, sull’origine e la provenienza del prodotto alimentare; dall’altro, appunto il successivo articolo 3 obbliga, in positivo, alla indicazione del luogo di origine o di provenienza “nel caso in cui l’omissione possa indurre in errore l’acquirente circa l’origine o la provenienza del prodotto”.

Occorre peraltro ricordare anche che l’articolo 4 della direttiva 2000/13/CE prevede che soltanto riguardo a determinati prodotti alimentari, e non in generale per tutti indistintamente i prodotti alimentari, possano essere rese obbligatorie, con norme comunitarie o in mancanza di queste in forza di una norma nazionale adottato dal singolo Stato membro, indicazioni aggiuntive diverse da quelle previste dall'art. 3 della direttiva medesima.

Nel caso tale obbligo discenda da una norma nazionale, lo Stato membro interessato deve attivare la procedura informativa prevista dall’articolo 19 della direttiva citata, cioè deve comunicare alla Commissione e agli altri Stati membri le misure adottate, precisandone i motivi. La Commissione consulta gli Stati membri in sede di comitato permanente per la catena alimentare e la salute degli animali, istituito dal regolamento (CE) n. 178/2002, qualora lo ritenga utile o a richiesta di uno Stato membro. Lo Stato membro può adottare le misure previste soltanto tre mesi dopo tale comunicazione e purché non abbia ricevuto parere contrario della Commissione.

 

Le disposizioni sinora approvate in merito all’indicazione dell'origine dei prodotti alimentari in base alle norme da ultimo citate riguardano talune categorie di prodotti, per le quali si veda infra.

L’articolo 1-bis del decreto legge n. 157/2004[333] ha introdotto invece l’obbligo generalizzato di indicare il luogo di origine della componente agricola incorporata in qualsiasi “prodotto alimentare”, trasformato e non trasformato, precisando che per luogo d’origine o provenienza debba intendersi:

-        per il prodotto alimentare non trasformato, il Paese d’origine ed eventualmente la zona di produzione del prodotto stesso;

-        per il prodotto alimentare trasformato, la zona di coltivazione o di allevamento della materia prima agricola utilizzata prevalentemente nel processo produttivo.

In merito alle norme sancite dal decreto legge n. 157/2004 sulla obbligatorietà di indicare la provenienza dei prodotti alimentari è peraltro intervenuta a chiarimento la circolare 1° dicembre 2004 del Ministero delle politiche agricole, che ha chiaramente posto in evidenza il potenziale contrasto di tali norme con la legislazione comunitaria.

Con la circolare è stato rilevato che il decreto legge “contiene molteplici principi e disposizioni che richiedono una corretta interpretazione”, ritenendosi non immediatamente operative le disposizioni sull’indicazione obbligatoria in etichetta dell’origine dei prodotti. Il legislatore avrebbe inteso esclusivamente “formalizzare nel contesto di un atto legislativo alcuni principi ispiratori della politica di settore, che dovranno tuttavia essere tradotti in disposizioni concretamente operative mediante successivi atti normativi”. Il ministero ha inoltre precisato che una volta esaminate le problematiche tecniche, con il concorso delle organizzazioni di categoria, i testi normativi risultanti sarebbero stati “previamente notificati” alla Commissione europea.

La questione circa l'estensione generalizzata dell'obbligo di indicare nell'etichettatura l'origine del prodotto risulta di estrema attualità.

Si sostiene, al riguardo, che la mancanza di informazioni precise sull'origine del prodotto non solo può indurre in errore il consumatore che credendo di consumare un bene italiano si è invece rivolto ad un prodotto che utilizza materie prime straniere, ma produce anche un danno per gli agricoltori, che vedono illegittimamente utilizzato il richiamo ad una zona di coltivazione ed allevamento di particolare pregio e che può godere di una reputazione internazionale.

Occorre tuttavia valutare se un'estensione generalizzata ed obbligatoria dell'indicazione d'origine nell'etichettatura dei prodotti alimentari non ponga l'Italia in condizioni di infrangere le norme comunitarie, poiché, come in precedenza illustrato, la direttiva 2000/13/CE sembra condizionare tale indicazione al caso in cui si possa generare confusione nel consumatore, e sembra riferirsi solo all'etichetta del prodotto alimentare finito. Infine, va rilevato che l'ordinamento comunitario, se pure sta riconoscendo negli ultimi tempi l'importanza di tali problematiche, ammettendo, come detto, la necessità di un'etichettatura dettagliata per il consumatore, resta fermamente ancorato al principio della libera circolazione delle merci ed al divieto di ogni misura che possa comportare una limitazione alla libertà di concorrenza.

In ragione di ciò, l’origine dei prodotti del settore primario trova a tutt’oggi fondamentalmente una tutela nei regolamenti comunitari 509/2006 e 510/2006, che proteggono esclusivamente prodotti di particolare pregio attraverso il riconoscimento dei marchi DOP, IGT e IGP. La Comunità europea si è, invece, mostrata costantemente contraria alla tutela di indicazioni riguardanti genericamente una origine nazionale, ritenendola, da un lato, troppo generica per rientrare nelle fattispecie regolate dai reg. CE 2081 e 2082, e dall'altro, capace di generare una distorsione nella libertà ed eguaglianza degli scambi comunitari, e compromettendo la possibilità che deve essere assicurata a ciascuna impresa europea di entrare in un mercato comune senza subire discriminazioni di sorta derivanti delle singole normative nazionali.

 

Le disposizioni sinora approvate circa l’indicazione dell'origine in etichetta riguardano le seguenti categorie di prodotti alimentari:

-    carni bovine

Il 17 luglio 2000 è stato approvato il reg. CE n. 1760/2000 che, fra l'altro, ha obbligato tutti i venditori al dettaglio di carni bovine ad apporre sull'etichetta l’indicazione della provenienza delle carni poste in vendita. Il provvedimento è stato approvato in connessione con la grave crisi che aveva colpito il comparto a seguito dei casi di BSE, ed ha più in generale meglio definito anche il sistema di identificazione e registrazione dei capi. Consentendo di arricchire le informazioni fornite al consumatore con la indicazione facoltativa di ulteriori elementi, ha inteso rassicurare il mercato ponendo in condizione il consumatore di ricostruire l'intero percorso seguito dalle carni, dall'azienda di allevamento del capo alla tavola. Le norme di attuazione per l’Italia sono state definite con il DM del 30 agosto 2000, che dal 1° dicembre ha obbligato gli operatori a rendere pubblici i dati relativi al codice animale, al paese di macellazione e quello di sezionamento; l’obbligo di indicare anche il paese di nascita e quello di ingrasso è decorso invece dal 1° gennaio 2002. Tali informazioni vanno rese riportandole sull’etichetta, se trattasi di prodotti confezionati, oppure su cartelli esposti sul banco macelleria, per i prodotti venduti al dettaglio.

Le sanzioni per la mancata osservanza delle menzionate norme sono state definite con il D.lgs. n. 58/2004[334].

Per quanto riguarda le informazioni che gli operatori hanno “facoltà” di inserire in etichetta, il Ministero delle politiche agricole ha fornito con le circolare n. 5 del 15 ottobre 2001 e n. 1 del 9 aprile 2003 chiarimenti sulla predisposizione dei disciplinari di etichettatura volontaria delle carni bovine. A seguito dell’attività di monitoraggio espletata dal dicastero è stata da ultimo diramata la circolare 15 febbraio 2008, n. 1 che ha fornito “ulteriori chiarimenti”.

-           ortofrutta

Con il decreto legislativo 306/2002[335], entrato in vigore il 15 febbraio 2002, sono state definite le sanzioni per coloro che violano i regolamenti comunitari che disciplinano la commercializzazione dei prodotti ortofrutticoli stabilendo fra l’altro i requisiti che debbono essere posseduti dai prodotti. Quanto alla etichettatura di tali prodotti il riferimento è all'articolo 6 del regolamento 2200/1996/CEE, secondo il quale nella fase di vendita devono essere presentate in modo chiaro e leggibile per l’acquirente le seguenti indicazioni: identificazione del prodotto, natura e origine, varietà e caratteristiche commerciali.

-           prodotti ittici

I regolamenti (CE) nn. 104/2000 e 2065/2001 prevedono che i cartellini di vendita rechino le seguenti indicazioni: a) in primo luogo il metodo di produzione, ovvero se trattasi di prodotto pescato, oppure pescato in acque dolci, oppure allevato; b) quale sia la denominazione commerciale; c) il Paese o la zona di mare di cattura (Mar Mediterraneo, Oceano Atlantico, Oceano Pacifico).

Con decreto del Ministero delle politiche agricole e forestali del 27 marzo 2002 è stata disciplinata in Italia l'etichettatura dei prodotti ittici ed è stato istituito un sistema di controllo. Istruzioni in merito sono state diffuse con la circolare 27 maggio 2002, n. 21329 del dicastero agricolo.

-           miele

Nel dicembre del 2001 è stata approvata la direttiva comunitaria 2001/110/CE che ha regolato la produzione e commercializzazione del miele. Per il prodotto in questione la scelta comunitaria è stata quella di rendere obbligatoria la indicazione del paese o dei paesi d'origine in cui il miele è stato raccolto allo scopo di evitare di indurre in errore il consumatore[336]. Le disposizioni nazionali di recepimento sono state approvate con il D.lgs. n. 179/2004[337] che sostanzialmente riproduceva con l’art. 3 il dispositivo comunitario. Tuttavia, in sede di conversione del D.L. n. 2/2006[338] il menzionato articolo 3 è stato rivisto abrogando le disposizioni che consentivano, per il miele originario di più Stati membri o più paesi terzi, l’utilizzo di una delle seguenti diciture previste dall’Unione europea:

- "miscela di mieli originari della CE",

- "miscela di mieli non originari della CE",

- "miscela di mieli originari e non originari della CE".

-           uova

La commercializzazione delle uova è stata disciplinata con il reg. n. 1907/90 che ne ha in particolare regolato la classificazione per categoria di qualità e peso, l'imballaggio, il magazzinaggio, il trasporto, la presentazione e la marcatura. Va segnalato poi il reg. n. 2052/2003 di modifica, che ha ricondotto la produzione degli oviprodotti entro due sole categorie, la A destinata ad essere commercializzata come uova da tavola e la B destinata all’industria. Nel dicembre del medesimo 2003 è stato approvato anche il reg. 2295/2003 che recando le disposizioni di applicazione ha introdotto rilevanti novità in tema di indicazioni da apporre sulle uova nonché sugli imballaggi. Tale ultimo provvedimento, che ha minuziosamente regolato il contenuto delle informazioni che debbono essere fornite al consumatore (durata minima, data d’imballaggio, data raccomandata di vendita, data di deposizione, indicazione dei metodi di allevamento e del tipo di alimentazione), ha anche consentito di indicare sulle uova di categoria A la regione d’origine (art. 15). Tale indicazione, che può essere fatta utilizzando sia diciture che simboli, va individuata in una circoscrizione amministrativa o in altra regione “definita dall’autorità” dello Stato membro. In attesa dell’adeguamento della legislazione nazionale il Dicastero agricolo è intervenuto in un primo momento con la circolare 19 gennaio 2004, n. 1[339], che ha recato le indicazioni per una corretta immissione sul mercato dell’oviprodotto, che doveva essere conforme alle nuove norme UE applicabili a decorrere dal 1° gennaio 2004. Le disposizioni nazionali di adeguamento sono ora contenute nel D.M. 4 marzo 2005 che rende facoltativa l’indicazione dell’origine delle uova prodotte.

-           carni di pollame

In conseguenza del diffondersi di un nuovo rischio epidemiologico concernente il settore delle carni avicole le autorità nazionali, con il D.M. 29 luglio 2004, hanno ritenuto necessario introdurre un sistema di etichettatura volontaria delle carni di pollame, in modo da garantire una comunicazione ottimale e la massima trasparenza nella commercializzazione mediante un sistema che presuppone la possibilità di risalire al gruppo di animali di origine. Il sistema si basa sulla predisposizione di un disciplinare per l’etichettatura volontaria da parte delle organizzazioni interessate, disciplinare che deve essere sottoposto all’approvazione del dicastero agricolo. Gli operatori aderenti debbono poi sottoporsi al sistema di controllo ed accertamenti che sono posti a carico di un organismo indipendente rispondente ai requisiti richiesti dalle disposizioni comunitarie sull’accreditamento di tali soggetti.

Un sistema provvisorio di etichettatura obbligatoria con indicazione del paese d’origine è stato disposto in connessione della crisi conseguente alla diffusione dell’influenza aviaria, con l’ordinanza del Ministero della salute 26 agosto 2005 “Misure di polizia veterinaria in materia di malattie infettive e diffusive dei volatili da cortile”. Venendo a scadere tali obblighi il 31 dicembre 2007, l’ordinanza del 21 dicembre 2007 ha prorogato l’obbligo di indicazione della provenienza delle carni e dei prodotti derivati a tutto il 2008.

-           olio d’oliva

L’articolo 1-ter del decreto legge n. 157/2004[340] ha disposto che in etichetta si debbano indicare il luogo di “coltivazione e molitura” delle olive dalle quali gli oli sono estratti, ma esclusivamente per le due categorie degli “oli di oliva vergini” ed “extravergini”. Le modalità ed i requisiti per l'indicazione obbligatoria della dicitura saranno definiti con un decreto del Ministro delle attività produttive e del Ministro delle politiche agricole e forestali.

In merito alla possibile indicazione dell’origine dell’olio d’oliva l’Italia è intervenuta fin dal 1998 con la legge 313/1998[341] con la quale, per le categorie merceologiche dell’olio extra vergine d’oliva, olio d’oliva vergine e olio d’oliva, si è stabilito il divieto di vendita con le diciture “prodotto in Italia” o “fabbricato in Italia” a meno che “l’intero ciclo di raccolta, produzione, lavorazione e condizionamento non si sia svolto in territorio nazionale”.

Il regime introdotto con la menzionata legge è stato al centro di una complessa controversia con la Comunità che merita di essere riassunta. L’Unione europea ha interpretato il contenuto delle disposizioni sull’indicazione di provenienza come “regole tecniche” di commercializzazione di prodotti, soggette pertanto all’obbligo di informazione preventiva alla Commissione sulla base della dir. 83/139. Pertanto, già nel corso dell’approvazione della legge n. 313/1998 dalla U.E. era pervenuta una nota nella quale si ipotizzava l’avvio di una procedura di infrazione. A seguito dell’approvazione delle legge, la Commissione ha effettivamente avviata tale procedura in data 30 settembre 1998, incentrando i motivi del ricorso sul metodo seguito per l’approvazione del provvedimento e non tanto sul contenuto dello stesso, sul quale si è riservata di intervenire in seguito.

L’evolversi delle esigenze dei consumatori orientati verso prodotti di particolare qualità, e la connessa necessità sempre più diffusa di essere sufficientemente e correttamente informati sulle caratteristiche possedute dal prodotto acquistato, hanno indotto la Comunità a rivedere le proprie norme, fino a pervenire all’approvazione del reg. 1019/2002[342]. In detto provvedimento si riconosce che, oltre alle denominazioni obbligatorie previste per le diverse categorie di oli d'oliva dall'articolo 35 del regolamento n. 136/66/CEE, è necessario informare il consumatore sulla tipologia degli oli offertigli, in particolare per quanto attiene le categorie dei “vergini”, in ragione della variabilità di qualità e prezzo che le contraddistingue. Pertanto, pur riconoscendosi che un regime obbligatorio di designazione dell'origine per queste categorie di oli d'oliva costituisce l'obiettivo da realizzare, tuttavia, in mancanza di un sistema di tracciabilità e di controlli su tutti i quantitativi di olio in circolazione, si afferma che è necessario procrastinarne l’adozione, mettendo invece in atto un regime facoltativo di designazione dell'origine.

Con l’articolo 4 del menzionato regolamento comunitario viene pertanto attualmente consentita la  indicazione dell’origine per i soli oli vergine ed extra vergine, precisandosi poi, con il par. 5, che detta designazione corrisponde alla “zona geografica nella quale le olive sono state raccolte e in cui è situato il frantoio nel quale è stato estratto l'olio”.

Qualora le olive siano state raccolte in uno Stato membro o un paese terzo diverso da quello in cui è situato il frantoio nel quale è stato estratto l'olio, la designazione dell'origine comporta la dicitura seguente: "Olio (extra) vergine di oliva ottenuto in (designazione della Comunità o dello Stato membro o Paese di molitura) da olive raccolte in (designazione della Comunità, dello Stato membro o del paese interessato)".

Le disposizioni nazionali sull’etichettatura d’origine sono state approvate con il DM il 9 ottobre 2007[343], che per gli oli d’oliva vergini ed extravergini impone siano obbligatoriamente indicati sia lo Stato membro o Paese terzo nel quale sono state raccolte – o coltivate - le olive, sia Stato membro o Paese terzo dove sia situato il frantoio di molitura nella ipotesi che le due operazioni si siano svolte in luoghi diversi. Nel caso poi che la coltivazione delle olive, o estrazione dell’olio, si siano svolte in più Stati, questi debbono essere tutti  elencati in etichetta. L’indicazione a livello regionale della zona geografica di coltivazione o molitura è riservata ai soli prodotti a denominazione protetta.

-           latte fresco

L’articolo 1 comma 4 del decreto legge n. 157/2004 ha demandato ad un decreto ministeriale la definizione delle modalità e dei requisiti affinché obbligatoriamente compaia in etichetta una dicitura che indichi il luogo di origine e provenienza dei seguenti prodotti: “latte fresco pastorizzato” e “latte fresco pastorizzato di alta qualità”, con ciò escludendo da tale obbligo il latte che venga commercializzato con ogni altra denominazione. In merito all’adozione di tale decreto ministeriale viene invocato ilcomma 5-bis dell'art. 3 del D.Lgs. n. 109 del 1992, che peraltro riproduce nella sostanza l’articolo 3 della direttiva 2000/13/CE; tali disposizioni prevedono in linea generale che i due dicasteri dell’agricoltura e delle attività produttive possano definire le modalità per la indicazione del luogo di origine o provenienza dei prodotti preconfezionati destinati al consumatore, nel caso in cui l'omissione di tali informazioni possa “indurre in errore” l'acquirente circa l'origine o la provenienza del prodotto.

-           passata di pomodoro

Ancora l’articolo 1 comma 4 del decreto legge n. 157/004 ha demandato ad un decreto ministeriale, con le medesime modalità di cui sopra, la definizione delle modalità e dei requisiti perché nelle etichette compaia la indicazione del luogo di origine e provenienza del prodotto “passata di pomodoro”, che il comma 3 del medesimo art. 4 definisce “prodotto ottenuto dalla spremitura diretta del pomodoro fresco” onde evitare che con tale definizione sia posto in vendita il prodotto ottenuto per diluizione del concentrato di pomodoro.

Il D.M. 17 febbraio 2006[344] impone che sia indicata in etichetta la zona di coltivazione del pomodoro fresco utilizzato per la produzione della passata di pomodoro.

 


Sicurezza alimentare

Le strutture per la sicurezza alimentare

Gli organismi preposti al controllo ufficiale di alimenti e bevande in Italia sono numerosi ed operano sia a livello centrale, che regionale o territoriale, verificando le condizioni igieniche -di produzione, lavorazione, conservazione-, la composizione, i processi tecnologici produttivi, nonché l’etichettatura e presentazione.

Rispetto alle diverse amministrazioni che si occupano di gestione del rischio in materia di sicurezza alimentare svolge funzioni di consulenza tecnico-scientifica il Comitato nazionale per la sicurezza alimentare, ora trasformato in Agenzia nazionale per la sicurezza alimentare (v. il capitolo Sicurezza alimentare, pag. 41).

 

Il Comitato nazionale per la sicurezza alimentare è stato disciplinato dal Decreto in data 26 luglio 2007 del Ministro della salute, di concerto con il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali[345]. Dal comunicato del Consiglio dei ministri del 27 luglio 2007 risulta che il Consiglio, prendendo atto del predetto decreto interministeriale, ha stabilito che il Comitato[346] abbia come sede referente la città di Foggia.

Il Comitato è la struttura che attualmente si propone come interfaccia dell’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA), di cui al Regolamento (CE) n. 178/2002, ed è deputato a svolgere in particolare funzioni di consulenza tecnico-scientifica nei confronti delle amministrazioni che si occupano di gestione del rischio in materia di sicurezza alimentare.

Il Comitato (art. 2 del D.M. 26 luglio 2007) è composto da 18 membri, individuati tra esperti di comprovata esperienza scientifica ed elevata professionalità nelle materie attinenti la valutazione del rischi alimentare, ed in particolare nei seguenti settori:

§       additivi alimentari, gli aromatizzanti, i coadiuvanti tecnologici e i materiali a contatto con gli alimenti;

§       additivi e i prodotti o le sostanze usate nei mangimi;

§       salute dei vegetali, i prodotti fitosanitari e i loro residui;

§       organismi geneticamente modificati;

§       prodotti dietetici, l’alimentazione e le allergie;

§       pericoli biologici;

§       contaminanti nella catena alimentare;

§       salute e benessere degli animali.

I membri del Comitato e gli esperti di cui il Comitato stesso intenda avvalersi devono impegnarsi ad agire in modo indipendente da qualsiasi influenza esterna, rendendo apposita dichiarazione in merito all’assenza di ogni conflitto di interessi.

Strutture di controllo dei prodotti alimentari

Gli organi centrali e regionali delle amministrazioni competenti svolgono prevalentemente funzioni di indirizzo e di coordinamento, mentre l’effettivo controllo su produzione, commercializzazione e somministrazione dei prodotti è svolto prevalentemente a livello territoriale, comunale, dalle Aziende sanitarie.

Alle aziende peraltro si affiancano le seguenti ulteriori strutture operative del Servizio sanitario nazionale SSN: i presidi multizonali di prevenzione; i servizi veterinari e quelli fitosanitari; gli istituti zooprofilattici sperimentali.

I Presidi Multizonali di Prevenzione (PMP) o Servizi Multizonali di Prevenzione, eredi dei Laboratori d’igiene e profilassi e sorti sulla base dell’art. 22 della legge di riforma del SSN[347], hanno, nel tempo, svolto compiti sempre più diversificati (dal controllo dell'inquinamento delle acque, dell'aria e del terreno allo studio degli agenti fisici), mantenendo il controllo delle problematiche alimentari e, anzi, estendendo lo spettro di indagine alla ricerca di residui di prodotti fitosanitari negli alimenti di origine vegetale.

I Servizi Veterinari, che si collocano all'interno dei Dipartimenti di Prevenzione delle Aziende Sanitarie, svolgono le seguenti attività a tutela della salute pubblica:

§      Il controllo delle situazioni di rischio in materia di sanità animale, igiene dell'allevamento e delle produzioni animali (compresa la vigilanza sui mangimi, gli integratori per i mangimi e i farmaci ad uso veterinario, la profilassi delle malattie infettive), dell'igiene e della produzione e della commercializzazione degli alimenti di origine animale, della tutela degli animali di affezione e della tutela dal randagismo;

§      la segnalazione delle relative situazioni di rischio per la salute pubblica e l'indicazione dei provvedimenti e dei comportamenti atti a rimuovere il pericolo;

§      l’irrogazione delle sanzioni nelle situazioni non conformi alla normativa vigente.

 

I Servizio fitosanitari regionale (ex Osservatori per le malattie delle piante) sono le strutture attraverso il quale gli Assessorati all’agricoltura provvedono alla certificazione, ai controlli fitosanitari, allo studio e alla sperimentazione di tecniche di difesa delle piante.

 

Gli Istituti Zooprofilattici Sperimentali (II.ZZ.SS.), articolati in 10 sedi centrali e 90 sezioni diagnostiche periferiche, sono enti sanitari di diritto pubblico dotati di autonomia gestionale ed amministrativa ma coordinati dal dicastero della sanità che definisce con linee guida il loro programma di attività. Sono lo strumento tecnico ed operativo del SSN, in particolare del Servizio Veterinario, . Il loro campo d’azione riguarda: la sanità animale, il controllo di salubrità e qualità degli alimenti di origine animale, l'igiene degli allevamenti ed il corretto rapporto con gli insediamenti umani.

 

Al Ministero della salute è attribuita la competenza in materia di tutela della salute dei consumatori, della sanità e del benessere degli animali, con funzioni prevalentemente di programmazione, d’indirizzo e di coordinamento. Il dicastero opera in primo luogo con i propri uffici a livello centrale, che sono ora, a seguito dello sdoppiamento della struttura originaria, le due direzioni generali della sanità animale e del farmaco veterinario, e della sicurezza degli alimenti e della nutrizione, entrambe incardinate nel “Dipartimento per la sanità pubblica veterinaria, la nutrizione e la sicurezza degli alimenti”, uno dei quattro dipartimenti nei quali si articola il Ministero della salute, riorganizzato dal D.M. del 12 settembre 2003, da ultimo modificato nel 2006. Peraltro presso il medesimo dipartimento è ora stato istituito anche il Segretariato nazionale della valutazione del rischio della catena alimentare che gestisce anche la “Segreteria del Comitato nazionale per la sicurezza alimentare” con compiti di coordinamento  con l'EFSA.

