Allegato B
Seduta n. 204 del 13/9/2007

INTERROGAZIONI PER LE QUALI È PERVENUTARISPOSTA SCRITTA ALLA PRESIDENZA

ALESSANDRI. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
sabato 31 marzo 2007, nel sottopasso della Stazione ferroviaria di Reggio Emilia, alle ore 04:00 circa, una donna addetta alle pulizie dei locali è stata stuprata;
il presunto autore del crimine, in base alle tracce biologiche lasciate ed all'identikit fatto dalla vittima, sembrerebbe essere un ragazzo senegalese di diciassette anni;
il giovane di cui sopra è attualmente detenuto presso il carcere minorile di Bologna;
Reggio Emilia non è nuova ad atti di violenza e tentata violenza, sia nella città capoluogo che nei comuni della provincia;
negli ultimi giorni si sono registrati numerosi fatti, riportati poi nelle pagine di cronaca dalle principali testate locali, riguardanti risse, aggressioni e danneggiamenti da parte di cittadini extracomunitari;
la situazione sta assumendo gli estremi di un'emergenza permanente sotto il profilo della sicurezza e dell'ordine pubblico, senza che si riscontri alcun segnale di una volontà delle autorità di ristabilire la legalità ed il controllo del territorio, e questo a dispetto delle numerose richieste di rinforzi espresse anche dagli operatori di polizia, troppo spesso a corto di mezzi e di persone -:
l'opinione del Governo sui fatti descritti nella premessa, quali misure il Governo ritenga opportuno assumere per arginare l'evidente escalation delle violenze nella città e nella Provincia di Reggio Emilia, ripristinando, in particolare, un clima di sicurezza nella zona della stazione, delle aree adiacenti (Via Turri) e di Via Paradisi, per ciò che concerne la città di Reggio Emilia, e monitorando le cittadine di Gualtieri, Guastalla e Novellara che, nelle ultime settimane, hanno dato i maggiori segnali di «nervosismo», in rapporto al difficile obiettivo dell'integrazione e del rispetto delle regole comuni a tutte le società civilizzate;
se il Governo intenda o meno soddisfare le richieste di potenziamento manifestate dagli organici della Polizia Ferroviaria nella città di Reggio Emilia.
(4-03222)

Risposta. - Nella notte fra il 30 ed il 31 marzo 2007, una dipendente dell'impresa appaltatrice del servizio di pulizia presso la stazione ferroviaria di Reggio Emilia, intenta a svolgere il suo lavoro all'interno del deposito di materiali ubicato in un sottopassaggio dello scalo, è stata aggredita e violentata da un giovane extracomunitario.
Le immediate indagini della Questura hanno consentito, in pochi giorni, di trarre in arresto il responsabile, un pregiudicato ghanese minorenne, evaso il 28 marzo precedente dall'istituto di detenzione minorile di Bologna dove era ristretto in esecuzione di una condanna per furto aggravato.
Si rappresenta che l'area della stazione ferroviaria e le zone limitrofe - fra cui via Turri e via Paradisi - che, effettivamente,

presentano una notevole presenza di immigrati extracomunitari, sono oggetto di costante attenzione da parte delle Forze di polizia.
In particolare, la Questura svolge da tempo intensi servizi di prevenzione e di controllo, anche con l'impiego di pattuglie del Reparto prevenzione crimine della Polizia di Stato, che integrano i servizi di volante e supportano altresì le attività dell'ufficio immigrazione e della squadra mobile.
Il posto di Polizia ferroviaria di Reggio Emilia, presso il quale prestano servizio 11 appartenenti ai ruoli operativi della Polizia di Stato, effettua continue attività di controllo all'interno dell'impianto ferroviario, recentemente intensificate.
Nel primo trimestre del 2007, infatti, sono state identificate 834 persone, con un incremento del 10 per cento rispetto al dato del corrispondente periodo del 2006; sono state, inoltre, deferite all'autorità giudiziaria 19 persone (di cui 18 stranieri), a fronte delle 6 denunciate nel primo trimestre dello scorso anno.
All'ordinaria attività di vigilanza e controllo in ambito ferroviario si affiancano accurati servizi di prevenzione dei borseggi, del pari recentemente intensificati.
Costante è anche l'attenzione riservata alle condizioni della sicurezza pubblica nei comuni della «bassa» reggiana, fra i quali Gualtieri, Guastalla e Novellara, menzionati dall'interrogante, in cui, peraltro, non sono sinora emersi particolari segnali di allarme. Il Prefetto di Reggio Emilia segue comunque l'evolversi della situazione ed a tal fine ha presieduto, nello scorso mese di aprile, una riunione del Comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica presso il comune di Guastalla, con la partecipazione dei sindaci della zona.
Quanto infine alla richiesta di potenziamento degli organici della Polizia ferroviaria di Reggio Emilia, si rappresenta che essa sarà valutata dal dipartimento della pubblica sicurezza in rapporto con le esigenze di servizio degli altri uffici di polizia presenti sul territorio nazionale.

Il Viceministro dell'interno: Marco Minniti.

AMORUSO. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
il 10 gennaio 2007 la partita di calcio Salernitana-Cavese (serie C/1, girone B) è stata accompagnata da violenti scontri tra le due tifoserie;
nel corso degli scontri un poliziotto è stato gravemente ferito - tanto da rendersi necessario un intervento chirurgico - e altri nove agenti sono rimasti contusi;
il poliziotto operato, colpito da una bomba artigianale rinforzata da chiodi e bulloni, ha dichiarato: «Ho un buco largo tre centimetri sulla tibia che mi brucia da morire. Fortuna che l'ordigno è esploso in basso: se mi avesse preso ad altezza della testa, sarei morto» (cfr. La Gazzetta dello Sport, 12 gennaio 2007);
il segretario provinciale del Sindacato autonomo di polizia (SAP) di Bari, in un comunicato stampa, ha descritto il rientro dei 30 poliziotti del IX Reparto Mobile di Bari che erano stati inviati alla partita: «È sembrato il rientro da una zona di guerra (...), un terzo della squadra, dieci uomini, erano gravemente feriti». Dello stesso tenore le considerazioni da parte della UIL-PS;
a quanto risulta all'interrogante, l'11 gennaio il Sindacato italiano lavoratori di polizia (SILP-CGIL) ha inviato una lettera al Questore di Salerno e al Dirigente del IX Reparto Mobile di Bari denunciando la criticabile pianificazione dell'ordine pubblico avuto dalla dirigenza salernitana e la poca solidarietà avuta dalla dirigenza del IX Reparto Mobile di Bari;
il poliziotto ferito, sempre nella stessa intervista, ha aggiunto che, a fronte del pericoloso compito da assolvere negli stadi, «da giugno non ci danno gli straordinari per mancanza di fondi (...) l'indennità per le trasferte è di circa 12 euro netti, anch'essi pagati in ritardo»;
anche gli straordinari dell'intero 2005 in favore degli agenti di polizia impiegati nell'ordine pubblico negli stadi non furono pagati a suo tempo e solo adesso l'amministrazione

vi sta provvedendo, ma limitandosi ad appena il 30 per cento delle somme dovute e, per ora, solo a favore di pochi Reparti -:
quale sia stata la dinamica dei fatti di Salerno e quali le eventuali pecche nell'organizzazione dell'ordine pubblico;
quale sia la posizione del Ministro interrogato sulle denunce da parte del SIULP, della UIL-PS e del SILP-CGIL richiamate in premessa a proposito di una presunta scarsa attenzione da parte delle autorità preposta alla sicurezza degli agenti di polizia mandati negli stadi di calcio;
quali urgenti iniziative intenda assumere in tema di ordine pubblico in occasione degli eventi calcistici più delicati e di tutela della vita degli agenti di polizia;
quali urgenti iniziative intenda intraprendere perché gli straordinari e le indennità di trasferta per gli agenti impegnati negli stadi siano pagate con puntualità e regolarmente.
(4-02296)

Risposta. - Stanti le accese rivalità esistenti tra le tifoserie della Salernitana Calcio e della società sportiva Cavese, sin dal giugno 2006 la Questura di Salerno ha rappresentato alla Federazione italiana giuoco calcio la situazione di potenziale rischio per l'ordine pubblico derivante dall'incontro tra queste due squadre, segnalando l'opportunità di inserirle in gironi diversi del campionato della serie C1.
Non avendo gli organi di governo del calcio raccolto il suggerimento, in apposite riunioni presso la Prefettura di Salerno sono stati attentamente pianificati i servizi di ordine pubblico relativi alla gara tra le due formazioni, inizialmente calendarizzata per il 23 dicembre 2006 e poi rinviata - per motivi di sicurezza - al 10 gennaio 2007.
Nell'occasione sono stati assunti contatti con i rappresentanti delle tifoserie, per invitarli a collaborare con le forze dell'ordine e ad emarginare i soggetti facinorosi.
Nel pomeriggio del giorno antecedente la gara è stato svolto un servizio di vigilanza lungo il perimetro esterno dello stadio «Arechi» di Salerno, con controlli a largo raggio, al fine di rinvenire e sequestrare oggetti contundenti, esplosivi o deflagranti, eventualmente occultati.
Durante la giornata dell'incontro, a cui hanno assistito circa 18.000 spettatori, sono stati impiegati nei servizi di ordine pubblico 12 funzionari, 200 operatori dei Reparti mobili della Polizia di Stato, 71 agenti provenienti dagli uffici territoriali, 170 militari dei «Battaglioni Mobili» dell'Arma dei carabinieri, 24 militari dell'Arma provenienti dai reparti territoriali, 30 militari della Guardia di finanza, nonché operatori della «Squadra Tifoseria» della Digos e del Gabinetto provinciale della polizia scientifica.
Per controllare la tifoseria ospite - circa 2.800 persone arrivate a Salerno a bordo di 45 pullman - e garantirne il trasferimento in sicurezza presso lo stadio, si è reso necessario predisporre, fin dalla partenza, servizi tesi a verificare il possesso del biglietto d'ingresso e ad accertare l'eventuale occultamento di oggetti contundenti o materiale esplodente da parte dei singoli tifosi, nonché a scortare i pullman sino all'area prospiciente il settore ospiti dello stadio, zona delimitata da una serie di container, forniti dall'Autorità portuale, al fine di impedire contatti con i tifosi locali.
I varchi d'accesso allo stadio sono stati presidiati per impedire l'introduzione di oggetti atti ad offendere o di striscioni recanti scritte o simboli non ammessi. Nel corso dei controlli sono stati rinvenuti tre artifici esplodenti ed un tifoso è stato deferito all'Autorità giudiziaria, ai sensi dell'articolo 6-
ter della legge n. 401 del 1989.
Il Prefetto di Salerno ha evidenziato che l'impianto non era dotato di tornelli per l'accesso individuale, atti a rafforzare il dispositivo di sicurezza.
Poco prima delle ore 13,00 un centinaio di tifosi della Salernitana, molti dei quali travisati, con l'intento di raggiungere i tifosi cavesi hanno attaccato le forze dell'ordine nel piazzale antistante il settore «distinti», con lancio di grossi petardi - alcuni dei quali contenenti pezzi di piombo e ferro - oltre a pietre, bottiglie, artifizi pirotecnici ed altri oggetti contundenti. Gli scontri sono

proseguiti fino alla curva sud, dove altri facinorosi hanno a loro volta attaccato il personale di polizia preposto al filtraggio e quello attestato all'esterno della curva, con un ulteriore lancio di petardi, artifizi ed altri oggetti contundenti; nella circostanza, sì è reso necessario l'utilizzo, da parte delle forze di polizia, di artifizi lacrimogeni.
La situazione è temporaneamente tornata alla normalità poco prima dell'inizio della partita.
Al termine della gara, alcune centinaia di ultras salernitani hanno nuovamente tentato di avvicinarsi all'area della curva nord - dove era raccolta la tifoseria cavese in attesa del trasferimento - lanciando numerosi petardi, bottiglie di vetro, pietre ed altri oggetti.
Le forze dell'ordine hanno respinto i facinorosi, anche con l'utilizzo di artifizi lacrimogeni; nell'occasione sono stati danneggiati tre mezzi in dotazione alla Polizia di Stato.
Allontanati tutti i tifosi della Salernitana, i sostenitori ospiti sono stati scortati fino a Cava dei Tirreni senza ulteriori difficoltà.
È da evidenziare che nel corso degli incidenti le forze dell'ordine hanno fronteggiato la difficilissima situazione con coraggio ed abnegazione, impedendo lo scontro diretto delle tifoserie, che avrebbe potuto far registrare un ben più grave e drammatico bilancio. Tra gli operatori di polizia, tuttavia, vi sono stati 19 feriti, a due dei quali sono state rimosse schegge di piombo dalle gambe; per uno di loro si è reso necessario il ricovero in ospedale.
A seguito dei fatti sono state denunciate all'Autorità giudiziaria 11 persone, cui è stato anche notificato un provvedimento di inibizione all'accesso in tutti gli impianti dove si sostengono competizioni sportive.
L'organizzazione dei servizi di ordine pubblico è stata, nella particolare circostanza, apprezzata dagli organi di stampa locale, essendo apparso evidente che i gravi incidenti verificatisi erano da ricondursi al premeditato tentativo di alcune frange della tifoseria di innescare una gratuita spirale di violenza. È significativo, al riguardo, che nel corso delle ispezioni all'esterno dell'impianto sportivo e nelle vie adiacenti, siano stati rinvenuti 3 involucri esplodenti da mortaio, 16 bombe carta, 10 rendini da lancio con cilindro e 35 artifizi minori.
Relativamente alle iniziative per contrastare la recrudescenza del fenomeno della violenza in occasione di manifestazioni sportive, che ha avuto il suo culmine nei gravissimi fatti di Catania del 3 febbraio scorso, è noto che il Governo si è fatto promotore, con il decreto 8 febbraio 2007, n. 8, convertito dalla legge 4 aprile 2007, n. 41, di un nuovo impianto normativo particolarmente severo.
Tra le misure introdotte dal decreto è opportuno, innanzitutto, ricordare l'abrogazione della possibilità per le autorità competenti di autorizzare l'apertura degli stadi anche in deroga ai requisiti prescritti, in conseguenza della quale gli incontri previsti nelle strutture non a norma si svolgeranno in assenza di pubblico.
A tale proposito si precisa che le misure strutturali ed organizzative, che per le previgenti disposizioni trovavano applicazione solo nei confronti delle strutture di capienza superiore a 10.000 spettatori, sono ora estese agli stadi di capienza superiore alle 7.500 unità.
Il decreto vieta, inoltre, l'intermediazione delle società sportive ospiti nella vendita dei biglietti alle proprie tifoserie, nell'ottica della prevenzione dei fenomeni di violenza che potrebbero verificarsi durante gli spostamenti collettivi dei tifosi.
Per quanto riguarda il divieto di accesso agli impianti sportivi, è stata introdotta la possibilità di applicare tale misura sulla base di condotte violente o pericolose per la sicurezza pubblica indipendentemente dalla denuncia o dalla condanna per specifici reati.
La durata della misura può andare da un minino di un anno, se applicata dal questore, ad un massimo di otto anni, se disposta dal giudice a seguito della sentenza di condanna. Tale misura, in sede di conversione, è stata estesa anche ai minori di diciotto anni che abbiano compiuto il quattordicesimo anno di età.
Sul fronte del rafforzamento della normativa penale vigente, oltre ad un inasprimento

delle sanzioni, sono state introdotte novità di rilievo.
In particolare, hanno assunto rilevanza penale i fatti commessi nelle 24 ore antecedenti e successive allo svolgimento delle manifestazioni sportive e l'arresto verrà considerato «in flagranza» fino a 48 ore dal fatto nei confronti di coloro che lanciano o utilizzano, in modo da creare un pericolo concreto alle persone, razzi, bengala, fuochi artificiali, petardi, strumenti per l'emissione di fumo o di gas visibile, ovvero bastoni, mazze, materiale imbrattante o inquinante, oggetti contundenti o, comunque, atti ad offendere.
Inoltre, è stata estesa la possibilità di procedere con giudizio direttissimo e sono stati introdotti il nuovo reato di «lesioni personali gravi o gravissime a un pubblico ufficiale in servizio di ordine pubblico in occasione di manifestazioni sportive», nonché ulteriori circostanze aggravanti per i reati di minaccia, resistenza o violenza ad un pubblico ufficiale.
Per quanto concerne il coinvolgimento delle società sportive nella prevenzione dei fenomeni di violenza il Governo ha previsto che esse possano direttamente provvedere all'adeguamento degli stadi agli standard di sicurezza.
Inoltre, il 12 aprile 2007, il Ministro dell'interno ha siglato insieme al Presidente del C.O.N.I. e al Presidente della F.I.G.C. un protocollo d'intesa, con il quale si stabilisce che, per il prossimo campionato, la gestione della sicurezza all'interno delle strutture sportive sarà affidata alle società stesse, lasciando alle Forze di polizia il controllo dell'ordine pubblico nell'area circostante.
Si ritiene opportuno precisare che è priorità del Governo adoperarsi affinché le nuove disposizioni ricevano effettiva attuazione, anche al fine di evitare per il futuro il riproporsi di tragici eventi analoghi a quelli recentemente verificatisi a Catania lo scorso 2 febbraio, in occasione dell'incontro di calcio Catania-Palermo.
In tale prospettiva, l'Osservatorio per le manifestazioni sportive valuterà lo stato di avanzamento dei lavori negli stadi, finalizzati all'adeguamento delle strutture agli standard di sicurezza introdotti dalla nuova normativa.
Le sopra descritte recenti disposizioni in materia di sicurezza negli impianti sportivi hanno consentito di ottenere, fin dalla loro entrata in vigore, una forte diminuzione degli episodi di violenza negli stadi. Infatti, nel periodo compreso tra il 10 febbraio ed il 6 aprile del corrente anno emerge, rispetto al corrispondente spazio temporale del 2006, che gli incontri di calcio nel corso dei quali si sono verificati incidenti sono diminuiti dell'83,7 per cento e che anche il numero dei contusi tra le Forze dell'ordine è drasticamente sceso al -93 per cento. Ciò ha reso possibile impiegare un numero inferiore (pari al -5,18 per cento) di operatori di polizia nei corrispondenti servizi di ordine pubblico, con conseguente risparmio, anche in termini economici, di risorse umane e logistiche.
Quanto ai lamentati ritardi nell'erogazione dei compensi per lavoro straordinario nei confronti del personale impiegato in servizio di ordine pubblico, il competente Dipartimento della pubblica sicurezza ha comunicato che, con provvedimenti successivi, l'ultimo dei quali adottato il 16 febbraio scorso, è stato autorizzato - per il 2006 - il pagamento di tutte le prestazioni di lavoro straordinario rese in esubero ai limiti individuali.
Relativamente alle analoghe prestazioni di lavoro straordinario rese nel 2005, il competente Dipartimento ha comunicato che, con provvedimenti del 21 novembre 2006 e del 31 gennaio 2007, è stato autorizzato il pagamento del 60 per cento delle spettanze; ciò perché trattandosi di pagamenti eccedenti gli stanziamenti assegnati, si è reso necessario procrastinare parzialmente i pagamenti in relazione alle disponibilità di cassa.
Con riferimento alle indennità di trasferta per servizi di ordine pubblico, il Dipartimento della pubblica sicurezza ha, inoltre, comunicato che esse sono liquidate, di regola entro il mese successivo a quello in cui è stata resa la corrispondente prestazione di lavoro.

Si assicura, in proposito, la massima cura dell'Amministrazione per garantire l'integrale pagamento delle spettanze.
Il Viceministro dell'interno: Marco Minniti.

ASCIERTO. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
dal 30 agosto al 9 settembre 2006, la città di Venezia ha ospitato la 63 edizione della Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica;
tali avvenimenti richiamano importanti personalità da ogni parte dal mondo e, ovviamente, i servizi di sicurezza connessi prevedono un enorme impiego di risorse da parte delle Autorità locali preposte alla Sicurezza;
gli operatori delle forze di Polizia occupati per garantire l'ordine e la sicurezza pubblica, vengono impiegati in maniera massiccia e straordinaria a causa della cronica mancanza di personale;
il SAP (Sindacato della Polizia di Stato), ha lamentato che il lavoro straordinario prestato dal personale delle forze dell'ordine, che oltre a creare un inevitabile disagio alla vita privata degli stessi operatori, quest'anno, a differenza degli anni passati, non sarebbe stato pagato;
il Ministero dell'interno non avrebbe, infatti, previsto un fondo straordinario per coprire le numerose ore straordinarie indispensabili per poter garantire un livello di sicurezza sufficiente durante la suddetta manifestazione, lasciando i poliziotti senza la dovuta remunerazione;
questa situazione incide in modo particolarmente negativo nella realtà della Questura di Venezia, dove gli eventi e le manifestazioni si susseguono nel corso di un anno solare: oltre alla citata Mostra del Cinema, infatti, si ricordano a mero titolo esemplificativo la Regata storica, la Festa del Redentore e il Carnevale;
il mancato pagamento del lavoro straordinario rischia di generare un vero e proprio sfruttamento degli agenti di polizia che non vedono riconosciute le ore lavorative effettuate per garantire la sicurezza di chi partecipa a tali eventi -:
se il Ministro interrogato voglia accertare la situazione e laddove si accertasse effettivamente una mancata corresponsione del lavoro straordinario svolto dagli operatori della Polizia di Stato, quali provvedimenti urgenti voglia adottare per sanare la questione;
se, considerate le scarse risorse di personale della Questura di Venezia in relazione ai numerosi eventi per i quali deve essere garantito il servizio di sicurezza ed ordine pubblico, voglia disporre affinché venga immediatamente potenziata la stessa Questura.
(4-01428)

Risposta. - Sulla base di criteri uniformi per tutte le questure d'Italia a disposizione di ciascun operatore di polizia è prevista un'aliquota di 55 ore mensili per il pagamento di lavoro straordinario, che può essere espletato durante il mese per affrontare esigenze eventualmente sopravvenute di ordine e di sicurezza pubblica.
Mentre il compenso per lavoro straordinario reso in detto monte ore viene retribuito entro il mese successivo alla prestazione, viceversa, qualora si ecceda da detto limite, il pagamento può essere erogato solo dopo l'accertata disponibilità finanziaria.
Ciò premesso, effettivamente le manifestazioni di carattere internazionale che si svolgono annualmente a Venezia richiedono la predisposizione di particolari ed articolati servizi volti a prevenire eventuali turbative per l'ordine e la sicurezza pubblica. La pianificazione degli stessi presenta caratteristiche del tutto peculiari, strettamente legate alla particolare morfologia del capoluogo veneto.
Come avvenuto in passato, anche per il 2006, per far fronte alle esigenze connesse allo svolgimento di dette iniziative il dipartimento della pubblica sicurezza, oltre ad aggregare adeguate aliquote di personale di supporto, ha provveduto ad integrare, nei limiti consentiti dalle disponibilità finanziarie,

le contabilità eccedenti il monte ore di lavoro straordinario previsto.
Per quanto in particolare concerne i servizi di ordine e di sicurezza pubblica assicurati in occasione della 63a edizione della «Mostra internazionale dell'arte cinematografica», per provvedere al pagamento delle ore di straordinario eccedenti il monte ore (pari complessivamente a 1.632), il Dipartimento della pubblica sicurezza ha dovuto prima accertarne la disponibilità finanziaria per poter autorizzare, con successivo provvedimento dell'11 dicembre 2006, la questura di Venezia al pagamento nella misura possibile di 1.562 ore.
Al fine del completamento delle restanti 70 ore, il personale di polizia in forza presso detto ufficio ha potuto fare ricorso all'istituto del riposo compensativo.
Quanto alla consistenza degli organici, si precisa che attualmente presso la questura di Venezia prestano servizio 842 appartenenti ai ruoli operativi della Polizia di Stato, rispetto ad una previsione organica di 901 unità. Ad essi si devono, peraltro, aggiungere 35 operatori dei ruoli tecnici della Polizia di Stato ed 88 appartenenti all'amministrazione civile dell'interno, che contribuiscono, nell'espletamento delle mansioni burocratiche, alla funzionalità delle strutture.
In merito alla richiesta dell'interrogante di potenziamento degli organici, pur assicurando che la problematica sarà tenuta nella debita considerazione, si deve tuttavia evidenziare che detti incrementi permanenti potranno essere, di volta in volta, considerati compatibilmente, da un lato, con le esigenze di sicurezza e le priorità di altre aree distribuite su tutto il territorio nazionale e, dall'altro, nell'ambito della pianificazione delle risorse finanziarie disponibili.
Peraltro, va detto che le politiche del Governo in materia di sicurezza pubblica tendono a conseguire un più razionale impiego delle attuali risorse disponibili, obiettivo finalizzato ad ottimizzare il rapporto delle stesse con i risultati conseguiti nell'azione di prevenzione e di contrasto alla criminalità.
In questa direzione si muovono non solo alcuni interventi legislativi volti ad alleggerire il personale di polizia da compiti che non richiedano necessariamente l'esercizio di pubbliche potestà (articoli 17 e 18 del decreto-legge n. 144 del 2005 convertito con legge n. 155 del 2005), ma anche, più recentemente, dal comma 435 dell'articolo 1 della legge finanziaria per il 2007, le cui disposizioni sono, tra l'altro, finalizzate ad un più efficace utilizzo delle risorse umane nelle mansioni istituzionali di ordine e di sicurezza pubblica sul territorio.
Ad analoghi fini di buona amministrazione delle attuali disponibilità, si ispirano anche sia provvedimenti assunti localmente dalle Autorità di polizia, come una rimodulazione costante delle strategie operative in sede di Coordinamento tecnico interforze, sia, nel pieno sviluppo di politiche integrate e partecipate di sicurezza, il pieno coinvolgimento, nella comune azione di prevenzione e di repressione dei reati, di tutte le componenti istituzionali nei settori di specifica competenza.

Il Viceministro dell'interno: Marco Minniti.

BELTRANDI, D'ELIA e MELLANO. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della giustizia, al Ministro dell'interno, al Ministro per le politiche giovanili e le attività sportive. - Per sapere - premesso che:
nella serata di giovedì 28 giugno 2007 si è tenuto nel parco romano di Villa Ada (nel contesto di «Roma incontra il mondo», festival estivo organizzato, tra gli altri, dal Comune di Roma) il concerto della «Banda Bassotti», gruppo storico appartenente alla scena Ska;
dopo la mezzanotte, terminato il concerto varie centinaia di persone si sono intrattenute, come consueto, in loco, ballando musiche selezionate da un dj, mangiando negli stand etnici o semplicemente godendo del clima mite;
circa all'una e mezza di notte una «squadraccia fascista», composta da una ventina di persone con volti coperti, caschi e spranghe, ha fatto irruzione all'interno

del festival lanciando due bombe carta (tipicamente usate nello stadio) nell'affollata pista da ballo e aggredendo gli avventori del festival -:
se siano a conoscenza dei fatti sopraesposti;
quali misure di loro competenza intendano attuare ai fini dell'individuazione dell'organizzazione, ancora sconosciuta, responsabile di tale atto;
quali provvedimenti intendano adottare perché episodi di questo tipo non si ripetano e per disincentivare la violenza che ha mandato tre giovani all'ospedale con ferite da armi da taglio e contusioni.
(4-04222)

Risposta. - Gli incidenti cui fa riferimento l'interrogante si sono verificati a Roma nella notte fra il 28 ed il 29 giugno 2007, al termine di un concerto della «Banda Bassotti», gruppo musicale gravitante nell'area antagonista.
Al termine dello spettacolo, svoltosi nel parco di Villa Ada, parte del pubblico stava per lasciare l'area, mentre un'altra parte si tratteneva a ballare.
In quel momento è arrivato un gruppo di una ventina di persone col capo coperto da caschi le quali, armate di bastoni e coltelli, dopo aver lanciato petardi fra la folla hanno assalito alcuni spettatori che stavano uscendo.
Due degli aggrediti, due giovani, hanno dovuto far ricorso alle cure dei medici: uno ha riportato lesioni giudicate guaribili in sette giorni; l'altro invece è stato ferito in maniera più grave ed è stato ricoverato con una prognosi di venti giorni.
A seguito della chiamata degli organizzatori, sono tempestivamente intervenuti i carabinieri del Nucleo radiomobile del Comando provinciale di Roma, alla cui vista gli aggressori si sono dileguati. L'intervento delle prime due autoradio giunte sul posto è stato, peraltro, ostacolato da un lancio di sassi ed oggetti contundenti da parte di alcuni spettatori del concerto. A seguito di quest'inattesa ostilità, i carabinieri si sono dovuti, quindi, fermare per attendere l'intervento di rinforzo di altre quattro pattuglie dell'Arma dei carabinieri e di personale della polizia di Stato, al cui arrivo è stato possibile proseguire l'intervento.
La sassaiola ha ferito lievemente un carabiniere (la prognosi in questo caso è stata di cinque giorni) e danneggiato due autovetture.
Per questo episodio - riconducibile, si ribadisce, ad alcuni spettatori estranei all'originaria aggressione - due persone sono state denunciate a piede libero, mentre altre due sono state tratte in arresto per danneggiamento aggravato e violenza a pubblico ufficiale; per quanto riguarda invece l'azione precedente ai danni degli spettatori, sono stati immediatamente attivati appositi servizi di pattugliamento dalle forze di polizia, sia per rintracciare gli assalitori che per prevenire eventuali ritorsioni in luoghi di ritrovo di soggetti dell'estrema destra.
Dopo circa un'ora, nei pressi di piazza Vescovio, sono state identificate 22 persone, ma le verifiche eseguite sul posto non hanno consentito di rinvenire elementi di riscontro tali da poter comprovare l'avvenuta partecipazione delle medesime all'aggressione posta in essere presso Villa Ada e, quindi, di poter adottare nell'immediato provvedimenti nei loro confronti.
Dai successivi riscontri degli atti della Digos della Questura di Roma, è emerso che le stesse sono risultate fare parte di formazioni dell'«estrema destra», nonché del contesto «ultras» della tifoseria laziale, denominato «
In basso a destra», già «Banda de Noantri».
Ulteriori accertamenti investigativi vengono condotti per accertare collegamenti con episodi analoghi ai quali non risulterebbero estranei facinorosi che creano turbative in occasione di incontri di calcio, e proprio in tale direzione non si esclude che tra gli autori di questi «raid» possano figurare alcuni «ultras» già sottoposti al provvedimento di divieto ad assistere a manifestazioni sportive.
La Prefettura di Roma ha riferito che l'episodio di Villa Ada ha formato oggetto d'attenzione in una seduta del Comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica. Le indagini, delegate dall'Autorità

giudiziaria alla Sezione anticrimine dei carabinieri di Roma, sono tuttora in corso e coperte dal segreto investigativo, motivo per cui appare opportuno rinviare al loro esito una più approfondita e definitiva valutazione dell'episodio anche per quanto riguarda la sua riconducibilità d'area.
Peraltro, secondo quanto successivamente riferito dalla stessa Prefettura di Roma sulla base delle informazioni fornite dal Comando provinciale dei carabinieri, non si esclude che l'episodio possa inquadrarsi in un contesto di rinnovata contrapposizione violenta fra opposte fazioni politiche operanti nella capitale. Tale ipotesi viene considerata con molta attenzione e preoccupazione anche per il timore che, come dichiarato dal Capo della polizia nell'audizione al Senato del 3 luglio scorso richiamata anche dall'interrogante, l'episodio di Villa Ada possa malauguratamente innescare una spirale perversa di azioni, reazioni ed atti di emulazione.
L'impegno delle forze di polizia è volto a vigilare affinché questo rischio non abbia mai a concretizzarsi. Tuttavia, si ribadisce, in atto si tratta solo di ipotesi che potranno essere suffragate solo dalle indagini avviate dalla magistratura, sul cui esito positivo, pur mantenendo un doveroso margine di riservatezza per rispetto delle attività di polizia giudiziaria in corso, si ritiene di poter esprimere una ragionevole fiducia.
Ulteriori attività investigative sono, peraltro, in corso in ambienti dell'estrema destra per analoghi, recenti attacchi a luoghi di ritrovo frequentati da elementi di opposta tendenza politica. Tali attacchi non sempre vengono denunciati dalle vittime, che solo con molta difficoltà e dopo ripetuti inviti si presentano a testimoniare spesso senza riuscire a fornire elementi per le indagini.
Ciò detto sul piano della ricostruzione degli eventi, si coglie l'occasione per esprimere la più ferma condanna di quella che appare come una manifestazione di violenza fine a se stessa, ribadendo che le forze dell'ordine continueranno a perseguire con determinazione e rigore, a Roma come nel resto del territorio nazionale, quanti si rendano responsabili di questi intollerabili oltraggi al sereno svolgimento della nostra vita civile.
Si assicura, inoltre, che da parte delle autorità di pubblica sicurezza e degli organi di polizia vi è la massima attenzione per garantire la sicurezza e la serenità dei residenti dei quartieri ove si sono verificati gli episodi rispetto al possibile verificarsi di altri fatti analoghi.

