Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento lavoro
Titolo: RIFORMA DEL MERCATO DEL LAVORO - A.C. 5256 Schede di lettura
Riferimenti:
AC N. 5256/XVI     
Serie: Progetti di legge    Numero: 650
Data: 05/06/2012
Descrittori:
MERCATO DEL LAVORO     
Organi della Camera: XI-Lavoro pubblico e privato

 

Camera dei deputati

XVI LEGISLATURA

 

 

 

Documentazione per l’esame di
Progetti di legge

RIFORMA DEL MERCATO

DEL LAVORO

A.C. 5256

Schede di lettura

 

 

 

 

 

 

n. 650

 

 

 

5 giugno 2012

 


Servizio responsabile:

Servizio Studi – Dipartimento Lavoro

( 066760-4884 / 066760-4974 – * st_Lavoro@camera.it

Hanno partecipato alla redazione del dossier i seguenti dipartimenti e Uffici:

Segreteria Generale – Ufficio Rapporti con l’Unione europea

( 066760-2145 – * cdrue@camera.it

§         La nota di sintesi e le schede di lettura sono state redatte dal Servizio Studi.

§         Le parti relative ai documenti all’esame delle istituzioni dell’Unione europea e alle procedure di contenzioso sono state curate dall'Ufficio rapporti con l'Unione europea.

 

 

I dossier dei servizi e degli uffici della Camera sono destinati alle esigenze di documentazione interna per l'attività degli organi parlamentari e dei parlamentari. La Camera dei deputati declina ogni responsabilità per la loro eventuale utilizzazione o riproduzione per fini non consentiti dalla legge.

File: LA0619

 


INDICE

Introduzione  1

Indice tematico  15

Schede di lettura

Articolo 1  23

§      Articolo 1, commi 1-6 (Finalità della legge e sistema di monitoraggio e valutazione)23

§      Articolo 1, commi 7-8 (Rapporti di lavoro alle dipendenze della P.A.)27

§      Articolo 1, commi 9-13 (Contratti a tempo determinato)29

§      Articolo 1, commi 14 e 15 (Soppressione del contratto di inserimento)52

§      Articolo 1, commi 16-19 (Apprendistato)54

§      Articolo 1, comma 20 (Lavoro a tempo parziale)64

§      Articolo 1, commi 21-22 (Lavoro intermittente)69

§      Articolo 1, commi 23-25 (Lavoro a progetto)77

§      Articolo 1, commi 26 e 27 (Altre prestazioni lavorative rese in regime di lavoro autonomo)86

§      Articolo 1, commi 28-31 (Associazione in partecipazione con apporto di lavoro)90

§      Articolo 1, commi 32 e 33 (Lavoro accessorio)93

§      Articolo 1, commi 34-36 (Tirocini formativi)101

§      Articolo 1, commi 37-41 (Licenziamenti individuali)105

§      Articolo 1, commi 42-43 (Tutele del lavoratore in caso di licenziamento illegittimo)111

§      Articolo 1, commi 44-46 (Licenziamenti collettivi)121

§      Articolo 1, commi 47-69 (Rito speciale per le controversie in materia di licenziamenti)132

Articolo 2  141

§      Articolo 2, commi 1-3 (Assicurazione Sociale per l’Impiego - ambito di applicazione)141

§      Articolo 2, commi 4-5 (Assicurazione Sociale per l’Impiego - requisiti per la fruizione)152

§      Articolo 2, commi 6-10 (Assicurazione Sociale per l’Impiego - importo e contribuzione figurativa)153

§      Articolo 2, comma 11 (Assicurazione Sociale per l’Impiego - durata)156

§      Articolo 2, commi 12-14 (Assicurazione Sociale per l’Impiego - procedura per l’erogazione)157

§      Articolo 2, commi 15-19 (Tutele della nuova occupazione)158

§      Articolo 2, commi 20-24 (Assicurazione sociale per l’impiego - istituzione del trattamento breve [cd. mini-ASpI])162

§      Articolo 2, commi 25-39 (ASpI e mini-ASpI - contributo di finanziamento)164

§      Articolo 2, commi 40-41 (ASpI e mini-ASpI – casi di decadenza)176

§      Articolo 2, commi 42-43 (Assicurazione Sociale per l’Impiego - contenzioso)177

§      Articolo 2, commi 44-45 (Disposizioni transitorie relative alla durata di specifici ammortizzatori)179

§      Articolo 2, comma 46 (Disposizioni transitorie relative all’indennità di mobilità)181

§      Articolo 2, commi 47-50 (Addizionale comunale sui diritti di imbarco dei passeggeri)182

§      Articolo 2, commi 51-56 (Indennità una tantum per i lavoratori a progetto disoccupati)190

§      Articolo 2, comma 57 (Aumento aliquote contributive della Gestione separata INPS di cui all’articolo 2, comma 26, della L. 335/1995)197

§      Articolo 2, commi 58-63 (Revoca di prestazioni assistenziali e previdenziali a condannati per gravi reati)200

§      Articolo 2, commi 64-67 (Gestione della transizione verso il nuovo assetto di ammortizzatori sociali)202

§      Articolo 2, comma 68 (Estensione del campo di applicazione delle aliquote contributive della gestione autonoma coltivatori diretti, mezzadri e coloni)206

§      Articolo 2, commi 69-73 (Abrogazioni e modifiche alla legge 23 luglio 1991, n.223)209

Articolo 3  219

§      Articolo 3, comma 1 (Applicazione della disciplina in materia di integrazione salariale straordinaria a particolari settori)219

§      Articolo 3, commi 2-3 (Indennità di mancato avviamento al lavoro per i lavoratori del settore portuale)221

§      Articolo 3, commi 4-13 (Fondi di solidarietà bilaterali)224

§      Articolo 3, commi 14-18 (Fondi di solidarietà bilaterali alternativi)228

§      Articolo 3, commi 19-21 (Fondo di solidarietà residuale per l’integrazione salariale)232

§      Articolo 3, commi 22-25 (Contributi di finanziamento ai fondi di solidarietà)234

§      Articolo 3, commi 26-30 (Risorse finanziarie dei fondi di solidarietà)235

§      Articolo 3, commi 31-34 (Prestazioni erogate dai fondi di solidarietà)237

§      Articolo 3, commi 35-41 (Gestione dei fondi di solidarietà)239

§      Articolo 3, commi 42-43 (Adeguamento dei fondi di solidarietà ex articolo 2, comma 28, della L. 662/1996)241

§      Articolo 3, comma 44 (Adeguamento del fondo speciale per il sostegno del reddito e dell'occupazione e della riconversione e riqualificazione professionale del personale del settore del trasporto aereo)243

§      Articolo 3, comma 45 (Adeguamento del fondo speciale per il sostegno del reddito e dell'occupazione e della riconversione e riqualificazione professionale del personale del settore del trasporto ferroviario)245

§      Articolo 3, commi 46-47 (Abrogazioni)247

§      Articolo 3, commi 48-49 (Fondo di solidarietà mutui prima casa)249

Articolo 4  255

§      Articolo 4, commi 1-7 (Interventi in favore di lavoratori anziani)255

§      Articolo 4, commi 8-11 (Incentivi all’occupazione per lavoratori anziani e donne  in aree svantaggiate)257

§      Articolo 4, commi 12-15 (Principi generali concernenti gli incentivi alle assunzioni)259

§      Articolo 4, commi 16-23 (Tutela della maternità e paternità e contrasto del fenomeno delle dimissioni in bianco)262

§      Articolo 4, commi 24-26 (Sostegno alla genitorialità)268

§      Articolo 4, comma 27 (Efficace attuazione del diritto al lavoro dei disabili)273

§      Articolo 4, commi 28-29 (Disposizioni in tema di contrattazione di secondo livello)283

§      Articolo 4, comma 30 (Interventi volti al contrasto del lavoro irregolare degli immigrati)286

§      Articolo 4, comma 31 (Responsabilità solidale negli appalti)290

§      Articolo 4, comma 32 (Modifiche all’articolo 36 del Decreto legislativo 8 luglio 2003, n. 188, in materia di regolazione dei trattamenti di lavoro nelle imprese ferroviarie)294

§      Articolo 4, comma 33 (Livelli essenziali delle prestazioni rese dai servizi per l’impiego)297

§      Articolo 4, commi 34-37 (Sistema informativo ASpI; monitoraggio dei livelli essenziali dei servizi erogati; sistema premiale)304

§      Articolo 4, commi 38-39 (Semplificazione delle procedure in materia di acquisizione dello stato di disoccupazione)306

§      Articolo 4, commi 40-45 (Offerta di lavoro congrua)310

§      Articolo 4, commi 46-47 (Abrogazioni)315

§      Articolo 4, commi 48-50 (Delega al Governo in materia di politiche attive e servizi per l’impiego)316

§      Articolo 4, commi 51-54 (Finalità)320

§      Articolo 4, commi 55-57 (Reti territoriali dei servizi)322

§      Articolo 4, commi 58-61 (Delega al Governo per l’Individuazione e la validazione degli apprendimenti non formali e informali)324

§      Articolo 4, commi 62-63 (Delega al Governo in materia di informazione e consultazione dei lavoratori, nonché per la definizione di misure per la democrazia economica)326

§      Articolo 4, commi 64-68 (Sistema pubblico nazionale di certificazione delle competenze)333

§      Articolo 4, commi 69-71 (Copertura finanziaria)335

§      Articolo 4, commi 72-76 (Misure fiscali)338

§      Articolo 4, commi 77-79 (Riduzione delle spese di funzionamento di enti)342

 


 

Introduzione

Il disegno di legge governativo di riforma del mercato del lavoro è stato presentato dal Governo al Senato 5 aprile 2012 (AS 3249).

 

Il disegno di legge: quadro di sintesi

Nell’ambito di una razionalizzazione delle tipologie contrattuali esistenti, si configura il contratto a tempo indeterminato quale contratto prevalente, disincentivando il ricorso ai contratti a tempo determinato. Si delinea l’apprendistato quale contratto tipico per l’accesso al mercato del lavoro (nonché per l’instaurazione di rapporti a tempo indeterminato), ampliandone le possibilità di utilizzo (si innalza il rapporto tra apprendisti e lavoratori qualificati dall’attuale 1/1 a 3/2) e valorizzandone il ruolo formativo;

Si procede verso una ridistribuzione delle tutele dell’impiego, da un lato contrastando l’uso improprio degli elementi di flessibilità relativi a talune tipologie contrattuali (dall’altro adeguando la disciplina dei licenziamenti ,collettivi ed individuali). Con riferimento ai licenziamenti individuali, in particolare, si interviene operando importanti modifiche all’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori (che reca la cd. tutela reale, consistente nella reintegrazione nel posto di lavoro). Più specificamente, lasciando inalterata la disciplina dei licenziamenti discriminatori (ove si applica sempre la reintegrazione), si modifica il regime dei licenziamenti disciplinari (mancanza di giustificato motivo soggettivo) e dei licenziamenti economici (mancanza di giustificato motivo oggettivo): queste ultime due fattispecie presentano un regime sanzionatorio differenziato a seconda della gravità dei casi in cui sia accertata l’illegittimità del licenziamento, il quale si concretizza nella reintegrazione (casi più gravi) o nel pagamento di un’indennità risarcitoria (casi meno gravi). Infine, si introduce uno specifico rito per le controversie giudiziali aventi ad oggetto l’impugnativa dei licenziamenti;

Si opera un’ampia revisione degli strumenti di tutela del reddito, in primo luogo attraverso la creazione di un unico ammortizzatore sociale (Aspi – Assicurazione sociale per l’impiego) in cui confluiscono l’indennità di mobilità e l’indennità di disoccupazione (ad eccezione di quella relativa agli operai agricoli). Il nuovo ammortizzatore amplia sia il campo soggettivo dei beneficiari, sia i trattamenti: in particolare, oltre all’estensione a categorie prima escluse (principalmente apprendisti), fornisce una copertura assicurativa per i soggetti che entrano nella prima volta nel mercato del lavoro (principalmente giovani) e per i soggetti che registrano brevi esperienze di lavoro. Si prevede, quindi, l’introduzione di una cornice giuridica per l’istituzione di fondi di solidarietà settoriali. Inoltre, viene confermata l’attuale disciplina per la Cassa integrazione ordinaria, mentre vengono apportate modifiche alla disciplina della Cassa integrazione straordinaria. Infine, si prevede la creazione di un nuovo strumento di sostegno del reddito per i lavoratori ultracinquantenni;

Si rinnovano e rafforzano le politiche attive del lavoro ed il ruolo dei servizi per l’impiego (per i quali vengono individuati livelli essenziali di servizio omogenei su tutto il territorio nazionale);

Si prevedono incentivi per accrescere la partecipazione delle donne al mercato del lavoro (con l’introduzione di norme di contrasto alle cd. dimissioni “in bianco” e misure per il sostegno della genitorialità) e per il sostegno dei lavoratori anziani.

 

Il 31 maggio 2012 il Senato ha approvato, in prima lettura, il disegno di legge, apportandovi una serie di modifiche. Le modifiche sono il frutto di emendamenti approvati nel corso dell’esame in sede referente in 11° Commissione. Successivamente, in avvio dell’esame in Assemblea, il Governo ha posto la questione di fiducia su quattro emendamenti interamente sostitutivi del testo licenziato dalla Commissione, confermandone i contenuti sostanziali (marginali modifiche hanno riguardato aspetti formali).

 

Le modifiche introdotte al Senato

Di seguito si fornisce un quadro delle principali modifiche introdotte nel corso dell’esame al Senato (rinviando, per i dettagli, alle singole schede di lettura). Per un puntuale raffronto tra il testo del disegno di legge presentato dal Governo al Senato (AS 3249) e il testo licenziato dal Senato, ora all’esame della Camera dei deputati (AC 5256), si rinvia all’apposito allegato al presente dossier.

 

Flessibilità in entrata

Per quanto riguarda il contratto a tempo determinato, è stata portata da 6 a 12 mesi la durata massima del primo contratto a tempo indeterminato stipulabile senza causale e inserita una ulteriore ipotesi di acausalità operante nei casi, previsti dalla contrattazione collettiva (a livello interconfederale o di categoria ovvero, in via delegata, ai livelli decentrati), in cui l’assunzione avvenga nell’ambito di particolari processi produttivi.

In materia di apprendistato, viene stabilito che il rapporto apprendisti/professionisti non può superare il 100 per cento per aziende che occupano lavoratori inferiori a 10 unità (resta invece fermo il rapporto 3 a 2 per le aziende di dimensioni maggiori).

Per quanto riguarda il lavoro intermittente (lavoro a chiamata), è stata prevista la possibilità di stipulare il contratto con lavoratori over 55 anni e under 24 (ma in questo caso la prestazione lavorativa deve essere svolta entro i 25 anni).

Per quanto attiene ai collaboratori a progetto, è stato introdotto il c.d. salario di base, per cui il cui compenso non potrà essere inferiore  ai minimi stabiliti per ciascun settore professionale. In assenza di contrattazione collettiva specifica, il compenso non potrà essere inferiore alle retribuzioni minime previste dai contratti collettivi nazionali di categoria. E’ stata rafforzata, inoltre, l’indennità di disoccupazione una tantum  (in via sperimentale per un triennio, 6.000 euro per almeno 6 mesi di lavoro in un anno: a tal fine è stata prevista un’ulteriore integrazione di risorse per a 60 milioni)

Con riferimento alle norme volte a contenere il fenomeno delle c.d. false partite IVA, è stato precisato l’ambito di operatività della presunzione che porta a ritenere, salvo prova contraria a carico del committente, l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato, salvaguardando le situazioni caratterizzate da effettiva professionalità e redditività adeguata.

Per quanto riguarda il lavoro accessorio, è stata ripristinata la possibilità di un suo utilizzo nei settore commerciale; nel settore agricolo, invece,  è stato previsto che il ricorso ai voucher potrà essere libero al di sotto di 7 mila euro di fatturato, mentre sopra tale soglia, sarà consentito solo per i pensionati e studenti sotto i 25 anni se regolarmente iscritti a un ciclo di studi di ogni ordine e grado ovvero ad un ciclo di studi universitari. Il valore orario del voucher, infine, è stato rimesso a un decreto del Ministero del  lavoro.

Per i tirocini formativi e di orientamento è stata esclusa l’ipotesi della delega legislativa, ma il ruolo delle Regioni è stato rafforzato con la previsione di un accordo per la definizione di linee guida condivise tra Stato e Regioni in sede di Conferenza unificata. E’ stata previsto, inoltre, l’obbligo di corrispondere una congrua indennità agli stagisti.

 

Flessibilità in uscita.

Al fine di contenere la discrezionalità in fase applicativa, è stato previsto che l’eventuale reintegro a seguito di licenziamento disciplinare illegittimo sarà deciso dal giudice verificando se il fatto rientri tra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base delle previsioni dei contratti collettivi e dei codici disciplinari (e non anche delle previsioni di legge, come inizialmente previsto)

 

Ammortizzatori sociali

Per quanto concerne l’ASpI, è stato previsto, in particolare, che, in via sperimentale fino al 2015, il lavoratore potrà incassare l’indennità in un’unica soluzione al fine di avviare un’attività di lavoro autonomo o imprenditoriale.

E’ stata esclusa, inoltre, la corresponsione di prestazioni di sostegno al reddito e di trattamenti previdenziali in caso di condanna per reati terroristici, per mafia e strage.

 

Altri interventi

E’ stata introdotta una norma a tutela dei lavoratori atipici che modifica a loro favore la disciplina del Fondo di solidarietà per i mutui per l’acquisto della prima casa.

E’ stata espunta la soppressione della gratuità del ticket per i disoccupati e loro familiari, mentre sono state rafforzate le norme procedurali contro le cosiddette dimissioni in bianco. Sono state modificate le norme sul sostegno alla genitorialità prevedendo l’obbligo di astensione di 1 giorno  per il padre e la facoltà di astenersi per altri 2 giorni in accordo con la madre e in sua sostituzione.

Per quanto riguarda l’apprendimento permanente e la certificazione degli apprendimenti non formali e informali, è stata ridefinita la platea degli enti autorizzati alla certificazione.

Infine, è stata conferita una delega al Governo in materia di informazione e consultazione dei lavoratori, nonchè per la definizione di misure per la democrazia economica.

 

Come evidenziato nel DEF 2012, l'intervento di riforma si colloca nell'ambito della Strategia per la crescita e l’occupazione Europa 2020, che delinea gli obiettivi e gli strumenti dell’Unione europea e degli Stati membri in materia di crescita e occupazione per il decennio 2011-2020.

Tra gli obiettivi principali della Strategia 2020 vi è quello di portare al 75% il tasso di occupazione per la popolazione di età compresa tra 20 e 64 anni, anche mediante una maggiore partecipazione dei giovani, dei lavoratori più anziani e di quelli poco qualificati e una migliore integrazione dei migranti nella popolazione attiva. 

 

Secondo gli ultimi dati Eurostat, diffusi il 29 marzo 2012 e riferiti al 2010, il tasso di occupazione ha raggiunto il 68,6% nell’UE a 27 e il 68,4% nell’Eurozona; i Paesi con le migliori performancesrisultano essere la Svezia (78,7%), i Paesi Bassi (76,8%) e la Danimarca (76,1%). Tra i Paesi di maggiori dimensioni economiche e demografiche, nel Regno Unito si è registrato un tasso del 73,6% di occupati, in Germania del 74,9%, in Francia del 69,1%, in Spagna del 62,5%, in Italia del 61,1% (soltanto Ungheria e Malta registrano una percentuale più bassa).

 

Gli Stati membri devono stabilire le misure per il conseguimento degli obiettivi della Strategia Europa 2020 all’interno dei programmi nazionali di riforma da presentare nell’ambito della procedura del semestre europeo.

 

 

Il DEF 2012 e il Programma nazionale di riforme (PNR)

 

Per quanto riguarda il mercato del lavoro, il Documento di economia e finanza 2012 e, in particolare, il Programma di stabilità, evidenzia che il recupero dell’occupazione avviato nell’ultimo scorcio del 2010 ha subito una lieve frenata a seguito dell’indebolimento del ciclo economico. Nel complesso del 2011, si sono rilevati segnali contrastanti. L’occupazione ha ripreso a crescere, seppur modestamente, dopo due anni di contrazione a seguito della crisi. Gli occupati rilevati dall’indagine continua sulle forze di lavoro sono aumentati dello 0,4 per cento (0,1 per cento l’incremento registrato dalle unità di lavoro, ULA). A livello settoriale, l’aumento è stato più dinamico nell’industria in senso stretto e nei servizi privati, a fronte del calo nelle costruzioni e nella pubblica amministrazione. Si è riscontrato un maggior dinamismo anche nell’offerta di lavoro, in aumento dello 0,4 per cento. Il tasso di disoccupazione si è attestato in media all’8,4 per cento, invariato rispetto al 2010.

Lo scorso anno le ore autorizzate di CIG sono diminuite del 19 per cento circa rispetto al 2010, sebbene si mantengano su livelli elevati (973 milioni di ore circa). La cassa integrazione ordinaria si è ridotta del 33 per cento, mentre il calo di quella straordinaria e in deroga è stato più limitato (rispettivamente -13 e -14 per cento). Il numero di ore effettivamente utilizzate dalle imprese (475 milioni di ore) è stato complessivamente pari a circa il 48 per cento.

Il costo del lavoro per unità di prodotto (CLUP) è salito rispetto al 2010 per effetto di un deterioramento della produttività, con gli aumenti più elevati nei settori dell’industria (in senso stretto) e delle costruzioni.

 

Nell’esaminare l’andamento dell’economia italiana negli ultimi 10 anni, il Programma nazionale di riforma (PNR) (di seguito: Documento) rileva innanzitutto come il PIL nazionale si è gradualmente allontanato dalla media europea, con una crescita media annua inferiore di quasi un punto percentuale.  Tra i fattori che possono spiegare tale andamento il cocumento individua il basso contributo del capital deepening (ossia la disponibilità di capitale, es. macchinari, per ogni lavoratore) a alcuni aspetti strutturali del mercato del lavoro, legati principalmente alla bassa partecipazione giovanile, alle ore medie lavorate e alla “qualità del lavoro” (legata alla specializzazione nei prodotti a tecnologia medio-bassa). Per quanto riguarda le componenti del mercato del lavoro, il Documento segnala che il nostro Paese ha mostrato tassi di variazione migliori della media europea nella partecipazione dei lavoratori over 55 (che permane tuttavia a livelli più bassi della media europea), ampiamente compensati, tuttavia, dalla peggiore performance in termini di partecipazione giovanile (under 25).

Sul versante della competitività, il Documento evidenzia innanzitutto come  il debole andamento della produttività (che per tale aspetto colloca l’Italia in fondo alla graduatoria europea) si riflette anche sul costo unitario del lavoro, che nel nostro Paese è cresciuto più che negli altri Paesi europei, rendendo i prodotti italiani meno competitivi sui mercati internazionali. Il documento si sofferma, quindi, su altri fattori che rappresentano un freno allo  sviluppo del mercato del lavoro, quali l'insufficienza della spesa pubblica a sostegno del lavoro (soprattutto in termini di politiche attive); la carenza di adeguati processi di formazione (per i giovani) e di formazione permanente (per gli anziani); per quanto concerne il lavoro femminile, un sistema fiscale e di benefici che disincentiva un secondo reddito familiare, l'insufficienza dei servizi di cura, uno scarso coinvolgimento degli uomini nel lavoro domestico.

Tra i più rilevanti interventi fin qui realizzati per contenere gli effetti della crisi sull’occupazione e rilanciare una dinamica positiva del mercato del lavoro, il Documento ricorda, in particolare:

·       l’Accordo interconfederale del giugno 2011, che costituisce un ulteriore passo avanti nella promozione della contrattazione decentrata e per favorire una dinamica dei salari coerente con la stabilità dei prezzi (il documento richiama, a tale proposito, l'articolo 8 del D.L. 138/2011 che, sulla scia degli accordi intervenuti tra le parti sociali, ha previsto la possibilità di stipulare intese a livello aziendale o territoriale, sottoscritte dai sindacati più rappresentativi o dalle rappresentanze sindacali operanti in azienda, con efficacia nei confronti di tutti i lavoratori interessati, anche in deroga ai contratti collettivi nazionali e a norme di legge);

·       la liberalizzazione dell’intermediazione tra domanda e offerta di lavoro;

·       le azioni per il contrasto al lavoro irregolare e sommerso (e, in particolare, l’introduzione del reato di intermediazione illecita di manodopera - c.d. caporalato);

·       le misure di contrasto all’abuso dei tirocini formativi;

·       il nuovo credito d’imposta per l’assunzione a tempo indeterminato nel Mezzogiorno di lavoratori svantaggiati (a tal fine il Documento ricorda che nell’ambito della riprogrammazione di 3,7 miliardi dei Fondi strutturali, 142 milioni sono stati impiegati per finanziare tale intervento, grazie al quale si prevede che verranno assunti 8.000 nuovi lavoratori svantaggiati e 3.000 lavoratori molto svantaggiati);

·       i nuovi benefici  fiscali per l’assunzione di lavoratrici o di lavoratori under 35;

·       il potenziamento del contratto di apprendistato (con il varo di un Testo unico);

·       il rafforzamento del contratto di inserimento per l’occupazione femminile nelle zone svantaggiate;

·       la varie azioni intraprese per promuovere le pari opportunità sul lavoro, il lavoro regolare degli immigrati, il lavoro dei disabili e la mobilità internazionale del lavoro;

·       le nuove regole per il pensionamento anticipato dei lavoratori impiegati in attività usuranti.

 

Al fine di realizzare un mercato del lavoro più efficiente, equo e inclusivo, il Documento definisce quattro capitoli di intervento:

·         la riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita;

·         la tutela della famiglia e delle pari opportunità;

·         giovani e crescita;

·         contrastare la povertà e le disuguaglianze.

Per quanto concerne la riforma del mercato del lavoro, il Documento ricorda il disegno di legge governativo presentato al Senato (AS 3249).

Per quanto concerne la tutela della famiglia e delle pari opportunità, il Documento, partendo dal presupposto che la mancanza e il costo elevato dei servizi di supporto nelle attività di cura rappresentano un ostacolo per il lavoro a tempo pieno e l’ingresso delle donne nel mondo del lavoro, richiama (si tratta di in primo luogo interventi previsti, in via sperimentale per il triennio 2013-2015, dal DDL di riforma del mercato del lavoro):

-        l’introduzione di un voucher per la prestazione di servizi di baby-sitting;

-        l’introduzione del congedo di paternità obbligatorio;

In tema di apprendimento permanente, infine, il Documento richiama la necessità di individuare nuove Linee guida per la costruzione, in modo condiviso con le Regioni e nel confronto con le parti sociali, di sistemi integrati territoriali, caratterizzati da flessibilità organizzativa e di funzionamento, prossimità ai destinatari, capacità di riconoscere e certificare le competenze acquisite.

Per quanto concerne giovani e crescita, il Documento, preso atto degli elevati livelli di disoccupazione giovanile (e, in tale ambito, del preoccupante fenomeno dei NEET, ossia dei giovani che non lavorano e non sono impegnati in corsi di studio o di formazione) ed elencate le principali misure già realizzate (SRL semplificata per under 35; bonus assunzioni al sud; liberalizzazioni delle professioni e, in particolare, riforma dei tirocini per l’accesso alle professioni; riprogrammazione dei fondi strutturali), rimanda agli specifici interventi previsti dal DDL di riforma del mercato del lavoro su flessibilità del lavoro, apprendistato, nuova Assicurazione Sociale per l’Impiego (ASPI) (volta ad estendere le tutele a categorie oggi escluse, come gli apprendisti) e politiche attive e servizi per l’impiego (che dovranno diventare strumenti più dinamici per accompagnare i giovani nella ricerca di un lavoro).

Per quanto concerne le azioni volte a contrastare la povertà e le disuguaglianze, il Documento, partendo dalla constatazione che la povertà è spesso associata all’esclusione o alla marginalità lavorativa, prevede, in particolare, la sperimentazione di una misura generalizzata di contrasto alla povertà assoluta, condizionata alla partecipazione a percorsi di ricerca attiva del lavoro (nuova social card).

 

Interventi volti ad ammodernare il mercato del lavoro e il sistema delle relazioni industriali sono stati oggetto della lettera della BCE del 5 agosto 2011 al Governo italiano.

 

La lettera della BCE del 5 agosto 2011 al Governo italiano

Nella lettera del 5 agosto la BCE evidenziava “l'esigenza di riformare ulteriormente il sistema di contrattazione salariale collettiva, permettendo accordi al livello d'impresa in modo da ritagliare i salari e le condizioni di lavoro alle esigenze specifiche delle aziende e rendendo questi accordi più rilevanti rispetto ad altri livelli di negoziazione. L'accordo del 28 Giugno 2011 tra le principali sigle sindacali e le associazioni industriali si muove in questa direzione”. Richiamava, poi, la necessità di “una accurata revisione delle norme che regolano l'assunzione e il licenziamento dei dipendenti, stabilendo un sistema di assicurazione dalla disoccupazione e un insieme di politiche attive per il mercato del lavoro che siano in grado di facilitare la riallocazione delle risorse verso le aziende e verso i settori più competitivi”.

 

 

Documenti all’esame dell’UE

(a cura dell’Ufficio RUE)

 

Per quanto concerne l’attività a livello europeo, si fa presente in primo luogo che il Consiglio europeo dell’1-2 marzo 2012 ha stabilito priorità per l’UE e gli Stati membri nell’ambito della procedura del semestre europeo 2012 per il coordinamento delle politiche economiche e tra queste in particolare la lotta contro la disoccupazione e le conseguenze sociali della crisi.

Il Consiglio europeo ha invitato, in particolare, gli Stati membri  a modernizzare le politiche del lavoro, nel rispetto del ruolo delle parti sociali e dei sistemi nazionali di formazione dei salari, provvedendo a:

·         rendere le assunzioni più agevoli per i datori di lavoro, se necessario attraverso il miglioramento dei meccanismi di determinazione dei salari;

·         eliminare gli ostacoli alla creazione di nuovi posti di lavoro;

·         attuare politiche attive del mercato del lavoro, indirizzate in particolare ai giovani, alle donne e ai lavoratori anziani.

·         progredire nel rafforzamento del riconoscimento reciproco delle qualifiche professionali, riducendo il numero delle professioni regolamentate ed eliminando gli ostacoli regolamentari ingiustificati.

 

La Commissione europea ha presentato il 18 aprile 2012 una comunicazione intitolata “Verso una ripresa fonte di occupazione” (COM (2012) 173)[1] (c.d. Pacchetto occupazione) nella quale delinea una strategia complessiva volta a rilanciare l’occupazione in Europea attraverso un serie di azioni basate su tre assi:

·         promuovere la creazione di posti di lavoro;

·         riformare i mercati del lavoro;

·         migliorare la governance dell’UE nel settore dell’occupazione.

 

Promuovere la creazione di posti di lavoro

Al fine di promuovere la creazione di posti di lavoro, la Commissione europea individua i seguenti strumenti:

·         orientare i sussidi all'assunzione verso nuoveassunzioni, indirizzandole a categorie vulnerabili, come i giovani o i disoccupati di lungo periodo;

·         ridurre il cuneo fiscale che grava sul lavoro orientandosi verso imposte ambientali, fondiarie o sui consumi;

·         promuovere il lavoro autonomo, le imprese sociali e la creazione di nuove imprese, anche attraverso una maggiore disponibilità di servizi di microfinanziamento all'avviamento di imprese e regimi che convertano le indennità di disoccupazione in contributi per nuove imprese;

·         trasformare il lavoro informale o non dichiarato in occupazione regolare, in particolare mediante la piena attuazione della direttiva 2009/52/CE sulle sanzioni e sui lavoratori irregolari;

·         incrementare la retribuzione netta e modernizzare i sistemi di fissazione dei salari per allineare i salari all'andamento della produttività e stimolare la creazione di posti di lavoro;

·         sfruttare il potenziale di creazione di posti di lavoro in alcuni settori chiave quali: l’economia verde, l'assistenza sociale e sanitaria; le tecnologie dell’informazione e della comunicazione (TIC);

·         mobilitare i fondi UE per la creazione di posti di lavoro.

 

In tale contesto la Commissione europea intende assumere le seguenti iniziative:

·           una serie di interventi in materia di occupazione per l'economia verde; un piano d'azione per l'occupazione nell'assistenza sanitaria; una serie di interventi chiave a favore dell'occupazione nel settore delle TIC;

·           una consultazione sulle possibilità di creazione di posti di lavoro di qualità nei servizi per la persona e la famiglia;

·           una consultazione sulla creazione di una piattaforma a livello UE tra gli ispettorati del lavoro e altri organismi preposti all'applicazione della normativa per combattere il lavoro sommerso, volta a migliorare la cooperazione, condividere le migliori pratiche e individuare principi comuni in materia di ispezione entro la fine del 2012.

·           Invitare gli Stati membri, in particolare, ad adottare politiche per la creazione di posti di lavoro nei rispettivi piani nazionali per l’occupazione, all’interno dei programmi nazionali di riforma.

 

Riforma dei mercati del lavoro

La Commissione ritiene che le prossime tappe delle riforme strutturali del mercato del lavoro a livello europeo dovrebbero riguardare in particolare i seguenti aspetti:

·         utilizzo della flessibilità interna per ridurre l'insicurezza e i costi di bilancio. Il ricorso alla capitalizzazione delle ore di lavoro o a banche delle ore, a regimi di disoccupazione parziale (short-time working arrangements o STWA) e a clausole di deroga nei contratti collettivi per alcune condizioni di lavoro hanno contribuito a salvare posti di lavoro e a preservare la competitività delle imprese. Tuttavia, poiché il margine di bilancio destinato a finanziare tali regimi è attualmente più ridotto, la Commissione sottolinea come il dialogo sociale nelle imprese diventi più importante al fine di trovare le soluzioni ottimali in materia di flessibilità interna;

·         garantire salari dignitosi e sostenibili evitando le trappole dei bassi salari. Fissare salari minimi di livello adeguato può contribuire ad evitare l'aumento della povertà lavorativa ed è un fattore importante per garantire la qualità e la dignità dei posti di lavoro;

·         fare in modo che le transizioni sul mercato del lavoro risultino proficue. La Commissione ritiene che occorra prestare particolare attenzione per: la transizione dei giovani dallo studio al lavoro; l'integrazione delle donne nel mercato del lavoro, stabilendo la parità di retribuzione, fornendo servizi adeguati di custodia dei bambini, eliminando ogni forma di discriminazione e i disincentivi fiscali che scoraggiano la partecipazione femminile, e ottimizzando la durata del congedo di maternità e del congedo parentale; le transizioni dei lavoratori più anziani nel contesto della modernizzazione dei sistemi pensionistici e del prolungamento della vita lavorativa, per le quali occorrono misure come incentivi fiscali, l'accesso all'apprendimento permanente attraverso l'orientamento professionale e la formazione ed orari di lavoro flessibili;

·         garantire disposizioni contrattuali adeguate per contrastare la segmentazione del mercato del lavoro. Occorrono riforme equilibrate della legislazione in materia di tutela del lavoro allo scopo di correggere la segmentazione o di frenare l'eccessivo ricorso a contratti atipici e l'abuso del falso lavoro autonomo. Più in generale, tutti i tipi di accordi contrattuali dovrebbero garantire ai lavoratori un insieme di diritti di base (compresi i diritti alla pensione) fra cui l'accesso all'apprendimento lungo tutto l'arco della vita, la protezione sociale e la protezione economica in caso di risoluzione del rapporto di lavoro senza colpa da parte del lavoratore;

·         sviluppare l'apprendimento permanente per i lavoratori e per i disoccupati. A tale riguardo, diventa essenziale l'impegno dei datori di lavoro a formare i loro dipendenti, in particolare i lavoratori poco qualificati e i lavoratori anziani;

·         rafforzare il dialogo sociale. Occorre stabilire un processo condiviso di riforme che determinino le condizioni necessarie affinché in futuro si possano creare posti di lavoro sostenibili e di qualità e coinvolgere attivamente le parti sociali, a tutti i livelli, nell'elaborazione e nella realizzazione di tali riforme;

·         ridefinire i servizi primari ed essenziali dei servizi pubblici per l'impiego (SPI), che devono diventare "agenzie per la gestione delle transizioni" a sostengo di transizioni sostenibili durante tutta la vita professionale dei lavoratori.

 

In tale contesto la Commissione europea intende assumere le seguenti iniziative:

·           presentare una proposta di raccomandazione del Consiglio su un quadro di qualità per i tirocini entro la fine del 2012, sulla base di una consultazione dei servizi della Commissione;

·           presentare una proposta di raccomandazione del Consiglio sulle garanzie per i giovani entro la fine del 2012;

·           intraprendere ulteriori azioni per diffondere le buone pratiche e promuovere il dibattito sugli accordi aziendali transnazionali;

·           elaborare entro il 2012, in collaborazione con la rete europea dei servizi pubblici per l'impiego, un piano d'azione europeo per la prestazione di servizi per l'occupazione efficaci;

 

La Commissione rileva come la mancata corrispondenza tra le competenze disponibili e le esigenze dei mercati del lavoro interessino se pur in maniera diversa tutti gli Stati membri e considera che l’azione a livello europeo si debba sviluppare secondo i seguenti assi:

·         il monitoraggio del fabbisogno di competenze;

·         il riconoscimento delle competenze e delle qualifiche;

·         la sinergia tra il mondo dell'istruzione e quello del lavoro.

 

In tale contesto la Commissione europea intende assumere le seguenti iniziative:

·       adoperarsi, in collaborazione con gli Stati membri e le parti sociali, affinché il Cedefop (Centro europeo per lo sviluppo della formazione professionale) e Eurofound (Fondazione europea per il miglioramento delle condizioni di vita e
lavoro) integrino la loro esperienza a livello settoriale e dell'UE con maggiori conoscenze specifiche per paese e per far sì che la collaborazione tra le due istituzioni sia rafforzata;

·        lanciare, entro la fine del 2012, una panoramica europea delle competenze, basata in particolare sull'osservatorio europeo dei posti di lavoro vacanti;

·       avviare una nuova fase nel riconoscimento delle qualifiche, grazie a orientamenti per indicare in modo sistematico i livelli del quadro europeo delle qualifiche in tutti i nuovi titoli che saranno rilasciati nell'UE;

·       garantire, a partire dal 2013, che almeno un quarto dei titoli rilasciati ogni anno contenga un riferimento al livello di qualifica europeo corrispondente

·       introdurre il passaporto europeo delle competenze entro la fine del 2012;

·       favorire la creazione di una rete di rappresentanti del mondo del lavoro e dell'istruzione a sostegno della gestione delle competenze.

 

Al fine di creare un mercato europeo del lavoro, la Commissione individua i seguenti obiettivi:

·         eliminare gli ostacoli giuridici e pratici alla libera circolazione dei lavoratori;

·         migliorare l'abbinamento fra offerta e domanda di lavoro al di là delle frontiere;

·         prendere in considerazione gli effetti dell’immigrazione nell’Unione e dell’emigrazione dall’Unione.

 

In tale contesto, la Commissione europea intende assumere le seguenti iniziative:

·           presentare una proposta legislativa entro la fine del 2012 al fine di sostenere i lavoratori mobili nell'esercizio dei diritti derivanti dal trattato e dal regolamento n. 492/2011 relativo alla libera circolazione dei lavoratori all'interno dell'Unione;

·           dare un nuovo impulso, nel 2012, ai lavori relativi alla direttiva sulla trasferibilità dei diritti a pensione, che stabilisce norme minime per l'acquisizione e la salvaguardia dei diritti a pensione complementare;

·           continuare a migliorare il portale "La tua Europa" per offrire uno sportello unico di informazione sui diritti nell'UE e un facile accesso a servizi di assistenza personalizzata;

·           esaminare possibili misure fiscali per i lavoratori transfrontalieri al fine di proporre provvedimenti volti a eliminare gli ostacoli fiscali incontrati dai lavoratori dipendenti, ma anche dai lavoratori autonomi e dai pensionati;

·           riformare la rete EURES[2], facendone uno strumento europeo di collocamento e assunzione basato sulla domanda, che risponda ai bisogni economici ma soddisfi anche l'obbligo giuridico di garantire la trasparenza delle offerte di lavoro mediante strumenti innovativi on line di adeguamento tra domanda e offerta di lavoro;

·           introdurre a partire dal 2013 "Match and Map", una funzione innovativa on line, per fornire in tempo reale agli utenti una chiara mappa geografica delle offerte di lavoro a livello europeo corrispondenti ai loro profili;

·           che gli Stati membri facciano un migliore e sistematico uso della rete EURES;

·           di avviare una consultazione, entro la fine del 2012, sulle opportunità offerte dalla migrazione economica.

 

Migliorare la Governance dell’Unione

La Commissione europea ritiene che sia necessario associare alla nuova governance economica un coordinamento rafforzato delle politiche sociali ed occupazionali.

 

In tale contesto la Commissione europea intende:

·           potenziare il coordinamento e la sorveglianza multilaterale nel settore delle politiche per l'occupazione, pubblicando un sistema di analisi comparativa fondato su indicatori selezionati di occupazione, in cooperazione con gli Stati membri ed elaborando entro il 2012 un "quadro di valutazione" per monitorare i progressi compiuti da quest’ultimi nell'attuazione dei piani nazionali per l'occupazione, nell'ambito dei programmi nazionali di riforma; il primo quadro dovrebbe essere realizzato nel contesto dell'analisi annuale della crescita per il 2013;

·           rafforzare il coinvolgimento delle parti sociali europee nel semestre europeo;

·           rafforzare il legame tra le politiche per l'occupazione e gli strumenti finanziari pertinenti.

 

 

Da ultimo, si segnala che il 30 maggio 2012 la Commissione europea ha presentato, nell'ambito della procedura del semestre europeo, raccomandazioni specifiche per ciascun Paese sui piani nazionali di riforma (PNR) e pareri sui rispettivi programmi di stabilità.

Le raccomandazioni della Commissione saranno approvate dal Consiglio europeo del 28-29 giugno prossimi e successivamente adottate formalmente entro il mese di luglio 2012.

La Commissione e gli Stati membri sorveglieranno l’attuazione delle raccomandazioni nel quadro di un processo di “valutazione tra pari”.

La Commissione valuterà i progressi realizzati a livello dell’UE nella prossima analisi annuale della crescita, che sarà pubblicata nel gennaio 2013.

Per quanto riguarda l’occupazione n particolare, la Commissione invita a:

·       approvare in via definitiva la riforma del mercato del lavoro proposta nell’aprile 2012 per combattere la segmentazione del mercato del lavoro stesso e istituire un sistema integrato di sostegno alla disoccupazione;

·       assumere ulteriori iniziative per affrontare la disoccupazione giovanile, incluse misure per promuovere la formazione orientata al lavoro, attraverso incentivi per lo start up delle nuove imprese e per le assunzioni;

·       promuovere la mobilità del lavoro anche attraverso la generalizzazione del sistema di riconoscimento delle qualifiche professionali;

·       prendere misure ulteriori per incentivare la partecipazione delle donne al lavoro (che è pari in Italia al 46,5% rispetto ad una media UE a 27 del 58,5%), in particolare fornendo adeguati servizi all’infanzia e agli anziani;

·       per promuovere la competitività in termini di costi, ancorare i salari alla produttività, in linea con le prassi nazionali e consultando le parti sociali.

 

 

 


 

Indice tematico

 

AGEVOLAZIONI CONTRIBUTIVE

Articolo 2, commi 37, 39; Articolo 4, commi 8-15, 28-29;

 

 

AMMORTIZZATORI SOCIALI (v. anche ASpI e mini-ASpI)

Articolo 2, commi 44-45, (fase  transitoria), 64-67 (fase transitoria, ammortizzatori in deroga), 69-73 (abrogazioni); Articolo 3, commi 4-18 (fondi di solidarietà bilaterali e bilaterali alternativi);

Articolo 4, commi 33 (livelli essenziali), 35 (banca dati), 47 (abrogazioni);

 

 

APPALTI

Articolo 2, comma 34;

Articolo 4, comma 31 (responsabilità solidale);

 

 

APPRENDIMENTO PERMANENTE

Articolo 4, commi 51-54 (Finalità), 55-57 (Reti territoriali), 58-61 (Delega), 64-68 (Certificazione competenze);

 

 

APPRENDISTATO

Articolo 1, commi 16-19; Articolo 2, commi 2, 8, 20, 29, 32, 36-37;

Articolo 4, comma 52;

 

 

ASSICURAZIONE SOCIALE PER L’IMPIEGO (ASpI)

Articolo 2, commi 1-3 (applicazione), 4-5 (requisiti), 6-10 (importo e modalità di calcolo), 11 (durata), 12-14 (erogazione), 15-18 (sospensione), 19 (liquidazione mensilità non ancora percepite), 1, 25, 38 (soci di società cooperative di lavoro), 25-39 (contributi di finanziamento); 40-41 (decadenza) 42-43 (contenzioso amministrativo);

Articolo 3, comma 17;  Articolo 4, commi 34-37 (sistema informativo, monitoraggio, premialità), 38-39 (semplificazione procedure), 40-45 (offerta lavoro congrua);

 

 

ASSOCIAZIONE IN PARTECIPAZIONE

Articolo 1, commi 28-31;

 

 

CASSA INTEGRAZIONE GUADAGNI ORDINARIA (CIG)

Articolo 1, comma 71 (edilizia); Articolo 2, commi 64, 66-67; Articolo 3, commi 4, 18, 19;

 

 

CASSA INTERAZIONE GUADAGNI STRAORDINARIA (CIGS)

Articolo 2, commi 70, 72; Articolo 3, commi 1, 3, 4, 19, 46-47;

Articolo 4, commi 40-46;

 

 

CONTRATTAZIONE COLLETTIVA

Articolo 1, commi 9, 17, 20, 23, 42, 45;

Articolo 2, commi 29, 34;

Articolo 3, commi 4, 12-15, 36, 42-45;

Articolo 4, commi 1, 12, 17, 28-29, 31-32, 62;

 

 

CONTRATTI A TERMINE

Articolo 1, commi 9-13;

 

 

CONTRATTO DI INSERIMENTO

Articolo 1, commi 14-15;

Articolo 4, comma 27;

 

 

CONTRIBUTI FIGURATIVI

Articolo 2, comma 10;

 

 

CONTRIBUTO DI FINANZIAMENTO

Articolo 2, commi 25-39 (ASpI e Mini- ASpI);

Articolo 3, commi 22-25 (Fondo di solidarietà bilaterale e Fondo di solidarietà residuale per l’integrazione salariale);

 

 

DIMISSIONI

Articolo 2, comma 5;

Articolo 3, commi 46-48;

Articolo 4, commi 16-23 (dimissioni in bianco), 30;

 

 

DISOCCUPAZIONE (STATO DI)

Articolo 2, commi 4, 22; Articolo 4, 38-39;

 

 

FINANZIAMENTO DELLA RIFORMA

Articolo 1, comma 32;

Articolo 2, commi 19, 25-39 (contributi finanziamento ASPI e mini-ASPI), commi 47-50, 57, 65;

Articolo 3, commi 12, 15, 17; 23-25, 48-49;

Articolo 4, commi 24, 69-79;

 

 

FONDI DI SOLIDARIETA’ BILATERALI

Articolo 3, commi 4-13 (istituzione, finalità, prestazioni), 22-25 (contributi di finanziamento), 9, 14-18, 19-21, (rapporto con fondi alternativi), 35-41 (gestione); 26-30 (risorse finanziarie), 31-34 (prestazioni), 35-37 (comitato amministratore), 38 (presidente), 41 (sospensione decisioni comitato) e 47;

 

 

FONDI DI SOLIDARIETÀ BILATERALI ALTERNATIVI

Articolo 3, commi 14-18;

 

 

FONDI DI SOLIDARIETÀ EX ARTICOLO 2, COMMA 28, DELLA L. 662/1996

Articolo 3, commi 42-43;

 

 

FONDI INTERPROFESSIONALI PER LA FORMAZIONE CONTINUA

Articolo 2, comma 27;

Articolo 3, comma 13;

 

 

FONDO DI SOLIDARIETÀ RESIDUALE PER L’INTEGRAZIONE SALARIALE

Articolo 3, commi 19-21, 22-25 (contributi di finanziamento), 26-30 (risorse finanziarie), 33-34 (prestazioni);

 

 

FONDO DI SOLIDARIETA’ PER I MUTUI PER L’ACQUISTO DELLA PRIMA CASA

Articolo 3, commi 48-49;

 

 

FONDO SOCIALE PER OCCUPAZIONE E FORMAZIONE

Articolo 2, commi 64-65;

 

 

FORMAZIONE PROFESSIONALE (RIQUALIFICAZIONE)

Articolo 2, comma 66;

Articolo 4, commi 33, 40-45, 47, 55;

 

 

GENITORIALITÀ (SOSTEGNO ALLA)

Articolo 4, commi 24-26;

 

 

GESTIONE SEPARATA INPS

Articolo 1, comma 26;

Articolo 2, comma 57

 

 

INCENTIVI ALLE ASSUNZIONI

Articolo 4, commi 8-15, 27, 39;

 

 

INDENNITA’ DI DISOCCUPAZIONE SPECIALE EDILE

Articolo 2, comma 1;

 

 

INDENNITA’ DI DISOCCUPAZIONE NON AGRICOLA CON REQUISITI NORMALI

Articolo 2, commi 1, 44-45, 58, 69-70;

Articolo 4, comma 46;

 

 

INDENNITA’ DI DISOCCUPAZIONE NON AGRICOLA CON REQUISITI RIDOTTI

Articolo 2, comma 1, 24, 69-70;

 

 

INDENNITA’ DI MOBILITA’

Articolo 1, comma 44;

Articolo 2, commi 1, 33, 46, 64, 66-67, 70-73;

Articolo 3, commi 1, 12, 46-47;

Articolo 4, commi 39, 41, 46-47;

 

 

INFORMAZIONE E CONSULTAZIONE DEI LAVORATORI

Articolo 4, commi 62-63;

 

 

LAVORATORI ANZIANI

Articolo 1, commi 1, 21, 32; Articolo 2, commi 11, 45, 46; Articolo 4, commi 1-8, 55;

 

 

LAVORATORI DEL SETTORE DEL TRASPORTO FERROVIARIO

Articolo 3, commi 45, 47; Articolo 4, comma 32;

 

 

LAVORATORI DEL SETTORE PORTUALE

Articolo 3, commi 2-3;

 

 

LAVORATORI DEL SETTORE AEROPORTUALE

Articolo 2, commi 47-50; Articolo 3, commi 1, 44, 46-47;

 

 

LAVORATORI IMMIGRATI

Articolo 1, comma 32;

Articolo 4, comma 30;

 

 

LAVORO A PROGETTO

Articolo 1, commi 23-27; Articolo 2, commi 51-56, 70;

 

 

LAVORO A TEMPO PARZIALE (part time)

Articolo 1, comma 20;

 

 

LAVORO ACCESSORIO

Articolo 1, commi 32-33;

 

 

LAVORO AGRICOLO

Articolo 1, commi 2, 32; Articolo 2, commi 3, 68;

 

 

LAVORO AUTONOMO

Articolo 1, commi 26-27; Articolo 2, commi 18-19;

 

 

LAVORO DEI DISABILI

Articolo 4, comma 27

 

 

LAVORO FEMMINILE

Articolo 1, commi 1, 3; Articolo 4, comma 11;

 

 

LAVORO GIOVANILE

Articolo 1, commi 1, 2, 32, 33; Articolo 4, commi 33, 48, 55;

 

 

LAVORO INTERMITTENTE

Articolo 1, commi 21-22;

 

 

LAVORO PUBBLICO

Articolo 1, commi 7-8, 32; Articolo 2, comma 2, 29;

 

 

LICENZIAMENTI COLLETTIVI

Articolo 1, commi 44-46; Articolo 2, commi 35, 71; Articolo 4, comma 14;

 

 

LICENZIAMENTI INDIVIDUALI

Articolo 1, commi 11-13, 37-43;

Articolo 2, comma 31, 34-35, 73;

Articolo 3, commi 46-48, Articolo 4, commi 12, 14;

 

 

MINI-ASpI

Articolo 2, commi 20 (applicazione); 21 (corresponsione); 22 (importo, erogazione, modalità di calcolo), 23 (sospensione); 24 (sostituzione indennità disoccupazione con requisiti ridotti); commi 25-39 (contributi di finanziamento), 40-41 (decadenza), 56;

 

 

MONITORAGGIO DELLA RIFORMA

Articolo 1, commi 2-5;

Articolo 4, comma 70;

 

 

PREVIDENZA

Articolo 1, commi 26, 32; Articolo 2, commi 47, 58-63;

 

 

PROCEDURE DI CONCILIAZIONE

Articolo 1, comma 40;

Articolo 2, commi 42-43;

 

 

PROCESSO DEL LAVORO

Articolo 1, commi 12-13, 47-69;

 

 

SERVIZI PER L’IMPIEGO

Articolo 4, commi 27; 33-37; 44; 48-50;

 

 

SOMMINISTRAZIONE DI LAVORO

Articolo 1, commi 9-10, 16; Articolo 2, comma 39;

Articolo 4, commi 13, 27;

 

 

TIROCINI

Articolo 1, commi 34-36;

 

 

 


Schede di lettura

 


 

Articolo 1

Articolo 1, commi 1-6
(
Finalità della legge e sistema di monitoraggio e valutazione)

 

I commi da 1 a 6 enunciano le finalità dell’intervento di riforma e istituiscono un sistema permanente di monitoraggio e valutazione dello stato di attuazione degli interventi.

 

Il comma 1 individua gli obiettivi generali del disegno di legge di riforma, consistenti nella realizzazione di un mercato del lavoro inclusivo e dinamico, in grado di contribuire alla creazione di occupazione, in quantità e qualità, alla crescita sociale ed economica e alla riduzione permanente del tasso di disoccupazione. Le finalità del provvedimento vengono perseguite attraverso:

·       l'instaurazione di rapporti di lavoro più stabili, con il rilievo prioritario del lavoro subordinato a tempo indeterminato;

·       la valorizzazione dell'apprendistato;

·       la ridistribuzione in modo più equo delle tutele dell’impiego, da un lato, contrastando l’uso improprio e strumentale degli elementi di flessibilità relativi alle tipologie contrattuali e, dall’altro, adeguando la disciplina del licenziamento;

·       la revisione dell'assetto degli ammortizzatori sociali e delle politiche attive;

·       il contrasto di usi degli istituti contrattuali esistenti volti ad eludere obblighi contributivi e fiscali;

·       la promozione di una maggiore inclusione delle donne nella vita economica e di nuove opportunità di impiego o di tutela del reddito per i lavoratori ultracinquantenni;

·       la promozione di modalità partecipative di relazioni industriali in conformità agli indirizzi assunti in sede europea.

 

I commi 2, 3, 4, 5 e 6 prevedono l’istituzione (senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica) di un sistema permanente di monitoraggio e valutazione, basato su dati forniti dall'Istituto nazionale di statistica (Istat) e da altri soggetti del Sistema statistico nazionale (Sistan), volto a verificare lo stato di attuazione degli interventi e a valutarne gli effetti sull’efficienza del mercato del lavoro, sull’occupabilità dei cittadini e sulle modalità di entrata e di uscita nell’impiego.

Al sistema di monitoraggio e valutazione,istituito presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali in collaborazione con le altre Istituzioni competenti, concorrono le parti sociali (attraverso le organizzazioni maggiormente rappresentative a livello nazionale dei lavoratori e dei datori di lavoro), nonché l’INPS e l’ISTAT, chiamati ad organizzare una banche dati informatizzate anonime (contenente i dati individuali anonimi, relativi ad età, genere, area di residenza, periodi di fruizione degli ammortizzatori sociali con relativa durata ed importi corrisposti, periodi lavorativi e retribuzione spettante, stato di disoccupazione, politiche attive e di attivazione ricevute), aperta ad enti di ricerca e università.

Il sistema permanente di monitoraggio e valutazione è chiamato a produrre rapporti annuali sullo stato di attuazione delle singole misure, da cui potranno essere desunti elementi per successivi interventi di implementazione o correzione delle norme introdotte.

 

Merita in questa sede ricordare che l’articolo 17 del decreto legislativo n. 276 del 2003 (Legge Biagi) giàprevedeva un sistema di monitoraggio statistico e valutazione delle politiche del lavoro. Il sistema faceva capo ad una Commissione di esperti, da costituire presso Ministero del lavoro, composta da rappresentanti delle regioni e delle province, degli Enti previdenziali, dell'ISTAT, dell'ISFOL e dei Ministeri dell'economia e delle finanze e del lavoro e delle politiche sociali. La Commissione, integrata con rappresentanti delle parti sociali, era inoltre incaricata di definire, entro sei mesi, una serie di indicatori di monitoraggio finanziario, fisico e procedurale dei diversi interventi di riforma contenuti nel decreto legislativo n.276 del 2003. Tali indicatori, previo esame ed approvazione da parte della Conferenza unificata, avrebbero dovuto costituire linee guida per le attività di monitoraggio e valutazione condotte dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, nonché dalle regioni e dalle province per i rispettivi àmbiti territoriali di riferimento. In particolare, sulla base di tali strumenti di informazione e tenuto conto delle linee guida, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, avvalendosi di proprie strutture tecniche e col supporto dell'ISFOL, avrebbe dovuto predisporre un Rapporto annuale al Parlamento (e alla Conferenza unificata), volto a fornire una rendicontazione dettagliata e complessiva delle politiche del lavoro alla luce della riforma, sulla base di schemi statistico-contabili oggettivi e internazionalmente comparabili, in grado di fornire elementi conoscitivi di supporto alla valutazione delle politiche che il Ministero del lavoro, le regioni e le province avessero inteso portare avanti.