Il Ministero della salute opera a livello territoriale con i propri Uffici di Sanità Marittima, Aerea e di Frontiera (USMAF), strutture alle sue dirette dipendenze, dislocate omogeneamente sul territorio nazionale con compiti di tutela sanitaria transfrontaliera. I 12 USMAF e le loro 35 Unità Territoriali (UT) sono presenti in corrispondenza dei maggiori porti ed aeroporti nazionali non solo con il compito di contenere il rischio di importazione di malattie infettive e diffusive legato ai movimenti internazionali di persone e mezzi di trasporto, ma anche di mettere in atto controlli di tipo sanitario su alimenti di origine vegetale, materiali destinati a venire a contatto con alimenti, farmaci, cosmetici e in generale su merci destinate al consumo umano che possano rappresentare, anche solo potenzialmente, un rischio per la salute e la sicurezza delle persone.

Sono inoltre posti alle dipendenze funzionali del Ministero i Nuclei Antisofisticazioni e Sanità (N.A.S.) dei Carabinieri che, istituiti nel 1962 per far fronte al fenomeno delle sofisticazioni alimentari, hanno visto crescere la propria consistenza ed hanno mutato la propria denominazione in quella di “Comando Carabinieri per la Tutela della Salute”.

Al Ministero fa capo, inoltre, l’Istituto superiore di sanità organo di consulenza tecnica del dicastero, con compiti anche di controllo sui prodotti destinati all'alimentazione

 

Il Ministero per le politiche agricole, alimentari e forestali è preposto alla tutela economica dei prodotti agroalimentari ed opera con controlli di tipo merceologico, in primo luogo attraverso l’Ispettorato centrale repressione frodi (ICRF), che costituisce la terza struttura dipartimentale del dicastero, al quale compete anche l’irrogazione delle sanzioni amministrative.

L’Ispettorato Centrale repressione frodi (ICRF), che ha cambiato la propria denominazione in “Ispettorato centrale per il controllo della qualità dei prodotti agroalimentari (L. n. 296/06, Finanziaria 2007, art. 1 comma 1047), è stato istituito con l’art. 10 del decreto-legge 18 giugno 1986 n. 282[348], e si qualifica come l’organo tecnico dello Stato, preposto alla prevenzione e repressione delle infrazioni nella preparazione e nel commercio dei prodotti agroalimentari e delle sostanze di uso agrario e forestale.

L’Ispettorato opera anche in concorso con altri organi di controllo che agiscono sul territorio nazionale, quali il Comando Carabinieri per la Sanità (NAS), i Nuclei di polizia tributaria della Guardia di Finanza, il Corpo Forestale dello Stato, la Polizia di Stato e l'Arma dei Carabinieri, il Comando Carabinieri Politiche Agricole (art. 6 della legge 7 agosto 1986 n. 462).

Nella sua attività di controllo, che comporta lo svolgimento di funzioni di polizia giudiziaria, l’Ispettorato svolge verifiche e accertamenti diretti a salvaguardare laqualità merceologica e la genuinità delle produzioni, diretti ai seguenti specifici profili:

-       tutelare i consumatori per i differenti aspetti connessi alla sicurezza alimentare;

-       salvaguardare i produttori e il mercato, con particolare riferimento alle produzioni tipiche e di qualità, contrastando tutti quei comportamenti che danno origine a fenomeni di concorrenza sleale;

-       predisporre programmi straordinari di controllo sia volti a contrastare fenomeni fraudolenti che generano situazioni di concorrenza sleale fra gli operatori colpiti da crisi di mercato, sia destinati ad affiancare l’attività di controllo sui prodotti ortofrutticoli assegnata all’Agecontrol[349];

-       svolgere un’azione di vigilanza sulle produzioni di qualità, anche in collaborazione con i Consorzi di tutela autorizzati;

-       vigilare sugli organismi, tanto pubblici che privati, che espletano attività di controllo sulle produzioni agroalimentari di qualità registrata, ovvero sui prodotti cui è stata riconosciuta la qualifica di Denominazione d’Origine Protetta (DOP), Indicazione Geografica Protetta (IGP) e Specialità Tradizionale Garantita (STG). Peraltro è proprio in funzione dell’assegnazione di tali nuovi compiti, che gli sono stati attribuiti dal menzionato comma 1047 della legge finanziaria 2007, che l’Ispettorato ha mutato la propria denominazione.

 

Anche alle dipendenze del dicastero agricolo opera un Comando di carabinieri, ex Nucleo antifrodi istituito nel 1994, che con il DPR n. 18/2008 di ristrutturazione del ministero (v. scheda La riorganizzazione del MIPAAF, pag. 107) ha assunto la denominazione di Comando Carabinieri Politiche Agricole e Alimentari. La struttura concorre, coordinandosi con l'Ispettorato centrale per il controllo della qualità dei prodotti agroalimentari, nell'attività di prevenzione e repressione delle frodi nel settore agroalimentare, ed ha, nello svolgimento dei propri compiti ispettivi, la possibilità di accedere nei locali oggetto di accertamenti. Il Reparto specializzato dell'Arma è fondamentalmente votato al contrasto della "criminalità in agricoltura".

 

L'Agecontrol è l'agenzia istituita nel 1986 allo scopo di svolgere sul territorio italiano i controlli sugli aiuti alla produzione e al consumo dell'olio di oliva erogati dalla Comunità

Le nuove competenze sono state introdotte dal decreto-legge 22/2005 in forma di novella al decreto legislativo 29 marzo 2004 n. 99 che (nuovo comma 1-bis dell’articolo 18) assegna all’Agenzia il compito di realizzare i controlli di qualità sui prodotti ortofrutticoli, sia per l'esportazione che per il mercato interno, avvalendosi peraltro dei controlli che sono istituzionalmente affidati all’ICRF, ed in coordinamento con lo stesso.

 

Al Ministero dello sviluppo economico, oggetto di riorganizzazione ad opera del DPR n. 225/2007[350], che estende la propria competenza alle produzioni industriali del settore alimentare, spetta (art. 4 co. 1) la vigilanza ed il controllo dell’Istituto nazionale per le conserve alimentari (INCA), ente di diritto pubblico non economico, cui è assegnato come principale compito istituzionale la vigilanza, in tutto il territorio nazionale, sugli stabilimenti di produzione di conserve alimentari, sia di origine vegetale che animale, per accertare la corretta applicazione delle norme che ne disciplinano la fabbricazione.

Il Ministero ha inoltre un potere di vigilanza sulla sicurezza, qualità ed etichettatura dei prodotti agroalimentari, residuale rispetto a quanto ricade nelle competenze specifiche del dicastero agricolo, e che può esercitare solo in coordinamento con lo stesso (art. 10, co. 1 lett. a).

 

Il Ministero delle finanze è preposto alla prevenzione e repressione delle frodi fiscali relative ai prodotti alimentari, ed opera attraverso la Direzione generale delle dogane ed attraverso la Guardia di finanza.

 


Le agroenergie

Il sostegno alla filiera agroenergetica

Il sostegno alla filiera agroenergetica è stato uno dei punti qualificanti degli interventi legislativi della XV legislatura, durante la quale più volte il Parlamento è  intervenuto con norme incentivanti la produzione e l’uso di biocombustibili, proseguendo lungo una direttrice peraltro già avviata nella precedente legislatura.

Quote di biocarburanti da immettere al consumo

Il decreto legislativo n. 128/2005[351], per la prima volta stabilisce esplicitamente che una percentuale prefissata di tutto il carburante (gasolio e benzina) impiegato per i trasporti debba essere sostituita con biocarburanti ed altri carburanti rinnovabili, al fine di contribuire al raggiungimento degli obiettivi nazionali in materia di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra e di sicurezza dell'approvvigionamento di fonti di energia rispettando l'ambiente.

I prodotti di sostituzione sono i seguenti:

-       biocarburante, ovvero carburante liquido o gassoso ricavato da biomassa, da intendersi come parte biodegradabile di derivazione agricola o delle connesse industrie, ma anche proveniente dai rifiuti industriali e urbani;

-       altri carburanti rinnovabili, ovvero le fonti energetiche rinnovabili non fossili, che ai sensi dell’art. 2 del D.lgs. n. 387/2003[352] sono le seguenti: eolica, solare, geotermica, del moto ondoso, maremotrice, idraulica, biomasse, gas di discarica, gas residuati dai processi di depurazione e biogas.

Peraltro gli obiettivi indicativi nazionali, fissati in sede comunitaria con la direttiva 2003/30/CE, cui il decreto legislativo n. 128 del 2005 intendeva dare attuazione, erano più elevati di quelli fissati con il medesimo decreto, il che ha dato luogo all’apertura di una serie di procedure d’infrazione contro l’Italia da parte della Commissione europea, che hanno condotto alla revisione della norma.

L’art. 1, comma 367, della legge finanziaria 2007[353], di modifica dell'articolo 3 del D.lgs. n. 128/05, ha così rideterminato gli obiettivi che, si ricorda, vengono calcolati sulla base del tenore energetico ed espressi come percentuale del totale del carburante diesel e di benzina nei trasporti immessi al consumo nel mercato nazionale:

a)   entro il 31 dicembre 2005: 1 per cento;

b)   entro il 31 dicembre 2008: 2,5 per cento;

c)   entro il 31 dicembre 2010: 5,75 per cento».

 

Il decreto legge n. 2/2006[354] (art. 2-quater), approvato al termine della XIV legislatura, già conteneva norme volte a promuovere la produzione ed il consumo di biomasse e biocarburanti di origine agricola imponendo, fra le altre misure, ai petrolieri l’obbligo di commercializzare una quota minima di prodotto derivante da biocombustibili proveniente daIntese di filiera o contratti quadro[355](v. pag.155).

Dalla completa riscrittura della menzionata norma (fatta dal comma 368 della legge n. 296/06Finanziaria 2007”) deriva l’obbligo,a decorrere dal 1o gennaio 2007, per i soggetti che immettono in consumo benzina o gasolio per autotrazione prodotti a partire da fonti primarie non rinnovabili, di immettere in consumo, nell'anno successivo, una quota minima dei seguenti biocarburanti: biodiesel, bioetanolo e derivati, ETBE e bioidrogeno. Tale quota è fissata nell’1% per il 2007, ma è elevata al 2% a decorrere dal 2008 (comma 2 dell’art. 2-quater del decreto legge); la nuova redazione della norma ha anche previsto l’introduzione di sanzioni pecuniarie, per il mancato adempimento dell’obbligo, che dovranno essere definite con un decreto interministeriale (da adottare entro tre mesi dalla entrata in vigore della legge finanziaria).

Ancora con decreto interministeriale, da adottare nello stesso termine di tre mesi, debbono essere fissati i criteri, condizioni e modalità per l'attuazione dell’obbligo, secondo obiettivi di sviluppo di filiere agroenergetiche ed in base a criteri che in via prioritaria tengano conto della quantità di prodotto proveniente da intese di filiera, da contratti quadro o da contratti ad essi equiparati (comma 3 dell’art. 2-quater). Per assolvere all’obbligo di immissione in consumo dei biocarburanti, è tuttavia consentito l’acquisto, in tutto o in parte, dell'equivalente quota di immissione o dei relativi diritti da altri soggetti (comma 1 dell’art. 2-quater).

Di rilievo è anche il comma 8 dell’articolo 2-quater, che impone agli operatori della filiera di produzione e distribuzione dei biocarburanti di origine agricola di garantire la tracciabilità e la rintracciabilità della filiera, realizzando un sistema di identificazione e registrazione di tutte le informazioni necessarie, riservando una cura particolare per i dati relativi alle materie agricole o da esse derivate.

Sull’obbligo di commercializzare biocarburanti è infine intervenuta anche la legge finanziaria 2008[356]con l’art.2, comma 139, che ha elevato la quota minima di biocarburanti da immettere al consumo nel 2009, stabilendo che sia del 3% di tutto il carburante (benzina e gasolio) immesso al consumo nell’anno solare precedente, restando pertanto invariata la quota del 2% fissata  per il 2008 (dall’art. 2-quater del D.L. n. 2/2006). Ai sensi del successivo comma 140 per gli anni successivi al 2009 la quota minima del 3% potrà essere ulteriormente incrementata con decreto interministeriale, allo scopo di conseguire gli “obiettivi indicativi nazionali” (previsti dalla normativa comunitaria).

Promozione dell’utilizzo dei prodotti agricoli

I commi da 1117 a 1120 della legge n. 296/06 Finanziaria 2007 hanno  recato disposizioni in materia di fonti rinnovabili disponendo che i finanziamenti e gli incentivi pubblici di competenza statale destinati a promuovere l’utilizzo delle fonti rinnovabili per la produzione di energia elettrica vengano concessi esclusivamente se le fonti energetiche rinnovabili siano quelle definite dall’articolo 2 della direttiva 2001/77/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 settembre 2001, sulla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili (per le quali si veda supra,) che includono le biomasse.

Tuttavia, il Ministro dello sviluppo economico provvede con propri decreti  a definire le condizioni e le modalità per l’eventuale riconoscimento in deroga del diritto agli incentivi a specifici impianti già autorizzati all’entrata in vigore della legge e non ancora in esercizio, non rientranti nella tipologia prescritta, nonché a ridefinire l’entità e la durata dei sostegni alle fonti energetiche non rinnovabili assimilate alle fonti energetiche rinnovabili utilizzate da impianti già realizzati ed operativi alla data di entrata in vigore della legge.

Il comma 1117, faceva inoltre salvi i finanziamenti e gli incentivi concessi, ai sensi della previgente normativa, ai soli impianti già autorizzati e di cui fosse stata avviata concretamente la realizzazione anteriormente all’entrata in vigore della legge. L’art. 2, comma 136 della legge n. 244/07 Finanziaria 2008 ha stabilito che tali benefici possono essere riconosciuti ai soli impianti realizzati ed operativi, risultandone dunque esclusi gli impianti solo autorizzati, in costruzione o “in collaudo”.

 

Ancora un intervento di sostegno del comparto primario destinato ad essere parte della filiera agroenergetica è stato disposto con il comma 4-bis dell’art. 26 del D.L. n. 159/07[357]che ha sostituito l’articolo 1, comma 382, della legge n.296/2007 (legge finanziaria per il 2007), introducendo una nuova disciplina di incentivazione alla produzione di energia elettrica con l’utilizzo di fonti rinnovabili di origine agricola, zootecnica e forestale[358].

I nuovi commi 382-382-septies della legge n. 296 hanno riservato il nuovo sistema di incentivazione, individuato nel rilascio di certificati verdi, ai soli impianti che utilizzano materie prime ottenute nell’ambito di intese di filiera o contratti quadro (come definiti dagli articoli 9 e 10 del d.lgs. n. 102/2005[359]).

L’incentivo è anche riconosciuto per chi utilizzi i prodotti agricoli ottenuti entro un raggio di 70 km., ovvero provenienti da filiere corte.

Qualora l’impianto di produzione utilizzi fonti energetiche miste, l’incentivo è comunque riconosciuto per la quota energetica prodotta a partire dalle fonti sopra menzionate. L’autorizzazione a produrre l’energia elettrica deve essere successiva al 31 dicembre 2007.

Relativamente alle modalità di incentivazione all’uso delle materie prime, per i soli impianti di potenza elettrica superiore a 1MW, si prevede il rilascio di certificati verdi, per un periodo di 15 anni; gli impianti di potenza elettrica non superiore a 1MW possono invece optare, in alternativa al rilascio di certificati verdi, su richiesta del produttore, per una tariffa fissa pari a 0,30 euro per ogni KWh, per un periodo di 15 anni (tariffa variabile ogni 3 anni con decreto interministeriale, in ogni caso assicurando l’effetto incentivante).

Un decreto interministeriale, da adottare entro il 30 maggio 2008, avrebbe dovuto definire le modalità con le quali gli operatori della filiera di produzione e distribuzione di biomasse e biogas derivanti da prodotti agricoli (ma anche di allevamento o forestali) devono garantire la tracciabilità e la rintracciabilità della filiera.

I certificati verdi costituiscono lo strumento di incentivazionedell’elettricità prodotta da fonti rinnovabili, definito dall’art. 11 del il decreto legislativo n. 79 del 16 marzo 1999[360]. Tale decreto legislativo, con il quale è stato previsto il superamento del vecchio criterio di incentivazione tariffaria noto come Cip6, ha recepito la direttiva 96/92/CE sul mercato interno dell’energia elettrica, ed è stato perfezionato con i successivi decreti ministeriali 11 novembre 1999 e 18 marzo 2002. Il nuovo criterio adottato per l’incentivazione delle fonti rinnovabili consiste nell’obbligo, a carico dei produttori ed importatori di energia elettrica prodotta da fonti non rinnovabili, di immettere nella rete elettrica, a decorrere dal 2002, una quota minima di elettricità prodotta da impianti alimentati a fonti rinnovabili entrati in esercizio dopo il primo aprile 1999. Come detto tale quota, inizialmente fissata nel 2%, è incrementata annualmente dello 0,35%, per gli anni dal 2004 al 2006. L’elettricità prodotta da fonti rinnovabili viene immessa in rete, godendo – ai sensi dell’articolo 13 del decreto legislativo n.387/2003 - della precedenza nel dispacciamento. In aggiunta, il GRTN rilascia al produttore, su richiesta e previo riconoscimento all’impianto della qualifica di impianto alimentato da fonti rinnovabili (qualifica IAFR), i certificati verdi (CV), titoli comprovanti la produzionedi elettricità da fonti rinnovabili, che costituiscono lo strumento con il quale i soggetti sottoposti all’obbligo della quota minima devono dimostrare di avervi adempiuto. Per i soggetti che non rispettano l’obbligo, la cui verifica è affidata al GRTN, il decreto ministeriale 11 novembre 1999 stabilisce sanzioni consistenti nella limitazione dell’accesso al mercato complessivo dell’energia elettrica. I certificati verdi sono commerciabili in un mercato parallelo svincolato da quello dell’elettricità, attraverso la piattaforma di negoziazione (borsa dei CV) organizzata presso la società Gestore del Mercato (GME), oppure mediante contratti bilaterali. L’avvio della borsa dei certificati verdi è stato sancito dal decreto ministeriale 14 marzo 2003. Nel mercato dei certificati verdi la domanda è formulata dai produttori ed importatori soggetti all’obbligo della quota minima; mentre l'offertaè rappresentata dai Certificati Verdi emessi a favore di impianti privati che hanno ottenuto la qualificazione IAFR dal Gestore della rete, così come dai Certificati Verdi che il GRTN stesso emette a proprio favore a fronte dell’energia prodotta dagli impianti Cip 6.

 

L’art. 2, commi 143-157 della legge n. 244 Finanziaria 2008, ha previsto una nuova disciplina degli incentivi alla produzione di energia elettrica mediante impianti alimentati da fonti rinnovabili, che si applica agli impianti entrati in esercizio in data successiva al 31 dicembre 2007, a seguito di nuova costruzione, rifacimento o potenziamento. In particolare il comma 144, concernente gli impianti di potenza nominale media annua superiore a 1MW[361], prevede unicamente il rilascio di certificati verdi, per un periodo di 15 anni, tenuto conto di quanto disposto dal comma 382, art.1 della finanziaria 2007 (L.296/06) Tale comma 382, come detto interamente novellato dal D.L. n. 159/07, nella versione ora in vigore prevede che il nuovo sistema di incentivazione sia diretto ai soli impianti che utilizzano materie prime ottenute nell’ambito di intese di filiera o contratti quadro o da filiere corte.

Incentivi fiscali

L’altra via seguita dal legislatore è stata quella delle agevolazioni fiscali per le quali sono intervenute, con particolare riferimento alle accise gravanti sui biocarburanti, le manovre finanziarie 2007 e 2008 (v. scheda Le accise, nel dossier relativo alla Commissione finanze).

 

Inoltre, già l’art. 1, comma 423 della legge finanziaria 2006[362] aveva ricondotto nell’ambito del reddito agrario, con il conseguente trattamento fiscale agevolato effettuato su base catastale, l’attività svolta dalle aziende agricole diretta alla produzione e alla cessione di energia elettrica mediante l’utilizzo di fonti rinnovabili agroforestali, qualificandola come attività connessa all’attività agricola (ai sensi dell'art. 2135, terzo comma, del codice civile)

L’art. 1, comma 369 della legge n. 296/06 Finanziaria 200”, ha novellato il menzionato comma 423 al fine di estendere i benefici in precedenza disposti. Il testo novellato dispone infatti che la produzione e la cessione di energia sia elettrica che calorica, ottenuta da fonti rinnovabili agroforestali o di origine fotovoltaica, nonché proveniente dall’utilizzo di carburanti vegetali o di prodotti chimici derivanti da prodotti agricoli provenienti prevalentemente dal fondo coltivato, costituiscono attività connesse, nei termini già definiti, se effettuate dagli imprenditori agricoli e si considerano produttive di reddito agrario[363].

 

La medesima legge finanziaria 2007 (art. 1, commi 380-381) ha concesso la esenzione dall’accisa per l’olio vegetale puro utilizzato a fini energetici nel settore agricolo entro l’importo massimo di 1 milione di euro per ogni anno a decorrere dall’anno 2007.

La condizione per fruire dell’agevolazione è che l’impiego dell’olio vegetale sia destinato ad autoconsumo da parte dell’impresa agricola singola o associata. Per la definizione di olio vegetale puro, occorre far riferimento all’allegato 1, lettera l), del decreto legislativo 30 maggio 2005, n. 128[364].

 


Le infrastrutture irrigue

Il piano irriguo nazionale

Al Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali spettano, sulla base dell’art. 2, co. 2 del D.lgs. 143/97[365], compiti di disciplina generale e di coordinamento nazionale in tema di grandi reti infrastrutturali di irrigazione di rilevanza nazionale.

La programmazione delle opere necessarie al funzionamento del sistema irriguo nazionale ha come riferimento le delibere del CIPE con le quali a conclusione di un complesso iter - che va dalla presentazione di progetti “cantierabili” all’acquisizione del parere delle regioni, di quelli dei due dicasteri dell’ambiente e dell’agricoltura, nonché di organi tecnici quali il magistrato delle acque – vengono approvati progetti immediatamente esecutivi. Il completamento, la sistemazione o revisione delle infrastrutture idriche vengono in tal modo inseriti in un contesto programmatico sia sotto il profilo di integrazione funzionale delle singole iniziative, sia sotto il profilo della utilizzazione delle risorse economiche, rese disponibili solitamente in sede di approvazione annuale della legge finanziaria.

L’approvazione dei primi cospicui finanziamenti risale al 2000, alla legge Finanziaria 2001[366], che con l’articolo 141 ha disposto stanziamenti a favore di specifici enti irrigui (comma 1) e per le opere nel restante territorio nazionale (comma 3), destinati al recupero delle risorse idriche disponibili in aree di crisi. Le opere devono essere dirette ad eliminare le perdite, ad incrementare l’efficienza distributiva, a risanare le gestioni, razionalizzare e completare le esistenti strutture di interconnessione.

Le risorse, che sono state assicurate con la finanziaria nella forma di limiti d’impegno a carico del bilancio dello Stato a fronte di mutui concessi dal sistema creditizio ai diversi enti irrigui, sono state attribuite al Ministero del tesoro per i soggetti finanziati dal primo comma, ed al dicastero agricolo per il restante territorio di cui al comma 3.

Va rammentato che successivamente è stata approvata la legge n. 443/2001[367], c.d. legge obiettivo, la quale ha previsto che tutte le infrastrutture pubbliche e private di preminente interesse nazionale, destinate alla modernizzazione e sviluppo del paese, compresi gli schemi irrigui, fossero individuate attraverso un programma. Il richiesto Programma delle opere strategiche (PIS) è stato approvato dal CIPE con la Deliberazione n. 121/201, nella quale tuttavia mancano le opere relative all’utilizzo irriguo delle acque essendo al momento il piano degli schemi irrigui ancora in fase di messa a punto.

Per consentire di giungere alla individuazione degli specifici interventi il medesimo Comitato ha successivamente approvato delle Linee guida per il programma nazionale per l’approvvigionamento idrico in agricoltura e per lo sviluppo dell’irrigazione (Deliberazione n. 41/2002) che, oltre a definire i compiti dei molteplici soggetti coinvolti, hanno indicato le seguenti priorità:

-       recupero dell’efficienza degli accumuli per l’approvvigionamento idrico;

-       completamento degli schemi irrigui;

-       sistemi di adduzione;

-       adeguamenti delle reti di distribuzione;

-       siatemi di controllo e di misura;

-       utilizzo delle acque reflue depurate.

Il piano di utilizzo delle risorse ed il riparto fra gli interventi ammessi, che comunque rientrano nel PIS, è stato infine approvato con la Del CIPE n. 133/2002, che ha peraltro utilizzato anche gli incrementi di spesa disposti dal D.L. n. 138/2002[368], art. 13, comma 4-nonies, che ha innalzato i precedenti limiti d’impegno di cui alla legge n. 388/2000.

Va anche aggiunto che gli enti irrigui di cui al co. 1 dell’art. 141 della legge 388 hanno a loro volta beneficiato della autorizzazione per un nuovo limite d’impegno disposta con la legge Finanziaria 2003[369](art. 80, co. 45).

