Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento istituzioni
Titolo: Prevenzione e repressione della corruzione e dell'illegalità nella pubblica amministrazione A.C. 4434 - Legge 6 novembre 2012, n. 190 - Lavori preparatori - Iter al Senato (A.S. 2156) (esame in Commissione: sede referente e consultiva) - Parte prima - Seconda edizione
Riferimenti:
AC N. 4434/XVI     
Serie: Progetti di legge    Numero: 513    Progressivo: 1
Data: 05/12/2012
Descrittori:
CORRUZIONE E CONCUSSIONE   L 2012 0190
PREVENZIONE DEL CRIMINE   REATI CONTRO L' AMMINISTRAZIONE PUBBLICA E LA GIUSTIZIA
Organi della Camera: I-Affari Costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni
II-Giustizia
Altri riferimenti:
AS N. 2044/XVI   AS N. 2164/XVI
AS N. 2168/XVI   AS N. 2174/XVI
AS N. 2340/XVI   AS N. 2346/XVI
AS N. 2156/XVI     

 

Camera dei deputati

XVI LEGISLATURA

 

 

Documentazione per l’esame di
Progetti di legge

Disposizioni per la prevenzione
e la repressione della corruzione
e dell'illegalità nella pubblica amministrazione

 

Legge 6 novembre 2012, n. 190

Lavori preparatori
Iter al Senato (A.S. 2156)
(esame in Commissione: sede referente e consultiva)

 

 

 

 

n. 513/1

(parte prima)

Seconda edizione

 

5 dicembre 2012

 


Servizio responsabile:

Servizio Studi – Dipartimento Istituzioni

( 066760-3855 / 066760-9475 – * st_istituzioni@camera.it

 

 

 

 

 

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File: ac0660a1.doc

 


INDICE

 

Legge 6 novembre 2012, n. 190. Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell'illegalità nella pubblica amministrazione                          3

Senato della Repubblica

Progetti di legge

§      A.S. 2156, (Governo), Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione  29

§      A.S. 2044, (sen. Baio ed altri), Misure per contrastare fenomeni corruttivi nel rapporto tra eletti, cittadini e pubblica amministrazione  65

§      A.S. 2164, (sen. Li Gotti ed altri), Norme per il contrasto alla corruzione nella pubblica amministrazione e in materia di cause ostative all’assunzione di incarichi di governo, incandidabilità ed ineleggibilità dei condannati per reati contro la pubblica amministrazione. Delega al Governo in materia di coordinamento del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267  75

§      A.S. 2168, (sen. D’Alia), Disciplina della partecipazione alla vita pubblica e degli emolumenti per l’esercizio della funzione pubblica, regolamentazione degli incarichi di consulenza e norme in materia di contrasto a fenomeni di corruzione  95

§      A.S. 2174, (sen. Finocchiaro ed altri), Norme per il contrasto alla corruzione nella pubblica amministrazione e nel settore privato. Cause ostative all’assunzione di incarichi di governo, incandidabilità ed ineleggibilità dei responsabili per reati contro la pubblica amministrazione e collegati143

§      A.S. 2340, (sen. Della Monica ed altri), Norme per la trasparenza, la prevenzione e la repressione della corruzione e per il contrasto alla illegalità nel settore pubblico e privato  167

§      A.S. 2346, (sen. Zanda), Norme per il contrasto alla corruzione nella pubblica amministrazione e nel settore privato  213

§      Petizione n. 825, Azioni di contrasto ai fenomeni di corruzione nella pubblica amministrazione  219

§      Petizione n. 1121, Interventi volti a contrastare la corruzione nelle varie articolazioni della Pubblica Amministrazione  223

Esame in sede referente

-       Commissioni riunite 1a (Affari costituzionali) e 2a (Giustizia)

Seduta dell’11 maggio 2010  229

Seduta del 20 maggio 2010  235

Seduta del 25 maggio 2010  239

Seduta del 16 giugno 2010  243

Seduta del 27 luglio 2010  245

-       2a Commissione (Giustizia)

Seduta del 21 settembre 2010 (sui lavori della Commissione)247

Seduta del 23 settembre 2010 (sull’esame del Ddl)249

-       Commissioni riunite 1a (Affari costituzionali) e 2a (Giustizia)

Seduta del 29 settembre 2010  251

Seduta del 6 ottobre 2010  353

Seduta del 20 ottobre 2010  367

Seduta del 3 novembre 2010  371

-       1a Commissione (Affari costituzionali)

Seduta del 18 novembre 2010 (sui lavori della Commissione)377

-       Commissioni riunite 1a (Affari costituzionali) e 2a (Giustizia)

Seduta del 23 novembre 2010  379

Seduta del 18 gennaio 2011  381

-       1a Commissione (Affari costituzionali)

Seduta del 15 marzo 2011 (sui lavori della Commissione)383

-       Commissioni riunite 1a (Affari costituzionali) e 2a (Giustizia)

Seduta del 22 marzo 2011  385

Seduta del 19 aprile 2011  387

Seduta del 3 maggio 2011  389

Seduta del 19 maggio 2011 (antimeridiana)393

Seduta del 19 maggio 2011 (pomeridiana)397

Seduta del 24 maggio 2011  401

Seduta del 1° giugno 2011  405

-       1a Commissione (Affari costituzionali)

Seduta dell’8 giugno 2011 (sui lavori della Commissione)409

Esame in sede consultiva

§      Pareri resi alle Commissioni riunite 1a (Affari costituzionali) e2a (Giustizia)

-       5a Commissione (Bilancio)

Seduta del 19 ottobre 2010  413

Seduta del 21 ottobre 2010  415

Seduta del 3 novembre 2010  417

Seduta del 4 novembre 2010  419

Seduta del 10 novembre 2010  421

Seduta del 17 maggio 2011  423

Seduta del 18 maggio 2011  425

Seduta del 19 maggio 2011  427

Seduta del 24 maggio 2011  429

-       8a Commissione (Lavori pubblici, comunicazioni)

Seduta del 26 maggio 2010  431

Seduta del 31 maggio 2010  437

Seduta del 21 luglio 2010  439

Seduta del 29 luglio 2010  445

§      Pareri resi all’Assemblea

-       1a Commissione (Affari costituzionali)

Seduta del 7 giugno 2011  449

-       5a  Commissione (Bilancio)

Seduta del 7 giugno 2011  451

Seduta dell’8 giugno 2011  455

Seduta del 9 giugno 2011  459

Seduta del 14 giugno 2011  461

Seduta del 15 giugno 2011  463

 

 


Legge 6 novembre 2012, n. 190.
Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell'illegalità nella pubblica amministrazione

 


 

Legge 6 novembre 2012, n. 190.
Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell'illegalità nella pubblica amministrazione

 

(1)

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(1) Pubblicata nella Gazz. Uff. 13 novembre 2012, n. 265.

 

 

La Camera dei deputati ed il Senato della Repubblica hanno approvato;

 

IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

 

Promulga

 

la seguente legge:

 

Art. 1

Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell'illegalità nella pubblica amministrazione

In vigore dal 28 novembre 2012

1.  In attuazione dell'articolo 6 della Convenzione dell'Organizzazione delle Nazioni Unite contro la corruzione, adottata dalla Assemblea generale dell'ONU il 31 ottobre 2003 e ratificata ai sensi della legge 3 agosto 2009, n. 116, e degli articoli 20 e 21 della Convenzione penale sulla corruzione, fatta a Strasburgo il 27 gennaio 1999 e ratificata ai sensi della legge 28 giugno 2012, n. 110, la presente legge individua, in ambito nazionale, l'Autorità nazionale anticorruzione e gli altri organi incaricati di svolgere, con modalità tali da assicurare azione coordinata, attività di controllo, di prevenzione e di contrasto della corruzione e dell'illegalità nella pubblica amministrazione.

 

2.  La Commissione per la valutazione, la trasparenza e l'integrità delle amministrazioni pubbliche, di cui all'articolo 13 del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150, e successive modificazioni, di seguito denominata «Commissione», opera quale Autorità nazionale anticorruzione, ai sensi del comma 1 del presente articolo. In particolare, la Commissione:

 

a)  collabora con i paritetici organismi stranieri, con le organizzazioni regionali ed internazionali competenti;

b)  approva il Piano nazionale anticorruzione predisposto dal Dipartimento della funzione pubblica, di cui al comma 4, lettera c);

c)  analizza le cause e i fattori della corruzione e individua gli interventi che ne possono favorire la prevenzione e il contrasto;

d)  esprime pareri facoltativi agli organi dello Stato e a tutte le amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, in materia di conformità di atti e comportamenti dei funzionari pubblici alla legge, ai codici di comportamento e ai contratti, collettivi e individuali, regolanti il rapporto di lavoro pubblico;

e)  esprime pareri facoltativi in materia di autorizzazioni, di cui all'articolo 53 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, allo svolgimento di incarichi esterni da parte dei dirigenti amministrativi dello Stato e degli enti pubblici nazionali, con particolare riferimento all'applicazione del comma 16-ter, introdotto dal comma 42, lettera l), del presente articolo;

f)  esercita la vigilanza e il controllo sull'effettiva applicazione e sull'efficacia delle misure adottate dalle pubbliche amministrazioni ai sensi dei commi 4 e 5 del presente articolo e sul rispetto delle regole sulla trasparenza dell'attività amministrativa previste dai commi da 15 a 36 del presente articolo e dalle altre disposizioni vigenti;

g)  riferisce al Parlamento, presentando una relazione entro il 31 dicembre di ciascun anno, sull'attività di contrasto della corruzione e dell'illegalità nella pubblica amministrazione e sull'efficacia delle disposizioni vigenti in materia.

 

3.  Per l'esercizio delle funzioni di cui al comma 2, lettera f), la Commissione esercita poteri ispettivi mediante richiesta di notizie, informazioni, atti e documenti alle pubbliche amministrazioni, e ordina l'adozione di atti o provvedimenti richiesti dai piani di cui ai commi 4 e 5 del presente articolo e dalle regole sulla trasparenza dell'attività amministrativa previste dai commi da 15 a 36 del presente articolo e dalle altre disposizioni vigenti, ovvero la rimozione di comportamenti o atti contrastanti con i piani e le regole sulla trasparenza citati. La Commissione e le amministrazioni interessate danno notizia, nei rispettivi siti web istituzionali, dei provvedimenti adottati ai sensi del presente comma.

 

4.  Il Dipartimento della funzione pubblica, anche secondo linee di indirizzo adottate dal Comitato interministeriale istituito e disciplinato con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri:

 

a)  coordina l'attuazione delle strategie di prevenzione e contrasto della corruzione e dell'illegalità nella pubblica amministrazione elaborate a livello nazionale e internazionale;

b)  promuove e definisce norme e metodologie comuni per la prevenzione della corruzione, coerenti con gli indirizzi, i programmi e i progetti internazionali;

c)  predispone il Piano nazionale anticorruzione, anche al fine di assicurare l'attuazione coordinata delle misure di cui alla lettera a);

d)  definisce modelli standard delle informazioni e dei dati occorrenti per il conseguimento degli obiettivi previsti dalla presente legge, secondo modalità che consentano la loro gestione ed analisi informatizzata;

e)  definisce criteri per assicurare la rotazione dei dirigenti nei settori particolarmente esposti alla corruzione e misure per evitare sovrapposizioni di funzioni e cumuli di incarichi nominativi in capo ai dirigenti pubblici, anche esterni.

 

5.  Le pubbliche amministrazioni centrali definiscono e trasmettono al Dipartimento della funzione pubblica:

 

a)  un piano di prevenzione della corruzione che fornisce una valutazione del diverso livello di esposizione degli uffici al rischio di corruzione e indica gli interventi organizzativi volti a prevenire il medesimo rischio;

b)  procedure appropriate per selezionare e formare, in collaborazione con la Scuola superiore della pubblica amministrazione, i dipendenti chiamati ad operare in settori particolarmente esposti alla corruzione, prevedendo, negli stessi settori, la rotazione di dirigenti e funzionari.

 

6.  Ai fini della predisposizione del piano di prevenzione della corruzione, il prefetto, su richiesta, fornisce il necessario supporto tecnico e informativo agli enti locali, anche al fine di assicurare che i piani siano formulati e adottati nel rispetto delle linee guida contenute nel Piano nazionale approvato dalla Commissione.

 

7.  A tal fine, l'organo di indirizzo politico individua, di norma tra i dirigenti amministrativi di ruolo di prima fascia in servizio, il responsabile della prevenzione della corruzione. Negli enti locali, il responsabile della prevenzione della corruzione è individuato, di norma, nel segretario, salva diversa e motivata determinazione.

 

8.  L'organo di indirizzo politico, su proposta del responsabile individuato ai sensi del comma 7, entro il 31 gennaio di ogni anno, adotta il piano triennale di prevenzione della corruzione, curandone la trasmissione al Dipartimento della funzione pubblica. L'attività di elaborazione del piano non può essere affidata a soggetti estranei all'amministrazione. Il responsabile, entro lo stesso termine, definisce procedure appropriate per selezionare e formare, ai sensi del comma 10, i dipendenti destinati ad operare in settori particolarmente esposti alla corruzione. Le attività a rischio di corruzione devono essere svolte, ove possibile, dal personale di cui al comma 11. La mancata predisposizione del piano e la mancata adozione delle procedure per la selezione e la formazione dei dipendenti costituiscono elementi di valutazione della responsabilità dirigenziale.

 

9.  Il piano di cui al comma 5 risponde alle seguenti esigenze:

 

a)  individuare le attività, tra le quali quelle di cui al comma 16, nell'ambito delle quali è più elevato il rischio di corruzione, anche raccogliendo le proposte dei dirigenti, elaborate nell'esercizio delle competenze previste dall'articolo 16, comma 1, lettera a-bis), del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165;

b)  prevedere, per le attività individuate ai sensi della lettera a), meccanismi di formazione, attuazione e controllo delle decisioni idonei a prevenire il rischio di corruzione;

c)  prevedere, con particolare riguardo alle attività individuate ai sensi della lettera a), obblighi di informazione nei confronti del responsabile, individuato ai sensi del comma 7, chiamato a vigilare sul funzionamento e sull'osservanza del piano;

d)  monitorare il rispetto dei termini, previsti dalla legge o dai regolamenti, per la conclusione dei procedimenti;

e)  monitorare i rapporti tra l'amministrazione e i soggetti che con la stessa stipulano contratti o che sono interessati a procedimenti di autorizzazione, concessione o erogazione di vantaggi economici di qualunque genere, anche verificando eventuali relazioni di parentela o affinità sussistenti tra i titolari, gli amministratori, i soci e i dipendenti degli stessi soggetti e i dirigenti e i dipendenti dell'amministrazione;

f)  individuare specifici obblighi di trasparenza ulteriori rispetto a quelli previsti da disposizioni di legge.

 

10.  Il responsabile individuato ai sensi del comma 7 provvede anche:

 

a)  alla verifica dell'efficace attuazione del piano e della sua idoneità, nonché a proporre la modifica dello stesso quando sono accertate significative violazioni delle prescrizioni ovvero quando intervengono mutamenti nell'organizzazione o nell'attività dell'amministrazione;

b)  alla verifica, d'intesa con il dirigente competente, dell'effettiva rotazione degli incarichi negli uffici preposti allo svolgimento delle attività nel cui ambito è più elevato il rischio che siano commessi reati di corruzione;

c)  ad individuare il personale da inserire nei programmi di formazione di cui al comma 11.

 

11.  La Scuola superiore della pubblica amministrazione, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica e utilizzando le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente, predispone percorsi, anche specifici e settoriali, di formazione dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni statali sui temi dell'etica e della legalità. Con cadenza periodica e d'intesa con le amministrazioni, provvede alla formazione dei dipendenti pubblici chiamati ad operare nei settori in cui è più elevato, sulla base dei piani adottati dalle singole amministrazioni, il rischio che siano commessi reati di corruzione.

 

12.  In caso di commissione, all'interno dell'amministrazione, di un reato di corruzione accertato con sentenza passata in giudicato, il responsabile individuato ai sensi del comma 7 del presente articolo risponde ai sensi dell'articolo 21 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, nonché sul piano disciplinare, oltre che per il danno erariale e all'immagine della pubblica amministrazione, salvo che provi tutte le seguenti circostanze:

 

a)  di avere predisposto, prima della commissione del fatto, il piano di cui al comma 5 e di aver osservato le prescrizioni di cui ai commi 9 e 10 del presente articolo;

b)  di aver vigilato sul funzionamento e sull'osservanza del piano.

 

13.  La sanzione disciplinare a carico del responsabile individuato ai sensi del comma 7 non può essere inferiore alla sospensione dal servizio con privazione della retribuzione da un minimo di un mese ad un massimo di sei mesi.

 

14.  In caso di ripetute violazioni delle misure di prevenzione previste dal piano, il responsabile individuato ai sensi del comma 7 del presente articolo risponde ai sensi dell'articolo 21 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, nonché, per omesso controllo, sul piano disciplinare. La violazione, da parte dei dipendenti dell'amministrazione, delle misure di prevenzione previste dal piano costituisce illecito disciplinare. Entro il 15 dicembre di ogni anno, il dirigente individuato ai sensi del comma 7 del presente articolo pubblica nel sito web dell'amministrazione una relazione recante i risultati dell'attività svolta e la trasmette all'organo di indirizzo politico dell'amministrazione. Nei casi in cui l'organo di indirizzo politico lo richieda o qualora il dirigente responsabile lo ritenga opportuno, quest'ultimo riferisce sull'attività.

 

15.  Ai fini della presente legge, la trasparenza dell'attività amministrativa, che costituisce livello essenziale delle prestazioni concernenti i diritti sociali e civili ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione, secondo quanto previsto all'articolo 11 del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150, è assicurata mediante la pubblicazione, nei siti web istituzionali delle pubbliche amministrazioni, delle informazioni relative ai procedimenti amministrativi, secondo criteri di facile accessibilità, completezza e semplicità di consultazione, nel rispetto delle disposizioni in materia di segreto di Stato, di segreto d'ufficio e di protezione dei dati personali. Nei siti web istituzionali delle amministrazioni pubbliche sono pubblicati anche i relativi bilanci e conti consuntivi, nonché i costi unitari di realizzazione delle opere pubbliche e di produzione dei servizi erogati ai cittadini. Le informazioni sui costi sono pubblicate sulla base di uno schema tipo redatto dall'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, che ne cura altresì la raccolta e la pubblicazione nel proprio sito web istituzionale al fine di consentirne una agevole comparazione.

 

16.  Fermo restando quanto stabilito nell'articolo 53 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, come da ultimo modificato dal comma 42 del presente articolo, nell'articolo 54 del codice dell'amministrazione digitale, di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, e successive modificazioni, nell'articolo 21 della legge 18 giugno 2009, n. 69, e successive modificazioni, e nell'articolo 11 del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150, le pubbliche amministrazioni assicurano i livelli essenziali di cui al comma 15 del presente articolo con particolare riferimento ai procedimenti di:

 

a)  autorizzazione o concessione;

b)  scelta del contraente per l'affidamento di lavori, forniture e servizi, anche con riferimento alla modalità di selezione prescelta ai sensi del codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163;

c)  concessione ed erogazione di sovvenzioni, contributi, sussidi, ausili finanziari, nonché attribuzione di vantaggi economici di qualunque genere a persone ed enti pubblici e privati;

d)  concorsi e prove selettive per l'assunzione del personale e progressioni di carriera di cui all'articolo 24 del citato decreto legislativo n. 150 del 2009.

 

17.  Le stazioni appaltanti possono prevedere negli avvisi, bandi di gara o lettere di invito che il mancato rispetto delle clausole contenute nei protocolli di legalità o nei patti di integrità costituisce causa di esclusione dalla gara.

 

18.  Ai magistrati ordinari, amministrativi, contabili e militari, agli avvocati e procuratori dello Stato e ai componenti delle commissioni tributarie è vietata, pena la decadenza dagli incarichi e la nullità degli atti compiuti, la partecipazione a collegi arbitrali o l'assunzione di incarico di arbitro unico.

 

19.  Il comma 1 dell'articolo 241 del codice di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, e successive modificazioni, è sostituito dal seguente:

«1. Le controversie su diritti soggettivi, derivanti dall'esecuzione dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi, forniture, concorsi di progettazione e di idee, comprese quelle conseguenti al mancato raggiungimento dell'accordo bonario previsto dall'articolo 240, possono essere deferite ad arbitri, previa autorizzazione motivata da parte dell'organo di governo dell'amministrazione. L'inclusione della clausola compromissoria, senza preventiva autorizzazione, nel bando o nell'avviso con cui è indetta la gara ovvero, per le procedure senza bando, nell'invito, o il ricorso all'arbitrato, senza preventiva autorizzazione, sono nulli.».

 

20.  Le disposizioni relative al ricorso ad arbitri, di cui all'articolo 241, comma 1, del codice di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, come sostituito dal comma 19 del presente articolo, si applicano anche alle controversie relative a concessioni e appalti pubblici di opere, servizi e forniture in cui sia parte una società a partecipazione pubblica ovvero una società controllata o collegata a una società a partecipazione pubblica, ai sensi dell'articolo 2359 del codice civile, o che comunque abbiano ad oggetto opere o forniture finanziate con risorse a carico dei bilanci pubblici. A tal fine, l'organo amministrativo rilascia l'autorizzazione di cui al citato comma 1 dell'articolo 241 del codice di cui al decreto legislativo n. 163 del 2006, come sostituito dal comma 19 del presente articolo.

 

21.  La nomina degli arbitri per la risoluzione delle controversie nelle quali è parte una pubblica amministrazione avviene nel rispetto dei principi di pubblicità e di rotazione e secondo le modalità previste dai commi 22, 23 e 24 del presente articolo, oltre che nel rispetto delle disposizioni del codice di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, in quanto applicabili.

 

22.  Qualora la controversia si svolga tra due pubbliche amministrazioni, gli arbitri di parte sono individuati esclusivamente tra dirigenti pubblici.

 

23.  Qualora la controversia abbia luogo tra una pubblica amministrazione e un privato, l'arbitro individuato dalla pubblica amministrazione è scelto preferibilmente tra i dirigenti pubblici. Qualora non risulti possibile alla pubblica amministrazione nominare un arbitro scelto tra i dirigenti pubblici, la nomina è disposta, con provvedimento motivato, nel rispetto delle disposizioni del codice di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163.

 

24.  La pubblica amministrazione stabilisce, a pena di nullità della nomina, l'importo massimo spettante al dirigente pubblico per l'attività arbitrale. L'eventuale differenza tra l'importo spettante agli arbitri nominati e l'importo massimo stabilito per il dirigente è acquisita al bilancio della pubblica amministrazione che ha indetto la gara.

 

25.  Le disposizioni di cui ai commi da 19 a 24 non si applicano agli arbitrati conferiti o autorizzati prima della data di entrata in vigore della presente legge.

 

26.  Le disposizioni di cui ai commi 15 e 16 si applicano anche ai procedimenti posti in essere in deroga alle procedure ordinarie. I soggetti che operano in deroga e che non dispongono di propri siti web istituzionali pubblicano le informazioni di cui ai citati commi 15 e 16 nei siti web istituzionali delle amministrazioni dalle quali sono nominati.

 

27.  Le informazioni pubblicate ai sensi dei commi 15 e 16 sono trasmesse in via telematica alla Commissione.

 

28.  Le amministrazioni provvedono altresì al monitoraggio periodico del rispetto dei tempi procedimentali attraverso la tempestiva eliminazione delle anomalie. I risultati del monitoraggio sono consultabili nel sito web istituzionale di ciascuna amministrazione.

 

29.  Ogni amministrazione pubblica rende noto, tramite il proprio sito web istituzionale, almeno un indirizzo di posta elettronica certificata cui il cittadino possa rivolgersi per trasmettere istanze ai sensi dell'articolo 38 del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, e successive modificazioni, e ricevere informazioni circa i provvedimenti e i procedimenti amministrativi che lo riguardano.

 

30.  Le amministrazioni, nel rispetto della disciplina del diritto di accesso ai documenti amministrativi di cui al capo V della legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni, in materia di procedimento amministrativo, hanno l'obbligo di rendere accessibili in ogni momento agli interessati, tramite strumenti di identificazione informatica di cui all'articolo 65, comma 1, del codice di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, e successive modificazioni, le informazioni relative ai provvedimenti e ai procedimenti amministrativi che li riguardano, ivi comprese quelle relative allo stato della procedura, ai relativi tempi e allo specifico ufficio competente in ogni singola fase.

 

31.  Con uno o più decreti del Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti per le materie di competenza, sentita la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e successive modificazioni, da adottare entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono individuate le informazioni rilevanti ai fini dell'applicazione dei commi 15 e 16 del presente articolo e le relative modalità di pubblicazione, nonché le indicazioni generali per l'applicazione dei commi 29 e 30. Restano ferme le disposizioni in materia di pubblicità previste dal codice di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163.

 

32.  Con riferimento ai procedimenti di cui al comma 16, lettera b), del presente articolo, le stazioni appaltanti sono in ogni caso tenute a pubblicare nei propri siti web istituzionali: la struttura proponente; l'oggetto del bando; l'elenco degli operatori invitati a presentare offerte; l'aggiudicatario; l'importo di aggiudicazione; i tempi di completamento dell'opera, servizio o fornitura; l'importo delle somme liquidate. Entro il 31 gennaio di ogni anno, tali informazioni, relativamente all'anno precedente, sono pubblicate in tabelle riassuntive rese liberamente scaricabili in un formato digitale standard aperto che consenta di analizzare e rielaborare, anche a fini statistici, i dati informatici. Le amministrazioni trasmettono in formato digitale tali informazioni all'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, che le pubblica nel proprio sito web in una sezione liberamente consultabile da tutti i cittadini, catalogate in base alla tipologia di stazione appaltante e per regione. L'Autorità individua con propria deliberazione le informazioni rilevanti e le relative modalità di trasmissione. Entro il 30 aprile di ciascun anno, l'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture trasmette alla Corte dei conti l'elenco delle amministrazioni che hanno omesso di trasmettere e pubblicare, in tutto o in parte, le informazioni di cui al presente comma in formato digitale standard aperto. Si applica l'articolo 6, comma 11, del codice di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163.

 

33.  La mancata o incompleta pubblicazione, da parte delle pubbliche amministrazioni, delle informazioni di cui al comma 31 costituisce violazione degli standard qualitativi ed economici ai sensi dell'articolo 1, comma 1, del decreto legislativo 20 dicembre 2009, n. 198, ed è comunque valutata ai sensi dell'articolo 21 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni. Eventuali ritardi nell'aggiornamento dei contenuti sugli strumenti informatici sono sanzionati a carico dei responsabili del servizio.

 

34.  Le disposizioni dei commi da 15 a 33 si applicano alle amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, agli enti pubblici nazionali, nonché alle società partecipate dalle amministrazioni pubbliche e dalle loro controllate, ai sensi dell'articolo 2359 del codice civile, limitatamente alla loro attività di pubblico interesse disciplinata dal diritto nazionale o dell'Unione europea.

 

35.  Il Governo è delegato ad adottare, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, un decreto legislativo per il riordino della disciplina riguardante gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni, mediante la modifica o l'integrazione delle disposizioni vigenti, ovvero mediante la previsione di nuove forme di pubblicità, nel rispetto dei seguenti principi e criteri direttivi:

 

a)  ricognizione e coordinamento delle disposizioni che prevedono obblighi di pubblicità a carico delle amministrazioni pubbliche;

b)  previsione di forme di pubblicità sia in ordine all'uso delle risorse pubbliche sia in ordine allo svolgimento e ai risultati delle funzioni amministrative;

c)  precisazione degli obblighi di pubblicità di dati relativi ai titolari di incarichi politici, di carattere elettivo o comunque di esercizio di poteri di indirizzo politico, di livello statale, regionale e locale. Le dichiarazioni oggetto di pubblicazione obbligatoria di cui alla lettera a) devono concernere almeno la situazione patrimoniale complessiva del titolare al momento dell'assunzione della carica, la titolarità di imprese, le partecipazioni azionarie proprie, del coniuge e dei parenti entro il secondo grado di parentela, nonché tutti i compensi cui dà diritto l'assunzione della carica;

d)  ampliamento delle ipotesi di pubblicità, mediante pubblicazione nei siti web istituzionali, di informazioni relative ai titolari degli incarichi dirigenziali nelle pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, sia con riferimento a quelli che comportano funzioni di amministrazione e gestione, sia con riferimento agli incarichi di responsabilità degli uffici di diretta collaborazione;

e)  definizione di categorie di informazioni che le amministrazioni devono pubblicare e delle modalità di elaborazione dei relativi formati;

f)  obbligo di pubblicare tutti gli atti, i documenti e le informazioni di cui al presente comma anche in formato elettronico elaborabile e in formati di dati aperti. Per formati di dati aperti si devono intendere almeno i dati resi disponibili e fruibili on line in formati non proprietari, a condizioni tali da permetterne il più ampio riutilizzo anche a fini statistici e la ridistribuzione senza ulteriori restrizioni d'uso, di riuso o di diffusione diverse dall'obbligo di citare la fonte e di rispettarne l'integrità;

g)  individuazione, anche mediante integrazione e coordinamento della disciplina vigente, della durata e dei termini di aggiornamento per ciascuna pubblicazione obbligatoria;

h)  individuazione, anche mediante revisione e integrazione della disciplina vigente, delle responsabilità e delle sanzioni per il mancato, ritardato o inesatto adempimento degli obblighi di pubblicazione.

 

36.  Le disposizioni di cui al decreto legislativo adottato ai sensi del comma 35 integrano l'individuazione del livello essenziale delle prestazioni erogate dalle amministrazioni pubbliche a fini di trasparenza, prevenzione, contrasto della corruzione e della cattiva amministrazione, a norma dell'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione, e costituiscono altresì esercizio della funzione di coordinamento informativo statistico e informatico dei dati dell'amministrazione statale, regionale e locale, di cui all'articolo 117, secondo comma, lettera r), della Costituzione.

 

37.  All'articolo 1 della legge 7 agosto 1990, n. 241, al comma 1-ter sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «, con un livello di garanzia non inferiore a quello cui sono tenute le pubbliche amministrazioni in forza delle disposizioni di cui alla presente legge».

 

38.  All'articolo 2 della legge 7 agosto 1990, n. 241, al comma 1 è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «Se ravvisano la manifesta irricevibilità, inammissibilità, improcedibilità o infondatezza della domanda, le pubbliche amministrazioni concludono il procedimento con un provvedimento espresso redatto in forma semplificata, la cui motivazione può consistere in un sintetico riferimento al punto di fatto o di diritto ritenuto risolutivo».

 

39.  Al fine di garantire l'esercizio imparziale delle funzioni amministrative e di rafforzare la separazione e la reciproca autonomia tra organi di indirizzo politico e organi amministrativi, le amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, nonché le aziende e le società partecipate dallo Stato e dagli altri enti pubblici, in occasione del monitoraggio posto in essere ai fini dell'articolo 36, comma 3, del medesimo decreto legislativo n. 165 del 2001, e successive modificazioni, comunicano al Dipartimento della funzione pubblica, per il tramite degli organismi indipendenti di valutazione, tutti i dati utili a rilevare le posizioni dirigenziali attribuite a persone, anche esterne alle pubbliche amministrazioni, individuate discrezionalmente dall'organo di indirizzo politico senza procedure pubbliche di selezione. I dati forniti confluiscono nella relazione annuale al Parlamento di cui al citato articolo 36, comma 3, del decreto legislativo n. 165 del 2001, e vengono trasmessi alla Commissione per le finalità di cui ai commi da 1 a 14 del presente articolo.

 

40.  I titoli e i curricula riferiti ai soggetti di cui al comma 39 si intendono parte integrante dei dati comunicati al Dipartimento della funzione pubblica.

 

41.  Nel capo II della legge 7 agosto 1990, n. 241, dopo l'articolo 6 è aggiunto il seguente:

«Art. 6-bis. - (Conflitto di interessi). - 1. Il responsabile del procedimento e i titolari degli uffici competenti ad adottare i pareri, le valutazioni tecniche, gli atti endoprocedimentali e il provvedimento finale devono astenersi in caso di conflitto di interessi, segnalando ogni situazione di conflitto, anche potenziale.».

 

42.  All'articolo 53 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni:

 

a)  dopo il comma 3 è inserito il seguente:

«3-bis. Ai fini previsti dal comma 2, con appositi regolamenti emanati su proposta del Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, di concerto con i Ministri interessati, ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, e successive modificazioni, sono individuati, secondo criteri differenziati in rapporto alle diverse qualifiche e ruoli professionali, gli incarichi vietati ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2.»;

b)  al comma 5 sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «o situazioni di conflitto, anche potenziale, di interessi, che pregiudichino l'esercizio imparziale delle funzioni attribuite al dipendente»;

c)  al comma 7 e al comma 9, dopo il primo periodo è inserito il seguente:

«Ai fini dell'autorizzazione, l'amministrazione verifica l'insussistenza di situazioni, anche potenziali, di conflitto di interessi»;

d)  dopo il comma 7 è inserito il seguente:

«7-bis. L'omissione del versamento del compenso da parte del dipendente pubblico indebito percettore costituisce ipotesi di responsabilità erariale soggetta alla giurisdizione della Corte dei conti.»;

e)  il comma 11 è sostituito dal seguente:

«11. Entro quindici giorni dall'erogazione del compenso per gli incarichi di cui al comma 6, i soggetti pubblici o privati comunicano all'amministrazione di appartenenza l'ammontare dei compensi erogati ai dipendenti pubblici.»;

f)  al comma 12, il primo periodo è sostituito dal seguente: «Le amministrazioni pubbliche che conferiscono o autorizzano incarichi, anche a titolo gratuito, ai propri dipendenti comunicano in via telematica, nel termine di quindici giorni, al Dipartimento della funzione pubblica gli incarichi conferiti o autorizzati ai dipendenti stessi, con l'indicazione dell'oggetto dell'incarico e del compenso lordo, ove previsto»; al medesimo comma 12, al secondo periodo, le parole: «L'elenco è accompagnato» sono sostituite dalle seguenti: «La comunicazione è accompagnata» e, al terzo periodo, le parole: «Nello stesso termine» sono sostituite dalle seguenti: «Entro il 30 giugno di ciascun anno»;

g)  al comma 13, le parole: «Entro lo stesso termine di cui al comma 12» sono sostituite dalle seguenti: «Entro il 30 giugno di ciascun anno»;

h)  al comma 14, secondo periodo, dopo le parole: «l'oggetto, la durata e il compenso dell'incarico» sono aggiunte le seguenti: «nonché l'attestazione dell'avvenuta verifica dell'insussistenza di situazioni, anche potenziali, di conflitto di interessi»;

i)  al comma 14, dopo il secondo periodo sono inseriti i seguenti: «Le informazioni relative a consulenze e incarichi comunicate dalle amministrazioni al Dipartimento della funzione pubblica, nonché le informazioni pubblicate dalle stesse nelle proprie banche dati accessibili al pubblico per via telematica ai sensi del presente articolo, sono trasmesse e pubblicate in tabelle riassuntive rese liberamente scaricabili in un formato digitale standard aperto che consenta di analizzare e rielaborare, anche a fini statistici, i dati informatici. Entro il 31 dicembre di ciascun anno il Dipartimento della funzione pubblica trasmette alla Corte dei conti l'elenco delle amministrazioni che hanno omesso di trasmettere e pubblicare, in tutto o in parte, le informazioni di cui al terzo periodo del presente comma in formato digitale standard aperto»;

l)  dopo il comma 16-bis è aggiunto il seguente:

«16-ter. I dipendenti che, negli ultimi tre anni di servizio, hanno esercitato poteri autoritativi o negoziali per conto delle pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, non possono svolgere, nei tre anni successivi alla cessazione del rapporto di pubblico impiego, attività lavorativa o professionale presso i soggetti privati destinatari dell'attività della pubblica amministrazione svolta attraverso i medesimi poteri. I contratti conclusi e gli incarichi conferiti in violazione di quanto previsto dal presente comma sono nulli ed è fatto divieto ai soggetti privati che li hanno conclusi o conferiti di contrattare con le pubbliche amministrazioni per i successivi tre anni con obbligo di restituzione dei compensi eventualmente percepiti e accertati ad essi riferiti.».

 

43.  Le disposizioni di cui all'articolo 53, comma 16-ter, secondo periodo, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, introdotto dal comma 42, lettera l), non si applicano ai contratti già sottoscritti alla data di entrata in vigore della presente legge.

 

44.  L'articolo 54 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, è sostituito dal seguente:

«Art. 54. - (Codice di comportamento). - 1. Il Governo definisce un codice di comportamento dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni al fine di assicurare la qualità dei servizi, la prevenzione dei fenomeni di corruzione, il rispetto dei doveri costituzionali di diligenza, lealtà, imparzialità e servizio esclusivo alla cura dell'interesse pubblico. Il codice contiene una specifica sezione dedicata ai doveri dei dirigenti, articolati in relazione alle funzioni attribuite, e comunque prevede per tutti i dipendenti pubblici il divieto di chiedere o di accettare, a qualsiasi titolo, compensi, regali o altre utilità, in connessione con l'espletamento delle proprie funzioni o dei compiti affidati, fatti salvi i regali d'uso, purché di modico valore e nei limiti delle normali relazioni di cortesia.

2. Il codice, approvato con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, previa intesa in sede di Conferenza unificata, è pubblicato nella Gazzetta Ufficiale e consegnato al dipendente, che lo sottoscrive all'atto dell'assunzione.

3. La violazione dei doveri contenuti nel codice di comportamento, compresi quelli relativi all'attuazione del Piano di prevenzione della corruzione, è fonte di responsabilità disciplinare. La violazione dei doveri è altresì rilevante ai fini della responsabilità civile, amministrativa e contabile ogniqualvolta le stesse responsabilità siano collegate alla violazione di doveri, obblighi, leggi o regolamenti. Violazioni gravi o reiterate del codice comportano l'applicazione della sanzione di cui all'articolo 55-quater, comma 1.

4. Per ciascuna magistratura e per l'Avvocatura dello Stato, gli organi delle associazioni di categoria adottano un codice etico a cui devono aderire gli appartenenti alla magistratura interessata. In caso di inerzia, il codice è adottato dall'organo di autogoverno.

5. Ciascuna pubblica amministrazione definisce, con procedura aperta alla partecipazione e previo parere obbligatorio del proprio organismo indipendente di valutazione, un proprio codice di comportamento che integra e specifica il codice di comportamento di cui al comma 1. Al codice di comportamento di cui al presente comma si applicano le disposizioni del comma 3. A tali fini, la Commissione per la valutazione, la trasparenza e l'integrità delle amministrazioni pubbliche (CIVIT) definisce criteri, linee guida e modelli uniformi per singoli settori o tipologie di amministrazione.

6. Sull'applicazione dei codici di cui al presente articolo vigilano i dirigenti responsabili di ciascuna struttura, le strutture di controllo interno e gli uffici di disciplina.

7. Le pubbliche amministrazioni verificano annualmente lo stato di applicazione dei codici e organizzano attività di formazione del personale per la conoscenza e la corretta applicazione degli stessi.».

 

 

45.  I codici di cui all'articolo 54, commi 1 e 4, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, come sostituito dal comma 44, sono approvati entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge.

 

46.  Dopo l'articolo 35 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, è inserito il seguente:

«Art. 35-bis. - (Prevenzione del fenomeno della corruzione nella formazione di commissioni e nelle assegnazioni agli uffici) - 1. Coloro che sono stati condannati, anche con sentenza non passata in giudicato, per i reati previsti nel capo I del titolo II del libro secondo del codice penale:

a) non possono fare parte, anche con compiti di segreteria, di commissioni per l'accesso o la selezione a pubblici impieghi;

b) non possono essere assegnati, anche con funzioni direttive, agli uffici preposti alla gestione delle risorse finanziarie, all'acquisizione di beni, servizi e forniture, nonché alla concessione o all'erogazione di sovvenzioni, contributi, sussidi, ausili finanziari o attribuzioni di vantaggi economici a soggetti pubblici e privati;

c) non possono fare parte delle commissioni per la scelta del contraente per l'affidamento di lavori, forniture e servizi, per la concessione o l'erogazione di sovvenzioni, contributi, sussidi, ausili finanziari, nonché per l'attribuzione di vantaggi economici di qualunque genere.

2. La disposizione prevista al comma 1 integra le leggi e regolamenti che disciplinano la formazione di commissioni e la nomina dei relativi segretari.».

 

47.  All'articolo 11 della legge 7 agosto 1990, n. 241, al comma 2, è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «Gli accordi di cui al presente articolo devono essere motivati ai sensi dell'articolo 3».

 

48.  Il Governo è delegato ad adottare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, un decreto legislativo per la disciplina organica degli illeciti, e relative sanzioni disciplinari, correlati al superamento dei termini di definizione dei procedimenti amministrativi, secondo i seguenti principi e criteri direttivi:

 

a)  omogeneità degli illeciti connessi al ritardo, superando le logiche specifiche dei differenti settori delle pubbliche amministrazioni;

b)  omogeneità dei controlli da parte dei dirigenti, volti a evitare ritardi;

c)  omogeneità, certezza e cogenza nel sistema delle sanzioni, sempre in relazione al mancato rispetto dei termini.

 

49.  Ai fini della prevenzione e del contrasto della corruzione, nonché della prevenzione dei conflitti di interessi, il Governo è delegato ad adottare, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi diretti a modificare la disciplina vigente in materia di attribuzione di incarichi dirigenziali e di incarichi di responsabilità amministrativa di vertice nelle pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, e negli enti di diritto privato sottoposti a controllo pubblico esercitanti funzioni amministrative, attività di produzione di beni e servizi a favore delle amministrazioni pubbliche o di gestione di servizi pubblici, da conferire a soggetti interni o esterni alle pubbliche amministrazioni, che comportano funzioni di amministrazione e gestione, nonché a modificare la disciplina vigente in materia di incompatibilità tra i detti incarichi e lo svolgimento di incarichi pubblici elettivi o la titolarità di interessi privati che possano porsi in conflitto con l'esercizio imparziale delle funzioni pubbliche affidate.

 

50.  I decreti legislativi di cui al comma 49 sono emanati nel rispetto dei seguenti principi e criteri direttivi:

 

a)  prevedere in modo esplicito, ai fini della prevenzione e del contrasto della corruzione, i casi di non conferibilità di incarichi dirigenziali, adottando in via generale il criterio della non conferibilità per coloro che sono stati condannati, anche con sentenza non passata in giudicato, per i reati previsti dal capo I del titolo II del libro secondo del codice penale;

b)  prevedere in modo esplicito, ai fini della prevenzione e del contrasto della corruzione, i casi di non conferibilità di incarichi dirigenziali, adottando in via generale il criterio della non conferibilità per coloro che per un congruo periodo di tempo, non inferiore ad un anno, antecedente al conferimento abbiano svolto incarichi o ricoperto cariche in enti di diritto privato sottoposti a controllo o finanziati da parte dell'amministrazione che conferisce l'incarico;

c)  disciplinare i criteri di conferimento nonché i casi di non conferibilità di incarichi dirigenziali ai soggetti estranei alle amministrazioni che, per un congruo periodo di tempo, non inferiore ad un anno, antecedente al conferimento abbiano fatto parte di organi di indirizzo politico o abbiano ricoperto cariche pubbliche elettive. I casi di non conferibilità devono essere graduati e regolati in rapporto alla rilevanza delle cariche di carattere politico ricoperte, all'ente di riferimento e al collegamento, anche territoriale, con l'amministrazione che conferisce l'incarico. È escluso in ogni caso, fatta eccezione per gli incarichi di responsabile degli uffici di diretta collaborazione degli organi di indirizzo politico, il conferimento di incarichi dirigenziali a coloro che presso le medesime amministrazioni abbiano svolto incarichi di indirizzo politico o abbiano ricoperto cariche pubbliche elettive nel periodo, comunque non inferiore ad un anno, immediatamente precedente al conferimento dell'incarico;

d)  comprendere tra gli incarichi oggetto della disciplina:

1)  gli incarichi amministrativi di vertice nonché gli incarichi dirigenziali, anche conferiti a soggetti estranei alle pubbliche amministrazioni, che comportano l'esercizio in via esclusiva delle competenze di amministrazione e gestione;

2)  gli incarichi di direttore generale, sanitario e amministrativo delle aziende sanitarie locali e delle aziende ospedaliere;

3)  gli incarichi di amministratore di enti pubblici e di enti di diritto privato sottoposti a controllo pubblico;

e)  disciplinare i casi di incompatibilità tra gli incarichi di cui alla lettera d) già conferiti e lo svolgimento di attività, retribuite o no, presso enti di diritto privato sottoposti a regolazione, a controllo o finanziati da parte dell'amministrazione che ha conferito l'incarico o lo svolgimento in proprio di attività professionali, se l'ente o l'attività professionale sono soggetti a regolazione o finanziati da parte dell'amministrazione;

f)  disciplinare i casi di incompatibilità tra gli incarichi di cui alla lettera d) già conferiti e l'esercizio di cariche negli organi di indirizzo politico.

 

51.  Dopo l'articolo 54 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, è inserito il seguente:

«Art. 54-bis. - (Tutela del dipendente pubblico che segnala illeciti). - 1. Fuori dei casi di responsabilità a titolo di calunnia o diffamazione, ovvero per lo stesso titolo ai sensi dell'articolo 2043 del codice civile, il pubblico dipendente che denuncia all'autorità giudiziaria o alla Corte dei conti, ovvero riferisce al proprio superiore gerarchico condotte illecite di cui sia venuto a conoscenza in ragione del rapporto di lavoro, non può essere sanzionato, licenziato o sottoposto ad una misura discriminatoria, diretta o indiretta, avente effetti sulle condizioni di lavoro per motivi collegati direttamente o indirettamente alla denuncia.

2. Nell'ambito del procedimento disciplinare, l'identità del segnalante non può essere rivelata, senza il suo consenso, sempre che la contestazione dell'addebito disciplinare sia fondata su accertamenti distinti e ulteriori rispetto alla segnalazione. Qualora la contestazione sia fondata, in tutto o in parte, sulla segnalazione, l'identità può essere rivelata ove la sua conoscenza sia assolutamente indispensabile per la difesa dell'incolpato.

3. L'adozione di misure discriminatorie è segnalata al Dipartimento della funzione pubblica, per i provvedimenti di competenza, dall'interessato o dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative nell'amministrazione nella quale le stesse sono state poste in essere.

4. La denuncia è sottratta all'accesso previsto dagli articoli 22 e seguenti della legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni.».

 

52.  Per l'efficacia dei controlli antimafia nelle attività imprenditoriali di cui al comma 53, presso ogni prefettura è istituito l'elenco dei fornitori, prestatori di servizi ed esecutori di lavori non soggetti a tentativo di infiltrazione mafiosa operanti nei medesimi settori. L'iscrizione negli elenchi della prefettura della provincia in cui l'impresa ha sede soddisfa i requisiti per l'informazione antimafia per l'esercizio della relativa attività. La prefettura effettua verifiche periodiche circa la perdurante insussistenza dei suddetti rischi e, in caso di esito negativo, dispone la cancellazione dell'impresa dall'elenco.

 

 

53.  Sono definite come maggiormente esposte a rischio di infiltrazione mafiosa le seguenti attività:

 

a)  trasporto di materiali a discarica per conto di terzi;

b)  trasporto, anche transfrontaliero, e smaltimento di rifiuti per conto di terzi;

c)  estrazione, fornitura e trasporto di terra e materiali inerti;

d)  confezionamento, fornitura e trasporto di calcestruzzo e di bitume;

e)  noli a freddo di macchinari;

f)  fornitura di ferro lavorato;

g)  noli a caldo;

h)  autotrasporti per conto di terzi;

i)  guardiania dei cantieri.

 

54.  L'indicazione delle attività di cui al comma 53 può essere aggiornata, entro il 31 dicembre di ogni anno, con apposito decreto del Ministro dell'interno, adottato di concerto con i Ministri della giustizia, delle infrastrutture e dei trasporti e dell'economia e delle finanze, previo parere delle Commissioni parlamentari competenti, da rendere entro trenta giorni dalla data di trasmissione del relativo schema alle Camere. Qualora le Commissioni non si pronuncino entro il termine, il decreto può essere comunque adottato.

 

55.  L'impresa iscritta nell'elenco di cui al comma 52 comunica alla prefettura competente qualsiasi modifica dell'assetto proprietario e dei propri organi sociali, entro trenta giorni dalla data della modifica. Le società di capitali quotate in mercati regolamentati comunicano le variazioni rilevanti secondo quanto previsto dal testo unico di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58. La mancata comunicazione comporta la cancellazione dell'iscrizione.

 

56.  Con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta dei Ministri per la pubblica amministrazione e la semplificazione, dell'interno, della giustizia, delle infrastrutture e dei trasporti e dello sviluppo economico, da adottare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono definite le modalità per l'istituzione e l'aggiornamento, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, dell'elenco di cui al comma 52, nonché per l'attività di verifica.

 

57.  Fino al sessantesimo giorno successivo alla data di entrata in vigore del decreto di cui al comma 56 continua ad applicarsi la normativa vigente alla data di entrata in vigore della presente legge.

 

58.  All'articolo 135, comma 1, del codice di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, dopo le parole: «passata in giudicato» sono inserite le seguenti: «per i delitti previsti dall'articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, del codice di procedura penale, dagli articoli 314, primo comma, 316, 316-bis, 317, 318, 319, 319-ter, 319-quater e 320 del codice penale, nonché».

 

59.  Le disposizioni di prevenzione della corruzione di cui ai commi da 1 a 57 del presente articolo, di diretta attuazione del principio di imparzialità di cui all'articolo 97 della Costituzione, sono applicate in tutte le amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni.

 

60.  Entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, attraverso intese in sede di Conferenza unificata di cui all'articolo 8, comma 1, del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, si definiscono gli adempimenti, con l'indicazione dei relativi termini, delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano e degli enti locali, nonché degli enti pubblici e dei soggetti di diritto privato sottoposti al loro controllo, volti alla piena e sollecita attuazione delle disposizioni della presente legge, con particolare riguardo:

 

a)  alla definizione, da parte di ciascuna amministrazione, del piano triennale di prevenzione della corruzione, a partire da quello relativo agli anni 2013-2015, e alla sua trasmissione alla regione interessata e al Dipartimento della funzione pubblica;

b)  all'adozione, da parte di ciascuna amministrazione, di norme regolamentari relative all'individuazione degli incarichi vietati ai dipendenti pubblici di cui all'articolo 53, comma 3-bis, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, introdotto dal comma 42, lettera a), del presente articolo, ferma restando la disposizione del comma 4 dello stesso articolo 53;

c)  all'adozione, da parte di ciascuna amministrazione, del codice di comportamento di cui all'articolo 54, comma 5, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, come sostituito dal comma 44 del presente articolo.

 

61.  Attraverso intese in sede di Conferenza unificata sono altresì definiti gli adempimenti attuativi delle disposizioni dei decreti legislativi previsti dalla presente legge da parte delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano e degli enti locali, nonché degli enti pubblici e dei soggetti di diritto privato sottoposti al loro controllo.

 

62.  All'articolo 1 della legge 14 gennaio 1994, n. 20, dopo il comma 1-quinquies sono inseriti i seguenti:

«1-sexies. Nel giudizio di responsabilità, l'entità del danno all'immagine della pubblica amministrazione derivante dalla commissione di un reato contro la stessa pubblica amministrazione accertato con sentenza passata in giudicato si presume, salva prova contraria, pari al doppio della somma di denaro o del valore patrimoniale di altra utilità illecitamente percepita dal dipendente.

1-septies. Nei giudizi di responsabilità aventi ad oggetto atti o fatti di cui al comma 1-sexies, il sequestro conservativo di cui all'articolo 5, comma 2, del decreto-legge 15 novembre 1993, n. 453, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 gennaio 1994, n. 19, è concesso in tutti i casi di fondato timore di attenuazione della garanzia del credito erariale.».

 

63.  Il Governo è delegato ad adottare, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, un decreto legislativo recante un testo unico della normativa in materia di incandidabilità alla carica di membro del Parlamento europeo, di deputato e di senatore della Repubblica, di incandidabilità alle elezioni regionali, provinciali, comunali e circoscrizionali e di divieto di ricoprire le cariche di presidente e di componente del consiglio di amministrazione dei consorzi, di presidente e di componente dei consigli e delle giunte delle unioni di comuni, di consigliere di amministrazione e di presidente delle aziende speciali e delle istituzioni di cui all'articolo 114 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, e successive modificazioni, di presidente e di componente degli organi esecutivi delle comunità montane.

 

64.  Il decreto legislativo di cui al comma 63 provvede al riordino e all'armonizzazione della vigente normativa ed è adottato secondo i seguenti principi e criteri direttivi:

 

a)  ferme restando le disposizioni del codice penale in materia di interdizione perpetua dai pubblici uffici, prevedere che non siano temporaneamente candidabili a deputati o a senatori coloro che abbiano riportato condanne definitive a pene superiori a due anni di reclusione per i delitti previsti dall'articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, del codice di procedura penale;

b)  in aggiunta a quanto previsto nella lettera a), prevedere che non siano temporaneamente candidabili a deputati o a senatori coloro che abbiano riportato condanne definitive a pene superiori a due anni di reclusione per i delitti previsti nel libro secondo, titolo II, capo I, del codice penale ovvero per altri delitti per i quali la legge preveda una pena detentiva superiore nel massimo a tre anni;

c)  prevedere la durata dell'incandidabilità di cui alle lettere a) e b);

d)  prevedere che l'incandidabilità operi anche in caso di applicazione della pena su richiesta, ai sensi dell'articolo 444 del codice di procedura penale;

e)  coordinare le disposizioni relative all'incandidabilità con le vigenti norme in materia di interdizione dai pubblici uffici e di riabilitazione, nonché con le restrizioni all'esercizio del diritto di elettorato attivo;

f)  prevedere che le condizioni di incandidabilità alla carica di deputato e di senatore siano applicate altresì all'assunzione delle cariche di governo;

g)  operare una completa ricognizione della normativa vigente in materia di incandidabilità alle elezioni provinciali, comunali e circoscrizionali e di divieto di ricoprire le cariche di presidente della provincia, sindaco, assessore e consigliere provinciale e comunale, presidente e componente del consiglio circoscrizionale, presidente e componente del consiglio di amministrazione dei consorzi, presidente e componente dei consigli e delle giunte delle unioni di comuni, consigliere di amministrazione e presidente delle aziende speciali e delle istituzioni di cui all'articolo 114 del testo unico di cui al citato decreto legislativo n. 267 del 2000, presidente e componente degli organi delle comunità montane, determinata da sentenze definitive di condanna;

h)  valutare per le cariche di cui alla lettera g), in coerenza con le scelte operate in attuazione delle lettere a) e i), l'introduzione di ulteriori ipotesi di incandidabilità determinate da sentenze definitive di condanna per delitti di grave allarme sociale;

i)  individuare, fatta salva la competenza legislativa regionale sul sistema di elezione e i casi di ineleggibilità e di incompatibilità del presidente e degli altri componenti della giunta regionale nonché dei consiglieri regionali, le ipotesi di incandidabilità alle elezioni regionali e di divieto di ricoprire cariche negli organi politici di vertice delle regioni, conseguenti a sentenze definitive di condanna;

l)  prevedere l'abrogazione espressa della normativa incompatibile con le disposizioni del decreto legislativo di cui al comma 63;

m)  disciplinare le ipotesi di sospensione e decadenza di diritto dalle cariche di cui al comma 63 in caso di sentenza definitiva di condanna per delitti non colposi successiva alla candidatura o all'affidamento della carica.

