Allegato B
Seduta n. 228 del 22/10/2007

TESTO AGGIORNATO AL 24 OTTOBRE 2007

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:

La Camera,
premesso che:
esistono in Cina almeno mille laogai, veri e propri campi di concentramento, dove milioni di uomini, donne e bambini sono costretti a lavorare in condizioni disumane, al servizio del Partito comunista cinese e di imprese nazionali;
i laogai rappresentano solo una parte della «pedagogia del terrore», posta in essere dalla Cina anche attraverso esecuzioni di massa, espianto di organi dai cadaveri dei condannati a morte, successivamente venduti, migliaia di aborti e sterilizzazioni forzate, abuso della psichiatria a scopo di repressione politica;
sul piano commerciale ed industriale, la Cina si dimostra spesso spregiudicata ed irrispettosa delle fondamentali regole del mercato. Le aziende cinesi si muovono sul mercato internazionale contraffacendo i marchi, esportando spesso prodotti nocivi per la salute dei consumatori e vendendo merce prodotta con materiali scadenti. Non meno gravi sono le condizioni dei lavoratori cinesi, che, nella quasi totalità dei casi, sono sfruttati e svolgono le proprie mansioni in condizioni disumane, senza alcun tipo di tutela da parte dello Stato,

impegna il Governo:

a sensibilizzare le autorità cinesi, seguendo analoghe iniziative degli altri Paesi europei, sul fatto che l'utilizzo dei laogai, in quanto luoghi di violenza e sfruttamento, sono contrari ai principi ed ai valori fondamentali cui si ispira la comunità democratica internazionale;
a prevedere, in considerazione dei dubbi sulla qualità del ciclo produttivo utilizzato, regole estremamente rigorose in materia di selezione dei prodotti importati dalla Cina e, nel caso la situazione dei diritti umani non dovesse migliorare sensibilmente, a stabilire dei veri e propri divieti all'importazione di prodotti cinesi in Italia.
(1-00235) «Paoletti Tangheroni, Bertolini, Cossiga, Carlucci, Boniver, Azzolini, Picchi, Rivolta, Licastro Scardino, Campa, Misuraca, Della Vedova».

La Camera,
premesso che:
esistono ancora oggi nella Repubblica popolare cinese, membro dell'Organizzazione mondiale del commercio, delle Nazioni Unite e interlocutore politico economico della scena geopolitica mondiale, veri e propri campi di concentramento dove sono violati su amplissima scala i diritti umani fondamentali, le norme sulla tutela del lavoro, della sicurezza e della concorrenza, senza che ciò determini alcuna sanzione od esclusione della Cina dalla comunità mondiale o da quella parte di essa che ha in queste garanzie i cardini fondamentali della propria realtà;
i campi sono definiti laogai e sono stati creati a suo tempo da Mao per «riabilitare i criminali» attraverso il lavoro e l'indottrinamento politico e allo stesso tempo per disporre di forza lavoro gratuita per lo sviluppo economico della Cina;
il numero dei laogai e dei prigionieri è un segreto di Stato. Secondo il rapporto del gruppo di lavoro delle Nazioni Unite sul lavoro forzato e la detenzione arbitraria, pubblicato nel 1997, ci sono 230.000 persone in 280 campi di rieducazione attraverso il lavoro. La Laogai research foundation ha, però, individuato almeno 1.000 campi in Cina e stima il numero dei detenuti fra i 4 e i 6 milioni di persone: dalla creazione del sistema dei laogai fra i 40 e i 50 milioni di persone vi sono state imprigionate, tanto che in Cina