Il Viceministro dell'interno: Marco Minniti.

BONGIORNO. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
in data 10 gennaio 2007 il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Torino, Marcello Maddalena, - a seguito della Risoluzione dell'Assemblea Plenaria dell'Unione delle Camere Penali Italiane del 9 novembre 2006 (a sua volta sollecitata dalla nota del Ministro della giustizia del 12 settembre 2006) - ha adottato la circolare, prot. n. 58/07 S.P., avente ad oggetto «Direttive in tema di trattazione dei procedimenti in conseguenza della applicazione della legge 31 luglio n. 241 che ha concesso indulto»;
l'arretrato complessivo dell'Ufficio notizie di reato della procura della Repubblica presso il Tribunale di Torino - come evidenziato nella circolare - ammonta a circa 4.300 fascicoli e il totale dei fascicoli pendenti alla data del 3 ottobre 2006 (data dell'ultimo rilevamento) era di 12.538. Sulla base di tali dati il procuratore della Repubblica, nella citata circolare, afferma che «insistere ... nel trattare tutti e comunque i procedimenti pendenti è non solo poco realistico ma, soprattutto, contrario ad ogni logica e ad ogni seria previsione e considerazione in ordine ai fatti di reato che si sono consumati prima del 2 maggio 2006. Perché ... quand'anche si riuscisse ... a giungere ad una condanna definitiva ... essa sarebbe resa vana dall'effetto dell'indulto e dal travolgimento di molti altri effetti penali e no della sentenza di condanna ... Sicché si tratterebbe

di insistere a lavorare su fascicoli destinati ad una fine prevedibile, generando, perpetuando ed aggravando il gorgo non virtuoso di trattare in enorme ritardo i fascicoli che ora arrivano (e che sono fuori dalla previsione dell'indulto) per rispettare un non più razionale principio di fredda cronologia del fascicolo» (circ., p. 7). Per operare un abbattimento dell'arretrato giudiziario il procuratore della Repubblica sostiene, quindi, la necessità di «adottare alcuni criteri di selezione e di accantonamento di fascicoli» - aventi ad oggetto reati rientranti nell'indulto - sulla base di «variabili legate alla oggettività del fatto, alla gravità della lesione degli interessi protetti, alla soggettività del reo, all'interesse all'azione dell'indagato o imputato o delle persone offese, alla irreperibilità dell'indagato eccetera eccetera» e afferma che «è da privilegiare la strada della richiesta di archiviazione (anche "generosa"), ogni qual volta essa appaia praticabile o anche solo possibile» (circ., p. 7 s., nonché p. 17);
in data 15 marzo 2007 l'Unione delle Camere Penali Italiane ha presentato un esposto al Consiglio Superiore della Magistratura nel quale si chiede che vengano adottati «i provvedimenti di sua competenza per la revoca della circolare in argomento, nonché di analoghe determinazioni assunte da altri Uffici giudiziari»;
l'UCPI, nell'esposto, eccepisce l'illegittimità delle misure, di «selezione e accantonamento» dei fascicoli, adottate con la cosiddetta «Circolare Maddalena», osservando che tali previsioni porterebbero all'introduzione del concetto di opportunità dell'azione penale in sostituzione del precetto costituzionale e codicistico della sua obbligatorietà. Al riguardo l'UCPI evidenzia che gli «organi della magistratura non hanno il potere di stabilire quali reati siano da perseguire e quali siano da lasciare impuniti. Simili scelte giudiziarie di opportunità non sono legittimate dalla legge e si traducono, pertanto, nell'esercizio arbitrario della funzione giudiziaria» (documento del 15 marzo 2007 su http://media.camerepenali.it/200703/2737.doc?ver=1). Si legge ancora nell'esposto che «per talune situazioni la legge prevede che non si eserciti l'azione penale (tra l'altro sotto il controllo del giudice) quando, pur in presenza di un fatto che integra tutti gli estremi di una fattispecie legale di reato, il fatto stesso sia connotato da alcuni elementi. Sono, notoriamente, le ipotesi cosiddette di "irrilevanza del fatto" previste dall'articolo 27 decreto del Presidente della Repubblica 22 settembre 1988 n. 448, in materia di procedimento minorile, e dall'articolo 34 decreto legislativo 28 agosto 2000 n. 274, in materia di procedimenti di competenza del giudice di pace. In tali ipotesi è salvaguardata l'obbligatorietà dell'azione penale in quanto il suo mancato esercizio è ancorato a previsioni di legge dentro le quali è vincolato l'operato del pubblico ministero (cosiddetta discrezionalità vincolata, che per l'appunto è una figura dell'obbligatorietà), sottoposto al controllo di legalità del giudice» (Esp. p. 4 s.). L'UCPI denuncia, pertanto, l'adozione da parte della procura di Torino del criterio di opportunità dell'azione penale (cosiddetta discrezionalità libera), in quanto il mancato esercizio dell'azione penale: «a) è stabilita dal procuratore della Repubblica; b) è priva di alcuna matrice legislativa; c) è regolata secondo criteri per l'appunto di opportunità fissati dallo stesso procuratore della Repubblica fuori da ogni regola di legalità; d) proviene dunque da un organo (il procuratore della Repubblica) che non ne ha il potere; e) per di più opera, conseguentemente e necessariamente, fuori da ogni controllo di legalità (neppure possibile) del giudice» (Circ. p. 25 ss.);
con un documento del 15 marzo 2007 l'UCPI ha espressamente chiesto alle istituzioni politiche che «assumano responsabilmente le determinazioni che solo ad esse competono» circa la revoca della «Circolare Maddalena», lamentando che «i suoi primi "frutti avvelenati" sono le richieste di archiviazione motivate dalla "inutilità" di proseguire le indagini per reati rientrati nell'indulto»;
la cosiddetta «Circolare Maddalena» ha evidenziato la difficile situazione in cui versa il sistema giudiziario italiano facendo

emergere, in modo chiaro, le disastrose e ulteriori inefficienze provocate dalla legge 31 luglio 2006, n. 241, sull'indulto;
le misure adottate dalla procura presso il Tribunale di Torino, se pur meritevoli di attenzione in quanto volte all'abbattimento dell'arretrato giudiziario (realizzabile a detta del procuratore Maddalena mediante »una sempre amara, ma purtroppo ormai necessaria amnistia» - Circ. p. 7), sono frutto di scelte di politica penale e giudiziaria di esclusiva competenza del potere legislativo. Non è ammissibile, infatti, che un Ufficio giudiziario, mediante un atto interno, possa adottare misure che regolino l'esercizio dell'azione penale, sostituendone l'obbligatorietà - sancita dal nostro ordinamento - con un generico criterio di opportunità;
i citati criteri di «selezione e accantonamento dei fascicoli» inerenti procedimenti per i quali può essere invocata la legge 241/2006 sulla concessione dell'indulto, porterebbero - a giudizio dell'interrogante - ad aberranti disparità di trattamento nell'esercizio dell'azione penale, in quanto gli Uffici giudiziari, sulla base di questo precedente, potrebbero o meno adottare misure dello stesso tenore ovvero, con le stesse modalità, potrebbero optare per differenti soluzioni nella gestione di procedimenti aventi il medesimo oggetto -:
quali misure anche normative abbia già adottato o intenda adottare:
a) per evitare che, in attesa di opportune determinazione del Consiglio Superiore della Magistratura, l'applicazione della «Circolare Maddalena» comporti, ciò che ad avviso dell'interrogante, costituisce una illegittima archiviazione di fascicoli, per i quali è invocabile la concessione dell'indulto, in violazione delle norme del nostro ordinamento sull'obbligatorietà dell'azione penale;
b) per risolvere la grave situazione provocata dall'introduzione della legge 31 luglio 2006, n. 241, ampiamente argomentata nella «Circolare Maddalena» e attestante l'«inutilità di proseguire le indagini per reati rientrati nell'indulto».
(4-03239)

Risposta. - In risposta all'interrogazione in esame, premetto che le problematiche relative al ruolo dell'ordine giudiziario nell'assetto costituzionale della Repubblica sono assai articolate e complesse; in questa sede sarà possibile affrontare quelle afferenti allo specifico tema della circolare emessa dal Procuratore della Repubblica di Torino, tema che ricomprende, comunque, uno degli aspetti dell'attività propria dei capi degli uffici giudiziari, precisamente quello relativo all'organizzazione della giurisdizione.
I dirigenti degli uffici, inquirenti e giudicanti, possono e devono, nell'ambito delle competenze in tema di amministrazione della giurisdizione, adottare iniziative e provvedimenti - ha affermato più volte il Consiglio superiore della magistratura con risoluzioni del 2000, del 2001, del 2003 e, da ultimo con risoluzione 9 novembre 2006 - idonei «a elaborare soluzioni organizzative dirette ad assicurare la più sollecita definizione dei processi pendenti» ed altresì «intraprendere iniziative volte a razionalizzare la trattazione degli affari e l'impiego delle risorse disponibili». Anzi, lo stesso Consiglio superiore, in attuazione dell'articolo 227 del decreto legislativo n. 51/1998 sul giudice unico di primo grado, ha dettato criteri di priorità e prospettato molteplici soluzioni operative volte alla gestione dell'arretrato esistente presso gli uffici giudiziari.
A seguito della legge n. 241 del 31 luglio 2006 recante «Concessione di indulto» è stata prospettata, da più parti, la possibilità di differenziare, rispetto agli altri procedimenti, la tempistica dei processi penali destinati ad esaurirsi senza la concreta inflizione di una pena per effetto dell'indulto. Si è così riproposto il problema, in un quadro operativo gravato da notevoli ritardi nell'esercizio della giurisdizione, di dare un corso prioritario a processi il cui esito risponda concretamente al principio di effettività.
In questa prospettiva, che trova fondamento nei principi di buon andamento

dell'amministrazione e, quindi, del servizio giudiziario, come sanciti dagli articoli 97 e 111 della Costituzione, con nota del 13 settembre 2006, ho proposto al Consiglio superiore della magistratura ed ai magistrati dirigenti degli uffici la possibilità di adottare la stessa ratio del sistema indicato dall'articolo 227, così da venire incontro alle esigenze esposte.
Con tale nota ho inteso stimolare la capacità e la volontà dei dirigenti degli uffici di non rassegnarsi ad una giurisdizione che produce disservizio, assumendosi viceversa la responsabilità - come più volte auspicato dal Consiglio Superiore della magistratura - di formulare progetti di organizzazione che, sulla base dell'elevato numero degli affari da trattare e preso atto delle risorse umane e materiali disponibili, esplicitino le scelte di intervento adottate per pervenire a risultati possibili ed apprezzabili in rapporto alla effettività. Infatti, quando la giustizia penale ha tempi rapidi e gli uffici sono privi di arretrato, la trattazione dei processi per reati
condonati mantiene una consistente utilità sociale: non solo si addiviene all'accertamento dei fatti e delle relative responsabilità, ma restano fermi gli ulteriori effetti penali della condanna nonché l'eventuale risarcimento per la persona offesa e la possibilità di revoca dell'indulto nei casi previsti dalla legge. Quando, invece, la giustizia penale è lenta e gli uffici hanno arretrati rilevanti, la trattazione di tutti i processi per reati interamente condonati finisce, di fatto, per allontanare - anche in modo significativo - la definizione di quelli nei quali la pena (eventualmente) inflitta è destinata a essere effettivamente scontata, con grave danno per la collettività.
Ovviamente, tutte le iniziative adottate dai capi degli uffici al fine di razionalizzare la trattazione degli affari non possono del tutto prescindere dal principio di obbligatorietà dell'azione penale, cioè non possono operare in via di principio una selezione finalistica dei procedimenti al di fuori di situazioni particolari come quella di cui si parla, per destinarne alcuni alla
non trattazione.
Si aggiunga che l'iniziativa del dottor Maddalena non blocca definitivamente i procedimenti per reati suscettibili di indulto, ma consiglia di privilegiare la più sollecita strada della richiesta di archiviazione per quanto possibile.
Peraltro, la preoccupazione che l'ufficio di Procura possa, attraverso propri orientamenti organizzativi come la circolare in esame, condizionare l'attività giurisdizionale in senso stretto, non è configurabile, giacché le iniziative che i pubblici ministeri possono adottare integrano poteri di stimolo e di proposta, non certo provvedimenti definitivi. Infatti, sia la richiesta di rinvio a giudizio che la richiesta di archiviazione sono rivolte al giudice proprio perché il legislatore ha voluto riservare al giudice, cioè ad un organo-terzo con le garanzie di indipendenza ed imparzialità proprie della giurisdizione, il potere di accertare se ricorrono elementi sufficienti per sottoporre l'indiziato a giudizio, affinché l'eventuale richiesta di archiviazione non rappresenti un'elusione dell'obbligo di esercitare l'azione penale, benché sia applicabile il beneficio dell'indulto. Perciò, anche quando la richiesta del pubblico ministero non si traduce nell'inizio dell'azione penale, ma in una richiesta di archiviazione, l'esito del procedimento passa comunque attraverso il vaglio giurisdizionale e ben può il giudice delle indagini preliminari, se in dissenso con la richiesta dell'organo requirente, assumere distinte determinazioni con il potere-dovere di ordinare il promovimento dell'azione penale attraverso la cosiddetta imputazione coatta.
In conclusione, ritengo che la «circolare Maddalena» rientri, in generale, nei poteri di organizzazione propri del capo dell'ufficio, rilevando, altresì, al riguardo, che anche il Consiglio superiore della magistratura, nella seduta del 15 maggio 2007 ha adottato, a maggioranza, una delibera in cui ha preso atto, allo stato, dell'adeguatezza dei moduli organizzativi adottati con la circolare del Procuratore della Repubblica di Torino in data 10 gennaio 2007 con le precisazioni e i limiti indicati in motivazione, risultando tali determinazioni del tutto conformi al sistema ordinamentale in

tema di organizzazione degli uffici di Procura così come oggi previsto dalla legge, offrendo soluzioni realistiche, razionali e controllabili e complessivamente compatibili con il principio costituzionale di obbligatorietà dell'azione penale.
Il Ministro della giustizia: Clemente Mastella.

BRIGUGLIO. - Al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
nell'ambito della campagna internazionale «Riscriviamo il futuro» che è stata lanciata il 12 settembre 2006, «Save the Children» organizzazione internazionale indipendente per la difesa e promozione dei diritti dei bambini, ha pubblicato «Scuola, ultima della lista». Il finanziamento all'istruzione nei paesi in guerra e post conflitto in coda alle priorità dei donatori istituzionali, una ricerca la quale sottolinea che attualmente 77 milioni di bambine e bambini non vanno a scuola e più della metà, ovvero 39 milioni, vivono nei paesi fragili in stato di guerra (Conflict Affected Fragile States - CAFS), dato ancor più preoccupante se si considera che in questi stessi paesi vive solo il 13 per cento della popolazione mondiale;
l'educazione è un diritto umano fondamentale anche durante un conflitto ed è anche ciò che vogliono i bambini e le loro famiglie, tanto che negli ultimi anni, la comunità internazionale ha riconosciuto l'importanza del diritto all'educazione e si è mobilitata per farlo diventare una realtà, ma le misure attualmente adottate non sono sufficienti per raggiungere il secondo Obiettivo di Sviluppo del Millennio, ovvero l'istruzione primaria universale, entro il 2015;
uno dei principali ostacoli al raggiungimento di questo obiettivo va individuato nel fatto che il finanziamento all'educazione per i CAFS è estremamente basso, anche se più della metà dei bambini che non vanno a scuola si trova proprio in questi paesi: solo il 18 per cento di tutti gli aiuti per l'educazione sono destinati ai CAFS benché in questi paesi ci siano più del 50 per cento dei bambini che non va a scuola;
in relazione a questo quadro generale l'Italia destina una percentuale per garantire l'accesso all'istruzione nei CAFS, in coerenza con quanto affermato nelle «Linee guida della cooperazione italiana sulla tematica minorile (1998 e aggiornate nel 2004) nonché nella «Relazione revisionale e programmatica sulle attività di cooperazione allo sviluppo nell'anno 2007»;
nell'ambito degli aiuti destinati al settore educativo, il 38 per cento sono stati erogati ai CAFS, il 9 per cento agli altri paesi a basso reddito e il 53 per cento ai paesi a medio reddito. La somma totale di aiuti per l'educazione è di 15 milioni di dollari;
si rende necessario pertanto un incremento significativo dell'aiuto pubblico allo sviluppo dell'Italia, e in particolare quello destinato all'educazione, riequilibrando il divario fra i fondi destinati ai CAFS e quelli destinati agli altri paesi a basso reddito e l'Italia dovrebbe inoltre impegnarsi affinché anche nella cooperazione multilaterale una particolare attenzione venga destinata al finanziamento dell'educazione primaria nei CAFS -:
se il Governo intenda assumere le iniziative necessarie per elevare il contributo dell'Italia all'educazione primaria universale, tenendo conto del rapporto suddetto diffuso da «Save the Children».
(4-03904)

Risposta. - La tutela e la promozione dei diritti dei minori, tra i quali spicca il diritto all'educazione e all'istruzione, è una tematica centrale per la Cooperazione italiana, nella convinzione che i programmi per le giovani generazioni rappresentino le migliori premesse per lo sviluppo sostenibile e per la diffusione dei processi democratici e di pacificazione. L'istruzione è infatti un fattore centrale per la lotta alla povertà e per la crescita dell'occupazione.
Sono numerose le attività in corso nel settore dell'educazione di base, ed in particolare

nei Conflict Affected States. Si citano, a titolo di esempio tra le tante, alcune iniziative di particolare importanza.
Nei territori autonomi palestinesi è in corso il «Programma di supporto al settore dell'educazione», con un finanziamento di circa 7 milioni di euro. Obiettivo generale dell'iniziativa è contribuire allo sviluppo del sistema scolastico, avvalendosi di due componenti, una di tipo infrastrutturale e l'altra di assistenza tecnica. In particolare, le attività mirano a garantire l'accesso ai servizi scolastici di base ad un maggior numero di studenti palestinesi attraverso il potenziamento ed il miglioramento delle infrastrutture scolastiche, e ad accrescere il livello qualitativo dei servizi educativi migliorando gli strumenti e le attrezzature didattiche, e incrementando le competenze del corpo insegnante.
In Bosnia Erzegovina è in corso il «Progetto per la tutela e il reinserimento di minori con
handicap fisico e psichico vittime dei conflitti armati e promozione di imprenditorialità sociale», del valore complessivo di 4,4 milioni euro, per un finanziamento a carico della direzione generale per la Cooperazione alla sviluppo del ministero degli esteri di 3,5 milioni di euro. Si tratta di un'iniziativa che, sul versante educativo, si propone di favorire lo sviluppo di un sistema basato sull'integrazione dei bambini disabili e sulla progressiva riduzione del sistema separato.
Sempre in Bosnia si realizza il «Programma finalizzato allo sviluppo della condizione dei bambini e dei giovani in situazioni difficili», affidato a un consorzio di ONG. Il progetto prevede la realizzazione di corsi di formazione rivolti ad insegnanti, presidi e rappresentanti dei genitori delle scuole coinvolte, operatori ed assistenti sociali, responsabili di ONG giovanili ed operatori dei
media locali.
Per quanto attiene alle relazioni multilaterali, il ministero degli affari esteri attraverso la direzione generale per la Cooperazione allo sviluppo partecipa attivamente ai meccanismi di «
governance» dell'iniziativa EFA-FTI (Education for All - Fast Track Iniziative), coordinati in collaborazione da Banca Mondiale, UNESCO e UNICEF. L'EFA-FTI è il principale strumento di mobilitazione di risorse a livello internazionale in favore dell'istruzione attualmente in vigore. Partecipa inoltre alle riunioni periodiche convocate dall'UNESCO. In tali ambiti, è di recente emersa come prioritaria la tematica del diritto all'istruzione nei cosiddetti «Stati fragili», ovvero paesi in situazione di conflitto o post conflitto, con assetti istituzionali deboli, non in grado di assicurare alle popolazioni un'adeguata fornitura di servizi pubblici, soprattutto in campo educativo e sanitario.
Nel 2007, l'Italia ha contribuito con 3 milioni di euro al Fondo EFA-FTI amministrato dalla Banca Mondiale. Nell'ambito della ventilazione del contributo volontario all'UNESCO per il 2007, pari a 4 milioni di euro, sono stati avviati progetti per l'istruzione di base in Mozambico, Burundi, Repubblica Democratica del Congo e Sierra Leone. Sempre con l'UNESCO, è attualmente in corso un'iniziativa di educazione non formale in Liberia, per la quale è già in programmazione una seconda fase.
Infine, nell'ambito dei contributi agli Appelli Consolidati delle Nazioni unite, sono stati concessi nel 2007 contributi volontari all'UNESCO per l'educazione in Somalia (600.000 euro), e in Sudan (500.000 euro).

Il Viceministro degli affari esteri: Patrizia Sentinelli.

BUEMI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
in data 10 gennaio 2007 è stata emanata la circolare del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Torino Marcello Maddalena, Prot. n. 58/07 S.P., avente ad oggetto «Direttive in tema di trattazione dei procedimenti in conseguenza dell'applicazione della legge 31 luglio n. 241 che ha concesso indulto»;
tale circolare è stata adottata a seguito della Risoluzione dell'Assemblea Plenaria del Consiglio Superiore della Magistratura del 9 novembre 2006 (a sua volta

sollecitata dalla nota del Ministro della Giustizia del 12 settembre 2006), della quale non sembra però che abbia correttamente raccolto le indicazioni;
benché la circolare prenda dichiaratamente spunto dal provvedimento di indulto, è appena il caso di rilevare che ovviamente nulla hanno a che vedere con questo le situazioni di «arretrato» dell'Ufficio e i tempi lunghi richiesti per la celebrazione dei procedimenti penali in corso;
né è consentito che siano qualificati come «inutili» quei procedimenti in corso che, avendo per oggetto fatti di reato rientranti nel provvedimento di indulto, siano destinati, in caso di pronuncia di condanna, ad infliggere una pena che non troverà concreta esecuzione;
muovere da una pretesa «inutilità» di quei procedimenti significa travisare la natura giuridica e gli effetti dell'indulto (che non attengono né al processo né al reato, ma alla pena), innescando una prassi giudiziaria che deforma la funzione giurisdizionale perché ne seleziona l'esercizio fuori dalle regole della legalità istituzionale;
prendendo ad occasione l'indulto, la circolare in argomento allestisce meccanismi procedurali del tutto impropri di abbattimento dell'arretrato giudiziario, che, come si è già detto, non ha causa nel provvedimento di indulto e va censurata per ragioni di legittimità dato che la previsione dell'«accantonamento» e le prescrizioni dettate al suo riguardo sono illegittime perché con esse il Procuratore della Repubblica introduce l'opportunità dell'azione penale in sostituzione dell'obbligatorietà;
il «sistema» predisposto dalla circolare in argomento mette invece capo alla opportunità dell'azione penale (cosiddetta discrezionalità libera), violando il precetto costituzionale e codicistico dell'obbligatorietà in quanto la prescrizione che non si eserciti l'azione penale;
le prescrizioni della circolare in argomento determinano numerose conseguenze che, ad avviso dell'interrogante, appaiono totalmente e illegittimamente «fuori sistema», quali la sostituzione dell'obbligatorietà dell'azione penale con la sua opportunità, introdotta da una determinazione di un ufficio giudiziario privo di un tale potere, e non dalla legge, che introduce la disuguaglianza dell'esercizio dell'azione penale nell'amministrazione della giustizia ed il fatto che, non meno grave, e anzi ancora più grave sul piano del sistema istituzionale, è che le scelte della politica penale e giudiziaria si trasferiscono dalle istituzioni a ciò preposte a un ufficio giudiziario: cioè dagli organi politici alla magistratura, priva di alcuna legittimazione al riguardo -:
quali provvedimenti il Ministro interrogato intenda assumere, nell'ambito delle sue competenze, anche al fine di garantire il rispetto delle norme costituzionali in vigore ed eventualmente rispondere alle esigenze concrete poste dalla circolare richiamata in premessa.
(4-03095)

Risposta. - In risposta all'interrogazione in esame, premetto che le problematiche relative al ruolo dell'ordine giudiziario nell'assetto costituzionale della Repubblica sono assai articolate e complesse; in questa sede sarà possibile affrontare quelle afferenti allo specifico tema della circolare emessa dal Procuratore della Repubblica di Torino, tema che ricomprende, comunque, uno degli aspetti dell'attività propria dei capi degli uffici giudiziari, precisamente quello relativo all'organizzazione della giurisdizione.
I dirigenti degli uffici, inquirenti e giudicanti, possono e devono, nell'ambito delle competenze in tema di amministrazione della giurisdizione, adottare iniziative e provvedimenti - ha affermato più volte il Consiglio superiore della magistratura con risoluzioni del 2000, del 2001, del 2003 e, da ultimo con risoluzione 9 novembre 2006 - idonei «a elaborare soluzioni organizzative dirette ad assicurare la più sollecita definizione dei processi pendenti» ed altresì «intraprendere iniziative volte a razionalizzare la trattazione degli affari e l'impiego delle risorse disponibili». Anzi, lo stesso Consiglio superiore, in attuazione dell'articolo

227 del decreto legislativo n. 51/1998 sul giudice unico di primo grado, ha dettato criteri di priorità e prospettato molteplici soluzioni operative volte alla gestione dell'arretrato esistente presso gli uffici giudiziari.
A seguito della legge n. 241 del 31 luglio 2006 recante «Concessione di indulto» è stata prospettata, da più parti, la possibilità di differenziare, rispetto agli altri procedimenti, la tempistica dei processi penali destinati ad esaurirsi senza la concreta inflizione di una pena per effetto dell'indulto. Si è così riproposto il problema, in un quadro operativo gravato da notevoli ritardi nell'esercizio della giurisdizione, di dare un corso prioritario a processi il cui esito risponda concretamente al principio di effettività.
In questa prospettiva, che trova fondamento nei principi di buon andamento dell'amministrazione e, quindi, del servizio giudiziario, come sanciti dagli articoli 97 e 111 della Costituzione, con nota del 13 settembre 2006, ho proposto al Consiglio superiore della magistratura ed ai magistrati dirigenti degli uffici la possibilità di adottare la stessa
ratio del sistema indicato dall'articolo 227, così da venire incontro alle esigenze esposte.
Con tale nota ho inteso stimolare la capacità e la volontà dei dirigenti degli uffici di non rassegnarsi ad una giurisdizione che produce disservizio, assumendosi viceversa la responsabilità - come più volte auspicato dal Consiglio Superiore della magistratura - di formulare progetti di organizzazione che, sulla base dell'elevato numero degli affari da trattare e preso atto delle risorse umane e materiali disponibili, esplicitino le scelte di intervento adottate per pervenire a risultati possibili ed apprezzabili in rapporto alla effettività. Infatti, quando la giustizia penale ha tempi rapidi e gli uffici sono privi di arretrato, la trattazione dei processi per reati
condonati mantiene una consistente utilità sociale: non solo si addiviene all'accertamento dei fatti e delle relative responsabilità, ma restano fermi gli ulteriori effetti penali della condanna nonché l'eventuale risarcimento per la persona offesa e la possibilità di revoca dell'indulto nei casi previsti dalla legge. Quando, invece, la giustizia penale è lenta e gli uffici hanno arretrati rilevanti, la trattazione di tutti i processi per reati interamente condonati finisce, di fatto, per allontanare - anche in modo significativo - la definizione di quelli nei quali la pena (eventualmente) inflitta è destinata a essere effettivamente scontata, con grave danno per la collettività.
Ovviamente, tutte le iniziative adottate dai capi degli uffici al fine di razionalizzare la trattazione degli affari non possono del tutto prescindere dal principio di obbligatorietà dell'azione penale, cioè non possono operare in via di principio una selezione finalistica dei procedimenti al di fuori di situazioni particolari come quella di cui si parla, per destinarne alcuni alla
non trattazione.
Si aggiunga che l'iniziativa del dottor Maddalena non blocca definitivamente i procedimenti per reati suscettibili di indulto, ma consiglia di privilegiare la più sollecita strada della richiesta di archiviazione per quanto possibile.
Peraltro, la preoccupazione che l'ufficio di Procura possa, attraverso propri orientamenti organizzativi come la circolare in esame, condizionare l'attività giurisdizionale in senso stretto, non è configurabile, giacché le iniziative che i pubblici ministeri possono adottare integrano poteri di stimolo e di proposta, non certo provvedimenti definitivi. Infatti, sia la richiesta di rinvio a giudizio che la richiesta di archiviazione sono rivolte al giudice proprio perché il legislatore ha voluto riservare al giudice, cioè ad un organo-terzo con le garanzie di indipendenza ed imparzialità proprie della giurisdizione, il potere di accertare se ricorrono elementi sufficienti per sottoporre l'indiziato a giudizio, affinché l'eventuale richiesta di archiviazione non rappresenti un'elusione dell'obbligo di esercitare l'azione penale, benché sia applicabile il beneficio dell'indulto. Perciò, anche quando la richiesta del pubblico ministero non si traduce nell'inizio dell'azione penale, ma in una richiesta di archiviazione, l'esito del procedimento passa comunque attraverso il vaglio giurisdizionale e ben può il

giudice delle indagini preliminari, se in dissenso con la richiesta dell'organo requirente, assumere distinte determinazioni con il potere-dovere di ordinare il promovimento dell'azione penale attraverso la cosiddetta imputazione coatta.
In conclusione, ritengo che la «circolare Maddalena» rientri, in generale, nei poteri di organizzazione propri del capo dell'ufficio, rilevando, altresì, al riguardo, che anche il Consiglio superiore della magistratura, nella seduta del 15 maggio 2007 ha adottato, a maggioranza, una delibera in cui ha preso atto, allo stato, dell'adeguatezza dei moduli organizzativi adottati con la circolare del Procuratore della Repubblica di Torino in data 10 gennaio 2007 con le precisazioni e i limiti indicati in motivazione, risultando tali determinazioni del tutto conformi al sistema ordinamentale in tema di organizzazione degli uffici di Procura così come oggi previsto dalla legge, offrendo soluzioni realistiche, razionali e controllabili e complessivamente compatibili con il principio costituzionale di obbligatorietà dell'azione penale.