Il sistema di monitoraggio statistico e valutazione delle politiche del lavoro previsto dall’articolo 17 del decreto legislativo n.276 del 2003 (Legge Biagi), tuttavia,è rimasto del tutto inattuato e nessun Rapporto annuale è mai stato presentato al Parlamento.

 

Si segnala, infine, che nel corso dell’esame al Senato, la 11° Commissione ha approvato (o, non posti in votazione, sono stati comunque accolti dal Governo) vari ordini del giorno (i quali, peraltro, non sono stati confermati in Assemblea in quanto il loro esame è stato precluso dalla posizione delle questioni di fiducia). Di seguito è indicato il contenuto dei principali ordini del giorno non riconducibili, in modo specifico, ad alcuna norma contenuta nel provvedimento (per gli ordini del giorno puntualmente riferibili a specifiche norme del provvedimento si rinvia, invece, alle relative schede di lettura nel presente dossier):

·       ordine del giorno G/3249/1/11 (Vincenzo De Luca e altri), cheimpegna il Governo a fare proprie le considerazioni conclusive della terza relazione intermedia sull'attività svolta dalla Commissione di inchiesta su infortuni sul lavoro e morti bianche, nonché ad adottare in tempi brevi i decreti del «Testo unico sulla sicurezza sui luoghi di lavoro» non ancora attuati, in modo da dare finalmente al decreto legislativo n. 81 dell'aprile 2008, a quattro anni dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, attuazione completa e definitiva;

·       ordine del giorno G/3249/2/11 (Germontani), cheimpegna il Governo ad approvare in tempi brevi il regolamento sulla norma di garanzia che assicuri l'equilibrio tra i generi nelle società controllate dalle pubbliche amministrazioni;

·       ordine del giorno G/3249/13/11 (Carlino e altri), cheimpegna il Governo a definire e programmare, d'intesa e in stretta collaborazione con le parti sociali, entro un anno dalla data di approvazione del disegno di legge in esame, misure concrete volte a conseguire entro il 31 dicembre 2016 il definitivo superamento per ciascun settore lavorativo del divario retributivo tra uomini e donne;

·       l’ordine del giorno G/3249/20/11 (Carlino e altri), cheimpegna il Governo ad assicurare attraverso gli opportuni strumenti normativi l'introduzione: dell'obbligo per gli uffici, enti, organismi e soggetti privati che partecipano all'informazione statistica ufficiale di fornire i dati e le notizie per le rilevazioni previste dal Programma statistico nazionale e di rilevare, elaborare e diffondere i dati relativi alle persone, disaggregati per uomini e donne; dell'obbligo per l'ISTAT di effettuare indagini sociali ed economiche secondo un approccio di genere in specifiche macro aree tematiche;

·       l’ordine del giorno G/3249/24/11 (Anna Maria Serafini e altri), cheimpegna il Governo a sostenere la formazione di figure qualificate e professionali, dedicate all'inserimento sociale, attraverso attività di intermediazione e accompagnamento del minore di età verso l'autonomia lavorativa; a reperire le risorse necessarie per attuare un piano strategico di contrasto alla povertà minorile e giovanile finalizzato all'inclusione lavorativa dei giovani che escono dalle comunità di tipo familiare, considerato che tali risorse non devono essere considerate una spesa che crea debito, ma un investimento sul capitale umano e sullo sviluppo e la crescita del paese; a mettere a sistema tutte le sperimentazioni positive e le buone pratiche già esistenti in Italia;

·       l’ordine del giorno G/3249/25/11 (Passoni e altri), che impegna il Governo a reperire per gli anni 2014 e 2015 le risorse necessarie per il rifinanziamento del Fondo per il finanziamento di interventi a favore dell'incremento in termini quantitativi e qualitativi dell'occupazione giovanile e delle donne (istituito dall'articolo 24, comma 27, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201);

·       l’ordine del giorno G/3249/26/11 (Spadoni Urbani e altri), che impegna il Governo a valutare l'opportunità di assumere iniziative volte a stabilire che gli incentivi all'occupazione siano previsti nei confronti di donne di qualsiasi età prive di un impiego regolarmente retribuito da almeno 12 mesi, ciò al fine di eguagliare la durata del periodo di disoccupazione tra uomini e donne, in considerazione del fatto che, ai sensi dell'articolo 24, comma 27, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n.201, presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali è stato istituito il Fondo per il finanziamento di interventi a favore dell'incremento in termini quantitativi e qualitativi dell'occupazione giovanile e delle donne.

 


 

Articolo 1, commi 7-8
(Rapporti di lavoro alle dipendenze della P.A.)

 

I commi 7 e 8 prevedono che le disposizioni della legge costituiscono princìpi e criteri per la regolazione dei rapporti di lavoro dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni.

 

Il comma 7 prevede che le disposizioni di cui al presente provvedimento, per quanto da esse non espressamente previsto, costituiscano principi e criteri per la regolazione dei rapporti di lavoro dei dipendenti pubblici (con esclusione del personale in regime di diritto pubblico), in coerenza con quanto disposto all’articolo 2, comma 2, del decreto legislativo n.165 del 2001.

Il comma 8 dispone che, ai fini dell’applicazione del comma 7, il Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, sentite le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche, individui e definisca, anche mediante iniziative normative, gli àmbiti, le modalità ed i tempi di armonizzazione della disciplina relativa ai dipendenti pubblici.

 

L’articolo 2, comma 2, del decreto legislativo n.165 del 2001, prevede che i rapporti di lavoro dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche sono disciplinati dalle disposizioni del capo I, titolo II, del libro V del codice civile e dalle legge sui rapporti di lavoro subordinato nell'impresa, fatte salve le diverse disposizioni contenute nel medesimo decreto legislativo n.165/2001, che costituiscono disposizioni a carattere imperativo. Eventuali disposizioni di legge, regolamento o statuto, che introducano discipline dei rapporti di lavoro la cui applicabilità sia limitata ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche, o a categorie di essi, possono essere derogate da successivi contratti o accordi collettivi e, per la parte derogata, non sono ulteriormente applicabili, solo qualora ciò sia espressamente previsto dalla legge.

L’articolo 3 del decreto legislativo n.165 del 2001 prevede, in deroga all’articolo 2, che il personale in regime di diritto pubblico è disciplinato dai rispettivi ordinamenti. Tale personale è costituito dalle seguenti categorie:

            magistrati ordinari, amministrativi e contabili, avvocati e procuratori dello Stato;

            personale militare e Forze di polizia di Stato;

            personale volontario di leva;

            personale della carriera diplomatica;

            personale della carriera prefettizia;

            personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco;

            personale della carriera dirigenziale penitenziaria;

            professori e ricercatori universitari.

Tale articolo richiama, inoltre, i dipendenti degli enti che svolgono la loro attività nelle materie contemplate dall'articolo 1 del D.L.C.P.S. luglio 1947, n. 691, e dalle leggi 4 giugno 1985, n. 281, e successive modificazioni ed integrazioni, e 10 ottobre 1990, n. 287. Tali materie sono, rispettivamente:

-          l’esercizio della funzione creditizia e la materia valutaria;

-          l'ordinamento della Commissione nazionale per le società e la borsa, l'identificazione dei soci delle società con azioni quotate in borsa e delle società per azioni esercenti il credito, l’attuazione delle direttive CEE in materia di mercato dei valori mobiliari e la tutela del risparmio;

-          la tutela della concorrenza e del mercato.

In queste materie operano la Banca d’Italia, la Commissione nazionale per le società e la borsa (CONSOB) e l’Autorità garante per la concorrenza e il mercato (Antitrust).

 

Si segnala, infine, che l’11 maggio 2012 Il Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, le Regioni, le Province e i Comuni, le Organizzazioni sindacali, hanno siglato il Protocollo “Migliorare La pubblica amministrazione”, che definisce un percorso volto a realizzare un nuovo modello di relazioni sindacali, a razionalizzare e semplificare i sistemi di misurazione, valutazione e premialità, ad introdurre nuove regole per il mercato del lavoro, la formazione professionale e la dirigenza nel settore pubblico.

 


 

Articolo 1, commi 9-13
(
Contratti a tempo determinato)

 

I commi da 9 a 13 modificano la disciplina del contratto a tempo determinato (c.d. contratto a termine) e del contratto di somministrazione.

 

Il comma 9 modifica in più parti il decreto legislativo n. 368/2001, che disciplina il contratto di lavoro a tempo determinato.

 

La disposizione, in particolare, prevede:

·       l’esclusione del requisito della sussistenza di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo (riferibili anche all'ordinaria attività del datore di lavoro) (c.d. acausalità) ai fini della stipulazione di un primo contratto di lavoro a termine, purché esso sia di durata non superiore a 1 anno (il termine inizialmente previsto dal disegno di legge era di 6 mesi, ed è stato innalzato ad 1 anno nel corso dell’esame al Senato); in tali casi il contratto non può  comunque essere oggetto di proroga. Nel corso dell’esame al Senato è stata, poi, inserita una ulteriore ipotesi di esclusione del requisito della sussistenza di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, operante nei  casi, previsti dalla contrattazione collettiva (a livello interconfederale o di categoria ovvero, in via delegata, ai livelli decentrati), in cui l’assunzione avvenga nell’ambito di particolari processi produttivi (determinati dall’avvio di una nuova attività, dal lancio di un prodotto o di un servizio innovativo; dall’implementazione di un rilevante cambiamento tecnologico; dalla fase supplementare di un significativo progetto di ricerca e sviluppo; dal rinnovo o dalla proroga di una commessa consistente);

·       l’esclusione del requisito della sussistenza di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo (riferibili anche all'ordinaria attività del datore di lavoro), ai fini della prima missione di un lavoratore nell'ambito di un contratto di somministrazione a tempo determinato;

·       il prolungamento dei limiti temporali di prosecuzione del rapporto di lavoro oltre i quali il contratto a termine si considera a tempo indeterminato (dai 20 giorni attualmente previsti a 30 giorni in caso di contratti di durata inferiore a 6 mesi; dai 30 giorni attualmente previsti a 50 giorni in caso di contratti di durata superiore), con l’introduzione dell’obbligo per il datore di lavoro di comunicare al Centro per l'impiego territorialmente competente (secondo modalità definite con decreto del Ministro della lavoro e delle politiche sociali da adottare entro un mese dalla data di entrata in vigore della legge), entro la scadenza della durata del rapporto prevista dal contratto, che il rapporto continuerà, indicando anche la durata della prosecuzione;

·       il prolungamento dell’intervallo di tempo oltre il quale la stipula di un nuovo contratto a termine dopo la scadenza del precedente si considera come assunzione a tempo indeterminato(dai 10 giorni attualmente previsti a 60 giorni in caso di contratti di durata inferiore a 6 mesi; dai 20 giorni attualmente previsti a 90 giorni in caso di contratti di durata superiore); peraltro, per effetto di una modifica introdotta al Senato, è stato previsto che nell’ambito di particolari processi produttivi (determinati dall’avvio di una nuova attività, dal lancio di un prodotto o di un servizio innovativo; dall’implementazione di un rilevante cambiamento tecnologico; dalla fase supplementare di un significativo progetto di ricerca e sviluppo; dal rinnovo o dalla proroga di una commessa consistente), i contratti collettivi possono prevedere, stabilendone le condizioni, la riduzione di tali intervalli di tempo (fino a 20 giorni in caso di contratti di durata inferiore a 6 mesi; fino a 30 giorni in caso di contratti di durata superiore). In assenza dell’intervento della contrattazione collettiva entro 6 mesi dalla data di entrata in vigore della legge, a stabilire le suddette condizioni provvede (sentite le OO.SS. più rappresentative sul piano nazionale) Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali;

·       che ai fini del calcolo del limite complessivo di 36 mesi (superato il quale, anche per effetto di proroghe o rinnovi di contratti a termine per lo svolgimento di mansioni equivalenti, il rapporto a termine si considera comunque a tempo indeterminato)si tenga conto anche dei periodi di missione nell'àmbito di contratti di somministrazione (a tempo determinato o indeterminato) aventi ad oggetto mansioni equivalenti e svolti tra gli stessi soggetti.

 

 

Il contratto di lavoro a tempo determinato è disciplinato dal D.Lgs. 368/2001 (adottato in attuazione della direttiva 1999/70/CE).

L’articolo 1 consente l'apposizione di un termine alla durata del contratto di lavoro subordinato a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, anche se riferibili alla ordinaria attività del datore di lavoro. L'apposizione del termine è priva di effetto se non risulta, direttamente o indirettamente, da atto scritto nel quale sono specificate le ragioni.

L'articolo 3 vieta l’apposizione del termine alla durata di un contratto di lavoro subordinato per la sostituzione di lavoratori che esercitano il diritto di sciopero; presso unità produttive nelle quali si sia proceduto, entro i sei mesi precedenti, a licenziamenti collettivi che abbiano riguardato lavoratori adibiti alle stesse mansioni cui si riferisce il contratto di lavoro a tempo determinato, salvo che tale contratto sia concluso per provvedere a sostituzione di lavoratori assenti; presso unità produttive nelle quali sia operante una sospensione dei rapporti o una riduzione dell'orario, con diritto al trattamento di integrazione salariale, che interessino lavoratori adibiti alle mansioni cui si riferisce il contratto a termine; da parte delle imprese che non abbiano effettuato la valutazione dei rischi.

L’articolo 4 prevede che il termine del contratto a tempo determinato può essere, con il consenso del lavoratore, prorogato solo quando la durata iniziale del contratto sia inferiore a tre anni. In questi casi la proroga è ammessa una sola volta e a condizione che sia richiesta da ragioni oggettive e si riferisca alla stessa attività lavorativa per la quale il contratto è stato stipulato a tempo determinato. Con esclusivo riferimento a tale ipotesi la durata complessiva del rapporto a termine non potrà essere superiore ai tre anni.

L’articolo 5 prevede che se il rapporto di lavoro continua dopo la scadenza del termine inizialmente fissato o successivamente prorogato ai sensi dell'articolo 4, il datore di lavoro è tenuto a corrispondere al lavoratore una maggiorazione della retribuzione per ogni giorno di continuazione del rapporto pari al venti per cento fino al decimo giorno successivo, al quaranta per cento per ciascun giorno ulteriore. Se il rapporto di lavoro continua oltre il ventesimo giorno in caso di contratto di durata inferiore a sei mesi  ovvero oltre il trentesimo giorno negli altri casi, il contratto si considera a tempo indeterminato dalla scadenza dei predetti termini. Qualora il lavoratore venga riassunto a termine, ai sensi dell'articolo 1, entro dieci giorni dalla data di scadenza di un contratto di durata fino a sei mesi, ovvero entro venti giorni dalla data di scadenza di un contratto di durata superiore ai sei mesi, il secondo contratto si considera a tempo indeterminato. Quando si tratta di due assunzioni successive a termine, intendendosi per tali quelle effettuate senza alcuna soluzione di continuità, il rapporto di lavoro si considera a tempo indeterminato dalla data di stipulazione del primo contratto.

Il comma 4-bis dell’articolo 5[3] prevede poi che, ferma restando la disciplina della successione di contratti di cui ai commi precedenti e fatte salve diverse disposizioni di contratti collettivi stipulati a livello nazionale, territoriale o aziendale con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, qualora per effetto di successione di contratti a termine per lo svolgimento di mansioni equivalenti il rapporto di lavoro fra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore abbia complessivamente superato i trentasei mesi comprensivi di proroghe e rinnovi, indipendentemente dai periodi di interruzione che intercorrono tra un contratto e l’altro, il rapporto di lavoro si considera a tempo indeterminato. In deroga a quanto disposto dalla sopracitata disposizione, tuttavia, un ulteriore successivo contratto a termine fra gli stessi soggetti può essere stipulato per una sola volta, a condizione che la stipula avvenga presso la direzione provinciale del lavoro competente per territorio e con l’assistenza di un rappresentante di una delle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale cui il lavoratore sia iscritto o conferisca mandato. Le organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale stabiliscono con avvisi comuni la durata del predetto ulteriore contratto. In caso di mancato rispetto della descritta procedura, nonché nel caso di superamento del termine stabilito nel medesimo contratto, il nuovo contratto si considera a tempo indeterminato.

Il comma 4-quater dell’articolo 5[4] dispone che lavoratore il quale, nell’esecuzione di uno o più contratti a termine presso la stessa azienda, abbia prestato attività lavorativa per un periodo superiore a sei mesi ha (fatte salve diverse disposizioni di contratti collettivi stipulati a livello nazionale, territoriale o aziendale con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale) diritto di precedenza nelle assunzioni a tempo indeterminato effettuate dal datore di lavoro entro i successivi dodici mesi con riferimento alle mansioni già espletate in esecuzione dei rapporti a termine.

 

Il comma 10 modifica ulteriormente (ossia oltre a quanto già previsto al comma 9) la disciplina della somministrazione di lavoro (di cui agli articoli 20-28 del decreto legislativo n. 276/2003).

 

Nel nostro ordinamento la fornitura di lavoro temporaneo (cd. lavoro interinale) è stata introdotta dagli articoli 1-11 della L. 24 giugno 1996, n. 197 (cd. legge Treu), i quali hanno disciplinato la fattispecie sotto il profilo contrattuale, retributivo e previdenziale, innovando profondamente la previgente normativa, che addirittura sanzionava penalmente e civilmente l'attività delle agenzie fornitrici di manodopera (articoli 11 e 27 della L. 29 aprile 1949, n. 264, sul collocamento) e vietava, in generale, di affidare a un soggetto terzo l'esecuzione di mere prestazioni di lavoro da svolgersi da parte di personale assunto e retribuito dal terzo intermediario (articolo 1 della L. 23 ottobre 1960, n. 1369).

Si ricorda che nel lavoro interinale viene individuato un rapporto trilaterale (tra impresa fornitrice, lavoratore temporaneo e impresa utilizzatrice) fondato su due diversi contratti:

·       il contratto di fornitura di lavoro temporaneo (stipulato tra impresa fornitrice e impresa utilizzatrice);

·       il contratto di natura lavoristica tra impresa fornitrice e lavoratore temporaneo, (denominato "contratto per prestazioni di lavoro temporaneo") che deve indicare anche l'impresa utilizzatrice, ma in cui il rapporto tra quest'ultima e il lavoratore non assume una autonoma veste contrattuale.

Successivamente, il D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276 (c.d. decreto-Biagi), di recente modificato dal D.Lgs. 2 marzo 2012, n. 24[5], ha introdotto la fattispecie del contratto di somministrazione di lavoro (articoli 20 e ss.), che può essere concluso da ogni soggetto (utilizzatore) che si rivolga ad altro soggetto (somministratore) a ciò autorizzato dal Ministero del lavoro.

Tale contratto in sostanza sostituisce il contratto di fornitura di lavoro interinale (la cui disciplina è stata contestualmente abrogata). Pertanto le agenzie di somministrazione hanno preso il posto delle vecchie agenzie di lavoro temporaneo.

La normativa originaria prevedeva che il contratto di somministrazione potesse essere concluso a termine o a tempo indeterminato (staff leasing). Successivamente, l’articolo 1, comma 46, della L. 24 dicembre 2007, n. 247 (“Norme di attuazione del Protocollo del 23 luglio 2007 su previdenza, lavoro e competitività per favorire l'equità e la crescita sostenibili, nonché ulteriori norme in materia di lavoro e previdenza sociale”) è intervenuto in materia, abolendo la fattispecie della somministrazione a tempo indeterminato. Successivamente, l’articolo 1, commi 142-143 della L. 23 dicembre 2009, n. 191 (legge finanziaria per il 2010) ha reintrodotto la fattispecie della somministrazione a tempo indeterminato.

 

 Oltre all'introduzione di una norma di coordinamento con le novelle di cui al precedente comma 9, la disposizione in esame sopprime il comma 2 dell’articolo 23 del d.lgs. n. 276/2003.

 

L’articolo 23, comma 1, del D.Lgs. 276/2003, prevede, in via generale, che per tutta la durata della missione presso un utilizzatore, i lavoratori dipendenti dal somministratore hanno diritto a condizioni di base di lavoro e d'occupazione complessivamente non inferiori a quelle dei dipendenti di pari livello dell'utilizzatore, a parità di mansioni svolte. Un’eccezione è tale regola è prevista al comma 2 (che la disposizione in esame intende, per l’appunto, sopprimere), ove si prevede che “La disposizione di cui al comma 1 non trova applicazione con riferimento ai contratti di somministrazione conclusi da soggetti privati autorizzati nell'àmbito di specifici programmi di formazione, inserimento e riqualificazione professionale erogati, a favore dei lavoratori svantaggiati, in concorso con Regioni, Province ed enti locali ai sensi e nei limiti di cui all'articolo 13”[6]

 

Si rileva che la soppressione del comma 2 dell’articolo 23 richiede, sotto il profilo della redazione tecnica, anche una riformulazione dell'art. 13, comma 1, del D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276.

 

I commi 11 e 12 ampliano i termini per l'impugnazione (anche extragiudiziale) e per il successivo ricorso giudiziale (o per la comunicazione alla controparte della richiesta di tentativo di conciliazione o arbitrato), nel contenzioso relativo alla nullità del termine apposto al contratto di lavoro. Il primo termine è elevato da 60 a 120 giorni (decorrenti dalla cessazione del contratto), mentre il secondo termine è ridotto da 270 a 180 giorni (decorrenti dalla precedente impugnazione).

I nuovi termini si applicano con riferimento alle cessazioni di contratti a tempo determinato verificatesi a decorrere dal 1° gennaio 2013.

 

Il comma 13 reca una norma di interpretazione autentica dell’articolo 32, comma 5, della legge n. 183/2010[7] (cd, collegato lavoro), relativamente al risarcimento del danno subìto dal lavoratore nelle ipotesi di conversione del contratto a termine in rapporto a tempo indeterminato.

 

L’articolo 32, comma 5, della legge n.183 del 2010 prevede che nei casi di conversione del contratto a tempo determinato, il giudice condanna il datore di lavoro al risarcimento del lavoratore stabilendo un’indennità onnicomprensiva nella misura compresa tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo ai criteri indicati nell’articolo 8 della L. 15 luglio 1966, n. 604[8].

 

La norma di interpretazione autentica (avente, quindi, effetto retroattivo) è volta a chiarire che l'indennità onnicomprensiva costituisce l'unico risarcimento spettante al lavoratore, anche in relazione alle conseguenze retributive e contributive, concernenti il periodo compreso fra la scadenza del termine e la pronuncia del provvedimento giudiziale di conversione del rapporto di lavoro[9].

 

Si segnala, infine, che la 11° Commissione del Senato ha approvato l’ordine del giorno G/3249/3/11 (Vita e altri), cheimpegna il Governo a valutare l'opportunità, considerata la specificità del settore dello spettacolo, di non applicare allo stesso le disposizioni di cui agli articoli 4 e 5 del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, con riferimento alle categorie professionali stabilite dall'articolo 3 del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 16 luglio 1947, n. 708.

Procedure di contenzioso

Si segnalano alcune procedure di infrazione relative ad alcune disposizioni sui contratti a tempo determinato.

La Commissione europea ha aperto una procedura di infrazione (proc. n. 2010/2045), con l’invio il 30 settembre 2009 di una lettera di messa in mora per la non corretta trasposizione della direttiva 1999/70/CE relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato.

La Commissione europea ritiene che l’articolo 8 del D.lgs. 368/2001, li dove prevede una durata contrattuale minima di 9 mesi sotto la quale il lavoratore a tempo determinato è escluso dal conteggio ai fini delle soglie per la costituzione degli organi di rappresentanza dei lavoratori, non sia conforme con i requisiti previsti dalla clausola 7 dell’Accordo quadro allegato alla direttiva 1999/70/Ce relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, che prevede che i lavoratori a tempo determinato debbano essere computati a prescindere dalla durata del contratto a termine. La Commissione europea ritiene, inoltre, che l’Italia abbia attuato in modo incorretto l’art. 2, par. 2., della direttiva 94/45/CE, riguardante l'istituzione di un comitato aziendale europeo o di una procedura per l'informazione e la consultazione dei lavoratori nelle imprese e nei gruppi di imprese di dimensioni comunitarie, nonché l’art. 3 della direttiva 2002/14/CE, che istituisce un quadro generale relativo all'informazione e alla consultazione dei lavoratori, nella misura in cui la normativa italiana di recepimento (D.lgs. 74/2002 e D.lgs 25/2007) impone limiti per l’inclusione dei lavoratori con contratto a tempo determinato nel conteggio del personale.

La Commissione europea ha aperto, con l’invio di una lettera di messa in mora il 14 marzo 2011, una procedura di infrazione (proc. 2010/2124) nei confronti dell’Italia per il non corretto recepimento della direttiva 1999/70/CE relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato.

In particolare, la Commissione ritiene che la prassi di impiegare personale ausiliario tecnico amministrativo nella scuola pubblica per mezzo di una successione di contratti a tempo determinato, senza misure atte a prevenirne l’abuso, non ottempera gli obblighi della clausola 5 dell’Accordo quadro allegato alla direttiva 1999/70/CE. Il 24 maggio 2011, il Governo italiano ha trasmesso alla Commissione europea delle note di risposta predisposte dalle Amministrazioni interessate, nelle quali si comunicava che al fine di fornire riscontro alle censure formulate dalla Commissione europea è stato predisposto un nuovo quadro legislativo, attraverso due interventi normativi specifici inseriti nel Decreto legge n. 70 del 2011: l’art. 9, comma 8 relativo ad una deroga all’applicazione della direttiva 1999/70/CE per i contratti a tempo determinato nella scuola; l’art. 9, comma 17 recante attuazione del piano triennale di assunzioni a tempo indeterminato di personale docente, educativo ed ATA per ridurre il fenomeno del precariato.

Secondo informazioni raccolte dalla Rappresentanza permanente dell’Italia presso l’UE, i servizi della Commissione europea si appresterebbero a proporre al collegio dei Commissari, nel corso del mese di giugno 2012 l’adozione di una lettera di messa in mora complementare, poiché si riterrebbe che il problema non sia più circoscritto al solo personale ausiliario tecnico-amministrativo, bensì a tutto il personale della scuola.

 

 

Decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368
Attuazione della direttiva 1999/70/CE relativa all'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso dall'UNICE, dal CEEP e dal CES

Testo vigente

Testo modificato

 

 

Articolo 1
(Apposizione del termine)

 

 

 

01. Il contratto di lavoro subordinato è stipulato di regola a tempo indeterminato.

01. Il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato costituisce la forma comune di rapporto di lavoro.

1. È’ consentita l'apposizione di un termine alla durata del contratto di lavoro subordinato a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, anche se riferibili alla ordinaria attività del datore di lavoro.

 

 

«1-bis. Il requisito di cui al comma 1 non è richiesto nell’ipotesi del primo rapporto a tempo determinato, di durata non superiore a dodici mesi, concluso fra un datore di lavoro o utilizzatore e un lavoratore per lo svolgimento di qualunque tipo di mansione, sia nella forma del contratto a tempo determinato, sia nel caso di prima missione di un lavoratore nell’ambito di un contratto di somministrazione a tempo determinato ai sensi del comma 4 dell’articolo 20 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276. I contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale possono prevedere, in via diretta a livello interconfederale o di categoria ovvero in via delegata ai livelli decentrati, che in luogo dell’ipotesi di cui al precedente periodo il requisito di cui al comma 1 non sia richiesto nei casi in cui l’assunzione a tempo determinato o la missione nell’ambito del contratto di somministrazione a tempo determinato avvenga nell’ambito di un processo organizzativo determinato dalle ragioni di cui all’articolo 5, comma 3, nel limite complessivo del 6 per cento del totale dei lavoratori occupati nell’ambito dell’unità produttiva»;

2. L'apposizione del termine è priva di effetto se non risulta, direttamente o indirettamente, da atto scritto nel quale sono specificate le ragioni di cui al comma 1.

2. L'apposizione del termine è priva di effetto se non risulta, direttamente o indirettamente, da atto scritto nel quale sono specificate le ragioni di cui al comma 1, fatto salvo quanto previsto dal comma 1-bis relativamente alla non operatività del requisito della sussistenza di ragioni di carattere tecnico, organizzativo, produttivo o sostitutivo;

3. Copia dell'atto scritto deve essere consegnata dal datore di lavoro al lavoratore entro cinque giorni lavorativi dall'inizio della prestazione.

 

4. La scrittura non è tuttavia necessaria quando la durata del rapporto di lavoro, puramente occasionale, non sia superiore a dodici giorni.

 

 

 

Articolo 4
(Disciplina della proroga)

 

 

 

1. Il termine del contratto a tempo determinato può essere, con il consenso del lavoratore, prorogato solo quando la durata iniziale del contratto sia inferiore a tre anni. In questi casi la proroga è ammessa una sola volta e a condizione che sia richiesta da ragioni oggettive e si riferisca alla stessa attività lavorativa per la quale il contratto è stato stipulato a tempo determinato. Con esclusivo riferimento a tale ipotesi la durata complessiva del rapporto a termine non potrà essere superiore ai tre anni.

 

2. L'onere della prova relativa all'obiettiva esistenza delle ragioni che giustificano l'eventuale proroga del termine stesso è a carico del datore di lavoro.

 

 

2-bis. Il contratto a tempo determinato di cui all’articolo 1, comma 1-bis, non può essere oggetto di proroga.

 

 

Articolo 5
(Scadenza del termine e sanzioni. Successione dei contratti)

 

 

 

1. Se il rapporto di lavoro continua dopo la scadenza del termine inizialmente fissato o successivamente prorogato ai sensi dell'articolo 4, il datore di lavoro è tenuto a corrispondere al lavoratore una maggiorazione della retribuzione per ogni giorno di continuazione del rapporto pari al venti per cento fino al decimo giorno successivo, al quaranta per cento per ciascun giorno ulteriore.

 

2. Se il rapporto di lavoro continua oltre il ventesimo giorno in caso di contratto di durata inferiore a sei mesi, nonché decorso il periodo complessivo di cui al comma 4-bis, ovvero oltre il trentesimo giorno negli altri casi, il contratto si considera a tempo indeterminato dalla scadenza dei predetti termini.

2. Se il rapporto di lavoro continua oltre il trentesimo giorno in caso di contratto di durata inferiore a sei mesi, nonché decorso il periodo complessivo di cui al comma 4-bis, ovvero oltre il cinquantesimo giorno negli altri casi, il contratto si considera a tempo indeterminato dalla scadenza dei predetti termini.

 

2-bis. Nelle ipotesi di cui al comma 2, il datore di lavoro ha l’onere di comunicare al Centro per l’impiego territorialmente competente, entro la scadenza del termine inizialmente fissato, che il rapporto continuerà oltre tale termine, indicando altresì la durata della prosecuzione. Le modalità di comunicazione sono fissate con decreto di natura non regolamentare del Ministero del lavoro e delle politiche sociali da adottare entro un mese dalla data di entrata in vigore della presente disposizione.

3. Qualora il lavoratore venga riassunto a termine, ai sensi dell'articolo 1, entro un periodo di dieci giorni dalla data di scadenza di un contratto di durata fino a sei mesi, ovvero venti giorni dalla data di scadenza di un contratto di durata superiore ai sei mesi, il secondo contratto si considera a tempo indeterminato.

3. Qualora il lavoratore venga riassunto a termine, ai sensi dell'articolo 1, entro un periodo di sessanta giorni dalla data di scadenza di un contratto di durata fino a sei mesi, ovvero novanta giorni dalla data di scadenza di un contratto di durata superiore ai sei mesi, il secondo contratto si considera a tempo indeterminato. I contratti collettivi di cui all’articolo 1, comma 1-bis, possono prevedere, stabilendone le condizioni, la riduzione dei predetti periodi, rispettivamente, fino a venti giorni e trenta giorni nei casi in cui l’assunzione a termine avvenga nell’ambito di un processo organizzativo determinato: dall’avvio di una nuova attività; dal lancio di un prodotto o di un servizio innovativo; dall’implementazione di un rilevante cambiamento tecnologico; dalla fase supplementare di un significativo progetto di ricerca e sviluppo; dal rinnovo o dalla proroga di una commessa consistente. In mancanza di un intervento della contrattazione collettiva, ai sensi del precedente periodo, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, decorsi dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente disposizione, sentite le organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, provvede a individuare le specifiche condizioni in cui, ai sensi del periodo precedente, operano le riduzioni ivi previste.

4. Quando si tratta di due assunzioni successive a termine, intendendosi per tali quelle effettuate senza alcuna soluzione di continuità, il rapporto di lavoro si considera a tempo indeterminato dalla data di stipulazione del primo contratto.

 

4-bis. Ferma restando la disciplina della successione di contratti di cui ai commi precedenti e fatte salve diverse disposizioni di contratti collettivi stipulati a livello nazionale, territoriale o aziendale con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale qualora per effetto di successione di contratti a termine per lo svolgimento di mansioni equivalenti il rapporto di lavoro fra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore abbia complessivamente superato i trentasei mesi comprensivi di proroghe e rinnovi, indipendentemente dai periodi di interruzione che intercorrono tra un contratto e l’altro, il rapporto di lavoro si considera a tempo indeterminato ai sensi del comma 2. In deroga a quanto disposto dal primo periodo del presente comma, un ulteriore successivo contratto a termine fra gli stessi soggetti può essere stipulato per una sola volta, a condizione che la stipula avvenga presso la direzione provinciale del lavoro competente per territorio e con l’assistenza di un rappresentante di una delle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale cui il lavoratore sia iscritto o conferisca mandato. Le organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale stabiliscono con avvisi comuni la durata del predetto ulteriore contratto. In caso di mancato rispetto della descritta procedura, nonché nel caso di superamento del termine stabilito nel medesimo contratto, il nuovo contratto si considera a tempo indeterminato.

4-bis. Ferma restando la disciplina della successione di contratti di cui ai commi precedenti e fatte salve diverse disposizioni di contratti collettivi stipulati a livello nazionale, territoriale o aziendale con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale qualora per effetto di successione di contratti a termine per lo svolgimento di mansioni equivalenti il rapporto di lavoro fra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore abbia complessivamente superato i trentasei mesi comprensivi di proroghe e rinnovi, indipendentemente dai periodi di interruzione che intercorrono tra un contratto e l’altro, il rapporto di lavoro si considera a tempo indeterminato ai sensi del comma 2. In deroga a quanto disposto dal primo periodo del presente comma, un ulteriore successivo contratto a termine fra gli stessi soggetti può essere stipulato per una sola volta, a condizione che la stipula avvenga presso la direzione provinciale del lavoro competente per territorio e con l’assistenza di un rappresentante di una delle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale cui il lavoratore sia iscritto o conferisca mandato. Le organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale stabiliscono con avvisi comuni la durata del predetto ulteriore contratto. In caso di mancato rispetto della descritta procedura, nonché nel caso di superamento del termine stabilito nel medesimo contratto, il nuovo contratto si considera a tempo indeterminato; ai fini del computo del periodo massimo di trentasei mesi si tiene altresì conto dei periodi di missione aventi ad oggetto mansioni equivalenti, svolti fra i medesimi soggetti, ai sensi del comma 1-bis dell’articolo 1 del presente decreto e del comma 4 dell’articolo 20 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, e successive modificazioni, inerente alla somministrazione di lavoro a tempo determinato.

4-ter. Le disposizioni di cui al comma 4-bis non trovano applicazione nei confronti delle attività stagionali definite dal decreto del Presidente della Repubblica 7 ottobre 1963, n. 1525, e successive modifiche e integrazioni, nonchè di quelle che saranno individuate dagli avvisi comuni e dai contratti collettivi nazionali stipulati dalle organizzazioni dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative.

 

4-quater. Il lavoratore che, nell’esecuzione di uno o più contratti a termine presso la stessa azienda, abbia prestato attività lavorativa per un periodo superiore a sei mesi ha diritto di precedenza, fatte salve diverse disposizioni di contratti collettivi stipulati a livello nazionale, territoriale o aziendale con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, nelle assunzioni a tempo indeterminato effettuate dal datore di lavoro entro i successivi dodici mesi con riferimento alle mansioni già espletate in esecuzione dei rapporti a termine.

 

4-quinquies. Il lavoratore assunto a termine per lo svolgimento di attività stagionali ha diritto di precedenza, rispetto a nuove assunzioni a termine da parte dello stesso datore di lavoro per le medesime attività stagionali.

 

4-sexies. Il diritto di precedenza di cui ai commi 4-quater e 4-quinquies può essere esercitato a condizione che il lavoratore manifesti in tal senso la propria volontà al datore di lavoro entro rispettivamente sei mesi e tre mesi dalla data di cessazione del rapporto stesso e si estingue entro un anno dalla data di cessazione del rapporto di lavoro.

 

 

 

Decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276
Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla legge 14 febbraio 2003, n. 30

Testo vigente

Testo modificato

 

 

Articolo 13
(Misure di incentivazione del raccordo pubblico e privato)

 

 

 

1. Al fine di garantire l'inserimento o il reinserimento nel mercato del lavoro dei lavoratori svantaggiati, attraverso politiche attive e di workfare, alle agenzie autorizzate alla somministrazione di lavoro è consentito:

 

a) operare in deroga al regime generale della somministrazione di lavoro, ai sensi del comma 2 dell'articolo 23, ma solo in presenza di un piano individuale di inserimento o reinserimento nel mercato del lavoro, con interventi formativi idonei e il coinvolgimento di un tutore con adeguate competenze e professionalità, e a fronte della assunzione del lavoratore, da parte delle agenzie autorizzate alla somministrazione, con contratto di durata non inferiore a sei mesi;

a) operare solo in presenza di un piano individuale di inserimento o reinserimento nel mercato del lavoro, con interventi formativi idonei e il coinvolgimento di un tutore con adeguate competenze e professionalità, e a fronte della assunzione del lavoratore, da parte delle agenzie autorizzate alla somministrazione, con contratto di durata non inferiore a sei mesi;

b) determinare altresì, per un periodo massimo di dodici mesi e solo in caso di contratti di durata non inferiore a nove mesi, il trattamento retributivo del lavoratore, detraendo dal compenso dovuto quanto eventualmente percepito dal lavoratore medesimo a titolo di indennità di mobilità, indennità di disoccupazione ordinaria o speciale, o altra indennità o sussidio la cui corresponsione è collegata allo stato di disoccupazione o inoccupazione, e detraendo dai contributi dovuti per l'attività lavorativa l'ammontare dei contributi figurativi nel caso di trattamenti di mobilità e di indennità di disoccupazione ordinaria o speciale.

 

2. Il lavoratore destinatario delle attività di cui al comma 1 decade dai trattamenti di mobilità, qualora l'iscrizione nelle relative liste sia finalizzata esclusivamente al reimpiego, di disoccupazione ordinaria o speciale, o da altra indennità o sussidio la cui corresponsione è collegata allo stato di disoccupazione o inoccupazione, quando:

 

a) rifiuti di essere avviato a un progetto individuale di reinserimento nel mercato del lavoro ovvero rifiuti di essere avviato a un corso di formazione professionale autorizzato dalla regione o non lo frequenti regolarmente, fatti salvi i casi di impossibilità derivante da forza maggiore;

 

b) non accetti l'offerta di un lavoro inquadrato in un livello retributivo non inferiore del 20 per cento rispetto a quello delle mansioni di provenienza;

 

c) non abbia provveduto a dare preventiva comunicazione alla competente sede I.N.P.S. del lavoro prestato ai sensi dell'articolo 8, commi 4 e 5 del decreto-legge 21 marzo 1988, n. 86, convertito, con modificazioni, dalla legge 20 maggio 1988, n. 160.

 

3. Le disposizioni di cui al comma 2 si applicano quando le attività lavorative o di formazione offerte al lavoratore siano congrue rispetto alle competenze e alle qualifiche del lavoratore stesso e si svolgano in un luogo raggiungibile in 80 minuti con mezzi pubblici da quello della sua residenza. Le disposizioni di cui al comma 2, lettere b) e c) non si applicano ai lavoratori inoccupati.

 

4. Nei casi di cui al comma 2, i responsabili della attività formativa ovvero le agenzie di somministrazione di lavoro comunicano direttamente all'I.N.P.S., e al servizio per l'impiego territorialmente competente ai fini della cancellazione dalle liste di mobilità, i nominativi dei soggetti che possono essere ritenuti decaduti dai trattamenti previdenziali. A seguito di detta comunicazione, l'I.N.P.S. sospende cautelativamente l'erogazione del trattamento medesimo, dandone comunicazione agli interessati.

 

5. Avverso gli atti di cui al comma 4 è ammesso ricorso entro trenta giorni alle direzioni provinciali del lavoro territorialmente competenti che decidono, in via definitiva, nei venti giorni successivi alla data di presentazione del ricorso. La decisione del ricorso è comunicata al competente servizio per l'impiego ed all'I.N.P.S.

 

5-bis. La previsione di cui al comma 1, lettera a), trova applicazione solo in presenza di una convenzione stipulata tra una o più agenzie autorizzate alla somministrazione di lavoro con i comuni, le province, le regioni ovvero con le agenzie tecniche strumentali del Ministero del lavoro e delle politiche sociali.

 

6. [Fino alla data di entrata in vigore di norme regionali che disciplinino la materia, le disposizioni di cui al comma 1 si applicano solo in presenza di una convenzione tra una o più agenzie autorizzate alla somministrazione di lavoro, anche attraverso le associazioni di rappresentanza e con l'ausilio delle agenzie tecniche strumentali del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, e i comuni, le province o le regioni stesse].

 

7. Le disposizioni di cui ai commi da 1 a 5 si applicano anche con riferimento ad appositi soggetti giuridici costituiti ai sensi delle normative regionali in convenzione con le agenzie autorizzate alla somministrazione di lavoro, previo accreditamento ai sensi dell'articolo 7.

 

8. Nella ipotesi di cui al comma 7, le agenzie autorizzate alla somministrazione di lavoro si assumono gli oneri delle spese per la costituzione e il funzionamento della agenzia stessa. Le regioni, i centri per l'impiego e gli enti locali possono concorrere alle spese di costituzione e funzionamento nei limiti delle proprie disponibilità finanziarie.

 

 

 

Articolo 20
(Condizioni di liceità)

 

 

 

1. Il contratto di somministrazione di lavoro può essere concluso da ogni soggetto, di seguito denominato utilizzatore, che si rivolga ad altro soggetto, di seguito denominato somministratore, a ciò autorizzato ai sensi delle disposizioni di cui agli articoli 4 e 5.

 

2. Per tutta la durata della missione i lavoratori svolgono la propria attività nell'interesse nonché sotto la direzione e il controllo dell'utilizzatore. Nell'ipotesi in cui i lavoratori vengano assunti con contratto di lavoro a tempo indeterminato essi rimangono a disposizione del somministratore per i periodi in cui non sono in missione presso un utilizzatore, salvo che esista una giusta causa o un giustificato motivo di risoluzione del contratto di lavoro.

 

3. Il contratto di somministrazione di lavoro può essere concluso a termine o a tempo indeterminato. La somministrazione di lavoro a tempo indeterminato è ammessa:

 

a) per servizi di consulenza e assistenza nel settore informatico, compresa la progettazione e manutenzione di reti intranet e extranet, siti internet, sistemi informatici, sviluppo di software applicativo, caricamento dati;

 

b) per servizi di pulizia, custodia, portineria;

 

c) per servizi, da e per lo stabilimento, di trasporto di persone e di trasporto e movimentazione di macchinari e merci;

 

d) per la gestione di biblioteche, parchi, musei, archivi, magazzini, nonché servizi di economato;

 

e) per attività di consulenza direzionale, assistenza alla certificazione, programmazione delle risorse, sviluppo organizzativo e cambiamento, gestione del personale, ricerca e selezione del personale;

 

f) per attività di marketing, analisi di mercato, organizzazione della funzione commerciale;

 

g) per la gestione di call-center, nonché per l'avvio di nuove iniziative imprenditoriali nelle aree Obiettivo 1 di cui al regolamento (CE) n. 1260/1999 del 21 giugno 1999 del Consiglio, recante disposizioni generali sui Fondi strutturali;

 

h) per costruzioni edilizie all'interno degli stabilimenti, per installazioni o smontaggio di impianti e macchinari, per particolari attività produttive, con specifico riferimento all'edilizia e alla cantieristica navale, le quali richiedano più fasi successive di lavorazione, l'impiego di manodopera diversa per specializzazione da quella normalmente impiegata nell'impresa;

 

i) in tutti gli altri casi previsti dai contratti collettivi di lavoro nazionali, territoriali o aziendali stipulati da associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative;

 

i-bis) in tutti i settori produttivi, pubblici e privati, per l’esecuzione di servizi di cura e assistenza alla persona e di sostegno alla famiglia.

 

4. La somministrazione di lavoro a tempo determinato è ammessa a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, anche se riferibili all'ordinaria attività dell'utilizzatore. La individuazione, anche in misura non uniforme, di limiti quantitativi di utilizzazione della somministrazione a tempo determinato è affidata ai contratti collettivi nazionali di lavoro stipulati da sindacati comparativamente più rappresentativi in conformità alla disciplina di cui all'articolo 10 del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368.

4. La somministrazione di lavoro a tempo determinato è ammessa a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, anche se riferibili all'ordinaria attività dell'utilizzatore. La individuazione, anche in misura non uniforme, di limiti quantitativi di utilizzazione della somministrazione a tempo determinato è affidata ai contratti collettivi nazionali di lavoro stipulati da sindacati comparativamente più rappresentativi in conformità alla disciplina di cui all'articolo 10 del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368. È fatta salva la previsione di cui al comma 1-bis dell’articolo 1 del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368.

 

 

Articolo 23
(Tutela del prestatore di lavoro esercizio del potere disciplinare e regime della solidarietà)

 

 

 

1. Per tutta la durata della missione presso un utilizzatore, i lavoratori dipendenti dal somministratore hanno diritto a condizioni di base di lavoro e d'occupazione complessivamente non inferiori a quelle dei dipendenti di pari livello dell'utilizzatore, a parità di mansioni svolte. Restano in ogni caso salve le clausole dei contratti collettivi nazionali di lavoro stipulate ai sensi dell'articolo 1, comma 3, della legge 24 giugno 1997, n. 196.

 

2. La disposizione di cui al comma 1 non trova applicazione con riferimento ai contratti di somministrazione conclusi da soggetti privati autorizzati nell'ambito di specifici programmi di formazione, inserimento e riqualificazione professionale erogati, a favore dei lavoratori svantaggiati, in concorso con Regioni, Province ed enti locali ai sensi e nei limiti di cui all'articolo 13.

Soppresso

 

Legge 4 novembre 2010, n. 183
Deleghe al Governo in materia di lavori usuranti, di riorganizzazione di enti, di congedi, aspettative e permessi, di ammortizzatori sociali, di servizi per l'impiego, di incentivi all'occupazione, di apprendistato, di occupazione femminile, nonché misure contro il lavoro sommerso e disposizioni in tema di lavoro pubblico e di controversie di lavoro

Testo vigente

Testo modificato

 

 

Articolo 32
(Decadenze e disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo determinato)

 

 

 

1. Il primo e il secondo comma dell’articolo 6 della legge 15 luglio 1966, n. 604, sono sostituiti dai seguenti:

«Il licenziamento deve essere impugnato a pena di decadenza entro sessanta giorni dalla ricezione della sua comunicazione in forma scritta, ovvero dalla comunicazione, anch’essa in forma scritta, dei motivi, ove non contestuale, con qualsiasi atto scritto, anche extragiudiziale, idoneo a rendere nota la volontà del lavoratore anche attraverso l’intervento dell’organizzazione sindacale diretto ad impugnare il licenziamento stesso.

L’impugnazione è inefficace se non è seguita, entro il successivo termine di duecentosettanta giorni, dal deposito del ricorso nella cancelleria del tribunale in funzione di giudice del lavoro o dalla comunicazione alla controparte della richiesta di tentativo di conciliazione o arbitrato, ferma restando la possibilità di produrre nuovi documenti formatisi dopo il deposito del ricorso. Qualora la conciliazione o l’arbitrato richiesti siano rifiutati o non sia raggiunto l’accordo necessario al relativo espletamento, il ricorso al giudice deve essere depositato a pena di decadenza entro sessanta giorni dal rifiuto o dal mancato accordo».

 

1-bis. In sede di prima applicazione, le disposizioni di cui all’ articolo 6, primo comma, della legge 15 luglio 1966, n. 604, come modificato dal comma 1 del presente articolo, relative al termine di sessanta giorni per l’impugnazione del licenziamento, acquistano efficacia a decorrere dal 31 dicembre 2011.

 

2. Le disposizioni di cui all’ articolo 6 della legge 15 luglio 1966, n. 604, come modificato dal comma 1 del presente articolo, si applicano anche a tutti i casi di invalidità del licenziamento.

 

3. Le disposizioni di cui all’ articolo 6 della legge 15 luglio 1966, n. 604, come modificato dal comma 1 del presente articolo, si applicano inoltre:

 

a) ai licenziamenti che presuppongono la risoluzione di questioni relative alla qualificazione del rapporto di lavoro ovvero alla legittimità del termine apposto al contratto;

a) ai licenziamenti che presuppongono la risoluzione di questioni relative alla qualificazione del rapporto di lavoro ovvero alla nullità del termine apposto al contratto di lavoro, ai sensi degli articoli 1, 2 e 4 del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, e successive modificazioni. Laddove si faccia questione della nullità del termine apposto al contratto, il termine di cui al primo comma del predetto articolo 6, che decorre dalla cessazione del medesimo contratto, è fissato in centoventi giorni, mentre il termine di cui al primo periodo del secondo comma del medesimo articolo 6 è fissato in centottanta giorni;

b) al recesso del committente nei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, anche nella modalità a progetto, di cui all’articolo 409, numero 3), del codice di procedura civile;

 

c) al trasferimento ai sensi dell’articolo 2103 del codice civile, con termine decorrente dalla data di ricezione della comunicazione di trasferimento;

 

d) all’azione di nullità del termine apposto al contratto di lavoro, ai sensi degli articoli 1, 2 e 4 del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, e successive modificazioni, con termine decorrente dalla scadenza del medesimo;

Soppressa

4. Le disposizioni di cui all’ articolo 6 della legge 15 luglio 1966, n. 604, come modificato dal comma 1 del presente articolo, si applicano anche:

 

a) ai contratti di lavoro a termine stipulati ai sensi degli articoli 1, 2 e 4 del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, in corso di esecuzione alla data di entrata in vigore della presente legge, con decorrenza dalla scadenza del termine;

 

b) ai contratti di lavoro a termine, stipulati anche in applicazione di disposizioni di legge previgenti al decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, e già conclusi alla data di entrata in vigore della presente legge, con decorrenza dalla medesima data di entrata in vigore della presente legge;

 

c) alla cessione di contratto di lavoro avvenuta ai sensi dell’articolo 2112 del codice civile con termine decorrente dalla data del trasferimento;

 

d) in ogni altro caso in cui, compresa l’ipotesi prevista dall’ articolo 27 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, si chieda la costituzione o l’accertamento di un rapporto di lavoro in capo a un soggetto diverso dal titolare del contratto.

 

5. Nei casi di conversione del contratto a tempo determinato, il giudice condanna il datore di lavoro al risarcimento del lavoratore stabilendo un’indennità onnicomprensiva nella misura compresa tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo ai criteri indicati nell’ articolo 8 della legge 15 luglio 1966, n. 604.

 

6. In presenza di contratti ovvero accordi collettivi nazionali, territoriali o aziendali, stipulati con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, che prevedano l’assunzione, anche a tempo indeterminato, di lavoratori già occupati con contratto a termine nell’ambito di specifiche graduatorie, il limite massimo dell’indennità fissata dal comma 5 è ridotto alla metà.

 

7. Le disposizioni di cui ai commi 5 e 6 trovano applicazione per tutti i giudizi, ivi compresi quelli pendenti alla data di entrata in vigore della presente legge. Con riferimento a tali ultimi giudizi, ove necessario, ai soli fini della determinazione della indennità di cui ai commi 5 e 6, il giudice fissa alle parti un termine per l’eventuale integrazione della domanda e delle relative eccezioni ed esercita i poteri istruttori ai sensi dell’articolo 421 del codice di procedura civile.

 

 

 

 

 


 

Articolo 1, commi 14 e 15
(Soppressione del contratto di inserimento)

 

I commi 14 e 15 sopprimono il contratto di inserimento.

 

I commi 14 e 15 sopprimono il contratto di inserimento, attraverso l’abrogazione degli articoli 54-59 del decreto legislativo n. 276/2003 che attualmente ne dettano la disciplina. La disciplina vigente continua tuttavia a trovare applicazione per le assunzioni effettuate fino al 31 dicembre 2012.

 

La relazione illustrativa del disegno di legge osserva che la soppressione dell'istituto è connessa all'introduzione (all’articolo 4, commi 8-11) di un nuovo ed organico sistema di incentivi all’occupazione per i lavoratori anziani e le donne nelle aree svantaggiate (a decorrere dal 2013)

 

Il contratto di inserimento, di cui agli articoli 54-59 del decreto legislativo 276/2003, mira a inserire (o reinserire) nel mercato del lavoro alcune categorie di persone, attraverso un progetto individuale di adattamento delle competenze professionali del singolo a un determinato contesto lavorativo. Momento centrale del contratto è la redazione del piano di inserimento lavorativo, che deve garantire l'acquisizione di competenze professionali attraverso la formazione on the job. Il contratto di inserimento sostituisce il contratto di formazione e lavoro (CFL) nel settore privato.

Il contratto di inserimento riguarda:

o      persone di età compresa tra 18 e 29 anni;

o      disoccupati di tra 29 e 32 anni; lavoratori con più di 50 anni privi del posto di lavoro;

o      lavoratori che intendono riprendere un'attività e che non hanno lavorato per almeno due anni;

o      donne di qualsiasi età che risiedono in aree geografiche in cui il tasso di occupazione femminile sia inferiore almeno del 20% a quello maschile (oppure quello di disoccupazione superiore del 10%). Le richiamate aree nonché quelle con riferimento alle quali trovano applicazione gli incentivi economici di cui all'articolo 59, comma 3, nel rispetto del regolamento (CE) n. 800/2008 della Commissione, del 6 agosto 2008 (aiuti de minimis), vengono individuate con specifico decreto interministeriale da adottare entro il 31 dicembre di ogni anno, con riferimento all'anno successivo;

o      persone riconosciute affette da un grave handicap fisico, mentale o psichico.

 

Datori di lavoro possono essere enti pubblici economici, imprese e loro consorzi, gruppi di imprese, associazioni professionali, socio-culturali e sportive, fondazioni, enti di ricerca pubblici e privati, organizzazioni e associazioni di categoria

Non è prevista una percentuale massima di lavoratori che possono essere assunti con contratto di inserimento (anche se questa potrà essere stabilita dai contratti collettivi nazionali, territoriali o aziendali).

Il datore di lavoro, per poter assumere con questo contratto, deve aver mantenuto in servizio almeno il 60% dei lavoratori il cui contratto di inserimento sia scaduto nei 18 mesi precedenti.

Il contratto di inserimento va da 9 a 18 mesi, (fino a 36 mesi per gli assunti con grave handicap fisico, mentale o psichico). Non può essere rinnovato tra le stesse parti (ma si può stipulare un nuovo contratto di inserimento con un diverso datore di lavoro) e le eventuali proroghe devono comunque aversi nei limiti stabiliti (18 o 36 mesi).

Il contratto di inserimento deve avere forma scritta e contenere l'indicazione precisa del progetto individuale di inserimento. La mancanza di forma scritta comporta la nullità del contratto e la trasformazione in un rapporto di lavoro a tempo indeterminato. La definizione del progetto individuale di inserimento deve avvenire con il consenso del lavoratore e nel rispetto di quanto stabilito dai contratti collettivi nazionali, territoriali o aziendali, oppure all'interno di enti bilaterali.

Per quanto concerne il trattamento economico e normativo, al contratto di inserimento si applicano per quanto compatibili le previsioni relative ai contratti di lavoro subordinato a tempo determinato. Il lavoratore assunto con contratto di inserimento può essere "sotto inquadrato", ovvero essere inquadrato con uno o due livelli (al massimo) inferiori rispetto ad un lavoratore già qualificato a parità di mansioni svolte. Il sotto inquadramento non può essere applicato nel caso di assunzione di donne residenti in particolari aree geografiche (in cui il tasso di occupazione femminile sia inferiore almeno del 20% a quello maschile oppure quello di disoccupazione superiore del 10%), salvo che ciò non sia previsto dal contratto collettivo nazionale o territoriale.

