Allegato B
Seduta n. 209 del 24/9/2007

INTERROGAZIONI PER LE QUALI È PERVENUTARISPOSTA SCRITTA ALLA PRESIDENZA

ADENTI. - Al Ministro per i beni e le attività culturali. - Per sapere - premesso che:
l'amministrazione comunale di Albaredo d'Adige (Verona) ha edificato un servizio igienico pubblico, attiguo a sepolture, all'interno del complesso cimiteriale di Michellorie [frazione di Albaredo d'Adige (Verona)];
detta inaspettata e deturpante edificazione ha provocato nel territorio profonda indignazione e sdegno tanto che veniva promossa una raccolta di firme tesa a spostare il luogo di tale edificazione; che testate giornalistiche locali, nonché la Rai (Radiotelevisione Italiana), nella trasmissione televisiva «Mi manda Rai Tre», hanno dedicato ampio risalto a tale vicenda;
sono stati inoltrati alla Procura della Repubblica di Verona numerosi esposti giudiziari riguardanti tale edificazione;
appare quanto mai doveroso attuare ogni possibile iniziativa volta a per verificare il rispetto delle norme vigenti da parte dell'amministrazione comunale di Albaredo d'Adige (Verona) nell'aver disposto l'edificazione del sopraccitato servizio igienico;
il cimitero è oggetto di vincolo ai sensi della legislazione sui beni culturali -:
se e quali provvedimenti l'Onorevole Ministro interrogato intenda assumere al fine di limitare l'impatto di tale opera sul predetto complesso cimiteriale, proprio al fine di salvaguardare la sacralità del luogo e conseguentemente venire incontro alle istanze provenienti dalla comunità di Albaredo d'Adige (Verona).
(4-01234)

Risposta. - Il cimitero comunale compreso nella frazione di Michellorie nel comune di Albaredo d'Adige è sottoposto a tutela ai sensi dell'articolo 10 del decreto legislativo n. 42 del 2004 e successive modificazioni ed integrazioni ed è in attesa di verifica dell'interesse culturale ai sensi del comma 2 dell'articolo 12 del decreto legislativo citato.
La Soprintendenza per i beni architettonici e per il paesaggio di Verona, in seguito alle segnalazioni ricevute da un privato cittadino sulla costruzione di un servizio igienico all'interno del complesso cimiteriale, ha riscontrato la mancanza dell'autorizzazione di cui all'articolo 21 del decreto legislativo citato e, di conseguenza, ha informato la procura della Repubblica di Verona della violazione affinché accerti eventuali responsabilità penali.
L'amministrazione comunale ha riferito di aver realizzato l'opera per ottemperare all'obbligo di legge previsto dal decreto del Presidente della Repubblica 10 settembre 1990 n. 285 ed attuato dal regolamento comunale di polizia mortuaria, specificando che la destinazione a servizio igienico del locale è provvisoria in vista dei futuri lavori di ampliamento del cimitero e dichiarandosi disponibile ad apportare al manufatto alcune modifiche per venire incontro alle esigenze della famiglia cui appartiene

la cappella a ridosso della quale è stato costruito.
Esaminata la documentazione fornita del comune, la soprintendenza ha ritenuto di autorizzare il mantenimento dell'opera che, con le modifiche prescritte, risulta essere compatibile con il carattere storico artistico del luogo.

Il Sottosegretario di Stato per i beni e le attività culturali: Danielle Mazzonis.

BORGHESI. - Al Ministro per i beni e le attività culturali. - Per sapere - premesso che:
l'amministrazione comunale di Albaredo d'Adige (Verona) ha costruito un gabinetto pubblico in mezzo alle tombe nel cimitero della frazione di Michellorie, inglobato e danneggiante un'antica tomba gentilizia, demolendo parte dello storico muro di cinta;
detta inaspettata e deturpante edificazione, attigua a sepolture, ha provocato nel territorio profonda indignazione, tanto che è stato chiesto al consigliere comunale Angelo Gennari, di promuovere una raccolta di firme per una petizione popolare nella quale è stato domandato al sindaco, Claudio Costanzo Ruta, l'allontanamento del gabinetto ed il suo posizionamento in luogo più idoneo, meno oltraggioso alla sensibilità dei famigliari dei defunti e meno impattante dal punto di vista architettonico;
detta democratica petizione popolare è stata, fino ad oggi, ignorata dal sindaco Ruta;
il quotidiano L'Arena di Verona ha pubblicato numerosi articoli (n. 10) e foto riguardanti l'accaduto sottolineando l'indignazione popolare crescente;
anche il Vescovo di Verona si è dichiarato favorevole allo spostamento del W.C.;
la Rai, nella trasmissione televisiva «Mi manda Rai Tre» del 23 dicembre 2005, ha dedicato ampio risalto al fatto facendolo diventare un caso nazionale e in detta occasione il Sindaco Ruta è stato duramente contestato;
sono stati inoltrati alla Procura della Repubblica di Verona numerosi esposti giudiziari denuncianti circostanziati illeciti connessi alla costruzione del gabinetto;
la Procura della Repubblica di Verona in data 15 febbraio 2006 ha archiviato le numerose denunce nonostante il rapporto del 29 marzo 2006 della Guardia di Finanza e la pronunzia della Soprintendenza per i Beni architettonici e per il paesaggio di Verona datata 8 marzo 2006;
la stessa Soprintendenza, relazionando la Procura, aveva dichiarato di avere accertato, tra l'altro, che il servizio igienico era stato realizzato «in assenza d'autorizzazione prevista ai sensi dell'articolo 21 del citato decreto legislativo n. 42 del 2004;
vi è fondato sospetto che il gabinetto sia stato realizzato senza riesumare le salme che erano interrate nell'area;
la latrina, già funzionante dal mese di ottobre 2005 è stata chiusa perché realizzata in violazione delle leggi a tutela dei disabili;
nel verbale del Consiglio Comunale di Albaredo d'Adige (Verona) del 31 gennaio 2006 emergono responsabilità dell'Amministrazione locale come denunciato da alcuni consiglieri comunali in relazione all'opera eseguita;
il costo del W.C., di ben 16.666 euro, appare esagerato in considerazione della modesta costruzione, dei prezzi correnti in loco e che il terreno non è costato nulla, risultando un prezzo a metri quadri di circa 5.000.000 delle vecchie lire: pari al costo a metro quadro di un appartamento dotato di tutti i servizi in una città di media grandezza;

è possibile che l'impresa edile aggiudicataria dei lavori abbia subappaltato ad altri, senza che ciò risulti agli atti -:
quali provvedimenti intenda assumere il Ministro al fine di garantire l'effettiva tutela e valorizzazione del bene vincolato.
(4-01264)

Risposta. - Il cimitero comunale compreso nella frazione di Michellorie nel comune di Albaredo d'Adige è sottoposto a tutela ai sensi dell'articolo 10 del decreto legislativo n. 42 del 2004 e successive modificazioni ed integrazioni ed è in attesa di verifica dell'interesse culturale ai sensi del comma 2 dell'articolo 12 del decreto legislativo citato.
La Soprintendenza per i beni architettonici e per il paesaggio di Verona, in seguito alle segnalazioni ricevute da un privato cittadino sulla costruzione di un servizio igienico all'interno del complesso, cimiteriale, ha riscontrato la mancanza dell'autorizzazione di cui all'articolo 21 del decreto legislativo citato e, di conseguenza, ha informato la procura della Repubblica di Verona della violazione affinché accerti eventuali responsabilità penali.
L'amministrazione comunale ha riferito di aver realizzato l'opera per ottemperare all'obbligo di legge previsto dal decreto del Presidente della Repubblica 10 settembre 1990 n. 285 ed attuato dal regolamento comunale di polizia mortuaria, specificando che la destinazione a servizio igienico del locale è provvisoria in vista dei futuri lavori di ampliamento del cimitero e dichiarandosi disponibile ad apportare al manufatto alcune modifiche per venire incontro alle esigenze della famiglia cui appartiene la cappella a ridosso della quale è stato costruito.
Esaminata la documentazione fornita dal comune, la soprintendenza ha ritenuto di autorizzare il mantenimento dell'opera che, con le modifiche prescritte, risulta essere compatibile con il carattere storico artistico del luogo.

Il Sottosegretario di Stato per i beni e le attività culturali: Danielle Mazzonis.

BURCHIELLARO e RUGGERI. - Al Ministro delle infrastrutture. - Per sapere - premesso che:
la proposta di Piano quinquennale 2007/2011 per la viabilità statale, predisposta dal Ministero delle infrastrutture, esclude completamente la provincia di Mantova dalle risorse ivi previste, comprese quelle già destinate con convenzione;
è stato richiesto dalla provincia di Mantova in occasione della predisposizione del Piano decennale ANAS il finanziamento delle seguenti opere:
completamento delle risorse per l'appalto della tangenziale di Marmirolo - 1 lotto della riqualificazione della ex strada statale 236 «Goitese» a seguito di convenzione sottoscritta nel settembre 2004 (trasferimento di euro 3.262.413,12);
sistemazione impalcato del Ponte sul Po a San Benedetto, opera in carico ad ANAS;
completamento della circonvallazione di Ostiglia tramite una bretella di collegamento tra la strada statale 482 «Polesana» e la strada statale 12 a sud del Po con trasformazione dell'attuale ponte ferroviario in ponte stradale quando ultimati i lavori di costruzione del raddoppio ferroviario Nogara-Poggio Rusco previsto per fine 2008;
Po.Pe. (Poggio Rusco-Pegognaga) per il quale la provincia di Mantova ha intrapreso la progettazione;
variante e adeguamento del tronco della strada statale 12 in comune di Revere;
variante e adeguamento della strada statale 12 in Comune di Villa Poma;
la regione Lombardia, in data 15 maggio 2007, ha sollecitato il Dipartimento per la programmazione ed il coordinamento dello sviluppo del territorio, presso il Ministero delle infrastrutture, a finanziare con risorse aggiuntive le opere rimaste fuori dal Piano quinquennale, sollevando in particolare il caso della provincia

di Mantova, rimasta fuori da qualsiasi intervento;
in particolare si rileva l'urgenza per quanto riguarda la variante di Marmirolo sulla ex strada statale 236 e i lavori del ponte di San Benedetto Po -:
quali misure urgenti il Ministro intenda assumere affinché venga mutata l'attuale impostazione del Piano quinquennale, che secondo gli interroganti appare penalizzante e del tutto inaccettabile per la provincia di Mantova.
(4-03742)

Risposta. - L'interrogazione fa riferimento alla lamentata assenza di risorse ed interventi a favore della provincia di Mantova nella proposta di Piano 2007-2011, in difformità a quanto richiesto dalla Provincia medesima nell'occasione del piano decennale 2003-2012.
A riguardo, si rammenta che il Piano decennale 2003-2012 di Anas è strumento di pianificazione che individua obiettivi di medio-lungo periodo, demandando la puntuale definizione degli interventi ai successivi contratti di programma, sulla base dei criteri e delle disponibilità finanziarie.
In fase di definizione dei criteri di selezione degli interventi sul sistema della viabilità nazionale, da attuare nel prossimo quinquennio mediante l'utilizzo delle risorse ordinarie stanziate dalla legge 27 dicembre 2007, n. 296 - legge finanziaria 2007, questo ministero ha operato una scelta di fondo, ispirata al più rigoroso principio di efficienza ed efficacia, rappresentata dall'attribuzione di massima priorità a tutti i progetti costituenti completamenti di opere in corso o parti funzionali di interventi già realizzati, fermo restando il livello di appaltabilità nel periodo di riferimento. L'individuazione delle opere da finanziare nell'ambito del Piano è stata quindi operata a partire da un'istruttoria tecnica condotta da Anas S.p.A., che, previa ricognizione del complesso di progetti caratterizzati da uno stato di avanzamento compatibile con l'arco temporale di riferimento 2007-2011, ha condotto una prima selezione volta ad individuare tutti gli interventi dotati dei requisiti di completamento sopra illustrati.
La proposta tecnica di piano della viabilità di competenza statale 2007-2011, elaborata da questo ministero secondo le modalità sopra esposte, è stata quindi sottoposta alle Regioni nel corso di una serie di incontri tenutisi presso questo ministero nel giorni 7-8-9 maggio 2007, ed è stata emendata sulla base degli esiti del confronto con le regioni medesime ed i relativi uffici tecnici competenti, e della successiva interlocuzione formale.
Per quanto attiene, in particolare, alla Lombardia la bozza di piano è stata integrata recependo le istanze espresse dalla regione, previa verifica tecnica svolta dai competenti uffici Anas, pervenendo alla versione definitiva e condivisa tra i competenti soggetti istituzionali, che indirizza al territorio lombardo un ammontare di risorse 846 milioni di euro di cui 537 milioni di euro a carico delle risorse ordinarie di finanziaria (pari al 12,5 per cento della disponibilità complessiva per le 19 regioni interessate dal piano) e 309 milioni di euro a valere su altre fonti (stanziamenti regionali, leggi speciali, fondi provenienti da rescissioni di precedenti contratti, eccetera).
Tanto premesso con riferimento alla richiesta di inserimento in piano di ulteriori interventi formulata dalla regione solo successivamente alla conclusione della procedura illustrata, si fa presente, come, d'altra parte, già comunicato alla regione medesima, che le risorse disponibili per il finanziamento del piano della viabilità 2007-2011 sono esclusivamente quelle recate dalle legge finanziaria 2007.
Per quanto sopra, fermo restando lo stato procedurale ormai definitivo del piano, in linea generale, un eventuale nuovo inserimento di opere da realizzare nel periodo 2007-2011 potrebbe avvenire esclusivamente mediante sostituzione per pari importo di interventi attualmente finanziati, previa verifica della sussistenza dei necessari requisiti (appaltabilità, caratteristiche di completamento eccetera).
Per quanto riguarda nello specifico la Provincia di Mantova, l'Anas S.p.A. fa conoscere

che sulla SS. 12 sono comunque in corso i seguenti interventi:
variante di Marmirolo;
sistemazione del ponte sul Po a San Benedetto.

Nel dettaglio:
A) La variante di Marmirolo, che ricade sulla ex strada statale n. 236, è ora di competenza, della Provincia di Mantova. In data 22 settembre 2004 Anas, regione Lombardia e provincia di Mantova hanno sottoscritto una convenzione con Anas per disciplinare i rapporti in relazione ai lavori, per effetto della quale questa società avrebbe messo a disposizione della Provincia la somma di euro 9.024.483,37, quale differenza tra l'importo finanziato per l'esecuzione dell'opera e quanto già previsto dall'ANAS, per l'opera stessa. Ad oggi, sono stati trasferiti alla provincia di Mantova euro 5.762.076,19. La somma residua sarà trasferita appena possibile.
B) Sistemazione del Ponte sul Po a San Benedetto, ricadente su ex strada statale n. 413: i lavori sono stati completati nel 2002; attualmente Anas ha predisposto un nuovo intervento di manutenzione per risolvere le problematiche sorte in merito alla pavimentazione stradale e sta provvedendo al reperimento delle risorse necessarie.

Il Ministro delle infrastrutture: Antonio Di Pietro.

BURGIO e MANTOVANI. - Al Ministro degli affari esteri, al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
il terrorismo è una delle minacce più gravi per l'umanità, il benessere ed il progresso dei popoli;
gli Stati nazionali hanno l'obbligo di ricercare la massima unità per combatterlo, quali che siano le forme in cui esso si manifesta;
il 4 novembre 1997, in un attentato all'Hotel Copacabana de L'Avana a Cuba, una carica di esplosivo C4 uccise il giovane imprenditore italiano Fabio Di Celmo;
il signor Raul Ernesto Cruz, salvadoregno, arrestato a L'Avana perché confesso esecutore materiale dell'attentato, indicò il mandante e finanziatore dell'atto terroristico nella persona di Luis Posada Carriles, di nazionalità cubano-salvadoregna;
in una intervista rilasciata al New York Times il 12 luglio 1998, lo stesso Posada Carriles si attribuì la responsabilità diretta di questo e di altri attentati dichiarando tra l'altro: «la morte del turista italiano è stata solo un incidente imprevisto che non mi turba affatto il sonno. Anzi: io dormo come un bambino perché l'italiano si trovava nel posto sbagliato nel momento sbagliato»;
Luis Posada Carriles è stato anche responsabile dell'attentato avvenuto nell'ottobre 1976 contro un aereo della «Cubana de Aviacion» in volo, che provocò la morte di 73 persone e per il quale lo stesso terrorista fu condannato in Venezuela;
in Venezuela egli venne recluso, evadendo dopo pochi mesi;
lo stesso Posada Carriles, nel ruolo di consulente della Disip, organo della Sicurezza locale del Venezuela, ha partecipato a cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta a torture e assassinii nei confronti di detenuti politici venezuelani e direttamente ad altre azioni terroristiche in tutto il subcontinente latinoamericano;
nel novembre del 2000 Posada Carriles e altri tre terroristi vennero arrestati a Panama mentre erano in procinto di organizzare un attentato. Detenuti, processati e condannati a vari anni di carcere beneficiarono dell'indulto deciso dalla presidente Mireya Moscoso sei giorni prima della fine del mandato, in data 25 agosto 2004;
il terrorista Posada Carriles, rifugiatosi nel 2004 in Florida, presentò domanda di asilo politico negli Stati Uniti con l'argomentazione di aver «favorito gli interessi USA per 40 anni»;

a tutt'oggi le autorità degli Stati Uniti si sono sempre rifiutate di giudicarlo per i crimini commessi, limitandosi a detenerlo in una struttura carceraria del New Mexico con l'unica accusa di immigrazione irregolare nel territorio federale;
nel corso degli ultimi anni sia Cuba sia il Venezuela hanno più volte chiesto agli Stati Uniti - ottenendo sempre una risposta negativa - l'estradizione di Posada Carriles; per contro, tra il 2004 e il 2006 il governo statunitense ha ripetutamente chiesto a Canada, Costa Rica, El Salvador, Guatemala, Honduras, Messico e Panama di offrire asilo al terrorista, ritenendo tali Paesi disponibili a garantire al terrorista una totale impunità;
gli avvocati difensori di Posada Carriles hanno reso noto che il 19 aprile 2007 il loro assistito ha ottenuto la libertà su cauzione;
la morte di un cittadino italiano attende giustizia da quasi sette anni -:
se il Governo intenda attivarsi per comunicare al governo degli Stati Uniti che la liberazione del terrorista Luis Posada Carriles appare inaccettabile al cospetto di una comunità internazionale attivamente impegnata nel contrastare ogni organizzazione e attività terroristica;
se il Ministro della Giustizia intenda intraprendere presso le autorità del governo statunitense i passi ufficiali tesi ad ottenere l'estradizione del terrorista Posada Carriles in Italia, affinché egli possa rispondere dell'assassinio del cittadino italiano Fabio Di Celmo.
(4-03486)

Risposta. - Dall'inizio del proprio mandato il Governo in carica ha riservato un'attenzione particolare alla lotta al terrorismo e alla violenza, fenomeni da combattere e da estirpare in quanto minano alla radice ogni possibilità di crescita e sviluppo di sistemi democratici rispettosi della dignità della persona.
In qualunque scenario si utilizzino tali metodi, il nostro paese risponde riaffermando l'adesione ai principi di fondo e alla difesa della dignità umana e dei diritti umani, civili e politici.
La difesa delle vittime della violenza, dei loro diritti e talvolta della loro memoria, come nel caso degli scomparsi italiani durante i periodi dei regimi militari e dittatoriali in America Latina, ha portato il Governo italiano, già dal primo mandato del Presidente Prodi, a costituirsi parte civile nei processi intrapresi contro gli autori di questi crimini.
All'interno di questa impostazione e con questo stesso spirito, il Governo si è mosso anche in relazione alla vicenda del nostro connazionale Fabio Di Celmo, morto tragicamente il 4 settembre 1997 a L'Avana, vittima di un attentato terroristico, triste evento che, peraltro, é stato anche oggetto di una recente produzione cinematografica italiana.
Già nel giugno 2006, a poche settimane dalla costituzione del Gabinetto Prodi, ho avviato, nella mia qualità di Sottosegretario agli Affari esteri, con delega per l'America Latina, con il Sottosegretario di Stato per la giustizia competente, un approfondimento della vicenda.
Da questa ricognizione emergeva come la procura di Genova avesse aperto, nel 1998, un fascicolo a carico di ignoti per l'attentato commesso a L'Avana nel settembre 1997, ma che successivamente i giudici inquirenti avevano emesso un decreto di archiviazione, essendo ignoti gli autori del reato.
In assenza di un'istanza proveniente dall'autorità giudiziaria, non sussistevano atti di competenza del ministero della giustizia, né vi erano procedure amministrative pendenti.
Nello stesso periodo, su vari organi di stampa, iniziarono ad apparire articoli relativi al presunto coinvolgimento di Luis Posada Carriles quale mandante degli attentati terroristici a Cuba. Le stesse fonti riportavano la notizia di un suo successivo ingresso illegale dal Messico negli Stati Uniti e della sua detenzione ad El Paso, in attesa del giudizio in relazione al suo ingresso clandestino negli Stati uniti.
Le autorità giudiziarie di El Paso hanno posto in libertà condizionata il signor Posada

Carriles il 6 aprile 2007, sulla base della modesta imputazione allora elevata a suo carico, e lo hanno già assolto da ogni imputazione l'8 maggio 2007, ordinandone la rimessione in libertà.
Secondo recenti notizie di stampa, il tribunale federale di Newark, nel New Jersey, avrebbe avviato una nuova inchiesta sull'attacco terroristico all'Hotel Copacabana, ma non è ancora noto se tale nuovo filone abbia un impatto sulla posizione del signor Posada Carriles. In questo contesto, ancora fluido, un elemento di valutazione per le autorità statunitensi potrebbe essere senz'altro costituito anche dalle eventuali domande di estradizione da parte di Stati terzi.
Da quanto ci è stato segnalato dal ministero della giustizia, la Procura della Repubblica di Roma ha aperto un nuovo procedimento penale in Italia nei confronti di Luis Posada Carriles, indagato per il reato di strage.
Il ministero della giustizia ha già effettuato, in data 15 novembre, i passaggi procedurali richiesti dall'articolo 8 del codice penale per procedere in materia di delitti politici commessi all'estero. Tuttavia, ad oggi, non è stato ancora trasmesso dall'Autorità giudiziaria al ministero della giustizia alcun provvedimento restrittivo in ordine all'omicidio Di Celmo. Allo stato, mancano, pertanto, il presupposto ed il giudizio necessario per la formulazione di una richiesta di estradizione da parte dell'Italia.
Il prosieguo della vicenda dipende, quindi, in ultima istanza, dagli orientamenti che emergeranno in sede giudiziaria. Il Governo non mancherà, comunque, di esaminare con la massima cura il seguito da dare ad un'eventuale richiesta di estradizione da parte della magistratura.

Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Donato Di Santo.