 

65.  Lo schema del decreto legislativo di cui al comma 63, corredato di relazione tecnica, ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, è trasmesso alle Camere ai fini dell'espressione dei pareri da parte delle Commissioni parlamentari competenti per materia e per i profili finanziari, che sono resi entro sessanta giorni dalla data di trasmissione dello schema di decreto. Decorso il termine di cui al periodo precedente senza che le Commissioni abbiano espresso i pareri di rispettiva competenza, il decreto legislativo può essere comunque adottato.

 

66.  Tutti gli incarichi presso istituzioni, organi ed enti pubblici, nazionali ed internazionali attribuiti in posizioni apicali o semiapicali, compresi quelli di titolarità dell'ufficio di gabinetto, a magistrati ordinari, amministrativi, contabili e militari, avvocati e procuratori dello Stato, devono essere svolti con contestuale collocamento in posizione di fuori ruolo, che deve permanere per tutta la durata dell'incarico. Gli incarichi in corso alla data di entrata in vigore della presente legge cessano di diritto se nei centottanta giorni successivi non viene adottato il provvedimento di collocamento in posizione di fuori ruolo.

 

67.  Il Governo è delegato ad adottare, entro quattro mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, un decreto legislativo per l'individuazione di ulteriori incarichi, anche negli uffici di diretta collaborazione, che, in aggiunta a quelli di cui al comma 66, comportano l'obbligatorio collocamento in posizione di fuori ruolo, sulla base dei seguenti principi e criteri direttivi:

 

a)  tener conto delle differenze e specificità dei regimi e delle funzioni connessi alla giurisdizione ordinaria, amministrativa, contabile e militare, nonché all'Avvocatura dello Stato;

b)  durata dell'incarico;

c)  continuatività e onerosità dell'impegno lavorativo connesso allo svolgimento dell'incarico;

d)  possibili situazioni di conflitto di interesse tra le funzioni esercitate presso l'amministrazione di appartenenza e quelle esercitate in ragione dell'incarico ricoperto fuori ruolo.

 

68.  Salvo quanto previsto dal comma 69, i magistrati ordinari, amministrativi, contabili e militari, gli avvocati e procuratori dello Stato non possono essere collocati in posizione di fuori ruolo per un tempo che, nell'arco del loro servizio, superi complessivamente dieci anni, anche continuativi. Il predetto collocamento non può comunque determinare alcun pregiudizio con riferimento alla posizione rivestita nei ruoli di appartenenza.

 

69.  Salvo quanto previsto nei commi 70, 71 e 72 le disposizioni di cui al comma 68 si applicano anche agli incarichi in corso alla data di entrata in vigore della presente legge.

 

70.  Le disposizioni di cui ai commi da 66 a 72 non si applicano ai membri di Governo, alle cariche elettive, anche presso gli organi di autogoverno, e ai componenti delle Corti internazionali comunque denominate.

 

71.  Per gli incarichi previsti dal comma 4 dell'articolo 1-bis del decreto-legge 16 settembre 2008, n. 143, convertito, con modificazioni, dalla legge 13 novembre 2008, n. 181, anche se conferiti successivamente all'entrata in vigore della presente legge, il termine di cui al comma 68 decorre dalla data di entrata in vigore della presente legge.

 

72.  I magistrati ordinari, amministrativi, contabili e militari, nonché gli avvocati e procuratori dello Stato che, alla data di entrata in vigore della presente legge, hanno già maturato o che, successivamente a tale data, maturino il periodo massimo di collocamento in posizione di fuori ruolo, di cui al comma 68, si intendono confermati nella posizione di fuori ruolo sino al termine dell'incarico, della legislatura, della consiliatura o del mandato relativo all'ente o soggetto presso cui è svolto l'incarico. Qualora l'incarico non preveda un termine, il collocamento in posizione di fuori ruolo si intende confermato per i dodici mesi successivi all'entrata in vigore della presente legge.

 

73.  Lo schema del decreto legislativo di cui al comma 67 è trasmesso alle Camere ai fini dell'espressione dei pareri da parte delle Commissioni parlamentari competenti per materia, che sono resi entro trenta giorni dalla data di trasmissione del medesimo schema di decreto. Decorso il termine senza che le Commissioni abbiano espresso i pareri di rispettiva competenza il decreto legislativo può essere comunque adottato.

 

74.  Entro un anno dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo di cui al comma 67, nel rispetto dei principi e criteri direttivi ivi stabiliti, il Governo è autorizzato ad adottare disposizioni integrative o correttive del decreto legislativo stesso.

 

75.  Al codice penale sono apportate le seguenti modificazioni:

 

a)  all'articolo 32-quater, dopo le parole: «319-bis,» sono inserite le seguenti: «319-quater,»;

b)  all'articolo 32-quinquies, dopo le parole: «319-ter» sono inserite le seguenti: «, 319-quater, primo comma,»;

c)  al primo comma dell'articolo 314, la parola: «tre» è sostituita dalla seguente: «quattro»;

d)  l'articolo 317 è sostituito dal seguente:

«Art. 317. - (Concussione). - Il pubblico ufficiale che, abusando della sua qualità o dei suoi poteri, costringe taluno a dare o a promettere indebitamente, a lui o a un terzo, denaro o altra utilità è punito con la reclusione da sei a dodici anni.»;

e)  all'articolo 317-bis, le parole: «314 e 317» sono sostituite dalle seguenti: «314, 317, 319 e 319-ter»;

f)  l'articolo 318 è sostituito dal seguente:

«Art. 318. - (Corruzione per l'esercizio della funzione). - Il pubblico ufficiale che, per l'esercizio delle sue funzioni o dei suoi poteri, indebitamente riceve, per sè o per un terzo, denaro o altra utilità o ne accetta la promessa è punito con la reclusione da uno a cinque anni.»;

g)  all'articolo 319, le parole: «da due a cinque» sono sostituite dalle seguenti: «da quattro a otto»;

h)  all'articolo 319-ter sono apportate le seguenti modificazioni:

1)  nel primo comma, le parole: «da tre a otto» sono sostituite dalle seguenti: «da quattro a dieci»;

2)  nel secondo comma, la parola: «quattro» è sostituita dalla seguente: «cinque»;

i)  dopo l'articolo 319-ter è inserito il seguente:

«Art. 319-quater. - (Induzione indebita a dare o promettere utilità). - Salvo che il fatto costituisca più grave reato, il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio che, abusando della sua qualità o dei suoi poteri, induce taluno a dare o a promettere indebitamente, a lui o a un terzo, denaro o altra utilità è punito con la reclusione da tre a otto anni.

Nei casi previsti dal primo comma, chi dà o promette denaro o altra utilità è punito con la reclusione fino a tre anni.»;

l)  all'articolo 320, il primo comma è sostituito dal seguente:

«Le disposizioni degli articoli 318 e 319 si applicano anche all'incaricato di un pubblico servizio.»;

m)  all'articolo 322 sono apportate le seguenti modificazioni:

1)  nel primo comma, le parole: «che riveste la qualità di pubblico impiegato, per indurlo a compiere un atto del suo ufficio» sono sostituite dalle seguenti: «, per l'esercizio delle sue funzioni o dei suoi poteri»;

2)  il terzo comma è sostituito dal seguente:

«La pena di cui al primo comma si applica al pubblico ufficiale o all'incaricato di un pubblico servizio che sollecita una promessa o dazione di denaro o altra utilità per l'esercizio delle sue funzioni o dei suoi poteri.»;

n)  all'articolo 322-bis sono apportate le seguenti modificazioni:

1)  nel secondo comma, dopo le parole: «Le disposizioni degli articoli» sono inserite le seguenti: «319-quater, secondo comma,»;

2)  nella rubrica, dopo la parola: «concussione,» sono inserite le seguenti: «induzione indebita a dare o promettere utilità,»;

o)  all'articolo 322-ter, primo comma, dopo le parole: «a tale prezzo» sono aggiunte le seguenti: «o profitto»;

p)  all'articolo 323, primo comma, le parole: «da sei mesi a tre anni» sono sostituite dalle seguenti: «da uno a quattro anni»;

q)  all'articolo 323-bis, dopo la parola: «319,» sono inserite le seguenti: «319-quater,»;

r)  dopo l'articolo 346 è inserito il seguente:

«Art. 346-bis. - (Traffico di influenze illecite). - Chiunque, fuori dei casi di concorso nei reati di cui agli articoli 319 e 319-ter, sfruttando relazioni esistenti con un pubblico ufficiale o con un incaricato di un pubblico servizio, indebitamente fa dare o promettere, a sè o ad altri, denaro o altro vantaggio patrimoniale, come prezzo della propria mediazione illecita verso il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio ovvero per remunerarlo, in relazione al compimento di un atto contrario ai doveri di ufficio o all'omissione o al ritardo di un atto del suo ufficio, è punito con la reclusione da uno a tre anni.

La stessa pena si applica a chi indebitamente dà o promette denaro o altro vantaggio patrimoniale.

La pena è aumentata se il soggetto che indebitamente fa dare o promettere, a sè o ad altri, denaro o altro vantaggio patrimoniale riveste la qualifica di pubblico ufficiale o di incaricato di un pubblico servizio.

Le pene sono altresì aumentate se i fatti sono commessi in relazione all'esercizio di attività giudiziarie.

Se i fatti sono di particolare tenuità, la pena è diminuita.».

 

76.  L'articolo 2635 del codice civile è sostituito dal seguente:

«Art. 2635. - (Corruzione tra privati). - Salvo che il fatto costituisca più grave reato, gli amministratori, i direttori generali, i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, i sindaci e i liquidatori, che, a seguito della dazione o della promessa di denaro o altra utilità, per sè o per altri, compiono od omettono atti, in violazione degli obblighi inerenti al loro ufficio o degli obblighi di fedeltà, cagionando nocumento alla società, sono puniti con la reclusione da uno a tre anni.

Si applica la pena della reclusione fino a un anno e sei mesi se il fatto è commesso da chi è sottoposto alla direzione o alla vigilanza di uno dei soggetti indicati al primo comma.

Chi dà o promette denaro o altra utilità alle persone indicate nel primo e nel secondo comma è punito con le pene ivi previste.

Le pene stabilite nei commi precedenti sono raddoppiate se si tratta di società con titoli quotati in mercati regolamentati italiani o di altri Stati dell'Unione europea o diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell'articolo 116 del testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, e successive modificazioni.

Si procede a querela della persona offesa, salvo che dal fatto derivi una distorsione della concorrenza nella acquisizione di beni o servizi.».

 

77.  Al decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, sono apportate le seguenti modificazioni:

 

a)  all'articolo 25:

1)  nella rubrica, dopo la parola: «Concussione» sono inserite le seguenti: «, induzione indebita a dare o promettere utilità»;

2)  al comma 3, dopo le parole: «319-ter, comma 2,» sono inserite le seguenti: «319-quater»;

b)  all'articolo 25-ter, comma 1, dopo la lettera s) è aggiunta la seguente:

«s-bis) per il delitto di corruzione tra privati, nei casi previsti dal terzo comma dell'articolo 2635 del codice civile, la sanzione pecuniaria da duecento a quattrocento quote».

 

78.  All'articolo 308 del codice di procedura penale, dopo il comma 2 è inserito il seguente:

«2-bis. Nel caso si proceda per uno dei delitti previsti dagli articoli 314, 316, 316-bis, 316-ter, 317, 318, 319, 319-ter, 319-quater, primo comma, e 320 del codice penale, le misure interdittive perdono efficacia decorsi sei mesi dall'inizio della loro esecuzione. In ogni caso, qualora esse siano state disposte per esigenze probatorie, il giudice può disporne la rinnovazione anche oltre sei mesi dall'inizio dell'esecuzione, fermo restando che comunque la loro efficacia viene meno se dall'inizio della loro esecuzione è decorso un periodo di tempo pari al triplo dei termini previsti dall'articolo 303».

 

79.  All'articolo 133, comma 1-bis, delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, di cui al decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271, dopo le parole: «319-ter» sono inserite le seguenti: «, 319-quater».

 

80.  All'articolo 12-sexies del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n. 356, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni:

 

a)  al comma 1, dopo le parole: «319-ter,» sono inserite le seguenti: «319-quater,»;

b)  al comma 2-bis, dopo le parole: «319-ter,» sono inserite le seguenti: «319-quater,».

 

81.  Al testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, sono apportate le seguenti modificazioni:

 

a)  all'articolo 58, comma 1, lettera b), le parole: «(corruzione per un atto d'ufficio)» sono sostituite dalle seguenti: «(corruzione per l'esercizio della funzione)» e dopo le parole: «319-ter (corruzione in atti giudiziari),» sono inserite le seguenti: «319-quater, primo comma (induzione indebita a dare o promettere utilità),»;

b)  all'articolo 59, comma 1, lettera a), dopo le parole: «319-ter» sono inserite le seguenti: «, 319-quater»;

c)  all'articolo 59, comma 1, lettera c), dopo le parole: «misure coercitive di cui agli articoli 284, 285 e 286 del codice di procedura penale» sono aggiunte le seguenti: «nonché di cui all'articolo 283, comma 1, del codice di procedura penale, quando il divieto di dimora riguarda la sede dove si svolge il mandato elettorale».

 

82.  Il provvedimento di revoca di cui all'articolo 100, comma 1, del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, è comunicato dal prefetto all'Autorità nazionale anticorruzione, di cui al comma 1 del presente articolo, che si esprime entro trenta giorni. Decorso tale termine, la revoca diventa efficace, salvo che l'Autorità rilevi che la stessa sia correlata alle attività svolte dal segretario in materia di prevenzione della corruzione.

 

83.  All'articolo 3, comma 1, della legge 27 marzo 2001, n. 97, dopo le parole: «319-ter» sono inserite le seguenti: «, 319-quater».

 

 

 

Art. 2

Clausola di invarianza

In vigore dal 28 novembre 2012

1.  Dall'attuazione della presente legge non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

 

2.  Le amministrazioni competenti provvedono allo svolgimento delle attività previste dalla presente legge con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.

 

La presente legge, munita del sigillo dello Stato, sarà inserita nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. È fatto obbligo a chiunque spetti di osservarla e di farla osservare come legge dello Stato.

 

 

 

 


 

Senato della Repubblica

 


Progetti di legge

 


SENATO DELLA REPUBBLICA

¾¾¾¾¾¾¾¾   XVI LEGISLATURA   ¾¾¾¾¾¾¾¾

 

N. 2156

DISEGNO DI LEGGE

presentato dal Ministro della giustizia (ALFANO)

di concerto con il Ministro dell’interno (MARONI)

con il Ministro per le riforme per il federalismo (BOSSI)

con il Ministro per la semplificazione normativa (CALDEROLI)

e con il Ministro per la pubblica amministrazione e l’innovazione (BRUNETTA)

COMUNICATO ALLA PRESIDENZA IL 4 MAGGIO 2010

 

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Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione

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Onorevoli Senatori. – Il disegno di legge si compone di tre capi, che corrispondono ad altrettanti «pilastri» dell’azione di contrasto alla corruzione e all’illegalità nel settore pubblico: prevenzione generale, controlli mirati e sanzioni.

Il capo I contiene misure per la prevenzione del fenomeno corruzione, frutto di un cambiamento culturale, prima ancora che giuridico, e che riflette un approccio multi disciplinare, nel quale i tradizionali strumenti sanzionatori rappresentano solamente alcuni dei diversi fattori per la lotta alla corruzione e all’illegalità nell’azione amministrativa.

In questo quadro, gli articoli da 1 a 5 stabiliscono le iniziative, di medio e lungo periodo, che rispondono, da una parte, alla domanda di trasparenza e controllo proveniente dai cittadini, e, dall’altra, alla necessità di adeguare l’ordinamento giuridico agli standard internazionali riducendo, così, il livello di corruzione nel nostro Paese.

Del resto, la corruzione, nella sua misura effettiva e in quella percepita da imprese e cittadini, è un enorme danno alla credibilità del Paese, perché disincentiva gli investimenti, anche stranieri, frenando, di conseguenza lo sviluppo economico.

L’articolo 1 del disegno di legge istituisce il Piano nazionale anticorruzione.

Si tratta di uno strumento che attua le politiche e le buone pratiche di prevenzione della corruzione specificatamente previste nel capo II della Convenzione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite contro la corruzione, adottata dalla Assemblea generale dell’ONU il 31 ottobre 2003, con risoluzione n.58/4, firmata dallo Stato italiano il 9 dicembre 2003 e ratificata ai sensi della legge 3 agosto 2009, n.116.

L’adozione del Piano nazionale anticorruzione si rende necessaria anche a seguito della valutazione fatta, tra l’ottobre 2008 e il giugno 2009, dal Gruppo di Stati contro la corruzione (GRECO), organismo istituito nell’ambito del Consiglio d’Europa, di cui l’Italia fa parte dal 2007. Tra le altre raccomandazioni formulate, il GRECO ha invitato il nostro Paese ad adottare un Piano nazionale per la prevenzione e il contrasto alla corruzione e a riferirne dinanzi al Consiglio d’Europa il 31 gennaio 2011.

Del resto, la maggior parte dei Paesi europei, come Germania, Paesi Bassi, Francia, Spagna, Irlanda e Polonia, hanno già implementato piani o strategie anticorruzione, sulla base della Convenzione ONU in materia. Il contesto internazionale, quindi, spinge perché sia adottata anche dal l’Italia questa importante misura per la prevenzione ed il contrasto della corruzione.

Il Piano nazionale anticorruzione è predisposto dal Dipartimento della funzione pubblica della Presidenza del Consiglio dei ministri, a partire dai singoli piani di azione, nei quali ciascuna amministrazione centrale indica: il grado di esposizione al rischio corruzione dei propri uffici; le misure organizzative necessarie a fronteggiare tale rischio; le procedure di selezione, formazione e rotazione dei dipendenti che operano in settori sensibili; e, infine, le soluzioni, anche normative, per prevenire e, comunque, individuare gli illeciti. L’articolo l prevede inoltre che una Rete nazionale anticorruzione, composta da referenti di ciascuna pubblica amministrazione, fornisca al Dipartimento della funzione pubblica elementi per valutare l’idoneità degli strumenti adottati per prevenire e combattere la corruzione, per definire programmi informativi e formativi per i dipendenti pubblici che favoriscano il corretto e onorevole esercizio delle funzioni ad essi affidate, per monitorare l’effettiva attuazione dei singoli piani di azione.

Infine, presso il Dipartimento della funzione pubblica è istituito un Osservatorio sulla corruzione e gli altri illeciti nella pubblica amministrazione, con compiti di analisi e informazione.

La trasparenza dell’attività amministrativa, l’accesso e la conoscenza dei procedimenti da parte dei cittadini rappresentano fattori determinanti per favorire il controllo e la legalità dell’azione amministrativa.

In questo quadro, come già previsto con riferimento ad altre attività della pubblica amministrazione, l’articolo 2 del disegno di legge stabilisce che la trasparenza amministrativa rientra tra i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, previsti dall’articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione.

A tal fine, l’articolo 2 prevede l’obbligo di pubblicazione, sui siti istituzionali delle amministrazioni, delle informazioni relative a procedimenti amministrativi «sensibili», quali quelli che hanno ad oggetto autorizzazioni, concessioni, appalti pubblici, erogazioni di benefici economici a persone o enti pubblici o privati, concorsi e progressioni di carriera. Al di fuori di questi procedimenti, lo stesso articolo 2 prevede che le amministrazioni debbano, in ogni caso, realizzare il monitoraggio dei termini del procedimento amministrativo per individuare anomalie nell’azione amministrativa che possano costituire sintomi di maladministration o di inefficienza amministrativa.

I commi 4 e 5 dell’articolo 2 prevedono che le amministrazioni rendano noto, tramite i propri siti istituzionali, almeno un indirizzo di posta elettronica certificata che il cittadino può utilizzare per trasmettere istanze ai sensi dell’articolo 38 del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n.445, e ricevere informazioni circa i provvedimenti e i procedimenti amministrativi che lo riguardano. In questo caso, le amministrazioni sono tenute a rispondere entro termini predeterminati, ma possono anche consentire l’accesso diretto ai dati e alle informazioni rilevanti, utilizzando gli opportuni strumenti di identificazione informatica previsti dal codice dell’amministrazione digitale, di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82.

Il comma 6 dell’articolo 2 prevede che con decreto del Presidente della Repubblica su proposta dei Ministri per la pubblica amministrazione e l’innovazione e per la semplificazione normativa, di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, sentita la Conferenza unificata, sono individuate le informazioni rilevanti ai fini dell’applicazione delle disposizioni in materia di trasparenza previste nei commi 1 e 2 e delle modalità di pubblicazione. È altresì specificato che alla pubblicità in materia di procedure di affidamento dei contratti pubblici rimangono applicabili le disposizioni già previste dal codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n.163, di seguito denominato «codice dei contratti pubblici».

Il comma 7 prevede che la mancata o incompleta pubblicazione delle informazioni di cui al comma 6 costituisce per l’amministrazione una violazione degli standard qualitativi ed economici ai sensi dell’articolo 1 del decreto legislativo 20 dicembre 2009, n.198, ed è valutabile ai sensi dell’articolo 21 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n.165.

L’articolo 3 introduce misure per favorire la trasparenza nell’ambito dei contratti pubblici modificando l’articolo 7 del codice dei contratti pubblici.

In particolare è prevista l’istituzione della Banca dati nazionale dei contratti pubblici (BDNCP), della quale fanno parte i dati previsti dal comma 4, lettere a) e d), e dal comma 8, lettere a) e b), dell’articolo 7 del codice dei contratti pubblici, riguardanti i bandi e gli avvisi di gara, le aggiudicazioni e gli affidamenti, le imprese partecipanti, l’impiego della mano d’opera e le relative norme di sicurezza, i costi e gli scostamenti rispetto a quelli preventivati, i tempi di esecuzione e le modalità di attuazione degli interventi, i ritardi e le disfunzioni, i programmi triennali dei lavori pubblici, l’elenco dei contratti pubblici affidati, l’inizio, gli stati di avanzamento e l’ultimazione di lavori, servizi, forniture, l’effettuazione del collaudo, l’importo finale.

La disciplina delle modalità di funzionamento e i contenuti della BDNCP, del casellario informatico dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, nonché del sito informatico presso l’Osservatorio è demandata al regolamento di cui all’articolo 5 del codice dei contratti pubblici.

L’articolo 4 ha la finalità di ridurre gli oneri amministrativi per le imprese e, al tempo stesso, di garantire maggiore certezza pubblica all’azione amministrativa.

In particolare, mediante modifica all’articolo 48 del codice dei contratti pubblici, si introduce l’obbligo per le stazioni appaltanti di inserire nella BDNCP, la documentazione comprovante il possesso dei requisiti di ordine generale e speciale per la partecipazione alle gare cosicchè le stazioni appaltanti possano procedere alla verifica del possesso dei suddetti requisiti direttamente presso la BDNCP, laddove la stessa contenga la relativa documentazione, senza richiedere la documentazione ai concorrenti.

Inoltre, quale ulteriore misura di semplificazione e trasparenza, è inserito, all’articolo 74 del codice dei contratti pubblici un nuovo comma che prevede che le stazioni appaltanti richiedano, di norma, l’utilizzo di moduli predisposti sulla base dei modelli standard, definiti con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, previo parere dell’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, per la dichiarazione sostitutiva dei requisiti di partecipazione di ordine generale e, per i contratti relativi a servizi e forniture o per i contratti relativi a lavori di importo pari o inferiore a 150.000 euro, dei requisiti di partecipazione economico-finanziari e tecnico-organizzativi.

L’articolo 5 riproduce a regime con alcuni adattamenti le disposizioni già contenute nell’articolo 16 del decreto-legge 28 aprile 2009, n.39, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 giugno 2009, n.77, relativo alla ricostruzione in Abruzzo, e nell’articolo 3-quinquies del decreto-legge 25 settembre 2009, n.135, convertito, con modificazioni, dalla legge 20 novembre 2009, n.166, relativo agli interventi per Milano Expo 2015.

L’intervento risponde all’esigenza di realizzare un efficace sistema di controlli nei confronti dei subappalti, al fine di estendere alle imprese subappaltatrici i controlli antimafia espletati in via principale nei confronti dell’impresa aggiudicataria.

È prevista la facoltà, per gli esecutori dei lavori, servizi e forniture, di attingere da un elenco, istituito presso le prefetture, i fornitori e prestatori di servizi non soggetti a rischio di tentativi di infiltrazione mafiosa (decreto legislativo 8 agosto 1994, n.490, e regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 3 giugno 1998, n.252). L’elenco sarà periodicamente aggiornato e con specifico regolamento verranno definite le modalità per l’istituzione e l’aggiornamento dell’elenco stesso, la durata dell’iscrizione, l’attività di verifica ed i casi di sospensione e decadenza dell’iscrizione. L’intervento sarà sistematicamente completato con l’istituzione della banca dati nazionale della documentazione antimafia, prevista dal disegno di legge «Piano straordinario contro le mafie, nonché delega al Governo in materia di normativa antimafia», deliberato dal Consiglio dei Ministri nella riunione del 28 gennaio ultimo scorso, che metterà in rete le informazioni di tutte le prefetture (vedi atto Camera n. 3290).

Le disposizioni non comportano nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica in quanto le attività da esse previste saranno svolte nei limiti delle risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente.

L’articolo 6 al fine di rafforzare la separazione tra funzione di indirizzo politico amministrativo e gestione amministrativa, individua nei dirigenti di uffici dirigenziali generali delle amministrazioni e degli enti usurai, i soggetti deputati ad adottare il provvedimento con cui si dichiarano le opere, i servizi e le forniture «segreti», ovvero «eseguibili con speciali misure di sicurezza», modificando l’articolo 17 del codice dei contratti pubblici.

Il capo II contiene norme relative ai controlli negli enti locali.

L’articolo 7, al comma 1, contiene modifiche all’articolo 49 del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n.267, di seguito denominato «testo unico», in materia di pareri dei responsabili dei servizi. In particolare, si prevede che quando una proposta di deliberazione sottoposta alla giunta e al consiglio comporta effetti diretti o indiretti sulla situazione economico-finanziaria o sul patrimonio, sempreché non si tratti di un mero atto di indirizzo, deve essere richiesto il parere del responsabile di ragioneria in merito alla regolarità contabile.

Un’altra modifica riguarda l’articolo 147 del testo unico, relativo alle tipologie dei controlli interni. In particolare, viene soppressa la disposizione che prevede, tra i compiti di controllo degli enti locali, la valutazione del personale con qualifica dirigenziale; nello stesso comma 1 viene introdotta la garanzia del costante controllo degli equilibri finanziari della gestione di competenza, della gestione dei residui e di cassa (anche ai fini della realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica previsti dal patto di stabilità interno) mediante un’assidua attività di coordinamento e di vigilanza da parte del responsabile del servizio finanziario e di controllo da parte di tutti i responsabili dei servizi. La norma prevede, altresì, che l’organo esecutivo approvi trimestralmente ricognizioni periodiche degli equilibri finanziari e che le verifiche periodiche valuteranno l’andamento economico-finanziario degli organismi gestionali esterni negli effetti che si determinano per il bilancio finanziario dell’ente [lettera d)]. Si prevede inoltre la verifica dell’efficacia, dell’efficienza e dell’economicità degli organismi gestionali esterni dell’ente [lettera e)]. Il comma 1 prevede, infine, la garanzia del controllo della qualità dei servizi erogati, sia direttamente, sia mediante organismi gestionali esterni, con l’impiego di metodologie dirette a misurare la soddisfazione degli utenti esterni e interni dell’ente [lettera f)]. Il comma 2 dell’articolo 147 precisa che le disposizioni contenute nelle lettere d), e) ed f), del comma 1 si applichino solo ai comuni con popolazione superiore a 5.000 abitanti e alle province. Il comma 3 prevede che all’organizzazione dei controlli interni partecipino il segretario, il direttore generale, laddove previsto, tutti i responsabili di settore, le unità di controllo, laddove istituite. Nel nuovo testo dell’articolo 147 viene meno il comma 5 che prevede la possibilità di istituire, nell’ambito dei comitati provinciali per la pubblica amministrazione, apposite strutture di consulenza e di supporto di cui gli enti locali si possano avvalere per l’esercizio dei suddetti controlli.

Il comma 2 dell’articolo 7 del disegno di legge introduce gli articoli 147-bis, 147-ter, 147-quater, 147-quinquies e 147-sexies nel testo unico sugli enti locali.

L’articolo 147-bis disciplina il controllo di regolarità amministrativa e contabile: esso viene assicurato nella fase preventiva della formazione dell’atto da ogni responsabile di servizio ed è esercitato attraverso il rilascio del parere di regolarità tecnica attestante la legittimità, la regolarità e la correttezza dell’azione amministrativa. Il comma 1 dell’articolo 147-bis stabilisce che tale controllo è effettuato anche dal responsabile del servizio finanziario ed è esercitato attraverso il rilascio del parere di regolarità contabile e del visto attestante la copertura finanziaria. Il comma 2 prevede che il suddetto controllo sia assicurato anche nella fase successiva, sotto la direzione del segretario, secondo princìpi generali di revisione aziendale e modalità definite nell’ambito dell’autonomia organizzativa dell’ente. La norma prevede altresì che siano soggette al controllo le determinazioni di impegno di spesa, gli atti di accertamento di entrata, gli atti di liquidazione della spesa, i contratti, gli altri atti amministrativi, scelti secondo una selezione casuale effettuata con motivate tecniche di campionamento. Il comma 3 stabilisce che l’esito del controllo sia trasmesso periodicamente, a cura del segretario, ai responsabili di settore, ai revisori dei conti e agli organi di valutazione dei risultati dei dipendenti, come documenti utili per la valutazione.

L’articolo 147-ter disciplina il controllo strategico. Esso prevede che, per verificare lo stato di attuazione dei programmi secondo le linee approvate dal consiglio, l’ente locale definisca metodologie di controllo strategico finalizzate alla rilevazione dei risultati conseguiti rispetto agli obiettivi predefiniti, degli aspetti economico-finanziari connessi ai risultati ottenuti, dei tempi di realizzazione rispetto alle previsioni, delle procedure operative attuate, confrontate con i progetti elaborati, della qualità erogata e del grado di soddisfazione della domanda espressa, degli aspetti socio-economici.

Il comma 2 stabilisce che l’unità preposta al controllo strategico elabori rapporti periodici, da sottoporre all’organo esecutivo e al consiglio per la successiva predisposizione di deliberazioni consiliari di ricognizione dei programmi, secondo modalità da definirsi con il proprio regolamento di contabilità, in base a quanto previsto dallo statuto.

All’articolo 147-quater è demandata la disciplina dei controlli sulle società partecipate. Il comma 1 prevede che l’ente locale definisca un sistema di controlli sulle società partecipate dallo stesso ente locale e che tali controlli siano esercitati dalle strutture proprie dell’ente, che ne sono responsabili. A tale fine, il comma 2 stabilisce che l’amministrazione definisca preventivamente gli obiettivi gestionali cui deve tendere la società partecipata, secondo standard qualitativi e quantitativi, e organizzi un idoneo sistema informativo finalizzato a rilevare i rapporti finanziari tra ente proprietario e società, la situazione contabile, gestionale e organizzativa delle società, i contratti di servizio, la qualità dei servizi, il rispetto delle norme di legge sui vincoli di finanza pubblica. Il comma 3 prevede che, sulla base di dette informazioni, l’ente locale effettui il monitoraggio periodico sull’andamento delle società partecipate, analizzi gli scostamenti rispetto agli obiettivi assegnati e individui le opportune azioni correttive, anche in riferimento a possibili squilibri economico-finanziari rilevanti per il bilancio dell’ente. Il comma 4 prevede che i risultati complessivi della gestione dell’ente locale e delle aziende partecipate siano rilevati mediante bilancio consolidato, secondo il principio della competenza economica.

L’articolo 147-quinquies disciplina il controllo sulla qualità dei servizi, prevedendo che tale tipologia di controllo riguardi sia i servizi erogati direttamente dall’ente, sia i servizi erogati tramite società partecipate o in appalto, e che sia svolta secondo modalità definite in base all’autonomia organizzativa dell’ente, tali da assicurare comunque la rilevazione della soddisfazione dell’utente, la gestione dei reclami e il rapporto di comunicazione con i cittadini.

Infine, l’articolo 147-sexies stabilisce l’obbligatorietà delle disposizioni relative ai controlli sulle società partecipate e sulla qualità dei servizi solo per i comuni con popolazione superiore a 5.000 abitanti e per le province.

Il comma 3 dell’articolo 7 contiene la riformulazione dell’articolo 151 del testo unico, recante princìpi in materia di contabilità, introducendo due nuove disposizioni.

La prima, prevede che, nei comuni con popolazione superiore a 5.000 abitanti e nelle province, i provvedimenti dei responsabili dei servizi che comportano impegni di spesa siano trasmessi dal responsabile del servizio proponente, previo rilascio del parere di congruità, al responsabile del servizio finanziario e che siano esecutivi con l’apposizione del visto di regolarità contabile attestante la copertura finanziaria. La norma prevede altresì che, con il parere di congruità, il responsabile del servizio interessato attesti sotto la propria personale responsabilità amministrativa e contabile, oltre che la rispondenza dell’atto alla normativa vigente, il rispetto dei criteri di economicità ed efficienza, nonché il comprovato confronto competitivo, considerati anche i parametri di riferimento relativi agli acquisti in convenzione.

La seconda norma introdotta stabilisce che il parere di congruità sia rilasciato anche nella determinazione a contrattare, per l’attestazione relativa alla base di gara, e nella stipulazione di contratti di servizio con le aziende partecipate.

Il comma 4 sostituisce l’articolo 169 del testo unico, che disciplina il piano esecutivo di gestione. Il comma 1 dell’articolo 169 contiene una nuova disposizione che prevede che, nella definizione del piano esecutivo di gestione, l’organo esecutivo determini, oltre agli obiettivi da raggiungere, anche le attività da svolgere. Il comma 2 dell’articolo 169 del testo unico stabilisce che il piano esecutivo di gestione contenga un’ulteriore graduazione delle risorse dell’entrata in capitoli, dei servizi in centri di costo e degli interventi in capitoli. Il comma 3 dell’articolo 169 del citato testo unico prevede che le disposizioni contenute nei commi 1 e 2 siano applicabili facoltativamente dai comuni con popolazione inferiore a 15.000 abitanti, che garantiscono la delega ai responsabili dei servizi delle attività da svolgere, degli obiettivi da raggiungere e delle relative dotazioni necessarie. Il comma 4 dell’articolo 169 prevede che la rendicontazione del piano esecutivo di gestione e la verifica del grado di raggiungimento degli obiettivi assegnati siano deliberate dall’organo esecutivo entro il 31 marzo dell’esercizio successivo a quello di riferimento. Il comma 5 stabilisce che le disposizioni contenute nel novellato articolo 169 si applicano anche alle unioni di comuni.

L’ultimo corpo di modifiche attiene alla sostituzione dell’articolo 196 e all’abrogazione degli articoli 197, 198 e 198-bis del testo unico. La modifica introdotta all’articolo 196 specifica che nei comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti e nelle unioni di comuni il controllo di gestione è affidato al responsabile del servizio economico-finanziario o, in assenza, al segretario comunale, e che può essere svolto anche mediante forme di gestione associata con altri enti limitrofi.

Il comma 4 del novellato articolo 196 prevede che il controllo di gestione sia articolato almeno in tre fasi: predisposizione di un piano dettagliato di obiettivi di cui al piano esecutivo di gestione, ove approvato; rilevazione dei dati relativi ai costi e ai proventi, nonché rilevazione dei risultati raggiunti, valutazione dei dati predetti in un rapporto al piano degli obiettivi al fine di verificare il loro stato di attuazione e di misurare l’efficacia, l’efficienza e il grado di economicità dell’azione intrapresa. Il comma 5 del citato articolo 196 prevede che il controllo di gestione sia svolto in riferimento ai singoli servizi e centri di costo, ove previsti, verificando in maniera complessiva e per ciascun servizio i mezzi finanziari acquisiti, i costi dei singoli fattori produttivi, i risultati qualitativi e quantitativi ottenuti e, per i servizi a carattere produttivo, i ricavi. Il comma 6 del citato articolo 196 prevede che la verifica dell’efficacia, dell’efficienza e dell’economicità dell’azione amministrativa sia svolta rapportando le risorse acquisite e i costi dei servizi, ove possibile per unità di prodotto, ai dati risultanti dal rapporto annuale sui parametri gestionali dei servizi degli enti locali. I commi 7 e 8 del medesimo articolo introducono due nuove disposizioni: la prima riguarda la struttura operativa cui è assegnata la funzione dei controlli di gestione (essa fornisce con cadenza periodica e con modalità definite secondo la propria autonomia organizzativa le conclusioni del controllo agli amministratori, ai fini della verifica dello stato di attuazione degli obiettivi programmati, e ai responsabili dei servizi affinché questi ultimi abbiano gli elementi necessari per valutare l’andamento della gestione dei servizi di cui sono responsabili). La norma prevede altresì che il resoconto annuale finale del predetto controllo sia trasmesso anche alla Corte dei conti. La seconda norma introdotta specifica che i revisori sono eletti a maggioranza dei due terzi dei componenti dal consiglio dell’ente locale, salvo diversa disposizione statutaria.

Infine, il comma 7 dell’articolo 7 reca una clausola di salvaguardia con riguardo all’articolo 16 del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150, in tema di adeguamento degli enti locali ai princìpi contenuti in alcuni articoli della riforma concernente l’ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e dell’efficienza e della trasparenza nelle pubbliche amministrazioni.

L’articolo 8 contiene ulteriori modifiche al testo unico. In primo luogo, è prevista la modifica dell’articolo 234.

La modifica incide sulle categorie soggettive entro le quali è possibile scegliere i revisori dei conti (comma 2). La nuova formulazione prevede che i componenti del collegio dei revisori siano scelti sulla base di criteri, individuati dallo statuto dell’ente, idonei a garantire una specifica professionalità e a privilegiare il credito formativo. Le categorie entro le quali è possibile effettuare la scelta sono gli iscritti nel registro dei revisori contabili e gli iscritti all’Ordine dei dottori commercialisti e degli esperti contabili. L’articolo in esame, inoltre, modifica il comma 3 dell’articolo 234 del testo unico portando da 15.000 a 5.000 la popolazione dei comuni la cui revisione economico-finanziaria è affidata a un solo revisore. Introduce altresì un nuovo comma 3-bis, prevedendo che, nei comuni con popolazione compresa fra 5.000 e 15.000 abitanti, la revisione economico-finanziaria sia affidata, secondo i criteri stabiliti dallo statuto, ad un revisore unico o, a parità di oneri, a un collegio composto da tre membri. Nel silenzio si intende affidata a un solo revisore. Viene modificato anche l’articolo 236 del testo unico, espungendo il riferimento ai membri dell’organo regionale di controllo (soppressi dopo la riforma del titolo V della parte seconda della Costituzione) dall’elenco dei soggetti ineleggibili nell’organo di revisione contabile. Infine, viene novellato l’articolo 239 del testo unico, attinente alle funzioni dell’organo di revisione. La lettera b) del comma 1, in materia di pareri, viene integralmente sostituita, introducendo la possibilità di rendere pareri, con le modalità stabilite dal regolamento, in merito a: 1) strumenti di programmazione economico-finanziaria; 2) proposta di bilancio di previsione e relative variazioni; 3) modalità di gestione dei servizi e proposte di costituzione o di partecipazione ad organismi esterni; 4) proposte di ricorso all’indebitamento; 5) proposte di utilizzo di strumenti di finanza innovativa; 6) proposte di riconoscimento di debiti fuori bilancio e transazioni; 7) proposte di regolamento di contabilità, economato-provveditorato, patrimonio e di applicazione dei tributi locali. Si introduce la lettera c-bis) del comma 1 aggiungendo alle funzioni svolte dall’organo di revisione le seguenti: controllo periodico trimestrale della regolarità amministrativa e contabile della gestione diretta e indiretta dell’ente; verifica della regolare tenuta della contabilità, della consistenza di cassa e dell’esistenza dei valori e dei titoli di proprietà.

Infine il nuovo comma 1-bis dell’articolo 239, in relazione ai pareri di cui alla lettera b) del comma 1, precisa che deve essere espresso un motivato giudizio di congruità, di coerenza e di attendibilità contabile delle previsioni di bilancio e dei programmi e progetti, suggerendo all’organo consiliare tutte le misure atte ad assicurare l’attendibilità delle impostazioni. Tali pareri sono obbligatori e impongono all’organo consiliare di adottare i provvedimenti conseguenti oppure di motivare adeguatamente la mancata adozione delle misure proposte.

Infine viene modificata la lettera a) del comma 2 prevedendo l’obbligatorio invio all’organo di revisione contabile dei rilievi e delle decisioni assunti a tutela della sana gestione finanziaria dell’ente da parte della Corte dei conti.

Il capo III del disegno di legge contiene disposizioni per la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione.

L’articolo 9 delega il Governo ad adottare, entro un anno, un decreto legislativo volto a disciplinare le conseguenze del cosiddetto «fallimento politico». Il decreto legislativo dovrà prevedere che, nei casi di rimozione del presidente della Giunta regionale disposta ai sensi dell’articolo 126 della Costituzione, il soggetto che abbia ricoperto la carica di presidente della regione non possa essere candidato ad alcuna carica elettiva a livello locale, regionale o nazionale. Tra i princìpi di delega si segnala la previsione di un termine di durata dell’incandidabilità.

Le disposizioni del comma 2 attengono strettamente alla funzionalità delle amministrazioni locali e prevedono un ampliamento dei casi di scioglimento dei consigli comunali e provinciali, previsti dall’articolo 141 del testo unico, qualora non sia stato deliberato dall’ente locale il dissesto finanziario.

L’intervento si rende necessario considerato che la vigente disciplina del dissesto non prevede alcuna conseguenza dalla mancata adozione da parte dell’organo consiliare della relativa delibera, venuto meno il potere sostitutivo dell’organo regionale di controllo. Nel colmare tale lacuna, le disposizioni prevedono che, qualora da una serie di documenti contabili (referto delle sezioni regionali di controllo della Corte dei conti, relazioni dei servizi ispettivi di finanza pubblica del Ministero dell’economia e delle finanze, bilanci di previsione e rendiconti) ovvero da altri elementi acquisiti da altra fonte (deliberazioni dell’ente locale) il prefetto ravvisi eventuali situazioni di dissesto, lo stesso possa avviare le necessarie verifiche. In caso di riscontro della sussistenza delle condizioni di dissesto assegna un termine perentorio di venti giorni per la deliberazione del dissesto da parte del Consiglio, trascorso il quale attiva i poteri sostitutivi, con la nomina di un commissario, e dà corso alla procedura per lo scioglimento dell’ente ai sensi dell’articolo 141 del testo unico.

L’articolo 10 inserisce disposizioni nel testo unico delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei deputati (decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n.361) (articolo 6-bis), e al testo unico delle leggi recante norme per l’elezione del Senato della Repubblica (decreto legislativo 20 dicembre 1993, n.533) (comma 1-bis dell’articolo 5), al fine di stabilire ulteriori condizioni di ineleggibilità all’ufficio di deputato e di senatore rispetto a quelle già previste nei testi citati.

Il comma 1 del nuovo articolo 6-bis del testo unico:

– dispone che l’ineleggibilità all’ufficio di deputato non opera illimitatamente, ma per i cinque anni successivi al passaggio in giudicato della sentenza di condanna, con un’espressa clausola di salvezza della disciplina contenuta nel codice penale in materia di interdizione dai pubblici uffici;

– individua i delitti presi in considerazione dalla norma tra quelli appartenenti alle seguenti categorie:

a) delitti previsti dall’articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, del codice di procedura penale. Si tratta di reati particolarmente gravi, per i quali il codice di procedura penale prevede che le funzioni di pubblico ministero siano esercitate dall’ufficio presso il tribunale del capoluogo di distretto, tra i quali l’associazione a delinquere diretta a commettere taluno dei delitti di cui agli articoli 600, 601 e 602 del codice penale; associazione per delinquere allo scopo di commettere delitti di cui agli articoli 473, 474, 600, 601 e 602, 416-bis e 630; associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope; associazione per delinquere finalizzata al contrabbando di tabacchi lavorati esteri; ogni delitto, consumato o tentato, con finalità di terrorismo;

b) taluni delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione. Si tratta dei delitti più gravi e precisamente: peculato, peculato mediante profitto dell’errore altrui, malversazione a danno dello Stato, concussione, corruzione per un atto d’ufficio, corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio, corruzione in atti giudizi ari, corruzione di persona incaricata di un pubblico servizio;

– prevede che l’ineleggibilità opera in caso di condanna definitiva ad una pena superiore a due anni. Non vi rientrano quindi le ipotesi di sentenza di condanna alla reclusione o all’arresto per un tempo inferiore a due anni, casi nei quali il giudice può ordinare la sospensione condizionale della pena ai sensi dell’articolo 163 del codice penale.

Il comma 2 dell’articolo 6-bis precisa che, ai fini dell’ineleggibilità, alla sentenza di condanna definitiva è equiparata la sentenza resa ex articolo 444 del codice di procedura penale (applicazione della pena su richiesta).

Il comma 3 dell’articolo 6-bis esclude dall’ambito di applicazione della norma i soggetti nei confronti dei quali sia stata concessa la riabilitazione.

Il comma 4 dell’articolo 6-bis stabilisce che il verificarsi di una delle cause indicate nel presente articolo comporta la perdita delle condizioni di eleggibilità all’ufficio di deputato e conseguentemente la decadenza dalla carica, che viene dichiarata dalla Camera dei deputati.

Il comma 2 dell’articolo 10 del disegno di legge modifica il testo unico delle leggi recanti norme per l’elezione del Senato della Repubblica (decreto legislativo 20 dicembre 1993, n.533) inserendo un comma aggiuntivo – 1-bis –, all’articolo 5, relativo ai requisiti di eleggibilità alla carica di Senatore. La norma prevede l’ineleggibilità all’ufficio di senatore rinviando, a tale fine, alle condizioni di ineleggibilità previste dall’articolo 6-bis del testo unico delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei deputati, introdotto dal comma 1 dell’articolo 10. La disciplina dell’ineleggibilità è dunque identica per entrambe le cariche parlamentari. Per quanto riguarda l’aspetto tecnico-finanziario, la disposizione non reca nuovi o maggiori oneri a carico delle finanza pubblica.

L’articolo 11 contiene modifiche all’articolo 58 del testo unico, ampliando il novero delle sentenze definitive di condanna ostative alla candidatura alle elezioni provinciali, comunali e circoscrizionali ed all’assunzione di importanti cariche negli enti locali (presidente della provincia, sindaco, assessore, consigliere provinciale e comunale, presidente e componente del consiglio circoscrizionale, presidente e componente del consiglio di amministrazione dei consorzi, presidente e componente dei consigli e delle giunte delle unioni dei comuni, consigliere di amministrazione e presidente delle aziende speciali e delle istituzioni di cui all’articolo 114, presidente e componente degli organi della comunità montane).

Ai numerosi casi già previsti, sono aggiunte le condanne per reati di terrorismo, per turbata libertà degli incanti e per gli altri delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione quando sia stata applicata la nuova circostanza aggravante di cui all’articolo 335-ter del codice penale introdotta dall’articolo 12 del presente disegno di legge.

L’articolo 12 contiene modifiche al codice penale, che aggravano le pene per i delitti previsti nel capo I del titolo II del libro II del codice penale (Delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione).

Tali modifiche hanno lo scopo di rafforzare l’efficacia dissuasiva delle norme penali e di agevolare la repressione di fenomeni criminali che hanno un profondo disvalore sociale, come dimostrato dalle indagini della magistratura.

L’aggravamento delle pene viene attuato con due diversi strumenti.

In primo luogo, per i reati previsti dagli articoli 314, 316, 316-bis, 316-ter, 318, 319, 319-ter, 354 e 356 del codice penale, le pene sono aumentate in misura generalmente compresa tra la metà e un terzo. Incrementi percentualmente minori sono previsti laddove la pena già risulta particolarmente elevata (come nel caso del peculato, per il quale è già prevista la pena della reclusione da tre a dieci anni). Questi aumenti di pena riguardano il minimo o il massimo della pena, o entrambe le soglie edittali e, nei casi di corruzione, operano anche nei riguardi del corruttore (articolo 321 del codice penale).

In particolare, per tre reati (il peculato mediante profitto dell’errore altrui – articolo 316; l’indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato – articolo 316-ter; la corruzione per un atto d’ufficio – articolo 318), è previsto un aumento nella stessa misura sia del minimo della pena (che raddoppia, passando da sei mesi ad un anno), che del massimo della pena (che aumenta di un terzo: da tre a quattro anni).

Per il reato di malversazione a danno dello Stato (articolo 316-bis), è raddoppiato il minimo della pena (da sei mesi ad un anno), mentre il massimo aumenta di un quarto (passando da quattro a cinque anni).

Per il reato di peculato (articolo 314, primo comma), è previsto l’aumento di un terzo del minimo della pena, che passa da tre a quattro anni.

Per la corruzione cosiddetta propria (articolo 319), il minimo della pena è aumentato della metà (da due a tre anni); il massimo aumenta da cinque a sei anni.

In secondo luogo, l’articolo 12, lettera i), prevede una nuova circostanza aggravante, destinata ad operare nei confronti del solo pubblico ufficiale, e che inasprisce ulteriormente le pene, aumentandole fino ad un terzo, in presenza di due presupposti: che il funzionario pubblico abbia compiuto atti particolarmente lesivi per la pubblica amministrazione o che i fatti siano commessi per far conseguire indebitamente contributi, finanziamenti, mutui agevolati o altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati dallo Stato, da altri enti pubblici o dall’Unione europea.

L’articolo 13 contiene la clausola di invarianza finanziaria.

 

 

Relazione tecnica

Come esplicitato nella clausola di invarianza della spesa contenuta nell’articolo 13, dal presente disegno di legge non derivano nuovi o maggiori oneri, né minori entrate, a carico della finanza pubblica.

Tuttavia in relazione a singole disposizioni appare opportuno precisare quanto segue.

Articolo 1, istituzione dell’Osservatorio sulla corruzione e previsione della Rete nazionale anticorruzione.

L’Osservatorio sulla corruzione, esplicitamente previsto per evitare che si ripropongano pubblicamente dati sul fenomeno inesatti o parziali, quindi errati, che provocano gravissimi danni all’immagine del Paese tenuto conto che, come noto, l’attività di prevenzione e contrasto al fenomeno costituisce uno dei profili maggiormente sintomatici in tema di attrattività, credibilità, affidabilità per la World Bank, l’ONU, l’OCSE, l’Unione europea e per le diverse organizzazioni non lucrative di utilità sociale (ONLUS) che operano sul tema, appare esclusivamente come la formalizzazione di una attività già svolta dal Servizio anticorruzione e trasparenza attraverso il quale ha fin qui operato il Dipartimento della funzione pubblica nella veste di Autorità nazionale anticorruzione ai sensi dell’articolo 6 della Convenzione ONU contro la corruzione ratificata ai sensi della legge 3 agosto 2009, n. 116; non vi sono, quindi, rispetto alla situazione attuale ulteriori oneri.

L’adozione del Piano nazionale anticorruzione (PNA) rappresenta un adempimento di un obbligo derivante al nostro Paese dalla sua appartenenza al Gruppo di Stati contro la Corruzione (GRECO), meccanismo anticorruzione costituito in seno al Consiglio d’Europa. Infatti, all’esito della procedura di valutazione del nostro Paese (conclusasi con il rapporto di valutazione del 2 luglio 2009), il GRECO ha raccomandato, tra l’altro, che l’Italia adottasse efficaci politiche di prevenzione della corruzione e, tra queste, quella di un Piano nazionale anticorruzione. È prevista una procedura di follow-up diretta a verificare lo stato di attuazione delle raccomandazioni: l’Italia dovrà riferire al Consiglio d’Europa il 31 gennaio 2011 sulle misure adottate in materia; la mancata attuazione del PNA potrà determinare l’apertura di una procedura di infrazione contro il nostro Paese.

La predisposizione e attuazione del PNA è a «costo zero». Il ruolo di coordinamento che l’articolo 1 del disegno di legge anticorruzione affida al Dipartimento della funzione pubblica, in quanto Autorità nazionale anticorruzione, verrà infatti da questo esercitato utilizzando le attuali risorse umane e finanziarie a disposizione, senza necessità di nuove o ulteriori spese.

Per le altre pubbliche amministrazioni, tenute all’elaborazione di piani di azione in materia di prevenzione della corruzione, la logica di intervento è analoga, a costo zero, a quella introdotta dagli articoli 13, commi 6, lettera c), e 8, 15, comma 2, lettera d), e infine 11, comma 2, del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n.150, ove è previsto che tutte le pubbliche amministrazioni debbano adottare un Programma triennale per la trasparenza, introdotto successivamente alla ratifica della Convenzione ONU contro la corruzione che prevede, appunto, l’obbligo di adottare, ai sensi dell’articolo 5 della medesima Convenzione, lo strumento che si vuole introdurre con il presente disegno di legge.

La Rete che ne discende naturalmente, e che vuole essere formalizzata con il disegno di legge, rappresenta il naturale completamento della soluzione adottata con la previsione del piano nazionale anticorruzione: tale sede virtuale, infatti, ad evidente costo zero, non rappresenta altro che l’inevitabile adozione di uno strumento di coordinamento a livello di PAC, nella quale valorizzare iniziative e soluzioni individuate e definite dalle diverse pubbliche amministrazioni.

Articoli 3 e 4: diffuso coinvolgimento dell’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture.

La disposizione dell’articolo 3 che, modificando l’articolo 7 del codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n.163, istituisce la Banca dati nazionale dei contratti pubblici presso l’Autorità di vigilanza, delinea in modo più completo ed esaustivo, rispetto a quanto già attualmente previsto dal citato codice dei contratti pubblici, i dati da inserire nelle Banche dati dell’Autorità, oggi costituite dal casellario informatico e dal sito informatico presso l’Osservatorio, al fine di favorire l’efficacia, la trasparenza e il controllo in tempo reale dell’azione amministrativa.

La disposizione, in quanto attuata mediante l’utilizzo da parte dell’Autorità delle risorse umane, strumentali e finanziarie già disponibili, non comporta la necessità di nuove risorse. Ciò rileva rispetto all’invarianza finanziaria della norma in quanto, nonostante per l’Autorità di vigilanza viga il principio dell’autofinanziamento, questo proviene dagli oneri a carico degli operatori del settore vigilato, tra cui sono comprese la amministrazioni pubbliche in qualità di stazioni appaltanti.

La disposizione non è pertanto suscettibile di costituire nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

Peraltro la disposizione demanda la disciplina contenente le modalità di funzionamento e i contenuti della Banca dati al regolamento di attuazione del suddetto codice che soggiace alla previsione dell’articolo 254 del codice medesimo, secondo la quale «dall’attuazione del presente codice non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica».

La disposizione dell’articolo 4, modificando l’articolo 48 del citato codice di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n.163, introduce l’obbligo per le stazioni appaltanti di inserire nella Banca dati nazionale dei contratti pubblici la documentazione comprovante il possesso dei requisiti di ordine generale e speciale per la partecipazione alle gare, e prevede la predisposizione, da parte delle stazioni appaltanti, di moduli che i concorrenti utilizzino per la dichiarazione sostitutiva dei requisiti di partecipazione alle procedure concorsuali.

Si tratta di misure di semplificazione e razionalizzazione che, pur comportando nuovi adempimenti per le stazioni appaltanti, non richiedono un incremento di risorse umane, strumentali e finanziarie da parte delle stesse, cui si provvede mediante l’utilizzo delle risorse già disponibili.

