Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione
(Versione per stampa)
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Autore: | Servizio Studi - Dipartimento giustizia | ||||
Titolo: | Mediazione civile e commerciale - Schema di D.Lgs. n. 150 (art. 60, L. 69/2009) (Schede di lettura e riferimenti normativi) | ||||
Riferimenti: |
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Serie: | Atti del Governo Numero: 139 | ||||
Data: | 04/12/2009 | ||||
Descrittori: |
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Organi della Camera: | II-Giustizia | ||||
Altri riferimenti: |
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Camera dei deputati |
XVI LEGISLATURA |
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Documentazione per l’esame di |
Mediazione civile e commerciale Schema di D.Lgs. n. 150 |
(art.60, L. 69/2009) |
Schede di lettura e riferimenti normativi |
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n. 139 |
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4 dicembre 2009 |
Servizio responsabile: |
Servizio Studi – Dipartimento Giustizia ( 066760-9148 / 066760-9559 – * st_giustizia@camera.it |
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I dossier dei servizi e degli uffici della Camera sono destinati alle esigenze di documentazione interna per l'attività degli organi parlamentari e dei parlamentari. La Camera dei deputati declina ogni responsabilità per la loro eventuale utilizzazione o riproduzione per fini non consentiti dalla legge. |
File: GI0287.doc |
INDICE
§ Articolo 2 (Controversie oggetto di mediazione)
§ Articolo 3 (Disciplina applicabile e forma degli atti)
§ Articolo 4 (Accesso alla mediazione)
§ Articolo 5 (Condizione di procedibilità e altri rapporti con il processo)
§ Articolo 7 (Effetti sulla ragionevole durata del processo)
§ Articolo 9 (Dovere di riservatezza)
§ Articolo 10 (Inutilizzabilità e segreto professionale)
§ Articolo 12 (Efficacia esecutiva ed esecuzione)
§ Articolo 13 (Spese processuali)
§ Articolo 14 (Obblighi del mediatore)
§ Art. 15 (Mediazione nell'azione di classe)
§ Art. 16 (Organismi di conciliazione e registro. Albo dei formatori)
§ Art. 17 (Regime fiscale. Indennità)
§ Art. 18 (Organismi presso a tribunali)
§ Art. 19 (Organismi presso i consigli degli ordini professionali e presso le camere di commercio)
§ Art. 21 (Informazioni al pubblico)
§ Art. 24 (Disposizioni transitorie e finali)
Riferimenti normativi
Normativa nazionale
§ Costituzione della Repubblica Italiana (artt. 76 e 87)
§ Codice di Procedura Civile (artt. 92, 96 e 667)
§ Codice di Procedura Penale (artt. 103 e 200)
§ D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917. Approvazione del testo unico delle imposte sui redditi (artt. 61 e 109)
§ D.Lgs. 1 settembre 1993 n. 385. Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia (art. 128-bis)
§ L. 29 dicembre 1993 n. 580. Riordinamento delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura (art. 2)
§ D.Lgs. 9 luglio 1997 n. 241. Norme di semplificazione degli adempimenti dei contribuenti in sede di dichiarazione dei redditi e dell'imposta sul valore aggiunto, nonché di modernizzazione del sistema di gestione delle dichiarazioni (art. 17)
§ L. 7 giugno 2000, n. 150. Disciplina delle attività di informazione e di comunicazione delle pubbliche amministrazioni
§ L. 24 marzo 2001 n. 89. Previsione di equa riparazione in caso di violazione del termine ragionevole del processo e modifica dell' articolo 375 del codice di procedura civile (art. 2)
§ D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115. Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia. (Testo A) (art. 76)
§ D.Lgs. 17 gennaio 2003 n. 5. Definizione dei procedimenti in materia di diritto societario e di intermediazione finanziaria, nonché in materia bancaria e creditizia, in attuazione dell'articolo 12 della L. 3 ottobre 2001, n. 366 (artt. 38 e 40)
§ D.Lgs. 6 settembre 2005, n. 206. Codice del consumo, a norma dell'articolo 7 della L. 29 luglio 2003, n. 229 (artt. 37, 140, 140-bis, 141)
§ D.Lgs. 7 settembre 2005 n. 209. Codice delle assicurazioni private (artt. 122-160)
§ D.Lgs. 8 ottobre 2007, n. 17. Istituzione di procedure di conciliazione e di arbitrato, sistema di indennizzo e fondo di garanzia per i risparmiatori e gli investitori in attuazione dell'articolo 27, commi 1 e 2, della L. 28 dicembre 2005, n. 262
§ D.Lgs. 21 novembre 2007 n. 231. Attuazione della direttiva 2005/60/CE concernente la prevenzione dell'utilizzo del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo nonchè della direttiva 2006/70/CE che ne reca misure di esecuzione (art. 10)
§ D.L. 16 settembre 2008 n. 143. Interventi urgenti in materia di funzionalità del sistema giudiziario, convertito con modificazioni dalla legge di conversione 13 novembre 2008, n. 181 (art. 2)
§ L. 18 giugno 2009 n. 69. Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile (art. 60)
§ D.M. 30 luglio 2009, n. 127. Regolamento di attuazione dell'articolo 61, comma 23, del decreto-legge n. 112 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008, nonché dell'articolo 2 del decreto-legge n. 143 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 181 del 2008, e successive modificazioni, in materia di Fondo unico di giustizia (art. 7)
Normativa comunitaria
§ Direttiva del parlamento europeo e del consiglio 21 maggio 2008, n. 2008/52/CE, relativa a determinati aspetti della mediazione in materia civile e commerciale
Documentazione
Consiglio nazionale forense
§ Comunicato del 02/11/2009 - Conciliazione: le modifiche dell’avvocatura al decreto delegato del governo
L’articolo 60 della legge n. 69 del 2009 delega il Governo ad adottare, entro 6 mesi dalla data di entrata in vigore della legge, uno o più decreti legislativi in materia di mediazione e di conciliazione in ambito civile e commerciale (comma 1).
La delega scadrebbe il 4 gennaio 2010. Poiché però il termine per l’espressione dei pareri da parte delle Commissioni scade nei trenta giorni antecedenti a tale termine (il 10 dicembre 2009) il termine per l’esercizio della delega, ai sensi del comma 2, è prorogato di 60 giorni (vale a dire al 5 marzo 2010).
I principi e criteri direttivi cui dovrà attenersi il Governo sono previsti dal comma 3.
In estrema sintesi, la conciliazione, avente per oggetto diritti disponibili e non preclusiva all’azione ordinaria, dovrà essere affidata ad organismi professionali ed indipendenti, iscritti in un apposito registro tenuto dal Ministero della Giustizia (lett. a), b) e c), che potranno svolgere il servizio di mediazione anche attraverso procedure telematiche (lett. i).
In primo luogo la delega prevede che nel disciplinare la mediazione il Governo potrà estendere le disposizioni sulla conciliazione in materia societaria già previste dal decreto legislativo n. 5 del 2003 (lett. c).
Il decreto legislativo n. 5 del 2003[1] dedica il Titolo VI alla conciliazione stragiudiziale. Ai sensi dell'art. 38, gli enti pubblici o privati, che diano garanzie di serietà ed efficienza, sono abilitati a costituire organismi deputati, su istanza della parte interessata, a gestire un tentativo di conciliazione delle controversie nelle materie oggetto del decreto.
Tali organismi debbono essere iscritti in un apposito registro tenuto presso il Ministero della giustizia. Le camere di commercio che hanno costituito organismi di conciliazione ai sensi dell'art. 2 della legge 580/1993, hanno diritto ad ottenere l'iscrizione di tali organismi nel registro. I criteri e le modalità di iscrizione nel registro, la formazione dell'elenco e la sua revisione, l'iscrizione, la sospensione e la cancellazione degli iscritti sono disciplinati dal D.M. 23 luglio 2004, n. 222[2].
L'art. 39 prevede l’esenzione dall'imposta di bollo e da altre spese o tasse degli atti, documenti e provvedimenti relativi al procedimento di conciliazione e demanda ad un regolamento del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, la definizione dell'ammontare minimo e massimo delle indennità spettanti agli organismi di conciliazione costituiti da enti pubblici e il criterio di calcolo, nonché i criteri per l'approvazione delle tabelle delle indennità proposte dagli organismi costituiti da enti privati.
L'art. 40 disciplina il procedimento di conciliazione. I regolamenti di procedura (depositati dall’organismo di conciliazione presso il Ministero della giustizia unitamente alla richiesta di iscrizione) debbono prevedere la riservatezza del procedimento e modalità di nomina del conciliatore che ne garantiscano l'imparzialità e l'idoneità al corretto e sollecito espletamento dell'incarico. Se entrambe le parti lo richiedono, il procedimento di conciliazione, ove non sia raggiunto l'accordo, si conclude con una proposta del conciliatore rispetto alla quale ciascuna delle parti, se la conciliazione non ha luogo, indica la propria definitiva posizione ovvero le condizioni alle quali è disposta a conciliare. Di tali posizioni il conciliatore dà atto in apposito verbale di fallita conciliazione, del quale viene rilasciata copia alle parti che la richiedano. Il conciliatore dà altresì atto, con apposito verbale, della mancata adesione di una parte all'esperimento del tentativo di conciliazione.
La disposizione precisa che le dichiarazioni rese dalle parti nel corso del procedimento non possono essere utilizzate nel giudizio promosso a seguito dell'insuccesso del tentativo di conciliazione, né possono essere oggetto di prova testimoniale.
L'istanza di conciliazione proposta agli organismi istituiti a norma dell'art. 38 produce sulla prescrizione i medesimi effetti della domanda giudiziale e impedisce la decadenza è impedita, ma se il tentativo fallisce la domanda giudiziale deve essere proposta entro il medesimo termine di decadenza decorrente dal deposito del verbale presso la segreteria dell'organismo di conciliazione. La mancata comparizione di una delle parti e le posizioni assunte dinanzi al conciliatore sono valutate dal giudice nell'eventuale successivo giudizio ai fini della decisione sulle spese processuali, anche ai sensi dell'art. 96 c.p.c..
Il giudice, valutando comparativamente le posizioni assunte dalle parti e il contenuto della sentenza che definisce il processo dinanzi a lui, può escludere, in tutto o in parte, la ripetizione delle spese sostenute dal vincitore che ha rifiutato la conciliazione, e può anche condannarlo, in tutto o in parte, al rimborso delle spese sostenute dal soccombente.
Qualora il contratto ovvero lo statuto della società prevedano una clausola di conciliazione e il tentativo non risulti esperito, il giudice, su istanza della parte interessata proposta nella prima difesa, dispone la sospensione del procedimento pendente davanti a lui fissando un termine di durata compresa tra trenta e sessanta giorni per il deposito dell'istanza di conciliazione davanti ad un organismo di conciliazione ovvero quello indicato dal contratto o dallo statuto. Il processo può essere riassunto dalla parte interessata se l'istanza di conciliazione non è depositata nel termine fissato. Se il tentativo non riesce, all'atto di riassunzione è allegato il verbale. In ogni caso, la causa di sospensione si intende cessata, a norma dell'art. 297, primo comma, c.p.c., decorsi sei mesi dal provvedimento di sospensione.
Se la conciliazione riesce è redatto separato processo verbale, sottoscritto dalle parti e dal conciliatore. Il verbale, previo accertamento della regolarità formale, è omologato con decreto del presidente del tribunale nel cui circondario ha sede l'organismo di conciliazione, e costituisce titolo esecutivo per l'espropriazione forzata, per l'esecuzione in forma specifica e per l'iscrizione di ipoteca giudiziale.
La norma di delega fissa inoltre una durata massima di quattro mesi al procedimento di conciliazione (lett. q)
Per quanto riguarda i soggetti abilitati a svolgere la mediazione, il Governo dovrà:
§ prevedere che la mediazione sia svolta da organismi professionali e indipendenti, stabilmente destinati all'erogazione del servizio di conciliazione (lett. b);
§ prevedere l'istituzione, presso il Ministero della giustizia, di un Registro degli organismi di conciliazione, vigilati dallo stesso Ministero (lett. c). Sarà un decreto ministeriale a stabilire i requisiti per l’iscrizione nel Registro (lett. d);
§ consentire alle camere di commercio, che hanno costituito organismi di conciliazione, di ottenere l'iscrizione dei propri organismi nel Registro (lett. c);
§ consentire ai consigli degli ordini degli avvocati di istituire con proprio personale, presso i tribunali, organismi di conciliazione (lett. e) e prevedere che gli stessi organismi siano iscritti di diritto nel Registro (lett. f);
§ prevedere, per le controversie in particolari materie, la facoltà di istituire organismi di conciliazione presso i consigli degli Ordini professionali (lett. g) e che gli stessi organismi siano iscritti di diritto nel Registro tenuto dal ministero della giustizia (lett. h);
§ prevedere che, per le controversie in particolari materie, il conciliatore possa avvalersi di esperti, iscritti all'albo dei consulenti e dei periti presso i tribunali (lett. l);
§ garantire la neutralità, l’indipendenza e l’imparzialità del conciliatore attraverso la disciplina delle incompatibilità (lett. r);
In relazione ai compensi spettanti per l’attività di mediazione, il Governo dovrà:
§ disciplinare i compensi degli esperti anche con riferimento a quelli stabiliti per le consulenze e per le perizie giudiziali (lett. l);
§ disciplinare le indennità spettanti ai conciliatori – anche con fonte secondaria – facendo sì che le indennità a carico delle parti possano essere maggiorate in caso di esito positivo della conciliazione (lett. m);
Per incentivare il ricorso alla mediazione (e dunque disincentivare il ricorso al processo), il Governo dovrà:
§ affermare il dovere per l’avvocato di informare il cliente prima dell'instaurazione del giudizio della possibilità di avvalersi dell'istituto della conciliazione, nonché di ricorrere agli organismi di conciliazione (lett. n);
§ prevedere, a favore delle parti, forme di agevolazione di carattere fiscale (lett. o). Peraltro, tali misure non dovranno pesare sul gettito (del quale deve essere assicurata l’invarianza) e potranno essere “coperte” attraverso il Fondo unico giustizia.
§ prevedere, per l’ipotesi in cui il provvedimento che chiude il processo corrisponda interamente al contenuto dell'accordo proposto in sede di conciliazione, che il giudice possa escludere la ripetizione delle spese sostenute dal vincitore che aveva rifiutato l'accordo, condannandolo altresì al rimborso delle spese sostenute dal soccombente (lett. p);
§ nelle stesse ipotesi consentire al giudice di condannare il vincitore al pagamento di un'ulteriore somma a titolo di contributo unificato (lett. p);
§ prevedere che il verbale di conciliazione abbia efficacia esecutiva per l'espropriazione forzata, per l'esecuzione in forma specifica e costituisca titolo per l'iscrizione di ipoteca giudiziale (lett. s).
1. Ai fini del presente decreto legislativo, si intende per:
a) mediazione: l’attività, comunque denominata, svolta da un terzo imparziale e finalizzata ad assistere due o più soggetti sia nella ricerca di un accordo amichevole per la composizione di una controversia, sia nella formulazione di una proposta per la risoluzione della stessa;
b) conciliazione: la composizione di una controversia a seguito dello svolgimento della mediazione;
c) organismo: l’ente pubblico o privato, abilitato a svolgere il procedimento di mediazione, privo dell’autorità di imporre alle parti una soluzione della controversia;
d) registro: il registro degli organismi di conciliazione istituito con decreto del Ministro della giustizia ai sensi dell’articolo 16 del presente decreto, nonché, sino all’emanazione di tale decreto, il registro degli organismi istituito con il decreto del Ministro della giustizia 23 luglio 2004, n. 222.
Il Capo I (artt. 1 e 2) dello schema di decreto legislativo contiene disposizioni generali. Esso, in particolare, delinea il campo d’applicazione della disciplina della mediazione attraverso la definizione di alcuni termini ricorrenti.
L’articolo 1 contiene le definizioni di alcuni concetti chiave ricorrenti nel seguito dello schema.
