Allegato B
Seduta n. 142 dell'11/4/2007

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GIUSTIZIA

Interpellanza:

Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro della giustizia, il Ministro della difesa, per sapere - premesso che:
l'interpellante, sulla base del disegno di legge presentato dal Governo sull'ordinamento giudiziario, che prevede, per quanto riguarda la giustizia militare la riduzione dei Tribunali militari dagli attuali nove a tre, ritiene essenziale che il Tribunale militare di Verona continui la sua attività per ragioni funzionali, logistiche ed economiche;
nel disegno di legge, che modifica le norme sull'ordinamento giudiziario si fa menzione che almeno uno dei Tribunali militari sia dislocato nell'Italia settentrionale;
circa quest'ultimo punto l'interpellante tiene a precisare che la città di Verona rappresenta un punto centrale dell'Italia settentrionale, facilmente raggiungibile e, quindi, ben collegata con le altre città e Regioni dell'Italia settentrionale e, quindi, agevolmente raggiungibile con gli ordinari mezzi di trasporto;
presso il Tribunale militare di Verona presta servizio attualmente più personale rispetto alle altre sedi dell'Italia settentrionale, come quelle di Torino o di Padova e che quindi, sarebbe più economico in termini di costo complessivo non spostare il personale della sede di Verona;
l'ubicazione della sede di Tribunale militare per l'Italia settentrionale, derivante dalla razionalizzazione delle sedi, sarebbe più opportuna presso la città di Verona che presso altre sedi di difficile raggiungimento o più decentrate;
è da rilevare, altresì, la presenza nella città di Verona di locali idonei ad ospitare i magistrati ed il personale ordinario che sarebbero trasferiti dalle sedi soppresse, la sede è, infatti, facilmente accessibile e si presta per essere sede propria del Tribunale -:
quali siano gli intendimenti del Governo circa la soppressione dei Tribunali militari;
se siano state già definite le sedi dei Tribunali militari che verranno soppresse ed in particolare se la decisione sia quella di sopprimere anche il Tribunale militare di Verona;
se in tale caso, non si ritenga opportuno, sulla base delle motivazioni illustrate in premessa, riconsiderare tale decisione salvaguardando il tribunale militare di Verona.
(2-00454)
«Fratta Pasini».

Interrogazione a risposta immediata:

BUEMI e ANGELO PIAZZA - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
da notizie di stampa emerge come la procura della Repubblica di Potenza, malgrado le sue ridotte dimensioni, sia tra quelle che hanno disposto il maggior numero di intercettazioni in Italia;
numerosi procedimenti penali avviati dalla medesima procura, con uso intensissimo di tali mezzi istruttori, si traducono in scandali che coinvolgono decine di persone totalmente estranee ad ogni addebito, o che risultano poi totalmente innocenti -:
quale sia il numero di intercettazioni telefoniche e ambientali disposte dalla procura della Repubblica di Potenza negli ultimi cinque anni, anno per anno, quale onere finanziario abbiano comportato le

stesse a carico dello Stato e se il Ministro interrogato, compiuti gli opportuni accertamenti, non ritenga di trasmettere i dati al procuratore presso la Corte dei conti perché valuti se sussista danno erariale alle casse dello Stato.
(3-00798)

Interrogazioni a risposta scritta:

BONGIORNO. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
un'agenzia ANSA del 23 marzo 2007 riporta la notizia di una lettera aperta inviata al ministro della Giustizia dal presidente dell'organo di rappresentanza dei magistrati romani, Paolo Auriemma, e redatta in collaborazione con il segretario di Md Roma, Francesco Vigorito, ed il componente della giunta distrettuale di Unicost, Attilio Palladini. Nel documento - come riportato dalla citata agenzia - gli scriventi lamentano che «nonostante una riduzione del 39 per cento nello smaltimento del carico del tribunale di Roma nell'ultimo quinquennio, i problemi della giustizia civile nella capitale permangono», e le soluzioni proposte dall'Anm di Roma sono la creazione di un«Ufficio per il processo» - «coordinato da ogni singolo magistrato, con specifica indicazione delle risorse materiali e personali di cui ciascun ufficio dovrebbe poter disporre» - e «una significativa riduzione dei riti, atteso che la proliferazione di essi ha prodotto unicamente complicazioni ed incertezze applicative, senza apportare alcuna concreta utilità». In particolare, come precisato nella lettera aperta, «il numero dei procedimenti pendenti è sceso dai 322.791 all'inizio del 2001 ai 194.674 alla fine del 2006. Negli anni scorsi il legislatore si è limitato ad innovare e moltiplicare i riti in base ai quali svolgere i processi, mentre nessuno si è occupato di adeguare personale, mezzi e strutture alle nuove esigenze». Si evidenzia, altresì, nel documento che «l'edilizia giudiziaria è del tutto inadeguata; la maggior parte dei giudici non dispone di una propria stanza per tutta la settimana; le forniture informatiche sono del tutto obsolete; i giudici continuano a tenere udienza senza la presenza del cancelliere; il giudice deve svolgere l'ulteriore attività di supplenza di controllo dei fascicoli durante l'udienza; il personale di cancelleria, del tutto insufficiente anche rispetto alle previsioni della pianta organica, viene adibito esclusivamente alla gestione degli affari con il pubblico». Questa situazione - a detta dei magistrati romani - «produce un'inevitabile ricaduta negativa sulla qualità e sulla durata dei processi» e si chiede, pertanto, «una riforma organizzativa che doti ogni singolo giudice di un apparato strumentale composto da un gruppo di collaboratori qualificati idoneo a sollevarli da tutte le incombenze pratiche che restano estranee alla sua funzione» -:
se e con quali provvedimenti intenda dar seguito alle richieste formulate dai magistrati romani nella lettera aperta dello scorso 23 marzo.
(4-03232)

BONGIORNO. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
la magistratura giudicante, quella requirente e l'avvocatura di Brescia hanno inviato un appello alle istituzioni avente ad oggetto la carenza di magistrati e di personale amministrativo presso il tribunale ordinario e la procura della Repubblica di Brescia (agenzia ANSA del 2 aprile 2007);
nel corso di un incontro svoltosi in tribunale fra i rappresentanti dell'amministrazione giudiziaria, degli avvocati e delle istituzioni - cui hanno preso parte tra gli altri il presidente del tribunale di Brescia, Roberto Mazzoncini, il procuratore della Repubblica, Giancarlo Tarquini, il presidente dell'ordine degli avvocati, Tullio Castelli (tutti firmatari dell'appello), i parlamentari Emilio Del Bono, Adriano Paroli e Maurizio Zipponi, il sindaco di Brescia Paolo Corsini, il presidente del consiglio provinciale Paola Vilardi, e rappresentanti della prefettura e delle forze dell'ordine - è emerso che «le piante organiche del Tribunale ordinario e della procura della Repubblica

di Brescia, sono assolutamente insufficienti a fornire un'adeguata risposta alla domanda di giustizia che proviene da questo circondario» (cfr. intervento del presidente del tribunale di Brescia riportato nella citata agenzia di stampa). Il dottor Mazzoncini ha evidenziato, in questa sede, come «sulla base del rapporto fra abitanti e personale giudiziario esistente nelle quattro maggiori città italiane, Brescia dovrebbe avere 141 magistrati mentre ne ha 61, e ben 430 unità di personale amministrativo, contro le attuali 183» (cfr. intervento del presidente del tribunale di Brescia riportato nella citata agenzia di stampa) -:
quali provvedimenti abbia già adottato o intenda adottare per colmare la carenza di magistrati e di personale amministrativo riscontrata presso il tribunale ordinario e la procura della Repubblica di Brescia al fine di «fornire un'adeguata risposta alla domanda di giustizia che proviene da questo circondario» come richiesto dai firmatari dell'appello in oggetto.
(4-03233)