Il Ministro della giustizia: Clemente Mastella.

CARUSO. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
in data 19 gennaio 2007, i rappresentanti del movimento di lotta per il lavoro di Salerno comunicavano agli uffici preposti della locale Questura la volontà di organizzare una manifestazione cittadina per rivendicare il diritto al lavoro e al reddito;
in data 23 gennaio la Questura consegnava agli organizzatori la comunicazione del Questore cat A4/07/169.1 Gab. con la quale veniva negato il permesso di manifestare lungo le vie del centro e prescritto un percorso alternativo;
le motivazioni alla base del provvedimento parlano di «gravi riflessi sulla circolazione veicolare e inevitabili turbative all'ordine e alla sicurezza pubblica, nonché impedimenti al transito di mezzi di soccorso»;
è la prima volta che, a memoria dell'interrogante, il diritto a manifestare, diritto costituzionalmente garantito, viene sacrificato a causa dei «gravi riflessi sulla circolazione veicolare» che questo comporterebbe;
allo stesso modo è molto difficile comprendere quali siano le «turbative all'ordine e alla sicurezza pubblica» connesse allo svolgimento del corteo da largo Prato di Pastena a piazza Amendola, definite nella comunicazione del Questore addirittura come «inevitabili» -:
se il ministro sia a conoscenza dei fatti sopra riportati;
se non ritenga opportuno tutelare il diritto a manifestare da parte delle fasce sociali più deboli;
se non ritenga deplorevole declassare l'esercizio dei diritti sanciti dalla Costituzione, manifestazioni di rivendicazione del diritto al lavoro e al reddito, come un problema di semplice e banale intralcio al traffico veicolare.
(4-02328)

Risposta. - In merito ai fatti segnalati è utile ricordare che l'atteggiamento più opportuno in tema di libera manifestazione del pensiero è quello di garantire concretamente l'esercizio del diritto ad ogni gruppo che voglia organizzare iniziative volte a sostenere le proprie tesi, purché il tutto avvenga nel rispetto del dettato costituzionale e dell'ordinamento vigente.
Come è noto la disciplina costituzionale del diritto di riunione non prevede alcuna autorizzazione da parte dell'Autorità di pubblica sicurezza: l'articolo 17 della Carta costituzionale, infatti, dopo aver affermato che i cittadini hanno diritto di riunirsi pacificamente e senz'armi, precisa, con chiarezza, che solo per le riunioni in luogo pubblico deve essere dato preavviso alle Autorità che possono vietarle soltanto per comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica. A tale disciplina si uniforma

il testo unico sulle leggi di pubblica sicurezza (T.U.L.P.S.).
Nel caso specifico, il 19 gennaio scorso il «Movimento di lotta per il lavoro ed il reinserimento sociale» ha dato avviso alla Questura di Salerno che il 26 gennaio seguente vi sarebbe stata in quella città una manifestazione con svolgimento di un corteo che, partendo da piazza Largo Prati di Pastena, si sarebbe concluso a piazza Amendola.
Considerando che il corteo, durante il percorso, avrebbe impegnato le principali arterie - periferiche e centrali - della città, con prevedibile paralisi della circolazione veicolare, la Questura di Salerno ha provveduto a convocare, il 23 gennaio scorso, gli organizzatori dell'iniziativa invitandoli a ridurre il percorso programmato, atteso che la manifestazione avrebbe, altrimenti, avuto conseguenze negative sia sul versante dell'ordine pubblico, per le lunghissime attese degli automobilisti in una situazione di paralisi del traffico difficilmente gestibile, sia sul versante della sicurezza, per l'impedimento o la forte limitazione del transito di tutti i mezzi di soccorso pubblico.
A fronte del rifiuto degli organizzatori, il Questore ha adottato, nella stessa data, un provvedimento con il quale - ai sensi dell'articolo 18 del T.U.L.P.S. - è stato prescritto che, per motivi di ordine e sicurezza pubblica, il corteo dovesse avere un percorso diverso.
Il 25 gennaio successivo, gli organizzatori sono stati nuovamente convocati presso la Questura, al fine di ricercare soluzioni che contemperassero il diritto a manifestare con le esigenze connesse alla tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica.
Il Questore ha riferito che l'incontro, avvenuto in un clima costruttivo e ragionevole, ha dato esito positivo anche perché gli organizzatori, prendendo atto delle necessità rappresentate, hanno concordato sull'opportunità di una variazione di percorso, in ogni caso più breve rispetto alla richiesta originaria.
Pertanto, venuti meno i motivi che avevano indotto precedentemente ad emettere un provvedimento restrittivo, il Questore di Salerno ha provveduto alla revoca di tale provvedimento e la manifestazione ha avuto luogo regolarmente il giorno stabilito senza alcuna turbativa.

Il Viceministro dell'interno: Marco Minniti.

COLASIO. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
la Casa di Reclusione di Fossano (Cuneo) è ospitata in una struttura che fu adibita a carcere già dal XIX secolo ed è composta da tre piani detentivi, sezione infermeria, caserma agenti, portineria, buca pranzi, isolamento e tre cortili;
la struttura ha richiesto una serie di interventi al fine di migliorare le condizioni di vita di detenuti ed agenti all'interno della stessa e per i quali è stata stanziata la somma di circa 10 milioni di euro per l'intero complesso;
nella prima metà del 2005 sono iniziati i lavori di ristrutturazione che hanno interessato la zona detentiva con il conseguente trasferimento in altre strutture della maggior parte dei detenuti (alla data odierna risultano ospitate 6 persone) a fronte di circa un centinaio di agenti di polizia penitenziaria;
la ditta che ha ottenuto l'appalto dei lavori ha completato un piano per poi subappaltare i restanti ad altre due ditte;
nell'agosto 2006 è stato inaugurato solo il terzo piano ma dopo 10 giorni nuovamente richiuso a causa della rottura di tubature dell'impianto di riscaldamento con infiltrazioni d'acqua che hanno rovinato muri ed intonaci di una sezione «nuova»;
gli agenti di Polizia Penitenziaria sono costretti a trovare alloggio in alberghi e pensioni o, chi più fortunato, in appartamenti in affitto, sborsando spesso cifre considerevoli visto che la caserma agenti è stata completata nel gennaio 2006, da novembre scorso è completamente arredata e rimane tuttora inutilizzata;
ad oggi non si prevede tra quanto la Casa di Reclusione di Fossano potrà tornare

a pieno regime considerato che l'importo stanziato è stato sufficiente solo per parte della struttura -:
quali informazioni abbia sulla tempistica per la fine dei lavori e come intenda intervenire per mettere a regime la struttura, in modo da evitare che il continuo sotto utilizzo della stessa non rimanga un costo per la comunità.
(4-03066)

Risposta. - In risposta all'interrogazione indicata in esame, si fa presente che i lavori di ristrutturazione della casa di reclusione di Fossano, realizzati a cura del Ministero delle infrastrutture, sono stati ultimati, con riguardo al solo fabbricato detentivo, che risulta già attivato.
È opportuno sottolineare, tuttavia, che i fondi stanziati assicurano la copertura dell'intero intervento e, infatti, il completamento dei lavori nonché l'espletamento delle operazioni di collaudo sono previsti entro la fine del corrente anno.
Pertanto, si può prevedere che l'istituto di Fossano tornerà a funzionare a pieno regime presumibilmente agli inizi del 2008.

Il Ministro della giustizia: Clemente Mastella.

D'AGRÒ. - Al Ministro dell'interno, al Ministro per le riforme e le innovazioni nella pubblica amministrazione. - Per sapere - premesso che:
nel 1998 veniva indetto con decreto direttoriale in data 6 marzo 1998, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, IV Serie Speciale, n. 24 del 27 marzo 1998 un concorso per mestieri a 184 posti di vigile del fuoco;
al predetto concorso seguiva nel 2001 un altro riservato ai vigili discontinui (173 posti di vigile del fuoco, bandito con decreto direttoriale in data 5 novembre 2001, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, IV Serie Speciale, n. 92 del 20 novembre 2001);
quest'ultimo concorso veniva indetto quando non si era ancora raggiunta l'estinzione numerica della prima graduatoria;
si è poi proceduto all'assunzione degli idonei attingendo da entrambe le graduatorie, considerando gli idonei dell'una e dell'altra su uno stesso livello di anzianità rispetto ai bandi di uscita;
non appare pertanto chiaro il criterio di assunzione del personale permanente nel Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco attuato negli ultimi anni -:
se i Ministri non ritengano di procedere, in relazione a future assunzioni nel Corpo dei vigili del fuoco, attingendo dalle singole graduatorie vigenti, rispettando così l'anzianità dei bandi di uscita, sino al loro completo esaurimento;
di conseguenza, come si intenda procedere in relazione alla scadenza della attuale graduatoria del Concorso per mestieri a 184 posti, fissata per il 31 dicembre 2007.
(4-03450)

Risposta. - Nel 1998 veniva bandito un concorso pubblico a 184 posti di vigile del fuoco.
Il successivo concorso a 173 posti, bandito nel 2001, è stato adottato in base ad una precisa disposizione di legge - l'articolo 1 della legge 10 agosto 2000 n. 246, recante il potenziamento dell'organico del Corpo nazionale dei vigili del fuoco - la quale prevedeva che alla copertura del 25 per cento dei posti portati in aumento nel profilo di vigile del fuoco si provvedesse con concorso, per titoli, riservato ai vigili iscritti nei quadri del personale volontario (cosiddetti discontinui).
La legge 31 marzo 2004 n. 87, prorogando sino al 31 dicembre 2006 la validità delle graduatorie dei due concorsi del 1998 e del 2001, ha consentito all'amministrazione di assumere, oltre ai vincitori, anche altri contingenti di vigili del fuoco risultati idonei, in numero pari a quelli che sono stati poi autorizzati dalla funzione pubblica per garantire la copertura del
turnover o dalla legge finanziaria quale sporadico aumento di organico.

In particolare, per il 2005 la funzione pubblica ha autorizzato, per sopperire al turnover, l'assunzione di 457 unità nel Corpo nazionale vigili del fuoco, di cui 370 destinate dall'amministrazione al profilo di vigile del fuoco, attingendo, fra l'altro, dal concorso del 1998.
Per il 2006, la legge 21 febbraio 2006, n. 49 ha autorizzato l'assunzione di 50 unità, di cui 25 provenienti dal concorso straordinario a 25 posti per la sede di Cuneo - aeroporto Levaldigi, riservato al personale in possesso dell'abilitazione al servizio antincendi aeroportuale e 25 provenienti rispettivamente dalle graduatorie dei concorsi a 184 e 173 posti.
Per l'anno in corso, la legge 27 dicembre 2006, n. 296 (legge finanziaria per il 2007), realizzando un'inversione di tendenza sostanziale rispetto alle finanziarie della precedente legislatura anche attraverso un percorso di stabilizzazione del personale precario, ha consentito di assumere, con decorrenza 16 luglio 2007, un contingente di 600 vigili del fuoco per far fronte alle carenze di organico del Corpo nazionale vigili del fuoco e sopperire alla copertura del
turnover.
Nello stesso periodo, con decreto-legge del 28 dicembre 2006, n. 300, poi convertito nella legge n. 17 del 2007, concernente la proroga dei termini previsti da disposizioni legislative, entrambe le graduatorie del concorso pubblico a 184 posti bandito nel 1998 e del concorso a 173 posti bandito nel 2001, riservato ai vigili discontinui, sono state, da ultimo, prorogate fino al 31 dicembre 2007.
Nel citato contingente di 600 vigili del fuoco, la cui assunzione è stata autorizzata dalla legge finanziaria 2007, sono incluse 137 unità provenienti dalla graduatoria degli idonei del concorso a 184 posti nel Corpo nazionale dei vigili del fuoco bandito nel 1998.
In applicazione delle citate normative emanate a dicembre del 2006, e per evidenti esigenze di equità da garantire agli idonei delle graduatorie di tutti i bandi ancora in vigore, le restanti unità sono state assunte attingendo, in parti uguali (vale a dire nella misura di 137 unità per ogni procedura concorsuale), rispettivamente dalla graduatoria del concorso a 173 posti, riservato ai vigili discontinui, nonché da quelle dei due concorsi riservati ai vigili volontari ausiliari del Corpo nazionale congedatisi negli anni 2004 e 2005.
Si soggiunge, in conclusione, che a completamento del numero complessivo delle 600 unità autorizzate dalla finanziaria, sono stati assunti n. 52 volontari in ferma breve arruolati dal ministero della difesa ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica n. 332 del 1997.

Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Ettore Rosato.

EVANGELISTI. - Al Presidente del Consiglio dei ministri. - Per sapere - premesso che:
all'alba del 12 febbraio, una vasta operazione di polizia che ha impegnato oltre 500 uomini ha portato all'arresto di ben 15 persone con la pesante accusa di aver organizzato «un'associazione terroristica costituitasi in banda armata», che sotto il nome di «Partito comunista politico militare» (PCPM) si richiamava alla «seconda posizione» cosiddetta «movimentista» delle Brigate Rosse;
in questo Paese si sentano riecheggiare ancora certe sigle e certi nomi fa rabbrividire chiunque, perché dovrebbero appartenere ad un'epoca insanguinata che dovremmo esserci saggiamente lasciati alle spalle;
ciononostante, pochi anni dopo i tragici omicidi di Massimo D'Antona e di Marco Biagi, proprio quando si pensava che le cellule delle Brigate Rosse fossero state debellate, riemergono questi arresti;
si tratta di tre cellule di Padova, Milano e Torino, equipaggiate di armi, sequestrate dalla polizia i cui appartenenti si esercitavano nelle campagne di Rovigo e Milano in attività di tipo paramilitare;
tra gli arrestati figurano anche alcuni iscritti al più grande sindacato confederale;

questo testimonia una notevole e pericolosissima ramificazione e capacità di infiltrazione che dovrebbe destare la massima attenzione da parte dello Stato, che ha il dovere di reagire a tutto ciò -:
quali informazioni siano in possesso del Governo e quali intendimenti l'Esecutivo intenda assumere al fine di contrastare tale fenomeno.
(4-02649)

Risposta. - Come è noto, la questione posta dall'interrogante è stata oggetto di ampie informative al Parlamento, svolte dal signor Ministro dell'interno e dallo scrivente subito dopo la vasta operazione antiterrorismo diretta dalla Direzione centrale della polizia di prevenzione nelle città di Milano, Padova, Torino e Trieste nella mattinata del 12 febbraio scorso.
Le operazioni si sono concluse con l'arresto di 15 presunti appartenenti alle nuove «Brigate Rosse» accusati dei reati di associazione sovversiva, banda armata ed altri reati connessi e con il rinvenimento, in moltissimi luoghi del territorio nazionale, di volantini apocrifi e di scritte a firma del citato sodalizio, nonché di un consistente deposito di armi nelle campagne padovane.
Le ordinanze di custodia cautelare in carcere sono state emesse dall'Autorità giudiziaria di Milano a conclusione di una indagine avviata dalla DIGOS del capoluogo lombardo nell'agosto del 2004, a seguito del rinvenimento, in una cantina, di documentazione di natura eversiva e di materiale utilizzabile per attività illegali.
Gli arrestati sono militanti di una organizzazione terroristica, definita Partito Comunista Politico-Militare, attestata ideologicamente sulle posizioni «dell'ala movimentista» delle Brigate Rosse (cosiddetta Seconda Posizione), linea che si caratterizza per una strategia di più lungo periodo e che teorizza la coniugazione tra la «lotta armata» e lo «scontro sociale».
Da ciò discende la scelta strategica di «infiltrare» propri appartenenti nei luoghi del disagio e dell'aggregazione, nonché nelle situazioni di tensione sociale presenti nel mondo del lavoro, dove è possibile incontrare, influenzare e condizionare, piegandoli ai propri obiettivi, i relativi aderenti.
Infatti, un numero significativo degli arrestati risulta iscritto alla CGIL, mentre altri sono noti come frequentatori del centro sociale Gramigna di Padova.
Il gruppo era composto da nuclei attivi a Torino, Milano, Padova e Roma e si muoveva su un doppio livello, occulto e palese, seguendo attitudini e comportamenti tipici di eversori segreti.
Di questa area, particolarmente insediata a Parigi, faceva parte Alfredo Davanzo, leader ideologico del gruppo catturato a Raveo (Udine), il quale, dopo gli anni di latitanza in Francia, si è dichiarato «
militante rivoluzionario» al momento dell'arresto.
Le perquisizioni effettuate hanno riguardato, oltre agli arrestati, altre 33 persone e le sedi di diverse organizzazioni: il Centro popolare occupato «Gramigna» di Padova, i Comitati proletari per il comunismo sempre di Padova, il Centro proletario «Ilic» di Milano e il Centro «La Fucina» di Sesto San Giovanni (Milano).
Si evidenzia che, nel corso dei servizi di osservazione, gli organi di polizia si sono trovati anche nella condizione di rinunciare ad iniziative che avrebbero potuto pregiudicare la complessa opera di individuazione della più ampia rete terroristica.
Pertanto, le medesime hanno fatto ampio ricorso alla previsione normativa di cui all'articolo 9, comma 6, della legge 16 marzo 2006, n. 146, che consente di differire l'arresto ed altri atti di polizia giudiziaria allo scopo di assicurare l'ulteriore sviluppo delle indagini in materia di terrorismo e di eversione.
Nondimeno, si è agito sempre con grande prudenza e mai si sono messe a rischio persone o cose.
Se da un lato la brillante operazione condotta dimostra l'elevata capacità investigativa degli apparati dello Stato nel contrasto del fenomeno eversivo e terroristico, d'altra parte le risultanze delle indagini inducono a mantenere sempre elevato il livello di attenzione soprattutto per il pericolo costituito, nello spirito proprio della «Seconda Posizione», dal tentativo delle nuove Brigate Rosse di infiltrarsi nei contesti del disagio e della protesta sociale.

In tal senso, si rileva come, a seguito dell'operazione di polizia giudiziaria effettuata nel corso dell'operazione del 12 febbraio scorso, vi sono state delle manifestazioni spontanee di solidarietà nei confronti degli arrestati da parte di gruppi appartenenti all'area antagonista radicale.
A tale proposito si precisa che le Forze di polizia dedicano particolare attenzione a quei soggetti e a quei gruppi che si sono dichiarati vicini agli arrestati, oltre che per posizioni radicali, anche per affinità ideologiche e pregressi contatti.
Analoga attenzione, inoltre, viene rivolta anche alle situazioni di tensione sociale nel mondo del lavoro, laddove possa temersi il rischio di infiltrazioni di tipo eversivo.
Proprio grazie a questa attenta e costante attività di «
intelligence», nella notte tra il 5 e il 6 luglio scorso, nella città di Padova sono stati arrestati due presunti brigatisti nell'ambito di un'operazione diretta dalla Direzione centrale della polizia di prevenzione e dalle DIGOS di Milano e Padova, che è frutto dell'inchiesta cosiddetta «Tramonto», coordinata dalla procura della Repubblica di Milano.
Il Viceministro dell'interno: Marco Minniti.

FABRIS. - Al Ministro dell'interno, al Ministro dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
negli ultimi 3 mesi sono state recapitate ben 15 mila multe per passaggio con semaforo rosso a seguito di rilevazioni effettuate mediante apparecchi automatici «Trafficphot III» installati a partire dal mese di maggio 2006 sui semafori di Altavilla Vicentina lungo la SR (strada regionale) 11;
detti rilevatori automatici sono stati installati su specifica autorizzazione della giunta comunale, sulla base della relazione del comandante della Polizia locale che segnalava la forte mole di traffico che la SR 11 è costretta a sopportare e le numerose infrazioni semaforiche da parte degli utenti, nonché la difficoltà per il corpo di Polizia locale di far fronte a tale situazione per l'insufficienza del relativo organico;
i soggetti multati hanno costituito un comitato spontaneo per la mobilità al fine di ottenere chiarimenti circa l'effettiva utilità e legittimità di tali apparecchiature, nutrendo il sospetto che il tratto di strada interessato non sia annoverabile tra quelli ad alto rischio di incidentalità stradale, e che l'unico scopo del Comune di Altavilla Vicentina sia quello di approntare un sistema che consenta di infliggere il maggior numero possibile di sanzioni al solo fine di rimpinguare le casse comunali;
a norma dell'articolo 201 del Nuovo codice della strada di cui al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, così come modificato dal decreto-legge 27 giugno 2003, n. 151, convertito, con modificazioni, dalla legge 1 agosto 2003, n. 214, la contestazione immediata della violazione e la presenza degli organi di polizia non sono necessarie, tra l'altro, in caso di «attraversamento di un incrocio con il semaforo indicante la luce rossa», qualora l'accertamento avvenga mediante rilievo con apposite apparecchiature debitamente omologate;
tuttavia, ai sensi dell'articolo 4, comma 1 del decreto-legge 20 giugno 2002, n. 121, convertito, con modificazioni, dalla legge 1 agosto 2002, n. 168, così come modificato dal decreto-legge n. 151/2003, della presenza di dispositivi o mezzi tecnici di controllo del traffico finalizzati al rilevamento a distanza delle violazioni deve essere data adeguata informazione agli automobilisti;
in proposito, è stato segnalato che l'installazione delle telecamere è avvenuta senza campagna pubblicitaria di informazione pubblica e che solo a ben otto mesi di distanza l'Amministrazione di Altavilla Vicentina ha deciso di installare dei pannelli luminosi per avvisare della presenza dei rilevatori di infrazioni semaforiche, in luogo di quelli esistenti e da sempre ritenuti poco visibili e confusi tra le altre inserzioni pubblicitarie;

ne consegue a giudizio dell'interrogante che anche il comportamento dell'amministrazione comunale avvalora il sospetto avanzato dal comitato per la mobilità, in quanto l'insufficiente segnalazione delle telecamere non risponde all'esigenza di incentivare il rispetto del codice della strada, ma appare al contrario funzionale ad incrementare il numero delle infrazioni e, quindi, delle multe;
infatti, se è vero che la sicurezza stradale costituisce oggi uno dei principali obiettivi che una pubblica amministrazione deve perseguire per tutelare gli interessi della collettività e che, quindi, le violazioni delle relative norme devono essere debitamente sanzionate, è però altrettanto vero che tali norme hanno una finalità deterrente, prima ancora che punitiva;
ne consegue che l'interesse primario di una pubblica amministrazione dovrebbe essere l'educazione al rispetto delle regole piuttosto che la repressione delle infrazioni, e a tal fine un'adeguata pubblicizzazione degli strumenti di rilevazione automatica avrebbe di certo sortito effetti positivi sul traffico della SR 11, incoraggiando gli automobilisti a mantenere una condotta di guida conforme al codice della strada -:
se il Governo, per quanto di sua competenza, sia a conoscenza dei motivi per i quali l'Amministrazione di Altavilla Vicentina abbia deciso di installare dei pannelli luminosi per avvisare della presenza di rilevatori di infrazioni semaforiche solo a ben otto mesi di distanza dall'installazione delle telecamere;
quali iniziative il Governo, e segnatamente il Ministro dei trasporti, intenda assumere al fine di imporre che la presenza di rilevatori automatici sia sempre segnalata in modo adeguato e tempestivo, a tal fine prevedendo una specifica segnaletica come unica modalità di informazione all'utenza;
quali iniziative i Ministri interrogati intendano adottare, alla luce di quanto descritto nella presente interrogazione, per rispondere alle richieste provenienti dalle migliaia di automobilisti multati;
se il Ministro dell'interno non ritenga di doversi attivare al fine dell'annullamento di tutte le multe finora pervenute agli automobilisti, al fine di estinguere le migliaia di ricorsi pendenti ed evitarne di nuovi, con risparmio sia del cittadino che dell'amministrazione.
(4-02373)

Risposta. - L'accertamento delle infrazioni connesse al mancato rispetto delle segnalazioni luminose semaforiche e, in particolare, quelle di colore rosso, può avvenire, come ricordato dall'interrogante, anche senza la contestazione immediata dell'infrazione, ai sensi del disposto dell'articolo 201, comma 1-bis, lettera b) del codice della strada. In tal caso non è neppure necessario indicare nel verbale di accertamento i motivi che hanno impedito la contestazione immediata dell'infrazione.
Il successivo comma 1-
ter del medesimo articolo 201 del codice della strada prevede che per l'accertamento della violazione della prescrizione imposta dalla luce semaforica rossa non è necessaria la presenza di organi di polizia stradale, qualora l'accertamento avvenga mediante rilievo effettuato con apposite apparecchiature debitamente omologate.
Secondo quanto, tra l'altro, confermato dal Ministero dei trasporti, il codice della strada non prevede l'ulteriore obbligo di presegnalare o, più genericamente, di informare gli utenti della strada che l'intersezione stradale regolata da impianto semaforico è dotata di apparecchiature debitamente omologate per la rilevazione a distanza di eventuali infrazioni. Non è altresì previsto che l'impiego di tali strumenti di controllo - che sia presente o meno l'operatore di polizia - debba essere limitato a particolari categorie di strade o essere in qualche modo correlato alle situazioni di traffico o di incidentalità registrate in corrispondenza o in prossimità del luogo di installazione.
Non risulta, peraltro, corretto il riferimento all'articolo 4, comma 1, del decreto-legge n. 121 del 2002, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 168 del 2002, che riguarda espressamente i dispositivi di controllo

del traffico in grado di verificare l'osservanza delle norme di cui agli articoli 142 (limiti di velocità) e 148 (sorpasso) del codice della strada, elenco esteso alle ipotesi di illecito di cui all'articolo 176 del codice della strada (comportamenti durante la circolazione sulle autostrade e sulle strade extraurbane principali) con decreto-legge n. 151 del 2003, convertito dalla legge n. 214 del 2003, e non in tema di segnaletica semaforica (articolo 146, comma 3 del codice della strada.
Per quanto in particolare concerne l'amministrazione comunale di Altavilla Vicentina, risulta che sono stati installati tre rilevatori di infrazioni semaforiche nelle date del 18 e del 23 maggio 2006 che sono stati attivati, rispettivamente, il 26 maggio 2006 e il 5 giugno 2006, in un tratto della strada regionale 11 «Padana Superiore» ricadente nel centro abitato del territorio comunale con limite di velocità di 50 km/h.
Si tratta di un'importante arteria di comunicazione della provincia di Vicenza che, anche a causa della vicinanza con l'autostrada A4 «Serenissima» ad essa parallela e della elevata presenza di insediamenti commerciali, industriali e artigianali, è caratterizzata da elevati volumi di traffico.
Con riferimento all'ultimo trimestre dello scorso anno, sono state accertate n. 3.788 infrazioni rispetto ai 13.942 accertamenti effettuati dal primo giorno dell'installazione (26 maggio 2006) e fino al 30 settembre 2006 con una diminuzione del 36 per cento, a riprova del forte effetto di deterrenza che ne è scaturito.
Si precisa che gli apparecchi utilizzati per la rilevazione non sono i «Trafficphot III», ma i più avanzati modelli T-Red, prodotti dalla ditta Kria di Seregno, approvati con decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti.
Le finalità perseguite dall'amministrazione comunale con l'installazione dei dispositivi di rilevamento delle infrazioni semaforiche sono essenzialmente quelle della prevenzione e del contenimento dell'incidentalità, da perseguire scoraggiando i comportamenti di guida a rischio. Nel tratto interessato, infatti, il passaggio di automobilisti con luce rossa era stato causa di numerosi incidenti (anche se non di grave entità e mai mortali), talvolta risolti dagli interessati mediante constatazione amichevole senza l'intervento degli organi di polizia stradale.
Del resto, il passaggio con il rosso è di per se stesso un rischio di sinistro stradale e mette a repentaglio la sicurezza sia propria che degli altri utenti della strada soprattutto nel tratto in argomento, riconosciuto tra quelli a maggior traffico della zona.
Sempre nell'ottica di una riduzione del rischio attraverso strumenti di fluidificazione del traffico veicolare e di dissuasione alla velocità ed ai comportamenti di guida a rischio, recentemente presso il Municipio di quel comune si è tenuta una conferenza di servizi diretta ad esaminare il progetto di realizzazione di tre rotatorie che dovrebbero essere costruite nelle intersezioni attualmente regolate da semaforo e controllate con i dispositivi di rilevazione in questione.
Per quanto riguarda il sospetto, adombrato nell'interrogazione, che il ricorso ai dispositivi T-Red sia in realtà finalizzato ad introitare il maggior numero possibile di sanzioni pecuniarie, si osserva che, secondo quanto riferito dalla prefettura di Vicenza, il bilancio del comune di Altavilla Vicentina è stato ed è in attivo.
Oltretutto, si rammenta che la destinazione dei proventi delle sanzioni per violazioni al codice della strada soggiace a precisi vincoli di legge e non può essere utilizzata come leva di bilancio. Infatti, in base all'articolo 208, comma 4, del decreto legislativo n. 285 del 30 aprile 1992, una quota pari al 50 per cento dei proventi spettanti alle regioni, province e comuni è devoluta per consentire agli organi di polizia locale di effettuare nelle scuole corsi didattici finalizzati all'educazione stradale, nonché al miglioramento della circolazione sulle strade, al potenziamento e miglioramento della segnaletica stradale e alla redazione dei piani di sicurezza stradale, alla fornitura di mezzi tecnici necessari per i servizi di polizia stradale di loro competenza e alla realizzazione di interventi a favore della mobilità ciclistica, nonché, in misura non inferiore al 10 per cento, ad interventi per la sicurezza stradale, in particolare

a tutela degli utenti deboli (pedoni, ciclisti, bambini, anziani, disabili).
Si precisa, inoltre, che in base alla legge 1o agosto 2002, n. 168, che disciplina i dispositivi di rilevazione remota finalizzati all'accertamento della violazione dell'articolo 142 e dell'articolo 148 del codice della strada, l'apposita segnaletica di avviso per gli automobilisti in transito, recante la dicitura «Attenzione - Rilevamento fotografico infrazioni semaforiche», è stata installata il 22 e il 25 maggio 2006, prima che i suddetti impianti venissero attivati.
Ulteriore segnaletica, installata ai primi di gennaio 2007, reca la frase «Comune di Altavilla Vicentina - Telecamere ai semafori» ed è corredata di un
display luminoso, emettente luce gialla e riportante la dicitura «Attenzione - Passaggio con rosso -6 Punti!».
Nelle vicinanze di tutti i segnali di informazione testé descritti non sono presenti cartelloni pubblicitari atti a confondere l'indicazione fornita.
Si fa presente, infine, che lungo la strada regionale n. 11, tra il segnale munito di
display luminoso che avverte l'utenza dell'esistenza dell'impianto semaforico controllato e l'impianto medesimo (collocato al Km 344+100) vi sono altri due incroci regolati da semafori non controllati da analogo impianto a distanza: ciò al fine di incentivare comunque il rispetto del codice della strada, indipendentemente dalla sicura rilevazione dell'infrazione commessa.
Nella zona è stata installata segnaletica verticale di informazione all'utenza circa la presenza di dispositivi di controllo ai semafori.