 

La Finanziaria 2004[370], legge n. 350/2003, è ancora una volta intervenuta a sostegno del settore irriguo (art. 4, co. 31-34), nel contempo inserendolo nell’ambito di una più ampia programmazione di tutti gli interventi attinenti il settore idrico, ovvero nel Programma nazionale degli interventi nel settore idrico (art. 4, co. 35-37).

Le norme hanno pertanto autorizzato due nuovi limiti d’impegno a decorrere dal 2005 e dal 2006 per consentire la prosecuzione nell’attività recupero delle risorse idriche nelle aree di crisi di cui alla legge n. 388/2000 (comma 31), ed hanno assegnato al Ministro delle politiche agricole e forestali di redigere entro il termine del 31/5/2004 un nuovo programma di interventi per l’utilizzo delle menzionate risorse (comma 34).

La redazione del nuovo strumento di coordinamento di tutte le opere del comparto idrico è stata demandata invece al Ministero dell’ambiente, al quale è stato assegnato il termine del 30/7/2004. Il Programma idrico è stato approvato dal CIPE, con deliberazione n. 74/2005, e come la legge aveva richiesto ha incluso oltre agli interventi decisi dal dicastero dell’ambiente (all. 2) ed alle opere del settore idrico a suo tempo inserite fra le infrastrutture strategiche di cui alla c.d. legge obiettivo (all. 1), anche gli interventi che il dicastero agricolo ha individuato - in relazione alle nuove risorse di cui al comma 31 – come immediatamente finanziabili e distinti per singola regione (all. 3 che reca il nuovo  Piano irriguo), nonché un quadro generale dei fabbisogni del comparto irriguo (all. 4)

Quanto alle risorse, come detto, la legge 350/03 aveva disposto l’avvio di due limiti d’impegno dell’importo di 50 milioni di euro ciascuno a decorrere dal 2005 e dal 2006, sul secondo dei quali è tuttavia intervenuta la legge n. 311/2004 finanziaria 2005 che con la tabella F ne ha posticipato l’avvio al 2008.

 

Vale rammentare che con l’espressione “limite di impegno” si indicano stanziamenti pluriennali di importo costante, destinati alla erogazione di contributi posti a carico del bilancio dello Stato allo scopo di consentire a soggetti non statali l’accensione di mutui per la realizzazione di investimenti. Il contributo concesso è volto a coprire, interamente oparzialmente, le rate di ammortamento del mutuo contratto. L’autorizzazione di un limite di impegno, e la connessa finalizzazione alla accensione di un mutuo, deve essere disposta con apposita disposizione di legge.

In merito alla disciplina dei limiti d’impegno va rammentato che la medesima legge 350/2003, con il comma 177 dell’articolo 4, ha profondamente innovato la materia stabilendo che i limiti di impegno iscritti nel bilancio dello Stato sulla base di specifiche disposizioni legislative debbano intendersi quale concorso dello Stato al pagamento di una quota degli oneri derivanti dai mutui o da altre operazioni finanziarie che i soggetti interessati sono autorizzati ad effettuare esclusivamente per la realizzazione di investimenti, ovvero come contributo pluriennale per la realizzazione di investimenti. Peraltro l’obbligo di concorso solo parziale al finanziamento degli oneri si applica solo quando il beneficiario del finanziamento sia un soggetto che non appartiene al settore delle amministrazioni pubbliche, per le quali è ancora consentito un finanziamento integrale.

Il successivo comma 178 ha stabilito che il nuovo regime vale per le operazioni stipulate a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge finanziaria, vale a dire dal 1° gennaio 2004, applicandosi pertanto anchea limiti di impegno autorizzati prima della data di entrata in vigore della legge finanziaria.

 

In coerenza con il comma 177 la successiva legge finanziaria 2006[371], con il comma 78 dell’articolo 1, hastanziato un contributo annuale di 200 milioni di euro, per un arco di quindici anni a decorrere dal 2007[372], rivolto al finanziamento di numerose opere, fra le quali compare “anche” la prosecuzione degli interventi infrastrutturali previsti dall’art. 141, commi 1 e 3, della legge n. 388/2000, che sappiamo essere le opere irrigue inserite nel programma nazionale idrico. Le risorse riservate alle opere irrigue non sono state tuttavia quantificate direttamente dalla norma, la quale si è limitata a precisare che esse debbono rappresentare una quota pari al 25% delle risorse disponibili.

La quantificazione della quota riservata al settore irriguo, a valere sullo stanziamento netto di 193 meuro di cui al comma 78, è stata realizzata dal CIPE con la delibera n. 75/2006 che ha anche assegnato le risorse ai singoli interventi individuati sulla base del loro stato procedurale. Al piano irriguo (rectius per gli interventi di realizzazione del programma nazionale degli interventi nel settore idrico relativamente alla prosecuzione degli interventi infrastrutturali di cui all’art. 141, commi 1 e 3, della legge 23 dicembre 2000, n. 388) sono stati in tutto attribuiti 45,73 meuro, che si prevede attiveranno un volume di investimenti pari a 61, 4 milioni di euro.

Il Comitato interministeriale con la successiva delibera n. 117/2006 ha già disposto una integrazione all’allegato 3 del Programma nazionale degli interventi nel settore idrico, che elenca le opere irrigue, precisando che gli interventi aggiuntivi approvati si dovranno avvalere proprio delle risorse derivanti dall’autorizzazione di spesa di cui al comma 78.

Da ultimo è intervenuta anche la legge finanziaria 2007[373] che in primo luogo, con il comma 2058, ha recato autorizzazioni di spesa aggiuntive per le opere inserite nel Piano irriguo di cui alla delibera CIPE n. 74/2005: 100 meuro per il 2007 e 150 meuro sia per il 2008 che per il 2009. I successivi commi 1059, 1060 e 1062 distolgono risorse da quelli che erano i limiti d’impegno previsti dalla legge 350/2003 (art. 4, co. 31), e che sono ora stanziamenti pluriennali quindicennali, e dagli stanziamenti disposti dal comma 78 della legge n. 266/2005,attribuendole alle opere di cui alla citata delibera CIPE n. 74

 

Le autorizzazioni di spesa complessivamente approvate e destinate alle opere di recupero delle risorse idriche in aree di crisi, in conseguenza del succedersi dei provvedimenti legislativi citati, vengono a configurarsi come riportato nella tabella che segue. Si ricorda che a decorrere dall’esercizio 2011 opererà la rimodulazione degli stanziamenti disposta dalla legge finanziaria 2008[374] (art. 2, comma 133), per la qualev. il capitolo Le infrastrutture irrigue, pag. 49.

 

Spese per il recupero di risorse idriche in aree di crisi – milioni di euro

 

Legislazione

Anno

 

2002

2003

2004

2005

2006

2007

2008

2009

2010

L. 388/2000, art. 141.1

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46,00

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46,00

46,00

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46,00

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46,00

46,00…

46,00…

L. 388/2000, art. 141.3

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5,65…

D.L. 138/2002, art. 13.4 nonies

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15,49

15,49…

L. 289/2002, art. 80.45

 

5,27

5,27

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5,27...

L. 350/2003, art. 4.31 come mod. dai commi 1059, 1060 e 1062 della L. 296/2006

 

 

 

50,00

50,00

50,00

3,

50,00

3,5

0,00

3,5

0,00

3,5…

0,00...

L. 311/2004,  tab F

 

 

 

 

- 50,00

- 50,00

 

 

 

L. 266/2005, art.1.78, come mod. dai commi 1059, 1060 e 1062 della L. 296/2006

 

 

 

 

 

0,00

0,00

0,00

0,00…

L. 296/2006, art. 1.1058

 

 

 

 

 

100,00

150,00

150,00

 

L. 296/2006, art. 1.1059:

come 3°-5°annual. L. 350

come 1°-3° annual. L. 266

come 1°e 2° annual. L. 350

 

 

 

 

 

 

46,95

45,73

 

46,95

45,73

50,00

 

46,95

45,73

50,00

 

L. 296/2006, art. 1.1060:

come 6°annual. L. 350

come 4° annual. L. 266

come 3° annual. L. 350

 

 

 

 

 

 

 

 

 

46,95

45,73

50,00

 


Il settore forestale

La politica di tutela delle foreste

La politica forestale internazionale

Le quattro conferenze ministeriali sulla protezione delle foreste in Europa rappresentano un’importante iniziativa nel processo di cooperazione tra i Paesi europei (non solo della Comunità Europea) per contribuire alla protezione e alla gestione sostenibile delle foreste europee. Si tratta di una risposta congiunta e di un impegno politico dei paesi europei alla gestione sostenibile e alla conservazione delle risorse forestali, come suggerito nell'Agenda 21 - il programma delle Nazioni Unite dedicato allo sviluppo sostenibile e che si ripropone di dare luogo ad una pianificazione completa delle azioni da intraprendere, a livello mondiale, nazionale e locale dalle organizzazioni delle Nazioni Unite, dai governi e dalle amministrazioni in ogni area in cui la presenza umana abbia impatti sull'ambiente - e nella dichiarazione di principio non giuridicamente vincolante sulle foreste approvata dalla conferenza delle Nazioni Unite su Ambiente e Sviluppo (United Nations Conference on Environment and Development - UNCED), tenendo conto delle specifiche condizioni ed esigenze delle foreste europee. La "Conferenza Ministeriale sulla Protezione delle Foreste in Europa" (MCPFE) è ad oggi un organo di cooperazione tra 44 Paesi europei e la Comunità Europea per individuare obiettivi comuni e per promuovere attività coordinate a favore della protezione e della gestione sostenibile delle foreste. Il Processo, iniziato nel 1990 e tuttora in corso, si basa sul già richiamato sistema di Conferenze durante le quali, grazie anche al contributo di esperti, vengono stabilite direttive generali. Il dialogo coinvolge anche altri Paesi rappresentati come osservatori e numerose organizzazioni, nonché responsabili nazionali e internazionali di tutti i settori legati al legno e alle foreste.

Le Conferenze costituiscono dunque una base di scambio a livello politico e scientifico, strettamente legata ad altri processi e iniziative globali e regionali che si occupano di foreste e protezione della natura.

 

Le risoluzioni adottate dai paesi europei e dall'UE durante le conferenze tenutesi a Strasburgo (1990), a Helsinki (1993), a Lisbona (1998) ed a Vienna (2003) sono le seguenti:

S1:  rete europea di posti di osservazione permanente per il monitoraggio degli ecosistemi forestali;

S2:  conservazione delle risorse genetiche forestali;

S3:  banca di dati europea decentrata sugli incendi forestali;

S4:  adeguamento della gestione delle foreste situate in zone montane a nuove condizioni ambientali;

S5:  ampliamento della rete EUROSILVA con ricerche sulla fisiologia degli alberi;

S6:  rete europea di ricerca sugli ecosistemi forestali;

H1:  orientamenti generali per la gestione sostenibile delle foreste in Europa;

H2:  orientamenti generali per la conservazione della biodiversità delle foreste europee;

H3:  cooperazione nel settore della silvicoltura con i paesi ad economia di transizione;

H4:  strategie per un processo di adeguamento a lungo termine delle foreste europee al cambiamento climatico;

L1:  popoli, foreste e silvicoltura: potenziamento degli aspetti socioeconomici della gestione sostenibile delle foreste;

L2:  criteri, indicatori e orientamenti operativi paneuropei per la gestione sostenibile delle foreste.

V1:  cooperazione intersettoriale e programmi forestali nazionali. Tutti i responsabili dei diversi settori legati alle foreste devono strettamente collaborare per la protezione e il corretto utilizzo dei boschi, in modo da raggiungere obiettivi che tengano conto delle diverse esigenze. I programmi forestali nazionali acquistano, in questo contesto, un ruolo essenziale.

V2:  valore economico della gestione forestale sostenibile. Si può concepire la gestione forestale sostenibile come realizzabile ed effettiva a lungo termine solo tenendo nel giusto conto il valore economico dei beni e dei servizi offerti dal patrimonio boschivo. In particolare, nelle zone rurali le foreste costituiscono un'importante, se non la principale fonte di lavoro e di guadagno. Diventa essenziale, allora, prevedere un'efficace politica economica che prenda in considerazione questo aspetto, anche in collaborazione con altri gruppi sociali.

V3:  dimensione sociale e culturale della gestione forestale sostenibile. Da sempre le foreste hanno fatto parte della storia del genere umano, di cui conservano numerose tracce e aspetti culturali. I ministri si impegnano a preservare e valorizzare questa loro ulteriore ricchezza con azioni politiche mirate.

V4:  biodiversità forestale in Europa. Occorre aumentare gli sforzi necessari a preservare la naturale diversità delle specie e degli habitat forestali. Bisogna ottimizzare i metodi di gestione delle aree protette esistenti e ampliarle, in modo da includere in esse un ampio spettro di tipologie di boschi e da creare collegamenti che limitino i problemi legati alla eccessiva frammentarietà degli habitat. Di grande importanza è l'adozione di direttive comuni per la definizione delle aree protette.

V5:  cambiamento climatico e gestione forestale sostenibile. Le foreste sono preziose riserve di carbonio e mitigano gli effetti dei cambiamenti climatici. Ciononostante, per ottenere dei risultati duraturi nel miglioramento della qualità dell'ambiente, occorre puntare soprattutto sulla riduzione delle emissioni di gas serra. Un valido contributo proviene dalla promozione del legno come fonte di energia alternativa

Nel corso della quarta conferenza ministeriale, tenutasi a Vienna nel 2003, è stata poi sottoscritta, oltre alle cinque Risoluzioni sopra ricordate (V1-5), una dichiarazione generale che enfatizza la multifunzionalità delle foreste, considerandole una fonte di energia rinnovabile, in grado di fornire protezione dalle catastrofi naturali, di agire come serbatoi di carbonio, di fungere da tamponi contro i cambiamenti ambientali, di partecipare all'equilibrio del ciclo dell'acqua e di svolgere un'importante funzione didattica e ricreativa.

La politica forestale europea

Nell'Unione europea una politica forestale comune propriamente detta non è mai esistita, essendo la materia demandata alle competenze nazionali dei Paesi membri. Tuttavia, il 15 dicembre 1998 il Consiglio europeo ha adottato una risoluzione su una Strategia forestale per l'Unione europea. La Strategia delineata nella risoluzione incoraggia un approccio partecipativo e trasparente coinvolgendo tutti gli interessati e riconosce l'esistenza di una grande varietà di regimi di proprietà nella Comunità e il ruolo importante dei proprietari di foreste.

La Commissione europea ha pubblicato nel 2005 una comunicazione sull'attuazione della Strategia. Il rapporto sottolinea coerenza tra la politica forestale e le altre politiche che riguardano la gestione delle foreste.

Nel maggio 2005 Il Consiglio ha adottato le Conclusioni su un piano d'azione UE per le foreste. Il 15 giugno 2006 la Commissione ha presentato una comunicazione contenente il suddetto piano d'azione[375]. Esso si concentra su quattro obiettivi:

1.    migliorare la competitività a lungo termine;

2.    migliorare e proteggere l'ambiente;

3.    contribuire alla qualità della vita;

4.    promuovere il coordinamento e la comunicazione.

Il piano ha una durata di cinque anni (2007-2011), e prevede diciotto azioni chiave che la Commissione propone di eseguire la necessità di rafforzare la cooperazione e il coordinamento inter-settoriale e la congiuntamente con gli Stati membri.

 

Nell’ambito dell’azione finalizzata al miglioramento della competitività a lungo termine, sono previste cinque azioni chiave:

1.    l’esame degli effetti della globalizzazione sulla redditività e sulla competitività delle foreste nell’Unione;

2.    stimolare la ricerca e lo sviluppo tecnologico per migliorare la competitività del settore forestale;

3.    scambio ed esame delle esperienze relative alla valutazione ed alla commercializzazione di beni e servizi della filiera forestale diversi dal legno;

4.    promuovere l’utilizzo della biomassa forestale per la produzione di energia;

5.    promuovere la cooperazione tra proprietari di boschi e potenziare l’istruzione e la formazione nel campo forestale.

Rispetto all’obiettivo del miglioramento e della tutela dell’ambiente, le azioni chiave previste sono le seguenti:

1.    favorire il rispetto da parte dell’Unione degli impegni relativi all’attenuazione dei cambiamenti climatici, assunti nel quadro della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici e del relativo protocollo di Kyoto, e stimolare l’adattamento agli effetti di tali cambiamenti;

2.    contribuire al conseguimento degli obiettivi comunitari riveduti in materia di diversità biologica per il 2010 ed oltre tale orizzonte;

3.    impegnarsi per la realizzazione di un sistema europeo di sorveglianza delle foreste;

4.    migliorare la tutela delle foreste dell’Unione.

Per quanto, invece, concerne il terzo obiettivo, ovvero il miglioramento della qualità della vita, le azioni chiave previste sono:

1.    stimolare l’educazione e l’informazione ambientale;

2.    mantenere e valorizzare la funzione di difesa delle foreste;

3.    studiare il potenziale dei boschi urbani e periurbani.

Per quanto, infine, attiene al quarto ed ultimo obiettivo - la promozione del coordinamento e della comunicazione - le azioni chiave si concretizzano:

1.    nel rafforzamento del ruolo del comitato permanente forestale;

2.    nel rafforzamento del coordinamento tra le varie politiche settoriali per le questioni inerenti alle foreste;

3.    nell’applicazione ai programmi forestali nazionali di un metodo aperto di coordinamento;

4.    nell’innalzamento del profilo dell’Unione nelle azioni internazionali riguardanti le foreste;

5.    nello stimolare l’impiego del legno e degli altri prodotti della foresta provenienti da foreste gestite secondo i principi della sostenibilità;

6.    nel miglioramento dello scambio di informazioni e della comunicazione.

Kyoto e le misure di gestione forestale sostenibile

Con il termine Protocollo di Kyoto si intende l’accordo internazionale sottoscritto il 7 dicembre 1997 da oltre 160 paesi partecipanti alla terza sessione della Conferenza delle Parti della Convenzione sui cambiamenti climatici (UNFCCC). Oggetto del Protocollo, divenuto vincolante a livello internazionale il 16 febbraio 2005, e finalizzato al controllo di una delle cause principali del cambiamento climatico, è la riduzione, attraverso un’azione concordata a livello internazionale, delle emissioni di gas serra (v. scheda Il protocollo di Kyoto, nel dossier relativo alla Commissione ambiente).

Per quanto riguarda l’Italia, la ratifica del protocollo di Kyotoè avvenuta con la legge n. 120/2002[376], che reca anche una serie di disposizioni finalizzate al raggiungimento nazionale degli obiettivi di riduzione delle emissioni di gas serra.

E proprio in attuazione dell’art. 2, comma 1, della legge n. 120, in attesa e in preparazione delle decisioni e delle norme che saranno adottate dall'Unione europea (come lo stesso articolo 2 recita), il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio ha dovuto elaborare il Piano nazionale per la riduzione delle emissioni di gas responsabili dell’effetto serra: 2003-2010[377], adottato con la delibera CIPE n. 123/2002, che ha stimato un potenziale massimo di assorbimento di carbonio, derivante dalle foreste già esistenti, pari a 10,2 milioni di tonnellate/anno di anidride carbonica equivalente. Il Piano ha pertanto previsto alcune iniziative di forestazione e riforestazione per consentire all'Italia di rispettare gli obiettivi di riduzione delle emissioni di gas serra del 6,5% entro il 2008-2012, come prevede il Protocollo di Kyoto.

La medesima delibera n. 123 ha inoltre richiesto l’istituzione del Registro nazionale dei serbatoi di carbonio agro-forestali e dell’Inventario nazionale delle foreste di carbonio (IFNI) ritenuti strumenti indispensabili per poter raccogliere tutte le informazioni necessarie per il calcolo dell’assorbimento di carbonio.

I punti 7.3 e 7.4 della delibera hanno previsto in particolare:

-       la realizzazione, entro il 31 maggio 2005, da parte del Ministero per le politiche agricole alimentari e forestali, di concerto con il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio, dell'Inventario forestale nazionale e quello degli altri serbatoi di carbonio, al fine di avviare la procedura di revisione del limite all'utilizzo dei crediti, derivanti dalla gestione forestale, assegnato all'Italia;

-       la realizzazione, entro il 31 dicembre 2006, da parte del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio, d'intesa con il Ministero per le politiche agricole e forestali, del Registro nazionale dei serbatoi di carbonio agro-forestali, al fine di certificare i flussi di carbonio nel periodo 2008-2012 derivanti da attività di afforestazione, riforestazione, deforestazione, gestione forestale, gestione dei suoli agricoli e pascoli e rivegetazione.

Tali due strumenti sono menzionati nel Piano 2003-2010, ove si legge che il Registro nazionale dei serbatoi di carbonio agro-forestali rappresenta “lo strumento di certificazione delle quantità di carbonio assorbito dai sistemi agrari e forestali italiani. Il Registro è costituito dall’immagine dell’uso del suolo d’Italia a cui vanno riferiti i dati statistici sul contenuto di carbonio delle tipologie agrarie e forestali (suoli agrari; suoli, biomasse e necromasse forestali). La certificazione dei crediti di carbonio sarà diretta conseguenza della contabilizzazione delle variazioni del contenuto di carbonio nelle suddette tipologie...”. Il Registro, per la gestione del quale il Piano ha ipotizzato una spesa, per il periodo 2007-2012, pari a 6 milioni di euro, è stato istituito con il Decreto del Ministero dell'ambiente del 1° aprile 2008, che consentirà di contabilizzare la capacità di assorbimento delle emissioni di gas serra da parte del nostro sistema agroforestale.

In merito, invece, all’Inventario forestale nazionale, il citato Piano ne prevede l’aggiornamento ogni 5 anni in corrispondenza con la fine del periodo di impegno del Protocollo di Kyoto (il primo aggiornamento, quindi, deve essere pronto per il 2012). “L’Inventario sarà composto dall’Inventario Forestale Nazionale (IFNI), da un Sistema Informativo Territoriale delle superfici forestali e da una banca dati sul contenuto di carbonio nelle biomasse, nelle necromasse e nei suoli forestali”. Nel Piano viene indicata un’ipotesi di spesa per l’Inventario Forestale Nazionale (azioni addizionali da intraprendere per il calcolo del carbonio nelle foreste e nel suolo) pari a 4 milioni di euro nel periodo 2003-2012.

Merita segnalare che, nell’ambito delle audizioni, tenutesi nel mese di giugno 2007 presso l’VIII Commissione Ambiente sulle tematiche relative ai cambiamenti climatici, il Ministro dell’ambiente ha comunicato che era in corso la verifica dei costi per il completamento dell’Inventario nazionale delle foreste e dei serbatoi di carbonio, e per la realizzazione del Registro nazionale dei serbatoi di carbonio. L’Inventario nazionale attualmente realizzato dal Corpo Forestale[378] non sarebbe infatti utile per pervenire ad un conteggio delle emissioni, in quanto limitato ad una quantificazione dell’estensione e della funzionalità degli ecosistemi forestali nazionali, e tali informazioni non sono sufficienti per la gestione del Registro dei serbatoi. Pertanto all’inizio del 2003 hanno avuto inizio i rilievi per la  redazione del secondo inventario forestale nazionale, l’Inventario Nazionale delle Foreste e dei Serbatoi Forestali di Carbonio (INFC 2005), il cui obiettivo principale è proprio la valutazione delle riserve di carbonio presenti negli ecosistemi forestali[379].

Il 18 dicembre 2006 il Ministro dell'Ambiente e il Ministro dello Sviluppo Economico con decreto DEC/RAS/1448/2006 hanno approvato il Piano Nazionale di Assegnazione delle quote di CO2 per il periodo 2008-2012, che quantifica gli assorbimenti di carbonio (derivanti da interventi di afforestazione e riforestazione, attività di gestione forestale, di gestione dei suoli agricoli e pascoli e di rivegetazione) in 16,2 milioni di tonnellate/anno di anidride carbonica equivalente. Il Piano ed il parere che la Commissione europea è tenuta ad esprimere costituiranno la base per la predisposizione del successivo Schema di Decisione di Assegnazione, attualmente in fase di elaborazione.

 

La messa in opera della complessa attività richiesta dalle disposizioni illustrate ha avuto la necessità di congrui stanziamenti, che sono stati disposti con le annuali leggi finanziarie.

La legge finanziaria 2006[380] (art. 1, comma 433) ha autorizzato un contributo di 100 milioni di euro per il 2006 per la concessione di finanziamenti a tasso agevolato (a soggetti pubblici o privati) per la realizzazione delle misure destinate all’attuazione del Protocollo di Kyoto, mentre la legge finanziaria 2007[381] (art. 1, commi 1110-1115) ha disposto per le medesime finalità l’istituzione, presso la Cassa depositi e prestiti S.p.A., di un Fondo rotativo, con una dotazione di 200 milioni di euro per ciascuno degli anni del triennio 2007-2009.

