Allegato B
Seduta n. 97 del 24/1/2007

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AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta scritta:

MELLANO. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. - Per sapere - premesso che:
nel 2004 in Italia le catture di squali rilevate sono state di 1.061 tonnellate, dato che ha portato il nostro Paese ad essere il primo in Europa per maggiore attività di pesca di squali e razze del Mediterraneo, seguito da Turchia (1.018 t.), Grecia (911 t.) e Spagna (837 t.);
tra il 1950 e il 1982 le catture rilevate di elasmobranchi si aggiravano su una media di 4.000 t. l'anno, mentre il 1994 ha registrato un record di 16.500 t. Nei dieci anni successivi le catture sono diminuite considerevolmente, scendendo a 5.000 t. nel 1996 e a poco più di 1.000 t. nel 2004. Tutto ciò nonostante lo sforzo di pesca sia rimasto inalterato;
per molte specie di squali la pesca è effettuata con metodi distruttivi e lesivi che hanno determinato il crollo della popolazione, non potendo definire sporadiche le catture «accidentali» effettuate con spadare e reti a strascico illegali;
sono 84 le specie di squali e razze segnalate attualmente nel bacino Mediterraneo. L'International union for conservation of nature (Iucn) ha dichiarato che sul 30 per cento di esse non esistono dati sufficienti e che circa il 70 per cento necessita di un monitoraggio più approfondito. Secondo analisi precedenti, nel Golfo del Leone e nel Mare Adriatico, la diversità delle specie di squalo si è quasi dimezzata nel giro di 50 anni a causa della pressione di pesca;
per ovviare al problema dell'eccessivo sfruttamento la Germania si è fatta promotrice di due proposte di inclusione nella Cites di due specie di squali come lo squalo smeriglio Lamna nasus e lo squalo spinarolo Squalus acanthias da presentare a giugno 2007 alla quattordicesima conferenza delle parti Cites -:
se il Governo non intenda rendere pubblici tutti i dati disponibili sulle campagne di pesca e sulle ricerche finanziate dai ministeri competenti;
se il Governo nella prossima conferenza delle parti Cites sosterrà con convinzione le proposte esplicitate in premessa presentate dalla Germania;
se il Governo non ritenga opportuno promuovere a livello europeo un piano di gestione per la pesca degli squali e il rafforzamento del regolamento Ue sul finning.
(4-02263)

COSENZA, LA RUSSA e NESPOLI. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. - Per sapere - premesso che:
la Campania vive una situazione di gravissimo disagio socio-sanitario a causa

della permanente crisi del servizio di smaltimento dei rifiuti;
pur essendo stato approvato un piano di smaltimento dei rifiuti nel lontano 1996, ad oggi il sistema di smaltimento non è stato realizzato a causa dei gravissimi ritardi nella realizzazione dei termovalorizzatori;
la mancata attuazione del piano di smaltimento ha prodotto un oggettivo vantaggio alle organizzazioni malavitose che nel settore hanno sempre trovato fertile campo di attività;
non a caso soltanto la regione Campania, in Italia, non ha ancora realizzato un sistema integrale di smaltimento dei rifiuti;
i ritardi di cui sopra hanno indotto il governo della passata legislatura ad adottare un decreto legge con il quale veniva affidato ai presidenti delle province il compito di reperire siti da destinare a discariche;
la disposta riapertura della discarica di Difesa Grande, già utilizzata per circa dieci anni come unica discarica regionale, secondo gli interroganti sembra rispondere ad una logica punitiva nei confronti dell'unica realtà locale non omogenea al centrosinistra;
nella provincia di Avellino nessuna iniziativa risulta intrapresa per la realizzazione di una discarica provinciale, con la conseguente riapertura della discarica di Difesa Grande ad Ariano Irpino, discarica di cui era stata disposta la chiusura e la bonifica (peraltro mai avviata) -:
se le previsioni del piano di smaltimento della Campania siano tuttora condivise dal Governo o se, viceversa, siano state adottate soluzioni diverse dalla termovalorizzazione;
se non ritenga il Ministro interpellato di dare un termine ultimativo al Commissario di Governo per la realizzazione degli impianti di chiusura del ciclo di smaltimento;
quali siano le ragioni per le quali la bonifica della discarica di Difesa Grande, ancorché formalmente annunciata, non è mai stata avviata dal Commissario di Governo.
(4-02264)

