Allegato B
Seduta n. 37 del 19/9/2006

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AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta orale:

CAMILLO PIAZZA, LION, FRANCESCATO, FUNDARÒ, POLETTI, TREPICCIONE e CASSOLA. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture, al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. - Per sapere - premesso che:
un'assurda ed inaccettabile vicissitudine sta dispiegandosi presso una delle più belle ed irripetibili amenità ambientali del nostro Paese, vale a dire il Lago di Idro;
nella più completa e censurabile inerzia delle massime istituzioni nazionali, segnatamente lo Stato per il tramite delle proprie amministrazioni e autorità competenti, da più di quattro generazioni, ma soprattutto negli ultimi dieci anni, si sta permettendo che il Lago di Idro scivoli inarrestabilmente verso un'irrecuperabile stato di rovina, se non addirittura verso la propria morte;
le popolazioni che insistono sul territorio del Lago di Idro, giunte, ad un punto di non ritorno di sopportazione e frustrazione, hanno intrapreso forme diversificate e ripetute di segnalazione e di denuncia, ma i risultati effettivi sono stati vani, pur se recepiti dalle parti cui erano rivolte;

soggetti pubblici o enti privati con funzioni pubbliche, con il malcelato ma efficace intento di sviare le rivendicazioni dei denuncianti verso obiettivi strumentali, verso false cause, nonché verso responsabilità improprie, hanno raggiunto lo scopo di innescare un conflitto tra poveri, tra popolazioni del Lago d'Idro ed agricoltori di zone lontanissime da esse, così potendo continuare indisturbati ad adottare misure e a realizzare interventi di sfruttamento economico delle risorse idriche del Lago che lo stanno conducendo alla morte e che altrimenti, utilizzando modi giusti e condivisi dell'uso delle stesse acque, potrebbero garantire senza danno l'esercizio delle attività economiche che oggi si ottengono con l'abuso e contemporaneamente non metterebbero in pericolo gli equilibri socio-ambientali del lago stesso;
ad oggi, basandosi su disposizioni ed atti amministrativi di cui andrebbe verificata la correttezza ed il potere applicativo dal momento che sembra assai incerto che essi rispondano a fonti di principio che li autorizzino e che giustifichino il loro contenuto e gli effetti della loro esecuzione, lo stato dei fatti evidenzia uno scenario allarmante in cui predomina l'impotenza ad opporsi alla realizzazione d'interventi lesivi che danneggiano l'equilibrio ambientale e l'integrità del territorio del lago di Idro;
in realtà, grazie al puntiglioso e articolato lavoro svolto dal più recente soggetto civile costituitosi per la tutela e la salvaguardia del lago d'Idro, il Coordinamento delle pro loco del lago di Idro, è attualmente disponibile un completissimo archivio di notizie storiche, iniziative sociali, atti normativi e disposizioni amministrative, che hanno la capacità di rendere edotto chiunque sulla questione. Inoltre, in ragione di un Atto di messa in mora di interpello e di accesso agli atti del 30 gennaio 2006, con cui il Coordinamento delle Pro Loco del Lago d'Idro ha da svariati mesi intimato agli Enti competenti di rendicontare il loro operato nella materia di cui trattasi (Ministero delle infrastrutture e trasporti; Provincia autonoma di Trento; Regione Lombardia; Provincia di Brescia), è attualmente altresì disponibile un circostanziato e puntuale atto ispettivo che fa luce sulle norme applicabili, ma violate o eluse, sui danni arrecati al lago e alle sue popolazioni, sugli interessi in gioco e sulle azioni che andrebbero attivate per ricondurre nella normalità la situazione in argomento;
al fine di rendersi conto della serietà del caso, oltre prendere visione della documentazione disponibile sul sito internet appositamente realizzato dal coordinamento delle pro loco del Lago d'Idro (www.salviamoillagodidro.it), sarebbe appropriato effettuare una visita sul luogo, in tal caso si evidenzierebbe in tutta la sua asprezza la gravità delle circostanze, segnatamente il malessere e la frustrazione delle genti del lago, l'ambiente violato, le risorse naturali e le attività rurali ed ittiche in declino, l'uso commerciale improprio ed eccessivo della risorsa idrica;