La disposizione non è pertanto suscettibile di costituire nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

Al riguardo si evidenzia che la disposizione è introdotta nell’ordinamento come novella del suddetto codice dei contratti pubblici, e pertanto è soggetta alla previsione dell’articolo 254 del codice medesimo, secondo la quale «dall’attuazione del presente codice non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica».

Articolo 5: istituzione presso le prefetture di un elenco di fornitori non soggetti a rischio di inquinamento mafioso.

L’elenco dei fornitori non soggetti ad infiltrazioni mafiose non comporta nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica in quanto le attività da esso previste saranno svolte nei limiti delle risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente.

 


 

 


 


 

DISEGNO DI LEGGE

 

Capo I

MISURE PER LA TRASPARENZA DELL’ATTIVITÀ AMMINISTRATIVA E LA PREVENZIONE DELLA CORRUZIONE E DELL’ILLEGALITÀ NELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

 

Art. 1.

(Piano nazionale anticorruzione)

1. La Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento della funzione pubblica predispone e coordina il Piano nazionale anticorruzione in attuazione dei princìpi di cui all’articolo 5 della Convenzione dell’Organizzazione delle Nazioni unite contro la corruzione, adottata dalla Assemblea generale dell’ONU il 31 ottobre 2003, con risoluzione n. 58/4, firmata dallo Stato italiano il 9 dicembre 2003 e ratificata ai sensi della legge 3 agosto 2009, n. 116.

2. Al fine di cui al comma 1, le pubbliche amministrazioni centrali elaborano e trasmettono propri piani di azione che:

a) forniscono una valutazione del diverso livello di esposizione al rischio corruzione degli uffici;

b) definiscono gli interventi organizzativi per presidiare il rischio di cui alla letteraa);

c) specificano procedure appropriate per selezionare e formare i dipendenti chiamati ad operare in settori particolarmente esposti alla corruzione prevedendo, se del caso, la rotazione in tali settori;

d) indicano le soluzioni, anche normative, e le attività volte a individuare tempestivamente e a prevenire eventuali condotte illecite.

3. La Rete nazionale anticorruzione, composta da referenti di ciascuna pubblica amministrazione, fornisce al Dipartimento della funzione pubblica elementi idonei a:

a) valutare periodicamente l’idoneità degli strumenti giuridici e delle misure amministrative adottate al fine di prevenire e combattere la corruzione;

b) definire programmi informativi e formativi per i dipendenti pubblici che favoriscono il corretto e onorevole esercizio delle funzioni ad essi affidate;

c) monitorare l’effettiva attuazione dei singoli piani di cui al comma 2.

4. È istituito, presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della funzione pubblica, l’Osservatorio sulla corruzione e gli altri illeciti nella pubblica amministrazione, di seguito denominato «Osservatorio», che cura l’analisi aggiornata dei fenomeni corruttivi e ne riferisce, con cadenza annuale, al Ministro per la pubblica amministrazione e l’innovazione che, a sua volta, ne informa il Governo, il Parlamento, gli organismi internazionali e la Commissione per la valutazione, la trasparenza e l’integrità delle amministrazioni pubbliche ai fini di cui all’articolo 13, comma 8, del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n.150.

5. Ai componenti dell’Osservatorio non spettano compensi in relazione all’incarico conferito né alcun rimborso delle spese a qualsiasi titolo sostenute.

 

Art. 2.

(Trasparenza dell’attività amministrativa)

1. La trasparenza dell’attività amministrativa costituisce livello essenziale delle prestazioni concernenti i diritti sociali e civili ai sensi dell’articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione, ed è assicurata attraverso la pubblicazione, sui siti istituzionali delle pubbliche amministrazioni, delle informazioni relative ai procedimenti amministrativi, secondo criteri di facile accessibilità, completezza e semplicità di consultazione.

2. Fermo restando quanto stabilito nell’articolo 53 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n.165, nell’articolo 54 del codice dell’amministrazione digitale, di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n.82, nell’articolo 21 della legge 18 giugno 2009, n.69, e nell’articolo 11 del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n.150, le amministrazioni pubbliche assicurano i livelli essenziali di cui al comma 1 con particolare riferimento ai procedimenti di:

a) autorizzazione o concessione;

b) scelta del contraente per l’affidamento di lavori, forniture e servizi, anche con riferimento alla modalità di selezione prescelta secondo le modalità previste dal codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n.163, di seguito denominato «codice»;

c) concessione ed erogazione di sovvenzioni, contributi, sussidi, ausili finanziari, nonché di attribuzione di vantaggi economici di qualunque genere a persone ed enti pubblici e privati;

d) concorsi e prove selettive per l’assunzione del personale e progressioni di carriera di cui all’articolo 24 del citato decreto legislativo n.150 del 2009.

3. Le amministrazioni provvedono altresì al monitoraggio periodico del rispetto dei tempi procedimentali anche al fine di evidenziare eventuali anomalie.

4. Ogni amministrazione pubblica rende noto, tramite il proprio sito istituzionale, almeno un indirizzo di posta elettronica certificata cui il cittadino possa rivolgersi per trasmettere istanze ai sensi dell’articolo 38 del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n.445, e ricevere informazioni circa i provvedimenti e i procedimenti amministrativi che lo riguardano.

5. Le amministrazioni possono rendere accessibili in ogni momento agli interessati, tramite strumenti di identificazione informatica di cui all’articolo 65, comma 1, del codice di cui al citato decreto legislativo n. 82 del 2005, e successive modificazioni, le informazioni relative ai provvedimenti e ai procedimenti amministrativi che li riguardano, ivi comprese quelle relative allo stato della procedura, ai relativi tempi e allo specifico ufficio competente in ogni singola fase.

6. Con uno o più regolamenti emanati ai sensi dell’articolo 17, comma 1, della legge 23 agosto 1988, n.400, da emanare entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, su proposta dei Ministri per la pubblica amministrazione e l’innovazione e per la semplificazione normativa, di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti per le materie di competenza, sentita la Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n.281, e successive modificazioni, sono individuate le informazioni rilevanti ai fini dell’applicazione dei commi 1 e 2 del presente articolo e le relative modalità di pubblicazione, nonché le indicazioni generali per l’applicazione dei commi 4 e 5 dell’articolo medesimo. Restano ferme le disposizioni in materia di pubblicità previste dal codice.

7. La mancata o incompleta pubblicazione da parte delle pubbliche amministrazioni delle informazioni di cui al comma 6 costituisce violazione degli standard qualitativi ed economici ai sensi dell’articolo 1, comma 1, del decreto legislativo 20 dicembre 2009, n.198, ed è comunque valutata ai sensi dell’articolo 21 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n.165.

 

Art. 3.

(Misure per favorire la trasparenza

nei contratti pubblici)

1. All’articolo 7 del codice il comma 10 è sostituito dai seguenti:

«10. Al fine di assicurare il rispetto della legalità ed il corretto agire della pubblica amministrazione, prevenire fenomeni di corruzione e favorire l’efficacia, la trasparenza e il controllo in tempo reale dell’azione amministrativa nella gestione della spesa pubblica, è istituita, presso l’Autorità, la Banca dati nazionale dei contratti pubblici (BDNCP), della quale fanno parte i dati previsti dal comma 4, lettere a) e d), e dal comma 8, lettere a) e b), anche con riferimento ai contratti stipulati per le situazioni di emergenza. Presso l’Osservatorio è istituito il casellario informatico dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture.

10-bis. Il regolamento di cui all’articolo 5 disciplina, sentita l’Autorità per i profili di competenza, le modalità di funzionamento e i contenuti della BDNCP, del casellario informatico dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, nonché del sito informatico presso l’Osservatorio, prevedendo archivi differenziati per i bandi, gli avvisi e gli estremi dei programmi non ancora scaduti e per atti scaduti, stabilendo altresì il termine massimo di conservazione degli atti nell’archivio degli atti scaduti, nonché un archivio per la pubblicazione di massime tratte da decisioni giurisdizionali e lodi arbitrali.».

 

Art. 4.

(Trasparenza e riduzione degli obblighi

informativi nei contratti pubblici)

1. Al codice sono apportate le seguenti modificazioni:

a) all’articolo 48, dopo il comma 2 sono aggiunti i seguenti:

«2-bis. Le stazioni appaltanti inseriscono nella BDNCP la documentazione comprovante il possesso dei requisiti di ordine generale richiesta ai sensi dell’articolo 11, comma 8, nonché il possesso dei requisiti tecnico-organizzativi ed economico-finanziari richiesta ai sensi dei commi 1 e 2 del presente articolo.

2-ter. Le stazioni appaltanti verificano il possesso dei requisiti di cui al comma 2-bis presso la BDNCP, ove la relativa documentazione sia disponibile.»;

b) all’articolo 74, dopo il comma 2 è inserito il seguente:

«2-bis. Le stazioni appaltanti richiedono, di norma, l’utilizzo di moduli di dichiarazione sostitutiva dei requisiti di partecipazione di ordine generale e, per i contratti relativi a servizi e forniture o per i contratti relativi a lavori di importo pari o inferiore a 150.000 euro, dei requisiti di partecipazione economico-finanziari e tecnico-organizzativi. I moduli sono predisposti dalle stazioni appaltanti sulla base dei modelli standard definiti con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, acquisito l’avviso dell’Autorità.».

 

Art. 5.

(Elenco dei fornitori e delle imprese

subappaltatrici)

1. Per l’efficacia dei controlli antimafia nei subappalti e subcontratti successivi ai contratti pubblici aventi ad oggetto lavori, servizi e forniture, presso ogni prefettura è istituito l’elenco di fornitori e prestatori di servizi non soggetti a rischio di inquinamento mafioso, ai quali possono rivolgersi gli esecutori dei lavori, servizi e forniture. La prefettura effettua verifiche periodiche circa la perdurante insussistenza dei suddetti rischi e, in caso di esito negativo, dispone la cancellazione dell’impresa dall’elenco.

2. Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta dei Ministri per la pubblica amministrazione e l’innovazione, per la semplificazione normativa, dell’interno, della giustizia, delle infrastrutture e dei trasporti e dello sviluppo economico, da adottare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono definite le modalità per l’istituzione e l’aggiornamento dell’elenco di cui al comma 1, nonché per l’attività di verifica.

3. Le stazioni appaltanti di cui all’articolo 3, comma 33, del codice, acquisiscono d’ufficio, anche in modalità tematica, a titolo gratuito ai sensi dell’articolo 43, comma 5, del citato testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 445 del 2000, la prescritta documentazione circa la sussistenza delle cause di decadenza, sospensione o divieto previste dall’articolo 10 della legge 31 maggio 1965, n.575, e successive modificazioni.

Art. 6.

(Modifiche all’articolo 17 del decreto

legislativo 12 aprile 2006, n.163)

1. Il comma 2 dell’articolo 17 del codice, è sostituito dal seguente:

«2. I dirigenti di uffici dirigenziali generali delle amministrazioni e degli enti usuari dichiarano con provvedimento motivato le opere, i servizi e le forniture da considerarsi segreti ai sensi del regio decreto 11 luglio 1941, n.1161, e della legge 3 agosto 2007, n.124, o di altre norme vigenti, oppure eseguibili con speciali misure di sicurezza.».

 

Capo II

DISPOSIZIONI IN MATERIA DI CONTROLLI NEGLI ENTI LOCALI

 

Art. 7.

(Modifiche del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n.267)

1. L’articolo 49 del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n.267, di seguito denominato «testo unico», è sostituito dal seguente:

«Art. 49. - (Pareri dei responsabili dei servizi). – 1. Su ogni proposta di deliberazione sottoposta alla Giunta e al consiglio che non sia mero atto di indirizzo, deve essere richiesto il parere, in ordine alla sola regolarità tecnica, del responsabile del servizio interessato e, qualora comporti riflessi diretti o indiretti sulla situazione economico-finanziaria o sul patrimonio dell’ente, del responsabile di ragioneria in ordine alla regolarità contabile. I pareri sono inseriti nella deliberazione.

2. Nel caso in cui l’ente non abbia i responsabili dei servizi, il parere è espresso dal segretario dell’ente, in relazione alle sue competenze.

3. I soggetti di cui al comma 1 rispondono in via amministrativa e contabile dei pareri espressi».

2. L’articolo 147 del testo unico è sostituito dai seguenti:

«Art. 147. - (Tipologia dei controlli interni). – 1. Gli enti locali, nell’ambito della loro autonomia normativa e organizzativa, individuano strumenti e metodologie adeguati a:

a) garantire, attraverso il controllo di regolarità amministrativa e contabile, la legittimità, la regolarità e la correttezza dell’azione amministrativa;

b) verificare attraverso il controllo di gestione, l’efficacia, l’efficienza e l’economicità dell’azione amministrativa, al fine di ottimizzare, anche mediante tempestivi interventi di correzione, il rapporto tra costi e risultati;

c) valutare l’adeguatezza delle scelte compiute in sede di attuazione dei piani, dei programmi e degli altri strumenti di determinazione dell’indirizzo politico, in termini di congruenza tra i risultati conseguiti e gli obiettivi predefiniti;

d) garantire il costante controllo degli equilibri finanziari della gestione di competenza, della gestione dei residui e della gestione di cassa, anche ai fini della realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica di cui al patto di stabilità interno, mediante un’assidua attività di coordinamento e di vigilanza da parte del responsabile del servizio finanziario e di controllo da parte di tutti i responsabili dei servizi. L’organo esecutivo approva con propria deliberazione ricognizioni periodiche degli equilibri finanziari, da effettuare con cadenza trimestrale. Le verifiche periodiche valutano l’andamento economico-finanziario degli organismi gestionali esterni negli effetti che si determinano per il bilancio finanziario dell’ente;

e) verificare, attraverso l’affidamento e il controllo dello stato di attuazione di indirizzi e obiettivi gestionali, anche in riferimento all’articolo 170, comma 6, la redazione del bilancio consolidato, l’efficacia, l’efficienza e l’economicità degli organismi gestionali esterni dell’ente;

f) garantire il controllo della qualità dei servizi erogati, sia direttamente, sia mediante organismi gestionali esterni, con l’impiego di metodologie dirette a misurare la soddisfazione degli utenti esterni e interni dell’ente.

2. Le lettere d), e) ed f) del comma 1 si applicano solo ai comuni con popolazione superiore a 5.000 abitanti e alle province.

3. I controlli interni sono organizzati secondo il principio della distinzione tra funzioni di indirizzo e compiti di gestione, anche in deroga agli altri princìpi di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 luglio 1999, n.286, e successive modificazioni. Partecipano all’organizzazione dei controlli interni il segretario dell’ente, il direttore generale, laddove previsto, tutti i responsabili di settore, le unità di controllo, laddove previsto, tutti i responsabili di settore, le unità di controllo, laddove istituite.

4. Per l’effettuazione dei controlli di cui al comma 1, più enti locali possono istituire uffici unici, mediante una convenzione che ne regoli le modalità di costituzione e di funzionamento.

Art. 147-bis. - (Controllo di regolarità amministrativa e contabile). – 1. Il controllo di regolarità amministrativa e contabile è assicurato, nella fase preventiva della formazione dell’atto, da ogni responsabile di servizio ed è esercitato attraverso il rilascio del parere di regolarità tecnica attestante la legittimità, la regolarità e la correttezza dell’azione amministrativa. Il controllo è inoltre effettuato dal responsabile del servizio finanziario ed è esercitato attraverso il rilascio del parere di regolarità contabile e del visto attestante la copertura finanziaria.

2. Il controllo di regolarità amministrativa e contabile è inoltre assicurato, nella fase successiva, secondo princìpi generali di revisione aziendale e modalità definite nell’ambito dell’autonomia organizzativa dell’ente, sotto la direzione del segretario in base alla normativa vigente. Sono soggette al controllo le determinazioni di impegno di spesa, gli atti di accertamento di entrata, gli atti di liquidazione della spesa, i contratti e gli altri atti amministrativi, scelti secondo una selezione casuale, effettuata con motivate tecniche di campionamento.

3. Le risultanze del controllo di cui al comma 2 sono trasmesse periodicamente, a cura del segretario, ai responsabili di settore, ai revisori dei conti e agli organi di valutazione dei risultati dei dipendenti, come documenti utili per la valutazione.

Art. 147-ter. - (Controllo strategico). – 1. Per verificare lo stato di attuazione dei programmi secondo le linee approvate dal consiglio, l’ente locale definisce, secondo la propria autonomia organizzativa, metodologie di controllo strategico finalizzate alla rilevazione dei risultati conseguiti rispetto agli obiettivi predefiniti, degli aspetti economico-finanziari connessi ai risultati ottenuti, dei tempi di realizzazione rispetto alle previsioni, delle procedure operative attuate confrontate con i progetti elaborati, della qualità erogata e del grado di soddisfazione della domanda espressa, degli aspetti socio-economici.

2. L’unità preposta al controllo strategico elabora rapporti periodici, da sottoporre all’organo esecutivo e al consiglio per la successiva predisposizione di deliberazioni consiliari di ricognizione dei programmi, secondo modalità da definire con il proprio regolamento di contabilità in base a quanto previsto dallo statuto.

Art. 147-quater. - (Controlli sulle società partecipate). – 1. L’ente locale definisce, secondo la propria autonomia organizzativa, un sistema di controlli sulle società partecipate dallo stesso ente locale. Tali controlli sono esercitati dalle strutture proprie dell’ente locale, che ne sono responsabili.

2. Per l’attuazione di quanto previsto al comma 1, l’amministrazione definisce preventivamente, in riferimento all’articolo 170, comma 6, gli obiettivi gestionali cui deve tendere la società partecipata, secondo standard qualitativi quantitativi, e organizza un idoneo sistema informativo finalizzato a rilevare i rapporti finanziari tra l’ente proprietario e la società, la situazione contabile, gestionale e organizzativa delle società, i contratti di servizio, la qualità dei servizi, il rispetto delle norme di legge sui vincoli di finanza pubblica.

3. Sulla base delle informazioni di cui al comma 2, l’ente locale effettua il monitoraggio periodico sull’andamento delle società partecipate, analizza gli scostamenti rispetto agli obiettivi assegnati e individua le opportune azioni correttive, anche in riferimento a possibili squilibri economico-finanziari rilevanti per il bilancio dell’ente.

4. I risultati complessivi della gestione dell’ente locale e delle aziende partecipate sono rilevati mediante bilancio consolidato, secondo la competenza economica.

Art. 147-quinquies - (Controllo sulla qualità dei servizi). – 1. Il controllo sulla qualità dei servizi erogati riguarda sia i servizi erogati direttamente dall’ente, sia i servizi erogati tramite società partecipate o in appalto ed è svolto secondo modalità definite in base all’autonomia organizzativa dell’ente, tali da assicurare comunque la rilevazione della soddisfazione dell’ente, la gestione dei reclami e il rapporto di comunicazione con i cittadini.

Art. 147-sexies. - (Ambito di applicazione). – 1. Le disposizioni di cui agli articoli 147-quater e 147-quinquies costituiscono obbligo solo per i comuni con popolazione superiore a 5.000 abitanti e per le province.».

3. L’articolo 151 del testo unico è sostituito dal seguente:

«Art. 151. - (Princìpi in materia di contabilità). – 1. Gli enti locali deliberano entro il 31 dicembre il bilancio di previsione per l’anno successivo, osservando i princìpi di unità, annualità, universalità e integrità, veridicità, pareggio finanziario e pubblicità. Il termine di cui al primo periodo può essere differito con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, sentita la Conferenza Stato-città ed autonomie locali, in presenza di motivate esigenze.

2. Il bilancio è corredato di una relazione previsionale e programmatica, di un bilancio pluriennale di durata pari a quello della regione di appartenenza e degli allegati previsti dall’articolo 172 o da altre norme di legge.

3. I documenti di bilancio sono redatti in modo da consentirne la lettura per programmi, servizi e interventi.

4. I provvedimenti dei responsabili dei servizi che comportano impegni di spesa sono trasmessi al responsabile del servizio finanziario e sono esecutivi con l’apposizione del visto di regolarità contabile attestante la copertura finanziaria.

5. Nei comuni con popolazione superiore a 5.000 abitanti e nelle province, i provvedimenti dei responsabili dei servizi che comportano impegni di spesa sono trasmessi dal responsabile del servizio proponente, previo rilascio del parere di congruità, al responsabile del servizio finanziario e sono esecutivi con l’apposizione del visto di regolarità contabile attestante la copertura finanziaria. Con il parere di congruità, il responsabile del servizio interessato attesta sotto la propria personale responsabilità amministrativa e contabile, oltre alla rispondenza dell’atto alla normativa vigente, il rispetto dei criteri di economicità ed efficienza, il comprovato confronto competitivo, anche tenuto conto dei parametri di riferimento relativi agli acquisti in convenzione di cui all’articolo 26 della legge 23 dicembre 1999, n.488, e successive modificazioni, e all’articolo 58 della legge 23 dicembre 2000, n.388.

6. Il parere di congruità è rilasciato anche nella determinazione a contrattare, per l’attestazione relativa alla base di gara, e nella stipulazione di contratti di servizio con le aziende partecipate.

7. I risultati di gestione sono rilevati anche mediante contabilità economica e dimostrati nel rendiconto comprendente il conto del bilancio e il conto del patrimonio.

8. Al rendiconto è allegata una relazione illustrativa della Giunta che esprime le valutazioni di efficacia dell’azione condotta sulla base dei risultati conseguiti in rapporto ai programmi e ai costi sostenuti.

9. Il rendiconto è deliberato dall’organo consiliare entro il 30 aprile dell’anno successivo.».

4. L’articolo 169 del testo unico è sostituito dal seguente:

«Art. 169. - (Piano esecutivo di gestione). – 1. Sulla base del bilancio di previsione annuale deliberato dal consiglio, l’organo esecutivo definisce, prima dell’inizio dell’esercizio, il piano esecutivo di gestione, determinando le attività da svolgere e gli obiettivi da raggiungere e affidando gli stessi, unitamente alle dotazioni necessarie, ai responsabili dei servizi.

2. Il piano esecutivo di gestione contiene un’ulteriore graduazione delle risorse dell’entrata in capitoli, dei servizi in centri di costo e degli interventi in capitoli.

3. L’applicazione dei commi 1 e 2 è facoltativa per i comuni con popolazione inferiore a 15.000 abitanti, i quali garantiscono comunque, nel rispetto della propria autonomia organizzativa, la delega ai responsabili dei servizi delle attività da svolgere, degli obiettivi da raggiungere e delle relative dotazioni necessarie.

4. La rendicontazione del piano esecutivo di gestione e la verifica del grado di raggiungimento degli obiettivi assegnati è deliberata dall’organo esecutivo entro il 31 marzo dell’esercizio successivo a quello di riferimento.

5. Le disposizioni del presente articolo si applicano anche alle unioni di comuni».

5. L’articolo 196 del testo unico è sostituito dal seguente:

«Art. 196. - (Controllo di gestione). – 1. Al fine di garantire la realizzazione degli obiettivi programmati, la corretta ed economica gestione delle risorse pubbliche, l’imparzialità e il buon andamento della pubblica amministrazione e la trasparenza dell’azione amministrativa, gli enti locali applicano il controllo di gestione secondo le modalità stabilite dai propri statuti e regolamenti di contabilità.

2. Il controllo di gestione è la procedura diretta a verificare lo stato di attuazione degli obiettivi programmati e, attraverso l’analisi delle risorse acquisite e la comparazione tra i costi e la quantità e qualità dei servizi offerti, la funzionalità dell’organizzazione dell’ente, l’efficacia, l’efficenza e il livello di economicità nell’attività di realizzazione dei predetti obiettivi.

3. Il controllo di gestione ha per oggetto l’intera attività amministrativa e gestionale delle province, dei comuni, delle unioni dei comuni e delle città metropolitane ed è svolto con una cadenza periodica definita dal regolamento di contabilità dell’ente. Nei comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti e nelle unioni di comuni, il controllo di gestione è affidato al responsabile del servizio economico-finanziario o, in assenza, al segretario comunale, e può essere svolto anche mediante forme di gestione associata con altri enti limitrofi.

4. Il controllo di gestione si articola in almeno tre fasi:

a) predisposizione di un piano dettagliato di obiettivi di cui al piano esecutivo di gestione, ove approvato;

b) rilevazione dei dati relativi ai costi e ai proventi, nonché rilevazione dei risultati raggiunti;

c) valutazione dei dati predetti in rapporto al piano degli obiettivi, al fine di verificare il loro stato di attuazione e di misurare l’efficacia, l’efficienza e il grado di economicità dell’azione intrapresa.

5. Il controllo di gestione è svolto in riferimento ai singoli servizi e centri di costo, ove previsti, verificando in maniera complessiva e per ciascun servizio i mezzi finanziari acquisiti, i costi dei singoli fattori produttivi, i risultati qualitativi e quantitativi ottenuti e, per i servizi a carattere produttivo, i ricavi.

6. La verifica dell’efficacia, dell’efficienza e dell’economicità dell’azione amministrativa è svolta rapportando le risorse acquisite e i costi dei servizi, ove possibile per unità di prodotto, ai dati risultanti dal rapporto annuale sui parametri gestionali dei servizi degli enti locali.

7. La struttura operativa alla quale è assegnata la funzione dei controlli di gestione fornisce, con cadenza periodica e con modalità definite secondo la propria autonomia organizzativa le conclusioni del predetto controllo, agli amministratori, al fini della verifica, dello stato di attuazione, degli obiettivi programmati, e ai responsabili dei servizi, affinché questi ultimi abbiano gli elementi necessari per valutare l’andamento della gestione dei servizi di cui sono responsabili. Il resoconto annuale finale del predetto controllo è trasmesso anche alla Corte dei conti.

8. I revisori sono eletti a maggioranza dei due terzi dei componenti dal consiglio dell’ente locale, salva diversa disposizione statutaria.».

6. Gli articoli 197, 198 e 198-bis del testo unico sono abrogati.

7. Le disposizioni del testo unico in materia di controlli, di programmazione e di controllo di gestione, come modificate dal presente articolo, si applicano fermo restando quanto previsto dall’articolo 16 del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150.

 

Art. 8.

(Revisione economico-finanziaria)

1. All’articolo 234 del testo unico sono apportate le seguenti modificazioni:

a) il comma 2 è sostituito dai seguenti:

«2. I componenti del collegio dei revisori sono scelti, sulla base dei criteri individuati dallo statuto dell’ente, volti a garantire specifica professionalità e privilegiare il credito formativo:

a) tra gli iscritti all’ordine dei dottori commercialisti e degli esperti contabili;

b) tra gli iscritti nel registro dei revisori contabili.

2-bis. Il credito formativo deriva anche dalla partecipazione a specifici corsi di formazione organizzati, tra gli altri, dalla Scuola superiore dell’Amministrazione dell’interno e dalla Scuola superiore per la formazione e la specializzazione dei dirigenti della pubblica amministrazione locale, che possono a tale fine stipulare specifiche convenzioni con l’ordine dei dottori commercialisti e degli esperti contabili e con l’Istituto dei revisori dei conti.»;

b) al comma 3, le parole: «15.000 abitanti» sono sostituite dalle seguenti: «5.000 abitanti»;

c) dopo il comma 3 è inserito il seguente:

«3-bis. Nei comuni con popolazione compresa tra 5.000 e 15.000 abitanti la revisione economico-finanziaria è affidata, secondo i criteri definiti dallo statuto, ad un revisore unico o, a parità di oneri, ad un collegio composto di tre membri. In mancanza di definizione statutaria la revisione è affidata ad unico revisore.».

2. Al comma 2 dell’articolo 236 del testo unico, le parole: «dai membri dell’organo regionale di controllo» sono soppresse.

3. All’articolo 239 del testo unico sono apportate le seguenti modificazioni:

a) al comma 1, la lettera b) è sostituita dalla seguente:

«b) pareri, con le modalità stabilite dal regolamento, in materia di:

1) strumenti di programmazione economico-finanziaria;

2) proposta di bilancio di previsione e relative variazioni;

3) modalità di gestione dei servizi e proposte di costituzione o di partecipazione ad organismi esterni;

4) proposte di ricorso all’indebitamento;

5) proposte di utilizzo di strumenti di finanza innovativa;

6) proposte di riconoscimento di debiti fuori bilancio e transazioni;

7) proposte di regolamento di contabilità, economato-provveditorato, patrimonio e di applicazione dei tributi locali;»;

b) al comma 1, dopo la lettera c) è inserita la seguente:

«c-bis) controllo periodico trimestrale della regolarità amministrativa e contabile della gestione diretta e indiretta dell’ente; verifica della regolare tenuta della contabilità, della consistenza di cassa e dell’esistenza dei valori e dei titoli di proprietà;»;

c) dopo il comma 1 è inserito il seguente:

«1-bis. Nei pareri di cui alla lettera b) del comma 1 è espresso un motivato giudizio di congruità, di coerenza e di attendibilità contabile delle previsioni di bilancio e dei programmi e progetti, anche tenuto conto dell’attestazione del responsabile del servizio finanziario ai sensi dell’articolo 153, delle variazioni rispetto all’anno precedente, dell’applicazione dei parametri di deficitarietà strutturale e di ogni altro elemento utile. Nei pareri sono suggerite all’organo consiliare le misure atte ad assicurare l’attendibilità delle impostazioni. I pareri sono obbligatori. L’organo consiliare è tenuto ad adottare i provvedimenti conseguenti o a motivare adeguatamente la mancata adozione delle misure proposte dall’organo di revisione.»;

d) al comma 2, la lettera a) è sostituita dalla seguente:

«a) da parte della Corte dei conti i rilievi e le decisioni assunti a tutela della sana gestione finanziaria dell’ente;».

 

Capo III

DISPOSIZIONI PER LA REPRESSIONE DELLA CORRUZIONE E DELL’ILLEGALITÀ NELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

 

Art. 9.

(Fallimento politico)

1. Il Governo è delegato ad adottare, entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, un decreto legislativo volto a disciplinare le conseguenze del fallimento politico, che consiste nell’applicazione al Presidente della Giunta regionale della procedura di cui all’articolo 126, primo comma, della Costituzione, per atti contrari alla Costituzione o per gravi violazioni di legge, ivi compreso il grave dissesto nelle finanze regionali di cui all’articolo 17, comma 1, lettera e), della legge 5 maggio 2009, n.42, con conseguente incandidabilità del Presidente stesso a qualsiasi carica elettiva a livello locale, regionale e nazionale, secondo i seguenti criteri e princìpi direttivi:

a) previsione della temporanea incandidabilità nei confronti delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e di Bolzano solo in quanto compatibile con le disposizioni previste dagli statuti e dalle relative norme di attuazione in materia;

b) previsione di un termine di durata dell’incandidabilità;

c) previsione delle modalità di applicazione dell’incandidabilità.

2. L’articolo 247 del testo unico è sostituito dal seguente:

«Art. 247 - (Omissione della deliberazione di dissesto). – 1. Qualora dalle deliberazioni delle sezioni regionali di controllo della Corte dei conti, anche con riferimento alle relazioni di cui all’articolo 1, comma 166, della legge 23 dicembre 2005, n.266, dalle verifiche amministrativo-contabili effettuate dai servizi ispettivi di finanza pubblica del Ministero dell’economia e delle finanze, dai bilanci di previsione, dai rendiconti, da deliberazioni dell’ente locale o da altra fonte, emergano fondati elementi che configurino le ipotesi previste per la dichiarazione di dissesto, il prefetto chiede chiarimenti all’ente e una motivata relazione all’organo di revisione contabile, assegnando un termine, non prorogabile, di trenta giorni.

2. Ove sia accertata la sussistenza delle condizioni di cui all’articolo 244, il prefetto assegna al Consiglio, con lettera notificata ai singoli consiglieri, un termine, non superiore a venti giorni, per la deliberazione del dissesto.

3. Decorso infruttuosamente il termine di cui al comma 2, il prefetto nomina un commissario per la deliberazione dello stato di dissesto e dà corso alla procedura per lo scioglimento del consiglio dell’ente, ai sensi dell’articolo 141.».

 

Art. 10.

(Modifiche al testo unico delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei deputati, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n.361, ed al testo unico delle leggi recanti norme per la elezione del Senato della Repubblica, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 20 dicembre 1993, n.533)

1. Dopo l’articolo 6 del testo unico delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei deputati, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n.361, è inserito il seguente:

«Art. 6-bis. – 1. Salvo quanto previsto dalle norme penali in materia di interdizione dai pubblici uffici, non sono eleggibili a deputati per cinque anni dal passaggio in giudicato della sentenza di condanna:

a) coloro che hanno riportato condanna definitiva ad una pena superiore a due anni di reclusione per i delitti previsti dall’articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, del codice di procedura penale;

b) coloro che hanno riportato condanna definitiva ad una pena superiore a due anni di reclusione per i delitti previsti dagli articoli 314, primo comma, 316, 316-bis, 317, 318, 319, 319-ter e 320, del codice penale.

2. Agli effetti del comma 1, la sentenza emessa ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale è equiparata a pronuncia di condanna.

3. Le disposizioni del presente articolo non si applicano nei confronti di chi è stato condannato con sentenza passata in giudicato o di chi è stato sottoposto a misura di prevenzione con provvedimento definitivo, se è concessa la riabilitazione ai sensi dell’articolo 178 del codice penale e dell’articolo 15 della legge 3 agosto 1988, n.327, e successive modificazioni.

4. La perdita delle condizioni di eleggibilità comporta la decadenza dalla carica di deputato. Essa è dichiarata dalla Camera dei deputati.».

2. All’articolo 5 del testo unico delle leggi recanti norme per l’elezione del Senato della Repubblica, di cui al decreto legislativo 20 dicembre 1993, n.533, dopo il comma 1 è aggiunto, in fine, il seguente:

«1-bis). Non sono eleggibili a senatori coloro che si trovano nelle condizioni di cui all’articolo 6-bis del testo unico delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei deputati, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n.361.».

 

Art. 11.

(Modifiche all’articolo 58 del testo unico)

1. All’articolo 58 del testo unico sono apportate le seguenti modificazioni:

a) al comma 1, lettera b), dopo le parole: «per i delitti previsti dagli articoli» sono inserite le seguenti: «241 (attentati contro l’integrità, l’indipendenza e l’unità dello Stato), 270 (associazioni sovversive), 270-bis (associazioni con finalità di terrorismo anche internazionale o di eversione dell’ordine democratico), 270-ter (assistenza agli associati), 270-quater (arruolamento con finalità di terrorismo anche internazionale), 270-quinquies (addestramento ad attività con finalità di terrorismo anche internazionale), 280 (attentato per finalità terroristiche o di eversione), 283 (attentato contro la costituzione dello Stato), 284 (insurrezione armata contro i poteri dello Stato),» e le parole: «, 320 (corruzione di persona incaricata di un pubblico servizio) del codice penale», sono sostituite dalle seguenti: «, 320 (corruzione di persona incaricata di un pubblico servizio) e 353 (turbata libertà degli incanti) del codice penale»;

b) al comma 1, dopo la lettera b), è inserita la seguente:

«b-bis) coloro che hanno riportato condanna definitiva per delitti aggravati ai sensi dell’articolo 335-ter del codice penale;»;

c) al comma 5, le parole: «dai commi precedenti» sono sostituite dalle seguenti: «dal comma l, lettere c), d) ed e), e dai commi 2, 3 e 4».

 

Art. 12.

(Modifiche al codice penale)

1. Al codice penale sono apportate le seguenti modificazioni:

a) all’articolo 314, primo comma, la parola: «tre» è sostituita dalla seguente: «quattro»;

b) all’articolo 316, le parole: «da sei mesi a tre anni» sono sostituite dalle seguenti: «da uno a quattro anni»;

c) all’articolo 316-bis, primo comma, le parole: «da sei mesi a quattro anni» sono sostituite dalle seguenti: «da uno a cinque anni»;

d) all’articolo 316-ter, primo comma, le parole: «da sei mesi a tre anni» sono sostituite dalle seguenti: «da uno a quattro anni»;

e) all’articolo 318, primo comma, le parole: «da sei mesi a tre anni» sono sostituite dalle seguenti: «da uno a quattro anni»;

f) all’articolo 318, secondo comma, le parole: «fino a un anno» sono sostituite dalle seguenti: «fino a un anno e sei mesi»;

g) all’articolo 319, le parole: «da due a cinque anni» sono sostituite dalle seguenti: «da tre a sei anni»;

h) all’articolo 319-ter, primo comma, le parole: «da tre a otto anni» sono sostituite dalle seguenti: «da quattro a otto anni»;

i) dopo l’articolo 335-bis, è inserito il seguente:

Art. 335-ter. - (Circostanze aggravanti). – Per i delitti dal presente capo, le pene per il solo pubblico ufficiale sono aumentate in caso di atti particolarmente lesivi per la pubblica amministrazione ovvero commessi al fine di far conseguire indebitamente contributi, finanziamenti, mutui agevolati o altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati dallo Stato, da altri enti pubblici o dalle Comunità europee.»;

l) all’articolo 354, primo comma, le parole: «sino a sei mesi o con la multa fino a euro 516» sono sostituite dalle seguenti: «fino a un anno»;

m) all’articolo 356, primo comma, le parole: «da uno a cinque anni» sono sostituite dalle seguenti: «da due a sei anni».

 

Art. 13.

(Clausola di invarianza)

1. Dall’esecuzione della presente legge non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

2. Le amministrazioni competenti provvedono allo svolgimento delle attività previste dalla presente legge con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.

 

 

 


SENATO DELLA REPUBBLICA

¾¾¾¾¾¾¾¾   XVI LEGISLATURA   ¾¾¾¾¾¾¾¾

 

N. 2044

DISEGNO DI LEGGE

d’iniziativa dei senatori BAIO, DEL VECCHIO, Mariapia GARAVAGLIA, LANNUTTI, BIANCHI, PETERLINI, THALER AUSSERHOFER, ADAMO, ANDRIA, ARMATO, BASSOLI, BIONDELLI, BOSONE, CECCANTI, DE LUCA, FIORONI, MARITATI, MAZZUCONI, PAPANIA, PERTOLDI, Paolo ROSSI, D’UBALDO e CERUTI

 

COMUNICATO ALLA PRESIDENZA IL 2 MARZO 2010

 

 

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Misure per contrastare fenomeni corruttivi nel rapporto tra eletti, cittadini e pubblica amministrazione

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Onorevoli Senatori. – La regola aurea del filosofo greco Epitteto si può riassumere nella massima: «Dio mi conceda la serenità di accettare le cose che non posso cambiare, il coraggio di cambiare le cose che posso cambiare, e la saggezza di capire la differenza». Troppo spesso la politica si è barricata dietro quella serenità dimenticando il coraggio di cui, oggi più che mai, necessita per riuscire a diffondere l’onestà e la trasparenza anche nell’amministrazione della res publica, ma soprattutto per renderla libera dal malcostume e quindi orientata verso la sua più aulica accezione etimologica. La trasparenza e l’onestà, infatti, sono le premesse necessarie e imprescindibili per poter essere politici e amministratori, ma soprattutto per garantire ai cittadini il rispetto delle gestione del bene pubblico pubblica. Sono infatti condivisibili le affermazioni del dottor Piercamillo Davigo, Consigliere della Corte di cassazione, il quale, in un libro – intervista, dichiara che «gli strappi alla legalità sono di per sé un disvalore e devono quindi essere perseguiti e processati». Un disvalore che attecchisce non solo all’economia del Paese, ma capace anche di minare il processo democratico, trasformandosi in una misura premiale per chi non rispetta le regole. Con questo disegno di legge si introduce il cosiddetto test di integrità, ovvero la possibilità di mettere alla prova il politico, l’amministratore, il funzionario pubblico o il privato, utilizzando un finto tentativo di corruzione, attraverso il controllo severo della magistratura e della polizia giudiziaria. In questo modo si vigilerebbe affinché le risorse pubbliche siano gestite in modo corretto, secondo i principi di onestà e trasparenza. Si ritiene, quindi, necessario permettere di controllare, attraverso provvedimenti che escludano abusi di potere o comportamenti illegittimi, l’operato dell’eletto, dell’amministratore, del funzionario pubblico, al fine di accorciare l’enorme distanza creatasi tra cittadino e politica.

I fenomeni di corruzione e concussione, infatti, sono ormai diventati una forma patologica della nostra società, una piaga che dilaga e che oramai sembrerebbe essere entrata nei costumi degli italiani senza particolari ostacoli, al punto che, secondo il rapporto sul nostro Paese, reso noto il 16 ottobre 2009, da parte del Gruppo di Stati del Consiglio d’Europa contro la corruzione (GRECO), in Italia, la corruzione è radicata tanto nella pubblica amministrazione quanto nella società civile, come anche nel settore privato. Le cosiddette tangenti, sempre secondo il rapporto, sarebbero uno strumento molto consueto non solo per ottenere licenze, permessi, contratti pubblici, ma anche per garantire, ad esempio, buoni voti universitari et similia.

Il disagio dell’Italia è evidente su scala mondiale, infatti, secondo l’indice di percezione della corruzione, conosciuto come Corruption perception index (CPI), un indicatore pubblicato annualmente a partire dal 1995 dall’organizzazione non governativa Transparency international che ordina i Paesi del mondo sulla base del livello secondo il quale l’esistenza della corruzione è percepita tra pubblici uffici e politici, l’Italia nel 2007 era al trentasettesimo posto, mentre nel 2009 è crollata al sessantatreesimo, preceduta da Cuba e dalla Turchia.

Negli Stati Uniti la repressione della corruzione è affidata al cosiddetto entrapment, ovvero quando esiste il sospetto di corruttibilità ci si limita a sottoporre il presunto reo al test di integrità, il quale consiste nel verificare la reazione del soggetto sospetto ad un tentativo di corruzione, arrestandolo se l’esito del test è positivo. Con questo metodo è stato scoperto ed arrestato anche il sindaco di Washington.

Pur avendo una cultura, una storia e una normativa completamente diverse, anche in Italia è possibile mutuare l’esperienza americana, grazie anche alla legge 3 agosto 2009, n.116, approvata all’unanimità in entrambi i rami del Parlamento, che ratifica la Convenzione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) contro la corruzione, la quale all’articolo 50 permette agli Stati membri di porre in essere attività sotto copertura. Questa iniziativa appare necessaria se si considera che secondo l’Europa, gli italiani ricorrono a «scorciatoie» per qualsivoglia necessità che implichi l’ottenimento di un vantaggio o di una utilità, quasi fosse una forma mentis tacitamente condivisa e approvata. Una fotografia che sembra trovare la propria camera oscura negli ultimi dati della Corte dei conti, i quali evidenziano che nel solo periodo gennaio-novembre 2009, il Ministero dell’interno, i comandi dei Carabinieri e della Guardia di finanza hanno denunciato 221 reati di corruzione, 219 di concussione e 1.714 reati di abuso di ufficio, con un notevole incremento rispetto all’anno precedente. In particolare, nel solo 2009 l’aumento di denunce alla Guardia di finanza è stato del 229 per cento rispetto all’anno precedente, e del 153 per cento è stato l’incremento per fatti relativi al reato di concussione.

Le cause di questo malcostume, che forse Dante Alighieri avrebbe definito meschina baratteria, non possono prescindere anche da un’interpretazione squisitamente antropologica del fenomeno e quindi dalla sfiducia nelle istituzioni, che comporta il non rispetto delle regole a scapito della collettività. Se è vero, infatti, che occorre intervenire per arginare questo fenomeno, non si può non considerare la larga fascia, di cittadini onesti, che sono la maggioranza e che subiscono, loro malgrado, le conseguenze della minoranza. Infatti, secondo la relazione pronunciata dal procuratore generale della Corte dei conti, Mario Ristuccia, il 17 febbraio 2009, nel corso della cerimonia d’inaugurazione dell’anno giudiziario, il costo dei fenomeni di corruzione si aggira tra i 50 e i 60 miliardi l’anno sul bilancio generale dello Stato e se il dato complessivo è inquietante, ancor più drammatiche sono le conseguenze sul singolo cittadino. Infatti i circa 40 milioni di contribuenti, versano pro capite 1500 euro di «tassa occulta aggiuntiva».

Gli italiani che lavorano e che pagano le imposte nel 2008 hanno versato nelle casse dell’erario circa 163 miliardi di euro; ne consegue che i 50/60 miliardi di euro non dovuti avrebbero ampiamente coperto circa un terzo del valore dell’IRPEF. Volendo essere più incisivi, si può con serenità ammettere che ogni italiano avrebbe potuto pagare in meno un terzo delle imposte che ha versato allo Stato.

Non solo. Gli stessi 50/60 miliardi indicati dalla Corte dei conti quantificano l’effetto della corruzione sull’economia italiana, ravvisabile in opere pubbliche e servizi più onerosi, ritardi nell’amministrazione pubblica, tanto da far «ragionevolmente temere che il suo impatto possa incidere sullo sviluppo economico del Paese anche oltre le stime effettuate dal servizio Anticorruzione e Trasparenza del Ministero della funzione pubblica». Senza considerare che, inevitabilmente, i fenomeni corruttivi trovano terreno fertile nella criminalità organizzata, favorendone il radicamento e l’espansione.

Nel nostro Paese la corruzione è favorita da alcuni aspetti specifici del sistema amministrativo, come la non trasparenza, l’inefficienza e l’eccessiva burocrazia di cui soffrono i meccanismi di assunzione e promozione, e i territori più a rischio risultano quelli in cui «maggiori sono le opportunità criminali in considerazione del PIL pubblico più elevato, delle transazioni a rischio quantitativamente più numerose e del maggior numero di dipendenti pubblici», come la Lombardia, la Sicilia, il Lazio e la Puglia. Infatti, secondo la classifica delle regioni in cui la Corte dei conti ha emesso il maggior numero di citazioni in giudizio per danno erariale, dopo il primo posto della Toscana, con 21 citazioni su un totale nazionale di 9, dove è in corso l’indagine sugli appalti relativi al G8, seguono la Lombardia con 18, la Puglia pari a 11, la Sicilia con 10, l’Umbria con 7, il Piemonte ugualmente 7, Trento pari a 5, la Calabria con 4, il Lazio 3, l’Abruzzo 2, l’Emilia Romagna parimenti 2, il Friuli Venezia Giulia e la Liguria con 1.

Come sottolineato dallo stesso Mario Ristuccia, le conseguenze di comportamenti criminosi sempre più radicati, al punto di rischiare di diventare quasi prassi, sono notevoli soprattutto se si considera la «flessione della fiducia che la collettività ripone nelle amministrazioni e nelle stesse istituzioni del Paese».

È quasi un circolo vizioso dove la sfiducia verso le istituzioni comporta fenomeni di malcostume, che a loro volta generano nuova disaffezione da parte dei cittadini.

Le norme esistenti non risultano, quindi, in grado di spezzare questa catena e di favorire in primis un cambio di mentalità che faccia della trasparenza l’unica soluzione possibile per trasformare quel circolo statico in una staffetta virtuosa.

Gli stessi operatori del diritto e la giurisprudenza ammettono la necessità di un riforma normativa in grado di dare strumenti più idonei e atti a contrastare realmente i fenomeni corruttivi. Infatti, secondo l’autorevole parere del citato dottor Davigo, occorre «ripensare una parte della legislazione nella prospettiva di togliere le occasioni ... Bisogna creare l’interesse a essere onesti», ma soprattutto è giunto il tempo di «drastiche riforme».

Nella Legislatura corrente è già stato fatto un primo fondamentale passo, come già accennato, attraverso l’approvazione della citata legge n.116 del 2009. Tale provvedimento, presentato in Senato già nella XV Legislatura dal gruppo del partito democratico, fissa dei punti cardine dai quali non si può prescindere nel novellare le disposizioni attuali, ma soprattutto per garantire un approccio fermo e deciso per contrastare i fenomeni corruttivi.

In particolare il citato articolo 50 della Convenzione dell’ONU contro la corruzione, relativo alle tecniche speciali di investigazione, al comma 1 dispone che «... ciascuno Stato, nei limiti consentiti dai principi fondamentali del proprio ordinamento giuridico interno, .... adotta le misure necessarie, con i propri mezzi, a consentire l’appropriato impiego da parte delle autorità competenti della consegna controllata e, laddove ritenuto opportuno, di altre tecniche speciali di investigazione, quali la sorveglianza elettronica o di altro tipo e le operazioni sotto copertura, entro il suo territorio, e a consentire l’ammissibilità in tribunale della prova così ottenuta.»

Proprio in ottemperanza al citato articolo 50, attraverso il presente disegno di legge si introduce e si disciplina l’attività sotto copertura volta ad indagare ed acquisire prove, atte ad essere utilizzate in giudizio, per i delitti di corruzione, concussione, nonché di ricettazione, riciclaggio e reimpiego del prezzo o profitto di tali reati. Si tratta di consentire una peculiare attività, quella sotto copertura, già prevista nella legislazione vigente per contrastare determinati fattispecie criminose, quali il traffico di sostanze stupefacenti, la pornografia, il terrorismo internazionale, con particolare riguardo al traffico di armi. L’ufficiale di polizia giudiziaria, in incognito, entra in contatto con soggetti privati, amministratori ovvero funzionari pubblici, i quali nel porre in essere le proprie attività, risultano non trasparenti. All’articolo 1 del disegno di legge, infatti, si dà la possibilità di disporre di operazioni sotto copertura qualora, dal controllo incrociato di dati sensibili, risultassero sperequazioni tra il tenore di vita e il reddito apparente del soggetto, oppure giungessero segnalazioni a seguito di controlli patrimoniali da parte dell’organo competente, ovvero si riscontrassero anomalie nelle pratiche patrimoniali, fiscali, tributarie, o relative a contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, al rilascio di concessioni, di autorizzazioni e di nulla osta da parte della pubblica amministrazione (ex articolo 3).

L’ufficiale di polizia giudiziaria, ovvero gli ausiliari ad esso collegati e coinvolti nell’operazione, necessariamente pongono in essere comportamenti perseguibili penalmente; per questo, all’articolo 2, sono state previste cause di non punibilità non solo per l’attività in senso stretto, ma anche relativamente all’utilizzo di documenti falsi e quindi si prevede, da parte del Ministro dell’interno, di concerto con il Ministro della giustizia e con gli altri Ministri interessati, l’emanazione di un decreto che disciplini in modo armonioso e puntuale, nonché coordini, a fini informativi e operativi, gli organismi investigativi coinvolti, quali la Polizia di Stato, l’Arma dei carabinieri e il Corpo della guardia di finanza.

Al fine di avere una maggiore tempestività e competenza delle operazioni, si è deciso di valorizzare i comandi provinciali e regionali degli organi competenti, previa autorizzazione della procura della repubblica presso il capoluogo di distretto dove l’operazione sotto copertura avrà luogo, ovvero dove avverrà la parte prevalente della stessa operazione. La preventiva autorizzazione da parte del procuratore della Repubblica garantisce un controllo rigoroso dell’operazione dal suo inizio ed evita abusi o la possibilità di porre in essere comportamenti illegittimi.

All’articolo 4 si prevede che la consumazione dei reati di corruzione e concussione si perfezionano anche qualora la richiesta, l’offerta o la promessa di denaro o di altra utilità provenga da un ufficiale di polizia giudiziaria ovvero da un ausiliare a lui collegato, fatta salva l’autorizzazione del procuratore della Repubblica. Questa disposizione si è ritenuta necessaria per evitare di vanificare il lavoro svolto dalla polizia giudiziaria, in quanto, in mancanza di tale norma, anche se l’attività delittuosa fosse autorizzata da organo competente, si concretizzerebbe la fattispecie di cui all’articolo 49 del codice penale.

L’articolo 5 prevede la possibilità di ritardare l’esecuzione di provvedimenti di arresto, perquisizione, sequestro, fermo o custodia, qualora ciò sia necessario per acquisire rilevanti elementi probatori ovvero per l’individuazione dei responsabili dei delitti di corruzione o concussione, ricettazione, riciclaggio e reimpiego del prezzo o profitto di tali reati.

Infine, all’articolo 6, si stabilisce che l’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, possa richiedere le operazioni sotto copertura, al fine di dare seguito, in modo più tempestivo, alle segnalazioni ricevute, qualora idonee.


 

 


 


 

DISEGNO DI LEGGE

 

Art. 1.

(Operazioni sotto copertura)

1. In ottemperanza a quanto previsto dall’articolo 50 della convenzione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite contro la corruzione, ratificata ai sensi della legge 3 agosto 2009, n.116, qualora ricorrano le condizioni di cui all’articolo 2 della presente legge, il procuratore della Repubblica competente può autorizzare le operazioni sotto copertura di cui al comma 2 del presente articolo, al fine di accertare i reati di corruzione attiva o passiva e di concussione.

2. Ai fini della presente legge, per «operazioni sotto copertura» si intendono operazioni di polizia giudiziaria attuate nell’ambito di indagini relative a reati di cui al comma 1, nonché dei reati di ricettazione, riciclaggio e reimpiego del prezzo o del profitto relativo ai reati di cui al medesimo comma 1, volte all’acquisizione di elementi di prova relative ai medesimi reati, e consistenti:

a) nell’attività di offerta, acquisto, ricezione, sostituzione od occultamento di denaro, di documenti, di beni ovvero di altre utilità o cose che siano oggetto, prodotto, profitto o mezzo per commettere i suddetti reati, nonché in azioni che in qualsiasi modo ostacolino l’individuazione della provenienza delle suddette utilità o che ne consentano l’impiego;

b) nell’utilizzo di documenti, identità o indicazioni di copertura, anche al fine di attivare o entrare in contatto con soggetti e siti nelle reti di comunicazione; in attività prodromiche o strumentali alla realizzazione dei reati di corruzione e concussione concernenti i contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, il rilascio di concessioni, di autorizzazioni e di nulla osta da parte della pubblica amministrazione, fatte salve le disposizioni di cui all’articolo 3.

Art. 2.

(Cause di non punibilità)

1. Fermo quanto disposto dall’articolo 51 del codice penale, non sono punibili gli ufficiali di polizia giudiziaria appartenenti alla Polizia di Stato, all’Arma dei carabinieri ed al Corpo della guardia di finanza che, nell’ambito di operazioni sotto copertura, pongono in essere le attività di cui all’articolo 1, comma 2, lettere a) e b).

2. Nell’ambito di operazioni sotto copertura gli ufficiali di cui al comma 1 possono avvalersi di soggetti ausiliari, ai quali si applica la causa di non punibilità di cui al medesimo comma.

 

Art. 3.

(Procedura)

1. L’esecuzione delle operazioni sotto copertura può essere disposta dal dirigente della Squadra mobile, della Divisione investigazione generali ed operazioni speciali della polizia di Stato, dal comandante provinciale dell’Arma dei Carabinieri o del Corpo della guardia di finanza, dal comandante del Nucleo regionale di polizia tributaria, dal comandante della Sezione anticrimine del raggruppamento operativo speciale dell’Arma dei carabinieri, nonché dal direttore del Centro operativo della direzione investigativa antimafia, previa autorizzazione del procuratore della Repubblica presso il capoluogo di distretto nel quale devono aver luogo le operazioni medesime ovvero la loro parte prevalente. Il medesimo procuratore può autorizzare operazioni sotto copertura qualora, nel corso di attività di indagine, si riscontrino sperequazioni tra il tenore di vita ed il reddito di un soggetto, o anomalie nelle pratiche patrimoniali, fiscali, tributarie, o in quelle relative alla stipulazione dei contatti ed all’emanazione dei provvedimenti di cui all’articolo 1, comma 2, lettera b), ovvero riceva segnalazioni da parte degli organi competenti.

