Allegato B
Seduta n. 87 del 14/12/2006

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POLITICHE AGRICOLE, ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta in Commissione:

MADERLONI e CESINI. - Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. - Per sapere - premesso che:
con la nota dell'Agenzia per le erogazioni in agricoltura del 2 novembre 2006 si comunicava al Signor Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali la situazione dei pagamenti relativi al piano di sviluppo rurale 2000/2006 alla data del 16 ottobre;
con tale informativa emergeva la necessità di reperire circa 600 milioni di euro di cui 300 milioni come anticipazione dei futuri fondi comunitari al piano di sviluppo rurale 2007/2013;
tenuto conto che dalla data del 16 ottobre 2006 dalle regioni sono pervenute ulteriori necessità di finanziamenti soprattutto per far fronte agli investimenti strutturali, ed in particolare nella regione Marche necessitano ulteriori 30 milioni di euro per completare tutte le pratiche relative al piano di sviluppo rurale 2000/2006 -:
come intenda far fronte a tale necessità, visto che gli agricoltori hanno in

gran parte già sostenuto gli investimenti oggetto di finanziamenti.
(5-00512)

Interrogazioni a risposta scritta:

ZANELLA e FUNDARÒ. - Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. - Per sapere - premesso che:
l'Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica, INFS, Ente di ricerca con sede unica ad Ozzano dell'Emilia (Bologna), Organo dello Stato che ha responsabilità del monitoraggio faunistico e della produzione delle indicazioni tecnico-scientifiche di supporto alle decisioni in materia di conservazione della fauna e di gestione dell'ambiente che vengono assunte dallo Stato, dalle Regioni, dalle Province e dalle Aree protette, soffre ormai da anni di insostenibili carenze di organico (attualmente 30 per cento della pianta organica approvata) e riduzioni (pari al -26 per cento negli ultimi 10 anni), nonché di sistematici tagli ai fondi strutturali trasferiti dallo Stato;
per l'anno 2007 il contributo dello Stato non è sufficiente a coprire nemmeno una parte delle spese di funzionamento ed addirittura è insufficiente alle sole spese di personale dipendente;
da anni il personale precario (pari a circa il 50 per cento dell'attuale personale in servizio) non è finanziato dai contributi dello Stato, pur avendo contribuito in questi anni anche allo svolgimento delle attività istituzionali dell'Ente;
paradossalmente neppure l'esiguo contributo vigente viene erogato regolarmente: nulla è stato versato dello stanziamento per il 2006 e tuttora deve essere saldato gran parte di quello relativo al 2005;
il personale dell'INFS non ha ancora visto applicati pienamente i contratti collettivi di lavoro relativi ai periodi 1998-2001 e 2002-2005; a titolo di esempio, non sono stati ancora versati gli arretrati contrattuali relativi agli anni 2004-2005, né sono stati ancora espletati i concorsi per le progressioni di carriera previsti nel contratto 1998-2001;
nonostante il personale dell'INFS abbia ottenuto fonti di finanziamento alternative e stipulato numerose convenzioni e contratti, i quali hanno consentito di supplire, fino ad ora, ai tagli ed ai ritardi subiti nel trasferimento dei fondi ordinari da parte dello Stato, oggi la situazione è giunta al punto che la Direzione ha dovuto bloccare i pagamenti ai fornitori, al fine di garantire l'erogazione degli stipendi ai dipendenti negli ultimi mesi del 2006;
in palese violazione dell'articolo 6 dello Statuto dell'INFS (approvato con DPCM 6/4/2004), l'INFS è amministrato anche da politici privi dei requisiti statutari per far parte del consiglio d'amministrazione, nominati dal precedente Governo con decreto della Presidenza del Consiglio dell'8 febbraio 2005, come si rileva dalla lettura dello statuto dell'INFS e dai decreti di nomina dei suddetti politici e come dichiarato da Ennio Bonfanti, Responsabile settore «Fauna» della LAV, nella lettera del 25 luglio 2006, «Esigenza di ripristino della regolarità nella composizione di alcuni organismi preposti alla gestione e allo studio della fauna selvatica» indirizzata al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali e al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, a nome e per conto di Carlo Consiglio, Presidente Lega Abolizione Caccia; Danilo Selvaggi, Responsabile rapporti istituzionali LIPU; Antonino Morabito, Resp. naz. Conservazione e Gestione Fauna, LEGAMBIENTE; Fulco Pratesi, Presidente Nazionale WWF; Andrea Brutti, Responsabile Ufficio Fauna Selvatica ENPA;
la mancanza di qualsiasi attinenza tra i curricula delle persone in oggetto ed i requisiti previsti dallo Statuto INFS ha destato l'interesse anche del TAR Lazio, Sez. I, che con Ordinanza presidenziale