praticamente ogni cittadino è imparentato o conosce qualcuno che è finito nei laogai;
il concetto di «criminale» nel sistema cinese comprende i dissidenti politici, i sostenitori del sistema democratico, chi viola leggi, come quella sul figlio unico, sindacalisti, religiosi e fedeli di varie fedi e minoranze etniche, come i tibetani, gli uiguri e i mongoli. Si può arrivare ai tre anni di detenzione in un laogai prima di avere un processo e rimanervi dopo avere scontato la propria pena se il sistema non ritiene perfettamente completata la «rieducazione»;
non esistono garanzie processuali per i prigionieri dei laogai, nessun diritto di appello o di difesa. Una volta entrato nel campo, il detenuto è costretto a «confessare» i suoi crimini, denunciare qualsiasi opinione anti-partito e sottoporsi al regime di rieducazione e lavoro forzato. I funzionari dei laogai devono attenersi all'enfasi tradizionale sulla riabilitazione dei prigionieri per trasformarli in «nuove persone socialiste», raggiungendo allo stesso tempo precisi livelli di produttività e di profitto;
ogni laogai è al tempo stesso un'unità produttiva: una fabbrica tessile, una cava, una miniera, tanto che ciascun campo ha solitamente un doppio nome, uno dei quali è quello del marchio prodotto;
la manodopera gratuita e abbondante, che lavora fino a diciotto ore al giorno senza ferie, riposo o malattia, costituisce un vantaggio competitivo straordinario in termini di costo di produzione per i prodotti che escono dai laogai, tanto che gli imprenditori cinesi, ma anche alcune multinazionali straniere, appaltano le produzioni, tramite il Governo cinese, ai laogai-fabbrica; in questo modo sia il Governo che le industrie cinesi o dislocate in Cina hanno amplissimi margini di guadagno sul prodotto dei prigionieri, pur potendo portare sui mercati internazionali prodotti a bassissimo costo;
il laogai, campo di concentramento, di sfruttamento e di tortura, rappresenta, pertanto, un elemento centrale e portante del vantaggio competitivo cinese e dell'imponente sviluppo economico della Repubblica popolare cinese; i milioni di prigionieri rinchiusi nei laogai sono il più grande numero di persone sottoposte al lavoro forzato oggi nel mondo. L'applicazione deliberata e diffusa di questo metodo ha creato in Cina una nuova forma di economia: l'economia del lavoro forzato;
anche se molti Paesi, compresi gli Stati Uniti e l'Unione europea, vietano l'importazione di merci prodotte nei laogai, è praticamente impossibile stabilire la provenienza di tali beni, senza la collaborazione del Governo cinese. È lo stesso Governo, infatti, il primo beneficiario del reddito prodotto dai campi di concentramento e da sempre l'autorità di Pechino è la principale responsabile delle triangolazioni e delle falsificazioni dei marchi, operate al preciso scopo di rendere impossibile risalire alle produzioni del laogai;
considerata l'integrazione dei mercati e la facilità di spostare le merci su altre piazze prima di arrivare ai nostri consumatori, è oggi impossibile impedire l'arrivo anche nel nostro Paese di merci a basso costo prodotte con il lavoro di persone ingiustamente schiavizzate,

impegna il Governo:

ad affrontare direttamente e senza remore al prossimo incontro bilaterale con le autorità cinesi il tema dei laogai, al fine di ottenere un impegno preciso sulla chiusura di tali vergognosi campi;
a farsi portavoce in seno all'Unione europea affinché tale tema sia affrontato in modo diretto in occasione dei summit Unione europea-Cina;
ad agire in seno all'Unione europea affinché si limiti l'ingresso delle merci provenienti dalla Cina finché non sia data prova della fine di ogni produzione basata sul lavoro forzato, come unica vera garanzia

che l'Europa non contribuisca con i suoi consumi alla permanenza di metodi inumani di sfruttamento.
(1-00236) «Maroni, Cota, Dozzo, Gibelli, Alessandri, Allasia, Bodega, Bricolo, Brigandì, Caparini, Dussin, Fava, Filippi, Fugatti, Garavaglia, Giancarlo Giorgetti, Goisis, Grimoldi, Lussana, Montani, Pini, Stucchi».

