Allegato B
Seduta n. 87 del 14/12/2006

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SALUTE

Interrogazione a risposta in Commissione:

BANDOLI, BOATO e CACCIARI. - Al Ministro della salute, al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
la legge di riforma sanitaria (legge 23 dicembre 1978 n. 833) ha stabilito che la prevenzione e la sicurezza del lavoro sono materie che attengono alla salute delle lavoratrici e dei lavoratori e della popolazione, attribuendone la competenza al Servizio Sanitario Nazionale e anticipando con ciò la riforma del Ministero della Sanità in Ministero della Salute, in accordo con la definizione della salute data dall'Organizzazione Mondiale della Sanità come stato di benessere fisico, psichico e sociale;
in particolare la legge distingueva tra competenze dello Stato (articolo 6) e competenze delle Regioni (articolo 7) e istituiva l'Istituto Superiore per la Prevenzione e la Sicurezza del Lavoro (ISPESL, articolo 23), cui attribuiva, sul piano strumentale, i compiti di cui alle lettere g), i), k), m), n) tra quelli elencati all'articolo 6 come compiti dello Stato;
tra questi l'omologazione e la certificazione di conformità dei prodotti sul mercato (lettera n);
tali competenze venivano trasferite in capo all'Istituto, anche sotto il profilo amministrativo, con la legge n. 597/1982 che attribuiva all'ISPESL la funzione amministrativa dell'omologazione e della certificazione di conformità, trasferendo ad esso tutte le attività correlate (esami di progetto, collaudi, verifiche di primo impianto e di apparecchi a pressione, nonché di impianti e apparecchi di sollevamento e impianti elettrici industriali): attività già svolte dall'Associazione Nazionale Controllo Combustione (ANCC), ente vigilato dal Ministero dell'Industria del Commercio e dell'Artigianato, e dell'Ente Nazionale Prevenzione Infortuni, ente vigilato dal Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale, soppressi con la costituzione dell'ISPESL. Con la soppressione di ANCC e ENPI ed il trasferimento all'ISPESL dei controlli tecnici già attuati dai disciolti enti il legislatore trasferiva altresì dal Ministero dell'Industria commercio e artigianato e dal Ministero del Lavoro e previdenza sociale, al Ministero della Salute