BONGIORNO. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
in data 10 gennaio 2007 il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Torino, Marcello Maddalena, - a seguito della Risoluzione dell'Assemblea Plenaria dell'Unione delle Camere Penali Italiane del 9 novembre 2006 (a sua volta sollecitata dalla nota del Ministro della giustizia del 12 settembre 2006) - ha adottato la circolare, prot. n. 58/07 S.P., avente ad oggetto «Direttive in tema di trattazione dei procedimenti in conseguenza della applicazione della legge 31 luglio n. 241 che ha concesso indulto»;
l'arretrato complessivo dell'Ufficio notizie di reato della procura della Repubblica presso il Tribunale di Torino - come evidenziato nella circolare - ammonta a circa 4.300 fascicoli e il totale dei fascicoli pendenti alla data del 3 ottobre 2006 (data dell'ultimo rilevamento) era di 12.538. Sulla base di tali dati il procuratore della Repubblica, nella citata circolare, afferma che «insistere ... nel trattare tutti e comunque i procedimenti pendenti è non solo poco realistico ma, soprattutto, contrario ad ogni logica e ad ogni seria previsione e considerazione in ordine ai fatti di reato che si sono consumati prima del 2 maggio 2006. Perché ... quand'anche si riuscisse ... a giungere ad una condanna definitiva ... essa sarebbe resa vana dall'effetto dell'indulto e dal travolgimento di molti altri effetti penali e no della sentenza di condanna ... Sicché si tratterebbe di insistere a lavorare su fascicoli destinati ad una fine prevedibile, generando, perpetuando ed aggravando il gorgo non virtuoso di trattare in enorme ritardo i fascicoli che ora arrivano (e che sono fuori dalla previsione dell'indulto) per rispettare un non più razionale principio di fredda cronologia del fascicolo» (circ., p. 7). Per operare un abbattimento dell'arretrato giudiziario il procuratore della Repubblica sostiene, quindi, la necessità di «adottare alcuni criteri di selezione e di accantonamento di fascicoli» - aventi ad oggetto reati rientranti nell'indulto - sulla base di «variabili legate alla oggettività del fatto, alla gravità della lesione degli interessi protetti, alla soggettività del reo, all'interesse all'azione dell'indagato o imputato o delle persone offese, alla irreperibilità dell'indagato eccetera eccetera» e afferma che «è da privilegiare la strada della richiesta di archiviazione (anche "generosa"), ogni qual volta essa appaia praticabile o anche solo possibile» (circ., p. 7 s., nonché p. 17);
in data 15 marzo 2007 l'Unione delle Camere Penali Italiane ha presentato un esposto al Consiglio Superiore della Magistratura nel quale si chiede che vengano adottati «i provvedimenti di sua competenza per la revoca della circolare in argomento, nonché di analoghe determinazioni assunte da altri Uffici giudiziari»;
l'UCPI, nell'esposto, eccepisce l'illegittimità delle misure, di «selezione e accantonamento» dei fascicoli, adottate con la cosiddetta «Circolare Maddalena», osservando che tali previsioni porterebbero all'introduzione