La Camera,
premesso che:
l'Italia è uno dei Paesi fondatori del Consiglio d'Europa, organizzazione internazionale, istituita il 5 maggio 1949 e della quale fanno parte 47 Paesi europei, che ha lo scopo di favorire la creazione di uno spazio democratico e giuridico comune in Europa, organizzato nel rispetto della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali e di numerosi altri trattati internazionali;
l'Assemblea parlamentare, che è uno dei principali organi del Consiglio d'Europa, adotta annualmente un rapporto sullo stato dei diritti dell'uomo e della democrazia in Europa e una risoluzione sull'evoluzione della procedura di monitoraggio dell'Assemblea;
il 18 aprile 2007 si è svolto, durante la seconda parte della sessione dell'Assemblea, il primo dibattito annuale su questi temi, che si è concluso con l'approvazione di due risoluzioni;
la risoluzione n. 1548 (2007) sull'evoluzione della procedura di monitoraggio dell'Assemblea prende in esame il lavoro compiuto dalla Commissione per il rispetto degli obblighi e degli impegni degli Stati membri del Consiglio d'Europa, volto a garantire il pieno rispetto della democrazia, dello stato di diritto e della protezione dei diritti umani;
per quanto concerne l'Italia si può leggere che: «22.3.2. in Italia, nonostante i reiterati appelli dell'Assemblea - il più recente nella risoluzione 1516 (2006) sull'attuazione delle sentenze della Corte europea dei diritti umani - e del Comitato dei ministri (ResDH(2007)2), le carenze strutturali continuano a dar luogo a ripetute violazioni della Convenzione per l'eccessiva durata dei processi. L'assenza di qualsiasi progresso verso una soluzione per le violazioni sistematiche da parte dell'Italia del diritto di proprietà attraverso gli "espropri indiretti" ha portato all'adozione da parte del Comitato dei ministri di una nuova risoluzione interinale il 14 febbraio 2007 (ResDH(2007)3). D'altronde, la legislazione italiana continua a non autorizzare la riapertura dei processi penali nazionali impugnati dalla Corte e non è stata presa nessuna altra misura per ristabilire il diritto ad un giusto processo (ResDH(2005)85)» e la «22.4. esorta (...) ad accelerare l'adozione delle misure generali necessarie per assicurare la piena attuazione delle sentenze della Corte e la prevenzione efficace di simili violazioni della Convenzione»;
in particolare, l'Assemblea ammonisce l'Italia:
a) 23.1. a ratificare la Convenzione civile sulla corruzione;
b) 23.2. a ratificare la Convenzione penale sulla corruzione;
c) 23.3. a ratificare la Convenzione sul riciclaggio, la ricerca, il sequestro e la confisca dei proventi di reato e sul finanziamento del terrorismo;
d) 23.4. a ratificare il Protocollo n. 12 alla Convenzione europea dei diritti umani;
e) 23.5. a ratificare il Protocollo n. 13 alla Convenzione relativo all'abolizione della pena di morte in tutte le circostanze;
f) 23.9. a ratificare la Carta europea delle lingue regionali e minoritarie;

g) 23.10. ad aderire al Gruppo di Stati contro la corruzione (Greco),

impegna il Governo:

ad adottare le iniziative di carattere normativo, ove possibile, anche d'urgenza, necessarie a:
a) ridurre la durata dei processi;
b) abolire gli «espropri indiretti»;
c) autorizzare la riapertura dei processi penali nazionali impugnati dalla Corte;
d) ristabilire il diritto ad un giusto processo;
e) adottare delle misure generali necessarie per assicurare la piena attuazione delle sentenze della Corte e la prevenzione efficace delle violazioni della Convenzione;
f) ratificare la Convenzione civile sulla corruzione;
g) ratificare la Convenzione penale sulla corruzione;
h) ratificare la Convenzione sul riciclaggio, la ricerca, il sequestro e la confisca dei proventi di reato e sul finanziamento del terrorismo;
i) ratificare il Protocollo n. 12 alla Convenzione europea dei diritti umani;
l) ratificare il Protocollo n. 13 alla Convenzione relativo all'abolizione della pena di morte in tutte le circostanze;
m) ratificare la Carta europea delle lingue regionali e minoritarie;
n) ratificare l'Accordo relativo al Gruppo di Stati contro la corruzione (Greco).
(1-00237) «Turco, D'Elia, Beltrandi, Mellano, Poretti, Villetti, Buemi, Angelo Piazza».

La Camera,
premesso che:
l'Unione europea e l'Italia considerano da sempre la promozione dei diritti sociali e il rispetto dei diritti dei lavoratori quali aspetti essenziali nelle relazioni commerciali e, più in generale, internazionali con gli altri Stati, valutandoli come elementi positivi per il rafforzamento della competitività di ciascun Paese e non come ostacolo o impedimento;
da tempo l'Unione europea ha inserito la discussione sul rispetto degli standard di lavoro dell'Organizzazione internazionale del lavoro e sulla promozione dei diritti sociali e sindacali all'interno delle negoziazioni relative ad alcuni accordi commerciali con Stati terzi, come nel caso dell'accordo di Cotonou, e ha previsto specifiche valutazioni sull'impatto sociale degli accordi commerciali bilaterali (SIAs), anche nelle fasi negoziali del nuovo accordo quadro di partnership con la Cina, accogliendo con grande favore la decisione di istituire una «Commissione mondiale sulla dimensione sociale della globalizzazione», sotto l'egida dell'Organizzazione internazionale del lavoro, che iniziasse a introdurre tali temi nei forum dedicati al commercio internazionale, in cui sono finora rimasti troppo marginali;
in molti Paesi il tema del rispetto dei diritti dell'uomo e, in particolare, della tutela dei lavoratori, delle condizioni di lavoro e della salubrità dei luoghi di lavoro, nonché la promozione dei diritti sindacali, rimangono questioni irrisolte rispetto alle quali, all'elevata sensibilità politica della materia, si somma l'obiettiva difficoltà di controllo, l'impatto economicamente pesante sulle popolazioni di restrizioni generalizzate alle importazioni e non ultimo, in alcuni casi, un atteggiamento surrettiziamente protezionistico da parte dei Paesi occidentali;
tuttavia, in alcuni casi la comunità internazionale deve con determinazione e coraggio avanzare proposte decise per superare violazioni scandalose e patenti dei