2. Nell’autorizzazione di cui al comma 1 il procuratore della Repubblica competente indica altresì , se necessario o se richiesto, il nominativo dell’ufficiale di polizia giudiziaria responsabile dell’operazione, nonché il nominativo degli eventuali ausiliari impiegati. Nel corso dell’operazione di copertura l’organo richiedente l’autorizzazione di cui al comma 1 deve comunque tenere costantemente informato il procuratore della Repubblica circa le modalità di esecuzione ed i risultati dell’operazione di copertura, nonché i soggetti che vi partecipano.

3. Per l’esecuzione delle operazioni di copertura il procuratore della Repubblica competente può autorizzare l’utilizzo temporaneo di beni mobili ed immobili e di documenti di copertura, secondo modalità stabilite con decreto del Ministro dell’interno, di concerto con il Ministro della giustizia e con gli altri Ministri interessati, da emanarsi entro tre mesi dalla data d’entrata in vigore della presente legge. Con lo stesso decreto sono stabilite le forme e le modalità per il coordinamento, a fini informativi e operativi, tra gli organismi investigativi di cui all’articolo 2, comma 1.

 

Art. 4.

(Consumazione del reato)

1. I reati di corruzione e di concussione si intendono consumati anche qualora la richiesta, l’offerta o la promessa di denaro o di altra utilità provenga da un ufficiale di polizia giudiziaria ovvero da un ausiliare a lui collegato, autorizzati ai sensi dell’articolo 3, comma 1.

 

Art. 5.

(Ritardo o omissione degli atti di arresto, perquisizione, sequestro, fermo o custodia)

1. Qualora sia necessario per acquisire rilevanti elementi probatori ovvero per l’individuazione o la cattura dei responsabili dei reati di cui all’articolo 1, gli ufficiali di polizia giudiziaria responsabili dell’operazione di copertura, nell’ambito delle rispettive attribuzioni, possono omettere o ritardare gli atti di arresto, perquisizione e sequestro di propria competenza dandone immediato avviso, anche telefonico, al procuratore della Repubblica che può disporre diversamente. L’autorità procedente trasmette motivato rapporto al procuratore della Repubblica entro quarantotto ore dalla ricezione dell’avviso.

2. Per gli stessi motivi di cui al comma 1, qualora sia necessario per acquisire rilevanti elementi probatori ovvero per l’individuazione dei responsabili dei reati di cui all’articolo 1, comma 2, il procuratore della Repubblica può, con decreto motivato, ritardare l’emissione o disporre che sia ritardata l’esecuzione dei provvedimenti di arresto, perquisizione, sequestro, fermo e custodia.

3. Il procuratore della Repubblica impartisce all’ufficiale di polizia giudiziaria responsabile dell’operazione sotto copertura le disposizioni di massima per il controllo degli sviluppi dell’attività criminosa, comunicando i provvedimenti adottati all’autorità giudiziaria competente per il luogo in cui l’operazione deve concludersi, ovvero per il luogo attraverso il quale si prevede sia effettuato il transito in uscita dal territorio dello Stato, ovvero quello in entrata nel territorio dello Stato, di denaro, dei beni mobili, ovvero delle altre utilità.

4. Nei casi di urgenza le disposizioni di cui ai commi 1 e 2 possono essere richieste od impartite anche oralmente, ma i provvedimenti di arresto, perquisizione, sequestro, fermo e custodia devono essere emessi entro le ventiquattro ore successive all’emanazione delle disposizioni citate.

5. Chiunque, nel corso di operazioni sotto copertura, indebitamente rivela o divulga i nomi degli ufficiali di polizia giudiziaria che effettuano le operazioni medesime o degli ausiliari a loro collegati è punito, salvo che il fatto costituisca più grave reato, con la reclusione da due a sei anni.

 

Art. 6.

(Modifica all’articolo 6 del codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n.163)

1. All’articolo 6, comma 9, del codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n.163, dopo la lettera a) è inserita la seguente:

«a-bis) richiedere, di propria iniziativa o su richiesta motivata di chiunque vi abbia interesse, l’ausilio dell’attività sotto copertura».

 

 

 


 

SENATO DELLA REPUBBLICA

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N. 2164

DISEGNO DI LEGGE

d’iniziativa dei senatori LI GOTTI, BELISARIO, PARDI, BUGNANO, CAFORIO, CARLINO, DE TONI, DI NARDO, GIAMBRONE, LANNUTTI, MASCITELLI e PEDICA

 

COMUNICATO ALLA PRESIDENZA IL 6 MAGGIO 2010

 

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Norme per il contrasto alla corruzione nella pubblica amministrazione e in materia di cause ostative all’assunzione di incarichi di governo, incandidabilità ed ineleggibilità dei condannati per reati contro la pubblica amministrazione. Delega al Governo in materia di coordinamento del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267

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Onorevoli Senatori. – Sin dal principio della presente legislatura, nel giugno 2008, il Gruppo «Italia dei Valori» del Senato della Repubblica ha presentato un disegno di legge espressamente volto al contrasto del fenomeno corruttivo (atto Senato n.850, Ratifica ed esecuzione della Convenzione penale sulla corruzione, fatta a Strasburgo il 27 gennaio 1999, nonché norme di adeguamento dell’ordinamento interno); dopo due anni, purtroppo, tale disegno di legge attende ancora di essere licenziato dalle competenti Commissioni. Similmente, dal novembre 2008 risulta giacente in commissione l’atto Senato n.1212 (Nuove disposizioni in materia di risoluzione dei conflitti di interessi di incandidabilità e di ineleggibilità alla carica di deputato e di senatore, di sindaco nei comuni con popolazione superiore a ventimila abitanti e di presidente della provincia, nonché di disciplina delle campagne elettorali. Delega al Governo per l’emanazione di norme in materia di conflitti di interessi degli amministratori locali). Il presente disegno di legge – riprendendo la parte essenziale delle suddette proposte – le aggiorna anche alla luce del contenuto della mozione n. 241 che il Gruppo Italia dei Valori ha presentato in Senato, in data 18 febbraio 2010, per rafforzare gli strumenti di prevenzione e repressione dei fenomeni corruttivi, la cui urgenza è testimoniata anche dalle vicende di cronaca giudiziaria delle ultime settimane.

Il presente disegno di legge, anche nell’ottica di rispondere alle indicazioni rivenienti dagli organismi internazionali dei quali l’Italia è parte, ridisegna sostanzialmente il quadro dei delitti contro la pubblica amministrazione, trasferendo la condotta di concussione per costrizione (articolo 317 del codice penale) all’interno di quelle previste e punite dall’articolo 629 del codice penale (estorsione) e la condotta di concussione per induzione all’interno della nuova fatti specie di corruzione, la quale ricomprende in sè il disvalore penale degli articoli 318, 319 e 321 del codice penale attualmente vigenti, prevedendo in ogni caso anche la punibilità del corruttore. Si provvede quindi, da un lato, a razionalizzare la normativa vigente, semplificando la classificazione delle condotte criminose e la valutazione del disvalore penale di ognuna di esse; dall’altro lato si conferisce rilevanza anche a quelle condotte le quali, pur emblematiche di una particolare offensività nei confronti del buon andamento della pubblica amministrazione e idonee ad ingenerare dubbi sulla effettiva imparzialità ed efficienza della stessa, non risultano tuttavia in alcun modo sanzionate all’interno del sistema penale italiano. È, pertanto, a tale scopo introdotta la fattispecie del traffico di influenze illecite, volta a punire la condotta di tutti quei soggetti che si propongono come intermediari nel disbrigo delle faccende corruttive nonché di quelli che ne ricercano la collaborazione.

Tra gli obiettivi del disegno di legge vi è anche quello di modificare la normativa vigente nell’ordinamento italiano in tema di reati contro la pubblica amministrazione, in particolare per quanto concerne la punibilità, nell’ambito delle operazioni economiche internazionali, del soggetto che indebitamente offra o prometta denaro per conseguire un vantaggio ingiusto. Nella nostra legislazione questa condotta corrisponde allo schema della corruzione propria, la quale prevede la punibilità del pubblico funzionario e del privato che si avvantaggia della condotta contraria ai doveri d’ufficio. Il codice penale, però, prevede anche l’ipotesi di cui all’articolo 317 (concussione), ai sensi del quale la punibilità del privato è esclusa se lo stesso è stato costretto od indotto alla dazione predetta dal pubblico funzionario; la norma in questione non distingue tra condotte rivolte al conseguimento di un vantaggio indebito o meno, prevedendo in ogni caso la punibilità del solo pubblico ufficiale.

È infatti opportuno assicurare la punibilità di tutte le ipotesi sussumibili nello schema della corruzione, quanto meno sotto il profilo dell’ingiusto vantaggio conseguito dal privato, essendo irrilevante a questo scopo l’eventuale costrizione o induzione asseritamente subita dal soggetto ad opera del pubblico ufficiale, nonché rivedere la non punibilità del concusso – quanto meno nelle ipotesi di concussione per induzione. La soluzione più ragionevole è apparsa essere quella di unificare le fattispecie di concussione per induzione, corruzione propria ed impropria, antecedente e susseguente, e di ricondurre la fattispecie di concussione per costrizione al delitto di estorsione. Così l’articolo 1, comma 1, lettera d), del disegno di legge provvede ad abrogare gli articoli 317, 318, 319-bis, 320, 321 e 322-bis del codice penale, mentre la lettera e) del comma 1 dello stesso articolo introduce la nuova fattispecie unica del delitto di corruzione, (articolo 319 del codice penale); la fattispecie in oggetto prevede la punibilità del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio che indebitamente riceve, per sé o per un terzo, denaro od altra utilità o ne accetta la promessa in relazione al compimento, all’omissione o al ritardo di un atto del suo ufficio o servizio, ovvero al compimento di un atto contrario ai doveri di ufficio o del servizio, con la reclusione da quattro a dieci anni. Nel medesimo articolo sono previste anche specifiche pene per il corruttore, il quale è punito per la promessa o la dazione di cui sopra con la reclusione da due a sei anni; se queste ultime condotte sono finalizzate a remunerare un atto dell’ufficio o del servizio già compiuto dal pubblico ufficiale o dall’incaricato di un pubblico servizio, la pena nei confronti del corruttore è, invece, quella della reclusione da tre mesi a un anno. Tale sistema sanzionatorio consente innanzitutto di stigmatizzare in maniera più evidente le condotte del funzionario pubblico che riceva denaro o altra utilità in relazione agli atti del proprio ufficio; d’altro canto prevede un trattamento sanzionatorio più lieve nei confronti del privato, in ragione della circostanza che non costituisce soggetto detentore di una funzione pubblica, ed una pena ancora più lieve nei casi in cui l’atto sia conforme ai doveri d’ufficio ed, inoltre, sia stato già posto in essere, condotta attualmente priva di sanzione penale nei confronti del privato. È, inoltre, prevista una specifica diminuzione di pena (fino alla metà) per il caso in cui il corruttore sia indotto alla dazione o alla promessa al solo fine di evitare il pericolo di un danno ingiusto; tale disposizione consente di valorizzare adeguatamente le peculiarità di tutte quelle situazioni in cui il privato, pur non risultando – materialmente o psicologicamente – costretto alla dazione indebita, pur tuttavia è alla stessa indotto ad opera del pubblico ufficiale, dell’incaricato di pubblico servizio o della particolare situazione sussistente nell’ambito della pubblica amministrazione di riferimento (condizione già individuata da giurisprudenza e dottrina come «concussione ambientale»). In tali casi, quindi, è apparso opportuno dare il giusto risalto a tale condizione psicologica soggettiva del privato, la quale, pur non raggiungendo il livello di una vera e propria coartazione della volontà, ne costituisce comunque una limitazione; la applicabilità della circostanza attenuante è stata, però, circoscritta al solo caso in cui la condotta sia stata finalizzata ad evitare il pericolo di un danno ingiusto, non apparendo opportuno che della stessa possa beneficiare anche chi, pur in un contesto di particolare diffusione del fenomeno corruttivo, tenda al raggiungimento di profitti o vantaggi a lui altrimenti non spettanti.

Il sistema trova, quindi, una sua intrinseca coerenza attraverso le ulteriori modifiche apportate alla disciplina dei delitti contro la pubblica amministrazione; la lettera f) del comma 1 dell’articolo 1 prevede, infatti, una rivisitazione della fattispecie della corruzione in atti giudiziari, eliminando l’attuale riferimento alla finalità di «favorire o danneggiare una parte in un processo civile, penale o amministrativo»; l’espressa previsione di un dolo specifico nella fattispecie in oggetto impedisce, di fatto, la reazione penale dinanzi a condotte gravemente lesive del buon andamento dell’amministrazione della giustizia, ed ha imposto la nuova formulazione dell’articolo 319-ter del codice penale.

La lettera g) del comma 1 dell’articolo 1 contiene, poi, la nuova formulazione dell’istigazione alla corruzione (articolo 322), coerente con la unificazione delle fattispecie corruttive; la lettera l), sostituendo l’attuale articolo 323-bis del codice penale, provvede ad aumentare i possibili effetti di riduzione della pena consentiti dalla circostanza attenuante ivi prevista per i casi di particolare tenuità; l’innalzamento della pena per il delitto di corruzione e l’unificazione di tutte le possibili fattispecie ad essa riconducibili hanno, infatti, imposto la previsione di detta circostanza onde poter consentire di adeguare la pena inflitta al caso concreto.

La lettera q) riconduce espressamente la attuale ipotesi di concussione per costrizione al fenomeno della estorsione, prevedendo una specifica circostanza aggravante, con pena da sei a venti anni di reclusione, per il caso in cui «la violenza o minaccia è commessa da un pubblico ufficiale o da un incaricato di pubblico servizio con abuso dei poteri o violazione dei doveri inerenti alla sua qualità o alle sue funzioni» (articolo 629, secondo comma, del codice penale come sostituito dall’articolo 1, comma 1, lettera q) del disegno di legge).

Sempre nel quadro delle modifiche apportate al codice penale, si è quindi provveduto (articolo 1, comma 1, lettera m), a novellare l’articolo 346 del codice penale. Di conseguenza, la rubrica è stata modificata denominando la figura criminosa, in luogo di «millantato credito», «traffico di influenze illecite».

Tutte le pene edittali proposte tengono conto, oltre che delle necessità inerenti ai rapporti estradizionali, dell’obbligo di prevedere sanzioni e misure effettive, proporzionate e dissuasive, incluse le sanzioni privative della libertà.

Si è, poi, inteso recuperare la possibilità di emersione del fenomeno corruttivo in precedenza demandata alla fattispecie di concussione ed alla conseguente non punibilità del privato oggetto della stessa, attraverso la previsione di una speciale circostanza attenuante (articolo 1, comma 1, lettera p), a mente della quale «la pena prevista per i delitti di cui agli articoli 319, 319-ter e 346 è diminuita fino a due terzi qualora l’autore del fatto, prima che sia esercitata l’azione penale, fornisca indicazioni utili all’individuazione degli altri responsabili e al sequestro delle somme o altre utilità trasferite».

Al fine di equiparare, in via generale, alle figure del pubblico ufficiale e dell’incaricato di pubblico servizio le persone che esercitano funzioni o attività corrispondenti nell’ambito di Stati esteri ovvero di organizzazioni internazionali, provvedono le lettere n) e o) dell’articolo 1, comma 1, che integrano rispettivamente gli articoli 357 e 358 del codice penale. Rimane in questo modo superata la frammentaria disciplina introdotta nel nostro ordinamento dalla legge 29 settembre 2000, n.300.

L’articolo 9 del disegno di legge prevede, quindi, la sospensione del corso della prescrizione degli illeciti amministrativi e tributari dal momento della consumazione del delitto di corruzione fino al momento dell’esercizio dell’azione penale per il predetto delitto, allorché lo stesso sia stato commesso per ottenerne l’occultamento od il mancato perseguimento.

Il nuovo assetto dei delitti contro la pubblica amministrazione ha, poi, determinato la necessità di intervenire – per evidenti esigenze di armonizzazione – sulle norme contenenti espliciti richiami ai delitti stessi, di volta in volta considerati quale presupposto per l’applicazione di pene accessorie, di ipotesi particolari di confisca, di cause ostative alla candidatura o al mantenimento di cariche elettive, e così via, di particolari disposizioni in tema di rapporto di lavoro con amministrazioni pubbliche, e così via.

L’articolo 8 del disegno di legge, infatti, apporta le necessarie modifiche al decreto legislativo 8 giugno 2001, n.231, conseguenti al nuovo assetto conferito alla disciplina dei delitti contro la pubblica amministrazione; viene, infatti, integralmente sostituito l’articolo 25 del predetto decreto, modificando tutti i riferimenti normativi ivi previsti e riunendo in due unici gruppi le sanzioni da irrogare nei confronti degli enti.

Il riferimento, quindi, alle abrogate disposizioni in tema di concussione e corruzione, contenuto negli articoli 32-quater e 32-quinquies del codice penale (che individuano le ipotesi di applicazione, rispettivamente, delle pene accessorie dell’incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione e dell’estinzione del rapporto di lavoro o di impiego con amministrazioni pubbliche), è stato sostituito con il richiamo alle nuove disposizioni in tema di corruzione, corruzione in atti giudiziari ed estorsione aggravata ai sensi dell’articolo 629, secondo comma, del codice penale (articolo 1, comma 1, lettere a) e b), del disegno di legge). A tale ultimo riguardo, va evidenziato che – in considerazione della particolare gravità delle (ulteriori) ipotesi di estorsione aggravata individuate nel vigente secondo comma dell’articolo 629 del codice penale, tutte connotate dalla particolare insidiosità della violenza o minaccia posta in essere – si è ritenuto di operare, nell’odierno intervento di armonizzazione, un richiamo «indistinto» (ovvero non limitato alle ipotesi finora riconducibili alla concussione per costrizione) al novellato secondo comma dell’articolo 629.

Analoga sostituzione è stata effettuata:

all’articolo 133, comma 1-bis, delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale di cui al decreto legislativo 28 luglio 1989, n.271, (introdotto dalla legge 27 marzo 2001, n.97), relativo alla notifica all’amministrazione di appartenenza del decreto che dispone il giudizio emesso – in relazione ad uno dei predetti reati – nei confronti di dipendenti di amministrazioni pubbliche, enti pubblici, enti a prevalente partecipazione pubblica (articolo 2 del disegno di legge);

all’articolo 12-sexies, comma 1, del decreto-legge 8 giugno 1992, n.306, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n.356, il quale individua i titoli di reato – tra i quali già figura l’estorsione – che impongono la confisca obbligatoria dei beni di cui il condannato non possa giustificare la provenienza (articolo 3, comma 1, lettera a), del disegno di legge: in questo caso si è ovviamente omesso il richiamo all’articolo 629 del codice penale);

all’articolo 12-sexies, comma 2-bis, del citato decreto-legge n.306 del 1992, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 356 del 1992 (introdotto dall’articolo 1, comma 220, della legge 27 dicembre 2006, n.296), il quale individua i titoli di reato per i quali, in caso di confisca di beni, trovano applicazione le norme in tema di gestione e devoluzione finale dei beni stessi, contenute nella legislazione antimafia (in particolare, negli articoli 2-nonies, 2-decies e 2-undecies della legge 31 maggio 1965, n.575). In questo caso, il richiamo al delitto di estorsione aggravata è stato limitato alle sole ipotesi finora riconducibili alla concussione per costrizione, in quanto il legislatore del 2006, nell’introdurre il comma 2-bis dell’articolo 12-sexies del citato decreto-legge n.306 del 1992, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 356 del 1992, ha preso in considerazione, nell’ambito delle numerose fattispecie delittuose implicanti la confisca obbligatoria di cui al comma 1 del medesimo articolo 12-sexies, unicamente i reati contro la pubblica amministrazione (articolo 3, comma 1, lettera b), del disegno di legge);

agli articoli 58, comma 1, lettera b), e 59, comma 1, lettera a), del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n.267 (rispettivamente dedicati alla individuazione delle cause ostative alla candidatura a cariche elettive in comuni, province e così via, e delle ipotesi di sospensione di diritto da tali cariche). In entrambe tali ipotesi, si è peraltro ritenuto ultroneo l’inserimento del richiamo alla estorsione aggravata, essendo da un lato previsto, come autonoma causa di ineleggibilità, la condanna alla reclusione superiore a sei mesi per uno o più delitti, diversi da quelli indicati negli articoli 314 e seguenti del codice penale, commessi con abuso dei poteri o con violazione dei doveri inerenti ad una pubblica funzione o ad un pubblico servizio (articolo 58, comma 1, lettera c) del citato testo unico di cui al decreto legislativo n. 267 del 2000) dall’altro, la sospensione di diritto è autonomamente prevista in caso di condanna di primo grado, confermata in appello, a pena non inferiore a due anni di reclusione per delitto non colposo (articolo 4, lettere a) e b), del disegno di legge);

all’articolo 3, comma 1, della legge 27 marzo 2001, n.97, in tema di trasferimento ad altro ufficio del dipendente di una delle predette amministrazioni, nei confronti del quale sia stato disposto il rinvio a giudizio (articolo 5 del disegno di legge);

all’articolo 2 del decreto legge 17 settembre 1993, n.369, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 novembre 1993, n.461, il quale prevede – quali soggetti attivi della nuova ipotesi di possesso ingiustificato di valori, in quella sede introdotta – gli imputati di uno dei delitti contro la pubblica amministrazione previsti e puniti nei vigenti articoli da 314 a 326 del codice penale. Anche in questo caso, l’esclusivo riferimento ai predetti reati ha indotto ad inserire il richiamo all’articolo 629, secondo comma, limitatamente alle ipotesi finora riconducibili alla concussione per costrizione (articolo 6 del disegno di legge).

Il disposto degli articoli 133, comma 1-bis, delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, di cui al decreto legislativo n.271 del 1989, e degli articoli 58, comma 1, lettera b), e 59, comma 1, lettera a), del citato testo unico di cui al decreto legislativo n.267 del 2000, nonché dell’articolo 3, comma 1, della legge n.97 del 2001, è stato, infine, integrato con l’espresso riferimento all’articolo 322 del codice penale, allo scopo di conferire autonoma rilevanza, ai fini rispettivamente previsti dalle norme in questione, anche alla fattispecie dell’istigazione alla corruzione, destinata a sanzionare nell’ottica del presente disegno di legge le condotte precedentemente qualificabili come tentata concussione per induzione.

Quanto alla raccolta delle prove, si è ritenuto di prevedere le operazioni sotto copertura (articolo 10, comma 1, del disegno di legge), scelta che non appare scindibile, data la delicatezza di tale modo di procedere, da quella della specializzazione degli organi di polizia da impiegare; la norma interviene con una espressa modifica dell’articolo 9, comma 1, della legge 16 marzo 2006, n.146, la quale reca una disciplina unitaria per pressoché tutte le ipotesi di operazioni sotto copertura, e si inserisce nel solco della stessa prevedendo, con l’introduzione della lettera b-bis) del comma 1 dell’articolo 9 della citata legge n.146 del 2006, una specifica causa di non punibilità per «gli ufficiali di polizia giudiziaria della Polizia di Stato, dell’Arma dei carabinieri e del Corpo della guardia di finanza, appartenenti alle strutture specializzate o alla Direzione investigativa antimafia, nei limiti delle proprie competenze, i quali, nel corso di specifiche operazioni di polizia ed al solo fine di acquisire elementi di prova in ordine ai reati di cui agli articoli 319, 319-ter, 346 e, limitatamente ai fatti commessi da un pubblico ufficiale o da un incaricato di pubblico servizio con abuso dei poteri o violazione dei doveri inerenti alla sua qualità o alle sue funzioni, 629, secondo comma, del codice penale, commessi nell’ambito di associazioni a delinquere, anche transnazionali, compiono le attività di cui alla lettera a), ovvero promettono od offrono denaro o altra utilità ovvero, anche attribuendosi qualità di altro pubblico ufficiale o incaricato di un pubblico servizio, simulano di accettarne la promessa o la consegna, direttamente o per interposta persona».

Il disegno di legge prevede, inoltre, (articolo 10, commi 2 e 3) due autonome ipotesi di revisione per le sentenze che siano state emesse rispettivamente:

a) sulla base di false dichiarazioni rilevanti ai sensi dell’applicazione della circostanza attenuante di cui all’articolo 360-bis del codice penale;

b) come conseguenza della commissione del reato di cui all’articolo 319-ter del codice penale. In entrambi i casi il procuratore generale presso la corte d’appello nel cui distretto la sentenza è stata pronunziata è obbligato a chiederne la revisione, onde rimediare per quanto possibile alle conseguenze della condotta illecita sull’esito del procedimento penale; al fine di consentire l’effettiva procedibilità del giudizio di revisione, inoltre, si è previsto che, quanto alle sentenze emesse sulla base di false dichiarazioni, «il corso della prescrizione è sospeso dalla data di commissione del fatto fino alla pronunzia della sentenza di revisione». Quanto, invece, alle sentenze emesse come conseguenza della commissione del reato di cui all’articolo 319-ter del codice penale «il corso della prescrizione è sospeso dalla data di commissione del reato di cui all’articolo 319-ter del codice penale fino alla pronuncia definitiva di condanna o applicazione di pena per il medesimo reato»; attraverso tale disciplina si conseguirà, pertanto, l’obiettivo di annullare gli eventuali effetti giudiziari favorevoli delle condotte corruttive, consentendo la revisione delle sentenze oggetto di mercimonio anche nei casi in cui sia stata già dichiarata la prescrizione del reato oggetto del relativo procedimento.

L’articolo 11 sancisce le cause ostative all’assunzione delle cariche di Governo per coloro nei cui confronti sia stato disposto il decreto di cui all’articolo 429 del codice di procedura penale per un delitto contro la pubblica amministrazione, contro l’amministrazione della giustizia o per truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche di cui all’articolo 640-bis del codice penale. Per titolari di incarichi di governo si intendono il Presidente del Consiglio dei ministri, i Vice Presidenti del Consiglio dei ministri, i Ministri, i Vice Ministri, i Sottosegretari di Stato e i commissari straordinari del Governo di cui all’articolo 11 della legge 23 agosto 1988, n.400. L’eventuale nomina di coloro che si trovano nelle condizioni suddette sono nulle e gli atti eventualmente compiuti dal titolare della carica di governo sono nulli ed inefficaci, salva ogni sua ulteriore eventuale responsabilità.

L’articolo 12 sancisce nuove disposizioni in materia di incandidabilità alla carica di deputato e di senatore. In particolare, si dichiarano «non candidabili», e non meramente ineleggibili, alla carica di deputato e senatore coloro che sono stati condannati per un delitto contro la pubblica amministrazione, contro l’amministrazione della giustizia o per truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche di cui all’art. 640-bis del codice penale. L’eventuale elezione o nomina di coloro che si trovano nelle suddette condizioni sarà – ai sensi del comma 5 dell’articolo 6-bis del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, introdotto dall’articolo 12 del disegno di legge – dichiarata nulla.

L’articolo 13 limita a stabilire i princìpi fondamentali – demandando la disciplina di dettaglio alla legislazione regionale, nel rispetto dell’articolo 122, primo comma, della Costituzione – in riferimento all’irrigidimento delle cause di incandidabilità, ineleggibilità ed incompatibilità per i Consiglieri regionali per i componenti della Giunta regionale e per il Presidente per i soggetti condannati per un delitto contro la pubblica amministrazione, contro l’amministrazione della giustizia o per truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche di cui all’articolo 640-bis del codice penale.

Con l’articolo 14 si delega il Governo ad adottare uno o più decreti legislativi secondo i princìpi e i criteri desumibili dalla presente legge per apportare al testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, le ulteriori modifiche strettamente necessarie all’applicazione della disciplina delle incandidabilità, ineleggibilità ed incompatibilità per i componenti delle assemblee elettive, delle giunte e dei Presidenti dei comuni, delle province e delle Città metropolitane per i soggetti che sono stati condannati per un delitto contro la pubblica amministrazione, contro l’amministrazione della giustizia o per truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche di cui all’articolo 640-bis del codice penale.

Dall’intervento normativo non derivano nuovi o maggiori oneri, né minori entrate, a carico del bilancio dello Stato (articolo 15).


 

 


 


 

DISEGNO DI LEGGE

 

Art. 1.

(Modifiche al codice penale)

1. Al codice penale sono apportate le seguenti modificazioni:

a) all’articolo 32-quater, le parole: «317, 318,», le parole: «319-bis, 320, 321,» e le parole: «322-bis» sono soppresse e dopo le parole: «501-bis,» sono inserite le seguenti: «629, secondo comma,»;

b) all’articolo 32-quinquies, le parole: «317, 318, 319, 319-ter e 320» sono sostituite dalle seguenti: «319, 319-ter e 629, secondo comma,»;

c) all’articolo 317-bis, le parole: «per i reati di cui agli articoli 314 e 317» sono sostituite dalle seguenti: «per il reato di cui all’articolo 314»;

d) gli articoli 317, 318, 319-bis, 320, 321 e 322-bis sono abrogati;

e) l’articolo 319 è sostituito dal seguente:

«Art. 319. – (Corruzione). – Il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che indebitamente riceve, per sé o per un terzo, denaro o altra utilità, o ne accetta la promessa in relazione al compimento, all’omissione o al ritardo di un atto del suo ufficio o servizio, ovvero al compimento di un atto contrario ai doveri di ufficio o del servizio, è punito con la reclusione da quattro a dieci anni.

La condanna importa l’interdizione perpetua dai pubblici uffici.

Nei casi di cui al primo comma, chi dà o promette al pubblico ufficiale o all’incaricato di un pubblico servizio denaro o altra utilità è punito con la reclusione da due a sei anni. Quando la dazione o la promessa è effettuata per un atto d’ufficio o del servizio già compiuto dal pubblico ufficiale o dall’incaricato di un pubblico servizio, il corruttore è punito con la pena della reclusione da tre mesi a un anno.

La pena per il corruttore è diminuita fino alla metà quando lo stesso è indotto alla dazione o alla promessa al solo fine di evitare il pericolo di un danno ingiusto»;

f) l’articolo 319-ter è sostituito dal seguente:

«Art. 319-ter. – (Corruzione in atti giudiziari). – Se i fatti di cui all’articolo 319 sono commessi in relazione all’esercizio di attività giurisdizionali, il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio è punito con la reclusione da cinque a dodici anni.

La condanna importa l’interdizione perpetua dai pubblici uffici.

Nei casi di cui al primo comma, chi dà o promette al pubblico ufficiale o all’incaricato di un pubblico servizio denaro od altra utilità, è punito con la reclusione da tre a otto anni. Se la dazione o la promessa è effettuata per un atto d’ufficio o del servizio già compiuto dal pubblico ufficiale o dall’incaricato di pubblico servizio, si applica la pena della reclusione da sei mesi a un anno»;

g) l’articolo 322 è sostituito dal seguente:

«Art. 322. – (Istigazione alla corruzione). – Chiunque offre o promette indebitamente denaro o altra utilità ad un pubblico ufficiale o ad un incaricato di pubblico servizio nei casi di cui all’articolo 319 soggiace, qualora l’offerta o la promessa non sia accettata, alla pena stabilita dall’articolo 319, terzo comma, ridotta di un terzo. Se l’offerta o la promessa è effettuata nei casi di cui all’articolo 319-ter, si applica la pena stabilita dall’articolo 319-ter, terzo comma, ridotta di un terzo.

Il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio che sollecita una promessa o dazione di denaro o altra utilità nei casi indicati dall’articolo 319 è punito, qualora la sollecitazione non sia accolta, con la pena stabilita dall’articolo 319, primo comma, ridotta di un terzo. Se la sollecitazione è effettuata nei casi di cui all’articolo 319-ter, si applica la pena stabilita dall’articolo 319-ter, primo comma, ridotta di un terzo»;

h) all’articolo 322-ter, primo comma, la parola: «320» è sostituita dalla seguente: «319-ter» e le parole: «anche se commessi dai soggetti indicati nell’articolo 322-bis, primo comma,» sono soppresse;

i) all’articolo 322-ter, secondo comma, le parole: «anche se commesso ai sensi dell’articolo 322-bis, secondo comma,» e le parole: «o agli altri soggetti indicati nell’articolo 322-bis, secondo comma» sono soppresse;

l) l’articolo 323-bis è sostituito dal seguente:

«Art. 323-bis. – (Circostanze attenuanti). – Se i fatti previsti dagli articoli 314, 316, 316-bis, 316-ter e 323 sono di particolare tenuità, le pene sono diminuite fino a due terzi e la condanna importa l’interdizione temporanea dai pubblici uffici.

Se i fatti previsti dagli articoli 319, 319-ter e 322 sono di particolare tenuità, le pene sono diminuite fino a due terzi e la condanna importa l’interdizione temporanea dai pubblici uffici»;

m) l’articolo 346 è sostituito dal seguente:

«Art. 346. – (Traffico di influenze illecite). – Chiunque, vantando credito presso un pubblico ufficiale o un incaricato di pubblico servizio, ovvero adducendo di doverne comprare il favore o soddisfare le richieste, fa dare o promettere a sé o ad altri denaro o altra utilità quale prezzo per la propria mediazione o quale remunerazione per il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio, è punito con la reclusione da tre a sette anni.

Nei casi di cui al primo comma, chi versa o promette denaro o altra utilità è punito con la reclusione da due a cinque anni.

La condanna importa l’interdizione perpetua dai pubblici uffici.

Le pene previste dal primo e dal secondo comma sono aumentate se il soggetto che vanta credito presso un pubblico ufficiale o un incaricato di pubblico servizio ovvero adduce di doverne comprare il favore o soddisfare le richieste riveste la qualifica di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio.

Le pene previste dal primo e dal secondo comma sono, altresì, aumentate se i fatti ivi previsti sono commessi in relazione all’esercizio di attività giurisdizionali.

Se i fatti previsti dal primo e dal secondo comma sono di particolare tenuità, le pene sono diminuite fino a due terzi e la condanna importa l’interdizione temporanea dai pubblici uffici»;

n) all’articolo 357, dopo il primo comma, è inserito il seguente:

«Sono, altresì, pubblici ufficiali agli effetti della legge penale i soggetti che esercitano funzioni o attività corrispondenti a quelle dei pubblici ufficiali nell’ambito di Stati esteri o di organizzazioni pubbliche internazionali»;

o) all’articolo 358, dopo il primo comma è inserito il seguente:

«Sono, altresì, incaricati di un pubblico servizio agli effetti della legge penale i soggetti che esercitano attività corrispondenti a quelle degli incaricati di un pubblico servizio nell’ambito di Stati esteri o di organizzazioni pubbliche internazionali»;

p) dopo l’articolo 360, nel capo III del titolo II del libro II è aggiunto, in fine, il seguente:

«Art. 360-bis. – (Circostanza attenuante). – La pena prevista per i delitti di cui agli articoli 319, 319-ter e 346 è diminuita fino a due terzi qualora l’autore del fatto, prima che sia esercitata l’azione penale, fornisca indicazioni utili all’individuazione degli altri responsabili e al sequestro delle somme o delle altre utilità trasferite»;

q) all’articolo 629 il secondo comma è sostituito dal seguente:

«La pena è della reclusione da sei a venti anni e della multa da euro 1.032 a euro 3.098 se la violenza o minaccia è commessa da un pubblico ufficiale o da un incaricato di pubblico servizio con abuso dei poteri o violazione dei doveri inerenti alla sua qualità o alle sue funzioni, ovvero se concorre taluna delle circostanze indicate nell’ultimo comma dell’articolo 628».

Art. 2.

(Modifica alle norme di attuazione,

i coordinamento e transitorie del codice

di procedura penale)

1. All’articolo 133, comma 1-bis, delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, di cui al decreto legislativo 28 luglio 1989, n.271, le parole: «317, 318, 319, 319-ter e 320» sono sostituite dalle seguenti: «319, 319-ter, 322 e 629, secondo comma,».

 

Art. 3.

(Modifiche al decreto-legge 8 giugno 1992, n.306, convertito, con modificazioni,

dalla legge 7 agosto 1992, n.356)

1. All’articolo 12-sexies del decreto-legge 8 giugno 1992, n.306, convertito, con modficazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n.356, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) al comma 1, le parole: «317, 318, 319, 319-ter, 320, 322, 322-bis» sono sostituite dalle seguenti: «319, 319-ter, 322»;

b) al comma 2-bis, le parole: «317, 318, 319, 319-ter, 320, 322, 322-bis» sono sostituite dalle seguenti: «319, 319-ter, 322, 629, secondo comma, limitatamente ai fatti commessi da un pubblico ufficiale o da un incaricato di pubblico servizio con abuso dei poteri o violazione dei doveri inerenti alla sua qualità o alle sue funzioni,».

 

Art. 4.

(Modifiche al testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n.267)

1. Al testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n.267, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) all’articolo 58, comma 1, lettera b), le parole: «317 (concussione), 318 (corruzione per un atto d’ufficio), 319 (corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio), 319-ter (corruzione in atti giudiziari), 320 (corruzione di persona incaricata di un pubblico servizio)» sono sostituite dalle seguenti: «319 (corruzione), 319-ter (corruzione in atti giudiziari), 322 (istigazione alla corruzione) e 629 (estorsione)»;

b) all’articolo 59, comma 1, lettera a), le parole: «317, 318, 319, 319-ter e 320» sono sostituite dalle seguenti: «319, 319-ter, 322 e 629».

 

Art. 5.

(Modifica alla legge 27 marzo 2001, n.97)

1. All’articolo 3, comma 1, della legge 27 marzo 2001, n.97, le parole: «317, 318, 319, 319-ter e 320» sono sostituite dalle seguenti: «319, 319-ter, 322 e 629, secondo comma,».

 

Art. 6.

(Modifiche al decreto-legge 17 settembre 1993, n.369, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 novembre 1993, n.461)

1. All’articolo 2, comma 1, del decreto-legge 17 settembre 1993, n.369, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 novembre 1993, n.461, le parole: «317, 318, primo comma, 319, 319-ter, 320, 321, 323, secondo comma, e 326, terzo comma, prima parte,» sono sostituite dalle seguenti: «319, 319-ter, 323, secondo comma, 326, terzo comma, prima parte, e, limitatamente ai fatti commessi da un pubblico ufficiale o da un incaricato di pubblico servizio con abuso dei poteri o violazione dei doveri inerenti alla sua qualità o alle sue funzioni, 629, secondo comma,».

 

Art. 7.

(Modifica alla legge 16 febbraio 1913, n.89)

1. All’articolo 159, comma 3, della legge 16 febbraio 1913, n.89, e successive modificazioni, le parole: «truffa e calunnia» sono sostituite dalle seguenti: «truffa, calunnia ed estorsione».

 

 

 

Art. 8.

(Modifica al decreto legislativo 8 giugno 2001, n.231)

1. L’articolo 25 del decreto legislativo 8 giugno 2001, n.231, è sostituito dal seguente:

«Art. 25. – (Corruzione e traffico di influenze illecite) – 1. In relazione alla commissione dei delitti di cui agli articoli 319, 322 e 346, primo, secondo e quarto comma, del codice penale, si applica all’ente la sanzione pecuniaria da duecento a seicento quote.

2. In relazione alla commissione dei delitti di cui agli articoli 319-ter e 346, quinto comma, del codice penale, si applica all’ente la sanzione pecuniaria da trecento a ottocento quote.

3. Le sanzioni pecuniarie previste per i delitti di cui ai commi 1 e 2 si applicano all’ente anche quando tali delitti sono stati commessi dalle persone indicate negli articoli 357, secondo comma, e 358, secondo comma, del codice penale.

4. Nei casi di condanna per uno dei delitti indicati nei commi 1 e 2 si applicano le sanzioni interdittive previste dall’articolo 9, comma 2, per una durata non inferiore a un anno».

 

Art. 9.

(Prescrizione degli illeciti amministrativi e tributari connessi al delitto di corruzione)

1. Quando è stato commesso un delitto di corruzione in occasione o comunque in relazione ad accertamenti tributari, contestazioni o irrogazioni delle relative sanzioni, ovvero per ottenere l’occultamento o il mancato perseguimento di violazioni amministrative, le decadenze previste per la notifica degli atti di contestazione o di irrogazione non si verificano dal momento della consumazione del predetto delitto fino al momento dell’esercizio dell’azione penale.

2. Sono, altresì, sospesi, nel periodo indicato al comma 1, i termini di prescrizione degli illeciti amministrativi, nonché i termini di prescrizione previsti per il diritto alla riscossione delle sanzioni irrogate.

Art. 10.

(Attività di contrasto e norme processuali)

1. All’articolo 9, comma 1, della legge 16 marzo 2006, n.146, dopo la lettera b) è aggiunta la seguente:

«b-bis) gli ufficiali di polizia giudiziaria della Polizia di Stato, dell’Arma dei carabinieri e del Corpo della guardia di finanza, appartenenti alle strutture specializzate o alla Direzione investigativa antimafia, nei limiti delle proprie competenze, i quali, nel corso di specifiche operazioni di polizia ed al solo fine di acquisire elementi di prova in ordine ai reati di cui agli articoli 319, 319-ter, 346 e, limitatamente ai fatti commessi da un pubblico ufficiale o da un incaricato di pubblico servizio con abuso dei poteri o violazione dei doveri inerenti alla sua qualità o alle sue funzioni, 629, secondo comma, del codice penale, commessi nell’ambito di associazioni a delinquere, anche transnazionali, compiono le attività di cui alla lettera a), ovvero promettono od offrono denaro o altra utilità ovvero, anche attribuendosi qualità di altro pubblico ufficiale o incaricato di un pubblico servizio, simulano di accettarne la promessa o la consegna, direttamente o per interposta persona.».

2. Quando risulta che è stata pronunziata sentenza di condanna o di applicazione di pena ritenuta la circostanza attenuante di cui all’articolo 360-bis del codice penale per effetto di dichiarazioni false o reticenti, il procuratore generale presso la corte d’appello, nel cui distretto la sentenza è stata pronunziata, ne chiede la revisione. Nel giudizio di revisione si osservano, in quanto compatibili, le disposizioni del titolo IV del libro IX del codice di procedura penale. In caso di accoglimento della richiesta di revisione, il giudice riforma la sentenza di condanna e determina la nuova misura della pena. In caso di revoca della sentenza di applicazione di pena, la corte ordina la trasmissione degli atti al pubblico ministero presso il giudice che l’ha pronunziata. In tali casi il corso della prescrizione è sospeso dalla data di commissione del fatto fino alla pronunzia della sentenza di revisione.

3. Quando è accertato, con sentenza definitiva di condanna o applicazione di pena, che è stata pronunziata sentenza in conseguenza del reato di cui all’articolo 319-ter del codice penale, il procuratore generale presso la corte d’appello nel cui distretto la sentenza è stata pronunziata ne chiede la revisione. Nel giudizio di revisione si osservano, in quanto compatibili, le disposizioni del titolo IV del libro IX del codice di procedura penale. In tali casi il corso della prescrizione è sospeso dalla data di commissione del reato di cui all’articolo 319-ter del codice penale fino alla pronuncia definitiva di condanna o applicazione di pena per il medesimo reato.

 

Art. 11.

(Cause ostative all’assunzione di incarichi

di governo)

1. Non possono ricoprire incarichi di governo coloro nei confronti dei quali è stato disposto il decreto di cui all’articolo 429 del codice di procedura penale per un delitto contro la pubblica amministrazione, contro l’amministrazione della giustizia o per uno dei delitti di cui agli articoli 51 e 407 del codice di procedura penale o per il delitto di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche di cui all’art. 640-bis del codice penale.

2. Agli effetti del presente articolo, per titolari di incarichi di governo si intendono il Presidente del Consiglio dei ministri, i Vice Presidenti del Consiglio dei ministri, i Ministri, i Vice Ministri, i Sottosegretari di Stato e i commissari straordinari del Governo di cui all’articolo 11 della legge 23 agosto 1988, n.400.

3. L’eventuale nomina di coloro che si trovano nelle condizioni di cui al comma 1 è nulla e gli atti eventualmente compiuti dal titolare dell’incarico di governo sono nulli e inefficaci, fatta salva ogni sua ulteriore eventuale responsabilità. I medesimi effetti si determinano qualora le cause ostative di cui al citato comma 1 intervengano successivamente all’assunzione di uno degli incarichi di governo di cui al comma 2.

 

Art. 12.

(Nuove disposizioni in materia

di incandidabilità alla carica di deputato

o di senatore)

1. Al testo unico delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei deputati, di cui al decreto del Presidente della Repubblica, 30 marzo 1957, n.361, al capo II del Titolo II sono apportate le seguenti modificazioni:

a) la rubrica è sostituita dalla seguente: «Candidabilità ed eleggibilità»;

b) dopo l’articolo 6 è inserito il seguente:

«Art. 6-bis. – 1. Non possono essere candidati e non possono comunque ricoprire la carica di deputato coloro che sono stati condannati per un delitto contro la pubblica amministrazione, contro l’amministrazione della giustizia o per uno dei delitti di cui agli articoli 51 e 407 del codice di procedura penale o per il delitto di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche di cui all’art. 640-bis del codice penale.

2. Le sentenze e i provvedimenti definitivi indicati al comma 1, emessi nei confronti di deputati in carica, sono comunicati alla Camera dei deputati per la pronunzia della decadenza.

3. Per tutti gli effetti disciplinati dal presente articolo, la sentenza emessa ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale è equiparata a condanna.

4. La Camera dei deputati dichiara la nullità dell’elezione dei propri componenti entro sessanta giorni dalla notizia di condanna definitiva.

5. L’eventuale elezione o nomina di coloro che si trovano nelle condizioni di cui al comma 1, è nulla».

2. All’articolo 5 del testo unico delle leggi recanti norme per l’elezione del Senato della Repubblica, di cui al decreto legislativo 20 dicembre 1993, n. 533, è aggiunto, in fine, il seguente comma:

«1-bis. Non possono essere condidati alle elezioni politiche e non possono comunque ricoprire la carica di senatore coloro che rientrano nelle fattispecie previste dall’articolo 6-bis del testo unico delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei deputati, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361».

 

Art. 13.

(Princìpi in materia di incandidabilità, ineleggibilità ed incompatibilità dei Consiglieri regionali, dei presidenti di regione e dei membri delle Giunte regionali)

1. All’articolo 3, comma 1, della legge 2 luglio 2004, n.165, dopo la lettera a) è inserita la seguente:

«a-bis) sussistenza di cause di incandidabilità, ineleggibilità ed incompatibilità per i consiglieri regionali, per i componenti della Giunta regionale, per il Presidente e per i soggetti che sono stati condannati per un delitto contro la pubblica amministrazione, contro l’amministrazione della giustizia o per uno dei delitti di cui agli articoli 51 e 407 del codice di procedura penale o per il delitto di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche di cui all’articolo 640-bis del codice penale;».

2. Le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano disciplinano con propria legge, ai sensi dei rispettivi statuti speciali e delle relative norme di attuazione, anche per gli enti locali e gli enti ad ordinamento regionale o provinciale le cause di incandidabilità, di ineleggibilità e di incompatibilità per i Consiglieri regionali per i componenti della Giunta regionale e per il Presidente per i soggetti che sono stati condannati per un delitto contro la pubblica amministrazione, contro l’amministrazione della giustizia o per uno dei delitti di cui agli articoli 51 e 407 del codice di procedura penale o per il delitto di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche di cui all’articolo 640-bis del codice penale.

 

Art. 14.

(Delega al Governo per l’integrazione del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n.267)

1. Il Governo è delegato ad adottare, entro due mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri, di concerto con il Ministro per le riforme istituzionali, con il Ministro dell’interno e con il Ministro per gli affari regionali e le autonomie locali, previa intesa con la Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n.281, e successive modificazioni, e sentite le Commissioni parlamentari competenti per materia e per i profili di carattere finanziario, uno o più decreti legislativi secondo i princìpi e i criteri desumibili dalla presente legge per apportare al testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n.267, le ulteriori modifiche strettamente necessarie all’applicazione della disciplina delle incandidabilità, ineleggibilità ed incompatibilità per i componenti delle assemblee elettive, delle giunte e dei presidenti dei comuni, delle province e delle città metropolitane per i soggetti che sono stati condannati per un delitto contro la pubblica amministrazione, contro l’amministrazione della giustizia o per uno dei delitti di cui agli articoli 51 e 407 del codice di procedura penale o per il delitto di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche di cui all’art. 640-bis del codice penale.

 

Art. 15.

(Clausola di invarianza)

1. Dall’esecuzione della presente legge non derivano nuovi o maggiori oneri a carico del bilancio dello Stato.

 

 

 


 

SENATO DELLA REPUBBLICA

¾¾¾¾¾¾¾¾   XVI LEGISLATURA   ¾¾¾¾¾¾¾¾

 

N. 2168

DISEGNO DI LEGGE

d’iniziativa del senatore D’ALIA

 

COMUNICATO ALLA PRESIDENZA IL 7 MAGGIO 2010

 

 

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Disciplina della partecipazione alla vita pubblica e degli emolumenti per l’esercizio della funzione pubblica, regolamentazione degli incarichi di consulenza e norme in materia di contrasto a fenomeni di corruzione

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Onorevoli Senatori. – Il presente disegno di legge tende da un lato a rendere più efficace l’azione di contrasto e prevenzione della corruzione e, dall’altro lato, ad introdurre norme di trasparenza nella vita pubblica e nell’esercizio della pubblica funzione. Infatti il malaffare, nella pubblica amministrazione, si giova non solo del pactum sceleris tra delinquenza (spesso organizzata) e degenerazione privatistica di taluni responsabili dei pubblici uffici, ma anche dei mille rivoli in cui opacità amministrativa e malcostume si autoalimentano. Per essere come la moglie di Cesare, i responsabili della pubblica funzione debbono consentire a tutti i cittadini di affacciarsi nella loro situazione reddituale, e di trovarla specchiata: in caso contrario, sarà (anche) il controllo sociale ad attivare ed indirizzare la richiesta di motivare indebiti arricchimenti.

Ma a monte di tutto ciò vi è da rispondere ad un’esigenza di regolamentazione dell’accesso alla vita pubblica: la permeabilità di tale snodo procedurale ai meno nobili intenti – quando non addirittura alla criminalità organizzata – è uno delle peggiori ricadute della fragilità dell’attuale sistema dei partiti, incapace di svolgere il ruolo di selezione del proprio personale politico.

  

Il giudizio sulle cause originarie di ineleggibilità soffre di un vera e proprio corto circuito logico, prima ancora che cronologico: dietro l’ossequio formale alla competenza finale della Giunta delle elezioni della Camera neoeletta – per il quale vedi la circolare 2 novembre 2000 del Ministero dell’interno (n.153/2000 protocollo n.5319 fascicolo 15600/15364), sulla questione dell’interpretazione dell’articolo 7 del testo unico delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei deputati, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 31 marzo 1957, n.361 (affrontata nell’udienza del 25 ottobre 2000 anche dal parere sezione I del Consiglio di Stato commissione speciale protocollo n.1052/2000) – si nasconde nei fatti la possibilità di mettere la futura Camera dinanzi al «fatto compiuto», se non si ferma prima il candidato ineleggibile.

Una tale conclusione, in riferimento alle regioni, fu dal giudice relatore Cassese fortemente stigmatizzato: «Si tratta di una normativa evidentemente incongrua: non assicura la genuinità della competizione elettorale, nel caso in cui l’ineleggibilità sia successivamente accertata; induce il cittadino a candidarsi violando la norma che, in asserito contrasto con la Costituzione, ne preveda l’ineleggibilità; non consente che le cause di ineleggibilità emergano, come quelle di incandidabilità, in sede di presentazione delle liste agli uffici elettorali» (Corte costituzionale – sentenza 22 febbraio-3 marzo 2006, n.84).

La soluzione di politica legislativa affacciata nella XV legislatura dalla prima Commissione della Camera dei deputati (vedi il testo unificato atti Camera nn.1451, 2242, 2314, 2516, 2564, 2680, 2681 e 2799) fu quella di estendere a livello parlamentare l’istituto dell’incandidabilità che già ebbe ingresso nell’ordinamento nel 1990 e che per gli enti locali è attualmente contemplato dall’articolo 58 del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n.267, (TUEL). Il presente disegno di legge intende conseguire in sostanza il medesimo risultato, tanto che non innova rispetto all’elencazione dei casi già operata dal testo vigente del TUEL. Nella scelta dello strumento legislativo, però, si intende qui fare tesoro delle audizioni di costituzionalisti svolte sotto la presidenza di Luciano Violante in quella stessa prima Commissione della Camera, l’8 gennaio 2008.

Il professor Nicolò Zanon, in quella sede, evocò gli irrisolti dubbi di costituzionalità sull’istituto dell’incandidabilità, affermando tra l’altro che «leggendo la Costituzione ( ... ) sembrerebbe che il legislatore debba intervenire a stabilire regole in tema di ineleggibilità, ma non possa introdurre altri limiti all’elettorato passivo che non sono riconducibili all’ineleggibilità. «Il problema, quindi, consiste nel capire se l’incandidabilità rientra nel concetto di ineleggibilità. ( ... ) Sembrerebbe ( ... ) che l’incandidabilità si avvicini di più ( ... ) a quella che si definisce l’incapacità elettorale passiva, che si verifica laddove il soggetto sia carente di alcuni requisiti, come elettorato attivo, età e, per alcuni, anche l’analfabetismo. «Il problema è questo. Esiste una differenza forte e si pone anche una differenza ulteriore che il progetto assume consapevolmente. La sussistenza di cause di ineleggibilità è accertata al momento della convalida dell’elezione già avvenuta, ma una causa di incandidabilità, per essere presa sul serio, deve essere verificata preventivamente all’elezione». La scelta del testo unificato della Camera era quella di porre questa verifica in capo al competente ufficio elettorale circoscrizionale, al momento della presentazione delle liste elettorali, ma in questa proposta Zanon evidenziò un «problema operativo. Si dice che l’ufficio cancelli anche i nomi di coloro che abbiano presentato dichiarazioni sostitutive non veritiere». A tal proposito, sottolineerei che l’ufficio circoscrizionale deve decidere in tempi molto brevi (mi sembra entro 24-48 ore, non ricordo bene).

Tuttavia, verificare se la dichiarazione sostitutiva dell’assenza di cause di incandidabilità sia veritiera non è come accertare l’età. Per procedere a tale operazione, bisognerebbe poter disporre dei dati del casellario, e non è così evidente che questi siano sempre aggiornati« (resoconto stenografico, pagine 7-9).

Mentre «accertare l’esistenza di una causa di incandidabilità, dopo lo svolgimento delle elezioni, sembra particolarmente incongruo. Si tratta, infatti, di un aspetto che deve essere verificato prima che le elezioni si svolgano», d’altro canto, per il medesimo docente, la scelta sostanziale operata nel 1990 (e nell’articolo 58 TUEL) ha il vantaggio di «una maggiore oggettività rispetto ai casi in cui la misura dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici consegua ad una condanna. Infatti, in base al quantum di pena, può scattare o meno la interdizione perpetua». Credo, tuttavia, che sarebbe ancora più oggettiva e ragionevole la scelta del tipo di reato.

Certo, potrebbe verificarsi un’imputazione del tutto assurda, ma in tal caso essa verrebbe corretta alla radice «riterrei preferibile e più ragionevole scegliere il criterio della fattispecie di reato, del bene giuridico tutelato».