Il Viceministro dell'interno: Marco Minniti.

FASOLINO. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
Erika De Nardo la sera del 21 febbraio 2001 massacrò a coltellate, insieme con il fidanzato Omar Favaro, a Novi Ligure, in provincia di Alessandria, la madre Susy Cassini e il fratellino undicenne Gianluca;
la particolare efferatezza del delitto: il diniego di pietà alla madre incredula e implorante nonché al fratellino che chiedeva, sotto i ripetuti colpi omicidi «Perché lo fai?»;
la durata temporale del delitto non riconducibile a un solo colpo mortale, unico e incontrollabile ma ad una serie interminabile di ben 120 coltellate;
Erika De Nardo, lungi dal crollare sotto i colpi del rimorso raccontò, agli inquirenti, nel tentativo di sviare le indagini che ad uccidere la madre e il fratellino sarebbero stati due albanesi, dimostrando così, oltre a ferocia fuori del comune, un terrificante cinismo;
nel corso delle successive indagini, le confessioni non sono state mai rese in modo spontaneo, il che avrebbe potuto significare almeno un parziale tardivo coinvolgimento emotivo dei due giovani omicidi;
in data 14 dicembre 2001 presso il tribunale dei minori di Torino è stata emessa sentenza di condanna per Erika nella misura di 16 anni e per Omar di anni 14, sentenza confermata in Appello il 30 maggio 2002 e in Cassazione il 9 Aprile 2003 (nella sentenza Erika è definita la regista, Omar l'esecutore);
che Omar, diventato maggiorenne a maggio e trasferito dal Ferrante Aporti di Torino al carcere di Asti Quarto, il 12 novembre 2004 ha chiesto il primo permesso per uscire di prigione e dal 5 gennaio 2005 potrà beneficiare dei permessi premio purché presenti un progetto legato ad attività socializzanti di recupero o di volontariato (fino ad oggi, comunque, nonè mai uscito dal carcere);
Erika, invece, al compimento del 21 anno è stata trasferita dal carcere dei minori di Milano a Brescia, in un carcere per adulti e in data 21 maggio 2006 è uscita momentaneamente di prigione per un'iniziativa di risocializzazione: la gara sportiva «oltre il muro» organizzata dall'Uisp di Brescia presso la struttura dell'oratorio della Buffalora. Come riferisce

la stampa, Erika non «lasciava incredibilmente trapelare la minima ombra» e ha giocato disinvoltamente con le altre compagne;
la figura di Erika è da anni oggetto di studio da parte del personale del carcere, dei giudici e dei suoi avvocati. La sua, è stata definita personalità apparentemente implacabile che ha mostrato un solo cedimento in occasione del trasferimento nel carcere per adulti quando ha dichiarato di avere paura;
la sua immagine sui giornali, che hanno riportato in massa l'evento, appare in stridente contrasto con il feroce delitto commesso ed è suggestiva per l'induzione, specie nel lettore giovane o giovanissimo, di sentimenti di emulazione e mitizzazione. L'insieme diventa, altresì, offensivo e provocatorio nei confronti della memoria della giovane madre e dell'innocentissimo fratellino -:
se non ritenga che sarebbe necessario non consentire l'accesso per fotografi e giornalisti alle manifestazioni sportive o artistiche cui partecipano i detenuti.
(4-00168)

Risposta. - In risposta all'interrogazione indicata in esame, si rappresenta quanto segue, sulla scorta delle notizie fornite dal competente Dipartimento per l'amministrazione penitenziaria e delle considerazioni svolte dal Dipartimento per la giustizia minorile, che in prima istanza si è occupato della vicenda.
Le immagini fotografiche e televisive che ritraggono Erika De Nardo, menzionate dall'interrogante, sono state realizzate presso l'oratorio di Buffalora di Brescia dove, il 21 maggio 2006, si è svolta la manifestazione sportiva organizzata dal gruppo sportivo oratorio Buffalora. Nello stesso giorno la detenuta Erika De Nardo ha fruito di un permesso premio e, in considerazione dell'alta valenza trattamentale dell'iniziativa, è stata ammessa a partecipare alla manifestazione.
All'evento sportivo erano presenti, come di consueto, alcuni giornalisti della stampa locale ed operatori dell'emittente televisiva TV Reporter.
La detenuta De Nardo, in quell'occasione, non ha rilasciato alcuna intervista né risulta che direzione dell'istituto di Brescia abbia effettuato alcuna comunicazione alla stampa in merito alla sua presenza.
Per quanto concerne «l'accesso di fotografi e giornalisti alle manifestazioni sportive o artistiche cui partecipano i detenuti», nel premettere che il dovere di informare da parte delle istituzioni e il diritto ad essere informati da parte dei cittadini costituiscono un cardine della democrazia, si osserva che una corretta informazione giornalistica sulle attività trattamentali, realizzate all'interno e all'esterno degli istituti penitenziari, è fondamentale per diffondere tra i cittadini una adeguata conoscenza delle problematiche penitenziarie, finalizzata a sensibilizzare l'opinione pubblica sull'importanza del recupero sociale delle persone detenute, nel rispetto dell'articolo 7 della Costituzione.
Ampliando il discorso, nel condividere senz'altro con l'interrogante che un eccesso di attenzione mediatica nei confronti di soggetti autori di un fatto gravissimo, come nel caso di specie, potrebbe produrre una immagine impropria del dramma nel quale l'intera vicenda si è consumata, si ritiene tuttavia di poter sostenere che la struttura detentiva e il personale educativo ivi preposto hanno il compito istituzionale - nella tutela dei soggetti che a vario titolo sono sottoposti ai provvedimenti restrittivi dell'autorità giudiziaria - di riconsegnare la responsabilità agli autori del gesto, nella conoscenza approfondita del problema e non, come spesso accade, della reazione sociale.
In linea con tale principio, la partecipazione della giovane Erika ad una partita potrebbe essere inquadrata in quel processo di crescita consapevole, mirato ad aiutarla a riappropriarsi responsabilmente della consapevolezza del reato commesso, attraverso un progetto specificamente costruito, nella certezza che l'espiazione della pena ha valore, esclusivamente, se c'è la restituzione alla società del reo consapevole del proprio gesto.
In merito, va, peraltro, evidenziata la valenza positiva associata alla produzione

nazionale di vasta rassegna stampa quotidiana riguardante le attività trattamentali (teatro, manifestazioni sportive, artistiche, lavorative, eccetera), in quanto testimonianza di realtà e situazioni positive, esempi di buone prassi volte al recupero sociale dei detenuti.
Il Ministro della giustizia: Clemente Mastella.

FEDELE, SANTELLI e CALIGIURI. - Al Ministro delle infrastrutture. - Per sapere - premesso che:
la scorsa settimana il Comune di Vibo Valentia, ed in particolare le frazioni di Vibo Valentia Marina, Longobardi, Bivona e Porto San Salvo, è stato colpito da un violento nubifragio che ha causato la morte di quattro persone, gravi danni e allagamenti;
ad una settimana dall'evento, in buona parte di queste frazioni mancano ancora completamente acqua ed energia elettrica e nelle zone in cui l'acqua sta tornando peraltro molto lentamente non vi è certezza che questa sia potabile e non vi è alcuna comunicazione da parte degli enti preposti in questo senso;
vi sono numerose famiglie che hanno perso la propria abitazione. Diversi collegamenti stradali risultano tutt'ora interrotti, e tra questi la strada che collega la Marina di Vibo al Capoluogo. In tutti i casi la viabilità è pesantemente compromessa dalla presenza di fango nella sede stradale;
dopo un sopralluogo compiuto sui luoghi del disastro, il Presidente del Consiglio dei ministri On. Prodi ha annunciato che il Governo avrebbe stanziato 5 milioni di euro per i primi interventi, ma l'intera zona colpita dall'ondata di maltempo versa ancora in una situazione drammatica per cui permangono gravi disagi per la popolazione -:
quali siano le cause dei ritardi nell'opera di ripristino delle comunicazioni stradali e dell'erogazione di acqua potabile ed energia elettrica e come si intenda agire per eliminare celermente i disagi della popolazione di Vibo Valentia colpita dal recente nubifragio.
(4-00556)

Risposta. - In riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, si fa presente quanto segue.
Lunedì 3 luglio 2006 il territorio di Vibo Valentia è stato interessato da un intenso evento alluvionale che ha provocato la perdita di quattro vite umane, tra, cui quella di una bambina di quindici mesi, e ha causato allagamenti, smottamenti, frane ed ingenti danni alle infrastrutture, con conseguenti ripercussioni sulla popolazione e sulle attività produttive.
Successivamente, il 7 luglio 2006, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, è stato dichiarato lo stato di emergenza nel territorio della provincia di Vibo Valentia ed è stata emanata, in pari data, l'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n. 3531 recante «interventi urgenti di protezione civile diretti a fronteggiare i danni conseguenti agli eccezionali eventi atmosferici che hanno colpito il territorio della provincia di Vibo Valentia il giorno 3 luglio 2006».
Al fine di provvedere alla individuazione dei comuni colpiti dall'alluvione, alla realizzazione dei primi interventi urgenti diretti al soccorso della popolazione, alla rimozione delle situazioni di pericolo ed a fronteggiare i danni provocati dall'evento calamitoso si è proceduto, con la suddetta ordinanza, alla nomina del Commissario delegato nella persona del Presidente della regione Calabria.
Per favorire un rapido rientro nelle unità immobiliari distrutte o danneggiate ed il ritorno alle normali condizioni di vita, il Commissario delegato, è stato autorizzato, secondo quanto stabilito dall'ordinanza 3531, ad erogare contributi per la riparazione degli immobili, per i traslochi e i depositi effettuati dalla popolazione sgomberata, per l'acquisto od il ripristino di beni mobili di carattere indispensabile, che fossero andati danneggiati o distrutti.
Ulteriori contributi sono stati previsti con l'articolo 5 della medesima ordinanza, per la ripresa delle attività produttive danneggiate,

come ad esempio quelle turistiche, agricole ed artigiane, mentre con l'articolo 9 è stata, altresì, prevista e regolamentata la sospensione dei termini relativi agli adempimenti ed ai versamenti tributari in scadenza.
Per tali fini sono stati stanziati cinque milioni di euro, a titolo di anticipazione, da porre a carico del Fondo della protezione civile.
All'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n. 3531 del 2006 hanno fatto seguito le ordinanze di protezione civile del 28 luglio 2006, n. 3536, e del 4 agosto 2006, n. 3540.
Con il provvedimento normativo 3536 sono stati identificati i comuni ai quali applicare i benefìci di cui al predetto articolo 9 dell'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n. 3531. Essi sono: Brognaturo, Capistrano, Filogaso, Gerocarne, Sant'Onofrio, Simbario, Serra S. Bruno, Soriano, Sorianello, Stefanaconi, Spadola, S. Nicola da Crissa, Pizzoni, Vallelonga, Vazzano e Vibo Valentia.
Inoltre ai datori di lavoro privati aventi sede legale o operativa nei comuni suddetti è stata concessa, fino al 31 dicembre 2006, la sospensione del versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali, nonché dei premi, ivi compresa la quota a carico dei lavoratori dipendenti.
Con la successiva ordinanza 3540 è stato stabilito che l'evento alluvionale, verificatosi nel territorio della provincia di Vibo Valentia il 3 luglio 2006, costituisce causa di forza maggiore a tutti gli effetti contrattuali, in relazione alla possibilità di rinegoziare i mutui contratti dalla popolazione con gli istituti di credito e bancari e il Capo del Dipartimento della protezione civile è stato autorizzato ad erogare contributi a titolo di indennizzo in favore dei nuclei familiari che avessero subìto la perdita di uno o più componenti coinvolti nelle attività finalizzate a fronteggiare i predetti eventi.
Con la stessa ordinanza 3540 sono state, poi, redatte ulteriori norme a beneficio dei lavoratori costretti a sospendere la propria attività a causa dell'evento calamitoso e la regione Calabria, d'intesa con il Ministero dello sviluppo economico, è stata autorizzata a predisporre un programma pluriennale d'interventi, diretti a favorire la ripresa delle attività produttive, mediante il reinsediamento o la delocalizzazione delle imprese danneggiate, e volti alla costituzione di nuove imprese nelle aree industriali interessate.
Per le suddette finalità, l'ordinanza n. 3540, così come modificata dalla successiva ordinanza di protezione civile n. 3555 del 2006, ha disposto, anche, la riallocazione delle risorse residue destinate alla regione Calabria, sulla base del contratto multiregionale strategico approvato con la delibera CIPE n. 84 del 2004, diretto a favorire la ripresa produttiva.
In proposito, con l'articolo 9 dell'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri del 5 marzo 2007, n. 3569, è stato differito, di ulteriori sessanta giorni, il termine per l'attuazione del predetto articolo 5 dell'ordinanza 3540, già prorogato con l'ordinanza n. 3555 del 2006.
In data 30 ottobre 2006 il Commissario delegato - Presidente della regione Calabria, ha presentato presso la Giunta regionale il «piano di interventi infrastrutturali, di emergenza e di prima sistemazione idrogeologica nei comuni della provincia di Vibo Valentia colpiti dagli eventi atmosferici del 3 luglio 2006».
Tale piano, predisposto dal Dipartimento di difesa del suolo dell'Università della Calabria, su incarico del Commissario delegato prevede la sistemazione del reticolo idrografico, il completamento delle reti fognarie, l'adeguamento del sistema viario e la riorganizzazione delle aree industriali. I relativi interventi sono stati distinti in tre fasi a seconda delle priorità e della disponibilità finanziaria.
In materia di previsione, valutazione, prevenzione e mitigazione del rischio idrogeologico della regione, si richiama l'atto di indirizzo 27 ottobre 2006 recante «indirizzi operativi per fronteggiare eventuali situazioni di emergenza connessi a fenomeni idrogeologici ed idraulici», in cui il Governo ha richiamato l'attenzione di tutte le istituzioni, ed in particolare delle regioni e delle province autonome, per promuovere e

sostenere, anche attraverso la predisposizione di apposite linee guida, la costituzione e l'operatività dei presidi territoriali, sia a scala provinciale che comunale, favorendo l'aggregazione tra i singoli comuni.
Infine, in relazione all'emergenza verificatasi nel territorio di Vibo Valentia, ai sensi dell'articolo 1, comma 1015, della legge finanziaria n. 269 del 2006, è stato autorizzato un contributo di 8 milioni di euro per l'anno 2007.
In proposito l'articolo 8 dell'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n. 3591 del 24 maggio 2007 ha previsto, d'intesa con la regione Calabria, un'apposita normativa che, al fine di consentire il proseguimento delle iniziative finalizzate al superamento dell'emergenza, ha autorizzato il trasferimento delle suddette risorse finanziarie sulla contabilità speciale intestata al Commissario delegato - Presidente della regione Calabria.
Per quanto riguarda, invece, gli interventi a favore delle popolazioni della provincia di Vibo Valentia e delle regioni Liguria e Veneto, con l'articolo 1, comma 1014 della predetta legge finanziaria n. 269, è stata autorizzata, per ciascuno degli anni 2007, 2008 e 2009, la spesa di 10 milioni di euro da ripartire tra le predette regioni. In particolare, alla provincia di Vibo Valentia è stata assegnata una somma pari a 500.000,00 euro.
In data 16 febbraio 2007 si è tenuta una riunione, presso il Dipartimento della protezione civile, con un rappresentante della regione Calabria e della Camera di commercio industria ed artigianato, nella quale il rappresentante della regione è stato sollecitato a dare attuazione alle disposizioni di protezione civile di competenza del Commissario delegato, con particolare riferimento alle norme riguardanti la ripresa delle attività produttive, previa la realizzazione di piani di intervento finalizzati al raggiungimento di obiettivi secondo un rigoroso ordine di priorità.
Per quanto riguarda il ripristino delle comunicazioni stradali, si fa presente che è stata riaperta al traffico la statale 18 dopo il completamento dei lavori di ricostruzione del corpo stradale parzialmente franato al Km. 437+250 e la bonifica della pendice in frana al Km. 434+800.
Il transito è, però, consentito con i limiti di velocità a 40 km/h, con divieto di sorpasso, con senso unico alternato per tratti non più lunghi di 100 metri e divieto di transito agli autoveicoli di massa superiore a 20 tonnellate.

Il Ministro per i rapporti con il Parlamento e le riforme istituzionali: Vannino Chiti.

GARDINI, CAMPA, MILANATO, FRATTA PASINI, MISTRELLO DESTRO, PANIZ e ZORZATO. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
è notizia del 20 novembre 2006 che alcune decine di appartenenti all'assemblea «no Mose» hanno occupato la sede del Consorzio Venezia Nuova, il concessionario delle opere di salvaguardia in laguna;
i manifestanti, dopo essere entrati all'ingresso d'acqua del Consorzio, in campo Santo Stefano, hanno raggiunto il primo piano, iniziando la protesta, con slogan e striscioni contro il progetto di paratoie mobili, su cui il Comitatone, nella giornata del 22 novembre 2006 a Roma, voterà il via libera definitivo;
i giovani, appartenenti all'area della sinistra antagonista, in una improvvisata conferenza stampa hanno annunciato la volontà di proseguire nell'occupazione ad oltranza ovvero, se sarà loro consentito, fino alla giornata del 22 novembre;
in Veneto e, in particolar modo a Venezia, è drammaticamente evidente l'insorgere sempre più frequente di questi episodi che, purtroppo, nella maggior parte dei casi, quasi sempre degenerano in azioni violente, teppistiche e francamente intollerabili;
in molte occasioni manifestanti appartenenti soprattutto ai centri sociali si sono resi protagonisti di gravi reati anche ai danni di privati e molti di loro rappresentano

una grave minaccia alla sicurezza dei cittadini, delle istituzioni e all'ordine pubblico -:
in che modo il Ministro in indirizzo intenda intervenire al fine di garantire sicurezza e tranquillità ai cittadini di Venezia e al Consorzio Venezia Nuova e perché tale iniziativa illegale, da tempo preannunciata, non sia stata bloccata già sul nascere;
quali iniziative urgenti intenda assumere per assicurare il ripristino dell'ordine e della legalità nel Veneto e, in particolare, a Venezia.
(4-01719)

Risposta. - Molto sentita nella regione Veneto è la problematica relativa alle cosiddette «grandi opere» come, per esempio, il sistema di dighe mobili nella laguna di Venezia, meglio noto come «Mo.S.E.», contro la cui realizzazione è nata l'«Assemblea permanente NO Mo.S.E.», che ha proposto frequenti iniziative di protesta.
In particolare, come rappresentato dalla Prefettura di Venezia, il 20 novembre 2006, un gruppo di circa settanta persone ha occupato la sede del Consorzio Venezia Nuova, sita nel centro storico del capoluogo Veneto.
Il gruppo era formato, per metà, da esponenti dell'«Assemblea permanente NO Mo.S.E.», composta, a sua volta, da varie anime, quella politica (Rifondazione Comunista e Verdi), quella sindacale e quella ambientalista (WWF e Legambiente).
Per la restante parte, i membri del gruppo risultavano appartenere al movimento dei «disobbedienti».
L'occupazione dei locali della sede è stata, in un primo momento, tollerata dai responsabili del Consorzio Venezia Nuova.
Nel corso della giornata si sono susseguiti tentativi di mediazione, tenuti anche da alcuni parlamentari locali di area di Governo, che hanno invitato gli occupanti ad allontanarsi dalla sede del Consorzio su promessa che i temi del «Mo.S.E.» avrebbero formato oggetto di un prossimo, urgente dibattito in seno al Parlamento.
La mediazione non ha tuttavia sortito l'effetto auspicato, per cui, in serata, dopo l'allontanamento spontaneo degli aderenti all'«Assemblea No Mo.S.E.», si è proceduto allo sgombero dei «disobbedienti», che hanno opposto una resistenza passiva all'opera delle forze di polizia, facendosi trasportare di peso fuori dai locali occupati.
Le persone che hanno attuato detta protesta, non preavvisata, sono state tutte identificate nel corso delle operazioni di sgombero e sono state successivamente denunciate all'Autorità giudiziaria per i reati di «violazione di domicilio», «invasione aggravata di terreni e di edifici» e naturalmente per «manifestazione non preavvisata».
Il problema della tutela dei numerosi possibili obiettivi oggetto di possibile contestazione (le sedi istituzionali della regione Veneto, del Magistrato delle Acque e del Consorzio Venezia Nuova, i cantieri del Mo.S.E., le sedi delle ditte e delle strutture pubbliche e private a vario titolo coinvolte negli appalti) è stato attentamente valutato in sede di Comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica di Venezia, nonché in diverse riunioni tecniche di coordinamento con i responsabili delle forze di polizia, con il Presidente del Magistrato delle Acque e con i rappresentanti del Consorzio Venezia Nuova.
È stato inoltre predisposto, nell'ambito del generale dispositivo di prevenzione e di controllo del territorio, un piano di tutela degli obiettivi oggetto delle possibili contestazioni da parte dell'«Assemblea permanente NO Mo.S.E.», con il potenziamento, a cura del Consorzio Venezia Nuova, delle misure di difesa passiva e con la progettazione di un sistema di videosorveglianza dei cantieri, secondo modalità concordate con le Forze dell'ordine, attualmente in corso di realizzazione.
Con riguardo, infine, ai movimenti della sinistra antagonista veneta cui si riferisce l'interrogante, si rappresenta che in quella regione, come in altre aree del nord del Paese, la compagine dei centri sociali, del movimento dei disobbedienti e dei no global, nonché dei vari collettivi studenteschi dispone di una nutrita e radicata presenza sul territorio.

Le possibili azioni di contestazione promosse dai gruppi estremistici sono comunque poste alla costante attenzione delle autorità di pubblica sicurezza e delle forze di polizia che, oltre ad un intensificato controllo del territorio, danno il massimo impulso all'attività informativa ed investigativa e promuovono ogni efficace azione di contrasto, qualora le legittime manifestazioni di pensiero sfocino in azioni illegali recanti turbativa dell'ordine pubblico.
Il Viceministro dell'interno: Marco Minniti.

LARATTA, MANCINI, AMENDOLA, FERDINANDO BENITO PIGNATARO, MISITI, OLIVERIO e MORRONE. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
la notte tra il 16 e 17 dicembre 2006 ignoti hanno dato fuoco all'abitazione di campagna dell'assessore ai Lavori pubblici del comune di San Giovanni in Fiore (Cosenza), Pietro Lopez, provocando ingenti danni all'abitazione. Il gravissimo gesto è stato compiuto a chiaro scopo intimidatorio lasciando sgomenti i cittadini florensi, nonché le istituzioni locali e regionali;
l'attentato a Lopez rappresenta l'ennesima intimidazione a danno di un amministratore locale, nonché il ripetuto tentativo di condizionare le istituzioni pubbliche con la sopraffazione, e comunque di piegare tutto il territorio alla volontà criminale;
qualche mese addietro alcuni malviventi distrussero alcuni mezzi di una ditta locale, mentre in precedenza si sono registrati episodi malavitosi che hanno destato una certa preoccupazione;
il 14 dicembre 2006 i carabinieri del Nucleo operativo della compagnia di Cosenza, hanno condotto un'operazione di prevenzione a San Giovanni in Fiore che ha portato al sequestro di ben due tonnellate di fuochi d'artificio e all'arresto di un uomo;
ancora nei mesi scorsi vi sono stati numerosi arresti legati allo spaccio di stupefacenti, allo sfruttamento dell'immigrazione clandestina, nonché alcune denunce por reati ambientali;
è evidente, per la portata dei fatti criminosi, che siamo davanti a un fenomeno non più tollerabile né sottovalutabile che richiede sforzi incisivi per impedire che tali fatti si ripetano;
il fenomeno criminale a San Giovanni in Fiore ha assunto negli ultimi anni dimensioni tali che turbano il vivere civile, le attività imprenditoriali, le istituzioni e gli stessi cittadini;
il più grosso ed importante centro della Sila cosentina, infatti, da «isola felice», come veniva definita un tempo, oggi è diventato centro di interessi illegali dove si consumano frequentemente reati legati al racket, all'usura, allo spaccio di stupefacenti, ai reati ambientali e comunque a tutti quei reati riconducibili ad una matrice criminale e organizzata;
bisogna dare impulso alle indagini finalizzate a individuare gli autori del grave gesto di intimidazione ai danni dell'assessore comunale di San Giovanni in Fiore, Pierino Lopez -:
quali iniziative intenda assumere il Ministro dell'interno per contrastare le organizzazioni criminali che stanno minacciando il vivere civile, istituzionale e imprenditoriale di San Giovanni in Fiore;
quali iniziative intenda adottare per rafforzare l'organico della locale stazione dei Carabinieri, decisamente sottodimensionata rispetto all'importanza, all'estensione e al numero di abitanti.
(4-02080)

Risposta. - In via preliminare va sottolineato che le Autorità di pubblica sicurezza e le forze di polizia seguono con la massima attenzione tutti gli eventi che incidono negativamente sulla sicurezza e la libertà di espressione degli esponenti delle forze politiche. Il Ministero dell'interno sta svolgendo, a tal fine, una attenta opera di impulso e sensibilizzazione delle Questure per l'intensificazione

delle strategie di contrasto e l'adozione di mirati moduli operativi.
La protezione degli amministratori locali, e, nella misura possibile, dei loro familiari, nonché delle altre persone esposte a rischio a causa delle funzioni esercitate, così come delle sedi degli uffici pubblici, partiti, circoli e movimenti politici costituisce una priorità nella pianificazione dei servizi di polizia.
Per quanto attiene alla problematica relativa al fenomeno criminale nel territorio del comune di San Giovanni in Fiore si riferisce in particolare alla vicenda dell'assessore ai lavori pubblici dello stesso comune, signor Pietro Lopez, il quale ha denunciato alla locale caserma carabinieri che nel periodo 25 novembre-16 dicembre 2006 ignoti, introducendosi all'interno dell'abitazione estiva dello stesso, hanno dato fuoco a due divani.
Sulla base degli accertamenti esperiti dall'Arma, appare verosimile che l'episodio sia riconducibile ad un atto vandalico e non a «sicuro atto intimidatorio». In ogni caso rimane alta l'attenzione.
Nel più generale quadro riferito alla situazione della sicurezza e dell'ordine pubblico nella cittadina di San Giovanni in Fiore, si sottolinea che l'area è oggetto di grande attenzione da parte delle forze dell'ordine presenti in modo adeguato alle effettive esigenze operative del luogo.
Sono presenti, infatti, una stazione dei carabinieri, che conta 20 militari ed è costantemente supportata dal NORM della compagnia di Cosenza e dal RONO del Comando provinciale carabinieri; una Tenenza della guardia di finanza, che conta 16 unità, nonché due stazioni del Corpo forestale dello Stato, con un'organico complessivo di 8 unità.

Il Viceministro dell'interno: Marco Minniti.

LO MONTE. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
con decreto del ministero dell'interno 3061/40 VVF del 13 luglio 2004 è stato bandito, in attuazione della legge 87/2004, un concorso a 40 posti nel profilo di vigile del fuoco, riservato ai vigili iscritti negli elenchi del personale volontario in servizio presso le sedi di Lampedusa, Lipari e Pantelleria;
al termine della procedura concorsuale, sono rimasti vacanti undici posti riservati ai vigili iscritti negli elenchi del personale volontario in servizio presso la sede di Lipari;
ravvisata la necessità di coprire i posti rimasti vacanti per garantire la continuità dei servizi e tenuto conto delle difficoltà connesse alla situazione geografica e morfologica dei territori isolani;
il ministero dell'interno, con decreto del 17 gennaio 2006, ha proceduto a bandire un altro concorso per la copertura degli ulteriori undici posti, riservato ai vigili iscritti negli elenchi del personale volontario in servizio presso la sede di Lipari;
per l'ammissione al concorso era richiesta l'iscrizione, da almeno un'anno, negli elenchi del personale volontario del Corpo nazionale dei vigili del fuoco in servizio presso la sede di Lipari;
il ministero dell'interno ha accolto le domande dei vigili del fuoco discontinui del Comando Provinciale di Messina i quali hanno presentato domanda, pur avendo effettuato solo pochi giorni di servizio presso il distaccamento permanente di Lipari, i quali sono stati equiparati ai vigili volontari solo con decreto Presidenziale del 6 febbraio 2004, n. 76;
a quanto risulta all'interrogante, i vigili del fuoco discontinui, che hanno presentato domanda per il concorso sopra citato, non risultano decretati e regolarmente in servizio presso il distaccamento volontario di Lipari, come risulta anche nella specifica del Comando Provinciale di Messina del 4 ottobre 1997 (decreto di apertura) al 5 luglio 2005 (decreto di chiusura distaccamento ed operatività del distaccamento permanente);

dal 5 maggio 2005 (data di cessazione del distaccamento volontario ed inizio di operatività del distaccamento permanente) al 7 marzo 2006 (data del Bando di concorso) non si è maturato in nessun caso un anno di servizio come previsto dal bando stesso -:
quali provvedimenti il Ministro in oggetto intende adottare al fine di verificare la regolarità della procedura concorsuale sopra citata con riferimento soprattutto al possesso dei requisiti per l'ammissione dei candidati alla prova concorsuale.
(4-03124)

Risposta. - Com'è noto, il concorso a 40 posti per le isole minori della Sicilia, riservato ai vigili del fuoco iscritti negli elenchi del personale volontario in servizio presso le sedi di Lampedusa, Lipari e Pantelleria, è stato espletato in applicazione del decreto-legge 30 gennaio 2004, n. 24, convertito con legge 31 marzo 2004, n. 87, per far fronte alle peculiari esigenze del servizio antincendio e di soccorso tecnico nelle isole minori della Sicilia.
Al fine della copertura dei posti risultati vacanti al termine della suddetta procedura, è stato bandito un ulteriore concorso, per il quale è espressamente richiesto (articolo 2 del bando di concorso) che i candidati abbiano il requisito relativo alla «iscrizione, da almeno un anno, negli elenchi del personale volontario del Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco in servizio presso la sede di Lipari».
Non viene richiesto, invece, dal suddetto bando lo svolgimento effettivo di almeno un anno di servizio alle dipendenze del distaccamento citato.
Risulta, pertanto, correttamente espletata dal Comando provinciale dei Vigili del fuoco competente per territorio la verifica in ordine al possesso, da parte dei candidati, dei requisiti richiesti dal bando di concorso, motivo per cui può ritenersi regolare la procedura in argomento.

Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Ettore Rosato.