L’art. 26, comma 1-bis, del decreto-legge n. 159/2007[382] ha inoltre concesso al Ministero dell’ambiente per l'anno 2007 un contributo straordinario di 10 milioni di euro per l'attuazione di interventi urgenti di adattamento e mitigazione degli effetti dei cambiamenti climatici. La disposizione fa in particolare riferimento agli interventi di protezione degli ecosistemi e della biodiversità terrestre e marina più compromessi, di difesa e gestione del suolo nelle aree a rischio idrogeologico e a rischio desertificazione, di gestione delle risorse idriche, ripristino delle aree costiere e delle zone umide, e attribuisce priorità agli interventi nelle aree esposte a rischio di eventi alluvionali o franosi ovvero a rischio valanga.

Infine, con la legge finanziaria 2008[383] (art. 2, comma 335) è stata disposta la istituzione, presso il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, di un fondo: per la forestazione e la riforestazione di aree incolte, destinate a ridurre le emissioni di CO2, e per la realizzazione di aree verdi in zone urbane e periurbane destinate a migliorare la qualità dell’aria nei comuni a maggiore crisi ambientale e per tutelare la biodiversità. La disposizione ha attribuito al fondo 50 milioni di euro annui per ciascuno degli anni 2008, 2009 e 2010.

 

 


Pesca ed acquacoltura

Il nuovo Fondo europeo per la pesca - FEP

Tutta la Politica Comunitaria della Pesca PCP è diretta a garantire la sostenibilità a lungo termine del settore disciplinando la conservazione, la gestione e lo sfruttamento delle risorse della pesca, e fare in modo che le attività di pesca abbiano limitate ripercussioni sull'ambiente.

Per realizzare i medesimi obiettivi è stato istituito il Fondo europeo per la pesca per il periodo 2007-2013[384] che è fondamentalmente diretto a promuovere lo sfruttamento sostenibile delle risorse alieutiche, tenuto conto del contesto ambientale, economico e sociale, e a rimuovere le disparità strutturali e naturali delle diverse regioni dedite alle attività di pesca, in ottemperanza agli articoli 2 e 3 del trattato che prevedono l’eliminazione delle ineguaglianze e la promozione della parità tra uomini e donne.

La istituzione del Fondo mira a superare la limitatezza ed insufficienza delle risorse nazionali, assicurando invece disponibilità che consentano la erogazione continuativa di finanziamenti su base pluriennale, risorse che è tuttavia necessario potenziare, favorendo al massimo l’intervento sinergico di fonti di finanziamento private.

Sinteticamente il FEP può concedere contributi per il raggiungimento dei seguenti obiettivi:

-       garantire stabilità alle attività di pesca e lo sfruttamento sostenibile delle risorse;

-       ridurre la pressione sugli stock;

-       sviluppare la pesca nelle acque interne;

-       potenziare le imprese economicamente redditizie;

-       favorire la conservazione dell’ambiente e delle risorse;

-       migliorare le condizioni di vita nelle zone dove si pratica la pesca;

-       promuovere la parità di genere tra gli addetti del settore.

Il quadro finanziario è dato dai 3849 meuro per il periodo 2007-2013, che saranno assegnati annualmente per un importo compreso fra  538 e 556 meuro, suddivisi fra i  25 stati in base alle dimensione del settore della pesca nello Stato membro, alla entità degli adeguamenti dello sforzo pesca ritenuti necessari, al numero degli addetti.

La percentuale di partecipazione contributiva del Fondo varia in funzione degli assi prioritari ed è più elevata per i nuovi stati membri e per le regioni svantaggiate che rientrano nel nuovo obiettivo convergenza[385].

La programmazione degli interventi presuppone che gli Stati membri adottino un Piano strategico nazionale, nel quale sulla scorta di un dialogo con la Commissione vengano esposti gli aspetti rilevanti della politica; con il programma operativo, un singolo documento elaborato dallo Stato membro e approvato con decisione dalla Commissione, vengono selezionati gli assi prioritari, per la realizzazione di ognuno dei quali sono individuate un gruppo di misure connesse tra loro. Il programma operativo, deve tra le altre cose, adeguatamente motivare la scelta degli assi anche alla luce del proprio piano strategico.

 

Le priorità sono stabilite dalla Commissione che col regolamento n. 1198/2006 individua i seguenti 5 Assi prioritari.

L’Asse prioritario 1 misure per l’adeguamento della flotta da pesca comunitaria (art. 21 ss.) accorda il sostegno del FEP nei seguenti casi:

-       arresto temporaneo delle attività di pesca (a norma dell’articolo 24, paragrafo 1, punto vii);

-       investimenti a bordo dei pescherecci e selettività (a norma dell’articolo 25;

-       misure per la piccola pesca costiera (articolo 26);

-       misure  socioeconomiche (articolo 27);

-       piani di salvataggio e di ristrutturazione ai sensi degli orientamenti comunitari sugli aiuti per il salvataggio e la ristrutturazione di imprese in difficoltà;

-       presentazione di piani di adeguamento dello sforzo di pesca (gli aiuti pubblici vanno ai proprietari di pescherecci e pescatori interessati).

I Piani di adeguamento possono essere presentati dagli Stati membri nei seguenti casi:

-       quando il Consiglio abbia adottato piani di ricostituzione o di gestione (di cui agli artt. 5 e 6 del regolamento (CE) n. 2371/2002[386] - regolamento base - relativi agli stock scesi al di sotto del limite biologico di sicurezza, o entro tali limiti o al limite);

-       quando la Commissione o lo Stato membro abbiano adottate misure di emergenza (di cui agli articoli 7 e 8 del regolamento base in caso di grave rischio, per la conservazione delle risorse acquatiche vive o per l'ecosistema marino, derivante dalle attività di pesca);

-       mancato rinnovo di un accordo di pesca tra la Comunità e un paese terzo o la riduzione sostanziale delle possibilità di pesca nel quadro di un accordo internazionale o altra intesa;

-       adozione di misure nazionali per la conservazione e gestione delle risorse della pesca (articoli 9 e 10 del regolamento base);

-       piani nazionali di ritiro della flotta (articoli da 11 a 16 del regolamento base sull’adeguamento della capacità di pesca della flotta da pesca comunitaria).

L’Asse prioritario 2: acquacoltura, pesca nelle acque interne, trasformazione e commercializzazione dei prodotti della pesca e dell’acquacoltura (artt. 28 e ss.) enumera le seguenti misure ammissibili:

-       misure per investimenti produttivi nell’acquacoltura;

-       misure idroambientali;

-       misure di sanità pubblica;

-       misure veterinarie.

L’intervento del FEP è diretto a favorire l’acquisizione o l’utilizzo di attrezzature o tecniche a minore impatto ambientale, a migliorare le condizioni d’igiene e di salute umana o animale, a migliorare la qualità dei prodotti.

L’Asse prioritario 3 misure di interesse comune (art. 36 ss.) include misure che di norma non possono essere sostenute dal settore privato ma che contribuiscono al raggiungimento degli obiettivi della PCP. Sono ammissibili misure:

-       collettive per una migliore gestione delle risorse, per l’uso di metodi ed attrezzi più selettivi, per la rimozione dai fondali di attrezzi da pesca smarriti, miglioramento delle condizioni di lavoro o della qualità dei prodotti;

-       che contribuiscano alla protezione della flora e fauna;

-       per il miglioramento dei porti da pesca, dei ripari di pesca e luoghi di sbarco;

-       per il potenziamento dei mercati dei prodotti;

-       progetti pilota;

-       modifica dei pescherecci per destinarli ad altre attività.

L’Asse prioritario 4 sviluppo sostenibile delle zone di pesca (art. 43 ss.) è diretto a sostenere lo sviluppo locale delle zone a bassa densità di popolazione, con attività di pesca in fase di declino, con presenza di piccole comunità di pesca. Le misure ammissibili sono quelle precedentemente descritte, ma non è previsto il sostegno all’arresto definitivo o temporaneo, e sono invece sostenuti gli interventi sulle infrastrutture e servizi per la piccola pesca e per il turismo, e lo sono le misure di recupero della produzione danneggiata da calamità.

Con l’Asse prioritario 5 assistenza tecnica una quota delle risorse complessive (pari allo 0,8%) è riservata alle misure di preparazione, sorveglianza, sostegno tecnico e amministrativo, valutazione e audit necessarie all’attuazione del regolamento messe in atto dalla Commissione; per le stesse attività poste in essere da parte dello Stato membro per la realizzazione del proprio programma operativo è riservata una quota delle risorse complessive pari al 5%.



[1]     Regolamento di esenzione CE n. 1857/2006, Regolamento della Commissione relativo all’applicazione degli articoli 87 e 88 del Trattato agli aiuti di Stato a favore delle piccole e medie imprese attive nel settore della produzione di prodotti agricoli e recante modifica del Regolamento (CE) n. 70/2001 (G.U. L 358 del 16 dicembre 2006).

[2]     Orientamenti comunitari per gli aiuti di Stato nel settore agricolo e forestale 2007-2013, GU C 319 del 27 dicembre 2006.

[3]     Regolamento (CE) n. 1234/2007 del Consiglio del 22 ottobre 2007,Organizzazione comune dei mercati agricoli e disposizioni specifiche per taluni prodotti agricoli (regolamento unico OCM).

[4]     Regolamento del Consiglio n. 1182 del 26 settembre 2007.

[5]     D.L. 18 maggio 2006, n. 181, Disposizioni urgenti in materia di riordino delle attribuzioni della Presidenza del Consiglio dei Ministri e dei Ministeri, convertito con modificazioni dalla legge 17 luglio 2006, n. 233.

[6]     D.P.R. 9 gennaio 2008, n. 18, Regolamento recante riorganizzazione del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, a norma dell’articolo 1, comma 404, della legge 27 dicembre 2006, n. 296.

[7]    Legge 27 dicembre 2006, n. 296, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007).

[8]     Legge 28 ottobre 1999, n. 410, Nuovo ordinamento dei consorzi agrari.

[9]     D.L. 18 maggio 2006, n. 181, Disposizioni urgenti in materia di riordino delle attribuzioni della Presidenza del Consiglio dei Ministri e dei Ministeri, convertito con modificazioni dalla legge 17 luglio 2006, n. 233.

[10]    Il regio decreto 16 marzo 1942, Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell'amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa, regola con l’articolo 213 la chiusura della procedura di liquidazione richiedendo che, prima dell'ultimo riparto ai creditori, il bilancio finale della liquidazione con il conto della gestione e il piano di riparto tra i creditori, accompagnati da una relazione del comitato di sorveglianza, vengano sottoposti all'autorità di vigilanza che ne autorizza il deposito presso la cancelleria del tribunale e liquida il compenso al commissario. Dell'avvenuto deposito è data notizia mediante inserzione nella Gazzetta Ufficiale e nei giornali che siano designati dall'autorità che vigila sulla liquidazione.

[11]    Legge 27 dicembre 2006, n. 296, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007).

[12]    D.L. 31 dicembre 2007, n. 248, Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e disposizioni urgenti in materia finanziaria, convertito con modificazioni dalla legge 28 febbraio 2008, n. 31.

[13]   R.D. 16 marzo 1942, n. 267, Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell'amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa”, che a  decorrere dal 1° gennaio 2008 si applica nella versione integrata e corretta dal D.Lgs. 12 settembre 2007, n. 169.

[14]    R.D. 13 febbraio 1933, n. 215, Nuove norme per la bonifica integrale.

[15]    Legge 24 dicembre 2007, n. 244, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2008).

[16]    D.L. 31 dicembre 2007, n. 248, Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e disposizioni urgenti in materia finanziaria, convertito con modificazioni dalla legge 28 febbraio 2008, n. 31.

[17]   Si segnala al riguardo che l’ordine del giorno 9/3256/300, accolto dal Governo durante l’esame in Assemblea alla Camera del d.d.l. finanziaria (seduta del 15 dicembre 2007), impegna il Governo “a intervenire con il primo provvedimento normativo utile sull'articolo 2, comma 36, del provvedimento in esame prevedendo il riordino della disciplina dei consorzi di bonifica con un accordo tra Stato e Regioni in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, e che tale riordino sia finalizzato ad una razionalizzazione del sistema consortile sul territorio con riduzione dei costi di funzionamento e contenimento dei contributi alle proprietà consorziate nei limiti dei costi sostenuti per le attività dei consorzi stessi”.

[18]    Legge 24 dicembre 2007, n. 247, Norme di attuazione del Protocollo del 23 luglio 2007 su previdenza, lavoro e competitività per favorire l’equità e la crescita sostenibili, nonché ulteriori norme in materia di lavoro e previdenza sociale.

[19]    D.Lgs. 29 marzo 2004, n. 99, Disposizioni in materia di soggetti e attività, integrità aziendale e semplificazione amministrativa in agricoltura, a norma dell'articolo 1, comma 2, lettere d), f), g), l), ee), della L. 7 marzo 2003, n. 38.

[20]    La nuova figura dell’imprenditore agricolo professionale (IAP), che sostituisce quella di imprenditore agricolo a titolo principale (IATP) introdotta dal decreto legislativo n. 228 del 2001 (adeguando in questo modo l’ordinamento interno alla nuova disciplina comunitaria in materia, definita dal regolamento CE n. 1257/1999), viene riconosciuta a chi, in possesso di specifiche conoscenze e competenze professionali, dedichi alle attività agricole almeno il 50% del proprio tempo di lavoro complessivo e ricavi da tali attività almeno il 50% del proprio reddito globale. Per i soggetti che operino nelle zone svantaggiate (come definite dalla normativa comunitaria) i requisiti suddetti sono ridotti al 25%. La qualifica di IAP può essere riconosciuta, a condizione che almeno un socio sia in possesso di tale qualifica, anche alle società che abbiano come unico oggetto sociale l’esercizio di attività agricole. Rispetto alla vecchia figura di IATP, con la nuova qualifica si è operato un “bilanciamento” tra la professionalità (intesa come appartenenza al mondo agricolo), per la quale si sono attenuati i parametri percentuali di tempo di lavoro e reddito ricavato, e la valorizzazione della specifica “sapienza tecnica” richiesta per lo svolgimento di un’attività agricola moderna, attenta alla qualità dei prodotti e al rispetto dell’ambiente. La competenza relativa all’accertamento del possesso dei requisiti richiesti ai fini del riconoscimento della qualifica di imprenditore agricolo professionale (IAP) spetta alle regioni.

[21]    La nozione di società agricola è contenuta nell’art. 2 del D.Lgs. n. 99/2004. In base a tale norma la ragione sociale o la denominazione sociale delle società che hanno quale oggetto sociale l'esercizio esclusivo delle attività di cui all'articolo 2135 del codice civile deve contenere l'indicazione di società agricola (comma 1). Le società agricole con almeno la metà dei soci in possesso della qualifica di coltivatore diretto sono qualificate come imprenditori agricoli professionali.

[22]    Legge 27 dicembre 2006, n. 296, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007).

[23]    Decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e successive modificazioni. L’imposizione diretta sui redditi agrari è disciplinata dall'articolo 32 del testo unico. In base a tale norma il reddito agrario è costituito dalla parte di reddito fondiario imputabile al capitale d’esercizio ed al lavoro di organizzazione impiegati nell’esercizio di attività agricole sul terreno, nei limiti della potenzialità del terreno stesso. A differenza del reddito dominicale, costituito dalla parte di reddito dei terreni che viene imputata al proprietario del terreno ovvero al soggetto che possiede un diritto reale su di essi, il reddito agrario è quindi quello, determinato catastalmente, che va imputato al soggetto che esercita l'impresa agricola, ai sensi dell'articolo 2135 del codice civile. Il reddito agrario esprime pertanto la redditività media derivante dall'esercizio di attività agricole nei limiti della potenzialità del terreno e viene determinato mediante l'applicazione di tariffe d'estimo stabilite dalla legge catastale per ciascuna coltivazione.

[24]   D.M. 27 settembre 2007, n. 213, Regolamento recante modalità applicative per l’opzione per l’imposizione dei redditi ai sensi dell’articolo 32 del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, e successive modificazioni, in attuazione dell’articolo 1, commi 1093 e 1095, della legge  27 dicembre 2006, n. 296 (legge finanziaria 2007).

[25]    Art. 2, comma 4-bis, secondo periodo, del decreto legislativo n. 99 del 2004.

[26]    Legge 24 dicembre 2007, n. 244, “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2008)”.

[27]    Si tratta dello schema di D.Lgs. n. 235, con riferimento al quale è stato predisposto il dossier Studi Atti del Governo n. 204 del marzo 2008.

[28]    Legge 12 luglio 2006, n. 228, Conversione in legge, con modificazioni, del D.L. 12 maggio 2006, n. 173, recante proroga di termini per l’emanazione di atti di natura regolamentare. Ulteriori proroghe per l’esercizio di deleghe legislative e in materia di istruzione.

[29]    Sullo schema la Commissione agricoltura della Camera ha espresso nella seduta del 31 marzo 2008 un parere favorevole con condizioni (tra le quali il recepimento di gran parte delle modifiche ed integrazioni proposte dalla Conferenza Stato-regioni) ed osservazioni. La Commissione agricoltura del Senato non ha invece espresso il parere, essendosi constatata nella seduta del 2 aprile 2008 la mancanza del numero legale.

[30]    D.Lgs. 21 aprile 2000, n. 185, Incentivi all’autoimprenditorialità ed all’autoimpiego, in attuazione dell’articolo 45, comma 1, della L. 17 maggio 1999, n. 144.

[31]    La legge 15 agosto 1971, n. 817 ha disposto il rifinanziamento delle provvidenze per lo sviluppo della proprietà coltivatrice. In relazione alle norme in commento vanno in particolare richiamati gli artt. 2 e 4 della legge 817 che, in combinato disposto con l’art. 1 della legge n. 590/1965 - che ha recato le norme organiche in favore della piccola proprietà, definiscono il quadro normativo per la concessione di mutui per l’acquisto di fondi rustici a scopo di formazione o di ampliamento della proprietà coltivatrice. Nelle operazioni proposte va data la preferenza agli acquisti conseguenti all’esercizio del diritto di prelazione o di riscatto previsto dall'articolo 8 della legge n. 590/1965, e in subordine alle operazioni che, realizzando un accorpamento di fondi rustici, rivestono finalità di ricomposizione fondiaria.

[32]    D.L. 31 gennaio 2007, n. 7, Misure urgenti per la tutela dei consumatori, la promozione della concorrenza, lo sviluppo di attività economiche, la nascita di nuove imprese, la valorizzazione dell’istruzione tecnico-professionale e la rottamazione di autoveicoli, convertito con modificazioni dalla legge 2 aprile 2007, n. 40.

[33]    D.L. 3 ottobre 2006, n. 262, Disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziari, convertito con modificazioni dalla legge  24 novembre 2006, n. 286.

[34]    Testo Unico delle Imposte sui Redditi approvato con D.P.R. 22 dicembre 1986 n. 917.

[35]    Legge 27 dicembre 2006, n. 296, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007).

[36]    D.L. 1° ottobre 2007, n. 159, Interventi urgenti in materia economico-finanziaria, per lo sviluppo e l’equità sociale, convertito con modificazioni dalla legge 29 novembre 2007, n. 222.

[37]    Legge 24 dicembre 2007, n. 244, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2008).

[38]    Si tratta dello schema di D.Lgs. n. 235, con riferimento al quale è stato predisposto il dossier Studi Atti del Governo n. 204 del marzo 2008.

[39]    Legge 12 luglio 2006, n. 228, Conversione in legge, con modificazioni, del D.L. 12 maggio 2006, n. 173, recante proroga di termini per l’emanazione di atti di natura regolamentare. Ulteriori proroghe per l’esercizio di deleghe legislative e in materia di istruzione.

[40]    Sullo schema la Commissione agricoltura della Camera ha espresso nella seduta del 31 marzo 2008 un parere favorevole con condizioni (tra le quali il recepimento di gran parte delle modifiche ed integrazioni proposte dalla Conferenza Stato-regioni) ed osservazioni. La Commissione agricoltura del Senato non ha invece espresso il parere, essendosi constatata nella seduta del 2 aprile 2008 la mancanza del numero legale.

[41]    Legge 10 febbraio 1992, n. 164, Nuova disciplina delle denominazioni d’origine.

[42]    Legge 20 febbraio 2006, n. 82, Disposizioni di attuazione della normativa comunitaria concernente l’Organizzazione comune di mercato (OCM) del vino.

[43]  Si tratta, tra le altre, di disposizioni che disciplinano:

-        l’obbligo per tutte le amministrazioni ed organismi detentori di informazioni sul potenziale vitivinicolo di mettere tali informazioni a disposizione del Servizio Informativo Agricolo Nazionale (SIAN);

-        l’ inserimento delle medesime informazioni nel fascicolo aziendale di ciascuna impresa, con accesso in via telematica per gli organismi competenti;

-        il mantenimento dell’obbligo per i laboratori di analisi di effettuare sistematicamente la ricerca dei denaturanti per ogni prodotto vinoso analizzato;

-        le formalità richieste per la stipula dei contratti di trasferimento dei diritti di reimpianto dei vigneti.

[44]   D.Lgs. 27 maggio 2005, n. 102, Regolazioni dei mercati agroalimentari, a norma dell’articolo 1, comma 2 lettera e) della legge 7 marzo 2003, n. 38.

[45]    Legge 27 dicembre 2006, n. 296, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007).

[46]   D.L. 1° ottobre 2007, n. 159, Interventi urgenti in materia economico-finanziaria, per lo sviluppo e l’equità sociale, convertito con modificazioni dalla legge 29 novembre 2007, n. 222.

[47]    Si tratta dello schema di D.Lgs. n. 235, con riferimento al quale è stato predisposto il dossier Studi Atti del Governo n. 204 del marzo 2008.

[48]    Legge 12 luglio 2006, n. 228, Conversione in legge, con modificazioni, del D.L. 12 maggio 2006, n. 173, recante proroga di termini per l’emanazione di atti di natura regolamentare. Ulteriori proroghe per l’esercizio di deleghe legislative e in materia di istruzione.

[49]    Sullo schema la Commissione agricoltura della Camera ha espresso nella seduta del 31 marzo 2008 un parere favorevole con condizioni (tra le quali il recepimento di gran parte delle modifiche ed integrazioni proposte dalla Conferenza Stato-regioni) ed osservazioni. La Commissione agricoltura del Senato non ha invece espresso il parere, essendosi constatata nella seduta del 2 aprile 2008 la mancanza del numero legale.

[50]    Nel documento approvato il 7 giugno 2007 al termine della indagine conoscitiva sulla distribuzione agroalimentare, l’Autorità afferma tra l’altro (punto 55 del documento) che la normativa in materia di O.P. “ha favorito e finanziato la creazione di numerose O.P., senza selezionarne l’effettiva idoneità a riqualificare e valorizzare la capacità di commercializzazione: ciò ha indotto una certa burocratizzazione di tali organizzazioni, condizionandone l’effettiva operatività e funzionalità”.  Si ricorda al riguardo che l’art. 3, comma 3, del D.Lgs. n. 102/205 (del quale lo schema in esame prevede l’abrogazione a decorrere dalla data di entrata in vigore  del decreto che stabilirà i nuovi requisiti delle O.P.) richiede un minimo di 5 produttori aderenti ed un volume minimo di produzione commercializzata direttamente pari a 3 milioni di euro.

[51]   Stando alle rilevazioni della FAO (v. Food outlook del novembre 2007, in  http://www.fao.org/docrep/010/ah876e/ah876e00.htm) l’indice dei prezzi dei prodotti alimentari è cresciuto nel 2006 di 9 punti sull’anno precedente; ma è ancora più significativa la variazione che si è verificata nel 2007, in particolare nel mese di settembre quando l’indice è alzato a + 37% sul medesimo mese del precedente anno. Tale crescita è da imputare principalmente all’andamento del lattiero caseario ed al mercato cerealicolo, anche se tutti gli altri comparti, con la sola eccezione del settore dello zucchero, sono comunque cresciuti in modo significativo.

[52]   D.L. 9 settembre 2005, n. 182, Interventi urgenti in agricoltura e per gli organismi pubblici del settore, nonché per contrastare andamenti anomali dei prezzi nelle filiere agroalimentari, convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, L. 11 novembre 2005, n. 231.

[53]   D.L. 4 luglio 2006 n. 223, Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all'evasione fiscal”, convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, L. 4 agosto 2006, n. 248.

[54]    Legge 24 dicembre 2007, n. 244, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2008).

[55]    L’Osservatorio del dicastero agricolo è l’Istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare (ISMEA) che, istituito nel 1987 dal DPR n. 278 come “Istituto per studi, ricerche e informazioni sul mercato agricolo”, deve l’attuale denominazione al DPR 31 marzo 2001, n. 200 che ha recato le disposizioni statutarie e regolamentari di riordino. Il nuovo Istituto, ai sensi di detto regolamento, deve, tra l’altro, svolgere attività di rilevazione, elaborazione e diffusione dei dati e informazioni che riguardano i mercati agricoli, forestali, ittici e alimentari; deve altresì prestare servizi di analisi e informazione per la commercializzazione, valorizzazione e promozione di prodotti agricoli, ittici e alimentari.