diritti umani, elaborando forme di pressione congiunta ed efficace, che costringano Paesi oramai pienamente inseriti ed accettati nel contesto delle organizzazioni internazionali del commercio non solo a condividere i vantaggi, ma anche ad assumere responsabilità e impegni comuni;
in particolare, i rapporti commerciali con la Repubblica popolare cinese, complicati da una serie di questioni di vario genere, devono essere più attenti alla dimensione del rispetto dei diritti dei lavoratori e dei diritti dell'uomo e condurre a più visibili passi in avanti rispetto alle questioni gravi segnalate da osservatori occidentali, organizzazioni indipendenti, associazioni a difesa dei diritti dell'uomo;
tra le violazioni più gravi rientra sicuramente la questione dei cosiddetti laogai, campi di lavoro forzato in cui sono reclusi, secondo alcune stime, cinque o sei milioni di detenuti, tra cui moltissimi accusati di reati di opinione, dissidenti politici, leader religiosi, spirituali o di minoranze etniche, che in condizioni di lavoro proibitive, per oltre 18 ore al giorno, senza le necessarie precauzioni nella lavorazione di sostanze pericolose e con il verosimile utilizzo di pratiche di tortura, vengono forzati al lavoro con conseguenze drammatiche sulla loro salute psicofisica;
le merci prodotte in questi vergognosi campi di lavoro forzato vengono poi commercializzate ovvero utilizzate quali componenti di prodotti finiti, per poi circolare liberamente sul mercato internazionale, pur provenendo da forme di lavoro illegale e lesivo dei diritti dell'uomo;
non esiste attualmente alcun valido strumento di verifica del numero di tali campi di lavoro, del numero dei detenuti imprigionati o delle condizioni interne di detenzione;
in questi anni la denuncia dell'istituzione dei laogai è stata fatta non solo da associazioni di tutela dei diritti dell'uomo e da alcuni testimoni diretti, ma anche da numerosi Governi e Parlamenti, tra i quali il Congresso americano (mozione n. 294 del 2005), il Parlamento europeo (risoluzione n. 2161 del 7 settembre 2006) e ultimamente il Bundestag tedesco (16/5146 del 10 maggio 2007);
tra l'altro, anche la Camera dei deputati nel dispositivo della mozione n. 1-00063 del 27 novembre 2006 ha impegnato il Governo «ad intraprendere ogni sforzo presso le autorità cinesi affinché la legislazione del lavoro e i diritti dei lavoratori si adeguino più rapidamente possibile agli standard internazionali, ivi inclusi i 10 principi del global compact delle Nazioni Unite, garantendo condizioni di lavoro dignitose e i diritti sindacali, unica garanzia di difesa del mondo del lavoro»;
la risoluzione del Parlamento europeo, oltre a condannare esplicitamente l'esistenza dei laogai, sollecita la Cina a ratificare le convenzioni nn. 29 e 105 dell'Organizzazione internazionale del lavoro sull'abolizione del lavoro forzato e coatto e invita la Cina a dare certificazione scritta della non provenienza delle merci esportate da laogai, invitando la Commissione europea, in caso contrario, a vietare l'importazione dei prodotti in questione;
la risoluzione del Parlamento tedesco, sulla stessa falsariga, chiede la chiusura dei laogai, il rilascio di informazioni da parte delle autorità cinesi sulla situazione dei campi di lavoro e sulle merci in essi prodotte, nonché un maggior coinvolgimento e informazioni alle imprese tedesche circa la situazione di violazione dei diritti umani in queste strutture,

impegna il Governo:

ad esercitare in sede europea un'azione efficace e coordinata con gli altri Paesi perché la questione dei campi laogai sia valutata adeguatamente e affrontata esplicitamente nelle occasioni di dialogo strutturato Unione europea-Cina, in particolare del periodico dialogo dedicato alla situazione dei diritti umani;