LONGHI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
domenica 5 novembre 2006 l'interrogante si trovava a Savona dove ha potuto notare lo stato in cui versa il palazzo di giustizia che pur essendo giorno festivo aveva comunque un cancello spalancato;
pur non essendo entrato dentro ai locali chiusi, negli spazi di pertinenza esterni l'interrogante potevano notare cumuli di sporcizia, tracce evidenti di bivacchi e accampamenti notturni, lampade posizionate a poche decine di centimetri da terra, prive di plafoniera, a volte divelte, che contribuivano a rendere l'ambiente oltre che degradato anche pericoloso -:
se il Ministro intenda intervenire per dare dignità al palazzo di giustizia di Savona.
(4-01639)

Risposta. - In risposta all'interrogazione in esame, con la quale l'interrogante chiede di intervenire per risanare lo stato di degrado in cui versa il palazzo di giustizia di Savona, si comunica quanto segue.
Si premette, dal punto di vista logistico, che gli uffici del tribunale, della procura e del giudice di pace sono ubicati in un unico edificio di proprietà del comune, sito in via XX Settembre, costruito con fondi di cui alla legge n. 119 del 1981.
Complessivamente, i finanziamenti ministeriali concessi ammontano a circa 12.911.422 euro, accordati tra il 1981 ed il 1986.
Per quanto concerne la problematica degli spazi esterni al Palazzo di giustizia, il comune riferisce di aver approvato il progetto definitivo relativo all'intervento di «sistemazione interna ed aree esterne pertinenziali del Palazzo di giustizia» nel novembre 2003, mentre il progetto esecutivo è stato approvato nel febbraio 2004.
Tale intervento, ultimato nel febbraio 2005, richiedeva, in corso di esecuzione, alcune modifiche che si erano rese necessarie per migliorare le condizioni di sicurezza pubblica del Palazzo, così come manifestato dal Comitato tecnico delle forze

dell'ordine e dal procuratore della Repubblica di Savona.
Tra l'altro, veniva prevista la chiusura di tutti i cancelli a seguito della realizzazione della nuova cancellata ad esclusione di quello posto in corrispondenza dell'attuale ingresso principale.
Questi lavori di variante venivano ultimati nel mese di luglio 2005.
Successivamente, emergeva la necessità di eseguire alcuni interventi integrativi, necessari per adeguare l'intervento di chiusura al Piano di Sicurezza e di evacuazione ai sensi della legge n. 626 del 1994.
Nelle riunioni del Comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica, tenutesi in prefettura in data 25 e 27 ottobre 2006, veniva rimarcata l'improrogabile necessità di provvedere alla chiusura definitiva dei cancelli perimetrali del tribunale.
Il comune, sempre nella citata nota, comunicava come la completa chiusura degli accessi al Palazzo di giustizia, effettuata nel mese di novembre 2006, immediatamente dopo il giorno in cui l'interrogante aveva notato la mancata chiusura dei cancelli, poneva termine anche ai fenomeni di bivaccamento ed accampamento notturni abusivi, che possono quindi considerarsi superati.
Si precisa, infine, che gli impianti elettrici esterni al Palazzo di Giustizia sono oggetto di manutenzione puntuale e costante.

Il Ministro della giustizia: Clemente Mastella.

MAZZOCCHI. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
risulterebbe che, in alcuni negozi di Milano, gestiti da Cinesi e frequentati da extracomunitari, vengano vendute delle schede S.I.M. per un importo pari a 10 Euro, senza che, all'atto di acquisto, siano richiesti i dati identificativi degli acquirenti;
le schede S.I.M. ivi vendute, risulterebbero infatti essere già intestate e attive;
allo stato non è dato conoscere però l'identità degli intestatari delle medesime;
tale procedura risulterebbe illegale giacché viola le norme antiterrorismo;
difatti il decreto-legge n. 144 del 27 luglio 2005 convertito nella legge n. 155 del 31 luglio 2005, noto come pacchetto Pisanu, oltre a introdurre importanti norme per la prevenzione del terrorismo internazionale quali, ad esempio, arresto in flagranza, detenzione di esplosivi, permessi di soggiorno, impone alle imprese che forniscono servizi di telefonia o comunicazione via internet, di conservare per dodici mesi (fino al 31 dicembre 2007) anche le informazioni che prima di tale provvedimento, risultavano cancellabili perché non legate alla fatturazione;
ancora più rilevante risulta la disposizione normativa secondo cui le imprese sono tenute a rendere disponibili, anche per via telematica, al centro di elaborazione dati del Ministero dell'interno, gli elenchi di tutti i propri abbonati e di tutti gli acquirenti del traffico prepagato della telefonia mobile, che sono identificati, prima dell'attivazione del servizio, al momento della consegna o messa a disposizione della occorrente scheda elettronica (S.I.M.). Le predette imprese devono adottare tutte le necessarie misure affinché venga garantita l'acquisizione dei dati anagrafici riportati su un documento di identità, nonché del tipo, del numero e della riproduzione del documento presentato dall'acquirente e devono assicurare il corretto trattamento dei dati acquisiti. L'Autorità giudiziaria ha facoltà di accedere per fini di giustizia ai predetti elenchi in possesso del centro di elaborazione dati del Ministero dell'interno;
tali norme risulterebbero disattese, giacché tali schede S.I.M., sono acquistabili senza che venga richiesto alcun dato anagrafico in quanto già registrate illegalmente o mediante documenti falsi o mediante intestazione a cittadini ignari -:
se i fatti corrispondano al vero, se non ritenga opportuno, tenuto conto della situazione di illegalità prospettata, tesa ad incentivare fenomeni di terrorismo, peraltro non rintracciabili, intensificare i controlli

e, conseguentemente, procedere al sequestro delle schede S.I.M. illegali.
(4-03238)

Risposta. - In relazione a quanto segnalato dall'interrogante, si rappresenta che sono state svolte, già dal 2005, specifiche attività d'indagine, coordinate dalla procura della Repubblica presso il tribunale di Milano, circa la vendita in taluni esercizi commerciali in quella città, gestiti da cittadini cinesi, di schede telefoniche S.I.M., senza che il venditore avesse previamente proceduto all'acquisizione dei dati anagrafici dell'acquirente, come previsto dalla legge 31 luglio 2005, n. 155, di conversione del decreto legge 27 luglio 2005, n. 144.
Avendo constatato in taluno di quegli esercizi commerciali la vendita, senza la prescritta identificazione dell'acquirente, di S.I.M. card, già attivata ed utilizzabile, recante intestazione a preciso nominativo anagrafico, sono state effettuate perquisizioni presso i rivenditori suddetti e poste sotto sequestro numerose S.I.M. cards dei gestori telefonici nazionali Tim, Wind e Vodafone.
All'esito degli accertamenti effettuati, è emerso che le schede sequestrate erano state attivate senza riferimento ad alcun dato anagrafico o con associazione a nominativi inesistenti o di fantasia o, comunque, con parte dei dati anagrafici inesatti.
L'ulteriore attività investigativa svolta ha condotto all'individuazione dei negozi di attivazione delle schede, i cui titolari sono stati deferiti all'Autorità giudiziaria per le valutazioni di competenza.

Il Viceministro dell'interno: Marco Minniti.

ANGELA NAPOLI. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
nella giornata di ieri, 3 luglio 2006, nel vibonese si è abbattuto un violento nubifragio che ha provocato quattro morti, tra i quali un bimbo di solo 15 mesi, e numerosi feriti;
il nubifragio ha provocato lo straripamento di alcuni fiumi, lo smottamento di terreni, ingenti danni ad abitazioni e coltivazioni;
al di là della violenza del nubifragio che ha investito il territorio vibonese, c'è da registrare l'incombente pericolo che grava su buona parte del territorio calabrese a causa del dissesto idrogeologico registrabile -:
quali urgenti iniziative intendano adottare per garantire le famiglie delle vittime e tutti coloro che hanno subito gravi danni alluvionali;
se non ritengano necessario ed urgente proclamare lo stato di calamità naturale per l'intero territorio della provincia di Vibo Valentia;
se non ritengano indispensabile ed urgente attuare gli opportuni interventi finanziari per incentivare il piano di assetto idrogeologico approvato, da tempo, dalla Regione Calabria.
(4-00441)

ANGELA NAPOLI. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
lunedì 3 luglio 2006 un violento nubifragio si è abbattuto sul territorio di Vibo Valentia ed ha provocato quattro morti, tra i quali un bimbo di soli 15 mesi, e numerosi feriti;
il nubifragio ha provocato, altresì, lo straripamento di alcuni fiumi e lo smottamento di terreni che hanno causato ingenti danni alle abitazioni delle frazioni di Vibo Marina, Bivona e Longobardi;
purtroppo le numerose visite dei rappresentanti istituzionali non hanno prodotto i conseguenti interventi necessari alle popolazioni colpite;
l'interpellante recatasi nelle località colpite, ha registrato, dopo ben cinque giorni dall'accaduto, un'assoluta mancanza di coordinamento necessario alle primarie attività di soccorso e di intervento;

a distanza di cinque giorni l'interpellante ha constatato la scarsezza di uomini e mezzi;
del tutto insufficienti le presenze degli uomini della protezione civile, alcuni di loro, giunti da varie parti d'Italia, sono stati costretti a ripartire a causa della mancanza di postazioni d'appoggio; insufficiente, altresì, la presenza dei coraggiosi militari dell'esercito e vigili del fuoco;
pochissimi i mezzi meccanici, i quali non hanno lavorato, come avrebbero dovuto, 24 ore su 24; soltanto quattro bagni chimici;
scarsissimi i rifornimenti di acqua potabile;
nello scorso mese di giugno 2006 era apparsa la notizia circa un «buco nero» della Protezione civile regionale calabrese e della mancanza di alcun contributo al settore da parte dell'esoso «comitato di indirizzo per la realizzazione del programma regionale di previsione e prevenzione dei rischi»;
a fronte di tutto ciò i singoli cittadini con sforzi sovraumani, accompagnati dalla disperazione, sono rimasti soli a sgombrare case e strade delle zone colpite dal disastro alluvionale;
nei giorni scorsi il Consiglio dei Ministri ha proclamato lo stato di emergenza per le zone colpite dall'alluvione ed ha stanziato un primo finanziamento, certamente insufficiente per tutti gli interventi necessari;
la pesante alluvione che ha colpito la città di Vibo Valentia e le frazioni di Vibo Marina, Bivona e Longobardi, secondo l'interpellante, ha evidenziato, in tutta la sua gravità, la disattenzione delle istituzioni sulla necessaria salvaguardia dell'assetto idrogeologico del territorio;
le istituzioni hanno consentito uno spaventoso abusivismo edilizio senza mai intervenire adeguatamente; i canali di scolo erano completamente bloccati; gli alvei dei fiumi risultavano coperti; sono state consentite costruzioni di grosse strutture senza alcun controllo sullo scarico del materiale di riporto;
l'interpellante, già nelle precedenti legislature, si era fatta promotrice della individuazione di norme per il trasferimento di aree demaniali e patrimoniali dello Stato site nel comune di Vibo Valentia al patrimonio comunale disponibile, per tentare di risolvere la questione relativa alla regolarizzazione di un'ingente massa di patrimonio edilizio realizzato, abusivamente, ma con la condiscendenza degli organi dell'amministrazione finanziaria e con l'inerzia del comune, su suolo demaniale detenuto da privati;
la mancata realizzazione di tutto ciò pone oggi fortemente a rischio, per gli abitanti del «pennello» la possibilità di ottenere risarcimenti per i danni subìti dal nubifragio dello scorso 3 luglio, proprio perché le abitazioni sorgono su terreno demaniale;
a quanto risulta all'interpellante, il sindaco del comune di Vazzano, provincia di Vibo Valentia, ha denunziato il mancato intervento degli Uffici regionali sulla regimazione dei corsi d'acqua benché adeguatamente finanziato a seguito dell'alluvione del maggio 2002 -:
se non ritengano necessario ed urgente accertare le responsabilità dei ritardi e delle omissioni evidenziate durante la fase post-alluvionale che ha colpito il territorio di Vibo Valentia;
se non ritenga necessario ed urgente attivitare della Regione un'attività di monitoraggio sull'assetto idrogeologico;
quali urgenti iniziative intendano attuare per accertare le illiceità presenti nell'organismo della Protezione civile regionale calabrese;
quali urgenti iniziative intendano attuare per sopperire i gravi disagi che incombono sui cittadini colpiti dall'alluvione e per far sì che gli stessi siano trattati con pari dignità ed equità;
se non ritengano necessario ed urgente individuare un'Autorità di controllo per garantire

l'equità di distribuzione degli aiuti finanziari già stanziati e di quelli che certamente dovranno aggiungersi.
(4-02982)

Risposta. - In riferimento agli atti di sindacato ispettivo in esame, si fa presente quanto segue.
Lunedì 3 luglio 2006 il territorio di Vibo Valentia è stato interessato da un intenso evento alluvionale che ha provocato la perdita di quattro vite umane, tra cui quella di una bambina di quindici mesi, e ha causato allagamenti, smottamenti, frane ed ingenti danni alle infrastrutture, con conseguenti ripercussioni sulla popolazione e sulle attività produttive.
Successivamente, il 7 luglio 2006, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, è stato dichiarato lo stato di emergenza nel territorio della provincia di Vibo Valentia ed è stata emanata, in pari data, l'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n. 3531 recante «interventi urgenti di protezione civile diretti a fronteggiare i danni conseguenti agli eccezionali eventi atmosferici che hanno colpito il territorio della provincia di Vibo Valentia il giorno 3 luglio 2006».
Al fine di provvedere alla individuazione dei comuni colpiti dall'alluvione, alla realizzazione dei primi interventi urgenti diretti al soccorso della popolazione, alla rimozione delle situazioni di pericolo ed a fronteggiare i danni provocati dall'evento calamitoso si è proceduto, con la suddetta ordinanza, alla nomina del Commissario delegato nella persona del Presidente della regione Calabria.
Per favorire un rapido rientro nelle unità immobiliari distrutte o danneggiate ed il ritorno alle normali condizioni di vita, il Commissario delegato, è stato autorizzato, secondo quanto stabilito dall'ordinanza 3531, ad erogare contributi per la riparazione degli immobili, per i traslochi e i depositi effettuati dalla popolazione sgomberata, per l'acquisto od il ripristino di beni mobili di carattere indispensabile, che fossero andati danneggiati o distrutti.
Ulteriori contributi sono stati previsti con l'articolo 5 della medesima ordinanza, per la ripresa delle attività produttive danneggiate, come ad esempio quelle turistiche, agricole ed artigiane, mentre con l'articolo 9 è stata, altresì, prevista e regolamentata la sospensione dei termini relativi agli adempimenti ed ai versamenti tributari in scadenza.
Per tali fini sono stati stanziati cinque milioni di euro, a titolo di anticipazione, da porre a carico del Fondo della protezione civile.
All'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n. 3531 del 2006 hanno fatto seguito le ordinanze di protezione civile del 28 luglio 2006, n. 3536 e del 4 agosto 2006, n. 3540.
Con il provvedimento normativo 3536 sono stati identificati i comuni ai quali applicare i benefici di cui al predetto articolo 9 dell'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n. 3531. Essi sono: Brognaturo, Capistrano, Filogaso, Gerocarne, Sant'Onofrio, Simbario, Serra S. Bruno, Soriano, Sorianello, Stefanaconi, Spadola, S. Nicola da Crissa, Pizzoni, Vallelonga, Vazzano e Vibo Valentia.
Inoltre ai datori di lavoro privati aventi sede legale o operativa nei comuni suddetti è stata concessa, fino al 31 dicembre 2006, la sospensione del versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali, nonché dei premi, ivi compresa la quota a carico dei lavoratori dipendenti.
Con la successiva ordinanza 3540 è stato stabilito che l'evento alluvionale, verificatosi nel territorio della provincia di Vibo Valentia il 3 luglio, 2006, costituisce causa di forza maggiore a tutti gli effetti contrattuali, in relazione alla possibilità di rinegoziare i mutui contratti dalla popolazione con gli istituti di credito e bancari e il Capo del Dipartimento della protezione civile è stato autorizzato ad erogare contributi a titolo di indennizzo in favore dei nuclei familiari che avessero subìto la perdita di uno o più componenti coinvolti nelle attività finalizzate a fronteggiare i predetti eventi.
Con la stessa ordinanza 3540 sono state, poi, redatte ulteriori norme a beneficio dei lavoratori costretti a sospendere la propria attività a causa dell'evento calamitoso e la regione Calabria, d'intesa con il Ministero

dello sviluppo economico, è stata autorizzata a predisporre un programma pluriennale d'interventi, diretti a favorire la ripresa delle attività produttive, mediante il reinsediamento o la delocalizzazione delle imprese danneggiate, e volti alla costituzione di nuove imprese nelle aree industriali interessate.
Per le suddette finalità, l'ordinanza n. 3540, così come modificata dalla successiva ordinanza di protezione civile n. 3555 del 2006, ha disposto, anche, la riallocazione delle risorse residue destinate alla regione Calabria, sulla base del contratto multiregionale strategico approvato con la delibera CIPE n. 84 del 2004, diretto a favorire la ripresa produttiva.
In proposito, con l'articolo 9 dell'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri del 5 marzo 2007, n. 3569, è stato differito, di ulteriori sessanta giorni, il termine per l'attuazione del predetto articolo 5 dell'ordinanza 3540, già prorogato con l'ordinanza n. 3555 del 2006.
Si fa presente, inoltre, che il 30 ottobre 2006 il Commissario delegato - Presidente della regione Calabria, ha presentato presso la Giunta regionale il «piano di interventi infrastrutturali, di emergenza e di prima sistemazione idrogeologica nei comuni della provincia di Vibo Valentia colpiti dagli eventi atmosferici del 3 luglio 2006».
Tale piano, predisposto dal Dipartimento di difesa del suolo dell'Università della Calabria, su incarico del Commissario delegato prevede la sistemazione del reticolo idrografico, il completamento delle reti fognarie, l'adeguamento del sistema viario e la riorganizzazione delle aree industriali. I relativi interventi sono stati distinti in tre fasi a seconda delle priorità e della disponibilità finanziaria.
In materia di previsione, valutazione, prevenzione e mitigazione del rischio idrogeologico della regione, si richiama l'atto di indirizzo 27 ottobre 2006 recante «indirizzi operativi per fronteggiare eventuali situazioni di emergenza connessi a fenomeni idrogeologici ed idraulici» in cui il Governo ha richiamato l'attenzione di tutte le istituzioni, ed in particolare delle regioni e delle province autonome per promuovere e sostenere, anche attraverso la predisposizione di apposite linee guida, la costituzione e l'operatività dei presidi territoriali, sia a scala provinciale che comunale, favorendo l'aggregazione tra i singoli comuni.
Va evidenziato che i fenomeni meteorologici avversi hanno recentemente interessato soprattutto aree fortemente urbanizzate, mettendone in luce la vulnerabilità, dovuta sia alla tipologia ed all'articolazione urbanistica, il cui sviluppo non è stato, talvolta, né pianificato né controllato adeguatamente, sia alla scarsa manutenzione del reticolato idrografico minore.
In proposito esistono degli strumenti di pianificazione, i Piani stralci di bacino per l'assetto idrogeologico (PAI), che devono includere, oltre ai consueti scenari di estrema pericolosità, che sono più rari, anche le criticità apparentemente minori, che risultano più frequenti nel territorio nazionale.
Le regioni, pertanto, sono state invitate a effettuare un programma di difesa del suolo e di ricostruzione post-emergenziale per il ritorno alle ordinarie condizioni di vita, mirando a ridurre i rischi su aree il più possibile estese.
L'attenzione deve essere posta, oltre che sulla attività di prevenzione, anche verso una seria pianificazione di emergenza per la salvaguardia della popolazione, attraverso un tempestivo e coordinato intervento in caso di calamità.
Infine, in relazione all'emergenza verificatasi nel territorio di Vibo Valentia, ai sensi dell'articolo 1, comma 1015, della legge finanziaria n. 269 del 2006, è stato autorizzato un contributo di 8 milioni di euro per l'anno 2007.
In proposito l'articolo 8 dell'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n. 3591 del 24 maggio 2007 ha previsto, d'intesa con la regione Calabria, un'apposita normativa che, al fine di consentire il proseguimento delle iniziative finalizzate al superamento dell'emergenza, ha autorizzato il trasferimento delle suddette risorse finanziarie sulla contabilità speciale intestata al Commissario delegato - Presidente della regione Calabria.

Per quanto riguarda, invece, gli interventi a favore delle popolazioni della provincia di Vibo Valentia e delle regioni Liguria e Veneto, con l'articolo 1, comma 1014, della predetta legge finanziaria n. 269, è stata autorizzata, per ciascuno degli anni 2007, 2008 e 2009, la spesa di 10 milioni di euro da ripartire tra le predette regioni. In particolare, alla provincia di Vibo Valentia è stata assegnata una somma pari a 500.000,00 euro.
In data 16 febbraio 2007 si è tenuta una riunione, presso il Dipartimento della protezione civile, con un rappresentante della regione Calabria e della Camera di commercio industria ed artigianato, nella quale il rappresentante della regione è stato sollecitato a dare attuazione alle disposizioni di protezione civile di competenza del Commissario delegato, con particolare riferimento alle norme riguardanti la ripresa delle attività produttive, previa la realizzazione di piani di intervento finalizzati al raggiungimento di obiettivi secondo un rigoroso ordine di priorità.
Per quanto riguarda il ripristino delle comunicazioni stradali, si fa presente che è stata riaperta al traffico la statale 18 dopo il completamento dei lavori di ricostruzione del corpo stradale parzialmente franato al Km. 437+250 e la bonifica della pendice in frana al Km. 434+800.
Il transito è, però, consentito con i limiti di velocità a 40 km/h, con divieto di sorpasso, con senso unico alternato per tratti non più lunghi di 100 metri e divieto di transito agli autoveicoli di massa superiore a 20 tonnellate.
In relazione agli interventi relativi ai gravi danni causati dal nubifragio a tutto il settore agricolo, si fa presente che su proposta della regione Calabria, il ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali ha emesso, in data 14 novembre 2006, il decreto di declaratoria con il quale sono state attivate le provvidenze del Fondo di solidarietà nazionale che, ai sensi del decreto legislativo del 29 marzo 2004, n. 102, prevede a favore delle aziende agricole danneggiate, nella misura non inferiore al 30 per cento (20 per cento se si tratta di zone svantaggiate), contributi in conto capitale fino all'80 per cento del danno sulla produzione lorda vendibile ordinaria, prestiti ad ammortamento quinquennale per le maggiori esigenze di conduzione aziendale nell'anno in cui si è verificato l'evento ed in quello successivo, la proroga delle rate delle operazioni di credito in scadenza nell'anno in cui si è verificato l'evento calamitoso e contributi in conto capitale, fino al 100 per cento, per il ripristino delle infrastrutture connesse all'attività agricola.
Sempre a seguito degli eventi alluvionali che hanno interessato provincia di Vibo Valentia, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha disposto l'intervento di tre unità navali per il recupero dei rifiuti galleggianti e dei detriti vari presenti in mare.
Successivamente, in data 13 luglio 2006, presso l'Amministrazione provinciale di Vibo Valentia si è tenuto il vertice interforze per la salvaguardia ambientale, al quale hanno partecipato tutti i soggetti istituzionali coinvolti.
In tale sede è stato costituito il Gruppo di valutazione ambientale che, a seguito di una ricognizione della situazione relativa al livello dell'inquinamento marino, all'irregimentazione delle acque e alla difesa del suolo, ha proposto interventi rivolti in merito.

Il Ministro per i rapporti con il Parlamento e le riforme istituzionali: Vannino Chiti.

ANGELA NAPOLI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
la Calabria è, purtroppo, la Regione madre della più grossa, potente e pervasiva organizzazione criminale e come tale, qualsiasi struttura giudiziaria rappresenta un importante punto di riferimento per i cittadini onesti ed una significativa presenza dello Stato;
il precedente Governo Nazionale guidato dal Presidente Berlusconi, supportato da un criterio di equa distribuzione sul territorio nazionale, ha decretato la istituzione della Scuola di Magistratura a Catanzaro;

diventa sempre più acclarata la notizia dello spostamento della citata Scuola di Magistratura da Catanzaro a Benevento;
se la notizia corrispondesse al vero, rappresenterebbe una reale ulteriore espoliazione della Calabria, Regione già sufficientemente penalizzata, in favore di altre zone del territorio nazionale;
la situazione del dipartimento giustizia calabrese è allarmante, a causa di una serie di fattori, in parte attribuibili ad incuria del Governo centrale e ad una non adeguata valutazione da parte del CSM;
la sottrazione di una Scuola di Magistratura ad un territorio così «inquinato» quale quello calabrese, rappresenterebbe anche uno scoraggiamento nei confronti dei giovani calabresi, ai quali costantemente viene richiamata la cultura della legalità, che dovrebbe essere loro impartita con i fatti e non più solo «a parole»;
l'Amministrazione comunale di Catanzaro ha recentemente anche deliberato la destinazione per la Scuola di Magistratura di un immobile, recentemente ristrutturato, mettendolo a disposizione del ministero della giustizia;
le Istituzioni hanno il dovere di non spegnere l'entusiasmo di quei giovani calabresi che, dopo l'omicidio Fortugno, accanto ai cittadini onesti della Regione, stanno dimostrando di battersi per una realtà, che, scevra da forme di campanilismi vari, può essere in grado di divenire competitiva con il resto della Nazione -:
se non ritenga indispensabile mantenere le precedenti scelte governative, lasciando la città di Catanzaro sede della prestigiosa Scuola di Magistratura.
(4-02273)

Risposta. - Tra i criteri per l'esercizio della delega conferita al Governo per l'istituzione della Scuola Superiore della magistratura, l'articolo 2, comma 2, lettera r), della legge 25 luglio 2005, n. 150 prevede «che vengano istituite sino a tre sedi della Scuola Superiore della Magistratura a competenza interregionale».
Al riguardo, l'articolo 1, comma 5, del decreto legislativo 30 gennaio 2006, n. 26 (recante Istituzione della Scuola Superiore della magistratura) stabilisce, a sua volta, che «Con decreto del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze [...] vengono individuate tre sedi della Scuola: una per i distretti ricompresi nelle regioni Lombardia, Trentino Alto Adige/Sudtirol, Valle d'Aosta/Vallée d'Aoste, Friuli Venezia Giulia, Veneto, Piemonte, Liguria ed Emilia Romagna; una per i distretti ricompresi nelle regioni Marche, Toscana, Umbria, Lazio, Abruzzo, Molise e Sardegna; una per i distretti ricompresi nelle regioni Campania, Puglia, Basilicata, Calabria e Sicilia».
In attuazione del suddetto articolo 1, comma 5 è stato emanato il decreto ministeriale 27 aprile 2006, il quale prevedeva che le sedi della Scuola Superiore della magistratura sarebbero state ubicate, rispettivamente, nella provincia di Bergamo, in quella di Latina e in quella di Catanzaro.
Il successivo decreto ministeriale 30 novembre 2006 - modificando
in parte qua il precedente decreto del 27 aprile 2006 - ha disposto che le sedi della Scuola Superiore della magistratura saranno ubicate, rispettivamente, nella provincia di Bergamo, in quella di Firenze e in quella di Benevento. Tale decreto è stato impugnato - con distinti ricorsi - dal comune di Catanzaro, dall'amministrazione provinciale di Catanzaro e dalla Regione Calabria, nonché (in proprio) da alcuni cittadini.
Al riguardo, si osserva che il decreto ministeriale 27 aprile 2006 non stabilisce che la scuola avrà sede nel comune di Catanzaro, ma si limita a prevedere che per i distretti compresi nelle regioni Campania, Puglia, Basilicata, Calabria e Sicilia, la Scuola avrà sede «nella provincia di Catanzaro» (la quale comprende 80 comuni, uno dei quali - Lamezia Terme - ha una popolazione residente di poco inferiore a quella del comune di Catanzaro).
Va, quindi, escluso che il provvedimento di revoca sollecitato dall'interrogante produca, quale conseguenza immediata e diretta,

l'istituzione della sede della scuola nella città di Catanzaro.
Al fine di stabilire quali siano le località che soddisfano maggiormente i requisiti richiesti per l'ubicazione delle sedi della scuola sono state valutate le caratteristiche, le finalità e le necessità organizzative di quest'ultima.
Quanto ai profili di merito relativi alla scelta della sede della scuola e, segnatamente, la centralità della località prescelta e l'esistenza di immobili demaniali idonei ad ospitare la sede della scuola, si osserva quanto segue.
Assume in primo luogo rilievo l'effettiva distribuzione territoriale dei magistrati chiamati a partecipare ai corsi organizzati dalla sede meridionale della scuola (oltre un terzo dei magistrati ordinari - 1.250 su un totale di circa 3.600 - proviene dagli uffici giudiziari della Campania).
In secondo luogo, va evidenziata la circostanza che coloro che sono chiamati a partecipare alle attività organizzate dalla scuola in qualità di docenti provengono da tutta Italia.
In terzo luogo, occorre tenere conto dei collegamenti disponibili con le località di provenienza dei partecipanti ai corsi; al riguardo, è sufficiente ricordare che l'aeroporto di Lamezia Terme (che serve la città di Catanzaro), a differenza dell'aeroporto di Napoli Capodichino, non dispone di collegamenti quotidiani diretti con i capoluoghi dei distretti di corte d'appello delle regioni meridionali.
Quanto al presupposto dell'inesistenza - nell'intero territorio della provincia di Catanzaro - di immobili demaniali idonei ad ospitare la sede della scuola, esso si fonda su una preventiva indagine conoscitiva svolta dal ministero presso l'Agenzia del demanio territorialmente competente.
Viceversa, a seguito della sottoscrizione di un Protocollo d'intesa, in data 24 febbraio 2007, da parte del Ministero della giustizia, del Presidente della provincia di Benevento, del sindaco del comune di Benevento e del Rettore dell'università del Sannio, la provincia di Benevento ha messo a disposizione, a titolo gratuito, un complesso immobiliare di sua proprietà, l'ex caserma militare «Guidoni», per un periodo di nove anni, rinnovabile per altri nove anni.
Tale complesso immobiliare è stato oggetto di recenti interventi di ristrutturazione e messa a norma e, tuttora, sono in corso altri interventi.
La Provincia ha assunto, altresì, l'impegno di provvedere con oneri a suo carico agli ulteriori interventi che saranno richiesti dal Ministero della giustizia.
La Provincia ed il Comune di Benevento, tenendo esente il ministero da ogni impegno economico, si sono impegnati ad assicurare la copertura finanziaria relativa alla gestione ordinaria e straordinaria della sede, secondo le indicazioni e le necessità del ministero.
Alla luce delle considerazioni che precedono si può, dunque, affermare che la scelta di sostituire la provincia di Catanzaro con quella di Benevento è sorretta, nel decreto ministeriale 30 novembre 2006, da motivazioni adeguate e sufficienti, sia con riferimento ai problemi logistici di collegamento della provincia di Catanzaro con le sedi giudiziarie dei distretti di riferimento, sia con riferimento alla mancanza - nell'intero territorio provinciale - di immobili demaniali idonei allo scopo. Ciò diversamente dal decreto ministeriale 27 aprile 2006, il quale, viceversa, non recava l'indicazione dei motivi che avevano indotto l'amministrazione ad ubicare nella provincia di Catanzaro una delle sedi della Scuola Superiore della magistratura.
La scelta effettuata risponde, pertanto, a criteri di buona amministrazione ed è definitiva, ogni valutazione essendo già stata operata con assoluta ponderazione in vista dell'emanazione del decreto.
Inoltre, è questa la sede per rammentare che un chiaro segnale della presenza attiva delle istituzioni in un territorio in cui è forte la pressione della criminalità organizzata, si ricava, con evidenza, dalla convenzione stipulata in data 14 maggio 2007 tra il Ministero dell'interno ed il ministero della giustizia, relativa al rafforzamento delle risorse delle strutture giudiziarie di Catanzaro e Reggio Calabria. La convenzione segue la sottoscrizione in data 16

febbraio 2007 del «Patto Calabria Sicura», tra il Vice Ministro dell'interno, il Presidente della Regione Calabria, il Presidente dell'amministrazione provinciale di Catanzaro ed il Presidente dell'amministrazione provinciale di Reggio Calabria. Il Patto definisce un piano di interventi urgenti, prioritariamente nelle aree di Lamezia Terme, di Gioia Tauro e della Locride, consistente nel potenziamento delle risorse umane e tecnologiche dell'apparato di prevenzione e contrasto anticrimine.
Il Ministro della giustizia: Clemente Mastella.