n. 401 del 31 agosto 2005, ha ordinato alla Presidenza del Consiglio dei ministri di depositare tutti gli atti in proposito (pareri e curricula stessi);
analoga situazione si riscontra per il Comitato Tecnico Faunistico-Venatorio Nazionaledi cui all'articolo 8 della legge n. 157 del 1992, dove larga parte dei componenti nominati dal precedente Ministro non rappresentano i reali portatori di interesse previsti per legge (in particolar modo per quanto attiene alle associazioni ambientaliste che effettivamente si occupano di salvaguardia della fauna selvatica), risultando inoltre ancor oggi presieduto dall'onorevole Berlato, mentre per legge tale funzione spetta in primis allo stesso Ministro per le politiche agricole, alimentari e forestali o, eventualmente, a persona delegata di Sua stretta fiducia (come dichiarato nella lettera prima citata «Esigenza di ripristino della regolarità...»);
nella lettera del 23 novembre 2006, «Motivazioni del blocco dell'attività all'istituto nazionale per la fauna selvatica», il personale dell'INFS riunito in assemblea ha dichiarato che questo Ente è da tempo «soggetto a pressioni politiche che mirano a piegare la dignità professionale dei dipendenti, a fronte di pressioni ricattatorie connesse al trasferimento dei fondi ordinari, se non di chiusura definitiva dello stesso Ente. Tali pressioni, che originano sia da esponenti del mondo politico che da alcuni rappresentanti di Amministrazioni Regionali ed Associazioni venatorie, mirano ad ottenere che l'INFS produca pareri di comodo su materie sensibili in modo da giustificare una non corretta applicazione dei dettati delle Direttive comunitarie e delle norme nazionali in materia di conservazione della fauna»;
il personale dell'INFS ha mostrato una profonda dedizione all'importantissimo ruolo di supporto scientifico alla conservazione dell'ambiente, resistendo sia alle pressioni, sia ad una situazione lavorativa al limite dei collasso;
la drammatica situazione dell'INFS favorisce il contesto di gravi procedure di infrazione da parte dell'Italia nei confronti dell'UE, causate proprio dalla mancata aderenza, primariamente per ragioni legate alla caccia, ai dettati delle Direttive Comunitarie, che possono costare allo Stato multe di milioni di Euro e rischiare di impedire all'UE di elargire miliardi di Euro in sostegni all'agricoltura nel nostro Paese;
il personale INFS denuncia l'impossibilità materiale dell'Ente di far fronte fin d'ora ai compiti istituzionali in materia - tra l'altro - di calendari venatori, conservazione e controllo della fauna, recepimento di deroghe comunitarie, accertamento del rischio di influenza aviaria;
il patrimonio di conoscenze, informazioni e professionalità che l'INFS può e desidera fortemente continuare ad offrire alla società, è assai ricco e di grande rilevanza per il Paese -:
se il Governo sia al corrente della drammatica situazione in cui versa l'INFS;
se, a fronte anche dell'impegno espresso nello stesso programma politico dell'attuale maggioranza rispetto alla tutela ambientale, il Governo non ritenga necessario intervenire per permettere all'INFS di riprendere regolarmente la sua importante attività, a partire dal ripristino della regolarità nel consiglio d'amministrazione dell'Ente.
(4-01976)