[56]   L’”Indagine sulla distribuzione agroalimentare IC/28” è consultabile nel sito dell’Autorità (http://www.agcm.it/) fra le pubblicazioni del 2007.

[57]    D.Lgs. 29 marzo 2004, n. 102, Interventi finanziari a sostegno delle imprese agricole, a norma dell’articolo 1, comma 2, lettera i), della legge 7 marzo 2003, n. 38.

[58]  Su entrambi i versanti di intervento si collocava la proposta di legge A.C. 1261, Lion, Disposizioni per il sostegno e lo sviluppo delle imprese agricole, della quale la Commissione agricoltura della Camera ha avviato l’esame nella seduta del 15 febbraio 2007. La proposta prevedeva infatti l'istituzione di un programma di interventi rivolto al salvataggio e ristrutturazione delle imprese agricole danneggiate da eventi eccezionali conseguenti a gravi crisi di mercato, o che si trovano comunque in difficoltà. Si veda al riguardo il dossier Studi progetti di legge n. 103 del febbraio 2007.

[59]    L’art. 1-bis, comma 8, del D.L. n. 2/2006 aveva disposto l’istituzione di un Fondo per gli interventi nel comparto avicolo.

[60]    D.L. 28 dicembre 2006, n. 300, Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e disposizioni diverse”, convertito con modificazioni (anche del titolo) dalla legge 26 febbraio 2007, n. 17.

[61]    Quest’ultimo termine è stato successivamente prorogato al 31 dicembre 2008 con l’art. 26, comma 3, del D.L. 31 dicembre 2007, n. 248, Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e disposizioni urgenti in materia finanziaria, convertito con modificazioni dalla legge 28 febbraio 2008, n. 31.

[62]    Legge 24 dicembre 2007, n. 244, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2008).

[63]    Il Reg. (CE) 15 dicembre 2006, n. 1857/2006 relativo all'applicazione degli articoli 87 e 88 del trattato agli aiuti di Stato a favore delle piccole e medie imprese attive nella produzione di prodotti agricoli e recante modifica del regolamento (CE) n. 70/2001, al numero 8, comma 1 dell’articolo 2, assimila alle calamità naturali le “condizioni atmosferiche quali gelo, grandine, ghiaccio, pioggia o siccità che distruggano più del 30% della produzione media annua di un agricoltore nei tre anni precedenti o della sua produzione media triennale calcolata sui cinque anni precedenti, escludendo l'anno con la produzione più bassa e quello con la produzione più elevata”.

[64]    Si tratta dello schema di D.Lgs. n. 231, con riferimento al quale è stato predisposto il dossier Studi Atti del Governo n. 193 del marzo 2008.

[65]    Legge 12 luglio 2006, n. 228, Conversione in legge, con modificazioni, del D.L. 12 maggio 2006, n. 173, recante proroga di termini per l’emanazione di atti di natura regolamentare. Ulteriori proroghe per l’esercizio di deleghe legislative e in materia di istruzione.

[66]    Sullo schema la Commissione agricoltura della Camera ha espresso nella seduta del 6 marzo 2008 un parere favorevole con condizioni ed osservazioni. La Commissione agricoltura del Senato ha espresso anch’essa parere favorevole con condizioni ed osservazioni nella seduta del 19 marzo 2008.

[67]    Si tratta, in particolare, dei seguenti provvedimenti:

-          Regolamento (CE) n. 1857/2006 della Commissione, del 15 dicembre 2006, relativo all’applicazione degli articoli 87 e 88 del Trattato CE agli aiuti di Stato a favore delle piccole e medie imprese attive nel settore della produzione di prodotti agricoli (regolamento cd. di esenzione, che autorizza gli Stati membri a concedere vari tipi di aiuti pubblici senza necessità di ottenere il nulla osta preventivo della Commissione Europea);

-          Orientamenti comunitari per gli aiuti di Stato nel settore agricolo e forestale 2007-2013.

[68]    Legge 27 dicembre 2006, n. 296, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007).

[69]    Legge 24 dicembre 2007, n. 244, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2008).

[70]  L'art. 5 della succitata legge regionale aveva istituito un regime di aiuti a favore di aziende agricole la cui situazione finanziaria fosse stata pregiudicata da circostanze avverse, sotto forma di concorsi negli interessi su mutui, al fine di consentire a tali aziende di ricostituire la loro liquidità. Le circostanze avverse che giustificavano l'intervento della Regione, la misura del finanziamento e la durata delle operazioni dovevano essere decise, di volta in volta, dalla Giunta regionale, la quale, nel corso di un decennio, per quattro volte ha deciso di fare ricorso a tale disposizione (dicembre 1988, giugno 1990, novembre 1990, giugno 1992).

      Tuttavia, con decisione del 16 aprile 1997, n. 612, la Commissione europea ha dichiarato che gli aiuti concessi dalla Regione erano illegali, in quanto concessi senza che la Commissione avesse potuto pronunciarsi al loro riguardo in fase di progetto, nonché incompatibili con il mercato comune. La Commissione ha inoltre imposto all'Italia di abolire i suddetti aiuti e di adottare le misure necessarie al fine di recuperare gli aiuti in questione, tramite rimborso. Con legge regionale 6 dicembre 1997, n. 13, la Regione Sardegna ha provveduto ad abrogare l'art. 5 della legge 44/1988. Successivamente, sono stati emanati i decreti di revoca degli aiuti già accordati.

      I beneficiari degli aiuti si sono rivolti al Tribunale di Cagliari per sentir dichiarare l'insussistenza dell'obbligo al rimborso. Il giudice adìto ha sospeso il giudizio e rimesso alla Corte di giustizia delle Comunità europee il vaglio della legittimità della decisione adottata dalla Commissione europea.

      Con sentenza del 23 febbraio 2006, la Corte del Lussemburgo ha confermato la validità della decisione impugnata.

[71]    L’emendamento con il quale la norma è stata introdotta durante l’esame al Senato presentava anche una parte consequenziale, recante una compensazione di 3 milioni di euro per il 2008 a valere sul Fondo speciale di parte corrente (accantonamento Ministero dell’economia). La lettura della norma tuttavia non consente di comprendere a quale dei possibili fattori di spesa connessi con l’attuazione della norma stessa sia riferita la suddetta compensazione. Per questa ragione durante l’esame in Assemblea alla Camera è stato presentato l’ordine del giorno 9/3256/5, accolto dal Governo, che impegna l’esecutivo “a dare applicazione alla citata disposizione nel senso di destinare le risorse indicate alla copertura finanziaria dei costi conseguenti alla sospensione dei giudizi, delle procedure di riscossione e di recupero e delle esecuzioni forzose, quali interessi ed altro, con esclusione delle possibilità di destinare risorse al funzionamento della commissione di esperti ivi prevista o alla corresponsione di compensi ai suoi componenti”.

[72]    Legge 27 dicembre 2006, n. 296, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007).

[73]    D.L. 28 maggio 1981, n. 251, Provvedimenti per il sostegno delle esportazioni italiane, convertito  con modificazioni dalla legge 29 luglio 1981, n. 394.

[74]    L’art. 4, commi 49 e seguenti, della legge finanziaria 2004 (Legge 24 dicembre 2003, n. 350, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2004) contiene disposizioni finalizzate a promuovere la produzione italiana (Made in Italy)e a tutelare i diritti di proprietà industriale e intellettuale delle imprese italiane sui mercati esteri.

[75]    Si tratta dello schema di D.Lgs. n. 235, con riferimento al quale è stato predisposto il dossier Studi Atti del Governo n. 204 del marzo 2008.

[76]    Legge 12 luglio 2006, n. 228, Conversione in legge, con modificazioni, del D.L. 12 maggio 2006, n. 173, recante proroga di termini per l’emanazione di atti di natura regolamentare. Ulteriori proroghe per l’esercizio di deleghe legislative e in materia di istruzione.

[77]    Sullo schema la Commissione agricoltura della Camera ha espresso nella seduta del 31 marzo 2008 un parere favorevolecon condizioni (tra le quali il recepimento di gran parte delle modifiche ed integrazioni proposte dalla Conferenza Stato-regioni) ed osservazioni. La Commissione agricoltura del Senato non ha invece espresso il parere, essendosi constatata nella seduta del 2 aprile 2008 la mancanza del numero legale.

[78]    D.L. 31 dicembre 2007, n. 248, Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e disposizioni urgenti in materia finanziaria, convertito con modificazioni dalla legge 28 febbraio 2008, n. 31.

[79]    L’Istituto per lo sviluppo agroalimentare (ISA) S.p.A. è una finanziaria per il settore agricolo, agro-industriale e agro-alimentare, istituita nell’ottobre 2004 allo scopo di subentrare nelle attività allora svolte nel settore da Sviluppo Italia, alla quale è stato pertanto attribuito il compito di assumere partecipazioni in società operanti in agricoltura e nell’agro-alimentare e di erogare assistenza e consulenza nel settore finanziario ad aziende e enti pubblici e privati.

[80]    La società per azioni Buonitalia, con sede legale a Roma, ha per oggetto la promozione e la valorizzazione della produzione agroalimentare italiana. Creata nel luglio 2003, ha avuto come soci il Ministero delle Politiche Agricole e Forestali, l’Ice (Istituto per il Commercio Estero), l’ISMEA (Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo Alimentare) e l’Unioncamere (Unione Italiana delle Camere di Commercio, Industria, Artigianato e Agricoltura). I suoi interlocutori operativi primari sono il Ministero degli Affari Esteri, il Ministero delle Attività Produttive, nonché le Regioni.

[81]    A livello internazionale l’Italia si è impegnata per il raggiungimento di una posizione chiara e unitaria della U.E., nell’ambito dei negoziati in seno all’Organizzazione mondiale del commercio (OMC), sulla difesa del sistema delle attestazioni di specificità europee e per il sostegno alla richiesta di introdurre una regolamentazione che conduca alla istituzione di un registro internazionale obbligatorio delle denominazioni di origine. Nonostante il fallimento del vertice di Cancun, uno dei principali obiettivi raggiunti in questo ambito è stato il riconoscimento, da parte degli organi arbitrali dell’OMC (attivati su ricorso di Australia e USA), della conformità del sistema europeo di protezione delle DOP e delle IGP (nel frattempo aperto a registrazioni di prodotti extra-UE con il Regolamento n. 892/2003) alle regole dell’OMC e alle esigenze dell’accordo TRIP’s.

[82]    Si veda al riguardo l’articolo di Paolo Borghi, “Il Made in Italy nella disciplina italiana e comunitaria, con particolare riferimento agli alimenti”, in Diritto & Diritti. Commentando la giurisprudenza della Corte in materia di DOP e IGP, nota come “Warsteiner”, dal caso della omonima birra tedesca, l’Autore infatti così conclude, sintetizzando l’orientamento che emerge dalla giurisprudenza medesima: “quasi a dire -o, almeno, così parrebbe- che per i prodotti appartenenti ai generi merceologici tutelabili con DOP e IGP l’ordinamento europeo non ammette forme di protezione della qualità geografica del prodotto diverse (parallele e/o concorrenti) con il sistema delle stesse DOP e IGP”.

[83]    Si veda al riguardo il dossier Studi progetti di legge n. 302 del gennaio 2008.

[84]    Si veda al riguardo il dossier Studi progetti di legge n. 107 del febbraio 2007.

[85]    Si veda al riguardo il dossier Studi progetti di legge n. 171 del maggio 2007.

[86]    Si tratta delle seguenti p.d.l.:

A.C. 1629, Lion, “Norme di principio e criteri di applicazione in materia di produzione biologica”;

A.C. 1695, Bellotti, “Disposizioni per la riorganizzazione e la promozione dell’agricoltura biologica”;

A.C. 2545, Lombardi, “Disciplina della coltivazione, della commercializzazione e della certificazione dei prodotti biologici”;

A.C. 2880, Delfino, “Disposizioni per lo sviluppo e la commercializzazione dei prodotti biologici e istituzione del Fondo nazionale per la ricerca e lo sviluppo dell’agricoltura biologica”. 

[87]    I quali si sono tradotti nel Regolamento (CE) n. 834/2007 del Consiglio del 28 giugno 2007 relativo alla produzione biologica e all'etichettatura dei prodotti biologici e che abroga il regolamento (CEE) n. 2092/91 [Gazzetta ufficiale L 189 del 20.7.2007].

[88]    Legge 27 dicembre 2006, n. 296, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007).

[89]    Reg. (CEE) n. 4045/89 del 21 dicembre 1989, Regolamento del Consiglio relativo ai controlli, da parte degli Stati membri, delle operazioni che rientrano nel sistema di finanziamento del fondo europeo agricolo di orientamento e di garanzia, sezione garanzia, e che abroga la direttiva 77/435/CEE.

[90]    Recante Interventi urgenti per i settori dell'agricoltura, dell'agroindustria, della pesca, nonché in materia di fiscalità d'impresa e convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, legge 11 marzo 2006, n. 81.

[91]    Decreto legge 28 febbraio 2005, n. 22 , Interventi urgenti nel settore agroalimentare, convertito in legge, con modificazioni dall’art. 1, L. 29 aprile 2005, n. 71.

[92]    Legge 24 dicembre 2007, n. 244, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2008).

[93]    D.L. 31-12-2007, n. 248, Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e disposizioni urgenti in materia finanziaria, convertito con modificazioni dalla legge 28 febbraio 2008, n. 31.

[94]    Tali modifiche, come si ricava dalla relazione al disegno di legge di conversione del D.L. n. 248, si ricollegano all’Ordine del giorno 9//3256/260, Di Gioia, presentato presso l’Assemblea della Camera in sede d’esame della legge finanziaria per il 2008, ed accolto il 15 dicembre 2007. Con tale atto si invitava il Governo a valutare la opportunità di una ulteriore trasformazione dell’Autorità in Agenzia allo scopo di rafforzarne le funzioni, ritenendo inadeguato l’assetto organizzativo previsto per l’Autorità  rispetto alle funzioni di consulenza scientifica ad essa attribuite.

[95]    Il testo originario del comma 356 recitava: “L’Autorità “si avvale di una sede referente operante nella città di Foggia”.

[96]    D.L. 31 gennaio 2007, n. 7, Misure urgenti per la tutela dei consumatori, la promozione della concorrenza, lo sviluppo di attività economiche, la nascita di nuove imprese, la valorizzazione dell’istruzione tecnico-professionale e la rottamazione di autoveicoli, convertito con modificazioni (anche del titolo) dalla legge 2 aprile 2007 n. 40.

[97]    A.C. 289 Bellotti; A.C. 1385 Dozzo; A.C. 1603 Lion; A.C. 1751 Servodio; A.C. 2301 Misuraca; A.C. 2749 D’Ulizia; A.C. 2792 Delfino.

[98]    Per l’esame delle proposte di legge è stato predisposto il dossier studi progetti di legge n. 67 del novembre 2006.  La commissione ha svolto numerose audizioni informali di associazioni di categoria ed esperti: il materiale da questi depositato è disponibile presso il Servizio Studi.

[99]    Legge 27 dicembre 2006, n. 296, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007).

[100]  D.L. 1° ottobre 2007, n. 159, Interventi urgenti in materia economico-finanziaria, per lo sviluppo e l’equità sociale, convertito con modificazioni dalla legge 29 novembre 2007, n. 222.

[101]  Legge 24 dicembre 2007, n. 244, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2008).

[102]Indagine conoscitiva sulle prospettive di sviluppo dell'uso di biomasse e di biocarburanti di origine agricola e sulle implicazioni per il comparto primario, deliberata nella seduta n. 33 del 22 Novembre 2006.

[103]  Per l’esame delle p.d.l. è stato predisposto il dossier Studi progetti di legge n. 95 del febbraio 2007.

[104]  D.L. 8 febbraio 1995, n. 32, Disposizioni urgenti per accelerare la concessione delle agevolazioni alle attività gestite dalla soppressa Agenzia per la promozione dello sviluppo nel Mezzogiorno, per la sistemazione del relativo personale, nonché per l’avvio dell’intervento ordinario nelle aree del territorio nazionale, convertito con modificazioni dalla legge 7 aprile 1995, n. 104.

[105]  Legge 24 dicembre 2007, n. 244, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2008).

[106]  Legge 27 dicembre 2006, n. 296, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007).

[107]  Legge 24 dicembre 2003, n. 350, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2004).

[108]  Legge 24 dicembre 2003, n. 350, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2004).

[109]  Legge 23 dicembre 2005, n. 266, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2006).

[110]  D.L. 31 dicembre 2007, n. 248, Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e disposizioni urgenti in materia finanziaria, convertito con modificazioni dalla legge 28 febbraio 2008, n. 31.

[111]  Art. 1, comma 1055, della legge n. 296/2006-finanziaria 2007.

[112]  D.L. 2 luglio 2007, n. 81, Disposizioni urgenti in materia finanziaria; la proroga è stata aggiunta dalla legge di conversione  3 agosto 2007, n. 127.

[113]  Legge 27 dicembre 2006, n. 296, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007).

[114]  D.Lgs. 28 agosto 1997, n. 281, Definizione ed ampliamento delle attribuzioni della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano ed unificazione, per le materie ed i compiti di interesse comune delle regioni, delle province e dei comuni, con la Conferenza Stato-città ed autonomie locali.

[115]  Il D.Lgs. 18 maggio 2001, n. 227, Orientamento e modernizzazione del settore forestale, a norma dell'articolo 7 della L. 5 marzo 2001, n. 5,  ha assegnato alle regioni il compito di redigere dei piani forestali diretti alla tutela, valorizzazione e sviluppo del territorio di competenza, sulla base delle linee guida emanate dai due dicasteri dell’agricoltura e dell’ambiente, “ciascuno per quanto di propria competenza”. Con il D.M. 16 giugno 2005 il Ministro dell’ambiente ha emanato le proprie Linee guida di programmazione forestale.

[116]  Legge 24 dicembre 2007, n. 244, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2008).

[117]  Si tratta dello schema di D.Lgs. n. 235, con riferimento al quale è stato predisposto il dossier Studi Atti del Governo n. 204 del marzo 2008.

[118]  Legge 12 luglio 2006, n. 228, Conversione in legge, con modificazioni, del D.L. 12 maggio 2006, n. 173, recante proroga di termini per l’emanazione di atti di natura regolamentare. Ulteriori proroghe per l’esercizio di deleghe legislative e in materia di istruzione.

[119]  Sullo schema la Commissione agricoltura della Camera ha espresso nella seduta del 31 marzo 2008 un parere favorevole con condizioni (tra le quali il recepimento di gran parte delle modifiche ed integrazioni proposte dalla Conferenza Stato-regioni) ed osservazioni. La Commissione agricoltura del Senato non ha invece espresso il parere, essendosi constatata nella seduta del 2 aprile 2008 la mancanza del numero legale.

[120]  Si ricorda che, in via generale, l’art. 2, comma 2, del D.Lgs. n. 227/2001 prevede che ciascuna Regione stabilisca per il proprio territorio la definizione di bosco.

[121]  L’articolo 3 del D.Lgs. n. 227/2001 pone in connessione e raccorda gli strumenti di pianificazione nazionale con quelli regionali.

      In accordo con la competenza primaria delle regioni in tema di foreste, ad esse spetta la definizione sul rispettivo territorio dei Piani forestali, volti alla tutela, conservazione, valorizzazione e sviluppo del settore. Ad esse spetta anche il periodico riesame o revisione dei piani, nonché il controllo sulla loro applicazione.

      La pianificazione regionale deve tuttavia essere svolta in coerenza con le direttrici individuate a livello nazionale nei seguenti documenti:

-        le linee guida emanate, per quanto di rispettiva competenza, dal Ministero agricolo (che deve indicare le scelte di politica agricola, agroindustriale e forestale in coerenza con quella comunitaria) e da quello ambientale (che deve identificare le linee fondamentali per l’assetto del territorio nazionale);

-        le indicazioni, alla cui elaborazione il Governo è tenuto in forza della legge n. 499/1999, nota come nuova legge pluriennale, e che avrebbero dovuto essere definite entro trenta giorni dalla entrata in vigore della stessa L. n. 499.

      Nella sua attività di indirizzo e coordinamento il Governo si deve ispirare a quanto definito:

-        in sede di accordi internazionali nonché della Comunità Europea;

-        nel Documento di programmazione economico-finanziaria DPEF;

-        nella Piattaforma programmatica di politica agricola nazionale;

      In proposito la disposizione in commento, con ciò integrando quanto precedentemente disposto, aggiunge che i citati documenti di indirizzo dovranno essere integrati da specifiche linee di politica forestale nazionale, che consentano fondamentalmente di procedere:

-        ad una ricognizione delle attuali condizioni del bosco italiano, inclusi gli aspetti relativi alla biodiversità;

-        ad una definizione delle linee strategiche degli interventi, in coerenza con le indicazioni ed i criteri elaborati a livello internazionale, con la relativa previsione di spesa.

      Con il D.M. 16 giugno 2005 il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio ha adottato, per quanto di sua competenza, le previste linee guida di programmazione forestale.

[122]  R.D. 30 dicembre 1923, n. 3267, Riordinamento e riforma della legislazione in materia di boschi e di territori montani.

[123]  D.Lgs. 26 maggio 2004, n. 154, Modernizzazione del settore della pesca e dell’acquacoltura, a norma dell’articolo 1, comma 2, della L. 7 marzo 2003, n. 38.

[124]  Legge 27 dicembre 2006, n. 296, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007).

[125]  Legge 24 dicembre 2007, n. 244, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2008).

[126]L. 17 febbraio 1982 n. 41, Piano per la razionalizzazione e lo sviluppo della pesca marittima.

[127]  D.L. 2 luglio 2007, n. 81, Disposizioni urgenti in materia finanziaria, convertito con modificazioni dalla legge 3 agosto 2007, n. 127.

[128]  D.L. 1 ottobre 2007, n. 159, Interventi urgenti in materia economico-finanziaria, per lo sviluppo e l’equità sociale, convertito con modificazioni dalla legge 29 novembre 2007, n. 222.

[129]       Gli aiuti in questione sono i seguenti:

§       aiuti alla ricapitalizzazione delle cooperative della pesca (art. 1, lettera d), del D.L. n. 561/94, attuato dai decreti ministeriali 12 gennaio e 21 luglio del 1995);

§       agevolazioni contributive in favore delle imprese operanti nei territori di Venezia e di Chioggia previste dall’articolo 5-bis del D.L. 96 del 1995, convertito dalla L. 206 del 1995, e dall’art. 27 del D.L. 669 del 1996, convertito dalla L. 30 del 2007, che ha esteso a tali imprese gli sgravi contributivi previsti per le aree del Mezzogiorno di cui all’articolo 1 del D.M. 5 agosto 1994.

[130]Contestualmente alla proposta di regolamento, la Commissione ha presentato la relativa valutazione di impatto (SEC(2007)893).

[131]La Commissione ha presentato, il 10 aprile 2007, una relazione sul controllo dell’applicazione della pesca da parte degli Stati membri nel periodo 2003-2005 nella quale vengono raccomandate alcune misure prioritarie da attuare a breve termine per il miglioramento dell’esecuzione e della conformità delle attività di controllo.

[132]  L’acquacoltura è l’allevamento di organismi acquatici tra cui pesci, molluschi, crostacei e piante acquatiche. Il comparto dell'acquacoltura dell'Unione allargata (UE a 25) genera un totale di 1,3 milioni di tonnellate di prodotti ittici all'anno per un importo di circa 3 miliardi di euro, che rappresentano circa un terzo del valore totale della produzione ittica comunitaria e circa un quinto del suo volume. Nel settore sono occupate circa 80 mila persone.

[133]Raccomandazione della Commissione, del 6 maggio 2003, relativa alla definizione delle microimprese, piccole e medie imprese, GUCE L 124/2003.

[134]  Orientamenti comunitari per gli aiuti di Stato nel settore agricolo e forestale 2007-2013, GU C 319 del 27 dicembre 2006.

[135]Orientamenti per l’esame degli aiuti di  Stato nel settore della pesca e dell’acquacoltura, GU C 229 del 14 settembre 2004.

[136]Regolamento della Commissione relativo all'applicazione degli articoli 87 e 88 del trattato CE agli aiuti di Stato a favore delle piccole e medie imprese.

[137]Orientamenti in materia di aiuti di Stato a finalità regionale (GUUE C 74 del 1998), cui ha fatto seguito la Comunicazione della Commissione - Revisione degli orientamenti in materia di aiuti di Stato a finalità regionale per il periodo successivo al 1° gennaio 2007 (GUUE C 110 del 2003) v. scheda Aiuti di Stato a finalità regionale, nel dossier relativo alla Commissione bilancio.

[138]Reg. (CE) 5 dicembre 2002, n. 2204/2002, Regolamento della Commissione relativo all'applicazione degli articoli 87 e 88 del trattato CE agli aiuti di Stato a favore dell'occupazione.

[139]Nella quale la ripartizione è stata la seguente: Asse I 47%; Asse II 41%; Asse III 12%.

[140]Per il programma si veda il sito

      http://www.politicheagricole.gov.it/NR/rdonlyres/eloqebvzirunxqt4egapurx76ow4soytmcgao6ua4rssgbwz74qv4w2v3y4i2fzjgfme3lmciwyt6ftm7wjniax4rab/20070605_SR_RRN_programma.pdf

[141]Al seguente indirizzo: http://www.politicheagricole.it/SviluppoRurale/default.