a vigilare affinché tale questione sia altresì tenuta nel debito conto nel contesto del dialogo commerciale Unione europea-Cina, nell'ambito degli attuali negoziati sul nuovo accordo di partnership e cooperazione, per valutare la possibilità di inserimento di forme particolari di cosiddette «clausole sociali», sul modello di altri accordi commerciali europei con Stati terzi, anche al fine di escludere del tutto la possibilità che merci prodotte nel cosiddetto sistema del laogai possano entrare nel mercato europeo fra le importazioni cinesi;
ad attivarsi nelle sedi internazionali per rendere possibili le visite dell'Alto commissario per i diritti umani dell'Onu, degli inviati speciali dell'Onu e dei rappresentanti del Comitato internazionale della Croce rossa ai campi laogai ancora esistenti;
a sollevare, di concerto con l'Unione europea, anche in seno al Consiglio dei diritti umani dell'Onu, di cui l'Italia è membro, la questione dei campi laogai;
ad utilizzare anche le occasioni di dialogo e di incontro bilaterale con la Cina per deprecare la pratica dei campi laogai e chiederne la chiusura;
a rendere le nostre imprese operanti in Cina sempre più consapevoli del problema dei campi laogai, evitando i rischi che partner commerciali cinesi possano utilizzare prodotti provenienti da questi «campi di lavoro», a tal fine promuovendo forme di cooperazione istituzionale ed imprenditoriale volte ad assicurare modalità di accertamento e verifica delle diverse fasi della filiera produttiva.
(1-00238) «Sereni, Pettinari, Siniscalchi, Mattarella, De Zulueta, Marcenaro, Leoluca Orlando, D'Elia».

Risoluzione in Commissione:

La XIII Commissione,
premesso che:
con l'approvazione della legge regionale 13 dicembre 1988, n. 44, la regione Sardegna, ai sensi dell'articolo 5 della stessa legge, aveva istituito un regime di aiuti in favore di aziende agricole la cui situazione finanziaria fosse risultata pregiudicata da circostanze avverse, sotto forma di mutui a tasso agevolato al fine di consentire a tali aziende di ricostituire la loro liquidità. Tali mutui dovevano essere impiegati per consolidare le passività a breve termine delle aziende interessate ed erano di una durata massima di quindici anni;
spettava alla Giunta regionale la determinazione delle modalità di concessione di tali aiuti e, in particolare, delle circostanze avverse che avrebbero giustificato l'intervento della Regione, i settori di intervento, l'importo dell'aiuto rispetto all'indebitamento dell'azienda e la durata del mutuo;
a partire dal 1988, la Giunta regionale decise di concedere in quattro riprese aiuti sotto forma di mutui a tasso agevolato;
il 30 dicembre 1988, una prima misura di aiuto fu adottata in favore dei prodotti agricoli coltivati in serra. La circostanza avversa che giustificava l'intervento della Regione era motivata dal tracollo dei prezzi di tali prodotti. L'unica condizione fissata per l'attribuzione dell'aiuto era legata all'indebitamento a breve termine dell'azienda. Quest'ultimo doveva superare il 75 per cento del valore della produzione lorda dell'azienda durante l'anno considerato;
il 27 giugno 1990, una seconda misura di aiuto fu disposta per le aziende silvicole proprietarie di piantagioni che non potevano ancora formare oggetto di un taglio redditizio. L'aiuto era diretto a sanare e consolidare i debiti di tali aziende, scaduti prima del 30 giugno 1990, risultanti da investimenti, dalla gestione degli impianti, dagli scoperti bancari nonché dal pagamento delle retribuzioni, dai canoni di locazione e dalle somme dovute ai fornitori. L'indebitamento a