la prevenzione e la sicurezza sul lavoro sotto ogni profilo, compresa la sicurezza degli impianti, apparecchi e dispositivi industriali;
nessuna eccezione a tale disposizione è stata introdotta con legge ordinaria; sul piano politico, nessuna maggioranza parlamentare ha modificato la legge di riforma sanitaria sotto questo profilo: la unificazione, nell'ambito delle politiche della salute, di sanità pubblica e prevenzione nei luoghi di lavoro, compresa la sicurezza industriale, con la attribuzione di tali competenze al Servizio Sanitario Nazionale, nelle sue articolazioni statali (ISS e ISPESL) e regionali (USL); il referendum popolare del 1993 e la conseguente legge n. 61/1994, hanno sì limitato le competenze del Servizio Sanitario Nazionale in materia di prevenzione, trasferendole in parte al sistema agenziale facente capo al Ministero dell'Ambiente, ma limitatamente alla prevenzione negli ambienti di vita (abrogazione delle parole «di vita e» nell'articolo 20 comma 1 lettera a) e lettera c), legge n. 833/1978, disposta con decreto del Presidente della Repubblica n. 177/1993);
in contrasto con tale dato politico, manifestazione democratica della volontà popolare espressa dal Parlamento con la legge di riforma sanitaria e con la legge n. 597/1982, il Ministero delle Attività Produttive si è sostituito al Ministero della Salute e all'ISPESL nella partecipazione ai lavori comunitari di ravvicinamento delle normative dei Paesi membri in materia di prevenzione e sicurezza del lavoro e in materia di omologazione e certificazione di conformità dei dispositivi industriali, e non solo limitatamente alla materia degli impianti e apparecchi a pressione; con la conseguenza che il controllo della regolamentazione, in materia di prevenzione e sicurezza industriale, si è trasferito, di fatto, dal Servizio Sanitario Nazionale all'industria; e ciò è avvenuto tanto più facilmente, perché, come noto, per tanti anni il Ministero dell'Industria Commercio e Artigianato e poi il Ministero delle Attività Produttive si sono avvalsi, per l'andamento dei propri uffici, di Personale comandato se non addirittura pagato dall'industria, in particolare da quella pubblica; anche nella ipotesi di una più virtuosa conduzione del Ministero delle Attività Produttive, detto trasferimento di competenze sarebbe avvenuto comunque in contrasto non solo con le richiamate leggi, ma anche con il principio di specializzazione della pubblica amministrazione di cui all'articolo 97, comma 2, della Costituzione;
il Ministero delle Attività Produttive, secondo gli interroganti, ha avallato conseguentemente forme di tutela impropria delle industrie, favorendo la deregolamentazione dei controlli, senza un effettivo coinvolgimento, nelle valutazioni di opportunità, del Servizio Sanitario Nazionale; fino ad arbitrare tra industrie diverse in materia di sicurezza dei prodotti (come nel caso di modifica della normativa tecnica per la sicurezza delle bombole interrate);
a riprova di quanto sopra, risulta che il recepimento della normativa europea concernente la sicurezza di impianti, apparecchi e dispositivi industriali e la certificazione di conformità dei prodotti, (direttive «macchine» 89/392/CE, 91/368/CE, 93/44/CE, 93/68/CE, 98/37/CE, 98/79/CE, 2006/G.U.E. L127/24, direttiva «apparecchi a pressione» 97/23/CE-PED, direttiva sistemi antideflagranti 94/9/CE-ATEX) è stato disposto mediante decreto legislativo su proposta del Ministero delle Attività Produttive, invece che del Ministero della Sanità, dopo che lo stesso Ministero delle Attività Produttive, con propri rappresentanti, ne aveva definito i contenuti al tavolo europeo, secondo principi improntati alla deregolamentazione (con conseguente abbassamento dei livelli di protezione), spesso contrastanti con quelli liberamente stabiliti dal Parlamento italiano e trasfusi nelle leggi n. 833/1978 e n. 597/1982; è lecito ritenere che così non sarebbe stato se le norme europee fossero state discusse in sede tecnica da rappresentanti del Ministero della Sanità e dell'ISPESL (in forza del trasferimento della

funzione statale della omologazione all'Istituto, disposto con la richiamata legge n. 597/1982);
in particolare, il decreto legislativo n. 93/2000, con il quale è stata recepita la direttiva 97/23/CE (PED), ha svuotato la legge n. 597/1982 mediante disposizioni adottate, secondo gli interroganti, ultra petita, non concernenti la materia di recepimento, ma la attribuzione delle competenze residue dello Stato, compresa la potestà di regolamentazione, in materia di sicurezza di impianti e apparecchi a pressione; in tale occasione il Ministero delle Attività Produttive si è avvalso della autoattribuita proposta legislativa per autoattribuirsi la potestà di regolamentazione della materia, in contrasto con l'attribuzione originaria al Servizio Sanitario e dunque al Ministero della Sanità e all'ISPESL; con ciò inducendo il Governo ad incorrere nell'eccesso di delega nella adozione del decreto legislativo n. 93 del 2000 in parte de qua. Sulla base di tale eccesso di delega, il Ministero delle Attività Produttive ha infine adottato il decreto ministeriale 329/2004;
un ulteriore passo nella deregolamentazione della prevenzione e della sicurezza del lavoro, è stato quello di dimenticare, in un limbo tra il decreto legislativo e il decreto ministeriale, la regolamentazione di fattispecie specifiche, con l'obiettivo di sottrarle ai controlli che la normativa italiana prevedeva fino dal 1927: tra queste le stazioni di riduzione, di compressione o di misura sulle condotte di gas. Ove non si applichi la nuova normativa, prudenza vorrebbe che venisse applicata la vecchia, in osservanza del principio di precauzione, principio dell'ordinamento comunitario (articolo 174 Trattato di Amsterdam), per il quale non è ammissibile un rilassamento dei livelli di sicurezza delle lavoratrici e dei lavoratori e della popolazione nei confronti di un rischio industriale;
in contrasto con il principio di precauzione e di non rilassamento nella protezione dei rischi, risulta agli interroganti che la direzione per lo Sviluppo Produttivo e Competitività del Ministero delle Attività Produttive, in una lettera indirizzata alla USL 3 di Catania (prot. n. 63014 del 4 novembre 2005), affermava che le stazioni di riduzione, di compressione e di misura delle condotte del metano non sarebbero comprese né nel campo di applicazione del decreto legislativo n. 93/2000 né in quello del decreto ministeriale 329, e pertanto non sarebbero più soggette a controllo. E che inoltre, con una procedura, secondo gli interroganti, inusuale, diretta ad evitare l'assunzione di responsabilità di un atto amministrativo quale un decreto o una circolare, la stessa direzione generale inviava all'ENI la medesima lettera in copia (prot. n. 63015, pari data), per opportuna conoscenza;
la SNAM RETE GAS scriveva allora a tutte le autorità di sicurezza del lavoro in Italia, e in particolare al Dipartimento ISPESL di Venezia, informando che non avrebbe più sottoposto a controllo le sue centrali di riduzione o compressione, in particolare quella di Istrana. In risposta alla richiesta di chiarimenti dell'ISPESL, la SNAM R.G. affermava nella successiva nota (30 marzo 2006): «ricordiamo che la scrivente si è limitata a prendere atto delle affermazioni e conclusioni raggiunte dal Ministero delle Attività Produttive nelle proprie note prot. n. 63014 e 63015 del 4 novembre 2005». Il Dipartimento di Venezia dell'ISPESL rispondeva che tale interpretazione non era condivisibile e invitava la SNAM a sottoporre a controllo la centrale di Istrana. La SNAM rispondeva proponendo ricorso al TAR contro l'invito del Dipartimento ISPESL di Venezia, senza proporre istanza di sospensione, ma nello stesso tempo senza ottemperare all'invito (con il ricorso veniva chiamato in giudizio, oltre al Ministero della Salute e all'ISPESL, anche il Ministero per lo Sviluppo Economico, quest'ultimo come «controinteressato»: con manifesta violazione della procedura in quanto, tale ultimo Ministero, anche per le frequenti citazioni delle richiamate note del dott. Goti,