CASSOLA. - Al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
grazie alla mobilità, gli italiani nel mondo sono sempre in numero crescente;
le Ambasciate, i Consolati e le Rappresentanze Permanenti sono da sempre un supporto insostituibile per i connazionali all'estero senza le quali si troverebbero a dover fare fronte ad innumerevoli difficoltà;
sembrerebbe che a Kiev (Ucraina) a causa della carenza di personale dell'Ambasciata d'Italia, non esista un ufficio d'informazione, ed anche i numeri preposti a dare questo servizio all'utenza, non forniscano nessun aiuto. Infatti, sembrerebbe che tali numeri forniscano esclusivamente informazioni registrate e non sia possibile parlare con un operatore per averne di ulteriori-:
se sia a conoscenza di quanto in premessa e se non ritenga utile che gli italiani in Ucraina possano contattare facilmente l'Ambasciata anche per i chiarimenti ed i problemi che non rientrino «in quelli della voce registrata al centralino».
(4-04082)

Risposta. - In relazione a quanto richiesto dall'onorevole interrogante si osserva in via preliminare che l'Ambasciata d'Italia a Kiev è gravata dalla crescente richiesta di servizi consolari e, in particolar modo, di visti.
Per quatto riguarda poi l'accessibilità della sede tramite il centralino, va sottolineato che il predetto incremento delle domande di visto (dai 47.000 visti emessi nel 2006, quest'anno si prevede che l'ufficio passerà ad oltre 75.000 rilasci), si è tradotto inevitabilmente in un aumento pari, e forse maggiore, dei contatti telefonici.
A fronte di circa 200-300 telefonate al giorno, la sede, per far fronte a questa situazione, e non potendo far leva nell'immediato su un aumento di personale da poter adibire a tale importante servizio, ha proceduto ad una modifica tecnica della segreteria telefonica dello stesso centralino che adesso, con un sistema di scelta multipla, consente l'accesso alle informazioni circa la documentazione per tutte le tipologie di visto.
Inoltre, operando un ulteriore sforzo ed al fine di venire incontro alle sempre più

pressanti richieste ed esigenze dell'utenza, l'ambasciata sta cercando di predisporre una linea telefonica specificatamente riservata all'ufficio visti, ove, in un orario dedicato, l'utente potrà essere messo a conoscenza dello stato di avanzamento della pratica e segnalare eventuali specifiche esigenze. Tale iniziativa dovrebbe pertanto consentire al resto degli utenti di disporre di un accesso agevolato al centralino dell'ambasciata.
Si segnala, peraltro, che un eventuale potenziamento del centralino non potrà non ripercuotersi sull'organico dell'ufficio visti: si pensa, infatti, di applicare al centralino una delle tre unità di personale a contratto locale (N-Vis), che verranno assunte nei prossimi mesi.

Il Viceministro degli affari esteri: Franco Danieli.

CASSOLA. - Al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
come noto, sabato, 14 luglio 2007 è stata siglata all'Aran (l'Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni) l'ipotesi di accordo per il rinnovo dei contratto del comparto Ministeri relativo al quadriennio normativo 2006-2009 ed al biennio economico 2006-2007;
la piattaforma sindacale prevedeva, alla voce «rivendicazioni per il personale a contratto del Ministero degli Affari Esteri», la riformulazione della disciplina del trattamento economico in caso di malattia per equiparare la medesima alle previsioni del CCNL (contratto di comparto nazionale di lavoro) attualmente in vigore nel pubblico impiego;
attualmente il personale a contratto usufruisce per legge, in caso di malattia, di soli giorni 45 nell'arco dei tre anni. È visibile una sperequazione rispetto agli altri lavoratori destinatari dello stesso CCNL;
nonostante i sindacati presenti ai tavoli delle trattative abbiano richiesto la pari dignità di trattamento con i dipendenti del pubblico impiego (il personale di ruolo dello stesso Ministero usufruisce durante i periodi di servizio all'estero di giorni 45 annuali e, una volta tornato alla Farnesina, di giorni 180), l'amministrazione degli Esteri non si è dichiarata disponibile ad adeguare i trattamento in caso di malattia del personale a contratto a quello vigente nel pubblico impiego. L'accordo per il rinnovo dei contratto è stato quindi firmato con il passaggio dagli attuali 45 giorni a 90 giorni ogni triennio -:
se non ritenga che la soluzione adottata non stabilisca il principio di parità di trattamento della categoria con il restante personale della Farnesina e quali misure o iniziative intenda adottare per quanto attiene al diritto di voto attivo e passivo per le rappresentanze sindacali unitarie.
(4-04424)

Risposta. - In merito ai quesiti da Lei posti con l'interrogazione a risposta scritta n. 4-04424, da parte del ministero degli affari esteri si tiene a far presente che, a fronte delle rivendicazioni avanzate da parte sindacale sulla disciplina del trattamento economico in caso di malattia per il personale a contratto, non è stata assunta una posizione pregiudizialmente negativa.
Ciò è provato dalla disponibilità a raddoppiare il numero dei giorni di congedo straordinario per malattia a pieno stipendio fruibili dal personale in questione nell'arco di tre anni (giorni portati da 45 a 90). Va peraltro considerato che la posizione negoziale dell'Aran è stata il risultato di una valutazione complessiva della situazione, che non ha potuto non tener conto del maggiore impatto finanziario che sarebbe derivato da ulteriori ampliamenti del suddetto periodo.
Con riguardo all'asserito trattamento discriminatorio nei confronti degli impiegati a contratto, non è esatta l'affermazione per cui il personale in questione beneficerebbe attualmente solo di 45 giorni di congedo

straordinario per malattia nell'arco di tre anni. Al personale a contratto a legge italiana spetta infatti complessivamente un periodo di assenza per malattia di 18 mesi in 3 anni, come a tutto il personale del comparto ministeri.
Per completezza di informazione, può essere utile fornire il seguente quadro comparativo:

in 3 anni impiegati di ruolo a Roma contrattisti a legge italiana
primi 45 giorniretribuzione intera (salvo lieve decurtazione per periodi di assenza inferiori a 15 giorni)retribuzione intera
altri 15 giorniretribuzione intera (salvo lieve decurtazione per periodi di assenza inferiori a 15 giorni)retribuzione del pari mansioni a legge locale comunque non inferiore alla retribuzione convenzionale sui cui si pagano i contributi INPS
giorni successivi fino a 9 mesiretribuzione intera (salvo lieve decurtazione per periodi di assenza inferiori a 15 giorni)retribuzione del pari mansioni a legge locale comunque non inferiore alla retribuzione convenzionale sui cui si pagano i contributi INPS
successivi 3 mesi90% della retribuzione intera90% della retribuzione del pari mansioni a legge locale comunque non inferiore alla retribuzione convenzionale sui cui si pagano i contributi INPS
successivi 6 mesi50% della retribuzione intera50% della retribuzione del pari mansioni a legge locale comunque non inferiore alla retribuzione convenzionale sui cui si pagano i contributi INPS
ulteriori 18 mesi previo accertamento medico della possibilità di riprendere il lavoronullanulla
in 1 anno impiegati di ruolo all'estero  
primi 45 giorniretribuzione base intera con indennità per servizio estero  
primi 45 giorniretribuzione base intera con indennità per servizio estero  
altri 15 giorniretribuzione base intera ma senza indennità per servizio estero  
oltre 60 giornirichiamo a Roma  

Per quanto concerne il diritto di voto attivo e passivo per le rappresentanze sindacali unitarie, la competente direzione ge nerale per il personale ha più volte manifestato all'Aran il proprio orientamento favorevole all'estensione di tale diritto anche agli impiegati con contratto regolato dalla legge locale. L'Aran ha tuttavia in diverse occasioni ribadito che tale estensione potrà avvenire solo con l'accordo di tutte le organizzazioni sindacali firmatarie dell'accordo quadro che regola la materia (CCNQ del 7 agosto 1998).
Il Viceministro degli affari esteri: Franco Danieli.

CONTENTO. - Al Ministro delle infrastrutture, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio. - Per sapere - premesso che:
nel territorio comunale di Erto e Casso (Pordenone), al di sotto della strada

statale n. 251 «della Valcellina-Val di Zoldo», è da tempo presente un vasto fenomeno di dissesto idrogeologico, aggravato dalla continua erosione della scarpata, da parte del ruscello denominato «rio Gjaros»;
la situazione in parola è nota da almeno tre anni, tanto che più volte la stessa amministrazionecomunale di Erto e Casso è intervenuta sulla questione per avere notizie precise sullo stato di avanzamento della frana;
lo smottamento in atto preoccupa soprattutto perché corre a pochi metri di distanza dalla massicciata della soprastante Statale, l'unico asse viario che colleghi l'alta pianura pordenonese al limitrofo Veneto;
a tutt'oggi non risulta esser stato assunto provvedimento alcuno per bonificare o, comunque, arginare il fenomeno di degrado ambientale riscontrabile lungo il rio Gjaros -:
se siano a conoscenza dello smottamento presente al di sotto della strada statale n. 251 «della Valcellina-Val di Zoldo», in comune di Erto e Casso, a causa dell'eccessiva erosione della scarpata prodotta dalle acque del rio Gjaros;
se tale fenomeno di dissesto idrogeologico possa comportare, anche in tempi non immediati, dei problemi strutturali di qualsiasi genere per la soprastante carreggiata a valenza interregionale;
se intendano disporre quanto meno dei sistematici sopralluoghi al sito per il costante monitoraggio della situazione di instabilità;
se intenda attivarsi perché siano effettuati degli interventi che bonifichino o, comunque, limitino la potenzialità erosiva del ruscello in parola, noto alle genti del luogo per la propria impetuosità di discesa a fondovalle.
(4-00618)

Risposta. - In merito a quanto indicato nell'atto di sindacato ispettivo all'esame, si rappresenta che in merito al problema evidenziato nell'interrogazione la direzione generale della difesa del territorio di questo ministero, competente per materia, ha comunicato che: «Il territorio comunale di Erto e Casso (Pordenone) appartiene al bacino idrografico del Fiume Piave la cui pianificazione di bacino, ai sensi della legge n. 183 del 1989, è di competenza dell'Autorità di bacino dei Fiumi Isonzo, Tagliamento, Livenza, Piave, Brenta Bacchiglione.
Con delibera del Comitato Istituzionale n. 1 del 3 marzo 2004 (pubblicata in
Gazzetta Ufficiale) n. 236 del 7 ottobre 2004) è stato adottato il Progetto di Piano stralcio per setto idrogeologico del bacino dei fiumi Isonzo, Tagliamento, Piave, Brenta Bacchiglione.
Il piano consta della fase conoscitiva, della fase propositiva, della fase programmatica e delle Norme d'attuazione, nonché della cartografia di piano nella quale sono individuate e perimetrate le aree a pericolosità e/o a rischio idrogeologico (frana, alluvione e valanga).
La fase conoscitiva esamina gli aspetti idrografici del bacino e le sue componenti fisiche, descrive gli eventi alluvionali storici dei principali corsi d'acqua e le principali criticità.
La fase propositiva definisce i criteri e le metodiche utilizzate per la definizione delle situazioni di pericolosità idraulica e da frana e delle relative perimetrazioni e classificazioni, l'identificazione delle aree a rischio e propone gli interventi strutturali e non strutturali da eseguire per la mitigazione del rischio.
Questi ultimi sono riassunti nella fase programmatica che definisce inoltre i costi per l'attuazione del piano, indicando un fabbisogno complessivo che per la messa in sicurezza dai 1.752 fenomeni franosi del solo bacino idrografico del fiume Piave ammonta a oltre 400 milioni di euro.
Infine, le Norme di attuazione disciplinano l'uso del territorio e rendono vigenti i contenuti del piano. Esse sono state adottate quali salvaguardie ai sensi dell'articolo 17, comma 6-
bis della (legge n. 183 del 1989 con delibera di Comitato Istituzionale n. 3 del 25 febbraio 2003.
Gli elaborati cartografici del Progetto di PAI del bacino del Piave individuano all'interno

del comune di Erto e Casso (Pordenone) numerosi dissesti da frana classificati a pericolosità molto elevata (P4), elevata (P3) e media (P2). Per la specifica località Rio Gjaros la cartografia di piano indica due movimenti franosi classificati a pericolosità elevata (P3), identificati con i codici 0930191900 e 0930191000, che interessano la strada statale n. 251 «Valcellina - Val di Zoldo». Le due frane fanno inoltre configurare situazioni di rischio lineare elevato e molto elevato su due tratti della statale e di rischio elevato e molto elevato in corrispondenza di un edificio sottostante alla succitata strada, situato in prossimità del Lago del Vajont. La medesima cartografia segnala l'esistenza di opere di difesa già presenti sull'asse viario.
La relazione di Piano, nella sezione relativa all'Individuazione degli interventi strutturali e non strutturali necessari per la mitigazione della pericolosità e del rischio, per uno solo dei due fenomeni franosi (cod. 0930191900) segnala la necessità di realizzare un intervento di messa in sicurezza mediante barriere paramassi ad alto assorbimento di energia il cui costo è stimato essere pari a 108.000 euro. Per il secondo fenomeno non vengono proposti interventi di mitigazione del rischio trattandosi di un'area soggetta a frane superficiali diffuse.
Si rappresenta, infine, che alla direzione generale per la difesa del suolo non risulta pervenuta ad oggi alcuna richiesta di finanziamento per la messa in sicurezza dal rischio da frana della località segnalata.
Altre informazioni pervenute dalla regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, dalla prefettura di Pordenone e dal comune di Erto e Casso citano alcuni studi redatti per il territorio specifico («Studio urgente del rischio idrogeologico residuo in Comune di Erto e Casso» del 2000; «Relazione geologica della variante del PRGC» del 2005 a firma del geologo Colleselli) dai quali risulta che, sebbene la zona sia interessata da «coni e falde detritiche attive», non emergono segni di avanzamento del fenomeno franoso, e la carreggiata non presenta attualmente segni di cedimento.
Risulta, inoltre, che il fenomeno è costantemente monitorato da dipendenti comunali e dagli operatori Anas. La regione autonoma ha inoltre comunicato che il Servizio geologico regionale ha allo studio un progetto per l'installazione nel 2007 di una rete di capisaldi GPS lungo la viabilità statale in questione per effettuare misure di monitoraggio periodico e di valutare la presenza di movimenti che interessano la strada statale stessa.»

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Alfonso Pecoraro Scanio.

COSSIGA. - Al Ministro per i beni e le attività culturali. - Per sapere - premesso che:
i signori Angela Anton, Paolo Bernardini, Antonietta Boninu, Maurizia Canepa, Donatella Cocco, GianMario Demartis, Rubens D'Oriano, Maria Ausilia Fadda, Francesca Gallus, Gabriella Gasperetti, Francesco Guido, Maria Rosaria Manunta, Maria Rosaria Manunza, Donatella Mureddu, Giuseppe Pitzalis, Elena Romoli, Daniela Rovina, Donatella Salvi, Antonio Sanciu, Patrizia Tomassetti, Alessandro Usai, Emerenziana Usai, Luisanna Usai, archeologi, ingegneri, architetti, bibliotecari delle soprintendenze per i beni archeologici di Sassari e Cagliari, hanno portato all'attenzione degli interpellanti la decisione da parte del ministero per i beni e le attività culturali relativa all'unificazione delle due soprintendenze per i beni archeologici della Sardegna, sdoppiate nel 1958 in due sedi distinte: una in Cagliari con competenza sui territori delle Province di Cagliari e Oristano e l'altra in Sassari con competenza sui territori delle Province di Sassari e Nuoro;
fin dal 1958 apparve infatti evidente che il decentramento era la strada giusta per sopperire meglio in termini operativi alla tutela di un patrimonio immenso e capillarmente diffuso in un territorio che soffre però di una delle meno efficienti reti di comunicazioni stradali e ferroviarie;
dopo 50 anni, siamo ora di fronte ad una clamorosa inversione di tendenza, che contraddice in modo stridente lo sforzo

innovativo che ormai da decenni caratterizza l'intero apparato pubblico statale e locale verso il massimo decentramento di funzioni, per meglio servire il cittadino, ove esso necessita di servizi nel territorio;
non si vede un solo beneficio di questa fusione delle due soprintendenze archeologiche, mentre sono del tutto evidenti gli aspetti negativi in termini di efficienza ed efficacia dell'azione di tutela e valorizzazione, e in termini di riduzione degli investimenti statali sui beni culturali in Sardegna: la Sardegna è di gran lunga la regione d'Italia con il maggior numero di monumenti e aree archeologiche. Solo i nuraghi, che rappresentano una sola delle tipologie architettoniche di solo una degli aspetti culturali avvicendatisi nell'Isola, sommano almeno al numero di novemila, ai quali vanno aggiunte le altre architetture nuragiche e quelle delle altre fasi preistoriche e storiche raggiungendo la strabocchevole cifra di oltre ventimila siti archeologici a carattere monumentale. D'altro canto per raggiungere la netta maggioranza di tali siti si fruisce di una rete stradale che è tra le più inefficienti del Paese. Non sono pochi i casi nei quali per raggiungere monumenti anche di estrema importanza sono necessarie 4 e 5 ore di auto, quando non ore di cammino. In questo quadro è di tutta evidenza che la soppressione di una delle due soprintendenze archeologiche è un rilevante arretramento nell'efficienza e nell'efficacia dell'azione di tutela, il cui primo presupposto è la presenza costante e capillare dell'Istituzione nel territorio;
la presenza nel territorio di un ufficio tanto rilevante come una soprintendenza ha permesso negli ultimi 30 anni lo stabilirsi di fecondi rapporti con gli enti locali, il cui frutto più evidente è l'apertura al pubblico di 25 musei, la gestione di numerosi monumenti e aree archeologiche, in numero che pochi confronti ha nell'intero territorio nazionale: fortissimi dubbi sussistono sul fatto che la soppressione di una delle soprintendenze sia la forma migliore per progredire su questo obbiettivo che è primario sul piano delle competenze istituzionali, proprio nel momento in cui amministrazioni comunali e soprintendenze sono chiamate al massimo della collaborazione per l'adeguamento dei Piani urbanistici comunali al Piano paesaggistico territoriale, che darà modo di emanare dispositivi di tutela di tutte le presenze archeologiche del territorio;
è sempre l'estrema rilevanza dei beni archeologici della Sardegna ad avere dettato, già da decenni, l'istituzione anche presso l'Università di Sassari, oltre che in quella di Cagliari, di corsi di laurea orientati alla professione dell'archeologo. Sono evidentissime le sinergie tra le due sfere, soprintendenze e atenei, circa la ricerca scientifica sui beni archeologici, evidenziate tra l'altro nel fatto che la totalità dei laureati in Sardegna che intraprendono la professione di archeologo lavorano e fanno esperienza formativa presso le soprintendenze; la soppressione di una di esse non pare certo l'approccio migliore per proseguire su questo indispensabile cammino di collaborazione diffusa nel territorio tra formazione e ingresso nel mondo del lavoro;
in un'ottica più globale, il ministero per i beni e le attività culturali mostra, con questa improvvida decisione di soppressione di una delle due soprintendenze archeologiche della Sardegna, di proseguire in una strada di anacronistico accentramento territoriale e di funzioni, che è in netta controtendenza con la linea di sviluppo dell'intera pubblica amministrazione non solo a livello nazionale ma anche europeo, e che - soprattutto - è in contraddizione con la stessa evoluzione culturale del Paese, sempre più attento alle esigenze di radicamento territoriale delle identità storiche;
è da rilevare ancora che dal 2 maggio 2006 le due soprintendenze hanno sperimentato l'attività con un unico dirigente, titolarità a Cagliari ed interim a Sassari fino al 2 maggio 2007, e titolarità a Sassari ed interim a Cagliari dal 2 maggio 2007; e il bilancio da trarre è decisamente negativo poiché nonostante l'impegno profuso dai dirigenti susseguitisi, si è registrato un forte rallentamento nell'adempimento

dei compiti istituzionali di entrambi gli uffici -:
quali siano le valutazioni del Ministro e quali iniziative intenda assumere in relazione alla citata decisione.
(4-04618)

Risposta. - La Sardegna, come in genere accade per le grandi isole, presenta un patrimonio archeologico suo proprio ed unitario. Qui lo è ancor di più, nel contesto del bacino mediterraneo, perché la Sardegna è lontana dalle coste della penisola e della Sicilia. È parlante il confronto con quest'ultima, dove la prossimità alla costa nello stretto di Messina, pur temuto per la presenza di Scilla e Cariddi, ha facilitato il passaggio fra penisola ed isola e, in molte fasi della storia antica, ha addirittura determinato una profonda analogia culturale.
Il «Continente Sardegna» invece è distinto e difeso dal mare da tutte le parti, meno che verso la Corsica.
È impossibile tracciare in poche righe la storia antica della Sardegna. Certamente si è verificata un'alternanza di fenomeni estesi in modo omogeneo ed unitario a tutta l'isola e di altri che, invece, hanno mostrato articolazioni e varietà locali, inspiegabili se non ricollegati al resto del territorio ed esaminati unitariamente e comparativamente.
Non è certamente il caso qui di fare neanche un breve riassunto della civiltà nuragica. Basti sottolineare che essa è stata emblematica dell'assoluta identità culturale della Sardegna, pur nella caratterizzazione ed articolazione delle varie zone geografiche, per le quali Giovanni Lilliu ha coniato il termine di «cantoni»; la stessa Gallura, un tempo considerata differente dal resto dell'isola e più simile, per contro, alla Corsica meridionale, si è rivelata, nella sua specificità, perfettamente integrata nella civiltà nuragica.
Da sempre, gli studi archeologici sulla Sardegna non hanno contemplato separazioni fra quello che un tempo si denominava «il Capo di Sopra», ovvero Sassari e regioni contermini, e «il Capo di Sotto», cioè Cagliari ed il sud.
A questo proposito hanno avuto valore pregnante - e ne hanno anche oggi - le grandi «regioni storiche» (partendo dal nord: Nurra, Logudoro, Anglona, Gallura, Meilogu, Monte Acuto, Goceano, Baronia, Planargia, Barbagie, Montiferru, Sarcidano, Ogliastra, eccetera), che rispecchiano unità geografico-storiche, molte delle quali sono in perfetta continuità con la protostoria e con la preistoria, che in età giudicale hanno subito aggregazioni.
Non si può ignorare il fatto che la divisione - di matrice piemontese - nelle tre iniziali province di Sassari, Cagliari e Nuoro, artificialmente estesa da un mare all'altro, includendo forzosamente anche Bosa e la Planargia e verso sud giungendo a 60 km da Cagliari, era assai mal disegnata; anche la successiva istituzione della provincia di Oristano, che ha tolto dal Nuorese alcuni comuni della Planargia, non ha risolto tutte queste incongruenze.
Fin dalle origini, la Sardegna archeologica ha goduto di una fioritura di personalità straordinarie di amministratori e di studiosi. Basti citare, per tutti, il Canonico e Senatore del Regno Giovanni Spano, che salvò tanta parte del patrimonio archeologico istituendo, anche con le sue proprie acquisizioni e finanze, le collezioni principali dei musei di Sassari e Cagliari, di cui fu il primo direttore: i suoi notiziari annuali ed il suo
Bullettino Archeologico Sardo (1854) hanno anticipato di vent'anni il Bullettino di Paletnologia Italiana. E poi Massimo Pallottino, Salvatore Maria Puglisi e la vita intera di studioso e di ricercatore di Giovanni Lilliu, solo per citare i più grandi.
Per altro verso il grande Patrimonio archeologico sardo, nell'Italia post-unitaria, è stato affidato alla responsabilità della Soprintendenza delle province di Cagliari, Sassari e Nuoro.
Titolare della Soprintendenza unica per i beni archeologici è stato Antonio Taramelli, del cui impegno rimangono opere colossali di scavo e restauro, per l'epoca perfettamente all'altezza delle imprese italiane in Grecia e a Creta, e parimenti, accompagnate e seguite da edizioni puntuali ed integrali, in
Notizie degli Scavi e in Monumenti Antichi dei Lincei.


Altro grande soprintendente unico - purtroppo per breve tempo perché allontanato prima dall'incarico e poi dall'Italia dalle leggi razziali - è stato Doro Levi, che nel pur breve periodo seppe dare attenzione ed impulso non solo agli scavi preistorici della necropoli di Anghelu Ruju di Alghero, ma anche all'anfiteatro di Cagliari, senza dimenticare l'esplorazione delle necropoli puniche di Olbia.
Sembra difficile poter affermare che l'esistenza di una Soprintendenza unitaria, fino al 1958, per l'archeologia della Sardegna non abbia consentito di far fronte alla necessità della ricerca e della tutela con risultati di eccezionale valenza su entrambi i fronti.
È proprio sulla base di tale analisi storica che non appare una forzatura la decisione di riportare anche l'organizzazione statale per l'archeologia della Sardegna all'interno degli schemi che vedono in tutte le altre regioni italiane (ivi comprese la Puglia e la Calabria, pure di notevole estensione e di enorme importanza archeologica) un'unica Soprintendenza.
Del resto, anche la Regione Campania sarà interessata dall'accorpamento delle due Soprintendenze per i Beni Archeologici di Napoli e di Pompei.
Rimarrà, unica eccezione, la regione Lazio, nella quale la consistenza dei monumenti dell'antica capitale d'Occidente richiede un modulo organizzativo speciale.
È inutile dire che la scelta di accorpare queste Soprintendenze è resa necessaria dall'adeguamento quantitativo del numero degli uffici dirigenziali delle amministrazioni dello Stato agli indirizzi normativi finalizzati all'alleggerimento dell'apparato pubblico.
In nessun caso, però tali accorpamenti si ripercuoteranno sui servizi da rendersi ai cittadini: gli attuali uffici con le loro risorse umane e finanziarie continueranno ad operare pelle attuali sedi.
Ciò dal momento che non si procederà alla soppressione delle Soprintendenze di Sassari e Nuoro ma al loro accorpamento.