OLIVERIO, LAGANÀ FORTUGNO e LARATTA. - Al Presidente del Consiglio dei ministri. - Per sapere - premesso che:
in data 3 luglio 2006 si è registrato un evento pluviometrico eccezionale che ha interessato in particolare il comune di Vibo Valentia;
l'evento è stato concentrato sia dal punto di vista temporale, occupando un intervallo di poco superiore alle tre ore, che spaziale in quanto in alcune zone prossime a quelle richiamate si sono registrati valori molto bassi di pioggia;
i valori massimi di pioggia di durata 1,3 e 6 ore nella stazione pluviometrica di Vibo Valentia sono risultati pari a 130 millimetri, 199 millimetri e 203 millimetri;
il confronto con i dati storici mostra che nella stazione pluviometrica di Vibo Valentia si sono registrati, in questo evento, i massimi storici su tutte le durate che in alcuni casi risultano anche superiori al doppio dei massimi precedentemente registrati;
il dato assume maggiore rilevanza nella stazione di Vibo Valentia, nella quale la serie storica è di durata quasi cinquantennale;
l'area interessata dall'evento pluviometrico è caratterizzata, dal punto di vista idrogeologico, da diffuse condizioni di rischio con una superficie, classificata nel piano di assetto idrogeologico della Calabria, a rischio alluvione R3 e R4 di 1 chilometro quadrato e rischio frana in contesto urbano di 16 ettari. Sul tratto interessato - circa 10 chilometri - risulta intrusione su 4 chilometri. In tale contesto e nelle condizioni dell'evento si sono registrate esondazioni e colate detritiche che hanno sconvolto il territorio, danneggiato infrastrutture e purtroppo provocato 4 vittime, tra cui un bimbo di quindici mesi strappato dalle braccia della mamma dalla potenza delle acque;
i lutti hanno esasperato, anche dal punto di vista psicologico, le popolazioni fortemente provate per gli ingenti danni materiali e per le condizioni di indigenza nelle quali si sono ritrovate;
le già precarie condizioni socio-economiche si sono aggravate anche a causa degli indiscutibili danni provocati alle attività produttive e soprattutto turistico ricettive;
il Governo ha tempestivamente dichiarato lo stato di emergenza ed emanato in data 7 luglio 2006 l'ordinanza di protezione civile n. 3531;
di difficile accertamento risulta essere l'ammontare certo dei danni economici complessivi;
ingente sembrerebbe essere la necessità finanziaria per la messa in sicurezza del territorio colpito dall'evento e dell'intero comprensorio vibonese;
non inverosimile potrebbe risultare la stima in 200 milioni di euro;
le amministrazioni locali interessate ed in particolare il comune di Vibo Valentia hanno urgente necessità di un piano di interventi per la messa in sicurezza del territorio, per il riefficientamento delle infrastrutture e dei servizi e per il riposizionamento sui mercati delle attività economiche e produttive;
l'assenza di queste attività programmatiche cui facciano seguito coerenti impegni finanziari da parte del Governo stanno esasperando la popolazione, angosciata

per l'imminente stagione delle piogge, con preoccupazione per la tenuta dell'ordine pubblico. Diversi gli impegni assunti a tutti i livelli istituzionali, modeste ad oggi le concrete azioni -:
quali iniziative il Governo, anche in vista della prossima legge finanziaria per il 2007, intenda varare con il coinvolgimento degli enti locali, per accelerare la fase di messa in sicurezza e di ricostruzione del territorio.
(4-00955)

Risposta. - In riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, si fa presente quanto segue.
Lunedì 3 luglio 2006 il territorio di Vibo Valentia è stato interessato da un intenso evento alluvionale che ha provocato la perdita di quattro vite umane, tra cui quella di una bambina di quindici mesi, e ha causato allagamenti, smottamenti, frane ed ingenti danni alle infrastrutture, con conseguenti ripercussioni sulla popolazione e sulle attività produttive.
Successivamente, il 7 luglio 2006, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, è stato dichiarato lo stato di emergenza nel territorio della provincia di Vibo Valentia ed è stata emanata, in pari data, l'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n. 3531 recante «interventi urgenti di protezione civile diretti a fronteggiare i danni conseguenti agli eccezionali eventi atmosferici che hanno colpito il territorio della provincia di Vibo Valentia il giorno 3 luglio 2006».
Al fine di provvedere alla individuazione dei comuni colpiti dall'alluvione, alla realizzazione dei primi interventi urgenti diretti al soccorso della popolazione, alla rimozione delle situazioni di pericolo ed a fronteggiare i danni provocati dall'evento calamitoso si è proceduto, con la suddetta ordinanza, alla nomina del Commissario delegato nella persona del Presidente della regione Calabria.
Per favorire un rapido rientro nelle unità immobiliari distrutte o danneggiate ed il ritorno alle normali condizioni di vita, il Commissario delegato, è stato autorizzato, secondo quanto stabilito dall'ordinanza 3531, ad erogare contributi per la riparazione degli immobili, per i traslochi e i depositi effettuati dalla popolazione sgomberata, per l'acquisto od il ripristino di beni mobili di carattere indispensabile, che fossero andati danneggiati o distrutti.
Ulteriori contributi sono stati previsti con l'articolo 5 della medesima ordinanza, per la ripresa delle attività produttive danneggiate, come ad esempio quelle turistiche, agricole ed artigiane, mentre con l'articolo 9 è stata, altresì, prevista e regolamentata la sospensione dei termini relativi agli adempimenti ed ai versamenti tributari in scadenza.
Per tali fini sono stati stanziati cinque milioni di euro, a titolo di anticipazione, da porre a carico del Fondo della protezione civile.
All'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n. 3531 del 2006 hanno fatto seguito le ordinanze di protezione civile del 28 luglio 2006, n. 3536 e del 4 agosto 2006, n. 3540.
Con il provvedimento normativo 3536 sono stati identificati i comuni ai quali applicare i benefici di cui al predetto articolo 9 dell'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n. 3531. Essi sono: Brognaturo, Capistrano, Filogaso, Gerocarne, Sant'Onofrio, Simbario, Serra S. Bruno, Soriano, Sorianello, Stefanaconi, Spadola, S. Nicola da Crissa, Pizzoni, Vallelonga, Vazzano e Vibo Valentia.
Inoltre ai datori di lavoro privati aventi sede legale o operativa nei comuni suddetti è stata concessa, fino al 31 dicembre 2006, la sospensione del versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali, nonché dei premi, ivi compresa la quota a carico dei lavoratori dipendenti.
Con la successiva ordinanza 3540 è stato stabilito che l'evento alluvionale, verificatosi nel territorio della provincia di Vibo Valentia il 3 luglio 2006, costituisce causa di forza maggiore a tutti gli effetti contrattuali, in relazione alla possibilità di rinegoziare i mutui contratti dalla popolazione con gli istituti di credito e bancari e il Capo del Dipartimento della protezione civile è stato autorizzato ad erogare contributi a titolo di indennizzo in favore dei nuclei

familiari che avessero subito la perdita di uno o più componenti coinvolti nelle attività finalizzate a fronteggiare i predetti eventi.
Con la stessa ordinanza 3540 sono state, poi, redatte ulteriori norme a beneficio dei lavoratori costretti a sospendere la propria attività a causa dell'evento calamitoso e la regione Calabria, d'intesa con il Ministero dello sviluppo economico, è stata autorizzata a predisporre un programma pluriennale d'interventi, diretti a favorire la ripresa delle attività produttive, mediante il reinsediamento o la delocalizzazione delle imprese danneggiate, e volti alla costituzione di nuove imprese nelle aree industriali interessate.
Per le suddette finalità, l'ordinanza n. 3540, così come modificata dalla successiva ordinanza di protezione civile n. 3555 del 2006, ha disposto, anche, la riallocazione delle risorse residue destinate alla regione Calabria, sulla base del contratto multiregionale strategico approvato con la delibera CIPE n. 84 del 2004, diretto a favorire la ripresa produttiva.
In proposito, con l'articolo 9 dell'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri del 5 marzo 2007, n. 3569, è stato differito, di ulteriori sessanta giorni, il termine per l'attuazione del predetto articolo 5 dell'ordinanza 3540, già prorogato con l'ordinanza n. 3555 del 2006.
In data 30 ottobre 2006 il Commissario delegato - Presidente della regione Calabria, ha presentato presso la Giunta regionale il «piano di interventi infrastrutturali, di emergenza e di prima sistemazione idrogeologica nei comuni della provincia di Vibo Valentia colpiti dagli eventi atmosferici del 3 luglio 2006».
Tale piano, predisposto dal Dipartimento di difesa del suolo dell'Università della Calabria, su incarico del Commissario delegato prevede la sistemazione del reticolo idrografico, il completamento delle reti fognarie, l'adeguamento del sistema viario e la riorganizzazione delle aree industriali. I relativi interventi sono stati distinti in tre fasi a seconda delle priorità e della disponibilità finanziaria.
In materia di previsione, valutazione, prevenzione e mitigazione del rischio idrogeologico della regione, si richiama l'atto di indirizzo 27 ottobre 2006 recante «indirizzi operativi per fronteggiare eventuali situazioni di emergenza connessi a fenomeni idrogeologici ed idraulici», in cui il Governo ha richiamato l'attenzione di tutte le istituzioni, ed in particolare delle regioni e delle province autonome, per promuovere e sostenere, anche attraverso la predisposizione di apposite linee guida, la costituzione e l'operatività dei presidi territoriali, sia a scala provinciale che comunale, favorendo l'aggregazione tra i singoli comuni.
Infine, in relazione all'emergenza verificatasi nel territorio di Vibo Valentia, ai sensi dell'articolo 1, comma 1015, della legge finanziaria n. 269 del 2006, è stato autorizzato un contributo di 8 milioni di euro per l'anno 2007.
In proposito l'articolo 8 dell'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n. 3591 del 24 maggio 2007 ha previsto, d'intesa con la regione Calabria, un'apposita normativa che, al fine di consentire il proseguimento delle iniziative finalizzate al superamento dell'emergenza, ha autorizzato il trasferimento delle suddette risorse finanziarie sulla contabilità speciale intestata al Commissario delegato - Presidente della regione Calabria.
Per quanto riguarda, invece, gli interventi a favore delle popolazioni della provincia di Vibo Valentia e delle regioni Liguria e Veneto, con l'articolo 1, comma 1014 della predetta legge finanziaria n. 269, è stata autorizzata, per ciascuno degli anni 2007, 2008 e 2009, la spesa di 10 milioni di euro da ripartire tra le predette regioni. In particolare, alla provincia di Vibo Valentia è stata assegnata una somma pari a 500.000,00 euro.
In data 16 febbraio 2007 si è tenuta una riunione, presso il Dipartimento della protezione civile, con un rappresentante della regione Calabria e della Camera di commercio industria ed artigianato, nella quale il rappresentante della regione è stato sollecitato a dare attuazione alle disposizioni di protezione civile di competenza del Commissario delegato, con particolare riferimento

alle norme riguardanti la ripresa delle attività produttive, previa la realizzazione di piani di intervento finalizzati al raggiungimento di obiettivi secondo un rigoroso ordine di priorità.
Per quanto riguarda il ripristino delle comunicazioni stradali, si fa presente che è stata riaperta al traffico la statale 18 dopo il completamento dei lavori di ricostruzione del corpo stradale parzialmente franato al Km. 437+250 e la bonifica della pendice in frana al Km. 434+800.
Il transito è, però, consentito con i limiti di velocità a 40 km/h, con divieto di sorpasso, con senso unico alternato per tratti non più lunghi di 100 metri e divieto di transito agli autoveicoli di massa superiore a 20 tonnellate.
In relazione agli interventi relativi ai gravi danni causati dal nubifragio a tutto il settore agricolo, si fa presente che su proposta della regione Calabria, il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali ha emesso, in data 14 novembre 2006, il decreto di declaratoria con il quale sono state attivate le provvidenze del Fondo di solidarietà nazionale che, ai sensi del decreto legislativo del 29 marzo 2004, n. 102, prevede a favore delle aziende agricole danneggiate, nella misura non inferiore al 30 per cento (20 per cento se si tratta di zone svantaggiate), contributi in conto capitale fino all'80 per cento del danno sulla produzione lorda vendibile ordinaria, prestiti ad ammortamento quinquennale per le maggiori esigenze di conduzione aziendale nell'anno in cui si è verificato l'evento ed in quello successivo, la proroga delle rate delle operazioni di credito in scadenza nell'anno in cui si è verificato l'evento calamitoso e contributi in conto capitale, fino al 100 per cento, per il ripristino delle infrastrutture connesse all'attività agricola.
Sempre a seguito degli eventi alluvionali che hanno interessato la provincia di Vibo Valentia, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha disposto l'intervento di tre unità navali per il recupero dei rifiuti galleggianti e dei detriti vari presenti in mare.
Successivamente, in data 13 luglio 2006, presso l'Amministrazione provinciale di Vibo Valentia si è tenuto il vertice interforze per la salvaguardia ambientale, al quale hanno partecipato tutti i soggetti istituzionali coinvolti.
In tale sede è stato costituito il Gruppo di valutazione ambientale che, a seguito di una ricognizione della situazione relativa al livello dell'inquinamento marino, all'irregimentazione delle acque e alla difesa del suolo, ha proposto interventi rivolti in merito.

Il Ministro per i rapporti con il Parlamento e le riforme istituzionali: Vannino Chiti.

OLIVIERI. - Al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
lo scorso 26 febbraio, presso il Palazzo Civico di Levanto, comune in provincia della Spezia, è stata recapitata una busta anonima indirizzata ad Olivia Canzio, giovane consigliera di Rifondazione Comunista;
in tale busta era contenuta una polvere bianca e, secondo quanto riportato dagli organi di stampa e secondo quanto riferito dai testimoni del fatto alla stessa consigliera di Rifondazione Comunista, un foglietto sul quale era scritta una frase minacciosa;
l'episodio ha fatto immediatamente scattare l'allarme antrace nel Comune di Levanto ed ha costretto i dipendenti comunali venuti a contatto con la polvere bianca contenuta nella missiva anonima, a sottoporsi agli accertamenti del caso;
quanto accaduto ha suscitato apprensione nella popolazione del Comune rivierasco sia per il timore di possibili, per quanto improbabili, contagi, sia per la gravità dell'intimidazione nei confronti della consigliera comunale di Rifondazione Comunista;
circa i responsabili del grave atto di intimidazione, l'interrogante non dispone di informazioni tali da formulare ipotesi convincenti;

tuttavia pare opportuno rilevare come gli stessi organi di stampa avanzino tra le altre anche l'ipotesi che l'atto intimidatorio possa essere in qualche modo riconducibile alla pressante iniziativa del locale Circolo di Rifondazione Comunista di Levanto e della stessa consigliera Olivia Canzio volta a vigilare affinché un territorio così «pregiato» quale è quello del Comune di Levanto sia sottratto al rischio di eccessive cementificazioni se non di vere e proprie speculazioni -:
se - fermi restando gli accertamenti da parte della Magistratura - al Governo risultino elementi informativi sulla vicenda denunciata e se e come intenda operare affinché venga garantita la possibilità di svolgere liberamente l'attività istituzionale.
(4-02912)

Risposta. - Nella tarda mattinata del 26 febbraio 2007, una impiegata del comune di Levanto (La Spezia) ha denunciato presso la locale stazione dell'Arma dei carabinieri di aver rinvenuto, fra la corrispondenza giornaliera destinata all'ente locale, una busta chiusa indirizzata alla signora Olivia Canzio, consigliere comunale del Partito della Rifondazione Comunista.
Il plico conteneva una piccola quantità di polvere bianca granulosa ed un foglio bianco manoscritto dal contenuto minatorio.
I militari dell'Arma hanno informato l'Autorità giudiziaria, chiedendo inoltre l'intervento del Servizio igiene ambientale dell'Azienda sanitaria locale e dei Vigili del fuoco che hanno provveduto a repertare la busta e ad inviarla, per i relativi accertamenti, all'Istituto zooprofilattico sperimentale di Foggia.
L'impiegata del comune venuta a contatto con la busta è stata precauzionalmente sottoposta a profilassi antibiotica presso l'ospedale civile di La Spezia.
Fortunatamente, gli accertamenti esperiti hanno escluso la presenza di antrace o di altra sostanza nociva.
Le indagini condotte per identificare il responsabile del fatto non hanno dato sinora esito positivo.
Come riferito dal Prefetto di La Spezia, l'episodio potrebbe collegarsi alla recente pubblicazione, su un foglio d'informazione politica del Partito della Rifondazione Comunista, di un articolo nel quale veniva addebitato ad un assessore del comune di Levanto di essere intervenuto, per conto di costruttori privati, in una trattativa per l'acquisto di aree destinate alla realizzazione di tre edifici ad edilizia convenzionata, determinando, così, una notevole lievitazione dei prezzi degli appartamenti.
Nei confronti della signora Canzio, che non è stata destinataria di ulteriori episodi intimidatori, il prefetto di La Spezia non ha ritenuto necessaria l'attuazione di misure di tutela personale.
Relativamente alle iniziative assunte per contrastare simili fenomeni, si assicura che da tempo il Ministero dell'interno mantiene un elevato livello di controllo in relazione al rischio di possibili episodi di intolleranza o di intimidazione politica.
In particolare, le autorità di pubblica sicurezza e le forze di polizia seguono con attenzione tutti gli eventi che possono incidere negativamente sulla libertà di espressione di tutte le componenti politiche e dei loro esponenti. A tal fine, le forze di polizia dispongono e rivedono periodicamente, in sede di coordinamento tecnico, le misure per assicurare, da un lato, un più capillare controllo del territorio con priorità dei servizi di sorveglianza sugli obiettivi maggiormente esposti e, dall'altro, l'intensificazione dei servizi di informazione per il monitoraggio costante delle situazioni di rischio.

Il Viceministro dell'interno: Marco Minniti.

PEDICA. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
gli articoli 24 e 113 della Costituzione sanciscono l'esercizio del diritto alla tutela giurisdizionale;
tale diritto è stato reso esecutivo da una serie di norme delle quali le più recenti sono contenute dal decreto del Presidente della Repubblica 15/2002;
sembra che negli ultimi tempi la disciplina del diritto alla tutela giurisdizionale

stia subendo una sorta di involuzione in senso antidemocratico;
alcuni Avvocati di indiscussa moralità che hanno scelto di mettere la loro professionalità al servizio dei non abbienti e si sono iscritti nei registri dei difensori con il Patrocinio a spese dello Stato, hanno dovuto attendere tempi esageratamente lunghi per ottenere il pagamento delle loro competenze;
sembra, infatti, che la procedura per ottenere il pagamento di tali competenze, peraltro ridotte, per legge, della metà, sia divenuta molto lenta e farraginosa tanto che gli Avvocati interessati hanno deciso, ciascuno per proprio conto, di rinunciare al patrocinio a spese dello Stato;
tale realtà è documentata e resa attendibile dalle singole comunicazioni di avvocati che appartengono a diversa fede politica, che non si conoscono fra di loro e che hanno agito in tempi differenti -:
se il Ministro non ritenga opportuno verificare la situazione descritta in epigrafe;
come intenda intervenire per ripristinare una procedura snella e veloce per l'evasione delle competenze agli Avvocati che effettuano il Patrocinio a spese dello Stato così da consentire la loro encomiabile attività ed, al contempo, ripristinare l'effettivo esercizio di un elemento assolutamente centrale per la vera democrazia come è il diritto alla tutela giurisdizionale per tutti i cittadini.
(4-03023)

Risposta. - In risposta all'interrogazione in esame, si rappresenta che le disposizioni contenute nell'articolo 21 del decreto-legge n. 223 del 2006, convertito con modificazioni dalla legge n. 248 del 2006, riguardano il pagamento di tutte le spese di giustizia iscritte nel capitolo di bilancio 1360 (tra cui la corresponsione dei compensi dovuti ai difensori dei cittadini ammessi al beneficio del patrocinio a spese dello Stato), nonché le spese gravanti sul capitolo di bilancio 1362.
Detto articolo 21 ha introdotto nuove modalità di pagamento delle spese di giustizia secondo le ordinarie procedure stabilite dalla vigente normativa di contabilità generale dello Stato in luogo del sistema basato sulle anticipazioni da parte degli uffici postali.
Tale sistema delle anticipazioni postali, per espressa previsione del legislatore, resta in essere solamente per le spese relative ad atti di notifica nei procedimenti penali e per gli atti di notifica e di espropriazione forzata nei procedimenti civili quando i relativi oneri sono a carico dell'Erario.
Pertanto, vigendo la nuova disciplina, tutte le spese di giustizia (ad eccezione di quelle attinenti le attività di notifica) devono essere pagate tramite le Tesorerie provinciali dello Stato attraverso i funzionari delegati, i quali provvedono con l'emissione di ordini di pagamento a valere sulle aperture di credito disposte dall'amministrazione della giustizia.
Ai fini del pagamento delle spese di giustizia secondo la citata previsioni normativa, il Ministero della giustizia ha provveduto ad impartire le istruzioni operative per consentire il pagamento delle indennità spettanti ai magistrati onorari (cap. 1362) ed il pagamento della generalità delle spese di giustizia (cap. 1360), tra le quali la corresponsione dei compensi dovuti ai difensori dei cittadini ammessi al beneficio del patrocinio a spese dello Stato.
La competente direzione generale ha sollecitato i funzionari delegati a far fronte, con il massimo sforzo, alla corresponsione di tutte le spese di giustizia con le prescritte modalità, anche richiedendo integrazioni di fondi, ove necessarie; queste ultime sono già state disposte in favore delle Corti d'appello che ne hanno fatto richiesta.
Tanto premesso, per quanto di competenza di questa amministrazione, si ritiene di aver posto in essere le condizioni per la risoluzione dei problemi evidenziati dall'interrogante in ordine alla corresponsione dei compensi dovuti ai difensori dei cittadini ammessi al beneficio del patrocinio a spese dello Stato.

Il Ministro della giustizia: Clemente Mastella.

PELLEGRINO. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
alla proclamata inviolabilità del diritto di difesa la nostra Carta Costituzionale fa coerentemente seguire l'affermazione dell'impegno dello Stato ad assicurare ai non abbienti «i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione» (articolo 24 comma 3 Cost.). Nella realtà dei tribunali, sia in sede penale che (da pochi anni) in ambito civile, si assiste ad un largo uso dell'istituto del patrocinio a spese dei non abbienti. Ciò è dovuto a problemi congiunturali di natura economica, specie nelle regioni del meridione d'Italia, e nello specifico di aree, come la provincia di Napoli, dove la massiccia presenza di soggetti che ricorrono all'uso dell'istituto del gratuito patrocinio è ormai costante;
tuttavia, l'istituto si è diffuso anche nei tribunali del nord Italia, quindi il problema nasce nel meridione ma si espande su tutto il territorio nazionale, a tutela di una fascia di soggetti deboli e privi delle possibilità economiche per far fronte alle ingenti spese di un processo penale. Sotto altro profilo, il patrocinio per i non abbienti (decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002) e la difesa d'ufficio «retribuita dallo Stato» (legge n. 60 del 2001) rappresentano (o avrebbero dovuto rappresentare) l'occasione per gli avvocati giovani di iniziare il lungo e difficile percorso professionale facendo esperienza concreta nei processi ed ottenendo anche i primi guadagni mediante la liquidazione degli onorari da parte dello Stato;
per ciò che attiene proprio al settore penale, ed in particolare soffermandosi sul Tribunale di Napoli, ove, a giudizio dell'interrogante la situazione è piuttosto acuita, fino a pochi mesi fa le liquidazioni delle spettanze dei difensori d'ufficio e di quelli i cui clienti erano stati ammessi al patrocinio, si ottenevano dopo un eccessivo lasso di tempo, dal momento della presentazione dell'istanza di liquidazione al giudice fino all'effettiva liquidazione delle somme riconosciute (da 8 mesi ad un anno e mezzo la media). A partire dall'estate del 2006 si è avuta una prima paralisi dei pagamenti. Ciò è avvenuto in corrispondenza del periodo estivo quando si sospese sine die il pagamento delle liquidazioni in corrispondenza dell'entrata in vigore del cosiddetto decreto Bersani, in cui vi erano disposizioni che riducevano progressivamente i fondi dello Stato destinati al patrocinio dei non abbienti ed alla difesa d'ufficio;
tra le norme collegate, vi era anche la sospensione della convenzione tra lo Stato e l'ente Poste Italiane, da sempre il soggetto cui era materialmente devoluto il pagamento delle liquidazioni mediante mandati di pagamento o accrediti postali. Dopo una serie di incertezze, il nuovo soggetto delegato al pagamento delle liquidazioni diviene la Banca d'Italia. Tuttavia, i pagamenti erano sostanzialmente sospesi fino alla fine dell'anno 2006 poiché il servizio doveva essere attivato. Inoltre, dovevano essere riassegnate le deleghe agli uffici preposti dal Ministero della Giustizia per i pagamenti derivanti dal patrocinio a spese dello Stato e dalla difesa d'ufficio;
nel mese di gennaio 2007, il meccanismo sembrava essersi riattivato, in quanto sembrava giunta una risoluzione della questione. Tuttavia, nel mese di febbraio si sarebbe appreso, in via del tutto ufficiosa, che i pagamenti dell'ufficio modello 12 del Tribunale di Napoli erano stati sospesi in attesa «della nomina dei funzionari delegati presso i Tribunali ordinari e le Procure della Repubblica» all'accreditamento delle spese da liquidare, tra gli altri, anche agli avvocati per le ragioni suesposte. Si sarebbe, inoltre, saputo della esistenza di un provvedimento del Ministero della Giustizia, Dipartimento per gli affari di Giustizia - Direzione generale della Giustizia civile - con il quale si indicavano i dirigenti di taluni tribunali come funzionari delegati a disporre i pagamenti delle spese di giustizia (P.D.G. 17 novembre 2006, pubblicato sul Bollettino ufficiale del Ministero della giustizia del 15 gennaio 2007);

in sostanza, la situazione sembra essersi bloccata in un primo momento (estate 2006) per la mancanza dei fondi statali e per la interruzione definitiva della convenzione tra Stato e Poste Italiane delegate al pagamento; in un secondo momento, e cioè allo stato attuale, i pagamenti sono stati interrotti per problemi burocratici suindicati;
tali situazioni hanno interrotto il meccanismo che consentiva rapidamente il pagamento delle liquidazioni agli avvocati che svolgono un ruolo fondamentale all'interno dell'ordinamento giuridico dello Stato, così comprimendo e pregiudicando il diritto di difesa dei cittadini e delle persone deboli e non abbienti;
questa situazione preoccupa molti giovani avvocati, che si sono presi l'onere e la responsabilità di difendere persone che, altrimenti, resterebbero senza una adeguata difesa nel processo penale;
anche la Giunta della Camera Penale di Napoli ha deciso di denunciare la vicenda al fine di sollecitare il Ministero a voler riprendere i pagamenti sbloccando così la situazione, convocando un Direttivo per la discussione -:
se il Ministro intenda assumere provvedimenti per verificare la sussistenza di quanto anzi premesso e se confermato, ritenga opportuno disporre quanto necessario alla risoluzione;
in particolare, se intenda il Ministro adottare le opportune iniziative al fine di consentire, in tempi necessariamente rapidi, il pagamento delle liquidazioni agli avvocati, in maniera stabile e sicura.
(4-02820)

Risposta. - In risposta all'interrogazione in esame, si fa presente che l'articolo 21 del decreto-legge n. 223 del 2006, convertito con modificazioni con la legge n. 248 del 2006, ha introdotto nuove modalità di pagamento delle spese di giustizia secondo le ordinarie procedure stabilite dalla vigente normativa di contabilità generale dello Stato in luogo del sistema basato sulle anticipazioni da parte degli uffici postali.
Il sistema delle anticipazioni postali, per espressa previsione del legislatore, resta in essere solamente per le spese relative ad atti di notifica nei procedimenti penali e per gli atti di notifica e di espropriazione forzata nei procedimenti civili quando i relativi oneri sono a carico dell'Erario.
Pertanto, con la nuova disciplina, tutte le spese di giustizia (ad eccezione di quelle attinenti le attività di notifica) devono essere pagate tramite le Tesorerie provinciali dello Stato attraverso i funzionari delegati, i quali provvedono ad emettere ordini di pagamento a valere sulle aperture di credito disposte dall'amministrazione della Giustizia.
Effettivamente, per il pagamento delle spese di giustizia sono state emanate due note del Dipartimento per gli affari di giustizia - Direzione generale della giustizia civile - ed una circolare del Dipartimento per l'organizzazione giudiziaria, del personale e dei servizi, con cui sono state impartite le istruzioni operative per consentire il pagamento della generalità delle spese di giustizia (cap. 1360), tra cui la corresponsione dei compensi dovuti ai difensori dei cittadini ammessi al beneficio del patrocinio a spese dello Stato, ed il pagamento delle indennità spettanti ai magistrati onorari (cap. 1362).
La competente Direzione generale ha sollecitato i funzionari delegati a far fronte con il massimo sforzo, alla corresponsione di tutte le spese di giustizia con le prescritte modalità, anche richiedendo integrazioni di fondi, ove necessarie; queste ultime sono già state disposte in favore delle Corti d'appello che ne fanno richiesta.
Per il pagamento della generalità delle spese di giustizia, il Dipartimento per gli affari di giustizia - Direzione generale della giustizia civile - con provvedimento del 17 novembre 2006, pubblicato sul Bollettino Ufficiale n. 1 del 15 gennaio 2007, ha attribuito, per alcuni distretti giudiziari, la nomina di funzionario delegato ai dirigenti dei tribunali e delle corrispondenti procure della Repubblica.