ZANELLA, FRANCESCATO e FUNDARÒ. - Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. - Per sapere - premesso che:
il pesce martello comune, Sphyrna zygaena, sta scomparendo dai nostri mari;
lo studio che ha recentemente svolto la Società Ittiologica Italiana, (Occurrence of hammerhead sharks-Chondrichthyes: Sphyrnidae- in waters off Sicily - historical and recent data. Annales, Series historia naturalis, 15(1), pag. 57-64, di Celona, A. & A. De Maddalena - 2005), mostra una

diminuzione della presenza della Sphyrna zygaena che tocca punte del 98 per cento nelle zone della Sicilia dove la specie era un tempo più comune;
ciò che più ha danneggiato i pesci martello in passato è stato l'utilizzo delle «spadare». Malgrado questo attrezzo da pesca sia stato proibito nel nostro Paese nel 1998 a seguito delle risoluzioni dell'Assemblea Generale dell'ONU (UNGA) e della Commissione Internazionale per la Conservazione dei Tonni Atlantici (ICCAT), è emerso che le spadare vengono utilizzate ancora oggi in Sicilia: il numero di pescatori che se ne serve attualmente è ignoto;
oggi, a fare maggiori danni ai pochi pesci martello (e agli squali in genere) ancora rimasti nelle nostre acque sono i palangari pelagici, in media lunghi da 2 a 40 km e portanti ognuno da 200 a 1500 ami. Si tratta quindi per lo più di catture accessorie della pesca diretta in primo luogo a tonni e pesci spada. E questo un grave problema che, oltre ai pesci martello, riguarda la maggior parte di altre specie di squali che si rinvengono nel Mediterraneo;
il pesce martello, così come tutti gli squali, è estremamente fragile da un punto di vista riproduttivo, avendo lunghi tempi di maturazione sessuale, bassa fecondità, lunga gestazione e producendo pochi piccoli per volta. A questo si aggiunga il fatto che i pesci martello sono soliti riunirsi in grandi gruppi composti da centinaia di individui, cosa che ne facilita estremamente la cattura da parte dei pescherecci;
i dati raccolti suggeriscono che il Canale di Sicilia fosse un\`area di riproduzione per la specie, per questo la pesca non regolamentata in quell'area ha avuto risultati particolarmente negativi -:
se il Governo sia a conoscenza della drammatica situazione del pesce martello comune;
se il Governo non ritenga importante ed urgente istituire maggiori controlli affinché le risoluzioni in materia succitate vengano rispettate e le spadare non siano effettivamente più utilizzate, e affinché le catture accessorie della pesca mirata a tonni e pesci spada, effettuata soprattutto con i palangari, vengano drasticamente ridotte per proteggere non solo le popolazioni di pesci martello, ma anche, più in generale, le popolazioni di tutte le specie di squali che si rinvengono nelle nostre acque;
se il Governo non ritenga necessario adottare iniziative normative affinché il pesce martello comune venga dichiarato specie protetta nelle acque italiane, in modo da dare alla specie una possibilità di ripresa, seppure lenta e faticosa.
(4-01977)