Il Sottosegretario di Stato per i beni e le attività culturali: Danielle Mazzonis.

D'AGRÒ. - Al Ministro delle infrastrutture. - Per sapere - premesso che:
l'attuale formulazione del codice dei contratti pubblici (decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163), dove si disciplinano gli affidamenti di lavori pubblici «sotto soglia comunitaria» (posta a 5.278.000 euro), configura come regola «naturale» (cioè la cui applicazione prescinde dalla necessità di una previa esplicazione nel bando di gara) la verifica in contraddittorio delle presunte offerte anomale, ma consente in alternativa alle stazioni appaltanti (qualora ne diano previo avviso nel bando di gara) di ricorrere all'esclusione automatica delle presunte offerte anomale;
l'esperienza dei primi mesi di vigenza del codice ha dimostrato che nelle gare per l'affidamento di contratti di importo inferiore alla «soglia comunitaria» le stazioni appaltanti hanno di fatto invertito il rapporto delineato dalla norma tra «regola» ed «eccezione», finendo per utilizzare in modo pressoché totale il solo meccanismo di esclusione automatica delle offerte anomale;
in questo modo si alimenta il fenomeno delle cordate di imprese che concorrono alle gare di appalto concordando preventivamente i ribassi da offrire, in modo tale da condizionare il determinarsi della «soglia di anomalia» (calcolata quale media delle offerte presentate) e, conseguentemente, l'individuazione dell'offerta vincente (recando il ribasso più vicino per difetto alla «soglia di anomalia»;
tali logiche, inoltre, finiscono col premiare le imprese più spregiudicate invece di quelle più efficienti e corrette, costituendo un disincentivo ai processi di modernizzazione e di incremento della capacità competitiva delle imprese di costruzione;
le imprese che non intendono sottostare a queste logiche si trovano, di fatto, esposte al rischio di perdere progressivamente i requisiti di qualificazione per l'esecuzione di lavori pubblici, definiti nel codice dei contratti pubblici;
il fenomeno delle cordate e delle conseguenti turbative d'asta potrebbe essere

prevenuto modificando le norme attualmente in vigore sugli appalti di lavori pubblici che non superano la «soglia comunitaria»;
tale meccanismo finisce col premiare le imprese che offrono un ribasso medio, mentre tutte le altre offerte che si discostano dalle «medie» vengono automaticamente escluse, comprese le aziende che offrono un ribasso notevole, favorendo cosi la creazione di cartelli di imprese che con accordi premeditati riescono a governare la media a danno del libero mercato -:
se non ritenga necessario modificare l'attuale normativa sui contratti pubblici, prodromica a pratiche contrastanti il libero mercato;
se il meccanismo di aggiudicazione basato sulle medie non possa essere sostituito con quello del massimo ribasso (che vige per gli appalti pubblici superiori alla «soglia europea» e che privilegia le offerte più economicamente vantaggiose), unito al divieto di subappalto e di deposito della polizza fidejussoria a garanzia dei soggetti fornitori.
(4-04139)

Risposta. - In riferimento all'interrogazione in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
Per i lavori inferiori alla soglia comunitaria l'articolo 122, comma 9, del decreto legislativo n. 163 del 2006 prevede, che quando il criterio di aggiudicazione è quello del prezzo più basso, la stazione appaltante può prevedere nel bando l'esclusione automatica dalla gara delle offerte che presentano una percentuale di ribasso pari o superiore alla soglia di anomalia individuata ai sensi dell'articolo 86.
In tal caso non si applica l'articolo 86, comma 5 mentre la facoltà di esclusione automatica non è esercitabile quando il numero delle offerte ammesse è inferiore a cinque; in tal caso si applica piuttosto l'articolo 86, comma 3.
Da ciò emerge che la stazione appaltante in base alle specifiche dei contratti. da appaltare decide se inserire nel bando la clausola di esclusione automatica o meno delle offerte: quindi non esiste una regola ed una eccezione.
Per quanto riguarda il fenomeno delle «cordate» si fa presente che è allo studio di un gruppo tecnico presso questo ministero, un meccanismo di calcolo della soglia di anomalia più complesso rispetto a quello disciplinato dall'articolo 86 del Codice che potrebbe rappresentare in futuro un elemento di maggior garanzia per la trasparenza.

Il Ministro delle infrastrutture: Antonio Di Pietro.

FABRIS. - Al Ministro dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
gli incidenti in galleria causano spesso conseguenze molto gravi, soprattutto per la frequente perdita di vite umane (è sufficiente ricordare le recenti sciagure avvenute nel traforo del Monte Bianco (marzo 1999 con 39 vittime), nel traforo di Tauern in Austria (maggio 1999 con 12 vittime), l'incendio nel tunnel sotto la Manica, quello scoppiato nella funicolare austriaca;
le statistiche mostrano che gli incidenti nelle gallerie sono inferiori a quelli che avvengono nelle altre strade e che la probabilità che possa avvenire un incendio in galleria è molto contenuta;
detti incidenti, il più temuto dei quali è l'incendio con conseguente produzione di gas tossici, avvengono però in condizioni particolari che amplificano notevolmente i danni, sia alle persone sia alle strutture ed agli impianti: i fumi ed i gas tossici, sviluppati ad alte temperature, mantengono concentrazioni pericolose anche a notevoli distanze creando gravi ricadute sia su chi rimane in galleria sia per chi interviene per l'evacuazione delle persone coinvolte;
l'Italia è fra le nazioni con il maggior numero di gallerie e queste costituiscono, infatti, una soluzione comunemente adottata nella costruzione di percorsi stradali o ferroviari nei casi in cui il terreno presenti ostacoli d'altezza superiore ai 15-20 metri rispetto al tracciato, situazione ricorrente sul territorio italiano;

la tecnologia nelle costruzioni delle grandi vie di comunicazione ha, di fatto, eliminato qualsiasi impedimento alla realizzazione delle gallerie, tuttavia, le misure di protezione usualmente adottate contro l'incendio hanno scarsa efficacia, soprattutto per le gallerie di lunghezza rilevante;
le gallerie, rispetto ai luoghi aperti, determinano condizioni che moltiplicano i danni conseguenti agli incendi: temperature massime più elevate, gas tossici che mantengono concentrazioni elevate per tempi lunghi;
i sistemi di rilevazione puntiformi tradizionali male si adattano al rilevamento in galleria, sia per i disturbi generati dal transito dei veicoli sia per l'incertezza di localizzazione del luogo in cui avviene l'incendio;
anche nel caso di assenza di impianti di protezione attiva il sistema di rilevazione è indispensabile per allertare il personale preposto alla vigilanza e attivare i sistemi di allarme ottico e acustico per impedire il coinvolgimento nell'incidente dei veicoli che stanno per imboccare la galleria;
di grande aiuto può risultare l'istallazione all'interno delle gallerie stradali di sistemi automatici di rilevazione del traffico capaci di individuare il blocco del traffico causato da un incidente stradale e svolgere la funzione di allarme per i mezzi di trasporto in arrivo in galleria -:
quali provvedimenti il Governo intenda assumere al fine di verificare la messa in sicurezza delle gallerie autostradali attualmente esistenti in Italia;
come il Governo valuti, sotto questo profilo, l'opportunità di procedere ad una verifica delle concessioni in essere con le società autostradali;
come valuti il Governo la possibilità che all'interno delle gallerie autostradali siano installati sistemi di rilevazione del traffico capaci di blocco del traffico provocato da un incendio o un incidente stradale e contestualmente segnalarlo ai mezzi di trasporto in arrivo in galleria.
(4-01420)

Risposta. - In riferimento all'interrogazione parlamentare in esame cui si risponde per delega della Presidenza del Consiglio dei ministri pervenuta in data 11 aprile 2007, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
Al fine di assicurare adeguati livelli di sicurezza alla circolazione nelle gallerie stradali la Comunità europea ha emanato la direttiva 2004/54/CE, che è stata recepita dallo Stato italiano con il decreto legislativo n. 264 del 5 ottobre 2006.
La nuova normativa si applica alle gallerie della rete stradale transeuropea con uno sviluppo superiore a 500 m e stabilisce procedure e requisiti tecnici per la sicurezza delle gallerie aperte al traffico, in costruzione e in progettazione.
Successivamente a grave incidente stradale del 1999 all'interno del Traforo del Monte Bianco, la società Anas ha definito nuove specifiche tecniche e linee guida relative alle gallerie. Sostanzialmente si stabilisce:
una nuova configurazione della galleria che prevede, ad esempio, una corsia di emergenza laterale e delle vie di fuga sicure;
impianti di ventilazione, di rilevamento fumi, antincendio, di illuminazione, di segnalazione di incendi o di incidenti all'imbocco delle gallerie;
una nuova segnaletica.

Attualmente, per garantire un elevato livello di sicurezza alla circolazione, tutti i nuovi progetti Anas delle gallerie, sia della rete europea sia della rete nazionale extraurbana, vengono predisposti sulla base dei requisiti tecnici di recente definizione.
A tale proposito, si segnala che la società Anas ha già in corso l'adeguamento alle norme tecniche del citato decreto per i progetti dell'autostrada Salerno-Reggio Calabria, già in fase di appalto.
Per completezza di informazione, si informa che è stata costituita presso il ministero delle infrastrutture la «Commissione permanente per le gallerie ai sensi dell'articolo 4 del decreto legislativo n. 264 del 2006, con decreto ministeriale del 30 novembre 2006 n. 462/SGS presso il Consiglio Superiore dei lavori pubblici.


La Commissione, in applicazione dell'articolo 4 del decreto legislativo n. 264 del 2006 (competenze della Commissione), ha attivato quanto possibile per l'acquisizione di tutti i dati conoscitivi necessari alla predisposizione della relazione, ex articolo 11 della Direttiva 2004/54/CE ed indispensabili comunque alla attività della stessa Commissione.
Contestualmente, il predetto organismo ha dato corso alla fase operativa di esame dei progetti, di emanazione direttive e di elaborazione dati nonché di verifica degli adempimenti a carico dei gestori.
Si segnala, inoltre, che la Commissione ha recentemente predisposto un documento «Adeguamento delle gallerie già in esercizio al 30 aprile 2006 - Direttiva 2004/54/CE relativa ai requisiti minimi di sicurezza per le gallerie della rete stradale transeuropea, articolo 11 par. 5» ed è in corso di predisposizione un'apposita relazione di analisi dei dati raccolti volta alla predisposizione degli eventuali provvedimenti atti a migliorare il livello di sicurezza delle gallerie.

Il Ministro delle infrastrutture: Antonio Di Pietro.

FOGLIARDI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
l'area dell'ex carcere del Campone in Via Del Fante sito a Verona di proprietà della Patrimonio dello Stato Spa società veicolo del Ministero dell'economia risulta ad oggi in uno stato di abbandono e di lento ed inesorabile degrado;
nel mese di dicembre 2004 si vede quasi perfezionata la vendita del suddetto immobile da parte della LM Real Estate dei fratelli Magnoni, operazione questa che avrebbe mosso i primi passi verso una prima opera di ristrutturazione, acquisto però mai perfezionato a causa dei numerosi vincoli presenti;
ad oggi risulta ancora un mancato intervento di bonifica da parte dell'Amministratore delegato della Patrimonio dello Stato Spa, Massimo Ponzellini, nonostante varie e continue promesse;
l'immobile citato non possiede una destinazione urbanistica appetibile e una sua ristrutturazione comporterebbe dei costi molto elevati;
la presenza di pullman turistici continuamente posteggiati nelle strade vicine all'area dell'ex carcere reca danni, quali il contatto di gas di scarico da parte dei residenti;
nell'anno 2007 inizieranno i lavori di realizzazione del parcheggio pertinenziale in Lungadige Capuleti (strada limitrofa a Via Del Fante), il tutto comporterà l'inagibilità della strada stessa per almeno due anni con un aggravio di disagio già in atto nella zona;
a giudizio dell'interrogante, la zona a lato e dietro l'edificio dovrebbe essere utilizzata come parcheggio in previsione dei 250 posti auto conseguibili a pagamento per i cittadini, dipendenti comunali provinciali e statali dei vicini uffici, parcheggio utile soprattutto per il posteggio di tutti i pullman turistici presenti durante la stagione areniana -:
se intenda intervenire al fine di ottenere l'immediato intervento di bonifica dell'area.
(4-02046)

Risposta. - La Soprintendenza per i beni architettonici e per il paesaggio di Verona ha comunicato che la società «Patrimonio dello Stato S.p.A.» ha presentato la denuncia, ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004 n. 42, dell'avvenuta vendita alla società «Santoni Costruzioni S.p.A.», dell'immobile oggetto dell'interrogazione.
Avendo il ministero rinunciato all'esercizio del diritto di prelazione trasferendone la facoltà agli Enti territoriali che ne hanno fatto richiesta, questi ultimi lo hanno esercitato acquistando il bene: la regione per una quota del 50 per cento, il comune per una quota del 33 per cento e la provincia per una quota del 17 per cento.


Su richiesta di parere da parte della competente sezione regionale per i beni culturali e paesaggistici del Veneto - viste le delibere dei tre enti territoriali in cui si proponeva la destinazione dei locali del bene immobile in oggetto ad uffici giudiziari e/o uffici pubblici nonché ad altre destinazioni pubbliche e/o di interesse pubblico - la Soprintendenza ha confermato che tali destinazioni d'uso non sono in contrasto con quelle prescritte dal decreto del ministero dell'economia (decreto ministeriale 17 febbraio 2004).

Il Sottosegretario di Stato per i beni e le attività culturali: Danielle Mazzonis.

FORMISANO. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. - Per sapere - premesso che:
dal 1983 l'area lacustre di Posta Fibreno è stata dichiarata riserva naturale regionale;
si registra attualmente un degrado ambientale dovuto all'effetto combinato della eccessiva presenza di alcune specie di uccelli, come i cormorani, che hanno azzerato quasi totalmente la vegetazione acquatica del lago, il cui fondale è ormai una immensa distesa di melma, e dagli scarichi fognari del vicino paese, tanto che ormai il livello di acidità dell'acqua lacustre è elevatissimo;
oltre alla perdita di numerose specie floreali e faunistiche, le maggiori preoccupazioni derivano dal fatto che la melma potrebbe nel tempo permeare e raggiungere il bacino idrico sottostante -:
quali misure intenda adottare al fine di evitare l'inquinamento delle falde acquifere che si trovano proprio sotto il lago e per evitare la morte di un'area lacustre che solo venti anni fa era una apprezzata riserva naturale.
(4-04284)

Risposta. - Con l'atto di sindacato ispettivo in esame l'interrogante chiede di conoscere quali misure intenda adottare il ministero dell'ambiente al fine di evitare l'inquinamento delle falde acquifere che si trovano proprio sotto il lago di Posta Fibreno.
In merito, si riferisce che il lago ricade nei territori comunali di Broccostella, Fontechiari e Posta Fibreno che è l'Ente gestore della riserva-naturale istituita nel 1983; è situato in una delle più importanti risorse idriche della regione Lazio: «le sorgenti del lago di Posta Fibreno». Il complesso sorgentizio scaturisce alla base di monti della Marsia (Monte Morone) e confluisce nell'unico emissario del lago: il fiume Fibreno, affluente del Liri. La direzione per la protezione della natura ha riferito che l'area è considerata un SIC (IT6050011).
Il periodo di aridità protrattasi negli ultimi venti anni, ha provocato una sensibile diminuzione del flusso naturale delle sorgenti con una perdita di portata calcolata di circa il 30 per cento rispetto alla serie storica della stazione pluviometrica «Ponte Tapino»; inoltre da circa cinque anni una serie di variazioni dei parametri ambientali naturali hanno prodotto il degrado dell'ecosistema lacustre che ha avuto la sua fase più evidente ed allarmante nel fenomeno di riduzione continua e costante della vegetazione acquatica sommersa, habitat di speci ittiche e di avifauna di interesse europeo.
Le caratteristiche fisico-chimiche delle acque sono classificate come ricche di carbonati (calcio in particolare) e conseguentemente tendenzialmente basiche.
La creazione dell'area protetta, a far data dal 1983, ha permesso un costante e continuo monitoraggio anche delle cenosi esistenti, in particolare per gli aspetti zoologici la salvaguardia della trota sarda (
Salmo trutta macrostigma) e del carpione (Salmo trutia fibreni) oltre alla possibilità di verificare eventuale sorgere di squilibri ecologici.
Al riguardo l'ente regionale ha impegnato a favore dell'Ente gestore un contributo di euro 25.000 nel 2003 per la realizzazione del piano di gestione e regolamento del SIC, piano che nel 2004-2005 è stato trasmesso alla regione Lazio evidenziando le vulnerabilità e le criticità ambientali

unitamente agli indirizzi gestionali e le necessità di intervento.
Uno di questi aspetti prioritari è stato riscontrato nel declino dell'ecosistema palustre dovuto da un lato dalla crisi idrogeologica causata dalla diminuzione delle acque (di difficile gestione) e dall'impatto antropico, dall'altro, dovuto ai prelievi idrici, inquinamento chimico e microbiologico, al quale deve essere aggiunto quello determinato dalla massiccia presenza della nutria. Elementi che nel complesso possono aver originato l'attuale e denunciata crisi ambientale.
Sulla base di quanto precede e con particolare riferimento alle criticità individuate, nel piano di gestione, già con decreto Giunta regionale n. 828 del 2004 è stato attribuito all'Ente Gestore un contributo di euro 120.000 per la realizzazione dei primi interventi urgenti necessari per la conservazione dell'ecosistema che prevedono oltre al recupero delle attività di ittiocoltura legato alla riproduzione ed alla reimmissione della trota macrostigma al fine di recuperarne l'inquinamento genetico nonché l'intervento di pulizia e di sfalcio dei canali affluenti per il miglioramento del deflusso idrico superficiale.
Tra le azioni immediate previste per la gestione del SIC-ZPS bisogna segnalare, oltre al naturale controllo del bracconaggio, quello degli scarichi non autorizzati nonché quello dello studio della dieta alimentare della popolazione di cormorani, di cui una colonia si è recentemente instaurata sul lago.
Tale aspetto, per l'interrogante, unitamente all'aumento dell'acidità delle acque, risulterebbe collegato con la scomparsa della vegetazione presente sul fondo del lago.
In realtà, sempre dall'analisi dei dati pervenuti dall'ente gestore, la problematica dei cormorani è principalmente quella legata al prelievo di avannotteria e fauna ittica in generale, essendo specie essenzialemte ittiofaga mentre non risulterebbe innalzamento del ph dal monitoraggio delle acque, che permarrebbero su valori di neutralità o lievemente basici. Quest'ultimo dato è confermato dal monitoraggio effettuato dal Dipartimento di scienze della terra dell'Università della Sapienza di Roma. Risulterebbe per contro un aumento dell'inquinamento chimico e microbiologico delle acque dovuto agli aspetti antropici e faunistici sopraelencati per i quali l'Ente gestore sta, come detto, procedendo al recupero.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Alfonso Pecoraro Scanio.

MELLANO. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. - Per sapere - premesso che:
un sistema di dissuasione elettrica per piccioni collocato su un cornicione di Palazzo Chiericati, uno dei più frequentati musei di Vicenza, si è trasformato in una trappola mortale per decine di uccelli migratori, i cui corpicini folgorati sono finiti ai piedi di quanti si trovavano a passare nel perimetro dell'edificio;
tale avvenimento è stato riportato dai volontari della Lac (Lega Abolizione Caccia), che, dopo un primo sopralluogo sul cornicione, nel corso del quale sono stati ritrovati 78 uccelli morti, tra cui 40 rondini; tornati sul posto insieme ai tecnici della ditta che ha realizzato il dissuasore, scoprendo alcune irregolarità di funzionamento della taratura del sistema;
parti dell'apparecchiatura sono state sostituite, ma questo non cancella le ragioni della protesta per la carneficina di decine di uccelli appartenenti anche a specie protette;
molti degli uccelli ritrovati avevano le zampette praticamente saldate, a causa della scossa elettrica, allo stesso filo metallico;
i volontari delle associazioni animaliste hanno annunciato l'intenzione di denunciare il fatto alla magistratura per appurare eventuali responsabilità e nel contempo hanno chiesto all'amministrazione municipale di spegnere l'impianto -:

se il Governo non ritenga opportuno bandire strumenti dissuasori nei confronti degli uccelli come quello illustrato in premessa, in quanto assolutamente non selettivi con il conseguente rischio di arrecare un ulteriore danno a specie già minacciate dall'estinzione.
(4-02501)

Risposta. - L'interrogazione in esame riguarda l'irregolarità del funzionamento riscontrato nel sistema di dissuasione elettrica per i piccioni sul cornicione del Palazzo Chiericati di Vicenza.
Da un'attenta lettura dell'evento, che è stato descritto dai media vicentini e denunciato anche dall'interrogante, che hanno riportato l'evento, mortale di diversi, esemplari di specie di avifauna selvatica, si ritiene che, in considerazione della superficie esposta e del numero di uccelli morti riscontrati, si sia trattato senza dubbio di un cattivo funzionamento dell'impianto che è perdurato per un certo periodo di tempo ed a cui successivamente non si è dato seguito per l'immediata eliminazione delle cause e degli effetti concreti sulle specie considerate.
Si tratta di un evento casuale e non doloso e quindi non perseguibile dalla legge, ma non per questo trascurabile dai gestori della cosa pubblica e dagli organismi di vigilanza addetti al controllo.
Gli impianti di questa fattispecie, infatti, in quanto liberamente in commercio, dovrebbero essere predisposti per dissuadere dalla posa i piccioni torraioli, specie non soggetta a tutela, e, comunque, essere tarati per garantire una bassa selettività verso le altre specie migratrici, che naturalmente e stagionalmente frequentano i siti urbani.
Pur non potendone impedire l'utilizzazione, si condivide l'esigenza che si rappresenti agli enti e privati utilizzatori, la necessità di un più attento controllo e pronto intervento nei casi di mal funzionamento di questi strumenti e che la loro fruizione pertanto sia costantemente monitorata.
Il Dipartimento dei lavori pubblici del comune di Vicenza ha ribadito il guasto all'impianto antipiccione che è stato prontamente riparato e che sono state installate delle protezioni elettriche nel quadro di alimentazione corredate da led luminosi che segnalano le anomalie; infine che sono state interpellate delle ditte specializzate nel ramo cui affidare una periodica manutenzione dell'impianto stesso.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Alfonso Pecoraro Scanio.

MIGLIORI e MENIA. - Al Ministro per i beni e le attività culturali. - Per sapere - premesso che:
è in corso a Palazzo Medici Riccardi a Firenze la mostra dell'antica statua di bronzo di un atleta ritrovata nel 1997 nelle acque adriatiche di Lussino;
incredibilmente la Provincia di Firenze ha inteso intitolare la mostra «L'atleta della Croazia» ignorando i più elementari rudimenti di storia inerenti Lussino avendo la Croazia, Paese nato nel 1991, il solo «merito» nella vicenda storica in questione di essere lo Stato cui appartiene l'isola di Lussino, dopo essere stata da sempre isola di tradizione italo-veneta;
l'Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia ha inutilmente espresso la propria critica in merito agli organizzatori e darà vita in Firenze sabato 7 ottobre 2006, ad un sit in di protesta -:
quali iniziative urgenti si intendano assumere in merito.
(4-01182)

Risposta. - Il professor Maurizio Michelucci, coordinatore della mostra per parte italiana e per conto della provincia di Firenze, ha fatto sapere, a seguito dei chiarimenti richiesti dalla Soprintendenza del Polo Museale Fiorentino, che il ministero della cultura della Croazia ha acconsentito all'esposizione della statua nel prestigioso Palazzo Medici Riccardi, sede della provincia di Firenze, in riconoscimento dell'eccezionale contributo offerto al suo restauro dal fiorentino Opificio delle Pietre Dure.