In particolare, la disposizioni distingue i due termini – che spesso vengono utilizzati come sinonimi – di “mediazione” e “conciliazione”, intendendo:
§ per mediazione l’attività svolta da un terzo – soggetto imparziale e privo dell’autorità di imporre alle parti la soluzione della controversia (lett. c) – finalizzata ad assistere le parti nel tentativo di raggiungere un accordo volto a comporre la controversia al di fuori delle procedure giudiziarie, nonché a formulare una proposta di risoluzione della controversia stessa (lett. a). La definizione prescinde dai mezzi utilizzati per giungere alla composizione, che sono ritenuti irrilevanti, e intende ricomprendere ogni attività di questo tipo, a prescindere dalla denominazione che gli abbiano già assegnato il legislatore o le parti stesse (si pensi, ad esempio, a tutti i casi in cui si usa l’espressione “conciliazione stragiudiziale”).
Per completezza, si ricorda anche la definizione che di mediazione dà la direttiva 2008/52/Ce (art. 3): «un procedimento strutturato, indipendentemente dalla denominazione, dove due o più parti di una controversia tentano esse stesse, su base volontaria, di raggiungere un accordo sulla risoluzione della medesima con l’assistenza di un mediatore. Tale procedimento può essere avviato dalle parti, suggerito od ordinato da un organo giurisdizionale o prescritto dal diritto di uno Stato membro. Esso include la mediazione condotta da un giudice che non è responsabile di alcun procedimento giudiziario concernente la controversia in questione. Esso esclude i tentativi messi in atto dall’organo giurisdizionale o dal giudice aditi al fine di giungere ad una composizione della controversia in questione nell’ambito del procedimento giudiziario oggetto della medesima».
§ per conciliazione l’esito positivo dell’attività di mediazione (lett. b).
Le successive lettere si concentrano invece sul soggetto che svolge la mediazione, definendo il concetto di organismo di mediazione e prevedendo un apposito registro presso il quale l’organismo dovrà essere iscritto.
In particolare, la lett. c) precisa che l’organismo è un ente, pubblico o privato, abilitato a svolgere il procedimento di mediazione (in quanto iscritto nel registro), e privo dell’autorità di imporre alle parti una soluzione della controversia.
Ciò vale ovviamente ad escludere dal campo d’applicazione di questa disciplina la conciliazione giudiziale, ovvero l’attività di mediazione che può svolgere il giudice che istruisce la causa civile (cfr. art. 185 c.p.c.), ma anche l’attività che svolge l’arbitro investito dalle parti del potere di decidere della controversia (cfr. artt. 806 e ss. c.p.c.).
La lett. d) prevede infine che il registro degli organismi di conciliazione debba essere istituito con decreto del Ministro della giustizia (v. infra art. 16) e che, in attesa di tale adempimento, operi il registro già previsto per la conciliazione societaria.
In particolare, per quanto riguarda la conciliazione societaria, disciplinata dai sopra richiamati articoli 38-40 del decreto legislativo n. 5 del 2003, il DM 23 luglio 2004, n. 222 disciplina l'istituzione (criteri, modalità, effetti dell’iscrizione) presso il Ministero della Giustizia del registro degli organismi - costituiti da enti pubblici o privati - autorizzati alla gestione dei tentativi di conciliazione.
Mentre per l’iscrizione nel registro degli organismi di conciliazione costituiti, anche in forma associata, dalle Camere di commercio il regolamento ritiene sufficiente una semplice domanda, in tutti gli altri casi il responsabile della tenuta del registro deve verificare la professionalità e l'efficienza dei richiedenti e, in particolare:
a) la forma giuridica dell'ente o dell'organismo, il suo grado di autonomia, nonché la compatibilità della sua attività con l'oggetto sociale o lo scopo associativo;
b) la consistenza dell'organizzazione di persone e mezzi, e il suo grado di adeguatezza, anche sotto il profilo patrimoniale;
c) i requisiti di onorabilità dei soci, associati, amministratori o rappresentanti dell’ente;
d) la trasparenza amministrativa e contabile dell'ente, ivi compreso il rapporto giuridico ed economico tra l'ente e i singoli conciliatori;
e) le garanzie di indipendenza, imparzialità e riservatezza nello svolgimento del servizio, nonché la conformità del regolamento di procedura di conciliazione alla legge;
f) il numero dei conciliatori, non inferiore a sette, che abbiano dichiarato la disponibilità a svolgere le funzioni di conciliazione in via esclusiva per il richiedente;
g) la sede dell'organismo di conciliazione.
Il regolamento dispone altresì che gli organismi iscritti nel registro non possano, se non per giustificato motivo, rifiutarsi di svolgere la prestazione richiesta e che il conciliatore – al pari di chiunque presti la propria opera o il proprio servizio nell'organismo di conciliazione – sia tenuto all'obbligo di riservatezza su tutto quanto appreso per ragioni dell'opera o del servizio.
Articolo 2
(Controversie oggetto di mediazione)
1. Chiunque può accedere alla mediazione per la conciliazione di una controversia civile e commerciale vertente su diritti disponibili, secondo le disposizioni del presente decreto.
2. Il presente decreto non preclude le negoziazioni volontarie e paritetiche relative alle controversie civili e commerciali, né le procedure di reclamo previste dalle carte dei servizi.
L’articolo 2 definisce l’oggetto della mediazione disciplinata dallo schema di decreto legislativo, chiarendo che si tratta di qualsiasi controversia civile e commerciale che abbia ad oggetto diritti disponibili delle parti (comma 1).
La disposizione dà attuazione al principio di delega contenuto nell’art. 60, comma 3, lett. a) della legge delega: «prevedere che la mediazione, finalizzata alla conciliazione, abbia per oggetto controversie su diritti disponibili, senza precludere l’accesso alla giustizia».
La mediazione disciplinata dallo schema di decreto legislativo si applica quindi alle controversie societarie. Contestualmente, infatti, l’art. 23 dello schema abroga i sopra illustrati articoli da 38 a 40 del d.lgs n. 5 del 2003, la cui disciplina viene assorbita nel decreto in commento.
Il comma 2 precisa che la procedura di mediazione non intende sostituirsi o precludere altre eventuali forme di negoziazione già intraprese dalle parti su base volontaria ovvero già previste dalle carte dei servizi, e attivate mediante un reclamo degli utenti.
La relazione illustrativa esplicita che la procedura di mediazione non esclude il ricorso a questi istituti che però si differenziano dalla mediazione per il mancato intervento di organismi terzi e imparziali.
Si ricorda che l’articolo 30 della legge n. 69 del 2009 stabilisce che le carte dei servizi predisposte da coloro che erogano servizi pubblici o di pubblica utilità debbano prevedere, in favore degli utenti che lamentino la violazione di un diritto o di un interesse giuridico rilevante, la possibilità:
• di promuovere la risoluzione non giurisdizionale della controversia entro i trenta giorni successivi alla richiesta;
• di ricorrere a meccanismi di sostituzione dell'amministrazione o del soggetto erogatore inadempiente.
La medesima disposizione prevede che, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge, le autorità amministrative che svolgono attività nelle materie contemplate dal Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture (D.Lgs. 163/2006), dalla legge 481/1995 e dalla legge 249/1997, nell'autonomia garantita dai rispettivi ordinamenti, nonché, per i servizi pubblici o di pubblica utilità non regolati dalle medesime autorità, esclusi i servizi pubblici locali (tale esclusione è stata introdotta dal Senato), il Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione, emanino un decreto che individua uno schema-tipo di procedura conciliativa, che entro novanta giorni deve essere recepita nelle singole carte dei servizi.
Più in generale, ai sensi dell’art. 11 del decreto legislativo n. 286 del 1999, i soggetti che erogano servizi di pubblica utilità sono tenuti ad adottare una Carta dei Servizi con la quale assumono nei confronti dell'utente impegni diretti a garantire predeterminati e controllabili livelli di qualità delle prestazioni. Le modalità di definizione, adozione e pubblicizzazione degli standard di qualità, i casi e le modalità di adozione delle carte dei servizi, i criteri di misurazione della qualità dei servizi, le condizioni di tutela degli utenti, nonché i casi e le modalità di indennizzo automatico e forfetario all'utenza per mancato rispetto degli standard di qualità sono stabilite con direttive, aggiornabili annualmente, del Presidente del Consiglio dei Ministri.
Già la direttiva del Presidente del consiglio dei ministri del 27 gennaio 1994 aveva fissato i princìpi cui deve uniformarsi l'erogazione dei servizi pubblici al fine di tutelare le esigenze dei cittadini che ne fruiscono. Tra gli strumenti individuati dalla direttiva vi era l'istituzione, presso la Presidenza del Consiglio, di un Comitato per l'attuazione della Carta dei servizi pubblici con compiti prevalentemente consultivi e di controllo nei confronti delle public utilities. Lo strumento della Carta dei servizi pubblici ha trovato attuazione pratica con l'articolo 2 del D.L. n. 163 del 1995 (convertito dalla L. n. 273 del 1995) (poi abrogato e sostituito dall’art. 11 del d.lgs.n. 286 del 1999), che ha imposto ai soggetti erogatori di servizi pubblici di adottare le rispettive carte sulla base di schema generali di riferimento da emanarsi con decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri.
Il DPCM del 19 maggio 1995 ha individuato i seguenti settori dei servizi pubblici, ai fini dell'emanazione degli schemi generali di riferimento delle Carte dei servizi pubblici: sanità; assistenza e previdenza sociale; istruzione; comunicazioni e trasporti; energia elettrica; l'acqua; gas; fisco (quest'ultimo aggiunto dal DPCM 2 dicembre 1997).
In seguito sono stati emanati alcuni decreti del Presidente del Consiglio recanti gli schemi generali di riferimento per la predisposizione delle Carte relative a diversi settori quali sanità (DPCM 19 maggio 1995), istruzione (DPCM 7 giugno 1995); elettricità (DPCM 18 settembre 1995); gas (DPCM 18 settembre 1995); assistenza e previdenza sociale (DPCM 21 dicembre 1995); poste (DPCM 30 gennaio 1996); mobilità (DPCM 30 dicembre 1998); servizio idrico integrato (DPCM 29 aprile 1999).
Più recentemente, è stato posto l’obbligo per gli enti locali, al fine di incrementare la tutela dei diritti dei consumatori e degli utenti dei servizi pubblici locali, di emanare, in sede di stipula dei contratti di servizio, una "Carta della qualità dei servizi", dalla quale si possano evincere: standard qualitativi e quantitativi delle prestazioni erogate; modalità di accesso alle informazioni concernenti la proposizione dei reclami e quelle per adire le vie conciliative e giudiziarie nonché le modalità di ristoro dell'utenza (L. 24 dicembre 2007, n. 244, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2008, art. 2, comma 461).
Articolo 3
(Disciplina applicabile e forma degli atti)
1. Al procedimento di mediazione si applica il regolamento dell’organismo scelto dalle parti.
2. Il regolamento deve in ogni caso garantire la riservatezza del procedimento ai sensi dell’articolo 9, nonché modalità di nomina del mediatore che ne assicurano l'imparzialità e l'idoneità al corretto e sollecito espletamento dell'incarico.
3. Gli atti del procedimento di mediazione non sono soggetti a formalità.
4. La mediazione può svolgersi secondo modalità telematiche previste dal regolamento dell’organismo.
Il Capo II (articoli da 3 a 15) disciplina in modo non rigido né predeterminato il procedimento di mediazione, optando per una regolamentazione “leggera” che si affida all’autodeterminazione degli organismi di conciliazione, autori del proprio regolamento di procedura, consegnato al Ministero della Giustizia all’atto dell’iscrizione nel registro, cui dovranno attenersi i soggetti utenti.
In particolare, l’articolo 3 stabilisce che gli atti del procedimento di mediazione non sono soggetti a formalità (comma 3).
Tale previsione non esclude l’obbligo per gli organismi di mediazione di dotarsi di un proprio regolamento di procedura, che andrà depositato presso il Ministero della Giustizia unitamente alla richiesta di iscrizione nel registro (v. infra, art. 16, comma 3).
Il regolamento è volto a:
§ disciplinare le modalità di svolgimento del procedimento (comma 1);
§ garantire la riservatezza del procedimento (comma 2, e soprattutto art. 9);
§ prevedere modalità di nomina del mediatore, che ne assicurino l’imparzialità, l’idoneità all’incarico e il sollecito espletamento dello stesso (comma 2);
§ definire modalità telematiche di eventuale svolgimento della mediazione (comma 4).
Quest’ultima disposizione dà attuazione al principio di delega contenuto nell’art. 60, comma 3, lett. i) della legge delega: «prevedere che gli organismi di conciliazione iscritti nel Registro possano svolgere il servizio di mediazione anche attraverso procedure telematiche ».
Articolo 4
(Accesso alla mediazione)
1. La domanda di mediazione relativa alle controversie di cui all’articolo 2 è presentata mediante deposito di un’istanza presso un organismo. In caso di più domande relative alla stessa controversia, la mediazione si volge davanti all’organismo presso il quale è stata presentata la prima domanda. Per determinare il tempo della domanda si ha riguardo alla data della ricezione della comunicazione.
2. L’istanza deve indicare l’organismo, le parti, l'oggetto e le ragioni della pretesa.
3. Fermo restando quanto previsto dall’articolo 5, comma 1, l'avvocato è tenuto, nel primo colloquio con l’assistito, a informarlo della possibilità di avvalersi del procedimento di mediazione disciplinato dal presente decreto e delle agevolazioni fiscali di cui agli articoli 17 e 20. L’informazione deve essere fornita chiaramente e per iscritto, a pena di nullità del contratto concluso con l’assistito. Il documento che contiene l’informazione è sottoscritto dall’assistito e deve essere allegato all’atto introduttivo dell’eventuale giudizio. Il giudice che verifica la mancata allegazione del documento informa la parte della facoltà di chiedere la mediazione.
L’articolo 4 presenta un duplice contenuto: da una parte definisce le modalità di avvio del procedimento di mediazione (commi 1 e 2), dall’altra delinea particolari obblighi a carico degli avvocati delle parti (comma 3).
Per quanto concerne l’apertura del procedimento di mediazione, è previsto il deposito presso l’organismo di mediazione prescelto di un’istanza contenente l’indicazione dell’organismo, le parti, l’oggetto e le ragioni della pretesa. Dalla data di questo deposito cominciano a decorrere i 4 mesi previsti dall’art. 6 (v. infra) come durata massima del procedimento di mediazione.
Anche se non esplicitato nella disposizione da essa si desume, da un lato, che la domanda deve avere forma scritta; dal contenuto dell’istanza (oggetto e ragioni della pretesa), si evince inoltre che la stessa può essere presentata da una sola delle parti, che tenta di coinvolgere l’altra nella mediazione. Ciò è confermato dal comma 1 della disposizione che prevede, in caso di più istanze relative alla stessa controversia presentate a organismi diversi, che il procedimento si svolga davanti all’organismo presso il quale è stata presentata la prima domanda (criterio temporale).
Peraltro, l’ultimo periodo del comma 1 precisa che per determinare il tempo della domanda «si ha riguardo alla data della ricezione della comunicazione».
Occorre un chiarimento sul criterio previsto per la determinazione del tempo della domanda.
Così come formulata, infatti, la disposizione potrebbe essere interpretata come riferita alla comunicazione che – in base all’art. 8 (v. infra) – il responsabile dell’organismo invia alla controparte di colui che ha depositato l’istanza, per avvisarla della fissazione di un apposito primo incontro. L’organismo competente quindi non sarebbe determinato in base al deposito dell’istanza, né in base alla velocità di reazione dell’organismo stesso, bensì in base alla ricezione della comunicazione. Da tale disposizione deriverebbe inoltre l’obbligo per l’organismo di procedere alla convocazione attraverso meccanismi che consentano di provare con precisione il tempo dell’avvenuta ricezione della comunicazione.
Tale interpretazione tuttavia si porrebbe in contrasto con l’articolo 6, che fa riferimento alla data di deposito della domanda, e con quanto affermato nella relazione illustrativa, nella quale si precisa che, nel caso di più domande di mediazione, “si è optato per un criterio selettivo oggettivo, e di piana applicazione, quale quello della prevenzione: il procedimento di mediazione si svolgerà davanti all’organismo presso cui è stata depositata la prima domanda. Questo spiega anche perché si è scelto di imporre alla domanda la forma documentale (o quanto meno documentata da apposito processo verbale, ove il regolamento dell’organismo lo preveda)”.
Il comma 3 introduce un obbligo di informazione a carico degli avvocati.