Ecco perché, per conciliare queste opposte esigenze, il presente disegno di legge sceglie di riportare la problematica alla fase della iscrizione nelle liste elettorali, compiuta periodicamente secondo il meccanismo consolidato del testo unico delle leggi per la disciplina dell’elettorato attivo e per la tenuta e la revisione delle liste elettorali di cui al decreto del Presidente della Repubblica 20 marzo 1967, n.223, non solo questo consente di definire per tempo la capacità elettorale e di non decidere sotto l’imperio della scadenza elettorale già convocata; esso soddisfa anche la necessità che sulle questioni di partecipazione al voto (sia attivo che passivo) vi sia, almeno virtualmente, la possibilità di addivenire alla pronuncia di un organo giurisdizionale ordinario (stanti i meccanismi di ricorso contro l’esclusione o l’inclusione nelle liste, previsti dagli articoli 42-46 del medesimo testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica n.223 del 1967); ma, soprattutto, si tratta di una soluzione che riporta la questione nei binari della riserva di legge di cui all’articolo 48, quarto comma della Costituzione: poiché anzi questa limitazione del diritto di voto (e per converso di essere eletti, stante il requisito elettorale passivo posto dagli articoli 56 terzo comma e 58 primo comma della Costituzione, consistente nell’essere «elettori») non rientra nelle altre due fattispecie ivi previste («incapacità civile o per effetto di sentenza penale irrevocabile») evidentemente essa rappresenta uno dei «casi di indegnità morale indicati dalla legge». Lo riconobbe, in quella stessa sede, un presidente emerito della Corte costituzionale, Annibale Marini, secondo cui «per fatti particolarmente gravi o per provvedimenti di prevenzione» possono venir meno i requisiti minimi di «onorabilità» che devono sussistere per essere eletti (resoconto stenografico, pagina 4).

Ecco perché la scelta individuata nel titolo I del presente disegno di legge appare la più rispondente alle esigenze enunciate e – ferma restando l’inestensibilità del restante corpus del TUEL ai parlamentari, in ordine alla decadenza ed alla sospensione dalla carica, in ragione dell’insuperata riserva della giurisdizione delle Camere di cui all’articolo 66 della Costituzione – la si generalizza come meccanismo che riporta alle normali revisioni semestrali delle liste elettorali quel controllo sulla capacità elettorale (attiva e, quindi, passiva) sin qui rivelatasi estremamente problematica a stretto ridosso della scadenza elettorale.

  

Il titolo II del disegno di legge affronta la tematica della trasparenza delle posizioni patrimoniali degli eletti e dei nominati. Nonostante una campagna di soft law svolta a tappeto negli organi assembleari locali, si giudica infatti inidoneo – a fronte di contro-limiti abbastanza seri, fondati sulla riservatezza e sul diniego del consenso – lo strumento delle delibere consiliari per imporre alla platea dei soggetti interessati un obbligo giuridico in tal senso. Non solo i margini di elusione si moltiplicano, con il ricorso ad una casistica variegata e conferimenti disordinati di dati non omogenei sui siti Internet dei più disparati enti territoriali; gli è che la necessità di un fondamento di rango primario è dimostrata dalla preesistenza della legge 5 luglio 1982, n.441, al cui modello il disegno di legge presentato dal senatore Ichino in questa legislatura continua a fare riferimento (vedi atto Senato n.1290). Si tratta però di una legge che ha dimostrato ampi margini di inefficacia, che si intende qui risolutamente correggere, oltre che generalizzare per una sene di situazioni locali sparse sul territorio.

A tale esigenza non possono sottrarsi neppure i rappresentanti della sovranità popolare: non dovrà più verificarsi, in altri termini, che da Senatore della Repubblica un cittadino dichiari all’anagrafe patrimoniale di cui alla legge n.441 del 1982 poco più del minimo reddituale, e pochi giorni dopo la decadenza dal seggio parlamentare ammetta alle autorità inquirenti di aver partecipato (e beneficiato, con una ricca messe di conti correnti all’estero) ad uno schema milionario di evasione dell’IVA.

All’impianto della legge 5 luglio 1982 n.441 si aggiungono quindi da un lato le possibilità offerte dalle tecnologie informatiche e telematiche per la più facile circolazione delle informazioni, e dall’altro lato le migliori potenzialità sanzionatorie offerte dalle procedure di cui alla legge 20 luglio 2004, n.215, per i componenti del Governo nazionale.

L’affidamento dei compiti di attuazione delle disposizioni per la trasparenza – in particolare la raccolta delle dichiarazioni, la gestione dei dati e i provvedimenti connessi – è operato a favore di soggetti meno indeterminati della preesistente disciplina: nel caso dei parlamentari, alla Giunta delle elezioni della Camera dei deputati e alla Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari del Senato della Repubblica, le quali sono chiamate a svolgere le funzioni sanzionatorie già poste per i membri del Governo – in capo alle due competenti Autorità indipendenti (Autorità garante della concorrenza e del mercato e Autorità per le garanzie nelle comunicazioni); per i componenti di alcuni organi nominati dalle amministrazioni statali, alla Commissione per la valutazione, la trasparenza e l’integrità delle amministrazioni pubbliche istituita dall’articolo 13 del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n.150, cosiddetta «legge Brunetta», mentre la pubblicità è assicurata attraverso i siti Internet delle amministrazioni interessate.

Quanto alle cariche rivestite dagli appartenenti a organi elettivi regionali e locali, si ribadisce la competenza legislativa regionale, ma nel contempo viene introdotta una soglia minima di trasparenza: non si può rendere pubblico un dato minore di quello accessibile presso i comuni con riferimento ai cittadini non titolari di cariche pubbliche. Una clausola di cedevolezza prevede poi che, fino a quando le regioni non avranno disciplinato la materia, vige la disciplina generale dettata dalla legge dello Stato, sia pur con gli adattamenti imposti dalla particolarità delle fattispecie. Il medesimo tipo di previsioni è poi introdotto per le cariche amministrative – nonché quelle assessorili – negli enti territoriali diversi dallo Stato.

  

Il titolo III del disegno di legge affronta il tema del tetto massimo di retribuzione attribuibile ai pubblici dipendenti, che già ha formato oggetto di previsione nella legge 24 dicembre 2007, n.244 (legge finanziaria per il 2008). L’effetto concretamente peggiorativo, in quella sede normativa, è derivato dal meccanismo di deroghe e di proroghe di entrata in vigore, rispondenti ad un «assalto alla diligenza» di lobbies che hanno trovato ascolto anche nella maggioranza: i diplomatici (esclusione degli incarichi «fuori del territorio metropolitano»), i dipendenti della Banca d’Italia e delle authorities (rinvio ad un’improbabile riforma della disciplina interna, tutta a venire), gli attori, presentatori e giornalisti RAI (deroga per il presunto effetto competitivo sulle professionalità pagate dall’Erario), i manager in servizio (entrata in vigore a partire dai nuovi contratti).

La presente proposta rende anzitutto trasparente quello che è stato approvato nella legge 27 dicembre 2006, n.296, (legge finanziaria del 2007), con sei articoli che disciplinano le diverse situazioni toccate alquanto confusamente dal testo vigente, che si è reso conseguentemente per lo più inapplicabile. Si evita così di affrontare in unico articolo varie questioni (lavoratori pubblici, amministratori di società di diritto privato, consulenti, Corte dei conti) che richiedono separata trattazione.

Appare incongruo – oltre che diseconomico – inseguire proposte demagogiche sul tetto alle retribuzioni private, stante la miriade di meccanismi di elusione ed ancor prima la considerazione che l’assemblea degli azionisti, nel ben remunerare i suoi manager societari, suo iure utitur. Ma questo non è e non può essere il caso degli emolumenti che impingono sulle pubbliche finanze, che devono essere pubblici, riconoscibili da tutti ed espressione di una scala di priorità, che non può non mettere al vertice dei dipendenti non onorari dello Stato e degli altri enti pubblici il Primo presidente della Corte di cassazione (già utilizzato come riferimento per l’individuazione della parte retributiva del trattamento economico complessivo dei parlamentari).

In tema di statuizione legislativa di tetti massimi alla retribuzione, la Corte costituzionale ha avuto modo di affermare che: «l’autonomia collettiva non è immune da limiti legali. ( .. ) Compressioni legali di questa libertà, nella forma di massimi contrattuali, sono giustificabili solo in situazioni eccezionali, a salvaguardia di superiori interessi generali, e quindi con carattere di transitorietà» (sentenza 18 marzo-26 marzo 1991, n.124, relativa ad un meccanismo di indicizzazione stabilito per legge). La formula proposta evita quindi che si violi il principio costituzionale dell’affidamento, per le situazioni in atto, senza frustrare lo scopo della norma con un’applicazione selettiva e sperequata; essa evita dubbi sulla possibilità di eludere la norma con compensi non fissi e si arricchisce anche di una clausola che opera il contemperamento tra pubblicità e rispetto della privacy, consentendo di risalire ad eventuali abusi.

Inoltre si esprime preferenza per un meccanismo di contemperamento del tetto retributivo con i diritti quesiti, bloccando le progressioni ulteriori di chi è già sopra il tetto (invece di una loro generalizzata salvezza) e mantenendo la quota raggiunta con il sistema dell’assegno ad personam. Infine, recepisce la possibilità del Ministro dell’economia e delle finanze di derogare al tetto per venticinque nominativi nel triennio, ma estende la possibilità di deroga (nel rispetto delle norme sulla trasparenza della decisione e del controllo della Corte dei conti) a tutti gli altri organi di vertice delle amministrazioni non statali, nel presupposto che la norma si debba applicare anche a loro ed all’interno di una quota percentuale sul totale delle posizioni apicali.

L’inclusione di tutte le varie amministrazioni risponde all’intento di sfoltire la «giungla retributiva», riconducendo alla disciplina di legge ogni ente che attinge al denaro pubblico come individuato da indirizzi parlamentari e giurisprudenziali consolidati: per le Amministrazioni costituzionali vedasi l’ordine del giorno approvato dalla Commissione giustizia del Senato – ed accolto dal Governo – in sede di rapporto sui documenti di bilancio nell’autunno 2007; per gli enti sottoposti a controllo contabile, vedi Cassazione civile, sezioni unite, ordinanza n.19667 del 22 dicembre 2003 (in cui la Cassazione ha riconosciuto la giurisdizione della Corte dei conti anche nei confronti degli amministratori degli enti pubblici economici) e sentenza n.3899 del 26 febbraio 2004 (con cui la Cassazione ha riconosciuto la giurisdizione della Corte dei conti anche nei confronti degli amministratori delle s.p.a. partecipate in modo totalitario o prevalente da pubblici poteri).

Tra le abrogazioni, è inclusa quella apodittica deroga ad personam introdotta per il sottosegretario di Stato alla protezione civile, nel momento della sua nomina, da un decreto-legge in tema di emergenza rifiuti.

  

Nel titolo IV si affronta, in quattro articoli dal contenuto speculare (articoli 27-30), la materia degli incarichi extragiudiziari dei magistrati e dei soggetti assimilabili.

Non appare estranea alla materia oggetto del disegno di legge quella che interessa tale titolo, atteso che l’esperienza pratica conferma, periodicamente, come attraverso gli incarichi extragiudiziari conferiti a magistrati (e che determinano spesso per i nominati rilevanti introiti economici, assolutamente esorbitanti rispetto alla retribuzione comune delle categorie interessate) si determinino fenomeni di commistione tra magistrature, politica e mondo economico, con relazioni utilizzabili anche al fine di condizionare i poteri/doveri di controllo degli organi giudiziari.

Ciò comporta l’esigenza che gli incarichi extragiudiziari ai magistrati siano limitati il più possibile, con esclusione in particolare di quegli incarichi che maggiormente permettono facili arricchimenti e che possono essere facilmente utilizzati come strumento di pressione dai soggetti nominanti.

Peraltro, in un sistema come l’attuale, nel quale le pendenze giudiziarie si moltiplicano ed i ritardi nelle decisioni assumono aspetti patologici, presso tutte le istanze e tutti i fori, non sembra inutile ricordare che il principio generale debba essere quello che chi svolge (nel senso più lato) pubbliche funzioni in campo giudiziario deve tendenzialmente svolgerle in maniera esclusiva, con quelle eccezioni ritenute normativamente necessarie ovvero che non incidono sulla efficacia del servizio giudiziario.

L’esigenza di limitazione all’essenziale di tali incarichi risulta già avvertita – occorre ricordarlo – soltanto dalla magistratura ordinaria che, attraverso la normazione consiliare (delibere e risoluzioni del Consiglio superiore della magistratura), ha stabilito il divieto di autorizzazione per tutti gli incarichi extragiudiziari oggetto della presente proposta: arbitrati, commissioni di collaudo, incarichi societari e di gestione, incarichi sportivi.

Non risultano analoghe autodeterminazioni delle altre magistrature, già caratterizzate da livelli di autonomia ed indipendenza formalmente minori rispetto alla magistratura ordinaria (per motivi e cause diverse: si pensi alle magistrature amministrativa e contabile, inquadrate presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, i cui componenti possono provenire anche da nomina governativa e i cui organi di autogoverno hanno garanzie assai inferiori rispetto a quelle previste dalla Costituzione per la magistratura ordinaria; si pensi alla magistratura militare, equiparata per ogni verso, ed anche per l’autogoverno, alla magistratura ordinaria, ma solo attraverso normativa primaria non costituzionale; si pensi all’Avvocatura dello Stato, che realizza compiti di difesa pubblica ma attraverso sistemi organizzativi che prevedono la dipendenza dall’esecutivo; si pensi ancora alla giurisdizione tributaria che, in una materia tanto sensibile, sfugge alla maggior parte delle garanzie fornite ad altre magistrature).

Appare allora assolutamente necessario introdurre un divieto di legge, assoluto e preciso, esteso a tutte le magistrature, giurisdizioni ed organi lato sensu giudiziari (in questo senso deve intendersi l’estensione di tale normativa anche all’Avvocatura dello Stato ed ai componenti delle commissioni tributarie), che impedisca la concessione degli incarichi indicati.

La normativa nel dettaglio prevede, oltre al divieto di attribuzione degli incarichi, anche l’immediata revoca di tutti gli incarichi in corso (con meccanismi di retribuzione delle attività già svolte) e l’abrogazione di tutte le norme incompatibili con il sistema introdotto.

  

Il conclusivo titolo V del disegno di legge è l’effetto della ricognizione, nel corso degli ultimi mesi trascorsi, di una vera e propria emergenza nazionale relativa al diffondersi di fenomeni corruttivi e di approfittamento della cosa pubblica da parte di funzionari dello Stato e delle istituzioni.

Recenti indagini hanno permesso di verificare come la normativa preventiva e repressiva in materia di reati contro la pubblica amministrazione (in particolare) abbia mostrato negli anni notevoli falle.

Peraltro, nuove possibilità di indebolire la struttura protettiva pubblica sono venute dalle decisioni governative e di maggioranza di agire, in molti campi d’azione, anche non connotati da caratteristiche d’urgenza, con l’utilizzo di procedure in deroga alle regole ordinarie (in materia di appalti, di controlli, di contabilità: si pensi, ad esempio, alle decretazioni relative alle emergenze rifiuti in Campania, o terremoto in Abruzzo).

Orbene, se su alcune di queste vicende vi è già un attento ed efficace controllo parlamentare, deve però pensarsi alle regole generali di controllo e repressione penale del fenomeno, che nel corso degli anni non sono apparse efficaci ed efficacemente applicate.

Si ritiene allora necessario un intervento che muova su tre direttrici, convergenti verso il comune fine di rendere più stringente ed efficace la normativa attuale.

La prima (articolo 31) riguarda la modifica del sistema penale, con interventi che incidono su vari aspetti:

1. vengono inasprite le sanzioni per i più gravi reati contro la pubblica amministrazione, soprattutto nel minimo edittale (per evitare che l’applicazione generalizzata di attenuanti determini la concreta inefficacia della sanzione);

2. viene modificato il quadro delle circostanze attenuanti, con la precisazione dei limiti di applicabilità dell’attenuante specifica di cui all’articolo 322-bis del codice penale e con l’introduzione di un meccanismo legale per cui il bilanciamento delle circostanze ex articolo 69 del codice penale può essere possibile solo in caso di completa riparazione del danno;

3. si modifica (con un intervento fondamentale, che mostra grande capacità di incidere efficacemente contro i soggetti dei fatti corruttivi) la norma dell’articolo 322-ter del codice penale in tema di confisca, estendendo anche ai più gravi reati contro la pubblica amministrazione il meccanismo preventivo di confisca di cui all’articolo 12-sexies del decreto-legge 8 giugno 1992, n.306, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n.356, e successive modificazioni, che impone la confisca dei beni di cui non possa provarsi la legittima provenienza;

4. si modifica parzialmente il regime delle pene accessorie, con particolare riferimento all’interdizione perpetua dai pubblici uffici;

5. si innova poi sulla struttura codicistica con la modifica del reato di millantato credito, che si trasforma nella nuova ipotesi di traffico di influenze, e con l’introduzione della fattispecie di reato della corruzione nel settore privato (la cui introduzione nel nostro sistema penale è stata più volte sollecitata da molti uffici giudiziari, ed in particolare da quelli di Milano, che con maggiore frequenza si sono applicati alla repressione dei reati in materia economica). Tali ipotesi recepiscono le indicazioni, nelle rispettive materie, della Convenzione penale sulla corruzione del Consiglio d’Europa, conclusa a Strasburgo il 27 gennaio 1999, che impegnava gli Stati aderenti alla esecuzione: con tali norme si estende la punibilità penale di fatti di millantato credito e si introduce la nuova ipotesi della corruzione del privato funzionario, fino ad oggi solo teorizzata ma di fatto priva di una specifica copertura penalistica;

6. conseguentemente (articolo 32), si allarga la responsabilità penale delle persone giuridiche, prevista dal decreto legislativo 8 giugno 2001, n.231, anche alle ipotesi di traffico di influenze e di corruzione nel settore privato», con specifiche modifiche di quel testo legislativo.

La seconda (articolo 33) riguarda alcune modifiche del sistema di procedura penale, con estensione ai più gravi reati contro la pubblica amministrazione di alcune norme introdotte in primis dalla legislazione antimafia e poi estese talora ad altre tipologie di delitti.

Trattasi anzitutto di una nuova previsione in materia di intercettazioni, di cui si estende il campo applicativo con la previsione della possibilità di intercettare anche in presenza di sufficienti indizi di reato e di intercettare le comunicazioni tra presenti anche quando non si ritenga che nei luoghi delle intercettazioni si stia svolgendo l’attività criminosa.

La seconda modifica proposta riguarda la materia delle misure cautelari: si prevede l’estensione ai più gravi reati contro la pubblica amministrazione della regola prevista dall’articolo 275, comma 3, del codice di procedura penale, per cui in alcuni casi (di reati di gravissimo allarme sociale) si presume l’indispensabilità della misura cautelare custodiale in carcere.

Infine, la terza (articolo 34) consiste nell’introduzione di norme intese a verificare – e così limitare – le collaborazioni di privati ad enti ed amministrazioni pubbliche, prevedendo un generale divieto di attribuzione di incarichi a soggetti condannati per gravissimi reati (mafia, terrorismo, delitti contro la pubblica amministrazione) ovvero sottoposti a misure cautelari per tali reati o sottoposti a misure di prevenzione.

La norma è garantita da un obbligo di dichiarazione del beneficiario e da sanzioni penali per le dichiarazioni false. In tal modo, la struttura pubblica viene tutelata da influenze criminali esterne, almeno per il campo dei rapporti indicati.

 


 

 


 


 

DISEGNO DI LEGGE

 

Titolo I

ELETTORATO ATTIVO E PASSIVO

 

Art. 1.

(Elettori)

1. L’articolo 1 del testo unico delle leggi per la disciplina dell’elettorato attivo e per la tenuta e la revisione delle liste elettorali, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 20 marzo 1967, n.223, è sostituito dal seguente:

«Art. 1. - 1. Sono elettori tutti i cittadini italiani che non si trovino in alcuna delle condizioni previste dagli articoli 2, 3 e 3-bis».

 

Art. 2.

(Limitazione all’elettorato)

1. L’articolo 2 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica n.223 del 1967, è sostituito dai seguenti:

«Art. 2. - 1. Non sono elettori coloro che non abbiano ancora compiuto il diciottesimo anno di età nel primo giorno fissato per la votazione.

Art. 2-bis. - 1. Non sono elettori:

a) i condannati a pena che importa la interdizione perpetua dai pubblici uffici;

b) coloro che sono sottoposti all’interdizione temporanea dai pubblici uffici, per tutto il tempo della sua durata;

c) coloro che sono sottoposti, in forza di provvedimenti definitivi, a misure di sicurezza detentive o alla libertà vigilata o al divieto di soggiorno in uno o più comuni o in una o più province, a norma dell’articolo 215 del codice penale, finché durano gli effetti dei provvedimenti stessi;

d) coloro che hanno riportato condanna definitiva per il delitto previsto dall’articolo 416-bis del codice penale o per il delitto di associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope di cui all’articolo 74 del testo unico in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n.309, o per un delitto di cui all’articolo 73 del medesimo testo unico, concernente la produzione o il traffico di dette sostanze, o per un delitto concernente la fabbricazione, l’importazione, l’esportazione, la vendita o cessione, nonché, nei casi in cui sia inflitta la pena della reclusione non inferiore ad un anno, il porto, il trasporto e la detenzione di armi, munizioni o materie esplodenti, o per il delitto di favoreggiamento personale o reale commesso in relazione a taluno dei predetti reati;

e) coloro che hanno riportato condanna definitiva per i delitti previsti dagli articoli 314, primo comma (peculato), 316 (peculato mediante profitto dell’errore altrui), 316-bis (malversazione a danno dello Stato), 317 (concussione), 318 (corruzione per un atto d’ufficio), 319 (corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio), 319-ter (corruzione in atti giudiziari) 320 (corruzione di persona incaricata di un pubblico servizio) del codice penale;

f) coloro che sono stati condannati con sentenza definitiva alla pena della reclusione complessivamente superiore a sei mesi per uno o più delitti commessi con abuso dei poteri o con violazione dei doveri inerenti ad una pubblica funzione o a un pubblico servizio diversi da quelli indicati nella lettera e);

g) coloro che sono stati condannati con sentenza definitiva ad una pena non inferiore a due anni di reclusione per delitto non colposo.

2. Le sentenze penali producono la perdita del diritto elettorale solo quando sono passate in giudicato. La sospensione condizionale della pena non ha effetto ai fini della privazione del diritto di elettorato, sia attivo che passivo.

3. Per tutti gli effetti disciplinati dal presente articolo la sentenza prevista dall’articolo 444 del codice di procedura penale è equiparata a condanna.

4. Le disposizioni previste dal presente articolo non si applicano nei confronti di chi è stato condannato con sentenza passata in giudicato, se è concessa la riabilitazione ai sensi dell’articolo 178 del codice penale o dell’articolo 15 della legge 3 agosto 1988, n.327.

Art. 2-ter. - 1. Non sono elettori:

a) coloro che sono sottoposti, in forza di provvedimenti definitivi, alle misure di prevenzione di cui all’articolo 3 della legge 27 dicembre 1956, n.1423, e successive modificazioni, finché durano gli effetti dei provvedimenti stessi;

b) coloro nei cui confronti il tribunale ha applicato, con provvedimento definitivo, una misura di prevenzione, in quanto indiziati di appartenere ad una delle associazioni di cui all’articolo 1 della legge 31 maggio 1965, n.575, e successive modificazioni, finché durano gli effetti del provvedimento stesso;

c) coloro nei confronti dei quali è stata accertata dal Collegio di garanzia elettorale in modo definitivo la violazione delle norme che disciplinano la campagna elettorale ai sensi dell’articolo 15, commi 7, 8 e 9, della legge 10 dicembre 1993, n.515.

2. Le disposizioni di cui al comma 1 non si applicano nei confronti di chi è stato sottoposto a misura di prevenzione con provvedimento definitivo, se è concessa la riabilitazione ai sensi dell’articolo 178 del codice penale o dell’articolo 15 della legge 3 agosto 1988, n.327».

 

Art. 3.

(Perdita del diritto elettorale)

1. All’articolo 32, primo comma, numero 3), del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica n.223 del 1967, le parole: «della perdita del diritto elettorale, che risulti da sentenza o da altro provvedimento dell’autorità giudiziaria. A tale scopo, il questore incaricato della esecuzione dei provvedimenti che applicano le misure di prevenzione di cui all’articolo 2, comma 1, lettera b)» sono sostituite dalle seguenti: «della perdita del diritto elettorale, che risulti da sentenza o da altro provvedimento dell’autorità giudiziaria di cui agli articoli 2-bis e 2-ter, compresi gli accertamenti definitivi del Collegio regionale di garanzia elettorale. A tale scopo, il questore incaricato della esecuzione dei provvedimenti che applicano le misure di prevenzione di cui all’articolo 2-ter, comma 1».

2. All’articolo 15, comma 10, della legge 10 dicembre 1993, n.515, è aggiunto il seguente periodo: «Ai fini della perdita del diritto di elettorato, il Collegio regionale di garanzia elettorale dà comunicazione dell’accertamento definitivo delle violazioni di cui ai commi 7, 8 e 9 al comune di iscrizione nelle liste elettorali, ai sensi dell’articolo 32, primo comma, numero 3), del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 20 marzo 1967, n.223».

3. Al comma 1, alinea, dell’articolo 2 della legge 2 luglio 2004, n.165, le parole: «Fatte salve le disposizioni legislative statali in materia di incandidabilità per coloro che hanno riportato sentenze di condanna o nei cui confronti sono state applicate misure di prevenzione,» sono sostituite dalle seguenti: «Fatto salvo l’obbligo del candidato di disporre dell’elettorato attivo ai sensi degli articoli 2, 2-bis e 2-ter del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 20 marzo 1967, n.223,».

4. All’articolo 58 del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n.267, il comma 1 è sostituito dal seguente:

«1. Non possono essere candidati alle elezioni provinciali, comunali e circoscrizionali e non possono comunque ricoprire le cariche di presidente della provincia, sindaco, assessore e consigliere provinciale e comunale, presidente e componente del consiglio circoscrizionale, presidente e componente del consiglio di amministrazione dei consorzi, presidente e componente dei consigli e delle giunte delle unioni di comuni, consigliere di amministrazione e presidente delle aziende speciali e delle istituzioni di cui all’articolo 114, presidente e componente degli organi delle comunità montane, coloro che non dispongono dell’elettorato attivo ai sensi degli articoli 2, 2-bis e 2-ter del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 20 marzo 1967, n.223».

 

Art. 4.

(Modifiche al decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n.361)

1. L’articolo 6 del testo unico delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei deputati, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n.361, è sostituito dai seguenti:

«Art. 6. – 1. Sono eleggibili a deputato i cittadini italiani che soddisfino tutti i seguenti requisiti:

a) siano elettori;

b) abbiano compiuto il venticinquesimo anno di età entro il primo giorno fissato per la votazione.

2. Non possono essere candidati a deputato:

a) coloro che versino nelle condizioni soggettive di incandidabilità di cui agli articoli 2-bis e 2-ter del decreto del Presidente della Repubblica 20 marzo 1967, n.223;

b) coloro che versino nelle condizioni di ineleggibilità di cui agli articoli 7, 8, 9 e 10.

3. La presentazione della dichiarazione di accettazione della candidatura è corredata:

a) dal certificato di nascita, o documento equipollente, e dal certificato d’iscrizione nelle liste elettorali di un comune della Repubblica;

b) da una dichiarazione, resa ai sensi degli articoli 46 e 47 del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n.445, in cui il candidato attesta di non versare in alcuna delle condizioni di ineleggibilità di cui al comma 2, lettera b).

4. Le condizioni soggettive di cui al comma 2, lettera a), sono rilevate d’ufficio, in sede di procedimento di ammissione delle candidature. La mancata iscrizione alle liste elettorali di cui al titolo II del decreto del Presidente della Repubblica 20 marzo 1967, n.223, fa piena prova della condizione soggettiva, salvo l’esito del ricorso giudiziario di cui al titolo IV del medesimo testo unico.

5. Le condizioni soggettive di cui al comma 2, lettera b), sono eccepite, in sede di procedimento di ammissione delle candidature, da chiunque vi abbia interesse. Il rigetto dell’eccezione è impugnabile con le modalità previste per gli atti elettorali preparatori.

Art. 6-bis – 1. Quando successivamente alla elezione insorga in capo all’eletto qualcuna delle condizioni soggettive di incandidabilità previste dall’articolo 6, comma 2, lettera a), ovvero quando essa esista al momento della candidatura ma non sia stata rilevata in sede di ammissione delle liste, la Camera di cui l’interessato fa parte gliela contesta, secondo le norme del suo regolamento.

2. L’interessato ha dieci giorni di tempo per formulare osservazioni.

3. Entro i dieci giorni successivi alla scadenza del termine di cui al comma 2, su proposta della Giunta competente, l’Assemblea delibera definitivamente e, ove ritenga sussistente la condizione soggettiva di incandidabilità, dichiara decaduto l’eletto, se del caso mediante l’annullamento della convalida dell’elezione. La deliberazione è depositata presso la segreteria dell’Assemblea il giorno successivo ed è notificata, entro i cinque giorni successivi, a colui che è stato dichiarato decaduto.

4. Le deliberazioni di cui al presente articolo sono adottate di ufficio o su istanza di qualsiasi elettore.

5. La procedura di cui al presente articolo si applica anche quando si accerta che una delle cause di ineleggibilità di cui all’articolo 6, comma 2, lettera b), ovvero l’incapacità civile di cui all’articolo 6, comma 1 lettera b), esisteva al momento della candidatura».

 

Art. 5.

(Limitazioni connesse allo stato

di non candidabilità)

1. Coloro che versano nelle condizioni soggettive di cui all’articolo 6, comma 2 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n.361, come sostituito dall’articolo 4 della presente legge, non possono neppure rivestire:

a) qualsiasi altro incarico con riferimento al quale l’elezione o la nomina è di competenza:

1) del Presidente della Repubblica, del Parlamento in seduta comune, dell’Assemblea, del Presidente o dell’Ufficio di presidenza della Camera dei deputati o dell’Assemblea, del Presidente o del Consiglio di Presidenza del Senato della Repubblica, di un Consiglio regionale, provinciale, comunale o circoscrizionale, in virtù di specifiche disposizioni di legge;

2) del Governo o del Presidente del consiglio dei ministri o di singoli Ministri, della Giunta regionale o del suo presidente, della Giunta provinciale o del suo presidente, della Giunta comunale o del sindaco, di assessori regionali, provinciali o comunali;

b) qualsiasi altra carica negli organi esecutivi che, in applicazione di disposizioni della Costituzione o di legge, hanno l’obbligo delle dimissioni collegato all’approvazione di una mozione di sfiducia da parte di uno degli organi di cui al numero 1) della lettera a);

c) la carica di:

1) presidente o componente del consiglio di amministrazione dei consorzi;

2) presidente o componente dei consigli e delle giunte delle unioni di comuni;

3) consigliere di amministrazione o presidente delle aziende speciali o delle istituzioni di cui all’articolo 114 del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n.267;

4) presidente o componente degli organi delle comunità montane.

2. L’eventuale elezione o nomina di coloro che si trovano nelle condizioni di cui al comma 1 è nulla. L’organo che ha provveduto alla nomina o alla convalida dell’elezione è tenuto a revocare il relativo provvedimento non appena venuto a conoscenza dell’esistenza delle condizioni stesse.

 

Titolo II

PROCEDURE DI TRASPARENZA DELLE SITUAZIONI PATRIMONIALI DI ELETTI E NOMINATI

Capo I

DISCIPLINA GENERALE

 

Art. 6.

(Componenti del Parlamento nazionale)

1. Le disposizioni contenute nel presente capo si applicano ai membri del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati.

 

Art. 7.

(Dichiarazioni)

1. Entro tre mesi dalla proclamazione, i membri del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati depositano presso le Giunte delle elezioni del rispettivo ramo del Parlamento i seguenti atti:

a) una dichiarazione, contenente la formula «sul mio onore affermo che questa dichiarazione corrisponde al vero» e resa ai sensi degli articoli 46 e 47 del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n.445, concernente:

1) i diritti reali su beni immobili e su beni mobili iscritti in pubblici registri, detenuti in proprio o per interposta persona;

2) le azioni di società, detenute in proprio o per interposta persona;

3) le quote di partecipazione a società, detenute in proprio o per interposta persona;

4) l’esercizio di funzioni di amministratore o di sindaco di società, ovvero le situazioni in cui ad essi si applica l’articolo 2639 del codice civile, ai fini dell’identificazione dell’amministratore di fatto;

b) copia dell’ultima dichiarazione dei redditi soggetti all’imposta sul reddito delle persone fisiche;

c) una dichiarazione, contenente la formula «sul mio onore affermo che questa dichiarazione corrisponde al vero» e resa ai sensi degli articoli 46 e 47 del citato testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica n.445 del 2000, concernente le spese sostenute e le obbligazioni assunte per la propaganda elettorale, oppure l’attestazione di essersi avvalsi esclusivamente di materiali e di mezzi propagandistici predisposti e messi a disposizione dal partito o dalla formazione politica della cui lista hanno fatto parte. Alla dichiarazione sono allegate le copie delle dichiarazioni di cui al terzo comma dell’articolo 4 della legge 18 novembre 1981, n.659, e successive modificazioni, relative agli eventuali contributi ricevuti.

2. Le dichiarazioni di cui alle lettere a) e b) del comma 1 concernono anche la situazione patrimoniale e la dichiarazione dei redditi del coniuge non separato e dei figli conviventi e dei parenti conviventi entro il secondo grado.

3. I senatori di diritto, ai sensi dell’articolo 59 della Costituzione, e i senatori nominati ai sensi del secondo comma del medesimo articolo 59, sono tenuti a depositare presso l’Ufficio di presidenza del Senato della Repubblica le dichiarazioni di cui alle lettere a) e b) del comma 1 del presente articolo entro tre mesi, rispettivamente, dalla cessazione dall’Ufficio di Presidente della Repubblica o dalla comunicazione della nomina.

 

Art. 8.

(Variazioni)

1. Entro un mese dalla scadenza del termine utile per la presentazione della dichiarazione annuale dei redditi soggetti all’imposta sul reddito delle persone fisiche, i soggetti indicati nell’articolo 7 sono tenuti a depositare un’attestazione concernente le variazioni della situazione patrimoniale di cui alla lettera a) del comma 1 del medesimo articolo 7 intervenute nell’anno precedente e copia della dichiarazione dei redditi. A tale adempimento annuale si applica il comma 2 dell’articolo 7.

 

Art. 9.

(Cessazione)

1. Entro i tre mesi successivi alla cessazione dal mandato, i soggetti indicati nell’articolo 6 sono tenuti a depositare una dichiarazione concernente le variazioni della situazione patrimoniale di cui all’articolo 7, comma 1, lettera a), intervenute dopo l’ultima attestazione. Essi sono inoltre tenuti a depositare una copia della dichiarazione annuale dei loro redditi entro un mese successivo alla scadenza del relativo termine. Si applica il comma 2 dell’articolo 7.

2. Le disposizioni di cui al comma 1 non si applicano nel caso di rielezione del soggetto cessato dalla carica per il rinnovo della Camera di appartenenza.

 

Art. 10.

(Modello)

1. Le dichiarazioni patrimoniali indicate negli articoli 7, 8 e 9 sono effettuate mediante un modulo predisposto dalle Giunte di cui all’articolo 7, comma 1, alinea, d’intesa tra di loro.

 

Art. 11.

(Prima applicazione)

1. Entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, i membri in carica del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati provvedono agli adempimenti previsti dalle lettere a) e b) del comma 1 dell’articolo 7.

 

Art. 12.

(Sanzioni)

1. In caso di inadempienza agli obblighi di cui agli articoli 7, 8 e 11, si applica l’articolo 8, comma 2, della legge 20 luglio 2004, n.215; le funzioni ivi attribuite all’Autorità garante della concorrenza e del mercato sono esercitate dalla Giunta delle elezioni competente ai sensi dell’articolo 7, comma 1, alinea.

2. La Giunta di cui al comma 1, constatata l’inadempienza, procede altresì alla raccolta, presso gli uffici competenti, dei dati di cui è stata indebitamente omessa la dichiarazione, nonché alla loro pubblicazione, con le modalità di cui all’articolo 14.

3. Senza pregiudizio di sanzioni disciplinari eventualmente previste nell’ambito della potestà regolamentare di ciascuna Camera, il Presidente della Camera di appartenenza dà notizia all’Assemblea dell’applicazione di quanto disposto dai commi 1 e 2.

 

Art. 13.

(Pubblicità)

1. Tutti i cittadini hanno diritto di conoscere le dichiarazioni di cui all’articolo 7, secondo le modalità stabilite nell’articolo 14.

2. Tutti i cittadini iscritti nelle liste elettorali per le elezioni della Camera dei deputati hanno altresì diritto di conoscere, secondo le modalità stabilite dal Presidente della Camera dei deputati, le dichiarazioni previste dal terzo comma dell’articolo 4 della legge 18 novembre 1981, n.659, e successive modificazioni.

 

Art. 14.

(Bollettino)

1. Le dichiarazioni previste dalle lettere a) e c) del comma 1 dell’articolo 7, nonché quelle previste dagli articoli 8 e 9, sono riportate in apposito bollettino pubblicato, rispettivamente per i deputati e i senatori, a cura della Camera di appartenenza. Nello stesso bollettino sono riportate, per ciascun soggetto, le notizie risultanti dal quadro riepilogativo della dichiarazione dei redditi, depositata ai sensi dell’articolo 7, comma 1, lettera b).

2. Il bollettino è a disposizione del pubblico attraverso il sito Internet della Camera di appartenenza, con modalità di accesso che individuino l’identità del richiedente.

 

Capo II

DISCIPLINA SPECIALE

 

Art. 15.

(Componenti del Governo nazionale)

1. L’articolo 5 della legge 20 luglio 2004, n.215, è sostituito dal seguente:

«Art. 5. - (Dichiarazione degli interessati) – 1. Entro trenta giorni dall’assunzione della carica di governo, il titolare dichiara all’Autorità garante della concorrenza e del mercato, di cui all’articolo 10 della legge 10 ottobre 1990 n.287, e successive modificazioni, le situazioni di incompatibilità di cui all’articolo 2, comma 1, della presente legge, sussistenti alla data di assunzione della carica.

2. Entro i sessanta giorni successivi al termine di cui al comma 1, il titolare trasmette all’Autorità di cui al medesimo comma:

a) una dichiarazione concernente i diritti reali su beni immobili e su beni mobili iscritti in pubblici registri, con l’apposizione della formula “sul mio onore affermo che la dichiarazione corrisponde al vero“ e resa ai sensi degli articoli 46 e 47 del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n.445;

b) una dichiarazione concernente le azioni di società e le quote di partecipazione a società, con l’apposizione della formula “sul mio onore affermo che la dichiarazione corrisponde al vero“ e resa ai sensi dei citati articoli 46 e 47 del citato testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica n.445 del 2000;

c) una dichiarazione, contenente la formula «sul mio onore affermo che le funzioni sono cessate» e resa ai sensi dei predetti articoli 46 e 47 del citato testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica n.445 del 2000, concernente il pregresso esercizio di funzioni di amministratore o di sindaco di società;

d) copia dell’ultima dichiarazione dei redditi soggetti all’imposta sul reddito delle persone fisiche.

3. Le dichiarazioni di cui ai commi 1, 2 e 4 del presente articolo sono rese anche all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, di cui all’articolo 1 della legge 31 luglio 1997, n.249, e successive modificazioni, quando la situazione di incompatibilità riguarda i settori delle comunicazioni, sonore e televisive, della multimedialità e dell’editoria, anche elettronica, e quando i dati patrimoniali sono attinenti a tali settori.

4. Il titolare di cariche di governo dichiara, ai sensi dei commi 1 e 2, ogni successiva variazione dei dati patrimoniali in precedenza forniti, entro venti giorni dai fatti che l’abbiano determinata. Rientrano nell’obbligo di comunicazione di cui al comma 2 anche le attività patrimoniali detenute nei tre mesi precedenti l’assunzione della carica.

5. Entro i trenta giorni successivi al ricevimento delle dichiarazioni di cui al presente articolo, l’Autorità garante della concorrenza e del mercato e l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni provvedono agli accertamenti di competenza, con le modalità di cui agli articoli 6 e 7.

6. Le dichiarazioni di cui al presente articolo sono rese anche dal coniuge non separato, dai figli conviventi e dai parenti conviventi entro il secondo grado del titolare di cariche di governo.

7. Entro un mese dalla scadenza del termine utile per la presentazione della dichiarazione annuale dei redditi soggetti all’imposta sul reddito delle persone fisiche, i soggetti di cui al comma 1 sono tenuti a depositare un’attestazione concernente le variazioni della situazione patrimoniaIe di cui alle lettere a) e b) del comma 2 intervenute nell’anno precedente e copia della dichiarazione dei redditi. A tale adempimento annuale si applica la disposizione di cui al comma 6.

8. Entro i tre mesi successivi alla cessazione dalla carica, i soggetti di cui al comma 1 sono tenuti a depositare una dichiarazione concernente le variazioni della situazione patrimoniale di cui alle lettere a) e b) del comma 2 intervenute dopo l’ultima attestazione. Entro un mese successivo alla scadenza del relativo termine, essi sono tenuti a depositare una copia della dichiarazione annuale dei redditi delle persone fisiche. Le disposizioni contenute nei periodi precedenti non si applicano nel caso di nuova titolarità di una carica di governo nazionale assunta immediatamente dopo la cessazione della precedente».

2. Le disposizioni di cui all’articolo 5 della legge 20 luglio 2004, n. 215, come sostituito dal comma 1 del presente articolo, entrano in vigore il 1º gennaio dell’anno successivo alla pubblicazione della presente legge nella Gazzetta Ufficiale. Entro la medesima data, l’Autorità garante della concorrenza e del mercato e l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, d’intesa tra loro, approvano uno schema di modulo per le dichiarazioni previste dal medesimo articolo 5.

 

Art. 16.

(Componenti di organi nominati

dalle amministrazioni statali)

1. Le disposizioni di cui agli articoli 7, 8, 9, 11 e 12 si applicano:

a) ai presidenti, vicepresidenti, amministratori delegati e direttori generali di istituti e di enti pubblici, anche economici, la cui nomina, proposta o designazione o approvazione di nomina sia demandata al Presidente del Consiglio dei ministri, al Consiglio dei ministri od a singoli Ministri;

b) ai presidenti, vicepresidenti, amministratori delegati e direttori generali delle società al cui capitale concorrano lo Stato o enti pubblici, nelle varie forme di intervento o di partecipazione, per un importo superiore al 20 per cento;

c) ai presidenti, ai vicepresidenti, agli amministratori delegati e ai direttori generali degli enti o istituti privati, al cui funzionamento concorrano lo Stato o enti pubblici in misura superiore al 50 per cento dell’ammontare complessivo delle spese di gestione esposte in bilancio e a condizione che queste superino la somma annua di 500.000 euro;

d) ai direttori generali delle aziende autonome dello Stato.

2. Le dichiarazioni e gli atti indicati negli articoli 7, 8, 9 e 11 sono trasmessi alla Commissione per la valutazione, la trasparenza e l’integrità delle amministrazioni pubbliche istituita dall’articolo 13 del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n.150.

3. Le funzioni di cui all’articolo 12, comma 1, sono esercitate dal Presidente della Commissione di cui al comma 2, il quale altresì, constatata l’inadempienza, procede alla raccolta, presso gli uffici competenti, dei dati di cui è stata indebitamente omessa la dichiarazione, nonché alla loro pubblicazione secondo quanto disposto al comma 4.

4. La pubblicazione prevista nell’articolo 14 viene effettuata attraverso il sito Internet dell’amministrazione, ente od organismo interessato, con modalità di accesso che individuino l’identità del richiedente; per le amministrazioni dello Stato, la pubblicazione è effettuata mediante conferimento nella banca dati informatica di cui all’articolo 23, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n.165, e successive modificazioni.

Art. 17.

(Componenti degli organi elettivi regionali

e locali)

1. Dopo l’articolo 3 della legge 2 luglio 2004, n.165, è inserito il seguente:

«Art. 3-bis. - (Anagrafe degli eletti) – 1. Le regioni disciplinano con legge la costituzione e il mantenimento dell’anagrafe patrimoniale degli eletti nel Consiglio regionale e negli organi assembleari degli altri enti territoriali sub-regionali e locali, individuando modalità di pubblicità che garantiscano l’accesso alle informazioni ivi contenute da parte di tutti i cittadini. Le informazioni non potranno in ogni caso essere inferiori a quelle offerte:

a) dall’anagrafe degli amministratori locali di cui all’articolo 76 del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n.267;

b) dagli elenchi di cui all’articolo 69, comma 6, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n.600».

2. Fino alla data di entrata in vigore della legge regionale di cui all’articolo 3-bis della legge 2 luglio 2004, n.165, introdotto dal comma 1 del presente articolo, le disposizioni degli articoli da 7 a 14 della presente legge si applicano anche ai consiglieri regionali, ai consiglieri provinciali e ai consiglieri di comuni capoluogo di provincia o con popolazione superiore ai 50.000 abitanti, secondo le modalità stabilite dai rispettivi Consigli.

3. La pubblicazione prevista nell’articolo 14 è effettuata, per quanto riguarda le regioni, nel bollettino previsto dagli statuti per la pubblicazione delle leggi e, per quanto riguarda i Consigli provinciali e comunali, in apposito bollettino. Il bollettino è a disposizione del pubblico attraverso il sito Internet del Consiglio regionale, provinciale o comunale di appartenenza, con modalità di accesso che individuino l’identità del richiedente.

4. Fino alla data di entrata in vigore della legge regionale di cui all’articolo 3-bis della legge 2 luglio 2004, n.165, introdotto dal comma 1 del presente articolo, le funzioni di cui all’articolo 12, comma 1, sono esercitate, per quanto riguarda i soggetti di cui al presente articolo, secondo i casi, dal prefetto territorialmente competente, il quale, constatata l’inadempienza, ne dà notizia, rispettivamente, nel bollettino previsto dagli statuti per la pubblicazione delle leggi o nell’albo provinciale o comunale e, comunque, attraverso il sito Internet del Consiglio regionale, provinciale o comunale di appartenenza.

 

Art. 18.

(Componenti di organi nominati

dalle amministrazioni regionali e locali)

1. Le disposizioni di cui agli articoli 7, 8, 9, 11 e 12 si applicano:

a) agli assessori delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano, secondo le modalità stabilite dai rispettivi Consigli in applicazione delle disposizioni di cui al presente articolo;

b) agli assessori provinciali e di comuni capoluogo di provincia o con popolazione superiore ai 50.000 abitanti, secondo le modalità stabilite dai rispettivi Consigli in applicazione delle disposizioni di cui al presente articolo;

c) ai direttori generali delle aziende speciali previste dal testo unico della legge sull’assunzione diretta dei pubblici servizi da parte dei comuni e delle province, di cui al regio decreto 15 ottobre 1925, n. 2578; al presidente e al direttore delle aziende speciali e delle istituzioni costituite ai sensi dell’articolo 114 del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267;

d) ai presidenti, vicepresidenti, amministratori delegati e direttori generali di istituti e di enti pubblici, anche economici, la cui proposta di nomina o designazione o approvazione di nomina spettino ad organi della regione; ai presidenti, vicepresidenti, amministratori delegati e direttori generali delle società al cui capitale concorrano le regioni, nelle varie forme di intervento o di partecipazione, per un importo superiore al 20 per cento; ai presidenti, ai vicepresidenti, agli amministratori delegati e ai direttori generali degli enti o istituti privati, al cui funzionamento concorrano le regioni in misura superiore al 50 per cento dell’ammontare complessivo delle spese di gestione esposte in bilancio e a condizione che queste superino la somma annua di 500.000 euro; ai direttori generali delle aziende autonome delle regioni.

2. Le dichiarazioni e gli atti indicati negli articoli 7, 8, 9 e 11 sono trasmessi, per quanto riguarda i soggetti indicati alle lettere a) e b) del comma 1 del presente articolo, rispettivamente al presidente del Consiglio regionale, provinciale o comunale, e, per quanto riguarda i soggetti indicati alla lettera c) e d) del comma 1 del presente articolo, al presidente dell’amministrazione regionale o locale interessata.

3. Le funzioni di cui all’articolo 12, comma 1, sono esercitate dal prefetto territorialmente competente, il quale, constatata l’inadempienza, ne dà notizia attraverso il sito Internet, rispettivamente, della regione, della provincia o del comune interessato.

4. La pubblicazione prevista nell’articolo 14 è effettuata, per quanto riguarda le regioni, nel bollettino previsto dagli statuti per la pubblicazione delle leggi e, per quanto riguarda le province ed i comuni, nel sito Internet della provincia o del comune interessato, con modalità di accesso che individuino l’identità del richiedente.

5. La disciplina del presente articolo si applica ai soggetti di cui alle lettere a) e d) del comma 1 fino alla data di entrata in vigore delle disposizioni che le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano adottano ai sensi del comma 3 dell’articolo 1 della legge 20 luglio 2004, n. 215. Le informazioni messe a disposizione del pubblico ai sensi delle predette disposizioni non potranno in ogni caso essere inferiori a quelle offerte:

a) dall’anagrafe degli amministratori locali di cui all’articolo 76 del testo unico di cui al decreto legislativo n. 267 del 2000, come modificato dal comma 6 del presente articolo;

b) dagli elenchi di cui all’articolo 69, comma 6, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600.

6. All’articolo 76, comma 3, del citato testo unico di cui al decreto legislativo n. 267 del 2000, la parola: «consensualmente» è soppressa.

 

Capo III

NORME FINALI

 

Art. 19.

(Copertura finanziaria e rapporti con la protezione dei dati personali)

1. Agli oneri derivanti dall’attuazione della presente legge si provvede nell’ambito degli stanziamenti di bilancio disponibili alla data della sua entrata in vigore, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

2. Il primo conferimento di documenti nei siti Internet di istituzioni, amministrazioni o altri organi pubblici, ai sensi delle disposizioni contenute nella presente legge, è effettuato previa acquisizione del parere del Garante per la protezione dei dati personali di cui all’articolo 154, comma 4, del codice in materia di protezione dei dati personali, di cui al decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196.

3. Il parere espresso ai sensi del comma 2 è vincolante in ordine alle soluzioni ivi prescritte per conseguire la tracciabilità del richiedente e in ordine alle misure di protezione ivi dettate per prevenire la contraffazione o la riproduzione selettiva del documento conferito.

 

Art. 20.

(Abrogazione)

1. La legge 5 luglio 1982, n. 441, è abrogata.

 

 

 

 

 

 

 

TITOLO III

DISPOSIZIONI SUGLI EMOLUMENTI PUBBLICI

 

Art. 21.

(Limiti alle retribuzioni dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni)

1. Il presente articolo si applica ai titolari di rapporti di lavoro dipendente con amministrazioni pubbliche ed enti pubblici di ogni genere, comunque denominati, ed in particolare con:

a) le amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni;

b) le amministrazioni degli organi costituzionali;

c) le autorità indipendenti;

d) le agenzie di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300;

e) gli enti pubblici anche economici o di ricerca;

f) le università;

g) gli enti assoggettati al controllo della Corte dei conti ai sensi dell’articolo 2 della legge 21 marzo 1958, n. 259;

h) la Banca d’Italia;

i) la RAI-Radiotelevisione italiana Spa.

2. Il trattamento economico complessivo massimo dei soggetti di cui al comma 1 non può superare il trattamento economico complessivo lordo attribuito al primo Presidente della Corte di cassazione.

3. L’individuazione del limite di cui al comma 2 è effettuata, entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, dal Presidente della Corte dei conti, con atto ricognitivo che è efficace, ai fini di cui al comma 5, decorsi sessanta giorni dalla data della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.

4. Ogni incremento del trattamento economico complessivo lordo attribuito al primo Presidente della Corte di cassazione è calcolato con le medesime modalità entro il 30 settembre di ogni anno: esso è opponibile, ai fini di cui al comma 5, entro sessanta giorni dalla sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.

5. Il soggetto di cui al comma 1 che, decorsi sessanta giorni dalla pubblicazione dell’atto ricognitivo di cui al comma 3, sia titolare di una retribuzione superiore all’importo di cui al comma 1, ai sensi del contratto di lavoro collettivo o individuale in vigore, conserva l’eccedenza come assegno ad personam, non suscettibile di incremento se non in occasione degli incrementi di cui al comma 4 e nella misura di questi.

6. Il limite di cui al comma 2 può essere superato se concorrono tutte le seguenti condizioni:

a) motivate esigenze di carattere eccezionale, attestate con autorizzazione singolarmente accordata per un periodo di tempo non superiore a tre anni:

1) per le amministrazioni dello Stato, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell’economia e delle finanze, entro un contingente massimo di venticinque unità nel triennio, corrispondenti alle posizioni di più elevato livello di responsabilità;

2) per le restanti amministrazioni, enti od organismi di cui al comma 1, dall’organo di vertice, titolare della rappresentanza esterna, entro un contingente massimo di non oltre il 2 per cento delle posizioni apicali nel triennio, corrispondenti alle posizioni di più elevato livello di responsabilità;

b) preventiva comunicazione dell’atto di cui alla lettera a) del presente comma alla Corte dei conti per il controllo di legittimità, ai sensi dell’articolo 27 della legge 24 novembre 2000, n. 340. È fatta salva la competenza del Consiglio dei ministri ai sensi dell’articolo 2, comma 3, lettera n), della legge 23 agosto 1988, n. 400. Il requisito di cui alla presente lettera non si applica ai soggetti di cui alla lettera b) del comma 1;

c) pubblicazione, con l’indicazione nominativa dei destinatari e dell’ammontare del compenso, attraverso il sito web dell’amministrazione, ente od organismo interessato, con modalità di accesso che individuino l’identità del richiedente; per le amministrazioni dello Stato, la pubblicazione è effettuata mediante conferimento nella banca dati informatica, di cui all’articolo 23, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni.

7. Il presidente della sezione centrale di controllo di legittimità sugli atti del Governo e delle amministrazioni dello Stato della Corte dei conti accerta, prima della registrazione o della ricusazione del visto, l’avvenuta pubblicazione dell’incarico sul sito web dell’amministrazione, ente od organismo interessato. Il visto è comunque ricusato nel caso di mancata pubblicazione ai sensi della lettera c) del comma 6.

8. In caso di violazione del limite di cui al comma 2 ovvero di una o più delle condizioni e delle modalità di cui al comma 6, l’amministratore che abbia disposto il pagamento e il destinatario del medesimo sono responsabili in solido a titolo di danno erariale; la sanzione irrogabile non può superare una somma pari a dieci volte l’ammontare eccedente la cifra consentita.

9. Ai fini dell’applicazione del presente articolo sono computati in modo cumulativo gli emolumenti comunque erogati all’interessato a carico del medesimo ente, amministrazione od organismo pubblico, anche nel caso di pluralità di incarichi conferiti nel corso dell’anno.

10. Ai diplomatici di carriera il presente articolo si applica limitatamente agli emolumenti riferiti al periodo svolto nel territorio italiano.

 

Art. 22.

(Limiti ai compensi per incarichi in amministrazioni, enti od organismi pubblici)

1. Le disposizioni di cui al presente articolo si applicano:

a) ai titolari di qualsiasi incarico, caratterizzato da durata e continuità della prestazione, con una delle amministrazioni, ente od organismo di cui al comma 1 dell’articolo21;

b) ai titolari di rapporto di lavoro autonomo con una delle amministrazioni, enti o organismi di cui al comma 1 dell’articolo 21, il quale comporti il conferimento di consulenze, collaborazioni esterne, incarichi o mandati di qualsiasi natura, il cui svolgimento avvenga nel territorio italiano.

2. Il complessivo trattamento economico che il soggetto di cui al comma 1 riceve a carico della finanza pubblica non può superare il limite di cui al comma 2 dell’articolo 21.