La denominazione «
Apoxyomenos - Atleta della Croazia» è del tutto convenzionale (come spesso accade in questi casi, si pensi, per citare alcuni esempi, alla denominazione di alcune domus romane a Pompei attribuite in occasione di particolari eventi, come la «Casa delle Nozze d'Argento» aperta al pubblico in occasione delle nozze reali del 1893 o la «Casa della Regina d'Inghilterra» scavata e dedicata alla sovrana in occasione di una sua visita) ed è stata decisa dalla Repubblica della Croazia, legittima proprietaria dell'opera.
D'altra parte, tale denominazione risulta inserita tra le condizioni del prestito (articolo 1 - promesse consensuali - del contratto stipulato tra l'Istituto Croato per il Restauro e la provincia di Firenze) e, pertanto, ad essa non avrebbero potuto opporsi né la provincia né tanto meno l'Opificio delle Pietre Dure.
La richiesta da parte dell'Istituto Croato è giustificata dalla legittima intenzione di valorizzare l'autorità nazionale che ha portato a termine, con ingenti mezzi, il restauro della statua.
Altrettanto volutamente il ministero della cultura croato non ha ritenuto nella denominazione del manufatto di richiamare il luogo in cui fu rinvenuto l'isola di Lussino, per non porre i presupposti di una futura collocazione ancora non decisa.
Per tutte le ragioni esposte, questo ministero non ha dunque ritenuto di intraprendere alcuna iniziativa, volta ad impedire o a modificare le condizioni di svolgimento della mostra.

Il Sottosegretario di Stato per i beni e le attività culturali: Danielle Mazzonis.

PELLEGRINO. - Al Ministro degli affari esteri, al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
il giorno 2 novembre 2003, il Sig. Davide Follero, mentre svolgeva l'attività di addetto alla sicurezza e pronto soccorso presso una discoteca di Pozzuoli (Napoli), veniva chiamato ad intervenire per una riferita aggressione ad un avventore della discoteca, da parte di un marine americano;
nel mentre il Sig. Follero interveniva per prestare le cure del caso alla vittima e per tentare di ristabilire l'ordine nel locale, lo stesso veniva repentinamente ed immotivatamente aggredito da un marine americano;
quest'ultimo si avventava verso il sig. Follero ferendolo gravemente con un pugnale da combattimento, come quelli presumibilmente in dotazione dei marine;
il marine americano lo colpiva, in particolare, all'emiaddome inferiore sinistro con lesioni intestinali che rendevano necessario il ricovero con intervento chirurgico urgente per eviscerazione, a cui seguiva un doppio intervento: il primo di raffia delle lesioni e il secondo, otto ore più tardi di resezione intestinale;
l'autore del delitto, che subito dopo l'aggressione si era dato alla fuga, veniva identificato e fermato dalla Polizia di Stato di Formia, dove era in procinto di salpare con una nave;
il soggetto fermato, immediatamente, è stato consegnato alle autorità militari americane, che lo hanno preso in custodia e lo hanno giudicato, in seguito ad un procedimento, a giudizio dell'interrogante, sommario, istituito presso la Corte Marziale di Capodichino;
nonostante, ad avviso dell'interrogante, vi fossero prove a sufficienza da ritenere il marine responsabile del delitto addebitatogli, il «processo farsa» si concludeva con l'assoluzione, senza che vi fosse la possibilità per la persona offesa di partecipare al processo e senza che lo stesso avesse accesso alle motivazioni della sentenza;
sembrerebbe che l'unico risarcimento previsto in questi casi, sia quello previsto da una legge risalente al Trattato Nato del 1951 che prevede l'erogazione di una somma alle vittime dei soprusi americani

in Italia, che nel caso di specie, non si conosce se venga quantificata e, quindi, liquidata;
nonostante l'impegno da parte delle autorità americane di sottrarre il soldato americano alla giurisdizione italiana, è da rilevare che tale tentativo non può riuscire quando le vittime sono cittadini italiani, considerato che i limiti territoriali della giurisdizione italiana sono abbastanza estesi;
in particolare, nel determinare la sfera di efficacia nello spazio della legge penale, l'ordinamento italiano ha adottato il principio che si suole definire di «territoralità temperata»;
vale a dire: ha adottato, come la maggior parte degli Stati moderni, il principio di territorialità, (articolo 3 codice penale: la sfera di efficacia della legge penale è delimitata dal territorio dello Stato, obbligando tutti coloro che vi si trovino, cittadini e stranieri; articolo 6 codice penale: i reati commessi nel territorio dello Stato sono puniti secondo la legge italiana);
i gravissimi fatti di cui si tratta si configurano, per lo più, come reati di tentato omicidio o, quantomeno, di lesioni gravissime;
considerate le premesse, peraltro sarebbe possibile rendere applicabili le norme penali sopra citate, consentendo di perseguire in Italia quei fatti e di procedere contro il responsabile americano, senza che lo stesso possa essere esente da processo, grazie ad eventuali leggi (a giudizio dell'interrogante, incostituzionali) che ne garantirebbero l'impunità;
è necessario, pertanto, che attraverso un diritto certo e incentrato sul principio di legalità e del giusto processo, lo Stato si possa dire garante dei diritti umani, sia dal punto di vista degli indagati, sia da quello delle vittime;
appare necessaria l'esigenza di adottare strumenti flessibili e rapidi per intervenire a favore della vittima di un grave reato contro la persona, non rinunciando ad una assunzione di responsabilità del colpevole -:
ove i fatti esposti rispondano a verità, quali iniziative immediate i Ministri interrogati - nell'ambito delle rispettive competenze - intendano assumere perché siano accertate in tutte le sedi le eventuali responsabilità;
quali iniziative di ordine legislativo, nazionale e comunitario, s'intendono assumere per evitare che per l'avvenire la vita e l'integrità fisica e morale di un qualunque cittadino possa essere compromessa sulla base di soprusi da parte di militari americani in forza alle basi NATO;
se il Ministro degli Affari Esteri, di fronte alla gravità dell'episodio, non ritenga di promuovere, in ambito comunitario e internazionale, una posizione più incisiva nei confronti del governo americano al fine di chiarire le responsabilità del delitto, più in generale, per chiedere, con ferma coerenza, una piena tutela dei diritti umani.
(4-02484)

Risposta. - 1. In esito a quanto richiesto questo ministero degli affari esteri ha provveduto a rintracciare gli atti qui trasmessi dal ministero della giustizia in relazione al caso di specie.
2. In generale si osserva che la competenza nell'esercizio della giurisdizione in relazione a reati commessi da personale Militare di un paese alleato nel territorio di un altro paese alleato (mentre si trovava in detto paese per ragioni di servizio) è regolato dall'articolo VII dell'accordo di Londra del 19 giugno 1951 (accordo SOFA), ratificato da tutti i paesi membri dell'Alleanza. Detto accordo attribuisce la «competenza primaria» in un caso quale quello oggetto dell'interrogazione allo Stato «ricevente» (in questo caso l'Italia) (articolo VII, 3b). Tuttavia lo Stato ricevente può rinunciare all'esercizio della giurisdizione a favore dello Stato «inviante» (in questo caso gli USA) su richiesta di quest'ultimo (articolo VII, 3c).


3. Nel caso di specie la procura di Napoli, pur nella consapevolezza della gravità delle imputazioni, ha ritenuto di dare favorevole accoglimento all'istanza presentata dalle autorità americane di rinunzia al diritto di priorità nell'esercizio della giurisdizione.
Il ministero degli esteri - come da prassi nei casi di criminalità comune analoghi a quello in parola - non ha eccepito alla decisione della procura, non rilevando motivi ostativi di carattere politico generale ad un atto riconducibile, nella sostanza, alle autonome valutazioni della magistratura e della cooperazione giudiziaria fra i due paesi.

Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Bobo Craxi.

PELLEGRINO. - Al Ministro delle infrastrutture. - Per sapere - premesso che:
a ridosso del ramo autostradale della A 30 Caserta-Salerno vi sono diverse costruzioni edificate prima e dopo l'apertura del suddetto tratto stradale;
sono numerose le costruzioni che non rispettano le distanze di sicurezza dal succitato ramo autostradale, alcune di esse perché preesistenti alla creazione dell'infrastruttura autostradale quindi non in contrasto con disposizioni di legge, altre perché oggetto di abusivismo edilizio proprio di una logica fraudolento-speculativa;
il paradosso che si è creato vede, sempre in prossimità del tratto della A30, da un lato numerose costruzioni abusive, sorte dopo l'apertura del ramo autostradale, erigersi con dimensioni spudoratamente e sconsideratamente estese dove, oltre che a contravvenire a precise disposizioni di legge in materia di distanze di sicurezza, vengono ad essere trasgredite, viste le monumentali dimensioni, anche disposizioni concernenti la tutela ambientale e dall'altro abitazioni di esigue dimensioni non abusive, in quanto di costruzione antecedente a quella autostradale, il cui divieto di un benché minimo ampliamento costituisce un gravoso vincolo nei confronti di quei proprietari che si vedono comprimere il proprio diritto soggettivo a godere in modo pieno ed esclusivo della proprietà in nome di un meno satisfatorio interesse legittimo derivante dal vincolo imposto dalla Pubblica Amministrazione;
accanimenti piuttosto pressanti, in specie nella zona del comune di San Marco Evangelista, in provincia di Caserta, si sono verificati nei confronti di presunti abusi edilizi afferenti costruzioni di ridottissime dimensioni (20-40 mq) edificate in aderenza alle succitate edificazioni che, tra l'altro, come sopra specificato, sorgevano prima dell'apertura del tratto autostradale in aggetto, senza contravvenire a nessuna disposizione normativa in materia edilizia;
nessuna azione è stata intrapresa da parte della competente autorità giudiziaria nei confronti di «monumentali» costruzioni edificate successivamente al 1976, anno di apertura del ramo autostradale, in dispregio dei vincoli urbanistici imposti, costituite da strutture ben note e ben in vista percorrendo il succitato tratto autostradale: Hotel imponenti, complessi residenziali ed edifici abitativi con annessi capannoni industriali;
sarebbero piuttosto evidenti e risapute le gravi omissioni e le irregolari concessioni di licenze edilizie da parte dell'ufficio tecnico del comune di San Marco Evangelista che avrebbe favorito in maniera significativa oltre che abusi edilizi riguardanti costruzioni di piccole dimensioni, con ingiustificati favoritismi e particolarismi, anche più rilevanti fenomeni di abusivismo afferenti interi complessi residenziali -:
se sia a conoscenza delle gravi irregolarità di cui sopra e se non ritenga opportuno e necessario verificarne le reali dimensioni intervenendo con gli opportuni e più incisivi mezzi al fine di contrastare don decisione e tempestività l'annoso ed insostenibile fenomeno di abusivismo edilizio, anche monitorando, per quanto di competenza, la edificazione di nuove enormi costruzioni ed attivandosi presso i

comuni, per segnalare abusi edilizi nei pressi dell'autostrada verificando con particolare scrupolo i casi di irregolarità nelle concessioni di licenze edilizie da parte degli organi comunali.
(4-03501)

Risposta. - In riferimento all'interrogazione in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
Si premette anzitutto che, in tema, vigono i divieti di edificazione nelle fasce di rispetto autostradali previsti dall'articolo 9 della legge n. 729 del 1961, dal decreto ministeriale 1o aprile 1968 nonché dal Codice della strada.
Le distanze minime dal confine autostradale previste sono pari a 25 metri e a 60 metri in funzione della destinazione urbanistica o meno dell'area interessata.
In presenza di immobili abusivi nelle fasce di rispetto, le società concessionarie autostradali provvedono alle previste segnalazioni sia al comune interessato sia all'Autorità giudiziaria attivando anche, ove l'amministrazione interessata non assuma le iniziative di competenza, giudizi civili nei confronti dei responsabili degli abusi, finalizzati ad ottenere il ripristino dello stato dei luoghi.
Nello specifico, per quanto riguarda il comune di San Marco Evangelista citato dall'onorevole interrogante, risultano ad oggi pendenti quattro giudizi promossi dalla Società Autostrade per l'Italia e finalizzati ad ottenere il ripristino dello stato dei luoghi nei quali si è consumato l'abuso edilizio.
Va ricordato che tali giudizi scontano quasi sempre tutti e tre i gradi di giudizio prima di giungere alla pronuncia definitiva, con conseguente dilatazione dei tempi.

Il Ministro delle infrastrutture: Antonio Di Pietro.

CAMILLO PIAZZA. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, al Ministro delle infrastrutture, al Ministro dei trasporti, al Ministro del commercio internazionale. - Per sapere - premesso che:
lo scorso 29 giugno a Bruxelles, la Commissione europea ha deciso di rivolgersi alla Corte di Giustizia Ue contro Italia, Grecia, Francia, Finlandia e Portogallo per il mancato rispetto della normativa comunitaria sul miglioramento della disponibilità e dell'utilizzo degli impianti portuali di raccolta per i rifiuti prodotti dalle navi e i residui del carico;
per lo stesso motivo, la Commissione Ue ha inviato pareri motivati (seconda fase della procedura d'infrazione) a Germania, Estonia e Spagna;
la direttiva di riferimento punta a ridurre gli scarichi in mare di rifiuti generati dalle navi e di residui di carico da parte delle navi che utilizzano i porti dell'Unione europea, migliorando la disponibilità e l'utilizzo degli impianti per la raccolta e il trattamento di detti rifiuti e residui e rafforzando così la protezione dell'ambiente marino;
nel caso dell'Italia, come per gli altri Paesi, la Commissione è intervenuta perché non sono stati previsti programmi adeguati che si conformassero all'obbligo di elaborare, approvare e applicare piani di raccolta e di gestione dei rifiuti in tutti i porti nazionali, compresi i porti di pesca ed i porti turistici;
questi piani sono un elemento chiave di una strategia intesa ad assicurare che siano messi a disposizione e utilizzati a norma di legge, impianti portuali di raccolta adeguati a rispondere alle esigenze delle navi che utilizzano normalmente il porto, senza causare ingiustificati ritardi alle navi, e affinché le tariffe applicate siano eque, trasparenti e non discriminatorie;
gli Stati membri avrebbero dovuto elaborare e applicare questi piani di raccolta e di gestione dei rifiuti in tutti i loro porti entro il 27 dicembre 2002 -:
come ed entro quale termine il Governo intenda provvedere al grave ritardo denunciato alla Corte di Giustizia dell'Unione europea;

come intendano, nell'ambito delle rispettive competenze, assicurare, in seguito all'elaborazione di adeguati piani di raccolta e di gestione dei rifiuti degli impianti portuali, un loro regolare e corretto impiego, da parte di tutte le navi che utilizzano i porti italiani.
(4-00417)

Risposta. - In ordine all'interrogazione indicata in oggetto concernente l'illegale scarico in mare di rifiuti da parte delle navi, ed il mancato rispetto del decreto legislativo n. 182 del 2003 di recepimento della Direttiva 2000/59/CE relativa alla raccolta dei rifiuti prodotti dalle navi, si riferisce che alla direzione per la protezione della natura di questo ministero, non sono pervenute segnalazioni o richieste di interventi per fenomeni di inquinamento marini interessanti alcuni tratti di costa tirrenica calabrese cui si fa riferimento nell'atto ispettivo di cui è discorso.
Si ritiene comunque utile esprimere alcune considerazioni generali sull'argomento e rendere nota l'attività antinquinamento marino. La predetta direzione gestisce la struttura di pronto intervento per la tutela dell'ambiente marino e per la prevenzione degli effetti dannosi alle risorse del mare da inquinamento derivanti da idrocarburi e altre sostanze nocive.
La predisposizione del sistema di risposta, a livello nazionale, in termini di strutture ed equipaggiamenti, per gli interventi in caso di inquinamento, è prevista dall'articolo 4 della legge 31 dicembre 1982 n. 979.
Le unità antinquinamento della Società Consortile Castalia Ecolmar, cui è stato affidato il servizio, svolgono sostanzialmente due funzioni strategiche:

a) la vigilanza e prevenzione antinquinamento lungo le rotte programmate (il Comandante dell'unità ha l'obbligo di segnalare via radio alla più vicina Capitaneria di Porto l'unità mercantile o da diporto che stia illegittimamente scaricando in mare idrocarburi o sostanze nocive);
b) l'intervento in emergenza per la raccolta degli idrocarburi sversati in mare mediante le speciali apparecchiature di bordo al fine di contenere per quanto possibile gli effetti nocivi sull'ecosistema marino.

La struttura non ha come obiettivo anche il controllo della qualità ambientale delle acque marine né è concepita per affrontare gli inquinamenti di tipo organico-chimico di origine terrestre (così da poter garantire un equilibrio ottimale, ecologico, ambientale, delle risorse naturali) poiché gli stessi richiederebbero attività di continuo monitoraggio dei litorali costieri in vista di successivi e ineludibili interventi a terra.
Bisogna considerare che l'ambiente nella sua globalità, e nel caso specifico la risorsa mare, risente sempre più delle crescenti attività antropiche che agiscono sulla capacità di mantenere gli ecosistemi esistenti e, quindi, di supportare comunità animali e vegetali ampie e diversificate.
La conoscenza della capacità di ogni singola componente ambientale (corpi idrici superficiali, sotterranei, aria, suolo) di interagire con le altre nel determinare fenomeni di inquinamento è fondamentale per una efficace tutela dell'ambiente marino e per l'equilibrio delle risorse.
A tale necessità si è cercato di dare risposta finanziando, coordinando e attuando, in collaborazione con le regioni costiere italiane, il controllo sugli ambienti marini costieri (nel sistema introdotto dal decreto legislativo 11 maggio 1999 n. 152, come modificato dal decreto legislativo n. 258 del 2000, le acque marine costiere sono inserite tra i corpi idrici superficiali in funzione degli obiettivi di qualità ambientale), attraverso dei programmi di monitoraggio di durata triennale consistenti nell'organizzazione di una locale rete di osservazione della qualità dell'ambiente marino e di un centro nazionale di coordinamento generale e di raccolta dati.
Tali programmi si pongono l'obiettivo di verificare l'impatto antropico sull'ambiente marino (verifica sulla dinamica delle popolazioni animali e vegetali e sui fattori che ne determinano le alterazioni) e costituiscono un importante strumento conoscitivo per orientare gli enti territoriali verso una politica rispettosa della natura.

Deve tuttavia rilevarsi che i dati in argomento sono dati con valenza ambientale e non sanitaria e non sono quindi utilizzabili per valutazioni relative alla idoneità di tali acque ad uso ricreativo quale quello della balneazione.
Alle regioni è affidato, tra l'altro, il compito dell'analisi delle cause che hanno determinato per le acque destinate alla balneazione un'eventuale superamento dei limiti parametrici previsti dal decreto del Presidente della Repubblica n. 470 del 1982 e successive modifiche ed integrazioni, e della successiva ricerca dei rimedi adottabili per rientrare nei limiti richiesti dalla norma.
Per le acque che risultano ancora non idonee alla balneazione, ai sensi del citato decreto del Presidente della Repubblica n. 470 del 1982, il decreto legislativo 3 aprile 2006 n. 152 (al riguardo il Consiglio dei ministri in data 30 giugno 2006 ha approvato in prima lettura un decreto legislativo recante «Disposizioni integrative e correttive del decreto legislativo 3 aprile 2006 n. 152» il quale prevede che le regioni, entro l'inizio della stagione balneare successiva alla data di entrata in vigore della parte terza del decreto stesso, e successivamente con periodicità annuale, comunicano al ministero dell'ambiente e della tutela del territorio, tutte le informazioni relative alle cause della non balneabilità ed alle misure che intendono adottare.
Le regioni sono quindi investite della programmazione degli interventi su tali acque; hanno altresì l'obbligo di giustificare le cause del degrado e le attività positive per invertire tale tendenza.
Le regioni, ai sensi del citato decreto legislativo n. 152 del 2006, assicurano la più ampia divulgazione delle informazioni sullo stato di qualità delle acque e trasmettono all'APAT i dati conoscitivi e le informazioni relative all'attuazione della parte terza del decreto stesso.
L'APAT, nell'ambito del Sistema informativo nazionale ambientale (SINA), elabora a livello nazionale le informazioni relative allo stato di qualità delle acque e le trasmette ai ministeri interessati.
L'ex Servizio difesa del mare al fine di accrescere l'efficacia degli interventi di prevenzione e lotta all'inquinamento realizzati sulla base dei pattugliamenti programmati della flotta convenzionata aveva stipulato due convenzioni con il Comando generale delle Capitanerie di Porto aventi per oggetto lo svolgimento di specifiche attività di vigilanza marittima in zone del mare territoriale particolarmente a rischio di inquinamento o comunque altamente «sensibili» come le aree marine protette già istituite o in corso di istituzione.
In forza delle citate convenzioni il Corpo delle Capitanerie di Porto - guardia costiera - collabora attivamente con la direzione per la Protezione della Natura del ministero dell'ambiente e della tutela del territorio nelle attività di prevenzione dell'inquinamento marino con tutti i mezzi navali e aerei disponibili.
È prevista specifica attività di pattugliamento nel mare territoriale e nell'alto mare adottando altresì, ove se ne ravvisi la necessità, specifici provvedimenti sanzionatori, ai sensi delle vigenti norme nazionali e internazionali in materia, al fine delle repressione delle azioni pregiudizievoli alle risorse marine.
Si è successivamente adottato un unico strumento convenzionale, d'intesa con il Comando generale delle Capitanerie di Porto, finalizzato alla continuità delle azioni di vigilanza preventiva in mare, all'accrescimento dell'efficacia delle azioni di intervento antinquinamento nei casi di emergenza, e alla prosecuzione e potenziamento delle attività di sorveglianza nelle aree marine protette, tale strumento convenzionale prevede il pattugliamento in alto mare e nel mare territoriale con ricorso per quel che attiene il servizio aereo all'attività di scoperta con l'ausilio di sistemi di telerilevamento.
È altresì prevista un'attività di sorveglianza a tutela e difesa dell'ambiente marino e costiero ed il monitoraggio delle aree litoranee.
Si aggiunge, anche, che il decreto del ministero delle infrastrutture e dei trasporti del 13 ottobre 2003 n. 305, modificato con decreto 2 febbraio 2006 n. 113, ha adottato