In particolare, la disposizione obbliga l’avvocato a informare l’assistito della possibilità di avvalersi del procedimento di mediazione, delle agevolazioni fiscali (v. art. 17) e del credito d’imposta (v. art. 20).
Tale informazione dovrà essere fornita:
- a partire dal primo colloquio;
- in modo chiaro
- in forma scritta.
L’assistito dovrà siglare il documento informativo.
L’omissione di questo adempimento comporta la nullità del contratto concluso tra l’avvocato e l’assistito.
La disposizione intende dare attuazione al principio di delega contenuto nell’art. 60, comma 3, lett. n), della legge delega: «prevedere il dovere dell’avvocato di informare il cliente, prima dell’instaurazione del giudizio, della possibilità di avvalersi dell’istituto della conciliazione nonché di ricorrere agli organismi di conciliazione». Peraltro,la legge delega non specifica quali siano le conseguenze della violazione del dovere di informazione da parte dell’avvocato e dunque la sanzione della nullità del contratto tra avvocato e assistito non è imposta dalla legge delega.
In merito, il Consiglio nazionale forense – nel documento allegato del 2 novembre – ha evidenziato la necessità di escludere la nullità del contratto tra legale e assistito come sanzione dell’omessa avvertenza da parte del primo della possibilità di conciliare. “L’utilizzo della categoria della nullità”, si legge nel documento, “non è in linea con la figure di patologia del contratto che le norme generali colpiscono con tale sanzione”.
Nella relazione di accompagnamento dello schema di decreto il Governo evidenzia invece che si tratta di «una nullità di protezione che non si riverbera sulla validità della procura, in linea con gli orientamenti della giurisprudenza di legittimità. Secondo la Suprema Corte, infatti, la procura alle liti, come atto interamente disciplinato dalla legge processuale, è insensibile alla sorte del contratto di patrocinio la cui nullità non toglie quindi al difensore lo ius postulandi attribuito con la procura»[3].
In tema, peraltro, si ricorda che l’art. 46 della legge n. 69 del 2009, nel riformare il processo civile, è intervenuto sul secondo comma dell’art. 182 del codice di procedura civile (Difetto di rappresentanza o di autorizzazione)stabilendo che «Quando rileva un difetto di rappresentanza, di assistenza o di autorizzazione ovvero un vizio che determina la nullità della procura al difensore, il giudice assegna alle parti un termine perentorio per la costituzione della persona alla quale spetta la rappresentanza o l’assistenza, per il rilascio delle necessarie autorizzazioni, ovvero per il rilascio della procura alle liti o per la rinnovazione della stessa. L’osservanza del termine sana i vizi, e gli effetti sostanziali e processuali della domanda si producono fin dal momento della prima notificazione».
Sulla libertà di forma del contratto di patrocinio, cfr. Cass. 13 giugno 2006, n. 13963, secondo la quale “n tema di attività professionale svolta da avvocati, mentre la procura "ad litem" costituisce un negozio unilaterale con il quale il difensore viene investito del potere di rappresentare la parte in giudizio, il mandato sostanziale costituisce un negozio bilaterale (cosiddetto contratto di patrocinio) con il quale il professionista viene incaricato, secondo lo schema negoziale che è proprio del mandato, di svolgere la sua opera professionale in favore della parte. Ne consegue che, ai fini della conclusione del contratto di patrocinio, non è indispensabile il rilascio di una procura "ad litem", essendo questa necessaria solo per lo svolgimento dell'attività processuale, e che non è richiesta la forma scritta, vigendo per il mandato il principio di libertà di forma” (cfr. anche Cass. 18 luglio 2002, n. 10454). Sulle conseguenze della nullità del contratto cfr. 19 febbraio 2007, n. 3740, che esclude il diritto al compenso del professionista, nel caso di nullità assoluta del rapporto tra cliente e professionista, derivante dalla mancata iscrizione all’albo da parte di quest’ultimo.
Il documento sottoscritto dovrà poi essere allegato all’atto introduttivo del giudizio che si decida, eventualmente, di avviare. L’omissione di tale allegazione obbliga il giudice ad informare a sua volta la parte della possibilità di procedere con la mediazione.
Articolo 5
(Condizione di procedibilità e altri rapporti con il processo)
1. Chi intende esercitare in giudizio un’azione relativa a una controversia in materia di condominio, diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende, risarcimento del danno derivante da responsabilità medica e da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità, contratti assicurativi, bancari e finanziari deve esperire il procedimento di mediazione ai sensi del presente decreto ovvero il procedimento di conciliazione previsto dal decreto legislativo 8 ottobre 2007, n. 179, ovvero il procedimento istituito in attuazione dell’articolo 128-bis del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, e successive modificazioni, per le materie ivi regolate. L’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale. L'improcedibilità deve essere eccepita dal convenuto, a pena di decadenza, nel primo atto difensivo tempestivamente depositato e può essere rilevata d'ufficio dal giudice non oltre la prima udienza. Il giudice ove rilevi che la mediazione è già iniziata, ma non si è conclusa, fissa la successiva udienza dopo la scadenza del termine di cui all’articolo 6, comma 1. Allo stesso modo provvede quando la mediazione non è stata esperita, assegnando contestualmente alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione della domanda di mediazione. Il presente comma non si applica alle azioni previste dagli articoli 37, 140 e 140-bis del codice del consumo, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, e successive modificazioni, e dal titolo X del codice delle assicurazioni private di cui al decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209.
2. Fermo quanto previsto dal comma 1 e salvo quanto stabilito dai commi 3 e 4, il giudice, valutata la natura della causa, lo stato dell’istruzione e il comportamento delle parti, può in qualunque momento invitare le parti con ordinanza a procedere alla mediazione. L’invito deve essere rivolto alle parti prima dell’udienza di precisazione delle conclusioni ovvero, quando tale udienza non è prevista, prima della discussione della causa. Se le parti aderiscono all’invito, il giudice fissa la successiva udienza dopo la scadenza del termine di cui all’articolo 6, comma 1 e, quando la mediazione non è stata esperita, assegna contestualmente alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione della domanda di mediazione.
3. Lo svolgimento della mediazione non preclude in ogni caso la concessione dei provvedimenti urgenti e cautelari.
4. I commi 1 e 2 non si applicano:
a) nei procedimenti per ingiunzione, inclusa l’opposizione, fino alla pronuncia sulle istanze di concessione e sospensione della provvisoria esecuzione;
b) nei procedimenti per convalida di licenza o sfratto, fino al mutamento del rito di cui all’articolo 667 del codice di procedura civile;
c) nei procedimenti possessori, fino alla pronuncia dei provvedimenti di cui all’articolo 703, terzo comma, del codice di procedura civile;
d) nei procedimenti di opposizione o incidentali di cognizione relativi all’esecuzione forzata;
e) nei procedimenti in camera di consiglio;
f) nell’azione civile esercitata nel processo penale.
5. Fermo quanto previsto dal comma 1 e salvo quanto stabilito dai commi 3 e 4, se il contratto ovvero lo statuto della società prevedono una clausola di mediazione o conciliazione e il tentativo non risulta esperito, il giudice, su eccezione di parte, proposta nella prima difesa, il giudice assegna alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione della domanda di mediazione e fissa la successiva udienza dopo la scadenza del termine di cui all’articolo 6, comma 1. La domanda è presentata davanti all’organismo indicato dal contratto o dallo statuto, se iscritto nel registro, ovvero, in mancanza, davanti a un altro organismo iscritto, fermo il rispetto del criterio di cui all’articolo 4, comma 1. In ogni caso, le parti possono concordare, successivamente al contratto o allo statuto, l’individuazione di un diverso organismo iscritto.
6. Dal momento della comunicazione alle altre parti, la domanda di mediazione produce sulla prescrizione i medesimi effetti della domanda giudiziale. Dalla stessa data, la domanda di mediazione impedisce altresì la decadenza per una sola volta, ma se il tentativo fallisce la domanda giudiziale deve essere proposta entro il medesimo termine di decadenza decorrente dal deposito del verbale di cui all’articolo 11 presso la segreteria dell'organismo.
7. Le disposizioni che precedono si applicano anche ai procedimenti davanti agli arbitri, in quanto compatibili.
L’articolo 5 disciplina i rapporti tra procedimento di mediazione e eventuale procedimento giudiziale.
Il comma 1 prevede che per alcune categorie di controversie lo svolgimento del procedimento di mediazione – delineato dallo schema di decreto legislativo o da altra fonte espressamente richiamata - costituisca condizione di procedibilità dell’azione civile.
La condizione di procedibilità non si applica – e dunque il tentativo di mediazione non è obbligatorio – alle azioni inibitorie e risarcitorie di classe (v. infra, art. 15) disciplinate dal codice del consumo[4] e alle azioni risarcitorie conseguenti a sinistri provocati da veicoli a motore e natanti disciplinate dal codice delle assicurazioni[5].
In proposito si segnala che la norma di delega non attribuisce all’esperimento del procedimento di mediazione natura di condizione di procedibilità dell’azione. L’articolo 60, comma 3, lett. a), si limita, infatti, a prevedere che “la mediazione, finalizzata alla conciliazione, abbia per oggetto controversie su diritti disponibili, senza precludere l’accesso alla giustizia”.
Diversamente, invece, ad esempio, la delega contenuta nella legge n. 15 del 2009 (cd. legge Brunetta) che, tra i criteri direttivi, prevede espressamente, come condizione di ammissibilità del ricorso, la preventiva diffida all’amministrazione.
Nella relazione di accompagnamento allo schema di decreto legislativo in commento si afferma che «La condizione di procedibilità si pone perfettamente in linea con le direttive della legge-delega, laddove stabilisce (articolo 60, comma 3, lettera a) che la mediazione non può precludere l’accesso alla giustizia: essa realizza dunque quel punto di equilibrio tra diritto d’azione ex articolo 24 Cost., da un lato, e interessi generali alla sollecita amministrazione della giustizia e al contenimento dell’abuso del diritto alla tutela giurisdizionale, dall’altro, più volte richiesto dalla Corte costituzionale per affermare la legittimità di simili interventi normativi».
Le controversie rispetto alle quali trova applicazione la suddetta condizione di procedibilità sono le seguenti:
§ condominio: si fa riferimento alle controversie relative al condominio negli edifici, come disciplinato dagli articoli 1117-1139 del codice civile;
§ diritti reali: si fa riferimento alle controversie relative al diritto di proprietà e agli altri diritti reali su cosa altrui (superficie, enfiteusi, usufrutto, uso, abitazione e servitù, ma anche pegno e ipoteca);
§ divisione;
Occorre esplicitare tale ultima categoria di controversie, posto che non è chiaro se il testo si riferisca, in generale, alla divisione di beni in comunione, o alla divisione dell’eredità o ancora alla divisione dei beni della comunione legale tra coniugi.
§ successioni ereditarie: controversie relative al libro II del codice civile;
§ patti di famiglia: controversie nascenti dagli articoli da 768-bis a 768-octies del codice civile;
§ locazione: controversie relative agli articoli 1571-1654 del codice civile;
§ comodato: controversie relative agli articoli 1803-1812 del codice civile;
§ affitto di aziende: controversie relative agli articoli 2561 e 2562 del codice civile;
§ risarcimento del danno derivante da responsabilità medica: si tratta delle controversie riconducibili agli articoli 1176, comma 2 e 2236 codice civile;
§ risarcimento del danno derivante da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità; la controversia civile trova fondamento nell’art. 2043 del codice;
§ contratti assicurativi: si fa riferimento alle controversie che traggono fondamento dal Codice delle assicurazioni private (d.lgs n. 209 del 2005), escluse quelle in tema di assicurazione obbligatoria per i veicoli a motore e i natanti.
§ contratti bancari: per le controversie di questa natura il testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia[6] delinea uno specifico procedimento di mediazione;
In particolare, l’art. 128-bis (Risoluzione delle controversie) del testo unico prevede che le banche e gli intermediari finanziari aderiscano a sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie con la clientela. Con deliberazione del Comitato interministeriale per il credito e il risparmio, su proposta della Banca d'Italia, sono determinati i criteri di svolgimento delle procedure di risoluzione delle controversie e di composizione dell'organo decidente, in modo che risulti assicurata l'imparzialità dello stesso e la rappresentatività dei soggetti interessati. Le procedure devono in ogni caso assicurare la rapidità, l'economicità della soluzione delle controversie e l'effettività della tutela[7]. Tali strumenti di risoluzione stragiudiziale non pregiudicano comunque per il cliente la possibilità di presentare un ricorso in sede giudiziale.
§ contratti finanziari: per le controversie di questa natura uno speciale procedimento di mediazione è contemplato dal decreto legislativo n. 179 del 2007[8].
Il decreto legislativo istituisce una Camera di conciliazione e arbitrato presso la Consob per l'amministrazione dei procedimenti di conciliazione e di arbitrato promossi per la risoluzione di controversie insorte tra gli investitori e gli intermediari per la violazione da parte di questi degli obblighi di informazione, correttezza e trasparenza previsti nei rapporti contrattuali con gli investitori. La Consob - sentita la Banca d'Italia - ha definito con il regolamento 29 dicembre 2008, n. 16763, l'organizzazione della Camera di conciliazione e arbitrato, le modalità di nomina dei componenti dell'elenco dei conciliatori e degli arbitri, i requisiti di imparzialità, indipendenza, professionalità e onorabilità dei componenti dell'elenco dei conciliatori e degli arbitri e le norme per i procedimenti di conciliazione e di arbitrato.
Sembrerebbe opportuno chiarire la formulazione della norma, al fine di esplicitare se, in caso di contratti bancari e finanziari, occorre esperire esclusivamente i procedimenti speciali di mediazione disciplinati dal T.U. bancario e dal d.lgs. n. 179 del 2007, con esclusione quindi del procedimento di mediazione disciplinato dallo schema di decreto legislativo in commento.
L'improcedibilità dovrà essere eccepita dal convenuto, a pena di decadenza, nel primo atto difensivo e potrà essere rilevata d'ufficio dal giudice entro la prima udienza. In questo caso il giudice assegnerà alle parti il termine di 15 giorni per la presentazione della domanda di mediazione.
Laddove il giudice rilevi che la mediazione è iniziata, ma non si è conclusa, fisserà la successiva udienza dopo la scadenza del termine di quattro mesi previsto dall’art. 6 (v. infra).
Il Governo ha dunque scelto la strada del differimento del processo, scartando l’alternativa della sospensione del processo (prevista dal rito del lavoro), che avrebbe comportato per le parti l’obbligo di riassunzione.
Si ricorda, infatti, che l’art. 412-bis del codice di procedura civile prevede che nel rito del lavoro l’espletamento del tentativo di conciliazione costituisca condizione di procedibilità della domanda. Anche in quel rito l’improcedibilità deve essere eccepita dal convenuto nella memoria difensiva ma può essere rilevata d'ufficio dal giudice fino all’udienza di discussione della causa (art. 420 c.p.c.). Se il giudice del lavoro rileva che non è stato promosso il tentativo di conciliazione, ovvero che la domanda giudiziale è stata presentata prima che siano trascorsi 60 giorni dalla promozione del tentativo (termine massimo di durata della stessa), sospende il giudizio e fissa alle parti il termine perentorio di 60 giorni per promuovere il tentativo di conciliazione. Avviata la conciliazione e trascorsi invano i 60 giorni previsti per la sua durata, le parti possono (entro i successivi 180 giorni) riassumere il processo, pena l’estinzione del giudizio.
Al di fuori delle ipotesi disciplinate dal comma 1, la mediazione disciplinata dallo schema di decreto legislativo ha carattere facoltativo.
Ciò nonostante, il comma 2 dispone che il giudice, tenendo conto «della natura della causa, dello stato dell’istruzione e del comportamento delle parti», possa - in qualunque momento prima dell’udienza di precisazione delle conclusioni, ovvero prima della discussione della causa - invitare le parti a procedere alla mediazione. Se le parti concordano con l’indicazione del giudice, quest’ultimo fisserà una nuova udienza allo spirare del termine di 4 mesi previsto per la mediazione.
La disposizione aggiunge che «quando la mediazione non è stata esperita, [il giudice] assegna contestualmente alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione della domanda di mediazione.
Il comma 3 dell’articolo 5 precisa che lo svolgimento del procedimento di mediazione non preclude alla parte interessata l’accesso ai provvedimenti urgenti e cautelari.