Al datore di lavoro spettano inoltre degli sgravi economici e contributivi per l'assunzione di lavoratori con contratto di inserimento.

Le modalità di definizione del piano di inserimento, in particolare per quanto riguarda la realizzazione del progetto, devono essere stabilite dai contratti collettivi nazionali e territoriali e dai contratti aziendali.

 


 

Articolo 1, commi 16-19
(Apprendistato)

 

I commi da 16 a 19 modificano la disciplina generale del contratto di apprendistato.

 

I commi da 16 a 19, ampiamente modificati al Senato, intervengono sull’articolo 2 del decreto legislativo n.167 del 2011, al fine di modificare la disciplina generale dell’apprendistato.

 

Le modifiche previste dai commi da 16 a 19 dispongono quanto segue:

·       si richiede che la disciplina posta dagli accordi interconfederali o dai contratti collettivi nazionali preveda una durata minima del rapporto di apprendistato non inferiore a sei mesi (fatte salve le attività stagionali);

·       si specifica che, nel caso di recesso al termine del periodo formativo, duranteil periodo di preavviso (che decorre dal medesimo termine) continua a trovare applicazione la disciplina del contratto di apprendistato;

·       con riferimento alle assunzioni a decorrere dal 1° gennaio 2013, si incrementa il numero massimo di apprendisti che possono essere (contemporaneamente) alle dipendenze di un medesimo datore di lavoro (direttamente o mediante ricorso alla somministrazione di lavoro). Mentre la normativa vigente (che continua ad operare per le assunzioni effettuate entro il 31 dicembre 2012) fissa un unico limite massimo, pari al 100% per cento rispetto alle maestranze specializzate e qualificate in servizio in servizio presso il medesimo datore di lavoro (ossia un rapporto di 1 a 1), la disposizione in esame prevede:

-          che il suddetto limite massimo, pari al 100% rispetto alle  maestranze specializzate e qualificate in servizio in servizio presso il medesimo datore di lavoro, si applica esclusivamente ai datori di lavoro che occupano fino a 10 dipendenti;

-          che negli altri casi il numero di apprendisti che un medesimo datore di lavoro può assumere non può superare il rapporto di 3 a 2;

-          che è in ogni caso esclusa la possibilità di assumere[10] in somministrazione apprendisti con contratto di somministrazione a tempo determinato.

·       si prevede che, per i datori di lavoro che occupano almeno 10 dipendenti, l'assunzione di nuovi apprendisti è subordinata alla prosecuzione del rapporto di lavoro, al termine del periodo di apprendistato, nei 36 mesi precedenti la nuova assunzione, di almeno il 50 per cento degli apprendisti dipendenti dallo stesso datore di lavoro (la percentuale è tuttavia stabilita al 30 per cento nei primi 36 mesi successivi all'entrata in vigore della legge). Dal computo della percentuale sono esclusi i rapporti cessati per recesso durante il periodo di prova, per dimissioni o per licenziamento per giusta causa. Qualora non sia rispettata la predetta percentuale, è consentita l’assunzione di un ulteriore apprendista rispetto a quelli già confermati, ovvero di un apprendista in caso di totale mancata conferma degli apprendisti pregressi.Gli apprendisti assunti in violazione dei suddetti limiti sono considerati lavoratori subordinati a tempo indeterminato, sin dalla data di costituzione del rapporto.

 

Con il decreto legislativo n.167 del 2011 è stato approvato il Testo unico dell’apprendistato.

Il provvedimento definisce l’apprendistato come un contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato finalizzato alla formazione e all’occupazione dei giovani, articolato in tre diverse tipologie contrattuali: apprendistato per la qualifica e per il diploma professionale; apprendistato professionalizzante o contratto di mestiere e apprendistato di alta formazione e ricerca.

Il provvedimento, inoltre, unifica all’interno di una sola disposizione (articolo 2) la regolamentazione normativa, economica e previdenziale del contratto, garantendo la semplificazione dell’istituto e l’uniformità di disciplina a livello nazionale.

In particolare, la disciplina del contratto è rimessa totalmente alle parti sociali, attraverso il rinvio alla disciplina attuativa recata da appositi accordi interconfederali o da contratti collettivi di lavoro stipulati a livello nazionale dai sindacati comparativamente più rappresentativi sul piano nazionale, nel rispetto di una serie di principi:

a)    forma scritta del contratto, del patto di prova e del relativo piano formativo individuale da definire, anche sulla base di moduli e formulari stabiliti dalla contrattazione collettiva o dagli enti bilaterali, entro 30 giorni dalla stipulazione del contratto;

b)    divieto di retribuzione a cottimo;

c)    possibilità di inquadrare il lavoratore fino a 2 livelli inferiori rispetto alla categoria spettante, in applicazione del CCNL, ai lavoratori addetti a mansioni o funzioni che richiedono qualificazioni corrispondenti a quelle al conseguimento delle quali è finalizzato il contratto ovvero, in alternativa, di stabilire la retribuzione dell'apprendista in misura percentuale e in modo graduale all'anzianità di servizio;

d)    presenza di un tutore o referente aziendale;

e)    possibilità di finanziare i percorsi formativi aziendali degli apprendisti per il tramite dei fondi paritetici interprofessionali (articolo 118 della L. 388/2000 e articolo 12 del D.Lgs. 276/2003) anche attraverso accordi con le Regioni;

f)      possibilità del riconoscimento della qualifica professionale ai fini contrattuali e delle competenze acquisite ai fini del proseguimento degli studi nonché nei percorsi di istruzione degli adulti;

g)    registrazione della formazione effettuata e della qualifica professionale a fini contrattuali;

h)    possibilità di prolungare il periodo di apprendistato in caso di malattia, infortunio o altra causa di sospensione involontaria del rapporto, superiore a trenta giorni, secondo quanto previsto dai contratti collettivi;

i)      possibilità di forme e modalità per la conferma in servizio, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, al termine del percorso formativo, al fine di ulteriori assunzioni in apprendistato;

j)      divieto per le parti di recedere dal contratto durante il periodo di formazione in assenza di una giusta causa o di un giustificato motivo. In caso di licenziamento privo di giustificazione trovano applicazione le sanzioni previste dalla normativa vigente;

k)    possibilità per le parti di recedere dal contratto con preavviso decorrente dal termine del periodo di formazione ai sensi di quanto disposto dall'articolo 2118 c.c.. Se nessuna delle parti esercita la facoltà di recesso al termine del periodo di formazione, il rapporto prosegue come ordinario rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato.

Per gli apprendisti è prevista l’estensione a specifiche forme[11] delle norme sulla previdenza e assistenza sociale obbligatoria (comma 2).

Infine, si conferma che il numero complessivo di apprendisti che un datore di lavoro può assumere con contratto di apprendistato, direttamente o indirettamente, non possa superare il 100% (rapporto di 1 a 1) delle maestranze specializzate e qualificate in servizio presso il datore di lavoro stesso. Specifiche disposizioni inoltre sono previste per i datori alle cui dipendenze non ci siano lavoratori qualificati o specializzati, e per le imprese artigiane (comma 3).

L’articolo 3 disciplina l’apprendistato per la qualifica e per il diploma professionale. Tale contratto è inteso alla stregua di un titolo di studio del secondo ciclo di istruzione e formazione (così come definito dal D.Lgs. 226/2005), la cui regolamentazione dei profili formativi è rimessa alle Regioni e alle province autonome di Trento e Bolzano, previo accordo in Conferenza Stato-Regioni (comma 2). Possono essere assunti con tale contratto i soggetti con un età compresa tra 15 e 25 anni. La durata massima del contratto è di 3 anni, elevabili a 4 nel caso di diploma quadriennale regionale (comma 1).

L’articolo 4 disciplina l’apprendistato professionalizzante (o contratto di mestiere). Tale istituto si applica si applica ai settori di attività pubblici e privati (comma 1). Possono essere assunti con tale contratto i soggetti di età compresa tra i 18 e i 29 anni (a partire dai 17 anni per i soggetti in possesso di una qualifica professionale). La durata e le modalità di erogazione della formazione per l'acquisizione delle competenze tecnico-professionali e specialistiche sono stabiliti dagli accordi interconfederali e i contratti collettivi, in ragione dell'età dell'apprendista e del tipo di qualificazione contrattuale da conseguire, nonché in funzione dei profili professionali stabiliti nei sistemi di classificazione e inquadramento del personale. Agli stessi accordi e contratti è rimandata la durata, anche minima, del contratto che, per la sua componente formativa, non può comunque essere superiore a 3 anni ovvero 5 per le figure professionali dell'artigianato individuate dalla contrattazione collettiva di riferimento (comma 2). E’ inoltre prevista l’integrazione della formazione di tipo professionalizzante e di mestiere, svolta sotto la responsabilità della azienda, da parte della offerta formativa pubblica (comma 3), nonché la possibilità, per le Regioni e i sindacati dei datori di lavoro, di definire le modalità per il riconoscimento della qualifica di maestro artigiano o di mestiere (comma 4). Infine, sono previste specifiche modalità di svolgimento dell’apprendistato per le lavorazioni in cicli stagionali (comma 5).

L’articolo 5 disciplina l’apprendistato di alta formazione e ricerca. Possono essere assunti (comma 1) in tutti i settori di attività, pubblici o privati, con tale contratto (compresi i dottorati di ricerca, per la specializzazione tecnica superiore di cui all'articolo 69 della L. 144/1999, con particolare riferimento ai diplomi relativi ai percorsi di specializzazione tecnologica degli istituti tecnici superiori di nonché il praticantato per l'accesso alle professioni ordinistiche o per esperienze professionali) i soggetti di età compresa tra i 18 ed i 29 anni (a partire dai 17 anni per i soggetti in possesso di una qualifica professionale). La regolamentazione e la durata dell’istituto è rimessa alle Regioni, per i soli profili che attengono alla formazione, in accordo anche con altre istituzioni di ricerca (comma 2).  In assenza di regolamentazioni regionali l'attivazione dell'istituto è rimessa ad apposite convenzioni stipulate dai singoli datori di lavoro o dalle loro associazioni con le Università, gli istituti tecnici e professionali e le istituzioni formative o di ricerca, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica (comma 3).

L’articolo 6 disciplina le procedure di definizione degli standard formativi e professionali. In particolare, tali standard sono definiti mediante un apposito decreto interministeriale da emanare entro 12 mesi dalla data di entrata in vigore del provvedimento, nel rispetto delle competenze delle Regioni e delle Province autonome e di quanto stabilito nella richiamata intesa Stato-regioni del 17 febbraio 2010. Gli standard professionali sono definiti nei contratti collettivi nazionali di categoria o, in mancanza, attraverso intese specifiche da sottoscrivere a livello nazionale o interconfederale. Viene altresì specificato che ai fini della verifica dei percorsi formativi in apprendistato professionalizzante e in apprendistato di ricerca, i profili di riferimento debbano essere legati a quelli definiti nei contratti collettivi (commi 1 e 2). Al fine di armonizzare le diverse qualifiche professionali acquisite, inoltre, si prevede che il repertorio delle professioni (già istituito) presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, sia predisposto sulla base dei sistemi di classificazione del personale previsti nei contratti collettivi di lavoro e (in coerenza con quanto previsto nella richiamata intesa del 17 febbraio 2010) da un apposito organismo tecnico, composto dal MIUR, dai sindacati comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e dai rappresentanti della Conferenza Stato-regioni (comma 3). Infine, si stabilisce che la certificazione delle competenze acquisite dall’apprendista venga effettuata secondo specifiche modalità definite dalle Regioni e dalle Province autonome (comma 4).

L’articolo 7 detta una serie di disposizioni finali.

In primo luogo, è presente un apposito apparato ispettivo e sanzionatorio (commi 1 e 2), operante in caso di inadempimento nella erogazione della formazione di cui sia esclusivamente responsabile il datore di lavoro e che sia tale da impedire la realizzazione delle finalità di cui ai precedenti articoli 3, 4 e 5. In tali casi il datore di lavoro è tenuto a versare la differenza tra la contribuzione versata e quella dovuta con riferimento al livello di inquadramento contrattuale superiore che sarebbe stato raggiunto dal lavoratore al termine del periodo di apprendistato, maggiorata del 100%, con esclusione di qualsiasi altra sanzione per omessa contribuzione. Ulteriori disposizioni concernono gli inadempimenti nella erogazione della formazione prevista nel piano formativo individuale e le violazioni delle disposizioni contrattuali collettive attuative dei principi di cui all'articolo 2, comma 1, lettere a), b), c) e d) (vedi supra).

Tranne specifiche eccezioni, i lavoratori assunti con contratto di apprendistato sono esclusi dal computo dei limiti numerici previsti da leggi e contratti collettivi per l'applicazione di particolari normative e istituti (comma 3).

Si dispone inoltre la possibilità di assumere come apprendisti i lavoratori in mobilità (comma 4). Per tali soggetti trovano applicazione le disposizioni in materia di licenziamenti individuali (di cui alla L. 15 luglio 1966, n. 604), nonché il regime contributivo agevolato di cui all’articolo 25, comma 9, della L. 23 luglio 1991, n. 223 (aliquota contributiva agevolata del 10% per i primi 18 mesi) e l’incentivo di cui all’articolo 8, comma 4, della stessa L. 223/1991 (concessione di un contributo mensile, a favore del datore di lavoro che assume a tempo pieno e indeterminato i lavoratori iscritti nella lista di mobilità, pari al 50% dell’indennità di mobilità che sarebbe stata corrisposta al lavoratore). 

 

Si segnala, infine, che la 11° Commissione del Senato ha approvato l’ordine del giorno G/3249/5/11 (Poli Bortone e altri), cheimpegna il Governo a favorire, anche promuovendo gli appropriati interventi normativi e regolatorii, la emissione a livello regionale di "borse per l'apprendistato", funzionali a condensare intorno a tale tipologia contrattuale le risorse adeguate per imprimerle una forte accelerazione, aggredendo i tassi della disoccupazione giovanile nelle aree a rischio.

 

 

Decreto legislativo 14 settembre 2011, n. 167
Testo unico dell'apprendistato, a norma dell'articolo 1, comma 30, della legge 24 dicembre 2007, n. 247

Testo vigente

Testo modificato

 

 

Art. 2
(Disciplina generale)

 

 

 

1. La disciplina del contratto di apprendistato è rimessa ad appositi accordi interconfederali ovvero ai contratti collettivi di lavoro stipulati a livello nazionale da associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale nel rispetto dei seguenti principi:

 

a) forma scritta del contratto, del patto di prova e del relativo piano formativo individuale da definire, anche sulla base di moduli e formulari stabiliti dalla contrattazione collettiva o dagli enti bilaterali, entro trenta giorni dalla stipulazione del contratto;

 

 

a-bis) previsione di una durata minima del contratto non inferiore a sei mesi, fatto salvo quanto previsto dall’articolo 4, comma 5;

b) divieto di retribuzione a cottimo;

 

c) possibilità di inquadrare il lavoratore fino a due livelli inferiori rispetto alla categoria spettante, in applicazione del contratto collettivo nazionale di lavoro, ai lavoratori addetti a mansioni o funzioni che richiedono qualificazioni corrispondenti a quelle al conseguimento delle quali è finalizzato il contratto ovvero, in alternativa, di stabilire la retribuzione dell'apprendista in misura percentuale e in modo graduale all'anzianità di servizio;

 

d) presenza di un tutore o referente aziendale;

 

e) possibilità di finanziare i percorsi formativi aziendali degli apprendisti per il tramite dei fondi paritetici interprofessionali di cui all'articolo 118 della legge 23 dicembre 2000, n. 388 e all'articolo 12 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276 e successive modificazioni anche attraverso accordi con le Regioni;

 

f) possibilità del riconoscimento, sulla base dei risultati conseguiti all'interno del percorso di formazione, esterna e interna alla impresa, della qualifica professionale ai fini contrattuali e delle competenze acquisite ai fini del proseguimento degli studi nonché nei percorsi di istruzione degli adulti;

 

g) registrazione della formazione effettuata e della qualifica professionale a fini contrattuali eventualmente acquisita nel libretto formativo del cittadino di cui all'articolo 2, comma 1, lettera i), del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276;

 

h) possibilità di prolungare il periodo di apprendistato in caso di malattia, infortunio o altra causa di sospensione involontaria del rapporto, superiore a trenta giorni, secondo quanto previsto dai contratti collettivi;

 

i) possibilità di forme e modalità per la conferma in servizio, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, al termine del percorso formativo, al fine di ulteriori assunzioni in apprendistato, fermo restando quanto previsto dal comma 3 del presente articolo;

 

l) divieto per le parti di recedere dal contratto durante il periodo di formazione in assenza di una giusta causa o di un giustificato motivo. In caso di licenziamento privo di giustificazione trovano applicazione le sanzioni previste dalla normativa vigente;

 

m) possibilità per le parti di recedere dal contratto con preavviso decorrente dal termine del periodo di formazione ai sensi di quanto disposto dall'articolo 2118 del codice civile. Se nessuna delle parti esercita la facoltà di recesso al termine del periodo di formazione, il rapporto prosegue come ordinario rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato.

m) possibilità per le parti di recedere dal contratto con preavviso decorrente dal termine del periodo di formazione ai sensi di quanto disposto dall'articolo 2118 del codice civile; nel periodo di preavviso continua a trovare applicazione la disciplina del contratto di apprendistato. Se nessuna delle parti esercita la facoltà di recesso al termine del periodo di formazione, il rapporto prosegue come ordinario rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato.

2. Per gli apprendisti l'applicazione delle norme sulla previdenza e assistenza sociale obbligatoria si estende alle seguenti forme:

 

a)    assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali;

 

b)    assicurazione contro le malattie;

 

c)    assicurazione contro l'invalidità e vecchiaia;

 

d)    maternità;

 

e) assegno familiare.

 

3. Il numero complessivo di apprendisti che un datore di lavoro può assumere con contratto di apprendistato, direttamente o indirettamente per il tramite delle agenzie di somministrazione di lavoro ai sensi dell'articolo 20, comma 3, del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, non può superare il 100 per cento delle maestranze specializzate e qualificate in servizio presso il datore di lavoro stesso. Il datore di lavoro che non abbia alle proprie dipendenze lavoratori qualificati o specializzati, o che comunque ne abbia in numero inferiore a tre, può assumere apprendisti in numero non superiore a tre. La disposizione di cui al presente comma non si applicano alle imprese artigiane per le quali trovano applicazione le disposizioni di cui all'articolo 4 della legge 8 agosto 1985, n. 443

3. Il numero complessivo di apprendisti che un datore di lavoro può assumere, direttamente o indirettamente per il tramite delle agenzie di somministrazione di lavoro ai sensi dell’articolo 20 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, e successive modificazioni, non può superare il rapporto di 3 a 2 rispetto alle maestranze specializzate e qualificate in servizio presso il medesimo datore di lavoro; tale rapporto non può superare il 100 per cento per i datori di lavoro che occupano un numero di lavoratori inferiore a dieci unità. È in ogni caso esclusa la possibilità di assumere in somministrazione apprendisti con contratto di somministrazione a tempo determinato di cui all’articolo 20, comma 4, del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276. Il datore di lavoro che non abbia alle proprie dipendenze lavoratori qualificati o specializzati, o che comunque ne abbia in numero inferiore a tre, può assumere apprendisti in numero non superiore a tre. Le disposizioni di cui al presente comma non si applicano alle imprese artigiane per le quali trovano applicazione le disposizioni di cui all’articolo 4 della legge 8 agosto 1985, n. 443;

 

3-bis. L’assunzione di nuovi apprendisti è subordinata alla prosecuzione del rapporto di lavoro al termine del periodo di apprendistato, nei trentasei mesi precedenti la nuova assunzione, di almeno il 50 per cento degli apprendisti dipendenti dallo stesso datore di lavoro. Dal computo della predetta percentuale sono esclusi i rapporti cessati per recesso durante il periodo di prova, per dimissioni o per licenziamento per giusta causa. Qualora non sia rispettata la predetta percentuale, è consentita l’assunzione di un ulteriore apprendista rispetto a quelli già confermati, ovvero di un apprendista in caso di totale mancata conferma degli apprendisti pregressi. Gli apprendisti assunti in violazione dei limiti di cui al presente comma sono considerati lavoratori subordinati a tempo indeterminato, al di fuori delle previsioni del presente decreto, sin dalla data di costituzione del rapporto.

 

3-ter. Le disposizioni di cui al comma 3-bis non si applicano nei confronti dei datori di lavoro che occupano alle loro dipendenze un numero di lavoratori inferiore a dieci unità.

Articolo 4
(Apprendistato professionalizzante o contratto di mestiere)

 

 

 

1. Possono essere assunti in tutti i settori di attività, pubblici o privati, con contratto di apprendistato professionalizzante o di mestiere per il conseguimento di una qualifica professionale a fini contrattuali i soggetti di età compresa tra i diciotto anni e i ventinove anni. Per i soggetti in possesso di una qualifica professionale, conseguita ai sensi del decreto legislativo 17 ottobre 2005, n. 226, il contratto di apprendistato professionalizzante o di mestiere può essere stipulato a partire dal diciassettesimo anno di età.

 

2. Gli accordi interconfederali e i contratti collettivi stabiliscono, in ragione dell'età dell'apprendista e del tipo di qualificazione contrattuale da conseguire, la durata e le modalità di erogazione della formazione per l'acquisizione delle competenze tecnico-professionali e specialistiche in funzione dei profili professionali stabiliti nei sistemi di classificazione e inquadramento del personale, nonché la durata, anche minima, del contratto che, per la sua componente formativa, non può comunque essere superiore a tre anni ovvero cinque per le figure professionali dell'artigianato individuate dalla contrattazione collettiva di riferimento.

2. Gli accordi interconfederali e i contratti collettivi stabiliscono, in ragione dell'età dell'apprendista e del tipo di qualificazione contrattuale da conseguire, la durata e le modalità di erogazione della formazione per l'acquisizione delle competenze tecnico-professionali e specialistiche in funzione dei profili professionali stabiliti nei sistemi di classificazione e inquadramento del personale, nonché la durata, anche minima, del contratto che, per la sua componente formativa, non può comunque essere superiore a tre anni ovvero cinque per i profili professionali caratterizzanti la figura dell’artigiano individuati dalla contrattazione collettiva di riferimento.

3. La formazione di tipo professionalizzante e di mestiere, svolta sotto la responsabilità della azienda, è integrata, nei limiti delle risorse annualmente disponibili, dalla offerta formativa pubblica, interna o esterna alla azienda, finalizzata alla acquisizione di competenze di base e trasversali per un monte complessivo non superiore a centoventi ore per la durata del triennio e disciplinata dalle Regioni sentite le parti sociali e tenuto conto dell'età, del titolo di studio e delle competenze dell'apprendista.

 

4. Le Regioni e le associazioni di categoria dei datori di lavoro possono definire, anche nell'ambito della bilateralità, le modalità per il riconoscimento della qualifica di maestro artigiano o di mestiere.

 

5. Per i datori di lavoro che svolgono la propria attività in cicli stagionali i contratti collettivi di lavoro stipulati a livello nazionale da associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale possono prevedere specifiche modalità di svolgimento del contratto di apprendistato, anche a tempo determinato.

 

 

 

 


 

Articolo 1, comma 20
(Lavoro a tempo parziale)

 

Il comma 20 è volto a rafforzare gli strumenti di tutela del lavoratore che abbia concordato con il datore di lavoro “clausole flessibili od elastiche” nell’ambito di un contratto di lavoro a tempo parziale (part time).

 

Il comma 20 modifica l’articolo 3, commi 7 e 9, del decreto legislativo n.61 del 2000, che disciplinale "clausole flessibili o elastiche" inserite nell’ambito di un contratto di lavoro a tempo parziale (part time).

 

La disposizione prevede, in particolare, che:

·       i contratti collettivi stabiliscano altresì “condizioni e modalità che consentano al lavoratore di richiedere l'eliminazione o la modifica delle clausole flessibili ed elastiche;

·       al lavoratore è riconosciuta la facoltà in determinati casi di revocare il consenso prestato all’inserimento di clausole flessibili od elastiche, ossia:

-   convivenza con figli di età non superiore agli anni tredici, di presenza di patologie oncologiche, per i quali sussista una ridotta capacità lavorativa, o di patologie oncologiche riguardanti il coniuge, i figli o i genitori del lavoratore, o di convivenza con familiari portatori di handicap (art.12-bis del d.lgs. n.61/2000);

-   lavoratori studenti (intendendosi per tali, ai sensi del richiamato articolo 10, comma 1, della legge n.300/1970, gli "iscritti e frequentanti corsi regolari di studio in scuole di istruzione primaria, secondaria e di qualificazione professionale, statali, pareggiate o legalmente riconosciute o comunque abilitate al rilascio di titoli di studio legali").

 

L’articolo 3 del decreto legislativo n. 61 del 2000, prevede (comma 7) che le parti del contratto di lavoro a tempo parziale possono concordare clausole flessibili relative alla variazione della collocazione temporale della prestazione stessa. Nei rapporti di lavoro a tempo parziale di tipo verticale o misto possono essere stabilite anche clausole elastiche relative alla variazione in aumento della durata della prestazione lavorativa. I contratti collettivi stabiliscono: condizioni e modalità in relazione alle quali il datore di lavoro può modificare la collocazione temporale della prestazione lavorativa; condizioni e modalità in relazioni alle quali il datore di lavoro può variare in aumento la durata della prestazione lavorativa; i limiti massimi di variabilità in aumento della durata della prestazione lavorativa.

Il comma 8 prevede che l'esercizio da parte del datore di lavoro del potere di variare in aumento la durata della prestazione lavorativa, nonché di modificarne la collocazione temporale, comporta in favore del prestatore di lavoro un preavviso, fatte salve le intese tra le parti, di almeno due giorni lavorativi, nonché il diritto a specifiche compensazioni, nella misura e nelle forme fissate dai contratti collettivi.

Il comma 9 prevede che la disponibilità allo svolgimento del rapporto di lavoro a tempo parziale ai sensi del comma 7 richiede il consenso del lavoratore formalizzato attraverso uno specifico patto scritto, anche contestuale al contratto di lavoro, reso, su richiesta del lavoratore, con l'assistenza di un componente della rappresentanza sindacale aziendale indicato dal lavoratore medesimo. L'eventuale rifiuto del lavoratore non integra gli estremi del giustificato motivo di licenziamento.

 

 

Decreto legislativo 25 febbraio 2000, n. 61
Attuazione della direttiva 97/81/CE relativa all'accordo-quadro sul lavoro a tempo parziale concluso dall'UNICE, dal CEEP e dalla CES

Testo vigente

Testo modificato

 

 

Art. 3
(Modalità del rapporto di lavoro a tempo parziale. Lavoro supplementare, lavoro
straordinario clausole elastiche)

 

 

 

1.Nelle ipotesi di lavoro a tempo parziale di tipo orizzontale, anche a tempo determinato ai sensi dell'articolo 1 del decreto legislativo 9 ottobre 2001, n. 368, il datore di lavoro ha facoltà di richiedere lo svolgimento di prestazioni supplementari rispetto a quelle concordate con il lavoratore ai sensi dell'articolo 2, comma 2, nel rispetto di quanto previsto dai commi 2, 3 e 4.

 

2. I contratti collettivi stipulati            dai soggetti indicati nell'articolo 1, comma 3, stabiliscono il numero massimo delle ore di lavoro supplementare effettuabili e le relative causali in relazione alle quali si consente di richiedere ad un lavoratore a tempo parziale lo svolgimento di lavoro supplementare, nonché le conseguenze del superamento delle ore di lavoro supplementare consentite dai contratti collettivi stessi.

 

3. L'effettuazione di prestazioni di lavoro supplementare richiede il consenso del lavoratore interessato ove non prevista e regolamentata dal contratto collettivo. Il rifiuto da parte del lavoratore non può integrare in nessun caso gli estremi del giustificato motivo di licenziamento.

 

4. I contratti collettivi di cui al comma 2 possono prevedere una percentuale di maggiorazione sull'importo della retribuzione oraria globale di fatto, dovuta in relazione al lavoro supplementare. In alternativa a quanto previsto in proposito dall'articolo 4, comma 2, lettera a), i contratti collettivi di cui al comma 2 possono anche stabilire che l'incidenza della retribuzione delle ore supplementari sugli istituti retributivi indiretti e differiti sia determinata convenzionalmente            mediante l'applicazione di una maggiorazione forfettaria sulla retribuzione dovuta per la singola ora di lavoro supplementare.

 

5. Nel rapporto di lavoro a tempo parziale verticale o misto, anche a tempo determinato, è consentito lo svolgimento di prestazioni lavorative straordinarie. A tali prestazioni si applica la disciplina legale e contrattuale vigente ed eventuali successive modifiche ed integrazioni in materia di lavoro straordinario nei rapporti a tempo pieno.

 

6. [Comma abrogato dall'art. 46, D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 2 76].

 

7. Fermo restando quanto disposto dall'articolo 2, comma 2, le parti del contratto di lavoro a tempo parziale possono, nel rispetto di quanto previsto dal presente comma e dai commi 8 e 9, concordare clausole flessibili relative alla variazione della collocazione temporale della prestazione stessa. Nei rapporti di lavoro a tempo parziale di tipo verticale o misto possono essere stabilite anche clausole elastiche relative alla variazione in aumento della durata della prestazione lavorativa. I contratti collettivi, stipulati dai soggetti indicati nell'articolo 1, comma 3, stabiliscono:

 

1) condizioni e modalità in relazionealle quali il datore di lavoro puòmodificare la collocazione temporaledella prestazione lavorativa;

 

2) condizioni e modalità in relazionialle quali il datore di lavoro può variarein aumento la durata della prestazionelavorativa;

 

3) i limiti massimi di variabilità inaumento della durata della prestazionelavorativa.

 

 

3-bis) condizioni e modalità che consentono al lavoratore di richiedere l’eliminazione ovvero la modifica delle clausole flessibili e delle clausole elastiche stabilite ai sensi del presente comma.

8. L'esercizio da parte del datore di lavoro del potere di variare in aumento la durata della prestazione lavorativa, nonché di modificare la collocazione temporale della stessa comporta in favore del prestatore di lavoro un preavviso, fatte salve le intese tra le parti, di almeno due giorni lavorativi, nonché il diritto a specifiche compensazioni, nella misura ovvero nelle forme fissate dai contratti collettivi di cui all'articolo 1, comma 3.

 

9. La disponibilità allo svolgimento del rapporto di lavoro a tempo parziale ai sensi del comma 7 richiede il consenso del lavoratore formalizzato attraverso uno specifico patto scritto, anche contestuale al contratto di lavoro, reso, su richiesta del lavoratore, con l'assistenza di un componente della rappresentanza sindacale aziendale indicato dal lavoratore medesimo. L'eventuale rifiuto del lavoratore non integra gli estremi del giustificato motivo di licenziamento.

9. La disponibilità allo svolgimento del rapporto di lavoro a tempo parziale ai sensi del comma 7 richiede il consenso del lavoratore formalizzato attraverso uno specifico patto scritto, anche contestuale al contratto di lavoro, reso, su richiesta del lavoratore, con l'assistenza di un componente della rappresentanza sindacale aziendale indicato dal lavoratore medesimo. L'eventuale rifiuto del lavoratore non integra gli estremi del giustificato motivo di licenziamento. Ferme restando le ulteriori condizioni individuate dai contratti collettivi ai sensi del comma 7, al lavoratore che si trovi nelle condizioni di cui all’articolo 12-bis del presente decreto ovvero in quelle di cui all’articolo 10, primo comma, della legge 20 maggio 1970, n. 300, è riconosciuta la facoltà di revocare il predetto consenso.

 

 


 

Articolo 1, commi 21-22
(Lavoro intermittente)

 

I commi 21 e 22 modificano la disciplina del lavoro intermittente (c.d. lavoro a chiamata)

 

I commi 21 e 22, ampiamente modificati al Senato, intervengono sulla disciplinadel lavoro intermittente (c.d. lavoro a chiamata o job on call), di cui agli articoli 33-40 del decreto legislativo n.276 del 2003.

Il comma 21, in particolare:

·       modifica i limiti di età del lavoratore entro i quali il contratto di lavoro intermittente può sempre essere concluso (a prescindere, cioè, dal fatto che si tratti di ipotesi individuate dalla contrattazione collettiva); in particolare, il limite minimo viene abbassato da 25 anni (come attualmente previsto) a 24 anni (ma a condizione che le prestazioni vengano svolte entro il venticinquesimo anno di età), mentre il limite massimo viene innalzato da 45 anni (come attualmente previsto) a 55 anni;

·       si introduce l'obbligo di comunicazione preventiva del datore di lavoro, con modalità semplificate, alla Direzione territoriale del lavoro competente, del ricorso ad una prestazione lavorativa, di durata superiore a 30 giorni, sulla base di un contratto di lavoro intermittente. In caso di inadempimento di tale obbligo è prevista una sanzione amministrativa pecuniaria[12].

·       si sopprime l’articolo 37, il quale dispone che nel caso di lavoro intermittente per prestazioni da rendersi il fine settimana, nonché nei periodi delle ferie estive o delle vacanze natalizie e pasquali l'indennità di disponibilità (di cui all'articolo 36) è corrisposta al prestatore di lavoro solo in caso di effettiva chiamata da parte del datore di lavoro. La disposizione prevede, poi, che ulteriori periodi predeterminati possono esser previsti dai contratti collettivi stipulati da associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale

 

Il comma 22 detta una disciplina transitoria, prevedendo che i contratti di lavoro intermittente già sottoscritti alla data di entrata in vigore della legge, che non siano compatibili con le nuove norme, cessano di produrre effetti decorsi dodici mesi da tale data.

 

Il D.Lgs. 276/2003 (Legge Biagi) ha introdotto il nuovo istituto del lavoro intermittente (o a chiamata), definito (dall’articolo 33) come il contratto di lavoro (anche a tempo determinato) mediante il quale un lavoratore si pone a disposizione di un datore di lavoro che ne può utilizzare la prestazione lavorativa secondo determinate modalità e in determinati limiti (stabiliti dal successivo articolo 34).

Il lavoro a chiamata è una formula contrattuale nota nei mercati del lavoro anglosassoni (job on call). In Italia, già prima dell’introduzione della relativa disciplina da parte del D.Lgs. 276/2003, era stato effettuato senza successo – da parte di una importante industria – un tentativo di introdurlo attraverso un accordo ad hoc con le organizzazioni sindacali[13].

Tale fattispecie contrattuale è stata dapprima abrogata dall’articolo 1, comma 45, della L. 24 dicembre 2007, n. 247, ma è stata successivamente reintrodotta dall’articolo 39, comma 11, del D.L. 112 del 2008.

Ai sensi dell’articolo 34, i casi nei quali possono essere stipulati contratti di lavoro intermittente sono individuati dai contratti collettivi stipulati dalle associazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale individuare.

Si prevede tuttavia che il contratto di lavoro intermittente possa essere in ogni caso utilizzato nel caso di lavoratori con meno di 25 anni di età ovvero con più di 45 anni di età, anche se pensionati.

Il comma 3 elenca una serie di fattispecie nelle quali non può utilizzarsi il lavoro intermittente:

§       nel caso di sostituzione di lavoratori in sciopero;

§       salva diversa previsione dei contratti collettivi, nel caso di unità produttive che nei sei mesi precedenti avessero effettuato licenziamenti collettivi o presso cui fosse operante una sospensione dei rapporti o una riduzione di orario, con diritto al trattamento di integrazione salariale, che interessassero lavoratori con analoghe mansioni;

§       nel caso di aziende che non avessero effettuato la valutazione dei rischi ai sensi della normativa in materia di sicurezza sul lavoro (ora, l’articolo 29 del decreto legislativo n.81 del 2008).

 

L’articolo 35 si occupa della forma del contratto e delle comunicazioni. Il contratto, da redigere in forma scritta ad probationem, deve contenere i seguenti elementi:

§       indicazione della durata e delle ipotesi, oggettive o soggettive, previste dall’articolo 34 che consentono la stipulazione del contratto[14];

§       luogo e la modalità della disponibilità, eventualmente garantita dal lavoratore, e del relativo preavviso di chiamata del lavoratore che in ogni caso non può essere inferiore a un giorno lavorativo;

§       il trattamento economico e normativo spettante al lavoratore per la prestazione eseguita e la relativa indennità di disponibilità, ove prevista, nei limiti di cui al successivo articolo 36;

§       indicazione delle forme e modalità, con cui il datore di lavoro è legittimato a richiedere l’esecuzione della prestazione di lavoro, nonché delle modalità di rilevazione della prestazione;

§       i tempi e le modalità di pagamento della retribuzione e della indennità di disponibilità;

§       le eventuali misure di sicurezza specifiche necessarie in relazione al tipo di attività dedotta in contratto.

Nell’indicare gli elementi di cui sopra, le parti dovevano naturalmente attenersi alle previsioni dei contratti collettivi (comma 2).

Inoltre il datore di lavoro è tenuto ad informare annualmente (a meno che i contratti collettivi non contenessero “previsioni più favorevoli”) le rappresentanze sindacali aziendali, ove presenti, sull’andamento del ricorso al lavoro intermittente (comma 3)[15].

 

L’articolo 36 disciplina specificamente il caso in cui sia espressamente garantita, da parte del lavoratore, la disponibilità allo svolgimento di prestazioni di carattere intermittente su richiesta del datore di lavoro. In tal caso nel contratto di lavoro deve essere prevista la misura della indennità mensile di disponibilità, stabilita dai contratti collettivi. Viene in ogni caso previsto un limite minimo, stabilito con decreto del Ministro del lavoro, sentite le associazioni dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative (comma 1). In attuazione di tale disposizione è stato emanato il D.M. 10 marzo 2004[16], il quale prevede che la misura dell'indennità mensile di disponibilità, divisibile in quote orarie, corrisposta al lavoratore per i periodi nei quali lo stesso garantisce la disponibilità al datore di lavoro in attesa di utilizzazione, sia determinata nel 20% della retribuzione prevista dal CCNL applicato.

L’articolo 36 del D.Lgs. 276/2003 prevede, inoltre, che sull’indennità di disponibilità i contributi previdenziali siano versati per l’effettivo ammontare, senza considerare eventuali minimali contributivi (comma 2) e che l’indennità sia esclusa dal computo di ogni istituto di legge o di contratto collettivo (indennità di disoccupazione, trattamento di fine rapporto, ecc.) (comma 3).

Nel caso di malattia o altro impedimento alla chiamata, il lavoratore deve informare tempestivamente il datore di lavoro, specificando la durata dell’impedimento. In tale periodo di temporanea impossibilità non spetta l’indennità di disponibilità (comma 4).

Nel caso in cui il lavoratore non si sia attivato tempestivamente, perde il diritto all’indennità di disponibilità per quindici giorni, salva diversa previsione del contratto individuale di lavoro (comma 5).

Il rifiuto ingiustificato di rispondere alla chiamata del datore di lavoro può determinare la risoluzione del contratto, la perdita dell’indennità di disponibilità riferita al periodo successivo al rifiuto, nonché il risarcimento del danno (comma 6).

 

L’articolo 37 si occupa del lavoro intermittente per particolari periodi predeterminati nell’arco della settimana, del mese o dell’anno. In particolare si prevede che in tali casi l’indennità di disponibilità sia corrisposta al prestatore di lavoro solo in caso di effettiva chiamata da parte del datore di lavoro.

 

L’articolo 38 delinea lo status economico-giuridico del lavoratore intermittente. In particolare:

§       al lavoratore viene garantito, per i periodi lavorati, un trattamento economico e normativo non inferiore rispetto a quello dei lavoratori subordinati, a parità di mansioni;

§       è prevista la ridefinizione del trattamento economico-giuridico, in ragione della prestazione lavorativa effettivamente eseguita;

§       per tutto il periodo in cui il lavoratore resta disponibile a rispondere alla chiamata del datore di lavoro, non è titolare di alcun diritto riconosciuto ai lavoratori subordinati (malattia, anzianità, trattamento di fine rapporto), a parte l’indennità di disponibilità.

 

L’articolo 39 precisa che il prestatore di lavoro intermittente non è computato nell’organico dell’impresa ai fini dell’applicazione di disposizioni di legge o di contratto collettivo, fatta eccezione per quelle relative alla materia dell’igiene e della sicurezza sul lavoro. In sostanza con tale disposizione si vuole evitare che l’utilizzo di tale forma di lavoro potesse essere disincentivata dal computo del lavoratore intermittente nell’organico dell’impresa, con il conseguente superamento del limite numerico di dipendenti da cui deriva l’applicazione di una serie di istituti lavoristici e previdenziali.

 

Infine, l’articolo 40 è volto a rendere possibile la concreta utilizzazione dello schema contrattuale del lavoro intermittente anche nel caso in cui la contrattazione collettiva non intervenga a determinare i casi e i limiti di utilizzabilità di tale schema contrattuale. In tale caso era previsto che, decorsi cinque mesi dall’entrata in vigore del decreto legislativo, il Ministro del lavoro, su richiesta delle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative o delle associazioni datoriali firmatarie dei contratti collettivi nazionali di lavoro, individui in via provvisoria, con decreto, i casi di ammissibilità del lavoro intermittente.

In attuazione di tale disposizione, in via transitoria, in attesa delle regolamentazioni contenute nei contratti collettivi, è stato emanato il D.M. 23 ottobre 2004[17]. Tale decreto ammette la stipulazione di contratti di lavoro intermittente con riferimento alle tipologie di attività indicate nella tabella allegata al R.D. 2657/1923[18].

Le indicazioni amministrative, nonché le modalità applicative, sono contenute nella circolare n. 4 del 3 febbraio 2005 del Ministero del lavoro.

 


 

Decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276
Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla legge 14 febbraio 2003, n. 30

Testo vigente

Testo modificato

 

 

Art. 34
(Casi di ricorso al lavoro intermittente)

 

 

 

1. Il contratto di lavoro intermittente può essere concluso per lo svolgimento di prestazioni di carattere discontinuo o intermittente, secondo le esigenze individuate dai contratti collettivi stipulati da associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale ovvero per periodi predeterminati nell'arco della settimana, del mese o dell'anno ai sensi dell'articolo 37.

1. Il contratto di lavoro intermittente può essere concluso per lo svolgimento di prestazioni di carattere discontinuo o intermittente, secondo le esigenze individuate dai contratti collettivi stipulati da associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale ovvero per periodi predeterminati nell'arco della settimana, del mese o dell'anno.

2. Il contratto di lavoro intermittente può in ogni caso essere concluso con riferimento a prestazioni rese da soggetti con meno di venticinque anni di età ovvero da lavoratori con più di quarantacinque anni di età, anche pensionati.

2. Il contratto di lavoro intermittente può in ogni caso essere concluso con soggetti con più di cinquantacinque anni di età e con soggetti con meno di ventiquattro anni di età, fermo restando in tale caso che le prestazioni contrattuali devono essere svolte entro il venticinquesimo anno di età.

3. È vietato il ricorso al lavoro intermittente:

 

a) per la sostituzione di lavoratori che esercitano il diritto di sciopero;

 

b) salva diversa disposizione degli accordi sindacali, presso unità produttive nelle quali si sia proceduto, entro i sei mesi precedenti, a licenziamenti collettivi ai sensi degli articoli 4 e 24 della legge 23 luglio 1991, n. 223, che abbiano riguardato lavoratori adibiti alle stesse mansioni cui si riferisce il contratto di lavoro intermittente ovvero presso unità produttive nelle quali sia operante una sospensione dei rapporti o una riduzione dell'orario, con diritto al trattamento di integrazione salariale, che interessino lavoratori adibiti alle mansioni cui si riferisce il contratto di lavoro intermittente;

 

c) da parte delle imprese che non abbiano effettuato la valutazione dei rischi ai sensi dell'articolo 4 del decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, e successive modificazioni.

 

 

 

Art. 35
(Forma e comunicazioni)

 

1. Il contratto di lavoro intermittente è stipulato in forma scritta ai fini della prova dei seguenti elementi:

 

a) indicazione della durata e delle ipotesi, oggettive o soggettive, previste dall'articolo 34 che consentono la stipulazione del contratto;

 

b) luogo e la modalità della disponibilità, eventualmente garantita dal lavoratore, e del relativo preavviso di chiamata del lavoratore che in ogni caso non può essere inferiore a un giorno lavorativo;

 

c) il trattamento economico e normativo spettante al lavoratore per la prestazione eseguita e la relativa indennità di disponibilità, ove prevista, nei limiti di cui al successivo articolo 36;

 

d) indicazione delle forme e modalità, con cui il datore di lavoro è legittimato a richiedere l'esecuzione della prestazione di lavoro, nonché delle modalità di rilevazione della prestazione;

 

e) i tempi e le modalità di pagamento della retribuzione e della indennità di disponibilità;

 

f) le eventuali misure di sicurezza specifiche necessarie in relazione al tipo di attività dedotta in contratto.

 

2. Nell'indicare gli elementi di cui al comma 1, le parti devono recepire le indicazioni contenute nei contratti collettivi ove previste.

 

3. Fatte salve previsioni più favorevoli dei contratti collettivi, il datore di lavoro è altresì tenuto a informare con cadenza annuale le rappresentanze sindacali aziendali, ove esistenti, sull'andamento del ricorso al contratto di lavoro intermittente.

 

 

«3-bis. Prima dell’inizio della prestazione lavorativa o di un ciclo integrato di prestazioni di durata non superiore a trenta giorni, il datore di lavoro è tenuto a comunicarne la durata con modalità semplificate alla Direzione territoriale del lavoro competente per territorio, mediante sms, fax o posta elettronica. Con decreto di natura non regolamentare del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, possono essere individuate modalità applicative della disposizione di cui al precedente periodo, nonché ulteriori modalità di comunicazione in funzione dello sviluppo delle tecnologie. In caso di violazione degli obblighi di cui al presente comma si applica la sanzione amministrativa da euro 400 ad euro 2.400 in relazione a ciascun lavoratore per cui è stata omessa la comunicazione. Non si applica la procedura di diffida di cui all’articolo 13 del decreto legislativo 23 aprile 2004, n. 124»;

 

 

Art. 37
(Lavoro intermittente per periodi predeterminati nell'arco della settimana, del mese o dell'anno)

Abrogato

1. Nel caso di lavoro intermittente per prestazioni da rendersi il fine settimana, nonché nei periodi delle ferie estive o delle vacanze natalizie e pasquali l'indennità di disponibilità di cui all'articolo 36 è corrisposta al prestatore di lavoro solo in caso di effettiva chiamata da parte del datore di lavoro.

 

2. Ulteriori periodi predeterminati possono esser previsti dai contratti collettivi stipulati da associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale.

 

 

 


 

Articolo 1, commi 23-25
(Lavoro a progetto)

 

I commi 23-25 modificano la disciplina del lavoro a progetto.

 

I commi 23-25, modificati al Senato, intervengono sulla disciplinadel lavoro a progetto, di cui agli articoli 61-69 del decreto legislativo n.276 del 2003.

 

Il comma 23 introduce una serie di modifiche alla disciplina del lavoro a progetto. In particolare:

·       si consente che il contratto di lavoro a progetto sia riconducibile unicamente a progetti specifici (e non più anche a “programmi di lavoro o a fasi di questi ultimi”, come previsto attualmente dalla normativa vigente) e si esclude che il progetto possa consistere in una mera riproposizione dell’oggetto sociale del committente o nello svolgimento di compiti meramente esecutivi o ripetitivi (questi ultimi possono essere individuati dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale) (lettere a), d) ed f));

·       si prevede tra gli elementi essenziali da indicare in forma scritta debba esservi anche “il risultato finale che si intende conseguire” attraverso il contratto di lavoro a progetto (lettera b));

·       a seguito di una modifica apportata al Senato, si interviene sulla disciplina del corrispettivo, sostituendo l’articolo 63 del decreto legislativo n.276 del 2003 (il quale, nella formulazione vigente, si limita a richiedere che “Il compenso corrisposto ai collaboratori a progetto deve essere proporzionato alla quantità e qualità del lavoro eseguito, e deve tenere conto dei compensi normalmente corrisposti per analoghe prestazioni di lavoro autonomo nel luogo di esecuzione del rapporto”). In particolare, si prevede che il corrispettivo non può essere inferiore ai minimi stabiliti per ciascun settore di attività (eventualmente articolati per i relativi profili professionali tipici e in ogni caso sulla base dei minimi salariali applicati nel settore medesimo alle mansioni equiparabili svolte dai lavoratori subordinati), dai contratti collettivi sottoscritti dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale a livello interconfederale o di categoria ovvero, su loro delega, ai livelli decentrati. In assenza di contrattazione collettiva specifica, il compenso non può essere inferiore, a parità di estensione temporale dell'attività oggetto della prestazione, alle retribuzioni minime previste dai contratti collettivi nazionali di categoria applicati nel settore di riferimento alle figure professionali il cui profilo di competenza e di esperienza sia analogo a quello del collaboratore a progetto (lettera c));

·       si introduce la facoltà per il committente di recedere prima della scadenza del termine qualora siano emersi oggettivi profili di inidoneità professionale del collaboratore tali da rendere impossibile la realizzazione del progetto (lettera e));

·       si dispone che i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, anche a progetto, siano considerati rapporti di lavoro subordinato, sin dalla data di costituzione del rapporto, nel caso in cui l’attività del collaboratore sia svolta con modalità analoghe rispetto a quella svolta dai lavoratori dipendenti (dell’impresa committente), fatte salve la prova contraria a carico del committente, nonché le prestazioni di elevata professionalità (le quali possono essere individuate dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale) (lettera g)).

 

Il comma 24 detta una norma di interpretazione autentica (con effetto, quindi, retroattivo) dell’articolo 69, comma 1, del decreto legislativo n.276 del 2003, volta a chiarire che tale disposizione si interpreta nel senso che l’individuazione di uno specifico progetto costituisce elemento essenziale di validità del rapporto di collaborazione coordinata e continuativa, la cui mancanza determina la costituzione di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato.

 

Il comma 25, infine, stabilisce che la nuova disciplina si applica ai contratti di collaborazione stipulati successivamente alla data di entrata in vigore della legge.

 

Gli articoli 61-69 del decreto legislativo n.276 del 2003 hanno introdotto una specifica disciplina delle collaborazioni coordinate e continuative, il lavoro a progetto, applicabile al solo settore lavorativo privato, finalizzata a superare gli abusi che hanno condotto all’uso talvolta improprio di tale strumento contrattuale, per eludere la disciplina del rapporto di lavoro subordinato.

Si tratta, secondo anche le intenzioni del “Libro Bianco”, di una reazione a prassi affermatesi negli anni precedenti, allorquando il ricorso alla collaborazione coordinata e continuativa spesso ha nascosto rapporti di lavoro subordinato, al fine di eludere i conseguenti costi e le garanzie ad esso connesse.

L’intenzione del legislatore non è stata solamente quella di proteggere il lavoratore, ma anche quella di limitare la distorsione della concorrenza tra imprese che sono determinate dall’utilizzo improprio delle collaborazioni e di garantire un incremento del gettito contributivo per l’I.N.P.S., a seguito dell’emersione del lavoro falsamente atipico.

Con la nuova fattispecie del lavoro a progetto è stato previsto l’obbligo (articolo 61 del D.Lgs. 276/2003) di ricondurre i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa ad uno o più progetti specifici o programmi di lavoro o fasi di esso, determinati dal committente e gestiti autonomamente dal collaboratore in funzione del risultato, nel rispetto del coordinamento con l’organizzazione del committente e indipendentemente dal tempo impiegato per l’esecuzione dell’attività lavorativa.

I rapporti di collaborazione coordinata e continuativa instaurati senza l'individuazione di uno specifico progetto, programma di lavoro o fase di esso sono considerati rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato sin dalla data di costituzione del rapporto.

Da tale previsione sono escluse le prestazioni meramente occasionali, cioè i rapporti di durata complessiva non superiore a trenta giorni nel corso dell'anno solare ovvero, nell’ambito dei servizi di cura e assistenza alla persona, non superiore a 240 ore, con lo stesso committente, salvo che il compenso complessivamente percepito nel medesimo anno solare sia superiore a 5.000 euro (articolo 61, comma 2), i quali sono regolamentati dall’apposita disciplina contenuta nello stesso provvedimento. Pertanto vengono fissati due criteri alternativi, uno correlato alla durata della prestazione nei confronti dello stesso committente, l’altro correlato all’ammontare del corrispettivo, che servono a distinguere le prestazioni meramente occasionali dalle collaborazioni coordinate e continuative vere e proprie, che vengono disciplinate dalle disposizioni sul lavoro a progetto.

Sono altresì escluse dal campo di applicazione della disciplina del lavoro a progetto anche le professioni intellettuali per l’esercizio delle quali è necessaria l’iscrizione in appositi albi.

Nel caso in cui i richiamati rapporti siano instaurati senza individuare uno specifico progetto, programma di lavoro o fase di esso, vengono considerati rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato fin dalla data di costituzione del rapporto (articolo 69, comma 1).

La determinazione del progetto e di tutti gli elementi accessori è lasciata alla contrattazione. Il contratto, infatti, che deve essere redatto in forma scritta ad probationem, deve contenere, tra gli altri, l’indicazione della durata della prestazione lavorativa e del progetto, o programma di lavoro o delle fasi di esso, nonché il corrispettivo e le relative modalità di pagamento e le forme di coordinamento del lavoratore, che in ogni caso non devono essere tali da pregiudicare l’autonomia del collaboratore stesso. Lo stesso contratto, infine, deve prevedere forme di tutela e di sicurezza della salute del collaboratore di progetto (articolo 62).

I contratti si risolvono al momento della realizzazione del progetto o del programma o fase di esso che ne costituisce l’oggetto. E’ comunque prevista la possibilità, per le parti contraenti, di recedere prima della scadenza del termine per giusta causa ovvero in seguito a quanto disposto nel contratto (articolo 67).

Il compenso è proporzionato alla quantità e qualità del lavoro, e deve tenere conto dei compensi normalmente corrisposti per analoghe prestazioni di lavoro autonomo nel luogo di esecuzione del rapporto (articolo 63).

E’ stata prevista la possibilità, per il collaboratore a progetto, di svolgere l’attività nei riguardi di più committenti, anche se lo stesso non può svolgere attività concorrenziale nei confronti dei committenti stessi né può venire meno all’obbligo di riservatezza (articolo 64).

Lo stesso D.Lgs. 276 ha individuato (articoli 65 e 66) alcuni diritti del collaboratore a progetto.

In particolare (articolo 65), il collaboratore ha il diritto ad essere riconosciuto autore dell’invenzione eventualmente fatta nello svolgimento del rapporto. In ogni caso, i diritti e gli obblighi delle parti sono regolati da leggi speciali, comprese le disposizioni di cui all’articolo 12-bis della L. 633/1941 .

Il successivo articolo 66 disciplina ulteriori diritti del collaboratore a progetto.

In particolare, si stabilisce che:

·       la gravidanza, malattia ed infortunio non comportano estinzione del rapporto contrattuale, che rimane sospeso, senza erogazione del corrispettivo. In caso di gravidanza, inoltre, la durata del rapporto è prorogata di 180 giorni, salvo previsione contrattuale più favorevole;

·       in caso di infortunio o malattia, salva diversa previsione contrattuale, la sospensione del rapporto non comporta una proroga della durata del contratto, che si estingue alla scadenza. Il contratto si intende comunque risolto se la sospensione si protrae per un periodo superiore ad un sesto della durata stabilita nel contratto, se determinata, ovvero superiore a 30 giorni per i contratti a durata determinabile;

·       infine, ai rapporti che rientrano nel campo di applicazione del capo in esame si applicano specifiche norme, tra le quali si ricordano quelle sul processo del lavoro , quelle sulla tutela della maternità per le lavoratrici iscritte alla gestione separata INPS, le norme sulla sicurezza e igiene del lavoro, attualmente regolate dal recente D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81 , nonché le norme di tutela contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali e le norme di cui all’articolo 51, comma 1, della L. 488/1999 (finanziaria 2002) .

E’ stato previsto, infine, che nella riconduzione a un progetto, programma di lavoro o fase di esso delle collaborazioni coordinate e continuative, i diritti derivanti da un rapporto di lavoro già in essere possono essere oggetto di rinunzie o transazioni (articolo 68, così come modificato dal richiamato D.Lgs. 251/2004) tra le parti in sede di certificazione del rapporto di lavoro anche in deroga alle disposizioni sulle rinunce e transazioni che hanno per oggetto diritti del prestatore di lavoro derivanti da disposizioni inderogabili della legge e dei contratti o accordi collettivi concernenti le controversie individuali di lavoro, di cui all’articolo 2113 del codice civile.

 

Si ricorda che ulteriori disposizioni in materia di lavoro a progetto sono contenute nell’articolo 2, commi 51-56, alla cui scheda si rimanda.


 

Decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276
Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla legge 14febbraio 2003, n. 30

Testo vigente

Testo modificato

 

 

Art. 61
(Definizione e campo di applicazione)

 

 

 

1. Ferma restando la disciplina per gli agenti e i rappresentanti di commercio, i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, prevalentemente personale e senza vincolo di subordinazione, di cui all'articolo 409, n. 3, del codice di procedura civile devono essere riconducibili a uno o più progetti specifici o programmi di lavoro o fasi di esso determinati dal committente e gestiti autonomamente dal collaboratore in funzione del risultato, nel rispetto del coordinamento con la organizzazione del committente e indipendentemente dal tempo impiegato per l'esecuzione della attività lavorativa.