CIRO ALFANO. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. - Per sapere - premesso che:
con l'articolo 23 del decreto legislativo n. 334 del 1999 (la cosiddetta Seveso II) è stata introdotta una importante iniziativa democratica che prevede, ai fini della «attuazione della direttiva 96/82/CE relativa al controllo dei pericoli d'incendi rilevanti connessi con determinate sostanze pericolose», «la consultazione della popolazione»; infatti in esso viene stabilito che: «la popolazione deve essere messa in grado di esprimere il proprio parere nei casi di ..... creazione di nuovi insediamenti e infrastrutture attorno gli stabilimenti esistenti»;
nel comma 2 viene inoltre specificato che: «il parere di cui al comma 1 è espresso nell'ambito del procedimento di formazione dello strumento urbanistico o del procedimento di Valutazione di Impatto Ambientale (VIA) con le modalità stabilite dalle regioni o dal Ministero dell'ambiente, secondo le rispettive competenze, che possono prevedere la possibilità di utilizzare la conferenza di servizi con la partecipazione di rappresentanti istituzionali delle imprese dei lavoratori e della società civile, qualora si ravvisi la necessità di comporre conflitti in ordine alla costruzione di nuovi stabilimenti, alla delocalizzazione d'impianti nonché alla urbanizzazione del territorio».
poiché non risulta che:
nel caso della città di Taranto per gli impianti di rigassificazione, che rientrano nel campo di applicazione di tale normativa, sia stata seguita la procedura prevista dal citato articolo 23, per il rilascio alla Gas Natural del Nulla Osta di Fattibilità (NOF);

i seguenti documenti: il Rapporto Preliminare di Sicurezza della Gas Natural, il NOF, la relazione di rilascio dello stesso siano stati, ad oggi, resi pubblici -:
quali azioni, accertata la veridicità dei fatti sopra indicati, si intendano immediatamente porre in essere affinché siano eventualmente resi nulli gli atti ad oggi adottati per la realizzazione di tale impianto;
acclarato il mancato rispetto della procedura prevista dal già sopra citato articolo 23 e ritenuta eventualmente non legittima la procedura adottata per la realizzazione dell'impianto di rigassificazione a Taranto, quali siano le azioni che intende adottare nei confronti di coloro che risulteranno essere i responsabili del mancato adempimento al più volte citato articolo 23 del decreto legislativo n. 334 del 1999.
(4-02268)

CAMILLO PIAZZA. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. - Per sapere - premesso che:
con provvedimento del Consiglio Regionale della Liguria n. 84 dell'8 luglio 1992 veniva costituita una Commissione Speciale d'Inchiesta in merito alla verifica delle attività di cava in Liguria;
i lavori della Commissione constatavano, attraverso le ispezioni in situ sui 215 impianti regolarmente autorizzati, il rilevante impatto paesistico-ambientale e la possibilità che i siti di ex cave mai autorizzate o pseudo-cave, siano in numero assai consistente e forse anche maggiore di quello delle cave in attività regolarmente autorizzate;
in base ai lavori della Commissione di Inchiesta si accertava che molti siti abbandonati erano stati trasformati in zone industriali per frantumazione, lavaggio, betonaggio e commercio dei prodotti, anche potenzialmente pericolosi per la salute pubblica in quanto contenenti fibre di amianto, scavati nelle cave di monte, e la tipologia di cave di monte a cielo aperto ponevano rilevanti problemi sotto il profilo idrogeologico, ma altrettanto rilevanti sotto quello geologico e paesistico;
i controlli esercitati sulle cave oggi presenti sono in numero del tutto insoddisfacenti e tali da non garantire che i piani di coltivazione e le metodiche di estrazione siano rispettose dell'ambiente e della sicurezza, dove la carenza dei controlli è dovuta prioritariamente alla carente dotazione organica di personale dell'A.R.P.A.L. addetto a tale attività di controllo;
il problema dei controlli è essenziale e dovrà essere affrontato organicamente evitando delle forme di irresponsabile sottovalutazione in quanto, trattandosi di un'attività a forte impatto sul territorio e a rischio per l'ambiente, risulterebbe essenziale un atto di programmazione-pianificazione volto a cercare le soluzioni di minore danno e di migliore compatibilizzazione tra le varie esigenze -:
se il Ministro competente non ritenga opportuno avviare un'inchiesta ministeriale su tutto il territorio nazionale al fine di accertare:
1) il numero delle cave dismesse a cielo aperto che abbiano attuato il piano di coltivazione;
2) il numero delle cave dismesse che, rispetto al piano di coltivazione, abbiano avviato un'attività industriale per frantumazione, lavaggio, betonaggio e commercio dei prodotti scavati nelle cave di monte;
3) il censimento delle cave interessate da potenziale rischio amianto e il monitoraggio dello smaltimento del cosiddetto «serpentino» e dei fanghi residuali, al fine di prevenire rischi per la salute umana e per l'ambiente;
4) eventuali discariche abusive di rifiuti all'interno di areali di cava.
(4-02280)