RAISI. - Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
l'ENCI, Ente nazionale cinofilia italiana, svolge le funzioni pubblicistiche delegate dalla legge 30 dicembre 1992, n. 529 per la tutela e la promozione delle razze canine;
nello specifico l'E.N.C.I. è deputato alla tenuta del Libro genealogico dei cani di razza secondo la disciplina dettata da appositi disciplinari approvati con decreti del Ministro delle politiche agricole e forestali e, in particolare, dal decreto ministeriale n. 21095 del 5 gennaio 1996 e dalle Norme tecniche di attuazione, anch'esse approvati con rispettivi decreti ministeriali;
gli organi che gestiscono l'Ente hanno - secondo l'interrogante - disatteso le funzioni pubblicistiche allo stesso affidate in quanto hanno omesso l'applicazione, sotto ogni profilo, sia del Disciplinare del libro genealogico che di diverse norme di legge statali e regionali inerenti il settore della cinofilia, in quanto, nello specifico, hanno disatteso sia il controllo e la verifica dei cani di razza da iscrivere nel Libro genealogico, sia il controllo e la verifica degli allevamenti di cani di razza, che spesso eludono le regole dettate per il benessere animale dalla legge 14 agosto

1991, n. 281, sia il controllo e la verifica dei requisiti dei Giudici iscritti all'Albo degli esperti, tenuto dallo stesso E.N.C.I. tramite il Comitato degli Esperti, regolato da ultimo dal disciplinare di cui al decreto ministeriale n. 24445 del 12 dicembre 2001 «Disciplinare del Corpo degli esperti del Libro Genealogico del cane di razza». Nello specifico:
a) sotto il primo profilo, si richiama la circolare dell'E.N.C.I. prot. n. 3241/FC/AP/LH del 24 gennaio 2005 nella quale si dichiarava che «gli allevatori titolari e/o associati d'affisso riconosciuto da ENCI/FCI hanno la facoltà di registrare al Libro genealogico cucciolate identificabili anche attraverso l'apposizione della propria sigla assegnata dall'ENCI». Tale disposizione è secondo l'interrogante in palese contrasto con la legge 14 agosto 1991, n. 281 (Legge quadro in materia di animali di affezione prevenzione del randagismo) che istituisce l'anagrafe canina delegando alle Regioni l'istituzione e le modalità di iscrizione alla medesima anagrafe, nonché le modalità di rilascio al proprietario o al detentore della sigla di riconoscimento del cane, da imprimersi mediante tatuaggio indolore (articolo 3). L'E.N.C.I., invece, consente che al Libro genealogico continuino ad essere iscritti cani di razza identificati in virtù della marcatura apposta dagli allevatori dotati di «affisso» (titolo rilasciato dallo stesso E.N.C.I., quindi privatistico e non pubblicistico), non garantendo in questo modo ogni accertamento in ordine alla provenienza del cane, alle verifiche igienico-sanitarie cui lo stesso deve essere sottoposto e delle strutture in cui operano gli allevatori, come invece richiesto dalle norme di legge regionali. Inoltre l'E.N.C.I. consente che siano eluse le verifiche veterinarie dei cani iscritti al Libro genealogico posto che il Consiglio direttivo dell'E.N.C.I., in data 16 giugno 2005, deliberava di non considerare obbligatoria la certificazione veterinaria ai fini della iscrizione degli esemplari ai Registri, rendendo di fatto possibile che, mediante procedure contrarie alle disposizioni di legge statale e regionale, l'iscrizione al libro genealogico dei cani di razza, regolato con decreto del ministero interrogato possa avvenire anche per esemplari privi di idonea identificazione, di fatto spesso provenienti dall'estero, in assenza dei più elementari controlli sotto il profilo veterinario;
b) per quanto concerne il controllo e la verifica degli allevamenti di cani di razza risulta all'interrogante che l'E.N.C.I non ha ancora provveduto alla formazione ed alla pubblicizzazione del Registro degli allevatori e dei proprietari, in violazione dell'articolo 11 del decreto ministeriale n. 21203 del 8 marzo 2005 che prescrive che lo stesso registro sia reso pubblicamente consultabile per quanto concerne le informazioni relative all'identificazione degli allevatori e dei proprietari iscritti al registro di cui all'articolo 7 del Disciplinare del libro genealogico. Per cui possono figurare come allevatori anche soggetti che da anni non allevano cani di razza o che violano le più elementari norme igienico-sanitarie, posto che l'E.N.C.I. non richiede nemmeno il rispetto delle norme regionali dettate dalla legge n. 281 del 1991 in tema di benessere animale;
c) mette conto rilevare, infine la sospetta mancanza di requisiti per alcuni giudici italiani di prove di lavoro (sulla qual cosa vi è già un procedimento giudiziario penale pendente), con conseguente sospetta frode zootecnica, evidenziandosi anche in questo caso la palese elusione del Disciplinare del Libro genealogico e del decreti applicativi. In definitiva l'E.N.C.I., anziché procedere alla tutela dei cani di razza e degli allevatori che si attengono alle norme del Disciplinare ed alle norme concernenti la disciplina statale e regionale, agendo in forza della natura privatistica della compagine ha avallato comportamenti posti in essere in violazione delle leggi citate e dei regolamenti attuativi, restando del tutto priva di controllo sia l'iscrizione degli esemplari al Libro genealogico, sia l'attività degli allevamenti per i quali non viene nemmeno previsto un coordinamento con le norme regionali in tema di anagrafe canina;