1. Ferma restando la disciplina degli agenti e rappresentanti di commercio, i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa prevalentemente personale e senza vincolo di subordinazione, di cui all’articolo 409, numero 3), del codice di procedura civile, devono essere riconducibili a uno o più progetti specifici determinati dal committente e gestiti autonomamente dal collaboratore. Il progetto deve essere funzionalmente collegato a un determinato risultato finale e non può consistere in una mera riproposizione dell’oggetto sociale del committente, avuto riguardo al coordinamento con l’organizzazione del committente e indipendentemente dal tempo impiegato per l’esecuzione dell’attività lavorativa. Il progetto non può comportare lo svolgimento di compiti meramente esecutivi o ripetitivi, che possono essere individuati dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.

2. Dalla disposizione di cui al comma 1 sono escluse le prestazioni occasionali, intendendosi per tali i rapporti di durata complessiva non superiore a trenta giorni nel corso dell'anno solare ovvero, nell’ambito dei servizi di cura e assistenza alla persona, non superiore a 240 ore, con lo stesso committente, salvo che il compenso complessivamente percepito nel medesimo anno solare sia superiore a 5 mila euro, nel qual caso trovano applicazione le disposizioni contenute nel presente capo.

 

3. Sono escluse dal campo di applicazione del presente capo le professioni intellettuali per l'esercizio delle quali è necessaria l'iscrizione in appositi albi professionali, esistenti alla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo, nonché i rapporti e le attività di collaborazione coordinata e continuativa comunque rese e utilizzate a fini istituzionali in favore delle associazioni e società sportive dilettantistiche affiliate alle federazioni sportive nazionali, alle discipline sportive associate e agli enti di promozione sportiva riconosciute dal C.O.N.I., come individuate e disciplinate dall'articolo 90 della legge 27 dicembre 2002, n. 289. Sono altresì esclusi dal campo di applicazione del presente capo i componenti degli organi di amministrazione e controllo delle società e i partecipanti a collegi e commissioni, nonché coloro che percepiscono la pensione di vecchiaia.

 

4. Le disposizioni contenute nel presente capo non pregiudicano l'applicazione di clausole di contratto individuale o di accordo collettivo più favorevoli per il collaboratore a progetto.

 

 

 

Art. 62
(Forma)

 

1. Il contratto di lavoro a progetto è stipulato in forma scritta e deve contenere, ai fini della prova, i seguenti elementi:

 

a) indicazione della durata, determinata o determinabile, della prestazione di lavoro;

 

b) indicazione del progetto o programma di lavoro, o fasi di esso, individuata nel suo contenuto caratterizzante, che viene dedotto in contratto;

b) descrizione del progetto, con individuazione del suo contenuto caratterizzante e del risultato finale che si intende conseguire.

c) il corrispettivo e i criteri per la sua determinazione, nonché i tempi e le modalità di pagamento e la disciplina dei rimborsi spese;

 

d) le forme di coordinamento  del lavoratore a progetto al committente sulla esecuzione, anche temporale, della prestazione lavorativa, che in ogni caso non possono essere tali da pregiudicarne l'autonomia nella esecuzione dell'obbligazione lavorativa;

 

e) le eventuali misure per la tutela della salute e sicurezza del collaboratore a progetto, fermo restando quanto disposto dall’articolo 66, comma 4.

 

 

 

Articolo 63
(Corrispettivo)

 

1. Il compenso corrisposto ai collaboratori a progetto deve essere proporzionato alla quantità e qualità del lavoro eseguito, e deve tenere conto dei compensi normalmente corrisposti per analoghe prestazioni di lavoro autonomo nel luogo di esecuzione del rapporto.

1. Il compenso corrisposto ai collaboratori a progetto deve essere proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro eseguito e, in relazione a ciò nonché alla particolare natura della prestazione e del contratto che la regola, non può essere inferiore ai minimi stabiliti in modo specifico per ciascun settore di attività, eventualmente articolati per i relativi profili professionali tipici e in ogni caso sulla base dei minimi salariali applicati nel settore medesimo alle mansioni equiparabili svolte dai lavoratori subordinati, dai contratti collettivi sottoscritti dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale a livello interconfederale o di categoria ovvero, su loro delega, ai livelli decentrati.

 

2. In assenza di contrattazione collettiva specifica, il compenso non può essere inferiore, a parità di estensione temporale dell’attività oggetto della prestazione, alle retribuzioni minime previste dai contratti collettivi nazionali di categoria applicati nel settore di riferimento alle figure professionali il cui profilo di competenza e di esperienza sia analogo a quello del collaboratore a progetto.

 

 

Art. 67
(Estinzione del contratto e preavviso)

 

1. I contratti di lavoro di cui al presente capo si risolvono al momento della realizzazione del progetto o del programma o della fase di esso che ne costituisce l'oggetto.

1. I contratti di lavoro di cui al presente capo si risolvono al momento della realizzazione del progetto che ne costituisce l'oggetto.

2. Le parti possono recedere prima della scadenza del termine per giusta causa ovvero secondo le diverse causali o modalità, incluso il preavviso, stabilite dalle parti nel contratto di lavoro individuale.

2. Le parti possono recedere prima della scadenza del termine per giusta causa. Il committente può altresì recedere prima della scadenza del termine qualora siano emersi oggettivi profili di inidoneità professionale del collaboratore tali da rendere impossibile la realizzazione del progetto. Il collaboratore può recedere prima della scadenza del termine, dandone preavviso, nel caso in cui tale facoltà sia prevista nel contratto individuale di lavoro.

 

 

Art. 68
(Rinunzie e transazioni)

 

1. Nella riconduzione a un progetto, programma di lavoro o fase di esso dei contratti di cui all'articolo 61, comma 1, i diritti derivanti da un rapporto di lavoro già in essere possono essere oggetto di rinunzie o transazioni tra le parti in sede di certificazione del rapporto di lavoro di cui al Titolo VIII secondo lo schema dell'articolo 2113 del codice civile.

1. Nella riconduzione a un progetto dei contratti di cui all'articolo 61, comma 1, i diritti derivanti da un rapporto di lavoro già in essere possono essere oggetto di rinunzie o transazioni tra le parti in sede di certificazione del rapporto di lavoro di cui al Titolo VIII secondo lo schema dell'articolo 2113 del codice civile.

 

 

Art. 69
(Divieto di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa atipici e conversione del contratto)

 

1. I rapporti di collaborazione coordinata e continuativa instaurati senza l'individuazione di uno specifico progetto, programma di lavoro o fase di esso ai sensi dell'articolo 61, comma 1, sono considerati rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato sin dalla data di costituzione del rapporto.

1. I rapporti di collaborazione coordinata e continuativa instaurati senza l'individuazione di uno specifico progetto ai sensi dell'articolo 61, comma 1, sono considerati rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato sin dalla data di costituzione del rapporto.

2. Qualora venga accertato dal giudice che il rapporto instaurato ai sensi dell'articolo 61 sia venuto a configurare un rapporto di lavoro subordinato, esso si trasforma in un rapporto di lavoro subordinato corrispondente alla tipologia negoziale di fatto realizzatasi tra le parti.

2. Qualora venga accertato dal giudice che il rapporto instaurato ai sensi dell'articolo 61 sia venuto a configurare un rapporto di lavoro subordinato, esso si trasforma in un rapporto di lavoro subordinato corrispondente alla tipologia negoziale di fatto realizzatasi tra le parti. Salvo prova contraria a carico del committente, i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, anche a progetto, sono considerati rapporti di lavoro subordinato sin dalla data di costituzione del rapporto, nel caso in cui l’attività del collaboratore sia svolta con modalità analoghe a quella svolta dai lavoratori dipendenti dell’impresa committente, fatte salve le prestazioni di elevata professionalità che possono essere individuate dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.

3. Ai fini del giudizio di cui al comma 2, il controllo giudiziale è limitato esclusivamente, in conformità ai princìpi generali dell'ordinamento, all'accertamento della esistenza del progetto, programma di lavoro o fase di esso e non può essere esteso fino al punto di sindacare nel merito valutazioni e scelte tecniche, organizzative o produttive che spettano al committente.

3. Ai fini del giudizio di cui al comma 2, il controllo giudiziale è limitato esclusivamente, in conformità ai princìpi generali dell'ordinamento, all'accertamento della esistenza del progetto e non può essere esteso fino al punto di sindacare nel merito valutazioni e scelte tecniche, organizzative o produttive che spettano al committente.

 

 


 

Articolo 1, commi 26 e 27
(
Altre prestazioni lavorative rese in regime di lavoro autonomo)

I commi 26 e 27 sono volti a razionalizzare il ricorso alle collaborazioni rese da titolari di partita IVA, introducendo la presunzione che tali prestazioni siano da considerarsi rapporti di collaborazione coordinata e continuativa qualora ricorrano determinati presupposti.

 

I commi 26 e 27, ampiamente modificati al Senato, introducono l’articolo 69-bis del decreto legislativo n. 276 del 2003, al fine di razionalizzare il ricorso alle collaborazioni rese da titolari di partita IVA.

 

Il comma 26 introduce la presunzione che prestazioni rese da titolari di partita IVA sono da considerarsi rapporti di collaborazione coordinata e continuativa qualora ricorrano almeno due dei seguenti presupposti:

·       che la durata della collaborazione sia superiore a 8 mesi (6 mesi nel testo originario del disegno di legge) nell’arco di un anno solare;

·       che il ricavo dei corrispettivi percepiti dal collaboratore nell’arco dello stesso anno solare superi la misura dell’80 per cento (75 per cento nel testo originario del disegno di legge) dei corrispettivi complessivamente percepiti dal collaboratore nell’arco dello stesso anno solare;

·       che il prestatore abbia la disponibilità di una postazione fissa di lavoro presso il committente.

 

La configurazione del rapporto come collaborazione coordinata e continuativa implica l’applicazione di tutte le norme che disciplinano tale contratto, incluse quelle relative al regime previdenziale e all’eventuale trasformazione della collaborazione in un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato qualora sia stata instaurata senza l’individuazione di uno specifico progetto[19].

Si prevede, inoltre, che le nuove disposizioni introdotte si applichino solo ai rapporti instaurati successivamente all’entrata in vigore della riforma; per quelli in corso le disposizioni trovano applicazione decorsi 12 mesi dalla data di entrata in vigore della legge.

 

Si prevede, poi, che la suddetta presunzione non opera:

·       qualora la prestazione lavorativa sia connotata da competenze teoriche di grado elevato acquisite attraverso significativi percorsi formativi, ovvero da capacità tecnico-pratiche acquisite attraverso rilevanti esperienze maturate nell'esercizio concreto di attività, e sia svolta da soggetto titolare di un reddito annuo da lavoro autonomo non inferiore a 1,25 volte il livello minimo imponibile ai fini del versamento dei contributi previdenziali di cui all'articolo 1, comma 3, della L. 2 agosto 1990, n. 233[20], relativo alla gestione dei commercianti.;

Si ricorda che il richiamato articolo 1, comma 3, ha stabilito uno specifico livello minimo imponibile ai fini del versamento dei contributi previdenziali dovuti alle gestioni degli artigiani e dei commercianti da ciascun assicurato, fissato nella misura del minimale annuo di retribuzione che si ottiene moltiplicando per 312 il minimale giornaliero stabilito, al 1° gennaio dell'anno cui si riferiscono i contributi, per gli operai del settore artigianato e commercio.

Più specificamente, è stato definito un reddito minimo (minimale di reddito), comunque dovuto anche nel caso in cui quello effettivo accertato ai fini fiscali si mantenga al di sotto di tale soglia (inferiore o negativo). Tale reddito viene utilizzato come base di riferimento per il pagamento dei contributi previdenziali (c.d. contributo minimo obbligatorio). Il reddito minimo varia di anno in anno, e si ottiene moltiplicando per 312 il minimale giornaliero di retribuzione da utilizzare per il calcolo dei contributi in favore degli operai dei settori artigianato e commercio ed aggiungendo al prodotto l’importo di € 671,39 ai sensi dell’articolo 6 della L. 415/1991.L’importo dei contributi da versare si calcola sulla totalità dei redditi d'impresa, compresi quelli percepiti per attività che non danno titolo all’iscrizione, denunciati ai fini IRPEF nell’anno considerato.

Per il 2012 il reddito minimo annuo da prendere in considerazione ai fini del calcolo del contributo IVS dovuto dagli artigiani e commercianti è (circolare INPS n. 14 del 3 febbraio 2012) di € 14.930,00, con un contributo sul minimale di reddito pari, rispettivamente: ad euro 3.187,53 (artigiani titolari di qualunque età e coadiuvanti / coadiutori di età superiore ai 21 anni); euro 2.739,63 (artigiani coadiuvanti / coadiutori di età non superiore ai 21 anni); euro 3.200,96 (commercianti titolari di qualunque età e coadiuvanti / coadiutori di età superiore ai 21 anni) ed euro 2.753,07 (commercianti coadiuvanti / coadiutori di età non superiore ai 21 anni).

 

Le aliquote per il 2012 (ai sensi dell’articolo 24, comma 22, del D.L. 201/2011) sono le seguenti:

o    titolari di qualunque età e coadiuvanti/ coadiutori di età superiore a 21 anni, artigiani: 21,30 %; commercianti: 21,39 %

o    coadiuvanti/coadiutori di età non superiore a 21 anni: artigiani: 18,30%; commercianti: 18,39 %

 

Per quanto attiene alla contribuzione sul reddito eccedente il minimale, il contributo per il 2012 è dovuto sui redditi d’impresa prodotti nel 2011 per la quota eccedente il minimale di € 14.930,00, in base alle citate aliquote e fino al limite della prima fascia di retribuzione annua pensionabile pari a € 44.204,00. Per i redditi superiori resta confermato l’aumento dell’aliquota di un punto percentuale.

Più in dettaglio, le aliquote sono le seguenti:

oTitolari di qualunque età e coadiuvanti/ coadiutori di età superiore a 21 anni:

§      scaglione di reddito fino a € 44.204,00: artigiani: 21,30%; commercianti: 21,39%;

§      da € 44.204,01: artigiani: 22,30%; commercianti: 22,39 %.

oCoadiuvanti/coadiutori di età non superiore a 21 anni:

§      scaglione di reddito fino a € 44.204,00: artigiani: 18,30%; commercianti: 18,39%;

§      da € 44.204,01: artigiani: 19,30%; commercianti: 19,39%.

Il massimale di reddito annuo entro il quale sono dovuti i contributi è € 73.673,00.

 

·       con riferimento alle prestazioni lavorative svolte nell'esercizio di attività professionali per le quali l'ordinamento richiede l'iscrizione ad un ordine professionale, ovvero ad appositi registri, albi, ruoli o elenchi professionali qualificati e detta specifici requisiti e condizioni. La ricognizione delle predette attività è demandata a un decreto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, da emanarsi, in fase di prima applicazione, entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, sentite le parti sociali.

 

Il comma 27, infine, reca una norma di interpretazione autentica (con effetto, quindi, retroattivo) dell’articolo 61, comma 3, del decreto legislativo n. 276 del 2003, volta a chiarire che le norme che disciplinano il lavoro a progetto e il lavoro occasionale non si applicano alle sole prestazioni professionali riconducibili alle attività per l’esercizio delle quali è necessaria l’iscrizione in appositi albi, ferma restando la possibilità per i professionisti abilitati di svolgere, sotto forma di collaborazione coordinata e continuativa, attività diverse da quelle per le quali è necessaria l’iscrizione.

 

Si segnala, infine, che la 11° Commissione del Senato ha approvato i seguenti ordini del giorno:

·       l’ordine del giorno G/3249/6/11 (Roilo altri), cheimpegna il Governo a procedere, entro un anno dalla data di entrata in vigore della legge, alla ricognizione dello stato di attuazione e degli effetti delle disposizioni, come risultanti dall'attività di monitoraggio di cui all'articolo 1, commi 2-5, al fine di valutare l'opportunità di elevare la prevista soglia dell'1,25 per cento per adeguarla all'effettivo contesto socio-economico, in relazione all'andamento dell'economia, all'evoluzione della disciplina di fonte collettiva e in generale agli effetti sistemici prodotti dalla riforma del mercato del lavoro.

·       l’ordine del giorno G/3249/9/11 (Roilo altri), che impegna a promuovere o sostenere ogni iniziativa legislativa orientata ad estendere l'ambito di applicazione dell'articolo 2116 del codice civile[21] ai collaboratori iscritti alla Gestione separata presso l'Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS), di cui all'articolo 2, comma 26, della legge 8 marzo 1995, n. 335, a condizione che essi operino in regime di monocommittenza e non siano titolari dell'obbligazione contributiva.

 

 

 


 

Articolo 1, commi 28-31
(Associazione in partecipazione con apporto di lavoro)

 

I commi da 28 a 31 intervengono sulla disciplina dell'associazione in partecipazione con apporto di lavoro.

 

I commi da 28 a 31, modificati al Senato, intervengono sulla normativa in materia di associazione in partecipazione con apporto di lavoro, al fine di rafforzarne la disciplina antielusiva.

Ai sensi dell’articolo 2549 del Codice civile, il contratto di associazione in partecipazione è il contratto in base al quale l'associante attribuisce all'associato una partecipazione agli utili della sua impresa o di uno o più affari verso il corrispettivo di un determinato apporto.

Al fine di evitare elusioni o abusi, l’articolo 86, comma 2, del decreto legislativo n.276 del 2003, prevede che in caso di rapporti di associazione in partecipazione resi senza una effettiva partecipazione e adeguate erogazioni a chi lavora, il lavoratore ha diritto ai trattamenti contributivi, economici e normativi stabiliti dalla legge e dai contratti collettivi per il lavoro subordinato svolto nella posizione corrispondente del medesimo settore di attività, o in mancanza di contratto collettivo, in una corrispondente posizione secondo il contratto di settore analogo, a meno che il datore di lavoro, o committente, o altrimenti utilizzatore non comprovi, con idonee attestazioni o documentazioni, che la prestazione rientra in una delle tipologie di lavoro disciplinate nel presente decreto ovvero in un contratto di lavoro subordinato speciale o con particolare disciplina, o in un contratto nominato di lavoro autonomo, o in altro contratto espressamente previsto nell'ordinamento.

 

Il comma 28 integra l’articolo 2549 del Codice civile al fine di prevedere che, qualora il conferimento dell’associato consista anche in una prestazione di lavoro, il numero degli associati impegnati in una medesima attività non possa essere superiore a tre, indipendentemente dal numero degli associanti (a meno che gli associati siano legati da rapporto coniugale, di parentela entro il terzo grado o di affinità entro il secondo). In caso di violazione del divieto in esame, il rapporto con tutti gli associati si considera rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato.

 

Il comma 29, introdotto al Senato, fa salvi, fino alla loro cessazione, i contratti in essere che, alla data di entrata in vigore della presente legge, siano stati certificati ai sensi dell'articolo 75 e seguenti del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276.

 

Il D.Lgs. 276/2003 ha previsto, in seguito all’introduzione delle tipologie contrattuali flessibili, un’apposita procedura di certificazione volontaria del contratto stipulato tra le parti, al fine di ridurre il contenzioso in materia di individuazione della tipologia di specifici contratti flessibili. Tale procedura, che sulla base delle modifiche apportate dal successivo D.Lgs. 6 ottobre 2004, n. 251[22], trova applicazione nei confronti di tutti i contratti e si attiva presso specifiche Commissioni di certificazione, sostanzialmente attribuisce piena forza legale al contratto, escludendo la possibilità di ricorso in giudizio se non in caso di incompetenza, eccesso di potere o violazioni di legge che ledono interessi legittimi.

In particolare, possono svolgere la procedura di certificazione (articolo 78) le Commissioni di certificazione istituite presso specifici enti ed organismi, quali, tra gli altri, le Direzioni provinciali del lavoro, le Università, pubbliche e private – queste esclusivamente nell’ambito di rapporti di collaborazione e consulenza, a condizione di registrarsi in un apposito albo, istituito presso il Ministero del lavoro e della previdenza sociale e la Direzione generale della tutela delle condizioni di lavoro del Ministero del lavoro, anche se solamente in particolari casi[23].

Gli effetti della certificazione del contratto di lavoro permangono, anche verso i terzi, fino al momento dell’accoglimento, con sentenza di merito, di uno dei ricorsi giurisdizionali esperibili, fatti salvi i provvedimenti cautelari. Nei confronti dell’atto di certificazione le parti e i terzi interessati dagli effetti dello stesso possono proporre ricorso, presso il tribunale con funzioni del giudice del lavoro, per vizi del consenso, erronea qualificazione del contratto, oppure difformità tra il programma negoziale certificato e la sua attuazione. Tuttavia, chiunque intenda presentare ricorso giurisdizionale contro la certificazione, deve obbligatoriamente rivolgersi alla commissione di certificazione che ha adottato l’atto di certificazione per espletare un tentativo di obbligatorio di conciliazione, ai sensi dell’articolo 410 c.p.c. (articolo 80).

Pertanto, una volta effettuata validamente la procedura di certificazione, gli organi ispettivi sarebbero vincolati dalla stessa, dovendo necessariamente ricorrere al giudice per far accertare la difformità tra il contratto oggetto di certificazione e il concreto atteggiarsi del rapporto. In sostanza, l’organo amministrativo che voglia discostarsi dalla certificazione relativamente alla qualificazione del rapporto di lavoro, non potrà contare esclusivamente sui propri poteri amministrativi, ma dovrà necessariamente investire della questione il giudice al fine di ottenere una sentenza che dimostri che nel caso concreto è configurabile un rapporto di lavoro diverso da quello certificato.

Infine, gli effetti dell’accertamento dell’organo preposto alla certificazione, nel caso di contratti in corso di esecuzione, si producono dal momento di inizio del contratto, qualora la commissione abbia appurato che l’attuazione del contratto stesso sia stata, anche nel periodo precedente alla propria attività istruttoria, coerente con quanto appurato in tale sede. In caso di contratti non ancora sottoscritti dalle parti, gli effetti si producono soltanto ove e nel momento in cui queste ultime provvedano a sottoscriverli, con le eventuali integrazioni e modifiche suggerite dalla commissione adita (articolo 79, comma 2).

 

Il comma 30 introduce una più efficace disciplina antielusiva,disponendo che i rapporti di associazione in partecipazione con apporto di lavoro, instaurati o attuati senza che vi sia stata un'effettiva partecipazione dell’associato agli utili dell’impresa o dell’affare, ovvero senza consegna del rendiconto (previsto dall’articolo 2552 del codice civile), si presumono, salva prova contraria, rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato (il vigente articolo 86 del d.lgs. n.276 del 2003, di cui il comma 31 dispone conseguentemente l’abrogazione, si limita invece a prevedere che il rapporto di lavoro si considera come di “lavoro subordinato”, ma non a tempo indeterminato, e non fa riferimento al caso di mancata consegna del rendiconto). Per effetto di una modifica introdotta al Senato, infine, è stato precisato che tale presunzione opera nel caso in cui l'apporto di lavoro non presenti i requisiti di cui all'articolo 69-bis, comma 1-bis, lettera a), del decreto legislativo n. 276 del 2003, come introdotto dall'articolo 1, comma 26, del disegno di legge in esame (alla cui scheda di lettura nel presente dossier si fa rinvio).

 


 

Articolo 1, commi 32 e 33
(Lavoro accessorio)

 

I commi 32 e 33 intervengono sulla disciplina del lavoro accessorio, al fine di restringere il campo di operatività dell’istituto.

 

Il commi 32 e 33, ampiamente modificati al Senato, intervengono sugli articoli 70 e 72 del decreto legislativo n. 276 del 2003, al fine di restringere il campo di operatività dell’istituto del lavoro accessorio.

 

Il comma 32 sostituisce interamente l’articolo 70 del decreto legislativo n.  276 del 2003, che definisce il campo di applicazione del lavoro accessorio. In particolare:

·       si ridefiniscono i limiti di applicazione dell’istituto sulla base del solo criterio dei compensi (e non già, come previsto dalla normativa vigente, anche con riferimento a specifici settori economici) prevedendo che il loro importo complessivo non può essere superiore a 5.000 euro nel corso di un anno solare, con riferimento alla totalità dei committenti;

·       per quanto concerne le prestazioni rese nei confronti di imprenditori commerciali o professionisti, fermo restando il limite dei compensi fissato in linea generale a 5.000 euro annui, si prevede che le attività svolte a favore di ciascun committente non possono comunque superare i 2.000 euro annui;

·       per quanto concerne le attività agricole, la normativa vigente viene sostanzialmente confermata con alcune limitazioni:

-          si escludono le casalinghe dal novero dei soggetti abilitati (restano confermati, invece, i pensionati e giovani con meno di venticinque anni di età, se regolarmente iscritti a un ciclo di studi presso un istituto scolastico di qualsiasi ordine e grado, compatibilmente con gli impegni scolastici, ovvero in qualunque periodo dell’anno se regolarmente iscritti a un ciclo di studi presso l’università);

-          si specifica che le attività agricole svolte a favore dei soggetti di cui all’articolo 34, comma 6, del decreto del DPR n.633 del 1972 (ossia produttori agricoli con volume d’affari annuo non superiore a 7.000) non possono comunque essere svolte da soggetti iscritti l’anno precedente negli elenchi anagrafici dei lavoratori agricoli.

·       viene soppressa la norma che attualmente consente alle imprese familiari di ricorrere al lavoro accessorio per un importo complessivo, in ciascun anno fiscale, fino a 10.000 euro;

·       vengono soppresse le discipline sperimentali (previste dalla normativa vigente fino al 31 dicembre 2012) che attualmente consentono prestazioni di lavoro accessorio da parte di titolari di contratti di lavoro a tempo parziale e di percettori di prestazioni integrative del salario o sostegno al reddito;

·       al fine di favorire l’integrazione dei lavoratori stranieri, si prevede che i compensi percepiti nell’ambito del lavoro accessorio rilevino nel calcolo del reddito necessario per il rilascio o rinnovo del permesso di soggiorno.

 

Attraverso l’integrazione dell’articolo 72, comma 1, del decreto legislativo n. 276 del 2003, si interviene sui buoni (voucher), specificando che:

·       i buoni devono essere orari, numerati progressivamente e datati;

·       in sede di adozione del decreto ministeriale che aggiorna periodicamente  il valore nominale dei buoni, si deve tener conto delle “risultanze istruttorie del confronto con le parti sociali”.

 

Attraverso l’integrazione dell’articolo 72, comma 4, del decreto legislativo n. 276 del 2003, si dispone invece l’adeguamento delle aliquote dei contributi previdenziali rispetto a quelle previste per gli iscritti alla Gestione separata dell’INPS, da rideterminare con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali.

 

Il comma 33 detta la disciplina transitoria, prevedendo che resta comunque ferma, fino al 31 maggio 2013, la normativa vigente con riferimento ai buoni già richiesti al momento dell'entrata in vigore della legge.

 

 

Il lavoro accessorio è disciplinato dagli articoli 70-74 del decreto legislativo n.276 del 2003.

Ai sensi dell’articolo 70, comma 1, primo periodo, del D.Lgs. 276/2003, per prestazioni di lavoro accessorio si intendono attività lavorative di natura occasionale rese nell'ambito di una serie di settori economici:

·       di lavori domestici (lettera a);

·       di lavori di giardinaggio, pulizia e manutenzione di edifici, strade, parchi e monumenti (lettera b);

·       dell'insegnamento privato supplementare (lettera c);

·       di manifestazioni sportive, culturali, fieristiche o caritatevoli e di lavori di emergenza o di solidarietà anche in caso di committente pubblico (lettera d);

·       di qualsiasi settore produttivo, compresi gli enti locali, le scuole e le università, il sabato e la domenica e durante i periodi di vacanza da parte di giovani con meno di venticinque anni di età se regolarmente iscritti a un ciclo di studi presso un istituto scolastico di qualsiasi ordine e grado, compatibilmente con gli impegni scolastici, ovvero in qualunque periodo dell’anno se regolarmente iscritti a un ciclo di studi presso l’università (lettera e);

·       di attività agricole di carattere stagionale effettuate da pensionati, da casalinghe e da giovani di cui alla lettera e), ovvero delle attività agricole svolte a favore dei produttori agricoli con volume d’affari annuo non superiore a 7.000 euro (lettera f);

·       dell'impresa familiare di cui all'articolo 230-bis c.c, (lettera g);

·       della consegna porta a porta e della vendita ambulante di stampa quotidiana e periodica (lettera h);

·       di qualsiasi settore produttivo, compresi gli enti locali da parte di pensionati (lettera h-bis);

·       di attività di lavoro svolte nei maneggi e nelle scuderie (lettera h-ter).

Tali attività, anche se svolte a favore di più beneficiari, configurano rapporti di natura meramente occasionale e accessoria, nel caso in cui diano complessivamente luogo, con riferimento al medesimo committente, a compensi non superiori a 5.000 euro nel corso di un anno solare.

Le imprese familiari possono utilizzare prestazioni di lavoro accessorio per un importo complessivo non superiore, nel corso di ciascun anno fiscale, a 10.000 euro.

Infine, il ricorso a prestazioni di lavoro accessorio da partedi un committente pubblico e degli enti locali è consentito nel rispetto dei vincoli previsti dalla vigente disciplina in materia di contenimento delle spese di personale e ove previsto dal patto di stabilità interno.

Il secondo periodo del richiamato comma 1 ha previsto, in via sperimentale per l’anno 2010 (termine prorogato, da ultimo, fino al 31 dicembre 2012 dall’articolo 6, comma 2, del D.L. 216/2011), che per prestazioni di lavoro accessorio si intendano anche le attività lavorative di natura occasionale rese nell’ambito di qualsiasi settore produttivo da parte di prestatori di lavoro titolari di contratti di lavoro a tempo parziale, con esclusione della possibilità di utilizzare i buoni lavoro presso il datore di lavoro titolare del contratto a tempo parziale.

Il successivo comma 1-bis ha disposto, in via sperimentale per gli anni 2009 e 2010 (termine anche in questo caso prorogato fino al 31 dicembre 2012 dall’articolo 6, comma 2, del D.L. 216/2011), che prestazioni di lavoro accessorio possano essere svolte, in tutti i settori produttivi, anche dai percettori di prestazioni integrative del salario o sostegno al reddito, a condizione che:

·       si rispetti un limite massimo degli emolumenti ricevuti, pari a 3.000 euro per anno solare[24];

·       che tali prestazioni siano comunque compatibili con quanto disposto dall’articolo 19, comma 10, del D.L. 185/2008[25], il quale subordina il diritto a percepire qualsiasi trattamento di sostegno al reddito previsto dalla legislazione vigente in materia di ammortizzatori sociali, alla dichiarazione di immediata disponibilità al lavoro o a un percorso di riqualificazione professionale.

 

L’articolo 72 disciplina le modalità di assolvimento dell’obbligo retributivo e contributivo connesso alle prestazioni, prevedendo che esso avviene attraverso l’acquisto presso le rivendite autorizzate, da parte dei datori di lavoro, di uno o più carnet di buoni per prestazioni di lavoro accessorio da consegnare al prestatore di lavoro accessorio. Il valore nominale dei buoni è fissato con specifico decreto[26], ed è stabilito tenendo conto della media delle retribuzioni rilevate per le attività lavorative affini a quelle richiamate in precedenza, nonché del costo di gestione del servizio (articolo 72).

Il prestatore di lavoro accessorio percepisce il proprio compenso presso il concessionario[27], all'atto della restituzione dei buoni ricevuti dal beneficiario della prestazione di lavoro accessorio. Tale compenso è esente da qualsiasi imposizione fiscale e non incide sullo stato di disoccupato o inoccupato del prestatore di lavoro accessorio.

Spetta al concessionario provvedere al pagamento delle spettanze alla persona che presenta i buoni, registrandone i dati anagrafici e il codice fiscale, nonché effettuare il versamento per suo conto dei contributi per fini previdenziali alla Gestione separata INPS (in misura pari al 13% del valore nominale del buono, e per fini assicurativi contro gli infortuni all'INAIL (in misura pari al 7% del valore nominale del buono), trattenendo l'importo autorizzato dal decreto a titolo di rimborso spese.

 

Si segnala, infine, che la 11° Commissione del Senato ha approvato l’ordine del giorno G/3249/28/11 (Sbarbati e altri), cheimpegna il Governo a verificare l'opportunità di elevare da 25 a 28 anni, per gli studenti regolarmente iscritti ad un ciclo di studi presso l'Università, l'età massima per usufruire del voucher, così come previsto dal predetto articolo 70 del decreto legislativo n. 276 del 2003.

 


 

Decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276
Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla legge 14febbraio 2003, n. 30

Testo vigente

Testo modificato

 

 

Art. 70
(Definizione e campo di applicazione)

 

1. Per prestazioni di lavoro accessorio si intendono attività lavorative di natura occasionale rese nell'ambito: a) di lavori domestici; b) di lavori di giardinaggio, pulizia e manutenzione di edifici, strade, parchi e monumenti, anche nel caso in cui il committente sia un ente locale; c) dell'insegnamento privato supplementare; d) di manifestazioni sportive, culturali, fieristiche o caritatevoli e di lavori di emergenza o di solidarietà anche in caso di committente pubblico; e) di qualsiasi settore produttivo, compresi gli enti locali, le scuole e le università, il sabato e la domenica e durante i periodi di vacanza da parte di giovani con meno di venticinque anni di età se regolarmente iscritti a un ciclo di studi presso un istituto scolastico di qualsiasi ordine e grado, compatibilmente con gli impegni scolastici, ovvero in qualunque periodo dell’anno se regolarmente iscritti a un ciclo di studi presso l’università; f) di attività agricole di carattere stagionale effettuate da pensionati, da casalinghe e da giovani di cui alla lettera e), ovvero delle attività agricole svolte a favore dei soggetti di cui all’articolo 34, comma 6, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633; g) dell'impresa familiare di cui all'articolo 230-bis del codice civile; h) della consegna porta a porta e della vendita ambulante di stampa quotidiana e periodica; h-bis) di qualsiasi settore produttivo, compresi gli enti locali da parte di pensionati; h-ter) di attività di lavoro svolte nei maneggi e nelle scuderie. In via sperimentale per l’anno 2010, per prestazioni di lavoro accessorio si intendono anche le attività lavorative di natura occasionale rese nell’ambito di qualsiasi settore produttivo da parte di prestatori di lavoro titolari di contratti di lavoro a tempo parziale, con esclusione della possibilità di utilizzare i buoni lavoro presso il datore di lavoro titolare del contratto a tempo parziale.

1. Per prestazioni di lavoro accessorio si intendono attività lavorative di natura meramente occasionale che non danno luogo, con riferimento alla totalità dei committenti, a compensi superiori a 5.000 euro nel corso di un anno solare, annualmente rivalutati sulla base della variazione dell’indice ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie degli operai e degli impiegati intercorsa nell’anno precedente. Fermo restando il limite complessivo di 5.000 euro nel corso di un anno solare, nei confronti dei committenti imprenditori commerciali o professionisti, le attività lavorative di cui al presente comma possono essere svolte a favore di ciascun singolo committente per compensi non superiori a 2.000 euro, rivalutati annualmente ai sensi del presente comma.

1-bis. In via sperimentale per gli anni 2009 e 2010, prestazioni di lavoro accessorio possono essere rese, in tutti i settori produttivi, compresi gli enti locali e nel limite massimo di 3.000 euro per anno solare, da percettori di prestazioni integrative del salario o di sostegno al reddito compatibilmente con quanto stabilito dall’articolo 19, comma 10, del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2. L’INPS provvede a sottrarre dalla contribuzione figurativa relativa alle prestazioni integrative del salario o di sostegno al reddito gli accrediti contributivi derivanti dalle prestazioni di lavoro accessorio.

 

2. Le attività lavorative di cui al comma 1, anche se svolte a favore di più beneficiari, configurano rapporti di natura meramente occasionale e accessoria, intendendosi per tali le attività che non danno complessivamente luogo, con riferimento al medesimo committente, a compensi superiori a 5.000 euro nel corso di un anno solare.

2. Le disposizioni di cui al comma 1 si applicano in agricoltura:

a) alle attività lavorative di natura occasionale rese nell’ambito delle attività agricole di carattere stagionale effettuate da pensionati e da giovani con meno di venticinque anni di età se regolarmente iscritti a un ciclo di studi presso un istituto scolastico di qualsiasi ordine e grado, compatibilmente con gli impegni scolastici, ovvero in qualunque periodo dell’anno se regolarmente iscritti a un ciclo di studi presso l’università;

b) alle attività agricole svolte a favore di soggetti di cui all’articolo 34, comma 6, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, che non possono, tuttavia, essere svolte da soggetti iscritti l’anno precedente negli elenchi anagrafici dei lavoratori agricoli.

2-bis. Le imprese familiari possono utilizzare prestazioni di lavoro accessorio per un importo complessivo non superiore, nel corso di ciascun anno fiscale, a 10.000 euro.

 

2-ter. Il ricorso a prestazioni di lavoro accessorio da parte di un committente pubblico e degli enti locali è consentito nel rispetto dei vincoli previsti dalla vigente disciplina in materia di contenimento delle spese di personale e ove previsto dal patto di stabilità interno.

3. Il ricorso a prestazioni di lavoro accessorio da parte di un committente pubblico è consentito nel rispetto dei vincoli previsti dalla vigente disciplina in materia di contenimento delle spese di personale e, ove previsto, dal patto di stabilità interno.

 

4. I compensi percepiti dal lavoratore secondo le modalità di cui all’articolo 72 sono computati ai fini della determinazione del reddito necessario per il rilascio o il rinnovo del permesso di soggiorno.

 

 

Art. 72
(Disciplina del lavoro accessorio)

 

1. Per ricorrere a prestazioni di lavoro accessorio, i beneficiari acquistano presso le rivendite autorizzate uno o più carnet di buoni per prestazioni di lavoro accessorio il cui valore nominale è fissato con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, da adottarsi entro trenta giorni e periodicamente aggiornato.

1. Per ricorrere a prestazioni di lavoro accessorio, i beneficiari acquistano presso le rivendite autorizzate uno o più carnet di buoni orari, numerati progressivamente e datati per prestazioni di lavoro accessorio il cui valore nominale è fissato con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, da adottarsi entro trenta giorni e periodicamente aggiornato, tenuto conto delle risultanze istruttorie del confronto con le parti sociali.

2. Tale valore nominale è stabilito tenendo conto della media delle retribuzioni rilevate per le attività lavorative affini a quelle di cui all'articolo 70, comma 1, nonché del costo di gestione del servizio.

 

3. Il prestatore di lavoro accessorio percepisce il proprio compenso presso il concessionario, di cui al comma 5, all'atto della restituzione dei buoni ricevuti dal beneficiario della prestazione di lavoro accessorio. Tale compenso è esente da qualsiasi imposizione fiscale e non incide sullo stato di disoccupato o inoccupato del prestatore di lavoro accessorio.

 

4. Fermo restando quanto disposto dal comma 4-bis, il concessionario provvede al pagamento delle spettanze alla persona che presenta i buoni, registrandone i dati anagrafici e il codice fiscale, effettua il versamento per suo conto dei contributi per fini previdenziali all'INPS, alla gestione separata di cui all'articolo 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n. 335, in misura pari al 13 per cento del valore nominale del buono, e per fini assicurativi contro gli infortuni all'INAIL, in misura pari al 7 per cento del valore nominale del buono, e trattiene l'importo autorizzato dal decreto di cui al comma 1, a titolo di rimborso spese.

4. Fermo restando quanto disposto dal comma 4-bis, il concessionario provvede al pagamento delle spettanze alla persona che presenta i buoni, registrandone i dati anagrafici e il codice fiscale, effettua il versamento per suo conto dei contributi per fini previdenziali all'INPS, alla gestione separata di cui all'articolo 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n. 335, in misura pari al 13 per cento del valore nominale del buono, e per fini assicurativi contro gli infortuni all'INAIL, in misura pari al 7 per cento del valore nominale del buono, e trattiene l'importo autorizzato dal decreto di cui al comma 1, a titolo di rimborso spese. La percentuale relativa al versamento dei contributi previdenziali è rideterminata con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze in funzione degli incrementi delle aliquote contributive per gli iscritti alla gestione separata dell’INPS.

4-bis. Con riferimento all'impresa familiare di cui all'articolo 70, comma 1, lettera g), trova applicazione la normale disciplina contributiva e assicurativa del lavoro subordinato.

 

5. Il Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali individua con proprio decreto il concessionario del servizio e regolamenta i criteri e le modalità per il versamento dei contributi di cui al comma 4 e delle relative coperture assicurative e previdenziali. In attesa del decreto ministeriale i concessionari del servizio sono individuati nell'I.N.P.S. e nelle agenzie per il lavoro di cui agli articoli 4, comma 1, lettere a) e c) e 6, commi 1, 2 e 3 del presente decreto.

 

 

 


 

Articolo 1, commi 34-36
(
Tirocini formativi)

 

I commi 34-36 prevedono la stipula tra Governo e Regioni, in sede di Conferenza Stato-Regioni, di un accordo per la definizione di linee-guida condivise in materia di tirocini formativi e di orientamento.

 

I commi 34-36, modificati al Senato, intervengono in materia di tirocini formativi e di orientamento.

 

Il comma 34 prevede la stipula tra Governo e Regioni, in sede di Conferenza Stato-Regioni, entro 180 giorni dalla data di entrata in vigore della legge, di un accordo per la definizione di linee-guida condivise in materia di tirocini formativi e di orientamento, sulla base dei seguenti criteri:

a)  revisione della disciplina dei tirocini formativi, anche in relazione alla valorizzazione di altre forme contrattuali a contenuto formativo;

b)  previsione di azioni e interventi volti a prevenire e contrastare un uso distorto dell'istituto, anche attraverso la puntuale individuazione delle modalità con cui il tirocinante presta la propria attività;

c)  individuazione degli elementi qualificanti del tirocinio e degli effetti conseguenti alla loro assenza;

d)  il riconoscimento di una congrua indennità, anche in forma forfettaria, in relazione alla prestazione svolta.

 

Il comma 35 dispone che la mancata corresponsione dell'indennità di cui alla lettera d) del comma 1 comporta a carico del trasgressore l'irrogazione di una sanzione amministrativa il cui ammontare è proporzionato alla gravità dell'illecito commesso, in misura variabile da un minimo di 1.000 a un massimo di 6.000 euro, conformemente alla previsioni di cui alla legge 24 novembre 1981, n. 689.

 

Il comma 36, infine, dispone che all'applicazione del presente articolo non possono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

 

 

I tirocini formativi e di orientamento rappresentano momenti di alternanza tra studio e lavoro nell'ambito dei processi formativi, anche al fine di agevolare le scelte professionali mediante la conoscenza diretta del mondo del lavoro, a favore di soggetti che abbiano già assolto l'obbligo scolastico.

Le iniziative sono promosse, anche in forma associata, da parte di vari soggetti come agenzie per l'impiego, università, provveditorati agli studi, istituzioni scolastiche statali e non statali che rilascino titoli di studio con valore legale e i centri pubblici o a partecipazione pubblica di formazione professionale e/o orientamento.

La durata dei tirocini è di:

§       quattro mesi per gli studenti della scuola secondaria,

§       sei mesi per i lavoratori inoccupati o disoccupati o gli allievi degli istituti professionali di Stato, di corsi di formazione professionale, i studenti frequentanti attività formative post-diploma o post laurea;

§       dodici mesi per gli studenti universitari o le persone svantaggiate[28];

§       ai ventiquattro mesi per i soggetti portatori di handicap.

 

Tali norme sono estese ai cittadini comunitari che effettuino esperienze professionali in Italia, anche nell'ambito di programmi comunitari, nonché ai cittadini extracomunitari secondo princìpi di reciprocità e criteri e modalità definiti dal D.M. 22 marzo 2006, recante “Normativa nazionale e regionale in materia di tirocini formativi e di orientamento per i cittadini non appartenenti all'Unione europea.

 

Sul tema è intervenuto recentemente l'articolo 11 del D.L. 138/2011[29] stabilendo che i tirocini formativi e di orientamento sono promossi unicamente da soggetti in possesso degli specifici requisiti determinati dalle regioni. Inoltre, è previsto che i tirocini formativi e di orientamento "non curriculari" abbiano una durata non superiore a sei mesi (comprese eventuali proroghe) e possono essere promossi esclusivamente a favore neodiplomati e neo-laureati, entro dodici mesi dal conseguimento del relativo titolo di studio.

Tali norme non si applicano a disabili, invalidi fisici, psichici e sensoriali, soggetti in trattamento psichiatrico, tossicodipendenti, alcolisti e ai condannati ammessi a misure alternative di detenzione.

Infine, viene specificato che in assenza di specifiche regolamentazioni regionali continua a trovare applicazione, in quanto compatibile, la disciplina statale vigente contenuta all’articolo 18 della L. 196/1997[30], e del relativo regolamento ministeriale, emanato con D.M. 25 marzo 1998, n. 142[31], contenente la definizione dei tirocini formativi e di orientamento.

Si ricorda, infine, che la sentenza della Corte costituzionale n. 50 del 13-28 gennaio 2005 ha stabilito la disciplina dei tirocini appartiene alla competenza legislativa delle regioni[32]. In seguito della sentenza della Corte, la direttiva del Ministro per la funzione pubblica n. 2 del 1° agosto 2005, ha precisato che la normativa nazionale (di cui ai citati articolo 18 della legge n. 196/1997 e al D.M. n. 142 del 1998) “troverà applicazione solo in assenza di una specifica disciplina a livello regionale”.

Attività delle istituzioni dell’Unione europea

Il 20 dicembre 2011 la Commissione ha varato l'iniziativa "Opportunità per i giovani" (COM(2011)933). Una delle principali azioni previste riguarda il sostegno della Commissione agli Stati membri per un uso più efficiente del Fondo sociale europeo, tra l'altro al fine di promuovere i tirocini come già avviene in alcuni paesi.

Nel quadro delle iniziative previste nel pacchetto occupazione del 18 aprile 2012, la Commissione europea ha presentato un documento di lavoro (SWD(2012)99) con il quale ha avviato consultazione in vista della definizione di un Quadro di qualità UE per i tirocini, con l’obiettivo di raggiungere in necessario consenso in vista di una raccomandazione del Consiglio da adottare prima della fine del 2012.

La Commissione europea specifica che l’iniziativa è rivolta espressamente al tirocinio (per il quale non esiste una definizione europea) e da essa è quindi escluso apprendistato con cui spesso è confuso[33].

Gli elementi che a giudizio della Commissione dovrebbero essere compresi nel Quadro di qualità UE dei tirocini sono i seguenti:

·      conclusione di un contratto di tirocinio: il contratto di tirocinio dovrebbe costituire la base di tutti i tirocini e indicare gli obiettivi professionali e di apprendimento, la durata e, se del caso, l'ammontare della retribuzione/del compenso;

·      definizione degli obiettivi professionali e di apprendimento e tutoraggio/orientamento: oltre alla necessità di definire chiaramente gli obiettivi professionali e di apprendimento del tirocinio, occorre che all'interno dell'organizzazione ospitante sia designato un tutor personale per ciascun tirocinante;

·      adeguato riconoscimento del tirocinio: al termine del tirocinio, dovrebbe essere consegnato al tirocinante un certificato indicante la durata e il contenuto formativo del tirocinio, le mansioni espletate, nonché le conoscenze, abilità e competenze acquisite;

·      durata ragionevole: è importante che la durata dei tirocini sia chiaramente fissata ed in generale, una durata di tre-sei mesi, in funzione del tipo di tirocinio è considerata appropriata;

·      adeguatezza della retribuzione e della tutela sociale dei tirocinanti: nel corso degli studi di un tirocinante, un tirocinio gratuito può essere accettabile purché al tirocinante sia riconosciuta una copertura di sicurezza sociale. Nel caso dei tirocini post laurea, una retribuzione è in generale raccomandata;

·      trasparenza delle informazioni sui diritti e sugli obblighi: I diritti e gli obblighi del tirocinante, del datore di lavoro e, se del caso, dell'istituto di istruzione devono essere trasparenti e chiari per tutte le parti.

 


 

Articolo 1, commi 37-41
(Licenziamenti individuali)

 

I commi 37-41 modificano la legge n. 604 del 1966, in materia di licenziamenti individuali.

 

Per una puntale analisi dei contenuti della legge n.604 del 1966 e, più in generale, della normativa vigente in materia di licenziamenti individuali, si rinvia alla scheda relativa all’articolo 1, commi 42-43, nel presente dossier.

 

Il comma 37, modificando l’articolo 2, comma 2, della legge n. 604 del 1966, dispone che la comunicazione del licenziamento deve contenere la specificazione dei motivi (mentre la norma vigente prevede che il datore di lavoro è tenuto a comunicare i motivi solo su richiesta del lavoratore).

 

Il comma 38, modificando l’articolo 6, comma 2, della legge n. 604 del 1966, riduce (da 270 giorni) a 180 giorni il termine entro il quale deve essere depositato il ricorso nella cancelleria del tribunale in funzione di giudice del lavoro o deve essere comunicata alla controparte la richiesta del tentativo di conciliazione o arbitrato[34].

 

L’articolo 6 della legge n. 604 del 1966 prevede che il licenziamento deve essere impugnato a pena di decadenza entro sessanta giorni dalla ricezione della sua comunicazione in forma scritta, ovvero dalla comunicazione, anch’essa in forma scritta, dei motivi, ove non contestuale, con qualsiasi atto scritto, anche extragiudiziale, idoneo a rendere nota la volontà del lavoratore anche attraverso l’intervento dell’organizzazione sindacale diretto ad impugnare il licenziamento stesso. L’impugnazione è inefficace se non è seguita, entro il successivo termine di 270 giorni, dal deposito del ricorso nella cancelleria del tribunale in funzione di giudice del lavoro o dalla comunicazione alla controparte della richiesta di tentativo di conciliazione o arbitrato, ferma restando la possibilità di produrre nuovi documenti formatisi dopo il deposito del ricorso. Qualora la conciliazione o l’arbitrato richiesti siano rifiutati o non sia raggiunto l’accordo necessario al relativo espletamento, il ricorso al giudice deve essere depositato a pena di decadenza entro sessanta giorni dal rifiuto o dal mancato accordo.

 

Il comma 39 prevede che il nuovo termine di cui al comma 38 si applica ai soli licenziamenti intimati dopo la data di entrata in vigore della legge.

 

Il comma 40, sostituendo l’articolo 7 della legge n. 604 del 1966, introduce una procedura di conciliazione davanti alla Commissione provinciale di conciliazione presso la Direzione territoriale del lavoro, che il datore di lavoro, avente i requisiti dimensionali previsti dal nuovo articolo 18, comma 8, della legge n.300 del 1970 (i quali restano immutati rispetto al testo attualmente in vigore[35]), deve obbligatoriamente esperire prima di intimare il licenziamento per giustificato motivo oggettivo (ossia il licenziamento determinato da ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa) e si configura, quindi, come condizione di procedibilità. È previsto che nel corso della procedura le parti possano farsi assistere da rappresentanti sindacali, avvocati o consulenti del lavoro. Il comportamento complessivo delle parti in tale sede è valutato dal giudice ai fini della determinazione dell'indennità risarcitoria e della condanna alle spese (o della compensazione, anche parziale, delle stesse).

 

Il comma 41 prevede che il licenziamento intimato all’esito del procedimento disciplinare di cui all’articolo 7 della legge 20 maggio 1970 n. 300[36], oppure all’esito del procedimento di cui all’articolo 7 della legge 15 luglio 1966 n. 604, (come sostituito dal comma 40 del presente articolo), produce effetto dal giorno della comunicazione con cui il procedimento medesimo è stato avviato, salvo l’eventuale diritto del lavoratore al preavviso o alla relativa indennità sostitutiva; è fatto salvo, in ogni caso, l’effetto sospensivo disposto dalle norme del testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela della maternità e della paternità, di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151[37]. Gli effetti rimangono altresì sospesi in caso di impedimento derivante da infortunio occorso sul lavoro. Il periodo di eventuale lavoro svolto in costanza della procedura si considera come preavviso lavorato.


 

Legge 15 luglio 1966, n. 604
Norme sui licenziamenti individuali

Testo vigente

Testo modificato

 

 

Articolo 2

 

1. Il datore di lavoro, imprenditore o non imprenditore, deve comunicare per iscritto il licenziamento al prestatore di lavoro.

 

2. Il prestatore di lavoro può chiedere, entro quindici giorni dalla comunicazione, i motivi che hanno determinato il recesso: in tal caso il datore di lavoro deve, nei sette giorni dalla richiesta, comunicarli per iscritto.

2. La comunicazione del licenziamento deve contenere la specificazione dei motivi che lo hanno determinato.

3. Il licenziamento intimato senza l'osservanza delle disposizioni di cui ai commi 1 e 2 è inefficace.

 

4. Le disposizioni di cui al comma 1 e di cui all'articolo 9 si applicano anche ai dirigenti.

 

 

 

Articolo 6

 

Il licenziamento deve essere impugnato a pena di decadenza entro sessanta giorni dalla ricezione della sua comunicazione in forma scritta, ovvero dalla comunicazione, anch’essa in forma scritta, dei motivi, ove non contestuale, con qualsiasi atto scritto, anche extragiudiziale, idoneo a rendere nota la volontà del lavoratore anche attraverso l’intervento dell’organizzazione sindacale diretto ad impugnare il licenziamento stesso.

 

L’impugnazione è inefficace se non è seguita, entro il successivo termine di duecentosettanta giorni, dal deposito del ricorso nella cancelleria del tribunale in funzione di giudice del lavoro o dalla comunicazione alla controparte della richiesta di tentativo di conciliazione o arbitrato, ferma restando la possibilità di produrre nuovi documenti formatisi dopo il deposito del ricorso. Qualora la conciliazione o l’arbitrato richiesti siano rifiutati o non sia raggiunto l’accordo necessario al relativo espletamento, il ricorso al giudice deve essere depositato a pena di decadenza entro sessanta giorni dal rifiuto o dal mancato accordo.

L’impugnazione è inefficace se non è seguita, entro il successivo termine di centottanta giorni, dal deposito del ricorso nella cancelleria del tribunale in funzione di giudice del lavoro o dalla comunicazione alla controparte della richiesta di tentativo di conciliazione o arbitrato, ferma restando la possibilità di produrre nuovi documenti formatisi dopo il deposito del ricorso. Qualora la conciliazione o l’arbitrato richiesti siano rifiutati o non sia raggiunto l’accordo necessario al relativo espletamento, il ricorso al giudice deve essere depositato a pena di decadenza entro sessanta giorni dal rifiuto o dal mancato accordo.

A conoscere delle controversie derivanti dall'applicazione della presente legge è competente il pretore.

 

 

 

Articolo 7

 

Quando il prestatore di lavoro non possa avvalersi delle procedure previste dai contratti collettivi o dagli accordi sindacali, può promuovere, entro venti giorni dalla comunicazione del licenziamento ovvero dalla comunicazione dei motivi ove questa non sia contestuale a quella del licenziamento, il tentativo di conciliazione presso l'Ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione.

1. Ferma l’applicabilità, per il licenziamento per giusta causa e per giustificato motivo soggettivo, dell’articolo 7 della legge 20 maggio 1970, n. 300, il licenziamento per giustificato motivo oggettivo di cui all’articolo 3, seconda parte, della presente legge, qualora disposto da un datore di lavoro avente i requisiti dimensionali di cui all’articolo 18, ottavo comma, della legge 20 maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni, deve essere preceduto da una comunicazione effettuata dal datore di lavoro alla Direzione territoriale del lavoro del luogo dove il lavoratore presta la sua opera, e trasmessa per conoscenza al lavoratore.

Le parti possono farsi assistere dalle associazioni sindacali a cui sono iscritte o alle quali conferiscono mandato.

2. Nella comunicazione di cui al comma 1, il datore di lavoro deve dichiarare l’intenzione di procedere al licenziamento per motivo oggettivo e indicare i motivi del licenziamento medesimo nonché le eventuali misure di assistenza alla ricollocazione del lavoratore interessato.

Il relativo verbale di conciliazione, in copia autenticata dal direttore dell'Ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione, acquista forza di titolo esecutivo con decreto del pretore.

3. La Direzione territoriale del lavoro trasmette la convocazione al datore di lavoro e al lavoratore nel termine perentorio di sette giorni dalla ricezione della richiesta: l’incontro si svolge dinanzi alla commissione provinciale di conciliazione di cui all’articolo 410 del codice di procedura civile.

Il termine di cui al primo comma dell'articolo precedente è sospeso dal giorno della richiesta all'Ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione fino alla data della comunicazione del deposito in cancelleria del decreto del pretore, di cui al comma precedente o, nel caso di fallimento, del tentativo di conciliazione, fino alla data del relativo verbale.

4. La comunicazione contenente l’invito si considera validamente effettuata quando è recapitata al domicilio del lavoratore indicato nel contratto di lavoro o ad altro domicilio formalmente comunicato dal lavoratore al datore di lavoro, ovvero è consegnata al lavoratore che ne sottoscrive copia per ricevuta.