breve termine doveva essere pari o superiore al 75 per cento della produzione lorda dell'azienda interessata durante l'anno considerato. La durata del mutuo era fissata in tredici anni e comprendeva un periodo di preammortamento di tre anni;
il 20 novembre 1990, una terza misura di aiuto riguardò gli allevatori di conigli che, in conseguenza di un'epizoozia che aveva imperversato nella regione nella primavera del 1990, avevano perduto almeno il 20 per cento dei loro capi. I mutui a tasso agevolato della durata di quindici anni, di cui tre anni di preammortamento, potevano coprire due annualità o quattro semestri di prestiti a lungo termine già contratti, più un importo equivalente al fabbisogno finanziario delle aziende interessate durante un anno;
la quarta misura di aiuto, decisa il 26 giugno 1992, interessò tutte le aziende agricole indebitate per le condizioni del mercato sempre più sfavorevoli e per le difficoltà conseguenti ad avversità climatiche. L'indebitamento a breve termine di tali aziende doveva essere almeno pari al 51 per cento della loro produzione lorda del 1991. La durata del prestito accordato era di quindici anni, comprendenti un periodo di preammortamento di tre anni. L'indebitamento teneva conto dei prestiti di durata inferiore a dodici mesi in corso nel 1991, anche se erano stati rimborsati in seguito, e delle rate dei finanziamenti pluriennali scadute o pagate nel 1991, oppure scadute negli anni precedenti e non pagate;
l'aiuto ottenuto in applicazione di questa quarta misura poteva essere utilizzato per coprire i mutui di gestione a tasso agevolato, i debiti risultanti dai prestiti a medio termine, ad esclusione di quelli contratti per l'acquisto di macchinari agricoli, e le rate di mutui pluriennali a tasso agevolato concessi dalla Regione in seguito a calamità naturali;
con Decisione 97/612/CE, della Commissione del 16 aprile 1997 relativa ad aiuti concessi dalla Regione Sardegna nel settore agricolo, è stato stabilito che gli aiuti concessi dalla regione Sardegna in applicazione dell'articolo 5 della legge regionale n. 44 del 1988 e delle delibere della Giunta regionale del 30 dicembre 1988, del 27 giugno 1990, del 20 novembre 1990 e del 26 giugno 1992 fossero illegali, in quanto concessi senza che la Commissione avesse potuto pronunciarsi al loro riguardo in fase di progetto;
tali aiuti, inoltre, sono stati dichiarati incompatibili con il mercato comune a norma dell'articolo 92, paragrafo 1 del trattato e non rispondenti alle condizioni di deroga previste dai paragrafi 2 e 3 dello stesso articolo;
tale decisione è stata definitivamente confermata dal Giudice europeo con Sentenza della Corte (Terza Sezione) 23 febbraio 2006, sulle Cause riunite C-346/03 e C-529/03;
entro il termine di 6 mesi a decorrere dalla data di notifica della citata decisione, l'Italia avrebbe dovuto adottare le misure necessarie al fine di recuperare, tramite rimborso, gli aiuti dichiarati illegittimi. Il rimborso si sarebbe dovuto effettuare secondo le procedure previste dalla legislazione italiana e gli interessi avrebbero dovuto decorrere dalla data in cui gli aiuti erano stati versati. Il tasso di interesse da applicare doveva essere costituito dal tasso di riferimento utilizzato per determinare l'equivalente sovvenzione nell'ambito degli aiuti a finalità regionale;
trattandosi di aiuti concessi sotto forma di concorso negli interessi, la Commissione ha sancito che il vantaggio finanziario indebitamente percepito era rappresentato dalla differenza tra il costo finanziario di mercato relativo a mutui bancari di consolidamento delle passività e il costo finanziario sostenuto dai beneficiari dei mutui di consolidamento che hanno fruito dell'intervento regionale previsto dall'articolo 5 della legge n. 44 del 1988;
in conseguenza di tale decisione sono state applicate misure di recupero dei finanziamenti che hanno portato le

