Allegato A
Seduta n. 253 del 5/12/2007

(Sezione 6 - Iniziative in merito all'emergenza umanitaria ed alla grave situazione politico-sociale in Somalia)

F)

I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri e il Ministro degli affari esteri, per sapere - premesso che:
all'indomani della caduta del dittatore Mohamed Siad Barre, avvenuta a fine gennaio 1991, in Somalia si scatena una guerra civile alimentata da clan avversari, facenti capo a diversi «signori della guerra», per la contesa del potere;
le due principali fazioni etnico-politiche che si contrappongono fanno riferimento rispettivamente al generale Ali Mahdi e al generale Farah Aidid, i cosiddetti «signori della guerra», in lotta per il controllo del Paese;
in tale contesto di anarchia i gruppi integralisti islamici rafforzano la loro presenza attraverso una fitta rete di associazioni, istituzioni scolastiche e corti di giustizia, a cui segue la creazione di un «consiglio supremo islamico» che riunisce le diverse «corti islamiche» presenti a Mogadiscio;
l'intensificarsi delle lotte intestine e l'inasprimento dei combattimenti dà luogo a condizioni di forte problematicità per la sicurezza, la salute e in generale per i diritti umani di migliaia di civili;
a fronte di tale crisi l'Onu predispone, in un primo momento, un intervento prevalentemente di carattere umanitario che, con la risoluzione n. 733 del 23 gennaio 1992, prevede l'embargo alle forniture degli armamenti alla Somalia e l'invito a cessare le ostilità alle parti coinvolte nel conflitto;
con la risoluzione n. 751 del 27 aprile 1992, le Nazioni unite, per rendere stabile il «cessate il fuoco» tra le fazioni, siglato nel marzo 1992, istituiscono una missione militare (Unosom) prevedendo l'invio di una forza di sicurezza;
con successive risoluzioni (n. 767 del 27 luglio del 1992, n. 775 del 28 agosto 1992, n. 794 del 3 dicembre 1992) il Consiglio di sicurezza dell'Onu, preso atto dell'aggravarsi delle minacce alla pace e della situazione umanitaria, ha adeguato il dispositivo militare Unosom imponendo l'assunzione diretta da parte delle forze Onu del mantenimento della pace (peace-keeping) con ogni mezzo;
con la risoluzione Onu n. 814/1993 si dà il via ad una nuova missione, denominata Unosom II, caratterizzata da un mandato più forte, che dà la possibilità di adottare misure coercitive per rispondere ad aggressioni, minacce e violazioni della pace;
dinanzi alla sostanziale incapacità di ristabilire l'ordine e di contenere le violenze, l'ONU, nel febbraio del 1994, con la risoluzione n. 897/1994, autorizza la graduale riduzione delle forze in campo e si predispone ad abbandonare il paese;
l'Italia partecipa alla missione Onu con l'invio di un contingente militare impiegato nell'ambito dell'operazione Restore hope sotto il comando statunitense;
nel corso di un'audizione svoltasi il 13 settembre 2005 dinanzi alla Commissione parlamentare d'inchiesta sulla morte di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, l'ex Ministro della difesa del Governo Ciampi, Fabio Fabbri, addebita il sostanziale fallimento della missione alla gestione statunitense: «io censurai questo modo di agire degli americani e dell'Onu, che avevano trasformato una missione che era inizialmente di peace-keeping, ma anche di peace-enforcing, in una guerriglia urbana continua, in un uso della violenza che portava a massicce incursioni, bombardamenti e così via. Posi il problema politico e posi anche in seno al Governo di cui facevo parte l'esigenza di una riconsiderazione della missione, dicendo che il cuore del problema era di trovare un punto di

equilibrio tra l'uso della forza e le finalità di pacificazione della missione. Ciò rendendomi conto che via via che cresceva l'impiego violento della guerriglia urbana, dei combattimenti e dei bombardamenti, si riducevano enormemente le possibilità di attivazione del dialogo e di conciliazione tra le parti.»;