La disposizione riprende, con formulazione più generica, quanto disposto dal sesto comma dell’art. 412-bis c.p.c. per il rito del lavoro. Tale norma prevede che «Il mancato espletamento del tentativo di conciliazione non preclude la concessione dei provvedimenti speciali d'urgenza e di quelli cautelari previsti nel capo III del titolo I del libro IV».
Anche sulla base di quanto affermato nella relazione illustrativa, la formulazione ampia induce a ritenere che il legislatore intenda riferirsi, oltre ai tipici provvedimenti urgenti di cui all’art. 700 c.p.c. ed ai provvedimenti cautelari di cui agli articoli da 669-bis a 669-quaterdecies del codice di rito, anche ad ulteriori provvedimenti che possono essere richiesti al giudice in situazioni di bisogno.
La relazione richiama, a titolo esemplificativo, l’ordinanza provvisionale prevista dall’art. 147 del codice delle assicurazioni private (d.lgs n. 209 del 2005).
Nel caso di sinistro avvenuto tra veicoli a motore per i quali vi sia obbligo di assicurazione, l’art. 147 prevede che il danneggiato abbia la possibilità, nel corso del giudizio di primo grado, di chiedere al giudice – a fronte di uno stato di bisogno determinato dal sinistro – l’anticipazione di una somma da imputarsi nella liquidazione del danno. Il giudice, a seguito di un sommario accertamento, se ritiene che risultino gravi elementi di responsabilità a carico del conducente, provvedere all’assegnazione della somma nei limiti dei 4/5 della presumibile entità del risarcimento.
In merito si ricorda tuttavia che tali controversie sono espressamente escluse dal campo d’applicazione della mediazione obbligatoria (art. 5, comma 1) e che pertanto il richiamo a questa disposizione è pertinente solo laddove le parti decidano di svolgere un tentativo di mediazione facoltativo.
Il comma 4 esclude sia il carattere obbligatorio della mediazione (di cui al comma 1), sia la possibilità per il giudice di invitare comunque le parti a procedervi (comma 2), in una serie di procedimenti che – come evidenziato dalla relazione di accompagnamento - «sono posti a presidio di interessi per i quali un preventivo tentativo obbligatorio di mediazione appare inutile o controproducente, a fronte di una tutela giurisdizionale che è invece in grado, talvolta in forme sommarie e che non richiedono un preventivo contraddittorio, di assicurare una celere soddisfazione degli interessi medesimi». Si tratta dei:
§ procedimenti per ingiunzione, inclusa l’opposizione, fino alla pronuncia sulle istanze di concessione e sospensione della provvisoria esecuzione;
Si tratta di un procedimento sommario, per il quale chi fa valere un diritto di credito può ottenere in modo rapido e senza contraddittorio un provvedimento di condanna (decreto ingiuntivo) avente efficacia di titolo esecutivo. La procedura è esperibile soltanto a condizione che del diritto fatto valere si dia prova scritta, oppure che il credito riguardi onorari per prestazioni giudiziali o stragiudiziali o particolari tipologie di rimborso spese o di riscossione di tariffe legalmente approvate (art. 633 c.p.c.).
Il procedimento ha inizio con il ricorso del creditore di una somma liquida di denaro o di una determinata quantità di cose fungibili o di chi ha diritto alla consegna di una cosa determinata. Nel ricorso si devono indicare le ragioni su cui si basa e l'indicazione delle prove che si producono; riguardo la consegna di una determinata quantità di cose fungibili dovrà indicarsi anche la somma di denaro che si intende accettare in mancanza di prestazione in natura (art. 638 c.p.c.). Se il giudice ritiene la domanda insufficientemente giustificata può invitare il ricorrente a provvedere alla prova: se questi non provvede o non ritira il ricorso, oppure se la domanda appare inaccoglibile, il giudice la rigetta (artt. 640 e 641 c.p.c.). Se invece la domanda appare accoglibile il giudice ingiunge all'altra parte, con decreto motivato (decreto ingiuntivo), di pagare la somma o di consegnare la cosa o la quantità di cose (o la somma chiesta invece di queste ultime) entro 40 giorni, termine che può essere ridotto, concorrendo giusti motivi, fino a 10 giorni o aumentato fino a 60. Nello stesso termine in mancanza di adempimento o di opposizione si procederà a esecuzione forzata: alla scadenza infatti, se non è stata fatta opposizione, il decreto verrà dichiarato esecutivo.
Contro il decreto ingiuntivo è ammessa opposizione. Essa si propone all'ufficio giudiziario al quale appartiene il giudice che ha emesso il decreto, con atto di citazione notificato al ricorrente nel termine fissato (art. 645 c.p.c.). In seguito all'opposizione il giudizio si svolge secondo le norme del procedimento ordinario, ma i termini di comparizione sono ridotti a metà. L'opposizione impedisce in linea di principio che il decreto sia portato a esecuzione, tuttavia il giudice, su istanza del ricorrente, può concedere l'esecuzione provvisoria se non concessa in precedenza; egli può nondimeno sospenderla se già concessa, su istanza dell'opponente, qualora sussistano gravi motivi (art. 648 c.p.c.).
§ procedimenti per convalida di licenza o sfratto, fino al mutamento del rito di cui all’articolo 667 del codice di procedura civile;
Anche questo è un procedimento sommario a scopo esecutivo, previsto in relazione a rapporti personali di godimento di un immobile (locazione, affitto a coltivatore diretto, mezzadria e colonia parziaria) con il fine di costringere l'inquilino, l'affittuario, il mezzadro o il colono a restituire l'immobile o il terreno al proprietario.
In particolare, per quanto riguarda gli immobili, il procedimento prende l'avvio con un'intimazione da parte dell'avvocato del proprietario (locatore) notificata all'inquilino (conduttore) allo scopo di ottenere la restituzione dell'immobile locato (art. 657 c.p.c.)[9]. Contestualmente all'intimazione di licenza o sfratto il locatore deve citare il conduttore davanti al giudice competente, che è di regola il tribunale del luogo in cui si trova la cosa locata, ai fini di ottenere la convalida della licenza o sfratto (art. 661 c.p.c.). Se all'udienza fissata il convenuto (inquilino) non compare o, pur comparendo, non si oppone, il giudice procederà alla convalida con ordinanza avente efficacia esecutiva. Tale ordinanza chiude il processo ( art. 663 c.p.c.).
In caso di opposizione del conduttore il processo sommario diverrà normale processo di cognizione (art. 667 c.p.c.). Allo scopo di evitare un processo ordinario, quando il convenuto non ha serie argomentazioni da opporre, il giudice può comunque pronunciare ordinanza non impugnabile di rilascio dell'immobile, qualora le eccezioni non siano fondate su prova scritta e a condizione che non ricorrano gravi motivi in contrario (art. 665 c.p.c.).
§ procedimenti possessori, fino alla pronuncia dei provvedimenti di cui all’articolo 703, terzo comma, del codice di procedura civile;
Il procedimento possessorio può tendere alla reintegrazione nel possesso del titolare che ne sia stato violentemente o occultamente spogliato (azione di spoglio) ovvero a far cessare le turbative del possesso arrecate da terzi non possessori (azione di manutenzione). Nelle sue diverse forme si svolge davanti al tribunale del luogo nel quale è avvenuto il fatto denunciato, ed è caratterizzato da una procedura assai celere richiesta dalle esigenze che sottostanno alla tutela del possesso. Quanto al rito, aperto da un ricorso, si applica la disciplina generale dei procedimenti cautelari (artt. 669-bis e ss. c.p.c.), in quanto compatibile. Ciò fa sì che la fase di merito del giudizio possessorio (articolo 703, quarto comma, c.p.c.) risulta meramente "eventuale", essendosi stabilito che il giudice fissa l'udienza per la prosecuzione del giudizio di merito solo se richiesto da una delle parti, entro il termine perentorio di 60 giorni decorrente dalla comunicazione del provvedimento che ha deciso sul reclamo (ovvero dell'ordinanza che abbia accolto o respinto, in via provvisoria, la domanda).
§ procedimenti di opposizione o incidentali di cognizione relativi all’esecuzione forzata;
Si ricorda che ogni eventuale contestazione del diritto della parte che procede all'esecuzione, o circa la regolarità formale del titolo esecutivo o del precetto, deve esser fatta valere a mezzo di opposizioni nel processo esecutivo; queste sono di tre tipi (art. 615 e seguenti c.p.c.): opposizioni all'esecuzione (con le quali si contesta il diritto della parte a procedere all'esecuzione); opposizioni agli atti esecutivi (con le quali viene contestata la regolarità formale del titolo esecutivo e del precetto); opposizioni di terzi (possono esser fatte da soggetti che pur non essendo parti nell'esecuzione vengono di fatto e illegittimamente in essa coinvolti).
§ procedimenti in camera di consiglio;
I procedimenti camerali sono procedimenti molto semplificati, che vengono utilizzati, in genere, quando i giudici svolgono attività di volontaria giurisdizione, ossia quando assistono e controllano atti posti in essere da privati, per i quali non sorgono conflitti di interessi (essendo il processo non a parti contrapposte, ma sollecitato da una parte che richiede ai giudici un determinato provvedimento). La caratteristica principale è che nei procedimenti camerali non si ha un susseguirsi di udienze pubbliche durante le quali viene svolta l'attività istruttoria, ma tutto si snoda nel segreto della camera di consiglio. La parte interessata deve proporre la sua richiesta (principio della domanda) con ricorso al giudice competente e i provvedimenti pronunciati in camera di consiglio hanno forma di decreto motivato revocabile, salvo che la legge non disponga che il provvedimento deve assumere la forma dell'ordinanza o della sentenza (art. 737 c.p.c.).
§ azione civile esercitata nel processo penale.
Il comma 5, in parte riprendendo la formulazione dell’art. 40, comma 6 del D.lgs n. 5/2003 in tema di rito societario[10], disciplina l’ipotesi in cui il tentativo di mediazione - pur non rappresentando una condizione di procedibilità ai sensi del comma 1 – è richiesto prima dell’esercizio dell’azione civile dallo Statuto della società o da una clausola contrattuale.
In questi casi, se l’azione viene promossa senza aver tentato la mediazione (e sempre che non riguardi i procedimenti delineati dal comma 4, e salva la concessione dei procedimenti urgenti e cautelari), il giudice su eccezione di parte (da proporre nella prima difesa) assegna alle parti il termine di 15 giorni per la presentazione della domanda di mediazione e fissa la successiva udienza dopo la scadenza del termine di 4 quattro mesi previsto per la possibile durata del tentativo.
La mediazione potrà essere svolta:
- davanti all’organismo indicato dal contratto o dallo statuto, purché si tratti di organismo iscritto nel registro;
- in mancanza di iscrizione o con l’accordo delle parti,davanti a qualsiasi organismo iscritto nel registro.
Il comma 6, riprendendo il disposto dell’art. 40, comma 4, della disciplina del rito societario[11], interviene sugli istituti della prescrizione e della decadenza, per affermare che la comunicazione della domanda di mediazione:
- comporta che il termine di prescrizione del diritto che la parte intende far valere si interrompe, producendo la mediazione effetti analoghi alla domanda in giudizio (cfr. art. 2943 c.c.);
- impedisce la decadenza dall’esercizio del diritto. Se il tentativo fallisce la domanda giudiziale dovrà però essere proposta entro il medesimo termine di decadenza da calcolarsi a partire dal deposito del verbale presso la segreteria dell’organismo di conciliazione (v. infra, art. 11, commi 4 e 5). Solo il primo tentativo di mediazione impedisce la decadenza dall’esercizio del diritto.
Si valuti l’opportunità di collegare l’interruzione della prescrizione, piuttosto che ad un adempimento (la comunicazione della domanda di mediazione) cui è preposto un soggetto terzo (l’organismo di conciliazione), direttamente ad un’attività della parte.
Il comma 7 estende l’applicazione delle disposizioni dell’articolo 5 dello schema di decreto, «in quanto compatibili», ai procedimenti davanti agli arbitri.
Si ricorda che l’arbitrato (artt. da 806 a 831 c.p.c.; legge 5 gennaio 1994, n. 25 e decreto legislativo 2 febbraio 2006, n. 40) è un mezzo di risoluzione delle controversie fra privati, la cui peculiarità consiste nell'accordo fra le parti di demandare la decisione a terze persone di loro fiducia, dette arbitri, anziché rivolgersi all'autorità giudiziaria.
Il ricorso al giudizio arbitrale, che è espressamente escluso dalla legge per alcune materie (in particolare non possono essere loro deferite le questioni sullo stato delle persone e, in genere, quelle che hanno per oggetti diritti indisponibili), nella pratica tende a espandersi soprattutto per le controversie di significativo rilievo economico e trova la sua ragione nel fatto che esso consente di ottenere una decisione in tempi molto più brevi di quelli che sarebbero necessari ricorrendo alla giustizia ordinaria.
La volontà delle parti di ricorrere all'arbitrato può essere espressa in due modi: mediante stipulazione di un'apposita convenzione, detta compromesso (che deve essere fatta per iscritto, pena la nullità), oppure mediante l'inserimento in un contratto di una clausola, che prende il nome di clausola compromissoria. Inoltre, con novità introdotta dal D.Lgs. n. 40 del 2006, è stata prevista, per la prima volta, la possibilità di deferire - attraverso apposita convenzione, anch'essa avente forma scritta a pena di nullità - future controversie relative ad uno o più rapporti non contrattuali, purché determinati (art. 808-bis c.p.c.).
In tutti i casi indicati, il compromesso o la clausola compromissoria, oltre a prevedere il ricorso all'arbitrato, devono prevedere la composizione del collegio arbitrale (art. 809 c.p.c.). Occorre dunque che vi siano indicate la nomina degli arbitri o le modalità da seguire per nominarli; gli arbitri debbono essere uno o più, purché in numero dispari; se non sono nominati dalle parti, gli arbitri sono tre e sono scelti dal presidente del tribunale (art. 810 c.p.c.).
Dal compromesso o clausola compromissoria può desumersi la natura dell'arbitrato, che può essere di due tipi: rituale e irrituale.
Nel c.d. arbitrato rituale la decisione assume la forma di lodo che produce, dalla data della sottoscrizione, gli effetti della sentenza pronunciata dall'autorità giudiziaria (art. 824-bis c.p.c.).
Il c.d. arbitrato irrituale, pur assolvendo alla funzione del giudizio, non ne ha i caratteri strutturali essendo assimilabile a una transazione il cui contenuto è determinato in concreto dagli arbitri scelti dalle parti. L'atto conclusivo non acquisirà mai l'efficacia di sentenza, nondimeno il lodo potrà essere annullato dall'autorità giudiziaria nei seguenti casi: se la convenzione d'arbitrato è invalida o gli arbitri hanno pronunciato su conclusioni che esorbitano dai suoi limiti (sempre che la relativa eccezione sia stata tempestivamente sollevata nel corso del procedimento arbitrale); in caso di vizi relativi alla costituzione o capacità degli arbitri; se gli arbitri non si sono attenuti alle regole imposte dalle parti come condizione di validità del lodo; se è stato violato il principio del contraddittorio (art. 808-ter c.p.c.).
La relazione di accompagnamento giustifica la previsione del comma 7 con la volontà di «incentivare il ricorso alla mediazione anche rispetto a un procedimento, quello arbitrale, che pur indubbiamente più snello rispetto a quello giudiziale, sfocia comunque in una soluzione aggiudicativa».
1. Il procedimento di mediazione ha una durata non superiore a quattro mesi.
2. Il termine decorre dalla data di deposito della domanda di mediazione, ovvero dalla scadenza di quello fissato dal giudice per il deposito della stessa nelle ipotesi di cui all’articolo 5.
L’articolo 6 stabilisce che il procedimento di mediazione può avere una durata massima di 4 mesi (comma 1).
Il termine decorre dalla data di deposito della domanda di mediazione ovvero, nell’ipotesi di mediazione demandata dal giudice (v. sopra, art. 5), dal termine da questi fissato per il deposito
La disposizione dà attuazione al principio di delega contenuto nell’art. 60, comma 3, lett. q) della legge delega: «prevedere che il procedimento di conciliazione non possa avere una durata eccedente i quattro mesi».