In caso di esito negativo nel tentativo di conciliazione di cui al primo comma le parti possono definire consensualmente la controversia mediante arbitrato irritale.

5. Le parti possono essere assistite dalle organizzazioni di rappresentanza cui sono iscritte o conferiscono mandato oppure da un componente della rappresentanza sindacale dei lavoratori, ovvero da un avvocato o un consulente del lavoro.

 

6. La procedura di cui al presente articolo, durante la quale le parti, con la partecipazione attiva della commissione di cui al comma 3, procedono ad esaminare anche soluzioni alternative al recesso, si conclude entro venti giorni dal momento in cui la Direzione territoriale del lavoro ha trasmesso la convocazione per l’incontro, fatta salva l’ipotesi in cui le parti, di comune avviso, non ritengano di proseguire la discussione finalizzata al raggiungimento di un accordo. Se fallisce il tentativo di conciliazione e, comunque, decorso il termine di cui al comma 3, il datore di lavoro può comunicare il licenziamento al lavoratore.

 

7. Se la conciliazione ha esito positivo e prevede la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, si applicano le disposizioni in materia di Assicurazione sociale per l’impiego (ASpI) e può essere previsto, al fine di favorirne la ricollocazione professionale, l’affidamento del lavoratore ad un’agenzia di cui all’articolo 4, comma 1, lettere a) e b), del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276.

 

8. Il comportamento complessivo delle parti, desumibile anche dal verbale redatto in sede di commissione provinciale di conciliazione e dalla proposta conciliativa avanzata dalla stessa, è valutato dal giudice per la determinazione dell’indennità risarcitoria di cui all’articolo 18, settimo comma, della legge 20 maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni, e per l’applicazione degli articoli 91 e 92 del codice di procedura civile.».

 

9. In caso di legittimo e documentato impedimento del lavoratore a presenziare all’incontro di cui al comma 3, la procedura può essere sospesa per un massimo di quindici giorni.

 

 


 

Articolo 1, commi 42-43
(Tutele del lavoratore in caso di licenziamento illegittimo)

 

I commi 42 e 43 modificano la disciplina relativa alla tutela del lavoratore in caso di licenziamento illegittimo, prevedendo una riduzione dell’area della tutela reale.

 

L’articolo 1, commi 42 e 43, interviene sulla disciplina relativa alla tutela del lavoratore in caso di licenziamento illegittimo.

 

La disciplina vigente sui licenziamenti individuali

Il quadro normativo vigente dei licenziamenti individuali[38] è riconducibile a una serie di norme che si sono succedute nel tempo (articoli 2118 e 2119 del Codice civile; legge n.604 del 1966; articolo 18 della legge n.300 del 1970; legge n.108 del 1990).

 

a) Regime di libera recedibilità (recesso ad nutum)

Originariamente, per i contratti a tempo indeterminato, l’articolo 2118 del Codice civile prevedeva, in linea generale, un regime di libera recedibiltà delle parti (c.d. recesso ad nutum). Attualmente (per effetto delle normative successive, che hanno dapprima introdotto la “tutela obbligatoria” con la legge n.604 del 1966 e, successivamente, la “tutela reale”  con l’articolo 18 della legge n.300 del 1970), l’area della libera recedibilità si è fortemente ridotta, trovando applicazione unicamente nelle seguenti fattispecie:

§       dirigenti: l’applicabilità ai dirigenti del regime di libera recedibilità discende dal fatto che le leggi vigenti in materia di licenziamenti individuali si riferiscono espressamente ad operai, impiegati e quadri (cfr. articolo 10 della legge n.604 del 1966 e, per i quadri articolo 2, comma 3, della legge n. 190 del 1985). È ammessa l'introduzione di clausole limitative del licenziamento dei dirigenti ad opera di contratti collettivi (Cassazione, Sezioni Unite, sentenza n. 7295 del 9/12/1986). Il diritto alla reintegrazione nel posto di lavoro (c.d. "tutela reale" ai sensi dell'articolo 18  della legge n.300 del 1970) è esteso ai dirigenti in caso di licenziamento "discriminatorio" (cfr. articolo 3 della legge n.108 del 1990);

§       prestatori di lavoro domestico: l'articolo 4, comma 1, della legge n. 108/1990 esclude l'applicazione della disciplina generale in materia di licenziamenti agli addetti ai servizi domestici;

§       sportivi professionisti: tale esclusione è disposta dall'articolo 4, settimo comma 7, della legge 23 marzo 1981, n. 91 (Norme in materia di rapporti tra società e sportivi professionisti);

§       lavoratori assunti in prova: l’articolo 10 della legge n.604 del 1966 esclude l’applicazione della “tutela reale” per i lavoratori assunti in prova, ossia fino a quando l’assunzione diviene definitiva (e, in ogni, caso per un periodo massimo di sei mesi dall'inizio del rapporto;

§       lavoratori ultrasessantenni:in possesso dei requisiti per l'accesso alla pensione, salvo che abbiano optato per la prosecuzione del rapporto di lavoro ai sensi dell'articolo 6 del decreto legge 22 dicembre 1981, n. 791[39], convertito con modificazioni dalla legge 26 febbraio 1982, n. 54[40] (cfr. legge n. 108/1990, articolo 4, comma 1).

 

b) Licenziamenti per giusta causa o giustificato motivo

Ai sensi dell’articolo 1 della legge n. 604/1966, il licenziamento nel rapporto di lavoro a tempo indeterminato può avvenire solo per giusta causa o per giustificato motivo.

La nozione di giusta causa è contenuta nell'articolo 2119 del codice civile, ai sensi del quale ciascuna delle parti del rapporto di lavoro a tempo indeterminato può recedere dal contratto, senza preavviso, qualora si verifichi una causa che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto. L'articolo precisa che non costituisce giusta causa il fallimento dell’imprenditore o la liquidazione coatta amministrativa dell’azienda. La giusta causa ricorre allorché siano commessi fatti di particolare gravità i quali, valutati oggettivamente e soggettivamente, sono tali da configurare una grave e irrimediabile negazione degli elementi essenziali del rapporto. A differenza dei comportamenti che costituiscono giustificato motivo soggettivo, che devono essere strettamente attinenti al rapporto contrattuale, secondo giurisprudenza e dottrina i comportamenti che integrano la giusta causa possono anche essere estranei alla sfera del contratto, ma idonei a produrre riflessi negativi nell’ambiente di lavoro e a deteriorare la fiducia insita nel rapporto di lavoro stesso.

La nozione di giustificato motivo si rinviene nell'articolo 3 della legge n. 604/1966, che dispone che il licenziamento per giustificato motivo è determinato da un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali del prestatore di lavoro, ovvero da ragioni inerenti all'attività produttiva, all'organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa.

Secondo dottrina e giurisprudenza, nel primo caso ("notevole inadempimento degli obblighi contrattuali del prestatore di lavoro") ricorre l'ipotesi del c.d. giustificato motivo soggettivo. Poiché si parla di inadempimento, i fatti che lo configurano devono essere costituiti esclusivamente da comportamenti attinenti al rapporto di lavoro. L’inadempimento si caratterizza in questo caso per essere di minore gravità "quantitativa" rispetto a quello che costituisce giusta causa per il recesso. Peraltro, ove esso non abbia le caratteristiche per essere considerato “notevole”, potrà essere sanzionato solo da misure disciplinari.

Il giustificato motivo oggettivo, invece, è determinato da “ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa”. Secondo la costante interpretazione della giurisprudenza in tali casi spetta al datore di lavoro l’onere di provare il nesso di causalità tra il licenziamento e la riorganizzazione del lavoro; il giudice può valutare l'effettiva sussistenza di tale nesso, ma non può sindacare il merito delle scelte imprenditoriali che portano al licenziamento[41].

Alla tipizzazione delle condotte legittimanti il licenziamento per giusta causa e per giustificato motivo si provvede frequentemente nei contratti collettivi; tali previsioni tuttavia non sono vincolanti per il giudice.

 

c) Tutela reale e tutela obbligatoria

La disciplina vigente, nel caso di licenziamento senza giusta causa o giustificato motivo, distingue un'area nella quale si applica la c.d. "tutela reale" del lavoratore (prevista dall'articolo 18 della legge n.300 del 1970) ed un'area nella quale si applica invece la c.d. "tutela obbligatoria" (di cui all'articolo 8 della L. n. 604/1966). Nel primo caso, il datore di lavoro ha l'obbligo di reintegrare il lavoratore illegittimamente licenziato, salvo che il lavoratore stesso scelga di optare per una indennità sostitutiva della reintegrazione nel posto di lavoro, pari a 15 mensilità di retribuzione globale di fatto; nel secondo caso, spetta al datore di lavoro la scelta tra la reintegrazione del lavoratore e la corresponsione di una indennità pecuniaria.

Ai sensi articolo 18 dello della legge n.300 del 1970, la reintegrazione del lavoratore illegittimamente licenziato nel posto di lavoro (“tutela reale”) si applica nei confronti dei datori di lavoro che occupino più di 15 dipendenti (ovvero 5 dipendenti per gli imprenditori agricoli) in ciascuna sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo nel quale ha avuto luogo il licenziamento.

Si ricorda che la normativa vigente, a parte il caso del licenziamento illegittimo per mancanza di giusta causa o giustificato motivo, prevede la tutela reale (e quindi la reintegrazione), indipendentemente dai limiti dimensionali del datore di lavoro, allorché il giudice abbia:

§       dichiarato il licenziamento inefficace per mancanza della forma scritta o della comunicazione, sempre per iscritto, dei motivi del licenziamento stesso (articolo 2 della legge n. 604/1966)[42];

§       dichiarato la nullità del licenziamento discriminatorio, in quanto determinato (a prescindere dalla motivazione addotta) da ragioni di credo politico o fede religiosa, dall'appartenenza ad un sindacato e dalla partecipazione ad attività sindacali, ovvero da ragioni di discriminazione razziale, di lingua o di sesso (articolo 4 della legge n. 604/1966 e articolo 15 della legge n. 300/1970).

Con la stessa sentenza con cui il giudice dispone la reintegrazione ai sensi dell’articolo 18, comma 1, della legge n.300 del 1970 (che, ai sensi dell'articolo 18, comma 6, è provvisoriamente esecutiva), il giudice condanna il datore di lavoro al risarcimento del danno subito dal lavoratore, stabilendo un’indennità commisurata alla retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione e al versamento dei contributi assistenziali e previdenziali per il medesimo periodo. Il risarcimento non potrà essere inferiore a 5 mensilità di retribuzione globale di fatto (articolo 18, comma 4).

Fermo restando il diritto al risarcimento del danno quantificato come sopra, al prestatore di lavoro è riconosciuta la facoltà di chiedere, in luogo della reintegrazione, un’indennità pari a 15 mensilità di retribuzione globale di fatto (articolo 18, comma 5, della legge n.300 del 1970).

 

Al di fuori del campo di applicazione dell'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, e quindi essenzialmente per le imprese fino a 15 dipendenti, si applica invece la tutela obbligatoria di cui all'articolo 8 della legge n. 604/1966. Tale articolo dispone che, ove non ricorrano gli estremi della giusta causa o del giustificato motivo di licenziamento, "il datore di lavoro è tenuto a riassumere il prestatore di lavoro entro il termine di tre giorni o, in mancanza, a risarcire il danno versandogli un'indennità di importo compreso tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 6 mensilità dell'ultima retribuzione di fatto, avuto riguardo al numero dei dipendenti occupati, alle dimensioni dell'impresa, all'anzianità di servizio del prestatore di lavoro, al comportamento e alle condizioni delle parti. La misura massima della predetta indennità può essere maggiorata fino a 10 mensilità per il prestatore di lavoro con anzianità superiore a dieci anni e fino a 14 mensilità per il prestatore di lavoro con anzianità superiore a venti anni, se dipendenti da datore di lavoro che occupa più di quindici prestatori di lavoro".

A prescindere dalle diverse opinioni prospettate in dottrina ed in giurisprudenza circa la configurazione, dal punto di vista teorico, del rapporto tra le due obbligazioni (riassunzione e risarcimento del danno)[43], è certo che la norma di cui sopra non consente al lavoratore di ottenere, senza il concorso della volontà del datore di lavoro, il ripristino della precedente posizione lavorativa. Per altro verso, il risarcimento previsto nel caso di mancata riassunzione (che deve intendersi comunque dovuto anche quando sia il lavoratore a non voler ripristinare il rapporto, per effetto della sentenza interpretativa di rigetto n. 194 del 28 dicembre 1970 della Corte costituzionale) è comunque inferiore a quello previsto dall'articolo 18 della legge n. 300/1970.

Sussistono poi opinioni diversificate anche in ordine alla questione se la riassunzione dia luogo ad un nuovo rapporto di lavoro (come sembra ritenere l'opinione prevalente), ovvero costituisca la prosecuzione o la rinnovata attuazione del precedente rapporto, questione la cui soluzione ha naturalmente conseguenze significative per vari profili (spettanza di ulteriori erogazioni per i periodi intermedi, anzianità aziendale, trattamento di fine rapporto).

 

d) Casi di divieto di licenziamento

In determinati casi, particolari condizioni del lavoratore comportano, anche in presenza delle cause che ordinariamente lo giustificano, la previsione di un divieto di licenziamento per un periodo limitato (c.d. "periodo di comporto"). Si evidenziano, oltre a quelle individuate dall'articolo 15 dello Statuto dei lavoratori (v. sopra), in particolare le seguenti situazioni:

§       matrimonio della lavoratrice, dal giorno della richiesta delle pubblicazioni fino ad un anno dopo la celebrazione del matrimonio (legge 9 gennaio 1963, n. 7, articolo 1);

§       stato di gravidanza e di puerperio, dall'inizio dello stato di gravidanza fino al compimento di un anno di età del neonato (articolo 54 del decreto legislativo n.151 del 2011);

§       infortunio o malattia professionale, per il periodo stabilito dalla legge o dai contratti collettivi (articolo 2110 del codice civile)[44];

§       malattia generica, che dà diritto alla conservazione del posto per un periodo (stabilito dai contratti collettivi) che varia in dipendenza dell'anzianità di servizio e della categoria di appartenenza (articolo 2110 del codice civile).

Nei predetti casi, il licenziamento può avvenire solo per giusta causa. Peraltro, nell'opinione prevalente, il licenziamento per giustificato motivo - tranne che nel caso delle lavoratrici madri - non è nullo, ma solo temporaneamente inefficace; produrrebbe cioè i propri effetti al termine del periodo "di comporto".

 

Merita ricordare, infine, che l’articolo 18 della legge n.300 del 1970 è stato oggetto di due consultazioni referendarie.

Nel referendum svoltosi il 21 maggio 2000[45], il quesito referendario era volto all'abrogazione dell'articolo 18. Il referendum è risultato non valido, non avendo ad esso partecipato la maggioranza degli aventi diritto. Ad esso ha infatti preso parte solamente il 32,5% degli aventi diritto. Tra i votanti, 4.923.3814 (pari al 33,4%) hanno votato in senso favorevole, mentre 9.834.046 (pari al 66,6%) hanno espresso voto contrario all'abrogazione delle norme in oggetto.

Nel referendum svoltosi il 15 giungo 2003[46], il quesito referendario era volto all’abrogazione delle norme che stabiliscono limiti numerici ed esenzioni per l'applicazione dell'art. 18, con l’obiettivo di estendere l’area della tutela reale (ossia la reintegrazione giudiziale in caso di licenziamento illegittimo). Il referendum, la cui votazione è avvenuta il 15 giugno 2003, è risultato non valido, non avendo ad esso partecipato la maggioranza degli aventi diritto. Ad esso ha infatti preso parte solamente il 25,7% degli aventi diritto. Tra i votanti, 10.245.809 (pari all’87,4%) hanno votato in senso favorevole, mentre 1.483.563 (pari al 12,6%) ha espresso voto contrario all'abrogazione delle norme in oggetto.

 

Il comma 42, lettere a) e b), modifica l’articolo 18 della legge n. 300 del 1970.

La lettera a) sostituisce la rubrica dell’articolo 18 della legge n.300 del 1970, al fine di adeguarla al nuovo contenuto normativo della disposizione (“Tutela del lavoratore in caso di licenziamento illegittimo”[47]).

La lettera b) sostituisce, con 10 nuovi commi, gli attuali commi da 1 a 6 dell’articolo 18 della legge n.300 del 1970, che definiscono la tutela dei lavoratori contro i licenziamenti illegittimi.[48].

Per effetto delle modifiche introdotte, la nuova disciplina a tutela del lavoratore nel caso di licenziamento illegittimo risulta articolata nel modo che segue.

 

A) Licenziamento nullo (commi 1, 2 e 3 del nuovo articolo 18)

Nel caso di licenziamento nullo (perché discriminatorio o adottato in presenza di una causa di divieto[49]) o intimato in forma orale, viene sostanzialmente confermata la normativa vigente, che prevede la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro (tutela reale), indipendentemente dal motivo formalmente addotto e dal numero di dipendenti occupati dal datore di lavoro[50], nonchè un’indennità commisurata all’ultima retribuzione globale maturata dal momento del licenziamento all’effettiva reintegrazione (e comunque non inferiore a 5 mensilità). Resta fermo, poi, che il lavoratore può optare, in alternativa, per un’indennità pari a 15 mensilità dell’ultima retribuzione globale.

 

B) Licenziamento illegittimo per mancanza di giusta causa o di giustificato motivo soggettivo (c.d. licenziamento disciplinare) (commi 4, 5, 7, primo periodo e 8 del nuovo articolo 18)

Nel caso di licenziamento per mancanza di giusta causa o di giustificato motivo soggettivo, rispetto alla disciplina vigente, che prevede in ogni caso l’obbligo di reintegrazione del lavoratore nelle imprese oltre i 15 dipendenti (o oltre i 5 se si tratta di imprenditore agricolo), si introduce una distinzione tra:

·       mancanza di giusta causa o di giustificato motivo connessi a insussistenza del fatto contestato ovvero a fatto che rientra tra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base delle previsioni dei contratti o dei codici disciplinari: in questi casi continua a valere la reintegrazione nel posto di lavoro (tutela reale) (attualmente prevista dalla normativa vigente nelle imprese sopra i 15 dipendenti) e il giudice riconosce un’indennità risarcitoria pari a un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto (Per quanto concerne l’indennità, rispetto alla normativa vigente viene quindi fissato un tetto massimo e, allo stesso tempo, soppresso il limite minimo di 5 mensilità). Riguardo all'obbligo, a carico del datore, di versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali per il periodo intercorrente tra il licenziamento e l'effettiva reintegrazione, si specifica (e trattasi, anche in questo caso, di un elemento di novità rispetto alla normativa vigente) che dalle somme dovute si scomputino i contributi accreditati in favore del lavoratore in conseguenza di eventuali altre attività lavorative (comma 4);

·       mancanza di giusta causa o di giustificato motivo connessi a tutte le restanti ipotesi: in questi casi non opera più la reintegrazione nel posto di lavoro (tutela reale) (attualmente prevista dalla normativa vigente nelle imprese sopra i 15 dipendenti) e il giudice, dichiarando risolto il rapporto di lavoro, riconosce un’indennità determinata tra un minimo di 12 e un massimo di 24 mensilità dell’ultima retribuzione globale (in relazione all’anzianità del lavoratore e tenuto conto del numero dei dipendenti occupati, delle dimensioni dell’attività economica, del comportamento e delle condizioni delle parti, con onere di specifica motivazione a tale riguardo) (comma 5).

 

C) Licenziamento illegittimo per mancanza di giustificato motivo oggettivo (c.d. licenziamento per motivi economici) (comma 7, secondo e terzo periodo, del nuovo articolo 18)

Nel caso di licenziamento illegittimo per mancanza di giustificato motivo oggettivo, non trova più applicazione la reintegrazione nel posto di lavoro (tutela reale) (attualmente prevista dalla normativa vigente nelle imprese sopra i 15 dipendenti) e il giudice riconosce un’indennità determinata tra un minimo di 12 e un massimo di 24 mensilità dell’ultima retribuzione globale; tuttavia, il giudice, nel caso in cui accerti la manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustifico motivo oggettivo, può disporre la reintegrazione nel posto di lavoro (tutela reale) e riconoscere un’indennità risarcitoria pari a un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto.

 

Si segnala che la possibilità per il lavoratore di optare, in alternativa alla reintegrazione nel posto di lavoro (tutela reale), per un’indennità pari a 15 mensilità dell’ultima retribuzione globale (che l’articolo 18, comma 4, della legge n.300 del 1970, nella formulazione attualmente vigente, riconosce in tutti i casi in cui il giudice dispone la reintegrazione nel posto di lavoro), nel testo in esame  è prevista nel solo nel caso di reintegrazione disposta a seguito di dichiarazione di nullità del licenziamento (perché discriminatorio o adottato in presenza di una causa di divieto) e non più nel caso di licenziamento per giusta causa e giustificato motivo.

 

D) Licenziamento inefficace (comma 6 del nuovo articolo 18)

Nel caso di licenziamento inefficace per violazione del requisito di motivazione, della procedura disciplinare o della procedura di conciliazione, non trova più applicazione la reintegrazione nel posto di lavoro (tutela reale) (attualmente prevista dalla normativa vigente nelle imprese sopra i 15 dipendenti)  e il giudice riconosce al lavoratore un’indennità risarcitoria complessiva determinata tra un minimo di 6 e un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale (ai fini della determinazione in concreto dell’indennità il giudice deve tenere conto della gravità della violazione formale o procedurale commessa dal datore di lavoro, e motivare in modo specifico al riguardo).

 

Infine, una serie di disposizioni di tipo trasversale (applicabili cioè in tutte le ipotesi di licenziamenti illegittimi) che innovano la normativa vigente riguardano:

·       il fatto che nella determinazione dell’indennità spettante al lavoratore il giudice debba dedurre quanto eventualmente percepito dal lavoratore, nel periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre attività lavorative (nuovo comma 2) e quanto avrebbe potuto percepire dedicandosi con diligenza alla ricerca di una nuova occupazione (nuovo comma 4), nonché valutare il comportamento delle parti nell’ambito della procedura di conciliazione (nuovo comma 7).

·       l’introduzione di una fattispecie di revoca del licenziamento (individuale) da parte del datore, in virtù della quale, qualora vi sia una revoca entro il termine di quindici giorni dalla comunicazione al datore di lavoro dell’impugnazione del medesimo licenziamento, il rapporto di lavoro si intende ripristinato senza soluzione di continuità, con diritto del lavoratore alla retribuzione maturata nel periodo precedente la revoca, sena applicazione di sanzioni o indennità (comma 10).

 

Il comma 43 integra l’articolo 30, comma 1, della legge n.183 del 2010 (Collegato lavoro), ove si prevede che laddove disposizioni di legge in materia di lavoro contengano clausole generali ("ivi comprese le norme in tema di instaurazione di un rapporto di lavoro, esercizio dei poteri datoriali, trasferimento di azienda e recesso"), il controllo giudiziale è limitato "all’accertamento del presupposto di legittimità e non può essere esteso al sindacato di merito sulle valutazioni tecniche, organizzative e produttive che competono al datore di lavoro o al committente". La modifica è volta a specificare che l'inosservanza di tale limite costituisce motivo di impugnazione del provvedimento giudiziale per violazione di norme di diritto.

 


 

Articolo 1, commi 44-46
(Licenziamenti collettivi)

 

I commi 44-46 modificano la disciplina dei licenziamenti collettivi.

 

I commi 44-46 modificano in più parti la legge n. 223 del 1991, in tema di licenziamenti collettivi.

 

L’istituto del licenziamento collettivo è disciplinato principalmente dall’articolo 24 della L. 23 luglio 1991, n. 223[51]. Le cause che giustificano il ricorso a tale istituto risiedono nella riduzione o trasformazione dell’attività o del lavoro e nella cessazione dell’attività.

L’ipotesi di licenziamento collettivo si verifica nel caso in cui le imprese che occupano più di 15 dipendenti, in conseguenza di una riduzione o trasformazione di attività o di lavoro, intendono effettuare almeno 5 licenziamenti nell’arco temporale di 120 giorni nell’unità produttiva oppure in più unità produttive dislocate nella stessa provincia.

La normativa si applica a tutti i licenziamenti che, nel medesimo arco temporale e nello stesso territorio siano riconducibili alla medesima riduzione o trasformazione.

Qualora sia assente il requisito quantitativo o quello temporale, si applica invece la disciplina sui licenziamenti individuali per giustificato motivo oggettivo.

E’ sempre obbligatoria la verifica della sussistenza di un nesso di causalità tra la trasformazione produttiva effettuata ed il ridimensionamento dei dipendenti[52], nonché un nesso di congruità tra gli stessi (cioè una piccola trasformazione produttiva non può comportare un rilevante numero di licenziamenti). Spetta al datore di lavoro provare l’effettività e la definitività della diminuzione del fabbisogno di forza-lavoro, attraverso la mancata sostituzione dei lavoratori licenziati o l’assenza di ulteriori assunzioni.

Si ricorda che la procedura stabilita per il licenziamento collettivo è applicata anche alle aziende in CIGS, qualora nel corso o al termine del programma si verifichi la necessità di procedere anche ad un solo licenziamento.

La procedura è contenuta nell’articolo 4 della legge n.223 del 1991, che disciplina la procedura per la dichiarazione di mobilità (identica in caso di licenziamenti collettivi). In particolare, tale procedura può essere avviata dall'impresa che sia stata ammessa alla CIGS, qualora nel corso di attuazione del programma - che l'impresa stessa intende attuare con riferimento anche alle eventuali misure previste per fronteggiare le conseguenze sul piano sociale - ritenga di non essere in grado di garantire il reimpiego a tutti i lavoratori sospesi e di non poter ricorrere a misure alternative (comma 1).

La procedura (commi 2-13) consta in una fase cd. sindacale e in una fase cd. amministrativa, nel corso delle quali il datore di lavoro ed i sindacati tentano di trovare soluzioni alternative al licenziamento. Le imprese in primo luogo hanno l’obbligo di effettuare una comunicazione preventiva alle RSA e alle associazioni di categoria della loro intenzione di collocare i lavoratori in mobilità.

Il datore di lavoro imprenditore ha l’obbligo di versare un contributo d’ingresso (tale obbligo non sussiste per i datori di lavoro non imprenditori) e di comunicare alle RSA l’intenzione di ridurre il personale e di collocare i lavoratori in esubero in mobilità. Le RSA possono richiedere un esame congiunto della situazione con il datore di lavoro, al fine di trovare un accordo alternativo. Terminata tale fase, il datore comunica alla Direzione del lavoro competente l’esito dell’esame e i motivi dell’eventuale mancato accordo. Se l’esame sindacale non è stato fatto o non è stato trovato un accordo, la Direzione del lavoro può convocare le parti e tentare di trovare un ulteriore accordo. Se anche in questa fase non viene trovato un accordo alternativo alla messa in mobilità, il datore di lavoro può procedere al licenziamento del personale. L’inosservanza degli adempimenti procedurali comporta la violazione della procedura stessa e la conseguente inefficacia dei licenziamenti[53]. In tal caso i lavoratori hanno diritto alla reintegrazione, da far valere mediante impugnazione del recesso entro 60 giorni dal ricevimento della comunicazione, con qualsiasi atto scritto, anche extragiudiziale. Nei casi di inefficacia dei licenziamenti, per i datori di lavoro non imprenditori si applica la disciplina della tutela obbligatoria dei licenziamenti, di cui alla L. 604/1966, e non la tutela reale di cui all’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori.

Più specificamente, il comma 9 del richiamato articolo 4 dispone l'ambito di applicabilità dei licenziamenti collettivi per riduzione di personale, prescrivendo che, una volta raggiunto l'accordo sindacale sulle cause e sulla necessità di procedere in tal senso (ovvero esperita una diversa procedura presso gli uffici del lavoro), l'impresa comunichi ai destinatari l'intervenuto recesso e contestualmente ne comunichi l'elenco, ai fini del collocamento in mobilità, agli uffici territoriali competenti ed alle associazioni di categoria.

L’imprenditore è tenuto a fornire ai sindacati ed agli organi amministrativi una comunicazione relativa alle modalità con cui sono stati applicati i criteri di scelta dei lavoratori da licenziare. Al riguardo, l’articolo 5 prevede che l'individuazione dei lavoratori da collocare in mobilità deve avvenire, in relazione alle esigenze tecnico-produttive ed organizzative del complesso aziendale, nel rispetto dei criteri previsti da contratti collettivi stipulati con i sindacati, ovvero, in mancanza di contratti, nel rispetto dei seguenti criteri, in concorso tra loro: a)  carichi di famiglia; b)  anzianità; c)  esigenze tecnico-produttive ed organizzative .

Tutti i lavoratori subordinati a tempo indeterminato, il cui rapporto sia cessato in ragione di un licenziamento collettivo sono collocati in mobilità,con diritto alla corresponsione della relativa indennità in caso di possesso di determinati requisiti di anzianità.

 

I commi 44 e 45 intervengono sulla procedura sindacale che deve seguire il datore di lavoro il quale intenda intimare licenziamenti collettivi, prevedendo:

·       che la comunicazione dell’elenco dei lavoratori collocati in mobilità, che l’impresa deve effettuare nei confronti di determinati soggetti pubblici, avvenga non contestualmente (come prevede, attualmente, l’articolo 4, comma 9, della legge n.  223 del 1991), bensì entro sette giorni dalla comunicazione dei recessi a ciascuno dei lavoratori interessati (comma 1);

·       che gli eventuali vizi della comunicazione preventiva alle rappresentanze sindacali aziendali e alle rispettive associazioni di categoria (con la quale inizia la procedura di licenziamento collettivo) sono sanabili, ad ogni effetto di legge, nell’ambito di un accordo sindacale concluso nel corso della medesima procedura (comma 2).

 

Il comma 46 è volto ad adeguare le conseguenze sanzionatorie dei licenziamenti illegittimi o inefficaci, intimati ai singoli lavoratori all’esito della procedura di licenziamento collettivo, al nuovo testo dell’articolo 18 della legge n.300 del 1970 (Statuto dei lavoratori) introdotto dal disegno di legge in esame[54].

In particolare, si prevede che:

·       in caso di recesso intimato senza l’osservanza della forma scritta, si applica il regime sanzionatorio previsto dal nuovo testo dell’articolo 18, comma 1, della legge n.300 del 1970 (ossia la reintegrazione nel posto di lavoro e una indennità commisurata all’ultima retribuzione globale maturata dal momento del licenziamento all’effettiva reintegrazione, comunque non inferiore a 5 mensilità);

·       in caso di recesso intimato senza il rispetto della procedura sindacale prevista dall’articolo 4, comma 12, della legge n. 223 del 1991, si applica la tutela prevista per i licenziamenti economici dal nuovo testo dell’articolo 18, comma 7, terzo periodo, della legge n.300 del 1970 (ossia indennità determinata tra un minimo di 12 e un massimo di 24 mensilità dell’ultima retribuzione globale);

·       in caso di recesso intimato violando i criteri di scelta dei lavoratori da collocare in mobilità (elencati dall’articolo 5 della legge n. 223 del 1991), si applica la tutela reale prevista dal nuovo testo dell’articolo 18, comma 4, della legge n.300 del 1970 (ossia la reintegrazione nel posto di lavoro e una indennità commisurata all’ultima retribuzione globale maturata dal momento del licenziamento all’effettiva reintegrazione, comunque non superiore a 12 mensilità).

 

Infine, si prevede che in tali ipotesi, ai fini dell’impugnazione dei licenziamenti, trovino applicazione le disposizioni di cui all’articolo 6 della legge n. 604 del 1966.

 

L’articolo 6 della legge n. 604 del 1966 prevede che il licenziamento debba essere impugnato con qualsiasi atto scritto, anche stragiudiziale, idoneo a manifestare la volontà del lavoratore, entro 60 giorni dalla sua comunicazione per iscritto, e che nei successivi 270 giorni (180 giorni ai sensi dell’articolo 1, comma 38, del presente disegno di legge) debba essere depositato il ricorso nella cancelleria del tribunale in funzione di giudice del lavoro o debba essere comunicata alla controparte la richiesta del tentativo di conciliazione.

Procedure di contenzioso

Si segnala che la Commissione ha aperto il 25 giugno 2009 una procedura di infrazione (proc. n. 2007/4652) con l’invio di una lettera di messa in mora nei confronti dell’Italia per la non corretta attuazione della direttiva 98/59/CE del 20 luglio 1998 concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di licenziamenti collettivi.

La non corretta attuazione riguarda in particolare l’articolo 1, paragrafo 2 della direttiva 98/59/CE,che stabilisce in modo esaustivo le eccezioni all’applicazione della procedura sui licenziamenti collettivi. La legge n. 223 del 1991, con la quale le autorità italiane hanno comunicato di aver recepito la direttiva nel diritto interno avrebbe, infatti, esteso, ben oltre le previsioni della direttiva, l’ambito dei lavoratori esclusi dall’applicazione delle garanzie procedurali previste dalla direttiva 98/59/CE, escludendo la categoria dei dirigenti, che sarebbero conteggiati nel calcolo della forza lavoro dello stabilimento, ai fini dell’applicazione della procedura di licenziamento collettivo, ma non sarebbero considerati nel computo del numero dei lavoratori interessati dal licenziamento, con ciò escludendoli dalle garanzia procedurali previste dalla direttiva 98/59/CE.

Il Governo italiano è in attesa del riscontro dai servizi della Commissione alla nota, inoltrata il 21 dicembre 2011, con la quale il Ministero del lavoro risponde alla censura avanzate dalla Commissione europea, e che illustra il sistema complessivo di tutela previsto dall’ordinamento italiano per i dirigenti in caso di licenziamento.

 


 

Legge 23 luglio 1991, n. 223
Norme in materia di cassa integrazione, mobilità, trattamenti di disoccupazione, attuazione di direttive della Comunità europea, avviamento al lavoro ed altre disposizioni in materia di mercato del lavoro

Testo vigente

Testo modificato

 

 

Art. 4
(Procedura per la dichiarazione di mobilità)

 

 

 

1. L'impresa che sia stata ammessa al trattamento straordinario di integrazione salariale, qualora nel corso di attuazione del programma di cui all'articolo 1 ritenga di non essere in grado di garantire il reimpiego a tutti i lavoratori sospesi e di non poter ricorrere a misure alternative, ha facoltà di avviare le procedure di mobilità ai sensi del presente articolo.

 

2. Le imprese che intendano esercitare la facoltà di cui al comma 1 sono tenute a darne comunicazione preventiva per iscritto alle rappresentanze sindacali aziendali costituite a norma dell'art. 19, L. 20 maggio 1970, n. 300, nonché alle rispettive associazioni di categoria. In mancanza delle predette rappresentanze la comunicazione deve essere effettuata alle associazioni di categoria aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale. La comunicazione alle associazioni di categoria può essere effettuata per il tramite dell'associazione dei datori di lavoro alla quale l'impresa aderisce o conferisce mandato.

 

3. La comunicazione di cui al comma 2 deve contenere indicazione: dei motivi che determinano la situazione di eccedenza; dei motivi tecnici, organizzativi o produttivi, per i quali si ritiene di non poter adottare misure idonee a porre rimedio alla predetta situazione ed evitare, in tutto o in parte, la dichiarazione di mobilità; del numero, della collocazione aziendale e dei profili professionali del personale eccedente, nonché del personale abitualmente impiegato; dei tempi di attuazione del programma di mobilità; delle eventuali misure programmate per fronteggiare le conseguenze sul piano sociale della attuazione del programma medesimo del metodo di calcolo di tutte le attribuzioni patrimoniali diverse da quelle già previste dalla legislazione vigente e dalla contrattazione collettiva. Alla comunicazione va allegata copia della ricevuta del versamento all'INPS, a titolo di anticipazione sulla somma di cui all'articolo 5, comma 4, di una somma pari al trattamento massimo mensile di integrazione salariale moltiplicato per il numero dei lavoratori ritenuti eccedenti.

 

4. Copia della comunicazione di cui al comma 2 e della ricevuta del versamento di cui al comma 3 devono essere contestualmente inviate all'Ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione.

 

5. Entro sette giorni dalla data del ricevimento della comunicazione di cui al comma 2, a richiesta delle rappresentanze sindacali aziendali e delle rispettive associazioni si procede ad un esame congiunto tra le parti, allo scopo di esaminare le cause che hanno contribuito a determinare l'eccedenza del personale e le possibilità di utilizzazione diversa di tale personale, o di una sua parte, nell'ambito della stessa impresa, anche mediante contratti di solidarietà e forme flessibili di gestione del tempo di lavoro. Qualora non sia possibile evitare la riduzione di personale, è esaminata la possibilità di ricorrere a misure sociali di accompagnamento intese, in particolare, a facilitare la riqualificazione e la riconversione dei lavoratori licenziati. I rappresentanti sindacali dei lavoratori possono farsi assistere, ove lo ritengano opportuno, da esperti.

 

6. La procedura di cui al comma 5 deve essere esaurita entro quarantacinque giorni (24) dalla data del ricevimento della comunicazione dell'impresa. Quest'ultima dà all'Ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione comunicazione scritta sul risultato della consultazione e sui motivi del suo eventuale esito negativo. Analoga comunicazione scritta può essere inviata dalle associazioni sindacali dei lavoratori.

 

7. Qualora non sia stato raggiunto l'accordo, il direttore dell'Ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione convoca le parti al fine di un ulteriore esame delle materie di cui al comma 5, anche formulando proposte per la realizzazione di un accordo. Tale esame deve comunque esaurirsi entro trenta giorni dal ricevimento da parte dell'Ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione della comunicazione dell'impresa prevista al comma 6.

 

8. Qualora il numero dei lavoratori interessati dalla procedura di mobilità sia inferiore a dieci, i termini di cui ai commi 6 e 7 sono ridotti alla metà.

 

9. Raggiunto l'accordo sindacale ovvero esaurita la procedura di cui ai commi 6, 7 e 8, l'impresa ha facoltà di collocare in mobilità gli impiegati, gli operai e i quadri eccedenti, comunicando per iscritto a ciascuno di essi il recesso, nel rispetto dei termini di preavviso. Contestualmente, l'elenco dei lavoratori collocati in mobilità, con l'indicazione per ciascun soggetto del nominativo, del luogo di residenza, della qualifica, del livello di inquadramento, dell'età, del carico di famiglia, nonché con puntuale indicazione delle modalità con le quali sono stati applicati i criteri di scelta di cui all'articolo 5, comma 1, deve essere comunicato per iscritto all'Ufficio regionale del lavoro e della massima occupazione competente, alla Commissione regionale per l'impiego e alle associazioni di categoria di cui al comma 2.

9. Raggiunto l'accordo sindacale ovvero esaurita la procedura di cui ai commi 6, 7 e 8, l'impresa ha facoltà di collocare in mobilità gli impiegati, gli operai e i quadri eccedenti, comunicando per iscritto a ciascuno di essi il recesso, nel rispetto dei termini di preavviso. Entro sette giorni dalla comunicazione dei recessi, l'elenco dei lavoratori collocati in mobilità, con l'indicazione per ciascun soggetto del nominativo, del luogo di residenza, della qualifica, del livello di inquadramento, dell'età, del carico di famiglia, nonché con puntuale indicazione delle modalità con le quali sono stati applicati i criteri di scelta di cui all'articolo 5, comma 1, deve essere comunicato per iscritto all'Ufficio regionale del lavoro e della massima occupazione competente, alla Commissione regionale per l'impiego e alle associazioni di categoria di cui al comma 2.

10. Nel caso in cui l'impresa rinunci a collocare in mobilità i lavoratori o ne collochi un numero inferiore a quello risultante dalla comunicazione di cui al comma 2, la stessa procede al recupero delle somme pagate in eccedenza rispetto a quella  dovuta ai sensi dell'articolo 5, comma 4, mediante conguaglio con i contributi dovuti all'INPS, da effettuarsi con il primo versamento utile successivo alla data di determinazione del numero dei lavoratori posti in mobilità.

 

11. Gli accordi sindacali stipulati nel corso delle procedure di cui al presente articolo, che prevedano il riassorbimento totale o parziale dei lavoratori ritenuti eccedenti, possono stabilire, anche in deroga al secondo comma dell'articolo 2103 del codice civile, la loro assegnazione a mansioni diverse da quelle svolte.

 

12. Le comunicazioni di cui al comma 9 sono prive di efficacia ove siano state effettuate senza l'osservanza della forma scritta e delle procedure previste dal presente articolo.

12. Le comunicazioni di cui al comma 9 sono prive di efficacia ove siano state effettuate senza l'osservanza della forma scritta e delle procedure previste dal presente articolo. Gli eventuali vizi della comunicazione di cui al comma 2 del presente articolo possono essere sanati, ad ogni effetto di legge, nell’ambito di un accordo sindacale concluso nel corso della procedura di licenziamento collettivo.

13. I lavoratori ammessi al trattamento di cassa integrazione, al termine del periodo di godimento del trattamento di integrazione salariale, rientrano in azienda.

 

14. Il presente articolo non trova applicazione nel caso di eccedenze determinate da fine lavoro nelle imprese edili e nelle attività stagionali o saltuarie, nonché per i lavoratori assunti con contratto di lavoro a tempo determinato.

 

15. Nei casi in cui l'eccedenza riguardi unità produttive ubicate in diverse province della stessa regione ovvero in più regioni, la competenza a promuovere l'accordo di cui al comma 7 spetta rispettivamente al direttore dell'Ufficio regionale del lavoro e della massima occupazione ovvero al Ministro del lavoro e della previdenza sociale. Agli stessi vanno inviate le comunicazioni previste dal comma 4.

 

15-bis. Gli obblighi di informazione, consultazione e comunicazione devono essere adempiuti indipendentemente dal fatto che le decisioni relative all'apertura delle procedure di cui al presente articolo siano assunte dal datore di lavoro o da un'impresa che lo controlli. Il datore di lavoro che viola tali obblighi non può eccepire a propria difesa la mancata trasmissione, da parte dell'impresa che lo controlla, delle informazioni relative alla decisione che ha determinato l'apertura delle predette procedure.

 

16. Sono abrogati gli articoli 24 e 25 della legge 12 agosto 1977, n. 675 , le disposizioni del decreto-legge 30 marzo 1978, n. 80 ,convertito, con modificazioni, dalla legge 26 maggio 1978, n. 215, ad eccezione dell'articolo 4-bis, nonché il decreto-legge 13 dicembre 1978, n. 795 , convertito, con modificazioni, dalla legge 9 febbraio 1979, n. 36.

 

 

 

Art. 5
(Criteri di scelta dei lavoratori ed oneri a carico delle imprese)

 

1. L'individuazione dei lavoratori da collocare in mobilità deve avvenire, in relazione alle esigenze tecnico- produttive ed organizzative del complesso aziendale, nel rispetto dei criteri previsti da contratti collettivi stipulati con i sindacati di cui all'articolo 4, comma 2, ovvero, in mancanza di questi contratti, nel rispetto dei seguenti criteri, in concorso tra loro:

 

a) carichi di famiglia;

 

b) anzianità: esigenze tecnico-produttive ed organizzative

 

c) esigenze tecnico-produttive ed organizzative

 

2. Nell'operare la scelta dei lavoratori da collocare in mobilità, l'impresa è tenuta al rispetto dell'articolo 9, ultimo comma, del decreto-legge 29 gennaio 1983, n. 17 ,convertito, con modificazioni, dalla legge 25 marzo 1983, n. 79. L'impresa non può altresì collocare in mobilità una percentuale di manodopera femminile superiore alla percentuale di manodopera femminile occupata con riguardo alle mansioni prese in considerazione.

 

3. Il recesso di cui all'art. 4, comma 9, è inefficace qualora sia intimato senza l'osservanza della forma scritta o in violazione delle procedure richiamate all'articolo 4, comma 12, ed è annullabile in caso di violazione dei criteri di scelta previsti dal comma 1 del presente articolo. Salvo il caso di mancata comunicazione per iscritto, il recesso può essere impugnato entro sessanta giorni dal ricevimento della comunicazione con qualsiasi atto scritto, anche extragiudiziale, idoneo a rendere nota la volontà del lavoratore anche attraverso l'intervento delle organizzazioni sindacali. Al recesso di cui all'articolo 4, comma 9, del quale sia stata dichiarata l'inefficacia o l'invalidità, si applica l'articolo 18, legge 20 maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni.

3. Qualora il licenziamento sia intimato senza l’osservanza della forma scritta, si applica il regime sanzionatorio di cui all’articolo 18, primo comma, della legge 20 maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni. In caso di violazione delle procedure richiamate all’articolo 4, comma 12, si applica il regime di cui al terzo periodo del settimo comma del predetto articolo 18. In caso di violazione dei criteri di scelta previsti dal comma 1, si applica il regime di cui al quarto comma del medesimo articolo 18. Ai fini dell’impugnazione del licenziamento si applicano le disposizioni di cui all’articolo 6 della legge 15 luglio 1966, n. 604, e successive modificazioni.

4. Per ciascun lavoratore posto in mobilità l'impresa è tenuta a versare alla gestione degli interventi assistenziali e di sostegno alle gestioni previdenziali, di cui all'articolo 37, legge 9 marzo 1989, n. 88 in trenta rate mensili, una somma pari a sei volte il trattamento mensile iniziale di mobilità spettante al lavoratore. Tale somma è ridotta alla metà quando la dichiarazione di eccedenza del personale di cui all'articolo 4, comma 9, abbia formato oggetto di accordo sindacale.

 

5. L'impresa che, secondo le procedure determinate dalla Commissione regionale per l'impiego, procuri offerte di lavoro a tempo indeterminato aventi le caratteristiche di cui all'art. 9, comma 1, lettera b), non è tenuta al pagamento delle rimanenti rate relativamente ai lavoratori che perdano il diritto al trattamento di mobilità in conseguenza del rifiuto di tali offerte ovvero per tutto il periodo in cui essi, accettando le offerte procurate dalla impresa, abbiano prestato lavoro. Il predetto beneficio è escluso per le imprese che si trovano, nei confronti dell'impresa disposta ad assumere nei rapporti di cui all'art. 8, comma 4-bis.

 

6. Qualora il lavoratore venga messo in mobilità dopo la fine del dodicesimo mese successivo a quello di emanazione del decreto di cui all'articolo 2, comma 1, e la fine del dodicesimo mese successivo a quello del completamento del programma di cui all'articolo 1, comma 2, nell'unità produttiva in cui il lavoratore era occupato, la somma che l'impresa è tenuta a versare ai sensi del comma 4 del presente articolo è aumentata di cinque punti percentuali per ogni periodo di trenta giorni intercorrente tra l'inizio del tredicesimo mese e la data di completamento del programma. Nel medesimo caso non trova applicazione quanto previsto dal secondo comma dell'articolo 2 della legge 8 agosto 1972, n. 464.

 

 

 


 

Articolo 1, commi 47-69
(Rito speciale per le controversie in materia di licenziamenti)

 

I commi da 47 a 69 introducono un rito speciale per le controversie relative all’impugnativa dei licenziamenti nelle ipotesi previste dal nuovo art. 18 della legge n. 300 del 1970, nonché alle questioni relative alla qualificazione del rapporto di lavoro.

 

La disciplina vigente

II processo del lavoro è disciplinato da un rito speciale introdotto dalla legge n. 533/1973 per la trattazione di tutte le controversie individuali relative a rapporti di lavoro ed in materia di previdenza ed assistenza obbligatorie.

Tale rito, disciplinato dagli articoli 409 e seguenti del codice di procedura civile, si differenzia da quello ordinario per una maggiore celerità, per i più ampi poteri istruttori riconosciuti al giudice del lavoro e per il favor alla conciliazione della controversia. Giudice competente è il Tribunale in composizione monocratica in funzione di giudice del lavoro; la competenza per territorio si determina in relazione al luogo in cui è sorto il rapporto, o quello in cui si trova l'azienda ovvero una sua dipendenza presso la quale il rapporto ha o aveva effettivo svolgimento

La controversia - che può essere preceduta da un tentativo di conciliazione[55] (anche tramite il proprio sindacato) presso la competente commissione di conciliazione istituita presso la Direzione provinciale del lavoro - può riguardare qualsiasi aspetto del rapporto di lavoro e in particolare: l'impugnazione dei licenziamenti e dei trasferimenti; l'applicazione di sanzioni disciplinari; la violazione delle regole relative alla costituzione del rapporto; le pretese di natura retributiva (mensilità, trattamento di fine rapporto, ecc.); il risarcimento dei danni conseguenti a violazioni di regole imperative (mancata fruizione di ferie, danni da infortunio, mancato versamento dei contributi previdenziali, ecc.); l'inquadramento del lavoratore (attribuzione a mansioni superiori, demansionamento, ecc.).

In particolare, per qual che riguarda il licenziamento individuale, ai sensi dell’art. 6 della legge n. 604 del 1966 (come modificato dalla legge n. 183/2010), questo va impugnato a pena di decadenza entro 60 giorni dalla ricezione della sua comunicazione in forma scritta da parte del datore di lavoro (ovvero dalla comunicazione, anch’essa in forma scritta, dei motivi, ove non contestuale), con qualsiasi atto scritto, anche extragiudiziale, idoneo a rendere nota la volontà del lavoratore (anche attraverso l’intervento dell’organizzazione sindacale diretto ad impugnare il licenziamento stesso). L’impugnazione è inefficace se non è seguita, entro il successivo termine di 270 giorni, dal deposito del ricorso nella cancelleria del tribunale in funzione di giudice del lavoro o dalla comunicazione alla controparte della richiesta di tentativo di conciliazione o arbitrato, ferma restando la possibilità di produrre nuovi documenti formatisi dopo il deposito del ricorso. Qualora la conciliazione o l’arbitrato richiesti siano rifiutati o non sia raggiunto l’accordo necessario al relativo espletamento, il ricorso al giudice deve essere depositato a pena di decadenza entro sessanta giorni dal rifiuto o dal mancato accordo

La domanda relativa alle controversie di lavoro va proposta con ricorso, il cui contenuto è dettato dall’art. 414 c.p.c. (indicazione del giudice, generalità e residenza delle parti, determinazione dell'oggetto della domanda, esposizione dei fatti e degli elementi di diritto sui quali si fonda la domanda con le relative conclusioni, indicazione specifica dei mezzi di prova di cui il ricorrente intende avvalersi e in particolare dei documenti che si offrono in comunicazione).Il giudice, entro 5 gg. dal deposito del ricorso, fissa con decreto l’udienza di discussione-comparizione.

Specifici termini procedurali sono indicati dall’art. 415;infatti:

-    tra il giorno del deposito del ricorso e l'udienza di discussione non devono decorrere più di 60 giorni;

-    il ricorso, con il decreto di fissazione dell'udienza, deve essere notificato al convenuto, a cura dell'attore, entro 10 giorni dalla data di pronuncia del decreto;

-    tra la data di notificazione al convenuto e quella dell'udienza di discussione deve intercorrere un termine non minore di 30 giorni;

-    ai sensi dell’art. 416, inoltre, il convenuto deve costituirsi almeno 10 giorni prima dell'udienza, con deposito in cancelleria di una memoria difensiva, nella quale devono essere proposte, a pena di decadenza, le eventuali domande in via riconvenzionale e le eccezioni processuali e di merito che non siano rilevabili d'ufficio.

All’udienza di discussione (art. 420), il giudice interroga le parti sui fatti della causa, tenta la conciliazione della lite e formula una proposta transattiva. Inoltre, ammette i mezzi di prova (di solito, esaurendone l’assunzione nella stessa udienza); individua gli atti irregolari indicando un termine per sanarli; provvede, in caso di chiamata in causa del terzo, alla fissazione di una nuova udienza; dispone l’assunzione di nuovi mezzi di prova e su domanda di parte, l’accesso ai luoghi di lavoro e l’eventuale assunzione di testimoni sugli stessi luoghi. Su istanza di parte può disporre con ordinanza il pagamento di somme non contestate ovvero di una provvisionale. Al termine della discussione, ascoltate le conclusioni delle parti, il giudice pronuncia sentenza con cui definisce il giudizio; solo se lo ritiene necessario può concedere alle parti di depositare entro 10 gg. note difensive rinviando la decisione ad una prossima udienza. La sentenza è depositata in cancelleria entro 15 gg dalla pronuncia (60 gg. in caso di particolare complessità della controversia) e, se pronuncia condanna al pagamento di somme per crediti di lavoro (provvisoriamente esecutiva), il giudice deve determinare anche gli interessi legali; se il diritto è accertato ma è incerto il quantum, il giudice procede ad una liquidazione della somma per via equitativa.

La sentenza di primo grado può essere impugnata con ricorso davanti alla competente corte d’appello, in funzione di giudice del lavoro (art. 433). Il ricorso deve essere depositato nella cancelleria della corte di appello entro 30 giorni dalla notificazione della sentenza e deve contenere l'esposizione sommaria dei fatti e i motivi specifici dell'impugnazione, nonché le indicazioni prescritte dal citato articolo 414.

Il presidente della corte di appello, entro 5 giorni dalla data di deposito del ricorso, nomina il giudice relatore e fissa, non oltre 60 giorni dalla data medesima, l'udienza di discussione dinanzi al collegio Nei dieci giorni successivi al deposito del decreto, l’appellante provvede alla notifica del ricorso e del decreto all'appellato. Tra la notificazione all'appellato e l'udienza di discussione deve intercorrere un termine non minore di 25 giorni. L’appellante si costituisce almeno 10 gg. prima dell’udienza mediante deposito in cancelleria del fascicolo e di una memoria difensiva, nella quale deve essere contenuta dettagliata esposizione di tutte le sue difese. Nell'udienza di discussione non sono ammesse nuove domande ed eccezioni nè nuovi mezzi di prova, tranne il giuramento estimatorio (salvo che il collegio, anche d'ufficio, li ritenga indispensabili ai fini della decisione).

Il giudice incaricato fa la relazione orale della causa ed il collegio, sentiti i difensori delle parti, pronuncia sentenza dando lettura del dispositivo nella stessa udienza (art. 437). Il deposito della decisione va fatto entro 15 gg. dalla pronuncia.

 

Le principali novità del rito speciale

Per le controversie sull’impugnazione dei licenziamenti previsti dal nuovo art. 18 dello Statuto dei lavoratoriviene introdotto dalla riforma un rito particolarmente snello che elimina tutte le formalità procedurali ritenute non essenziali al contraddittorio. Il rito può, tuttavia, articolarsi in quattro gradi di giudizio.

Il procedimento si svolge essenzialmente in due fasi.

-    una prima fase, necessaria, volta ad assicurare una tutela urgente del lavoratore e che si conclude con una rapida decisione di accoglimento o meno della domanda;

-    una seconda fase, eventuale,che prende avvio con l’opposizione tramite ricorso avverso la decisione di accoglimento o rigetto (strutturata sul giudizio di merito di primo grado davanti al giudice del lavoro, già previsto dal codice di procedura civile).

 

La fase della tutela urgente – che è quella che costituisce la maggiore novità della procedura - si apre con il ricorso al Tribunale del Lavoro, con il quale il lavoratore può opporsi alla decisione del datore di lavoro. In questo caso il giudice è tenuto a fissare l’udienza preliminare entro 40 giorni dal deposito del ricorso (attualmente il termine è di 60 gg.).

L’art. 415, commi 4 e 5, c.p.c. prevede che il ricorso, con il decreto di fissazione dell'udienza, deve essere notificato al convenuto, a cura dell'attore, entro 10 giorni dalla data di pronuncia del decreto e che tra la data di notificazione al convenuto e quella dell'udienza di discussione deve intercorrere un termine minimo di 30 giorni.

Punto centrale di questa prima fase è l’ampia discrezionalità del giudice nella gestione dell’istruttoria con l’omissione di ogni formalità che egli ritenga non essenziale al contraddittorio. Già alla prima udienza, il giudice decide con ordinanza immediatamente esecutiva.

La fase successiva - sempre davanti allo stesso Tribunale del lavoro - è quella della possibile opposizione (con ricorso) all’ordinanza di accoglimento o di rigetto del ricorso, da depositare entro 30 giorni dalla comunicazione della decisione. Il termine di fissazione dell’udienza di discussione è di 60 giorni. Al contrario che per la prima fase urgente, qui si detta un termine di 10 gg. prima dell’udienza di discussione per la costituzione dell’opposto, mediante memoria scritta.

Dopo la decisione sull’opposizione si passa ad una eventuale terza fase che è quella del reclamo davanti alla Corte d’Appello (si rileva che il reclamo è normalmente rivolto allo stesso giudice che ha emesso il provvedimento che si impugna, v. ad es., art. 18, co. 8, Statuto dei lavoratori)). Il reclamodeve essere depositato entro trenta giorni dalla comunicazione della decisione, con udienza di discussione entro 60 giorni dal reclamo-ricorso.

Infine, l’ultima istanza è quella del ricorso alla Corte di Cassazione, entro 60 giorni dalla decisione d'appello, con udienza che va fissata non oltre 6 mesi dalla proposizione del ricorso.