l'attività che l'E.N.C.I. svolge in merito alla tenuta del Libro genealogico viola a giudizio dell'interrogante il principio di trasparenza a cui la stessa dovrebbe attenersi come ogni soggetto che eserciti pubbliche funzioni. L'E.N.C.I. è titolare della disciplina e della tenuta del Libro genealogico di cui non viene data alcuna pubblicità o pubblico accesso per quanto riguarda i dati identificativi dei cani e degli allevamenti, non consentendo alcuna trasparenza sull'allevamento da cui il cane di razza proviene e la verifica del rispetto della conformità dell'allevamento ai requisiti igienico-sanitari previsti dalle norme regionali oltre che del Disciplinare e delle Norme tecniche di attuazione. Per cui non è consentita nessuna possibilità di accesso alle informazioni relative ai cani di razza, né al Registro degli allevatori e proprietari che, come sopra richiamato, il decreto ministeriale n. 21203 del 8 marzo 2005 all'articolo 11 prescrive sia reso pubblicamente consultabile. D'altra parte lo stesso Ente richiede che nella sottoscrizione dei modelli di denuncia della nascita dei cuccioli sia sottoscritta dagli allevatori una clausola che consente a soggetti terzi l'acquisizione e la circolazione di informazioni dei singoli allevatori, i quali sono peraltro costretti a firmare il documento per poter ottenere il rilascio del pedegree da parte dell'E.N.C.I., unico soggetto a ciò preposto;
in definitiva la tenuta del Libro genealogico non può essere avulsa dalle disposizioni di legge statali e regionali che riguardano il settore della cinofilia, non potendo l'E.N.C.I. non tenere conto, e quindi disattendere, quelle norme che impongono modalità di marcatura dei cani e di identificazione degli allevamenti ai fini delle verifiche igienico-sanitarie o che limitano la diffusione di dati sensibili;
in definitiva le circostanze evidenziate in alcun modo possono considerarsi interne all'associazione e quindi privatistiche, come facilmente verrà obiettato, in quanto l'E.N.C.I. è l'unica associazione sul territorio nazionale cui è demandato l'esercizio delle pubbliche funzioni inerenti il rilascio del pedegree ed a cui sono intimamente collegate le attività che concernono l'attività associativa. Al riguardo si evidenzia che per l'ottenimento del titolo inerente l'iscrizione al Libro genealogico, o anche solo per accedere alle tariffe agevolate per ogni attività di allevamento (triplicate per i non soci E.N.C.I.), l'allevatore di cani di razza deve farne richiesta all'E.N.C.I. che, unico sul territorio nazionale, svolge le dette funzioni. In definitiva l'allevatore, per accedere al servizio pubblico che l'E.N.C.I. è tenuto a prestare e per godere di particolari agevolazioni, è costretto ad associarsi allo stesso Ente, in contrasto, secondo l'interrogante, con l'articolo 18 della Costituzione che sancisce la libertà del diritto di associazione. In tal modo, per richiedere l'espletamento di quei servizi, lo stesso allevatore viene sottoposto alle modalità con cui l'E.N.C.I. esercita le funzioni sia pubbliche che private;
risulta all'interrogante che da ultimo, un allevatore, il signor Alberto Veronesi, è stato sottoposto a procedimento disciplinare, con la possibile sospensione o radiazione da socio E.N.C.I. e, quindi, con tutti i danni economici e di immagine a ciò conseguenti, solo perché si era permesso di segnalare al Ministero interrogato peraltro con una e-mail non avente pubblico accesso, la mancata applicazione da parte dell'E.N.C.I. del Libro genealogico ed il mancato esercizio delle funzioni che per legge lo stesso Ente dovrebbe adempiere, in ciò peraltro limitandosi a richiamare quanto già affermato dal Comitato italiano di bioetica nel parere del 5 maggio 2006, dove si afferma che molte razze sono «malate», per le quali lo stesso CNB si riservava un prossimo intervento;
da quanto sopra deriva che il Ministero non può disinteressarsi delle modalità, con cui l'E.N.C.I. svolge le funzioni pubblicistiche allo stesso delegate e quelle associative a ciò connesse, come non può non valutare che, in conseguenza di tale modo di gestire la cinofilia, il numero di cuccioli iscritti al Libro genealogico è passato da 160.000 nell'anno 2003 (inizio