Articolo 7
(Effetti sulla ragionevole durata del processo)
1. Il periodo di cui all’articolo 6 non si computa ai fini di cui all’articolo 2 della legge 24 marzo 2001, n. 89.
L’articolo 7 precisa che il periodo, della durata massima di 4 mesi (v. sopra art. 6), che le parti dedicano al procedimento di mediazione non deve essere computato ai fini della determinazione del carattere ragionevole o meno della durata del processo, previsto dalla c.d. legge Pinto (legge n. 89 del 2001).
L’articolo 2 della legge 24 marzo 2001, n. 89[12] stabilisce quando sussiste il diritto all’equa riparazione per violazione del termine di ragionevole durata del processo. La disposizione rimette al giudice il compito di accertare tale violazione tenendo conto della complessità del caso e, in relazione alla stessa, del comportamento delle parti e del giudice del procedimento, nonché di quello di ogni altra autorità chiamata a concorrervi o a comunque contribuire alla sua definizione.
Il procedimento di mediazione cui fa riferimento la norma è presumibilmente quello definito dallo schema come obbligatorio nonché quello demandato alle parti dal giudice nelle materie di cui all’art. 5 perché, in tutti gli altri casi, si tratta di un’attività preliminare rispetto all’instaurazione di un giudizio.
1. All’atto della presentazione della domanda di mediazione, il responsabile dell’organismo designa un mediatore e fissa il primo incontro tra le parti non oltre quindici giorni dal deposito della domanda, dandone immediata comunicazione all’altra parte con ogni mezzo idoneo ad assicurarne la ricezione, anche a cura della parte istante. Nelle controversie che richiedono specifiche competenze tecniche, l’organismo nomina uno o più mediatori ausiliari.
2. Il procedimento si svolge senza formalità presso la sede dell’organismo di mediazione.
3. Il mediatore si adopera affinché le parti raggiungano un accordo amichevole di definizione della controversia.
4. Ove non possa procedere ai sensi del comma 1, ultimo periodo, il mediatore può avvalersi di esperti iscritti negli albi dei consulenti presso i tribunali. Il regolamento di procedura dell’organismo deve prevedere le modalità di calcolo e liquidazione dei compensi spettanti agli esperti.
L’articolo 8 delinea sommariamente il contenuto del procedimento di mediazione che si svolgerà senza formalità presso la sede dell’organismo di mediazione (comma 2); una disciplina più puntuale del procedimento è demandata infatti al regolamento che ciascun organismo di conciliazione deve adottare e depositare presso il ministero (in base all’art. 3, comma 1).
A seguito del deposito della domanda di mediazione, sull’organismo di mediazione – in persona del suo responsabile – incombono i seguenti obblighi (comma 1):
§ designare il mediatore;
§ fissare, entro 15 giorni, il primo incontro tra le parti;
§ dare immediata comunicazione del deposito della domanda e della data fissata per l’incontro all’altra parte, «con ogni mezzo idoneo ad assicurarne la ricezione, anche a cura della parte istante»;
§ nominare uno o più mediatori ausiliari nelle controversie che richiedono specifiche competenze tecniche.
In proposito occorre comprendere la ragione della previsione della nomina di uno o più mediatori ausiliari, piuttosto che direttamente del mediatore con specifiche competenze tecniche.
La disposizione aggiunge che se la nomina di mediatori ausiliari non è possibile, il mediatore potrà avvalersi di esperti iscritti negli albi dei consulenti presso i tribunali; il regolamento dell’organismo di mediazione dovrà dunque predeterminare le modalità di calcolo e liquidazione dei compensi degli esperti (comma 4).
L’art. 60, comma 3, lett. l), impone al Governo di prevedere che «per le controversie in particolari materie, il conciliatore possa avvalersi di esperti, iscritti all'albo dei consulenti e dei periti presso i tribunali».
Si ricorda che l’art. 13 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile prevede l’istituzione, presso ogni tribunale, di un albo dei consulenti tecnici. L’albo - tenuto dal presidente del tribunale e formato da un comitato da lui presieduto (art. 14 disp. att. c.p.c.) - è diviso in categorie professionali (tra queste devono essere sempre previste la medico-chirurgica; l’industriale; la commerciale; l’agricola; la bancaria e l’assicurativa) e l’iscrizione è possibile in presenza dei seguenti requisiti (art. 15 disp. att. c.p.c.):
- competenza tecnica;
- specchiata condotta morale;
- iscrizione all'albo professionale (se la professione del consulente prevede tale obbligo).
L'interessato all'iscrizione nell'albo deve inoltrare domanda al presidente del tribunale e deve presentare determinati documenti relativi alla sua esperienza professionale (art. 16 disp. att. c.p.c.). Successivamente il presidente fa assumere presso le autorità politiche e di polizia specifiche informazioni sulla condotta pubblica e privata dell'aspirante (art. 17 disp. att. c.p.c.).
Lo stesso presidente esercita l'attività di vigilanza e può promuovere procedimenti disciplinari nei casi in cui il consulente non abbia adempiuto gli obblighi derivanti dagli incarichi assunti o non abbia mantenuto una determinata condotta morale e professionale (art. 18 disp. att. c.p.c.). Le eventuali sanzioni disciplinari sono (art. 20 disp. att. c.p.c.) l’avvertimento, la sospensione dall'albo per un tempo non superiore a 1 anno, la cancellazione dall'albo.
Con riferimento ai compensi degli esperti, l’art. 60, comma 3, lett. m) dispone che essi «sono previsti dai decreti legislativi attuativi della delega di cui al comma 1 anche con riferimento a quelli stabiliti per le consulenze e per le perizie giudiziali». Occorre valutare la compatibilità con tale criterio di delega del mero rinvio (senza, peraltro, predeterminare criteri) al regolamento di procedura degli organismi per la determinazione delle modalità di calcolo e liquidazione dei compensi degli esperti.
Al mediatore, in base al comma 3, spetta in generale il compito di adoperarsi per far sì che le parti raggiungano un accordo amichevole di definizione della controversia.
Articolo 9
(Dovere di riservatezza)
1. Chiunque presta la propria opera o il proprio servizio nell’organismo è tenuto all’obbligo di riservatezza rispetto alle dichiarazioni rese e alle informazioni acquisite durante il procedimento di mediazione.
2. Rispetto alle dichiarazioni e informazioni acquisite nel corso delle sessioni separate e salvo consenso della parte dichiarante o dalla quale provengono le informazioni, il mediatore è altresì tenuto alla riservatezza nei confronti delle altre parti.
La disposizione disciplina il dovere di riservatezza nei confronti di chi presta la propria opera o il proprio servizio nell’organismo rispetto alle dichiarazioni e informazioni acquisite durante il procedimento di mediazione.
Tale dovere si estende alle dichiarazioni e informazioni acquisite dal mediatore da una delle parti, nel caso in cui egli abbia proceduto ad ascoltare quest’ultima separatamente.
La relazione illustrativa spiega che la moderna mediazione si caratterizza per il fatto di utilizzare tecniche diverse da quelle che contraddistinguono il processo ordinario, tra le quali “quella che suggerisce al mediatore di ascoltare le parti anche separatamente, onde assumere informazioni che la parte potrebbe non essere propensa a rilevare davanti alla controparte, ma che sono comunque utili al mediatore per ricercare l’accordo”.
Tale dovere di segretezza può essere derogato con il consenso della parte dichiarante o dalla quale provengono le informazioni.
Articolo 10
(Inutilizzabilità e segreto professionale)
1. Salvo diverso accordo delle parti, le dichiarazioni rese o le informazioni acquisite nel corso del procedimento di mediazione non possono essere utilizzate nel giudizio avente il medesimo oggetto anche parziale, iniziato o riassunto a séguito dell'insuccesso della mediazione. Sulle stesse dichiarazioni e informazioni non è ammessa prova testimoniale.
2. Il mediatore non può essere tenuto a deporre sulle dichiarazioni e sulle informazioni conosciute nel procedimento di mediazione, né davanti all’autorità giudiziaria né davanti ad altra autorità. Al mediatore si applicano le disposizioni dell'articolo 200 del codice di procedura penale e si estendono le garanzie previste per il difensore dalle disposizioni dell'articolo 103 del codice di procedura penale in quanto applicabili.
La disposizione, al comma 1, prevede l’inutilizzabilità delle dichiarazioni e delle informazioni acquisite nel procedimento di mediazione nel giudizio iniziato o riassunto a seguito dell’insuccesso della mediazione. Il giudizio deve avere il medesimo oggetto, anche parziale, del procedimento.
Inoltre, sulle stesse dichiarazioni e informazioni non è ammessa prova testimoniale.
Gli aspetti sostanziali della testimonianza e, in particolare, i limiti di ammissibilità della prova per testi sono disciplinati dagli articoli 2721 ss. del codice civile.
Il comma 2, che disciplina il segreto professionale del mediatore, esclude il suo obbligo di deporre dinanzi all’autorità giudiziaria o ad altra autorità. La medesima disposizione estende al mediatore l’applicazione dell’articolo 200 c.p.p. e, nei limiti della loro applicabilità, delle garanzie previste per il difensore dall'articolo 103 c.p.p.
L’art. 200 c.p.p. disciplina il segreto professionale operante nei confronti di alcune categorie di soggetti specificamente indicate (tra cui gli avvocati).
Tale disposizione, oltre a far salvi i casi in cui tali soggetti hanno l’obbligo di riferire all’autorità giudiziaria, attribuisce al giudice il potere di provvedere agli accertamenti necessari, se ha motivo di dubitare che la dichiarazione resa da tali persone per esimersi dal deporre sia infondata. Se risulta infondata, il giudice ordina che il testimone deponga.
Si segnala che occorre un coordinamento tra il richiamo a tale disposizione, che prevede dei limiti all’operatività del segreto professionale, con l’esclusione in termini assoluti dell’obbligo per il mediatore di deporre dinanzi all’autorità giudiziaria o ad altra autorità. Sembrerebbe inoltre opportuno esplicitare il riferimento contenuto nella disposizione “a ogni altra autorità”.
L’articolo 103 c.p.p., richiamato in quanto applicabile, disciplina le garanzie di libertà del difensore. La disposizione in particolare limita la possibilità di procedere ad ispezioni e perquisizioni negli uffici dei difensori, di procedere a sequestro di carte e documenti relativi all’oggetto della difesa e, nei casi in cui tali operazioni sono ammesse, prevede particolari garanzie procedurali. La disposizione, inoltre, vieta l'intercettazione delle comunicazioni dei difensori in relazione al procedimento e a quelle tra i difensori e i loro assistiti, nonché il sequestro e ogni forma di controllo della corrispondenza tra l'imputato e il proprio difensore, salvo che l'autorità giudiziaria abbia fondato motivo di ritenere che si tratti di corpo del reato.
1. Se è raggiunto un accordo amichevole, il mediatore forma processo verbale al quale è allegato il testo dell’accordo medesimo, sottoscritto dalle parti. Quando l’accordo non è raggiunto, il mediatore formula una proposta di conciliazione dopo averle informate delle possibili conseguenze di cui all’articolo 13. L’accordo raggiunto, anche a seguito della proposta, può prevedere il pagamento di una somma di denaro per ogni violazione o inosservanza degli obblighi stabiliti ovvero per il ritardo nel loro adempimento.
2. La proposta di conciliazione è comunicata alle parti per iscritto. Le parti fanno pervenire al mediatore, per iscritto ed entro sette giorni, l’accettazione o il rifiuto della proposta. In mancanza di risposta nel termine, la proposta si ha per rifiutata.
3. Se tutte le parti aderiscono alla proposta, si forma processo verbale che deve essere sottoscritto dalle parti e dal mediatore, il quale certifica l'autografia della sottoscrizione delle parti o la loro impossibilità di sottoscrivere.
4. Se la conciliazione non riesce, il mediatore forma processo verbale con l’indicazione della proposta e delle ragioni del mancato accordo; il verbale è sottoscritto dalle parti e dal mediatore, il quale certifica l'autografia della sottoscrizione delle parti o la loro impossibilità di sottoscrivere. Nello stesso verbale, il mediatore dà atto della mancata partecipazione di una delle parti al procedimento di mediazione.
5. Il processo verbale è depositato presso la segreteria dell’organismo e di esso è rilasciata copia alle parti che lo richiedono.
L’articolo 11 delinea i possibili esiti del procedimento di mediazione, individuando le seguenti ipotesi:
a) Raggiungimento di un accordo. In questo caso il mediatore forma il processo verbale, al quale è allegato l’accordo, sottoscritto dalle parti. L’accordo può eventualmente prevedere l’impegno delle parti al pagamento di una somma di denaro in caso di violazione o inosservanza degli obblighi previsti dall’accordo stesso (comma 1). Il processo verbale è depositato presso la segreteria dell’organismo di conciliazione e le parti possono estrarne copia (comma 5). Per quanto riguarda l’efficacia dell’accordo stesso, dispone il successivo art. 12 (v. infra).
b) Mancato raggiungimento dell’accordo. In questo caso il mediatore formula una proposta di conciliazione, avvertendo le parti che se verrà presentata domanda giudiziale e il provvedimento che definirà il giudizio corrisponderà al contenuto della proposta, la parte vincitrice che non ha accettato la proposta non solo non otterrà la ripetizione delle spese ma dovrà sostenere anche quelle del soccombente (cfr. infra, art. 13). La proposta sarà comunicata alle parti per iscritto e queste dovranno – entro 7 giorni, e sempre per iscritto – accettarla o rifiutarla (il silenzio equivale al dissenso) (comma 2).
§ Se le parti accettano la proposta di conciliazione, su questa si forma il processo verbale, che sarà sottoscritto da tutti e depositato in segreteria (comma 3). Anche in questo caso (cfr. comma 1) la conciliazione può prevedere l’impegno delle parti al pagamento di una somma di denaro in caso di violazione o inosservanza degli obblighi previsti dall’accordo stesso. Per quanto riguarda l’efficacia dell’accordo stesso, dispone il successivo art. 12 (v. infra).
§ Se le parti non accettano la proposta di conciliazione, il mediatore redige comunque il processo verbale, che conterrà l’enunciazione della proposta e delle ragioni del mancato accordo (rilevanti ai fini del successivo art. 13). In base al comma 4 in questo verbale il mediatore dà anche atto della mancata partecipazione di una delle parti dal procedimento di mediazione.
Articolo 12
(Efficacia esecutiva ed esecuzione)
1. Il verbale di accordo, il cui contenuto non è contrario all’ordine pubblico o a norme imperative, è omologato, previo accertamento della regolarità formale, con decreto del presidente del tribunale nel cui circondario ha sede l'organismo. Nelle controversie transfrontaliere di cui all’articolo 2 della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio del 21 maggio 2008, 2008/52/Ce, il verbale è omologato dal presidente del tribunale nel cui circondario l’accordo deve avere esecuzione.
2. Il verbale di cui al comma 1 costituisce titolo esecutivo per l'espropriazione forzata, per l'esecuzione in forma specifica e per l'iscrizione di ipoteca giudiziale.
L’articolo 12 prevede che il verbale contenente l’accordo tra le parti (scaturito direttamente dal procedimento di mediazione, ovvero frutto dell’adesione alla proposta del mediatore) sia omologato con decreto del presidente del Tribunale (comma 1).
Per l’individuazione del tribunale competente, si dovrà tener conto della sede dell’organismo di conciliazione, a meno che la controversia non rivesta carattere transfrontaliero (ai sensi dell’art. 2 della direttiva 21 maggio 2008, n. 2008/52/CE[13]) e si debba far riferimento al luogo ove l’accordo deve essere eseguito.
Presupposti per l’omologazione sono:
- la non contrarietà dell’accordo all’ordine pubblico;
- la non contrarietà dell’accordo a norme imperative;
- la regolarità formale dell’accordo.
Il comma 2 – dando seguito al principio di delega di cui all’art. 60, comma 3, lett. s)[14] - precisa che il verbale di accordo costituisce titolo esecutivo per l’espropriazione forzata, per l’esecuzione in forma specifica e per l’iscrizione di ipoteca.
Occorrerebbe chiarire se il verbale acquisisce questa particolare efficacia dal momento del deposito nella segreteria dell’organismo di conciliazione – come si può desumere dalla lettera della disposizione – ovvero soltanto a seguito dell’omologazione da parte del Presidente del Tribunale.