il caso rappresentato dalla cattiva utilizzazione delle acque del lago d'Idro è anche un effetto tangibile e concreto dei guasti che si generano nel caso si contravvengono le disposizioni costituzionali e le norme di diritto di rango principale che tutelano l'ambiente e gli interessi generali della collettività. In tal caso proprio la condizione critica che vessa le popolazioni del lago d'Idro è l'esatta conseguenza del mancato rispetto dei principi che in tale materia recano, oltre la Costituzione, la legge n. 36 del 1994 ed il più recente decreto legislativo n. 152 del 2006, secondo cui qualsiasi uso delle acque dev'essere effettuato salvaguardando le aspettative ed i diritti delle generazioni future a fruire di un integro patrimonio ambientale. Oggi, a soffrire, sono le popolazioni e l'ambiente che per il legislatore del 1994 erano l'ambiente e le generazioni future. Memore di ciò e consapevole delle mortificazioni e delle sofferenze che le persone interessate possono accusare quando si trovano al cospetto di un ambiente e di un territorio naturale che non è più sano e incantevole come quello che vi era solo qualche ventennio prima, il

territorio del Lago d'Idro, tramite anche il Coordinamento delle sue pro loco, chiede un intervento prioritario del Governo, ma soprattutto del Parlamento, affinché si individuino e si adottino strumenti efficaci per salvare il Lago d'Idro dalla sua morte;
la valenza ambientale del lago d'Idro è nota anche alla Comunità Europea: il lago d'Idro è stato designato «sito di importanza comunitaria» ai sensi del articolo 4 della direttiva 92/43/CEE e fa parte della rete europea Natura 2000, rete ecologica europea costituita da zone speciali di conservazione degli habitat naturali nonché della fauna e della flora selvatiche. Il lago d'Idro è particolarmente importante per la presenza di un habitat naturale e di specie prioritarie a norma dell'articolo 1 della direttiva;
a causa dell'empia gestione che si sta facendo delle acque del lago d'Idro, anche la Commissione Europea ha deciso di intervenire contro lo Stato italiano, in tal senso attivandosi in costituzione in mora ai sensi dell'infrazione 13 2005/4347 sulla gestione d'Idro, SIC IT 20065 «Lago d'Idro»;
è indispensabile marcare che tutta la vicenda, a causa della sua complessità e vasta ramificazione di pseudo competenze, riesce facilmente a sfuggire a qualsiasi ordinata azione di verifica e di adozione di eventuali provvedimenti sanzionatori o disciplinari verso quei soggetti che negli anni hanno ad ogni modo consentito che si perpetrassero contro il lago e la relativa popolazione tali pesanti gesti di scempio ambientale e di ferita sociale. In maniera pertinente con ciò, però, si deve evidenziare che ogni dubbio ed incertezza ad agire nella auspicata direzione di accertamento delle responsabilità si dissolvono quando alla base del punto controverso si stabilisce che il primo e assoluto soggetto istituzionale cui fanno capo le competenze e gli oneri dell'esercizio della tutela del bene è lo Stato, infatti, come meglio è chiarito dall'atto di messa in mora di interpello e di accesso agli atti del 30 gennaio 2006, il lago d'Idro è un bene demaniale dello Stato (fatta eccezione per una parte minoritaria afferente alla provincia autonoma di Trento) e ad esso spetta la relativa azione di tutela;
ancora per dare maggiore risalto alla situazione di cui trattasi, riteniamo utile riportare un luminoso brano di uno storico del luogo, il Professore Romeo Seccamani, che chiaramente evidenzia le circostanze accennate;
tenendo presente che si tratta di una nota di parte, ma che nella sostanza può senza dubbio fungere da base di principio tramite la quale si dovrebbero contemperare i diritti e le prerogative dell'ambiente e della popolazione del Lago d'Idro con le esigenze economiche e produttive degli utilizzatori delle relative acque, la memoria dello storico, recita: «Nel secondo decennio dell'Ottocento, dopo la disfatta napoleonica e all'inizio della restaurazione, viene costituito il Regno Lombardo-Veneto sotto il dominio austriaco. Una grande crisi colpisce tutta l'Europa. Per far fronte alle carestie e alla disoccupazione, nel bresciano vengono costruite varie strade. Nell'impegno di ridare fiato all'economia anche in Valle Sabbia, in quel periodo viene ricostruito il percorso della strada di fondo valle, di collegamento di Brescia con Trento. Vecchi e angusti tracciati usati fino ad allora per superare la stretta di Ruine, fra Idro e Lavenone, che costeggiavano su ambo i lati il fiume Chiese, vengono sostituiti con una più moderna e scorrevole via. Per superare il versante roccioso a nord del fiume, più diretto e privo di scavalcamento sul Chiese, si rese necessario un impegnativo lavoro di sbancamento di roccia, di riempimento e costruzione di muri, invadendo perciò l'alveo del fiume Chiese in modo incisivo e malaccorto, proprio nel punto in cui il lago d'Idro riversava le sue acque nel fiume. Venne così compromesso l'equilibrio millenario del lago perché con quella modifica il fiume emissario fu costretto a scorrere contro l'opposto argine argilloso sud, ma soprattutto si ostruì la parte più bassa dell'imboccatura del fiume, un'ansa rocciosa da cui il lago rigurgitava l'acqua.