3. Si applicano i commi 3, 4 e 5 del medesimo articolo 21.

4. Se il superamento del limite di cui al comma 2 deriva dalla titolarità di uno o più incarichi, mandati e cariche di natura non privatistica, o da rapporti di lavoro di natura non privatistica con i soggetti di cui al comma 1 dell’articolo 21, si procede alla decurtazione annuale del trattamento economico complessivo per una somma pari al 25 per cento della parte eccedente il limite di cui al comma 2. La decurtazione annuale cessa al raggiungimento del limite medesimo. Alla medesima decurtazione si procede anche nel caso in cui il superamento del limite sia determinato dal cumulo con emolumenti derivanti dai contratti di cui al comma 1. In caso di cumulo di più consulenze, incarichi o mandati, la decurtazione opera a partire dalla consulenza, incarico o mandato da ultimo conferito.

5. L’amministratore responsabile del pagamento cura la pubblicazione, nel sito web dell’amministrazione, dell’ente o dell’organismo pubblico, degli elenchi dei destinatari del compenso di cui al comma 1, con i relativi provvedimenti di conferimento o stipula, completi della ragione dell’incarico e dell’ammontare erogato. Copia degli elenchi è trasmessa semestralmente alla Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento della funzione pubblica.

6. In caso di violazione del limite di cui al comma 2 o delle prescrizioni di cui al comma 5, il dirigente che abbia disposto il pagamento e il destinatario del medesimo sono responsabili in solido a titolo di danno erariale; la sanzione irrogabile non può superare una somma pari a dieci volte l’ammontare eccedente la cifra consentita.

7. Coloro che sono legati da un rapporto di lavoro subordinato con enti, amministrazioni od organismi pubblici anche economici, e che sono al tempo stesso componenti degli organi di governo o di controllo del medesimo ente, amministrazione od organismo, sono collocati di diritto in aspettativa senza assegni e con sospensione della loro iscrizione ai competenti istituti di previdenza e di assistenza.

8. Il presente articolo si applica anche alle attività di natura professionale e ai contratti d’opera con i soggetti di cui al comma 1, anche se aventi ad oggetto una prestazione artistica o professionale che consenta di competere sul mercato in condizioni di effettiva concorrenza.

9. Tutte le retribuzioni dirigenziali e i compensi per la conduzione di trasmissioni di qualunque genere presso la RAI – Radiotelevisione italiana Spa sono resi noti alla Commissione parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi.

 

Art. 23.

(Limiti ai compensi nelle società partecipate, controllate o collegate)

1. Le disposizioni di cui al presente articolo si applicano:

a) ai compensi degli amministratori investiti di particolari cariche, ai sensi dell’articolo 2389, terzo comma, del codice civile:

1) nelle società non quotate a totale o prevalente partecipazione pubblica, in cui azionista sia il Ministero dell’economia e delle finanze ovvero una delle amministrazioni, enti od organismi di cui al comma 1 dell’articolo 21;

2) nelle società controllate dalle o collegate alle società di cui al numero 1);

b) ai titolari di qualsiasi incarico, caratterizzato da durata e continuità della prestazione, con una delle società di cui alla lettera a);

c) ai titolari di rapporto di lavoro autonomo con una delle società di cui alla lettera a), il quale comporti il conferimento di consulenze, incarichi o mandati di qualsiasi natura nel territorio italiano con i medesimi soggetti.

2. Il complessivo trattamento economico che il soggetto di cui al comma 1 riceva a carico della finanza pubblica non può superare il limite di cui al comma 2 dell’articolo 21. Si applicano i commi 3, 4 e 5 del medesimo articolo.

3. Se il superamento del limite di cui al comma 2 deriva dalla titolarità di uno o più incarichi, mandati e cariche di natura privatistica, o da rapporti di lavoro di natura privatistica con una delle amministrazioni, enti od organismi di cui al comma 1 dell’articolo 21, si applica il comma 4 dell’articolo 22 a partire dalla stipula di tutti i nuovi contratti e al rinnovo per scadenza di tutti i contratti in essere, che non possono in alcun caso essere prorogati oltre la scadenza prevista.

4. Nella regolamentazione del rapporto contrattuale di cui al presente articolo sono vietate clausole contrattuali che, al momento della cessazione dall’incarico, prevedano, per i soggetti di cui al comma 1, benefìci economici il cui valore sia superiore ad una annualità del compenso fisso accordato in pendenza di rapporto.

5. Il dirigente della società responsabile del pagamento cura l’indicazione nominativa dei destinatari del compenso di cui al comma 1 e l’ammontare del compenso, attraverso il sito web della società, con modalità di accesso che individuino l’identità del richiedente.

6. In caso di violazione del limite di cui al comma 2 o delle prescrizioni di cui al comma 5, il dirigente che abbia disposto il pagamento e il destinatario del medesimo sono responsabili in solido a titolo di danno erariale; la sanzione irrogabile non può superare una somma pari a dieci volte l’ammontare eccedente la cifra consentita.

7. Coloro che sono legati da un rapporto di lavoro subordinato con le società di cui al comma 1, e che sono al tempo stesso componenti degli organi di governo o di controllo della medesima società, sono collocati di diritto in aspettativa senza assegni e con sospensione della loro iscrizione ai competenti istituti di previdenza e di assistenza.

 

Art. 24.

(Disposizioni ordinamentali sugli incarichi in amministrazioni, enti od organismi pubblici)

1. Ai fini del presente articolo si definisce «incarico»:

a) qualsiasi rapporto di lavoro autonomo con una delle amministrazioni, enti od organismi di cui al comma 1 dell’articolo 21, il quale comporti il conferimento di consulenze, collaborazioni esterne, incarichi o mandati di qualsiasi natura;

b) qualsiasi incarico, caratterizzato da durata e continuità della prestazione, conferito da una delle amministrazioni, ente od organismo di cui al comma 1 dell’articolo 21.

2. Negli enti locali disciplinati dal testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, il conferimento di uno degli incarichi di cui al comma 1 a soggetti estranei all’amministrazione può avvenire solo nell’ambito di un programma approvato dal consiglio ai sensi dell’articolo 42, comma 2, lettera b), del medesimo testo unico.

3. Con il regolamento sull’ordinamento degli uffici e dei servizi emanato ai sensi dell’articolo 89 del citato testo unico di cui al decreto legislativo n. 267 del 2000, gli enti di cui al comma 2 fissano, in conformità a quanto stabilito dall’articolo 23, comma 3, i limiti, i criteri e le modalità per il conferimento degli incarichi di cui al comma 1 a soggetti estranei all’amministrazione.

4. Con il regolamento di cui al comma 3 è fissato il limite massimo della spesa annua per gli incarichi di cui al comma 1.

5. L’affidamento di incarichi di cui al comma 1, effettuato in violazione delle disposizioni regolamentari emanate ai sensi dei commi 3 e 4, costituisce illecito disciplinare e determina responsabilità erariale.

6. Le disposizioni regolamentari emanate ai sensi dei commi 3 e 4 sono trasmesse, per estratto, alla sezione regionale di controllo della Corte dei conti che, entro trenta giorni dalla ricezione, esprime parere obbligatorio ma non vincolante sulla legittimità e compatibilità finanziaria delle stesse.

7. Fatta eccezione per le amministrazioni statali preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, del patrimonio e delle attività culturali e storico-artistiche e alla tutela della salute e della pubblica incolumità, in tutte le altre amministrazioni statali è consentito il conferimento o la prosecuzione di un incarico di cui al comma 1 con personale dipendente pubblico solo se esso rientra tra i contratti di consulenza e di durata continuativa indispensabili per assicurare il perseguimento delle finalità istituzionali, indicati, unitamente agli speciali uffici o strutture, comunque denominati, presso i quali il rapporto si svolge, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri da adottare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, previo parere delle competenti Commissioni parlamentari.

8. A decorrere dal trentesimo giorno dalla data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di cui comma 7, cessano tutti gli incarichi di cui al comma 1 conferiti a personale dipendente pubblico. Le relative funzioni sono demandate alle direzioni generali competenti per materia ovvero per vicinanza di materia. Il personale di ruolo dipendente dall’amministrazione statale è restituito a quella di appartenenza ovvero può chiedere di essere inquadrato, con le procedure e le modalità previste dal decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, in uno degli uffici del Ministero o dell’amministrazione statale presso cui prestava servizio.

9. Le pubbliche amministrazioni che si avvalgono di collaboratori esterni o che affidano incarichi di consulenza per i quali è previsto un compenso pubblicano nel proprio sito web i relativi provvedimenti completi di indicazione dei soggetti percettori, della ragione dell’incarico e dell’ammontare erogato. In caso di omessa pubblicazione, la liquidazione del corrispettivo per gli incarichi di collaborazione o consulenza di cui al presente comma costituisce illecito disciplinare e determina responsabilità erariale del dirigente preposto. Copia degli elenchi è trasmessa semestralmente alla Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della funzione pubblica.

 

Art. 25.

(Contratti assicurativi per rischi derivanti dalla pubblica funzione)

1. È nullo il contratto di assicurazione con il quale un ente pubblico assicuri propri amministratori per i rischi derivanti dall’espletamento dei compiti istituzionali connessi con la carica e riguardanti la responsabilità per danni cagionati allo Stato o ad enti pubblici e la responsabilità contabile.

2. I contratti di assicurazione di cui al comma 1, in corso alla data di entrata in vigore della presente legge, cessano di avere efficacia alla data del 30 giugno 2008.

3. In caso di violazione del presente articolo, l’amministratore che pone in essere o che proroga il contratto di assicurazione e il beneficiario della copertura assicurativa sono tenuti al rimborso, a titolo di danno erariale, di una somma pari a dieci volte l’ammontare dei premi complessivamente stabiliti nel contratto medesimo.

 

Art. 26.

(Princìpi fondamentali, coordinamenti ed abrogazioni)

1. Le disposizioni degli articoli 21, 22 e 23 costituiscono princìpi fondamentali per il coordinamento della finanza pubblica, ai sensi dell’articolo 117, terzo comma, della Costituzione.

2. Per l’osservanza delle disposizioni degli articoli da 21 a 25 si applica il comma 128 dell’articolo 1 della legge 27 dicembre 2006, n. 296. Il Presidente del Consiglio dei ministri, sulla base di un rapporto di analisi e classificazione dell’insieme delle posizioni interessate, predisposto dal Ministro per la pubblica amministrazione e l’innovazione, presenta alle Camere, entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, una relazione sull’applicazione delle disposizioni di cui agli articoli da 21 a 25.

3. La Corte dei conti verifica l’attuazione delle disposizioni di cui al presente capo in sede di controllo successivo sulla gestione del bilancio ai sensi dell’articolo 3, comma 4, della legge 14 gennaio 1994, n. 20, e successive modificazioni. Restano salve le previsioni dell’articolo 3, comma 62, della legge 24 dicembre 2007, n. 244.

4. I commi 127 466, 593, 725, 726, 727, 728 e 730 dell’articolo 1 della legge 27 dicembre 2006, n. 296, sono abrogati.

5. All’articolo 3 della legge 24 dicembre 2007, n. 244, i commi da 43 a 59 sono abrogati.

6. All’articolo 1 comma 2, del decreto-legge 23 maggio 2008, n. 90, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 luglio 2008, n. 123, le parole: «all’articolo 3, comma 44 della legge 24 dicembre 2007, n. 244» sono soppresse.

 

TITOLO IV

DISPOSIZIONI SUGLI ARBITRATI E SUGLI INCARICHI DEI MAGISTRATI E DEI SOGGETTI ASSIMILABILI

 

Art. 27.

(Arbitrati)

1. I magistrati ordinari, amministrativi, contabili e militari, gli avvocati e i procuratori dello Stato e i componenti delle commissioni tributarie non possono partecipare a collegi arbitrali di qualunque genere ed oggetto, neanche in qualità di presidenti del collegio.

2. Sono abrogate le disposizioni che prevedono o autorizzano la partecipazione a collegi arbitrali dei soggetti indicati al comma1.

3. I soggetti indicati al comma 1 che partecipano a collegi arbitrali già costituiti alla data di entrata in vigore della presente legge decadono immediatamente dall’incarico e sono tempestivamente sostituiti dalla parte che aveva diritto alla nomina. In tal caso, il soggetto che decade dall’incarico ha diritto ad essere retribuito per l’attività già svolta.

 

Art. 28.

(Collaudi)

1. È fatto divieto di affidare collaudi, o comunque di nominare in commissioni di collaudo di qualunque genere e comunque denominate, magistrati ordinari, amministrativi, contabili e militari, avvocati e procuratori dello Stato e componenti delle commissioni tributarie.

2. Sono abrogate le disposizioni che prevedono o autorizzano la partecipazione a commissioni di collaudo dei soggetti indicati al comma 1.

3. I soggetti indicati al comma 1 che partecipano a commissioni di collaudo, comunque denominate, già costituite alla data di entrata in vigore della presente legge decadono immediatamente dall’incarico e sono tempestivamente sostituiti dal soggetto che aveva provveduto alla nomina. In tal caso, il soggetto che decade dall’incarico ha diritto ad essere retribuito per l’attività già svolta.

 

Art. 29.

(Partecipazione ad organi societari)

1. È fatto divieto ai magistrati ordinari, amministrativi, contabili e militari, agli avvocati e procuratori dello Stato e ai componenti delle commissioni tributarie di partecipare ad organi societari di enti pubblici economici e di società, a capitale pubblico o privato.

2. Sono abrogate le disposizioni che prevedono o autorizzano la partecipazione ad organi societari di enti pubblici economici e di società, a capitale pubblico o privato, dei soggetti indicati al comma 1.

3. I soggetti indicati al comma 1 che partecipano a ad organi societari di enti pubblici economici e di società, a capitale pubblico o privato, decadono immediatamente dall’incarico e sono tempestivamente sostituiti secondo le norme relative alla nomina degli amministratori di tali enti o società. In tal caso, il soggetto che decade dall’incarico ha diritto ad essere retribuito per l’attività già svolta.

 

Art. 30.

(Incarichi sportivi)

1. I magistrati ordinari, amministrativi, contabili e militari, gli avvocati e i procuratori dello Stato e i componenti delle commissioni tributarie non possono assumere incarichi sportivi, di qualunque genere e comunque denominati, conferiti dal Comitato olimpico nazionale italiano (CONI) ovvero dalle società e associazioni sportive affiliate alle Federazioni sportive riconosciute dal CONI.

2. Sono abrogate le disposizioni che prevedono o autorizzano l’assunzione degli incarichi sportivi di cui al comma 1 da parte dei soggetti indicati al medesimo comma.

3. I soggetti indicati al comma 1 che hanno assunto incarichi sportivi, di qualunque genere e comunque denominati, conferiti dal CONI ovvero dalle società e associazioni sportive affiliate alle Federazioni sportive riconosciute dal CONI, decadono immediatamente dall’incarico. In tal caso, il soggetto che decade dall’incarico ha diritto ad essere retribuito per l’attività già svolta.

 

 

 

 

TITOLO V

DISPOSIZIONI IN MATERIA PENALE E PROCEDURALE PER IL CONTRASTO AI FENOMENI DI CORRUZIONE

 

Art. 31.

(Modifìche al codice penale)

1. All’articolo 32-quinquies del codice penale, le parole: «per un tempo non inferiore a tre anni per i delitti di cui agli articoli 314, primo comma, 317, 318, 319, 319-ter e 320» sono sostituite dalle seguenti: «per un tempo non inferiore a due anni per i delitti di cui agli articoli 314, primo comma, 317, 318, 319, 319-ter, 320 e 323».

2. All’articolo 314, primo comma, del codice penale, le parole: «da tre a dieci anni» sono sostituite dalle seguenti: «da quattro a dodici anni».

3. All’articolo 316 del codice penale, le parole: «da sei mesi a tre anni» sono sostituite dalle seguenti: «da uno a cinque anni».

4. All’articolo 316-bis del codice penale, le parole: «da sei mesi a quattro anni» sono sostituite dalle seguenti: «da uno a sei anni».

5. All’articolo 317 del codice penale, le parole: «da quattro a dodici anni» sono sostituite dalle seguenti: «da cinque a quattordici anni».

6. L’articolo 317-bis del codice penale è sostituito dal seguente:

«Art. 317-bis. – (Pene accessorie). - La condanna per i reati di cui agli articoli 314 e 317 importa sempre l’interdizione perpetua dai pubblici uffici».

7. All’articolo 318, primo comma, del codice penale, le parole: «da sei mesi a tre anni» sono sostituite dalle seguenti: «da uno a quattro anni».

8. All’articolo 318, secondo comma, del codice penale, le parole: «fino a un anno» sono sostituite dalle seguenti: «da tre mesi a tre anni».

9. All’articolo 319 del codice penale, le parole: «da due a cinque anni» sono sostituite dalle seguenti: «da tre a sette anni».

10. All’articolo 319-ter, primo comma, del codice penale, le parole: «da tre a otto anni» sono sostituite dalle seguenti: «da quattro a dieci anni».

11. L’articolo 322-ter del codice penale è sostituito dal seguente:

«Art. 322-ter. - (Confisca). – Nel caso di condanna, o di applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell’articolo 444 del codice di procedura penale, per uno dei delitti previsti dagli articoli da 314 a 323, anche se commessi dai soggetti indicati nell’articolo 322-bis, primo comma, è sempre ordinata la confisca dei beni che ne costituiscono il profitto o il prezzo, salvo che appartengano a persona estranea al reato, ovvero, quando essa non è possibile, la confisca di beni, di cui il reo ha la disponibilità, per un valore corrispondente a tale prezzo.

Negli stessi casi è sempre disposta la confisca del denaro, dei beni o delle altre utilità di cui il condannato non può giustificare la provenienza e di cui, anche per interposta persona fisica o giuridica, risulta essere titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo in valore sproporzionato al proprio reddito, dichiarato ai fini delle imposte sul reddito, o alla propria attività economica.

Il giudice, con la sentenza di condanna o con quella prevista dall’articolo 444, comma 2, del codice di procedura penale, nomina un amministratore con il compito di provvedere alla custodia, alla conservazione e all’amministrazione dei beni confiscati. Non possono essere nominate amministratori le persone nei cui confronti il provvedimento è stato disposto, il coniuge, i parenti, gli affini e le persone con essi conviventi, né le persone condannate ad una pena che importi l’interdizione, anche temporanea, dai pubblici uffici o coloro cui sia stata irrogata una misura di prevenzione.

Se, nel corso del procedimento, l’autorità giudiziaria, in applicazione dell’articolo 321, comma 2, del codice di procedura penale, dispone il sequestro preventivo delle cose di cui è prevista la confisca a norma dei precedenti commi, le disposizioni in materia di nomina dell’amministratore di cui al presente articolo si applicano anche al custode delle cose predette.

Si applicano anche ai casi di confisca previsti dal presente articolo le disposizioni in materia di gestione e destinazione dei beni sequestrati o confiscati previste dalla legge 31 marzo 1965, n. 575, e successive modificazioni; restano comunque salvi i diritti della persona offesa dal reato alle restituzioni e al risarcimento del danno.

Il giudice, con la sentenza di condanna, determina le somme di denaro o individua i beni assoggettati a confisca in quanto costituenti il profitto o il prezzo del reato ovvero in quanto di valore corrispondente al profitto o al prezzo del reato, ovvero ancora di provenienza ingiustificata».

12. All’articolo 323, primo comma, del codice penale le parole: «ingiusto vantaggio patrimoniale» sono sostituite dalle seguenti: «ingiusto vantaggio economicamente valutabile» e le parole: «da sei mesi a tre anni» sono sostituite dalle seguenti: «da sei mesi a cinque anni».

13. All’articolo 323-bis del codice penale è aggiunto in fine, il seguente periodo: «La particolare tenuità dei fatti deve essere valutata avendo riguardo tanto al danno cagionato quanto al vantaggio conseguito».

14. Quando si procede per uno dei delitti previsti dagli articoli 314, 316, 316-bis, 316-ter, 317, 318, 319, 319-ter, 320, 321, 322, 322-bis e 323 del codice penale, il giudice non può dichiarare la prevalenza delle circostanze attenuanti sulle aggravanti ovvero l’equivalenza tra le stesse, ai sensi dell’articolo 69, commi secondo e terzo, del codice penale, quando non vi è prova dell’integrale riparazione del danno, mediante il risarcimento di esso e mediante le restituzioni.

15. L’articolo 346 del codice penale è sostituito dal seguente:

«Art. 346. - (Traffico d’influenza). – Chiunque, affermando o adducendo in qualsiasi modo di essere in grado di esercitare un’influenza sulla decisione, relativa al suo ufficio, di un pubblico ufficiale o di un incaricato di un pubblico servizio, fa dare, promettere, offrire o procurare a sé o ad altri qualsiasi indebito vantaggio a titolo di remunerazione o di pagamento del soggetto presso cui si vanta credito, è punito, indipendentemente dal fatto che l’influenza sia o meno esercitata o che la vantata influenza realizzi l’effetto ricercato, con la reclusione da due a sette anni e con la multa da 1.000 a 50.000 euro.

Nei casi di cui al primo comma, chiunque dà, promette, offre o procura un indebito vantaggio a chi vanta credito presso un pubblico ufficiale o un incaricato di un pubblico servizio è punito con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da 1.000 a 30.000 euro.

Se i fatti previsti dal presente articolo sono di particolare tenuità, le pene sono ridotte fino alla metà.

La condanna importa l’interdizione perpetua dai pubblici uffici, salvo che il fatto sia di particolare tenuità ai sensi del terzo comma; in tal caso, la condanna importa l’interdizione dai pubblici uffici per un minimo di tre anni ed un massimo di cinque anni».

16. Dopo l’articolo 513-bis del codice penale è inserito il seguente:

«Art. 513-ter. - (Corruzione nel settore privato). – Chiunque, nell’esercizio di un’attività commerciale, imprenditoriale, professionale, di direzione di un ente privato o di prestazione lavorativa a qualsiasi titolo a favore di un ente privato, intenzionalmente sollecita, induce o riceve, direttamente o per il tramite di terzi, un indebito vantaggio di qualsiasi natura, per sé o per altri, ovvero ne accetta l’offerta o la promessa, per compiere o astenersi dal compiere un atto in violazione dei propri doveri legali, professionali o contrattuali relativi all’attività di competenza, è punto con la reclusione da uno a quattro anni e con la multa da 1.000 a 10.000 euro.

La stessa pena si applica a chiunque intenzionalmente, nell’ambito di attività professionali, direttamente o tramite intermediario, dà, offre o promette l’indebita utilità di cui al primo comma.

La pena è aumentata da un terzo a due terzi qualora dal fatto siano derivate distorsioni della concorrenza nel mercato ovvero rilevanti danni economici all’ente o ai suoi creditori».

 

Art. 32.

(Modifiche al decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231)

1. Al decreto legislativo 8 giugno 2001, n.231, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) all’articolo 25, comma 2, dopo le parole: «commi 2 e 4,» sono inserite le seguenti: «346,»;

b) all’articolo 25-bis.1, comma 1, lettera b), dopo le parole: «513-bis» sono inserite le seguenti: «, 513-ter».

 

Art. 33.

(Modifiche al codice di procedura penale)

1. All’articolo 267 del codice di procedura penale, dopo il comma 2 è inserito il seguente:

«2-bis. Quando l’intercettazione è necessaria per lo svolgimento delle indagini in relazione a delitti di cui all’articolo 266, comma 1, lettera b), l’autorizzazione a disporre le operazioni previste dall’articolo 266 è data, con decreto motivato, dal giudice per le indagini preliminari se vi sono sufficienti indizi di reato. Nella valutazione dei sufficienti indizi si applica l’articolo 203. L’intercettazione di comunicazioni tra presenti, di cui al comma 2 dell’articolo 266, disposta in un procedimento relativo ai delitti di cui al presente comma, è consentita anche se non vi è motivo di ritenere che nei luoghi ove è disposta si stia svolgendo l’attività criminosa».

2. Al comma 3 dell’articolo 275 del codice di procedura penale è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «Le disposizioni del presente comma si applicano altresì in ordine ai delitti previsti dagli articoli 314, 317, 319, 319-ter, 321 e 322-bis del codice penale, salvo che ricorra la circostanza attenuante prevista dall’articolo 323-bis del codice penale».

 

Art. 34.

(Incarichi di collaborazione con la pubblica amministrazione)

1. Le pubbliche amministrazioni e gli enti pubblici in generale, compresi gli enti pubblici economici, non possono attribuire incarichi di collaborazione o consulenza, di qualunque specie e comunque denominati, a tempo indeterminato o parziale, neanche a titolo gratuito, a persone che si trovino in una delle seguenti condizioni:

a) condannati, con sentenza anche non definitiva, per uno dei delitti di cui all’articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, del codice di procedura penale, ovvero per delitti contro la pubblica amministrazione o per uno dei delitti previsti dagli articoli 629, 644, 648-bis e 648-ter del codice penale;

b) sottoposti, nei cinque anni precedenti al conferimento dell’incarico, a misura cautelare personale, non soggetta ad annullamento per insussistenza di gravi indizi di colpevolezza, per uno dei reati indicati nella lettera a);

c) sottoposti ad applicazione di misure di prevenzione personali o patrimoniali, ancorché non definitive, ai sensi della legge 31 maggio 1965, n. 575.

2. Al momento dell’attribuzione formale degli incarichi di cui al presente articolo, il beneficiario dichiara all’amministrazione o all’ente conferente, sotto la propria responsabilità, di non trovarsi in alcuna delle ipotesi previste al comma 1. In caso di false dichiarazioni, il dichiarante è punito con la reclusione da uno a quattro anni e con la multa da 10.000 a 100.000 euro. Nella predetta ipotesi che precede il rapporto di collaborazione è immediatamente revocato.

 

 

 

 

TITOLO SESTO

DISPOSIZIONI FINALI

Art. 35.

(Entrata in vigore).

1. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.

 

 

 


 

SENATO DELLA REPUBBLICA

¾¾¾¾¾¾¾¾   XVI LEGISLATURA   ¾¾¾¾¾¾¾¾

 

N. 2174

DISEGNO DI LEGGE

d’iniziativa dei senatori FINOCCHIARO, DELLA MONICA, D’AMBROSIO, ZANDA, CASSON, LATORRE, CAROFIGLIO, CHIURAZZI, GALPERTI, MARITATI, MARCENARO, ADAMO, CECCANTI, INCOSTANTE, DE SENA e SERRA

 

COMUNICATO ALLA PRESIDENZA L’11 MAGGIO 2010

 

 

¾¾¾¾¾¾¾¾

Norme per il contrasto alla corruzione nella pubblica amministrazione e nel settore privato. Cause ostative all’assunzione di incarichi di governo, incandidabilità ed ineleggibilità dei responsabili per reati contro la pubblica amministrazione e collegati

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Onorevoli Senatori. – Il presente disegno di legge è diretto a rendere più efficace l’azione di contrasto e di prevenzione della corruzione e, in generale, del malaffare, nella pubblica amministrazione e nel settore privato.

La corruzione rappresenta un fenomeno in costante ascesa nel nostro Paese. Nel solo 2009, come può evincersi dai dati forniti dalla Corte dei conti in sede di inaugurazione dell’anno giudiziario, l’entità delle condanne emesse dalla magistratura contabile nei confronti di pubblici dipendenti, per illeciti contabili legati a fatti di corruzione, dimostra come tale forma di malaffare nella pubblica amministrazione rappresenti la quarta fonte di danno erariale in ordine di importanza. Sempre nel corso dell’ultimo anno le denunce per corruzione presentate alla Guardia di finanza sono cresciute del 229 per cento, mentre quelle per concussione del 153 per cento. Tale incremento non può del resto essere attribuito, se non in minima parte, ad una maggiore propensione alla denuncia da parte dei cittadini, apparendo invece verosimilmente imputabile, in misura prevalente, all’estensione del fenomeno corruttivo. La corruzione, infatti, come reato a concorso necessario in cui nessuno dei concorrenti ha interesse che venga scoperto, è sempre stato e rimane uno dei reati più difficili da scoprire.

Tra i fattori principali di questa tendenza all’espansione del fenomeno corruttivo (e più in generale dei delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione) va certamente annoverata la mancata percezione, nella collettività, del reale disvalore di tali reati e della loro incidenza sulla gestione della cosa pubblica, strettamente connessa alla debolezza di una pregnante cultura della legalità nel nostro paese, accompagnata, ed anzi consolidata, proprio da un’insufficiente ed inadeguata azione di contrasto del fenomeno corruttivo in particolare.

Sebbene, infatti, sia stato ormai unanimemente riconosciuto in sede internazionale che la corruzione ostacola lo sviluppo economico e contrasta con i princìpi di buon governo e di etica della politica e che, specie se di livello «sistemico», finisce col costituire una minaccia per lo Stato di diritto, la democrazia, il principio di uguaglianza e la libera concorrenza, nonostante le richieste sopranazionali di sanzioni proporzionate, adeguate e dissuasive nei confronti della corruzione, nel nostro paese non è stata intrapresa, fino ad ora, un’azione di contrasto efficace. Infatti, pur rispetto a un fenomeno apparso dilagante già negli anni Novanta (periodo della cosiddetta «Tangentopoli»), la risposta sanzionatoria ha continuato ad essere incerta e improntata ad assoluta mitezza. Al riguardo, i dati sulle condanne definitive documentano la sostanziale impunità dei delitti di corruzione: nell’87,6 per cento dei procedimenti penali sono state inflitte pene fino a due anni di reclusione (area della sospendibilità condizionale); nell’8,8 per cento dei casi, pene tra due e tre anni (area delle misure alternative, ad esempio l’affidamento in prova ai servizi sociali); soltanto nel 3,5 per cento dei casi sono state irrogate pene superiori a tre anni, eseguibili in forma detentiva, per cui solo a quest’ultima esigua quota di condanne è affidato l’effetto deterrente tipico della sanzione penale.

La lotta alla corruzione e ai reati che normalmente si pongono con essa in rapporto di interdipendenza funzionale (falso in scritture contabili, reati fiscali, riciclaggio e autoriciclaggio) costituisce, invece, uno degli obiettivi politico-criminali prioritari a livello europeo ed internazionale, tant’è che le principali convenzioni in materia esprimono la preoccupazione per le conseguenze generate da pratiche corruttive diffuse: cattiva allocazione delle risorse pubbliche, alterazione delle regole sulla concorrenza, sistemi fiscali regressivi, riduzione degli investimenti diretti esteri. Si tratta di fattori che sono in grado di esercitare una funzione frenante sullo sviluppo economico del paese e che richiedono un adeguato mutamento del quadro normativo in materia. Ciò è tanto più urgente se solo si considera che, quando la corruzione della pubblica amministrazione si salda con la criminalità organizzata, può costituire il grimaldello per cui l’impresa mafiosa riesce a fare il passaggio dalla gestione dei mercati illegali alla gestione dei mercati legali.

Se davvero l’Italia intende, onorando, peraltro, in tal modo gli obblighi assunti in sede internazionale, porsi in linea con il perseguimento di tali importanti obiettivi di politica criminale, ma anche di politica economica e sociale – data, appunto, la riconosciuta devastante ricaduta delle pratiche corruttive sul sistema sociale ed economico – è pertanto, necessario mettere mano rapidamente ad alcune irrimandabili modifiche normative, rivedendo, innanzitutto, la materia della corruzione nel settore pubblico, introducendo reati quali il traffico di influenze illecite e la corruzione nel settore privato ed analogamente – posto che chi vuole corrompere ha necessità di disporre di fondi neri – intervenendo sulla struttura dei reati fiscali e del falso in bilancio. Infatti, in conseguenza del decreto legislativo 11 aprile 2002, n.61, sono state ridotte le pene per il falso in bilancio, prevedendo soglie di non punibilità altissime e dando, così, vita ad una sorta di impunità per «modica quantità» di fondi neri e, soprattutto, per le società, il reato è stato reso perseguibile a querela di parte, querela che, parte offesa, creditore o azionista, difficilmente presenteranno contro gli amministratori, il primo perché difficilmente a conoscenza del reato; il secondo perché di solito è il mandante e il beneficiario del reato. Per quanto riguarda i reati fiscali, poi, occorre intervenire sui fattori che favoriscono l’evasione e l’elusione, in particolare, sulla falsa fatturazione, posto che dal 2000 l’uso di fatture per operazioni inesistenti è punito solo se supera una certa soglia e se si riverbera sulla dichiarazione dei redditi. Occorre, infine, combattere efficacemente il riciclaggio e introdurre la punibilità del cosiddetto autoriciclaggio, in linea con le legislazioni di altri Paesi e delle direttive europee.

È utile ricordare che il disegno di legge si colloca in un panorama articolato di strumenti che sono stati adottati in sede internazionale negli ultimi venti anni.

A partire dalla seconda metà degli anni Novanta, infatti, l’obiettivo della lotta alla corruzione nei suoi differenti aspetti si è imposto all’attenzione della comunità internazionale – sia a livello universale che a livello regionale – che ha percepito l’estrema pericolosità per la democrazia, per il diritto, per le libertà fondamentali, nonché per il progresso socio-economico di tali pratiche illegali. Pertanto, l’adeguamento dell’ordinamento interno che si propone con il presente disegno di legge risponde anche alla necessità di rendere omogenei a livello internazionale gli strumenti di contrasto del fenomeno corruttivo e facilitare la collaborazione tra i vari Paesi. Esso, peraltro, si impone oggi a maggior ragione in seguito alla ratifica da parte dell’Italia, con la legge 3 agosto 2009, n.116, della Convenzione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) contro la corruzione, adottata dall’Assemblea generale dell’ONU il 31 ottobre 2003 a Merida. Tale Convenzione, difatti, – recepita integralmente anche ai fini dell’esecuzione con l’articolo 2 della legge di ratifica – impone agli Stati firmatari il rafforzamento delle misure sostanziali e processuali volte a prevenire e combattere la corruzione in modo sempre più efficace, chiedendo di «ricercare, perseguire e giudicare effettivamente» i responsabili di fatti corruttivi e di adoperarsi perché i relativi procedimenti giudiziari si svolgano in modo tale da «ottimizzare l’efficacia di misure di individuazione e di repressione di tale reati» e prevedendo che «...ciascuno Stato Parte fissa, nell’ambito del proprio diritto interno, un lungo termine di prescrizione entro il quale i procedimenti» per i reati previsti dalla Convenzione «possono essere avviati».

Con il presente disegno di legge, perciò, anche al fine di recepire le indicazioni provenienti dagli organismi internazionali dei quali l’Italia fa parte, si è posto mano ad una serie di modifiche del quadro normativo che si ritiene fondamentali per poter perseguire le condotte di corruzione nella pubblica amministrazione con la necessaria efficacia.

A tal fine, si è ritenuto necessario – oltre a dotare gli inquirenti di strumenti investigativi fondamentali, quali la possibilità di disporre attività di contrasto sotto copertura – ridefinire il quadro dei delitti contro la pubblica amministrazione in una maniera più aderente alle diverse forme di manifestazione di illegalità che si esplicano nell’ambito delle attività della pubblica amministrazione nel nostro paese, ponendo attenzione, tra l’altro ed in particolare, ad individuare strumenti che possano contribuire a rompere quel «muro di omertà» tra corrotto e corruttore – sulla cui base si spiega l’elevata cifra oscura che caratterizza tali delitti – che rende estremamente difficile accertare simili illeciti. Pertanto, oltre ad una più generale revisione della disciplina dei delitti contro la pubblica amministrazione, il presente disegno di legge introduce una notevole riduzione di pena per l’imputato che si adopera fornendo una concreta e fattiva collaborazione per la ricostruzione dei fatti, per l’individuazione o la cattura degli altri responsabili o per il recupero delle somme versate o delle altre utilità trasferite.

In linea generale, quindi, si rileva che con le innovazioni normative proposte si ridisegna, sostanzialmente, il quadro dei delitti contro la pubblica amministrazione, trasferendo la condotta di concussione per costrizione all’interno di quelle di estorsione e la condotta di concussione per induzione all’interno della nuova fattispecie di corruzione, la quale ricomprende in sé il disvalore penale degli articoli 318, 319 e 321 del codice penale attualmente vigenti, prevedendo in ogni caso anche la punibilità del corruttore. Data l’enorme difficoltà che spesso si incontra ad individuare – una volta accertato nel corso dell’indagine che il pubblico ufficiale ha ricevuto congrue o notevoli somme di danaro e la persona che glieli ha corrisposti – gli atti dell’ufficio posti in essere per conto della persona che ha corrisposto le somme è stata introdotta, nell’articolo 319, anche la punibilità delle dazioni di danaro o di altre utilità fatte comunque al pubblico ufficiale o all’incaricato di pubblico servizio in ragione della funzione esercitata. Si è voluto, così, punire la condotta di coloro che, in cambio di denaro o di altre utilità, a volte versate loro periodicamente, si mettono praticamente al servizio di chi è interessato ad ottenere che gli stessi operino, al momento giusto, in violazione dei doveri di fedeltà, di imparzialità e onestà, o di leggi, regolamenti o circolari. La norma riguarda, quindi, un’ipotesi di pubblico ufficiale che si attiva (o che non si attiva) in ragione della sua funzione, dietro corrispettivo. È stata anche abolita la distinzione tra atti (o attività) d’ufficio e atti (o attività) contrari ai doveri d’ufficio, essendo ugualmente censurabile la condotta del pubblico ufficiale che riceve denaro o altre utilità, come è censurabile chi le offre, in quanto egli ne trae sempre vantaggio in relazione agli altri che si comportano onestamente. Né è senza significato che la distinzione ha sempre offerto agli indagati il pretesto per allungare i tempi di definizione dei processi. In base alla modifica apportata, sarà il giudice, in concreto, nell’applicazione della pena, a tener conto dell’atto o dell’attività compiuti o richiesti. Inoltre, si è previsto un sensibile inasprimento delle sanzioni penali per i reati più gravi contro la pubblica amministrazione, anche nel minimo edittale, per evitare che l’applicazione generalizzata di attenuanti determini la concreta inefficacia della sanzione. L’apparato sanzionatorio in vigore, infatti, risulta inadeguato rispetto alla gravità dei comportamenti e all’impatto sociale ed economico di reati di tale tipo e, a causa del sistema prescrizionale introdotto dalla legge 5 dicembre 2005, n.251 (cosiddetta «legge ex Cirielli»), rischia, di fatto, di impedire l’accertamento giudiziario dei reati di corruzione.

Si è, quindi, provveduto, da un lato, a razionalizzare la normativa vigente, semplificando la classificazione delle condotte criminose e la valutazione del disvalore penale di ognuna di esse; dall’altro lato si è conferito rilevanza anche a quelle condotte le quali, pur emblematiche di una particolare offensività nei confronti del buon andamento della pubblica amministrazione e idonee ad ingenerare dubbi sulla sua effettiva imparzialità ed efficienza, non risultano, tuttavia, in alcun modo sanzionate all’interno del sistema penale italiano. È stata, pertanto, a tale scopo introdotta la fattispecie del traffico di influenze illecite, più avanti meglio descritta – misura questa, peraltro, prevista specificamente anche dalla Convenzione penale sulla corruzione fatta a Strasburgo il 27 gennaio 1999 – e volta a punire la condotta dei soggetti che si propongono come intermediari nel disbrigo di faccende corruttive, nonché di quelli che ne ricercano la collaborazione. Questa previsione si fonda su un aggiornamento della lettura del fenomeno corruttivo. Infatti, spesso oggi la tradizionale forma bilaterale della corruzione si spezza in due parti: la retribuzione viene ricevuta dall’intermediario, mentre l’attività amministrativa illecita viene svolta da un diverso soggetto; in un’altra occasione, poi, l’intermediario restituirà il favore ricambiando l’attività posta in essere dal pubblico ufficiale.

La differenza con la «vecchia» corruzione è evidente e può essere paragonata alla differenza che passa tra un semplice baratto e una più sofisticata triangolazione: si inserisce una nuova figura di intermediario e il soggetto che riceve la retribuzione è diverso da quello che compie l’attività amministrativa «di favore».

Si è, poi, inteso individuare – parallelamente a quanto sperimentato nell’ambito dell’azione di contrasto alla criminalità organizzata – uno strumento utile all’emersione del fenomeno corruttivo, così diffusamente pervasivo del tessuto economico-sociale e del sistema istituzionale del nostro paese. A tal fine è stata prevista, con riferimento al reato di corruzione e corruzione in atti giudiziari, la possibilità di una forte riduzione di pena (fino a due terzi) nei casi in cui si determini da parte dell’imputato una concreta e fattiva collaborazione.

Parallelamente, al fine di contrastare fenomeni di corruttela e malaffare nel settore privato, oggi non esaustivamente tipizzati in fattispecie incriminatrici, si propone di introdurre, all’interno della sezione del codice penale relativa ai delitti contro l’industria e il commercio, il delitto di corruzione nel settore privato (estensibile agli enti in virtù del decreto legislativo 8 giugno 2001, n.231), consistente nella condotta di induzione, sollecitazione o ricezione di denaro od altra utilità, o nell’accettazione della relativa promessa, per compiere od omettere un atto, in violazione di un dovere, qualora ne derivino o possano derivarne distorsioni della concorrenza nel mercato ovvero danni economici all’ente o a terzi, anche attraverso una non corretta aggiudicazione o una scorretta esecuzione di un contratto. Anche in tal caso è stata prevista una diminuzione di pena in caso di concreta collaborazione da parte dell’imputato. L’introduzione di tale fattispecie incriminatrice risponde, peraltro, all’esigenza di dare piena attuazione alla decisione quadro 2003/568/GAI del Consiglio, del 22 luglio 2003, relativa alla lotta contro la corruzione nel settore privato.

Analizzando nel dettaglio le norme proposte con il presente disegno di legge, si rileva anzitutto che, l’articolo 1, comma 1, opera, alle lettere a) e b), dei raccordi normativi necessari dato il nuovo assetto dei delitti contro la pubblica amministrazione che il disegno di legge in esame propone. Pertanto, in risposta a tali esigenze di armonizzazione, il riferimento alle abrogate disposizioni in tema di concussione e corruzione, contenuto negli articoli 32-quater e 32-quinquies del codice penale (che individuano le ipotesi di applicazione, rispettivamente, delle pene accessorie dell’incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione e dell’estinzione del rapporto di lavoro o di impiego con amministrazioni pubbliche), è stato sostituito con il richiamo alle nuove disposizioni in tema di corruzione, corruzione in atti giudiziari ed estorsione ai sensi dell’articolo 629 del codice penale, aggiungendo inoltre la previsione dell’applicazione della pena accessoria dell’incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione anche nell’ipotesi del reato di peculato previsto dall’articolo 314 (articolo 32-quater) e prevedendo che l’estinzione del rapporto di lavoro o di impiego con amministrazioni pubbliche sia contemplata nell’ipotesi di condanna per un tempo non inferiore a due anni (un anno in meno rispetto all’attuale previsione) per i delitti di peculato, corruzione, corruzione in atti giudiziari ed estorsione (articolo 32-quinquies).

La lettera c), in coerenza con la razionalizzazione operata dal disegno di legge in esame, provvede ad innalzare le pene previste per il reato di peculato (articolo 314) portandole a quattro anni nel minimo e a dodici nel massimo e prevedendo per tale reato sempre la pena accessoria della interdizione perpetua dai pubblici uffici, uniformandolo, così, sotto il profilo delle pene, alle nuove previsioni che il presente disegno di legge introduce per il reato di corruzione, mentre la lettera d), abroga gli articoli 317, 317-bis, 318, 320, 321 e 322-bis del codice penale.

La lettera e) introduce la nuova fattispecie unica del delitto di corruzione (novellato articolo 319 del codice penale). Tale fattispecie sancisce la punibilità del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio che indebitamente riceve, per sé o per un terzo, denaro o altra utilità o ne accetta la promessa in relazione al compimento, all’omissione o al ritardo di un atto o di un’attività del suo ufficio o servizio, ovvero al compimento di un atto o di un’attività contrari ai doveri dell’ufficio o del servizio, o comunque in ragione della funzione esercitata, con la reclusione da quattro a dodici anni e prevedendo in ogni caso la punibilità anche del corruttore.

Tra gli obiettivi del disegno di legge vi è, infatti, anche quello di rispondere alle osservazioni reiterate nei confronti del nostro Paese dall’OCSE secondo cui sarebbe necessario modificare la normativa vigente nell’ordinamento italiano in tema di reati contro la pubblica amministrazione, in particolare per quanto concerne la punibilità, nell’ambito delle operazioni economiche internazionali, del soggetto che indebitamente offra o prometta denaro per conseguire un vantaggio ingiusto. Nella nostra legislazione questa condotta corrisponde allo schema della corruzione propria, la quale prevede la punibilità del pubblico funzionario e del privato che si avvantaggia della condotta contraria ai doveri d’ufficio. Il codice penale, però, prevede anche l’ipotesi di cui all’articolo 317 (concussione), ai sensi del quale la punibilità del privato è esclusa se lo stesso è stato costretto od indotto alla dazione predetta dal pubblico funzionario; la norma in questione non distingue tra condotte rivolte al conseguimento di un vantaggio indebito o meno, prevedendo in ogni caso la punibilità del solo pubblico ufficiale.

L’OCSE ha più volte fatto rilevare nelle raccomandazioni rivolte all’Italia ed agli altri Stati parte che deve essere assicurata la punibilità di tutte le ipotesi sussumibili nello schema della corruzione, quanto meno sotto il profilo dell’ingiusto vantaggio conseguito dal privato, essendo irrilevante a questo scopo l’eventuale costrizione o induzione asseritamente subita dal soggetto ad opera del pubblico ufficiale. Peraltro, anche la citata Convenzione penale di Strasburgo, impone di rivedere la non punibilità del concusso – quanto meno nelle ipotesi di concussione per induzione – poiché richiede di assoggettare a sanzione penale la promessa, l’offerta o la dazione, diretta o indiretta, di un vantaggio indebito ad uno dei propri funzionari pubblici, per sé o per altri, perché compia o si astenga dal compiere un atto nell’esercizio delle sue funzioni. In questo quadro, la soluzione più ragionevole è apparsa essere quella di unificare le fattispecie di concussione per induzione, corruzione propria ed impropria, antecedente e susseguente, applicando la stessa pena al corrotto e al corruttore, e di ricondurre la fattispecie di concussione per costrizione al delitto di estorsione.

Il sistema trova, quindi, una sua intrinseca coerenza attraverso le ulteriori modifiche apportate alla disciplina dei delitti contro la pubblica amministrazione sempre al primo comma dell’articolo 1 del presente disegno di legge.

La lettera f) introduce, all’articolo 319-bis del codice, la «riparazione pecuniaria» in favore della pubblica amministrazione cui appartenga il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio colpevole, in misura pari all’importo dato o promesso al corrotto, senza pregiudizio del diritto della pubblica amministrazione al risarcimento del danno.

Le modifiche introdotte alle misure delle pene previste per il reato di cui al 319 impongo, in considerazione peraltro della particolare gravità del reato di corruzione in atti giudiziari di cui all’articolo 319-ter del codice penale, una coerente modifica ed innalzamento delle pene previste per le relative condotte (lettera g)).

La lettera h) contiene la nuova formulazione dell’istigazione alla corruzione (novellato articolo 322 del codice penale), coerente con l’unificazione delle fattispecie corruttive.

La lettera i) prevede, poi, delle necessarie correzioni nei richiami effettuati all’articolo 322-ter ad articoli novellati o soppressi dal presente disegno di legge e provvede, inoltre, ad estendere la confisca per equivalente prevista dal primo comma dell’articolo 322-ter, anche al profitto (oltre che al prezzo) del reato allo scopo di potenziare le misure patrimoniali di contrasto ai delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione e di dare piena attuazione alla decisione-quadro 2005/212/GAI del Consiglio del 24 febbraio 2005.

Alla lettera l) si sono, poi, previste delle circostanze attenuanti comuni e speciali sostituendo l’attuale articolo 323-bis del codice penale. Al comma 1 dell’articolo 323-bis, come novellato dal presente disegno di legge, si è prevista una circostanza attenuante per l’ipotesi di particolare tenuità dei fatti previsti dagli articoli 314, 316, 316-bis, 316-ter, 319, 319-ter, 322, 323, 346 e 513-ter. L’innalzamento della pena per il delitto di corruzione e l’unificazione di tutte le possibili fattispecie ad essa riconducibili hanno, infatti, imposto la previsione di tale circostanza onde poter consentire di adeguare la pena inflitta al caso concreto. Il medesimo articolo, provvede, poi, al secondo comma, con riferimento alle sole fattispecie di cui agli articoli 319, 319-ter del codice penale, ad aumentare fino a due terzi i possibili effetti di riduzione della pena nei casi in cui l’imputato si adopera per evitare che l’attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori anche aiutando concretamente l’autorità di polizia o l’autorità giudiziaria nella raccolta di elementi decisivi per la ricostruzione dei fatti e per l’individuazione o la cattura degli altri responsabili ovvero per il sequestro delle somme o altre utilità trasferite, nei casi in cui, cioè, si determini da parte dell’imputato una concreta e fattiva collaborazione

Al fine di evitarne, però, possibili strumentalizzazioni, si è introdotta, poi, un’aggravante ad efficacia speciale alla fattispecie di calunnia, applicabile alle ipotesi in cui il reato sia commesso in una dichiarazione rilevante agli effetti delle circostanze previste dal secondo comma, dell’articolo 323-bis (lettera q)).

La lettera m) introduce delle circostanze aggravanti (articolo 335-ter del codice penale) relative alle ipotesi in cui taluno dei delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione sia commesso nell’ambito della gestione di calamità naturali o dei grandi eventi (ad esse parificate dall’articolo 5-bis, comma 5, del decreto-legge 7 settembre 2001, n.343, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 novembre 2001, n.401), ovvero al fine di conseguire indebitamente contributi, finanziamenti o altre erogazioni concesse dallo Stato, da altri enti pubblici o dalla Unione europea, al fine di rimarcare il particolare disvalore che tali condotte assumono, in ragione del contesto in cui si svolgono ovvero delle finalità ad esse sottese.

Si è provveduto a novellare sempre nel quadro delle modifiche apportate al codice penale, tenuto conto in particolare di quanto previsto anche dalla più volte citata Convenzione penale sulla corruzione di Strasburgo che impone la punizione tanto dell’erogatore quanto del ricevente somme di denaro o di utilità diverse per l’esercizio di vantata influenza impropria su un pubblico funzionario (trading in influence) e tenuto conto che tale fattispecie coincide solo parzialmente con il reato di millantato credito attualmente previsto dall’articolo 346 del codice penale, perché richiede la punizione anche del soggetto erogatore, nonché la necessità dell’estensione della punibilità della condotta di credito vantato anche nei confronti di incaricato di pubblico servizio non impiegato (lettera n)), l’articolo 346 del codice penale. Di conseguenza, la rubrica è stata modificata denominando la figura criminosa, in luogo di «millantato credito», «traffico di influenze illecite».

Inoltre, per quanto riguarda lo statuto penale dei funzionari internazionali, la legge 29 settembre 2000, n.300, limita la rilevanza ai fini della punibilità secondo la legge italiana, da una parte, ai soli fatti che coinvolgano funzionari comunitari e funzionari degli Stati membri dell’Unione europea e, dall’altra, quando si tratta di funzionari di altre organizzazioni internazionali o di Stati esterni all’Unione, ai soli fatti collegati ad operazioni economiche internazionali, pertanto si è provveduto ad equiparare in via generale alle figure del pubblico ufficiale e dell’incaricato di pubblico servizio le persone che esercitano funzioni o attività corrispondenti nell’ambito di Stati esteri ovvero di organizzazioni internazionali, così assicurando la tutela penale di tali funzionari anche in quanto persone offese nel quadro di altre ipotesi criminose. A ciò provvedono le lettere o) e p), che integrano rispettivamente gli articoli 357 e 358 del codice penale. Viene in questo modo superata la frammentaria disciplina introdotta dalla citata legge n.300 del 2000.

La lettera r) al fine di contrastare fenomeni di corruttela e malaffare nel settore privato responsabili dell’ulteriore diffusione della cultura dell’illegalità nel nostro Paese – ma oggi non ancora esaustivamente tipizzati in fattispecie incriminatrici ad hoc – introduce nel codice penale il delitto di corruzione nel settore privato (articolo 513-ter), mentre le norme necessarie alla corrispondente estensione della responsabilità degli enti per tale reato sono previste dall’articolo 8, comma 1, lettera b), del disegno di legge di cui si dirà più avanti.

La lettera s) riconduce espressamente l’attuale ipotesi di concussione per costrizione al fenomeno dell’estorsione, prevedendo una specifica circostanza aggravante, con pena da sei a venti anni di reclusione, per il caso in cui «la violenza o minaccia è commessa da un pubblico ufficiale o da un incaricato di pubblico servizio con abuso dei poteri o violazione dei doveri inerenti alla sua qualità o alle sue funzioni» (articolo 629, terzo comma, del codice penale).

Il nuovo assetto dei delitti contro la pubblica amministrazione ha, poi, determinato la necessità di intervenire – per evidenti esigenze di armonizzazione – sulle norme contenenti espliciti richiami ai delitti stessi, di volta in volta considerati quale presupposto per l’applicazione di pene accessorie, di ipotesi particolari di confisca, di cause ostative alla candidatura o al mantenimento di cariche elettive e di particolari disposizioni in tema di rapporto di lavoro con amministrazioni pubbliche.

Pertanto, in risposta a tali esigenze di armonizzazione, il riferimento alle abrogate disposizioni in tema di concussione e corruzione, è stato sostituito:

a) all’articolo 133, comma 1-bis, delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, di cui al decreto legislativo 28 luglio 1989, n.271, comma che, introdotto dalla legge 27 marzo 2001, n.97, è relativo alla notifica all’amministrazione di appartenenza del decreto che dispone il giudizio emesso – in relazione a uno dei predetti reati – nei confronti di dipendenti di amministrazioni pubbliche, enti pubblici, enti a prevalente partecipazione pubblica (articolo 2 del disegno di legge);

b) all’articolo 12-sexies, comma 1, del decreto-legge 8 giugno 1992, n.306, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n.356, il quale individua i titoli di reato – tra i quali già figura l’estorsione (e pertanto se ne è omesso il richiamo) – che impongono la confisca obbligatoria dei beni di cui il condannato non possa giustificare la provenienza (articolo 3, comma 1, lettera a), del disegno di legge);

c) all’articolo 12-sexies, comma 2-bis, del citato decreto-legge n.306 del 1992 (comma introdotto dall’articolo 1, comma 220, della legge 27 dicembre 2006, n.296), il quale individua i titoli di reato per i quali, in caso di confisca di beni, trovano applicazione le norme in tema di gestione e devoluzione finale dei beni stessi, contenute nella legislazione antimafia (in particolare, negli articoli 2-nonies, 2-decies e 2-undecies della legge 31 maggio 1965, n.575). In questo caso, il richiamo al delitto di estorsione aggravata è stato limitato alle sole ipotesi finora riconducibili alla concussione per costrizione (articolo 629, terzo comma, come introdotto dal presente disegno di legge), in quanto il legislatore del 2006, nell’introdurre il comma 2-bis dell’articolo 12-sexies del citato decreto-legge n.306 del 1992, ha preso in considerazione – nell’ambito delle numerose fattispecie delittuose implicanti la confisca obbligatoria di cui al comma 1 – unicamente i reati contro la pubblica amministrazione (articolo 3, comma 1, lettera b) del disegno di legge);

d) agli articoli 58, comma 1, lettera b), e 59, comma 1, lettera a), del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n.267, rispettivamente dedicati alla individuazione delle cause ostative alla candidatura a cariche elettive in comuni, province eccetera, e delle ipotesi di sospensione e decadenza di diritto da tali cariche (articolo 4, comma 1, lettere a) e b) del disegno di legge);

e) all’articolo 3, comma 1, della legge 27 marzo 2001, n.97, in tema di trasferimento ad altro ufficio del dipendente di amministrazioni o di enti pubblici o di enti a prevalente partecipazione pubblica, nei confronti del quale sia stato disposto il rinvio a giudizio (articolo 5 del disegno di legge);

f) all’articolo 2 del decreto-legge 17 settembre 1993, n.369, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 novembre 1993, n.461, il quale prevede – quali soggetti attivi della nuova ipotesi di possesso ingiustificato di valori, in quella sede introdotta – gli imputati di uno dei delitti contro la pubblica amministrazione previsti e puniti nei vigenti articoli da 314 a 326 del codice penale. Anche in questo caso, l’esclusivo riferimento ai predetti reati ha indotto a inserire il richiamo all’articolo 629 del codice penale, limitatamente alle ipotesi finora riconducibili alla concussione per costrizione (terzo comma del 629 come introdotto dal presente disegno di legge) (articolo 6 del disegno di legge).