aziende interessate al fallimento. Sulla base della legge regionale n. 44 del 1988, la regione Sardegna aveva ricevuto 7.500 domande di finanziamento, ciò che evidenziava l'entità della crisi in questione;
nel giustificare alla Commissione la concessione degli aiuti, l'Italia evidenziò che ci si trovava di fronte ad un fenomeno così generalizzato che non poteva essere imputato alla scorretta gestione delle aziende beneficiarie, ma, al contrario, si dovesse imputare a cause oggettive che avevano portato all'eccessivo indebitamento delle aziende;
a riguardo, la Corte ha dichiarato che pur se la Commissione avesse voluto avallare i provvedimenti e le misure di agevolazione autorizzate dalla regione Sardegna, essa non poté farlo soprattutto per una debole e poco rispettosa attività di risposta che le autorità competenti misero in atto nei confronti della stessa Commissione;
difatti, l'Italia fu accusata di essere venuta meno all'obbligo sancito dall'articolo 93, paragrafo 3 del trattato, in primo luogo omettendo di notificare le misure di aiuto nella fase di progetto e, in secondo luogo, mettendole in esecuzione senza che la Commissione avesse potuto pronunciarsi in proposito. Tali inadempienze diedero luogo ad una situazione particolarmente grave, in quanto gli aiuti in questione sono, in via generale e per loro natura, incompatibili con il mercato comune a norma dell'articolo 92 del trattato;
le autorità italiane avevano ad ogni modo contestato alla Commissione una serie di responsabilità nel decidere la condanna, che se non presenti avrebbero evitato il giudizio afflittivo. Ma la Corte di Giustizia, nel ribaltare l'asserzione italiana, fece notare, nel merito, che rispetto ad una pretesa irregolarità procedurale causata da ritardi eccessivi della Commissione nell'esame delle quattro misure d'aiuto, si dovette constatare che vari ritardi furono imputabili al Governo italiano;
infatti, proprio il Governo italiano aveva omesso di notificare alla Commissione la legge n. 44 del 1988 prima della sua adozione e aveva lasciato trascorrere un periodo di quasi quattro anni prima di informare la Commissione dell'adozione di tale legge;
risultò altresì dai fascicoli presentati dinanzi alla Corte che la Commissione non era in grado di pronunciarsi sulla validità del regime di aiuti previsto dalla detta legge esaminando unicamente il testo di quest'ultima. Tale istituzione ebbe bisogno di altre informazioni di cui sollecitò la comunicazione da parte del Governo italiano. Anche in tale circostanza le autorità italiane tardarono più volte, talora per parecchi mesi, a rispondere alle domande della Commissione;
anche se la procedura di esame, da parte della Commissione, della legge n. 44 del 1988 e delle quattro misure di aiuto sembrò essere stata relativamente lunga, le istituzioni comunitarie ricordarono che sino all'adozione del regolamento del Consiglio 22 marzo 1999, n. 659, recante modalità di applicazione dell'articolo 93 del Trattato, la Commissione non era soggetta a termini specifici. In mancanza di norme al riguardo, la Commissione doveva tuttavia preoccuparsi di non ritardare indefinitamente l'esercizio dei suoi poteri al fine di rispettare l'esigenza fondamentale della certezza del diritto;
a questo proposito, la tempistica di valutazione dei fatti si tradussero in due tappe: in particolare, una prima tappa di due anni, dal 1992 al 1994, si rivelò necessaria per raccogliere i fatti pertinenti, dato che il Governo italiano non notificò spontaneamente la legge n. 44 del 1988 e le quattro misure di aiuto. Una seconda tappa, che s'iniziò nel 1994, proseguì sino all'adozione, nel 1997, della decisione contestata. Nel corso di questa seconda tappa, la Commissione ritenne utile chiedere chiarimenti alle autorità nazionali, a più riprese, a seguito in particolare della modifica della normativa italiana nel corso dell'ultimo trimestre del 1995;

le autorità comunitarie, infine, fecero rilevare che in estrema analisi, ove meglio motivato, gli aiuti avrebbero anche potuto essere dichiarati legittimi a ritroso, sulla base degli orientamenti comunitari in materia, ma risultò tuttavia dai fascicoli dinanzi alla Corte che, anche supponendo che gli orientamenti avessero potuto essere applicati, le autorità nazionali non dimostrano, con le loro osservazioni generiche, che le condizioni fissate in tali orientamenti fossero state soddisfatte;
in seguito a queste procedure, gli istituti finanziari della Sardegna hanno proceduto non già a revocare la quota di contributo dichiarata illegittima, ossia la differenza tra il valore degli interessi ordinari e quello degli interessi agevolati, ma a richiedere il rimborso dell'intero capitale più gli interessi: non si vede come un'azienda che neppure aveva ancora realizzato gli investimenti a norma dei finanziamenti chiesti, avrebbe potuto restituire anche gli interessi oltre il capitale, senza neppure entrare in pieno regime produttivo e in tal senso operare per gli anni necessari a raggiungere almeno il pareggio;
oggi le aziende che hanno applicato il regime di agevolazioni fissato dalla citata legge regionale n. 44 del 1988 sono in piena crisi economica, molte sono fallite e sono state messe all'asta. Oltre 25.000 famiglie versano in stato di emergenza socio-economica e la situazione diventa giorno per giorno più drammatica per la vita delle persone, le quali, prese dalla disperazione, potrebbero facilmente cadere in gesti estremi, per l'economia agricola regionale che corre il pericolo di fermarsi, e per la tenuta dell'ordine pubblico;
la messa all'asta di queste importanti imprese agricole non solo decreta la scomparsa dell'unico e più importante settore produttivo della Sardegna, quello agroalimentare, ma comporta anche rischi di speculazioni immobiliari, rottura degli equilibri paesaggistici ed ambientali dei territori sardi per via della scomparsa del presidio rurale, perdita di storia, tradizioni, culture e saperi che sono la peculiarità della regione sarda;
la gravità della situazione è evidenziata, se dovesse servire un ulteriore conferma, dalla mobilitazione in corso in Sardegna che ha come epicentro il Comune di Decimoputzu. Cinque contadini le cui aziende sono vendute all'asta hanno condotto per una settimana un duro sciopero della fame mentre un Comitato di lotta sta promuovendo una mobilitazione che si sta allargando sempre più coinvolgendo diversi comuni della Sardegna;
resta il fatto che l'emergenza sociale che è in atto in Sardegna e l'entità del dissesto finanziario che riguarda il sistema agricolo regionale rappresentino un fenomeno che non può essere gestito in maniera localistica, scoordinata e con provvedimenti ordinari;
qualsiasi provvedimento si dovesse adottare per porre rimedio alla crisi finanziaria e produttiva esplosa nella regione Sardegna non può non affrontare anche il connesso problema del rischio della rottura della coesione sociale e della mancanza di prospettive future in campo agricolo;
il punto di non ritorno cui è giunta la crisi strutturale dell'agricoltura Sarda potrebbe facilmente manifestarsi anche in molte altre regioni del Sud del nostro paese in cui sono presenti, seppure non manifesti, criticità analoghe a quelle della Sardegna. Ciò impone che si provveda con serietà e concretezza, ma anche con rigore e conoscenza della materia, ad elaborare una forte e vantaggiosa politica di rilancio agricolo per le regioni meridionali in particolare;
per la situazione critica ed emergenziale che sta interessando la regione Sardegna è necessario adottare provvedimenti straordinari;
vi è in Sardegna l'urgenza di potenziare le misure di controllo contro eventuali atteggiamenti speculativi insidiabili negli espropri delle aziende agricole colpite da esecuzioni forzose;