Nel periodo successivo a quell'indispensabile ammodernamento del tronco di strada, il livello del lago, che non scaricava più come prima, si alzò e procurò seri problemi. Sono di quel periodo vari tentativi resisi utili per l'abbassamento del punto roccioso di emissione del lago. Fu quella dunque la causa del lamentato impaludamento delle zone più sensibili del lago, come fece osservare l'attento umanista e cronista di quel tempo Pietro Riccobelli di Vestone. Osservazione però sempre ignorata da storici, scienziati e tecnici. Negli ultimi decenni dell'Ottocento il problema dell'impaludamento del lago divenne così il comodo pretesto usato per ingarbugliare le menti alla gente del lago e per convincerle ad acconsentire alla sostituzione del delicato apparato naturale di scarico del lago con altri sistemi artificiali mediante gallerie. Anche se il fine fondamentale dei fautori della drastica correzione dello stato naturale del lago fu quello, mai palesato, di arrivare a disporre di quanti più possibili milioni di metri cubi d'acqua, paradossalmente le motivazioni da loro sbandierate furono quelle di rendere il lago salubre e sicuro. Per decenni con questa scusa lavorarono i fianchi delle comunità costiere; con l'altra scusa poi, pur convincente e chiara del benessere generale che si sarebbe ottenuto sfruttando la forza idraulica dell'acqua per produrre elettricità, Ministeri e ragion di Stato, senza mai tradire l'esatta intenzione, ottennero quindi, quale primo passo, l'autorizzazione a fare un bel buco sul fondo del lago. Nel secondo decennio del Novecento, finalmente il traforo fu autorizzato. Così, dopo trenta anni di assemblee, progetti, relazioni e astuzie varie, a far capire alla caparbia gente di montagna quali fossero i benefici che avrebbero avuti a lasciare che il lago venisse addomesticato dalla sua originale selvatica e perversa natura e a convincere lo Stato del grande bene nazionale che sarebbe derivato col solo sacrificio di un così limitato ambiente naturale, con decreto del venticinque ottobre 1917, gli intraprendenti e audaci pionieri di quei tempi ottennero la concessione di sistemare a "serbatoio artificiale" il lago d'Idro. Nell'immediato periodo successivo a quel decreto, con il quale si autorizzò la "sistemazione", cioè lo snaturamento del più grande lago alpino, fu presto quindi sistemato il nevralgico e già compromesso punto di emissione dell'acqua del lago nel fiume Chiese mediante il relativo allargamento e livellamento del fondo, la costruzione di possenti paratie in acciaio per alzare e regolare il livello oltre la quota naturale, e la realizzazione di due gallerie, della complessiva portata di 130 metri cubi al secondo, sul fondo del lago, a più di dieci metri di profondità per abbassare e regolare il deflusso al di sotto di tale quota. Con questa "sistemazione", l'alveo dell'emissario venne ulteriormente manomesso, occupato con altre opere, e il suo argine sinistro fu spostato e reso instabile grattando il fianco di quel monte, lungo il quale, fino a un secolo prima, passava la strada secolare. In teoria, da quel momento si poteva prelevare dal lago come, quando e quanta acqua si voleva. La tanto agognata metamorfosi della complessa, grande quanto delicata risorsa idrica, fu compiuta. Nel giro di una manciata d'anni dal decreto emesso sotto le bombe in piena guerra mondiale, i moderni manovratori di rogge, canali forzati e navigli cambiarono d'abito. L'originario