il Regolamento recante attuazione della direttiva 2001/106/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 19 dicembre 2001. Tale decreto prevede il fermo della nave nel caso in cui vengano riscontrate da parte del personale ispettivo carenze nella nave che rappresentano un pericolo per la sicurezza, la salute o l'ambiente; menziona poi il decreto legislativo 19 agosto 2005 n. 196, entrato in vigore l'8 ottobre 2005, con il quale è stata data attuazione alla Direttiva 2002/59/CE del 27 giugno 2002, relativa all'istituzione di un sistema comunitario di monitoraggio del traffico navale e d'informazione al fine «di un ausilio per migliorare la prevenzione e l'individuazione dell'inquinamento causato da navi»; prevede l'obbligo di comunicazione preventiva dell'ingresso nei porti italiani delle navi che trasportano merci pericolose o inquinanti; prevede anche che le navi nazionali e le navi di bandiera straniera individuate nell'allegato II, punto I, della legge stessa, che fanno scalo in un porto nazionale, siano dotate di un sistema di identificazione automatica (Automatic Identification System - AIS); prevede che le nazionali e straniere, individuate nell'allegato II, parte II, che fanno scalo in un porto nazionale, siano dotate del registratore dei dati di viaggio (Voyage Data Recorder - VDR).
L'applicazione della citata direttiva 2000/59/CE, unitamente alla Direttiva 2005/35/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 7 settembre 2005, relativa «all'inquinamento provocato dalle navi e all'introduzione di sanzioni per violazioni» costituisce «uno strumento chiave nell'ambito della serie di misure destinate a prevenire l'inquinamento provocato dalle navi» (punto 13 del considerando di quest'ultima direttiva).
L'articolo 4 della direttiva 2005/35/CE prevede che gli Stati membri provvedono affinché gli scarichi di sostanze inquinanti effettuate dalle navi in una delle aree di cui all'articolo 3, paragrafo 1 (acque interne, acque territoriali, zona economica esclusiva, alto mare), siano considerati violazioni se effettuati intenzionalmente, temerariamente o per negligenza grave. «Tali violazioni sono considerate reati dalla decisione quadro 2005/667 GAI, in presenza delle circostanze previste da tale decisione».
Comunque la problematica degli impianti portuali raccolta rifiuti attiene alle specifiche competenze del ministero dei trasporti.
In tale ambito, infatti, il decreto legislativo 182 del 24 giugno 2003, di attuazione della direttiva CE n. 59/2000, relativa agli impianti portuali di raccolta per i rifiuti prodotti dalle navi ed i residui del carico, assegna un ruolo fondamentale alle Capitanerie di Porto - guardia costiera - nell'attività di prevenzione, vigilanza e controllo sull'osservanza degli articoli 7 e 10 della legge stessa.
Le Capitanerie di Porto, ai sensi dell'articolo 11 del decreto in esame, hanno il compito di verificare l'osservanza delle disposizioni relative alla fase del conferimento, dando attuazione al decreto ministeriale n. 305 del 1993 relativo all'attività di controllo dello stato di approdo.
Spetta all'Autorità portuale o, laddove non istituita, all'Autorità marittima, il controllo e l'autorizzazione all'espletamento delle operazioni di carico e scarico, trasporto, deposito e maneggio di rifiuti in ambito portuale ai sensi del combinato disposto della legge n. 84 del 1994 e decreto legislativo n. 22 del 1997.
Per quanto riguarda questa amministrazione in materia di impianti portuali di raccolta dei rifiuti prodotti dalle navi e i residui del carico si rileva che l'Ufficio legislativo di questo ministero è intervenuto più volte sull'applicazione del decreto n. 182 del 2003.
Così, ad esempio, con circolare del 2 settembre 2003 n. 6610 ha specificato che «nelle more dell'adozione dei piani di raccolta di cui all'articolo 5, della realizzazione/adeguamento, anche autorizzativo, degli impianti e dell'affidamento del servizio al gestore, ove nel porto di giurisdizione esistano gli impianti come definiti dall'articolo 2, lettera
e), questi debbono comunque continuare ad operare, come finora praticato, per l'accettazione dei rifiuti prodotti dalla nave e dei residui del carico, soddisfacendo così le finalità rappresentate nell'articolo 1 del decreto legislativo ed evitando

l'abbandono in mare di prodotti che la nuova legge, derivata da disposizioni comunitarie, considera rifiuti».
Con nota UC/2004/661 del 13 settembre 2004 ha chiarito che il decreto legislativo 24 giugno 2003 n. 182 si applica anche alle unità da diporto.
In data 29 luglio 2005 è stata emanata la direttiva ministeriale GAB/2005/.6759/B01 che ha fornito chiarimenti circa l'applicazione del decreto agli scarichi delle unità destinate alla nautica da diporto.
Altri fenomeni, spesso ricorrenti, percepiti come inquinamento dai bagnanti, dagli operatori, sono da ricondurre invece a fenomeni naturali e non risultano invece tossici o inquinanti (esempio mucillagini).
Del resto la stessa regione Calabria riconosce nella presentazione del progetto «Puliamo la Calabria» che «non è facile né agevole intraprendere un'azione politica e amministrativa di risanamento territoriale, in un contesto di degrado così diffuso e a volte così profondo da indurci a ritenere che probabilmente ambiente ed emergenza, sono destinati ad essere binomio indissolubili».
La regione Calabria inoltre ha attivato altri progetti di tutela ambientale, illustrati nel proprio sito, quali una commissione di studio (composto da professori universitari, esperti nel settore dell'ecologia, e della gestione ambientale) per la gestione integrata delle coste della Calabria con l'obiettivo dell'uso armonico e sostenibile del litorale calabrese; una campagna di informazione denominata «occhio alla costa» diretta a monitorare il patrimonio costiero e marino con osservatorio sulle illegalità a danno del patrimonio calabrese, arginare l'inquinamento, avviare una migliore attività di pulizia urbana e delle spiagge, bonificare i siti inquinati, tutelare il patrimonio marino, paesaggistico e ambientale.
Tali interventi a livello locale unitamente agli interventi disposti a livello nazionale dovrebbero comportare una maggiore tutela dell'ambiente locale.
A livello degli organi centrali si menzionano:
il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 1o giugno 2006 con cui è stato prorogato sino al 31 dicembre 2007 lo stato d'emergenza ambientale in atto nella regione Calabria in materia di bonifica e risanamento ambientale dei suoli, delle falde e dei sedimenti inquinati, di tutela delle acque superficiali e sotterranee e dei cicli di depurazione;
l'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri del 16 giugno 2006 con la quale si è disposto che per il superamento dell'emergenza ambientale summenzionata la regione Calabria è autorizzata a contrarre mutui o ad effettuare altre operazioni finanziarie con la Cassa Depositi e Prestiti ed altri istituti di credito, allo scopo utilizzando, ai fini del relativo ammortamento la somma di euro 430.000,00 in limiti d'impegno quindicinali a valere sulle risorse assegnate al ministero dell'ambiente e della tutela del territorio dall'articolo 4, comma 176, della legge 24 dicembre 2005 n. 350.

In conclusione, le sinergie tra i diversi organi preposti alla tutela dell'ambiente principalmente le Capitanerie di Porto con l'azione integrata delle Agenzie regionali per la protezione dell'ambiente, dirette al controllo delle possibili fonti di inquinamento della acque costiere, con repressione dei comportamenti pregiudizievoli, dovrebbero comportare una maggiore tutela del patrimonio naturale marino.
Per quanto riguarda lo stato di attuazione del Piano di raccolta e di gestione dei rifiuti, di cui al decreto legislativo n. 182 del 2003, il Reparto ambientale marino del Corpo delle Capitanerie di Porto presso il ministero dell'ambiente ha trasmesso l'allegata documentazione (disponibile presso il Servizio Assemblea) da cui si evincono a livello nazionale, gli elementi utili, e conoscitivi della situazione cui l'onorevole interrogante ha fatto riferimento nella sua interrogazione.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Alfonso Pecoraro Scanio.

FERDINANDO BENITO PIGNATARO e CESINI. - Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio. - Per sapere - premesso che:
gli effetti dell'alluvione del 3 luglio scorso nella zona di Vibo Valentia hanno colpito anche l'ecosistema della fascia costiera e l'economia ittica calabrese: numerosi tonni stanno infatti morendo per soffocamento;
l'ondata di fango e detriti che si è abbattuta sulla fascia costiera ha fatto confluire in mare sostanze e materiali inquinanti, mettendo a rischio l'ecosistema marino e costiero;
la costa sta subendo, secondo quanto denunciato dalla Lega Pesca, un grave impatto ambientale di natura fisico, microbiologico e chimico. Le acque e i fondali della fascia più vicina alla costa si stanno intorpidendo, un segnale di cambiamenti morfologici della battigia, alterazione dei fondali con conseguenze sulla componente vegetale e animale e danni alle attività di maricoltura, con particolare riferimento alla tonnicoltura;
la situazione della provincia di Vibo Valentia è critica anche sul piano igienico-santario, poiché è stata messa fuori uso tutta la rete fognaria e depurativa delle abitazioni colpite, trasportando in mare materiale organico di varia natura e quindi contaminando microbiologicamente acque, sedimenti e organismi marini -:
se sia a conoscenza dei fatti sopra descritti;
se non ritenga opportuno avviare un'azione di monitoraggio della zona al fine di procedere al risanamento e alla bonifica dell'area interessata.
(4-00574)

Risposta. - In merito a quanto indicato nell'atto di sindacato ispettivo di cui all'esame, si riportano di seguito le notizie avute dalle direzioni competenti di questo ministero.
La direzione per la difesa del suolo ha fatto presente che: «Il giorno 3 luglio 2006 la provincia di Vibo Valentia è stata interessata da condizioni meteo particolarmente avverse che hanno causato allagamenti, straripamenti di corsi d'acqua e smottamenti, oltre a vari danni alle infrastrutture ed al patrimonio edilizio privato e causando anche la perdita di 4 vite umane.
Dal punto di vista pluviometrico l'evento è stato particolarmente intenso soprattutto tra le ore 10 e le ore 14 con massime altezze di pioggia registrate nelle stazioni pluviometriche della zona che variano tra i 47 mm della stazione di Mongiana e i 202 mm della stazione di Vibo Valentia, di cui 130 mm caduti tra le 11,40 e le 12,40. Dalle elaborazioni statistiche eseguite emerge la particolare straordinarietà dell'evento pluviometrico caratterizzato da un tempo di ritorno di oltre 1000 anni per Vibo Valentia e compreso tra i 50 e 150 anni nelle altre stazioni della zona.
I comuni maggiormente interessati sono Serra San Bruno, San Nicola da Crissa, Pizzoni, Vallelonga, Spadola e soprattutto Vibo Valentia ove si sono avuti i maggiori danni e anche le vittime.
Nel territorio di quest'ultimo comune il sopralluogo effettuato nelle ore immediatamente successive alla calamità dai tecnici del ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare che operano presso la regione Calabria nell'ambito del Progetto operativo difesa suolo, ha consentito di chiarire che le zone maggiormente coinvolte sono state essenzialmente due.
Nella prima zona, in corrispondenza del tratto terminale dei corsi d'acqua torrente Sant'Anna e fosso Libanio, ci sono stati ingenti danni dovuti allo straripamento generalizzato del reticolo idrografico che ha provocato il sovralluvionamento nella parte più alta e l'allagamento nella parte più bassa di estese zone. In particolare nella zona di valle sono state danneggiate sia la zona industriale di Vibo Marina, nella quale insistono importanti insediamenti produttivi tra i quali le officine della Nuovo Pignone, che la zona turistica, formata da una serie di case private e da complessi turistici tra i quali il Villaggio del Sole.
Nella seconda zona, situata in corrispondenza della località Longobardi e che

presenta una pendenza molto forte, si sono verificate più che altro colate superficiali lungo il reticolo idraulico minore causate dall'asportazione da parte della pioggia dello strato superficiale di terreno e di tutta la vegetazione, compresi alberi di alto fusto. In questa zona risultano interrotte le principali arterie di comunicazione.
La regione Calabria ha immediatamente attivato, già nelle ore successive all'evento, una serie di interventi di somma urgenza per ripristinare, per quanto possibile, la funzionalità idraulica dei corsi d'acqua e la viabilità stradale. Nella giornata del 5 luglio è stato inoltre eseguito un volo aereo al fine di rappresentare dall'alto la situazione a seguito dell'evento tramite ortofoto.
Per quello che riguarda invece la situazione di rischio idrogeologico delle zone colpite, l'Autorità di bacino regionale della Calabria ha approvato il Piano stralcio per l'assetto idrogeologico (PAI) con DGR n. 900 del 31 ottobre 2001, che contiene l'individuazione, la perimetrazione e le misure di salvaguardia relative alle aree a rischio idrogeologico nel territorio regionale.
Nell'ambito del territorio della provincia di Vibo Valentia, il PAI individua e perimetra 20,2 Kmq di aree a rischio idraulico molto elevato, 0,05 kmq di aree a rischio elevato, 0,4 kmq di aree a rischio medio e, inoltre, 106 km di aste fluviali a rischio molto elevato.
In particolare il comune di Vibo Valentia dal punto di vista del rischio idraulico, presenta una situazione particolarmente critica, visto che in tutto il territorio comunale ci sono 1,5 kmq di aree critiche dal punto di vista idraulico individuate e perimetrate nel territorio dello stesso comune, e 2,5 km di aste fluviali a rischio idrogeologico molto elevato.
Nell'ambito del territorio della provincia di Vibo Valentia il PAI individua e perimetra n. 47 aree a rischio da frana molto elevato (R4), 140 a rischio elevato (R3), 204 a rischio medio (R2), 97 a rischio basso (RI).
In particolare il comune di Vibo Valentia dal punto di vista del rischio da frana presenta sul proprio territorio 0,16 kmq di aree a rischio elevato o molto elevato.
Si evidenzia in particolare che le zone colpite dal disastro citate in epigrafe sono diffusamente interessate dalla presenza di aree a rischio idrogeologico individuate e perimetrate nel PAI.
Per quello che riguarda la presunta insufficienza di risorse destinate alla regione Calabria per interventi di difesa del suolo, si fa notare quanto segue.
Il ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, nell'ambito dell'indagine condotta sul fabbisogno finanziario necessario per la sistemazione dei bacini, ha verificato un fabbisogno finanziario per il territorio nazionale di 40 miliardi di euro.
Per il territorio della regione Calabria il fabbisogno complessivo è pari a 1.537 milioni di euro per la realizzazione di 662 interventi.
In relazione a tale fabbisogno nella regione Calabria, con le risorse di cui alla legge 183 del 1989 sono stati finanziati dal ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare dal 1991 al 2006 interventi per un importo complessivo di 155 milioni di euro, a fronte di una media nazionale di 157 milioni di euro. Nella provincia di Vibo Valentia sono stati finanziati nello stesso periodo n. 16 interventi per 6 milioni di euro.
Con le risorse di cui al decreto-legge n. 180 del 1998 invece sono stati finanziati nella regione Calabria dal 1998 al luglio 2006 n. 164 interventi urgenti per un importo complessivo di 96,15 milioni di euro, a fronte di una media nazionale nello stesso periodo di 71,4 milioni di euro. Nella provincia di Vibo Valentia sono stati finanziati nello stesso periodo n. 23 interventi per 12,5 milioni di euro.
Inoltre nel corso della riunione tenuta il 26 luglio 2006 presso il ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare si è fatto il punto sulle altre iniziative da assumere a seguito della tragedia di Vibo Valentia. All'incontro erano presenti il Ministro Alfonso Pecoraro Scanio, il presidente della Regione Calabria Agazio Loiero, il vicepresidente Nicola Adamo, il viceministro

dell'interno Marco Minniti, dirigenti del ministero dell'Ambiente, della regione Calabria e del dipartimento della protezione civile.
Dall'incontro è nato l'impegno di collaborazione tra le strutture tecniche del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del Mare e la regione Calabria per identificare e attuare di una serie di interventi per la prevenzione e la mitigazione del rischio idrogeologico, con particolare riferimento alle azioni di manutenzione del territorio e di mitigazione del rischio da erosione costiera, con particolare riferimento al territorio calabrese.
Con Decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare prot. n. DDS/DEC/2006/0632 del 3 novembre 2006 registrato alla Corte dei conti in data 24 novembre 2006, registro n. 6 foglio n. 325 è stato approvato, con l'intesa formale delle regioni su tutti gli interventi individuati, il Piano strategico nazionale per la mitigazione del rischio idrogeologico, costituito da n. 311 interventi per un importo di 219 milioni di euro. Con lo stesso provvedimento sono stati finanziati n. 6 interventi nella provincia di Vibo Valentia per un importo di oltre 7 milioni di euro di cui 2 milioni di euro destinati al comune di Vibo Valentia.
Inoltre è stato siglato nel settembre 2006 l'Accordo di programma quadro sulla difesa suolo ed erosione delle coste della regione Calabria, che prevede risorse CIPE già disponibili pari a 45 milioni di euro. Tali risorse sono destinate alla realizzazione di 47 interventi di protezione delle coste, di cui n. 8 per un importo di 5,5 milioni di euro nella provincia di Vibo Valentia.
Il Ministro Pecoraro Scanio, a seguito dell'evento calamitoso, ha dato poi un ulteriore impulso a procedere celermente all'attuazione del Piano straordinario di telerilevamento per le aree ad elevato rischio idrogeologico sul territorio nazionale. L'attuazione di tale piano consente la verifica e il monitoraggio dei movimenti franosi e dei fenomeni di subsidenza mediante tecniche di telerilevamento ad alta precisione; la verifica degli effetti e dell'estensione territoriale delle piene di corsi d'acqua con particolare attenzione per le aree densamente antropizzate; la mappatura integrativa da telerilevamento (aereo e/o satellitare) ad alta risoluzione spaziale, delle caratteristiche geomorfologiche, vegetazionali ed infrastrutturali delle aree suddette; la realizzazione di un sistema di conoscenze condiviso e centralizzato.
La Direzione protezione della natura, ha fatto presente quanto segue: «In riferimento all'interrogazione parlamentare in oggetto indicata, presentata alla Camera dei deputati nella seduta n. 026 del 17 luglio 2006, si rende noto che la scrivente, a seguito degli eventi alluvionali che hanno interessato la provincia di Vibo Valentia in data 3 luglio 2006, ha disposto l'intervento di tre unità navali in convenzione (U/S levoleco Terzo, dislocato a Vibo Valentia Marina, S/V Vastaso, dislocato a Trapani, S/V Ecolroma - dislocato a Porto Empedocle) per il recupero dei rifiuti galleggianti e detriti vari presenti in mare.
L'intervento in questione ha avuto inizio nella giornata del 4 luglio e si è protratto sino al giorno 12 luglio ed ha riguardato i tratti di mare compresi nel Golfo di S. Eufemia, tra Bivona e la foce del fiume Angitola e tra Tropea e la foce del fiume Angitola.
Al termine delle operazioni sono stati recuperati 94,34 mc di rifiuti solidi di varia natura e n. 1 cisterna.
Per quanto attiene alle attribuzioni della scrivente in materia di inquinamento marino, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del Mare in applicazione dei propri compiti istituzionali finanzia e coordina un programma di monitoraggio per il controllo dell'ambiente marino-costiero svolto in collaborazione con le 15 regioni costiere italiane e prevede il controllo di acqua, sedimenti, molluschi, plancton e comunità animali e vegetali dei fondali marini in 81 aree di cui 63 aree critiche e 18 aree di controllo.
Il programma ha preso avvio nel giugno 2001 ed è terminato in data 31 marzo 2006; attualmente tale programma dopo una sospensione di 3 mesi e mezzo è stato prorogato per sei mesi a partire dal 15 luglio 2006.


Deve tuttavia rilevarsi che i dati in argomento sono dati con valenza ambientale e non sanitaria e non sono quindi utilizzabili per valutazioni relative alla idoneità di tali acque ad uso ricreativo quale quello della balneazione.
L'area denominata «Vibo Marina» rientra tra quelle critiche e risulta essere la più vicina, tra quelle indagate dal programma, alla zona oggetto dell'interrogazione parlamentare.
Nell'arco degli anni di monitoraggio, come in tutte le aree oggetto di indagine, anche in questa area sono stati effettuati 2 campionamenti al mese per quanto riguarda le matrici acqua e plancton, 2 campionamenti l'anno per le matrici biota e sedimenti e un campionamento l'anno per la matrice Benthos. L'area pertanto è stata monitorata e tenuta costantemente sotto controllo.
La regione Calabria per proprie ragioni interne, contrariamente a quanto previsto in convenzione, non ha effettuato parte delle campagne previste; quindi la serie storica di dati in possesso risulta carente per alcuni intervalli temporali.
A norma delle convenzioni che regolano le attività in argomento, i risultati delle analisi effettuate, devono essere inviati al ministero entro 30 giorni dal campionamento; poiché, come sopra riportato, le attività di monitoraggio hanno subito un'interruzione da fine marzo a metà luglio 2006, i primi dati analitici relativi alla zona di Vibo Marina saranno quelli riferiti al campionamento effettuato nella seconda metà di luglio, che dovrebbero pervenire al Ministero approssimativamente intorno alla metà di agosto p.v. e dal mese successivo, dopo le necessarie validazioni, essere disponibili
on-line sul sito istituzionale www.minambiente.it.
Solo dopo questa data, confrontando i dati di luglio 2006 con quelli raccolti fino a marzo 2006, sarà quindi possibile valutare i risultati del monitoraggio.
Questa direzione ritiene opportuno continuare l'attività di monitoraggio nelle aree costiere in argomento.
Alle regioni è affidato, tra l'altro, il compito dell'analisi delle cause che hanno determinato per le acque destinate alla balneazione un'eventuale superamento dei limiti parimetrici previsti dal decreto del Presidente della Repubblica n. 470 del 1982 e successive modifiche ed integrazioni, e della successiva ricerca dei rimedi adottabili per rientrare nei limiti richiesti dalla norma.
Il monitoraggio viene svolto dai dipartimenti provinciali delle ARPA sui punti di campionamento indicati dalle regioni.
Per le acque che risultano ancora non idonee alla balneazione, ai sensi del citato decreto del Presidente della Repubblica n. 470 del 1982, le regioni, prima dell'inizio della stagione balneare, con periodicità annuale, comunicano al ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, secondo le modalità indicate con il decreto di cui all'articolo 3, comma 7, tutte le informazioni relative alle cause ed alle misure che intendono adottare.
Le regioni sono quindi investite della programmazione degli interventi su tali acque; hanno altresì l'obbligo di giustificare le cause del degrado e le attività positive per invertire tale tendenza.
Il fenomeno segnalato sembra comunque prospettarsi come inquinamento delle acque marine costiere da apporti tellurici e da acque superficiali per il quale si configura la competenza a livello locale dei comuni rivieraschi, cui la vigente normativa conferisce l'obbligo di dotarsi di adeguati impianti di depurazione, di provvedere al trattamento delle acque reflue, allo stoccaggio e smaltimento dei rifiuti, mentre a livello centrale investe competenze della direzione generale per la qualità della vita e per la difesa del suolo.
Dal comunicato stampa in data 13 luglio 2006, pubblicato sul sito della provincia di Vibo Valentia, si legge che superata l'emergenza si è passati alla fase operativa finalizzata alla ricostruzione e alla tutela dell'ambiente.
In tale ambito si è tenuto in data 13 luglio 2006 presso l'Amministrazione provinciale di Vibo Valentia il vertice interforze per la salvaguardia ambientale al quale hanno partecipato tutti i soggetti istituzionali coinvolti.

In tale sede è stato costituito il gruppo di valutazione ambientale che dovrà fare una ricognizione della situazione sul livello dell'inquinamento marino, irregimentazione delle acque e difesa del suolo e proporre gli interventi ritenuti indispensabili.
Come priorità sono stati individuati i seguenti interventi:
verifica dei livelli di inquinamento marino causati dall'alluvione;
predisposizione delle opere a difesa del suolo e interventi sul ciclo integrato delle acque.

È stato dato incarico all'ICRAM di provvedere alla caratterizzazione dei sedimenti marini, attraverso il carotaggio dei fondali e delle spiagge, nonché all'analisi chimica e microbiologica delle acque marine, con prelievi a vari livelli di profondità; acquisita la documentazione si procederà agli interventi di bonifica dei fondali e degli arenili.
Successivamente, a seguito di una richiesta, da parte dell'ufficio interrogazioni, di aggiornamento degli elementi già inviati in precedenza, ha fatto presente che: «In riferimento alla nota in oggetto indicata, relativa alla richiesta di aggiornamento delle notizie trasmesse con nota DPN/6/D/2006/20188 del 4 agosto 2006, si comunica, come già reso noto con la lettera citata, che l'area di indagine denominata "Vibo Marina" rientra tra quelle indagate nell'ambito del programma di monitoraggio e risulta anche essere la più vicina alla zona oggetto dell'interrogazione parlamentare.
Nell'arco di questi ultimi anni di monitoraggio, come previsto dal protocollo operativo del programma, in questa area era prevista l'effettuazione di 2 campionamenti al mese per quanto riguarda le analisi sull'acqua e sulla comunità planctonica, 2 campionamenti l'anno per le indagini sulle popolazioni di mitili e sui sedimenti e 1 campionamento l'anno per le indagini sulle comunità dei fondali.
La regione Calabria per proprie ragioni interne, contrariamente a quanto previsto in convenzione, non ha effettuato molti dei suddetti campionamenti e quindi l'insieme di dati in possesso di questa direzione sull'area Vibo Marina risulta esser carente per diversi intervalli temporali.
Pertanto, tenendo anche in considerazione della citata interruzione delle attività del Programma dal 1o aprile al 14 luglio 2006, i dati attualmente disponibili ed utili ad esprimere una valutazione sulla qualità dell'ambiente marino antistante l'area di Vibo Marina sono quelli riferiti al periodo 15 luglio 2006 - 15 dicembre 2006; tali dati, fatta eccezione per quelli relativi al periodo 15 ottobre - 15 dicembre 2006 ancora in fase di validazione, sono disponibili sulla rete internet accedendo al sito istituzionale del ministero (http://www.minambiente.it).
Ulteriori notizie in ordine alla problematica segnalata sono state richieste alla regione Calabria, alla provincia di Vibo Valentia e all'ICRAM con note del 24 gennaio 2007 anticipate via fax».
Dal canto suo, l'ICRAM, in merito, ha riferito che: «In relazione agli eventi alluvionali che hanno interessato la provincia di Vibo Valentia, ed in particolare l'area costiera compresa tra i comuni di Briatico e Vibo Valentia il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, onorevole Alfonso Pecoraro Scanio, ha incaricato l'ICRAM di seguire l'evoluzione.
In particolare l'istituto ha predisposto in data 13 luglio, un piano di caratterizzazione ambientale dell'area proprio per individuare sia a mare che a terra la natura e la quantità degli eventi inquinanti presenti.
Il piano è stato inviato all'ufficio di Gabinetto del Commissario per l'emergenza ambientale e per conoscenza all'ARPA Calabria».