dopo la partenza dell'Unosom la Somalia e la sua capitale Mogadiscio si ritrovano in una situazione di totale anarchia in cui si scatenano episodi di banditismo e vendette private;
in questo vuoto di potere le corti islamiche, che avevano contribuito alle azioni di guerra e instabilità, cercano di porre un freno alla criminalità dilagante, così come testimoniato anche da una nota del Sismi del 27/8/1994 diretta alle autorità di governo italiane nella quale si dà atto della «crescente influenza dei gruppi fondamentalisti che sfruttano i vuoti di potere seguiti alle lotte tribali. Anche nei quartieri settentrionali della capitale è stato insediato un tribunale islamico che, oltre ad applicare la legge coranica, ha istituito proprie milizie per pattugliare le strade nel tentativo di arginare la crescente criminalità»;
le seguenti conferenze di pacificazione, susseguitesi dopo il ritiro del contingente Onu, non portano ad alcuna intesa tra i diversi gruppi di potere;
a seguito della conferenza di riconciliazione nazionale tenutasi a Nairobi (Kenya) tra il 2002 e il 2004, celebratisi sotto l'egida dell'organizzazione regionale Igad (intergovernmental authority on development) che raggruppa i sette paesi del area (Corno d'Africa), si trova un accordo tra i capi delle fazioni tribali, prevedendo la nascita di un Governo federale di transizione (Gft) che, seppur riconosciuto dalla comunità internazionale e dalle Nazioni unite, non riesce a garantire la stabilità necessaria per ottenere il completo controllo delle regioni meridionali e della città di Mogadiscio;
l'incapacità del Governo federale di transizione di fronteggiare la crisi politica determina il radicalizzarsi degli scontri e l'affermazione, sul territorio, dell'Unione delle corti islamiche (Uic) che nel giugno 2006 occupano Mogadiscio. Nello stesso mese si tiene a Khartoum una riunione per i negoziati preliminari tra il Governo federale di transizione e dell'Unione delle corti islamiche al fine di scongiurare un ulteriore fonte di conflitto e di dar vita ad un comune esercito e polizia;
le trattative non giungono a buon fine e la situazione si cristallizza in un'impasse relativamente tranquilla interrotta, tra il 24 dicembre 2006 e i primi di gennaio 2007, dall'intervento militare da parte delle truppe etiopi, alleate con il Governo federale di transizione e sostenute dagli Stati Uniti (intervenuti con due attacchi aerei rispettivamente 1'8 e il 23 gennaio 2007), per la liberazione di Mogadiscio dalla occupazione delle milizie dell'Unione delle corti islamiche che, sconfitte, riparano in Kenya;
secondo quanto riporta un articolo del The East African, settimanale keniano indipendente, pubblicato dalla rivista internazionale, «dopo la sconfitta delle corti nel sud del Paese governano di nuovo i clan. [...] Dal punto di vista politico la Somalia è tornata alla situazione dell'ottobre 2004, quando è stato creato il Governo di transizione. L'esecutivo è debole, impopolare e diviso, e il vuoto di potere nel sud del paese è stato riempito dai capi delle fazioni e dai signori della guerra che le corti islamiche avevano rovesciato meno di un anno fa. [...] Alcune misure prese finora, come dichiarare lo stato d'emergenza e deporre il Presidente del Parlamento Hassan Aden - che aveva cercato di dialogare con le corti - non hanno dato i risultati sperati. L'international crisis group, organizzazione indipendente che lavora per prevenire e risolvere i conflitti - ha invitato il Governo a sospendere lo stato di emergenza, a reintegrare il Presidente del Parlamento e a riorganizzare il consiglio dei Ministri, in modo da dare spazio anche ai leader delle comunità che hanno appoggiato le corti. Inoltre, ha suggerito di stabilire delle autorità rap