ente promotore, costruttore e concessionario si trasformò beffardamente, in simbiosi col lago, in "Società Lago d'Idro" inglobando alle vecchie energie finanziarie idroelettriche e idrauliche quelle nuove dei possidenti agricoltori. Nel 1927 la "Società Lago d'Idro" era già titolare della concessione di invaso, regolazione ed erogazione dell'acqua. Essa aggirando ostacoli di varia natura, pur di riuscire a perfezionare la capienza del suo grande serbatoio, calpestando diritti e natura della vita del lago e ignorando promesse e lusinghe fatte ai rivieraschi dai fautori originali suoi predecessori, in meno di un lustro ottenne dallo Stato accondiscendente un perfezionamento pure del decreto iniziale con il quale si prolungava, da 50 a 70 anni il diritto d'uso dell'acqua, spostando il termine al 1987; e le si concedeva di abbassare

di altri metri la quota minima di svaso. La Società del benessere coronò così il sogno, che fu anche quello dei suoi precursori, di poter predisporre del suo bel vascone, incastonato tre le Alpi, di circa 80 milioni di metri cubi d'acqua. Un volume d'acqua ricavato in casa d'altri, con l'autorizzazione emessa, in nome della ragion di Stato, di fare salire di oltre 2 metri la quota naturale del livello di un bacino lacustre e di farla scendere al di sotto di questo di altri 5. L'autorizzazione valse oltretutto il diritto di sommergere terreni privati e pubblici e, con tale propiziata scusa, si potè acquistare con quattro soldi terreni di poveri contadini, accampando il motivo-dititto che comunque quei terreni venivano sommersi dalle acque. Terreni che oggi valgono suon di palanche, cioè fior di euro. Nel 1955, lungo tutto il percorso dell'alto Chiese, a monte del nostro lago, furono costruiti dei grandi serbatoi per centrali idroelettriche, aggravando e completando l'alterazione dello status del lago, degradandolo, da allora, anche ad essere considerato "vasca di compensazione", oltre naturalmente alla già subita metamorfosi da lago naturale a "serbatoio artificiale" di acque di riserva.
Nel 1987 scade la concessione decretata nel lontano 1917 e lo Stato diventa proprietario degli impianti di trasformazione del lago. I paladini del progresso e del benessere targati "Società Lago d'Idro" chiedono prontamente il rinnovo vantando diritti. (Sono passati più di cent'anni, la storia si ripete, metodi, astuzie, strategie sono sempre gli stessi di un tempo). L'estrazione della risorsa idrica si fa preziosa e si riduce di oltre la metà, su parere delle autorità scientifiche e giuridiche statali, coinvolgendo i rappresentanti delle comunità lacustri. Loro, quelle volpi di acquivendoli, intanto non demordono e prendono tempo, aspettano situazioni politiche propizie, dicono di essere gli esperti e che gli impianti per la regolazione artificiale del lago sono da perfezionare: sentite un po' per quale ragione! Paventano che il luogo nevralgico in cui il lago sgorga nel fiume sia minacciato dalla paleofrana, neanche fosse un loro sogno subconscio. Una montagna lì da più glaciazioni, come tante altre, loro la scorgono ora. O forse si riferiscono semplicemente alla instabilità dell'estremo lembo di questo monte, da loro stessi grattato e reso tale pertanto non certo da cause naturali, a meno che non si intenda il fenomeno dettato anch'esso dalla perversa natura del lago, quale temporale perturbazione dello spirito e della ragione delle cose. Il resto è cronaca di questi giorni.