Il 16 febbraio 2007 è stata comunicata ai Presidenti delle Corti d'appello e ai Procuratori generali della Repubblica l'istituzione di nuovo servizio consistente nella pubblicazione, sul sito del Ministero della giustizia, degli ordini di accreditamento disposti sui capitoli 1362 e 1360 per il pagamento dei compensi spettanti alla magistratura onoraria e delle spese di giustizia.
Il 22 marzo 2007, in considerazione dei ritardi nei pagamenti delle spese di giustizia derivati dalla mancata installazione della procedura informatizzata SICOGE per l'emissione degli ordinativi di pagamento, si è provveduto a sollecitare tutti gli uffici giudiziari affinché provvedessero ai dovuti pagamenti, utilizzando i
software già in loro possesso.
Nell'esercizio 2007 sono stati affiancati ai 56 funzionari esistenti a livello distrettuale altri 28 funzionari delegati per il momento individuati presso i tribunali e le rispettive procure dei distretti di rilevanti dimensioni (Bari, Bologna, Cagliari, Catania, Catanzaro, Firenze, Genova, Lecce, Milano, Napoli, Palermo, Roma, Torino e Venezia).
Per ciò che concerne in particolare il tribunale di Napoli, il Presidente del tribunale ha comunicato che sono state ultimate tutte le attività necessarie al perfezionamento delle procedure di contabilità e la operatività del Funzionario Delegato.
In generale, deve tuttavia osservarsi che possibili interventi diretti a restituire celerità ed efficienza ai pagamenti disposti per fini di giustizia non possono esaurirsi con la nomina di altri funzionari delegati e con la relativa assegnazione delle risorse finanziarie.
È, altresi, necessario che i nuovi uffici coinvolti nei pagamenti siano sostenuti nella dotazione di supporti informatici essenziali per poter gestire una rilevante quantità di pagamenti e connesse incombenze di natura contabile (tenuta dei registri, rendicontazione, operazioni di chiusura dell'esercizio, eccetera). Non può, poi, trascurarsi l'aspetto gestionale, relativo alla carenza di specifiche figure professionali (contabili) deputate allo svolgimento delle complesse attività scaturenti dai pagamenti, da eseguirsi secondo la vigente normativa di contabilità generale dello Stato.
Deve, pertanto, concludersi che un processo di riorganizzazione delle spese di giustizia richiede l'intervento e la massima collaborazione delle competenti articolazioni ministeriali (Direzione generale della giustizia civile, Direzione generale dei sistemi informativi ed automatizzati, Direzione generale del personale e della formazione) preposte a fornire agli uffici giudiziari le necessarie risorse umane e strumentali.

Il Ministro della giustizia: Clemente Mastella.

PICANO. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
gli agenti di polizia locale non godono di una normativa uniforme che li regoli su base nazionale;
tale mancanza di normativa uniforme deriva dal loro essere dipendenti da enti territoriali;
questa mancanza di legislazione uniforme se per talune situazioni può esser giustificata, in prima istanza, dall'articolo 118 della Costituzione, e quindi dalla necessità di un decentramento amministrativo su larga scala, per altre provoca invece oggettive difficoltà per gli agenti di polizia locale;
un esempio di difficoltà che si produce con questa mancanza di uniformità normativa è a riguardo della possibilità o meno (a seconda dei comuni) per gli agenti di polizia locale di portare armi da fuoco;
la conseguenza che si crea con l'applicazione di tale normativa è che, in buona sostanza, gli agenti di polizia locale, varcando i confini del proprio ente territoriale di appartenenza per necessità, possono ritrovarsi fuori legge e quindi esser perseguiti penalmente;
nella scorsa legislatura la I Commissione permanente della Camera predispose un testo unificato per modificare alcune

disposizioni in materia di polizia locale (precisamente l'articolo 57 del codice di procedura penale, la legge n. 65 del 1986 e la legge n. 121 del 1981);
tali modifiche, oltre a riguardare la sopra citata problematica relativa al porto d'arma da fuoco, prevedevano tra l'altro una contrattazione collettiva separata dagli altri dipendenti comunali e diverse nuove tutele;
detto testo non venne approvato dalla Camera dei deputati perché inserito troppo tardi nei lavori dell'Assemblea -:
quali soluzioni ha intenzione di prevedere il signor ministro, anche mediante apposite iniziative normative nell'ambito della potestà legislativa statale per una sì vasta problematica.
(4-01401)

Risposta. - La riforma del titolo V della Costituzione prevede che con legge ordinaria vengano disciplinate le necessarie forme di coordinamento tra Stato e regioni, riservando allo Stato la competenza esclusiva in materia di ordine e sicurezza pubblica, armi, munizioni ed esplosivi ed alle regioni la competenza in materia di polizia amministrativa locale, nel rispetto, comunque, dei principi fondamentali enunciati dallo Stato.
Il Governo e, in particolare questo Ministero, è da tempo impegnato per favorire l'attuazione di misure volte a realizzare l'integrazione dell'azione svolta dalle Forze di polizia nazionali con quella svolta sul territorio dalle polizie locali.
In questo quadro rientrano le attività poste in essere per favorire la gestione associata dei servizi di polizia locale da parte delle unioni dei comuni, la formazione degli addetti ed il riordino delle carriere, nonché le forme di collaborazione con le autorità locali per una più incisiva azione di contrasto alla criminalità organizzata e a tutte le forme di violenza.
Ciò premesso, va doverosamente precisato che la legge quadro sulla polizia municipale n. 65 del 1986 già costituisce la «normativa uniforme» che disciplina a livello nazionale l'attività degli operatori di polizia locale.
In particolare, l'articolo 4 della legge, oltre alle ipotesi ordinarie di servizio espletato al di fuori del territorio di competenza, quali missioni esterne, distacchi e comandi, contempla l'eventualità che gli operatori della polizia locale, in caso di necessità dovuto alla flagranza di un illecito perpetrato nell'ambito dell'ente di pertinenza, possano effettuare, d'iniziativa, «operazioni esterne di polizia».
Per quel che riguarda l'armamento in dotazione, il decreto ministeriale 4 marzo 1987, n. 145, adottato in esecuzione della menzionata legge n. 65 del 1986, ha riconosciuto agli appartenenti alla polizia municipale la qualità di agente di pubblica sicurezza.
Peraltro, a seguito delle sopravvenute modifiche apportate all'articolo 28 del Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, riguardanti espressamente gli strumenti di autodifesa specificamente destinati all'armamento dei Corpi armati e di polizia, è stato predisposto il necessario intervento normativo di integrazione del citato decreto, inteso a consentire ai comuni di disciplinare con proprio regolamento la dotazione ai dipendenti corpi o servizi di polizia municipale di erogatori a spruzzo (i cosiddetti «spray antiaggressione») e di distanziatori in materiale plastico, gomma o altro materiale sintetico.
Sullo schema di regolamento, il Consiglio di Stato ha reso un parere interlocutorio, in merito al quale sono stati tempestivamente attivati gli adempimenti richiesti dall'Alto Consesso.

Il Viceministro dell'interno: Marco Minniti.

RAISI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
tra la signora B. Valeria e il signor M. Cristian iniziava, alla fine del 1996, una relazione sentimentale. Da questa unione, è nato il 15 dicembre 1998, il piccolo M.M.;
purtroppo a causa di una forte conflittualità legata a problemi di incomprensione

e di incompatibilità, i due genitori hanno maturato la determinazione di separarsi nell'ottobre del 1998;
con decreto definitivo, in data 25 settembre 2002, il Tribunale di Bologna disponeva l'affidamento del minore alla madre, con la quale conviveva, disciplinando altresì il diritto di visita del padre non affidatario, nonché l'impegno di quest'ultimo a contribuire al mantenimento del figlio nella misura di lire 500.000, oltre alla rifusione del 50 per cento delle spese mediche e scolastiche straordinarie;
tali impegni non sono mai stati rispettati, sia per quanto concerne il diritto di visita, che per il mantenimento; a conferma di tale comportamento, in data 24 ottobre 2001, la signora Valeria si è vista costretta a sporgere denuncia - querela nei confronti del signor Cristian, padre del bambino. Quest'ultimo, nonostante non fosse il giorno prestabilito per il suo incontro con il figlio, era andato ugualmente a prenderlo all'asilo. La cosa ben più grave è che M. in quell'occasione lamentava dolore ad un braccio. Al Pronto Soccorso venne diagnosticata la frattura del gomito. Il bambino poi nel raccontare alla madre l'accaduto, riferiva che il padre gli aveva tirato il braccio;
in data 18 marzo 2003 il signor Cristian presentava Ricorso al Giudice Tutelare di Sassuolo, asserendo come non venissero rispettate le condizioni fissate nel decreto definitivo del 25 settembre 2002;
seguiva un provvedimento provvisorio del gennaio del 2004 con il quale si disponeva l'affidamento del minore alla USL di Sassuolo, perché, tenendolo collocato presso la madre e regolando i rapporti con il padre, svolgesse tutte le indagini del caso su M., sulle sue relazioni con i genitori e sulle condizioni di ciascuno di loro. Infine a tal proposito, con un decreto provvisorio del 3 novembre 2005 sono state impartite dettagliate prescrizioni ai genitori. La signora Valeria purtroppo veniva a conoscenza di questo decreto del 3 novembre 2005 solo in data 24 ottobre 2006, per problemi di notifiche: solo per tale motivo ha disatteso le prescrizioni in esso contenute;
successivamente con decreto provvisorio del 28 settembre 2006 il Tribunale per i Minorenni di Bologna disponeva la collocazione del minore in un luogo protetto (casa-famiglia). Una delle principali motivazioni di tale decreto si fonda proprio sul mancato rispetto delle condizioni issate nei precedente decreto del 2005 da parte della signora Valeria. Il minore veniva prelevato dai competenti Servizi Sociali di Sassuolo (Modena) il 10 ottobre 2006;
il decreto che disponeva la collocazione del minore nella casa-famiglia è del 28 settembre 2006, depositato in cancelleria il 3 ottobre 2006 e notificato (l'avvocatessa non ricorda la data), all'avvocato della madre del bambino la quale nel frattempo aveva revocato il suo mandato, e quindi formalmente tale avvocato era un perfetto sconosciuto rispetto al provvedimento; l'avvocato in questione non ha contattato la signora, che quindi non ha avuto notizia del provvedimento;
il 10 ottobre 2006 il bambino è stato prelevato a casa e portato via. La madre è stata trattenuta in commissariato;
il 24 ottobre 2006, quindi 14 giorni dopo la «sottrazione» dei bambino alla madre, è stato notificato il provvedimento alla madre stessa;
da allora sino ad oggi gli avvocati della madre del bambino hanno presentato una memoria di osservazione, in data 12 dicembre 2006, indirizzata specificamente al giudice incaricato del procedimento, in cui si chiedevano provvedimenti urgenti vista la grave situazione in cui versava e versa tuttora il bambino;
a questa richiesta non è seguita alcuna risposta;
in data 20 dicembre 2006 è stata presentata istanza urgente affinché il bambino

potesse trascorrere a casa nella serenità familiare i giorni delle festività natalizie;
a tale istanza il Tribunale rispondeva con un rigetto, senza alcuna motivazione, richiamando solo il provvedimento del 28 settembre 2006;
in data 11 gennaio 2007 è stata presentata istanza urgente affinché lo stato psico-fisico del bambino potesse essere valutato da un consulente di parte;
anche in questo caso non è pervenuta risposta;
da quando è stato prelevato dagli assistenti sociali ed affidato alla casa-famiglia, il bambino versa in una situazione preoccupante che sta degenerando. Mostra infatti una serie di sintomi che sono inevitabilmente ricollegabili ad una grave situazione di disagio psico-fisico, che ormai si manifesta in ogni più svariata forma: è paurosamente dimagrito; sta gravemente regredendo nelle sue conoscenze, mostrando addirittura grandi difficoltà nel leggere e nello scrivere; ha problemi nel convivere con gli altri bambini della casa-famiglia, tutti più grandi di lui (viene picchiato ed è costretto ad isolarsi); dal momento dell'allontanamento ha avuto una crisi (non riusciva più ad aprire gli occhi, divenuti tutti lividi e con moltissimi capillari rotti) che ha reso necessario l'intervento di un pediatra e gli è stato diagnosticato un «orzaiolo determinato da stress». Dopo tre mesi il problema persiste, senza alcun miglioramento, ed il bambino non è più stato fatto visitare; il bambino è poco seguito, si presenta agli incontri con la madre con abiti, che molto spesso non sono nemmeno i suoi, sporchi, con scarpe rotte (nonostante la madre gli abbia portato una valigia piena di abiti); lui stesso è sempre molto sporco; ha continue crisi di pianto e urlando e agitandosi manifesta la sua paura e la sua voglia di tornare a casa, nella sua scuola e dai suoi amici. Scrive letterine commoventi alla madre, chiedendo di poter tornare a casa;
se è vero che i rapporti tra i genitori di M. non sono improntati alla massima collaborazione reciproca, è altrettanto vero però che non si può risolvere il problema inserendo il bambino in una realtà a lui estranea a ostile;
infatti, prima di stabilire l'affidamento ad una casa-famiglia, provvedimento drastico che dovrebbe rappresentare l'ultima delle possibili soluzioni, sarebbe stato più utile per il minore una valorizzazione delle risorse disponibili nell'ambiente familiare; difatti la famiglia d'origine non si esaurisce con la madre: il bambino ha una nonna, una sorella di 26 anni (da poco divenuta mamma), il compagno della sorella, zii e zie;
esisterebbe infine, un conflitto all'interno dei servizi sociali, caratterizzato dal duplice ruolo antitetico ricoperto dagli operatori sociali, i quali da un lato intervengono, a loro dire, a sostegno del minore e della famiglia d'origine attraverso la realizzazione di un programma di recupero, dall'altro invece intervengono al fine di controllare e vigilare sui risultati ottenuti. Con ogni probabilità tali funzioni sarebbero tra loro incompatibili e richiederebbero una differenziazione;
l'avvocato della signora Valeria ha infine presentato in data 15 febbraio 2007 una richiesta di colloquio con il giudice del procedimento, che tra l'altro, nelle more, è cambiato;
ad oggi non è ancora pervenuta nessuna risposta -:
se sia a conoscenza della vicenda come descritta in premessa e se non intenda esercitare i propri poteri ispettivi, al fine di verificare se sussistano i presupposti per l'esercizio dell'azione disciplinare.
(4-02760)

Risposta. - In risposta all'interrogazione in esame, relativa alla vicenda che vede coinvolto il minore nella stessa menzionato, si fa presente quanto segue.
Il tribunale per i minorenni di Bologna con decreto del 3/11 novembre 2005 ad

integrazione dei precedenti decreti provvisori, confermava l'affidamento del minore alla Ausl competente (con collocamento presso la madre) e con incarico di svolgere, tra l'altro, interventi di sostegno in suo favore, per garantirgli il supporto psicologico necessario e per aiutarlo ad elaborare i conflitti relazionali presenti nel nucleo familiare. Contestualmente prescriveva ai genitori di attenersi alle indicazioni date, pena l'emissione di «più severi provvedimenti sulla loro potestà ed a tutela del minore».
Successivamente, la suddetta Autorità giudiziaria, acquisiste le relazioni di servizio sociale e la CTU - volta a definire i tratti della personalità dei genitori e la loro capacità di soddisfare le esigenze evolutive, del bambino - con decreto del 29 settembre-3 ottobre 2006 - a modifica del precedente provvedimento - disponeva che il servizio sociale affidatario procedesse al collocamento del minore in luogo protetto e lo incaricava di regolamentare gli incontri con la madre e di valutare tempi e modi per una ripresa degli incontri con il padre.
È, infatti, parere del collegio del tribunale per i minorenni di Bologna che la misura dell'allontanamento del minore dal nucleo familiare, alla luce dell'istruttoria svolta, trova la sua giustificazione nella necessità di garantire al bambino «un'adeguata crescita evolutiva, staccandosi da una madre troppo oppressiva, aprendosi a nuovi rapporti anche con figure maschili di riferimento, eventualmente con il padre se egli dimostrerà di voler essere veramente presente nella vita del figlio».
Per quanto attiene, invece, alla vicenda meramente processuale, si rappresenta che l'attuale giudice relatore del procedimento (che ha assunto servizio presso il Tribunale per i minorenni di Bologna in data 22 gennaio 2007) ha concesso - con provvedimento del 22 marzo 2007 - termine ai difensori sino al 30 luglio 2007 per la consultazione degli atti ed il deposito di memorie conclusionali e, in accoglimento dell'istanza di colloquio del difensore della madre del minore, ha incontrato il legale in data 31 maggio 2007.
Il Dipartimento della giustizia minorile ha fatto, inoltre, presente che, dalla lettura dell'ampia relazione di servizio sociale del 12 marzo 2007, emerge una situazione di disagio della madre del bambino che, allo stato, consiglia la permanenza dello stesso in un ambiente neutro. Tale circostanza è, altresì, alla base della decisione di non ritenere percorribile un affidamento del bambino in ambito familiare, in quanto, a parere del servizio sociale, è preferibile che i parenti del nucleo familiare svolgano un ruolo di sostegno della madre. L'attività dal servizio sociale è, infatti, volta a rendere consapevole la figura materna delle dinamiche disfunzionali nella relazione col figlio, al fine di lavorare sulla responsabilizzazione genitoriale e sul recupero delle capacità.
Circa i rapporti padre-figlio, la stessa relazione pone in evidenza una difficoltà da parte del genitore, considerato anche l'atteggiamento di chiusura nei confronti degli operatori sociali, ad assumersi responsabilità verso il figlio. Il citato Dipartimento ha evidenziato che l'inserimento in casa famiglia del bambino sta evolvendo, gradualmente, in modo positivo e che il minore comincia a sentirsi sempre più sicuro, tanto che si registra la strutturazione di un rapporto valido con i referenti della casa famiglia. Anche l'inserimento in un'altra scuola non ha evidenziato particolari criticità ed il bambino sta ottenendo buoni risultati.
Relativamente alle sue condizioni sanitarie, dalla relazione in parola non emergono motivi di preoccupazione e, in ogni caso, gli operatori hanno dato alla madre copia del certificato medico redatto dal pediatra che ha in cura attualmente il minore. Su richiesta della madre è stata, inoltre, effettuata una visita presso il pediatra che ha seguito il bambino prima della sua collocazione in casa famiglia.
Si segnala, infine, che la richiamata relazione di servizio sociale del 12 marzo 2007 non rileva «un cambiamento significativo della situazione rispetto al 28 settembre 2006, data in cui è stato emesso il decreto» del Tribunale per i minorenni di Bologna.

In considerazione di quanto esposto, non sembrano potersi ravvisare elementi di trascuratezza nella gestione del procedimento e, pertanto, non appaiono sussistere, nel caso di specie, profili suscettibili di valutazione in sede disciplinare.
Il Ministro della giustizia: Clemente Mastella.

REALACCI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
la legge finanziaria del 27 dicembre 2006 n. 296 al capitolo di bilancio 1761 del Ministero della giustizia ha tagliato 13 milioni di euro alla medicina penitenziaria;
l'Amapi - l'Associazione dei medici penitenziari - denuncia che il taglio ha già avuto ripercussioni sull'approvvigionamento di farmaci salvavita, sull'acquisto di pezzi di ricambio e sull'assistenza per i macchinari diagnostici e interventistici;
secondo un'indagine condotta dall'Amapi nel periodo tra l'aprile del 2005 e il dicembre del 2006, su 117.217 persone detenute sono stati diagnosticati 131.547 casi di patologie oltre ai circa 20.000 casi di tossicodipendenza, che necessitano di interventi terapeutici;
la popolazione carceraria sta già subendo gli effetti di una scelta difficilmente comprensibile che va ad aggravare una situazione già di emergenza;
i tagli produrranno il mancato rinnovo dei contratti o, in alcuni casi il licenziamento, di circa 1400 addetti alla medicina penitenziaria tra infermieri e medici specialistici. Cominciano a registrarsi anche gravi ripercussioni sulla medicina specialistica, con particolare riguardo alla psichiatria e alla cardiologia;
si registra un aumento degli invii di detenuti al pronto soccorso e ai poliambulatori delle Asl per urgenze specialistiche che prima venivano fronteggiate all'interno delle carceri, facendo registrare un significativo sovraccarico dei piantonamenti per la polizia penitenziaria, oltre ad un significativo aumento delle prestazioni nelle strutture sanitarie;
se il Ministero della giustizia abbia valutato i contraccolpi che il taglio apportato al capitolo 1761 avrà su altre voci di bilancio come quelle delle aziende sanitarie locali e della sanità in generale e quelle della gestione del personale di vigilanza, che è a carico del Ministero stesso. E come possano essere affrontati gli aumenti di spesa non facilmente prevedibili che rischiano di annullare l'effetto atteso del taglio sul saldo complessivo del bilancio pubblico;
se il Ministero abbia valutato la possibilità, così come indicato, durante l'esame della legge finanziaria, dalle Commissioni giustizia di Camera e Senato, di attingere ai fondi del capitolo di bilancio riservato ai beni e servizi del Ministero stesso in favore del personale medico e paramedico impiegato nelle carceri -:
se il Ministero intenda dare una risposta e indicare in che modo intende affrontare l'emergenza che i tagli alla medicina penitenziaria contribuiscono a creare prima del 21 febbraio, giorno in cui è indetto lo sciopero nazionale del personale dei centri clinici penitenziari.
(4-02542)

Risposta. - In risposta all'interrogazione indicata in oggetto, va preliminarmente rilevato che le doglianze degli operatori sanitari degli istituti penitenziari circa il paventato depauperamento dell'assistenza sanitaria in conseguenza della contrazione delle risorse finanziarie sono state prese in debita considerazione. Si è, infatti, ben consapevoli che la salute è un diritto fondamentale da garantire a chiunque e, proprio per questo, ci si è subito attivati per evitare che i detenuti malati si trovino a vivere in maniera ancora più drammatica l'infelice condizione in cui si trovano.
Ed invero, secondo quanto riferito dal Dipartimento della amministrazione penitenziaria, la previsione di stanziamento sul capitolo di bilancio 1761/03 - inerente

all'«Organizzazione e funzionamento del servizio sanitario penitenziario» - ammontava per il corrente anno a 99 milioni di euro, così come previsto per l'anno precedente.
Tuttavia, in sede di approvazione di bilancio è stato previsto sullo stanziamento un accantonamento del 12,58 per cento, che ha ridotto la disponibilità effettiva ad euro 86.555.067,14, ed è stato, inoltre, stabilito che una ulteriore quota di tale stanziamento, pari ad euro 7.351.981,84, sia destinata al pagamento delle spese sanitarie derivanti dalla convenzione con l'Azienda ospedaliera Carlo Poma di Mantova per l'Ospedale psichiatrico giudiziario di Castiglione delle Stiviere.
Pertanto, per l'anno 2007, la disponibilità complessiva per l'assistenza sanitaria ai detenuti nelle strutture penitenziarie sarebbe stata pari ad euro 79.203.085,30.
Poiché con la significativa decurtazione apportata sarebbe risultato assai problematico mantenere gli attuali
standard assistenziali, l'Amministrazione penitenziaria ha compiuto ogni sforzo possibile per evitare che nel settore si verificassero situazioni di grave criticità e, proprio in quest'ottica, ha predisposto un documento di programmazione sanitaria per il 2007 nel quale è stato ridefinito l'intero sistema sanitario penitenziario mediante la modulazione di una rete di servizi sanitari, integrata con la partecipazione degli enti sanitari regionali.
Su questa difficile situazione lo scrivente è intervenuto e si è adoperato per fronteggiare adeguatamente la riduzione degli stanziamenti programmati dalla Finanziaria. È stata prevista, infatti, una integrazione dello stanziamento di bilancio sul capitolo 1761 per l'organizzazione e funzionamento del servizio sanitario penitenziario attraverso la destinazione di euro 12.500.000 recuperati dal fondo per l'acquisizione di beni e servizi della Giustizia nonché l'assegnazione di un
surplus da utilizzarsi per gli adeguamenti contrattuali.
Grazie a questi interventi correttivi la disponibilità complessiva di risorse finanziarie risulta pari a quella del decorso esercizio finanziario, cosicché sarà possibile mantenere inalterata l'offerta sanitaria negli istituti penitenziari, anche con il coinvolgimento del Servizio Sanitario Regionale, e sarà possibile rimodulare il documento di programmazione annuale dell'attività sanitaria negli istituti penitenziari anche sulla scorta di tali incrementi.
Quanto, poi, alla rivalutazione dei compensi per il personale sanitario penitenziario (medici di guardia e infermieri), i cui contratti sono scaduti, deve essere sottolineato che si sta compiendo ogni sforzo per concludere quanto prima la trattativa sindacale in corso e per portare a compimento il relativo
iter amministrativo-contabile.
Infatti, le richieste delle associazioni degli operatori sanitari degli istituti penitenziari di rivalutazione della remunerazione della prestazioni assistenziali in regime di convenzione libero-professionale eccedono, allo stato, le disponibilità finanziarie che sono state destinate all'organizzazione ed al funzionamento del servizio sanitario e farmaceutico e ciò nonostante il ricorso al Fondo per le spese di funzionamento del ministero della giustizia.
In ogni caso, si confida che, attraverso gli interventi già avviati di riorganizzazione e di razionalizzazione dei servizi negli istituti penitenziari, possano essere recuperate le ulteriori risorse da destinare agli adeguamenti retributivi, in particolare per l'assistenza infermieristica.
A tal fine, verrà convocato in tempi stretti un confronto con i rappresentanti della categoria, con i quali si assumerà l'impegno ad una verifica che permetta di procedere, di concerto con il ministero dell'economia e delle finanze, all'adeguamento delle retribuzioni per il corrente anno.

Il Ministro della giustizia: Clemente Mastella.

RUGGERI e BURCHIELLARO. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
l'immobile adibito a tribunale di Mantova, come risulta dalla documentazione inviata al Ministero della giustizia, da parte

dei Sindaco dei comune di Mantova e del Presidente dello stesso tribunale, versa in uno stato di grave degrado, tale da compromettere la stessa attività giudiziaria;
la realizzazione di un nuovo Palazzo di Giustizia non è pertanto più rinviabile;
nel corso della discussione della Legge Finanziaria 2007 è stato accolto l'ordine dei giorno 9/1746-bis/68 che impegna il Governo a porre quale priorità la costruzione del nuovo tribunale di Mantova, secondo i progetti presentati dal comune di Mantova e già accolti ed approvati dallo stesso Ministero della giustizia -:
se e come il Ministro intenda risolvere l'annosa questione degli uffici giudiziari di Mantova, dando seguito agli impegni assunti dal Governo nel corso della discussione della legge finanziaria per l'anno 2007.
(4-02770)

Risposta. - In risposta all'interrogazione indicata in oggetto, si comunica che, per quanto riguarda il nuovo Palazzo di giustizia di Mantova, in data 21 luglio 1999 perveniva presso questo Ministero il progetto definitivo per il quale il comune di Mantova richiedeva un contributo, ex articolo 19 legge 119 del 1981, dell'importo di lire 103.865.038.836 (53.641.815.88 euro).
Nello stesso periodo, dopo un'attenta verifica di tutte le richieste di finanziamento per l'edilizia giudiziaria trasmesse dai comuni, nonché delle esigenze rappresentate dagli uffici giudiziari d'Italia, venivano comunicate all'allora Ministro le valutazioni e le ipotesi di programma in merito.
Successivamente, il Ministro impartiva le proprie determinazioni ed indicazioni d'indirizzo politico-amministrativo, per l'accesso ai suddetti mutui da parte dei comuni interessati, stabilendo, tra l'altro, una disponibilità finanziaria per la città di Mantova di lire 27 miliardi (13.944.336,28 euro) e prospettando uno stralcio funzionale dell'intera opera.
Con nota del 2 novembre 1999 veniva rappresentata al comune di Mantova tale disponibilità, relativa ad un primo stralcio funzionale per la costruzione di un nuovo palazzo di giustizia, subordinando l'esito favorevole dell'ammissione a finanziamento al rispetto dei criteri indicati nella circolare del Ministro n. 6/90/20A/99.
Lo stesso comune, in data 23 ottobre 2000, trasmetteva sia il progetto definitivo generale aggiornato, dell'importo di lire 103.865.038.836 (53.641.815,88 euro), sia il progetto del primo stralcio esecutivo di lire 27.000.000.000 (13.944.336,28 euro).
Con nota del 24 gennaio 2001 il ministero esprimeva parere favorevole all'ammissione del comune di Mantova al finanziamento di lire 27.000.000.000 (13.944.336,28 euro) per il progetto di primo stralcio del Palazzo di giustizia, ai sensi della legge 119 del 1981.
In data 18 gennaio 2001, il Consiglio superiore dei lavori pubblici, visto il parere favorevole espresso dal C.T.A. del Provveditorato alle opere pubbliche Magistrato delle acque di Venezia sul progetto aggiornato dei lavori di costruzione del Nuovo Palazzo di giustizia di Mantova dell'importo complessivo di lire 103.865.038.836 e sul progetto esecutivo, 1o stralcio, dell'importo complessivo di lire 27.000.000.000, chiedeva al citato provveditorato chiarimenti urgenti a norma dell'articolo 6, comma 5, della legge 109 del 1994, secondo il quale è richiesto il parere obbligatorio del Consiglio superiore dei lavori pubblici sui progetti definitivi di lavori pubblici di competenza statale, o comunque finanziati per almeno il 50 per cento dallo Stato, di importo superiore ai 25 milioni di ECU.
Successivamente, con nota n. 271 del 15 febbraio 2001 indirizzata, tra gli altri, al citato provveditorato, a questo ministero ed al sindaco del comune di Mantova, il Consiglio superiore dei lavori pubblici affermava la sua competenza ad esprimere il parere su tale progetto, tenuto conto del fatto che il voto del C.T.A. n. 25 del 19 ottobre 2000 si era espresso favorevolmente «oltre che riguardo al progetto esecutivo, 1o stralcio, di lire 27 miliardi» anche e prioritariamente «sul progetto definitivo aggiornato dei lavori di costruzione del nuovo Palazzo di giustizia di Mantova nell'importo complessivo di lire 103.865.038.836».