 

Si osserva che non è prevista, nelle disposizioni sul nuovo rito speciale d’impugnazione dei licenziamenti, una disposizione di chiusura che, al fine di  evitare lacune normative, rinvii, per quanto non previsto dalle nuove disposizioni processuali, alla sezione II del capo I del titolo IV del libro II del codice di procedura civile, relative al rito del lavoro.

 

Le disposizioni sul procedimento d’impugnazione del licenziamento

La specifica disciplina procedurale è contenuta nei commi 48 e seguenti dell’art. 1 che dettano le disposizioni sul procedimento d’impugnazione del licenziamento.

 

Viene stabilito dal comma 48 che il licenziamento va impugnato davanti al Tribunale in funzione di giudice del lavoro con ricorso avente i requisiti di cui all’articolo 125 c.p.c.; con il ricorso non possono essere proposte domande diverse da quelle di cui al comma 47 (impugnazione del licenziamento o domanda inerente la qualificazione del rapporto di lavoro) salvo che siano fondate sugli identici fatti costitutivi.

 

L'articolo 125 c.p.c. disciplina in generale il contenuto e la sottoscrizione degli atti di parte. La norma prevede che la citazione, il ricorso, la comparsa, il controricorso, il precetto debbono indicare l'ufficio giudiziario, le parti, l'oggetto, le ragioni della domanda e le conclusioni o l'istanza, e, tanto nell'originale quanto nelle copie da notificare, debbono essere sottoscritti dalla parte, se essa sta in giudizio personalmente, oppure dal difensore che indica il proprio codice fiscale. Il difensore deve, altresì, indicare l'indirizzo di posta elettronica certificata comunicato al proprio ordine e il proprio numero di fax. La procura al difensore dell'attore può essere rilasciata in data posteriore alla notificazione dell'atto, purché anteriormente alla costituzione della parte rappresentata. La disposizione del comma precedente non si applica quando la legge richiede che la citazione sia sottoscritta dal difensore munito di mandato speciale.

A seguito della presentazione del ricorso, il giudice fissa l’udienza di comparizione delle parti non oltre 40 giorni dal deposito dello stesso ricorso, con decreto da notificarsi a cura del ricorrente, anche a mezzo di posta elettronica certificata. Sia il ricorso che il decreto vanno notificati alla controparte – a cura del ricorrente - entro un termine, assegnato dal giudice, non inferiore a 25 giorni prima dell’udienza; il resistente deve, invece, costituirsi in giudizio almeno 5 gg. prima dell’udienza.

 

Il comma 49 riguarda la decisione del giudice. Questi, sentite le parti e omessa ogni formalità non essenziale al contraddittorio, procede nel modo che ritiene più opportuno agli atti di istruzione indispensabili richiesti dalle parti o disposti d’ufficio e provvede, con ordinanza immediatamente esecutiva, all’accoglimento o al rigetto della domanda.

L'efficacia esecutiva dell’ordinanza non può essere sospesa o revocata fino alla pronuncia della sentenza con cui lo stesso tribunale, adito per l’eventuale opposizione, definisce il relativo giudizio (comma 50).

Con la modifica introdotta non risulta più differenziata la posizione del lavoratore da quella del datore di lavoro. Si ricorda, infatti, che il sesto comma dell’art. 18  dello Statuto dei lavoratori (comma soppresso dal d.d.l. in esame) - coerentemente con l’impostazione complessiva della legge n. 300/1970 -  assicura alle decisioni favorevoli al lavoratore una maggior tutela, atteso che l’esecuzione della sentenza che annulla il licenziamento e ordina il reintegro è sempre provvisoriamente esecutiva. La stessa giurisprudenza ha ritenuto che tale decisione sia dotata ex lege di provvisoria esecutorietà e che non sia suscettibile di sospensione in applicazione dell'articolo 431 c.p.c. (Cass. Sez. Lav., sent. n. 4424 del 26-07-1984,  Cass. Sez. Lav., sent. n. 3306 del 19-05-1986).

 

Si ricorda che l’art. 431 c.p.c. prevede che le sentenze che pronuncianocondanna a favore del lavoratore per crediti derivanti dai rapporti di lavoro sono provvisoriamente esecutive. All'esecuzione si può procedere con la sola copia del dispositivo, in pendenza del termine per il deposito della sentenza.

Il giudice di appello può, tuttavia, disporre con ordinanza non impugnabile che l'esecuzione sia sospesa quando dalla stessa possa derivare all'altra parte gravissimo danno. La sospensione disposta a norma del comma precedente può essere anche parziale e, in ogni caso, l'esecuzione provvisoria resta autorizzata fino alla somma di euro 258,23

Le sentenze che pronunciano condanna a favore del datore di lavoro sono provvisoriamente esecutive e sono soggette alla disciplina degli articoli 282 e 283. Il giudice di appello può disporre con ordinanza non impugnabile che l'esecuzione sia sospesa in tutto o in parte quando ricorrono gravi motivi.

Se le istanza di sospensione (sia a favore del lavoratore che del datore di lavoro) risultano inammissibili o manifestamente infondate il giudice, con ordinanza non impugnabile, può condannare la parte proponente ad una pena pecuniaria non inferiore ad euro 250 e non superiore ad euro 10.000. L'ordinanza è revocabile con la sentenza che definisce il giudizio.

 

Contro l’ordinanza di accoglimento o di rigetto (comma 51) può essere proposta opposizione con ricorso contenente i requisiti di cui all’articolo 414 del codice di procedura civile, da depositare innanzi al Tribunale che ha emesso il provvedimento opposto entro 30 giorni dalla notificazione dello stesso, o dalla comunicazione se anteriore. Con il ricorso non possono essere proposte domande diverse da quelle di cui al comma 47, salvo che siano fondate sugli identici fatti costitutivi o siano svolte nei confronti di soggetti rispetto ai quali la causa è comune o dai quali si intende essere garantiti.

 

L'articolo 414 c.p.c regola la forma della domanda nel rito del lavoro. La norma prevede che la domanda si propone con ricorso, il quale deve contenere: l'indicazione del giudice; il nome, il cognome, nonché la residenza o il domicilio eletto dal ricorrente nel comune in cui ha sede il giudice adito, il nome, il cognome e la residenza o il domicilio o la dimora del convenuto; se ricorrente o convenuto è una persona giuridica, un'associazione non riconosciuta o un comitato, il ricorso deve indicare la denominazione o ditta nonché la sede del ricorrente o del convenuto; la determinazione dell'oggetto della domanda; l'esposizione dei fatti e degli elementi di diritto sui quali si fonda la domanda con le relative conclusioni; l'indicazione specifica dei mezzi di prova di cui il ricorrente intende avvalersi e in particolare dei documenti che si offrono in comunicazione.

 

Il giudice fissa con decreto l’udienza di discussione non oltre i successivi 60 giorni, assegnando all’opposto termine per costituirsi fino a 10 giorni prima dell’udienza.

Ai sensi del comma 52 il ricorso, con il decreto di fissazione dell'udienza, deve essere notificato dall’opponente all’opposto, anche tramite PEC (posta elettronica certificata), almeno 30 giorni prima della data fissata per la sua costituzione. Il comma 53 dispone quindi che l’opposto deve costituirsi mediante deposito in cancelleria di memoria difensiva, a norma e con le decadenze di cui all’articolo 416 c.p.c. Se l’opposto intende chiamare un terzo in causa deve, a pena di decadenza, farne dichiarazione nella memoria difensiva.

 

L’articolo 416 c.p.c. regola la costituzione del convenuto nel rito del lavoro. Il convenuto deve costituirsi almeno dieci giorni prima dell'udienza, dichiarando la residenza o eleggendo domicilio nel comune in cui ha sede il giudice adito. La costituzione si effettua mediante deposito in cancelleria di una memoria difensiva, nella quale devono essere proposte, a pena di decadenza, le eventuali domande in via riconvenzionale e le eccezioni processuali e di merito che non siano rilevabili d'ufficio. Nella stessa memoria il convenuto deve prendere posizione, in maniera precisa e non limitata ad una generica contestazione, circa i fatti affermati dall'attore a fondamento della domanda, proporre tutte le sue difese in fatto e in diritto ed indicare specificamente, a pena di decadenza, i mezzi di prova dei quali intende avvalersi ed in particolare i documenti che deve contestualmente depositare.

 

Ai sensi del comma 54, nel caso di chiamata in causa a norma degli articoli 102, secondo comma (per litisconsorzio necessario), 106 e 107 (intervento su istanza di parte o per ordine del giudice) del codice di procedura civile, il giudice fissa una nuova udienza entro i successivi 60 giorni, e dispone che siano notificati al terzo, ad opera delle parti, il provvedimento nonché il ricorso introduttivo e l'atto di costituzione dell’opposto, osservati i termini di cui al comma 52.

Il comma 55 stabilisce che il terzo chiamato deve costituirsi almeno 10 giorni prima dell'udienza fissata, depositando la propria memoria in cancelleria a norma del comma 53.

Il comma 56 prevede poi che, quando la causa relativa alla domanda riconvenzionale non è fondata su fatti costitutivi identici a quelli posti a base della domanda principale, il giudice ne dispone la separazione.

Il comma 57 dispone che, all’udienza, il giudice, sentite le parti e omessa ogni formalità non essenziale al contraddittorio, procede nel modo che ritiene più opportuno agli atti di istruzione ammissibili e rilevanti richiesti dalle parti nonché disposti d'ufficio, ai sensi dall'articolo 421 del codice di procedura civile, e provvede con sentenza all'accoglimento o al rigetto della domanda, dando, ove opportuno, termine alle parti per il deposito di note difensive fino a 10 giorni prima dell’udienza di discussione. La sentenza, completa di motivazione, deve essere depositata in cancelleria entro 10 giorni dall’udienza di discussione. La sentenza è provvisoriamente esecutiva e costituisce titolo per l’iscrizione di ipoteca giudiziale.

 

I commi successivi disciplinano la fase delle impugnazioni nei confronti della sentenza che decide sul ricorso.

In particolare, il comma 58 dispone che, contro la sentenza che decide sul ricorso è ammesso reclamo davanti alla Corte d'appello entro 30 giorni dalla comunicazione o dalla notificazione se anteriore.

Il comma 59 prevede poi che, nel giudizio d'appello, non sono ammessi nuovi mezzi di prova o documenti, salvo che il collegio, anche d'ufficio, li ritenga indispensabili ai fini della decisione ovvero la parte dimostri di non aver potuto proporli in primo grado per causa ad essa non imputabile.

Ai sensi del comma 60, la Corte d'appello fissa con decreto l’udienza di discussione nei successivi 60 giorni e si applicano i termini previsti dai commi 51, 52 e 53. I termini che qui rilevano sono pertanto: il termine per la costituzione dell’opposto, fino a 10 giorni prima dell’udienza, mediante deposito in cancelleria di memoria difensiva a norma e con le decadenze dell’art. 416 c.p.c.; il termine di notifica del decreto di fissazione, almeno 30 giorni prima della data fissata per la costituzione.

Alla prima udienza, la Corte può sospendere l’efficacia della sentenza reclamata se ricorrono gravi motivi. La Corte d’appello, sentite le parti, omessa ogni formalità non essenziale al contraddittorio, procede nel modo che ritiene più opportuno agli atti di istruzione ammessi e provvede con sentenza all'accoglimento o al rigetto della domanda, dando, ove opportuno, termine alle parti per il deposito di note difensive fino a dieci giorni prima dell’udienza di discussione. La sentenza d’appello, completa di motivazione, deve essere depositata in cancelleria entro 10 giorni dall’udienza di discussione.

Il comma 61 stabilisce che, in mancanza di comunicazione o notificazione della sentenza, si applica l’articolo 327 del codice di procedura civile (decadenza dal ricorso in cassazione dopo 6 mesi dalla pubblicazione della sentenza di appello).

L’art. 327 c.p.c. disciplina in generale la decadenza dall'impugnazione nel processo di cognizione. La norma prevede che, indipendentemente dalla notificazione, l'appello, il ricorso per Cassazione e la revocazione per i motivi indicati nei numeri 4 e 5 dell'articolo 395 non possono proporsi dopo decorsi sei mesi dalla pubblicazione della sentenza. Questa disposizione non si applica quando la parte contumace dimostra di non aver avuto conoscenza del processo per nullità della citazione o della notificazione di essa, e per nullità della notificazione degli atti di cui all'articolo 292.

Il comma 62 prevede l’ulteriore, eventuale fase del ricorso in cassazione contro la sentenza di appello. Il ricorso va proposto, a pena di decadenza, entro 60 giorni dalla comunicazione della stessa, o dalla notificazione se anteriore. La sospensione dell’efficacia della sentenza deve essere chiesta alla Corte d’appello, che provvede a norma del comma 60 (sospensione, per gravi motivi, dell’efficacia della sentenza reclamata).

Ai sensi del comma 63, è previsto un termine massimo di 6 mesi per la fissazione dell’udienza di discussione da parte dellaCassazione; il termine decorre dalla proposizione del ricorso. Infine, il comma 64 stabilisce - analogamente a quanto previsto per la pronuncia di appello - che in mancanza di comunicazione o notificazione della sentenza si applica il disposto del già richiamato articolo 327 del codice di procedura civile (v. ante, sub comma 61).

Da ultimo il comma 65 prevede che alla trattazione delle controversie sui licenziamenti regolate dai commi da 47 a 64 devono essere riservati particolari giorni nel calendario delle udienze (sull’osservanza di tale previsione, vigilano, ai sensi del comma 66, i capi degli uffici giudiziari).

Il comma 67 reca una norma transitoria secondo la quale le disposizioni sul nuovo rito si applicano alle controversie instaurate successivamente all’entrata in vigore della legge in commento.

Il comma 68 affida, anche in tal caso, ai capi degli uffici giudiziari la vigilanza sull’osservanza della norma transitoria.

Il comma 69 prevede l’invarianza finanziaria per il bilancio dello Stato derivante dall’applicazione delle novelle introdotte dai commi da 47 a 68.

 

 


 

Articolo 2

Articolo 2, commi 1-3
(Assicurazione Sociale per l’Impiego - ambito di applicazione)

 

I commi da 1 a 3 dell’articolo 2, nell’ambito di una revisione complessiva del sistema degli ammortizzatori sociali, istituiscono dal 1° gennaio 2013 l”’Assicurazione Sociale per l’Impiego” (ASPI), che si concretizza nell’erogazione di un’indennità mensile ai lavoratori dipendenti del settore privato, compresi gli apprendisti ed i soci di cooperative di lavoro.

 

Il comma 1 istituisce, a decorrere dal 1º gennaio 2013 e in relazione ai nuovi eventi di disoccupazione verificatisi a decorrere dalla stessa data, presso la Gestione prestazioni temporanee ai lavoratori dipendenti, di cui all’articolo 24 della L. 9 marzo 1989, n. 88[56], l’Assicurazione sociale per l’impiego, che si concretizza nell’erogazione di un’indennità mensile a favore dei lavoratori che abbiano perduto involontariamente la propria occupazione.

 

Secondo la relazione tecnica allegata, l’ASPI sostituisce, a regime, l’indennità di mobilità, l’indennità di disoccupazione non agricola a requisiti normali e ridotti, nonché l’indennità di disoccupazione speciale edile.

 

Ai sensi del successivo comma 2, l’ASPI si applica a tutti i lavoratori dipendenti, compresi gli apprendisti e i soci lavoratori di cooperativa che abbiano stabilito, con la propria adesione o successivamente all’instaurazione del rapporto associativo, un rapporto di lavoro in forma subordinata, ai sensi dell’articolo 1, comma 3, della L. 3 aprile 2001, n. 142.

Il richiamato comma 3 ha disposto che il socio lavoratore di cooperativa stabilisce, con la propria adesione o successivamente all'instaurazione del rapporto associativo, un ulteriore rapporto di lavoro, in forma subordinata o autonoma o in qualsiasi altra forma, compresi i rapporti di collaborazione coordinata non occasionale, con cui contribuisce comunque al raggiungimento degli scopi sociali. Dall'instaurazione dei citati rapporti associativi e di lavoro, in qualsiasi forma, derivano i relativi effetti di natura fiscale e previdenziale e tutti gli altri effetti giuridici previsti dalla stessa L. 142/2001, nonché, in quanto compatibili con la posizione del socio lavoratore, da altre leggi o da qualsiasi altra fonte.

Vengono invece esclusi dall’applicazione i dipendenti a tempo indeterminato delle pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del D.Lgs. 165/2001.

Rientrano quindi nell’ambito dell’applicazione dell’ASPI i dipendenti delle pubbliche amministrazioni con contratto di lavoro a tempo non indeterminato, per i quali trova applicazione, nella disciplina vigente, l'indennità ordinaria di disoccupazione[57].

Merita ricordare, inoltre, che l’articolo 20, commi da 4 a 6, del D.L. 25 giugno 2008, n. 112[58], abrogando le disposizioni di cui all’articolo. 40, n. 2, del R.D.L. 1827/35[59] e modificando le disposizioni dell’articolo 36 del D.P.R. 818/57[60], ha, esteso, con effetto dal primo periodo di paga decorrente dal 1° gennaio 2009, l’assicurazione contro la disoccupazione involontaria e mobilità al personale dipendente da aziende pubbliche, nonché da aziende esercenti pubblici servizi e da quelle private (si tratta delle aziende operanti nel settore industria - energia elettrica, gas e acqua).

Al riguardo, si valuti l’opportunità di chiarire se l’ASPI comprenda - così come l'attuale istituto dell'indennità ordinaria di disoccupazione - i dipendenti delle aziende pubbliche e delle aziende esercenti servizi pubblici, anche qualora esse abbiano natura di amministrazione pubblica o di ente pubblico non economico.

 

Infine, il comma 3 dispone la non applicazione dell’istituto nei confronti degli operai agricoli a tempo determinato o indeterminato, per i quali trovano applicazione le norme di cui all’articolo 7, comma 1, del D.L. 21 marzo 1988, n. 86[61], all’articolo 25 della L. 8 agosto 1972, n. 457[62], all’articolo 7 della L. 16 febbraio 1977, n. 37[63], e all’articolo 1 della L. 24 dicembre 2007, n. 247[64].

 

Si ricorda, in particolare, che l’articolo 1, commi da 55 a 57, della L. 247/2007 ha recato disposizioni di riforma della normativa in materia di disoccupazione agricola, al fine di rendere omogenee le discipline relative all’indennità ordinaria di disoccupazione e ai trattamenti speciali di disoccupazione per i lavoratori agricoli, con riferimento alla misura e alla durata delle provvidenze erogate.

In particolare, è stato disposto (comma 55) che per gli operai agricoli a tempo determinato e a tempo indeterminato e le figure equiparate, l’importo giornaliero dell’indennità ordinaria di disoccupazione di cui all'articolo 7, comma 1, del D.L. 86/1988, nonché dei trattamenti speciali di disoccupazione per i lavoratori agricoli di cui all’articolo 25 della L. 457/1972 e all’articolo 7 della L. 37/1977 , per quanto riguarda i trattamenti decorrenti dal 1° gennaio 2008:

·       sia stabilito nella misura del 40% della retribuzione da assumere come base per il calcolo dei contributi previdenziali ed assistenziali ai sensi dell'articolo 1, comma 1, del D.L. 338/1989, cioè la retribuzione prevista dai contratti collettivi o, se superiore, quella effettivamente spettante in base al contratto individuale di lavoro;

·       sia corrisposto per il numero di giornate di iscrizione negli elenchi nominativi.

 

 


 

Mobilità

Tale istituto, disciplinato dalla L. 23 luglio 1991, n. 223, concerne in via ordinaria:

1)       le imprese ammesse al trattamento straordinario di integrazione salariale che non risultino in grado di garantire il reimpiego a tutti i lavoratori sospesi né di ricorrere a misure alternative (articolo 4 della citata L. 223);

2)       le imprese che occupino più di 15 dipendenti e che intendano procedere ad almeno 5 licenziamenti nell’arco di 120 giorni per riduzioni del personale in ciascuna unità produttiva o in più unità produttive ubicate nel territorio della stessa provincia (articolo 24 della stessa legge n. 223, modificato dal D.Lgs. 26 maggio 1997, n. 151). In tale ambito è riconosciuta l’indennità di mobilità ai dipendenti (assunti a tempo indeterminato e con un’anzianità aziendale di almeno 12 mesi), licenziati da imprese che rientrano nel campo di applicazione dell’intervento straordinario di integrazione salariale (articolo 16 della L. 223), mentre gli altri hanno diritto soltanto all’iscrizione nelle liste di mobilità, che comporta il riconoscimento di incentivi ed agevolazioni contributive per il datore di lavoro che assuma tali soggetti .

La durata di iscrizione nelle liste di mobilità, nonché dell’eventuale relativo trattamento, è pari, ai sensi dell’articolo 7 della L. 223/1991 e dell’articolo 4 del D.L. 148/1993, a 12 mesi, elevati a 24 e a 36 mesi per i lavoratori che abbiano superato rispettivamente i 40 e i 50 anni; tali periodi sono, tuttavia, aumentati nel territorio del Mezzogiorno (articolo 7, comma 2, della L. 223/1991) rispettivamente a 24, 36 e 48 mesi. Un regime particolare, cosiddetto di “mobilità lunga”, valido fino al conseguimento del diritto alla pensione, è stabilito per i lavoratori aventi determinati requisiti contributivi e anagrafici, ed appartenenti ad alcuni settori produttivi ed aree territoriali, dallo stesso articolo 7 della L. 223/1991.

L'indennità spetta (articolo 7, comma 1, della L. 223) nella seguente misura percentuale del trattamento di CIGS che hanno percepito ovvero che sarebbe loro spettato nel periodo immediatamente precedente la risoluzione del rapporto di lavoro:

·         per i primi dodici mesi: 100%;

·         dal tredicesimo al trentaseiesimo mese: 80%.

Lo stesso articolo dispone che nelle aree del Mezzogiorno, l’indennità di mobilità è corrisposta per un periodo massimo di ventiquattro mesi, elevato a trentasei per i lavoratori che hanno compiuto i quaranta anni e a quarantotto per i lavoratori che hanno compiuto i cinquanta anni. Essa spetta nella seguente misura:

·         per i primi dodici mesi: 100%;

·         dal tredicesimo al quarantottesimo mese: 80%.

Inoltre, l'indennità di mobilità è adeguata, con effetto dal 1° gennaio di ciascun anno, in misura pari all'aumento della indennità di contingenza[65] (attualmente conglobata, in molti contratti, nel minimo contrattuale) dei lavoratori dipendenti. Essa non è comunque corrisposta successivamente alla data del compimento dell'età pensionabile ovvero, se a questa data non è ancora maturato il diritto alla pensione di vecchiaia, successivamente alla data in cui tale diritto viene a maturazione (articolo 7, comma 3, della L. 223/1991).

Si ricorda, infine, che la contribuzione relativa all'istituto della mobilità - a carico delle imprese rientranti nel campo di applicazione dell'integrazione salariale straordinaria - è pari allo 0,3% della retribuzione assoggettata al contributo integrativo per l'assicurazione obbligatoria contro la disoccupazione involontaria. Inoltre, per ciascun lavoratore posto in mobilità, l'impresa è tenuta a versare, in 30 rate mensili, una somma pari a 6 volte il trattamento mensile iniziale di mobilità spettante al lavoratore (tale importo è ridotto della metà qualora la dichiarazione di eccedenza del personale abbia formato oggetto di accordo sindacale (articolo 5, comma 4, della L. 223).

 

La legislazione vigente (sempre la L. 223/1991) prevede una apposita procedura ai fini della collocazione in mobilità dei lavoratori. Si ricorda, al riguardo, che hanno diritto all’indennità di mobilità i lavoratori (con eccezione dei dirigenti) con rapporto a tempo indeterminato licenziati da imprese in CIGS che non siano in grado di garantire il reimpiego a tutti i lavoratori sospesi, ovvero licenziati da imprese rientranti nel campo di applicazione della CIGS qualora ricorrano i presupposti del licenziamento collettivo.

Più in dettaglio, ai sensi dell’articolo 4 della citata L. 223/1991, le aziende in CIGS che nel corso o al termine del programma non possano garantire il reimpiego di tutti i lavoratori precedentemente sospesi, prima di effettuare il licenziamento anche di un solo dipendente devono seguire una particolare procedura di riduzione del personale, che si conclude con la messa in mobilità dei lavoratori licenziati.

Analoga procedura deve essere seguita, come accennato, qualora si verifichi la fattispecie del licenziamento collettivo, cioè, ai sensi dell’articolo 24 della L. 223/1991, nel caso in cui le imprese che occupano più di 15 dipendenti , in conseguenza di una riduzione o trasformazione di attività o di lavoro, intendono effettuare nell’arco temporale di 120 giorni almeno 5 licenziamenti in stabilimenti produttivi dislocati nella stessa provincia. Qualora sia assente il requisito quantitativo o quello temporale, si applica invece la disciplina sui licenziamenti individuali per giustificato motivo oggettivo.

In entrambi i casi sopra indicati (riduzione di personale da parte di aziende in CIGS o licenziamento collettivo), ai sensi dell’articolo 4 della L. 223/1991, la procedura di riduzione del personale, preventiva rispetto al licenziamento e alla messa in mobilità, consta di una fase sindacale e di una fase amministrativa, nel corso delle quali il datore di lavoro e le organizzazioni sindacali tentano prima tra loro ed eventualmente presso la Direzione provinciale del lavoro di trovare sbocchi alternativi al licenziamento. Se le parti non dovessero raggiungere alcun accordo, allora la procedura si conclude con la messa in mobilità dei lavoratori.

Più in dettaglio, in primo luogo, è previsto che il datore di lavoro deve versare un contributo d’ingresso e deve comunicare alle RSA la propria intenzione di effettuare una riduzione di personale e di collocare i lavoratori in esubero in mobilità. Dopo aver ricevuto al comunicazione le RSA, entro 7 giorni, possono chiedere un esame congiunto della situazione di esubero con il datore di lavoro, al fine di giungere a soluzioni alternative. Dopo tale fase, il datore di lavoro comunica alla DPL competente l’esito del confronto con i sindacati e i motivi dell’eventuale mancato accordo. La DPL può tentare una mediazione ma, se anche in tale sede non si giunga ad una soluzione condivisa, il datore di lavoro può procedere al licenziamento dei lavoratori in esubero, che usufruiscono del trattamento di mobilità.

Se non vengono osservati tutti i passaggi procedurali sinteticamente descritti, può derivarne l’inefficacia dei licenziamenti, per cui i lavoratori avrebbero diritto alla reintegrazione nel posto di lavoro, da far valere entro 60 giorni dal ricevimento della comunicazione di licenziamento, con qualsiasi atto scritto anche stragiudiziale.

 

Tutti i lavoratori collocati in mobilità, anche se non in possesso dei requisiti che danno diritto all’indennità di mobilità, sono iscritti nelle liste di mobilità regionali, in modo da agevolarne la ricollocazione lavorativa.

Si ricorda, al riguardo, che gli incentivi per l’assunzione di lavoratori iscritti nelle liste di mobilità, previsti dalla L. 223/1991, sono i seguenti:

·       ai sensi dell’articolo 25, comma 9, in caso di conclusione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato con un lavoratore in mobilità, è concesso al datore di lavoro il beneficio della riduzione della relativa contribuzione a suo carico, che viene equiparata, per i primi 18 mesi, a quella dovuta per gli apprendisti dipendenti da aziende non artigiane;

·       ai sensi dell’articolo 8, comma 2, in caso di stipulazione di un rapporto di lavoro a tempo determinato per una durata non superiore a 12 mesi, viene riconosciuto, per l’intero periodo, il medesimo beneficio di cui alla precedente lett. a). Il beneficio è concesso per ulteriori 12 mesi qualora, nel corso del suo svolgimento, tale contratto venga trasformato a tempo indeterminato.

Si ricorda, infine, che l’articolo 7 del D.Lgs. 167/2011, recante la disciplina dell’apprendistato, ha previsto la possibilità di assumere come apprendisti i lavoratori in mobilità.

 

Indennità di disoccupazione

L'indennità ordinaria di disoccupazione è relativa, in linea di principio, a tutti i dipendenti privati. Essa ha, tuttavia, un ambito di applicazione residuale rispetto al più favorevole trattamento di mobilità. Essa è liquidata in presenza di un'anzianità assicurativa pari ad almeno 2 anni nonché di un anno di contribuzione nel biennio precedente la data di cessazione del rapporto di lavoro.

Tale istituto, istituito dal R.D.L. 1827/1935, nel corso degli anni, è stato interessato da molteplici interventi legislativi, volti soprattutto all’aumento sia della durata sia della misura del trattamento delle indennità ordinarie di disoccupazione.

L'aliquota contributiva relativa all'istituto in esame è pari, in genere, all'1,61% ed è interamente a carico del datore di lavoro.

Attualmente, la durata dell’indennità è pari a 8 mesi per i soggetti di età inferiore a 50 anni e a 12 mesi per i lavoratori di età pari o superiore a 50 anni; per quanto attiene alla misura del trattamento, l’indennità è pari al 60% per i primi 6 mesi; al 50% per i successivi due mesi; al 40% per il periodo ulteriore.

In base alle modifiche introdotte con l’articolo 19 del D.L. 185/2008, la richiamata indennità riguarda i lavoratori sospesi per crisi aziendali o occupazionali, viene erogata anche senza l’intervento integrativo del 20% a carico degli enti bilaterali previsti dalla contrattazione collettiva, compresi quelli di cui all'articolo 12 del D.Lgs. 276/2003, ha una durata massima che non può superare novanta giornate di annue indennità e non è sottoposta a specifiche limitazioni di spesa. Infine, essa non si applica ai dipendenti di aziende già destinatarie di trattamenti di integrazione salariale nonché a particolari tipologie contrattuali.

 

L’indennità ordinaria di disoccupazione con requisiti ridotti, di cui all’articolo 7, comma 3, del D.L. 21 marzo 1988, n. 86, caratterizzata appunto da un requisito contributivo inferiore a quello normale, costituisce una fattispecie particolare di indennità di disoccupazione rivolta soprattutto ai lavoratori occupati saltuariamente e ai lavoratori stagionali .

Anche tale istituto è stato interessato, nel corso degli anni, da numerosi provvedimenti, volti soprattutto a rideterminarne la percentuale di commisurazione alla retribuzione.

Hanno diritto alla richiamata indennità i lavoratori che, in assenza di 52 settimane di contribuzione nell’ultimo biennio, abbiano prestato effettivamente nell'anno precedente almeno 78 giornate di lavoro per le quali siano stati versati o siano dovuti i contributi per la assicurazione obbligatoria (fermo restando il requisito di 2 anni di anzianità assicurativa). I citati lavoratori hanno diritto alla indennità in questione per un numero di giornate pari a quelle lavorate nell'anno stesso, e comunque non superiore alla differenza tra il numero 312, diminuito delle giornate di trattamento di disoccupazione eventualmente goduto, e quello delle giornate di lavoro prestate. Attualmente, l'indennità giornaliera non può superare il 35% della retribuzione media giornaliera per i primi 120 giorni e al 40% per i successivi giorni fino a un massimo di 180 giorni, per i trattamenti di disoccupazione non agricola in pagamento dal 1° gennaio 2008, nei limiti di un importo massimo mensile lordo pari, nel 2012, di euro 906,80, elevato a 1.089,89 euro per i lavoratori che possono far valere una retribuzione lorda mensile superiore a 1.931,86 euro[66].

Sulla base delle modifiche introdotte dallo stesso articolo 19, tale indennità riguarda i lavoratori sospesi per crisi aziendali o occupazionali, può essere concessa anche senza necessità dell’intervento integrativo degli enti bilaterali, ha una durata massima che non può superare novanta giornate di indennità nell'anno solare e non è sottoposta a specifiche limitazioni di spesa. Infine, non si applica ai fini dell’erogazione dell’indennità ordinaria.

 

 

Indennità di disoccupazione speciale edile

In generale spetta, ai sensi del combinato disposto dall’articolo 9 della L. 427/1975 e dall’articolo 11 della L. 223/1991, ai lavoratori appartenenti ad imprese edili ed affini, anche artigiane, licenziati per cessazione dell’attività aziendale, per ultimazione del cantiere o delle singole fasi lavorative, per riduzione del personale, per fallimento di aziende edili ed affini, anche del settore artigiano.

Hanno diritto all’indennità i lavoratori con almeno 10 contributi mensili o 43 contributi settimanali per lavoro prestato nel settore dell'edilizia nei due anni precedenti la data della cessazione del rapporto di lavoro. Ai fini dell’erogazione rientrano anche i contributi relativi a periodi assicurativi maturati in Paesi convenzionati, purché si riferiscano a lavoro effettuato nel settore edile; inoltre l’erogazione è subordinata alla disponibilità a svolgere attività lavorativa presso i servizi per l’impiego competenti.

Per il riconoscimento del diritto al trattamento speciale non è richiesto il requisito del biennio di anzianità nell'assicurazione per la disoccupazione.

Il trattamento speciale viene corrisposto per un massimo di 90 giorni. Inoltre, nel caso in cui ricorrano i requisiti anche per il trattamento ordinario di disoccupazione, (perfezionamento del requisito delle 52 settimane anche in settori diversi dall’edilizia e del biennio di anzianità assicurativa), terminato il godimento del trattamento speciale si avrà diritto al pagamento dell'indennità ordinaria di disoccupazione per ulteriori 9 mesi (se il lavoratore, alla data di licenziamento, superi i 50 anni di età), o 5 mesi (se non superi alla data del licenziamento i 50 anni di età).

L’importo giornaliero è pari all’80% della retribuzione percepita nel periodo quadrisettimanale precedente la cessazione del rapporto di lavoro, (Il trattamento è comunque soggetto ad un limite massimo mensile fissato, per il 2012 (circolare INPS n. 20 dell’8 febbraio 2012) pari a euro 608,90, (che al netto della riduzione del 5,84% è pari ad euro 573,34).

 

Disoccupazione agricola

L’istituto dell’indennità di disoccupazione si applica anche, con alcune disposizioni particolari, al settore agricolo. Più in dettaglio, si consideri che l'articolo 1 del D.P.R. 1049/1970[67], sostituendo l’articolo 32, primo comma, lettera a), della L. 264/1949[68], ha esteso l’istituto dell’indennità ordinaria di disoccupazione agli operai agricoli, sempre che risultino iscritti negli elenchi nominativi di rilevamento da almeno un anno oltre che per quello per il quale è richiesta l'indennità ed abbiano conseguito nell'anno precedente ed in quello in corso un accredito complessivo di almeno 102 contributi giornalieri. A tal fine, l'articolo 3 dello stesso D.P.R. 1049/1970 consente il cumulo con i periodi lavorativi prestati in attività non agricole.

Per gli operai agricoli, la durata della corresponsione dell'indennità è pari alla differenza tra il numero di 270 giorni ed il numero delle giornate di effettiva occupazione prestate nell'anno, comprese quelle per attività agricole in proprio o coperte da indennità di malattia, infortunio, maternità, e sino al massimo di 180 giornate previste per la generalità dei lavoratori (articolo 32, comma 1, lettera a), della L. 264/1949, nel testo sostituito dall'articolo 1 del D.P.R. 1049/1970).

La misura dell’indennità per gli operai agricoli è pari al 30% della retribuzione di cui all'articolo 1, comma 1, del D.L. 338/1989, cioè la retribuzione prevista dai contratti collettivi o, se superiore, quella effettivamente spettante in base al contratto individuale di lavoro.

Si ricorda, al riguardo, che l’articolo 01 del D.L. 2/2006[69], ai commi 4 e 5, ha provveduto ad unificare il regime di calcolo dei contributi previdenziali e delle prestazioni temporanee per tutte le categorie dei lavoratori agricoli (quindi sia per i lavoratori a tempo determinato sia per i lavoratori a tempo determinato[70]), facendo venir meno la disciplina di cui all’articolo 4 del D.Lgs. 146/1997[71]. In particolare, l’articolo 01, commi 4 e 5, del D.L. 2/2006, dispone che, a decorrere dal 1° gennaio 2006, come base per il calcolo dei contributi previdenziali e delle prestazioni temporanee, per tutte le categorie di lavoratori agricoli, sia assunta - come previsto per la generalità dei lavoratori dall'articolo 1, comma 1, del D.L. 338/1989, n. 338 - la retribuzione effettivamente spettante in base al contratto individuale di lavoro o, se superiore, quella prevista dai contratti collettivi.

 

Per gli operai agricoli a tempo determinato è previsto anche l'istituto del trattamento speciale di disoccupazione di cui all’articolo 25 della L. 8 agosto 1972, n. 457 e all’articolo 7 della L. 16 febbraio 1977, n. 37.

In particolare, ai sensi del richiamato articolo 7 della L. 37/1977 è dovuto, a decorrere dal 1° gennaio 1977, ai lavoratori agricoli a tempo determinato che risultino iscritti negli elenchi nominativi per un numero di giornate di lavoro non inferiore a 101 e non superiore a 150 giornate di lavoro[72], un trattamento speciale di disoccupazione, pari al 40% della retribuzione prevista dai contratti collettivi o, se superiore, di quella effettivamente spettante in base al contratto individuale di lavoro[73]. Tale trattamento è erogato in luogo dell'indennità di disoccupazione loro spettante ai sensi del D.P.R. 1049/1970. Il trattamento speciale è corrisposto per il periodo massimo di 90 giorni nell'anno, osservando le norme vigenti in materia di assicurazione per la disoccupazione involontaria dei lavoratori agricoli

L’articolo 25 della citata L. 457/1972 stabilisce invece che ai lavoratori agricoli a tempo determinato, che abbiano effettuato nel corso dell'anno solare almeno 151 giornate di lavoro, è dovuto, in luogo dell'indennità di disoccupazione loro spettante per lo stesso periodo ai sensi del citato D.P.R. 1049/1970, un trattamento speciale pari al 66% della retribuzione[74] richiamata in precedenza. Anche in questo caso il trattamento speciale è corrisposto per un periodo massimo di 90 giorni nell'anno, osservando le norme vigenti in materia di assicurazione per la disoccupazione involontaria dei lavoratori agricoli.

 

 

 


 

Articolo 2, commi 4-5
(Assicurazione Sociale per l’Impiego - requisiti per la fruizione)

 

I commi 4-5 individuano i requisiti ai fini della fruizione dell’ASPI. In particolare, si richiede che il lavoratore si trovi in stato di disoccupazione involontaria e che possa far valere almeno 2 anni di assicurazione e almeno un anno di contribuzione nel biennio precedente l’inizio del periodo di disoccupazione, confermando sostanzialmente gli stessi requisiti attualmente richiesti ai fini della fruizione dell’indennità di disoccupazione ordinaria ai sensi dell’articolo 19 del R.D.L. 636/1939.

 

Ai sensi del comma 4, l’ASPI e` corrisposta ai lavoratori che abbiano perduto involontariamente la propria occupazione e che:

·         siano in stato di disoccupazione ai sensi dell’articolo 1, comma 2, lettera c), del D.Lgs. 21 aprile 2000, n. 181[75] (lettera a));

Come accennato in precedenza, la richiamata lettera c) reca la definizione dello stato di disoccupazione, definendolo come la condizione del soggetto privo di lavoro, che sia immediatamente disponibile allo svolgimento ed alla ricerca di una attività lavorativa secondo modalità definite con i servizi competenti.  

·         possano far valere almeno due anni di assicurazione e almeno un anno di contribuzione nel biennio precedente l’inizio del periodo di disoccupazione (lettera b)).

Rispetto a quest’ultimo requisito, si ricorda che l’articolo 3, primo comma, del R.D.L. 636/1939, ha disposto che l’assicurazione sulla disoccupazione involontaria venga riconosciuta ai soggetti che “prestano lavoro retribuito alle dipendenze di altri”. Si valuti quindi l’opportunità di precisare se i requisiti in oggetto attengano esclusivamente o meno all'assicurazione ed alle contribuzioni previdenziali fruite in qualità di lavoratore dipendente.

 

Il successivo comma 5 esclude dalla fruizione dell’ASPI i lavoratori che siano cessati dal rapporto di lavoro per dimissioni o per risoluzione consensuale del rapporto, fatti salvi i casi in cui quest’ultima sia intervenuta nell’ambito della procedura di cui all’articolo 7 della L. 604/1966, come modificato dall’articolo 1, comma 40, del provvedimento in esame (alla cui scheda si rimanda).

 


 

Articolo 2, commi 6-10
(Assicurazione Sociale per l’Impiego - importo e contribuzione figurativa)

 

L’articolo 2, commi 6-10, individua l’importo e le modalità di calcolo dell’ASPI, rapportandola alla retribuzione globale lorda percepita nell’ultimo biennio, comprensiva degli elementi continuativi e non continuativi e delle mensilità aggiuntive.

In ogni caso, l’ASPI è pari al 75% della retribuzione mensile nei casi in cui quest’ultima non superi, nel 2013, l’importo mensile di 1.180 euro. Nel caso in cui la retribuzione mensile sia superiore a tale importo l’indennità è pari al 75% del predetto importo incrementata di una somma pari al 25% del differenziale tra la retribuzione mensile e il predetto importo. E’ comunque stabilito un massimale erogabile, che mensilmente risulta essere pari a 1.119,32 euro.

E’ prevista, infine, una riduzione della misura dello strumento in relazione alla sua durata, pari al 15% dopo i primi 6 mesi di fruizione e di un ulteriore 15% dopo il dodicesimo mese di fruizione.

 

Il comma 6 prevede che l’importo dell’ASPI debba essere rapportato alla retribuzione imponibile ai fini previdenziali degli ultimi due anni, comprensiva degli elementi continuativi e non continuativi e delle mensilità aggiuntive, divisa per il numero di settimane di contribuzione e moltiplicata per il numero 4,33.

 

In ogni caso, l’indennità mensile viene rapportata alla retribuzione mensile ed risulta essere pari al 75% nei casi in cui la retribuzione mensile sia pari o inferiore nel 2013 all’importo di 1.180 euro mensili, annualmente rivalutato sulla base della variazione annuale dell’indice ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie degli operai e degli impiegati intercorsa nell’anno precedente (comma 7).

Le modalità di calcolo differiscono nel caso in cui la retribuzione mensile sia superiore a 1.180 euro mensili: in tal caso, l’indennità è pari al 75% del predetto importo più un ulteriore incremento pari al 25% del differenziale tra la retribuzione mensile e il predetto importo.

In ogni caso, l’indennità mensile non può superare l’importo mensile massimo di cui all’articolo unico, secondo comma, lettera b), della L. 13 agosto 1980, n. 427[76].

Il richiamato articolo unico ha disposto, nei casi di intervento straordinario della Cassa integrazione guadagni, la corresponsione, agli impiegati sospesi dal lavoro, di una integrazione salariale pari all'80% della retribuzione che sarebbe spettata per le ore di lavoro non prestate. L'importo di integrazione salariale sia per gli operai che per gli impiegati, calcolato tenendo conto dell'orario di ciascuna settimana indipendentemente dal periodo di paga, non poteva superare, secondo quanto disposto dalla lettera b) richiamata in precedenza, l'importo mensile di euro 774,69 (lire 1.500.000) quando la retribuzione di riferimento per il calcolo dell'integrazione medesima, comprensiva dei ratei di mensilità aggiuntive, è superiore a 1394,34 euro mensili (lire 2.700.000). Tale importo è aumentato nella misura dell'80% (100% a decorrere dal 2008 ai sensi dell’articolo 1, comma 27, della L. 247/2007) dell'aumento derivante dalla variazione annuale dell'indice ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie degli operai e degli impiegati.

Secondo quanto riportato nella nota di lettura del Servizio Bilancio del Senato[77], il massimale è pari a 1.119,32 euro.

 

Ai sensi del comma 8 all’ASPI non si applica il prelievo contributivo del 5,84% per gli apprendisti, di cui all’articolo 26 della L. 28 febbraio 1986, n. 41 (legge finanziaria per il 1986).

Il richiamato articolo 26 ha stabilito che per i periodi settimanali decorrenti da quello in corso al 1° gennaio 1986, le somme corrisposte ai lavoratori a titolo di integrazione salariale, nonché quelle corrisposte a titolo di prestazioni previdenziali ed assistenziali sostitutive della retribuzione, che danno luogo a trattamenti da commisurare ad una percentuale della retribuzione non inferiore all'80%, debbano essere ridotte in misura pari all'importo derivante dall'applicazione delle aliquote contributive previste a carico degli apprendisti, di cui alle lettere a) e b) del primo comma del precedente articolo 21 (assicurazione generale obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia ed i superstiti, con una riduzione di tre punti della relativa aliquota contributiva; contribuzione per le prestazioni del S.S.N., con una riduzione di 0,50 punti della quota), pari, appunto, al 5,84%.

 

E’ inoltre prevista (comma 9) una riduzione dell’importo erogato, pari al 15%, dopo i primi sei mesi di fruizione, nonché un’ulteriore decurtazione del 15% dopo il dodicesimo mese di fruizione.

 

Infine, il comma 10 prevede il riconoscimento dei contributi figurativi, per i periodi di fruizione dell’ASPI, nella misura settimanale pari alla media delle retribuzioni imponibili ai fini previdenziali di cui al comma 1 (come specificato nel corso dell’esame al Senato) degli ultimi due anni. I contributi figurativi sono utili ai fini del diritto e della misura dei trattamenti pensionistici ma non sono utili ai fini del conseguimento del diritto nei casi in cui la normativa richieda il computo della sola contribuzione effettivamente versata.


 

Articolo 2, comma 11
(Assicurazione Sociale per l’Impiego - durata)

 

Il comma 11 individua la durata di corresponsione dell’ASPI, in relazione all’età dei lavoratori interessati da nuovi eventi di disoccupazione involontaria verificatisi a decorrere dal 1º gennaio 2016, prevedendo un periodo massimo di fruizione pari a 12 mesi per i lavoratori con età inferiore a 55 anni e di 18 mesi per quelli con età maggiore di 55 anni.

 

Il comma 11 prevede, a decorrere dal 1º gennaio 2016 e in relazione ai nuovi eventi di disoccupazione verificatisi a decorrere dalla predetta data, che l’ASPI venga corrisposta:

·       per i lavoratori di età inferiore a 55 anni, per un periodo massimo di dodici mesi, detratti i periodi di indennità eventualmente fruiti nel medesimo periodo, come specificato nel corso dell’esame al Senato, anche in relazione ai trattamenti brevi di cui al successivo articolo 28 (cd. mini-ASPI), alla cui scheda si rimanda (comma 11, lettera a));

·       per i lavoratori di età pari o superiore ai 55 anni, l’indennità e` corrisposta per un periodo massimo di diciotto mesi, nei limiti delle settimane di contribuzione negli ultimi due anni, detratti i periodi di indennità eventualmente fruiti nel medesimo periodo ai sensi del precedente articolo 23 (cfr. la relativa scheda) ovvero dell’articolo 28 già richiamato in precedenza (comma 11, lettera b)).

 

Si ricorda che ulteriori disposizioni concernenti la durata massima degli istituti di sostegno al reddito per il periodo transitorio dal 1° gennaio 2013 al 31 dicembre 2015 sono contenute nel successivo comma 45 dell’articolo 2 (alla cui scheda si rimanda).

 


 

Articolo 2, commi 12-14
(Assicurazione Sociale per l’Impiego - procedura per l’erogazione)

 

L’articolo 2, commi 12-14, disciplina la procedura per l’erogazione dell’ASPI, prevedendo che essa spetti dall’ottavo giorno successivo alla data di cessazione dell’ultimo rapporto di lavoro, ovvero dal giorno successivo a quello in cui sia stata presentata la relativa domanda, a condizione che permanga la condizione di disoccupazione.

 

Il comma 12 prevede che l’ASPI possa essere liquidata a decorrere dall’ottavo giorno successivo alla data di cessazione dell’ultimo rapporto di lavoro, ovvero dal giorno successivo a quello in cui sia stata presentata la domanda.

La liquidazione dell’indennità avviene, a pena di decadenza, dietro presentazione, da parte dei lavoratori aventi diritto di un’apposita domanda, da inviare all’INPS esclusivamente in via telematica, entro due mesi dalla data di spettanza del trattamento (comma 13).

 

Infine, la fruizione dell’indennità è comunque condizionata alla permanenza dello stato di disoccupazione di cui all’articolo 1, comma 2, lettera c), del D.Lgs. 181/2000 (comma 14).

La richiamata lettera c) reca la definizione dello stato di disoccupazione, definendolo come la condizione del soggetto privo di lavoro, che sia immediatamente disponibile allo svolgimento ed alla ricerca di una attività lavorativa secondo modalità definite con i servizi competenti.

 


 

Articolo 2, commi 15-19
(Tutele della nuova occupazione)

 

L'articolo 2, commi 15-19, disciplina la sospensione d’ufficio della fruizione dell’ASPI – fino ad un massimo di sei mesi - in caso di nuovo rapporto di lavoro subordinato (nel caso in cui il periodo di sospensione sia inferiore a sei mesi, l’ASPI riprende a decorrere dal momento della sospensione), nonché la sua eventuale riduzione in caso di svolgimento di lavoro autonomo, dal quale derivi un reddito inferiore al limite stabilito ai fini della conservazione dello stato di disoccupazione (la riduzione è pari all’80% del reddito che il lavoratore prevede di percepire dalla nuova attività autonoma). In caso di sospensione i periodi di contribuzione relativi al nuovo rapporto di lavoro possono essere fatti valere ai fini di un nuovo trattamento di sostegno (per l’ASPI e per la mini-ASPI).

 

In particolare, il comma 15 prevede la sospensione dell’erogazione dell’ASPI nei confronti dei soggetti assicurati con contratto di lavoro subordinato in caso di nuova occupazione. L’erogazione, in particolare, viene sospesa d’ufficio sulla base delle comunicazioni obbligatorie di cui all’articolo 9-bis, comma 2, del D.L. 1º ottobre 1996, n. 510[78], fino ad un massimo di sei mesi. Nel caso in cui il periodo di sospensione sia di durata inferiore a sei mesi l’ASPI riprende a decorrere dal momento in cui era rimasta sospesa.

 

Gli obblighi informativi relativi all’instaurazione del rapporto di lavoro e alle successive variazioni sono contenuti in varie disposizioni[79].

In particolare, si ricorda che l’articolo 9-bis, comma 2, del D.L. 510/1996, così come di recente modificato dall’articolo 18, comma 1, del D.L. 5/2012 e dall’articolo 2, comma 13-bis, del D.L. 16/2012 (attualmente in fase di conversione) ha stabilito l’obbligo, per i datori di lavoro privati, ivi compresi quelli agricoli, gli enti pubblici economici e le pubbliche amministrazioni, in caso di instaurazione del rapporto di lavoro subordinato, nonché di lavoro autonomo in forma coordinata e continuativa, anche nella modalità a progetto, di socio lavoratore di cooperativa e di associato in partecipazione con apporto lavorativo, di comunicazione dell’instaurazione del rapporto di lavoro al Servizio competente nel cui ambito territoriale è ubicata la sede di lavoro (quindi la Direzione provinciale del lavoro) entro il giorno antecedente a quello di instaurazione dei relativi rapporti, mediante documentazione avente data certa di trasmissione (primo periodo).

La richiamata comunicazione deve indicare i dati anagrafici del lavoratore, la data di assunzione, la data di cessazione qualora il rapporto non sia a tempo indeterminato, la tipologia contrattuale, la qualifica professionale nonché il trattamento economico e normativo applicato (secondo periodo).

Il terzo periodo, in particolare, prevede una deroga degli obblighi a carico del datore di lavoro per il settore turistico, per i pubblici esercizi e per il settore agricolo, consistente nella possibilità, per il datore di lavoro che non sia in possesso di uno o più dati anagrafici inerenti il lavoratore, di integrare la comunicazione entro il terzo giorno successivo a quello dell'instaurazione del rapporto di lavoro, a condizione che dalla comunicazione preventiva risultino in maniera inequivocabile la tipologia contrattuale e l'identificazione del prestatore di lavoro.

Medesima procedura trova applicazione nei confronti dei tirocini di formazione e di orientamento e di ogni altro tipo di esperienza lavorativa ad essi assimilata. Spetta alle Agenzie di lavoro autorizzate la comunicazione, entro il ventesimo giorno del mese successivo alla data di assunzione, al Servizio competente nel cui ambito territoriale è ubicata la loro sede operativa, l'assunzione, la proroga e la cessazione dei lavoratori temporanei assunti nel mese precedente. Analogo obbligo è previsto per le pubbliche amministrazioni, tenute a comunicare, entro il ventesimo giorno del mese successivo alla data di assunzione, di proroga, di trasformazione e di cessazione, al servizio competente nel cui ambito territoriale è ubicata la sede di lavoro, l’assunzione, la proroga, la trasformazione e la cessazione dei rapporti di lavoro relativi al mese precedente.

 

Ai sensi del comma 16, nei casi di sospensione i periodi di contribuzione legati al nuovo rapporto di lavoro possono essere fatti valere ai fini di un nuovo trattamento nell’ambito dell’ASPI o della mini-ASPI di cui al successivo articolo 2, commi 20-24.

 

Il successivo comma 17 prevede, nel caso in cui il soggetto fruitore svolga un’attività lavorativa in forma autonoma, dalla quale derivi un reddito inferiore al limite utile ai fini della conservazione dello stato di disoccupazione, l’obbligo di informazione all’INPS da parte dello stesso entro un mese dall’inizio dell’attività, dichiarando contestualmente il reddito annuo che prevede di trarre dall’attività stessa.

L’INPS, qualora il reddito da lavoro autonomo sia inferiore al limite utile ai fini della conservazione dello stato di disoccupazione, provvede a ridurre il pagamento dell’ASPI di un importo pari all’80% dei proventi preventivati, rapportati al tempo intercorrente tra la data di inizio dell’attività e la data di fine dell’indennità o, se antecedente, la fine dell’anno. La riduzione viene conguagliata d’ufficio al momento della presentazione della dichiarazione dei redditi. Nel caso in cui il soggetto sia esentato dall’obbligo di presentazione della dichiarazione, è richiesta al beneficiario un’apposita autodichiarazione concernente i proventi ricavati dall’attività autonoma.

 

Al riguardo, si segnala che tale previsione potrebbe non coordinarsi con quanto disposto dal successivo articolo 4, comma 24, lettera c) (alla cui scheda si rimanda), che abrogando l’articolo 4, comma 1, lettera a), del D.Lgs. 181/2000, sopprimerebbe la possibilità di conservazione dello stato di disoccupazione nel caso di svolgimento di qualsiasi attività lavorativa, anche autonoma.

 

Infine, nei casi previsti dal comma precedente, la contribuzione relativa all’assicurazione generale obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti versata in relazione all’attività di lavoro autonomo non dà luogo ad accrediti contributivi e viene riversata alla Gestione prestazioni temporanee ai lavoratori dipendenti, di cui all’articolo 24 della L. 9 marzo 1989, n. 88 (comma 18).

 

Nel corso dell’esame al Senato è stato introdotto il comma 19, che prevede, in via sperimentale per il triennio 2013-2015, la facoltà, per il lavoratore avente diritto alla corresponsione dell’ASPI, di richiedere la liquidazione degli importi del trattamento pari al numero di mensilità non ancora percepite, nel caso in cui lo stesso intraprenda un’attività di lavoro autonomo, ovvero per avviare un’attività in forma di auto impresa o di micro impresa, o per associarsi in cooperativa.

 

Si segnala, al riguardo, che la richiamata facoltà potrebbe generare problemi di coordinamento con le disposizioni di cui al comma 15 e al comma 17, concernenti, rispettivamente, la sospensione dell’ASPI in caso di nuovo rapporto di lavoro subordinato, e la sua riduzione nel caso in cui il soggetto fruitore svolga un’attività lavorativa in forma autonoma, dalla quale derivi un reddito inferiore al limite utile ai fini della conservazione dello stato di disoccupazione.

 

Tale possibilità è riconosciuta nel limite massimo di 20 milioni di euro per ciascuno degli anni 2013, 2014 e 2015 a valere sull’autorizzazione di spesa inerente al Fondo per il finanziamento di interventi a favore dell’incremento in termini quantitativi e qualitativi dell’occupazione giovanile e delle donne di cui all’articolo 24, comma 27, del D.L. 201/2011, il quale è corrispondentemente ridotto.

 

Il richiamato comma 27 ha istituito, presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, un Fondo per il finanziamento di interventi a favore dell'incremento in termini quantitativi e qualitativi dell'occupazione giovanile e delle donne, rinviando a decreti interministeriali (del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concento con il Ministro dell'economia e delle finanze) la definizione dei criteri e delle modalità istitutive.

Il fondo è finanziato con 200 milioni di euro per l'anno 2012, 300 milioni per ciascuno degli anni 2013 e 2014 e 240 milioni di euro per l’anno 2015.

 

I limiti, condizioni e modalità per l’attuazione delle disposizioni richiamate sono determinati, con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di natura non regolamentare, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, da adottare entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore del provvedimento in esame.

 

Si ricorda, al riguardo, che è attualmente all’esame della XI Commissione Lavoro della Camera dei deputati la pdl A.C. 3696 (Foti ed altri), che prevede, in particolare, specifiche agevolazioni per la costituzione di nuove micro imprese giovanili e femminili.