Si deve partire dalla storia perché sia la voce dello spirito, ma più ancora sia il corpo di uno snaturato lago a esprimere con amarezza e tanta diffidenza la denuncia per il danno subito e a mettere pertanto in evidenza l'irreversibilità del guasto morfologico, geologico e biologico, ossia del degrado vitale causato all'ambiente lacustre. Si deve iniziare con il sottolineare come fossero ospitali e sinuose, con fondali assestati e stabili, le rive di questo lago, che nel corso di un secolo di deterioramento, si sono trasformate in sponde aride e sassose. Una trasformazione resa possibile dai profondi e incauti svuotamenti di sette metri di livello, pari a ottanta milioni di metri cubi di acqua, con conseguenti sistematiche escursioni e lavorio delle onde che per così lungo periodo hanno denudato, eroso e rese sempre più ripide tali sponde, trasformandone per sempre l'aspetto morfologico e l'assetto idrogeologico, fino a farle sembrare bordi di crateri che in certi periodi assumono somiglianze da ghiera ampia e profonda, da inferno dantesco. Si deve rilevare anche, a proposito di assetto idrogeologico, quanto questo fattore abbia influito sulla stabilità del sottosuolo circostante a causa dei ripetitivi, drastici drenaggi agli strati di materiali di cui è composto. Per tale rilevazione non mancano documentazioni e fatti di sconquassamento di suolo, registrati da vari cedimenti di edifici, e valga per tutti il più recente e grave cedimento pericoloso della settecentesca chiesa parrocchiale di Idro. Si deve proseguire col denunciare i laceranti mutamenti fisici e formali di un tipico litorale, provocati dalla definitiva

scomparsa di svariate specie e peculiarità di vegetazione ittica adattatasi, selezionatasi durante un millenario processo, per cui la loro presenza era incontestabilmente arricchimento vitale e paesaggistico di un ambiente singolare lacustre. Si deve rimarcare il fatto che la sostanziale essenza arcaica dell'essere lago è stata degradata nella sua specificità biologica in quanto i suoi valori di temperatura di ossigenazione e di organicità sono stati rivoluzionati dagli sproporzionati e frequenti movimenti di masse d'acqua provocati dall'artificioso regime assegnatogli con la trasformazione in serbatoio "di compensazione". Ma anche l'altrettanto artificioso sistema di scarico, appositamente realizzato tramite gallerie sul fondo del lago e non per traboccamento di superficie, ha fortemente destabilizzato la dinamica delle correnti e del ricambio dell'acqua. Sicché tale sistema fa sì che tutte le impurità e la sporcizia in sospensione siano trattenute nel lago, trasformandolo così in pattumiera di tutto l'ampio bacino che gli sta attorno e a monte. Si deve lamentare quindi quanto l'invadente atto ha defraudato la ricchezza faunistica e microorganica, dunque distrutto per sempre un habitat, pertanto irrimediabilmente cancellate specie di fauna ittica autoctone e di conseguenza distrutta una particolare e ricca, pescosità annotata fino dal 1458 dall'umanista Ubertino Posculo, nella sua relazione tenuta ai governanti di Brescia; ma anche citata un secolo e mezzo dopo dal veneziano rettore di Brescia Giovanni da Lezze nel suo "Catastico Bresciano" in cui è segnalata ed esaltata la mitica trota del lago d'Idro. Ora, in seguito allo snaturamento del lago, irreversibilmente sparita. Si deve porre inoltre il quesito per sapere quale sarebbe oggi il valore del patrimonio di questo ambiente lacustre e quali richieste turistiche e residenziali potrebbe soddisfare, se fosse ancora integro in quegli aspetti peculiari che lo impreziosivano. E, fra tanti presupposti che lo qualificavano, valga citarne uno per tutti come segno del sacrificio impostogli, che è poi quello che le popolazioni locali si raffigurano quando pensano a cosa potrebbe offrire il loro lago in termini di immagine, se potesse fregiarsi ancora oggi della presenza della trota marmorata, salmonide autoctono, dalla rosea carne prelibata, per secoli ambito cibo cerimoniale conteso da nobili casate, fra le quali spiccava quella dei Savoia. Si deve evidenziare in fine l'effetto ed il peso usurpanti causati dalla mancanza delle disponibilità caratteristiche sottratte a questo ambiente e con cui si sono spezzati equilibri fisiologici fra abitanti e territorio, per metterli in conto e per valutare quanto tale depauperamento di cultura di lago abbia disorientato la mentalità e l'intraprendenza necessarie a ripensare un'altra qualificata economia quale può essere quella turistica.