Articolo 13
(Spese processuali)
1. Quando il provvedimento che definisce il giudizio corrisponde interamente al contenuto della proposta, il giudice esclude la ripetizione delle spese della parte vincitrice che ha rifiutato la proposta, riferibili al periodo successivo alla formulazione della stessa, e la condanna al rimborso delle spese sostenute dalla parte soccombente relative allo stesso periodo, nonché al versamento all’entrata del bilancio dello Stato di un’ulteriore somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto. Resta ferma l’applicabilità degli articoli 92 e 96 del codice di procedura civile. Le disposizioni di cui al presente comma si applicano altresì alle spese per l’indennità corrisposta al mediatore e per il compenso dovuto all’esperto di cui all’articolo 8, comma 4.
2. Quando il provvedimento che definisce il giudizio non corrisponde interamente al contenuto della proposta, il giudice, se ricorrono gravi ed eccezionali ragioni, può nondimeno escludere la ripetizione delle spese sostenute dalla parte vincitrice per l’indennità corrisposta al mediatore e per il compenso dovuto all’esperto di cui all’articolo 8, comma 4. Il giudice deve indicare esplicitamente, nella motivazione, le ragioni del provvedimento di cui al periodo precedente.
3. Salvo diverso accordo, le disposizioni precedenti non si applicano ai procedimenti davanti agli arbitri.
L’articolo 13 disciplina l’imputazione delle spese processuali in rapporto al fallito procedimento di mediazione.
Nel corso del processo civile ciascuna delle parti deve provvedere alle spese degli atti che compie e di quelli che chiede, e anticiparle per gli altri atti necessari quando l'anticipazione è posta a suo carico dalla legge o dal magistrato. Se tutte le parti hanno interesse al compimento dell'atto, il giudice può ordinare che concorrano insieme ad anticiparne la spesa (caso tipico è quello della parcella riconosciuta al consulente tecnico per la sua perizia). Le spese sono principalmente quelle della carta bollata, delle notificazioni (che vanno versate agli ufficiali giudiziari) e delle tasse di registrazione.
L'anticipazione è comunque un onere provvisorio in quanto il giudice, con la sentenza che chiude il processo davanti a sé, condanna la parte soccombente a rimborsare l'altra parte e ne liquida l'ammontare insieme agli onorari del difensore (art. 91 c.p.c.). Soccombente è la parte le cui domande o difese non sono state accolte; vi può anche essere soccombenza reciproca, quando le domande di entrambe le parti sono state in parte accolte e in parte respinte: in questi casi il giudice generalmente compenserà le spese.
Nella pronuncia di condanna alle spese, il giudice può escluderne alcune sostenute dalla parte vincitrice se le ritiene eccessive o superflue e può, indipendentemente dalla soccombenza, condannare una parte al rimborso delle spese che per trasgressione del dovere di lealtà essa ha causato all'altra parte (art. 92 c.p.c.).
Se risulta che la parte soccombente ha agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave[15], il giudice, solo su istanza dell'altra parte, la condanna, oltre che alle spese, al risarcimento dei danni, che liquida nella sentenza (art. 96 c.p.c.).
Lo schema di decreto legislativo distingue due ipotesi, a seconda che il provvedimento con il quale il giudice definisce il giudizio corrisponda o meno al contenuto della proposta di conciliazione formulata dal mediatore (v. sopra, art. 11).
Se è la parte risultata vincitrice a non aver accettato la proposta di mediazione, che corrispondeva integralmente al provvedimento giudiziario poi adottato dal giudice, quest’ultimo deve (comma 1):
§ negare alla parte vittoriosa la ripetizione delle spese;
§ condannarla invece a sostenere le spese che il soccombente ha affrontato dalla data della proposta di conciliazione fino alla definizione del giudizio civile;
§ condannarla a versare allo Stato, a titolo di sanzione processuale, una somma parametrata sul contributo unificato dovuto.
Tale criterio di imputazione delle spese deve – in base all’ultimo periodo del primo comma – applicarsi anche alle spese sostenute nella fase di mediazione, ovvero alle somme dovute al mediatore ed agli eventuali esperti coinvolti.
Il giudice potrà comunque valutare il comportamento delle parti anche al fine dell’applicazione degli articoli 92 e 96 del codice di rito, relativi alla compensazione delle spese, alla ripetizione delle spese superflue e alla violazione del dovere di lealtà delle parti.
Questa disposizione intende dare attuazione al principio di delega contenuto nell’art. 60, comma 3, lett. p), in base al quale il Governo deve «prevedere, nei casi in cui il provvedimento che chiude il processo corrisponda interamente al contenuto dell’accordo proposto in sede di procedimento di conciliazione, che il giudice possa escludere la ripetizione delle spese sostenute dal vincitore che ha rifiutato l’accordo successivamente alla proposta dello stesso, condannandolo altresì, e nella stessa misura, al rimborso delle spese sostenute dal soccombente, salvo quanto previsto dagli articoli 92 e 96 del codice di procedura civile, e, inoltre, che possa condannare il vincitore al pagamento di un’ulteriore somma a titolo di contributo unificato».
In base al comma 2, anche laddove la proposta non fosse identica al provvedimento giudiziario poi adottato, il giudice può comunque escludere per la parte vittoriosa la ripetizione delle spese sostenute per la mediazione (mediatore e eventuali esperti), in presenza di «gravi ed eccezionali ragioni», che il giudice dovrà comunque esplicitare in motivazione.
Infine, il comma 3 esclude l’applicabilità della disciplina sull’imputazione delle spese processuali al rito arbitrale.
Articolo 14
(Obblighi del mediatore)
1. Al mediatore e ai suoi ausiliari è fatto divieto di assumere diritti o obblighi connessi, direttamente o indirettamente, con gli affari trattati, ad eccezione di quelli strettamente inerenti alla prestazione dell'opera o del servizio; è fatto loro divieto di percepire compensi direttamente dalle parti.
2. Al mediatore è fatto, altresì, obbligo di:
a) sottoscrivere, per ciascun affare per il quale e' designato, una dichiarazione di imparzialità secondo le formule previste dal regolamento di procedura applicabile, nonché gli ulteriori impegni eventualmente previsti dal medesimo regolamento;
b) informare immediatamente l'organismo e le parti delle ragioni di possibile pregiudizio all’imparzialità nello svolgimento della mediazione;
c) formulare le proposte di conciliazione nel rispetto del limite dell’ordine pubblico e delle norme imperative;
d) corrispondere immediatamente a ogni richiesta organizzativa del responsabile dell’organismo.
3. Su istanza di parte, il responsabile dell’organismo provvede alla eventuale sostituzione del mediatore. Il regolamento individua la diversa competenza a decidere sull’istanza, quando la mediazione è svolta dal responsabile dell’organismo.
L’articolo 14, ai commi 1 e 2,individua una serie di obblighi a carico del mediatore, finalizzati a garantirne l’imparzialità.
In particolare, il mediatore (e, laddove previsto, i suoi ausiliari):
§ non può assumere diritti o obblighi connessi con gli affari trattati;
§ non può percepire compensi direttamente dalle parti;
§ deve sottoscrivere una dichiarazione di imparzialità in relazione a ciascuna controversia trattata;
§ deve informare immediatamente l'organismo e le parti di eventuali ragioni di incompatibilità con lo svolgimento della mediazione;
§ deve formulare le proposte di conciliazione nel rispetto del limite dell’ordine pubblico e delle norme imperative (pena la mancata omologazione del verbale di accordo in base all’art. 12);
§ deve dar seguito a ogni richiesta organizzativa del responsabile dell’organismo.
Il comma 3 demanda al responsabile dell’organismo di mediazione il compito di valutare la sostituzione del mediatore quando le parti ne facciano richiesta; spetterà invece al regolamento dell’organismo definire le modalità di sostituzione del responsabile quando sia egli stesso a svolgere in prima persona la mediazione.
Art. 15
(Mediazione nell'azione di classe)
1. Quando è esercitata l’azione di classe prevista dall’articolo 140-bis del codice del consumo, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, e successive modificazioni, la conciliazione, intervenuta dopo la scadenza del termine per l’adesione, ha effetto anche nei confronti degli aderenti che vi abbiano espressamente consentito..
L’articolo 15 è volto a raccordare la disciplina dell’azione di classe prevista dall’art. 140-bis del Codice del consumo (D.Lgs 206 del 2005) con la nuova disciplina della mediazione.
La legge finanziaria 2008 aveva introdotto nel “Codice del consumo” (art. 140-bis del decreto legislativo 206/2005) l’azione collettiva risarcitoria a tutela dei consumatori. Nella disciplina originaria, essa consisteva in un’azione giudiziale di gruppo (attivabile da associazioni rappresentative di consumatori ed utenti nei confronti delle imprese per specifici illeciti contrattuali ed extracontrattuali) finalizzata ad ottenere dal giudice una pronuncia di accertamento della lesione degli interessi di una determinata categoria di persone ed il loro diritto ad un risarcimento.
L’entrata in vigore dell’istituto è stata più volte differita, da ultimo al 1° gennaio 2010 con il decreto-legge 78/2009 (convertito dalla legge 102/2009).
L’articolo 49 del provvedimento collegato in materia di energia (legge 99/2009) ha complessivamente riformato tale disciplina.
Le finalità dell’azione sono ora individuate nella tutela dei diritti di una pluralità di consumatori e utenti che versano nei confronti di una stessa impresa in situazione identica (“diritti individuali omogenei”); di danni derivanti dalla violazione di diritti contrattuali o di diritti comunque spettanti al consumatore finale del prodotto (a prescindere da un rapporto contrattuale), di danni derivanti da comportamenti anticoncorrenziali o da pratiche commerciali scorrette.
La legittimazione ad agire in giudizio viene riconosciuta ai singoli cittadini-consumatori, anche mediante associazioni cui diano mandato o comitati cui partecipino. È possibile per altri consumatori aderire all’azione di classe; l’adesione comporta la rinuncia a ogni azione restitutoria o risarcitoria individuale. E’ tuttavia fatta salva l’azione individuale dei soggetti che non aderiscono all’azione collettiva.
Il procedimento è scandito in due fasi, la prima volta alla pronuncia sull’ammissibilità dell’azione di classe; la seconda finalizzata invece alla decisione nel merito. In caso di accoglimento della domanda, il procedimento si conclude con la sentenza di condanna alla liquidazione, in via equitativa, delle somme dovute a coloro che hanno aderito all’azione ovvero con la definizione di un criterio omogeneo di calcolo per la suddetta liquidazione.
La nuova disciplina non ha carattere retroattivo: l’esercizio dell’azione è ammesso solo per gli illeciti compiuti dopo il 15 agosto 2009, data di entrata in vigore del provvedimento.
L’articolo 5, comma 1, esclude che lo svolgimento del procedimento di mediazione costituisca condizione di procedibilità dell’azione di classe nemmeno rispetto alle categorie di controversie indicate nella medesima disposizione. L’azione di classe tuttavia non preclude la mediazione.
Se il procedimento di mediazione viene svolto, l’eventuale conciliazione prima della scadenza del termine per le adesioni all’azione di classe (ovvero, in base all’articolo 140-bis, comma 9, il termine fissato dal giudice non superiore a 120 giorni dalla scadenza di quello stabilito per l’esecuzione della pubblicità dell’azione) potrà fare stato solo tra l’attore e il l’impresa convenuta.
Per avere carattere “di classe”, la conciliazione dovrà essere raggiunta dopo lo spirare del citato termine. Essa avrà però effetto nei confronti, oltre che dell’attore e del convenuto, dei soli aderenti che vi abbiano espressamente consentito.
La relazione illustrativa precisa che tale previsione è in linea con quanto previsto dall’ultimo comma dell’art. 140-bis, secondo cui le rinunce e le transazioni intervenute tra le parti nel corso dell’azione di classe non pregiudicano i diritti degli aderenti che non vi abbiano espressamente consentito.
Art. 16
(Organismi di conciliazione e registro. Albo dei formatori)
1. Gli enti pubblici o privati, che diano garanzie di serietà ed efficienza, sono abilitati a costituire organismi deputati, su istanza della parte interessata, a gestire il procedimento di mediazione nelle materie di cui all'articolo 2 del presente decreto. Gli organismi devono essere iscritti nel registro.
2. La formazione del registro e la sua revisione, l'iscrizione, la sospensione e la cancellazione degli iscritti, l’istituzione di separate sezioni del registro per la trattazione degli affari che richiedono specifiche competenze anche in materia di consumo e internazionali, nonché la determinazione delle indennità spettanti agli organismi sono disciplinati con appositi decreti del Ministro della Giustizia. Sino all’emanazione di tali decreti si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni dei decreti del Ministro della giustizia 23 luglio 2004, n. 222 e n. 223. A tali disposizioni si conformano, sino alla medesima data, gli organismi di composizione extragiudiziale previsti dall’articolo 141 del codice del consumo, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, e successive modificazioni.
3. L'organismo, unitamente alla domanda di iscrizione nel registro, deposita presso il Ministero della giustizia il proprio regolamento di procedura e comunica successivamente le eventuali variazioni. Nel regolamento devono essere previste, fermo quanto stabilito dal presente decreto, le procedure telematiche eventualmente utilizzate dall’organismo, in modo da assicurare la sicurezza delle comunicazioni e il rispetto della riservatezza dei dati. Al regolamento devono essere allegate le tabelle delle indennità spettanti agli organismi costituiti da enti privati, proposte per l'approvazione a norma dell'articolo 17.
4. La vigilanza sul registro è esercitata dal Ministero della giustizia e, con riferimento alla sezione per la trattazione degli affari in materia di consumo di cui al comma 2, anche dal Ministero dello sviluppo economico. L’istituzione e la tenuta del registro avvengono nell’ambito delle risorse umane, finanziarie e strumentali già esistenti presso il Ministero della giustizia e il Ministero dello sviluppo economico, per la parte di rispettiva competenza.
5. Presso il Ministero della giustizia è istituito, con decreto ministeriale, l’albo dei formatori per la mediazione. Il decreto stabilisce i criteri per l’iscrizione, la sospensione e la cancellazione degli iscritti, nonché per lo svolgimento dell’attività di formazione. Con lo stesso decreto, è stabilita la data a decorrere dalla quale la partecipazione all’attività di formazione di cui al presente comma costituisce per il mediatore requisito di qualificazione professionale.
Il Capo III del provvedimento (articoli 16-19) regola la figura degli organismi di conciliazione adottando come modello generale quello della conciliazione stragiudiziale in materia societaria (ora assorbita dalla disciplina generale introdotta dal decreto), coerentemente con le previsioni della norma di delega.
La formulazione dell’articolo 16 (Organismi di conciliazione e registro. Albo dei formatori) appare mutuata – pur con qualche necessaria integrazione – dalla disposizione che disciplina gli organismi di conciliazione in materia societaria (art. 38 del D.Lgs n. 5 del 2003, ora abrogato dagli artt. 39 e 40 dall’art. 23 del decreto in esame).
Si prevede cosi che organismi di conciliazione costituiti da enti pubblici o privati che diano garanzie di serietà ed efficienza, su istanza della parte interessata, siano abilitati a gestire un tentativo di conciliazione delle controversie nelle materie indicate all'articolo 2 dello schema di decreto.
Tali organismi debbono essere iscritti in un apposito registro istituito presso il Ministero della giustizia (nelle more dell’adozione del regolamento l’iscrizione va fatta presso il registro degli organismi di conciliazione per le controversie societarie istituto dal DM giustizia n. 222 del 2004).
Con appositi decreti del Ministro della giustizia saranno disciplinati:
- la formazione del registro e la sua revisione;
- l’iscrizione, la sospensione e la cancellazione degli organismi iscritti;
- l’istituzione di sezioni del registro cui iscriversi per l’abilitazione a conciliare in settori che richiedono specifiche competenze, come quello del consumo e quello internazionale;
- le indennità spettanti agli organismi.
Fino alla data di emanazione dei decreti ministeriali di attuazione si prevede l’applicazione della corrispondente disciplina (del registro e delle indennità) adottata per le conciliazioni stragiudiziali societarie dai DM giustizia nn. 222 e 223 del 2004.
Il D.M. 23 luglio 2004, n. 222, reca il regolamento recante la determinazione dei criteri e delle modalità di iscrizione nonché di tenuta del registro degli organismi di conciliazione in materia societaria; il D.M. 223, adottato lo stesso giorno, contiene invece il regolamento recante approvazione delle indennità spettanti agli organismi di conciliazione.