 


 

Articolo 2, commi 20-24
(Assicurazione sociale per l’impiego - istituzione del trattamento breve [cd. mini-ASpI])

 

L’articolo 2, commi 20-24, introduce un’ulteriore istituto di sostegno del reddito, denominato mini-ASPI, volto ad assicurare, dal 1° gennaio 2013, i lavoratori che non abbiano i requisiti per la fruizione dell’ASPI. La mini-ASPI va a sostituire l’indennità di disoccupazione con requisiti ridotti, condizionandola alla presenza e permanenza dello stato di disoccupazione. In particolare, la mini-ASPI può essere concessa in presenza di almeno 13 settimane di contribuzione di attività lavorativa negli ultimi dodici mesi, e consiste in un’indennità di pari importo dell’ASPI.

 

In particolare, il comma 20 introduce, a decorrere dal 1º gennaio 2013, a favore di tutti i lavoratori dipendenti, compresi gli apprendisti e i soci lavoratori di cooperativa che abbiano stabilito, con la propria adesione o successivamente all’instaurazione del rapporto associativo, un rapporto di lavoro in forma subordinata, a condizione di aver versato almeno 13 settimane di contribuzione di attività lavorativa negli ultimi dodici mesi, attività per la quale siano stati versati o siano dovuti i contributi per l’assicurazione obbligatoria, il diritto alla fruizione di una specifica indennità, di importo pari a quello dell’ASPI, denominata mini-ASPI.

Nel corso dell’esame al Senato, è stato soppresso il riferimento al mancato raggiungimento del requisito contributivo di 52 settimane di contribuzione negli ultimi due anni, requisito valido ai fini della fruizione dell’ASPI, ma da considerarsi pleonastico in relazione al beneficio in esame[80].

La mini-ASPI è corrisposta mensilmente per un numero di settimane pari alla metà delle settimane di contribuzione nell’ultimo anno, detratti i periodi di indennità eventualmente fruiti nel periodo (comma 21).

La mini-ASPI sostituisce, ai sensi del comma 24, l’indennità di disoccupazione con requisiti ridotti, con riferimento ai periodi lavorativi del 2012, nelle prestazioni liquidate a decorrere dal 1º gennaio 2013.

 

Ai sensi del comma 22, alla mini-ASPI si applicano le disposizioni relative all’ASPI per quanto attiene all’individuazione dello stato di disoccupazione (soggetti privi di lavoro che siano immediatamente disponibili allo svolgimento ed alla ricerca di un’attività lavorativa secondo modalità definite con i servizi competenti), all’importo e alle modalità di calcolo, alle procedure per l’erogazione e alla sospensione.

Allo stresso tempo alla mini-ASPI si applicano i casi di esclusione previsti per l’ASPI (operai agricoli, a tempo indeterminato e determinato, dipendenti delle pubbliche amministrazioni a tempo indeterminato, lavoratori che siano cessati dal rapporto di lavoro per dimissioni o per risoluzione consensuale del rapporto, salvo specifici casi).

 

Il successivo comma 23 prevede, analogamente a quanto previsto per l’ASPI, la sospensione d’ufficio dell’erogazione della mini-ASPI sulla base delle comunicazioni obbligatorie di cui all’articolo 9-bis, comma 2, del D.L. 510/1996 in caso di nuova occupazione del soggetto assicurato con contratto di lavoro subordinato, fino ad un massimo di cinque giorni (cfr. al riguardo la scheda relativa ai commi 15-19). Al termine del periodo di sospensione l’indennità riprende a decorrere dal momento in cui era rimasta sospesa.

 

Non sono invece previsti analoghi meccanismi a quello di cui al comma 19, in base al quale il lavoratore interessato ha la possibilità in via sperimentale, di richiedere la liquidazione delle mensilità non ancora percepite, nel caso in cui lo stesso intraprenda lavoro autonomo, ovvero per avviare un’attività di auto impresa o di micro impresa, o per associarsi in cooperativa.

 

 

Si segnala, infine, che la 11° Commissione del Senato ha approvato l’ordine del giorno G/3249/14/11 (Mongiello e altri), cheimpegna il Governo a riconsiderare la disciplina del trattamento breve di assicurazione sociale per l'impiego (mini -ASpI), al fine di riconoscere ai soggetti ammessi a tale prestazione, ai soli fini del conseguimento del diritto ai trattamenti pensionistici, la contribuzione figurativa per un numero di settimane pari a quello delle settimane lavorate negli ultimi dodici mesi.

 


 

Articolo 2, commi 25-39
(ASpI e mini-ASpI - contributo di finanziamento)

 

L’articolo 2, commi da 25 a 39, definiscono le modalità di contribuzione per il finanziamento del nuovo sistema di indennità (ASPI e mini-ASPI), in sostituzione delle aliquote oggi a carico dei datori di lavoro per gli strumenti di sostegno del reddito che verranno sostituiti a regime.

In particolare, si dispone l’applicazione di un’aliquota (pari all’1,31%) per i lavoratori a tempo indeterminato, nonché di un contributo addizionale (a carico del datore di lavoro), per ogni rapporto di lavoro subordinato diverso da quello a tempo indeterminato, pari all'1,4% della retribuzione imponibile ai fini previdenziali, fatte salve specifiche eccezioni.

Inoltre, si prevede un ulteriore contributo, analogo al contributo stabilito per l’indennità di mobilità, a carico del datore di lavoro, in tutti i casi di interruzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato per causa diversa dalle dimissioni, intervenuti a decorrere dal 1º gennaio 2013.

 

Il comma 25 stabilisce che, con effetto sui periodi contributivi maturati a decorrere dal 1º gennaio 2013, al finanziamento dell’ASPI e della mini-ASPI concorrono i contributi integrativi dovuti per i salariati fissi e i giornalieri di campagna, di cui agli articoli 12, sesto comma, e 28, primo comma, della L. 3 giugno 1975, n. 160[81].

 

L’articolo 12, sesto comma, della L. 160/1975 ha stabilito la misura del contributo integrativo dovuto per i salariati fissi e i giornalieri di campagna, di cui al D.P.R. 13 maggio 1957, n. 853[82], a decorrere dal periodo di paga in corso alla data del 1° gennaio 1976, in misura pari allo 0,25% della retribuzione determinata ai sensi dell'articolo 28 del D.P.R. 27 aprile 1968, n. 488[83].

Il successivo articolo 28, primo comma, ha stabilito che l'obbligo del versamento dei contributi assicurativi base, di cui alle tabelle A e B allegate al D.P.R. 488/1968, si intende assolto mediante la applicazione delle seguenti aliquote sulla retribuzione imponibile:

·       0,11% delle retribuzioni dei dipendenti soggetti all'assicurazione per l'invalidità, la vecchiaia ed i superstiti;

·       0,01% delle retribuzioni dei dipendenti soggetti all'assicurazione contro la disoccupazione involontaria;

·       0,01% delle retribuzioni dei dipendenti soggetti all'assicurazione contro la tubercolosi;

·       0,01% delle retribuzioni dei dipendenti per i quali sia dovuto il contributo a favore dell'Ente nazionale assistenza orfani dei lavoratori italiani.

 

Il comma 26 stabilisce che ad ogni modo continuano a trovare applicazione, in relazione ai contributi richiamati in precedenza, le eventuali riduzioni derivanti dai provvedimenti di riduzione del costo del lavoro operate dall’articolo 120 della L. 23 dicembre 2000, n. 388 (legge finanziaria per il 2001), e dall’articolo 1, comma 361, della L. 23 dicembre 2005, n. 266 (legge finanziaria per il 2006), nonché le misure compensative di cui all’articolo 8 del D.L. 30 settembre 2005, n. 203[84], relativo alla disciplina relativa alle forme di compensazione per i datori di lavoro che conferiscono il TFR maturando alle forme pensionistiche complementari.

 

L’articolo 120 della legge finanziaria per il 2001, in attuazione del programma di riduzione del costo del lavoro definito dal Patto sociale per lo sviluppo e l'occupazione, sottoscritto dal governo e dalle parti sociali il 23 dicembre 1998, ha ridotto dello 0,8%, a decorrere dal 1° febbraio 2001, i contributi per gli assegni per il nucleo familiare dovuti dai datori di lavoro alla Gestione prestazioni temporanee per i lavoratori dipendenti.

Inoltre, si prevede un’ulteriore riduzione, nella misura di 0,4 punti, fermo restando il limite complessivo di 0,8 punti, a valere su altri contributi previdenziali ed assistenziali dovuti alla suddetta Gestione prestazioni temporanee, per i datori di lavoro operanti nei settori per i quali l’aliquota contributiva per gli assegni per il nucleo familiare sia inferiore a 0,8 punti percentuali (i quali non possono quindi beneficiare integralmente della riduzione richiamata in precedenza). Tale misura aggiuntiva opera con priorità sulle aliquote relative alla maternità e alla disoccupazione.

Infine, è stato esteso ai soggetti di età inferiore a 32 anni che si iscrivono per la prima volta nell'anno 2001 alla Gestione speciale INPS degli artigiani o a quella degli esercenti attività commerciali, lo sgravio previsto per tali gestioni, che consiste in una riduzione del 50%, per i tre anni successivi all'iscrizione, dell'aliquota contributiva vigente per le gestioni predette.

 

L’articolo 1, comma 361, della legge finanziaria per il 2006, intervenendo sul c.d. “cuneo contributivo”, cioè il rapporto tra i contributi versati dal lavoratore e dal datore di lavoro ed il costo del lavoro, ha disposto, a decorrere dal 1° gennaio 2006, un esonero dal versamento dei contributi sociali alla gestione delle prestazioni temporanee presso l’INPS, di cui all’articolo 24 della L. 9 marzo 1989, n. 88, recante la ristrutturazione dell’INPS e dell’INAIL, nel limite massimo complessivo di un punto percentuale.

 

L’articolo 8 del D.L. 203/2005 ha riconosciuto, a titolo di compensazione in relazione ai maggiori oneri finanziari sostenuti dai datori di lavoro per il versamento di quote di TFR maturando alle forme pensionistiche complementari o al Fondo per l’erogazione del TFR, una riduzione, a decorrere dal 1° gennaio 2008, del versamento dei contributi di previdenza ed assistenza dovuti da parte degli stessi datori di lavoro alla “Gestione prestazioni temporanee ai lavoratori dipendenti” di cui all’articolo 24 della L. 88 del 1989 .

La misura della riduzione per ciascun lavoratore, prevista dalla Tabella A allegata al D.Lgs. 203/2005, è pari a 0,19 punti percentuali per il 2008 ed aumenta ogni anno fino alla percentuale, a regime, di 0,28 punti, decorrente dal 2014 . Tali riduzioni, tuttavia, non si applicano per intero, bensì nella misura percentuale del TFR maturando conferito alle forme pensionistiche complementari nonché al Fondo suddetto.

L’esonero contributivo si applica prioritariamente considerando, nell’ordine, i contributi dovuti per assegni familiari, per maternità e per disoccupazione e in ogni caso escludendo il contributo al fondo di garanzia presso l’INPS per il versamento del TFR di cui all’articolo 2 della L. 297/1982, nonché il contributo integrativo dovuto per l'assicurazione obbligatoria contro la disoccupazione involontaria, di cui all’articolo 25, quarto comma, della L. 21 dicembre 1978, n. 845.

Qualora il richiamato esonero non trovi capienza con riferimento ai contributi effettivamente dovuti dal datore di lavoro, per il singolo lavoratore, alla “Gestione prestazioni temporanee ai lavoratori dipendenti”, l’importo differenziale deve essere trattenuto, a titolo di esonero contributivo, dal datore di lavoro sull’ammontare complessivo dei contributi dovuti all’INPS.

La disposizione valuta l’onere derivante dalla sua applicazione in 414 milioni di euro per l’anno 2008 e in 460 milioni di euro a decorrere dall’anno 2009.

 

Ai sensi del successivo comma 27, si prevede una decurtazione del contributo a favore dei lavoratori per i quali i contributi richiamati in precedenza non trovavano applicazione, e in particolare per i soci lavoratori delle cooperative di cui al D.P.R. 30 aprile 1970, n. 602. La decurtazione è pari alla quota di riduzione di cui all’articolo 120 della legge finanziaria per il 2001 (vedi supra) e all’articolo 1, comma 361, della legge finanziaria per il 2006 (vedi supra), che non sia stata ancora applicata a causa della mancata capienza delle aliquote vigenti alla data di entrata in vigore delle citate leggi finanziarie.

Nel corso dell’esame al Senato sono state apportate alcune integrazioni al comma in esame.

In particolare, è stato previsto un allineamento alla nuova aliquota ASPI, con incrementi annui pari allo 0,26% per il periodo 2013-2016 e allo 0,27% per l’anno 2017, nel caso in cui ai lavoratori di cui al periodo precedente le richiamate quote di riduzione siano state già applicate.

L’allineamento è subordinato all’adozione annuale del decreto di rideterminazione delle aliquote previsto dall’ultimo periodo del presente comma, in assenza del quale le disposizioni transitorie richiamate successivamente non trovano applicazione.

Contestualmente, si prevede l’allineamento graduale, con incrementi pari allo 0,06% annuo, dell’aliquota del contributo destinato al finanziamento dei Fondi interprofessionali per la formazione continua, ai sensi dell’articolo 25 della L. 21 dicembre 1978, n. 845[85].

 

I richiamati fondi paritetici interprofessionali, introdotti dall’articolo 118 della legge finanziaria per il 2001 (L. 388/2000) sono costituiti, sulla base di accordi interconfederali stipulati dalle organizzazioni sindacali dei datori e dei lavoratori “maggiormente rappresentative sul piano nazionale”, per ciascuno dei seguenti settori economici (salva la possibilità che gli stessi accordi prevedano la costituzione di fondi anche per settori diversi): industria; agricoltura; terziario; artigianato[86].

I fondi finanziano, in tutto o in parte, piani formativi aziendali, territoriali, settoriali o individuali, concordati tra le parti sociali, "nonché eventuali ulteriori iniziative propedeutiche e comunque direttamente connesse a detti piani concordate tra le parti".

I fondi - che, previo accordo tra le parti, si possono articolare su scala regionale o, in ogni caso, territoriale - sono attivati previa autorizzazione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali (attualmente Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali), il quale esercita altresì la vigilanza sulla gestione. L'autorizzazione è subordinata alla verifica della conformità dei criteri di gestione, degli organi, delle strutture di funzionamento e della professionalità dei gestori rispetto alle finalità dei fondi.

Si ricorda che a decorrere dal 2001[87] la quota del gettito complessivo da destinare ai fondi è stabilita al 20% a valere sul terzo delle risorse derivanti dal contributo integrativo di cui all’articolo 25 della L. 845/1978, destinato al Fondo di cui all'articolo medesimo (fondo di rotazione per la Per favorire l'accesso al Fondo sociale europeo e al Fondo regionale europeo dei progetti di formazione professionale). Tale quota è stata poi portata al 30% per il 2002 e al 50% per il 2003.

Con riferimento ai datori che aderiscono ai medesimi fondi, le entrate derivanti dall'addizionale contributiva dello 0,30%[88] - addizionale destinata, in via generale, al finanziamento del sistema della formazione professionale - sono trasferite, da parte dell'INPS, al fondo indicato dal datore, nei seguenti termini e limiti:

§       le entrate corrispondenti alla quota - pari ad un terzo (cioè, a 0,1 punti percentuali) - dell'addizionale che spetterebbe, in via ordinaria[89], al Fondo di rotazione per la formazione professionale e per l'accesso al Fondo sociale europeo[90] sono attribuite in misura integrale al fondo indicato dal datore - in caso, ovviamente, di adesione da parte del medesimo -;

§       le entrate corrispondenti alla restante quota (cioè, ai due terzi) sono anch'esse destinate al fondo prescelto, nel limite, tuttavia, di un importo pari a circa 103,291 milioni di euro[91]. Si ricorda che tale quota spetta, in assenza di adesione - nonché, in ogni caso, per la misura eccedente il suddetto importo - al Fondo di rotazione per l'attuazione delle politiche comunitarie[92] (ai fini del cofinanziamento degli interventi del Fondo sociale europeo).

Le suddette norme finanziarie trovano applicazione a decorrere dal 2004, mentre per il precedente triennio 2001-2003 era prevista una disciplina transitoria, che contemplava una progressiva attribuzione ai fondi delle summenzionate risorse, ai sensi dei commi 10 e 12 dell'art. 118 della L. n. 388[93].

Da ultimo, si ricorda che l’articolo 1, comma 151, della legge finanziaria per il 2005 (L. 311/2004) ha introdotto, tra gli altri, una parziale revisione della disciplina relativa ai citati fondi.

In particolare, le modifiche attengono eminentemente ai profili del finanziamento dei fondi nonché, in generale, alla destinazione del gettito proveniente dalla suddetta addizionale.

 

Lo stesso comma prevede altresì, a decorrere dal 2013 e fino al pieno allineamento alla nuova aliquota ASPI, la rideterminazione annuale delle prestazioni relative all’importo e alle modalità di calcolo dell’ASPI e della mini-ASPI, in funzione dell’aliquota effettiva di contribuzione.

La rideterminazione è effettuata con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, da emanare entro il 31 dicembre di ogni anno precedente l’anno di riferimento, tenendo presente, in via previsionale, l’andamento congiunturale del relativo settore con riferimento al ricorso agli istituti di sostegno al reddito richiamati e garantendo, in ogni caso, una riduzione della commisurazione delle prestazioni alla retribuzione proporzionalmente non inferiore alla riduzione dell’aliquota contributiva per l’anno di riferimento rispetto al livello a regime.

 

Ai sensi del comma 28, con effetto sui periodi contributivi di cui al precedente comma 1, ai rapporti di lavoro subordinato non a tempo indeterminato si applica un contributo addizionale, a carico del datore di lavoro, pari all’1,4% della retribuzione imponibile ai fini previdenziali, fatte salve le esclusioni di cui al comma 5 e le ipotesi di restituzione, totale o parziale, di cui al comma 6.

 

Tale contributo addizionale, infatti, non si applica (comma 29):

a)   ai lavoratori assunti a temine in sostituzione di lavoratori assenti;

b)   ai lavoratori assunti a termine per lo svolgimento delle attività stagionali di cui al D.P.R. 7 ottobre 1963, n. 1525[94]. Nel corso dell’esame al Senato è stato previsto che il contributo addizionale non si applichi anche, per i periodi contributivi maturati dal 1º gennaio 2013 al 31 dicembre 2015, alle attività definite dagli avvisi comuni e dai contratti collettivi nazionali stipulati entro il 31 dicembre 2011 dalle organizzazioni dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più` rappresentative.

Per la copertura degli oneri finanziari derivanti dalla non applicazione del contributo addizionale delle richiamate attività, valutati in 7 milioni di euro annui per il triennio 2013-2015, si provvede per l’anno 2013 a valere sulla dotazione del Fondo per gli interventi urgenti ed indifferibili di cui all’articolo 7-quinquies, comma 1, del D.L. 5/2009, come integrato dall’articolo 33, comma 1, della L. 183/2011, e per gli anni 2014 e 2015 sull’autorizzazione di spesa relativa al Fondo per il finanziamento di interventi a favore dell’incremento in termini quantitativi e qualitativi dell’occupazione giovanile e delle donne di cui all’articolo 24, comma 27, del D.L. 201/2011, il quale e` corrispondentemente ridotto;

Si ricorda, in proposito, che una copertura degli oneri finanziari sulla dotazione dei richiamati fondi viene disposta anche dal comma 56, lettera c), dell’articolo 2, relativamente al finanziamento ai fini dell’erogazione dell’indennità una tantum per i lavoratori a progetto, nonché dal comma 17 del successivo articolo 3, relativo all’erogazione dell’ASPI, in via sperimentale per il periodo 2013-2015, ai lavoratori sospesi per crisi aziendali o occupazionali che siano in possesso di specifici requisiti, a condizione che ci sia un intervento integrativo da parte dei fondi bilaterali di cui allo stesso articolo 3, commi 14-18, pari almeno alla misura del 20% dell’indennità stessa a carico dei fondi bilaterali.

 

Il comma 1 dell'articolo 7-quinquies del D.L. 5/2009 ha istituito nello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze un fondo (cap. 3071), al fine di assicurare il finanziamento di interventi urgenti e indifferibili, con particolare riguardo ai settori dell’istruzione e agli interventi organizzativi connessi ad eventi celebrativi.

Relativamente all’anno 2012, il comma 26-ter dell’articolo 1 del D.L.  138/2011 ha incrementato la dotazione del Fondo in oggetto di 24 milioni di euro per l'anno 2012 e di 30 milioni di euro per l'anno 2013. Ai fini del riparto delle risorse del Fondo, il comma 26-ter prevede che si applichi la procedura prevista dall'articolo 1, comma 40, quinto periodo, della legge di stabilità 2011 (L. 220/2010[95]).

Successivamente, l’articolo 33, comma 1, della legge di stabilità 2012 (L. 183/2011) ha incrementato la dotazione del richiamato Fondo di 1.143 milioni di euro per l'anno 2012, prevedendone la ripartizione con appositi decreti del Presidente del Consiglio dei ministri tra le finalità indicate nell'elenco 2 allegato, che sono seguenti:

oFondo nazionale per le politiche giovanili;

oinvestimenti Gruppo Ferrovie - contratto di programma con RFI;

o   professionalizzazione forze armate - rifinanziamento, per il medesimo anno, degli importi di cui agli articoli 582 e 583 del D.Lgs. 15 marzo 2010, n. 66 , recante "Codice dell'ordinamento militare";

o   partecipazione italiana a banche e fondi internazionali;

o   esigenze connesse alla celebrazione della ricorrenza del 4 novembre;

o   provvidenze alle vittime dell'uranio impoverito;

o   ulteriori esigenze dei Ministeri;

o   interventi per assicurare la gratuità dei libri di testo scolastici di cui all’articolo 27, comma 1 della L. 448/1998;

o   Unione italiana ciechi.

Il secondo periodo del comma 1 ha inoltre stabilito che una quota pari a 100 milioni di euro del richiamato Fondo venga destinata per l’anno 2012 al finanziamento di interventi urgenti di riequilibrio socio-economico e sviluppo dei territori e alla promozione di attività sportive, culturali e sociali di cui all’articolo 1, comma 40, quarto periodo della legge di stabilità 2011 (L. 220/2010).

L’articolo 24, comma 27, del D.L. 201/2011 ha istituito presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali un Fondo per il finanziamento di interventi a favore dell'incremento in termini quantitativi e qualitativi dell'occupazione giovanile e delle donne, rinviando a specifici decreti interministeriali la definizione dei criteri e delle modalità istitutive.

Il fondo è finanziato con 200 milioni di euro per l'anno 2012, 300 milioni per ciascuno degli anni 2013 e 2014 e 240 milioni di euro per l’anno 2015.

c)   agli apprendisti;

d)   ai lavoratori dipendenti delle pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165[96].

 

In caso di trasformazione del contratto in contratto a tempo indeterminato, è prevista (comma 30) la restituzione al datore di lavoro del contributo di cui al comma 4, nei limiti delle ultime sei mensilità, successivamente al decorso del periodo di prova. La restituzione avviene anche qualora il datore di lavoro assuma il lavoratore con contratto di lavoro a tempo indeterminato entro il termine di sei mesi dalla cessazione del precedente contratto a termine. In tale ultimo caso, la restituzione avviene detraendo dalle mensilità spettanti un numero di mensilità ragguagliato al periodo trascorso dalla cessazione del precedente rapporto di lavoro a termine.

 

Il comma 31 prevede un contributo di licenziamento, erogabile in tutti i casi di interruzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato (sono inclusi, ai sensi del successivo comma 8, anche i rapporti di apprendistato) appunto per cause diverse dalle dimissioni, intervenuti a decorrere dal 1º gennaio 2013, a carico del datore di lavoro.

Il contributo è pari al 50% del trattamento mensile iniziale dell’ASPII per ogni dodici mesi di anzianità aziendale negli ultimi tre anni (sono quindi compresi i periodi di lavoro a termine). Nel computo dell’anzianità aziendale sono compresi i periodi di lavoro con contratto diverso da quello a tempo determinato, se il rapporto e` proseguito senza soluzione di continuità o se comunque si è dato luogo alla restituzione di cui al precedente comma.

 

Secondo la relazione tecnica allegata al provvedimento originario, la contribuzione in esame sostituisce le seguenti aliquote (a  carico del datore di lavoro):

·       disoccupazione involontaria (dal 1° gennaio 2013), pari all’1,31%;

·       aliquota aggiuntiva per disoccupazione nel settore edile (a regime, dal 1° gennaio 2017), pari allo 0,80%;

·       mobilità (a regime dal 1° gennaio 2017), pari allo 0,30%.

 

Il contributo di cui al precedente è dovuto (comma 32) anche per le interruzioni dei rapporti di apprendistato diverse dalle dimissioni o dal recesso del lavoratore, ivi incluso il recesso del datore di lavoro ai sensi dell’articolo 2, comma 1, lettera m), del D.Lgs. 14 settembre 2011, n. 167[97], ai sensi del quale è prevista, nell’ambito del contratto di apprendistato, la possibilità per le parti di recedere dal contratto con preavviso decorrente dal termine del periodo di formazione ai sensi di quanto disposto dall'articolo 2118 c.c.[98]. Si ricorda che la stessa lettera m) prevede che nel caso in cui nessuna delle parti eserciti la facoltà di recesso al termine del periodo di formazione, il rapporto prosegue come ordinario rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato.

Lo stesso contributo, inoltre, non è dovuto (comma 33), fino al 31 dicembre 2016, nei casi in cui sia dovuto il contributo dovuto dal datore di lavoro per ogni lavoratore messo in mobilità, di cui all’articolo 5, comma 4, della L. 23 luglio 1991, n. 223[99].

 

Tale comma ha disposto l’obbligo, per impresa, per ciascun lavoratore posto in mobilità, di versamento, alla gestione degli interventi assistenziali e di sostegno alle gestioni previdenziali, di cui all'articolo 37 della L. 88/1989, in trenta rate mensili, di una somma pari a sei volte il trattamento mensile iniziale di mobilità spettante al lavoratore. Tale somma è ridotta alla metà quando la dichiarazione di eccedenza del personale di cui all'articolo 4, comma 9, della stessa L. 223/1991 abbia formato oggetto di accordo sindacale.

Il richiamato comma ha disposto la facoltà per l’impresa, raggiunto l'accordo sindacale ovvero esaurita la specifica procedura, di collocare in mobilità gli impiegati, gli operai e i quadri eccedenti, comunicando per iscritto a ciascuno di essi il recesso, nel rispetto dei termini di preavviso. Contestualmente, l'elenco dei lavoratori collocati in mobilità, con l'indicazione per ciascun soggetto del nominativo, del luogo di residenza, della qualifica, del livello di inquadramento, dell'età, del carico di famiglia, nonché con puntuale indicazione delle modalità con le quali sono stati applicati gli specifici criteri di scelta, deve essere comunicato per iscritto all'Ufficio regionale del lavoro e della massima occupazione competente, alla Commissione regionale per l'impiego e alle associazioni di categoria.

 

Ai sensi del successivo comma 34, introdotto al Senato, il contributo di licenziamento non è inoltre dovuto, per il periodo 2013-2015, nei seguenti casi:

a)   licenziamenti effettuati in conseguenza di cambi di appalto, ai quali siano succedute assunzioni presso altri datori di lavoro, in attuazione di clausole sociali che garantiscano la continuità occupazionale prevista dai contratti collettivi nazionali di lavoro stipulati dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale;

b)   interruzione di rapporto di lavoro a tempo indeterminato, nel settore delle costruzioni edili, per completamento delle attività e chiusura del cantiere.

Alle minori entrate derivanti dal comma in esame, valutate in 12 milioni di euro per il 2013 e in 38 milioni di euro per ciascuno degli anni 2014 e 2015, si provvede a valere sulle risorse del Fondo per il finanziamento di interventi a favore dell’incremento in termini quantitativi e qualitativi dell’occupazione giovanile e delle donne (vedi supra).

 

Lo stesso contributo di licenziamento, inoltre, è moltiplicato per tre volte (comma 35), a decorrere dal 1º gennaio 2017, nei casi di licenziamento collettivo in cui la dichiarazione di eccedenza del personale di cui all’articolo 4, comma 9, della L. 223/1991 (vedi supra), non abbia formato oggetto di accordo sindacale.

 

Il comma 36, aggiungendo la lettera e-bis) al comma 2 dell’articolo 2 del D.Lgs. 14 settembre 2011, n. 167, T.U. in materia di apprendistato, prevede, a decorrere dal 1º gennaio 2013, che per gli apprendisti l'applicazione delle norme sulla previdenza e assistenza sociale obbligatoria venga estesa anche all’ASPI.

Il richiamato comma 2 dell’articolo 2 del D.Lgs. 167/2011 ha infatti stabilito che per gli apprendisti l'applicazione delle norme sulla previdenza e assistenza sociale obbligatoria si estenda alle seguenti forme:

a)  assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali;

b)  assicurazione contro le malattie;

c)  assicurazione contro l'invalidità e vecchiaia;

d)  maternità;

e)  assegno familiare.

 

In particolare, le richiamate norme vengono estese all’ASPI in relazione alla quale, in via aggiuntiva a quanto previsto in relazione al regime contributivo per le assicurazioni di cui alle precedenti lettere dello stesso comma 2 (vedi supra), ai sensi della disciplina di cui all’articolo 1, comma 773, della legge finanziaria per il 2007 (L. 296/2006), con effetto sui periodi contributivi maturati a decorrere dal 1º gennaio 2013 sia dovuta dai datori di lavoro per gli apprendisti artigiani e non artigiani una contribuzione pari all’1,31% della retribuzione imponibile ai fini previdenziali.

Il comma 773 ha rideterminato, con effetto sui periodi contributivi maturati a decorrere dal 1° gennaio 2007, le aliquote contributive dovute dai datori di lavoro per gli apprendisti artigiani e non artigiani, nella misura complessiva del 10% della retribuzione imponibile ai fini previdenziali. Al fine di rendere più graduale l’impatto dell’incremento della contribuzione per le aziende di minori dimensioni, è stato inoltre previsto che, per i datori di lavoro che occupano complessivamente meno di 10 dipendenti, la suddetta aliquota complessiva del 10% a loro carico relativa agli apprendisti sia ridotta di 8,5 punti percentuali per i contributi maturati nel primo anno di contratto e di 7 punti percentuali per i contributi maturati nel secondo anno di contratto. Resta fermo il livello di aliquota del 10% per i contributi maturati negli anni successivi al secondo.

 

Con riferimento a tale contribuzione non operano le disposizioni di cui all’articolo 22, comma 1, della L. 12 novembre 2011, n. 183.

Tale comma  ha previsto l’azzeramento, per i primi 3 anni, della quota di contribuzione a carico del datore di lavoro che occupi fino a 9 addetti, per i contratti di apprendistato stipulati negli anni 2012-2016.

A copertura dei costi è stato disposto:

o      l’incremento di 1 punto percentuale (dal 26% al 27%) dell’aliquota contributiva pensionistica corrisposta alla gestione separata di cui all’articolo 2, comma 26, della legge n.335/1995, dai lavoratori non iscritti ad altre forme pensionistiche e della relativa aliquota per il computo delle prestazioni pensionistiche;

o      l’incremento di 1 punto percentuale (dal 17% al 18%) dell’aliquota contributiva pensionistica corrisposta alla medesima gestione separata dai rimanenti lavoratori e della relativa aliquota per il computo delle prestazioni pensionistiche.

 

L’aliquota contributiva di finanziamento dell’ASPI non ha effetto, ai sensi del comma 37, nei confronti delle agevolazioni che rimandano, per l’identificazione dell’aliquota applicabile, alla contribuzione nella misura prevista per gli apprendisti.

 

Il comma 38 aggiunge l’ASPI alle tipologie di assicurazioni spettanti ai lavoratori soci di società cooperative di lavoro, di cui all’articolo 1, comma 1, del D.P.R. 30 aprile 1970, n. 602[100].

 

Il comma 39, infine, riduce, sempre dal 1° gennaio 2013, dal 4% al 2,6% l'aliquota contributiva a carico dei soggetti autorizzati alla somministrazione di lavoro, commisurata alla retribuzione dei lavoratori assunti con contratto a tempo determinato per l'esercizio di attività di somministrazione - mentre resta immutata la corrispondente aliquota (anch'essa pari al 4%) relativa ai lavoratori assunti con contratto a tempo indeterminato.

Si ricorda che la contribuzione in oggetto è destinata ai fondi bilaterali costituiti dalle parti stipulanti il contratto collettivo nazionale delle imprese di somministrazione di lavoro, ai fini dello svolgimento di iniziative e dell'erogazione di interventi in favore dei lavoratori assunti per prestazioni di lavoro in somministrazione.

 

In relazione all’intera disciplina sulla contribuzione di finanziamento recata dai commi 25-39, si valuti l’opportunità di definire esplicitamente se i contributi in oggetto si applichino anche in caso di attribuzione della mini-ASPI.

 


 

Articolo 2, commi 40-41
(ASpI e mini-ASpI – casi di decadenza)

 

L’articolo 2, commi 40-41, individua le cause di decadenza dalla fruizione dell’ASPI e della mini-ASPI, con obbligo di restituzione dell’indennità eventualmente percepita in assenza dei requisiti.

 

Ai sensi del comma 40, si decade dalla fruizione dell’ASP e della mini-ASPI nei seguenti casi:

o     perdita dello stato di disoccupazione (lettera a));

o     inizio di un’attività in forma autonoma senza che il lavoratore effettui la comunicazione all’INPS del reddito anno che si presume di avere dall’attività stessa, di cui al precedente articolo 2 comma 17 (lettera b));

o     raggiungimento dei requisiti per il pensionamento di vecchiaia o anticipato (lettera c));

o     acquisizione del diritto all’assegno ordinario di invalidità, sempre che il lavoratore non opti per l’indennità erogata dall’ASPI (lettera d)).

 

La decadenza si realizza dal momento in cui si verifica l’evento che la determina (comma 41), con obbligo di restituzione dell’indennità che eventualmente si sia continuato a percepire.

 

In proposito, si valuti l’opportunità di coordinare l’ipotesi di decadenza di cui alla lettera b) con le disposizioni di cui al comma 19, introdotto nel corso dell’esame al Senato, che prevede, in via sperimentale, la facoltà, per il lavoratore avente diritto alla corresponsione dell’ASPI, di richiedere la liquidazione delle mensilità non ancora percepite nel caso in cui lo stesso intraprenda un’attività di lavoro autonomo, ovvero per avviare un’attività in forma di auto impresa o di micro impresa, o per associarsi in cooperativa.

 

 


 

Articolo 2, commi 42-43
(Assicurazione Sociale per l’Impiego - contenzioso)

 

L’articolo 2, commi 42-43, applica all’ASPI le norme sul contenzioso amministrativo, relativo alle prestazioni o alla contribuzione, già vigenti per l'indennità ordinaria di disoccupazione.

 

Il comma 42, aggiungendo la lettera d-bis) all’articolo 46, comma 1, della L. 9 marzo 1989, n. 88[101], relativo al contenzioso in materia di prestazioni, individua nel comitato provinciale dell’INPS l’organo chiamato a decidere in via definitiva i ricorsi avverso i provvedimenti dell'INPS concernenti anche le prestazioni dell’ASPI.

 

Si ricorda che il richiamato comitato, costituito presso ogni sede provinciale dell’Istituto, sempre ai sensi del richiamato articolo 46, comma 1, decide in merito:

a)    alle prestazioni dell'assicurazione obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia ed i superstiti dei lavoratori dipendenti e le prestazioni del Fondo di garanzia per il trattamento di fine rapporto;

b)    alle prestazioni delle gestioni dei lavoratori autonomi, ivi comprese quelle relative ai trattamenti familiari di loro competenza;

c)    alle prestazioni della gestione speciale di previdenza a favore dei dipendenti da imprese esercenti miniere, cave e torbiere con lavorazione, ancorché parziale, in sotterraneo;

d)    alle prestazioni dell'assicurazione obbligatoria contro la disoccupazione involontaria;

e)    alla pensione sociale;

f)alle prestazioni economiche di malattia, ivi comprese quelle dell'assicurazione obbligatoria contro la tubercolosi, e per la maternità;

g)    ai trattamenti familiari;

h)    all'assegno per congedo matrimoniale;

i)al trattamento di richiamo alle armi degli impiegati ed operai privati.

 

Il successivo comma 43 prevede che il comitato amministratore della gestione prestazioni temporanee ai lavoratori dipendenti possa decidere, in merito all’ASPI, in unica istanza sui ricorsi in materia di contributi dovuti alla gestione.

Trovano altresì applicazione le disposizioni concernenti il termine per ricorrere al comitato (90 giorni dalla data dell’atto impugnato), trascorso il quale si può adire l’autorità giudiziaria.

 

Si valuti l’opportunità, in proposito, di specificare espressamente se tale disciplina debba applicarsi o meno anche alla mini-ASPI.

 

 


 

Articolo 2, commi 44-45
(Disposizioni transitorie relative alla durata di specifici ammortizzatori)

 

L’articolo 2, commi 44-45, disciplina la fase transitoria, in attesa dell’entrata a regime dell’ASPI, per i nuovi eventi di disoccupazione involontaria determinatisi a decorrere dal 1º gennaio 2013 e fino al 31 dicembre 2015. In particolare, vengono stabilite le prestazioni (quantificate in mesi) erogate ai soggetti interessati dagli eventi di disoccupazione in relazione alla loro età anagrafica, prevedendo che la durata di tali trattamenti aumenti in misura proporzionale all’età dei beneficiari (distinguendo tra soggetti la cui età anagrafica sia inferiore a 50 anni; sia pari o superiore a 50 anni ma inferiore a 55 anni; infine, sia pari o superiore a 55 anni).

 

Il comma 44 specifica che in relazione ai casi di cessazione dalla precedente occupazione intervenuti fino al 31 dicembre 2012, trovino applicazione le disposizioni in materia di indennità di disoccupazione ordinaria non agricola di cui all’articolo 19 del R.D.L. 14 aprile 1939, n. 636[102].

 

Ai sensi del comma 45, la durata massima legale, in relazione ai nuovi eventi di disoccupazione verificatisi a decorrere dal 1º gennaio 2013 e fino al 31 dicembre 2015, viene disciplinata nei seguenti termini:

·     per le prestazioni relative agli eventi intercorsi nel 2013 (lettera a)):

o        8 mesi per i soggetti con età anagrafica inferiore a cinquanta anni;

o        12 mesi per i soggetti con età anagrafica pari o superiore a cinquanta anni;

·     per le prestazioni relative agli eventi intercorsi nel 2014 (lettera b)):

o        8 mesi per i soggetti con età anagrafica inferiore a cinquanta anni;

o        12 mesi per i soggetti con età anagrafica pari o superiore a cinquanta anni e inferiore a cinquantacinque anni;

o        14 mesi per i soggetti con età anagrafica pari o superiore a cinquantacinque anni, nei limiti delle settimane di contribuzione negli ultimi due anni;

·     per le prestazioni relative agli eventi intercorsi nel 2015 (lettera c)):

o        10 mesi per i soggetti con età anagrafica inferiore a cinquanta anni;

o        12 mesi per i soggetti con età anagrafica pari o superiore a cinquanta anni e inferiore a cinquantacinque anni;

o        16 mesi per i soggetti con età anagrafica pari o superiore a cinquantacinque anni, nei limiti delle settimane di contribuzione negli ultimi due anni.

 

Si ricorda che la disciplina relativa alla durata dell’ASPI a decorrere dal 1° gennaio 2016 è contenuta al comma 11 dell’articolo 2, alla cui scheda si rimanda.

 


 

Articolo 2, comma 46
(Disposizioni transitorie relative all’indennità di mobilità)

 

Il comma 46 ridefinisce, con un progressivo ridimensionamento, i periodi massimi di fruizione dell'indennità di mobilità per il periodo transitorio dal 1° gennaio 2013 al 31 dicembre 2016.

 

Il comma 46 ridefinisce, con un progressivo ridimensionamento, per i lavoratori collocati in mobilità a decorrere dal 1º gennaio 2013 e fino al 31 dicembre 2016, ai sensi dell’articolo 7 della L. 223/2001[103], il periodo massimo di diritto della relativa indennità di mobilità di cui commi 1 e 2 dello stesso articolo 7, fino al pieno assorbimento nell’ambito dell’ASPI, dal 1° gennaio 2017, nei termini indicati nella seguente tabella:

 

Lavoratori in mobilità – 1° gennaio 2013-31 dicembre 2013 (lettera a))

Centro-nord

Meridione

Fino a 39 anni

40-49 anni

50 anni e oltre

Fino a 39 anni

40-49 anni

50 anni e oltre

12 mesi

24 mesi

36 mesi

24 mesi

36 mesi

48 mesi

Lavoratori in mobilità – 1° gennaio 2014-31 dicembre 2014 (lettera b))

Centro-nord

Meridione

Fino a 39 anni

40-49 anni

50 anni e oltre

Fino a 39 anni

40-49 anni

50 anni e oltre

12 mesi

24 mesi

30 mesi

18 mesi

30 mesi

42 mesi

Lavoratori in mobilità – 1° gennaio 2015-31 dicembre 2015 (lettera c))

Centro-nord

Meridione

Fino a 39 anni

40-49 anni

50 anni e oltre

Fino a 39 anni

40-49 anni

50 anni e oltre

12 mesi

18 mesi

24 mesi

12 mesi

18 mesi

24 mesi

Lavoratori in mobilità – 1° gennaio 2016-31 dicembre 2016 (lettera d))

Centro-nord

Meridione

Fino a 39 anni

40-49 anni

50 anni e oltre

Fino a 39 anni

40-49 anni

50 anni e oltre

12 mesi

12 mesi

18 mesi

12 mesi

18 mesi

24 mesi

 

 


 

Articolo 2, commi 47-50
(Addizionale comunale sui diritti di imbarco dei passeggeri)

 

I commi da 47 a 50 dell’articolo 2 disciplinano la destinazione, la riscossione e il versamento dell’incremento dell’addizionale comunale sui diritti d’imbarco di passeggeri sugli aeromobili, disposto dall’articolo 6-quater del D.L. n. 7/2005, prevedendo che, a decorrere, dal 1° gennaio 2016, gli introiti dell’addizionale siano versati alla gestione degli interventi assistenziali e di sostegno alle gestioni previdenziali dell’INPS.

 

L’articolo 2, comma 47, stabilisce che le maggiori somme derivanti dall’incremento dell’addizionale comunale sui diritti d’imbarco di passeggeri sugli aeromobili, previsto dall’articolo 6-quater del D.L. n. 7/2005[104], siano riversate alla gestione degli interventi assistenziali e di sostegno alle gestioni previdenziali dell’INPS, di cui all’articolo 37 della legge n. 88/1989. Il versamento alla suddetta gestione verrà effettuato a decorrere dal 1° gennaio 2016. Fino al 31 dicembre 2015 le somme di cui al citato articolo 6-quater continuano ad essere versate al Fondo speciale per il sostegno del reddito e dell'occupazione e della riconversione e riqualificazione del personale del settore del trasporto aereo (si veda oltre il commento al comma 48, lettera a)).

Si ricorda che l’addizionale comunale sui diritti d’imbarco di passeggeri sugli aeromobili è stata istituita, nella misura di un euro, dall’articolo 2, comma 11, della legge 24 dicembre 2003, n. 350 (legge finanziaria 2004)[105]. L’addizionale è stata successivamente incrementata in conseguenza dell’approvazione dei seguenti provvedimenti:

§       il citato articolo 6-quater del D.L. n. 7/2005 ha aumentato di un euro l’addizionale, portandola così a 2 euro, destinando le relative risorse Fondo speciale per il sostegno del reddito e dell'occupazione e della riconversione e riqualificazione del personale del settore del trasporto aereo, costituito ai sensi dell'articolo 1-ter del D.L. n. 249 del 2004[106], avente la finalità di favorire il mutamento o il rinnovamento delle professionalità ovvero di realizzare politiche attive di sostegno del reddito e dell'occupazione dei lavoratori del menzionato settore;

§       l’articolo 1, comma 1328, della legge n. 296 del 2006 (legge finanziaria 2007), ha incrementato l’addizionale di cinquanta centesimi di euro, al fine di ridurre il costo a carico dello Stato del servizio antincendi negli aeroporti;

§       l’articolo 2, comma 5-bis, del D.L. 134/2008[107], novellando l’art. 6-quater del D.L. n. 7/2005, ha incrementato l’addizionale di due euro. L’incremento dell’addizionale previsto dall’articolo 6-quater ammonta quindi complessivamente a tre euro.

Pertanto l’addizionale è attualmente pari a 4,50 euro per ogni passeggero imbarcato. L’articolo 4, comma 75, del presente disegno di legge prevede un incremento di 2 euro a decorrere dal 1° luglio 2013 (si veda la relativa scheda di lettura).

Si segnala infine che disposizioni particolari sono dettate per l’addizionale comunale sui diritti di imbarco per i passeggeri in partenza dagli aeroporti di Roma capitale (articolo 14, comma 14, lettera a), del D.L. n. 78/2010 e articolo 12, comma 4, del D.Lgs. n. 61/2012) e dagli aeroporti delle città metropolitane (articolo 24, comma 4, del D.Lgs. n. 68/2011).

 

Per quanto riguarda la destinazione delle somme disposta dal comma in esame, si ricorda che la GIAS (Gestione degli interventi assistenziali e di sostegno alle gestioni previdenziali) è stata istituita, presso l’INPS, dall’articolo 37 della L. 9 marzo 1989, n. 88[108], per la progressiva separazione tra previdenza e assistenza e la correlativa assunzione a carico dello Stato delle spese relative a quest'ultima. Il finanziamento della gestione è posto progressivamente a carico del bilancio dello Stato.

Ai sensi della lettera c) dell’articolo 37 della L. 88/1989, è a carico della GIAS una quota parte delle pensioni erogate dal Fondo pensioni lavoratori dipendenti (FPLD), dalla gestione dei lavoratori autonomi, dalla gestione speciale minatori e dall'ENPALS. La somma a ciò destinata è incrementata annualmente, con la legge finanziaria, in base alla variazione - maggiorata di un punto percentuale - dell'indice nazionale annuo dei prezzi al consumo per le famiglie degli operai e degli impiegati calcolato dall'ISTAT.

L’articolo 59, comma 34, della L. 449/1997 (provvedimento collegato alla manovra finanziaria per il 1998) ha previsto un ulteriore incremento dell’importo dei trasferimenti dallo Stato alle gestioni pensionistiche, di cui alla predetta lettera c). Tale incremento è assegnato esclusivamente al FPLD, alla gestione artigiani e alla gestione esercenti attività commerciali ed è a sua volta incrementato annualmente in base ai criteri previsti dalla medesima lettera c).

 

Il comma 48 novella l’articolo 6-quater del D.L. n. 7/2005, che, come sopra ricordato, ha disposto uno degli incrementi dell’addizionale comunale sui diritti di imbarco di passeggeri sugli aeromobili.

 

La lettera a) del comma 48 in esame stabilisce che la destinazione dell’incremento[109] dell’addizionale in oggetto, prevista dal citato articolo 6-quater del D.L. 7/2005 (Fondo speciale per il sostegno del reddito e dell'occupazione e della riconversione e riqualificazione del personale del settore del trasporto aereo), abbia termine al 31 dicembre 2015. Questa previsione si collega alla nuova destinazione disposta, dal comma 47 dell’articolo in esame, a decorrere dal 1° gennaio 2016.

 

La lettera b) del comma 48 introduce tre nuovi commi al citato articolo 6-quater.

Il nuovo comma 3-bis stabilisce che la riscossione dell’incremento dell’addizionale previsto dal più volte citato articolo 6-quater sia curata dai gestori dei servizi aeroportuali, con le modalità in uso per la riscossione dei diritti di imbarco. Le compagnie aeree devono versare gli importi di loro competenza entro tre mesi dalla fine del mese in cui sorge il relativo obbligo.

 

Il nuovo comma 3-ter dispone che i gestori di servizi aeroportuali comunichino mensilmente all’INPS, secondo modalità che saranno stabilite dall’Istituto medesimo, le somme riscosse. Tali somme sono versate all’INPS entro la fine del mese successivo a quello di riscossione, secondo le modalità previste dagli articoli 17 e seguenti del D.Lgs. n. 241/1997[110].

I citati articoli del D.Lgs. n. 241/1997 disciplinano il versamento unitario e la compensazione di tributi, contributi ed altre somme da pagare a favore dello Stato, delle regioni e degli enti previdenziali. In linea generale e salvo specifici limiti di legge, è consentita l’eventuale compensazione dei debiti con i crediti risultanti dalle dichiarazioni e dalle denunce periodiche previste dall’ordinamento. La legge specifica quali sono i termini e le modalità di effettuazione dei versamenti. Il citato articolo 17 è novellato dal comma 50 dell’articolo 2 in esame (si veda oltre).

Alle suddetto somme si applicano le disposizioni sanzionatorie e di riscossione, previste dall’articolo 116, comma 8, lettera a), della legge n. 388/2000,[111] per i contributi previdenziali obbligatori.

La norma citata dispone che, per il mancato o ritardato pagamento di contributi o premi dovuti alle gestioni previdenziali ed assistenziali, si applichi una sanzione civile, in ragione d'anno, pari al tasso ufficiale di riferimento maggiorato di 5,5 punti. La sanzione civile non può essere superiore al 40% dell'importo dei contributi o premi non corrisposti entro la scadenza di legge.

 

La comunicazione mensile all’INPS costituisce accertamento del credito e dà titolo, in caso di mancato versamento, ad attivare la riscossione coattiva, secondo le modalità previste dall’articolo 30 del D.L. n. 78/2010,[112] che disciplina il potenziamento dei processi di riscossione dell'INPS (nuovo comma 3-quater).

 

Il comma 49 riconosce in favore dei gestori dei servizi aeroportuali una somma parti allo 0,25% del gettito totale, a titolo di ristoro per le spese di riscossione e comunicazione. Il mancato rispetto degli obblighi di comunicazione disposti dal nuovo comma 3-ter dell’articolo 6-quater, comporta l’applicazione di una sanzione amministrativa da 2.000 a 12.000 euro. L’accertamento delle inadempienze e l’irrogazione delle relative sanzioni è effettuato dall’INPS, con applicazione della legge n. 689/1981[113], nei limiti della sua compatibilità con la fattispecie in esame.

 

Il comma 50 infine novella il già citato articolo 17, comma 2, del D.Lgs. n. 241/1997, includendo, tra le somme che possono essere oggetto di versamento unitario e di compensazione, le somme che i gestori dei diritti aeroportuali sono tenuti a versare all’INPS, ai sensi del noto articolo 6-quater.

 

 

Decreto legge 31 gennaio 2005, n. 7
(convertito, con modificazioni, dalla legge 31 marzo 2005, n. 43)

Disposizioni urgenti per l'università e la ricerca, per i beni e le attività culturali, per il completamento di grandi opere strategiche, per la mobilità dei pubblici dipendenti, e per semplificare gli adempimenti relativi a imposte di bollo e tasse di concessione, nonché altre misure urgenti

Testo vigente

Testo modificato

 

 

Art. 6-quater
(Disposizioni in materia di diritti di imbarco di passeggeri sugli aeromobili)

Art. 6-quater
(Disposizioni in materia di diritti di imbarco di passeggeri sugli aeromobili)

 

 

1. All'articolo 2, comma 11, della legge 24 dicembre 2003, n. 350, e successive modificazioni, che istituisce l'addizionale comunale sui diritti di imbarco di passeggeri sugli aeromobili, sono apportate le seguenti modificazioni:

1. Identico

a) alla lettera a), le parole: «20 per cento» sono sostituite dalle seguenti: «40 per cento»;

 

b) alla lettera b), le parole: «80 per cento» sono sostituite dalle seguenti: «60 per cento».

 

2. L'addizionale comunale sui diritti di imbarco è altresì incrementata di tre euro a passeggero. L'incremento dell'addizionale di cui al presente comma è destinato ad alimentare il Fondo speciale per il sostegno del reddito e dell'occupazione e della riconversione e riqualificazione del personale del settore del trasporto aereo, costituito ai sensi dell'articolo 1-ter del decreto-legge 5 ottobre 2004, n. 249, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 dicembre 2004, n. 291

2. L'addizionale comunale sui diritti di imbarco è altresì incrementata di tre euro a passeggero. L'incremento dell'addizionale di cui al presente comma è destinato fino al 31 dicembre 2015 ad alimentare il Fondo speciale per il sostegno del reddito e dell'occupazione e della riconversione e riqualificazione del personale del settore del trasporto aereo, costituito ai sensi dell'articolo 1-ter del decreto-legge 5 ottobre 2004, n. 249, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 dicembre 2004, n. 291

3. Le maggiori somme derivanti dall'incremento dell'addizionale, disposto dal comma 2, sono versate dai soggetti tenuti alla riscossione direttamente su una contabilità speciale aperta presso la Tesoreria centrale dello Stato, gestita dall'Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) e intestata al Fondo speciale di cui al comma 2. L'Ente nazionale per l'aviazione civile (ENAC) provvede a comunicare semestralmente al Fondo di cui al comma 2 il numero dei passeggeri registrati all'imbarco dagli scali nazionali nel semestre precedente, suddiviso tra utenti di voli nazionali e internazionali per singolo aeroporto.

3. Identico.

 

3-bis. La riscossione dell’incremento dell’addizionale comunale di cui al comma 2 avviene a cura dei gestori di servizi aeroportuali, con le modalità in uso per la riscossione dei diritti di imbarco. Il versamento da parte delle compagnie aeree avviene entro tre mesi dalla fine del mese in cui sorge l’obbligo.

 

3-ter. Le somme riscosse sono comunicate mensilmente all’INPS da parte dei gestori di servizi aeroportuali con le modalità stabilite dall’Istituto e riversate allo stesso Istituto, entro la fine del mese successivo a quello di riscossione, secondo le modalità previste dagli articoli 17 e seguenti del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241. Alle somme di cui al predetto comma 2 si applicano le disposizioni sanzionatorie e di riscossione previste dall’articolo 116, comma 8, lettera a), della legge 23 dicembre 2000, n. 388, per i contributi previdenziali obbligatori.

 

3-quater. La comunicazione di cui al comma 3-ter costituisce accertamento del credito e dà titolo, in caso di mancato versamento, ad attivare la riscossione coattiva, secondo le modalità previste dall’articolo 30 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, e successive modificazioni.

 

Decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241
Norme di semplificazione degli adempimenti dei contribuenti in sede di dichiarazione dei redditi e dell'imposta sul valore aggiunto, nonché di modernizzazione del sistema di gestione delle dichiarazioni

Testo vigente

Testo modificato

 

 

Art. 17
(Oggetto)

Art. 17
(Oggetto)

 

 

1. I contribuenti eseguono versamenti unitari delle imposte, dei contributi dovuti all'INPS e delle altre somme a favore dello Stato, delle regioni e degli enti previdenziali, con eventuale compensazione dei crediti, dello stesso periodo, nei confronti dei medesimi soggetti, risultanti dalle dichiarazioni e dalle denunce periodiche presentate successivamente alla data di entrata in vigore del presente decreto. Tale compensazione deve essere effettuata entro la data di presentazione della dichiarazione successiva. La compensazione del credito annuale o relativo a periodi inferiori all'anno dell'imposta sul valore aggiunto, per importi superiori a 5.000 euro annui, può essere effettuata a partire dal giorno sedici del mese successivo a quello di presentazione della dichiarazione o dell'istanza da cui il credito emerge.

1. Identico

2. Il versamento unitario e la compensazione riguardano i crediti e i debiti relativi:

2. Identico:

a) alle imposte sui redditi, alle relative addizionali e alle ritenute alla fonte riscosse mediante versamento diretto ai sensi dell'Art. 3 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602; per le ritenute di cui al secondo comma del citato Art. 3 resta ferma la facoltà di eseguire il versamento presso la competente sezione di tesoreria provinciale dello Stato; in tal caso non è ammessa la compensazione;

a) identica;

b) all'imposta sul valore aggiunto dovuta ai sensi degli articoli 27 e 33 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, e quella dovuta dai soggetti di cui all'Art. 74;

b) identica;

c) alle imposte sostitutive delle imposte sui redditi e dell'imposta sul valore aggiunto;

c) identica;

d)  all'imposta prevista dall'Art. 3, comma 143, lettera a), della legge 23 dicembre 1996, n. 662;

d) identica;

e) ai contributi previdenziali dovuti da titolari di posizione assicurativa in una delle gestioni amministrate da enti previdenziali, comprese le quote associative;

e) identica;

f) ai contributi previdenziali ed assistenziali dovuti dai datori di lavoro e dai committenti di prestazioni di collaborazione coordinata e continuativa di cui all'Art. 49, comma 2, lettera a), del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917;

f) identica;

g) ai premi per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali dovuti ai sensi del testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124;

g) identica;

h) agli interessi previsti in caso di pagamento rateale ai sensi dell'Art. 20;

h) identica;

h-bis) al saldo per il 1997 dell'imposta sul patrimonio netto delle imprese, istituita con decreto-legge 30 settembre 1992, n. 394, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 novembre 1992, n. 461, e del contributo al Servizio sanitario nazionale di cui all'Art. 31 della legge 28 febbraio 1986, n. 41, come da ultimo modificato dall'Art. 4 del decreto-legge 23 febbraio 1995, n. 41, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 marzo 1995, n. 85;

h-bis) identica;

h-ter) alle altre entrate individuate con decreto del Ministro delle finanze, di concerto con il Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, e con i Ministri competenti per settore;

h-ter) identica;

h-quater) al credito d'imposta spettante agli esercenti sale cinematografiche

h-quater) identica;

 

h-quinquies) alle somme che i soggetti tenuti alla riscossione dell’incremento all’addizionale comunale debbono riversare all’INPS, ai sensi dell’articolo 6-quater del decreto-legge 31 gennaio 2005, n. 7, convertito, con modificazioni, dalla legge 31 marzo 2005, n. 43, e successive modificazioni.