Perché la voce di questo ambiente di lago non si cicatrizzi assieme alle sue indelebili ferite, né si celi fra gli ilari veli delle sue malinconiche atmosfere, bensì resti a testimoniare del danno infertogli e dei rischi che ancora corre, è doveroso parlare anche di responsabilità. Parlare dunque per denunciare l'uso indiscriminato e rovinoso, compiuto con autoritario consenso dello Stato, di un lago che la natura, prima che allo Stato, ha assegnato a quelle popolazioni cui per sorte è toccato nascere e formarsi attorno e dentro l'architettura di quell'habitat. E che quindi di questo sono parte intrinseca, perché Vi (dentro tali popolazioni) si sono modellate la coscienza e la ragione stessa di esistere. Un sacrificio dunque imposto in nome di un temporale sviluppo generale e che fin dalle origini sembrò di dubbiosa congruità. Tanto è che il decreto di legge della sospirata concessione, emesso in nome del popolo italiano nel 1917, autorizza la trasformazione del conteso lago esclusivamente per scopi idroelettrici e non irrigui, come poi successivamente è accaduto. Parlare di ragione di Stato o di giusta ragione è concetto complesso che ci tirerebbe in ballo tutti. Meglio per ora andare più al sodo e chiamare in causa politici, legislatori e governanti e chiedere loro perché, in tempi in cui si definiscono presenze da tutelare quali beni ambientali pure i paracarri, lo sconcio creato al lago d'Idro da

nessuno sia veramente ritenuto un grosso impatto ambientale, qual è innegabilmente. È possibile che regni tanta disinformazione e che il danno continui, mentre il caso viene eluso dallo Stato stesso, facendo in modo che passi come semplice faccenda di carattere agricolo e perciò di competenza dell'apposito dicastero, che poi lo Stato delega a risolvere la Regione Lombardia? Parlare per chiamare in causa i responsabili della zona, parlamentari, assessori e consiglieri a vari livelli, è sacrosanto dovere, al fine di sollecitarli a interessarsi del problema, rammentandogli che questo non deve essere per loro solo un argomento quale scioglilingua di vane promesse nei discorsi elettorali; per farsi spiegare da loro la ragione per cui la costruzione di un viadotto o di una galleria, la rimozione del suolo o di un particolare albero, per non dire di un fatiscente intonaco, siano considerati impatti ambientali sottoposti all'attenzione ecologistica e storicistica a trecentosessanta gradi fino a far intervenire ministri, sottosegretari, soprintendenti e ispettori (e spesso questi ultimi in atteggiamento vessatorio), quando poi tutto ciò che è stato fatto e si continua a fare al lago d'Idro appare atto distruttivo sopportabile, tanto che nessuno si sente in dovere di mettervi becco.
Parlare perciò dei gestori dell'acqua del lago vuol dire, per questa gente, ricordare in quale modo in passato quel compito fu assolto, per cui essa ora non intende più sopportare che venga ancora affidata a enti, consorzi o a combriccole composte da interessati ed esperti prelevatori d'acqua. Dunque i politici, i burocrati e i vari amministratori lontani e vicini sappiano che essa è pronta a dar fiato e orgoglio nel pretendere che ad arbitro e tutela venga posto un ente al di sopra delle parti. Ed è pronta anche a chiedere conto e spiegazione da dove provenga tanta ostilità a riconoscerle il diritto alla compartecipazione nel definire regole e criteri nella gestione e distribuzione di tale risorsa della quale essa risulta connaturata parte. Parlare di acqua come risorsa, che disegna e forma l'ambiente dove voce e orgoglio della gente che lì vi abita prendono vita, per esigere che venga spiegato perché mai per quelle terre poste fra Brescia e Mantova, in nome della fertilità delle quali, tra il 1917 e il 1987, si siano consumati miliardi di metri cubi d'acqua, quando, nei quindici anni che ci separano dalla scadenza nel 1987 della concessione ad oggi, per mantenere vegete e produttive le stesse terre, è bastato un uso più moderato, ridotto di circa due terzi delle risorse idriche. E dato che siamo sull'argomento, per esigere anche che venga spiegato il motivo per cui si è voluto rinunciare, da parte degli acquivendoli, pure della legittima quota d'acqua derivante dal fatto che il lago in questo ultimo lasso di tempo non è mai stato portato nemmeno alla sua massima quota naturale. Parlare per intenderci e per evitare che si ripetano vecchi metodi e vizi e perché siano chiare le responsabilità e trasparenti le finalità di coloro che sono intenzionati a perfezionare e potenziare l'apparato per l'invaso e lo svaso del lago perché il motivo sin qui dedotto non solo non è chiaro ma allarmante, in quanto è lo stesso identico falso motivo di quello da sempre adottato dai loro avi, quello cioè di difendere il lago dalla sua perversa natura. Perché loro, i paladini contro la fame, la sete e le calamità naturali, hanno solo adesso, dopo il 1987, individuato una paleofrana che incombe là, in quel punto nevralgico, dove l'acqua del lago ridiventa fiume. Una paleofrana che poi altro non è che l'enfatizzazione di un termine usato per indicare il pericolo della instabilità di un argine. Per cui, semmai si trattasse di così serio pericolo, a scongiurarlo, basterebbe rimuovere l'apparato artificiale di sbarramento del lago, smantellando paratie e gallerie e lasciare che l'acqua tracimi e valichi rigurgitando flutti e potenza nell'alveo dell'emissario, perché possa tornare a tener sgombro questo da ogni ed eventuale smottamento dei suoi fianchi. Il suggerimento, anche se sicuramente risolutivo, può sembrare paradossale, non meno paradossale però di quanto ora a ragion veduta risulti il fatto che quell'argine sia stato grattato e reso instabile nei

due ultimi secoli con il convincimento di preservare e arricchire ambiente e territorio.