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Alfonso Pecoraro Scanio.

FERDINANDO BENITO PIGNATARO. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
nel territorio di Rossano, dal 1975, è ubicata una centrale termoelettrica Enel S.p.A., alimentata da gas e olio combustibile,

costituita da 4 unità termiche da 320 MW e 4 unità turbogas da 115 M, per una potenza complessiva di 1740 MW e una capacità produttiva di ben 10 miliardi di Kwh all'anno;
detta centrale sta riducendo sempre di più la sua produzione e di conseguenza le spese per la manutenzione e la gestione degli impianti, con serie conseguenze sulla sua efficienza, economicità, sicurezza e sui livelli occupazionali del personale Enel e delle ditte esterne;
detta centrale deve essere riconvertita urgentemente ed in maniera ecosostenibile e compatibile con il modello di sviluppo del Nord-Est della Calabria e, in tale prospettiva, essa può svolgere un ruolo significativo e importante nell'economia del paese, come ha fatto in 31 anni, e nell'economia locale;
in alternativa al carbone, si può e si deve puntare sulla riconversione tesa alla realizzazione a Rossano di un Sito Elettrico Pilota, che punti sul ciclo combinato e/o sull'innovazione e sull'utilizzo di nuove fonti rinnovabili di energia;
il Consiglio Comunale di Rossano, quello della vicina Corigliano, il Consiglio della Comunità Montana «Sila Greca», il Consiglio della Regione Calabria, l'Amministrazione Provinciale di Cosenza, i Sindaci della Sibaritide e del Pollino, il Comitato dei Cittadini della Sibaritide, l'imprenditoria agricola e turistica, le associazioni ambientaliste, si sono pronunciate negativamente sull'ipotesi di riconversione a carbone della centrale Enel di Rossano e a favore della tutela dell'ambiente delle risorse e delle economie territoriali, incentrate su un'agricoltura di eccellenza, un turismo internazionale, la piccola industria di trasformazione;
l'Amministrazione Comunale di Rossano, fin dal suo insediamento nel giugno scorso, ha rappresentato formalmente in alcuni incontri interlocutori con esponenti della società elettrica l'urgenza di un confronto e di un tavolo di trattativa e concertazione con i massimi livelli dell'Enel S.p.A e con tutti i soggetti interessati circa il futuro della centrale, tesi al raggiungimento di un accordo condiviso dalle popolazioni e dalle istituzioni territoriali;
nel mese di settembre 2006, l'Amministrazione Comunale di Rossano ha sollecitato per due volte, con comunicazione scritta, l'avvio urgente del tavolo di trattativa all'Amministratore Delegato dell'Enel S.p.A., al Ministro dell'ambiente, al ministro dello sviluppo economico, al Prefetto di Cosenza, alle Istituzioni regionali e provinciali -:
se e quali iniziative, con urgenza, intenda intraprendere per convocare il tavolo di concertazione al fine di definire modalità, tempi e contenuti riguardanti il futuro della centrale termoelettrica di Rossano, che rappresenta un importante insediamento produttivo per il rilancio di un progetto dal grande impatto anche occupazionale per l'intera Calabria.
(4-01952)

Risposta. - In relazione all'atto ispettivo in esame concernente la riconversione della centrale termoelettrica ENEL di Rossano (Cosenza), sulla base di quanto comunicato dalla Direzione Generale per la Salvaguardia ambientale di questo Ministero, si riferisce che con nota del 29 aprile 2005, la Società ENEL produzione SPA ha presentato istanza di pronuncia di compatibilità ambientale, ai sensi dell'articolo 6 della legge n. 349 del 1986 e legge n. 55 del 2002, relativamente al progetto di conversione a carbone dell'esistente centrale di Rossano Calabro (Cosenza), autorizzata con decreto del ministero delle attività produttive del 26 luglio 1991. La stessa direzione ha precisato che la centrale esistente è costituita da quattro sezioni da 320 MWe ripotenziate con quattro turbogas da 115 Mwe alimentate ad olio combustibile e gas naturale. La stessa centrale è stata anche oggetto di un progetto di trasformazione in ciclo combinato delle quattro sezioni ripotenziate autorizzato con decreto del ministero delle attività produttive del 4 luglio 2001.
Al fine di consentire la consultazione da parte del pubblico relativamente al nuovo progetto di conversione a carbone della

centrale e l'invio di osservazioni, l'ENEL produzione SPA ha provveduto, ai sensi del comma 9 dell'articolo 6 della legge n. 349 del 1986, a dare informazione al pubblico dell'avvenuto deposito della documentazione presso i preposti uffici della regione Calabria sui quotidiani «La Repubblica», «La Gazzetta del Sud», «Il Quotidiano della Calabria» e «La Provincia di Cosenza» del giorno 28 aprile 2005.
Successivamente, in considerazione di quanto segnalato dalle amministrazioni locali in ordine ad una ipotesi alternativa alla riconversione a carbone dell'impianto di Rossano Calabro come «centrale a freddo», con nota del 17 giugno 2005 il ministero delle attività produttive ha comunicato di aver rinviato la Conferenza dei servizi prevista per il giorno 24 giugno 2005. In relazione a tali circostanze, preso atto inoltre che l'Enel con nota dell'8 settembre 2005 ha informato il ministero dell'ambiente che la documentazione relativa a detta eventuale alternativa di «riserva fredda» era ancora in corso di predisposizione, la direzione competente ha ritenuto opportuno disporre la sospensione del procedimento di VIA in attesa della presentazione della documentazione di cui sopra.
Poiché ad oggi l'Enel non ha provveduto a presentare tale documentazione necessaria per riattivare il procedimento di VIA, lo stesso risulta ancora sospeso, ne è pervenuta alcuna istanza di riavvio del procedimento.
Per quanto riguarda la richiesta di convocazione del tavolo di concertazione al fine di definire modalità, tempi e contenuti riguardanti il futuro della centrale si fa presente che sulla base di quanto comunicato dalla prefettura di Cosenza, l'amministrazione comunale di Rossano ha assunto una posizione contraria tesa ad individuare forme energetiche alternative per salvaguardare l'ambiente in quel territorio.
Medesimo orientamento è stato espresso dai sindaci dei cinquantasette comuni della Sibaritide e del Pollino, tra i quali anche quello di Rossano che al riguardo hanno sottoscritto un documento costituendosi in «associazione permanente» per la difesa e lo sviluppo del territorio del nord est della Calabria.
Nel predetto documento i rappresentanti degli enti locali hanno proposto all'Enel Spa di costituire a Rossano un «sito elettrico pilota» finalizzato all'utilizzo di nuovi fonti rinnovabili di energia, alternative a quelle ormai superate del carbone e del petrolio e capaci di salvaguardare le risorse marine e ambientali.
Come l'interrogante ben saprà, l'indirizzo politico di questo ministero corrisponde a quanto richiesto dagli enti locali. Ritengo che, se si deve intervenire su impianti esistenti attraverso politiche di riconversione, sia auspicabile che tali interventi vadano nella direzione di aumentare l'efficienza degli impianti, ridurre le emissioni in atmosfera di anidride carbonica e degli altri inquinanti e di promuovere fonti e tecnologie pulite che consentano al nostro paese di rispettare parametri di inquinamento e obiettivi energetici sottoscritti a livello internazionale.
Purtuttavia bisogna rilevare come non rientri nelle competenze del ministero dell'ambiente stabilire le scelte energetiche dei singoli operatori.
A tale riguardo però bisogna notare come in data 15 gennaio 2007 la regione Calabria, l'amministrazione provinciale di Cosenza ed il comune di Rossano hanno raggiunto sulla questione una «intesa sostanziale», con la quale è stato confermato quanto sottoscritto dai predetti 57 sindaci e sancito l'impegno ad operare per la difesa e lo sviluppo del territorio del Nord Est Calabria.
L'auspicio è che l'Enel recepisca le istanze degli enti locali e presenti alla valutazione della mia struttura un progetto di riconversione che vada nella direzione della sostenibilità e del rispetto dell'ambiente.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Alfonso Pecoraro Scanio.

FERDINANDO BENITO PIGNATARO. - Al Ministro della infrastrutture. - Per sapere - premesso che:
la costruzione della diga sull'Alto Esaro, considerata dalla Regione Calabria

opera strategica per lo sviluppo dell'intero territorio calabrese, rischia di risultare l'ennesima opera incompiuta nonostante i finanziamenti impegnati tutt'ora disponibili e destinati ad essere revocati a causa del blocco dei lavori con gravi conseguenze per l'intera provincia di Cosenza e la Calabria tutta;
la prospettiva della diga con le sue opere collaterali e le necessarie infrastrutture (due centrali idroelettriche, la grande centrale di potabilizzazione e il collegamento con l'acquedotto Abatemarco, la sistemazione dell'asta fluviale, i nuovi impianti centralizzati per lo smaltimento delle acque dei centri urbani ecc...) rischia di scemare da quando l'8 marzo scorso, in conseguenza dell'azione giudiziaria sono stati a più riprese sequestrati i cantieri e i progetti;
il «sequestro dei progetti» determina pertanto il perdurare del fermo cantiere, per il quale la ditta «Torno» ha posto legittime ed inoppugnabili riserve per 250 mila euro al mese che gravano sul bilancio regionale, oltre a non permettere la ripresa dei lavori e la possibilità di impegnare le somme, peraltro già disponibili, per i lavori aggiuntivi di realizzazione della galleria di derivazione e la centrale idroelettrica di Malvito in attesa di poter essere appaltato;
il blocco dei lavori compromette non solo seriamente lo sviluppo strategico dell'area, ma rappresenta anche un grave problema occupazionale, in quanto oltre ai circa 80 posti di lavoro persi con i licenziamenti a causa dell'impossibilità di riprendere i lavori, si mettono repentaglio i 120 milioni di euro per la costruzione dello sbarramento della grande diga di 110 milioni di metri cubi che rappresenterebbe il più grande serbatoio idrico d'Europa che a pieno regime impegnerebbe oltre 350 nuovi operai;
la mancata ripresa dei lavori si rivelerebbe un terribile danno alle prospettive di crescita economica e sociale di tutta la Calabria legate alle centrali idroelettriche e al potenziamento degli impianti ed utenze irrigue della Sibaritide e dell'Alto Ionio, oltre che per la stessa area dell'Esaro, comportando contemporaneamente il venir meno delle prospettive di approvvigionamento idrico per Cosenza e buona parte dei comuni di tutta la provincia cosentina;
la ripresa dei lavori consentirebbe di evitare il rischio di perdere definitivamente i finanziamenti necessari per la realizzazione dell'opera, causando irreparabili danni alla collettività calabrese che già di per sé vive il dramma occupazionale oltre ad uno scarso sistema infrastrutturale -:
se il Ministro sia a conoscenza di quanto su esposto;
quali iniziative, con urgenza, intenda intraprendere per dare risposte concrete ai cittadini calabresi che attendono da anni la realizzazione della diga, che consentirebbe alla Calabria intera di far fronte a emergenze di varia natura, garantendo anche l'approvvigionamento idrico di un territorio che spesso soffre, soprattutto nei mesi estivi, per la penuria d'acqua.
(4-03990)

Risposta. - In riferimento all'interrogazione in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
Si premette innanzitutto che non rientrano nelle competenze del Registro Italiano Dighe gli aspetti amministrativi della realizzazione in corso della diga sull'Alto Esaro limitandosi dette competenze ai soli aspetti tecnici connessi con la salvaguardia della pubblica incolumità soltanto con il concessionario della risorsa idrica (la Regione Calabra) e con il soggetto attuatore (SoRiCal - società mista a partecipazione regionale maggioritaria) cui compete la gestione realizzativa delle opere e del relativo appalto.
Per ogni utile informazione, il Registro Italiano Dighe ha fornito i seguenti elementi informativi.
Il progetto esecutivo della diga in calcestruzzo a gravità sull'Alto Esaro venne approvato con voto n. 352 del 28 giugno 1979 della IV Sezione del Consiglio superiore

dei lavori pubblici e, successivamente, dalla Delegazione Casmez con voto n. 36 del 24 ottobre 1979 con la prescrizione di realizzare il modello idraulico degli scarichi e delle opere a valle.
Con voto n. 136 del 19 novembre 1980 le sezioni II e IV del Consiglio Superiore dei lavori pubblici riunite, approvarono il progetto esecutivo dei canali di gronda da allacciare all'invaso, con la prescrizione di uno studio programmatico delle utenze a valle in aggiornamento del richiamato piano generale di irrigazione; tale studio si concluse con il progetto generale di massima «Piano Crati» che venne poi approvato dal predetto organo tecnico con voto n. 261 del 22 febbraio 1985.
La consegna dei lavori avvenne nel settembre 1983 e i lavori in corrispondenza dell'imposta diga iniziarono nel 1986.
A seguito del dissesto avvenuto il 15 dicembre 1987 a valle diga, a scavi praticamente ultimati, i lavori stessi furono sospesi in data 30 marzo 1988 e venne quindi dato corso a una serie di indagini affidate all'ISMES che si conclusero con una rielaborazione progettuale, denominata «VIII perizia» che fu oggetto di tre successivi voti del Consiglio superiore dei lavori pubblici n. 511 del 25 gennaio 1990, n. 178 del 30 maggio 1991 e n. 393 del 26 settembre 1991.
Detti voti, sulla base del fatto che il dissesto non aveva interessato la fondazione della diga, confermarono la fattibilità dell'opera, con puntuali prescrizioni relative, soprattutto, agli interventi di sistemazione a valle della spalla sinistra ed alla necessità di ripetizione del modello idraulico degli scarichi; ne derivò inoltre una risagomatura del corpo diga con un maggiore volume di circa 300.000 mq, per un totale quindi di 1,3 milioni di mq.
La regione, nelle more dell'esecuzione dell'intera opera per la quale il finanziamento assentito risultava oramai insufficiente, procedette quindi, nella necessità di sanare quantomeno lo stato del territorio nella zona di imposta della diga, ad un progetto di «messa in sicurezza» Detto progetto, a stralcio della «VIII perizia» sopra menzionata, è stato approvato dal CTR con parere n. 451 del 27 giugno 2001 ed oggetto di contratto con l'impresa Torno Internazionale S.p.A. nel novembre 2002; direttore dei lavori è stato nominato il coprogettista ing. Alberto Trevisan e la consegna lavori è avvenuta il 15 febbraio 2003.
I lavori prevedono l'esecuzione di alcune opere contemplate nell'originario progetto esecutivo approvato, a meno di modesti aggiustamenti, il cui criterio ispiratore è sinteticamente riferibile al ripristino, mediante getto basale di calcestruzzo, del carico litostatico tolto, essendo stata esclusa già dalle precedenti indagini (anni 1988-1991) ogni interferenza del dissesto con la fondazione diga; a ciò si aggiungono il completamento degli interventi sul dissesto ed altre opere sussidiarie a valle diga.
Nel frattempo si era sviluppata in sede regionale una ipotesi di ridimensionamento dell'opera, senza peraltro alcun interessamento formale del Servizio Nazionale Dighe/RID.
A seguito della delibera di giunta n. 1159 del 2002, la regione Calabria, nel riprogrammare il volume di invaso nella originale dimensione di 102 milioni di metri cubi ha chiesto al progettista e direttore dei lavori di contemperare le lavorazioni già in appalto con le riprogrammate esigenze regionali espresse dalla giunta; la direzione lavori ha quindi redatto una perizia di variante tecnica (stralcio funzionale della VIII Perizia messa in sicurezza dell'opera - perizia di variante tecnica gennaio 2005).
Con detta perizia di variante è stato sostanzialmente previsto:
il completamento, con alcune modifiche esecutive, degli interventi di consolidamento del versante in spalla sx. (effettuati, come prima fase, nel 1993-1995);
l'esecuzione di parte del corpo diga, limitatamente ai conci centrali (nn. 5-6-7-8 e nn. 4-9) fino ad una quota max di 312 m slm (quota avandiga = 313 m slm), con ciò articolando diversamente i getti di calcestruzzo rispetto al getto continuo lungo l'intera imposta previsto negli appaltati lavori di «messa in sicurezza»;

una maggiore curvatura del corpo diga, ferma restando l'imposta in dx e con spostamento verso valle di circa 29,5 m dell'imposta in sx, nonché il serraggio dei giunti fra i conci del corpo diga;
l'adeguamento della vasca di dissipazione, e della successiva restituzione in alveo, alle risultanze dell'effettuato modello idraulico;
nuova strumentazione di controllo della diga, dei fronti di scavo e del versante in spalla sx.
La perizia, contiene altresì gli studi relativi ai calcestruzzi da utilizzare per la costruzione dello sbarramento, peraltro non ancora esaustivi, e i dettagli esecutivi dei cementi armati relativi ai manufatti della vasca di dissipazione e delle opere di protezione dell'alveo a valle.
Con nota n. RID/6083 del 13 luglio 2005 il RID ha trasmesso la perizia, per esame e parere, alla Presidenza del Consiglio Superiore dei lavori pubblici.
La IV sezione del Consiglio medesimo, con nota n. 419 del 15 settembre 2005, ha ritenuto necessario, per il proseguimento dell'avviata attività istruttoria, acquisire le seguenti integrazioni:
elaborazioni idrologiche relative ai bacini idrografici da allacciare con canali di gronda;
risultati delle indagini delle prove in sito sui grandi elementi di calcestruzzo, con previsione delle caratteristiche meccaniche a trazione;
illustrazione delle modalità di esecuzione dei getti di cls: periodo-stagione dell'inizio dei getti e tempistica della ripresa dei getti stessi;
rapporti sulle analisi termoelastiche condotta per l'opera;
ulteriori verifiche statiche e dinamiche del corpo diga indicato in perizia, anche con riguardo agli effetti di incremento della curvatura rispetto all'asse della diga sulle sollecitazioni indotte sulle spalle, in relazione al previsto serraggio dei giunti.

Parimenti la IV Sezione ha ritenuto pure «utile» acquisire informazioni, da parte del CTR Calabria, sullo stato di acquisizione dei finanziamenti dell'opera, nel suo complesso, ciò al fine di evitare una ulteriore esecuzione di opere, con particolare riferimento al corpo diga, per stralci.
Dette richieste sono state inoltrate dal RID, con nota 8291/UCPL del 16 settembre 2005, al soggetto attuatore.
In riferimento a quanto chiesto, l'assessore ai lavori pubblici della regione Calabria, con nota n. 1345 del 20 ottobre 2005, ha confermato al RID l'avvio delle attività progettuali volte a fornire le integrazioni e i chiarimenti sopra richiamati. Nel contempo ha pure confermata la fase di acquisizione dei fondi necessari per il completamento, in continuità, dell'intera opera nella configurazione originaria approvata (V=102x106 mq), preannunciando peraltro possibili conseguenti modificazioni ed integrazioni della perizia stessa.
Stante il tempo trascorso, con nota n. 592 dell'8 dicembre 2005, la IV Sezione ha restituito al RID gli elaborati di perizia, in attesa dell'invio della richiesta documentazione integrativa, che peraltro è stata dal RID più volte sollecitata al soggetto attuatore/concessionario e, quindi, non essendo pervenuti gli elaborati integrativi richiesti, formalmente restituita con nota n.RID/2170/UCPI. del 23 febbraio 2006.
Nel frattempo risulta intervenuto un contenzioso tra la curatela fallimentare del progettista originario e il Concessionario, relativo alla piena disponibilità del progetto.
Con nota n. 201 dell'11 gennaio 2006 la SoRiCal ha comunicato al RID il subentro, nelle more della definizione del contenzioso di cui sopra, del dottor ingegnere Domenico Barrile quale nuovo direttore dei lavori, in sostituzione del dottor ingegnere Alberto Trevisan.
La SoRiCal, con nota n. 2797 del 5 aprile 2006, ha trasmesso al RID l'aggiornamento della perizia di variante tecnica datato marzo 2006 ed a firma del RUP dottor ingengere F. Bajetti e del subentrato direttore dei lavori dottor ingegnere D. Barrile. Con successiva nota n. 4634 del 29

maggio 2006, la SoRiCal ha trasmesso ulteriori elaborati di dettaglio ad integrazione di quelli in precedenza trasmessi, in cui peraltro si specifica che gli interventi di mitigazione ambientale, genericamente indicati nell'aggiornamento della perizia di variante, vengono rimandati ad una successiva fase progettuale.
Detto aggiornamento, nel ritenere opportuno eseguire il corpo diga di calcestruzzo senza soluzioni di continuità, rimanda ad una fase successiva gli aspetti tecnici connessi con la costruzione del corpo di sbarramento vero e proprio e pertanto affronta nello specifico esclusivamente gli aspetti connessi con la vasca di dissipazione, con il consolidamento del dissesto in sponda sinistra, ivi compresa la relativa strumentazione di controllo.
Il RID ha istruito l'aggiornamento della perizia di variante e ha ritenuto che gli elaborati presentati (che peraltro prevedono una serie di opere nel frattempo già eseguite), costituiscano un adattamento alle effettive condizioni dei luoghi, resi accessibili con l'inizio delle lavorazioni che hanno pertanto reso possibile determinare l'esatta configurazione geometrica dei fronti di scavo, nonché alle risultanze delle prove si modello fisico eseguite per la verifica della funzionalità del complesso organi di scarico e di dissipazione.
Con nota n. 5531/UCPL del 26 giugno 2006 ha pertanto approvato con prescrizioni e sotto il profilo esclusivamente tecnico, la perizia di variante «aggiornamento marzo 2006», con valenza di approvazione in sanatoria per quanto nel frattempo eseguito.
Con nota n. 803 del 9 ottobre 2006, l'Ufficio periferico di Catanzaro del RID ha trasmesso alla centrale la perizia di variante tecnica n. 3, a firma del RUP ingegnere F. Bajetti e dell'ingegnere D. Barrile.
Con successiva nota n. 4592 del 15 novembre 2006, la regione Calabria, nel confermare l'opera di sbarramento sull'Alto Esaro di interesse strategico, ha espressamente rappresentato l'opportunità di eseguire i lavori dello sbarramento senza soluzioni di continuità.
Conseguentemente ha rimandato ad un progetto aggiornato e di completamento la definizione degli aspetti tecnici relativi alla struttura dello sbarramento medesimo, chiesti in sede di istruttoria della perizia di variante tecnica (gennaio 2005) dal CSLLPP, (nota n. 419 del 15 settembre 2005). Nelle more di tali definizioni la regione ha pertanto indirizzato la SoRiCal a dare corso alla fase progettuale di completamento dei soli lavori accessori allo sbarramento, «comunque necessari alla messa in sicurezza dell'opera e della vallata», nel cui ambito devono essere inquadrati anche i lavori connessi con la realizzazione della strada di accesso al fondo diga di cui alla perizia n. 3, che «sotto il profilo del cantiere deve essere comunque realiz-Zata prima della costruzione dello sbarramento».
Il RID ha istruito la perizia di variante e, con nota RID/12393/UCPL del 27 novembre 2006, ha approvato gli elaborati, con prescrizioni, per quanto di competenza.
A seguito dell'ordinanza del 7 marzo 2007 della procura della Repubblica presso il tribunale di Castrovillari, generata da un contenzioso fra il curatore fallimentare del progettista originario dell'opera e la stazione appaltante e relativa ad oneri e titolarità della progettazione, i lavori di costruzione delle opere sono stati sospesi.
In data 28 giugno 2007 i lavori sono poi formalmente ripresi, come da comunicazione 5197 del 1o luglio 2007 della So.Ri.Cal, con il contestuale dissequestro degli elaborati progettuali relativi alla costruzione delle opere complementari alla diga, e facenti parte delle richiamate perizie di variante approvate nn. 2 e 3.