nel ricorso della SNAM R.G. risulterebbe cointeressato) -:
quali provvedimenti intendano adottare il Presidente del Consiglio dei Ministri e i Ministri interrogati per riportare gli atti dell'Esecutivo, sia normativi che amministrativi, sotto la competenza primaria del Ministero della Salute, cui la materia è ascritta a seguito della conquista di civiltà costituita dalla riforma sanitaria;
in particolare:
1) se il Governo non intenda modificare i decreti di recepimento delle direttive comunitarie «macchine» e «apparecchi a pressione» riconducendo la competenza regolamentare in materia al Ministero della Salute e, per quanto previsto dalla legge n. 597/1982, all'ISPESL;
2) se il Governo non intenda sostituire o modificare il decreto ministeriale Attività Produttive n. 329 del 2004 in modo da comprendere tutte le fattispecie, senza omissioni, già previste dalla regolamentazione ex ANCC, nonché prevedere un effettivo esercizio del controllo di conformità dei prodotti, dispositivi e impianti - che la Unione europea lascia discrezionalmente all'esercizio dei Paesi Membri - in conformità a quanto disposto con la richiamata legge n. 597 del 1982;
3) se il Ministro per lo Sviluppo Economico intenda provvedere alla immediata modifica del decreto ministeriale 329/2004, per le parti palesemente in contrasto con la legge di riforma sanitaria e la legge n. 597 del 1982 (in particolare l'articolo 10 che attribuisce al Ministero stesso competenze in materia di prevenzione e sicurezza che la legge non gli attribuisce) e quali provvedimenti adotterà, eventualmente in sede disciplinare, qualora riscontri comportamenti illegittimi da parte dei suoi uffici;
4) quali provvedimenti intende adottare il Ministro della Salute per assicurare che l'ISPESL sia in grado di assolvere ai compiti attribuiti dalla legge alla sua organizzazione territoriale, organizzazione già molto indebolita da una gestione dell'Istituto che ha dimezzato in pochi anni le risorse dei dipartimenti periferici, e che risulterà ulteriormente aggravata dal regolamento di organizzazione intempestivamente adottato dal C.d.A. dell'Istituto, che riduce il numero dei dipartimenti territoriali, distogliendo da loro ulteriori risorse.
(5-00518)