MIGLIORE, GIORDANO, FRIAS e MARIO RICCI. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. - Per sapere - premesso che:
nella regione Toscana si sta portando avanti un progetto denominato di «Riorganizzazione del sistema di depurazione della Valdinievole e dell'Empolese Val d'Elsa»; questo enorme e costoso progetto (153 milioni di euro) soprannominato «tubone» interessa le province di Pisa, Firenze, Lucca e Pistoia;
il suddetto progetto prevede:
la chiusura di numerosi impianti di depurazione che sono già costati in passato, alla cittadinanza delle zone interessate, parecchi miliardi delle vecchie lire;
il trasporto ai depuratori industriali della zona del Comprensorio del Cuoio, mediante tre grandi condotte fognarie, 24 milioni di metri cubi all'anno di scarichi civili prodotti dalle aree coinvolte;
l'ampliamento e la ristrutturazione dei depuratori del suddetto Comprensorio del Cuoio, la realizzazione di un'ulteriore impianto di depurazione e di un acquedotto industriale che distribuirebbe alle concerie parte dell'acqua depurata;
la formazione di un unico scarico in Arno per una enorme quantità di acqua (100 mila metri cubi al giorno);
su tale opera sopradescritta si concentrano, già da anni, numerose critiche;
all'interno di questo progetto infatti non sono presenti misure adeguate per la protezione del Padule di Fucecchio (l'area umida interna più importante dell'Italia peninsulare e che vede due riserve integrali provinciali, 2 SIC ed una proposta di inserimento in Ramsar);
per quanto riguarda la depurazione industriale del Comprensorio del Cuoio non esistono studi fatti in tal senso; gli effetti derivanti dalla concentrazione del trattamento dei reflui nella «zona del cuoio» potrebbero essere devastanti per il territorio interessato (un quarto della provincia di Pisa). Le associazioni conciarie hanno già ottenuto in passato la possibilità di continuare ad inquinare ignorando i limiti previsti dalla legge (Accordo di Programma del 29 luglio 2004 tra i conciatori ed il Ministro dell'Ambiente Matteoli) e, una volta realizzato il soprannominato «tubone», potranno diluire i propri scarichi industriali con gli scarichi civili. Così facendo le sostanze inquinanti verranno diluite ma non eliminate;
in alternativa al suddetto progetto esistono già alcune proposte alternative che potrebbero migliorare notevolmente una situazione che rischia di portare al collasso ambientale il territorio sopradescritto;
numerose sono infatti le critiche avanzate al suddetto progetto da parte di associazioni ambientaliste, dai cittadini della zona e da altre diverse realtà locali. Il professore Adriano Prosperi, docente all'Università di Pisa, ad esempio, ha già sollevato attraverso alcuni interessanti articoli apparsi sulla stampa (Il Sole 24 Ore - Novembre 2004 e La Repubblica - Ottobre 2006) molti inquietanti interrogativi che fino ad oggi sono stati completamente ignorati -:
se risulti agli atti depositati presso il ministero se il Ministero dell'ambiente (firmatario con il Ministro Matteoli dell'accordo di programma del 29 luglio 2004) ha provveduto ad effettuare controlli sulle procedure di salvaguardia del Padule di Fucecchio, verificando se e come sono state presentate ed esaminate le proposte di Valutazione di Incidenza e di Valutazione di Impatto Ambientale e se lo stesso Ministero intende partecipare all'esame tecnico delle procedure di Incidenza (di cui alla Direttiva «Habitat» 92/43/CEE) e della V.I.A.;
se siano state esaminate eventuali alternative progettuali che evitano cambiamenti irreversibili al sito protetto denominato «Padule di Fucecchio» di cui alla Direttiva «Habitat» in particolare all'articolo 6 della stessa;