[142]  Reg. (CE) n. 318/2006 del 20 febbraio 2006, Regolamento del Consiglio relativo all'organizzazione comune dei mercati nel settore dello zucchero.

[143]  Reg. (CE) n. 319/2006 del 20 febbraio 2006, Regolamento del Consiglio recante modifica del regolamento (CE) n. 1782/2003 che stabilisce norme comuni relative ai regimi di sostegno diretto nell'ambito della politica agricola comune e istituisce taluni regimi di sostegno a favore degli agricoltori.

[144]  Reg. (CE) n. 320/2006 del 20 febbraio 2006, Regolamento del Consiglio relativo a un regime temporaneo per la ristrutturazione dell'industria dello zucchero nella Comunità e che modifica il regolamento (CE) n. 1290/2005 relativo al funzionamento della politica agricola comune

[145] Va rilevato che il regolamento n. 318/2006 viene abrogato a decorrere dal 1° ottobre 2008 dell’art. 201 del Reg. (CE) n. 1234/2007 “recante organizzazione comune dei mercati agricoli e disposizioni specifiche per taluni prodotti agricoli (regolamento unico OCM)”. Con il nuovo provvedimento sono disposte le norme di semplificazione del primo pilastro della PAC, riducendo ad unità la disciplina relativa alle 21 OCM in precedenza esistenti (con la esclusione del settore ortofrutticolo e del vitivinicolo) ed a numerosi altri prodotti non inseriti in una OCM.

[146]  Reg. (CE) n. 319/2006 del 20 febbraio 2006, Regolamento del Consiglio recante modifica del regolamento (CE) n. 1782/2003 che stabilisce norme comuni relative ai regimi di sostegno diretto nell'ambito della politica agricola comune e istituisce taluni regimi di sostegno a favore degli agricoltori.

[147]  L’aiuto temporaneo è definito all’art. 110-octodecies del regolamento 1782/2003 introdotto dall’articolo 1 punto 15) del regolamento n. 319/2006.

[148]D.L. 10-1-2006 n. 2 “Interventi urgenti per i settori dell'agricoltura, dell'agroindustria, della pesca, nonché in materia di fiscalità d'impresa”, convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, L. 11 marzo 2006, n. 81.

[149]  L’Istituto per lo sviluppo agroalimentare (ISA) S.p.A, istituito nell’ottobre 2004, è la finanziaria per il settore agricolo e dell’industria alimentare, con il compito di assumere partecipazioni in società operanti in agricoltura e nell’agro-alimentare e di erogare assistenza e consulenza nel settore finanziario ad aziende e enti pubblici e privati.

[150]  L'Agenzia per le erogazioni in agricoltura (AGEA) è stata istituita con D.lgs. 27 maggio 1999, n. 165. Nel quadro della normativa comunitaria, l’Agenzia, secondo gli indirizzi del Ministro per le politiche agricole, svolge il ruolo di organismo di intervento dello Stato italiano per l'attuazione degli interventi di mercato comunitari. Sul piano della normativa nazionale, sempre sulla base degli indirizzi del Ministro per le politiche agricole, sono assegnati all’Agenzia i compiti precedentemente svolti dall’A.I.M.A., consistenti in interventi sul mercato nazionale, d’intesa con la Conferenza Stato-Regioni, per sostenere quei comparti in esubero produttivo e per eseguire le forniture di prodotti agro-alimentari per gli aiuti alimentari e la cooperazione economica disposte dallo Stato italiano. L'Agenzia presenta annualmente al Ministro per le politiche agricole e forestali, che ne informa il Parlamento, una relazione sull'attività svolta, contenente l'ammontare delle somme erogate e l'indicazione degli interventi effettuati

[151]  Protocollo quadro nazionale per il settore industriale saccarifero dell’8 febbraio 2006.

[152]Regolamento (CE) n. 1182/2007 del Consiglio del 26 settembre 2007, Recante norme specifiche per il settore ortofrutticolo, recante modifica delle direttive 2001/112/CE e 2001/113/CE e dei regolamenti (CEE) n. 827/68, (CE) n. 2201/96, (CE) n. 2826/2000, (CE) n. 1882/2003 e (CE) n. 318/2006 e cha abroga il regolamento (CE) n. 2202/96.  

[153]Dati tratti dal Programma dell’indagine conoscitiva sul “sistema di produzione ortofrutticolo del mezzogiorno”, approvato dalla Commissione Agricoltura della Camera il 25 ottobre 2006, Allegato 3.

[154] Per quanto riguarda l’offerta della frutta fresca nazionale, i dati forniti dall’ISMEA, riferiti al 2006, indicano che le OP rappresentano poco meno del 30% delle superfici investite e del valore della produzione.

[155]  D.L. 1° ottobre 2007, n. 159, Interventi urgenti in materia economico-finanziaria, per lo sviluppo e l’equità sociale, convertito con modificazioni dalla legge 29 novembre 2007, n. 222.

[156]Merita segnalare che l’attività parlamentare ha completato quella del Governo che con il D.M. 22 marzo 2007 (modificato  dal D.M. dal D.M. 14 settembre 2007) ha dettato le disposizioni per una ricognizione delle aziende ortofrutticole in vista della riforma della OCM, e con il D.M. 27 marzo 2007 ha aggiornato il manuale operativo sulle procedure per i controlli sulla qualità dei prodotti.

      Da ultimo, il Ministero delle politiche agricole con il DM 27 marzo 2008, Disposizioni per l'erogazione di un aiuto di Stato a sostegno del settore della trasformazione del pomodoro per la campagna di commercializzazione 2007/2008 (GU n. 92 del 18/4/2008), ha destinato i 10 meuro stanziati dal D.L. n. 159 ad integrazione dell’aiuto ai produttori di pomodoro conferito alla trasformazione, autorizzando l’AGEA a corrisponderli entro il 14 giugno 2008.

[157]Legge 27 dicembre 2006, n. 296, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007).

[158]  D.L. 15 febbraio 2007, n. 10, Disposizioni volte a dare attuazione ad obblighi comunitari ed internazionali, convertito con modificazioni dalla legge 6 aprile 2007, n. 46.

[159]  Qualsiasi nuovo impianto è stato vietato dall’art. 6 del reg. 822/87 sino al 31/8/2000.

[160]  L’articolo 3 del regolamento 1492 concede agli Stati membri di attribuire diritti di nuovo impianto esclusivamente :

a)       nell'ambito di misure di ricomposizione o di esproprio per motivi di pubblica utilità, adottate in applicazione della normativa nazionale,

b)       a scopo di sperimentazione viticola,

c)       per coltivare piante madri per marze.

[161]D.M. 31 luglio 2006, Disposizioni di attuazione della normativa comunitaria concernente l'organizzazione comune di mercato (OCM) del vino, ai sensi dell'articolo 10, commi 1 e 2, dell'articolo 11, dell'articolo 14, commi 5, 8 e 24, della L. 20 febbraio 2006, n. 82 (GU 10 agosto 2006, n. 185).

[162]D.M. 31 luglio 2006, Disposizioni di attuazione della normativa comunitaria concernente l'organizzazione comune di mercato (OCM) del vino, ai sensi degli articoli 6, comma 1, lettera g), e 8, comma 1, primo periodo, della L. 20 febbraio 2006, n. 8. (GU 10 agosto 2006, n. 185).

[163]D.M. 17 marzo 2008, Disposizioni inerenti la ripartizione tra le regioni e le province autonome delle risorse finanziarie e degli ettari oggetto del regime di ristrutturazione e riconversione dei vigneti per la campagna 2007/2008 di cui al regolamento CE n. 1493/99  (GU 31 marzo 2008, n. 7).

[164]La riforma della legge n. 164/1992 è stata in precedenza più volte oggetto di esame parlamentare. Da ultimo, nella XIV legislatura, la Commissione Agricoltura della Camera aveva avviato il 31 maggio 2005 l’esame di un disegno di legge governativo (A.C. 5768), in relazione al quale era stata svolta anche una ampia attività conoscitiva.

[165]Decreto del Ministero dell’agricoltura e delle foreste del 22 aprile 1992, Elementi da includere facoltativamente nei disciplinari di produzione dei vini D.O.C.G. e D.O.C.

[166]  Controllo sulla produzione dei vini di qualità prodotti in Regioni determinate(VQPRD).

[167]Si tratta dello schema di D.Lgs. n. 235, con riferimento al quale è stato predisposto il dossier Studi Atti del Governo n. 204 del marzo 2008.

[168]Legge 12 luglio 2006, n. 228, Conversione in legge, con modificazioni, del D.L. 12 maggio 2006, n. 173, recante proroga di termini per l’emanazione di atti di natura regolamentare. Ulteriori proroghe per l’esercizio di deleghe legislative e in materia di istruzione.

[169]COM(2007)372.

[170]Il 29 giugno 2007 la Commissione ha presentato una relazione (COM(2007)370) sulla gestione dei diritti di impianto a decorrere dal 1° agosto 2000.

[171]La condizionalità è uno degli elementi qualificanti della riforma della politica agricola comune (PAC), approvata nel 2003, ed ha il duplice obiettivo di aumentare la sostenibilità dell’agricoltura e di rendere la PAC più rispondente alle aspettative dei consumatori. Essa consiste nella possibilità di decurtare, in tutto o in parte, i pagamenti diretti, erogati dall’UE all’agricoltore, in caso di mancata osservanza di specifiche norme. Tali norme sono relative, da un lato, a criteri di gestione obbligatori, in materia di tutela della salute pubblica, della sanità delle piante e degli animali, del benessere degli animali e di tutela dell’ambiente; dall’altro, al mantenimento di buone condizioni agronomiche ambientali, come la protezione del suolo dall’erosione e dalla perdita di sostanze organiche e come il mantenimento degli habitat. I criteri di gestione obbligatori poggiano su 18 testi legislativi elencati nell’allegato III del regolamento (CE) n. 1782/2003, mentre spetta agli Stati membri definire le norme minime nell’ambito delle buone condizioni agronomiche in base a un quadro comunitario.

[172]In relazione alla indagine è stato predisposto il dossier Studi documentazione e ricerche n. 96 del luglio 2007, Indagine conoscitiva sul settore vitivinicolo.

[173] Lo stesso D.L. n. 181/2006, all’art. 1, comma 9-ter, ha poi riattribuito al MIPAAF le competenze in materia di “registrazione a livello internazionale di marchi associati ai segni identificativi delle produzioni di origine nazionale e la loro tutela giuridica internazionale”, che l’articolo 17 del decreto legislativo n.99 del 2004 assegnava alla società per azioni Buonitalia.

[174]Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007).

[175]  La relazione illustrativa dello schema di regolamento in esame riconduce le modifiche introdotte nella struttura organizzativa del MIPAAF anche alle ulteriori misure previste dalla legge finanziaria 2007 in materia di supporto alle filiere innovative ed agroenergetiche, alla internazionalizzazione delle imprese agricole ed alimentari, alla multifunzionalità in agricoltura, alla tutela della qualità e del consumatore; misure tutte che, come afferma la relazione citata, “necessitano di un supporto amministrativo forte ed innovativo”.

[176]  Per l’esame del quale è stato predisposto il dossier Studi Atti del governo n. 155 dell’ottobre 2007.

[177]D.Lgs. 30 luglio 1999 n. 300, Riforma dell'organizzazione del Governo, a norma dell'articolo 11 della L. 15 marzo 1997, n. 59.

[178]  Il previgente Regolamento di organizzazione del MIPAAF (D.P.R. n. 79/2005) non trattava infatti dell’Ispettorato.

[179]A livello periferico l‘Ispettorato si articola invece in uffici e laboratori di livello dirigenziale non generale.

[180]Definito dall’art. 2 del D.L. 9 settembre 2005, n. 182, convertito con modificazioni dalla legge 11 novembre 2005, n. 231, che prevede due direzioni generali:

Direzione generale della programmazione, del coordinamento ispettivo e dei laboratori di analisi;

Direzione generale delle procedure sanzionatorie, degli affari generali, del personale e del bilancio.

[181]  D.Lgs. 7 maggio 1948, n. 1235, Ordinamento dei Consorzi agrari e della Federazione italiana dei Consorzi agrari.

[182]  Legge 28 ottobre 1999, n. 410, Nuovo ordinamento dei consorzi agrari.

[183]  D.L. 18 maggio 2006 n. 181, Disposizioni urgenti in materia di riordino delle attribuzioni della Presidenza del Consiglio dei Ministri e dei Ministeri, convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, L. 17 luglio 2006, n. 233.

[184] In merito, era stato posto in rilievo che, in nome del carattere privato dei consorzi, fosse limitata l’applicazione del principio della «porta aperta», ossia della “non limitazione” alle adesioni, a fronte di una disposizione come quella dell’art. 2 del decreto n. 1235 del 1948 che attribuiva loro una finalità generale, quale quella di contribuire all’incremento e al miglioramento della produzione agricola, perseguibile anche con contribuzioni statali. La natura pubblicistica dei consorzi era peraltro confermata dalle c.d. gestioni speciali loro affidate, la più importante delle quali era l’ammasso del grano, ma che riguardavano anche l’attribuzione di fondi di rotazione, il varo di provvedimenti a favore di territori montani, piani verdi, distribuzione di carburante per uso agricolo a prezzo agevolato, concessione di credito agrario d’esercizio in natura.

[185]  D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, Riforma organica della disciplina delle società di capitali e delle società cooperative, in attuazione della legge 3 ottobre 2001, n. 366.

[186]Legge 3 ottobre 2001, n. 366, Delega al Governo per la riforma del diritto societario. Tale esclusione, che riguardava inizialmente anche la banche popolari e quelle di credito cooperativo, è stata puntualmente recepita nelle Disp per l'attuaz. del C.C. e disp. Transitorie, art. 223-terdecies, co. 2 (di attuazione della delega), che avrebbe consentito di applicare ai CAP la disciplina vigente anteriormente alla entrata in vigore della riforma del diritto societario, senza alcuna necessità di adeguamento statutario alle nuove disposizioni codicistiche.

[187]In conseguenza della implicita abrogazione dell’art. 223-terdecies delle disp.att.c.c., e dei compiti tuttora assegnati ai CAP con l’art. 2 della legge n. 410, per gli stessi sarebbe di fatto preclusa la possibilità di rientrare fra le cooperative a mutualità prevalente di cui all’art. 2512. c.c. – ovvero che svolgono la loro attività prevalentemente in favore dei soci, si avvalgono prevalentemente delle prestazioni lavorative dei soci, si avvalgono prevalentemente degli apporti di beni o servizi da parte dei soci – e conseguentemente beneficiare delle agevolazioni fiscali loro concesse. E’ stato rilevato che per ovviare a tale distorsione, che penalizzerebbe i consorzi agrari nei confronti delle cooperative dello stesso settore, sarebbe stato necessario, all’atto della riconduzione dei consorzi nell’alveo delle società cooperative, includere i CAP nelle disp.att.c.c. art. 111-septies., che ope legis attribuisce la mutualità prevalente a talune tipologie di cooperative, indipendentemente dai requisiti di cui all'articolo 2513 del codice.

[188]  D.Lgs. 1 settembre 1993, n. 385, Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia.

[189]  Tale agevolazione è disposta nel DM 20 agosto 1992 di approvazione della tariffa dell’imposta di bollo che nella  parte I, art. 6, in luogo dell’ordinario 12 per mille, dovuto per le cambiali, richiede lo 0,1 per mille per quelle agrarie.

[190]  Invero Il testo originario della legge n. 410 attribuiva al solo ministro agricolo le decisioni in merito alla liquidazione del CAP; è solo a seguito delle modifiche apportate dall’art. 88 delle legge n. 289/2002 - Finanziaria per il 2003, che la competenza viene trasmessa al dicastero delle attività produttive, conservando in capo al Ministro delle politiche agricole una mera funzione di concertazione.

[191]Decreto legislativo 2 agosto 2002, n. 220, Norme in materia di riordino della vigilanza sugli enti cooperativi, ai sensi dell'articolo 7, comma 1, della L. 3 aprile 2001, n. 142, recante: “Revisione della legislazione in materia cooperativistica, con particolare riferimento alla posizione del socio lavoratore”.

[192]L’articolo 12 del decreto legislativo n. 220 prosegue richiedendo che i sopraelencati provvedimenti sanzionatori siano adottati previa consultazione della Commissione centrale per le cooperative, e che gli enti cooperativi che si sottraggono all’attività di vigilanza o non rispettino le finalità mutualistiche siano cancellati dall’albo nazionale degli enti cooperativi con conseguente perdita dei benefici connessi all’iscrizione. E’ infine precisato, come sarà poi ribadito dal decreto legge 181, che i provvedimenti di cui al primo comma - relativi alle operazioni di liquidazione e gestione commissariale, di scioglimento o sostituzione dei liquidatori - se assunti nei confronto di Consorzi agrari debbono essere adottati dal dicastero delle attività produttive con il concerto del ministero dell’agricoltura.

[193]  A norma dell'articolo 2540 del codice civile, la liquidazione coatta amministrativa è una misura che l'autorità governativa può disporre nel caso in cui le attività della società (anche se già posta in liquidazione) non risultino sufficienti al pagamento dei debiti.

[194]  Le modalità per l’esercizio della prelazione sono quelle dell’art. 38 del D.L. n. 392/78 e cioè l'avente diritto deve attivarsi entro sessanta giorni dalla ricezione della comunicazione, con atto notificato a mezzo di ufficiale giudiziario, ed offrendo condizioni uguali a quelle comunicategli.

[195]  In merito a quest’ultima disposizione è bene ricordare che la fusione delle società cooperative è regolata dagli artt. da 2501 a 2504 del codice civile che disciplinano le forme e i modi della fusione e l’opposizione dei creditori. Relativamente a quest’ultimo aspetto, il codice prevede che la fusione possa essere effettuata solo dopo tre mesi dall’iscrizione delle deliberazioni delle società interessate, salvo che consti il consenso dei creditori. E’ inoltre espressamente disposto dall’art. 2504 l’assunzione della società incorporante di tutti i diritti e obblighi delle società estinte.

[196]Il termine che la legge n. 410/1999 aveva inizialmente posto per la revoca era di trentasei mesi dalla data di entrata in vigore della stessa. Tale termine originario è stato procrastinato con l'articolo 52, comma 33, della legge 28 dicembre 2001, n. 448 (legge finanziaria per il 2002); con l'articolo 10 del decreto-legge 24 giugno 2003, n. 147 (convertito, con modificazioni, dalla legge n. 200/2003); e infine con l’art. 12 del decreto legge n. 266/2004 (convertito, con modificazioni, dalla legge n. 306/2004).

[197]Decreto legge 9 novembre 2004, n. 266, Proroga o differimento di termini previsti da disposizioni legislative, convertito con modificazioni dalla legge n. 306/2004, e successivamente modificato dall'art. 27, D.L. n. 273/2005, come modificato dalla relativa legge di conversione.

[198]  D.L. 30 dicembre 2005, n. 273, Definizione e proroga di termini, nonché conseguenti disposizioni urgenti.

[199]  Per tale sostituzione è fatto richiamo all'art. 2543 del codice civile, che la prevede nel caso di irregolare funzionamento delle società cooperative. La nomina del commissario governativo deve essere finalizzata ad assicurare la efficiente gestione del consorzio e la ricostituzione ordinaria degli organi sociali anche modificando le norme statutarie, conformemente agli scopi, anche pubblicistici, assegnati ai Consorzi agrari.

[200]  Per tutti gli altri consorzi commissariati è disposto il ritorno in bonis e la cessazione dall’incarico entro il 31 dicembre 2006 degli attuali commissari con la ricostituzione degli organi statutari.

[201]  Legge 27 dicembre 2006, n. 296, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007).

[202]  D.L. 31 dicembre 2007, n. 248, Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e disposizioni urgenti in materia finanziaria, convertito con modificazioni dalla legge 28 febbraio 2008, n. 31.

[203]R.D. 16 marzo 1942, n. 267, Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell'amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa”, che a decorrere dal 1° gennaio 2008 si applica nella versione integrata e corretta dal D.Lgs. 12 settembre 2007, n. 169.

[204]L. 27 dicembre 1953, n. 959, Norme modificatrici del T.U. delle leggi sulle acque e sugli impianti elettrici.

[205]  R.D. 13 febbraio 1933, n. 215, Nuove norme per la bonifica integrale.

[206]R.D. 11 dicembre 1933, n. 1775, Testo unico delle disposizioni di legge sulle acque ed impianti elettrici.

[207]Legge 25 luglio 1952, n. 991, Provvedimenti in favore dei territori montani.

[208]  D.Lgs. 27 giugno 1999, n. 165, Soppressione dell'AIMA e istituzione dell'Agenzia per le erogazioni in agricoltura (AGEA), a norma dell'articolo 11 della L. 15 marzo 1997, n. 59, in attuazione anche del D.Lgs. 4 giugno 1997, n. 143 di conferimento alle regioni delle funzioni amministrative in materia di agricoltura e pesca e riorganizzazione dell'Amministrazione centrale.

[209]  D.Lgs. 15 giugno 2000, n. 188, Disposizioni correttive e integrative del D.Lgs. 27 maggio 1999, n. 165, recante soppressione dell'AIMA e istituzione dell'Agenzia per le erogazioni in agricoltura (AGEA), a norma dell'articolo 11 della L. 15 marzo 1997, n. 5.

[210]  D.L. 22 ottobre 2001, n. 381, Disposizioni urgenti concernenti l'Agenzia per le erogazioni in agricoltura (AGEA), l'anagrafe bovina e l'Ente irriguo umbro-toscano.

[211]L. 15 marzo 1997, n. 59, Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e per la semplificazione amministrativa.

[212]  Questa norma è stata introdotta dal D.Lgs. 188/2000, allo scopo di eliminare la problematica coesistenza di due diversi soggetti (AGEA e AIMA in liquidazione), entrambi operanti come organismi pagatori ed entrambi pertanto presenti in sede comunitaria. In precedenza, il decreto legislativo n. 165/99 stabiliva che fino alla data di riconoscimento dell'Agenzia come organismo pagatore, l'Aima in liquidazione avrebbe continuato ad erogare gli aiuti comunitari per le campagne in corso e per quelle precedenti nonché a svolgere i compiti di organismo di interventi nel mercato agricolo.

      La istituzione di “organismi pagatori”, servizi e organismi nazionali per il pagamento delle spese disposte dal FEOGA sezione garanzia, ovvero delle restituzioni all’esportazione e degli interventi per la regolarizzazione dei mercati agricoli, è stata prevista dal primo regolamento (CEE) sul finanziamento della politica agricola comune (reg. 729/70). A tale provvedimento, abrogato già nel 1999, si è sostituito il Reg. (CE) 21 giugno 2005, n. 1290/2005 che tra le spese finanziate dai due fondi FEAGA e FEASR – che hanno sostituito le precedenti due sezioni del FEOGA - include anche i pagamenti diretti previsti dalla PAC e le misure di sviluppo rurale. La disciplina comunitaria prevede anche misure atte a prevenire e perseguire ogni irregolarità, e procedere al recupero delle somme irregolarmente percepite dal FEOGA; tali misure richiedono che i servizi deputati ai pagamenti godano di un riconoscimento ufficiale, che può essere concesso dallo Stato membro solo in presenza di adeguate garanzie (enumerate all’art. 6, par. 1). In presenza di più organismi pagatori, doveva essere designato un organismo di coordinamento.

E’ fondamentale rilevare che solo le spese effettuate dagli organismi pagatori riconosciuti possono ottenere il finanziamento comunitario (art.10).

[213]D.L. 22 ottobre 2001, n. 381, Disposizioni urgenti concernenti l’Agenzia per le erogazioni in agricoltura (AGEA), l’anagrafe bovina e l’Ente irriguo umbro-toscano, convertito con modificazioni dalla legge 21 dicembre 2001, n. 441.  

[214]  L'organismo di coordinamento è il soggetto che, ai sensi del Regolamento CE n. 1295/2005, art.6 pare.3, è chiamato, nel caso in cui uno Stato membro designi più organismi pagatori, a centralizzare le informazioni destinate alla Commissione europea, riguardanti in particolare le dichiarazioni di spesa che valgono come domanda di pagamento, le previsioni di spesa per le operazione finanziate dal FEAGA e la stima del fabbisogno finanziario per il FEASR (art. 8). L’organismo di coordinamento promuove l’applicazione armonizzata delle norme comunitarie.

[215]Il D.M. 12 ottobre 2000, Criteri per la determinazione del numero e delle modalità di riconoscimento degli organismi pagatori, stabilisce che gli organismi regionali non possano essere più di 22 e sono sottoposti alla vigilanza e coordinamento dell’AGEA.

      In merito l’art.6 par e del reg. (CE) n. 1290/2005 ha richiesto agli Stati membri, tenuto conto del proprio ordinamento costituzionale, di limitare il numero degli organismi pagatori per garantire la trasparenza dei controlli nazionali sulle procedure di autorizzazione, convalida e pagamento (4° considerando).