Il Ministro delle infrastrutture: Antonio Di Pietro.

RAMPELLI. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. - Per sapere - premesso che:
nelle ultime settimane sono stati avvelenati quattordici grifoni nel parco regionale Sirente-Velino e nella riserva naturale del monte Velino;
i grifoni facevano parte di una colonia di circa un centinaio di esemplari

reintrodotti nell'Appennino centrale nell'ambito delle iniziative per la ricostituzione delle reti alimentari (trofiche) necessarie al riequilibrio degli ecosistemi naturali;
i rilievi compiuti per individuare le cause effettive della morte non si sono ancora conclusi ma gli elementi sinora raccolti confermano l'impiego di bocconi avvelenati;
la preoccupazione è che possano essere avvelenate altre specie a rischio, in particolare orsi, lupi e aquile reali;
soprattutto per i grandi rapaci il pericolo sembra davvero consistente: al momento, infatti, le aquile reali censite nel parco abruzzese sono soltanto tre;
sempre nella giornata del 6 marzo, la carcassa di un lupo è stata rinvenuta dagli agenti del Corpo forestale nel comune di Ortona dei Marsi, in un'area contigua del Parco nazionale d'Abruzzo, Lazio e Molise;
dai primi accertamenti, non presentando segni esterni imputabili all'impatto con un convoglio ferroviario e non avendo sul corpo fori da arma da fuoco, si presuppone che l'esemplare - una femmina di circa due anni - possa essere stato avvelenato;
sarebbe il secondo ritrovamento di lupo avvelenato nella zona dopo un primo caso risalente al 18 febbraio scorso;
questi recenti e ripetuti episodi dimostrano che è sempre più frequente l'usanza criminale di spargere esche trattate con veleno;
tali atti criminosi si sono intensificati facendo assumere al fenomeno dimensioni preoccupanti -:
se non ritenga opportuno intervenire con urgenza al fine di individuare i responsabili della preparazione e dispersione nel territorio di bocconi avvelenati e perché ad essi siano comminate pene efficaci;
se non ritenga opportuno, per quanto di sua competenza, incrementare la sorveglianza all'interno delle aree protette abruzzesi, potenziando e valorizzando al tempo stesso le attività del Corpo forestale dello Stato;
quali ulteriori provvedimenti intenda adottare al fine di tutelare le specie a rischio di estinzione, nel rispetto di quanto stabilito dalle leggi vigenti e dalla normativa comunitaria e internazionale.
(4-02857)

Risposta. - L'interrogazione in esame riguarda l'incremento della sorveglianza delle aree protette abruzzesi, a seguito del rinvenimento di numerosi grifoni trovati morti avvelenati nel Parco Sirente-Velino e nella riserva naturale del monte Velino.
La direzione per la protezione della natura del ministero dell'ambiente, ha riferito quanto segue:
Il Parco regionale Sirente Velino è un importante elemento di congiunzione tra i Parchi Nazionale del Gran Sasso Monti della Laga e d'Abruzzo. Questi siti hanno in comune il grande elemento di biodiversità determinato dalla presenza dei grandi mammiferi e dei grandi rapaci. Una volta, quando esisteva una più intensa attività pastorizia, erano presenti anche i grifoni. Per questa ragione, tali uccelli, pressoché scomparsi sono stati faticosamente reintrodotti attraverso la profusione di risorse umane e finanziarie ad opera di questo dicastero e del Corpo Forestale dello Stato.
La descrizione che segue è una sintesi delle informazioni pervenute dall'Ente Parco Regionale del Sirente Velino e dal responsabile del CFS.
Occorre premettere che i bocconi avvelenati rinvenuti erano tutti trattati con prodotto a base di
Aldicarb, un carbammato insetticida nematocida utilizzato localmente nella difesa delle colture agricole del Fucino, la cui vendita è consentita solo presso i rivenditori autorizzati a soggetti provvisti di tesserino autorizzativo.
Tali bocconi, che formulati con residui di macellazione sono stati dispersi in diversi periodi e nella zona degli alti pascoli, forse approfittando anche della facile accessibilità

dei siti, dovuta anche alla scarsità di neve che si è verificata in questa stagione, non risulterebbero destinati a tali uccelli giacché predatori di esemplari morti, ed in questo caso utili spazzini, ma verso i grandi mammiferi frequentatori della zona (lupi e raramente orsi) che più spesso sono soliti attaccare il bestiame che è lasciato allo stato brado. Occorre segnalare, tra l'altro che lo scorso autunno è stata denunciata la morte per la stessa causa di tre cani pastori.
Questo ministero ha immediatamente attivatato il Nucleo operativo ecologico per l'individuazione dei responsabili e il Corpo forestale de l'Aquila ha svolto prontamente le indagini il cui fascicolo è attualmente depositato presso il tribunale ma trattandosi di indagine ancora in corso la stessa risulta coperta dal segreto istruttorio.
Il Corpo forestale dello Stato ha individuato sia in Abruzzo che in altri settori del territorio nazionale l'utilizzo delle esche avvelenate come uno dei principali fattori di minaccia in grado anche di condizionare la dinamica naturale delle popolazioni di fauna selvatica per le specie più rare come l'orso.
In tale situazione il Corpo forestale dello Stato ha costituito uno specifico gruppo di lavoro, con la supervisione affidata al Comando regionale dell'Aquila, demandato al coordinamento di azioni di controllo del territorio con specifico riferimento ad un programma finalizzato alla prevenzione ed alla repressione dell'utilizzo di sostanze avvelenate. A tale fine è attivo un «data base» che consente la ricostruzione del sistema di vendita e di acquisto dei prodotti tossici.
I recenti episodi del Velino, hanno comunque determinato un aumento della soglia di attenzione del personale del Corpo forestale dello Stato con un'intensificazione dei servizi mirati alla prevenzione e repressione della detenzione e del commercio illegale di sostanze velenose. Sono stati effettuati controlli, perquisizioni e comminate sanzioni.
Risulta tuttavia evidente la difficoltà di comprovare le responsabilità individuali soprattutto laddove i casi di avvelenamento, come quello del Velino, determinano un numero così ingente di decessi di fauna selvatica su superfici di tale vastità.
Il Corpo forestale dello Stato continuerà a garantire il proprio impegno volto alla tutela della fauna nel rispetto della normativa vigente. È tuttavia essenziale che da tutti gli enti coinvolti nella gestione del territorio vengano sostenuti programmi mirati di educazione e di sensibilizzazione delle popolazioni locali con particolare riferimento verso coloro che operano negli ambienti rurali creando così una maggiore consapevolezza sulla gravità dei danni collaterali arrecati dall'utilizzo dei veleni soprattutto su specie animali innocue per l'uomo e per le sue attività economiche.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Alfonso Pecoraro Scanio.

SGOBIO. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
venerdì 27 ottobre 2006, come ampiamente riportato dalla stampa locale, si è avuta l'emissione di una densa nube di fumo dal nucleo industriale di Termoli (Campobasso), una nube più intensa rispetto alla solita emissione della zona industriale;
nelle aree limitrofe e nella stessa cittadina di Termoli molti cittadini hanno accusato bruciore agli occhi e secchezza delle labbra, sintomi che non compaiono mai quando solitamente si avvertono cattivi odori provenienti dalla zona industriale;
non è la prima volta che tali fenomeni accadono nel nucleo industriale di Termoli, infatti si sono più volte attivate le istituzioni locali adibite al controllo ambientale e al rispetto della salute dei cittadini ma, sino ad oggi, con risposte non chiare per la cittadinanza su tale fenomeno -:
se non ritengano urgente avviare un'indagine su tali vicende al fine di

verificare se, come denunciato da associazioni di cittadini, esse possano comportare danni alla salute, alla qualità dell'aria e all'agricoltura;
se le emissioni di fumi e vapore non stiano creando una modifica del microclima;
se risulti ai ministri interrogati che la regione Molise e la provincia di Campobasso abbiano richiesto alla direzione della centrale a Turbogas e del Consorzio industriale di realizzare misure di compensazione ambientale.
(4-01475)

Risposta. - L'interrogazione in esame, fa riferimento ad una possibile situazione di inquinamento atmosferico, di rischio sanitario e di alterazione del microclima collegata alle emissioni prodotte dalle attività industriali presenti nel nucleo industriale di Termoli, che hanno provocato allarme e disagi per i cittadini. In particolare nell'atto ispettivo è segnalata, in data 27 ottobre 2006, la presenza di una nube densa di fumo proveniente dal nucleo industriale che ha generato grande preoccupazione tra la popolazione residente e le amministrazioni.
La direzione per la salvaguardia ambientale, di questo Ministero, che ha provveduto ad elaborare una relazione sulla base delle informazioni fornite dal comune di Termoli, dalla provincia di Campobasso, dalla prefettura di Campobasso e dalla Agenzia regionale per la protezione dell'ambiente della regione Molise (di seguito ARPA), ha riferito quanto segue.
«Per quanto attiene il primo quesito posto dall'interrogante, ovvero se non si ritenga urgente avviare un'indagine su tali vicende, dall'analisi della documentazione pervenuta risulta che, relativamente all'evento occorso in data 27 ottobre 2006, i tecnici dell'ARPA hanno verificato trattarsi di una colonna di vapore acqueo emessa dalle torri di raffreddamento della centrale turbogas gestita dalla società Energia SpA, e che la formazione della nube era da correlarsi alle particolari condizioni meteoclimatiche che non hanno consentito il disperdersi del vapore in atmosfera. I successivi controlli e la verifica delle registrazioni in continuo delle emissioni in atmosfera non hanno evidenziato non conformità, anomalie o superamento dei limiti di emissioni in atmosfera previsti dalla normativa vigente ed hanno escluso conseguenze nocive del fenomeno per la popolazione. Si segnala che i dati rilevati dalle stazioni della rete regionale di monitoraggio della qualità dell'aria, riportati nel rapporto ARPA contestualmente all'esito dei sopralluoghi, mostrano, in corrispondenza del suddetto evento, superamenti del valore limite giornaliero del PM10 nei giorni 27, 28 e 29 ottobre.
Si precisa che la centrale turbogas è ubicata nell'area industriale del Consorzio di Industrializzazione della Valle del Biferno ed è specializzata nella produzione di energia elettrica. Tale processo produttivo è realizzato mediante un ciclo combinato in cui concorrono tre turbine, di cui due gemelle denominate «GT1» e «GT2» ed una a vapore. L'esercizio di detto impianto è soggetto alle prescrizioni contenute nel decreto di autorizzazione n. 55/01/2002 del 6 dicembre 2002 rilasciato dal ministero delle attività produttive e nel decreto di compatibilità ambientale n. DECNIA/7584 del 3 settembre 2002. La centrale a cielo combinato è entrata a regime in data 13 settembre 2006.
Ancora in relazione al primo quesito, si informa che altri controlli alle emissioni in atmosfera derivanti dal ciclo produttivo della turbogas sono stati effettuati dai tecnici dell'ARPA al fine di verificare alcune segnalazioni:
In data 7 novembre 2006, a seguito di una segnalazione pervenuta dalla centrale turbogas relativa ad un inconveniente tecnico, i tecnici dell'ARPA hanno constatato che la turbina GT1 operava al di sotto del minimo tecnico e per questo motivo è aumentata la concentrazione degli ossidi di azoto emessi creando emissione di fumi di colore giallastro. Dall'esame delle registrazioni in continuo sono stati rilevati superamenti dei valori limite di concentrazione, rispetto all'autorizzazione, per gli ossidi di azoto, espressi come biossido, e per il monossido di carbonio. La durata stimata

dell'inconveniente è stata pari a 14 minuti. Il giorno successivo sono state condotte verifiche tecniche e rilievi strumentali ai punti di emissione GT1 e GT2 e i risultati di tali accertamenti hanno dimostrato il rispetto dei limiti prescritti nell'autorizzazione. L'analisi dei dati rilevati dalle stazioni della rete di monitoraggio della qualità dell'aria non hanno segnalato superamenti. La soc. Energia Molise, in relazione all'accaduto, specifica che, a causa di un'anomalia ad una valvola di un sistema ausiliario, la turbina a gas 1, che marciava al di sopra del minimo tecnico rispettando i limiti di legge, ha eseguito una riduzione automatica di carico al di sotto del minimo tecnico (da 250 a 20 MW). Nell'occasione la società ritiene di aver operato secondo quanto previsto dalla normativa vigente, con particolare riferimento all'articolo 271, comma 14, del decreto legislativo 152/2006 (valori limite di emissione e prescrizioni), attivandosi per individuare e risolvere in pochi minuti l'anomalia del sistema ausiliario, attuando immediatamente le procedure per la ripresa di carico della turbina 1, ed informando tempestivamente l'ARPA. Tale convinzione è condivisa dall'ARPA. Si riporta per completezza quanto previsto dall'articolo sopracitato: Salvo quanto diversamente stabilito dalla parte quinta del presente decreto, i valori limite di emissione si applicano ai periodi di normale funzionamento dell'impianto, intesi come i periodi in cui l'impianto è in funzione con esclusione dei periodi di avviamento e di arresto e dei periodi in cui si verificano guasti tali da non permettere il rispetto dei valori stessi. L'autorizzazione può stabilire specifiche prescrizioni per tali periodi di avviamento e di arresto e per l'eventualità di tali guasti ed individuare gli ulteriori periodi transitori nei quali non si applicano i valori limite di emissione. Se si verifica un guasto tale da non permettere il rispetto di valori limite di emissione, l'autorità competente deve essere informata entro le otto ore successive e può disporre la riduzione o la cessazione delle attività o altre prescrizioni, férmo restando l'obbligo del gestore di procedere al ripristino funzionale dell'impianto nel più breve tempo possibile. Il gestore è comunque tenuto ad adottare tutte le precauzioni opportune per ridurre al minimo le emissioni durante le fasi di avviamento e di arresto. Sono fatte salve le diverse disposizioni contenute nella parte quinta del presente decreto per specifiche tipologie di impianti. Non costituiscono in ogni caso periodi di avviamento o di arresto i periodi di oscillazione che si verificano regolarmente nello svolgimento della funzione dell'impianto.
In data 15 dicembre 2006, a seguito della segnalazione pervenuta dalla ditta in data 13 dicembre 2006 (secondo le procedure previste nel protocollo di intesa tra Regione Molise, provincia di Campobasso ed Energia Molise SpA, circa le segnalazioni di superamento dei limiti di emissione in atmosfera) relativa ad un temporaneo superamento della concentrazione consentita di monossido di carbonio (CO) emesso, conseguente ad una anomalia di funzionamento individuata dal personale della centrale e rapidamente rimossa, i rilevamenti delle emissioni in atmosfera, che hanno interessato il solo punto di emissione relativo alla turbina denominata GTI, hanno evidenziato che i valori dei parametri erano contenuti entro i limiti imposti sia dalla vigente normativa sia dall'atto autorizzativo n. 55/01/2002.
Controlli alla centrale turbogas sono stati effettuati dai tecnici ARPA, a seguito di segnalazioni, anche nei giorni 10 e 11 gennaio 2007. I risultati analitici, sia sulla base dei dati forniti dal sistema di monitoraggio continuo asservito ai camini di emissione e sia dalle misure esperite direttamente dal personale, non hanno evidenziato situazioni di non conformità rispetto alla normativa vigente.
In loco è stata riscontrata la presenza della nube di vapore acqueo emessa dalle tori di raffreddamento della centrale.

Da quanto esposto, anche alla luce dei molti controlli che hanno avuto esito negativo, si ritiene che il funzionamento della centrale, desumibile dall'analisi degli elementi informativi trasmessi, sia rispondente

a quanto prescritto nell'atto autorizzativo e a quanto previsto dalla normativa vigente.
Con riferimento al secondo quesito posto dall'interrogante, ovvero ad un'eventuale modifica del microclima correlata con il fenomeno di emissioni di fumi e vapore, si ricorda che tale eventualità è stata oggetto di studio nell'ambito della valutazione di impatto ambientale. A tal proposito nel decreto di pronuncia di compatibilità ambientale n. DEC/VIA/7584 del 3 novembre 2002 è riportato quanto segue: «Per quanto riguarda il drift deposition dalle torri di raffreddamento, la stima della ricadute al suolo di gocciolane di H2O con riferimento alle effettive condizioni meteorologiche locali è stata effettuata utilizzando il modello ISC3 Long Term su base annuale. All'esterno dell'impianto la ricaduta risulta poco significativa: in corrispondenza della strada adiacente (viabilità interna all'area industriale) la deposizione annuale stimata è di circa 300 kg/m2 (inferiore a 1 mm/giorno). Si ricorda che la simulazione effettuata è cautelativa poiché trascura l'effetto di evaporazione del drift. Per quanto concerne la ricaduta al suolo di H2O sotto forma di vapore con conseguente formazione di nebbie, sono state eseguite diverse simulazioni della situazione post operam. I nuovi casi di nebbia sono per la maggior parte relativi al mese di agosto e sono localizzati ira un punto nelle immediate vicinanze della centrale. Nel punto di maggior ricaduta media annuale si registrano solamente 2 nuovi casi orari di nebbia (durata di un'ora ciascuno). Per tale punto è stato determinato l'incremento mensile dell'umidità relativa nell'anno di riferimento (modello di diffusione). Si può notare che la variazione di umidità dell'aria in conseguenza dell'attività della Centrale risulta più evidente nei mesi estivi. L'incremento medio mensile risulta molto limitato e raggiunge il suo valore massimo in agosto passando dall'87,0 per cento all'87,5 per cento».

Con riferimento all'ultimo quesito presentato nell'interrogazione parlamentare, ovvero all'eventuale richiesta alla direzione della centrale turbogas di Termoli e del Consorzio industriale di realizzare misure di compensazione ambientale, al riguardo si fa presente che, relativamente alle opere di mitigazione e compensazione richieste dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare in sede di giudizio di compatibilità ambientale, vi è la formalizzazione, antecedente all'entrata in funzione della centrale, di accordi per la cessione del calore. Energia SpA ha inviato, nel mese di dicembre 2005, proposta formale di accordo alle società interessate ubicate nella Valle del Biferno. A tale proposta ha dato seguito positivo la società Flexsys con la quale è stato stipulato in giugno 2006 un accordo che prevede, entro un anno dalla stipula dello stesso, la fornitura di vapore a bassa pressione di 4-8 t/h.
Si precisa inoltre che, essendo l'esercizio della centrale turbogas soggetto a determinate prescrizioni contenute nel decreto di compatibilità ambientale, è in corso di verifica da parte del ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per gli elementi di competenza, la verifica di ottemperanza alle predette prescrizioni.
Si informa infine che, per acquisire elementi utili all'elaborazione della relazione tecnica, la divisione IV inquinamento atmosferico e mobilità sostenibile - di questa direzione, ha richiesto alla regione e alle amministrazioni competenti le informazioni disponibili in merito alle attività produttive, diverse dalla centrale turbogas, che possono generare impatti negativi sulla qualità dell'aria della zona circostante, con particolare riferimento al numero e alla tipologia degli stessi. Sono inoltre stati richiesti i dati e le informazioni relativi alla qualità dell'aria e alla situazione autorizzatoria e di esercizio degli impianti ricadenti nel nucleo industriale di Termoli ed i limiti di emissione in atmosfera previsti dagli atti autorizzativi.
In particolare, allo scopo di verificare se gli impianti rispettano i limiti di emissione, sono state richieste informazioni relative alla realizzazione di controlli o specifiche campagne di monitoraggio delle emissioni in atmosfera, sia convogliate che diffuse, provenienti dai sopraccitati impianti.

Le informazioni richieste eventualmente inviate dalla regione e dalle altre amministrazioni competenti saranno trasmesse a codesta direzione non appena disponibili.
Ad ogni buon conto si sottolineano alcune iniziative del comune di Termoli che si evincono dal verbale di deliberazione della giunta comunale di Termoli a seguito dell'evento del 27 ottobre. Risulta la volontà di:
avvalersi di consulenza specialistica con riferimento ai mutamenti microclimatici;
creare, di concerto con i comuni limitrofi e con i livelli di governo sopraordinati, un coordinamento interistituzionale per il monitoraggio della fenomenologia;
impegnare l'Arpa Molise-Termoli a una reperibilità h24;
individuare consulenti per la partecipazione al tavolo tecnico con Sorgenia per l'abbattimento delle polveri sottili.

Da ultimo, si precisa, che per quanto riguarda l'applicazione del decreto legislativo n. 334 del 1999, «Attuazione della direttiva 96/82/CE relativa al controllo dei pericoli di incidenti rilevanti connessi con determinate sostanze pericolose», la Centrale in questione non risulta soggetta a tale normativa.
Nel territorio di Termoli sono presenti gli stabilimenti a rischio di incidente rilevante della Flexsys SpA, della Fis Fabbrica Italiana Sintetici SpA e della Ge Specialties Srl, soggetti agli obblighi di cui all'articolo 8 del sopracitato decreto.
In relazione a tali stabilimenti si forniscono nel seguito gli elementi informativi disponibili sull'applicazione delle misure di controllo previste dalla legge.
Per tutti gli stabilimenti risultano avviate le istruttorie tecniche sui Rapporti di Sicurezza da parte del Comitato Tecnico Regionale (CTR) per il Molise, le istruttorie tecniche per il riesame quinquennale dei Rapporti di Sicurezza. Risultano precedentemente concluse le istruttorie tecniche per la valutazione dei Rapporti di Sicurezza presentati dai gestori nell'anno 2000.
Gli stabilimenti sono stati sottoposti a diverse verifiche ispettive sui Sistemi di Gestione della Sicurezza, ai sensi dell'articolo 25 del decreto legislativo n. 334 del 1999. Allo stato attuale non risultano ispezioni in corso.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Alfonso Pecoraro Scanio.

VOLONTÈ. - Al Ministro per i beni e le attività culturali. - Per sapere - premesso che:
presso il Cimitero degli Allori di Firenze è stata tumulata la salma della scrittrice Oriana Fallaci, morta a Firenze il 15 settembre scorso;
senza ombra di smentita, la Fallaci è fra gli italiani che hanno dato maggior lustro al nostro Paese negli ultimi cento anni, sia come giornalista che come scrittrice;
oltre alla stato di abbandono in cui versa la tomba dopo solo poco più di due mesi, si deve registrare l'assenza di indicazioni utili a raggiungere il luogo dove è sepolta;
la memoria della scrittrice fiorentina meriterebbe una maggiore attenzione e non l'indifferenza con cui è stata lasciata dalla sua stessa città -:
quali provvedimenti intenda adottare per evitare lo stato di abbandono e trascuratezza in cui risulta attualmente la tomba e la stele che ricorda la scrittrice Oriana Fallaci.
(4-01724)

Risposta. - La tomba della scrittrice Oriana Fallaci è ubicata nel cimitero degli Allori in via Senese a Firenze.
Interventi tesi a preservare la tomba della nota scrittrice esulano dalle competenze della Soprintendenza per i beni architettonici e per il paesaggio e quella per il patrimonio storico, artistico ed etnoantropologico per le province di Firenze, Pistoia e Prato.