se i consorzi di conciatori, firmatari dell'Accordo di Programma anzidetto, abbiano versato la loro quota parte di investimento o almeno presentato dovute fideiussioni per la garanzia degli investimenti di loro competenza;
se il progetto di massima per il quale è stato firmato l'Accordo di Programma contenesse clausole cautelative in merito ai costi previsti e alla tempistica dei diversi interventi con la priorità di interventi di salvaguardia dell'area umida denominata «Padule di Fucecchio»;
se siano stati studiati gli effetti derivanti dalla concentrazione del trattamento dei reflui nella sola zona del Comprensorio del Cuoio, la quale sottoporrà questo territorio ad un carico inquinante esorbitante (corrispondente comunque, già attualmente, a ben 3.500.000 di abitanti equivalenti);
se siano stati verificati i dati relativi agli scarichi dei depuratori civili della Valdinievole e se questi corrispondono alle notizie che si possono desumere dal sito Internet ufficiale della società che gestisce tali impianti (Acque Spa) e cioè che: «ogni anno 100.000 analisi circa assicurano la conformità alle norme di legge degli scarichi delle acque reflue dei depuratori» oppure dalle affermazioni del Presidente dell'ATO n. 2 apparse sulla stampa locale del 12 ottobre 2006 e cioè che i depuratori della zona interessata sono: «malfunzionanti e largamente sottodimensionati rispetto al carico inquinante in ingresso».
(4-02290)

MELLANO. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. - Per sapere - premesso che:
il giornalista Claudio Gatti ha svolto un'inchiesta sulle attività intraprese dal signor Mario Scaramella (già consulente della Commissione «Mitrokhin», attualmente detenuto nel carcere di Regina Coeli con l'imputazione di calunnia continuata e aggravata), a partire dal 1989 fino ad oggi;
tale inchiesta è stata pubblicata sul quotidiano Il Sole 24 Ore nei giorni 10 e 11 gennaio 2007;
in particolare, Gatti scrive: «...Scaramella trovò altri finanziamenti pubblici presso alcuni parchi nazionali. Come quello del Gargano che, il 27 giugno 2002, con una delibera dell'allora presidente Matteo Fusilli, affidò l'incarico di demolizione di manufatti abusivi a Scaramella. Il contratto fu formalmente assegnato alla Eccp, definita "organizzazione intergovernativa di diritto pubblico con sede a WashingtonDc e rappresentanza a Via Vetriera a Chiaia n. 12, Napoli". Insomma il solito sottoscala del Cinema Delle Palme. Rappresentante legale dell'organizzazione: Giorgia Dionisio, all'epoca compagna di Scaramella, in veste di "special assistant secretary general dell'Ecpp". Nel 2002 risultano essere stati fatti tre pagamenti, rispettivamente di 51.645, 43.336 e 268.764 euro. Ma come si poteva pagare un organismo che non esisteva e non era mai stato registrato formalmente in alcun Paese? No problem: i versamenti furono fatti sul conto corrente 27/36249 di una filiale del Banco di Napoli. Intestatario del conto: Mario Scaramella. Nel 2003, venne poi firmata una nuova convenzione, per altri 500mila euro, che però venne revocata nel giugno 2004 dal nuovo presidente del Parco, lo scrupolosissimo avvocato Domenico Gatta, e dal suo consiglio direttivo. Altro committente di Scaramella fu l'Ente Parco nazionale del Vesuvio. Ecco cosa ci ha scritto Matteo Rinaldi, direttore di quel parco dal novembre scorso: "L'Ente ha stipulato con la Ecpp due convenzioni per attività di demolizione di manufatti abusivi e ripristino ambientale in data 25 marzo 2003 e 2 dicembre 2003 ... Per gli atti redatti dall'Ente Parco i firmatari delle convenzioni hanno eletto domicilio in Via Vetriera a Chiaia 12/d. La ragione sociale della società è: Organizzazione intergovernativa di diritto pubblico per la prevenzione dei crimini ambientali con sede in Washington. È stato corrisposto all'Ecpp un compenso di 860.824,34 euro". Rinaldi ha specificato che nel caso della prima convenzione l'Ecpp è stata "rappresentata"