presentative per alcune città chiave, come Mogadiscio e Kismayo, per assicurare la stabilità politica. Un altro provvedimento utile potrebbe essere quello di rinunciare all'idea del disarmo forzato a favore di un piano di disarmo volontario. Il Governo dovrebbe favorire il processo di riconciliazione nazionale, completare la transizione verso un governo permanente e fissare la sua scadenza nel 2009, l'anno delle elezioni. La sostituzione delle truppe etiopiche con una forza di pace multilaterale più vasta è essenziale per ridurre il risentimento verso quella che i somali considerano un'occupazione straniera. L'Etiopia e gli Stati Uniti si sono assunti la responsabilità di rafforzare la pace in Somalia. Dovranno spingere il governo a fare i passi necessari per trasformarsi in un esecutivo che difenda gli interessi di tutto il paese»;
nel corso di un'audizione svoltasi dinanzi la Commissione affari esteri della Camera dei deputati, l'8 gennaio 2007, il Viceministro degli affari esteri Patrizia Sentinelli, riferendo sugli sviluppi della situazione in Somalia ha evidenziato la necessità del dialogo politico e della riconciliazione tra le parti, seguendo, in particolare uno schema riassumibile in cinque punti: «Primo: la riconciliazione delle istituzioni, con la creazione delle condizioni perché il Parlamento, con tutti i suoi rappresentanti, possa riunirsi anche a Mogadiscio. Secondo: la costituzione di amministrazioni locali rappresentative, nominate da un processo partecipato che parta dal basso, a partire dalla regione del Benadir-Mogadiscio. È questo un punto, per quello che ho potuto rilevare, importante. Terzo: identificazione di un nuovo percorso; non è, infatti, ipotizzabile semplicemente il ritorno a Khartoum; dopo la scomparsa delle corti ciò non sembra possibile, almeno per ora, ma occorre cercare di instaurare un dialogo tra le istituzioni e le realtà non ancora adeguatamente rappresentate per favorire l'emersione della componente politica del movimento islamico. Quarto: l'esclusione di forme di disarmo della popolazione semplicemente coercitive, in quanto ciò non darebbe alcun seguito positivo, privilegiando invece il ruolo delle amministrazioni locali, che, una volta istituite, possono costituire gli elementi primari del processo di disarmo. Quinto e ultimo elemento: la necessità di evitare ogni forma di legislazione marziale o di emergenza.» Il Viceministro Sentinelli ha inoltre sottolineato come, tra i Paesi facenti parte del gruppo internazionale di contatto per la Somalia (composto da Unione africana, Nazioni unite, Unione europea, Stati Uniti, Svezia, Norvegia, Italia, Tanzania e altri con l'obiettivo di sostenere la pace e la riconciliazione in Somalia), l'Italia, insieme alla Norvegia e alla Svezia «potrebbero essere interessate a finanziare consistentemente una forza di interposizione» per permettere all'Etiopia di ritirarsi;
a quasi un anno dall'invasione etiope, i ribelli dell'Unione delle corti islamiche hanno boicottato una recente riunione di riconciliazione promossa dal governo transitorio rifiutando qualsiasi contatto politico fino a quando le truppe etiopiche perdureranno nella loro presenza in Somalia. Contestualmente, il primo ministro etiopico Meles Zenawi ha dichiarato che le truppe etiopiche si ritireranno non appena la forza di pace dell'Unione africana farà ingresso a Mogadiscio;
non riuscendo a far fronte alla situazione e, dopo una lunga contesa con il Presidente Abdullahi Yusuf Ahmed, il Primo Ministro somalo Ali Mohamed Gedi si è dimesso, aggravando ulteriormente l'impasse politica in cui versa il paese e facendo precipitare ancora di più la Somalia in un massacro generato dall'anarchia;
secondo una stima del 20 novembre 2007 dell'Alto commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati (Unhcr) il numero degli sfollati all'interno della Somalia è salito ad un milione di persone. Solo dal febbraio 2007 ad oggi, per l'improvviso intensificarsi dei combattimenti a Mogadiscio, è fuggito dalla città il 60 per cento della popolazione che ha trovato rifugio lungo le vie di comunicazione adiacenti la