è imprescindibile dichiarare la sospensione temporanea, in vista di misure stabili e risolutive, dei giudizi pendenti, delle procedure di riscossione e recupero, nonché delle esecuzioni forzose posti in essere nei confronti delle aziende agricole che hanno applicato le misure previste dalla legge regionale della Sardegna, n. 44 del 1988;
vi è l'ineludibile esigenza di assicurare, rispetto al predetto contesto emergenziale, il compimento degli interventi da porre in essere per il superamento della situazione di criticità in cui versano in particolare le aziende che hanno subito un gravissimo pregiudizio dalla situazione di dissesto finanziario e di indebitamento inizialmente legittimato;
appare necessario adottare tempestivamente misure adeguate di sostegno alle attività produttive presenti nei territori agricoli della Sardegna, limitatamente alle aziende coinvolte nell'emergenza di cui trattasi, nonché iniziative a tutela dei comparti agricoli a rischio di declino;
per quanto descritto e ricorrente nella fattispecie, si può affermare che nei territori rurali della regione Sardegna in cui sono presenti aziende interessate dagli effetti della Decisione 97/612/CE, della Commissione del 16 aprile 1997 sopra citata e dai relativi fatti generatori, per fronteggiare il rischio di emergenze sociali, economiche e civili, esistano i presupposti per procedere con gli stessi criteri di straordinarietà e di urgenza che si applicano a norma dell'articolo 5, comma 1, della legge 24 febbraio 1992, n. 225, in riferimento alla dichiarazione dello stato di emergenza socio-economico;

impegna il Governo

ad intraprendere con la massima urgenza tutte le iniziative che si rendono più opportune per fare fronte alla grave crisi socio-economica in cui versano le aziende agricole ed agropastorali sarde per le quali si stanno applicando le misure di recupero, tramite rimborso, degli aiuti concessi dalla regione Sardegna in applicazione dell'articolo 5 della legge regionale n. 44 del 1988 e delle delibere della Giunta regionale del 30 dicembre 1988, del 27 giugno 1990, del 20 novembre 1990 e del 26 giugno 1992 dichiarate illegali ai sensi della Decisione 97/612/CE, della Commissione del 16 aprile 1997, in tale ambito provvedendo ad adottare atti idonei a sospendere i giudizi pendenti, le procedure di riscossione e recupero, nonché le esecuzioni forzose relative ai suddetti mutui, ed altresì valutando la necessità di adottare provvedimenti straordinari ed urgenti, anche di natura normativa, che relativamente ai territori rurali della regione Sardegna in cui sono ubicate le aziende agricole sopra indicate ed altresì nei territori, in particolare nel nuorese, ove sono presenti le aziende agropastorali in analoga situazione di crisi, abbiano gli stessi effetti della dichiarazione dello stato di emergenza socio-economico, di cui all'articolo 5, comma 1, della legge 24 febbraio 1992, n. 225.
(7-00292) «Lion, Zucchi, Lombardi, Satta, Franci, Fadda, Servodio, Cesini, D'Ulizia, Maderloni, Sperandio, Schirru, Attili».