Tuttavia, si è provveduto a portare a conoscenza del sindaco della città di Firenze e del signor Guido Kraft, rappresentante del Comitato direttivo dei cimiteri evangelici di Firenze, la situazione.
Peraltro, giova ricordare che il Ministro per i beni e le attività culturali ha inaugurato il 29 giugno 2007, presso l'Istituto Italiano di Cultura a New York l'apertura del calendario di iniziative dedicate ad Oriana Fallaci con la mostra «Oriana Fallaci e l'America».
Il 29 giugno, ricorrenza della nascita della scrittrice, è la data emblematica attorno alla quale sono state avviate a New York le iniziative dedicate ad Oriana Fallaci con la proiezione di un documentario e l'inaugurazione di una mostra volte ad indagare il rapporto tra la scrittrice e l'America e di una giornata di studio internazionale.
La giornata di studio ha annoverato tra i relatori alcuni tra i più noti giornalisti americani e italiani e importanti personaggi internazionali dello spettacolo che sono stati vicini all'autrice sotto il profilo professionale e privato, i quali potranno mediante le loro preziose testimonianze comporre un quadro fedele e completo dello straordinario rapporto che nel tempo ha legato Oriana Fallaci agli Stati Uniti.
Il 13 settembre il Ministro per i beni e le attività culturali inaugurerà la mostra «ORIANA FALLACI. Intervista con la storia»; esposizione itinerante attraverso cui, ad un anno dalla morte della giornalista avvenuta il 15 settembre 2006, l'Italia e il mondo potranno ricordare la donna che ha fatto del coraggio e della passione armi di tutta una vita.
Nel prossimo mese di dicembre la stessa mostra sarà inaugurata a Roma presso le sale del Vittoriano.

Il Sottosegretario di Stato per i beni e le attività culturali: Danielle Mazzonis.

VOLONTÈ e VIETTI. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per le riforme e le innovazioni nella pubblica amministrazione, al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
ai sensi dell'articolo 97 comma 6 del decreto legislativo 267 del 2000, il rapporto di lavoro dei Segretari Comunali e Provinciali è disciplinato dai contratti collettivi, ai sensi del decreto legislativo 3 febbraio 1993 numero 29 e successive modifiche e integrazioni;
in occasione del primo contratto collettivo nazionale di lavoro di tale categoria, (quadriennio 1998-2001) la Presidenza del Consiglio dei ministri, con direttiva all'ARAN del 30 marzo 2000, aveva richiesto di «prevedere per il Segretario un trattamento economico non inferiore a quello dei dirigenti dell'ente, assumendosi come parametro di riferimento il trattamento economico per tali dirigenti previsto dal contratto collettivo»;
il contratto dei Segretari Comunali e Provinciali, stipulato il 16 maggio 2001 recepiva tale indicazione del Presidente del Consiglio dei ministri;
dopo tale data, non è stato ancora stipulato il contratto (peraltro già scaduto) relativo al quadriennio 2002-2005 e la categoria dei Segretari Comunali e Provinciali è l'unica, in tutto il pubblico impiego, a non avere ancora rinnovato il proprio contratto collettivo nazionale di lavoro;
alla data odierna, le trattative in corso all'ARAN sono in una fase di stallo, perché il Governo non vuole confermare per i Segretari Comunali e provinciali l'allineamento al trattamento economico della Dirigenza degli Enti Locali, peraltro già concesso nel lontano 2001;
tutta la categoria dei Segretari Comunali e Provinciali vive con enorme e comprensibile disagio questa mortificante situazione di incertezza e precarietà etutto ciò può avere gravi ripercussioni sul corretto funzionamento degli enti locali, per i quali questa; importante figura professionale costituisce indispensabile punto di riferimento -:
per quale motivo non sia stato ancora stipulato il contratto collettivo nazionale

di lavoro dei Segretari Comunali e Provinciali per il quadriennio 2002-2005 (che, si ribadisce ancora una volta, è già abbondantemente scaduto);
quali provvedimenti urgenti, e ormai non più rinviabili, intendano adottare per consentire all'ARAN di stipulare tale contratto, in tempi brevissimi, garantendo l'allineamento delle retribuzioni della categoria dei Segretari Comunali e Provinciali a quella dei dirigenti degli Enti Locali, allineamento, peraltro, già riconosciuto nel 2001.
(4-03339)

Risposta. - In riferimento all'interrogazione in oggetto, concernente la stipula del contratto collettivo nazionale di lavoro dei segretari comunali e provinciali, si rappresenta che, nell'ambito del ciclo negoziale relativo alla tornata contrattuale 2002-2005, ormai conclusosi sia per le aree della dirigenza sia per i comparti relativi ai dipendenti non dirigenti delle amministrazioni pubbliche, non si sono realizzate le condizioni per la sottoscrizione del contratto dei segretari comunali e provinciali.
In particolare, atteso che le leggi finanziarie degli anni 2001 e seguenti hanno autorizzato un incremento delle retribuzioni pari a 5,66 per il biennio 2002-2003 ed al 5,01 per cento) per il secondo biennio 2004-2005, le richieste di riallineamento avanzate in ordine alla retribuzione dei segretari comunali e provinciali non hanno potuto trovare adeguata copertura finanziaria, in quanto le istanze di parte sindacale sono risultate eccedenti rispetto ai limiti di incremento delle retribuzioni pubbliche definiti dalle leggi finanziarie nel periodo contrattuale di riferimento.
Ad ogni modo, al fine di superare le suddette difficoltà economico-finanziarie e di addivenire, quindi, alla più rapida conclusione di un accordo, il Dipartimento della funzione pubblica ha ritenuto opportuno avviare una serie di incontri con l'Aran è con le parti sindacali per l'individuazione di idonee soluzioni tecniche.
Il Governo è, infatti, consapevole della necessità di superare in tempi brevi tale situazione di criticità suscettibile di incidere sul corretto funzionamento degli enti locali - dei quali, infatti, i segretari comunali e provinciali costituiscono una imprescindibile figura professionale - ed intende, pertanto, operare al fine di un tempestivo rinnovo del contratto in esame, anche valutando, previa individuazione delle necessarie risorse finanziarie, la possibilità di procedere ad un allineamento delle retribuzioni con quelle dei dirigenti degli enti locali.

Il Ministro per le riforme e le innovazioni nella pubblica amministrazione: Luigi Nicolais.

ZACCHERA. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. - Per sapere - premesso che:
il complesso immobiliare «Villa Biraghi» nel comune di Vogogna (Verbania) sarà adibito a sede del Parco Nazionale Valgrande;
detta sede appare del tutto illogica dal punto di vista operativo poiché lontana dagli ingressi naturali del Parco e comporterà un grosso aumento di spesa - rispetto alla localizzazione attuale della sede del Parco, ovvero Villa San Remigio a Verbania - per la gestione ordinaria dell'immobile e per i maggiori costi generali legati al suo difficile raggiungimento. Tali maggiori costi andrebbero ad oggi a quasi azzerare i fondi dell'Ente parco per la sua gestione ordinaria;
l'immobile dovrebbe peraltro essere trasferito in comodato al Parco dal comune di Vogogna, ma risulta all'interrogante che il predetto immobile «Villa Biraghi» non sia in possesso della certificazione di collaudo tecnico-amministrativo per cui il rischio è di acquisire oggi in uso un immobile non conforme alla certificazione richiesta;
poiché l'Ente parco andrà ad utilizzare una parte di Villa Biraghi recentemente ristrutturata, ma anche altre parti

dell'immobile indispensabili per il funzionamento dell'Ente -:
se il Ministro abbia tenuto in considerazione i nuovi costi che l'Ente Parco Valgrande andrà a sopportare per questa futura variazione di sede e, considerandoli, darà quindi all'Ente parco una maggiore dotazione di fondi economici ordinari;
se il Ministro non ritenga indispensabile, peraltro - prima di procedere al trasferimento della sede - verificare in modo inequivocabile che l'immobile «Villa Biraghi», nell'interezza della proprietà trasferita in uso al Parco ovvero nella sua intera struttura, sia in possesso di tutti i collaudi e le certificazioni necessarie sia di carattere tecnico che amministrativo che ne permettano l'uso.
(4-02930)

Risposta. - In merito a quanto indicato nell'atto di sindacato ispettivo in esame concernente l'immobile denominato «Villa Biraghi» destinato a sede dell'Ente Parco della Val Grande, si comunica che, in merito, la Direzione Generale della Protezione della Natura di questo Ministero ha fatto presente quanto segue.
«A seguito delle indicazioni d'indirizzo di questo ministero finalizzate all'adempimento del disposto dell'articolo 9, comma 1, della legge n. 394 del 1991 - a norma del quale la sede degli Enti Parco Nazionali deve essere ubicata all'interno del perimetro dell'area protetta - l'Ente ha individuato nell'edificio storico di Villa Biraghi, nel Comune di Vogogna, l'immobile idoneo - per ubicazione, dimensioni e tipologia - ad ospitare la sede dell'ente, in assenza di altre località idonee allo scopo all'interno del perimetro del Parco.
La scelta assunta dall'ente al fine di aderire al dettato della legge quadro sulle aree protette, è stata, pertanto, incentivata da questa direzione che ha concesso, per l'intervento proposto di «restauro e risanamento conservativo di Villa Biraghi» un finanziamento pari ad euro 323.502 (annualità 2001) e pari ad euro 642.004 (annualità 2002 e 2003).
Con nota del 18 maggio 2005 l'Ente Parco ha trasmesso a questa direzione:
copia dei Contratto di comodato gratuito dell'immobile, per anni 99 a decorrere dal 21 aprile 2005, stipulato tra il Comune di Vogogna ed il parco medesimo;
copia della Convenzione stipulata in data 21 aprile 2005 tra i citati soggetti per l'erogazione dei finanziamenti per la realizzazione di detto intervento.

Con nota del 14 novembre 2006, l'Ente, sollecitato in tal senso da questa direzione, ha invitato il Comune di Vogogna a procedere tempestivamente alla consegna dell'immobile, tenuto conto della necessità di trasferirvi la propria sede, in tempo utile per rispettare il termine di riconsegna - previsto per il 31 dicembre 2006 - dei locali utilizzati quale sede del Parco, alla regione Piemonte.
Con successiva comunicazione del 9 marzo 2007 indirizzata al sindaco del comune di Vogogna, partecipata per conoscenza a questa amministrazione, l'Ente ha richiesto di effettuare un sopralluogo volto alla verifica tecnico-normativa dei locali di Villa Biraghi.
Sul punto, si precisa che, ai sensi dell'articolo 6 della Convenzione sopra richiamata, il comune di Vogona avrebbe dovuto provvedere al «collaudo delle opere, alla chiusura della contabilità finale e all'invio dei relativi atti, vistati dal Responsabile del procedimento per la definitiva liquidazione da parte del Parco».
Alla luce di quanto sopra sinteticamente esposto, la scrivente Direzione ha invitato l'Ente Parco a fornire conferma dell'avvenuto sopralluogo tecnico e del conseguente trasferimento della sede presso Villa Biraghi».

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Alfonso Pecoraro Scanio.

ZANELLA. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. - Per sapere - premesso che:
dopo mesi di segnalazioni di privati cittadini che registravano il ritrovamento

di uccelli morti sotto un cornicione di Palazzo Chiericati, noto museo vicentino, lunedì 29 gennaio i volontari della LAC (Lega Abolizione Caccia) e dell'ENPA (Ente Nazionale Protezione Animali) di Vicenza, hanno effettuato un sopralluogo in loco, in collaborazione con il comune di Vicenza proprietario dell'immobile e si sono così trovati di fronte ad una autentica carneficina di piccoli uccelli migratori;
dal sopralluogo dei volontari è emerso che, purtroppo, sono stati uccisi proprio volatili appartenenti e specie a rischio ed in costante diminuzione. Sono stati rinvenuti infatti ben 78 uccelli, tutti protetti, tra i quali 40 rondini montane (hirundo rupestris), 2 rondoni (apus apus), 11 balestrucci (delichon urbica) e 25 rondini (hirundo rustica);
molti degli uccellini ritrovati avevano le zampette praticamente saldate, a causa della folgorazione, ad un filo metallico appartenente ad un sistema di dissuasione per piccioni installato da qualche anno nell'edificio comunale, su un cornicione largo circa dieci centimetri;
negli ultimi vent'anni, secondo uno studio dell'INFS, Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica, la popolazione di rondini, balestrucci, rondini montane, rondoni ha subito una diminuzione di circa il 40 per cento, con punte che sfiorano il 60 per cento;
secondo la LAC il ritrovamento di palazzo Chiericati potrebbe essere la risposta della scomparsa di una colonia della più rara delle rondini rinvenute, la rondine montana presente da tempo presso la zona del Ponte degli Angeli, a Vicenza;
il 2 febbraio mattina i volontari delle associazioni hanno partecipato ad un sopralluogo effettuato dalla ditta che ha realizzato i lavori del dissuasore, la quale pare abbia riscontrato alcune irregolarità di funzionamento del sistema e provveduto a sostituire alcune parti dello stesso -:
se il Governo non ritenga opportuno attivarsi in modo che vengano appurate le responsabilità di questa strage di uccelli protetti;
se il Governo non ritenga necessario lanciare un appello a tutte le amministrazioni comunali italiane che hanno installato tali sistemi di dissuasione dei piccioni, affinché facciano immediatamente tutte le dovute manutenzioni e controlli a questi impianti per prevenire carneficine come quella registrata a Vicenza a spese di popolazioni di uccelli, quali le rondini, sempre più minacciate anche dai cambiamenti climatici e che rischiano seriamente di scomparire per sempre dai cieli della nostra penisola.
(4-02571)

Risposta. - L'interrogazione indicata in oggetto riguarda l'irregolarità del funzionamento riscontrato nel sistema di dissuasione elettrica per i piccioni sul cornicione del Palazzo Chiericati di Vicenza.
Da un'attenta lettura dell'evento, che è stato descritto dai media vicentini e denunciato anche dall'interrogante, che hanno riportato l'evento mortale di diversi esemplari di specie di avifauna selvatica, si ritiene che, in considerazione della superficie esposta e del numero di uccelli morti riscontrati, si sia trattato senza dubbio di un cattivo funzionamento dell'impianto che è perdurato per un certo periodo di tempo ed a cui successivamente non si è dato seguito per l'immediata eliminazione delle cause e degli effetti concreti sulle specie considerate.
Si tratta di un evento casuale e non doloso e quindi non perseguibile dalla legge, ma non per questo trascurabile dai gestori della cosa pubblica e dagli organismi di vigilanza addetti al controllo.
Gli impianti di questa fattispecie, infatti, in quanto liberamente in commercio, dovrebbero essere predisposti per dissuadere dalla posa i piccioni torraioli, specie non soggetta a tutela, e, comunque, essere tarati per garantire una bassa selettività verso le altre specie migratrici, che naturalmente e stagionalmente frequentano i siti urbani.
Pur non potendone impedire l'utilizzazione, si condivide l'esigenza che si rappresenti agli Enti e privati utilizzatori, la

necessità di un più attento controllo e pronto intervento nei casi di mal funzionamento di questi strumenti e che la loro fruizione pertanto sia costantemente monitorata.
Il dipartimento dei lavori pubblici del comune di Vicenza ha ribadito che il guasto all'impianto antipiccione è stato prontamente riparato e sono state installate delle protezioni elettriche nel quadro di alimentazione corredate da led luminosi che segnalano le anomalie; infine che sono state interpellate delle ditte specializzate nel ramo cui affidare una periodica manutenzione dell'impianto stesso.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Alfonso Pecoraro Scanio.

ZANELLA. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
il 18 aprile scorso, a ridosso della fiera di Treviso, in un'area densamente abitata, è andata in fiamme la fabbrica De Longhi;
il giorno dopo, a pochissimi chilometri di distanza, la stessa sorte è toccata ad una ditta di gommapiuma;
l'incendio alla De Longhi, di vaste dimensioni, pare sia partito da un luogo dove si conservano materiali da imballaggio, polistirolo, ma anche acetilene e vernici, ed abbia investito anche alcuni automezzi parcheggiati subito fuori che sono andati distrutti;
dopo qualche ora, la Protezione Civile ha comunicato con un altoparlante alla popolazione locale che «a titolo precauzionale» si dovevano tenere le finestre chiuse e non si doveva stazionare all'aperto;
dai Vigili del Fuoco, all'ARPAV, al sindaco di Treviso, per finire con il sottosegretario agli interni, tutti si sono affrettati a dire che il pericolo diossina non sussisteva: hanno rassicurato tutti dicendo che secondo i dati analizzati, non era presente diossina nella colonna di fumo elevatasi dall'incendio e concludendo che l'unica raccomandazione da fare alla Comunità era quella di chiudere le finestre ed evitare nei giorni seguenti il consumo di alimenti a contatto diretto con l'ambiente esterno come le verdure fresche e la frutta;
anche l'Arpav ha tranquillizzato i residenti dichiarando che l'acido cloridrico e gli Ipa presenti nella colonna di fumo che si è prodotta non erano in concentrazioni tali da creare problemi alla cittadinanza, aggiungendo che la nube si stava spostando verso nord, in direzione opposta alla città di Treviso;
le diossine, che risultano inodori, sono sostanze fortemente dannose per la salute umana, provengono dalla combustione di composti clorurati, si dimezzano nel terreno in tempi che superano il secolo e nei mammiferi si concentrano nel latte, oltre che nel sangue, nel fegato e nei grassi;
di norma ci vuole qualche giorno e non qualche ora per arrivare ad un qualsiasi verdetto sulla presenza o meno delle diossine, poiché bisogna prelevare ed esaminare dei campioni di acqua dei fumi c/o di terreno;
non è chiaro a quale zona si riferisse la raccomandazione generica di limitare l'utilizzo delle aree esterne più prossime all'incendio, visto che la colonna di fumo aveva un pennacchio ricadente verso terra, che si estendeva per tre quattro chilometri di distanza dal fungo centrale;
viste le dichiarazioni suddette, per due giorni si è proceduto come si fosse in presenza di un semplice incendio, con raccomandazioni alla cittadinanza ma senza interventi efficaci per caratterizzare l'area investita e provvedimenti precauzionali per la popolazione; così, non solo la zona non è stata evacuata, ma sono state tenute aperte le scuole, anche quelle vicino allo stabilimento, limitandosi a tenere le

finestre chiuse e ad evitare il consumo di ortaggi nei giorni successivi;
solo a distanza di giorni si è avuta la notizia che l'incendio aveva causato l'emissione di grandi quantità di diossina nell'atmosfera;
secondo le dichiarazione del consulente del ministero dell'Ambiente le concentrazioni di diossina registrate nel punto più vicino all'incendio della De Longhi, sono da 1.000 a 2.000 volte superiori al limite normale;
l'unica autorità che non ha minimizzato il fatto sono stati i carabinieri del Noe (Nucleo operativo ecologico dei Carabinieri) per il Nord Italia che hanno dichiarato che la nube stava portando su Treviso un'abbondante quantità di diossina, affermazione successivamente oggetto di frettolose smentite incrociate ad opera dei suddetti enti;
il fatto che nei fumi sia stata confermata la presenza di acido cloridrico è un forte indizio che ci sia anche la diossina -:
se il Governo sia al corrente dei fatti esposti;
se il Governo non intenda approfondire nei modi che ritiene più idonei, le cause di tali incendi, scoppiati nella stessa area a un giorno di distanza;
se il Governo non ritenga necessario chiarire se si è trattato di un'emergenza ambientale e se è vero che sarebbe stato necessario evacuare tutti i cittadini dalle case intorno all'impianto già durante l'incendio (come dichiarato da esperti e riportato da un'agenzia) e, in tal caso, se non consideri fondamentale giungere ad un chiarimento approfondito e puntuale di motivi e responsabilità della sottovalutazione dell'emergenza, valutando soprattutto le eventuali ripercussioni sulla popolazione di tale mancato allarme;
se il Governo non ritenga urgente valutare la portata di tale emergenza e le relative ricadute, informarne la popolazione locale e prendere al più presto delle misure adeguate a tutelare gli abitanti della zona da eventuali ulteriori danni.
(4-03412)

Risposta. - In relazione all'atto di sindacato ispettivo in esame, concernente l'inquinamento provocato dall'incendio avvenuto nello stabilimento De Longhi a Treviso, giova innanzi tutto fare presente che sulla vicenda si è svolta presso l'VIII Commissione della Camera dei deputati in data 2 maggio 2007 un'audizione del Vice Capo dipartimento della protezione civile che ha ampiamente illustrato tutto lo sviluppo dell'evento, mettendo in evidenza le tematiche rilevanti e le operazioni poste in essere per il ritorno alla normalità, che si intendono qui richiamate.
Nonostante l'attività dello stabilimento De Longhi non sia soggetta alla direttiva Seveso 2, che obbliga l'individuazione dei siti a rischio di incidente rilevante per la presenza di sostanze pericolose, il Ministro dell'ambiente ha tempestivamente attivato, sia l'APAT che il comando dei carabinieri e, contestualmente, sono state interpellate tutte le autorità competenti al fine di avere un quadro complessivo della situazione.
Il giorno successivo l'evento, alcuni consulenti di parte nominati dal Ministro dell'ambiente hanno effettuato un sopralluogo nei pressi dello stabilimento per l'acquisizione di informazioni, la ricognizione dei luoghi e la raccolta di reperti e campioni utili ai fini della quantificazione del danno ambientale.
I dati acquisiti sono stati trasmessi anche all'Istituto superiore della sanità e all'Agenzia per la protezione dell'ambiente e per i servizi tecnici (APAT), per le opportune valutazioni di competenza, nonché per le determinazioni in merito al danno ambientale.
Secondo la relazione fornita dall'Apat, le conclusioni dei rapporti di prova effettuati per misurare le concentrazioni in atmosfera hanno evidenziato la presenza di benzene e stirene in quantità leggermente superiore ai livelli usualmente rilevati in ambiente urbano. Riguardo alla diossina, se ne è riscontrata la presenza più sensibile in modo

circoscritto alle immediate vicinanze dello stabilimento nelle prime ore dall'evento.
Nonostante ciò, è parere degli uffici tecnici del Ministro dell'ambiente che le analisi effettuate mostrino livelli di composti volatili organici (VOC) considerevolmente oltre i limiti registrati in aree a vocazione produttiva. Ciò avrebbe dovuto consigliare un'azione di prevenzione all'esposizione nel corso del tempo durante il quale i fumi sono stati alimentati dall'incendio alla luce della natura irritante di alcuni degli inquinanti e dalla possibilità di loro inalazione. Ciò avrebbe semplicemente dimostrato un'attenzione alla prevenzione primaria senza necessità di gridare al disastro ambientale, che in effetti non è stato. Considerando la volatilità dei VOC, inoltre, la loro permanenza nell'ambiente circostante, anche considerando una parziale ricaduta al suolo, non è tale da richiedere ulteriori misure restrittive, anche se è consigliabile effettuare un monitoraggio sui suoli, acque e vegetali soprattutto se destinati all'alimentazione umana o animale.
Per ciò che riguarda le diossine, intese come sommatoria dei PCDD/PCDF (Policloro DibenzoDiossine/Policloro DibenzoFurani) espressi in termini di tossicità equivalente, è da tenere in considerazione che i livelli riscontrati nei campioni raccolti in prossimità dell'impianti erano significativamente superiori a quelli riscontrati in aree urbane non affette da attività potenzialmente in grado di rilasciare gli inquinanti in oggetto. Dall'analisi dei congeneri di PCCD/PCDF si evince una prevalenza dei furani ad elevata sostituzione, classici di incendi in carenza di ossigeno. Il rischio di esposizione per via aerea ai fumi maggiormente inquinati ha presumibilmente interessato solo coloro che si sono fermati nell'area del parcheggio antistante il fabbricato in fiamme, mentre già a 200 metri di distanza le concentrazioni rilevate erano considerevolmente minori. Anche in questo caso, però un'azione di prevenzione avrebbe contribuito a ridurre ulteriormente il rischio di esposizione. Anche per le diossine, è opportuno effettuare una campagna di monitoraggio nelle matrici dove potrebbero essersi depositate entro il cono di ricaduta dei fumi considerando anche la stabilità di questi inquinanti e la loro capacità di accumulo nei tessuti animali soprattutto nella loro frazione lipidica.
Tutti gli enti interessati sono comunque continuamente impegnati a seguire l'evoluzione della vicenda, mentre sono in corso da parte della procura della Repubblica presso il tribunale di Treviso, le indagini preliminari in relazione all'evento suddetto.
Il comando dei carabinieri per la tutela dell'ambiente di Treviso ha dato notizia circa l'avviamento dell'
iter da parte della Avvocatura distrettuale dello Stato di Venezia per l'accertamento del danno ambientale e per la conseguente costituzione di parte civile dello Stato quale parte offesa.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Alfonso Pecoraro Scanio.