dell'attuale gestione dell'E.N.C.I.) a 124.000 nel 2005, e che negli stessi anni di riferimento i soci aggregati (iscritti nei vari club e gruppi cinofili) è passato da 98.000 a 75.000, con conseguenti danni economici per tutto il settore. Di tutto questo occorre che il Ministero tenga conto al fine di procedere ad una distinzione e separazione dell'attività associativa e privatistica dell'E.N.C.I., che verrebbe ricondotta alla originaria funzione di aggregazione di allevatori di cani di razza, da quella relativa all'esercizio delle pubbliche funzioni inerenti la tenuta del Libro genealogico;
secondo l'interrogante tali pubbliche funzioni sono da ricondurre nella competenza di codesto Ministero attraverso la nomina di un commissario ad acta, previa rimozione dei rappresentanti dello stesso Ministero in seno all'E.N.C.I. e, quindi, del membro nominato presso il Consiglio direttivo dell'E.N.C.I., del Presidente del collegio sindacale, del Presidente del comitato giudici -:
se:
a) di fronte alle richiamate violazioni delle disposizioni di legge statale e regionale che prevedono l'identificazione dei cani mediante tatuazione o applicazione di microchips, e degli allevamenti secondo la disciplina delle leggi regionali in materia, come sistema introdotto per evitare frodi da parte di allevatori per nulla rispettosi delle norme di legge e di regolamento;
b) a fronte della mancata pubblicizzazione delle informazioni relative all'identificazione degli allevatori e dei proprietari iscritti al registro di cui all'articolo 7 del disciplinare del libro genealogico, ciò concretizzando secondo l'interrogante una violazione del disciplinare di cui al sopra citato decreto ministeriale, e per tutto quanto esposto e riferito a precedenti interpellanze ed esposti pervenuti a codesto Ministero anche da singoli allevatori relativi all'attuale gestione dell'E.N.C.I.,
intenda procedere con la nomina di un commissario ad acta per la corretta applicazione della legge n. 529 del 1992 e del Disciplinare del Libro genealogico per la tutela dei cani di razza, nell'interesse pubblico e degli allevatori di cani di razza, previa rimozione dei rappresentanti dello stesso Ministero in seno all'E.N.C.I. e, quindi, del membro nominato presso il Consiglio direttivo dell'E.N.C.I., del Presidente del collegio sindacale, del Presidente del comitato giudici.
(4-01994)