capitale in alloggi di fortuna che necessitano di ogni servizio e, a quanto si apprende anche da un comunicato del consorzio Ong Somalia «decine di migliaia di persone stanno fuggendo dalle violenze di Mogadiscio. Le organizzazioni umanitarie non riescono più a rispondere efficacemente alla crisi, perché la sicurezza è in rapido deterioramento e i bisogni da soddisfare aumentano»;
con una risoluzione del 15 novembre 2007, il Parlamento europeo chiede: «che sia posto termine a ogni intervento militare straniero in Somalia; il rafforzamento del ruolo della società civile - in particolare delle donne - nel processo di riconciliazione nazionale; saluta con favore gli sforzi compiuti dall'Unione africana per costituire una forza di pace che coadiuvi il processo di riconciliazione, ma deplora il fatto che finora siano stati effettivamente dislocati solo 1.600 militari sugli 8000 che l'Unione africana aveva accettato di inviare; chiede pertanto all'Unione africana di invitare i suoi Stati membri ad onorare i propri impegni e di contribuire così alla formazione della forza di pace; invita al riguardo l'Unione europea ad intensificare i propri sforzi volti a fornire il necessario supporto politico, finanziario e logistico al dislocamento delle truppe di pace dell'Unione africana e a compiere ogni altra iniziativa atta ad agevolare il processo di pace; invita la comunità internazionale ad intensificare gli sforzi diplomatici verso la pace e la stabilità in Somalia, evitando interpretazioni troppo semplicistiche della minaccia del terrorismo nel Corno d'Africa, talora utilizzata per stornare l'attenzione dai problemi interni e spianare la strada all'intervento militare straniero; reitera il proprio appello al gruppo internazionale di contatto per la Somalia [...] ad incoraggiare gli sviluppi politici positivi e la fattiva cooperazione con gli attori presenti in Somalia per sostenere l'attuazione della Carta federale transitoria e relative istituzioni, instaurare una e una stabilità effettive e venire incontro alle preoccupazioni della comunità internazionale in merito al terrorismo; invita la comunità internazionale, e soprattutto l'Unione europea, a rafforzare l'assistenza umanitaria per gli sfollati interni e le persone bisognose di aiuti; sollecita un'applicazione e un monitoraggio effettivo e rigoroso dell'embargo di anni imposto alla Somalia dall'Onu nel 1992 e che al momento viene virtualmente ignorato; chiede che gli autori delle violazioni dell'embargo di armi alla Somalia comincino ad essere chiamati in causa; sottolinea in particolare l'urgente necessità di proteggere i giornalisti e condanna le vessazioni sistematiche a danno di questa categoria da parte del Governo federale di transizione, che ha chiuso le reti di informazione e ha omesso di indagare sulle uccisioni di giornalisti, compromettendo gravemente l'esercizio del giornalismo indipendente in Somalia; invita il Governo federale di transizione a far luce su tali fatti e a porre fine alle sue stesse azioni vessatorie contro i media; invita il vertice Unione europea-Africa ad esaminare con urgenza la grave situazione che regna attualmente in Somalia» -:
quali urgenti iniziative il Governo intenda assumere per affrontare la gravissima emergenza umanitaria aggravatasi a seguito dell'inasprirsi della violenza nel Paese e, in particolar modo, a Mogadiscio;
quali azioni intenda promuovere per garantire il ripristino dell'ordine e la cessazione delle violenze;
quali indirizzi intenda assumere per la ripresa e il sostegno del dialogo politico tra le parti che porti ad una reale riconciliazione nazionale attraverso il coinvolgimento di tutti i soggetti in causa.
(2-00872)
«Boato, Bonelli, Balducci, Cassola, De Zulueta, Francescato, Fundarò, Lion, Pellegrino, Camillo Piazza, Trepiccione, Zanella».
(Presentata il 3 dicembre 2007)