del concetto di opportunità dell'azione penale in sostituzione del precetto costituzionale e codicistico della sua obbligatorietà. Al riguardo l'UCPI evidenzia che gli «organi della magistratura non hanno il potere di stabilire quali reati siano da perseguire e quali siano da lasciare impuniti. Simili scelte giudiziarie di opportunità non sono legittimate dalla legge e si traducono, pertanto, nell'esercizio arbitrario della funzione giudiziaria» (documento del 15 marzo 2007 su http://media.camerepenali.it/200703/2737.doc?ver=1). Si legge ancora nell'esposto che «per talune situazioni la legge prevede che non si eserciti l'azione penale (tra l'altro sotto il controllo del giudice) quando, pur in presenza di un fatto che integra tutti gli estremi di una fattispecie legale di reato, il fatto stesso sia connotato da alcuni elementi. Sono, notoriamente, le ipotesi cosiddette di "irrilevanza del fatto" previste dall'articolo 27 decreto del Presidente della Repubblica 22 settembre 1988 n. 448, in materia di procedimento minorile, e dall'articolo 34 decreto legislativo 28 agosto 2000 n. 274, in materia di procedimenti di competenza del giudice di pace. In tali ipotesi è salvaguardata l'obbligatorietà dell'azione penale in quanto il suo mancato esercizio è ancorato a previsioni di legge dentro le quali è vincolato l'operato del pubblico ministero (cosiddetta discrezionalità vincolata, che per l'appunto è una figura dell'obbligatorietà), sottoposto al controllo di legalità del giudice» (Esp. p. 4 s.). L'UCPI denuncia, pertanto, l'adozione da parte della procura di Torino del criterio di opportunità dell'azione penale (cosiddetta discrezionalità libera), in quanto il mancato esercizio dell'azione penale: «a) è stabilita dal procuratore della Repubblica; b) è priva di alcuna matrice legislativa; c) è regolata secondo criteri per l'appunto di opportunità fissati dallo stesso procuratore della Repubblica fuori da ogni regola di legalità; d) proviene dunque da un organo (il procuratore della Repubblica) che non ne ha il potere; e) per di più opera, conseguentemente e necessariamente, fuori da ogni controllo di legalità (neppure possibile) del giudice» (Circ. p. 25 ss.);
con un documento del 15 marzo 2007 l'UCPI ha espressamente chiesto alle istituzioni politiche che «assumano responsabilmente le determinazioni che solo ad esse competono» circa la revoca della «Circolare Maddalena», lamentando che «i suoi primi "frutti avvelenati" sono le richieste di archiviazione motivate dalla "inutilità" di proseguire le indagini per reati rientrati nell'indulto»;
la cosiddetta «Circolare Maddalena» ha evidenziato la difficile situazione in cui versa il sistema giudiziario italiano facendo emergere, in modo chiaro, le disastrose e ulteriori inefficienze provocate dalla legge 31 luglio 2006, n. 241, sull'indulto;
le misure adottate dalla procura presso il Tribunale di Torino, se pur meritevoli di attenzione in quanto volte all'abbattimento dell'arretrato giudiziario (realizzabile a detta del procuratore Maddalena mediante »una sempre amara, ma purtroppo ormai necessaria amnistia» - Circ. p. 7), sono frutto di scelte di politica penale e giudiziaria di esclusiva competenza del potere legislativo. Non è ammissibile, infatti, che un Ufficio giudiziario, mediante un atto interno, possa adottare misure che regolino l'esercizio dell'azione penale, sostituendone l'obbligatorietà - sancita dal nostro ordinamento - con un generico criterio di opportunità;
i citati criteri di «selezione e accantonamento dei fascicoli» inerenti procedimenti per i quali può essere invocata la legge 241/2006 sulla concessione dell'indulto, porterebbero - a giudizio dell'interrogante - ad aberranti disparità di trattamento nell'esercizio dell'azione penale, in quanto gli Uffici giudiziari, sulla base di questo precedente, potrebbero o meno adottare misure dello stesso tenore ovvero, con le stesse modalità, potrebbero optare per differenti soluzioni nella gestione di procedimenti aventi il medesimo oggetto -:
quali misure anche normative abbia già adottato o intenda adottare:
a) per evitare che, in attesa di opportune determinazione del Consiglio Superiore

della Magistratura, l'applicazione della «Circolare Maddalena» comporti, ciò che ad avviso dell'interrogante, costituisce una illegittima archiviazione di fascicoli, per i quali è invocabile la concessione dell'indulto, in violazione delle norme del nostro ordinamento sull'obbligatorietà dell'azione penale;
b) per risolvere la grave situazione provocata dall'introduzione della legge 31 luglio 2006, n. 241, ampiamente argomentata nella «Circolare Maddalena» e attestante l'«inutilità di proseguire le indagini per reati rientrati nell'indulto».
(4-03239)