Tale ultima nota richiamava espressamente quella del Provveditorato Regionale alle opere pubbliche Magistrato alle acque di Venezia, protocollo 129 dell'8 febbraio 2001, con la quale detto Ufficio comunicava di essersi pronunciato «tenuto conto che l'importo dei lavori del 1o stralcio ammontava a lire 27 miliardi, quindi al di sotto della soglia prevista dal citato articolo 6 della legge 109 del 1994».
L'Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici, infine, trasmetteva per conoscenza a questo ministero la nota del 15 marzo 2001, con la quale, tra l'altro, l'anzidetta Autorità, ritenendo di doversi avvalere di quanto disposto dall'articolo 4, comma quinto, della legge quadro (attributiva di un potere consultivo al Consiglio superiore dei lavori pubblici), rimetteva a tale ultimo organo l'accertamento sulla «validità e congruità del progetto in argomento», invitando il Presidente del Consiglio Superiore dei lavori pubblici a pronunciarsi al riguardo, sia sul progetto definitivo aggiornato, sia sul progetto esecutivo di primo stralcio.
Conformemente a quanto ritenuto dalla stessa autorità, questo ministero, con nota del 18 aprile 2001, comunicava alla Cassa depositi e prestiti la necessità di considerare priva di effetto l'autorizzazione di cui alla nota ministeriale del 24 gennaio 2001, subordinando la concessione del finanziamento ad un successivo parere favorevole della competente Direzione generale, da esprimersi all'esito delle valutazioni del Consiglio superiore dei lavori pubblici.
In seguito, la Cassa depositi e prestiti, rispondendo alla nota ministeriale, pur precisando che
medio tempore era stata già formalizzata la concessione del mutuo in data 24 aprile 2001, assicurava il blocco di eventuali pagamenti fino alla comunicazione delle nuove determinazioni ministeriali.
Il Consiglio superiore dei lavori pubblici si esprimeva, dapprima con il voto n. 95 dell'11 maggio 2001, restituendo il progetto al comune per le integrazioni e, rielaborazioni richieste, e poi, in data 14 dicembre 2001, con il voto n. 320, confermando diversi rilievi, osservazioni e prescrizioni del precedente voto.
Nell'aprile 2002 il comune di Mantova ritrasmetteva al ministero gli elaborati progettuali per il prosieguo dell'
iter di approvazione del finanziamento.
Istruita la documentazione prodotta dal comune, con nota del 24 luglio 2002 si richiedevano allo stesso Consiglio delucidazioni in merito, considerato che l'ultimo voto espresso si prestava ad essere interpretato come conferma del precedente parere negativo di cui al voto n. 95 del 2001.
In data 1o agosto 2002 il Consiglio superiore rispondeva al ministero, confermando tale interpretazione. Pertanto, con nota del 21 ottobre 2002 questo ministero rinviava la documentazione progettuale al comune facendo presente che si restava a disposizione per esaminare eventuali nuove ipotesi progettuali, nelle quali gli elementi di criticità tecnici ed amministrativi messi in evidenza dal Consiglio superiore dei lavori pubblici fossero totalmente risolti e superati.
Successivamente, il Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato rappresentava al ministero che la Cassa depositi e prestiti aveva già comunicato la revoca del mutuo.
A seguito di quanto evidenziato, il comune di Mantova presentava nuovamente il progetto al Consiglio superiore dei lavori pubblici per il riesame e, con nota prot. n. 1934 del 8 agosto 2003, la Presidenza del Consiglio trasmetteva all'ente locale, e per conoscenza a questo ministero, copia conforme del voto n. 163, reso in data 30 luglio 2003, avente ad oggetto il nuovo Palazzo di giustizia di Mantova - progetto definitivo euro 58.975.643,24 - istanza di riesame, con cui l'Assemblea generale aveva espresso il seguente parere: «...che, con le prescrizioni e raccomandazioni formulate nei suesposti considerato, sul Progetto definitivo possa essere espresso avviso favorevole al passaggio alla successiva fase di progettazione esecutiva».
Il comune di Mantova, a seguito di quest'ultimo parere, in data 21 ottobre 2003 ha trasmesso a questo ministero, con P.G.

22470/2003, la documentazione inerente il 1o stralcio esecutivo.
Successivamente, lo stesso comune, ad integrazione di quanto già trasmesso, inviava, con nota del 10 novembre 2003 n. P.G. 22619/2003, due copie degli elaborati del progetto definitivo vistati dal Consiglio superiore dei lavori pubblici a seguito del voto n. 163 del 30 luglio 2003.
Gli elaborati progettuali ed amministrativi sono stati vagliati da questo ministero; in particolare, l'attenzione è stata data al primo stralcio esecutivo proposto dal comune, che prevedeva sia interventi diversi dal precedente primo stralcio, oggetto dei pareri, ora superati, del Consiglio superiore dei lavori pubblici, nn. 95 del 2001 e 320 del 2001, sia una spesa preventivata ridotta, dai 27 miliardi resi disponibili da questo ministero nel 1999, a euro 10.072.404, pari a circa 20 miliardi di lire.
In data 5 maggio 2004 questo ministero ha restituito la suddetta documentazione con invito al comune a trasmettere il progetto di primo stralcio al Consiglio superiore dei lavori pubblici per il parere di competenza.
In data 5 ottobre 2004, il comune trasmetteva a questo ministero la nota del SIIT (Servizio integrato infrastrutture e trasporti) Lombardia-Liguria, di pari data, a firma del Capo ufficio tecnico, che riconosceva «ammissibile» all'esecuzione il progetto sopra descritto di 1o lotto, sotto il profilo tecnico-amministrativo.
Successivamente, il citato Consiglio superiore, al quale il comune di Mantova aveva trasmesso lo stesso progetto, rispondeva con più note: la prima, datata 7 ottobre 2004 ed a firma del suo Presidente, si esprimeva in tal senso: «....non appare che lo "stralcio" in argomento soddisfi i requisiti previsti dalla legge»; la seconda, in data 15 ottobre 2004, sempre a firma del suo Presidente, confermava l'indirizzo precedente; inoltre, su richiesta di chiarimenti dell'amministrazione comunale, veniva trasmessa una nota del 12 novembre 2004, a firma del Presidente reggente, che così si esprimeva: «con riferimento al caso di specie.... il SIIT Lombardia - settore infrastrutture - ....ha reso il parere datato 4 ottobre 2004 al quale si rinvia per i successivi atti di competenza del Responsabile del procedimento».
A seguito di tali ultime note, questo ministero, in data 12 novembre 2004, comunicava all'ente locale interessato la necessità di chiarire le discordanze interpretative manifestatesi nell'ambito dello stesso Consiglio superiore dei lavori pubblici, al fine di definire definitivamente l'ammissibilità del progetto al finanziamento.
A tal fine, con nota del 16 novembre 2004 questa amministrazione richiedeva ulteriori chiarimenti sia al Consiglio superiore dei lavori pubblici sia all'Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici.
Successivamente il comune provvedeva a trasmettere allo stesso Consiglio superiore, in data 4 febbraio 2005, il progetto esecutivo di primo stralcio, per l'importo di euro 10.072.404,08.
A seguito dell'adunanza delle sezioni prima e quinta, in data 16 marzo 2005, il Consiglio superiore dei lavori pubblici dichiarava esplicitamente: «...lo stralcio così come previsto non appare soddisfare in linea generale i requisiti di "funzionalità" previsti dalla norma articolo 8 del decreto del Presidente della Repubblica 554/99», esprimendo, peraltro il parere che: «...si possa ammettere a finanziamento, previa verifica della destinazione urbanistica e di dichiarazione di pubblica utilità, l'acquisizione dell'area» di sedime sulla quale dovrà essere realizzato il nuovo Palazzo di giustizia.
Con nota del 5 luglio 2005, questo ministero, anche alla luce degli accertamenti esperiti e dei chiarimenti giunti dal ministero dell'economia e delle finanze e dalla Cassa depositi e prestiti circa l'impossibilità, per l'anno 2005, di finanziare nuove opere di edilizia giudiziaria, manifestava al sindaco di Mantova l'intenzione di programmare un incontro, anche per consentire, quando vi fosse stato un rifinanziamento della Cassa depositi e prestiti, una sollecita definizione delle problematiche relative alla richiesta di finanziamento.
Veniva quindi concordato un incontro, tenutosi in data 26 settembre 2005 presso

questo ministero con i responsabili dell'amministrazione comunale.
In tale incontro il Direttore generale competente chiariva al sindaco ed ai suoi collaboratori, come già spiegato in precedenti note, che non vi erano fondi disponibili per alcun intervento di edilizia giudiziaria e che i fondi stanziati dalle precedenti leggi finanziarie erano già stati completamente impegnati entro il 31 dicembre 2004. Il Direttore generale faceva presente ai rappresentanti del comune che, a prescindere dalla disponibilità immediata di finanziamenti, il ministero non poteva procedere al solo acquisto dell'area senza avere la certezza di poter completare in tempi ragionevolmente brevi l'intera opera o, più verosimilmente, uno stralcio funzionale. Infatti, in tal modo non si sarebbe risolto alcun problema logistico degli Uffici giudiziari mantovani e si sarebbero, in contrasto con i criteri di buona amministrazione, immobilizzate a tempo indefinito somme in conto capitale utili per opere a più breve respiro, anche urgenti.
Il comune veniva, quindi, invitato, come già avvenuto in precedenti occasioni e, in particolare con nota n. 4/805/2003 del 19 maggio 2003, a presentare un progetto di primo stralcio in grado di ottenere il parere favorevole degli organi competenti.
I rappresentanti dell'amministrazione comunale rispondevano che avrebbero esaminato quanto rappresentato, riservandosi ogni decisione, e dichiaravano di confidare nelle risorse stanziate nella legge finanziaria per l'anno 2006.
In data 15 dicembre 2005, con nota prot. PS/146/2005, il comune chiedeva il finanziamento dell'acquisizione dell'area, non considerando quanto rappresentato nell'incontro del 29 settembre 2005, nonché in precedenti note, soprattutto con riguardo all'indisponibilità di fondi per l'anno 2005 ed alla necessità di questa Amministrazione di poter disporre di uno stralcio funzionale da poter finanziare, qualora si fossero resi disponibili nuovi fondi.
Il ministero, nella successiva corrispondenza, ribadiva quanto posto in luce nell'incontro del 26 settembre 2005, specificando che anche per l'anno 2006 non erano disponibili risorse per alcun intervento di edilizia giudiziaria, non essendovi stato un rifinanziamento dei fondi destinati all'edilizia giudiziaria presso la Cassa depositi e prestiti.
Da ultimo, a seguito delle lamentele manifestate dagli uffici giudiziari in ordine alle situazioni di disagio e di pericolo per la sicurezza presso l'attuale Palazzo di giustizia, questo ministero, pur ribadendo l'impossibilità di programmare alcun tipo di intervento finanziario, ha invitato l'amministrazione locale, in virtù delle incombenze su di essa gravanti ai sensi della legge n. 392 del 1941, sia a reperire ulteriori locali in locazione da adibire ad uffici giudiziari sia a fornire informazione sull'evolversi della situazione e sulle iniziative intraprese in merito. É stato, inoltre, rilevato che le spese necessarie per la locazione, anticipate dal comune, potranno essere riportate nel rendiconto annuale al quale si riferiscono e se ne terrà conto in sede di determinazione del contributo annuale da corrispondere agli enti locali.
Allo stato, peraltro, non risulta concedibile alcun finanziamento né per interventi edilizi sull'attuale Palazzo di giustizia né per un eventuale stralcio del progetto del nuovo Palazzo di giustizia, in considerazione dell'esaurimento, presso la Cassa depositi e prestiti, dei fondi destinati all'edilizia giudiziaria e del mancato rifinanziamento della Cassa stessa per l'anno in corso.

Il Ministro della giustizia: Clemente Mastella.

SALERNO. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
in questi giorni le cronache cittadine riportano l'inquietante reportage televisivo registrato nella moschea torinese di via Cottolengo ove il predicatore-imam inneggia all'islam come unica via di salvezza ed esalta le figure dei martiri di guerra islamica verso l'occidente;
appare del tutto evidente all'interrogante la pericolosità di tale attività fondamentalista

che, da un luogo ideale come il centro della città e falsamente religioso come la moschea di via Cottolengo, inneggia, invece, all'odio verso l'occidente e ad Al-Qaeda;
sulla base di questi elementi appare, all'interrogante, del tutto evidente che la vita stessa dei torinesi è a rischio così come è minacciato nelle sue più elementari forme il civile e democratico svolgimento della vita quotidiana della città e dei cittadini;
desta ancor più inquietudine il fatto che questo ennesimo episodio avviene dopo altri pericolosi segnali di propaganda antioccidentale e di fondamentalismo islamico che in passato determinarono già a Torino l'espulsione dell'imam Bouchta -:
quali siano le immediate iniziative che intende adottare a tutela della sicurezza e della vita dei cittadini torinesi dopo le rilevazioni di cui in premessa;
se non ritenga di provvedere immediatamente al fine della chiusura dei luoghi che risultano essere solo apparentemente di culto e di adottare misure più restrittive nei confronti di quanti si adoperano per l'organizzazione e lo svolgimento delle loro attività.
(4-03284)

Risposta. - Nel quadro delle iniziative finalizzate a garantire la sicurezza pubblica e la concreta osservanza del diritto alla libertà religiosa, il Ministero dell'interno ha da tempo attivato un costante monitoraggio su tutte le realtà religiose, non solo quella islamica, allo scopo anche di rilevare - nelle modalità di espressione del diritto alla libertà religiosa in forma individuale o associata - l'intendimento della comunità di svilupparsi secondo principi democratici e di integrarsi nel tessuto sociale, pur mantenendo la propria identità religiosa.
Il monitoraggio viene costantemente aggiornato grazie anche al costante flusso di informazioni proveniente dalle prefetture Uffici territoriali del Governo (UU.TT.G.) che, grazie alla loro attività istituzionale sul territorio, dispongono di un ampio quadro conoscitivo su problemi, istanze e necessità delle comunità locali, comprese quelle relative alla presenza religiosa.
I risultati di tale monitoraggio si affiancano ad una capillare e costante attività di controllo finalizzata a prevenire il rischio di possibili infiltrazioni eversive all'interno delle comunità islamiche presenti nel nostro Paese, problematica già da tempo alla massima attenzione del Ministero dell'interno, che in questi anni, quando ne ricorrevano i presupposti di legge, non ha mancato di adottare i necessari provvedimenti di espulsione per motivi di sicurezza dello Stato nei confronti di soggetti a vario titolo presenti nei luoghi di culto islamico di Torino, Como, Varese, Reggio Emilia, Trino Vercellese e Carmagnola.
Si ribadisce, peraltro, che il provvedimento di allontanamento dal territorio nazionale da adottarsi ai sensi dell'articolo 13, primo comma, del vigente testo unico sull'immigrazione necessita di un robusto impianto istruttorio e motivazionale a sostegno della prognosi di pericolosità dell'espellendo sotto il profilo della sicurezza dello Stato, prognosi che non può essere desunta unicamente da fonti giornalistiche ove non adeguatamente suffragate da ulteriori riscontri.
Nel caso dell'imam della cosiddetta moschea di via Cottolengo a Torino, cui si riferisce l'interrogazione, sono stati disposti accertamenti in merito al filmato andato in onda nella trasmissione televisiva
AnnoZero, anche attraverso l'acquisizione e l'esame dei supporti audiovisivi. Si renderà possibile procedere ad una valutazione definitiva dei fatti solo all'esito dei predetti accertamenti e delle attività investigative avviate dalla magistratura.
Il Viceministro dell'interno: Marco Minniti.

SGOBIO. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
la notte tra il 28 e 29 giugno 2007, a Roma, nel parco di Villa Ada, al termine di un concerto del gruppo rock «Banda Bassotti», hanno fatto irruzione, tra la folla, una ventina di persone con i volti

coperti, armati di spranghe di ferro, bastoni e coltelli urlando slogan nazi-fascisti e inneggiando al duce;
a seguito del suddetto raid, di chiara matrice fascista, numerose sono state le persone coinvolte negli scontri, tanto che tre giovani sono stati feriti in maniera grave e trasportati all'ospedale per le cure del caso;
a parere dell'interrogante, l'intollerabile atto squadristico è da considerarsi premeditato e organizzato, viste le modalità ed i mezzi utilizzati dalle persone che hanno eseguito l'assalto;
come confermano anche vari resoconti giornalistici apparsi subito dopo il suddetto grave e vile atto squadristico, nella città di Roma risultano in aumento gli episodi di violenza nazi-fascista e sono presenti numerose sedi di organizzazioni o gruppi che si richiamano a ideali fascisti e xenofobi e che, le stesse, sono state più volte additate come veri e propri centri operativi per le attività dei neofascisti;
questa nuova aggressione di squadristi neo fascisti - come puntualmente denunciato dal presidente dell'Anpi di Roma e Lazio, Massimo Rendina - ha dimostrato fondatezza dei continui appelli fatti dall'Anpi al Ministro dell'interno, alla Magistratura, al Prefetto e al Questore di Roma, finora rimasti senza seguito efficace, pur in presenza di fatti di cronaca che a Roma, città medaglia d'oro della Resistenza, testimoniano la presenza di un pericoloso rigurgito di organizzazioni o gruppi vietati dalla Costituzione e dalle leggi Scelba e Mancino e pertanto perseguibili d'ufficio -:
quali iniziative intenda assumere in merito alla grave vicenda descritta in premessa nonché in merito all'individuazione degli autori delle violenze descritte;
quali atti o provvedimenti intenda assumere, nell'ambito delle proprie competenze, al fine di promuovere su tutto il territorio nazionale una cultura realmente democratica e antifascista, come da dettato Costituzionale, e affinché non si verifichino mai più tali violenti e intollerabili episodi.
(4-04375)

Risposta. - Gli incidenti cui fa riferimento l'interrogante si sono verificati a Roma nella notte fra il 28 ed il 29 giugno 2007, al termine di un concerto della «Banda Bassotti», gruppo musicale gravitante nell'area antagonista.
Al termine dello spettacolo, svoltosi nel parco di Villa Ada, parte del pubblico stava per lasciare l'area, mentre un'altra parte si tratteneva a ballare.
In quel momento è arrivato un gruppo di una ventina di persone col capo coperto da caschi le quali, armate di bastoni e coltelli, dopo aver lanciato petardi fra la folla hanno assalito alcuni spettatori che stavano uscendo.
Due degli aggrediti, due giovani, hanno dovuto far ricorso alle cure dei medici: uno ha riportato lesioni giudicate guaribili in sette giorni; l'altro invece è stato ferito in maniera più grave ed è stato ricoverato con una prognosi di venti giorni.
A seguito della chiamata degli organizzatori, sono tempestivamente intervenuti i carabinieri del Nucleo radiomobile del Comando provinciale di Roma, alla cui vista gli aggressori si sono dileguati. L'intervento delle prime due autoradio giunte sul posto è stato, peraltro, ostacolato da un lancio di sassi ed oggetti contundenti da parte di alcuni spettatori del concerto. A seguito di quest'inattesa ostilità, i carabinieri si sono dovuti, quindi, fermare per attendere l'intervento di rinforzo di altre quattro pattuglie dell'Arma dei carabinieri e di personale della polizia di Stato, al cui arrivo è stato possibile proseguire l'intervento.
La sassaiola ha ferito lievemente un carabiniere (la prognosi in questo caso è stata di cinque giorni) e danneggiato due autovetture.
Per questo episodio - riconducibile, si ribadisce, ad alcuni spettatori estranei all'originaria aggressione - due persone sono state denunciate a piede libero, mentre altre due sono state tratte in arresto per danneggiamento aggravato e violenza a pubblico ufficiale; per quanto riguarda invece l'azione precedente ai danni degli spettatori,

sono stati immediatamente attivati appositi servizi di pattugliamento dalle forze di polizia, sia per rintracciare gli assalitori che per prevenire eventuali ritorsioni in luoghi di ritrovo di soggetti dell'estrema destra.
Dopo circa un'ora, nei pressi di piazza Vescovio, sono state identificate 22 persone, ma le verifiche eseguite sul posto non hanno consentito di rinvenire elementi di riscontro tali da poter comprovare l'avvenuta partecipazione delle medesime all'aggressione posta in essere presso Villa Ada e, quindi, di poter adottare nell'immediato provvedimenti nei loro confronti.
Dai successivi riscontri degli atti della Digos della Questura di Roma, è emerso che le stesse sono risultate fare parte di formazioni dell'«estrema destra», nonché del contesto «ultras» della tifoseria laziale, denominato «
In basso a destra», già «Banda de Noantri».
Ulteriori accertamenti investigativi vengono condotti per accertare collegamenti con episodi analoghi ai quali non risulterebbero estranei facinorosi che creano turbative in occasione di incontri di calcio, e proprio in tale direzione non si esclude che tra gli autori di questi «raid» possano figurare alcuni «ultras» già sottoposti al provvedimento di divieto ad assistere a manifestazioni sportive.
La Prefettura di Roma ha riferito che l'episodio di Villa Ada ha formato oggetto d'attenzione in una seduta del Comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica. Le indagini, delegate dall'Autorità giudiziaria alla Sezione anticrimine dei carabinieri di Roma, sono tuttora in corso e coperte dal segreto investigativo, motivo per cui appare opportuno rinviare al loro esito una più approfondita e definitiva valutazione dell'episodio anche per quanto riguarda la sua riconducibilità d'area.
Peraltro, secondo quanto successivamente riferito dalla stessa prefettura di Roma sulla base delle informazioni fornite dal comando provinciale dei carabinieri, non si esclude che l'episodio possa inquadrarsi in un contesto di rinnovata contrapposizione violenta fra opposte fazioni politiche operanti nella capitale. Tale ipotesi viene considerata con molta attenzione e preoccupazione anche per il timore che, come dichiarato dal Capo della polizia nell'audizione al Senato del 3 luglio 2007 richiamata anche dall'interrogante, l'episodio di Villa Ada possa malauguratamente innescare una spirale perversa di azioni, reazioni ed atti di emulazione.
L'impegno delle forze di polizia è volto a vigilare affinché questo rischio non abbia mai a concretizzarsi. Tuttavia, si ribadisce, in atto si tratta solo di ipotesi che potranno essere suffragate solo dalle indagini avviate dalla magistratura, sul cui esito positivo, pur mantenendo un doveroso margine di riservatezza per rispetto delle attività di polizia giudiziaria in corso, si ritiene di poter esprimere una ragionevole fiducia.
Ulteriori attività investigative sono, peraltro, in corso in ambienti dell'estrema destra per analoghi, recenti attacchi a luoghi di ritrovo frequentati da elementi di opposta tendenza politica. Tali attacchi non sempre vengono denunciati dalle vittime, che solo con molta difficoltà e dopo ripetuti inviti si presentano a testimoniare spesso senza riuscire a fornire elementi per le indagini.
Ciò detto sul piano della ricostruzione degli eventi, si coglie l'occasione per esprimere la più ferma condanna di quella che appare come una manifestazione di violenza fine a se stessa, ribadendo che le forze dell'ordine continueranno a perseguire con determinazione e rigore, a Roma come nel resto del territorio nazionale, quanti si rendano responsabili di questi intollerabili oltraggi al sereno svolgimento della nostra vita civile.
Si assicura, inoltre, che da parte delle autorità di pubblica sicurezza e degli organi di polizia vi è la massima attenzione per garantire la sicurezza e la serenità dei residenti dei quartieri ove si sono verificati gli episodi rispetto al possibile verificarsi di altri fatti analoghi.

Il Viceministro dell'interno: Marco Minniti.

SMERIGLIO. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
con atto di sindacato ispettivo n. 4-15227, a prima firma Giovanni Russo

Spena, presentato il 16 giugno 2005, veniva richiesto al precedente governo di individuare i responsabili delle pesanti cariche che erano state subite dai partecipanti alla manifestazione regolarmente autorizzata e del tutto pacifica e non violenta, che si era svolta a Roma il 2 giugno 2005, in concomitanza con la parata militare per la festa del 2 giugno;
secondo le notizie riportate da alcuni giornali, le forze dell'ordine in completo assetto antisommossa, dopo avere circondato i manifestanti, a cui era stato impedito di continuare il corteo per uno striscione ritenuto offensivo (Pisanu: la vergogna dell'Italia, chiudiamo i CPT), effettuarono a freddo una carica impugnando i manganelli al contrario e ferendo numerose persone, tra cui un Assessore dell'VIII Municipio del Comune di Roma di Rifondazione Comunista;
sempre secondo gli organi di informazione, sia il vicepresidente della Provincia di Roma, Nando Simeone, che il vicecapo di gabinetto del Sindaco di Roma, Luca Odevaine, pur avendo mostrato il tesserino di riconoscimento, furono oggetti di pesanti minacce ed insulti;
la Questura di Roma, con un comunicato stampa, dichiarò di non avere ordinato le cariche;
su questo gravissimo episodio, del tutto ingiustificato vista l'esiguità dei manifestanti e le evidenti intenzioni pacifiche, è calato un velo di silenzio e non si è mai voluto arrivare all'individuazione delle responsabilità per i fatti avvenuti -:
se non si ritenga opportuno, pur a distanza di tempo, accertare in via amministrativa e disciplinare tutte le eventuali responsabilità in merito ai fatti sopraesposti anche al fine di rendere giustizia a chi, in quelle circostanze, fu vittima inconsapevole, mentre manifestava pacificamente le proprie idee, di un'ingiusta violenza.
(4-02247)

Risposta. - Il 2 giugno del 2005, verso le ore 15,00, si è svolta la preannunciata iniziativa di protesta, organizzata dalla «Rete pacifista del 19 marzo», per chiedere il ritiro del contingente militare italiano dall'Iraq, nonché la riduzione delle spese militari.
La manifestazione prevedeva un corteo itinerante da piazza di Porta San Paolo fino a Campo dei Fiori.
Durante quest'ultimo, che ha visto la partecipazione di circa 300 dimostranti, all'altezza di via Marmorata è stato esposto uno striscione di notevoli dimensioni recante, oltre alla richiesta di chiusura dei centri di temporanea permanenza e assistenza per gli extracomunitari, anche una frase offensiva nei riguardi dell'allora Ministro dell'interno.
Pertanto, gli organi di polizia hanno immediatamente invitato il promotore dell'iniziativa ad attivarsi per far rimuovere lo striscione ed, in conseguenza del rifiuto, hanno intimato di non fare proseguire il corteo, schierando in posizione di blocco i contingenti in servizio di ordine pubblico disposti alla testa dell'iniziativa.
Nella circostanza, alcuni tra i dimostranti, aderenti al movimento antagonista romano, sono avanzati muniti dello striscione sino ai reparti schierati, che si sono limitati ad un'azione di mero contenimento.
Constatata l'impossibilità di proseguire, un centinaio di manifestanti è venuta a contatto con quei reparti delle forze dell'ordine che erano schierati alla coda del corteo, ma anche nell'occasione gli operatori di polizia si sono attenuti ad un atteggiamento prudente di contenimento e non hanno reagito alle provocazioni verbali subite o al lancio di oggetti.
In seguito, nel tentativo di forzare lo sbarramento, si sono verificati episodi di grave violenza nei confronti degli operatori di polizia, alcuni dei quali hanno riportato lesioni personali, anche a causa dei ripetuti calci sferrati da taluni facinorosi e del lancio di oggetti contundenti.
In particolare, un funzionario di polizia, che era accorso in aiuto di un agente rimasto colpito da una lattina, è stato immediatamente aggredito da alcuni esagitati che lo hanno scaraventato a terra, cercando di colpirlo addirittura con un

casco da motociclista. La dinamica di tale episodio è stata documentata in modo chiaro da una fotografia pubblicata su di un quotidiano della capitale.
Tale assalto ha inevitabilmente comportato la pronta reazione di quegli operatori di polizia vicini al luogo dell'aggressione, che sono intervenuti in difesa sia del funzionario, che dell'agente precedentemente rimasto contuso; nel conseguente tafferuglio è rimasto ferito anche un maresciallo dell'Arma dei carabinieri.
Al di fuori del suddetto episodio, i contingenti di polizia non hanno effettuato alcun intervento di alleggerimento nei confronti dei manifestanti, come è stato, peraltro, documentato dalle immagini riprese da un elicottero della Polizia di Stato che seguiva gli spostamenti del corteo.
Riportata la calma, i dimostranti facevano ritorno a piazza di Porta San Paolo, dove l'iniziativa aveva termine senza ulteriori turbative per l'ordine pubblico.
Da quanto sopra esposto emerge con chiarezza che le forze dell'ordine, nel corso della manifestazione, si sono attenute a criteri di equilibrio e di prudenza, secondo moduli già sperimentati finalizzati ad una razionale strategia di contenimento e di isolamento dei violenti.
In tale difficile contesto, l'uso della forza è stato limitato al caso sopra descritto di effettiva necessità, anche per evitare più gravi tensioni.
Si soggiunge, infine, che gli accertamenti condotti in sede penale nei confronti di taluni degli operatori di polizia, impegnati in quella circostanza, sono stati archiviati dal Giudice per le indagini preliminari del tribunale di Roma.

Il Viceministro dell'interno: Marco Minniti.

ZACCHERA. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
l'articolo 455 del regio decreto 23 maggio 1924, n. 827 fissa i termini in cui il magistrato è tenuto a servirsi, sotto la sua responsabilità, alla collaborazione di periti ed esperti tecnici definendo in «vacazioni» orarie il compenso dell'operato di quest'ultimo;
negli anni il compenso per questi periti è andato man mano diminuendo in termini di potere d'acquisto tanto che ad oggi ai sensi del decreto ministeriale del 30 maggio 2002 gli emolumenti sono fissati in 14,68 euro per le prime 2 ore di lavoro e in 8,15 euro per le due ore successive (ogni «vacazione» si intende infatti di 2 ore);
è evidente che simili compensi non sono adeguati al compito e risulta all'interrogante che la prassi corrente è che venga poi evidenziato un cumulo di ore ben superiori alla realtà per determinare un compenso congruo ed adeguato alle difficoltà delle perizie;
questa situazione è fondamentalmente scorretta ed è tra l'altro in assoluto contrasto con gli «studi di settore» che prevedono per i professionisti ricavi-orari teorici di gran superiori a questi valori;
poiché gli oneri dei CTU (consulenti tecnici di ufficio) sono a carico delle parti, almeno per le cause civili un loro adeguamento non comporterebbe aggravi per le spese del Ministero ma semmai delle parti che hanno adito la lite o a quella soccombente in virtù di una sentenza -:
se il Ministro non ritenga di dover sollecitamente intervenire in questo senso con un adeguamento dei compensi a valori più congrui e contestualmente verificando che le ore di lavoro esposte siano - a cura del magistrato - effettivamente adeguate alla prestazione effettuata. Inoltre, se non si debbano considerare anche valori dissimili per vacazione-oraria per prestazioni professionali di particolare difficoltà o competenza.
(4-02199)

Risposta. - In risposta all'interrogazione in esame, si rappresenta che l'articolo 49 del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002 n. 115, al punto n. 2 stabilisce che gli onorari spettanti agli ausiliari del magistrato sono fissi, variabili e a tempo. Il successivo articolo 50 prevede

che la misura degli stessi è stabilita mediante tabelle, approvate con decreto del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze.
In attesa dell'emanazione del predetto decreto, gli onorari commisurati a tempo sono disciplinati dall'articolo 4 della legge 8 luglio 1980, n. 319, e vengono determinati in base alle vacazioni, corrispondenti a due ore di lavoro.
Gli onorari di cui al predetto articolo 4 sono stati rideterminati con decreto ministeriale 30 maggio 2002 nella misura di euro 14,68 per la prima vacazione e di euro 8,15 per ciascuna delle vacazioni successive.
Per quanto riguarda l'eventuale adeguamento dei compensi, anche in ordine prestazioni professionali a tempo di particolare complessità, è necessario attendere quanto sarà deciso in sede di elaborazione del decreto interministeriale previsto dall'articolo 50 del Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia, precisandosi che per l'elaborazione del citato decreto è stato istituito un gruppo di lavoro presso il Dipartimento per gli affari di giustizia di questo mistero.
Questa amministrazione è in attesa di ricevere il parere del ministero dell'economia e delle finanze in ordine alla legittimità dell'adottando provvedimento, con riferimento all'articolo 212 della legge n. 266 del 2005, che rinnova il divieto contenuto nell'articolo 36 della legge n. 289 del 2002.

Il Ministro della giustizia: Clemente Mastella.