Con D.M. 14 dicembre 2001 (Gazz. Uff. 21 dicembre 2001, n. 296) sono state stabilite le modalità per l'accreditamento delle somme destinate agli aiuti comunitari sui conti infruttiferi intestati agli organismi pagatori regionali.

[216]Per quanto riguarda il riconoscimento degli organismi pagatori, in adempimento delle disposizioni comunitarie che richiedono agli Stati membri di  designare una autorità a livello ministeriale competente per il rilascio ed il ritiro del riconoscimento, con il DM 20/10/2006 (GU n. 1/07) è stato designato il Dipartimento delle filiere agricole ed agroalimentari - Direzione generale delle politiche agricole.

      Con successivo DM del 31 ottobre 2006 (GU n. 1/2007) l’AGEA è stata riconosciuta dallo Stato italiano “Organismo di coordinamento”, anche ai sensi del nuovo regolamento 1290/05 (art.6, par.3)

[217]  Con decreto del MIPAF 27 marzo 2001 sono stati fissati i requisiti minimi di garanzia e funzionamento per le attività dei centri autorizzati di assistenza agricola.

[218]L’art. 1-bis, comma 3 del D.L. 10 gennaio 2006, n. 2, Interventi urgenti per i settori dell’agricoltura, dell’agroindustria, della pesca, nonché in materia di fiscalità d’impresa, convertito con modificazioni dalla legge 11 marzo 2006, n. 81, ha destinato alla realizzazione dei compiti che l’art. 4 del D.lgs n. 165/99 attribuisce all’AGEA, tutte le risorse già attribuite all’Agenzia dalla seguente legislazione:

-          art. 10, co. 20 e 21 del DL 28 marzo 2003, n. 49, Riforma della normativa in tema di applicazione del prelievo supplementare nel settore del latte e dei prodotti lattiero-caseari, convertito con modificazioni dalla legge 30 maggio 2003, n. 119. I fondi attribuiti erano destinati alla realizzazione di un programma di abbandono totale della produzione lattiera, e all’attuazione di un regime di aiuti per la riconversione delle aziende zootecniche da latte in aziende estensive ad indirizzo carne o ad indirizzo latte non bovino;

-          art. 2, co. 1 e 2, del D.L. 24 luglio 2003, n. 192, Interventi urgenti a favore del comparto agricolo colpito da eccezionali avversità atmosferiche e dall'emergenza diossina nella Campania, convertito con modificazioni dalla legge 24 settembre 2003, n. 268, che ha disposto misure in favore delle imprese di allevamento di bovini, bufalini e ovini colpite da contaminazione della diossina;

-          art. 1, co. 1  del D.L. 28 febbraio 2005, n. 22,  Interventi urgenti nel settore agroalimentare, convertito con modificazioni dalla legge 29 aprile 2005, n. 71, che ha attribuito al Commissario ad acta per le attività in materia agricola per le aree ex mezzogiorno la possibilità di definire interventi a sostegno di produzioni agricole colpite da crisi di mercato, attraverso specifiche convenzioni con l'Agenzia per le erogazioni in agricoltura (AGEA);

-          art. 1, co. 1-2 e 5, art. 1-bis e art. 5-bis delD.L. 9 settembre 2005,  n. 182, Interventi urgenti in agricoltura e per gli organismi pubblici del settore, nonché per contrastare andamenti anomali dei prezzi nelle filiere agroalimentari, convertito con modificazioni dalla legge 11 novembre 2005, n. 231; il richiamato decreto ha disposto aiuti de minimis in favore delle aziende colpite da calamità nel corso del 2005, nonché forme di sostegno dei produttori di vino e di uva da tavola colpiti da sovraproduzione;

-          art. 5  del D.L. 1 ottobre 2005, n. 202, Misure urgenti per la prevenzione dell’influenza aviaria, convertito con modificazioni dalla legge 30 novembre 2005, n. 244, che ha autorizzato l’Agea ad acquistare carni avicole congelate ed altri prodotti avicoli freschi.

[219]L’ultimo referto presentato è la “Relazione sull'attività svolta dall'Agenzia per le erogazioni in agricoltura (AGEA), per gli anni 2005-2006 (doc. CLXXXVI n. 1).

[220]D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 112, Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della L. 15 marzo 1997, n. 59.

      La richiamata disposizione prevede che in casi di assoluta urgenza il Consiglio dei Ministri può, sentito il soggetto inadempiente, su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri, di concerto con il Ministro competente, nominare un commissario che provvede in via sostitutiva.

[221]       In merito sul conto corrente n. 20082 acceso presso la Tesoreria centrale dello Stato, sono iscritte tutte le risorse assegnate all’Agenzia destinate alla realizzazione degli interventi disposti dalle autorità nazionali per i comparti agricoli e agroalimentari.E peraltro operativo analogo conto n. 1300 sul quale si riversano i fondi destinati alla erogazione degli aiuti comunitari.

[222]  Organo introdotto dall'articolo 1, comma 1, lettera d), del Decreto-legge n. 381/2001.

[223]D.P.R. 18 dicembre 1979, n. 696, Approvazione del nuovo regolamento per la classificazione delle entrate e delle spese e per l’amministrazione e la contabilità degli enti pubblici di cui alla legge 20 marzo 1975, n. 70.

[224]  Il Comitato, composto di tre membri, nominati dal Ministro delle politiche agricole, era preposto all'esercizio delle funzioni di organismo pagatore. Ma l’ambiguità della sua natura, in quanto in parte organo dotato di autonomia e in parte strutturato come ufficio dell’ente, era stata subito rilevata e da essa peraltro deriva la difficoltà di definirne i rapporti con il Consiglio di Amministrazione e di individuarne delle aree di competenza, con conseguente sostanziale paralisi del comitato.

[225]Reg. (CE) 21 giugno 2006, n. 885/2006, Regolamento della Commissione recante modalità di applicazione del regolamento (CE) n. 1290/2005 del Consiglio per quanto riguarda il riconoscimento degli organismi pagatori e di altri organismi e la liquidazione dei conti del FEAGA e del FEASR.

[226]  Il D.lgs. n. 165/1999 ha attribuito alle regioni l’incarico di istituire servizi e organismi con funzioni di organismo pagatore, spostando in questo modo a livello regionale la competenza sulla tenuta dei conti relativi ai finanziamenti provenienti dal Fondo europeo agricolo di garanzia (FEAGA.

[227]  A questo proposito si segnala che nel febbraio 2007 l’Alto commissario per la prevenzione e il contrasto della corruzione e delle altre forme di illecito nella pubblica amministrazione ha avviato un’indagine a fronte del contenzioso che ha visto l’Italia chiamata a rispondere davanti agli organi comunitari per i mancati recuperi degli stanziamenti comunitari erogati nell’ambito del Fondo FEOGA-Garanzia per gli anni antecedenti al 2000. In merito all’Indagine, sul sito dell’Autorità si può consultare il documento al seguente indirizzo: (http://www.anticorruzione.it
/Portals/altocommissario/Documents/agea_1.pdf).

[228]D.L. 9 settembre 2005, n. 182, Interventi urgenti in agricoltura e per gli organismi pubblici del settore, nonché per contrastare andamenti anomali dei prezzi nelle filiere agroalimentari, convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, L. 11 novembre 2005, n. 231.

[229]Come modificato dall’articolo 7 della L. 25 febbraio 2008 n. 34, Disposizioni per l'adempimento di obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle Comunità europee (Legge comunitaria 2007).

[230]  A tal fine, peraltro, sono state trasferite all’AGEA le partecipazioni azionarie possedute dal MIPAF e dall’INEA dell’Agecontrol.

[231]Citato decreto-legge n. 182/2005, articolo 4.

[232]Il sistema, che ha dato vita ad una pluralità di banche dati pur con caratteristiche unitarie ed integrate su base nazionale, ha subito una costante evoluzione verso la sua integrazione con i sistemi informatizzati di altri enti od organismi quali AGEA, ISMEA, INEA e le Regioni, nonché, in base al D.Lgs. 173/98, anche con l'anagrafe tributaria del Ministero delle finanze, i nuclei antifrode della Guardia di finanza e dell'arma dei Carabinieri, l'Istituto nazionale della previdenza sociale e le Camere di commercio, industria e artigianato. Nel SIAN è anche confluito il Sistema Informativo della Montagna (SIM), rete informatica istituita sulla base della legge 97/94  per consentire alle comunità montane di fungere da sportello dei cittadini.

[233]  Reg. (CEE) n. 4045/89 del 21 dicembre 1989, Regolamento del Consiglio relativo ai controlli, da parte degli Stati membri, delle operazioni che rientrano nel sistema di finanziamento del fondo europeo agricolo di orientamento e di garanzia, sezione garanzia, e che abroga la direttiva 77/435/CEE.

[234]Così l’art. 1 del reg. 4085/89, che indica che il controllo dei documenti commerciali delle imprese beneficiarie o debitrici può costituire un efficacissimo mezzo di controllo delle operazioni che rientrano nel sistema di finanziamento del FEAOG, sezione garanzia (secondo considerando).

Il trasferimento di competenze dall’Ispettorati Centrale repressione frodi all’Agenzia, cui erano demandati i compiti, è stato disposto con il DM 7 agosto 3006 (GU n. 231/2006).

[235]  D.P.R. 8 giugno 1982, n. 447, Attuazione della direttiva (CEE) n. 77/435 relativa ai controlli, da parte degli Stati membri, delle operazioni che rientrano nel sistema di finanziamento del Fondo europeo agricolo di orientamento e di garanzia, sezione garanzia (F.E.O.G.A.).

[236]  Recante interventi urgenti per i settori dell'agricoltura, dell'agroindustria, della pesca, nonché in materia di fiscalità d'impresa, convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, legge 11 marzo 2006, n. 81.

Il quadro normativo è stato completato con il D.M. 07 agosto 2006, Disposizioni per il trasferimento all'Agenzia per le erogazioni in agricoltura (AGEA) dell'esecuzione di controlli di cui al regolamento CEE n. 4045/1989 di competenza dell'Ispettorato centrale repressione frodi.

[237]I dati, le modalità e la tempistica delle comunicazioni cui sono tenuti i frantoi oleari e le imprese di trasformazione sono stati definiti con il D.M. 4 luglio 2007 di attuazione dell'articolo 20 della L. 6 febbraio 2007, n. 13 - Legge comunitaria 2006.

[238]Decreto del Ministro delle finanze 19 aprile 1994, n. 701, Regolamento recante norme per l'automazione delle procedure di aggiornamento degli archivi catastali e delle conservatorie dei registri immobiliari.

[239]D.L. 15 febbraio 2007, n. 10, Disposizioni volte a dare attuazione ad obblighi comunitari ed internazionali, convertito in legge, con modificazioni dall’art. 1, L. 6 aprile 2007, n. 46.

[240]Reg. (CEE) 27 novembre 1992, n. 3508/92, Regolamento del Consiglio che istituisce un sistema integrato di gestione e di controllo di taluni regimi di aiuti comunitari.

[241]Reg. (CE) n. 1782/2003 del 29 settembre 2003, Regolamento del Consiglio che stabilisce norme comuni relative ai regimi di sostegno diretto nell'ambito della politica agricola comune e istituisce taluni regimi di sostegno a favore degli agricoltori e che modifica i regolamenti (CEE) n. 2019/93, (CE) n. 1452/2001, (CE) n. 1453/2001, (CE) n. 1454/2001, (CE) n. 1868/94, (CE) n. 1251/1999, (CE) n. 1254/1999, (CE) n. 1673/2000, (CEE) n. 2358/71 e (CE) n. 2529/2001.

[242]Reg. (CE) n. 796/2004 del 21 aprile 2004 recante modalità di applicazione della condizionalità, della modulazione e del sistema integrato di gestione e di controllo di cui al regolamento (CE) n. 1782/2003 del Consiglio che stabilisce norme comuni relative ai regimi di sostegno diretto nell'ambito della politica agricola comune e istituisce taluni regimi di sostegno a favore degli agricoltori.

[243]Legge 16 marzo 1988, n. 88, Norme sugli accordi interprofessionale sui contratti di coltivazione dei prodotti agricoli.

[244]D.Lgs. 30 aprile 1998, n. 173, Disposizioni in materia di contenimento dei costi di produzione e per il rafforzamento strutturale delle imprese agricole, a norma dell’articolo 55, commi 14 e 15, della L. 27 dicembre 1997, n. 449.

[245]D.Lgs. 18 maggio 2001, n. 228, Orientamento e modernizzazione del settore agricolo, a norma della L. 5 marzo 2001, n. 57.

[246]D.Lgs. 27 maggio 2005, n. 102, Regolazioni dei mercati agroalimentari, a norma dell’articolo 1, comma 2 lettera e) della legge 7 marzo 2003, n. 38.

[247]Anche il Reg. (CE) n. 1182/2007 di revisione della OCM ortofrutticola dedica alle organizzazioni ed accordi interprofessionali l’intero titolo IV, artt. 20-25, confermando il rilievo che rivestono tali aggregazioni e forme contrattuali per il rafforzamento del comparto.

[248]Così anche l’art. 20 del reg. 2200/96 sull’OCM ortofrutta, il quale ha stabilito che, in deroga all'articolo 1 del regolamento n. 26/62, l'articolo 85, paragrafo 1, del trattato non si applica agli accordi e alle pratiche concordate delle organizzazioni interprofessionali riconosciute, finalizzati alla realizzazione delle attività di cui al regolamento 2200 medesimo. Il paragrafo 1 si applica soltanto:

-     se gli accordi, le decisioni e le pratiche concordate sono stati notificati alla Commissione; e

-     se quest'ultima, entro due mesi dalla comunicazione di tutti gli elementi di valutazione necessari, non abbia dichiarato tali accordi, decisioni e pratiche concordate incompatibili con la normativa comunitaria.

[249]  Legge 20 ottobre 1978, n. 674, Norme sull’associazionismo dei produttori agricoli.

[250]L’abrogazione è stata disposta con il reg. 952/97, a sua volta sostituito dal reg. 1257/99 sullo sviluppo rurale (ora disciplinato dal reg. 1698/05).

[251]In particolare, al punto 44 dei considerando, il regolamento 1257 enuncia  che ”tenuto conto degli aiuti ad associazioni di produttori e alle loro unioni già esistenti nell'ambito di diverse organizzazioni comuni di mercato, non risulta più necessario fornire un sostegno specifico a gruppi di produttori nel quadro dello sviluppo rurale” e pertanto, il regime di aiuti previsto dal regolamento (CE) n. 952/97 non viene proseguito (GUCE n. L 160 del 26/06/1999).

      Va peraltro rammentato che la Commissione riteneva che tale cambiamento non impedisse di concedere aiuti di Stato per la costituzione di organizzazioni di produttori, di aiuto agli agricoltori per adeguare la produzione alla domanda, in particolare nei settori per i quali fossero previste forme di sostegno nell'ambito di una organizzazione comune di mercato (così negli Orientamenti comunitari per gli aiuti di Stato nel settore agricolo, (2000/C 28/02).

I nuovi Orientamenti 2007-2013 (2006/C 319/01) dichiarano la compatibilità di aiuti all’avviamento delle OP per incentivarne la costituzione (punto 89 e seg.); gli altri aiuti, quali investimenti o attività promozionali, saranno valutati in conformità alla pertinente disciplina.

[252]Il regolamento n. 2200 si applica fino alla campagna di commercializzazione che si conclude nel 2008; per quelle successive si applicherà il  Reg. (CE) n. 1182/2007 che riserva gli articoli 3-19 dell’intero titolo III alle organizzazioni di produttori. Le disposizioni dell’originario art. 11 sono sostanzialmente riprodotte negli artt. 3 e 4 del reg. 1182.

[253]Art. 3, par. 1 lett. c), punto iii).

[254]In merito al fondo d’esercizio dell’organizzazione, che deve essere alimentato dagli aderenti in proporzione ai quantitativi o al valore del prodotto effettivamente immesso sul mercato, è prevista anche la partecipazione finanziaria da parte dell’Unione europea. Tale partecipazione prevede che le competenti autorità nazionali abbiano approvato un programma operativo della durata minima di tre anni e massima di cinque anni. La presentazione di un programma operativo implica, da parte della O.P. o della associazione di O.P., l'impegno a sottoporsi ai controlli nazionali e ai controlli comunitari eseguiti a norma del titolo VI, con particolare riguardo alla corretta gestione del fondi pubblici (artt. 15 e 16).

Il Reg. (CE) 1182/2007 riserva il fondo d’esercizio esclusivamente al finanziamento del programma operativo, il cui contenuto è delimitato dal comma 1 dell’art.9 che include tra gli obiettivi da perseguire la “prevenzione e gestione delle crisi di mercato”. In tal caso sono ammesse le seguenti misure: a) ritiro dal mercato; b) raccolta prima della maturazione o mancata raccolta degli ortofrutticoli; c) promozione e comunicazione; d) iniziative di formazione; e) assicurazione del raccolto; f) sostegno a fronte delle spese amministrative per la costituzione di fondi comuni di investimento.

[255] Che è l’attività principale delle Organizzazioni ai sensi dell’art. 28 del Reg. (CE) 21 dicembre 2007 n. 1580/2007 di applicazione.

[256]D.Lgs. 27 maggio 2005, n. 102, Regolazioni dei mercati agroalimentari, a norma dell’articolo 1, comma 2 lettera e) della legge 7 marzo 2003, n. 38.

[257]Le disposizioni di attuazione, che dovevano essere adottate con decreto ministeriale (entro il 10 giugno 2006 sul numero degli aderenti e sul volume commercializzato, sono state inserite nel D.M. 12-2-2007 n. 85/traV del MIPAAF, dopo aver acquisito l’intesa della Conferenza Stato-regioni nella seduta del 25 gennaio 2007. Il provvedimento definisce i requisiti per il riconoscimento delle OP, e quali siano le verifiche a carico delle regioni inclusi il controlli sulla permanenza dei requisiti richiesti, dispone l’attribuzione al SIAN della gestione dell’albo nazionale delle OP, specifica quali siano le cause della revoca del riconoscimento (affidata alle regioni). La annessa tabella reca i valori del volume minimo dei produzione commercializzata e del numero minimo di associati.

[258]L’Albo è stato istituito con il D.M. 8 giugno 2004 (GU n. 149/2004) ed è gestito (a seguito delle riforma di cui al DPR n. 18/2008) dal Dipartimento delle politiche di sviluppo economico e rurale (Direzione generale sviluppo agroalimentare, qualità e tutela del consumatore).

[259] Le disposizioni per il riconoscimento e il controllo delle O.P. ortofrutticole sono state adottate, sulla base dell’abrogato D.lgs. n. 228/2001, con D.M. 11 luglio 2002 (GU n. 259/2002).

[260]  Le norme per il riconoscimento, il controllo ed il sostegno delle Unioni nazionali tra le associazioni dei produttori agricoli sono state adottate con DM 17 gennaio 2003, n.135 (modificato dal DM 26 maggio 2003, n.273).

[261]  Criteri per la concessione di aiuti a programmi delle Unioni di O.P. erano già stati definiti con DM del MIPAF 29 ottobre 2001, in attuazione dell’art. 4 della legge n. 499/99 (G.U. n. 277/2001).

[262]Legge 23 dicembre 1999, n. 499, Razionalizzazione degli interventi nei settori agricolo, agroalimentare, agroindustriale e forestale.

[263]Legge 27 marzo 2001, n. 122, Disposizioni modificative e integrative alla normativa che disciplina il settore agricolo e  forestale.

[264]D.Lgs. 27 maggio 2005, n. 102, Regolazioni dei mercati agroalimentari, a norma dell’articolo 1, comma 2 lettera e) della legge 7 marzo 2003, n. 38.

[265]L’Autorità garante della concorrenza e del mercato con AS318 - Disposizioni per la costituzione dei tavoli di filiera (del 2/12/05) - rilevava che “la determinazione concordata delle quantità è idonea a determinare restrizioni concorrenziali non meno gravi di quelle derivanti dalla fissazione concordata dei prezzi […] né, d'altra parte, le restrizioni concorrenziali conseguenti alla determinazione concordata delle quantità sembrano potersi ritenere effettivamente necessarie al raggiungimento degli obiettivi propri delle intese di filiera.” L’Autorità riconosceva anche che “In ogni caso la valutazione degli effetti concorrenziali delle intese di filiera, nonché della proporzionalità di eventuali restrizioni della concorrenza rispetto agli obiettivi di miglioramento dell'offerta, potrà correttamente svolgersi, con riferimento alle singole intese che concretamente verranno stipulate”.

[266]Legge25 maggio 1970, n. 364, Istituzione del Fondo di solidarietà nazionale.

[267]D.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, Attuazione della delega di cui all’art. 1 della legge 22 luglio 1975, n. 382. 

[268]Legge 15 ottobre 1981, n. 590, Nuove norme per il Fondo di solidarietà nazionale.

[269]        Si ricorda che in tema di calamità naturali l’art. 66 del D.lgs. n. 112/1998, di generale disciplina del conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, attribuiva ai comuni la delimitazione delle zone agrarie colpite dagli eventi, mentre l’art. 108 attribuiva alle regioni la dichiarazione della esistenza del fatto eccezionale, nonché la individuazione dei territori danneggiati e delle provvidenze da erogare. Il successivo D.lgs. n. 443/99 di modifica dell’originario 112, proprio per la necessità di rispettare i menzionati principi, ha abrogato entrambe le disposizioni ripristinando le precedenti competenze.

[270]Legge 14 febbraio 1992, n. 185, Nuova disciplina del Fondo di solidarietà nazionale.

[271]        La disposizione richiamata era scritta al secondo comma dell’art. 9 della legge n. 185, da dove  è stata successivamente espunta, per essere sostanzialmente trasfusa nel DPR n. 324/1996.

[272]D.L. 17 maggio 1996, n. 273, Rifinanziamento degli interventi programmati in agricoltura di cui al D.L. 27 dicembre 1994, n. 727, convertito con modificazioni dalla legge 18 luglio 1996, n. 380.

[273]D.L. 13 settembre 2002, n. 200, Interventi urgenti a favore del comparto agricolo colpito da eccezionali eventi atmosferici, convertito con modificazioni dalla legge 13 novembre 2002, n. 256.

[274]        Legge 23 dicembre 2000, n. 388, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2001), che con l’articolo 127 ha novellato l’art. 3, co. 1 della legge n. 185/92.

[275]D.Lgs. 29 marzo 2004, n. 102, Interventi finanziari a sostegno delle imprese agricole, a norma dell’articolo 1, comma 2, lettera i), della legge 7 marzo 2003, n. 38.

[276]Si tratta dello schema di D.Lgs. n. 231, con riferimento al quale è stato predisposto il dossier Studi Atti del Governo n. 193 del marzo 2008.

[277]Legge 12 luglio 2006, n. 228, Conversione in legge, con modificazioni, del D.L. 12 maggio 2006, n. 173, recante proroga di termini per l’emanazione di atti di natura regolamentare. Ulteriori proroghe per l’esercizio di deleghe legislative e in materia di istruzione.

[278]Sullo schema di decreto legislativo la Commissione agricoltura della Camera ha espresso nella seduta del 6 marzo 2008 un parere favorevole con condizioni ed osservazioni. La Commissione agricoltura del Senato ha espresso anch’essa parere favorevole con condizioni ed osservazioni nella seduta del 19 marzo 2008.

[279]       Nel parere sullo schema di decreto n. 231 la Commissione agricoltura della Camera, rilevato che in conseguenza dei cambiamenti climatici sempre più spesso si verificano fenomeni di innalzamento della temperatura accompagnati da insolite variazioni del tasso d’umidità, con connesse conseguenze nefaste sull’insorgenza o virulenza di fitopatie o epizoozie, aveva invitato il Governo a valutare l'opportunità di fare in modo che, compatibilmente con la normativa comunitaria, si potessero riconoscere, quali avversità atmosferiche assimilabili a una calamità naturale, le condizioni avverse generate da fenomeni connessi ai cambiamenti climatici.

[280]Nel parere sullo schema di decreto n. 231 la commissione Agricoltura della Camera aveva osservato in merito che il ricorso a forme assicurative collettive avrebbe potuto essere esteso anche ad eventuali altri soggetti che avessero avuto i requisiti occorrenti.

[281]L’ultimo provvedimento adottato è il D.M. 5 marzo 2007, Prezzi unitari dei prodotti agricoli, delle strutture aziendali e delle produzioni zootecniche per la determinazione dei valori assicurabili al mercato agevolato nell'anno 2007.

[282]In attuazione delle illustrate disposizioni con il D.M. 17 marzo 2005 è stato adottato il Piano assicurativo agricolo 2005, con decreto del 20 marzo 2006 quello relativo al 2006, ed infine con decreto del 27 dicembre 2006 il piano per il 2007.

[283]       Anche sull’articolo 5 il parere della Commissione XIII aveva appuntato le proprie osservazioni invitando il Governo a valutare l'opportunità di sostituire il rimando all’art. 2135 del codice civile con quelle all'articolo 1 del decreto legislativo 18 maggio 2001, n. 228, che include anche le cooperative di imprenditori agricoli ed i loro consorzi quando utilizzano prevalentemente prodotti dei soci, ovvero forniscono prevalentemente ai soci beni e servizi.