Analogamente, nella fase transitoria, alla disciplina richiamata dai medesimi regolamenti si conformano gli organismi di conciliazione per le controversie tra consumatori e professionisti previsti dall’art. 141 del Codice del consumo (D.Lgs 206/2005).
L’art. 141 prevede la possibilità che consumatore e professionista possano ricorrere ad una composizione extragiudiziale delle controversie, anche per via telematica, il cui esito non impedisce tuttavia il ricorso ad un giudizio ordinario.
Ad un decreto di natura non regolamentare del Ministro dello sviluppo economico, d'intesa con il Ministro della giustizia (ancora non emanato), è stata demandata l’adozione di disposizioni per la formazione dell'elenco degli organi di composizione extragiudiziale delle controversie in materia di consumo; tali disposizioni si conformano ai principi delle raccomandazioni della Commissione 98/257/CE e 2001/310/CE riguardanti i principi applicabili agli organismi di mediazione in tale materia. La norma prevede che gli organismi di conciliazione di cui all’elenco siano comunicati, da parte del Ministero dello sviluppo economico, alla Commissione. Lo stesso ministero assicura, altresì, gli ulteriori adempimenti connessi all'attuazione della risoluzione del Consiglio dell'Unione europea del 25 maggio 2000, 2000/C 155/01, relativa ad una rete comunitaria di organi nazionali per la risoluzione extragiudiziale delle controversie in materia di consumo.
In ogni caso, sono dall’art. 141 considerati organi di composizione extragiudiziale delle controversie le commissioni arbitrali e conciliative costituite presso le camere di commercio ai sensi dell’art. 2 della legge 580 del 1993.
Con la domanda d’iscrizione al registro l’organismo di conciliazione deve depositare presso il Ministero della giustizia il proprio regolamento di procedura. Tale regolamento deve contenere anche l’indicazione delle procedure telematiche eventualmente adottate (in ogni caso assicurando la sicurezza delle comunicazioni e il diritto alla privacy) e, in allegato, le tabelle delle indennità in favore degli organismi di conciliazione costituiti da enti privati, ai fini dell’approvazione da parte del ministero (per gli organismi costituiti da enti pubblici, il decreto direttamente determina l’ammontare delle indennità, cfr. art. 17).
La lettera i) della norma di delega prevede che gli organismi di conciliazione iscritti nel Registro possano svolgere il servizio di mediazione anche attraverso procedure telematiche.
Il registro è soggetto alla vigilanza del Ministro della giustizia, con esclusione della sezione riservata agli organismi di conciliazione nelle materia del consumo, vigilata dal Ministro dello sviluppo economico.
L’art. 16 prevede, oltre al registro, l’istituzione con D.M. presso il Ministero della giustizia dell’Albo dei formatori per la mediazione. Il medesimo decreto stabilisce la data a decorrere dalla quale la partecipazione all’attività di formazione di cui al presente comma costituisce per il mediatore requisito di qualificazione professionale.
Si osserva come l’uso dell’espressione “Albo dei formatori”, anziché Registro o Elenco dei formatori potrebbe sottintendere l’esistenza di un sottostante ordine e quindi di una nuova professione intellettuale di formatore per la mediazione.
Art. 17
(Regime fiscale. Indennità)
1. In attuazione dell’articolo 60, comma 3, lettera o) della legge 18 giugno 2009, n. 69, le agevolazioni fiscali previste dal presente articolo, commi 2 e 3, e dall’articolo 20, rientrano tra le finalità del Ministero della Giustizia finanziabili con la parte delle risorse affluite al Fondo Unico Giustizia attribuite al predetto Ministero, ai sensi del comma 7 dell’articolo 2 lettera b) del decreto-legge 16 settembre 2008, n. 143, convertito, con modificazioni, dalla legge 13 novembre 2008, n. 181, e dei commi 3 e 4 dell’articolo 7 del decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanze, di concerto con i Ministri della Giustizia e dell’Interno, in data 30 luglio 2009, n. 127.
2. Tutti gli atti, documenti e provvedimenti relativi al procedimento di mediazione sono esenti dall’imposta di bollo e da ogni spesa, tassa o diritto di qualsiasi specie e natura.
3. Il verbale di accordo è esente dall’imposta di registro entro il limite di valore di 51.646 euro.
4. Con il decreto di cui all’articolo 16, comma 2, sono determinati:
a) l’ammontare minimo e massimo delle indennità spettanti agli organismi pubblici e il criterio di calcolo;
b) i criteri per l’approvazione delle tabelle, delle indennità proposte dagli organismi costituiti da enti privati;
c) le maggiorazioni massime delle indennità dovute, non superiori al venticinque percento, nell’ipotesi di successo della mediazione;
d) le riduzioni minime delle indennità dovute nelle ipotesi in cui la mediazione è condizione di procedibilità ai sensi dell’articolo 5, comma 1.
5. Quando la mediazione è condizione di procedibilità della domanda ai sensi dell’articolo 5, comma 1, le parti in possesso delle condizioni per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, ai sensi dell’articolo 76 (L) del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia di cui al decreto del Presidente della Repubblica del 30 maggio 2002, n. 115, sono esonerate dal pagamento dell’indennità spettante all’organismo di conciliazione. A tal fine la parte è tenuta a depositare presso l’organismo di conciliazione apposita dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà, la cui sottoscrizione può essere autenticata dal medesimo mediatore, nonché a produrre, a pena di inammissibilità, se l’organismo di conciliazione lo richiede, la documentazione necessaria a comprovare la veridicità di quanto dichiarato.
6. Il Ministero della giustizia, nell’ambito delle proprie attività istituzionali, provvede al monitoraggio delle mediazioni concernenti i soggetti esonerati dal pagamento dell’indennità di mediazione. Dei risultati di tale monitoraggio si tiene conto per la determinazione, con il decreto di cui all’articolo 16, comma 2, delle indennità spettanti agli organismi pubblici di conciliazione, in modo da coprire anche il costo dell’attività prestata a favore dei soggetti aventi diritto all’esonero.
7. L’ammontare dell’indennità può essere rideterminato ogni tre anni in relazione alla variazione, accertata dall’Istituto Nazionale di Statistica, dell’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati, verificatasi nel triennio precedente.
8. Alla copertura degli oneri derivanti dalle disposizioni dei commi 2 e 3, valutati in 11,7 milioni di euro a decorrere dall’anno 2010, si provvede mediante corrispondente riduzione della quota delle risorse del “Fondo unico giustizia” di cui all’articolo 2, comma 7, lettera b) del decreto-legge 16 settembre 2008, n. 143, convertito, con modificazioni, dalla legge 13 novembre 2008, n. 181, che, a tal fine, resta acquisita all’entrata del bilancio dello Stato.
L’articolo 17 contiene la disciplina degli incentivi fiscali alla mediazione e l’ammontare delle indennità di competenza degli organismi di conciliazione. Anche in tal caso, il modello seguito è quello già adottato per le mediazioni nelle controversie societarie (art. 39 del D.Lgs 5/2003)
La norma di delega, alla lettera o), rimette al decreto delegato la previsione di forme di agevolazione di carattere fiscale a favore delle parti della mediazione allo scopo evidente di incentivare il ricorso allo strumento conciliativo, assicurando, al contempo, l’invarianza del gettito attraverso gli introiti che affluiscono al Ministero della giustizia dal cd. Fondo unico giustizia, a decorrere dall’anno precedente l’introduzione della norma e successivamente con cadenza annuale.
Preliminarmente si segnala che ulteriori agevolazioni di carattere fiscale sono contemplate dall’articolo 20 (nella forma del credito di imposta), correttamente collocato nel Capo IV (Disposizioni in materia fiscale e informativa). Occorre valutare l’opportunità di collocare nel medesimo Capo anche le disposizioni fiscali contenute nell’articolo 17.
Le agevolazioni fiscali contemplate dai commi 2 e 3 riguardano:
§ l’esenzione dall’imposta di bollo e da ogni spesa, tassa o altro diritto di analoga natura di ogni atto, documento e provvedimento relativo al procedimento di mediazione;
§ l’esenzione del verbale d’accordo dall’imposta di registro entro il limite di valore di 51.646 euro.
La relazione del Governo precisa che il raddoppio del tetto di esenzione dell'imposta di registro rispetto a quello di 25.000 euro previsto per il verbale di conciliazione nelle controversie societarie deriva dalla necessità di “uniformare la conciliazione stragiudiziale disciplinata dal decreto alla conciliazione giudiziale”. Ai sensi dell’articolo 9, comma 9, della legge finanziaria 2000 (L. 488/1999), sono infatti esenti dall'imposta di registro i processi verbali di conciliazione di valore non superiore a lire 100 milioni (euro 51.645,69).
Con riferimento, invece, alle indennità di competenza degli organismi di conciliazione, l’art. 17 in esame determina il contenuto del decreto ministeriale di cui all’art. 16, comma 2 (in realtà tale disposizione fa riferimento a più decreti). Mentre l’entità dell’ammontare minimo e massimo delle indennità in favore degli organismi di mediazione pubblici è fissato direttamente dal decreto (rideterminabile ogni 3 anni sulla base delle rilevazioni ISTAT delle variazioni dei prezzi al consumo), la stessa normativa secondaria potrà solo determinare i criteriper l’approvazione delle tabelle delle indennità proposte dagli organismi di mediazione privati. Il decreto fissa invece direttamente sia le maggiorazioni delle indennità (fino ad un massimo del 25%) in caso di esito favorevole della mediazione che le riduzioni minime delle indennità quando il tentativo di mediazione costituisca condizione di procedibilità della domanda giudiziale ai sensi dell’art. 5 del decreto.
Solo in tali ultime ipotesi - quando cioè sia obbligatorio esperire la mediazione - la parte avente diritto all’ammissione al gratuito patrocinio ai sensi di quanto previsto dall’art. 76, TU spese di giustizia (ovvero sia titolare di un reddito imponibile ai fini dell'imposta personale sul reddito, risultante dall'ultima dichiarazione, non superiore a euro 10.628,16) è esentata dal pagamento dell’indennità all’organismo di conciliazione; sarà a tal fine sufficiente il deposito presso quest’ultimo di una autocertificazione (nella forma di dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà), fermo restando il diritto dell’ente a richiedere i documenti giustificativi.
La relazione illustrativa spiega che tale esonero finanziario, oltre che in accordo con le previsioni dall’art. 24, comma 3, Cost. in materia di accesso alla giustizia risponde anche al contenuto della direttiva 2003/8/CE[16] che prevede che il patrocinio a spese dello Stato deve essere concesso alle stesse condizioni, che si tratti di procedimenti giudiziari tradizionali o di procedimenti stragiudiziali, quali la mediazione, quando il ricorso a questi ultimi sia imposto per legge o ordinato dall'organo giurisdizionale.
Ai fini della corretta quantificazione delle indennità di mediazione in favore dei organismi pubblici, il Ministero della giustizia effettua un monitoraggio delle mediazioni in cui sono parti soggetti esenti dal pagamento dell’indennità.
Dal 2010, l’impegno finanziario per le indicate agevolazioni fiscali è valutato in 11,7 milioni di euro.
Esso è coperto dalle risorse del Fondo unico giustizia. In base al comma 1, infatti, le agevolazioni fiscali previste dagli articoli 17 e 20 rientrano tra le finalità del Ministero della Giustizia finanziabili con la parte delle risorse del Fondo Unico Giustizia attribuite al medesimo Ministero, ai sensi dell’art. 2, comma 7, lett. b) del decreto-legge n. 143 del 2008 (convertito dalla legge n. 181 del 2008) e dell’articolo 7, commi 3 e 4, del decreto interministeriale n. 127 del 2009.
Si ricorda che l’art. 2, comma 7, del d.l. n. 143 del 2008 demanda ad un D.P.C.M. la determinazione delle quote delle risorse del Fondo da destinare mediante riassegnazione:
a) in misura non inferiore ad un terzo, al Ministero dell'interno per la tutela della sicurezza pubblica e del soccorso pubblico;
b) in misura non inferiore ad un terzo, al Ministero della giustizia per assicurare il funzionamento e il potenziamento degli uffici giudiziari e degli altri servizi istituzionali;
c) all'entrata del bilancio dello Stato.
Il decreto 127 del 2009 reca il regolamento di attuazione della disciplina del Fondo unico giustizia. L’articolo 7 in particolare disciplina le destinazioni al Ministero dell'interno e al Ministero della giustizia, prevedendo in particolare al comma 4 la procedura attraverso la quale il Ministro della giustizia, con decreto (da comunicare anche alle Commissioni parlamentari) provvede alla ripartizione delle somme confluite nel fondo tra le u.p.b. interessate, secondo le finalità indicate dal sopra richiamato d.l. n. 143 del 2009, con particolare riferimento al funzionamento e al potenziamento degli uffici giudiziari.
Art. 18
(Organismi presso a tribunali)
1. I consigli degli ordini degli avvocati possono istituire organismi presso ciascun tribunale, avvalendosi di proprio personale e utilizzando i locali loro messi a disposizione dal presidente del tribunale. Gli organismi di conciliazione presso i tribunali sono iscritti al registro a semplice domanda, nel rispetto dei criteri stabiliti dai decreti di cui all’articolo 16.
Art. 19
(Organismi presso i consigli degli ordini professionali e presso le camere di
commercio)
1. I consigli degli ordini professionali possono istituire, per le materie riservate alla loro competenza, previa autorizzazione del Ministero della giustizia, organismi speciali, avvalendosi di proprio personale e utilizzando locali nella propria disponibilità.
2. Gli organismi di cui al comma 1 e gli organismi istituiti ai sensi dell'articolo 2, comma 4, della legge 29 dicembre 1993, n. 580, dalle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura sono iscritti al registro a semplice domanda, nel rispetto dei criteri stabiliti dai decreti di cui all’articolo 16.
Il contenuto degli articoli 18 e 19 risponde a specifici principi della delega concessa con la legge 69/2009.
Le lett e) ed f) del comma 3 dell’art. 60 hanno previsto infatti la possibilità, per i consigli degli ordini degli avvocati, di istituire, presso i tribunali, organismi di conciliazione (iscritti di diritto nel Registro) che, per il loro funzionamento, si avvalgono del personale degli stessi consigli.
Le successive lett. g) ed h) della stessa norma prevedono, per le controversie in particolari materie, la facoltà di istituire organismi di conciliazione presso i consigli degli ordini professionali, anch’essi iscritti di diritto nel Registro.
Tale previsione – spiega la relazione - risponde alla necessità di affrontare adeguatamente il tecnicismo di mediazioni in particolari materie (contabili, informatiche, ingegneristiche) che solo gli appartenenti ai relativi ordini possono rapidamente risolvere.
La lettera c) della norma di delega prevede inoltre il diritto delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura che hanno costituito organismi di conciliazione ai sensi dell’articolo 2 della legge 29 dicembre 1993, n. 580, ad ottenere l’iscrizione di tali organismi nel medesimo Registro.
Gli artt. 18 e 19, riprendendo il contenuto dei principi di delega, prevedono:
- che l’iscrizione nel Registro degli organismi istituiti presso i consigli dell’ordine degli avvocati, presso i consigli degli ordini professionali e degli organi di conciliazione presso le Camere di commercio avvenga “a semplice domanda”;
- la possibilità di usufruire dei locali messi a disposizione dal presidente del tribunale (per gli ordini forensi) e dall’ordine professionale (per organismi di conciliazione istituiti da altri ordini),
- la possibilità – per tutti gli ordini - di servirsi di proprio personale per le necessità degli organismi di mediazione.
Va precisato, in ogni caso, che l’iscrizione a semplice domanda non esonera comunque gli organismi dal rispetto dei criteri per l’iscrizione nel Registro stabiliti dai decreti ministeriali.
A differenza di quanto previsto per i Consigli degli ordini degli avvocati, per i consigli degli ordini professionali, l’articolo 19, comma 1, richiede l’autorizzazione del Ministero della giustizia per l’istituzione degli organismi di conciliazione. Occorre valutare la compatibilità di tale disposizione con la lettera g) della norma di delega che prevede in termini generali “per le controversie in particolari materie, la facoltà di istituire organismi di conciliazione presso i consigli degli ordini professionali”.