dal suo "segretario generale, dottor Pavel Suian", mentre la seconda da Giorgia Dionisio (assieme a un altro collaboratore di Scaramella, tale Livio Ricciardi). Suian era un ex diplomatico romeno che all'epoca era consigliere legale del Segretariato della Convenzione di Basilea, uno degli organismi associatisi a Scaramella. Contattato dal Sole 24 Ore, il Segretariato ha spiegato che "se Suian avesse effettivamente firmato quel contratto sarebbe stato in violazione delle norme dell'Onu". La strategia di Scaramella risulta a questo punto chiara: utilizzare ogni singolo contatto o evento per accreditarsi e legittimarsi con quello successivo in una straordinaria catena autoreferenziale senza limiti geografici. Ma se è riuscito a farla franca fino al 24 dicembre scorso, giorno del suo arresto, è stato per l'ingenuità, la passività e la connivenza di persone che adesso fanno a gara nel minimizzare il proprio contributo». (Sole 24 Ore, 10 gennaio 2007) -:
se quanto scritto nel passo dell'inchiesta del Sole 24 Ore, riportato integralmente in premessa, sui rapporti intercorsi fra società facenti capo al signor Mario Scaramella e le direzioni del Parco nazionale del Gargano e del Parco nazionale del Vesuvio, corrisponda a verità;
in caso affermativo, se le procedure utilizzate per elargire al sig. Mario Scaramella una somma complessiva pari a ben 1.224.570 euro (di cui 363.745 da parte del Parco nazionale del Gargano e 860.824 da parte del Parco Nazionale del Vesuvio) siano state corrette sotto il profilo contabile e amministrativo;
quali attività il signor Mario Scaramella, attraverso le società di riferimento, abbia posto in essere per legittimare tali cospicui pagamenti;
se risultino al Ministro altre consulenze intercorse fra le società citate in premessa o comunque riconducibili al sig. Mario Scaramella e le direzioni dei Parchi citati e/o altri Parchi nazionali.
(4-02294)

BORGHESI. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. - Per sapere - premesso che:
in Provincia di Vicenza, nel Comune di Velo d'Astico, si trova la cosiddetta «frana di Brustolè», ubicata sul versante nord orientale del monte Priaforà (mt. 1669), in corrispondenza della valle del Posina nei pressi dell'abitato di Arsiero;
essa è costituita da un movimento franoso in cui sono riconoscibili due porzioni: una superiore rappresentata dalla «paleofrana» di epoca postglaciale ed una inferiore «storica» con un movimento del tipo «scivolamento traslazione» di blocchi di roccia dolomitica. La scarpata principale della porzione inferiore, proprio per il riattivarsi della frana nel 1966, è meglio evidenziata dalla fessura dalla quale si è verificato il distacco del corpo di frana interamente costituito da blocchi rocciosi compatti e detriti grossolani di varia pezzatura che li inglobano;
la riattivazione della frana di Brustolè nel 1966 è dovuta essenzialmente all'azione di scalzamento effettuato dal torrente Posina in piena in sponda destra, sulla quale sponda poggia la porzione inferiore del corpo di frana, più che alla presenza di interstrati di argille rosse gessifere, derivate da disfacimento chimico delle porfiriti sottostanti, messe in evidenza dalle indagini del sottosuolo eseguite nel corso degli anni;
la natura tiene fermo questo sistema da migliaia di anni grazie alla parte inferiore del versante, appunto la cosiddetta frana del Brustolè, che con i suoi 60 milioni di mq. di ghiaia contrasta la spinta proveniente dalla parte alta;
da molti anni, detto materiale è appetito da imprenditori del settore delle cave che vorrebbero trasformare la frana nella più grande cava d'Europa;
con un progetto di stabilizzazione, ricomposizione e tutela, presentato nel 2002, la società «Ricomposizione Ambientale s.r.l.» propone di intervenire sulla frana con l'intenzione di consolidarla, ma

attraverso l'estrazione di materiale di cava, mentre studi, progetti e indagini geologiche e scientifiche prodotte su incarico delle amministrazioni comunali interessate e della Comunità montana Alto Astico e Posina, hanno accertano il rischio gravissimo di disastro ambientale che potrebbe verificarsi muovendo la frana (con conseguenze imprevedibili per gli abitati e gli abitanti della zona);
il comitato popolare per la difesa del Brustolè costituitosi nel 2002 ha svolto un importante lavoro di informazione sui rischi e pericoli dell'intervento prospettato;
il comitato ha presentato pure osservazione alla Commissione V.I.A. (valutazione impatto ambientale) della Regione Veneto nei termini di legge;
la Sovrintendenza per i beni architettonici e per il paesaggio di Verona, chiamata in causa dalle osservazioni allo stesso progetto espressamente avanzate dal Comune di Velo d'Astico e dalla Comunitàmontana «Alto Astico e Posina» ha espresso l'opinione che lo studio di impatto ambientale presentato dalla ditta R.A. avrebbe omesso due aspetti fondamentali e cioè la presenza delle ville fogazzariane e le vestigia della grande guerra;
la società Ricomposizione Ambientale s.r.l. avrebbe manifestato l'intenzione di presentare un nuovo progetto di escavazione partendo dall'alto;
l'area della frana del Brustolè è un SIC (Sito di interesse comunitario) -:
se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti sopra riportati;
come intenda procedere al fine di rassicurare le popolazioni coinvolte e al fine di tutelare il sito di interesse comunitario.
(4-02297)