 


 

Articolo 2, commi 51-56
(Indennità una tantum per i lavoratori a progetto disoccupati)

 

L’articolo 2, commi 51-56, disciplina, a decorrere dal 2013, una specifica indennità una tantum per i collaboratori coordinati e continuativi in regime di monocomittenza, iscritti in via esclusiva alla gestione pensionistica INPS separata e non titolari anche di reddito di lavoro autonomo, in quanto esclusi, secondo quanto riportato nella relazione illustrativa al provvedimento, dall’ambito di applicazione dell’ASPI.

 

Il comma 51 prevede, a decorrere dal 2013, nei limiti delle risorse di cui all’articolo 19, comma 1, del D.L. 29 novembre 2008, n. 185[114], l’erogazione di un’indennità ai collaboratori coordinati e continuativi, di cui all’articolo 61, comma 1, del D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276 (cd. lavoratori a progetto[115]), iscritti in via esclusiva alla Gestione separata presso l’INPS di cui all’articolo 2, comma 26, della L. 335/1995[116], con esclusione dei soggetti individuati dall’articolo 1, comma 212, della L. 23 dicembre 1996, n. 662, a condizione che vengano soddisfatti congiuntamente i seguenti presupposti:

o     abbiano operato, nel corso dell’anno precedente, in regime di monocommittenza (lettera a));

o     abbiano conseguito l’anno precedente un reddito lordo complessivo soggetto a imposizione fiscale non superiore al limite di 20.000 euro, annualmente rivalutato sulla base della variazione dell’indice ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati intervenuta l’anno precedente (lettera b));

o     con riguardo all’anno di riferimento sia accreditato, presso la predetta Gestione separata presso l’INPS, di cui all’articolo 2, comma 26, della L. 335/1995, un numero di mensilità non inferiore a uno (lettera c));

o     abbiano avuto un periodo di disoccupazione ai sensi dell’articolo 1, comma 2, lettera c), del D.Lgs. 181/2000 (cioè soggetti privi di lavoro che siano immediatamente disponibili allo svolgimento ed alla ricerca di un’attività lavorativa), ininterrotta di almeno due mesi nell’anno precedente (lettera d));

o     risultino accreditate nell’anno precedente almeno quattro mensilità presso la predetta Gestione separata INPS (lettera e)).

 

Ai sensi del comma 52, l’indennità è pari a una somma del 5% del minimale annuo di reddito di cui all’articolo 1, comma 3, della L. 2 agosto 1990, n. 233[117], moltiplicato per il minor numero tra le mensilità accreditate l’anno precedente e quelle non coperte da contribuzione.

 

Tale somma viene liquidata (comma 53) in un’unica soluzione se di importo pari o inferiore a 1.000 euro, ovvero in importi mensili di importo pari o inferiore a 1.000 euro se superiore.

 

L’articolo 1, comma 3, della L. 233/1990 ha stabilito il livello minimo imponibile ai fini del versamento dei contributi e delle prestazioni previdenziali degli artigiani e degli esercenti attività commerciali, titolari, coadiuvanti e coadiutori, dovuti da ciascun assicurato, fissato nella misura del minimale annuo di retribuzione che si ottiene moltiplicando per 312 il minimale giornaliero stabilito, al 1° gennaio dell'anno cui si riferiscono i contributi, per gli operai del settore artigianato e commercio dall'articolo 1 del D.L. 29 luglio 1981, n. 402[118], e dalle allegate tabelle.

 

Nella relazione tecnica allegata al ddl originario si evidenzia un esempio della determinazione degli importi dell’indennità, prendendo a riferimento il valore 2012 del richiamato minimale, pari ad euro 14.930.

La tabella seguente riporta gli importi.

 

Valori in euro 2012 parametrati al minimale 2012  pari a 14.930 euro

Mesi accreditati

Compensi lordi

Misura indennità

4

4.976,67

2.896,00

5

6.220,83

3.732,50

6

7.465,00

4.479,00

7

8.709,17

3.732,50

8

9.953,33

2.986,00

9

11.197,50

2.239,50

10

12.441,67

1.493,00

11

13.685,83

746,50

12

14.930,00

-

 

Sempre secondo la relazione tecnica, dalle richiamate disposizioni “non derivano oneri aggiuntivi per la finanza pubblica, dato che la concessione dell’indennità avviene nel limite di risorse già previste a legislazione vigente e in riferimento alle quali vengono soppressi altri istituti previsti a valere sulle medesime risorse in quanto inglobati nella complessiva revisione degli ammortizzatori sociali come disciplinata dal presente disegno di legge”.

 

Il comma 54 prevede che per i soggetti che abbiano maturato il diritto alla fruizione dell’indennità previgente entro la data del 31 dicembre 2011 ai sensi dell’articolo 19, comma 2, del richiamato D.L. 185/2008, restano fermi i requisiti di accesso e la misura del trattamento vigenti entro la medesima data.

 

Infine, il comma 55 abroga, a decorrere dal 1º gennaio 2013, le lettere a), b) e c) del comma 1 dell’articolo 19 del D.L. 185/2008.

 

Il richiamato comma 1 dell’articolo 19 ha disposto che il potenziamento e l’estensione degli ammortizzatori sociali debba avvenire, in primo luogo, attraverso la previsione di una serie di interventi, nell’ambito del Fondo per l’occupazione e nei limiti di specifici stanziamenti, volti a riconoscere l’accesso a specifici istituti di tutela del reddito - comprensivi delle somme concernenti la contribuzione figurativa e gli assegni al nucleo familiare - in caso di sospensione dal lavoro dei soggetti interessati.

In particolare, la lettera a) del comma 1 ha stabilito l’accesso all’indennità ordinaria di disoccupazione non agricola con requisiti normali (per un approfondimento dell’istituto cfr. la scheda relativa all’articolo 22) per determinate categorie di lavoratori, modificando la previgente normativa di cui all’articolo 13, commi 7-12, del D.L. 35/2005, contestualmente soppressa dal successivo comma 5. In particolare, tale indennità è stata estesa ai lavoratori sospesi per crisi aziendali o occupazionali; inoltre viene erogata subordinatamente ad un intervento integrativo pari almeno alla misura del 20% dell’indennità a carico degli enti bilaterali previsti dalla contrattazione collettiva, compresi quelli di cui all'articolo 12 del D.Lgs. 276/2003 (tale indennità peraltro può essere concessa anche senza necessità dell’intervento integrativo degli enti bilaterali); ha una durata massima che non può superare novanta giornate di annue indennità e non è sottoposta a specifiche limitazioni di spesa.

La successiva lettera b) ha altresì stabilito l’accesso all’indennità ordinaria di disoccupazione non agricola con requisiti ridotti, disponendo, tra l’altro, che la stessa riguarda i lavoratori sospesi per crisi aziendali o occupazionali; che fino all’entrata in vigore di uno specifico decreto attuativo (previsto dal successivo comma 3). Tale indennità, inoltre, può essere concessa anche senza necessità dell’intervento integrativo degli enti bilaterali; che ha una durata massima che non può superare novanta giornate di indennità nell'anno solare; e che non è sottoposta a specifiche limitazioni di spesa.

Infine, la lettera c) concerne il trattamento sperimentale integrativo per i lavoratori assunti con la qualifica di apprendista, previsto in via sperimentale per il periodo 2009-2012 e subordinatamente a un intervento integrativo pari almeno alla misura del 20% a carico degli enti bilaterali previsti dalla contrattazione collettiva, in caso di sospensione per crisi aziendali o occupazionali ovvero in caso di licenziamento. Tale trattamento è pari all'indennità ordinaria di disoccupazione con requisiti normali per i lavoratori assunti con la qualifica di apprendista alla data di entrata in vigore del provvedimento in esame e con almeno tre mesi di servizio presso l'azienda interessata da trattamento, per una durata massima di novanta giornate nell'intero periodo di vigenza del contratto di apprendista.

 

L’articolo 19, comma 2, del D.L. 185/2008 ha introdotto, in via sperimentale per il quadriennio 2009-2012, nei limiti di specifiche risorse, il riconoscimento di una somma liquidata in un'unica soluzione pari al 30% del reddito percepito l'anno precedente, ai lavoratori a progetto - ad esclusione dei soggetti titolari di redditi di lavoro autonomo di cui all’articolo 53 del TUIR - possessori dei seguenti requisiti:

-        operare in regime di monocommittenza;

-        conseguimento di un reddito lordo nell’anno precedente non superiore a 20.000 euro e non inferiore a 5.000 euro

-        accreditamento presso la predetta Gestione separata nell’anno di riferimento di un numero di mensilità non inferiore a uno;

-        devono risultare senza contratto di lavoro da almeno due mesi;

-        accreditamento, nell’anno precedente a quello di riferimento, presso la predetta Gestione separata, di un numero di mensilità non inferiore a tre.

 

Nel corso dell’esame al Senato è stato introdotto il comma 56, ai sensi del quale, in via transitoria per il triennio 2013-2015:

a)   il requisito minimo di almeno quattro mensilità di contribuzione nell’anno precedente alla gestione separata INPS, ai fini della fruizione dell’indennità una tantum, di cui al precedente comma 1, lettera e), è ridotto a tre mesi;

b)   l’indennità viene elevata dal 5% al 7% del minimale annuo di reddito richiamato in precedenza;

c)   vengono integrate le risorse finanziarie a copertura della concessione della richiamata indennità nella misura di 60 milioni annui di euro per il citato triennio a valere, per l’anno 2013, sulla dotazione del Fondo per gli interventi urgenti ed indifferibili di cui all’articolo 7-quinquies, comma 1, del D.L. 5/2009, come integrato dall’articolo 33, comma 1, della L. 183/2011 e, per gli anni 2014 e 2015, sull’autorizzazione di spesa relativa al Fondo per il finanziamento di interventi a favore dell’incremento in termini quantitativi e qualitativi dell’occupazione giovanile e delle donne di cui all’articolo 24, comma 27, del D.L. 201/2011.

     Si ricorda, in proposito, che una copertura degli oneri finanziari sulla dotazione dei richiamati fondi viene disposta anche dal comma 29, lettera b), del precedente articolo 2, relativamente al finanziamento dei casi in cui non trova applicazione il contributo addizionale di finanziamento dell’ASPI, nonché dal comma 17 del successivo articolo 3, relativo all’erogazione dell’ASPI, in via sperimentale per il periodo 2013-2015, ai lavoratori sospesi per crisi aziendali o occupazionali che siano in possesso di specifici requisiti, a condizione che ci sia un intervento integrativo da parte dei fondi bilaterali di cui ai commi 14-18 dello stesso articolo 3, pari almeno alla misura del 20% dell’indennità stessa a carico dei fondi bilaterali.

 

Il comma 1 dell'articolo 7-quinquies del D.L. 5/2009 ha istituito nello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze un fondo (cap. 3071), al fine di assicurare il finanziamento di interventi urgenti e indifferibili, con particolare riguardo ai settori dell’istruzione e agli interventi organizzativi connessi ad eventi celebrativi.

Relativamente all’anno 2012, il comma 26-ter dell’articolo 1 del D.L.  138/2011 ha incrementato la dotazione del Fondo in oggetto di 24 milioni di euro per l'anno 2012 e di 30 milioni di euro per l'anno 2013. Ai fini del riparto delle risorse del Fondo, il comma 26-ter prevede che si applichi la procedura prevista dall'articolo 1, comma 40, quinto periodo, della legge di stabilità 2011 (L. 220/2010[119]).

Successivamente, l’articolo 33, comma 1, della legge di stabilità 2012 (L. 183/2011) ha incrementato la dotazione del richiamato Fondo di 1.143 milioni di euro per l'anno 2012, prevedendone la ripartizione con appositi decreti del Presidente del Consiglio dei ministri tra le finalità indicate nell'elenco 2 allegato, che sono seguenti:

o      Fondo nazionale per le politiche giovanili;

o      investimenti Gruppo Ferrovie - contratto di programma con RFI;

o      professionalizzazione forze armate - rifinanziamento, per il medesimo anno, degli importi di cui agli articoli 582 e 583 del D.Lgs. 15 marzo 2010, n. 66 , recante "Codice dell'ordinamento militare";

o      partecipazione italiana a banche e fondi internazionali;

o      esigenze connesse alla celebrazione della ricorrenza del 4 novembre;

o      provvidenze alle vittime dell'uranio impoverito;

o      ulteriori esigenze dei Ministeri;

o      interventi per assicurare la gratuità dei libri di testo scolastici di cui all’articolo 27, comma 1 della L. 448/1998;

o      Unione italiana ciechi.

Il secondo periodo del comma 1 ha inoltre stabilito che una quota pari a 100 milioni di euro del richiamato Fondo venga destinata per l’anno 2012 al finanziamento di interventi urgenti di riequilibrio socio-economico e sviluppo dei territori e alla promozione di attività sportive, culturali e sociali di cui all’articolo 1, comma 40, quarto periodo della legge di stabilità 2011 (L. 220/2010).

L’articolo 24, comma 27, del D.L. 201/2011 ha istituito presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali un Fondo per il finanziamento di interventi a favore dell'incremento in termini quantitativi e qualitativi dell'occupazione giovanile e delle donne, rinviando a specifici decreti interministeriali la definizione dei criteri e delle modalità istitutive.

Il fondo è finanziato con 200 milioni di euro per l'anno 2012, 300 milioni per ciascuno degli anni 2013 e 2014 e 240 milioni di euro per l’anno 2015.

 

Infine, nel corso del periodo transitorio, in sede di monitoraggio dello stato di attuazione degli interventi e delle misure del provvedimento in esame, con particolare riferimento alle misure recate per specifiche fattispecie contrattuali, si provvede a verificare la rispondenza dell’indennità in oggetto alle finalità di tutela, considerate le caratteristiche della tipologia contrattuale, per verificare corrispondenza della portata effettiva dell’onere alle previsioni iniziali, nonché per valutare, ai sensi dell’effettivo conseguimento delle finalità, eventuali correzioni della misura stessa, quali la sua sostituzione con le diverse tipologie di intervento previste, quali la mini-ASPI.

 

In proposito, si valuti la disciplina derogatoria introdotta per il solo triennio 2012-2015 dal nuovo comma 56, più favorevole ai lavoratori, ai fini della fruizione dell’indennità, che lascerebbe al solo 2016 la sottoposizione alla disciplina “ordinaria” recata in particolare dai primi due commi dell’articolo in esame.

Allo stesso tempo, non appaiono del tutto chiare le modalità di sostituzione dell’indennità con le diverse tipologie di intervento previste.   

 

L’articolo 19, comma 1, del D.L. 185/2008 ha disposto che il potenziamento e l’estensione degli ammortizzatori sociali avviene, in primo luogo, attraverso la previsione di una serie di interventi, nell’ambito del Fondo per l’occupazione e nei limiti di specifici stanziamenti, volti a riconoscere l’accesso a specifici istituti di tutela del reddito - comprensivi delle somme concernenti la contribuzione figurativa e gli assegni al nucleo familiare - in caso di sospensione dal lavoro dei soggetti interessati. Allo scopo, nell’ambito del suddetto Fondo, sono state preordinate le somme di 289 milioni di euro per l'anno 2009, di 304 milioni di euro per ciascuno degli anni 2010 e 2011 e di 54 milioni di euro a decorrere dall'anno 2012.

Nei limiti delle risorse suddette, è riconosciuto l’accesso ad una serie di istituti di tutela del reddito, secondo modalità e criteri di priorità stabiliti, ai sensi del comma 3, con decreto del Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, da adottarsi entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del provvedimento in esame.

In particolare, è riconosciuto l’accesso, per specifiche categorie di lavoratori, modificando analoghe disposizioni contenute in precedenti disposizioni, che vengono contestualmente soppresse:

- all’indennità ordinaria di disoccupazione non agricola con requisiti normali, di cui all’articolo 19, primo comma, del R.D.L. 14 aprile 1939, n. 636, convertito dalla L. 6 luglio 1939, n. 1272 (comma 1, lettera a));

- all'indennità ordinaria di disoccupazione non agricola con requisiti ridotti, per i lavoratori sospesi per crisi aziendali o occupazionali che siano in possesso dei requisiti richiesti dalla relativa disciplina, e subordinatamente ad un intervento integrativo pari almeno alla misura del 20% dell'indennità stessa a carico degli enti bilaterali previsti dalla contrattazione collettiva compresi quelli di cui all'articolo 12 del D.Lgs. 276/2003. Il trattamento non può superare novanta giornate annue di indennità, inoltre le richiamate disposizioni non si applicano ai lavoratori dipendenti da aziende destinatarie di trattamenti di integrazione salariale, nonché nei casi di contratti di lavoro a tempo indeterminato con previsione di sospensioni lavorative programmate e di contratti di lavoro a tempo parziale verticale;

- ad un trattamento, in via sperimentale, per il triennio 2009-2012, subordinatamente a un intervento integrativo pari almeno alla misura del 20% dell'indennità stessa a carico degli enti bilaterali previsti dalla contrattazione collettiva un trattamento, in caso di sospensione per crisi aziendali o occupazionali ovvero in caso di licenziamento, pari all'indennità ordinaria di disoccupazione con requisiti normali per i lavoratori assunti con la qualifica di apprendista.

 

Si ricorda che ulteriori disposizioni in materia di lavoro a progetto sono contenute nell’articolo 1, commi 23-25, alla cui scheda si rimanda.

 


 

Articolo 2, comma 57
(Aumento aliquote contributive della Gestione separata INPS di cui all’articolo 2, comma 26, della L. 335/1995)

 

Il comma 57 prevede un incremento dell'aliquota contributiva pensionistica per gli iscritti alla gestione separata INPS e della corrispondente aliquota per il computo delle prestazioni pensionistiche (nella gestione separata si applica il sistema contributivo integrale ai fini del riconoscimento e del calcolo del trattamento pensionistico). In particolare, si prevede un incremento progressivo delle due aliquote, a decorrere dal 2013, fino al conseguimento di aliquote pari, rispettivamente, al 33% (dal 27% attuale) e al 24% (dal 18% attuale) - per i casi in cui il soggetto sia iscritto anche ad altra forma pensionistica obbligatoria o sia già titolare di un trattamento pensionistico - a regime dal 2018.

 

Il comma 57, modificando l’articolo 1, comma 79, della L. 24 dicembre 2007, n. 247[120], incrementa le aliquote contributi dei soggetti iscritti alla gestione separata INPS di cui all’articolo 2, comma 26, della L. 335/1995.

 

Si ricorda che sono iscritti obbligatoriamente alla Gestione separata INPS i seguenti soggetti:

§      professionisti: si tratta dei soggetti che percepiscono redditi che derivano, come disposto dall'articolo 53, comma 1, del T.U.I.R., dall'esercizio per professione abituale, anche se non esclusiva, di attività di lavoro autonomo. L'attività di cui trattasi non deve, comunque, essere condotta in forma di impresa commerciale. Rientrano, pertanto, in tale categoria e sono tenuti al pagamento del contributo previdenziale:

-       professionisti iscritti in albi senza cassa di previdenza ma titolari di partita IVA;

-       professionisti iscritti in albi con cassa di previdenza ma non iscritti a quest'ultima;

-       professionisti iscritti in albi con cassa di previdenza, in relazione ai redditi professionali non assoggettati a contribuzione presso la cassa stessa;

-       professionisti senza albo e senza cassa (si pensi alle professioni di consulente di informatica, esperto in marketing, traduttori o interpreti, ecc.);

§      collaboratori coordinati e continuativi: secondo quanto disposto dall'articolo 53, comma 2, del citato T.U.I.R., si considerano rapporti di collaborazione coordinata e continuativa quei rapporti aventi per oggetto la prestazione di attività, non rientranti nell'oggetto dell'arte o della professione esercitata dal contribuente ai sensi del comma 1 dello stesso articolo, che, pur avendo contenuto intrinsecamente artistico o professionale, vengono svolte a favore di un soggetto, senza vincolo di subordinazione, e sono inserite in un rapporto unitario e continuativo, con retribuzione periodica prestabilita.

Rientrano, ad esempio, in tale categoria le seguenti figure:

-       amministratori, sindaci o revisori di società, associazioni ed altri enti;

-       membri di commissione e collegi;

-       soggetti che collaborano a giornali, riviste, enciclopedie e simili, tranne i casi in cui si rientri nel diritto d'autore;

-       amministratori di condominio;

§      venditori porta a porta: sono i soggetti incaricati delle vendite a domicilio (come definiti dall'articolo 36 della L. 11 giugno 1971, n. 426, recante la disciplina del commercio). Per effetto dell'articolo 44, comma 2, del D.L. 30 settembre 2003, n. 269, dal 1° gennaio 2004 devono essere iscritti alla Gestione separata, come pure gli esercenti attività di lavoro autonomo occasionale, solo qualora il reddito annuo sia superiore a € 5.000;

§      titolari di borse di studio: per la frequenza ai corsi di dottorato di ricerca (L. 3 agosto 1998, n. 315, articolo 1); per il sostegno della mobilità internazionale degli studenti ed assegni per attività di tutorato o didattico-integrative, propedeutiche o di recupero (D.L. 105 del 2003, convertito dalla L. 170 del 2003);

§      pensionati: coloro che, pur in quiescenza, svolgono le attività sopradescritte; sono tenuti alla contribuzione alla Gestione separata in relazione ai soli redditi percepiti a seguito dell'esercizio di dette attività[121];

§      lavoratori dipendenti: sono naturalmente soggetti alla contribuzione in questione anche i lavoratori dipendenti, sia privati che pubblici, che percepiscono compensi che non sono già assoggettati a contribuzione previdenziale obbligatoria.

§      associati in partecipazione: per effetto del comma 157 dell'articolo 1 della L. 30 dicembre 2004, n. 311 (legge finanziaria per il 2005).

 

In particolare l’articolo 1, comma 79, della L. 247/2007 ha disposto un incremento al 24% per il 2008, al 25% per il 2009 e al 26% a decorrere dal 2010 dell’aliquota contributiva pensionistica versata dagli iscritti che non siano assicurati presso altre forme pensionistiche obbligatorie; nonché l’incremento al 17% a decorrere dal 1° gennaio 2008 dell’aliquota contributiva pensionistica corrisposta dai rimanenti iscritti rispetto a quelli di cui sopra (cioè dai soggetti già titolari di pensione o dai soggetti già assicurati presso altre forme pensionistiche obbligatorie). Contestualmente è stata incrementata la relativa aliquota contributiva per il computo delle prestazioni pensionistiche.

Successivamente l’articolo 22, comma 1, della legge di stabilità 2012 (L. 183/2011) ha aumentato di un punto percentuale, con effetto dal 1° gennaio 2012, l'aliquota contributiva pensionistica per tutti gli iscritti e la relativa aliquota contributiva per il computo delle prestazioni pensionistiche.

 

 

La nuova disposizione prevede un incremento progressivo delle aliquote dovute dagli assicurati non iscritti ad altre forme pensionistiche fino all’aliquota a regime del 33% nel 2018, e più specificamente:

o   26% per il biennio 2010 e 2011;

o   27% per il 2012;

o   28% per il 2013;

o   29% per il 2014;

o   30% per il 2015;

o   31% per il 2016;

o   32% per il 2017;

o   33% a decorrere dal 2018.

 

Per i soggetti iscritti ad altre forme pensionistiche, l’incremento è determinato nel seguente modo:

o   18% per gli anni 2008-2011;

o   19% per il 2013;

o   20% per il 2014;

o   21% per il 2015;

o   22% per il 2016;

o   23% per il 2017;

o   24% a decorrere dal 2018.

 

Si segnala, al riguardo, che l’intervento in esame non appare coordinato con il richiamato articolo 22, comma 1, della legge di stabilità 2012, che non viene contestualmente abrogato.

 


 

Articolo 2, commi 58-63
(Revoca di prestazioni assistenziali e previdenziali a condannati per gravi reati)

 

I commi 58-63, introdotti al Senato, prevedono la revoca di prestazioni assistenziali e previdenziali di cui siano titolari soggetti condannati per reati di particolare allarme sociale.

 

Il comma 58 prevede che, in caso di sentenza di condanna per una serie di reati di particolare allarme sociale previsti dal codice penale - associazione con finalità di terrorismo (art. 270-bis), attentato per finalità terroristiche o di eversione (art. 280), sequestro di persona a scopo di terrorismo o di eversione (art. 289-bis), associazione di tipo mafioso (art. 416-bis) e delitti commessi per agevolare l’attività della stessa o avvalendosi delle condizioni di intimidazione derivanti dall’appartenenza all’associazione; scambio elettorale politico-mafioso (art. 416-ter), strage (art. 422), il giudice disponga la sanzione accessoria della revoca di una serie di prestazioni assistenziali di cui il condannato risulti titolare: indennità di disoccupazione, assegno sociale, pensione sociale e pensione di invalidità civile. Con la sentenza di condanna, il giudice dispone l’ulteriore revoca dei trattamenti previdenziali erogati al condannato qualora una precedente sentenza abbia accertato che questi trattamenti derivino, anche parzialmente, “da un rapporto di lavoro fittizio a copertura di attività illecite” connesse ai suddetti reati.

La norma sembra doversi riferire alle sole sentenze di condanna passate in giudicato; non sembra infatti possa essere ricollegato alla mera pendenza del procedimento penale un effetto accessorio di tipo sanzionatorio, di contenuto analogo a quello prodotto dalla sentenza definitiva.

In tal caso, la disposizione andrebbe valutata alla luce del principio di presunzione di non colpevolezza contenuto nell’art. 27 Cost. In proposito si richiama la sentenza della Corte costituzionale n. 141 del 1996, che ha dichiarato l’illegittimità di alcune norme contenute nella legge n. 55 del 1990 nella parte in cui ricollegavano l’effetto dell’incandidabilità ad elezioni amministrative a sentenze penali non definitive o a provvedimenti giurisdizionali di applicazione di una misura di prevenzione privi del requisito della definitività.

Della sanzione accessoria applicata è data notizia entro 15 giorni, per l’immediata esecuzione, agli enti titolari dei trattamenti assistenziali e previdenziali in favore del condannato (comma 60).

Entro 3 mesi dall’entrata in vigore del provvedimento in esame, a cura del Ministro della giustizia (d’intesa con quello del lavoro e delle politiche sociali) è trasmesso agli enti titolari dei trattamenti - ai fini della revoca - l’elenco dei condannati in via definitiva per alcuno dei reati sopracitati (comma 61).

Al termine delle indagini preliminari, in sede di richiesta di rinvio a giudizio per l’esercizio dell’azione penale, il pubblico ministero che nel corso delle indagini abbia acquisito elementi che facciano ritenere irregolarmente percepita una prestazione assistenziale o previdenziale, ne informa la competente amministrazione ai fini dei necessari accertamenti (comma 62).

Se ne ricorrano i presupposti giuridici, i condannati cui siano state revocate le prestazioni assistenziali - a pena eseguita - possono tuttavia beneficiare delle prestazioni previste dalla vigente disciplina (comma 59).

Le risorse derivanti dai provvedimenti di revoca sono versate dagli enti erogatori delle prestazioni all’entrata del bilancio dello Stato per essere poi riassegnate al Fondo dirotazione per la solidarietà alle vittime dei reati di tipo mafioso, della richieste estorsive e dell’usura e agli interventi in favore delle vittime del terrorismo e della criminalità organizzata (comma 63).

 

Si ricorda, infine, che è attualmente all’esame della 11a Commissione (Lavoro, previdenza sociale) del Senato la proposta di legge S. 2418 (Fedriga ed altri), approvato in prima lettura dalla Camera dei deputati il 27 ottobre 2010, recante disposizioni concernenti la revoca del trattamento previdenziale o assistenziale per i soggetti condannati per reati di terrorismo o di criminalità organizzata.

 

 


 

Articolo 2, commi 64-67
(
Gestione della transizione verso il nuovo assetto di ammortizzatori sociali)

 

L'articolo 2, commi 64-67, consente, per il periodo transitorio 2013-2016, la concessione di ammortizzatori sociali in deroga, in termini analoghi a quelli posti, per gli anni precedenti, da numerose disposizioni transitorie.

 

Il comma 64 prevede, al fine di garantire la graduale transizione verso il regime delineato dalla riforma degli ammortizzatori sociali nel provvedimento in esame, assicurando la gestione delle situazioni derivanti dal perdurare dello stato di debolezza dei livelli produttivi del Paese, che per gli anni 2013-2016 il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, possa disporre, sulla base di specifici accordi governativi e per periodi non superiori a dodici mesi, in deroga alla normativa vigente, la concessione, anche senza soluzione di continuità, di trattamenti di integrazione salariale e di mobilità.

Tali trattamenti sono concessi, anche con riferimento a settori produttivi e ad aree regionali, nei limiti delle risorse finanziarie a tal fine destinate nell’ambito del Fondo sociale per occupazione e formazione, di cui all’articolo 18, comma 1, lettera a), del D.L. 29 novembre 2008, n. 185[122], così come incrementato ai sensi del successivo comma 65 (1.000 milioni di euro per ciascuno degli anni 2013 e 2014, 700 milioni di euro per il 2015 e 400 milioni di euro per il 2016).

 

L’articolo 18, comma 1, del D.L. 185/2008 prevede che il CIPE, presieduto dal Presidente del Consiglio, su proposta del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze - nonché di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti per quanto attiene le risorse destinate alle infrastrutture – provveda ad assegnare, in coerenza con gli indirizzi assunti in sede europea, una quota delle risorse nazionali disponibili del Fondo aree sottoutilizzate ad una serie di fondi[123]. Alla lettera a) del comma 1 viene indicato tra i beneficiari di tali risorse il Fondo sociale per occupazione e formazione, che viene appositamente istituito nello stato di previsione del Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali. In tale Fondo affluiscono anche le risorse del Fondo per l'occupazione nonché ogni altra risorsa comunque destinata al finanziamento degli ammortizzatori sociali, concessi in deroga alla normativa vigente, e quelle destinate in via ordinaria dal CIPE alla formazione.

Si ricorda, che nell’articolo 18, del D.L. 185/2008 si è inteso, più in generale, perseguire l’obiettivo di concentrare le risorse che risultino disponibili sul Fondo per le aree sottoutilizzate (FAS) su obiettivi che, in considerazione della eccezionale crisi economica internazionale attuale, siano da considerarsi prioritari per il rilancio dell’economia italiana, quali le opere pubbliche e l’emergenza occupazionale.

 

Il comma 66 prevede la proroga, nell’ambito delle risorse finanziarie destinate alla concessione, in deroga alla normativa vigente, anche senza soluzione di continuità, di trattamenti di integrazione salariale e di mobilità, dei trattamenti concessi ai sensi dell’articolo 33, comma 21, della L. 183/2011, nonché ai sensi del precedente comma. Anche in questo caso, tali trattamenti possono essere prorogati sulla base di specifici accordi governativi e per periodi non superiori a dodici mesi, con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze.

In ogni caso, la misura dei trattamenti di cui al periodo precedente è ridotta:

o          del 10 per cento nel caso di prima proroga;

o          del 30 per cento nel caso di seconda proroga;

o          del 40 per cento nel caso di proroghe successive.

I trattamenti di sostegno del reddito, nel caso di proroghe successive alla seconda, possono essere erogati esclusivamente nel caso di frequenza di specifici programmi di reimpiego, anche miranti alla riqualificazione professionale.

Nel corso dell’esame presso il Senato è stato soppresso il riferimento che i corsi di riqualificazioni debbano essere organizzati dalla regione, prevedendo così che tali corsi possano essere organizzati da più soggetti.

Viene infine confermata  la relazione bimestrale sull’andamento degli impegni delle risorse destinate agli ammortizzatori in deroga  da inviare, da parte del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, al Ministero dell’economia e delle finanze.

 

L’articolo 33, comma 21, della legge di stabilità 2012 (L. 183/2011) prevede, in attesa della riforma degli ammortizzatori sociali ed in attuazione dell’intesa Stato-Regioni del 20 aprile 2011[124], la concessione, per l’anno 2012, di trattamenti di cassa integrazione guadagni, di mobilità e di disoccupazione speciale, anche senza soluzione di continuità e con riferimento a settori produttivi e ad aree regionali. Gli interventi vengono disposti, nel limite delle risorse indicate appunto al successivo comma 24, con provvedimento del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, in deroga alla normativa vigente, sulla base di specifici accordi governativi e per periodi non superiori a dodici mesi.

La norma dispone, poi, la proroga dei trattamenti concessi ai sensi dell'articolo 2, comma 130, della L. 220/2010[125], sempre sulla base di specifici accordi governativi e per periodi non superiori a dodici mesi, con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze. Tale proroga avviene nell'ambito delle risorse finanziarie destinate alla concessione, in deroga alla normativa vigente, anche senza soluzione di continuità, di trattamenti di cassa integrazione guadagni, di mobilità e di disoccupazione speciale.

La misura di tali trattamenti è stata ridotta progressivamente: del 10% nel caso di prima proroga, del 30% nel caso di seconda proroga e del 40% nel caso di proroghe successive. In tali casi l’erogazione avviene esclusivamente sulla base della frequenza di specifici programmi di reimpiego, anche miranti alla riqualificazione professionale, organizzati dalla regione.

 

Infine, il comma 67 dispone l’applicazione, al fine di garantire criteri omogenei di accesso a tutte le forme di integrazione del reddito, delle disposizioni di cui all’articolo 8, comma 3, del D.L. 21 marzo 1988, n. 86[126] e di cui all’articolo 16, comma 1, della L. 23 luglio 1991, n. 223[127], anche ai lavoratori destinatari dei trattamenti di integrazione salariale in deroga e di mobilità in deroga, .

 

L'articolo 8, comma 3, del D.L. 86/1988 ha previsto la subordinazione dell’ammissione del lavoratore ai trattamenti di integrazione salariale straordinaria al conseguimento di una anzianità lavorativa presso l'impresa di almeno 90 giorni alla data della richiesta del trattamento.

L’articolo 16, comma 1, della L. 223/1991 ha riconosciuto, in caso di disoccupazione derivante da licenziamento collettivo da parte delle imprese, diverse da quelle edili, rientranti nel campo di applicazione della disciplina della CIGS, il diritto del lavoratore, operaio, impiegato o quadro, qualora possa far valere una anzianità aziendale di almeno 12 mesi, di cui almeno 6 di lavoro effettivamente prestato (compresi i periodi di sospensione del lavoro derivanti da ferie, festività e infortuni), con un rapporto di lavoro a carattere continuativo e comunque non a termine, a percepire l’indennità di mobilità.'

 


 

Articolo 2, comma 68
(Estensione del campo di applicazione delle aliquote contributive della gestione autonoma coltivatori diretti, mezzadri e coloni)

 

L'articolo 2, comma 68, estende, dal 1° gennaio 2013, gli incrementi delle aliquote contributive pensionistiche e di quelle di computo, concernenti gli iscritti alla gestione dei coltivatori diretti, mezzadri e coloni dell'INPS, posti in essere dall’articolo 24, comma 23, del D.L. 201/2011, agli imprenditori agricoli professionali.

 

Il comma 68 estende l’applicazione, con effetto dal 1º gennaio 2013, delle aliquote contributive pensionistiche di finanziamento e di computo di cui alle tabelle B e C dell’allegato n. 1 del D.L. 201/2011, ai lavoratori iscritti alla gestione autonoma coltivatori diretti, mezzadri e coloni dell’INPS che non fossero già interessati dalla richiamata disposizione incrementale, cioè gli imprenditori agricoli professionali. Tali aliquote di finanziamento sono comprensive del contributo addizionale del 2% previsto dall’articolo 12, comma 4, della L. 2 agosto 1990, n. 233[128], concernente l’obbligo, per gli assicurati alla gestione in oggetto deceduti antecedentemente al 2 maggio 1969, del versamento di tale contributo addizionale ai fini dell’erogazione delle pensioni ai superstiti.

L’articolo 24, comma 23, del D.L. 201/2011 ha previsto, a partire dal 1° gennaio 2012, la rideterminazione delle aliquote contributive pensionistiche di finanziamento e di computo dei lavoratori coltivatori diretti, mezzadri e coloni iscritti alla relativa gestione autonoma dell’INPS, secondo le Tabelle B e C di cui all’allegato n. 1 del provvedimento medesimo.

Tabella B – Aliquota di finanziamento

 

Zona normale

Zona svantaggiata

 

Maggiore di 21 anni

Minore di 21 anni

Maggiore di 21anni

Minore di 21 anni

Anno 2011

20,3%

17,8%

17,3%

12,8%

2012

21,6%

19,4%

18,7%

15,0%

2013

22,0%

20,2%

19,6%

16,5%

2014

22,4%

21,0%

20,5%

18,0%

2015

22,8%

21,8%

21,4%

19,5%

2016

23,2%

22,6%

22,3%

21,0%

2017

23,6%

23,4%

23,2%

22,5%

Dal 2018

24,0%

24,0%

24,0%

24,0%

 

Tabella C – Aliquota di computo

Anni

Aliquota di computo

2012

21,6%

2013

22,0%

2014

22,4%

2015

22,8%

2016

23,2%

2017

23,6%

dal 2018

24,0%

 

 

Relativamente all’anno 2011 va fatto riferimento alla circolare INPS n. 76 del 23 maggio 2011 che ha stabilito che, ai fini del calcolo dei contributi I.V.S., dovuti dai coltivatori diretti, coloni, mezzadri ed imprenditori agricoli professionali (IAS), al reddito delle aziende agricole classificato in quattro fasce di reddito convenzionale, per l’anno 2011, vengano applicate le seguenti aliquote:

-        per i maggiori di 21 anni, in ragione del 20,30%, per le zone normali, e del 17,30%,per i territori montani e le zone svantaggiate;

-        per i minori di 21 anni, in ragione del 17,80%, per le zone normali, e del 12,80%, per i territori montani e le zone svantaggiate[129].

 

In merito alle figure soggettive che hanno titolo per usufruire dei benefici va richiamato l’articolo 1 del D.Lgs. 99/2004[130], successivamente modificato dal D.Lgs. 101/05[131], che ha introdotto in via generale nell’ordinamento nazionale, in luogo di quella di imprenditore agricolo a titolo principale (IATP), la nuova figura dell’imprenditore agricolo professionale (IAP), adeguandola alle nuove norme approvate con il regolamento CE n.1257/1999. La norma prevede che la qualifica di IAP venga riconosciuta a chi, in possesso di specifiche conoscenze e competenze professionali, dedichi alle attività agricole almeno il 50% del proprio tempo di lavoro complessivo e che ricavi da tali attività almeno il 50% del proprio reddito globale. Per i soggetti che operino nelle zone svantaggiate i requisiti suddetti sono ridotti al 25%[132]. La qualifica di IAP può essere riconosciuta, a determinate condizioni, differenziate a seconda delle forme societarie, anche alle società che abbiano come unico oggetto sociale l’esercizio di attività agricole.

Per la definizione di coltivatore diretto va invece richiamata la legge n.203 del 1982 che prevede che siano coltivatori diretti coloro che coltivano il fondo con il lavoro proprio e della propria famiglia, sempreché tale forza lavorativa costituisca almeno un terzo di quella occorrente per le normali necessità di coltivazione del fondo, tenuto conto, agli effetti del computo delle giornate necessarie per la coltivazione del fondo stesso, anche dell'impiego delle macchine agricole.

 


 

Articolo 2, commi 69-73
(Abrogazioni e modifiche alla legge 23 luglio 1991, n.223)

 

I commi 69-73 recano una serie di abrogazioni e modifiche al fine di coordinamento con la nuova disciplina sugli ammortizzatori sociali recata dal provvedimento in esame. In particolare, il comma 70 sopprime, a decorrere dal 1° gennaio 2016, la CIGS nei casi di fallimento, di liquidazione coatta amministrativa, di amministrazione straordinaria e di omologazione del concordato preventivo con cessione dei beni, nonché nei casi di aziende sottoposte (ai sensi della disciplina contro le organizzazioni criminali di tipo mafioso) a sequestro o confisca.

 

I commi da 69-73 recano l’abrogazione e la modifica di determinate disposizioni, a fini di coordinamento con la nuova disciplina sugli ammortizzatori sociali recata dal provvedimento in esame.

 

Il comma 69 dispone, a decorrere dal 1º gennaio 2013, l’abrogazione delle seguenti disposizioni:

o     articolo 19, commi 1-bis, 1-ter, 2 e 2-bis, del D.L. 29 novembre 2008, n. 185[133], (lettera a));

Si tratta di interventi concernenti l’indennità di disoccupazione non agricola con requisiti normali e ridotti nonché del trattamento sperimentale di sostegno al reddito per i lavoratori a progetto, e le modalità per la loro fruizione.

 

Il comma 1-bis del D.L. 185/2008 ha stabilito l’obbligo, con riferimento ai lavoratori di cui alle lettere da a) a c) del precedente comma 1 (cfr. al riguardo la scheda relativa all’articolo 36) nei confronti del datore di lavoro di comunicare, con apposita dichiarazione da inviare ai servizi competenti e alla sede dell'INPS territorialmente competente, la sospensione della attività lavorativa e le relative motivazioni, nonché i nominativi dei lavoratori interessati, che, per beneficiare del trattamento sperimentale di sostegno al reddito, devono rendere dichiarazione di immediata disponibilità al lavoro o a un percorso di riqualificazione professionale all'atto della presentazione della domanda per l'indennità di disoccupazione. In caso di assenza dell’intervento integrativo, i periodi di tutela si considerano esauriti e i lavoratori accedono ai trattamenti in deroga ai sensi della disciplina vigente. Il successivo comma 1-ter ha disposto l’utilizzo, in via transitoria, e per il solo quadriennio 2009-2012, delle risorse finanziarie dedicate alla copertura finanziaria del trattamento sperimentale anche a garanzia per i lavoratori beneficiari delle misure di cui al medesimo comma 1, lettere a), b) e c), un trattamento equivalente a quello per le altre tipologie contrattuali tutelate.

 

L’articolo 19, comma 2, ha introdotto, in via sperimentale per il quadriennio 2009-2012, nei limiti di specifiche risorse, il riconoscimento di una somma liquidata in un'unica soluzione pari al 30% del reddito percepito l'anno precedente, ai lavoratori a progetto - ad esclusione dei soggetti titolari di redditi di lavoro autonomo di cui all’articolo 53 del TUIR - possessori dei seguenti requisiti:

-        operare in regime di monocommittenza;

-        conseguimento di un reddito lordo nell’anno precedente non superiore a 20.000 euro e non inferiore a 5.000 euro

-        accreditamento presso la predetta Gestione separata nell’anno di riferimento di un numero di mensilità non inferiore a uno;

-        devono risultare senza contratto di lavoro da almeno due mesi;

-        accreditamento, nell’anno precedente a quello di riferimento, presso la predetta Gestione separata, di un numero di mensilità non inferiore a tre.

Il successivo comma 2-bis ha aumentato, per il 2009, la somma liquidata in unica soluzione portandola al 20%, con susseguente aumento delle risorse, pari a 100 milioni di euro, a valere sul Fondo di rotazione per la formazione, introdotto, dall’articolo 25 della L. 845/1978, per favorire l'accesso al Fondo sociale europeo e al Fondo regionale europeo dei progetti realizzati dalle Regioni.

 

o     articolo 7, comma 3, del D.L. 21 marzo 1988, n. 86[134] (lettera b));

Tale comma concerne sempre l’indennità di disoccupazione.

 

o     articolo 40 del R.D.L. 4 ottobre 1935, n. 1827, (lettera c)).

Tale articolo stabilisce che non sono soggetti all'assicurazione obbligatoria per la disoccupazione involontaria:

o        i lavoratori agricoli, salvo quelle categorie che siano dichiarate soggette all'obbligo dell'assicurazione;

o        i lavoratori a domicilio;

o        i domestici i portieri e le persone addette in genere sotto qualsiasi denominazione, ai servizi familiari;

o        il personale artistico, teatrale e cinematografico;

o        coloro che prestano la loro opera alla dipendenza di persona tenuta verso di essi alla somministrazione degli alimenti secondo le disposizioni del codice civile;

o        coloro la cui retribuzione consiste esclusivamente nella partecipazione agli utili o al prodotto dell'azienda;

o        coloro che solo occasionalmente prestano l'opera loro alle dipendenze altrui;

o        coloro che siano occupati esclusivamente in lavorazioni che si compiano annualmente in determinati periodi di durata inferiore ai sei mesi

 

Il successivo comma 70 abroga, a decorrere dal 1º gennaio 2016, l’articolo 3 della L. 23 luglio 1991, n. 223[135], che concerne l’erogazione della CIGS per le aziende sottoposte a procedure concorsuali nonché nei casi di aziende sottoposte (ai sensi della disciplina contro le organizzazioni criminali di tipo mafioso) a sequestro o confisca.

 

La Cassa Integrazione Guadagni Straordinaria è riservata, in via generale, ai sensi degli articoli 1 e 2 della L. 23 luglio 1991, n. 223, alle imprese industriali che abbiano occupato mediamente più di 15 lavoratori nel semestre precedente la domanda nonché alle imprese commerciali con più di 200 dipendenti (secondo lo stesso criterio di computo); le imprese artigiane, ai fini dell'applicazione dell'istituto in esame, sono equiparate a quelle industriali nel caso in cui un'altra impresa, che eserciti un "influsso gestionale prevalente" (determinato secondo i termini posti dall'articolo 12 della L. 223) si avvalga a sua volta dell'intervento di integrazione straordinaria; anche per le imprese artigiane valgono i requisiti dimensionali stabiliti per le imprese industriali. Possono inoltre beneficiare della CIGS anche le società cooperative di produzione e lavoro.

Si ricorda che gli interventi di integrazione salariale straordinaria sono o sono stati estesi - spesso con provvedimenti a termine - ad altri settori imprenditoriali.

Le fattispecie nelle quali è possibile il ricorso alla CIGS sono le seguenti:

§       ristrutturazione, riorganizzazione o conversione aziendale (per un periodo massimo pari, in linea ordinaria, a 24 mesi);

§       crisi aziendale (per un periodo massimo, pari, in linea ordinaria, a 12 mesi);

§       casi di fallimento, di liquidazione coatta amministrativa, di amministrazione straordinaria e di omologazione del concordato preventivo con cessione dei beni, qualora la continuazione dell'attività non sia stata disposta o sia cessata (per un periodo massimo, pari, in linea ordinaria, a 12 mesi).

 

L'importo del trattamento è eguale all’80% della retribuzione che sarebbe spettata, fino ad un determinato limite massimo stabilito annualmente.

Hanno diritto alla CIGS (L. 464/1972, L. 164/1975, art. 1) gli operai, impiegati, intermedi e i quadri con un’anzianità di servizio di almeno 90 giorni alla data della richiesta. Tale diritto, inoltre, è riconosciuto ai soci lavoratori di cooperative di produzione e lavoro.

In linea di massima, ai sensi dell’articolo 1 della L. 223/1991, i limiti di durata del trattamento di integrazione salariale straordinaria sono pari a 2 anni (se concessa per ristrutturazione, riorganizzazione o conversione aziendale) o a 1 anno (se riconosciuta per crisi aziendale; in questo caso, un nuovo intervento, per la medesima causale, non può essere disposto prima che sia decorso un periodo pari a due terzi di quello relativo alla precedente concessione). Inoltre i trattamenti relativi alla medesima unità produttiva non possono avere una durata superiore a 36 mesi nell’arco di un quinquennio (il quale decorre dal mese iniziale del primo dei trattamenti in considerazione); nel computo sono inclusi anche i periodi di integrazione salariale ordinaria relativa a situazioni temporanee di mercato.

Il finanziamento degli interventi straordinari è ripartito tra:

§       contributi a carico delle imprese che rientrano nell'ambito di applicazione dell'istituto e a carico dei relativi lavoratori. Tali contributi, previsti dall'articolo 9 della L. 407/1990[136], sono pari rispettivamente allo 0,6% e allo 0,3% della retribuzione;

§       contributi addizionali a carico delle imprese quando si avvalgano dell'intervento straordinario, pari al 4,5% dell'integrazione salariale corrisposta ai propri dipendenti, ridotti al 3% per le imprese fino a 50 dipendenti[137]; il contributo, ai sensi dell'articolo 1, comma 4, della L. 223/1991, è dovuto in misura doppia a partire dal primo giorno del venticinquesimo mese successivo alla data di decorrenza del trattamento;

§       contributi a carico dello Stato.

 

Per quanto attiene agli aspetti procedurali, in primo luogo sussiste il principio di rotazione dei lavoratori (L. 223/1991, art. 1, comma 8), in base alla quale il datore di lavoro ha l’obbligo di alternare tra loro i lavoratori sospesi o ad orario ridotto.

Il datore di lavoro che ricorre alla CIGS direttamente o tramite le organizzazioni datoriali, deve dare tempestiva comunicazione alle rappresentanze aziendali, o, in mancanza di queste, alle organizzazione sindacali di categoria dei lavoratori comparativamente più rappresentative operanti nella provincia.

Entro 3 giorni dalla comunicazione, il datore o i rappresentanti dei lavoratori devono presentare la domanda di esame congiunto della situazione aziendale all’ufficio competente della regione nel cui territorio sono ubicate le unità aziendali interessate, o al Ministero del lavoro se queste ultime sono ubicate in più regioni.

La procedura termina con il decreto di concessione emanato dal ministero del lavoro.

L’articolo 3, in particolare, disciplina l’erogazione della CIGS e della mobilità nelle aziende sottoposte alle procedure concorsuali.

Più specificamente, la CIGS può essere concessa nei casi di fallimento, liquidazione coatta amministrativa, amministrazione straordinaria, qualora la continuazione dell’attività non sia stata disposta o sia cessata, nonché concordato preventivo. E’ inoltre prevista nel caso di ristrutturazione del debito.

In questi casi il limite massimo di durata è di 12 mesi dal provvedimento di ammissione alla procedura concorsuale. Possono essere concesse specifiche proroghe per un periodo non superiore a 6 mesi se sussistono fondate prospettive di continuazione o ripresa dell’attività e di salvaguardia, anche parziale, dei livelli di occupazione tramite cessione d’azienda.

Il limite massimo di fruizione di 36 mesi nell’arco di un quinquennio può, inoltre, essere superato nelle singole unità aziendali in cui siano in corso procedure concorsuali, a condizione che:

o      l’attività produttiva sia iniziata almeno 24 mesi prima dell’avvio degli interventi di integrazione salariale , protrattisi per il periodo di riferimento;

o      l’attività sia continuata fino ai dodici mesi antecedenti l’ammissione alla procedura concorsuale.

La deroga, in ogni caso, deve essere espressamente richiesta nella domanda del trattamento di CIGS.

I lavoratori interessati dal procedimento di amministrazione straordinaria di grandi imprese in crisi, posso usufruire della CIGS dalla data che dichiara lo stato di insolvenza fino alla dichiarazione della procedura cui viene assoggettata la società (amministrazione straordinaria o fallimento).

In caso di accordo di ristrutturazione del debito il trattamento di CIGS decorre dalla data di pubblicazione dell’accordo nel registro delle imprese , non essendo necessario il decreto di omologa. In caso di mancata omologa il trattamento concesso viene interrotto.

Lo stesso articolo stabilisce inoltre che le disposizioni in materia di mobilità ed il trattamento relativo si applicano anche al personale il cui rapporto sia disciplinato dal regio decreto 8 gennaio 1931, n. 148, che sia stato licenziato da imprese dichiarate fallite, o poste in liquidazione, successivamente alla data del 1° gennaio 1993. Per i lavoratori che si trovino nelle indicate condizioni e che maturino, nel corso del trattamento di mobilità, il diritto alla pensione, la retribuzione da prendere a base per il calcolo della pensione deve intendersi quella dei dodici mesi di lavoro precedenti l'inizio del trattamento di mobilità.

Nei casi di fallimento, di concordato preventivo, di amministrazione controllata e di procedure di liquidazione, le norme in materia di mobilità e del relativo trattamento trovano applicazione anche nei confronti delle aziende di trasporto pubblico che hanno alle proprie dipendenze personale iscritto al Fondo per la previdenza del personale addetto ai pubblici servizi di trasporto. Per tali lavoratori che maturino, nel corso del trattamento di mobilità, il diritto alla pensione, la retribuzione da prendere a base per il calcolo della pensione deve intendersi quella del periodo di lavoro precedente l'inizio del trattamento di mobilità

Infine, fino ad uno specifico massimale di spesa, previo parere motivato del prefetto fondato su ragioni di sicurezza e di ordine pubblico, i due istituti richiamati si applicano anche ai lavoratori delle aziende sottoposte a sequestro o confisca ai sensi della L. 575/1965.

 

Il comma 71 abroga, a decorrere dal 1º gennaio 2017, le seguenti disposizioni:

o          articolo 5, commi 4, 5 e 6, della L. 23 luglio 1991, n. 223[138] (lettera a));

I richiamati commi disciplinano l’obbligo, a carico dell’impresa, di versare, per ciascun lavoratore posto in mobilità, alla gestione degli interventi assistenziali e di sostegno alle gestioni previdenziali, di cui all'articolo 37 della L. 88/1989, n. 88, in trenta rate mensili, una somma pari a 6 volte il trattamento mensile iniziale di mobilità spettante al lavoratore. Tale somma è ridotta alla metà quando la dichiarazione di eccedenza del personale nell’ambito della procedura per la dichiarazione di mobilità abbia formato oggetto di accordo sindacale.

Inoltre, l'impresa che procuri offerte di lavoro a tempo indeterminato aventi le caratteristiche di omogeneità, anche intercategoriale, con un livello retributivo non inferiore del dieci per cento rispetto a quello delle mansioni di provenienza, non è tenuta al pagamento delle rimanenti rate relativamente ai lavoratori che perdano il diritto al trattamento di mobilità in conseguenza del rifiuto di tali offerte ovvero per tutto il periodo in cui essi, accettando le offerte procurate dalla impresa, abbiano prestato lavoro. Tale beneficio è escluso per le imprese che si trovano, nei confronti dell'impresa disposta ad assumere, nello stesso o diverso settore di attività che, al momento del licenziamento, con assetti proprietari sostanzialmente coincidenti con quelli dell'impresa che assume, ovvero risulti con quest'ultima in rapporto di collegamento o controllo.

Infine, si dispone un aumento della richiamata somma, pari a cinque punti percentuali per ogni periodo di trenta giorni intercorrente tra l'inizio del tredicesimo mese e la data di completamento del programma che l'impresa intende attuare con riferimento anche alle eventuali misure previste per fronteggiare le conseguenze sul piano sociale in caso di richiesta di CIGS, nel caso in cui il lavoratore venga messo in mobilità dopo la fine del dodicesimo mese successivo a quello di emanazione del decreto di concessione della CIGS e la fine del dodicesimo mese successivo a quello del completamento del programma in precedenza richiamato nell'unità produttiva in cui il lavoratore era occupato;

o          articoli da 6 a 9 della L. 223/1991 (lettera b));

Tali articoli attengono, rispettivamente, alla lista di mobilità e ai compiti della Commissione regionale per l'impiego, all’indennità di mobilità, al collocamento dei lavoratori in mobilità ed alla cancellazione dei lavoratori dalla lista di mobilità;

o        articolo 10, comma 2, della L. 223/1991 (lettera c));

L’articolo 10 della richiamata L. 223 reca disposizioni in materia di integrazione salariale per i lavoratori del settore dell'edilizia. In particolare, il comma 2 ha stabilito che nei casi di sospensione dal lavoro derivante da eventi, non imputabili al datore di lavoro o al lavoratore, connessi al mancato rispetto dei termini previsti nei contratti di appalto per la realizzazione di opere pubbliche di grandi dimensioni, alle varianti di carattere necessario apportate ai progetti originari delle predette opere, nonché ai provvedimenti dell'autorità giudiziaria emanati contro le organizzazioni criminali di tipo mafioso, anche straniere, il trattamento ordinario di integrazione salariale è concesso, per ciascuna opera, per un periodo complessivamente non superiore a tre mesi a favore dei lavoratori per i quali siano stati versati o siano dovuti per il lavoro prestato nel settore dell'edilizia, almeno sei contributi mensili o ventisei contributi settimanali nel biennio precedente alla decorrenza del trattamento medesimo. Tale trattamento è prorogabile per periodi trimestrali, per un periodo massimo complessivamente non superiore ad un quarto della durata dei lavori necessari per il completamento dell'opera, quale risulta dalle clausole contrattuali;