Il disposto dell’articolo 133, comma 1-bis, delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, di cui al decreto legislativo n.271 del 1989, e degli articoli 58, comma 1, lettera b), e 59, comma 1, lettera a), del citato testo unico di cui al decreto legislativo n.267 del 2000, nonché dell’articolo 3, comma 1, della legge n.97 del 2001, è stato, infine, integrato con l’espresso riferimento agli articoli 322, 346 e 513-ter del codice penale, allo scopo di conferire autonoma rilevanza, ai fini rispettivamente previsti dalle norme in questione, anche alle fattispecie: dell’istigazione alla corruzione (articolo 322), destinata a sanzionare nell’ottica del presente disegno di legge le condotte precedentemente qualificabili come tentata concussione per induzione; del traffico di influenze illecite (articolo 346) destinata a sua volta a sanzionare, sempre nell’ottica del presente disegno di legge, le condotte precedentemente qualificabili come millantato credito e della corruzione nel settore privato (articolo 513-ter), delitto questo introdotto dal presente disegno di legge. Inoltre va precisato che, per quanto riguarda il riferimento all’articolo 346, viene integrato anche il disposto dell’articolo 12-sexies, comma 1 e comma 2 bis, del decreto-legge 8 giugno 1992, n.306, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n.356 e dell’articolo 2 del decreto-legge 17 settembre 1993, n.369, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 novembre 1993, n.461.

L’articolo 8 del disegno di legge, comma 1, lettera a), apporta le necessarie modifiche al decreto legislativo 8 giugno 2001, n.231, conseguenti al nuovo assetto conferito alla disciplina dei delitti contro la pubblica amministrazione. È, infatti, integralmente sostituito l’articolo 25 del citato decreto legislativo, modificando i riferimenti normativi ivi previsti e riunendo in due unici gruppi le sanzioni da irrogare nei confronti degli enti, ed è prevista, inoltre, in linea con quanto previsto dal novellato articolo 323-bis del codice penale, una diminuente per coloro che, in relazione ai delitti di cui agli articoli 319, 319-ter e 346 dello stesso codice, forniscano all’autorità investigativa o giudiziaria indicazioni determinanti ai fini del sequestro delle somme o delle altre utilità trasferite. Inoltre, in considerazione della necessità di rafforzare la responsabilità da reato degli enti di cui al citato decreto legislativo, in ragione della sua idoneità a prevenire e contrastare la tendenza alla commissione di reati sotto lo «scudo» della persona giuridica, la si estende anche al delitto di corruzione privata di cui si propone l’introduzione (articolo 8, comma 1, lettera b) e si prevede una diminuente per coloro che forniscano all’autorità investigativa o giudiziaria indicazioni determinanti ai fini del sequestro delle somme o delle altre utilità trasferite anche in relazione a tale delitto (articolo 8, comma 2).

L’articolo 9 del disegno di legge, al fine di estendere le possibilità di accertamento dei reati contro la pubblica amministrazione e degli illeciti ad essi connessi, prevede, quindi, la sospensione del corso della prescrizione degli illeciti amministrativi e tributari dal momento della consumazione del delitto di corruzione fino al momento dell’esercizio dell’azione penale per il predetto delitto, allorché lo stesso sia stato commesso per ottenerne l’occultamento o il mancato perseguimento.

Tenuto conto, poi, delle difficoltà che normalmente si incontrano nell’accertamento di questo particolare genere di condotte criminose, si è presa in considerazione l’opportunità di prevedere specifiche misure per la raccolta delle prove. Si è, quindi, ritenuto opportuno prevedere la possibilità di utilizzare agenti infiltrati, di realizzare, cioè, operazioni sotto copertura analogamente a quanto è già previsto in tema di turismo sessuale, stupefacenti, riciclaggio (articolo 10, comma 1), scelta questa che, peraltro, non appare scindibile, data la delicatezza di tale modo di procedere, da quella della specializzazione degli organi di polizia da impiegare. La norma interviene sulla legge 16 marzo 2006, n.146, la quale reca, all’articolo 9, una disciplina unitaria per quasi tutte le ipotesi di operazioni sotto copertura, e si inserisce nel solco della stessa prevedendo, con l’introduzione della lettera b-bis) del comma 1 dell’articolo 9 della citata legge n.146 del 2006, una specifica causa di non punibilità per «gli ufficiali di polizia giudiziaria della Polizia di Stato, dell’Arma dei carabinieri e del Corpo della guardia di finanza, appartenenti alle strutture specializzate o alla Direzione investigativa antimafia, nei limiti delle proprie competenze, i quali, nel corso di specifiche operazioni di polizia e al solo fine di acquisire elementi di prova in ordine ai reati di cui agli articoli 319, 319-ter, 346 e 629, terzo comma, del codice penale, commessi nell’ambito di associazioni a delinquere, anche transnazionali, compiono le attività di cui alla lettera a), ovvero promettono od offrono denaro o altra utilità ovvero, anche attribuendosi qualità di altro pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio, simulano di accettarne la promessa o la consegna, direttamente o per interposta persona».

Il presente disegno di legge prevede, inoltre, all’articolo 10, commi 2 e 3 due autonome ipotesi di revisione per le sentenze che siano state emesse rispettivamente, o come conseguenza della commissione del reato di cui all’articolo 319-ter del codice penale, o ritenuta la circostanza attenuante di cui all’articolo 323-bis, comma secondo, del codice penale per effetto di dichiarazioni false o reticenti. In tali casi, il procuratore generale presso la corte d’appello nel cui distretto la sentenza è stata pronunziata è obbligato a chiederne la revisione, onde rimediare per quanto possibile alle conseguenze della condotta illecita sull’esito del procedimento penale.

Al fine di consentire l’effettiva procedibilità del giudizio di revisione, inoltre, si è previsto che, quanto alle sentenze emesse sulla base di false dichiarazioni, «il corso della prescrizione è sospeso dalla data di commissione del fatto fino alla pronunzia della sentenza di revisione». Quanto, invece, alle sentenze emesse come conseguenza della commissione del reato di cui all’articolo 319-ter del codice penale «il corso della prescrizione è sospeso dalla data di commissione del reato di cui all’articolo 319-ter del codice penale fino alla pronuncia definitiva di condanna o applicazione di pena per il medesimo reato»; attraverso tale disciplina si conseguirà, pertanto, l’obiettivo di annullare gli eventuali effetti giudiziari favorevoli delle condotte corruttive, consentendo la revisione delle sentenze oggetto di mercimonio anche nei casi in cui sia stata già dichiarata la prescrizione del reato oggetto del relativo procedimento.


 

 


 


 

DISEGNO DI LEGGE

 

Art. 1.

(Modifiche al codice penale)

1. Al codice penale sono apportate le seguenti modificazioni:

a) all’articolo 32-quater, dopo le parole: «per i delitti previsti dagli articoli» è inserita la seguente: «314,», le parole: «317, 318, 319, 319-bis, 320, 321,» sono sostituite dalle seguenti: «319, 319-ter,» e dopo le parole «501-bis», sono inserite le seguenti: «629,»;

b) all’articolo 32-quinquies, le parole: «per un tempo non inferiore a tre anni per i delitti di cui agli articoli 314, primo comma, 317, 318, 319, 319-ter e 320» sono sostituite dalle seguenti: «per un tempo non inferiore a due anni per i delitti di cui agli articoli 314, primo comma, 319, 319-ter, 322 e 629»;

c) all’articolo 314:

1) al primo comma, le parole: «da tre a dieci anni» sono sostituite dalle seguenti: «da quattro a dodici anni»;

2) dopo il secondo comma è aggiunto, in fine, il seguente:

«La condanna per i fatti previsti dal primo comma importa l’interdizione perpetua dai pubblici uffici»;

d) gli articoli 317, 317-bis, 318, 320, 321 e 322-bis sono abrogati;

e) l’articolo 319 è sostituito dal seguente:

«Art. 319. - (Corruzione). – Il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che indebitamente, anche mediante induzione, riceve, per sé o per un terzo, denaro o altra utilità, ovvero ne accetta la promessa in relazione al compimento, all’omissione o al ritardo di un atto o di attività del suo ufficio o servizio ovvero al compimento di un atto o di attività contrari ai doveri di ufficio o del servizio, o comunque in ragione della funzione esercitata, è punito con la reclusione da quattro a dodici anni.

La stessa pena si applica, nei casi di cui al primo comma, a chi dà o promette al pubblico ufficiale o all’incaricato di pubblico servizio denaro o altra utilità.

La condanna per i fatti previsti dal presente articolo importa l’interdizione perpetua dai pubblici uffici»;

f) l’articolo 319-bis è sostituito dal seguente:

«Art. 319-bis. - (Riparazione pecuniaria). – Con la sentenza di condanna, ovvero con la sentenza di applicazione della pena ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale, per i reati previsti dagli articoli 314, 319, 319-ter e 629, terzo comma, è sempre ordinato il pagamento di una somma pari all’ammontare di quanto indebitamente ricevuto dal pubblico ufficiale o dall’incaricato di pubblico servizio a titolo di riparazione pecuniaria in favore della amministrazione cui il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio appartiene, ovvero, nel caso di cui all’articolo 319-ter, in favore dell’amministrazione della giustizia, restando impregiudicato il diritto al risarcimento del danno»;

g) l’articolo 319-ter è sostituito dal seguente:

«Art. 319-ter. – (Corruzione in atti giudiziari). Se i fatti indicati nell’articolo 319 sono commessi per favorire o danneggiare una parte in un processo civile, penale o amministrativo si applica la pena della reclusione da quattro a dodici anni.

Se dal fatto deriva l’ingiusta condanna di taluno alla reclusione non superiore a cinque anni, la pena è della reclusione da cinque a quindici anni; se deriva l’ingiusta condanna alla reclusione superiore a cinque anni o all’ergastolo, la pena è della reclusione da sei a venti anni.

La stessa pena prevista per i fatti di cui ai commi primo e secondo si applica a chi dà o promette al pubblico ufficiale o all’incaricato di pubblico servizio denaro o altra utilità.

La condanna per i fatti di cui al presente articolo importa l’interdizione perpetua dai pubblici uffici»;

h) l’articolo 322 è sostituito dal seguente:

«Art. 322. - (Istigazione alla corruzione). – Chiunque offre o promette indebitamente denaro o altra utilità ad un pubblico ufficiale o ad un incaricato di pubblico servizio nei casi di cui all’articolo 319 soggiace, qualora l’offerta o la promessa non sia accettata, alla pena stabilita dall’articolo 319, ridotta di un terzo. Se l’offerta o la promessa è effettuata nei casi di cui all’articolo 319-ter, si applica la pena stabilita dall’articolo 319-ter primo comma ridotta di un terzo.

Il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che sollecita una promessa o dazione di denaro o altra utilità nei casi indicati dall’articolo 319 è punito, qualora la sollecitazione non sia accolta, con la pena stabilita dall’articolo 319, ridotta di un terzo. Se la sollecitazione è effettuata nei casi di cui all’articolo 319-ter, si applica la pena stabilita dall’articolo 319-ter, primo comma ridotta di un terzo»;

i) all’articolo 322-ter:

1) al primo comma, la parola: «320» è sostituita dalla seguente: «319-ter»; le parole: «anche se commessi dai soggetti indicati nell’articolo 322-bis, primo comma,» sono soppresse e dopo le parole: «a tale prezzo» sono aggiunte, in fine, le seguenti: «ovvero al profitto»;

2) al secondo comma, le parole: «per il delitto previsto dall’articolo 321, anche se commesso ai sensi dell’articolo 322-bis, secondo comma,» e le parole: «o agli altri soggetti indicati nell’articolo 322-bis, secondo comma» sono soppresse;

l) l’articolo 323-bis è sostituito dal seguente:

«Art. 323-bis. - (Circostanze attenuanti comuni e speciali). – Se i fatti previsti dagli articoli 314, 316, 316-bis, 316-ter, 319, 319-ter, 322, 323, 346 e 513-ter sono di particolare tenuità, le pene sono diminuite e la condanna importa l’interdizione temporanea dai pubblici uffici.

Per i delitti previsti dagli articoli 319 e 319-ter, nei confronti dell’imputato che si adopera per evitare che l’attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori anche aiutando concretamente l’autorità di polizia o l’autorità giudiziaria nella raccolta di elementi decisivi per la ricostruzione dei fatti e per l’individuazione o la cattura degli altri responsabili ovvero per il sequestro delle somme o altre utilità trasferite, la pena è diminuita fino a due terzi»;

m) nel capo I del titolo II del libro II, dopo l’articolo 335-bis, è aggiunto il seguente:

«Art. 335-ter. - (Circostanze aggravanti). Per i delitti previsti dal presente capo, le pene sono aumentate in caso di atti o attività commessi al fine di far conseguire indebitamente contributi, finanziamenti, mutui agevolati o altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati dallo Stato, da altri enti pubblici o dalla Comunità europea, o al fine di turbare la gara nei pubblici incanti, nelle licitazioni private per conto di pubbliche amministrazioni o comunque in procedure per l’affidamento di contratti pubblici ai sensi dell’articolo 3, commi da 37 a 41, del codice dei contratti pubblici relativo a lavori, servizi e forniture, di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n.163, ovvero qualora il fatto sia commesso nell’ambito di procedimenti relativi alla gestione di calamità naturali, catastrofi o dei grandi eventi di cui all’articolo 5-bis, comma5, del decreto-legge 7 settembre 2001, n.343, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 novembre 2001, n.401»;

n) l’articolo 346 è sostituito dal seguente:

«Art. 346. - (Traffico di influenze illecite). Chiunque, vantando credito presso un pubblico ufficiale o un incaricato di pubblico servizio, ovvero adducendo di doverne comprare il favore o soddisfare le richieste, fa dare o promettere a sé o ad altri denaro o altra utilità, quale prezzo per la propria mediazione o quale remunerazione per il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio, è punito con la reclusione da tre a sette anni.

La stessa pena si applica, nei casi di cui al primo comma, a chi versa o promette denaro o altra utilità.

La condanna importa l’interdizione perpetua dai pubblici uffici.

Le pene previste dal primo e dal secondo comma sono aumentate se il soggetto che vanta credito presso un pubblico ufficiale o un incaricato di pubblico servizio, ovvero adduce di doverne comprare il favore o soddisfare le richieste, riveste la qualifica di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio.

Le pene previste dal primo e dal secondo comma sono, altresì, aumentate se i fatti ivi previsti sono commessi in relazione all’esercizio di attività giurisdizionali.»;

o) all’articolo 357, dopo il primo comma è inserito il seguente:

«Sono altresì pubblici ufficiali agli effetti della legge penale i soggetti che esercitano funzioni o attività corrispondenti a quelle dei pubblici ufficiali nell’ambito di Stati esteri o di organizzazioni pubbliche internazionali»;

p) all’articolo 358, dopo il primo comma è inserito il seguente:

«Sono altresì incaricati di un pubblico servizio agli effetti della legge penale i soggetti che esercitano attività corrispondenti a quelle degli incaricati di un pubblico servizio nell’ambito di Stati esteri o di organizzazioni pubbliche internazionali»;

q) all’articolo 368 è aggiunto, in fine, il seguente comma:

«Le pene previste dai commi primo, secondo e terzo, prima parte, sono aumentate fino a due terzi quando il delitto è stato commesso mediante una dichiarazione rilevante agli effetti dell’applicazione delle circostanzedi cui al secondo comma dell’articolo 323-bis»;

r) dopo l’articolo 513-bis è inserito il seguente:

«Art. 513-ter. - (Corruzione nel settore privato). – È punito con la reclusione da uno a cinque anni chiunque, nell’esercizio di un’attività professionale ovvero di direzione di un ente di diritto privato, di lavoro alle dipendenze dello stesso o comunque di prestazione della sua opera a favore del medesimo, indebitamente induce, sollecita o riceve, per sé o per un terzo, direttamente o tramite un intermediario, denaro o altra utilità, ovvero ne accetta la promessa, per compiere od omettere un atto, in violazione di un dovere, qualora dal fatto derivino o possano derivare distorsioni della concorrenza nel mercato ovvero danni economici all’ente o a terzi, anche attraverso una non corretta aggiudicazione o una scorretta esecuzione di un contratto.

Per violazione di un dovere ai sensi del primo comma si intende qualsiasi comportamento sleale che costituisca una violazione di un obbligo legale, di normative professionali o di istruzioni professionali ricevute o applicabili nell’ambito dell’attività dell’ente.

La pena di cui al primo comma si applica anche a chi, nell’esercizio di un’attività professionale ovvero di direzione di un ente di diritto privato, di lavoro alle dipendenze dello stesso o comunque di prestazione della sua opera a favore del medesimo, dà, offre o promette il denaro o altra utilità di cui al primo comma.

Per i delitti di cui al presente articolo, nei confronti dell’imputato che si adopera per evitare che l’attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori, anche aiutando concretamente l’autorità di polizia o l’autorità giudiziaria nella raccolta di elementi decisivi per la ricostruzione dei fatti ovvero per il sequestro delle somme o altre utilità trasferite, la pena è diminuita fino alla metà»;

s) all’articolo 629 è aggiunto, in fine, il seguente comma:

«La stessa pena di cui al secondo comma si applica quando la violenza o minaccia è commessa da un pubblico ufficiale o da un incaricato di un pubblico servizio con abuso dei poteri o violazione dei doveri inerenti alla sua qualità o alle sue funzioni. In ogni caso si applica la pena accessoria dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici».

Art. 2.

(Modifica alle norme di attuazione,

di coordinamento e transitorie del codice

di procedura penale)

1. All’articolo 133, comma 1-bis, delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, di cui al decreto legislativo 28 luglio 1989, n.271, le parole: «317, 318, 319, 319-ter e 320» sono sostituite dalle seguenti: «319, 319-ter, 322, 346, quarto comma, e 629, terzo comma,».

 

Art. 3.

(Modifiche al decreto-legge 8 giugno 1992, n.306, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n.356)

1. All’articolo 12-sexies del decreto-legge 8 giugno 1992, n.306, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n.356, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) al comma 1, le parole: «317, 318, 319, 319-ter, 320, 322, 322-bis, 325» sono sostituite dalle seguenti: «319, 319-ter, 322, 325, 346» e dopo la parola: «416-bis» è inserita la seguente: «513-ter»;

b) al comma 2-bis, le parole: «317, 318, 319, 319-ter, 320, 322, 322-bis e 325» sono sostituite dalle seguenti: «319, 319-ter, 322, 325, 346 e 629, terzo comma,».

 

Art. 4.

(Modifiche al testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali)

1. Al testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n.267, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) all’articolo 58, comma 1, lettera b), le parole: «317 (Concussione), 318 (Corruzione per un atto d’ufficio), 319 (Corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio), 319-ter (Corruzione in atti giudiziari), 320 (Corruzione di persona incaricata di un pubblico servizio) sono sostituite dalle seguenti: «319 (Corruzione), 319-ter (Corruzione in atti giudiziari), 322 (Istigazione alla corruzione), 346 (Traffico di influenze illecite), 513-ter (Corruzione nel settore privato) e 629 (Estorsione)»;

b) all’articolo 59, comma 1, lettera a), le parole: «317, 318, 319, 319-ter e 320» sono sostituite dalle seguenti: «319, 319-ter, 322, 325, 346, 513-ter, 629».

 

Art. 5.

(Modifica alla legge 27 marzo 2001, n.97)

1. All’articolo 3, comma 1, della legge 27 marzo 2001, n.97, le parole: «317, 318, 319, 319-ter e 320» sono sostituite dalle seguenti: «319, 319-ter, 322, 346, quarto comma, e 629, terzo comma,».

 

Art. 6.

(Modifica al decreto-legge 17 settembre 1993, n.369, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 novembre 1993, n.461)

1. All’articolo 2, comma 1, del decreto-legge 17 settembre 1993, n.369, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 novembre 1993, n.461, le parole: «317, 318, primo comma, 319, 319-ter, 320, 321, 323, secondo comma, e 326, terzo comma, prima parte,» sono sostituite dalle seguenti: «319, 319-ter, 322, 323, secondo comma, 326, terzo comma, prima parte, 346, quarto comma, e 629, terzo comma,».

 

Art. 7.

(Modifica alla legge 16 febbraio 1913, n.89)

1. All’articolo 159, comma 3, della legge 16 febbraio 1913, n.89, e successive modificazioni, le parole: «concussione, corruzione, furto, appropriazione indebita aggravata, peculato, truffa e calunnia» sono sostituite dalle seguenti: «corruzione, furto, appropriazione indebita aggravata, peculato, truffa, calunnia ed estorsione».

 

Art. 8.

(Modifica al decreto legislativo

8 giugno 2001, n.231)

1. Al decreto legislativo 8 giugno 2001, n.231, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) l’articolo 25 è sostituito dal seguente:

«Art. 25. - (Corruzione e traffico di influenze illecite). – 1. In relazione alla commissione dei delitti di cui agli articoli 319, 322 e 346, primo, secondo e quarto comma, del codice penale, si applica all’ente la sanzione pecuniaria da duecento a seicento quote.

2. In relazione alla commissione dei delitti di cui agli articoli 319-ter e 346, quinto comma, del codice penale, si applica all’ente la sanzione pecuniaria da trecento a ottocento quote.

3. Le sanzioni pecuniarie previste per i delitti di cui ai commi 1 e 2 si applicano all’ente anche quando tali delitti sono stati commessi dalle persone indicate negli articoli 357, secondo comma, e 358, secondo comma, del codice penale.

4. Nei casi di condanna per uno dei delitti indicati nei commi 1 e 2 si applicano le sanzioni interdittive previste dall’articolo 9, comma 2, per una durata non inferiore a un anno.

5. In relazione ai delitti di cui agli articoli 319, 319-ter e 346 del codice penale, le sanzioni di cui ai commi 1 e 2 sono diminuite fino alla metà qualora taluna delle persone di cui all’articolo 5, comma 1, fornisca all’autorità investigativa o giudiziaria indicazioni determinanti ai fini del sequestro delle somme o delle altre utilità trasferite»;

b) all’articolo 25-bis.1:

1) al comma 1, lettera b), dopo la parola: «513-bis» è inserita la seguente: «,513-ter»;

2) dopo il comma 2 è aggiunto il seguente:

«2-bis. In relazione al delitto di cui all’articolo 513-ter del codice penale, la sanzione di cui al comma 1, lettera b), del presente articolo è diminuita fino alla metà qualora taluna delle persone di cui all’articolo 5, comma 1, fornisca all’autorità investigativa o giudiziaria indicazioni determinanti ai fini del sequestro delle somme o delle altre utilità trasferite».

Art. 9.

(Prescrizione degli illeciti amministrativi e tributari connessi al delitto di corruzione)

1. Quando è stato commesso un delitto di corruzione in occasione o comunque in relazione ad accertamenti tributari, contestazioni o irrogazioni delle relative sanzioni, ovvero per ottenere l’occultamento o il mancato perseguimento di violazioni amministrative, le decadenze previste per la notifica degli atti di contestazione o di irrogazione non si verificano dal momento della consumazione del predetto delitto fino al momento dell’esercizio dell’azione penale.

2. Sono altresì sospesi, nel periodo indicato al comma 1, i termini di prescrizione degli illeciti amministrativi, nonché i termini di prescrizione previsti per il diritto alla riscossione delle sanzioni irrogate.

 

Art. 10.

(Attività di contrasto e norme processuali)

1. All’articolo 9, comma 1, della legge 16 marzo 2006, n.146, dopo la lettera b) è aggiunta la seguente:

«b-bis) gli ufficiali di polizia giudiziaria della Polizia di Stato, dell’Arma dei carabinieri e del Corpo della guardia di finanza, appartenenti alle strutture specializzate o alla Direzione investigativa antimafia, nei limiti delle proprie competenze, i quali, nel corso di specifiche operazioni di polizia e al solo fine di acquisire elementi di prova in ordine ai reati di cui agli articoli 319, 319-ter, 346 e 629 del codice penale, commessi nell’ambito di associazioni per delinquere, anche transnazionali, compiono le attività di cui alla lettera a), ovvero promettono od offrono denaro o altra utilità, ovvero, anche attribuendosi qualità di altro pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio, simulano di accettarne la promessa o la consegna, direttamente o per interposta persona».

2. Quando è accertato, con sentenza definitiva di condanna o applicazione di pena, che è stata pronunziata sentenza in conseguenza del reato di cui all’articolo 319-ter del codice penale, il procuratore generale presso la corte d’appello nel cui distretto quest’ultima sentenza è stata pronunziata ne chiede la revisione. Nel giudizio di revisione si osservano, in quanto compatibili, le disposizioni del titolo IV del libro IX del codice di procedura penale. In tali casi il corso della prescrizione è sospeso dalla data di commissione del reato di cui all’articolo 319-ter del codice penale fino alla pronunzia definitiva di condanna o applicazione di pena per il medesimo reato.

3. Quando risulta che è stata pronunziata sentenza di condanna o di applicazione di pena ritenuta la circostanza attenuante di cui all’articolo 323-bis, secondo comma, del codice penale per effetto di dichiarazioni false o reticenti, il procuratore generale presso la corte d’appello nel cui distretto la sentenza è stata pronunziata ne chiede la revisione. Nel giudizio di revisione si osservano, in quanto compatibili, le disposizioni del titolo IV del libro IX del codice di procedura penale. In caso di accoglimento della richiesta di revisione il giudice riforma la sentenza di condanna e determina la nuova misura della pena. In caso di revoca della sentenza di applicazione di pena, la corte ordina la trasmissione degli atti al pubblico ministero presso il giudice che l’ha pronunziata. In tali casi il corso della prescrizione è sospeso dalla data di commissione del fatto fino alla pronunzia della sentenza di revisione.

 

Art. 11.

(Clausola di invarianza)

1. Dall’attuazione della presente legge non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico del bilancio dello Stato.

 

Art. 12.

(Entrata in vigore)

1. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.

 

 


 

SENATO DELLA REPUBBLICA

¾¾¾¾¾¾¾¾   XVI LEGISLATURA   ¾¾¾¾¾¾¾¾

 

N. 2340

DISEGNO DI LEGGE

d’iniziativa dei senatori DELLA MONICA, D’AMBROSIO, CAROFIGLIO, CHIURAZZI, GALPERTI, MARITATI, BARBOLINI, ADAMO, CECCANTI, INCOSTANTE, LUMIA, GARRAFFA, ARMATO, LEDDI e DE SENA

COMUNICATO ALLA PRESIDENZA IL 21 SETTEMBRE 2010

 

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Norme per la trasparenza, la prevenzione e la repressione

della corruzione e per il contrasto alla illegalità

nel settore pubblico e privato

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Onorevoli Senatori. – La lotta alla corruzione e ai reati che normalmente si pongono con essa in rapporto di interdipendenza funzionale (falso in scritture contabili, reati fiscali, riciclaggio e autoriciclaggio) costituisce uno degli obiettivi di politica anti-crimine prioritari a livello europeo ed internazionale, tant’è che le principali convenzioni in materia esprimono la preoccupazione per le conseguenze generate da pratiche corruttive diffuse: cattiva allocazione delle risorse pubbliche, alterazione delle regole sulla concorrenza, sistemi fiscali regressivi, riduzione degli investimenti diretti esteri. Si tratta di fattori che sono in grado di esercitare una funzione frenante sullo sviluppo economico del Paese e che richiedono un adeguato mutamento del quadro normativo in materia. Ciò è tanto più urgente se solo si considera che, quando la corruzione della pubblica amministrazione si salda con la criminalità organizzata, tale saldatura può costituire il grimaldello per cui l’impresa mafiosa riesce a fare il passaggio dalla gestione dei mercati «illegali» alla gestione dei mercati «legali». Se davvero l’Italia intende onorare gli obblighi assunti in sede internazionale, ponendosi in linea con il perseguimento di tali importanti obiettivi di politica anti-crimine, ma anche di politica economica e sociale – data, appunto, la riconosciuta devastante ricaduta delle pratiche corruttive sul sistema sociale ed economico – è necessario adeguare l’ordinamento interno, procedendo ad alcune improcrastinabili modifiche normative, rivedendo, innanzitutto, la materia della corruzione nel settore pubblico e prevedendo interventi anche nel settore privato.

Per chiarire le ragioni del disegno di legge, occorre un riepilogo di quanto avvenuto nelle legislature precedenti e in quella attuale.

Nel corso della XIII legislatura (1996-2001) il Governo Amato II presentò il disegno di legge atto Senato n. 4819 per la ratifica ed esecuzione della Convenzione civile sulla corruzione, fatta a Strasburgo il 4 novembre 1999, riservandosi di presentare a breve un disegno di legge per la ratifica della Convenzione penale sulla corruzione, fatta a Strasburgo il 27 gennaio 1999. Nel frattempo alcuni disegni di legge di iniziativa parlamentare, presentati da parlamentari dell’allora maggioranza, proponevano, comunque, modifiche legislative in materia di contrasto alla corruzione in linea con quelle che sarebbero state le previsioni della Convenzione penale di Strasburgo, approvata con un rilevante contributo dell’Italia.

Tra le proposte di modifica della legislazione più significative si ricordano, tra gli altri, il disegno di legge atto Senato n. 4006, d’iniziativa dei senatori Salvi, Russo, Calvi, Senese e Fassone, avente ad oggetto «Modifiche al codice penale in materia di corruzione», e la proposta di legge atto Camera n. 4723, d’iniziativa del deputato Giuliano Pisapia, avente ad oggetto «Modifiche al codice penale in materia di corruzione e concussione».

Tuttavia, non fu possibile prima della conclusione della legislatura portare a compimento l’iter di approvazione delle leggi di ratifica delle Convenzioni di Strasburgo e delle proposte di modifica del codice penale e processuale penale.

Si giunge, così, alla XIV legislatura (2001-2006), nell’ambito della quale il Governo Berlusconi non propose alcun disegno di legge per la ratifica delle Convenzioni di Strasburgo in materia penale e civile sulla corruzione e l’adeguamento dell’ordinamento nazionale. In quella legislatura è stata prevalente in materia l’iniziativa di parlamentari dell’opposizione. In particolare, alla Camera dei deputati, gli onorevoli Giovanni Kessler ed altri del gruppo Democratici di sinistra-l’Ulivo, fra i quali la deputata Anna Finocchiaro, presentarono la proposta di legge atto Camera n. 3215(1)( ), mentre altri parlamentari di opposizione, e in particolare alla Camera l’onorevole Giuliano Pisapia e in Senato il senatore Guido Calvi, riproposero, aggiornandoli, i disegni di legge di modifica all’ordinamento nazionale per il contrasto alla corruzione, già proposti nella XIII legislatura, e in linea con le disposizioni della Convenzione penale di Strasburgo contro la corruzione (si vedano, rispettivamente, l’atto Camera n. 1240, «Modifiche al codice penale in materia di corruzione e concussione», e l’atto Senato n. 486, «Modifiche al codice penale in materia di corruzione»).

Sempre nella XIV legislatura, inoltre, il Governo in carica scelse di non proporre un disegno di legge per la ratifica di un altro strumento internazionale di eccezionale rilevanza (assolutamente in sintonia con la Convenzione di Strasburgo in materia di corruzione), quale la Convenzione delle Nazioni Unite contro la corruzione, adottata dall’Assemblea generale con la risoluzione n. 58/4 del 31 ottobre 2003 ed aperta alla firma a Merida dal 9 all’11 dicembre 2003. Eppure a questa convenzione ancora una volta l’Italia aveva dato impulso nella sede delle Nazioni Unite, attraverso i propri rappresentanti ed esperti, e la Convenzione era stata sottoscritta dal Governo italiano a Merida.

Ancora è da ricordare che, sempre nel corso di tale legislatura, il Governo ha voluto la depenalizzazione del falso in bilancio, avvenuta con Decreto legislativo 11 aprile 2002, n. 61, «Disciplina degli illeciti penali e amministrativi riguardanti le società commerciali, a norma dell’articolo 11 della legge 3 ottobre 2001, n. 366». Tale decreto legislativo (adottato in base alla legge delega 3 ottobre 2001, n. 366) ha radicalmente modificato la disciplina del falso in bilancio e dei reati societari connessi, limitando in misura significativa l’area del penalmente rilevante, in particolare attraverso l’introduzione di soglie di punibilità (al di sotto delle quali il reato, appunto, non è punibile) e la trasformazione di molte fattispecie di pericolo in reati di danno, che quindi presuppongono la prova di un evento lesivo e non più soltanto dell’esposizione a pericolo dei beni tutelati (il risparmio).

Inoltre, sempre nella XIV legislatura, il Governo Berlusconi ha ampliato la possibilità per il Presidente del Consiglio dei ministri e per i commissari delegati di ricorrere alle ordinanze di protezione civile non solo per calamità naturali e catastrofi, ma per tutti quegli eventi che il Consiglio dei ministri, discrezionalmente, stabilisce essere dei «grandi eventi». Inoltre, ha autorizzato gli interventi all’estero della protezione civile «derivanti da calamità o eventi eccezionali». Tale ampliamento dei presupposti sostanziali ha permesso, in concreto, l’intervento con ordinanze in deroga alle norme vigenti, pressoché per qualsiasi tipo di evento, anche estraneo all’area dell’emergenza. Le ultime forzature sono poi avvenute nell’attuale legislatura, allorquando il Governo ha ottenuto l’approvazione di alcune disposizioni che prevedono ordinanze di protezione civile «per l’attuazione» di decreti-legge, oppure introducono clausole limitative del potere di ordinanza formulate in modo meno stringente rispetto a quanto previsto originariamente, completando il quadro con la norma che ha disposto la sottrazione delle ordinanze di protezione civile anche al controllo preventivo di legittimità della Corte dei conti, con efficacia retroattiva.

Nella XV legislatura (2006-2008) il Governo Prodi ha proposto due disegni di legge di ratifica delle convenzioni di Strasburgo sulla corruzione in materia penale e in materia civile:

–il 4 dicembre 2007, il disegno di legge atto Camera n. 3286, avente ad oggetto «Ratifica ed esecuzione della Convenzione penale sulla corruzione, fatta a Strasburgo il 27 gennaio 1999, nonché norme di adeguamento dell’ordinamento interno»;

–il 20 novembre 2007, il disegno di legge atto Camera n 3262, «Ratifica ed esecuzione della Convenzione civile sulla corruzione, fatta a Strasburgo il 4 novembre 1999».

Sempre nella XV legislatura il Governo Prodi ha presentato il disegno di legge atto Senato n. 2010, recante «Ratifica ed esecuzione della Convenzione delle Nazioni Unite contro la corruzione, adottata dall’Assemblea generale con la risoluzione n. 58/4 del 31 ottobre 2003 ed aperta alla firma a Merida dal 9 all’11 dicembre 2003, nonché norme di adeguamento interno».

La caduta del Governo, dopo solo venti mesi di attività, e la conseguente interruzione anticipata della legislatura impedirono ancora una volta di intervenire per la ratifica delle convenzioni internazionali e l’adeguamento del nostro ordinamento alle stesse e alle rinnovate esigenze di più efficace contrasto alla corruzione.

Nella XVI legislatura, quella in corso, si deve, ancora una volta, all’iniziativa parlamentare dell’opposizione la pressante richiesta di ratifica delle convenzioni di Strasburgo in materia di corruzione. In particolare:

–al gruppo del Partito democratico, che per quanto concerne la ratifica della Convenzione di Strasburgo in materia penale ha presentato il disegno di legge atto Senato n.2058(2)(  ), e per quanto riguarda la ratifica della convenzione di Strasburgo in materia civile ha sostenuto il testo già presentato nella precedente legislatura dal Governo Prodi, riproposto dal senatore Li Gotti, che nella XV legislatura aveva il ruolo di sottosegretario alla giustizia;

–al gruppo dell’Italia dei Valori, a prima firma del senatore Li Gotti, che ha riproposto i due disegni di legge governativi della precedente legislatura (atti Senato nn. 849 e 850) tesi alla ratifica ed esecuzione delle convenzioni di Strasburgo in materia civile e penale sulla corruzione e recanti norme di adeguamento dell’ordinamento interno.

Sempre all’iniziativa dell’opposizione si deve, poi, l’impulso per la ratifica della Convenzione ONU contro la corruzione. Solo dopo la presentazione del disegno di legge atto Senato n. 816 del gruppo del PD e del disegno di legge atto Senato n. 848 del gruppo dell’IDV, riproducenti il testo del disegno di legge presentato dal Governo Prodi nella XV legislatura, infatti, il Governo Berlusconi si è indotto a presentare il disegno di legge atto Senato n. 1594 per la ratifica della Convenzione citata, e, finalmente, è stato possibile pervenire alla ratifica della stessa con l’approvazione della legge 3 agosto 2009, n.116.

Peraltro, sempre nella XVI legislatura, il Governo, con il decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, ha disposto la soppressione dell’Alto Commissario per la prevenzione e il contrasto della corruzione e delle altre forme di illecito all’interno della pubblica amministrazione. Tale disposizione contrasta con l’articolo 6 della Convenzione delle Nazioni Unite contro la corruzione, ratificata, come si è detto, dall’Italia con legge 3 agosto 2009, n. 116, che impone che ciascuno Stato, e quindi anche il nostro Paese, debba garantire all’organo cui spetta assicurare il rispetto delle previsioni della Convenzione «l’indipendenza necessaria a permettere (...) di esercitare efficacemente le (...) funzioni, al riparo da ogni indebita influenza». Di conseguenza, l’attribuzione di tali delicate funzioni al Servizio anticorruzione e trasparenza del Dipartimento della funzione pubblica, ossia ad una struttura inserita in ambito governativo, non assicura le condizioni di indipendenza richieste. Inoltre il Servizio anticorruzione e trasparenza del Dipartimento della funzione pubblica ha compiti limitati al settore pubblico mentre occorre ampliare la visione al settore privato.

Ciò detto, cosa è accaduto per la ratifica delle Convenzioni di Strasburgo in materia civile e penale?

Fortunatamente il disegno di legge di ratifica della Convenzione sulla corruzione in materia civile sembra ben avviato, con l’approvazione da parte del Senato in 1ª lettura e la sua trasmissione alla Camera, dove è attualmente in corso di esame presso la III Commissione (atto Camera n. 3737).

Quanto alla Convenzione di Strasburgo sulla corruzione in materia penale, l’iter di approvazione dei disegni di legge di ratifica e adeguamento dell’ordinamento interno ha, invece, subito numerose battute di arresto presso le Commissioni riunite 2ª e 3ª del Senato. Dapprima perché il Governo aveva chiesto un rinvio preannunziando la presentazione di un proprio disegno di legge di ratifica, cosa, poi, non avvenuta; successivamente perchè il Governo, il 4 maggio 2010, ha presentato un disegno di legge, definito piano straordinario di contrasto alla corruzione (atto Senato n. 2156), avente ad oggetto «Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione». Con tale proposta normativa, assegnata alle Commissioni riunite 1ª e 2ª del Senato, il Governo ha definito nuove disposizioni di carattere interno, indipendenti dalla Convenzione di Strasburgo, e ha ottenuto di trasferire il dibattito sulla normativa di adeguamento della legislazione nazionale alla citata Convenzione in sede diversa da quella deputata alla ratifica. In questo modo i lavori delle Commissioni riunite 2ª e 3ª sono stati rallentati da Governo e maggioranza in attesa dell’approvazione del disegno di legge governativo di diretta incidenza sull’ordinamento nazionale, in materia penale, processuale penale e amministrativa. In conclusione, su proposta del Governo, approvata dalla maggioranza, si dovrà pervenire nelle Commissioni riunite 2ª e 3ª ad una normativa di ratifica «secca» della citata Convenzione penale di Strasburgo sulla corruzione, mentre tutte le innovazioni per il contrasto alla corruzione rimangono di stretta competenza delle Commissioni 1ª e 2ª, dove si deciderà se dare finalmente un nuovo assetto al contrasto contro l’illegalità e il malcostume in materia di reati contro la pubblica amministrazione e non solo(3)(   ).

Questo modo di procedere ha costretto l’opposizione a presentare in tempi rapidissimi ulteriori disegni di legge in materia di corruzione, contenenti la nuova disciplina dei delitti contro la pubblica amministrazione e contro l’industria e il commercio, nonché la corruzione nel settore privato, riproducendo in prima battuta la normativa presentata per la ratifica e l’attuazione della Convenzione penale di Strasburgo contro la corruzione, onde ottenere la riunione e la trattazione degli stessi unitamente al citato disegno di legge governativo atto Senato n. 2156.

In questa ottica, l’11 maggio 2010 è stato presentato dal gruppo del Partito democratico il disegno di legge atto Senato n. 2174(4)(    ) avente ad oggetto « Norme per il contrasto alla corruzione nella pubblica amministrazione e nel settore privato. Cause ostative all’assunzione di incarichi di governo, incandidabilità ed ineleggibilità dei responsabili per reati contro la pubblica amministrazione e collegati», laddove il gruppo dell’IdV ha proposto il disegno di legge atto Senato n. 2164 e il senatore D’Alia (UDC) il disegno di legge atto Senato n. 2168.

L’urgenza che ha accompagnato la presentazione del disegno di legge n. 2174 ha impedito di inserire nello stesso alcune norme indispensabili per il contrasto al fenomeno della corruzione: temi, tra l’altro, già affrontati nella mozione contro la corruzione presentata in Senato dal gruppo PD (atto di sindacato ispettivo n. 1-00269, pubblicato in allegtato al resoconto della seduta n. 357 del 13 aprile 2010)(5)(     ) e inseriti nella relazione che accompagna il disegno di legge n.2174, che, con la presente proposta, si intende arricchire.

Tale integrazione appare tanto più indispensabile, se solo si considera che il Governo, o parlamentari di maggioranza in appoggio all’azione di Governo, hanno proposto disegni di legge che indeboliscono gli strumenti di contrasto al crimine in generale e alla corruzione in particolare.

Si consideri al riguardo la proposta di depotenziamento dello strumento delle intercettazioni (telefoniche, telematiche, ambientali) nell’ambito di procedimenti per delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione, avanzata attraverso il disegno di legge atto Senato n. 1611(6)(      ) teso a restringerne ambito, durata, presupposti di ammissibilità e di utilizzabilità anche in altri procedimenti. Tale intervento è stato approvato dal Senato, con l’imposizione del voto di fiducia, in 2ª lettura, il 10 giugno 2010 ed è ora nuovamente all’esame della Camera dei deputati.

Occorre, poi, ricordare anche altri progetti di riforma, che, in modo disorganico, finiscono con ostacolare l’accertamento dei reati o limitare i poteri cognitori del giudice: ci si riferisce in particolare al disegno di legge governativo atto Senato n. 1440(7)(       ), nell’ambito del quale si propone di eliminare per i magistrati del pubblico ministero la possibilità di acquisire autonomamente la notitia criminis, nonché di sottrarre la polizia giudiziaria al controllo e al coordinamento del PM. Con lo stesso disegno di legge n. 1440, si configura l’effetto di estendere inevitabilmente i tempi dibattimentali con la prevista eliminazione della possibilità del giudice di espungere le prove manifestamente superflue o di ammettere prove d’ufficio, nonché di restringere i poteri cognitori del giudice con la prevista limitazione alla utilizzazione probatoria delle sentenze irrevocabili, che verrebbe consentita solo per i delitti di criminalità organizzata di cui agli articoli 51, commi 3-bis e 3-quater, e 407, comma 2, lettera a), del codice di procedura penale. Misure queste che limitano ulteriormente la possibilità di accertamento del reato in tempi compatibili con il regime prescrizionale previsto per gli illeciti in materia di corruzione, tanto più che, prestandosi a strumentalizzazioni a fini dilatori, esse renderanno più agevole la maturazione della prescrizione, specialmente per reati, come quelli contro la pubblica amministrazione, che si prescrivono in tempi relativamente brevi. La situazione è poi aggravata dalle misure previste con il disegno di legge atto Senato n. 1880(8)(        ), cosiddetto «processo breve», che prevede una causa di estinzione del processo nel caso in cui le singole fasi non si concludano nei termini fissati dal nuovo articolo 346-bis del codice di procedura penale. Il nuovo meccanismo di «estinzione del processo» sembra essere destinato ad incidere particolarmente sui procedimenti penali riguardanti le ipotesi di reato di corruzione di cui agli articoli da 318 a 322 del codice di procedura penale e sulla quasi totalità degli altri delitti contro la pubblica amministrazione oltre ad altri reati sensibili ai fini dell’accertamento del reato di corruzione, quali i reati societari o altri illeciti penali in materia di criminalità economica. Ebbene, al di là della considerazione che la fissazione di un termine perentorio per il compimento dei singoli gradi di giudizio, che produce l’effetto di estinguere il processo, non sembra collegarsi alla previsione costituzionale del giusto processo in senso oggettivo, applicare la cosiddetta «prescrizione processuale» senza interventi di razionalizzazione normativa significa solo determinare di fatto le condizioni per rendere impossibile l’accertamento processuale per intere categorie di gravi reati, tra cui in primis quelli di interesse pubblico.

In conclusione, al di là dell’intento dichiarato di combattere la corruzione, Governo e maggioranza con i disegni di legge richiamati finiscono per proporre l’introduzione di norme che, rinnegando i dispositivi sopranazionali di origine pattizia nel contrasto alla corruzione, ove approvate, sembrano avere l’intento di indebolire o meglio, azzerare a legislazione invariata, il contrasto alla corruzione e, per molti versi, al crimine organizzato, in particolare a quella fascia grigia tra mafie, pubblica amministrazione e società civile, che favorisce il crimine organizzato e altera la concorrenza e l’economia. Tra l’altro tali disposizioni, in particolare quelle del disegno di legge atto Senato n. 1880, appaiono contraddittorie rispetto alla volontà del Parlamento, in particolare in contrasto con altra legislazione recentemente approvata, quale la legge 3 agosto 2009, n. 116, di ratifica della Convenzione ONU contro la corruzione. E ciò a tacere del contrasto con le conclusioni del rapporto adottato il 2 luglio 2009 dai Paesi del Gruppo di Stati contro la corruzione (GRECO), cui l’Italia ha aderito nel 2007. Le soluzioni proposte, infatti, rischiano di impedire l’accertamento giudiziario se solo si considera che il reato di corruzione è già stato pesantemente condizionato dai nuovi termini di prescrizione previsti dalla legge 5 dicembre 2005, n. 251 (cosiddetta legge ex Cirielli): l’intreccio tra i due sistemi prescrizionali (un periodo breve per l’estinzione del reato ed un termine breve per la conclusione del processo) rischia di vanificare ogni sforzo nella lotta contro un reato che assai gravemente incide sulla correttezza della pubblica amministrazione, sulla tenuta del bilancio pubblico e sull’affidabilità economica del nostro Paese.

Tutto questo mentre la Corte dei conti rammenta che la corruzione e la frode, soprattutto nel settore dei contributi nazionali e dell’Unione europea, costituiscono patologie che continuano ad affliggere la pubblica amministrazione, evidenziando dati che non consentono ottimismi, e sottolinea come non appaiano indirizzati ad una vera e propria lotta alla corruzione il disegno di legge governativo sulle intercettazioni, che costituiscono uno dei più importanti strumenti investigativi utilizzabili allo scopo di contrastare la corruzione, e neppure l’aver dimezzato con la cosiddetta legge ex Cirielli del 2005 i termini di prescrizione per il reato di corruzione, ridotti da quindici a sette anni e mezzo, con il risultato che molti dei relativi processi si estinguono per prescrizione del reato poco prima della sentenza definitiva, malgrado vi siano state sentenze di condanna nei precedenti gradi di giudizio, con conseguenze ostative per l’esercizio dell’azione contabile sul danno all’immagine e con la dilatazione del ricorso alle impugnazioni, utilizzate a scopo dilatorio, e ulteriore ingolfamento del già compromesso sistema giudiziario.

Conseguentemente con il presente disegno di legge si intende integrare la normativa proposta in alcuni settori cruciali già indicati nella relazione di accompagnamento al disegno di legge n. 2174, quali:

–autoriciclaggio;

–falso in bilancio;

–falsa fatturazione;

–prescrizione;

–intercettazioni;

–appalti pubblici;

–banca dati;

–arbitrato;

–protezione civile e grandi eventi;

–autorità indipendente per il controllo sui fenomeni corruttivi nel settore pubblico e privato in relazione alla Convenzione ONU;

–obblighi di trasparenza e codici etici;

–incompatibilità.

Ciò premesso e ferme restando le considerazioni già esposte nella relazione introduttiva del disegno di legge n. 2174, si illustra qui di seguito l’impianto concettuale della presente proposta, con particolare riferimento alle modifiche del quadro normativo già proposte come indispensabili per perseguire le condotte di corruzione, dandone puntuale motivazione.

Come si è già spiegato, si è ritenuto necessario – oltre a dotare gli inquirenti di strumenti investigativi fondamentali, quale la possibilità di disporre attività di contrasto sotto copertura – ridefinire il quadro dei delitti contro la pubblica amministrazione in una maniera più aderente alle diverse forme di manifestazione di illegalità che si esplicano nell’ambito delle attività della pubblica amministrazione nel nostro Paese, ponendo attenzione, tra l’altro ed in particolare, ad individuare strumenti che possano contribuire a rompere quel «muro di omertà» tra corrotto e corruttore, sulla cui base si spiega l’elevata cifra oscura che caratterizza tali delitti e che rende estremamente difficile accertare simili illeciti. Pertanto, oltre ad una più generale revisione della disciplina dei delitti contro la pubblica amministrazione, il presente disegno di legge introduce una notevole riduzione di pena per l’imputato che si adopera fornendo una concreta e fattiva collaborazione per la ricostruzione dei fatti, per l’individuazione o la cattura degli altri responsabili o per il recupero delle somme versate o delle altre utilità trasferite.

In linea generale, quindi, si rileva che con le innovazioni normative proposte si ridisegna, sostanzialmente, il quadro dei delitti contro la pubblica amministrazione, trasferendo la condotta di concussione per costrizione all’interno di quelle di estorsione e la condotta di concussione per induzione all’interno della nuova fattispecie di corruzione, la quale ricomprende in sé il disvalore penale degli articoli 318, 319 e 321 del codice penale attualmente vigenti, prevedendo in ogni caso anche la punibilità del corruttore. Data l’enorme difficoltà che spesso si incontra ad individuare – una volta accertato nel corso dell’indagine che il pubblico ufficiale ha ricevuto congrue o notevoli somme di danaro e identificata la persona che glieli ha corrisposti – gli atti dell’ufficio posti in essere per conto della persona che ha corrisposto le somme, è stata introdotta, nell’articolo 319, anche la punibilità delle dazioni di danaro o di altre utilità fatte comunque al pubblico ufficiale o all’incaricato di pubblico servizio in ragione della funzione esercitata. Si è voluto, così, punire la condotta di coloro che, in cambio di denaro o di altre utilità, a volte versate loro periodicamente, si mettono praticamente al servizio di chi è interessato ad ottenere che gli stessi operino, al momento giusto, in violazione dei doveri di fedeltà, di imparzialità e onestà, o di leggi, regolamenti o circolari. La norma riguarda, quindi, un’ipotesi di pubblico ufficiale che si attiva (o che non si attiva) in ragione della sua funzione, dietro corrispettivo. È stata anche abolita la distinzione tra atti (o attività) d’ufficio e atti (o attività) contrari ai doveri d’ufficio, essendo ugualmente censurabile la condotta del pubblico ufficiale che riceve denaro o altre utilità, come è censurabile chi le offre, in quanto egli ne trae sempre vantaggio in relazione agli altri che si comportano onestamente. Né è senza significato che tale distinzione ha sempre offerto agli indagati il pretesto per allungare i tempi di definizione dei processi. In base alla modifica apportata, sarà il giudice, in concreto, nell’applicazione della pena, a tener conto dell’atto o dell’attività compiuti o richiesti. Inoltre, si è previsto un sensibile inasprimento delle sanzioni penali per i reati più gravi contro la pubblica amministrazione, anche nel minimo edittale, per evitare che l’applicazione generalizzata di attenuanti determini la concreta inefficacia della sanzione. L’apparato sanzionatorio in vigore, infatti, risulta inadeguato rispetto alla gravità dei comportamenti e all’impatto sociale ed economico di reati di tale tipo e, a causa del sistema prescrizionale introdotto dalla citata legge 5 dicembre 2005, n. 251 (cosiddetta «ex Cirielli»), rischia, di fatto, di impedire l’accertamento giudiziario dei reati di corruzione.

Da un lato, si è quindi provveduto a razionalizzare la normativa vigente, semplificando la classificazione delle condotte criminose e la valutazione del disvalore penale di ognuna di esse; dall’altro lato, si è conferita rilevanza anche a quelle condotte le quali, pur emblematiche di una particolare offensività nei confronti del buon andamento della pubblica amministrazione e idonee ad ingenerare dubbi sulla sua effettiva imparzialità ed efficienza, non risultano, tuttavia, in alcun modo sanzionate all’interno del sistema penale italiano. È stata, pertanto, a tale scopo introdotta la fattispecie del traffico di influenze illecite, meglio descritta più avanti (misura questa, peraltro, prevista specificamente anche dalla Convenzione penale sulla corruzione fatta a Strasburgo il 27 gennaio 1999) e volta a punire la condotta dei soggetti che si propongono come intermediari nel disbrigo di faccende corruttive, nonché di quelli che ne ricercano la collaborazione. Questa previsione si fonda su un aggiornamento della lettura del fenomeno corruttivo. Infatti, spesso oggi la tradizionale forma bilaterale della corruzione si spezza in due parti: la retribuzione viene ricevuta dall’intermediario, mentre l’attività amministrativa illecita viene svolta da un diverso soggetto; in un’altra occasione, poi, l’intermediario restituirà il favore ricambiando l’attività posta in essere dal pubblico ufficiale.

La differenza con la «vecchia» corruzione è evidente e può essere paragonata alla differenza che passa tra un semplice baratto e una più sofisticata triangolazione: si inserisce una nuova figura di intermediario e il soggetto che riceve la retribuzione è diverso da quello che compie l’attività amministrativa «di favore».

Si è, poi, inteso individuare – parallelamente a quanto sperimentato nell’ambito dell’azione di contrasto alla criminalità organizzata – uno strumento utile all’emersione del fenomeno corruttivo, così diffusamente pervasivo del tessuto economico-sociale e del sistema istituzionale del nostro Paese. A tal fine è stata prevista, con riferimento al reato di corruzione e corruzione in atti giudiziari, la possibilità di una forte riduzione di pena (fino a due terzi) nei casi in cui si determini da parte dell’imputato una concreta e fattiva collaborazione.