1. Alle parti che corrispondono l’indennità ai soggetti abilitati a svolgere il procedimento di mediazione presso gli organismi di conciliazione di cui all’articolo 60 della legge 18 giugno 2009, n. 69, è riconosciuto un credito d’imposta commisurato all’indennità stessa, fino a concorrenza di euro cinquecento, determinato secondo quanto disposto dai commi 2 e 3.
2. A decorrere dal 2011, con decreto del Ministro della Giustizia, entro il 30 aprile di ciascun anno, è determinato l’ammontare delle risorse a valere sulla quota del “Fondo unico giustizia” di cui all’articolo 2, comma 7, lettera b) del decreto-legge 16 settembre 2008, n. 143, convertito, con modificazioni, dalla legge 13 novembre 2008, n. 181, destinato alla copertura delle minori entrate derivanti dalla concessione del credito d’imposta di cui al comma 1 relativo alle mediazioni concluse nell’anno precedente. Con il medesimo decreto è individuato il credito d’imposta effettivamente spettante in relazione all’importo di ciascuna mediazione in misura proporzionale alle risorse stanziate e, comunque, nei limiti dell’importo indicato al comma 1.
3. Il Ministero della Giustizia comunica all’interessato l’importo del credito d’imposta spettante entro 30 giorni dal termine indicato al comma 2 per la sua determinazione e trasmette, in via telematica, all’Agenzia delle entrate l’elenco dei beneficiari ed i relativi importi a ciascuno comunicati.
4. Il credito d’imposta deve essere indicato, a pena di decadenza, nella dichiarazione dei redditi ed è utilizzabile a decorrere dalla data di ricevimento della comunicazione di cui al comma 3, in compensazione ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, nonché, da parte delle persone fisiche non titolari di redditi d’impresa o di lavoro autonomo, in diminuzione delle imposte sui redditi. Il credito d’imposta non dà luogo a rimborso e non concorre alla formazione del reddito ai fini delle imposte sui redditi, né del valore della produzione netta ai fini dell’imposta regionale sulle attività produttive e non rileva ai fini del rapporto di cui agli articoli 61 e 109, comma 5, del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917.
5. Ai fini della copertura finanziaria delle minori entrate derivanti dal presente articolo il Ministero della Giustizia provvede annualmente al versamento dell’importo corrispondente all’ammontare delle risorse destinate ai crediti d’imposta sulla contabilità speciale n. 1778 “Agenzia delle Entrate – Fondi di bilancio”.
L’articolo 20 integra l’illustrata disciplina sulle agevolazioni fiscali in favore dei soggetti che si avvalgono della mediazione stragiudiziale (art. 17) riconoscendo loro un credito d’imposta commisurato all’indennità versata all’organismo di conciliazione fino ad un massimo di 500 euro.
Il credito riconosciuto non corrisponderà quindi all’intera cifra pagata al mediatore bensì sarà ad essa commisurata in via proporzionale.
L’effettiva misura del credito spettante sarà determinata con decreto del Ministro della Giustizia il quale dovrà:
§ annualmente stabilire la quota complessiva del Fondo Unico Giustizia da destinare alla copertura delle minori entrate conseguenti all’agevolazione fiscale introdotta:
§ provvedere, sulla base delle predette risorse, alla ripartizione del beneficio tra gli aventi diritto;
§ conseguentemente determinare l’ammontare del credito d’imposta effettivamente spettante in relazione all’importo di ciascuna mediazione in misura proporzionale alle risorse stanziate, fermo restando il limite di 500 euro fissato dalla norma.
Il richiamato DM dovrà essere emanato entro il 30 aprile di ciascun anno (a partire dal 2011) relativamente alle mediazioni concluse nell’anno precedente. Nei successivi 30 giorni, il Ministero della Giustizia invia a ciascun beneficiario apposita comunicazione concernente l’importo effettivo del credito d’imposta spettante e comunica in via telematica all’Agenzia delle entrate l’elenco degli aventi diritto al beneficio e i relativi importi autorizzati.
Ai sensi del comma 4, la fruizione del credito d’imposta è subordinata alla indicazione dello stesso nella dichiarazione dei redditi ed è ammessa a decorrere dalla data di ricevimento della comunicazione.
Si segnala che qualora la comunicazione venga inviata nei termini massimi previsti dalla norma i contribuenti che presentano la dichiarazione (modello 730) al sostituto d’imposta (entro il 30 aprile) ovvero ad un CAF (entro il 31 maggio) potrebbero non ricevere la comunicazione stessa in tempo utile per indicarla in dichiarazione incorrendo, in tal modo, nella decadenza dal beneficio.
In merito alle modalità di fruizione del credito d’imposta, il comma 4 stabilisce che può essere utilizzato in compensazione ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo n. 241/1997[17], ossia può essere portato in deduzione di quanto dovuto dal medesimo soggetto per il pagamento di altre imposte, tributi e contributi.
Per le persone fisiche che non esercitano attività d’impresa o di lavoro autonomo il credito d’imposta viene utilizzato per la determinazione dell’imposta netta (IRPEF) dovuta dal contribuente.
Ciò comporta, ovviamente, che il contribuente debba presentare la dichiarazione dei redditi anche se rientra tra i soggetti non obbligati alla presentazione della stessa (quali, ad esempio, i soggetti titolari di solo reddito di lavoro dipendente o di pensione e proprietari di immobile adibito ad abitazione principale).
E’ escluso, in ogni caso, il diritto per il contribuente di chiedere il rimborso del credito d’imposta spettante.
Viene precisato, infine, che il credito d’imposta non rappresenta un componente positivo ai fini della determinazione della base imponibile IRPEF e IRAP e che lo stesso non rileva nella determinazione della quota di interessi passivi indeducibili ai fini del reddito d’impresa e di lavoro autonomo.
Il comma 5 reca, infine, disposizioni di natura finanziaria concernenti il versamento annuale delle risorse destinate ai crediti d’imposta dal Ministero della Giustizia all’Agenzia delle entrate.
Art. 21
(Informazioni al pubblico)
1. Il Ministero della giustizia cura, attraverso il Dipartimento per l’informazione e l’editoria della Presidenza del Consiglio e con i fondi previsti dalla legge 7 giugno 2000, n. 150, la divulgazione al pubblico attraverso apposite campagne pubblicitarie, in particolare via internet, di informazioni sul procedimento di mediazione e sugli organismi abilitati a svolgerlo.
L’articolo 21 pone in capo al Ministero della giustizia specifici obblighi di informazione al pubblico del nuovo procedimento di mediazione. Particolare cura dovrà essere data alla diffusione tramite la rete Internet. Tale attività di informazione dovrà essere svolta attraverso il Dipartimento per l’informazione e l’editoria della Presidenza del Consiglio e con i fondi previsti dalla legge 7 giugno 2000, n. 150 (recante la Disciplina delle attività di informazione e di comunicazione delle pubbliche amministrazioni).
Art. 22
(Obblighi di segnalazione per la prevenzione del sistema finanziario a scopo di
riciclaggio e di finanziamento del terrorismo)
1. All’articolo 10, comma 2, lettera e) del decreto legislativo 21 novembre 2007, n. 231, dopo il numero 5) è aggiunto il seguente: “6) mediazione, ai sensi dell’articolo 60 della legge 18 giugno 2009, n. 69;”.
L’articolo 22 estende anche al settore della mediazione la disciplina relativa agli obblighi di segnalazione di operazioni sospette prevista dal D.Lgs 231/2007 per la prevenzione dell'utilizzo del sistema finanziario a scopo di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo.
A tal fine viene aggiunta la mediazione di cui all’art. 60 della legge 69/2009 all’elenco delle attività i cui titolari sono destinatati degli obblighi di segnalazione (ma non di identificazione e registrazione) previste dall’art. 10, comma 2, lett. e) del D.Lgs 231.
La citata norma prevede attualmente le seguenti attività (il cui esercizio resta subordinato al possesso di licenze, autorizzazioni, iscrizioni in albi o registri, ovvero alla preventiva dichiarazione di inizio di attività, specificamente richieste dalle norme a fianco di esse riportate):
1) commercio, comprese l'esportazione e l'importazione, di oro per finalità industriali o di investimento, per il quale è prevista la dichiarazione di cui all'articolo 1 della legge 17 gennaio 2000, n. 7;
2) fabbricazione, mediazione e commercio, comprese l'esportazione e l'importazione di oggetti preziosi, per il quale è prevista la licenza di cui all'articolo 127 del TULPS;
3) fabbricazione di oggetti preziosi da parte di imprese artigiane, all'iscrizione nel registro degli assegnatari dei marchi di identificazione tenuto dalle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura;
4) commercio di cose antiche di cui alla dichiarazione preventiva prevista dall'articolo 126 del TULPS;
5) esercizio di case d'asta o galleria d'arte per il quale è prevista alla licenza prevista dall'articolo 115 del TULPS.
Occorre valutare se far riferimento, piuttosto che alla norma di delega, allo schema di decreto legislativo in esame.
1. Sono abrogati gli articoli da 38 a 40 del decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5, e i rinvii operati dalla legge a tali articoli si intendono riferiti alle corrispondenti disposizioni del presente decreto.
2. Restano ferme le disposizioni che prevedono i procedimenti obbligatori di conciliazione e mediazione, comunque denominati.
L’articolo 23 abroga, come accennato, la disciplina della conciliazione nelle controversie societarie (artt. 38-40, del D.Lgs n. 5/2003) precisando che i rinvii fatti dalla legge a tali disposizioni vanno per il futuro riferiti alle corrispondenti norme del decreto legislativo in esame.
È, tuttavia, precisata, la vigenza delle disposizioni relative a conciliazioni e mediazioni obbligatorie, comunque denominate.
La relazione illustrativa, che fa esplicito riferimento al procedimento di mediazione in materia di controversie individuali di lavoro (artt. 410 ss. c.p.c.) e al tentativo di conciliazione in materia di contratti agrari (art. 46 della legge n. 203 del 1982), rileva che “tali procedimenti hanno una fisionomia propria e collaudata, che si è reputato inopportuno stravolgere per riportarla sotto la nuova normativa”.
Art. 24
(Disposizioni transitorie e finali)
1. Le disposizioni di cui all’articolo 5, comma 1, acquistano efficacia decorsi diciotto mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto e si applicano ai processi iniziati a decorrere dalla stessa data.
2. Il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sarà inserito nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. E’ fatto obbligo a chiunque spetti di osservarlo e di farlo osservare.
L’articolo 24 introduce, infine, una specifica disciplina transitoria rispetto alla previsione del procedimento di mediazione quale condizione di procedibilità per le controversie individuate dall’articolo 5, comma 1. L’efficacia di tale disposizione è in particolare differita a 18 mesi dall’entrata in vigore del provvedimento in esame e si applica ai processi iniziati a decorrere dalla stessa data.
[1] D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 5, Definizione dei procedimenti in materia di diritto societario e di intermediazione finanziaria, nonché in materia bancaria e creditizia, in attuazione dell'articolo 12 della L. 3 ottobre 2001, n. 366.
[2] D.M. Giustizia 23 luglio 2004, n. 222, Regolamento recante la determinazione dei criteri e delle modalità di iscrizione nonché di tenuta del registro degli organismi di conciliazione di cui all'articolo 38 del D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 5.
[3] In proposito, può richiamarsi Cass., 2 settembre 1997, n. 8388, secondo la quale “La procura alle liti, come atto interamente disciplinato dalla legge processuale, è insensibile alla sorte del contratto di patrocinio, soggetto alla disciplina sostanziale relativa al mandato; la nullità del contratto di patrocinio, pertanto, non toglie al difensore lo "ius postulandi" attribuito con la procura”.
[4] Cfr. articoli 37, 140 e 140-bis del Decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206.
[5] Cfr. Titolo X del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209, Codice delle assicurazioni private.
[6] Decreto legislativo 1 settembre 1993, n. 385, Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia.
[7] In merito, il Comitato Interministeriale per il credito e il risparmio ha adottato la delibera 29 luglio 2008, n. 275 (Disciplina dei sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie con la clientela ai sensi dell'articolo 128-bis del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, e successive modificazioni).
[8] Decreto legislativo 8 ottobre 2007, n. 179, Istituzione di procedure di conciliazione e di arbitrato, sistema di indennizzo e fondo di garanzia per i risparmiatori e gli investitori in attuazione dell'articolo 27, commi 1 e 2, della L. 28 dicembre 2005, n. 262.
[9] A seconda del momento in cui viene notificata, l'intimazione può essere di licenza o di sfratto. Si parla di intimazione di licenza nel caso in cui la notifica avvenga in un momento anteriore alla scadenza del contratto (nei termini previsti dal contratto stesso o dalla legge o dagli usi locali) al fine di evitare il tacito rinnovo del contratto stesso e riavere la cosa locata alla scadenza prevista (nel caso di immobile adibito a uso abitativo il termine è di 6 mesi prima della scadenza). Si parla invece di convalida di sfratto quando la notifica avvenga successivamente alla scadenza del contratto, e il conduttore, pur non avendo rinnovato il contratto, non restituisca l'immobile; o anche nel caso in cui il conduttore sia moroso (cioè sia in ritardo nel pagamento della locazione). Nella prima ipotesi si tratterà di convalida di sfratto per intimazione successiva, nella seconda ipotesi di convalida di sfratto per intimazione risolutiva.
[10] In particolare, ai sensi del comma 6, «Qualora il contratto ovvero lo statuto della società prevedano una clausola di conciliazione e il tentativo non risulti esperito, il giudice, su istanza della parte interessata proposta nella prima difesa, dispone la sospensione del procedimento pendente davanti a lui fissando un termine di durata compresa tra trenta e sessanta giorni per il deposito dell'istanza di conciliazione davanti ad un organismo di conciliazione ovvero quello indicato dal contratto o dallo statuto. Il processo può essere riassunto dalla parte interessata se l'istanza di conciliazione non è depositata nel termine fissato. Se il tentativo non riesce, all'atto di riassunzione è allegato il verbale di cui al comma 2. In ogni caso, la causa di sospensione si intende cessata, a norma dell' articolo 297, primo comma, del codice di procedura civile, decorsi sei mesi dal provvedimento di sospensione».
[11] Il comma 4 dispone che «Dal momento della comunicazione alle altre parti con mezzo idoneo a dimostrare l'avvenuta ricezione, l'istanza di conciliazione proposta agli organismi istituiti a norma dell'articolo 38 produce sulla prescrizione i medesimi effetti della domanda giudiziale. La decadenza è impedita, ma se il tentativo fallisce la domanda giudiziale deve essere proposta entro il medesimo termine di decadenza decorrente dal deposito del verbale di cui al comma 2 presso la segreteria dell'organismo di conciliazione».
[12] Recante: Previsione di equa riparazione in caso di violazione del termine ragionevole del processo e modifica dell' articolo 375 del codice di procedura civile.
[13] La direttiva qualifica come transfrontaliera la controversia in cui almeno una delle parti è domiciliata o risiede abitualmente in uno Stato membro diverso da quello di qualsiasi altra parte alla data in cui:
a) le parti concordano di ricorrere alla mediazione dopo il sorgere della controversia;
b) il ricorso alla mediazione è ordinato da un organo giurisdizionale;
c) l’obbligo di ricorrere alla mediazione sorge a norma del diritto nazionale; o
d) un invito alla mediazione è rivolto alle parti dall’organo giurisdizionale investito della causa.
[14] La disposizione prescrive al Governo di «prevedere che il verbale di conciliazione abbia efficacia esecutiva per l’espropriazione forzata, per l’esecuzione in forma specifica e costituisca titolo per l’iscrizione di ipoteca giudiziale».
[15] Per mala fede processuale si deve intendere la consapevolezza di agire slealmente e di abusare del proprio diritto d'azione, mentre per colpa grave, l'omissione di quella diligenza, anche minima, che avrebbe consentito alla parte soccombente di avvertire l'infondatezza delle proprie pretese.
[16] Dir. 27 gennaio 2003 n. 2003/8/CE, Direttiva del Consiglio intesa a migliorare l'accesso alla giustizia nelle controversie transfrontaliere attraverso la definizione di norme minime comuni relative al patrocinio a spese dello Stato in tali controversie.
[17] Norme di semplificazione degli adempimenti dei contribuenti in sede di dichiarazione dei redditi e dell'imposta sul valore aggiunto, nonché di modernizzazione del sistema di gestione delle dichiarazioni.