[284]  Va rammentato che il D.L. 24 giugno 2004, n. 157 (convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2004, n. 204), con l’art.2, co.1-quater aveva rinviato all’anno 2005 l’applicazione di tale disposizione.

[285]  I prestiti partecipativi sono finanziamenti la cui remunerazione è composta da una parte fissa, integrata da una parte variabile commisurata al risultato economico di esercizio dell'impresa finanziata.

[286]  Le disposizioni di attuazione, relative alle sole imprese agricole essendo in via di definizione quelle relative al comparto della pesca, sono state adottate con due decreti del Ministero delle politiche agricole, entrambi recanti la data del 14 febbraio 2006 (GU n. 49/2006), che hanno definito, il primo, le modalità per il rilascio delle garanzie dirette, controgaranzie e cogaranzie, e il secondo, le garanzie sussidiarie ovvero dirette al ripianamento delle perdite delle banche solo dopo che queste abbiano esperito la riscossione coattiva delle garanzie primarie.

      Infine, per quanto riguarda l’intervento statale sulle garanzie prestate dall’Ismea, il Ministro dell’economia con decreto 24 marzo 2006 (GU n. 87/06) ha approvato criteri, condizioni e modalità per il rilascio delle garanzie a norma dell'articolo 17, comma 5-bis, stabilendo che la garanzia statale si configura come garanzia di ultima istanza.

[287]L. 23 dicembre 2000, n. 388, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2001).

[288]D.M. 7 novembre 2002, Modalità operative del Fondo per la riassicurazione dei rischi agricoli.

[289]D.M. 18 luglio 2003, Istituzione presso l'ISMEA della banca dati sui rischi in agricoltura.

[290]Partecipano a tale sistema l’AGEA, ISMEA, INEA e le Regioni, nonché, in base al D.Lgs. 173/98, anche con l'anagrafe tributaria del Ministero delle finanze, i nuclei antifrode della Guardia di finanza e dell'arma dei Carabinieri, l'Istituto nazionale della previdenza sociale e le Camere di commercio, industria e artigianato. Nel SIAN è anche confluito il Sistema Informativo della Montagna (SIM), rete informatica istituita sulla base della legge 97/94 per consentire alle comunità montane di fungere da sportello per i cittadini.

[291]Regolamento della Commissione relativo all’applicazione degli articoli 87 e 88 del trattato a favore delle piccole e medie imprese attive nel settore della produzione di prodotti agricoli e recante modifica del regolamento (CE) n. 70/2001 (GU L 358 del 16 dicembre 2006): v. scheda Aiuti esenti da notifica in agricoltura, pag. 73.

[292]Orientamenti per gli aiuti di Stato nel settore agricolo, GUCE C n. 28/2000.

[293]Pubblicati in GUUE del 27 dicembre 2006, n. C 319.

[294]Reg. (CE) 6 ottobre 2004, n. 1860/2004 relativo all'applicazione degli articoli 87 e 88 del trattato CE agli aiuti de minimis nel settore dell’agricoltura.

[295]Dir. 23 ottobre 2000 n. 2000/60/CE che istituisce un quadro per l'azione comunitaria in materia di acque. La direttiva è stata recepita con il D.lgs. n. 152/2006.

[296]  Società proveniente dalla "Naturalmenteitaliano Unipersonale S.r.l.", costituita in data 24 luglio 2002, che successivamente ha mutato la propria denominazione e ragione sociale in quella attuale il 4 luglio 2003.

[297]D.L. 31 dicembre 2007, n. 248, Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e disposizioni urgenti in materia finanziaria, convertito con modificazioni dalla legge 28 febbraio 2008, n. 31.

[298]  D.Lgs. 29 marzo 2004, n. 99, Disposizioni in materia di soggetti e attività, integrità aziendale e semplificazione amministrativa in agricoltura, a norma dell’articolo 1, comma 2, lettere d), g), i), ee), della legge 7 marzo 2003, n. 38.

[299]  D.L. 18 maggio 2006, n. 181, Disposizioni urgenti in materia di riordino delle attribuzioni della Presidenza del Consiglio dei Ministri e dei Ministeri, convertito con modificazioni dalla legge 17 luglio 2006, n. 233.

[300]  Legge 23 dicembre 2000, n. 388, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2001).

[301]D.L. 10 gennaio 2006, n. 2, Interventi urgenti per i settori dell’agricoltura, dell’agroindustria, della pesca, nonché in materia di fiscalità d’impresa, convertito con modificazioni dalla legge 11 marzo 2006, n. 81.  La novella è stata disposta dal comma 4 dell'art. 1-bis.

[302]Decreto legge 14 marzo 2005 n. 35, Disposizioni urgenti nell’ambito del piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale, convertito con modificazioni dalla legge 14 maggio 2005, n. 80.

[303]D.L. 30 settembre 2005, n. 203, Misure di contrasto all'evasione fiscale e disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria, convertito con modificazioni dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248.

[304]  La delibera stabilisce, al punto 9, che Sviluppo Italia presenti, entro il giorno 30 di giugno di ogni anno, al Ministero delle politiche agricole e forestali, per il successivo inoltro al CIPE, una relazione sullo stato di attuazione dei progetti approvati e la programmazione delle attività per l’anno in corso.

[305]  Legge 24 dicembre 2003, n. 350, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2004

[306]Si tratta delle seguenti p.d.l.:

      - A.C. 1629, Lion, “Norme di principio e criteri di applicazione in materia di produzione biologica”;

      - A.C. 1695, Bellotti, “Disposizioni per la riorganizzazione e la promozione dell’agricoltura biologica”;

      - A.C. 2545, Lombardi, “Disciplina della coltivazione, della commercializzazione e della certificazione dei prodotti biologici”;

      - A.C. 2880, Delfino, “Disposizioni per lo sviluppo e la commercializzazione dei prodotti biologici e istituzione del Fondo nazionale per la ricerca e lo sviluppo dell’agricoltura biologica”.  

[307]Reg. (CE) 28 giugno 2007 n. 834/2007, relativo alla produzione biologica e all’etichettatura dei prodotti biologici e che abroga il regolamento (CEE) n. 2092/91.

[308]Il regolamento n. 834/2007 rinvia al riguardo alle disposizioni previste per l’agricoltura convenzionale e quindi consente (art. 9, comma 2) l’uso in agricoltura biologica di prodotti nei quali si registri una presenza di OGM non superiore allo 0,9% degli ingredienti alimentari, purché tale presenza sia ”accidentale o tecnicamente inevitabile”: cfr. l’art. 12, comma 2, del Regolamento (CE) n. 1829/2003 del Parlamento europeo e del Consiglio del 22 settembre 2003, relativo agli alimenti e ai mangimi geneticamente modificati.

[309]Il Reg. (CE) n. 392/2004 del 24 febbraio 2004, di modifica del precedente regolamento 2092/1991, aveva già introdotto tale disposizione che si è applicata a decorrere dal 1° luglio 2005.

[310]D.Lgs. 17 marzo 1995, n. 220, Attuazione degli articoli 8 e 9 del regolamento n. 2092/91/CEE in materia di  produzione agricola e agro-alimentare con metodo biologico.

[311]Si rammenta che il nuovo Ministero dello sviluppo economico ha sostituito quello delle attività produttive, già erede di quello dell’industria; che la sanità è demandata all’attuale dicastero della salute; e che la materia del turismo è attribuita alla Presidenza del Consiglio.

[312]Da ultimo Il Comitato è stato insediato con il D.M. 9 gennaio 2006 del Ministro dell’agricoltura.

[313]D.M. 27 agosto 2004, Definizione dell'attività di vigilanza sulle strutture autorizzate a svolgere il controllo e certificazione delle produzioni agroalimentari regolamentate da norme comunitarie.

[314]D.M. 7 luglio 2005, Esonero di alcuni operatori del settore biologico dagli obblighi previsti dall'articolo 8, paragrafo 1, del regolamento (CEE) n. 2092/1991, come modificato dall'articolo 1, paragrafo 2, del regolamento (CE) n. 392/2004, e approvazione di nuova modulistica, sezione C, «preparazioni alimentari”.

[315]Per completezza va detto che in Italia sono attivi altri due organismi di accreditamento: il SINAL, per l’accreditamento dei laboratori di prova, il SIT per il servizio di taratura. Entrambi, insieme al SINCERT, sono membri di EA, ILAC e IAF e firmatari dei rispettivi Accordi di Mutuo Riconoscimento (per i quali vedi oltre).

[316]L’associazione svolge la propria attività di accreditamento nei confronti dei seguenti soggetti, oltre, come detto, che verso gli Organismi di certificazione di prodotti: Organismi di certificazione di sistemi di gestione aziendale, di gestione per la qualità, di gestione ambientale, di gestione per la sicurezza ; Organismi di certificazione di personale; Organismi di ispezione.

[317]L’ente nasce dalla unificazione di EAC, European Acreditation of Certification, con EAL , European co-operation of Laboratories.

[318]In tema di norme della serie EN 4500, vale nel presente contesto riportare le seguenti: EN 45010, Requisiti generali per la valutazione e l'accreditamento degli organismi di certificazione, EN 45011, Criteri generali riguardanti un organismo di certificazione di prodotti, EN 45012 , Criteri generali riguardanti un organismo di certificazione di sistemi qualità, EN 45013,  Criteri generali riguardanti un organismo di certificazione del personale, EN 45014, Criteri generali per la redazione da parte di un fornitore della dichiarazione di conformità, EN 45020,Termini generali e loro definizioni riguardanti la normazione e le attività connesse.

[319]Il richiamo più volte fatto alle caratteristiche insite nel prodotto biologico, che vanno poste in relazione, come già detto, esclusivamente ai divieti o agli obblighi relativi al metodo produttivo da seguire, non implicano in nessun modo che vi siano anche caratteristiche particolari organolettiche o di salubrità del prodotto, tanto che è lo stesso articolo 10 delle disposizioni comunitarie a vietare l’uso di affermazioni che suggeriscano all’acquirente … una garanzia di qualità organolettica, nutritiva o sanitaria superiore.

[320]Il dicastero agricolo ha introdotto una distinzione fra “Piano tipo di controllo”, quale documento generale di riferimento dell’operatività dell’ente, che è oggetto di valutazione da parte del Comitato di valutazione degli organismi di certificazione, ed il “Piano annuale di controllo”, che è il documento programmatico dell’attività dell’ente per l’anno seguente, e del quale il dicastero ha provveduto e definire uno schema utilizzabile a decorrere dal 2003 (si vedano in merito la circolare n. 9990519 del 25/3/99 e le istruzioni del 6/5/2002, prot. N. 91061, e del 29/11/2002, prot. N. 92673).

[321]Il Ministero agricolo opera attraverso l’Ispettorato centrale repressione frodi. A questi per gli altri aspetti soprattutto sanitari si affiancano le Aziende sanitarie locali ASL ed il Nucleo antisofisticazione del Comando dei Carabinieri NAS.

[322]Reg. (CEE) 14 luglio 1992, n. 2081/92,  Regolamento del Consiglio relativo alla protezione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni d'origine dei prodotti agricoli ed alimentari.

[323]Reg. (CEE) 14 luglio 1992, n. 2082/92, Regolamento del Consiglio relativo alle attestazioni di specificità dei prodotti agricoli ed alimentari.

[324]Reg. (CE) 20 marzo 2006, n. 510/2006, Regolamento del Consiglio relativo alla protezione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni d'origine dei prodotti agricoli e alimentari.

[325]Reg. (CE) 20 marzo 2006, n. 509/2006, Regolamento del Consiglio relativo alle specialità tradizionali garantite dei prodotti agricoli e alimentari.

[326]Il precedente sistema di riconoscimento prevedeva il ricorso ad atti di notifica, che sono ora sostituite dalle trasmissione di semplici dichiarazioni, nonché alla trasmissione di comunicazioni ora ritenute superflue e quindi abolite.

[327]Reg. (CE) 14 dicembre 2006 n. 1898/2006,  recante modalità di applicazione del regolamento (CE) n. 510/2006 del Consiglio, relativo alla protezione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni d'origine dei prodotti agricoli e alimentari.

[328]Il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali ha approvato il Decreto 21 maggio 2007, Procedura a livello nazionale per la registrazione delle DOP e IGP ai sensi del regolamento CE 510/2006.

[329]L’elenco delle strutture di controllo comunicate dagli Stati membri è stato da ultimo pubblicato sulla Gazzetta ufficiale delle Comunità europee C n. 317, 13/12/2005 .

[330]Tali norme, la cui entrata in vigore è stata più volte procrastinata, stabiliscono i criteri generali in base ai quali gli organismi di certificazione dei prodotti possono ottenere un riconoscimento valido a livello europeo o internazionale.

[331]In merito a tale norma va rammentato che la L. n. 296/06- finanziaria 2007 con il comma 1051 ha introdotto un contributo, a carico dei consorzi di tutela, destinato a coprire le spese amministrative conseguenti all’applicazione delle norme comunitarie sulle denominazioni protette, incluse in particolare quelle per l’esame delle domande di registrazione, di opposizione, di cancellazione o di modifica delle denominazioni d’origine (DOP) e delle indicazioni geografiche protette (IGP). La determinazione dell’importo dovuto e la definizione delle modalità di versamento debbono ancora essere determinate con un decreto del dicastero agricolo, di concerto con quello dell’economia.

[332]D.Lgs. 27 gennaio 1992, n. 109, Attuazione della direttiva 89/395/CEE e della direttiva 89/396/CEE concernenti l’etichettatura, la presentazione e la pubblicità dei prodotti alimentari. Il D.Lgs. n. 109/1992 è stato più volte modificato in adeguamento alle disposizioni comunitarie successivamente intervenute; la direttiva di riferimento è attualmente la direttiva 2000/13/CE.

[333]D.L. 24 giugno 2004, n. 157, Disposizioni urgenti per l’etichettatura di alcuni prodotti agroalimentari, nonché in materia di agricoltura e pesca, convertito con modificazioni dalla legge 3 agosto 2004, n. 204. 

[334]D.Lgs. 29 gennaio 2004, n. 58, Disposizioni sanzionatorie per le violazioni del Regolamento (CE) n. 1760 del 2000 e del Regolamento (CE) n. 1825 del 2000, relativi all'identificazione e registrazione dei bovini, nonché all'etichettatura delle carni bovine e dei prodotti a base di carni bovine, a norma dell'articolo 3 della L. 1° marzo 2002, n. 39.

[335]D.Lgs. 10 dicembre 2002, n. 306, Disposizioni sanzionatorie in attuazione del regolamento (CE) n. 1148/2001 relativo ai controlli di conformità alle norme di commercializzazione applicabili nel settore degli ortofrutticoli freschi, a norma dell’articolo 3 della legge 1° marzo 2002, n. 39.

[336]Tale intento è rivelato dal richiamo fatto all’art. 3 della direttiva 2000/13/CE sull’etichettatura.

[337]D.Lgs. 21 maggio 2004, n. 179, Attuazione della direttiva 2001/110/Ce concernente la produzione e la commercializzazione del miele.

[338]D.L. 10 gennaio 2006, n. 2, Interventi urgenti per i settori dell’agricoltura, dell’agroindustria, della pesca, nonché in materia di fiscalità d’impresa, convertito con modificazioni dalla legge 11 marzo 2006, n. 81.

[339]  Avente ad oggetto il Reg. (CEE) n. 1907/90 del Consiglio, del 26 giugno 1990, sulla commercializzazione delle uova e del regolamento (CE) n. 2295/2003 della Commissione, di applicazione (G.U. n. 41/2004).

[340]  D.L. 24 giugno 2004, n. 157, Disposizioni urgenti per l'etichettatura di alcuni prodotti agroalimentari, nonché in materia di agricoltura e pesca, convertito con modificazioni dalla legge 3 agosto 2004, n. 204.

[341]Legge 3 agosto 1998, n. 313, Disposizioni per la etichettatura d’origine dell’olio extravergine di oliva, dell’olio di oliva vergine e dell’olio di oliva.

[342]  Regolamento (CE) n. 1019/2002 della Commissione, del 13 giugno 2002, relativo alle norme di commercializzazione dell'olio d'oliva.

[343]D.M. 9 ottobre 2007, Norme in materia di indicazioni obbligatorie nell'etichetta dell'olio vergine ed extravergine di oliva.

[344]D.M. 17 febbraio 2006, Passata di pomodoro. Origine del pomodoro fresco.

[345]  Pubblicato sulla G.U. 4 ottobre 2007, n. 31.

[346]  Nel comunicato del Consiglio dei Ministri il Comitato è altresì definito, tra parentesi, “Agenzia”.

[347]L. 23 dicembre 1978, n. 833, Istituzione del servizio sanitario nazionale.

[348]  Recante Misure urgenti in materia di prevenzione e repressione delle sofisticazioni alimentari, convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, L. 7 agosto 1986, n. 462.

[349]  Art. 1, comma 4-bis, decreto-legge 28 febbraio 2005, n. 22, Interventi urgenti nel settore agroalimentare, convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, L. 29 aprile 2005, n. 71.

[350]DPR 14 novembre 2007, n. 225, Regolamento recante riorganizzazione del Ministero dello sviluppo economico, a norma dell'articolo 1, comma 404, della L. 27 dicembre 2006, n. 296.

[351]D.Lgs 30 maggio 2005, n. 128, Attuazione della direttiva 2003/30/CE relativa alla promozione dell’uso di biocarburanti o di altri carburanti rinnovabili nei trasporti.

[352]D.Lgs. 29 dicembre 2003, n. 387 “Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell'energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell'elettricità.”

[353] Legge 27 dicembre 2006, n. 296, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007).

[354]  D.L. 10 gennaio 2006, n. 2, Interventi urgenti per i settori dell’agricoltura, dell’agroindustria, della pesca, nonché in materia di fiscalità d’impresa, convertito con modificazioni dalla legge 11 marzo 2006, n. 81.

[355]Merita ricordare che con segnalazione AS368 del 3 novembre 2006 (consultabile sul sito internet www.agcm.it) l’Autorità antitrust poneva in  evidenza che subordinare le agevolazioni (o individuare una priorità nell’assegnazione) al fatto che la materia prima fosse stata acquistata nell’ambito di una intesa di filiera o di un contratto-quadro costituiva una indebita restrizione della concorrenza, in quanto configurava un obbligo di approvvigionamento da determinati produttori. L’Autorità rilevava, inoltre, che la norma appariva in contrasto con la normativa comunitaria sulla libera circolazione delle merci, in quanto configurante una discriminazione nei confronti degli altri produttori comunitari.

[356]  Legge 24 dicembre 2007, n. 244, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2008).

[357]D.L. 1° ottobre 2007, n. 159, Interventi urgenti in materia economico-finanziaria, per lo sviluppo e l’equità sociale, convertito con modificazioni dalla legge 29 novembre 2007, n. 222.

[358]Va rammentato che tale comma 382 aveva demandato a un decreto del Ministro dello sviluppo economico, d’intesa con il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, da adottare entro 6 mesi dalla data di entrata in vigore della legge, la revisione della disciplina dei certificati verdi, al fine di incentivare l’impiego di prodotti di origine agricola, zootecnica e forestale.

      Il suddetto decreto interministeriale non è stato tuttavia adottato e, pertanto, la disposizione è rimasta inattuata.

[359]D.Lgs. 27 maggio 2005, n. 102, Regolazioni dei mercati agroalimentari, a norma dell’articolo 1, comma 2 lettera e) della legge 7 marzo 2003, n. 38.

[360]D.Lgs. 16 marzo 1999, n. 79, Attuazione della direttiva 96/92/CE recante norme comuni per il mercato interno dell’energia elettrica.

[361]    Si fa presente che la dizione originaria (“impianti di potenza elettrica superiore a 1MW”) è stata sostituita con l’attuale (“impianti di potenza nominale media annua superiore a 1MW”) a seguito dell’approvazione di un emendamento da parte della Commissione bilancio della Camera dei deputati. La stessa Commissione ha introdotto una variazione nella tabella 1 allegata alla legge, che fornisce i coefficienti per tipologia di fonte, sostituendo la dicitura della fonte “eolica” con quella di “eolica per impianti di taglia superiore a 200 kW.

[362]  Legge 23 dicembre 2005, n. 266, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2006).

[363]L’articolo 2-quater, comma 11, del decreto-legge 10 gennaio 2006, n. 2, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 marzo 2006, n. 81, aveva già modificato la disposizione ricomprendendovi anche la produzione e cessione di energia calorica e riferendola anche alle attività svolte mediante l’utilizzo di fonti rinnovabili fotovoltaiche. Tuttavia il comma 11 menzionato non è stato riprodotto nell’articolo 2-quater  novellato dal comma 368 della legge n. 296/06 “Finanziaria 2007.

[364]  Recante: “Attuazione della direttiva 2003/30/CE relativa alla promozione dell'uso dei biocarburanti o di altri carburanti rinnovabili nei trasporti”. In base a tale disposizione l’olio vegetale puro è l’olio prodotto da piante oleaginose mediante pressione, estrazione o processi analoghi, greggio o raffinato ma chimicamente non modificato, qualora compatibile con il tipo di motore usato e con i corrispondenti requisiti in materia di emissioni.

[365]D.Lgs. 4 giugno 1997, n. 143, Conferimento alle regioni delle funzioni amministrative in materia di agricoltura e pesca e riorganizzazione dell’Amministrazione centrale.

[366]Legge 23 dicembre 2000, n. 388, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2001).

[367]Legge 21 dicembre 2001, n. 443, Delega al Governo in materia di infrastrutture ed insediamenti produttivi strategici ed altri interventi per il rilancio delle attività produttive.

[368]D.L. 8 luglio 2002, n. 138, Interventi urgenti in materia tributaria, di contenimento della spesa farmaceutica e per il sostegno dell’economia anche nelle aree svantaggiate, convertito in legge con modificazioni dalla legge 8 agosto 2002, n. 178. 

[369]Legge 27 dicembre 2002, n. 289, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2002).

[370]Legge 24 dicembre 2003, n. 350, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2004).

[371]Legge 23 dicembre 2005, n. 266, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2006).

[372]L’importo è stato ridotto di 4 milioni di euro ad opera dell’art. 30 del D.L. n. 4/2006 che lo ha destinato alle Capitanerie di Porto per l’adeguamento dei propri mezzi aeronavali, e di ulteriori  meuro dal comma 92 della stessa legge n. 266/200 che li ha assegnati ad alcuni enti fieristici.

[373]Legge 27 dicembre 2006, n. 296, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007).

[374] Legge 24 dicembre 2007, n. 244, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2008).

[375]  Si tratta della comunicazione COM(2006) 302 definitivo.

[376]L. 1 giugno 2002 n. 120, Ratifica ed esecuzione del Protocollo di Kyoto alla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, fatto a Kyoto l'11 dicembre 1997.

[377]www.cipecomitato.it/documentazione/Documenti_in_primo_piano/48/bozza%20Piano%20finale%20.pdf

[378]La base giuridica e finanziaria per l’esecuzione del primo l’Inventario Forestale Nazionale Italiano è stata fornita dalla legge n. 984 del 1977 e dal relativo Piano Agricolo Nazionale.

[379]www2.corpoforestale.it/c/document_library/get_file?repository_id=1&file_path=%

[380]Legge 23 dicembre 2005, n. 266, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2006).

[381]Legge 27 dicembre 2006, n. 296, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007).

[382]D.L. 1 ottobre 2007 n. 159, Interventi urgenti in materia economico-finanziaria, per lo sviluppo e l'equità sociale, convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, L. 29 novembre 2007, n. 222.

[383]Legge 24 dicembre 2007, n. 244, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2008).

[384]Regolamento (CE) n. 1198/2006 del Consiglio, del 27 luglio 2006, relativo al Fondo europeo per la pesca.

[385]L’obiettivo Convergenza, che sostituisce il precedente obiettivo 1 e riguarda quindi le regioni meno sviluppate, seleziona le regioni: con un prodotto interno lordo pro capite (PIL/abitante), calcolato in base ai dati relativi all’ultimo triennio precedente all’adozione del regolamento sui Fondi strutturali, inferiore al 75% della media dell’UE allargata (tali parametri verranno riscontrati soprattutto nei nuovi Stati membri); le regioni che superano tale soglia per il cosiddetto “effetto statistico” (cioè a causa dell’'ingresso dei dieci nuovi Stati membri: con un PIL per abitante inferiore al 75% della media dell’Unione europea a 15 Stati membri ma con un PIL per abitante superiore al 75% della media dell’Unione europea a 25 Stati). Per queste ultime  è previsto un sostegno economico transitorio (il phasing out).

      In Italia Sicilia, Calabria, Puglia e Campania rientrano tra le regioni con un Pil inferiore al 75% della media europea, alla Basilicata si applicheranno invece le misure di phasing out.

[386]Reg. (CE) 20 dicembre 2002, n. 2371/2002, Regolamento del Consiglio relativo alla conservazione e allo sfruttamento sostenibile delle risorse della pesca nell'ambito della politica comune della pesca.