Parallelamente, al fine di contrastare fenomeni di corruttela e malaffare nel settore privato, oggi non esaustivamente tipizzati in fattispecie incriminatrici, si propone di introdurre, all’interno del capo II del titolo VIII del libro II del codice penale, relativo ai delitti contro l’industria e il commercio, il delitto di corruzione nel settore privato (estensibile agli enti in virtù del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231), consistente nella condotta di induzione, sollecitazione o ricezione di denaro od altra utilità, o nell’accettazione della relativa promessa, per compiere od omettere un atto, in violazione di un dovere, qualora ne derivino o possano derivarne distorsioni della concorrenza nel mercato ovvero danni economici all’ente o a terzi, anche attraverso una non corretta aggiudicazione o una scorretta esecuzione di un contratto. Anche in tal caso è stata prevista una diminuzione di pena in caso di concreta collaborazione da parte dell’imputato. L’introduzione di tale fattispecie incriminatrice risponde, peraltro, all’esigenza di dare piena attuazione alla decisione quadro 2003/568/GAI del Consiglio, del 22 luglio 2003, relativa alla lotta contro la corruzione nel settore privato.

Per l’analisi nel dettaglio delle norme riproposte con il presente disegno di legge e già oggetto del disegno di legge n. 2174, si rinvia alla relazione di accompagnamento a tale proposta normativa.

Alle ulteriori modifiche normative proposte con il presente disegno di legge si dedica qui di seguito una specifica illustrazione.

 

Autorità nazionale anticorruzione

A seguito della soppressione dell’ufficio dell’Alto Commissario anti-corruzione (la cui istituzione era avvenuta in corso di negoziazione della Convenzione ONU sulla corruzione), il presidente del Gruppo di Stati contro la corruzione (GRECO) che agisce nell’ambito del Consiglio d’Europa sin dal luglio 2008 ha chiesto spiegazioni all’Italia in sede di Consiglio d’Europa. Le informazioni rese al riguardo dal Governo, sulle ragioni di tale decisione e sulle probabili conseguenze nella lotta alla corruzione in Italia, appaiono contraddette dal fatto che il Servizio anticorruzione e trasparenza (SAeT), istituito nel 2008 presso il Dipartimento della funzione pubblica (che sostituisce l’Alto commissario), non solo non ha dotazioni adeguate umane e strumentali, ma difetta di poteri autonomi di monitoraggio e vigilanza, tant’è che nel rapporto al Parlamento, presentato il 17 novembre 2009, si limita a raggruppare e commentare i dati resi disponibili dal Ministero dell’interno e nelle relazioni del presidente della Corte dei conti e dal procuratore generale presso la Corte dei conti. È assente, quindi, un’accurata rilevazione quantitativa e qualitativa, indispensabile per verificare l’andamento della corruzione nel tempo ed individuare i settori su cui maggiormente essa incide. I dati sui delitti denunciati per l’arco temporale 2004-2008, essendo aggregati, non consentono di «isolare» il fenomeno della corruzione nella sua specificità criminologica. Vengono, infatti, riportate cumulativamente due categorie di illeciti tra cui corrono differenze sostanziali: i delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione (tra cui corruzione, concussione, abuso d’ufficio, peculato) e i delitti dei privati contro la medesima PA o il suo patrimonio (indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato, truffa, turbata libertà degli incanti). Tale rilevazione altera il quadro della distribuzione geografica del fenomeno, tant’è che il rapporto assegna alle regioni meridionali (tra cui Calabria e Puglia) il più alto tasso di denunce di reati genericamente «collegati alla corruzione». Se la corruzione viene considerata isolatamente da frodi e truffe, come sarebbe corretto fare in ragione delle sue peculiarità, la distribuzione geografica appare del tutto diversa: la corruzione emerge poco, e comunque ancor meno, nelle regioni (soprattutto quelle meridionali) in cui è più presente la criminalità organizzata. Ciò pone ancora una volta il problema, già evidenziato in occasione della ratifica della Convenzione ONU del 2003 sulla corruzione, dell’indipendenza dell’organo deputato ad assicurare il rispetto delle previsioni della Convenzione sulla corruzione, ratificata dal Parlamento italiano, ed a fornire efficaci elaborazioni utili alle politiche di contrasto a tale fenomeno. Va, quindi, ripristinato l’Alto Commissario per la prevenzione e il contrasto della corruzione nel settore della pubblica amministrazione e ne vanno estese le funzioni, da esercitare in assoluta indipendenza, anche al settore privato. A questa autorità, così ripristinata e ridisegnata, va attribuito il ruolo di assicurare il rispetto delle previsioni della Convenzione ONU sulla corruzione, ratificata con legge 3 agosto 2009, n.116.

Modifiche alle disposizioni concernenti il Dipartimento della protezione civile, in particolare in materia di grandi eventi, e ripristino del controllo preventivo di legittimità sulle ordinanze di protezione civile da parte della Corte dei conti

Le modifiche che si propongono intendono escludere la gestione dei «grandi eventi» dalla competenza della protezione civile (con l’abrogazione del comma 5 dell’articolo 5-bis del decreto-legge 7 settembre 2001, n.343, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 novembre 2001, n. 401) ovvero limitarne l’ambito di intervento; intendono inoltre reintrodurre il controllo preventivo della Corte dei conti sulle ordinanze di protezione civile. In questi ultimi anni, difatti, si è verificata una anomala espansione quantitativa ed applicativa delle ordinanze di protezione civile, che, pur non avendo forza di legge, possono derogare alla normativa primaria. Ci troviamo, in buona sostanza, di fronte a una duplice scelta politica: il ricorso a poteri normativi comunque straordinari e, fra questi, la preferenza per le ordinanze d’urgenza anche rispetto ai decreti-legge, tanto che si può fondatamente ipotizzare un vero e proprio sistema parallelo.

Due decreti-legge, rispettivamente nel corso della XIV e della XVI legislatura, hanno introdotto disposizioni che hanno ampliato eccessivamente l’ambito applicativo di strumenti disegnati per fronteggiare le emergenze dall’articolo 5, comma 1, della legge 24 febbraio 1992, n. 225, sovrapponendo e confondendo urgenza ed emergenza.

In particolare, il citato decreto-legge 7 settembre 2001, n. 343, recante «Disposizioni urgenti per assicurare il coordinamento operativo delle strutture preposte alle attività di protezione civile e per migliorare le strutture logistiche nel settore della difesa civile», convertito, con modificazioni, dalla legge 9 novembre 2001, n. 401, all’articolo 5-bis, comma 5, ha esteso l’applicazione delle disposizioni di cui all’articolo 5 della legge 24 febbraio 1992, n. 225, «Istituzione del servizio nazionale della protezione civile», relative al potere di ordinanza, «alla dichiarazione dei grandi eventi rientranti nella competenza del Dipartimento della protezione civile e diversi da quelli per i quali si rende necessaria la delibera dello stato di emergenza». Inoltre, con una norma di interpretazione autentica, il decreto-legge 23 maggio 2008, n. 90, «Misure straordinarie per fronteggiare l’emergenza nel settore dello smaltimento dei rifiuti nella regione Campania e ulteriori disposizioni di protezione civile», convertito, con modificazioni, dalla legge 14 luglio 2008, n. 123, ha stabilito – all’articolo 14 – che i provvedimenti adottati per i «grandi eventi» non sono soggetti al controllo preventivo di legittimità della Corte dei conti.

In questo modo, come ha sottolineato il Presidente della Repubblica, si è inciso sulla ordinaria ed ordinata gerarchia delle fonti del diritto. L’uso improprio delle ordinanze di protezione civile si è tradotto, infatti, in più occasioni in un abuso del ricorso ad ordinanze con forza derogatoria nei confronti di molte leggi dello Stato, trasformando da straordinario in ordinario un delicato strumento dell’azione pubblica, eludendo così i requisiti di trasparenza nelle procedure. E questo contrasta anche con una consolidata giurisprudenza costituzionale formatasi sulla legge n. 225 del 1992, poiché la mera dichiarazione di grande evento rappresenta un’alterazione dei presupposti sostanziali della decretazione di emergenza, oltre a stravolgere la missione della protezione civile nazionale.

È opportuno ricordare, tra l’altro, che secondo la Corte dei conti (cfr. Corte dei conti, sezione centrale di controllo di legittimità su atti del Governo e delle Amministrazioni dello Stato, deliberazione n. 5/2010/P del 4 marzo 2010) non qualsiasi grande evento rientra nella competenza del Dipartimento della protezione civile, ma vi rientrano solo quegli eventi che, pur se diversi da calamità naturali e catastrofi, determinano situazioni di grave rischio per l’integrità della vita, dei beni, degli insediamenti e dell’ambiente dai danni o dal pericolo di danni. Più in generale, nella citata delibera la Corte dei conti ha sottolineato che nella relazione al Parlamento sull’esercizio 2008 (Volume II, Ministeri istituzionali, pag. 159) già le sezioni riunite della stessa Corte avevano segnalato che «le ordinanze di protezione civile, soprattutto a partire dal 2002, hanno progressivamente esteso il loro ambito operativo con riflessi anche quantitativi sulla nuova classificazione di bilancio in ordine al “soccorso civile“».

In sostanza un grande evento, secondo i giudici contabili, non è una vicenda assimilabile a situazioni emergenziali quali terremoti ed alluvioni e, sulla base di tale principio, la sezione centrale di controllo di legittimità ha affermato che deve considerarsi priva di efficacia, in mancanza di visto e in assenza (in alternativa) dell’infruttuoso decorso dei termini previsti dall’articolo 27 della legge 24 novembre 2000, n. 340, l’ordinanza di protezione civile n. 3838 del 30 dicembre 2009 che stanziava 4 milioni di euro per l’organizzazione e lo svolgimento della Louis Vuitton World Series presso l’isola de La Maddalena, confermando un orientamento già espresso in precedenza, quando non aveva dichiarato legittima l’ordinanza riguardante le manifestazioni legate alle celebrazioni per i 150 anni dell’Unità d’Italia e per l’Expo 2015 che, come quella in esame, aspirava a sottrarsi al controllo preventivo di legittimità. Inoltre, con la citata deliberazione, la Corte dei conti ha avanzato dubbi di legittimità costituzionale in merito al citato articolo 14 del decreto-legge n. 90 del 2008, in base alla considerazione che l’articolo 100, secondo comma, della Costituzione espressamente disciplina la funzione di controllo preventivo della Corte dei conti, e ciò rende poco plausibile che con una legge ordinaria si intervenga per escludere dal controllo alcuni provvedimenti amministrativi che, attesa la loro importanza, meritano più di altri una preventiva verifica di legittimità. Quanto esposto impone una riflessione, oltre che sul versante squisitamente contabile, anche su quello ordinamentale, a partire dalla verifica della sussistenza dei presupposti legittimanti il ricorso ad uno strumento che, ex se, non dovrebbe essere considerato sostitutivo delle ordinarie procedure allorché non siano rinvenibili situazioni realmente emergenziali e, in quanto tali, non prevedibili. Conseguentemente occorre intervenire con legge per evitare che il Governo, grazie alle modifiche normative già ricordate, possa continuare a decidere, con giudizio insindacabile, di definire «grandi eventi», anche in mancanza dei presupposti dello stato di emergenza, attività non calamitose, come già avvenuto per attività istituzionali, incontri, manifestazioni religiose e sportive, esposizioni, che ben si potevano affrontare con gli strumenti della legislazione ordinaria, determinando un ulteriore spostamento del bilanciamento tra potere legislativo ed esecutivo. Fatto tanto più ingiustificato se si considera che frequentemente l’urgenza degli interventi non è neppure caratterizzata da «avvenimenti imprevedibili per l’amministrazione» ma, al contrario, da situazioni largamente prevedibili e conosciute con ampio anticipo, come è accaduto, ad esempio, per il semestre italiano di presidenza dell’Unione europea. Occorre, pertanto, riportare la situazione alle regole generali, partendo dalla considerazione che un intervento legislativo mirato consente di porre fine ad una situazione non più accettabile, che ha dato fondatamente avvio ad inchieste giudiziarie per reati conto la pubblica amministrazione (in particolare per fatti di corruzione), e ciò anche per preservare la capacità di intervento della protezione civile in occasione di catastrofi o calamità naturali, ovvero di eventi imprevedibili. Quindi è necessario eliminare dalla legge 24 febbraio 1992, n. 225, ogni riferimento ai cosiddetti «grandi eventi» e, con la modifica inserita nel presente disegno di legge, si propone innanzitutto di abrogare l’articolo 5-bis, comma 5, del decreto-legge 7 settembre 2001, n. 343, in modo che solo la dichiarazione dello stato di emergenza possa giustificare il ricorso a ordinanze in deroga alla legge vigente. Occorre conseguentemente intervenire, abolendola, anche sulla normativa di interpretazione autentica dell’articolo 5 della legge n. 225 del 1992 che, come si è detto, con decreto-legge 23 maggio 2008, n. 90, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 luglio 2008, n. 123, ha escluso con efficacia retroattiva, anche per i grandi eventi, il controllo preventivo di legittimità della Corte dei conti. Ulteriormente va delimitata la nozione di «altri eventi» contenuta nella legge 24 febbraio 1992, n. 225, istitutiva del sistema di protezione civile, introducendo il requisito della imprevedibilità dell’evento (non calamitoso) unitamente al pericolo per l’incolumità della vita, dei beni, dell’ambiente, ossia agli altri presupposti già previsti dalla legge per legittimare il ricorso alle ordinanze di carattere emergenziale. Infine occorre limitare, anche per le attività di protezione civile all’estero, la gestione dei grandi eventi, attribuiti alla protezione civile con l’inserimento nell’articolo 4, comma 2, del decreto-legge 31 maggio 2005, n. 90, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 luglio 2005, n. 152, del richiamo all’articolo 5-bis, comma 5, del decreto-legge 7 settembre 2001, n. 343, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 novembre 2001, n. 401.

Modifiche al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 – Codice dei contratti pubblici

a) Banca dati – anagrafe unica dei contratti pubblici

La norma relativa alla istituzione di tale banca dati è di fondamentale importanza ai fini del raggiungimento dell’obiettivo della trasparenza e, quindi, della prevenzione del delitto di corruzione e più in generale dei reati contro la pubblica amministrazione oggetto del presente disegno di legge. La previsione della creazione di una banca dati e anagrafe unica dei contratti, valida per qualunque tipo di contratto e di stazione appaltante, in grado di fornire in tempo reale le informazioni sui soggetti attuatori, sui contratti, sulle imprese partecipanti alle gare, sulle imprese esecutrici, sulle imprese subappaltatrici e sui noli, risponde all’esigenza di disporre con immediatezza di tutte le informazioni e di garantire la massima trasparenza del mercato degli appalti e consente di intervenire tempestivamente per contrastare fenomeni particolarmente gravi legati a fatti di scarsa trasparenza, se non di corruzione, e all’infiltrazione malavitosa nei contratti pubblici. Un repertorio comune, infatti, consentirebbe di trasformare la mole di dati informativi statistici, oggi raccolti presso i Ministeri, le regioni, le stazioni appaltanti, le imprese e l’Autorità di vigilanza, in un sistema di «dati gestionali» validati grazie alla possibilità di poterli incrociare fra loro; in tal modo la realizzazione della banca dati dei contratti pubblici consentirebbe di porre in essere strategie concertate di vigilanza e di controllo da parte della Autorità e di tutti gli altri soggetti deputati, in primis Ministero dell’interno e magistratura. In sintesi la ratio della norma che si propone è quella di creare un circuito virtuoso di conoscenza e controllo diffuso sull’attività contrattuale pubblica, in modo da favorire il rispetto della legalità ed il corretto agire della pubblica amministrazione, in funzione sia preventiva rispetto ai fenomeni di corruzione sia di garanzia dell’efficacia della gestione della spesa pubblica.

b)Risoluzione del contratto di appalto a seguito di accertamento di responsabilià in materia di corruzione ed altri gravi reati

La norma che si propone ha la finalità di tutelare la correttezza e la trasparenza nel settore degli appalti e l’affidabilità dell’appaltatore che, in caso di condanna per reati che offendono gravemente gli interessi dello Stato, deve essere rimosso dall’incarico ricevuto, anche in corso di esecuzione dello stesso.

c) Divieto di ricorso all’arbitrato per i contratti pubblici

Il divieto di ricorso all’arbitrato – già introdotto con il testo originario dell’articolo 32 della legge 11 febbraio 1994, n. 109 (cosiddetta «legge Merloni»), e poi abrogato dopo breve tempo dall’articolo 9-bis del decreto-legge 3 aprile 1995, n. 101, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 giugno 1995, n. 216 – è stato reintrodotto dalla legge n. 244 del 2007 (legge finanziaria 2008) che, ai commi 19 e 20 dell’articolo 3, ha previsto il divieto di inserimento di clausole compromissorie in tutti i contratti di lavori, servizi e forniture stipulati dalle pubbliche amministrazioni. In particolare, con tale previsione era fatto divieto alle pubbliche amministrazioni di inserire clausole compromissorie in tutti i loro contratti aventi a oggetto lavori, forniture e servizi ovvero, relativamente ai medesimi contratti, di sottoscrivere compromessi, a pena di nullità, con la previsione di illecito disciplinare e di responsabilità erariale per i responsabili dei relativi procedimenti. Le ragioni dell’introduzione del divieto erano da ricercarsi nella constatazione fattuale dell’insuccesso dell’istituto dell’arbitrato. L’Autorità di vigilanza sui lavori pubblici aveva, infatti, stimato che la percentuale di soccombenza della pubblica amministrazione, sia negli arbitrati amministrati, sia in quelli liberi, era sempre elevata così come risultava eccessivamente elevata la durata media degli arbitrati stessi (per l’anno 2007, di 351 giorni per gli arbitrati amministrati e di 465 per quelli liberi; per l’anno 2008, di 290 giorni per gli arbitrati amministrati e di 547 per quelli liberi). Successivamente, l’entrata in vigore del divieto in parola è stata differita al 1º luglio 2008 in forza dell’ articolo 15 del decreto-legge 31 dicembre 2007, n. 248, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 2008, n. 31, con la finalità di «consentire la devoluzione delle competenze alle sezioni specializzate di cui all’articolo 1 del decreto legislativo 27 giugno 2003, n. 168». Il termine di entrata in vigore del divieto è stato, quindi, più volte ulteriormente prorogato: prima, fino al 31 dicembre 2008 dall’ articolo 4-bis, comma 12, del decreto-legge 3 giugno 2008, n. 97, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 agosto 2008, n. 129; quindi, al 30 marzo 2009 dall’articolo 1-ter del decreto-legge 23 ottobre 2008, n. 162, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2008, n. 201; ancora, al 31 dicembre 2009 dall’articolo 29, comma 1-quinquiesdecies, del decreto-legge 30 dicembre 2008, n. 207, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 2009, n. 14 (cosiddetto decreto «milleproroghe») – che ha, peraltro, introdotto un’ulteriore modifica all’articolo 241 del codice dei contratti pubblici che disciplina l’arbitrato, prevedendo che «i compensi minimi e massimi stabiliti dalla tariffa allegata al regolamento di cui al decreto del Ministro dei lavori pubblici 2 dicembre 2000, n. 398, sono dimezzati. Sono comunque vietati incrementi dei compensi massimi legati alla particolare complessità delle questioni trattate, alle specifiche competenze utilizzate e all’effettivo lavoro svolto» – ed infine ulteriormente differito al 30 aprile 2010, in attesa del decreto di attuazione della direttiva 2007/66/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 dicembre 2007, sul contenzioso amministrativo. E proprio il decreto legislativo 20 marzo 2010, n. 53, adottato per l’attuazione della direttiva 2007/66/CE, malgrado il parere contrario del Partito democratico e le forti critiche avanzate in sede di audizione presso le Commissioni riunite Giustizia e Lavori pubblici del Senato dall’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici, ha reintrodotto il ricorso all’arbitrato sul presupposto che i tempi più veloci per la soluzione delle controversie, dovuti alle clausole compromissorie, si traducessero in un risparmio economico. L’effetto sperato non sembra, invece, raggiungibile e non vi sono segnali in tal senso; tra l’altro le spese aumentano e l’amministrazione continua ad essere soccombente nella maggioranza dei casi, mentre i rimedi potrebbero essere diversi, ad esempio migliorando l’efficienza e i tempi del giudizio e arginando ricorsi infondati, con l’introduzione di sanzioni, tra cui il pagamento di tutte le spese processuali. Si ritiene, quindi, di dover riprodurre con il presente disegno di legge il testo di alcune disposizioni contenute nella legge finanziaria 2008. Difatti, la condivisibile ratio che supportava tali norme, consistente non solo in una esigenza di trasparenza, ma anche di correzione delle pesanti criticità manifestatesi con costanza e gravità tali da portare l’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici ad esprimere pesanti rilievi in merito al ricorso a tale strumento, è ancora attuale (si vedano al riguardo gli interventi del presidente Giampaolino del 16 ottobre 2009 presso l’Avvocatura generale dello Stato e dell’11 febbraio 2010 in audizione presso le Commissioni riunite II e VII della Camera dei deputati sull’atto di governo n. 167, avente ad oggetto lo «Schema di decreto legislativo recante attuazione della direttiva 2007/66/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 dicembre 2007, che modifica le direttive 89/665/CEE e 92/13/CEE del Consiglio per quanto riguarda il miglioramento dell’efficacia delle procedure di ricorso in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici»).

In particolare, permangono le seguenti criticità.

L’arbitrato ha assunto una valenza tale da essere spesso considerato un momento, seppure ulteriore, dell’esecuzione del contratto e, pertanto, tenuto presente al momento della presentazione dell’offerta, così da conformare addirittura i comportamenti delle imprese, sempre più attente non tanto alla proposta ed alle soluzioni innovative, quanto al possibile esito positivo del successivo contenzioso, spesso arbitrale.

La circostanza, infatti, che l’arbitrato rappresenti una sorta di fase finale quasi costante delle procedure di affidamento dei contratti pubblici e che porti, con una regolarità quasi assoluta, alla declaratoria di soccombenza della pubblica amministrazione, rappresenta un dato preoccupante non solo sotto l’aspetto del detrimento del patrimonio pubblico – dato particolarmente rilevante in un momento di crisi economica – ma, altresì, di quello del deficit di efficienza dell’azione amministrativa che ne costituisce la causa ed, infine se non innanzitutto, del modo stesso di essere delle imprese: l’approdo all’immancabile contenzioso offre un eventuale salvataggio dall’offerta non congrua.

Il costo del giudizio arbitrale è, significativamente, più elevato di quello del giudizio ordinario, in quanto prevede tuttora, anche con la riduzione dei compensi agli arbitri, rilevanti spese oltre quelle per il segretario del collegio, nonché la quota pagata per il deposito del lodo, pari all’1 per mille del valore della controversia.

I dati elaborati dall’Autorità nel corso degli anni hanno mostrato un maggior costo complessivo delle opere pari al 30 per cento, come conseguenza del contenzioso.

Solo una minoranza degli arbitrati azionati si conclude entro il termine ordinario previsto per la pronuncia del lodo, ed anzi, in taluni casi, i procedimenti hanno avuto una durata di oltre settecento giorni per poi concludersi con un accordo transattivo.

Ove non sia intervenuta una transazione, le pubbliche amministrazioni sono risultate soccombenti nella grande maggioranza dei giudizi arbitrali, secondo una percentuale che si aggira intorno ai due terzi del totale e che, nel solo 2006, ha comportato oneri pari a 320.943.611 euro, senza contare le spese per lo svolgimento del giudizio (compensi agli arbitri, ai segretari e per il deposito del lodo). Per quanto riguarda l’anno 2008, i lodi adottati in esito a procedure amministrate sono stati 26, mentre i lodi depositati in esito ad arbitrati liberi sono stati 158. Il valore delle controversie degli arbitrati amministrati varia da un minimo di euro 42.311,62 ad un massimo di euro 35.311.105,66, per un valore medio delle controversie pari a euro 3.718.327,25; negli arbitrati «liberi», invece, il valore della controversia varia da un minimo di euro 22.423,27 ad un massimo di euro 360.000.000, per un valore medio delle controversie pari a euro 13.680.697,36. Per quanto riguarda la soccombenza, in entrambi i tipi di arbitrato l’amministrazione pubblica è risultata perdente (totalmente o parzialmente) nella quasi totalità dei casi: la stazione appaltante, infatti, è risultata soccombente nell’83 per cento dei casi mentre l’impresa è risultata soccombente nel 2 per cento dei casi. Per quanto riguarda la durata dei procedimenti, quelli amministrati hanno avuto una durata media di circa 289,65 giorni, mentre quelli liberi hanno avuto una durata media di circa 546,79 giorni. I dati elaborati dall’Autorità nel corso degli anni hanno mostrato un maggior costo complessivo delle opere pari al 30 per cento, come conseguenza del contenzioso. Le spese relative al compenso spettante agli arbitri hanno inoltre evidenziato un onere per la pubblica amministrazione valutato in 2 milioni di euro per gli arbitrati amministrati; per quelli liberi, riferito solo a 98 arbitrati su 158, l’onere è risultato pari a circa 17 milioni di euro.

Per quanto riguarda l’anno 2009, i lodi adottati ammontano a 175: in esito a procedure amministrate sono stati 39, mentre i lodi depositati in esito ad arbitrati liberi sono stati 136. Un’analisi compiuta su un campione di 60 procedure arbitrali ha rilevato che l’entità delle singole controversie è oscillata da un minimo di euro 77.000 ad un massimo di euro 10.000.000 negli arbitrati amministrati, mentre negli arbitrati liberi è oscillata da un minimo di euro 25.422 ad un massimo di euro 280.000.000. Per quanto riguarda la soccombenza, la percentuale di soccombenza delle stazioni appaltanti per le spese di funzionamento del collegio è risultata del 66,67 per cento e l’entità della condanna nel merito delle stazioni appaltanti, esclusi i compensi agli arbitri, le spese legali, per consulenti tecnici d’ufficio e generali, ammonta ad euro 111.655.319. Inoltre, sempre secondo questo campione, la percentuale media della condanna nel merito delle stazioni appaltanti è risultata pari al 31,88 per cento, così determinando l’entità della condanna generale delle stazioni appaltanti ad euro 115.407.675; la durata dei procedimenti è stata in media di 473 giorni; le spese relative al compenso spettante agli arbitri hanno evidenziato un onere pari ad euro 2.786.494.

I lodi arbitrali impugnati sono stati, a loro volta, nella gran parte dei casi, dichiarati nulli da parte della corte d’appello.

Si propone, pertanto, il divieto per le pubbliche amministrazioni di fare ricorso all’arbitrato e di inserire clausole compromissorie in tutti i loro contratti aventi ad oggetto lavori, forniture e servizi ovvero, relativamente ai medesimi contratti, di sottoscrivere compromessi.

Il divieto di arbitrato si applica alle pubbliche amministrazioni, individuate dall’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, nonché alle società partecipate dalle pubbliche amministrazioni ovvero agli enti pubblici economici. Per quanto concerne le conseguenze del divieto, si prevede la nullità delle clausole compromissorie ovvero dei compromessi comunque sottoscritti, nonché la configurabilità dell’illecito disciplinare e la responsabilità erariale per i responsabili dei relativi procedimenti. Con norma transitoria, peraltro, sono fatte salve le controversie relative a contratti già sottoscritti dalle amministrazioni alla data di entrata in vigore della legge, ove approvata.

Le modifiche proposte lasciano ferma la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, come disposto dall’articolo 244 del codice dei contratti pubblici, di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, e successive modificazioni.

In conclusione, mentre non vi sono ostacoli alla sola via giurisdizionale e le procedure presso i TAR ed il Consiglio di Stato possono essere rese più veloci anche attraverso l’istituzione di sezioni giudicanti specializzate in gare d’appalto, nessun obbligo di prevedere il ricorso all’arbitrato per la risoluzione delle controversie in materia di appalti pubblici discende dalla citata direttiva 2007/66/CE (cosiddetta «direttiva ricorsi»). Essa, infatti, lascia liberi gli Stati membri di definire le controversie anche attraverso organi non giudiziari, prevedendo soltanto, in tal caso, che questi abbiano requisiti di affidabilità e che siano adottate le modalità più appropriate.

Sotto il profilo della trasparenza si segnala, poi, che con disposizione normativa adottata nel 1999 (articolo 151, comma 5, lettera a), del decreto del Presidente della Repubblica 21 dicembre 1999, n. 554, avente ad oggetto il regolamento di attuazione della legge quadro in materia di lavori pubblici), sollecitata fortemente dall’Associazione nazionale magistrati, ai magistrati ordinari in servizio era stata preclusa la possibilità della partecipazione ai collegi arbitrali costituiti per la soluzione delle controversie in materia di appalti pubblici. La partecipazione dei magistrati ordinari agli arbitrati per le opere pubbliche è dunque, da tempo una pagina chiusa. Così non è, invece, per i giudici amministrativi e contabili e per gli avvocati dello Stato in servizio, così come si evince dal citato articolo 151 del decreto del Presidente della Repubblica n. 554 del 1999, successivamente trasfuso nell’articolo 242 del codice dei contratti pubblici. Rispetto agli appartenenti a tali categorie professionali continuano così a porsi problemi di inopportunità e di disagio, poiché si alimentano commistione dei ruoli di controllori e controllati e conflitti d’interesse. Occorre, invece, una separazione netta tra funzione istituzionale pubblica e interesse privato, laddove la semplice riduzione dei compensi arbitrali, introdotta nel codice dei contratti pubblici, non risulta idonea a superare e risolvere il problema.

In quest’ottica, al fine di rafforzare la trasparenza e prevenire conflitti di interesse, appare opportuno, in ogni caso, prevedere nei confronti dei magistrati in servizio di tutte le magistrature (amministrativa, contabile e militare oltre quella ordinaria) e per gli avvocati dello Stato un esplicito divieto di assumere incarichi arbitrali o altri incarichi analoghi, incompatibili con le funzioni rivestite.

Misure di trasparenza nell’assunzione di incarichi e divieto di assunzione di incarichi

Le norme che si propongono rispondono all’esigenza di evitare commistioni tra attività amministrativa e giudiziaria, al fine di assicurare che sia prevenuto qualsiasi conflitto di interesse, evitando ogni possibile interferenza tra le attività di controllore e di controllato.

Princìpi di trasparenza ed esigenze di imparzialità e buona amministrazione espressi dalla Carta costituzionale impongono di salvaguardare l’autonomia e l’indipendenza della funzione giudiziaria e il corretto svolgimento delle pubbliche funzioni in generale, prevenendo riscchi di collusione e corruzione.

Si prevedono, pertanto:

a) specifici divieti per i magistrati amministrativi nominati ai sensi dell’articolo 19, primo comma 1, numero 2), della legge 27 aprile 1982, n. 186, di svolgere funzioni diverse da quelle consultive per almeno otto anni dalla nomina e di assumere in quello stesso periodo incarichi anche gratuiti presso le pubbliche amministrazioni;

b) divieti per i magistrati ordinari, amministrativi, contabili e militari, per gli avvocati ed i procuratori dello Stato e i componenti delle commissioni tributarie di assumere incarichi arbitrali o altri ruoli che potrebbero influenzarne l’attività istituzionale o esporli a pericolo di condizionamenti, pena la decadenza dagli incarichi e la nullità degli atti compiuti.

Misure di trasparenza nell’assunzione di incarichi di governo

La mafia ha avuto da sempre un rapporto con la politica e con le istituzioni senza il quale non avrebbe le sue connotazioni, ma sarebbe solo criminalità comune. Una recente analisi della Direzione nazionale antimafia mette in luce che «non siamo più all’interno della tradizionale categoria mafia-politica, che presuppone l’esistenza di due entità diverse anche se in dialogo tra di loro, ma in una nuova dimensione, quella della mafia che tende a farsi, a proporsi, soggetto politico essa stessa, che come tale rivendica ruolo e visibilità, per contare nelle decisioni strategiche». Si va quindi, come già denunziato nella XIV legislatura, verso il rovesciamento di quell’antico rapporto per arrivare ad una rappresentanza di uomini politici e di spezzoni di partiti direttamente nelle cosche mafiose. Questa tendenza non ha sostituito il voto di scambio perché essa, al momento, non si è affermata dappertutto. Non tutti i partiti sono infiltrati nella stessa misura e non tutti i partiti si comportano allo stesso modo: ci sono partiti che sospendono o fanno dimettere i loro iscritti o li espellono; ci sono altri partiti che li coprono o li lasciano nei loro incarichi. Naturalmente, non è scomparsa la fase della mediazione e non può essere ignorata quella della collusione e della corruzione. Si tratta di sfaccettature di uno stesso intreccio, quello del rapporto perverso e pervasivo tra mafia e politica, tra mafia ed economia, tra mafia e potere pubblico. Questo rapporto, come ha posto in luce la Commissione parlamentare antimafia, è aumentato e sta segnando in modo significativo anche questa legislatura. Esso, peraltro, è destinato ad aumentare ulteriormente se la politica e il Parlamento non correranno rapidamente ai ripari. La modifica del sistema elettorale attribuisce alle formazioni politiche, ancor più che in passato, una responsabilità nella scelta dei candidati, essendo caduto l’alibi che la responsabilità è degli elettori che scelgono gli eletti. Per questo motivo è importante che i partiti si dotino di un codice etico di autoregolamentazione, con il quale dovrebbero impegnarsi ad escludere, dalle liste dei candidati al Parlamento nazionale ed europeo, alle assemblee regionali ed ai consigli provinciali, comunali e circoscrizionali, tutti coloro che siano stati condannati anche solo con sentenza di primo grado per una serie ben specificata e delimitata di delitti (tra i quali i reati di mafia, la corruzione, la concussione, la bancarotta fraudolenta, il falso in bilancio) e, per i reati più gravi, anche coloro che siano stati rinviati a giudizio, prescindendo dall’esito finale del giudizio. È difatti legittimo che la politica si tuteli direttamente, rendendosi autonoma dagli esiti giudiziari. Anche al di là dell’accertamento giudiziario di responsabilità penali, sono i partiti per primi che devono assicurare l’indipendenza e la moralità pubblica di ciascuno degli eletti. L’utilizzo del codice etico di autoregolamentazione porrebbe tutti i partiti in condizione di svolgere una funzione essenziale nel contrastare il rapporto mafia-politica, talvolta di immedesimazione altre volte mutuato da collusione e corruzione: selezionare adeguatamente la propria classe dirigente e determinare una scelta dei candidati libera dai continui tentativi di «condizionamento». In questo modo il codice etico di autoregolamentazione potrebbe rappresentare un tassello forte del percorso di riforma della politica: la responsabilità politica, in particolare, potrebbe recuperare terreno e diventare una vera e propria risorsa nella lotta alle mafie, alla corruzione, alla trasparenza nella pubblica amministrazione. La Commissione parlamentare antimafia, in questa legislatura, ha ritenuto di richiamare e approfondire in materia le riflessioni svolte e le conclusioni tratte, da ultimo, nel corso della XV legislatura, che avevano trovato sintesi, nella seduta del 3 aprile 2007, con l’adozione all’unanimità di un documento, definito «proposta di autoregolamentazione», offerto alle forze politiche allora in procinto di formare le liste dei candidati alle elezioni amministrative. Quindi la Commissione, considerando la perdurante attualità delle conclusioni allora tratte, nonché l’idoneità dello strumento allora adottato e della proposta fatta alle singole forze politiche di aderire su base volontaristica ad un protocollo di autoregolamentazione nella formazione delle liste dei propri candidati, ha approvato all’unanimità, in data 18 febbraio 2010, una relazione contenente un apposito codice di autoregolamentazione rivolto ai partiti, alle formazioni politiche ed alle liste civiche che vi aderiranno e concernente la formazione delle liste dei candidati per le elezioni regionali, provinciali, comunali e circoscrizionali. Conseguentemente, mentre la Commissione antimafia sta approfondendo la tematica dei codici di autoregolamentazione, per poi sottoporre al Parlamento proposte normative in materia di assemblee elettive, si ritiene fin da ora di proporre misure di trasparenza nell’assunzione degli incarichi di Governo e per il conferimento di incarichi di collaborazione con la pubblica amministrazione.

Modifiche al codice civile e altre disposizioni in materia di falso in bilancio, falso in prospetto, falso nelle relazioni dei revisori e di impediti controlli societari

In un disegno di legge di contrasto alla corruzione è necessario prevedere una rivisitazione dei reati fiscali e societari, a partire dal falso in bilancio, perché si tratta di illeciti che consentono di risalire ai reati di corruzione. Questi ultimi, nelle loro espressioni più gravi o comunque nei casi in cui coinvolgono persone giuridiche, sono spesso preceduti o seguiti da reati che, tra l’altro, consentono una pregnante attività investigativa, quali la frode fiscale e il reato di false comunicazioni sociali. A prescindere dai casi più semplici di corruzione, dove la remunerazione del pubblico ufficiale o del terzo interviene in contanti e per somme di denaro di scarsa entità, vi sono almeno tre elementi su cui possono concentrarsi le attività di contrasto: la determinazione delle modalità con cui si è formata la provvista in denaro; l’individuazione del circuito finanziario attraverso il quale è stata veicolata verso il pubblico ufficiale o i suoi referenti l’utilità in denaro; la destinazione impressa dal destinatario alla somma in questione.

Ai fini che qui interessano occorre ricordare che vi è una prima fase in cui il denaro, per essere utilizzato con finalità illecite, viene spostato da una dimensione di legalità ad una di illegalità, di regola attraverso la commissione di reati di frode fiscale, falso in bilancio e appropriazione indebita aggravata. Segue, quindi, una fase nella quale il denaro viene ricollocato, in forme diverse, in una dimensione di legalità e a tale momento appartengono tutte le problematiche relative al riciclaggio e all’auto-riciclaggio. Partendo dai reati societari, vi è stato un indebolimento nel contrasto in sede penale che ha, conseguentemente, impedito di risalire a fatti di corruzione. È pertanto necessario mettere mano rapidamente ad alcune improcrastinabili modifiche normative, rivedendo innanzitutto la materia della corruzione nel settore pubblico, introducendo reati quali il traffico di influenze illecite e la corruzione nel settore privato ed analogamente – posto che chi vuole corrompere ha necessità di disporre di fondi neri – intervenendo sulla struttura dei reati fiscali e del falso in bilancio. Infatti, per effetto del decreto legislativo 11 aprile 2002, n. 61, sono state ridotte le pene per il falso in bilancio, prevedendo soglie di non punibilità altissime e dando così vita ad una sorta di impunità per «modica quantità» di fondi neri; inoltre, e con conseguenze soprattutto per le società, il reato è stato reso perseguibile a querela di parte, querela che la parte offesa, creditore o azionista, difficilmente presenterà contro gli amministratori: il primo perché difficilmente a conoscenza del reato; il secondo perché di solito è lui stesso il mandante e il beneficiario del reato. La questione dell’insufficienza delle sanzioni attualmente stabilite in materia penale societaria – in conseguenza dell’azione liquidatoria svolta dalla maggioranza e dal Governo pro tempore della XIV legislatura mediante il sapiente combinato disposto del fulmineo decreto legislativo 11 aprile 2002, n. 61, e del titolo V della legge 28 dicembre 2005, n. 262 – è stata rilevata da più parti nel corso delle audizioni svoltesi nell’ambito dell’indagine conoscitiva sui rapporti fra il sistema delle imprese, i mercati finanziari e la tutela del risparmio presso le Commissioni riunite Finanze e Industria del Senato della Repubblica e Finanze e Attività produttive della Camera dei deputati.

Infatti, per effetto di tali modifiche molti reati sono stati degradati da delitti (punibili con la reclusione) a contravvenzioni (punibili con l’arresto), è stata ampiamente prevista la sola perseguibilità a querela ed è stata normativamente graduata la sanzione applicabile a seconda della sussistenza o meno di un danno patrimoniale. Appare quindi evidente, anche a seguito delle vicende finanziarie verificatesi in questi anni, l’esigenza di un rafforzamento delle sanzioni in materia societaria, prevedendo un inasprimento delle pene applicabili che fungano da efficace deterrente alla commissione di reati in una materia che, come quella in esame, coinvolge interessi generali della collettività. Le modifiche che si propongono in materia con il presente disegno di legge riproducono, con gli aggiustamenti nel frattempo resisi necessari per l’approvazione della citata legge n. 262 del 2005, la sostanza dell’atto Senato n. 759 della XV legislatura e costituiscono il doveroso seguito alla mozione sulla corruzione proposta e discussa in Senato in questa legislatura dal Partito democratico.

Misure in materia di contrasto dell’evasione e dell’elusione fiscale

Con le disposizioni contenute in un apposito articolo si intendono ripristinare una serie di norme di lotta all’evasione e all’elusione fiscale abrogate nel corso dell’attuale legislatura, non solo per garantire il buon andamento del gettito tributario derivante dal contrasto all’evasione, ma per ribadire ai contribuenti che la strada dell’evasione non è il percorso migliore per abbattere il proprio carico fiscale. Inoltre il ripristino della normativa risponde a quella esigenza di trasparenza che rafforza la lotta alla illegalità e, unitamente alle disposizioni in materia di falso in bilancio, consente un miglior contrasto al sistema della corruzione.

Modifiche all’articolo 354 del codice penale. Astensione dagli incanti

La disposizione è conseguente alle modifiche recentemente introdotte dal Parlamento agli articoli 353 e 353-bis dello stesso codice e a quelle che si propongono con il presente disegno di legge in materia di corruzione, traffico di influenza e corruzione nel settore privato.

Modifiche agli articoli 648-bis e 648-ter del codice penale in materia di autoriciclaggio

I reati di corruzione richiedono generalmente la disponibilità di somme di denaro, talora considerevoli, gestite extra-contabilmente dalle imprese, e più in generale la possibilità di rilevanti movimenti di denaro contante senza particolari controlli. Il pubblico ufficiale corrotto, che riceve tali disponibilità illecite, può occultarle o reinvestirle senza rischi ulteriori, poiché nel nostro ordinamento non è sanzionata la condotta di chi «ripulisce» o «investe» i proventi illeciti di un reato di cui è responsabile. Ciò rende ancora più complesse le indagini anche patrimoniali per i fatti di corruzione e impedisce la confisca dei proventi del reato.

Con questa modifica normativa si intende colmare una lacuna del nostro sistema penale, in materia di delitti contro il patrimonio (e oggi contro l’ordine economico), al fine di potenziare e rendere maggiormente efficace il contrasto al crimine organizzato e ai reati contro la pubblica amministrazione, conformando al contempo il nostro ordinamento alle indicazioni contenute nelle direttive comunitarie in materia (in particolare, direttiva 2005/60/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 ottobre 2005, e direttiva 2006/70/CE della Commissione, del 4 agosto 2006), nonché nella Convenzione ONU contro il crimine organizzato transnazionale, ratificata ai sensi della legge 16 marzo 2006, n. 146.

Come noto, infatti, il riciclaggio e il cosiddetto autoriciclaggio costituiscono alcuni dei principali canali di impiego dei proventi delittuosi, in particolare del crimine organizzato, dei reati economici e di corruzione, canali attraverso i quali le associazioni criminali, e non solo, occultano la provenienza delittuosa delle loro risorse e dai quali, soprattutto, traggono mezzi economici per potenziare la loro azione illegale.

Con le modifiche introdotte nel disegno di legge si intende, quindi, procedere ad una integrazione della normativa italiana in materia, in modo che la stessa, in linea con le legislazioni di altri Paesi e con le direttive europee, tenga conto dell’autonomo carattere offensivo dei procedimenti di investimento, prevalentemente nei mercati finanziari, del denaro di provenienza illecita, spesso espressione o supporto del crimine organizzato e di gravi fatti di corruzione.

Modifiche all’articolo 416-ter del codice penale. Scambio elettorale politico-mafioso

La criminalità organizzata costituisce oggi uno dei problemi della cui soluzione occorre farsi carico con assoluta priorità, anche per evitare che costituisca uno degli ostacoli principali allo sviluppo di molte regioni, soprattutto, ma non solo, quelle meridionali, del nostro Paese. Nonostante i pur numerosi provvedimenti ablativi disposti in relazione a beni riconducibili a tali organizzazioni, esse sono in grado di disporre tuttora di ingenti capitali e sono capaci di «inquinare» i diversi settori dell’economia e della politica, infiltrandosi in profondità nel tessuto sociale. A tal fine le mafie hanno sempre più bisogno di imprenditori, politici, magistrati, avvocati, professionisti, che ne consentano lo sviluppo, il proliferare. In questo senso si parla di «borghesia mafiosa», termine riferito a una parte della classe dirigente del nostro Paese collusa con la mafia o corrotta dalla stessa, che permette alla mafia di infiltrarsi nell’economia e nella politica.

In un recente documento i vescovi italiani hanno sottolineato come la mafia «non può e non deve dettare i tempi e i ritmi dell’economia e della politica meridionali, diventando il luogo privilegiato di ogni tipo di intermediazione e mettendo in crisi il sistema democratico del Paese, perché il controllo malavitoso del territorio porta di fatto a una forte limitazione, se non addirittura all’esautoramento, dell’autorità dello Stato e degli enti pubblici»; tutto ciò favorisce «l’incremento della corruzione, della collusione e della concussione, alterando il mercato del lavoro, manipolando gli appalti, interferendo nelle scelte urbanistiche e nel sistema delle autorizzazioni e concessioni, contaminando così l’intero territorio nazionale».

La disposizione che si propone intende contribuire a spezzare il rapporto corruttivo tra mafia e politica, affrontando una questione cruciale, quale quella della sfera di applicazione del delitto di scambio elettorale politico-mafioso, mediante una nuova formulazione dell’articolo 416-ter del codice penale. Con tale proposta modificativa si intende, pertanto, estendere la pena stabilita per lo scambio elettorale politico-mafioso a chi si adopera per far ottenere la promessa di voti prevista dal terzo comma dell’articolo 416-bis e, soprattutto, prevedere che, oltre alla erogazione di denaro, anche il trasferimento di «qualunque altra utilità» ovvero la «disponibilità a soddisfare gli interessi o le esigenze dell’associazione mafiosa» possano rientrare tra le finalità del delitto. In tal modo l’oggetto dello scambio potrà superare la semplice dazione di denaro in cambio dei voti e conferire maggior concretezza alla disposizione in questione.

Modifiche al codice di procedura penale in materia di intercettazioni

La corruzione è un reato con una cifra nera molto elevata. Si definisce cifra nera la differenza fra il numero di reati commessi e quelli risultanti dalle statistiche giudiziarie. Essa varia a seconda di molti fattori, fra i quali il tipo di reato ed il contesto in cui viene commesso. La cifra nera della corruzione dipende dal fatto che trattasi di un reato a vittima diffusa (nel quale nessuno percepisce di essere stato danneggiato direttamente); dal fatto che, normalmente, viene commesso in assenza di testimoni, posto che raramente viene perpetrato in presenza di soggetti estranei; e dalla circostanza, infine, che corrotti e corruttori hanno un convergente interesse al silenzio. Pertanto la corruzione non viene quasi mai denunciata e si scopre solo svolgendo indagini complesse, di regola su altri reati, che richiedono il ricorso a strumenti sofisticati di indagine. La disposizione che si propone ha la finalità di potenziare lo strumento delle intercettazioni (telefoniche, telematiche, ambientali) nell’ambito di procedimenti per delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione, confidando nella desistenza da parte del Governo e della maggioranza da ogni proposta tesa a restringerne ambito, durata, presupposti di ammissibilità e di utilizzabilità anche in altri procedimenti, nonché da ogni progetto di riforma volto ad ostacolare l’accertamento dei reati o a limitare i poteri cognitori del giudice.

 

( ) (1)Avente per oggetto la «Ratifica ed esecuzione della Convenzione penale sulla corruzione fra gli Stati membri del Consiglio d’Europa e gli altri Stati firmatari, fatta a Strasburgo il 27 gennaio 1999, e nuova disciplina dei delitti contro la pubblica amministrazione e contro l’economia pubblica, l’industria e il commercio in attuazione della suddetta Convenzione».

(  ) (2)d’iniziativa dei senatori Finocchiaro, Della Monica, D’Ambrosio, Zanda, Casson, Latorre, Carofiglio, Chiurazzi, Galperti, Maritati, Marcenaro, Adamo, Ceccanti, Incostante, De Sena e Serra, avente ad oggetto «Ratifica ed esecuzione della Convenzione penale sulla corruzione fra gli Stati membri del Consiglio d’Europa e gli altri Stati firmatari, fatta a Strasburgo il 27 gennaio 1999, e nuova disciplina dei delitti contro la pubblica amministrazione e contro l’industria e il commercio, in attuazione della suddetta Convenzione».

(   ) (3)È intervenuta in tale contesto, il 20 maggio 2010, una decisione del Presidente del Senato a supporto di tale impostazione.

(    ) (4)D’iniziativa dei senatori Finocchiaro, Della Monica, D’Ambrosio, Zanda, Casson, Latorre, Carofiglio, Chiurazzi, Galperti, Maritati, Marcenaro, Adamo, Ceccanti, Incostante, De Sena e Serra.

(     ) (5)Mozione presentata dai senatori Finocchiaro, Della Monica, Agostini, Lusi, D’Ambrosio, Zanda, Latorre, Casson, Carofiglio, Chiurazzi, Galperti, Maritati.

(      ) (6)Recante «Norme in materia di intercettazioni telefoniche, telematiche e ambientali. Modifica della disciplina in materia di astensione del giudice e degli atti di indagine. Integrazione della disciplina sulla responsabilità amministrativa delle persone giuridiche».

(       ) (7)Recante «Disposizioni in materia di procedimento penale, ordinamento giudiziario ed equa riparazione in caso di violazione del termine ragionevole del processo. Delega al Governo per il riordino della disciplina delle comunicazioni e notificazioni nel procedimento penale, per l’attribuzione della competenza in materia di misure cautelari al tribunale in composizione collegiale, per la sospensione del processo in assenza dell’imputato, per la digitalizzazione dell’Amministrazione della giustizia, nonché per la elezione dei vice procuratori onorari presso il giudice di pace», presentato al Senato il 10 marzo 2009.

(        ) (8)Recante «Misure per la tutela del cittadino contro la durata indeterminata dei processi, in attuazione dell’articolo 111 della Costituzione e dell’articolo 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali» approvato dal Senato il 20 gennaio 2010 con l’imposizione del voto di fiducia, e successivamente modificato dalla Camera e trasmesso al Senato con il nuovo titolo «Disposizioni in materia di spese di giustizia, danno erariale, prescrizione e durata del processo».

 

 


 


 


 

DISEGNO DI LEGGE

 

Art. 1.

(Modifiche al codice penale)

1. Al codice penale sono apportate le seguenti modificazioni:

a) all’articolo 32-quater, dopo le parole: «per i delitti previsti dagli articoli» è inserita la seguente: «314,», le parole: «317, 318, 319, 319-bis, 320, 321, 322, 322-bis» sono sostituite dalle seguenti: «319, 319-ter, 322» e dopo la parola: «501-bis,» è inserita la seguente: «629,»;

b) all’articolo 32-quinquies, le parole: «per un tempo non inferiore a tre anni per i delitti di cui agli articoli 314, primo comma, 317, 318, 319, 319-ter e 320» sono sostituite dalle seguenti: «per un tempo non inferiore a due anni per i delitti di cui agli articoli 314, primo comma, 319, 319-ter, 322 e 629»;

c) all’articolo 314:

1) nel primo comma, le parole: «da tre a dieci anni» sono sostituite dalle seguenti: «da quattro a dodici anni»;

2) dopo il secondo comma è aggiunto il seguente:

«La condanna per i fatti previsti dal primo comma importa l’interdizione perpetua dai pubblici uffici»;

d) gli articoli 317, 317-bis, 318, 320, 321 e 322-bis sono abrogati;

e) l’articolo 319 è sostituito dal seguente:

«Art. 319. – (Corruzione). – Il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che indebitamente, anche mediante induzione, riceve, per sé o per un terzo, denaro o altra utilità, ovvero ne accetta la promessa, in relazione al compimento, all’omissione o al ritardo di un atto o di attività del suo ufficio o servizio ovvero al compimento di un atto o di attività contrari ai doveri di ufficio o servizio, o comunque in ragione della funzione esercitata, è punito con la reclusione da quattro a dodici anni.

La stessa pena si applica, nei casi di cui al primo comma, a chi dà o promette al pubblico ufficiale o all’incaricato di pubblico servizio denaro o altra utilità.

La condanna per i fatti previsti ai commi che precedono importa l’interdizione perpetua dai pubblici uffici»;

f) l’articolo 319-bis è sostituito dal seguente:

«Art. 319-bis. - (Riparazione pecuniaria). – Con la sentenza di condanna, ovvero con la sentenza di applicazione della pena ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale, per i reati previsti dagli articoli 314, 319, 319-ter e 629, terzo comma, è sempre ordinato il pagamento di una somma pari all’ammontare di quanto indebitamente ricevuto dal pubblico ufficiale o dall’incaricato di pubblico servizio, a titolo di riparazione pecuniaria in favore della amministrazione cui il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio appartiene ovvero, nel caso di cui all’articolo 319-ter, in favore dell’amministrazione della giustizia, impregiudicato restando il diritto al risarcimento del danno»;

g) l’articolo 319-ter è sostituito dal seguente:

«Art. 319-ter. - (Corruzione in atti giudiziari). – Se i fatti indicati nell’articolo 319 sono commessi per favorire o danneggiare una parte in un processo civile, penale o amministrativo si applica la pena della reclusione da quattro a dodici anni.

Se dal fatto deriva l’ingiusta condanna di taluno alla reclusione non superiore a cinque anni, la pena è della reclusione da cinque a quindici anni; se deriva l’ingiusta condanna alla reclusione superiore a cinque anni o all’ergastolo, la pena è della reclusione da sei a venti anni.

La stessa pena prevista per i fatti di cui ai commi precedenti si applica a chi dà o promette al pubblico ufficiale o all’incaricato di pubblico servizio denaro o altra utilità.

La condanna per i fatti di cui ai commi che precedono importa l’interdizione perpetua dai pubblici uffici»;

h) l’articolo 322 è sostituito dal seguente:

«Art. 322. – (Istigazione alla corruzione). – Chiunque offre o promette indebitamente denaro o altra utilità ad un pubblico ufficiale o ad un incaricato di pubblico servizio nei casi di cui all’articolo 319 soggiace, qualora l’offerta o la promessa non sia accettata, alla pena stabilita dall’articolo 319, ridotta di un terzo. Se l’offerta o la promessa è effettuata nei casi di cui all’articolo 319-ter, si applica la pena stabilita dall’articolo 319-ter, primo comma, ridotta di un terzo.

Il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che sollecita una promessa o dazione di denaro o altra utilità nei casi indicati dall’articolo 319 è punito, qualora la sollecitazione non sia accolta, con la pena stabilita dall’articolo 319, ridotta di un terzo. Se la sollecitazione è effettuata nei casi di cui all’articolo 319-ter, si applica la pena stabilita dall’articolo 319-ter, primo comma, ridotta di un terzo»;

i) all’articolo 322-ter:

1) nel primo comma, la parola: «320» è sostituita dalla seguente: «319-ter», le parole: «anche se commessi dai soggetti indicati nell’articolo 322-bis, primo comma,» sono soppresse e dopo le parole: «a tale prezzo» sono aggiunte, in fine, le seguenti: «o profitto»;

2) nel secondo comma, le parole: «anche se commesso ai sensi dell’articolo 322-bis, secondo comma,» e le parole: «o agli altri soggetti indicati nell’articolo 322-bis, secondo comma» sono soppresse;

l) l’articolo 323-bis è sostituito dal seguente:

«Art. 323-bis. – (Circostanze attenuanti comuni e speciali). – Se i fatti previsti dagli articoli 314, 316, 316-bis, 316-ter, 319, 319-ter, 322, 323, 346 e 513-ter sono di particolare tenuità, le pene sono diminuite e la condanna importa l’interdizione temporanea dai pubblici uffici.

Per i fatti previsti dagli articoli 319 e 319-ter, nei confronti dell’imputato che si adopera per evitare che l’attività delittuosa sia portata a c