L'ipocrisia e la falsa ragione possono anche portare momentaneo successo, ma un vero e duraturo progresso si costruisce con ben altri parametri, quali la concretezza e la lealtà intellettuale. In questa faccenda sembra però che siano le prime ad avere la meglio, in quanto, il primario elemento di ricchezza o risorsa più preziosa, indispensabile per ottenere l'agognata qualità della vita, quale dovrebbe essere l'acqua in sé (ma anche l'insieme del luogo del suo giacimento fisico e organico, compresa la peculiarità plastica e l'azione modellatrice del complesso equilibrio della sua dinamica fluviale) sia purtroppo ancora considerata una risorsa da sfruttare opportunisticamente, di cui è acconsentito l'abuso e il sacrificio in nome dell'effimera ricchezza di un momentaneo benessere. Cosicché in tale contesto, quella che si può definire coscienza di lago (intendendo con ciò non tanto chiamare in causa la contemporanea sensibilità della gente interessata, quanto innanzitutto evocare lo spirito latente sedimentato nella storia, nella atavica cultura, ma anche evocare quello che si può definire il racconto della natura) sente il dovere e il diritto di esprimere, con quel tanto di vigore rimastole, il risentimento per l'uso improprio fatto delle sue risorse lacustri e che tutto lascia supporre si intenda ancora perpetrare. Sente il dovere di far notare, con ironica smorfia, come sia stato fatto uso paradossale perfino del suo nome, preso a marchio dell'impresa realizzata e blasonata appunto dalla denominazione "Società lago d'Idro". Ma la vera società del lago d'Idro è quella che vive tuttora attorno al lago, e che è tale per storia, etnia e naturale diritto! È una società composta di poche comunità nate e predestinate a consumare lì la loro esistenza, e che in quel territorio, fatto di terra e acqua, devono attingere prima ancora delle risorse per vivere, la ragione stessa dell'esistere, come un qualsiasi altro popolo nato e insediato in qualsiasi altro territorio. Questa gente di montagna, per natura arroccata e diffidente, pur sapendo quanto sia costata ad essa e in genere all'ecosistema la manipolazione di quel bene supremo che è l'acqua, specie del loro lago, si rende perfettamente conto di quanto questo bene sia prezioso. E più di tanti altri conosce anche che, accanto al fondamentale valore energetico e vitale, l'acqua nasconde insidie e pericoli. Quindi più di qualsiasi tanta altra gente sa quanto sia opportuno razionalizzare e controllare il suo decorso, specialmente al fine di migliorare le condizioni del vivere quotidiano. Perciò è gente ben consapevole che il regime dell'acqua del loro lago può essere regolato in altro modo da quello assegnatole dal caos naturale per sfruttare energia e linfa nell'interesse ampio e grande di una nazione; ma sa anche che c'è modo e modo di usarla questa benedetta acqua perché egoismi e superficialismi ed errori di scelta portano, come la storia insegna, ad irreversibili guasti. E sanno questi montanari lacustri che anche l'insieme del loro ambiente è una terrestre risorsa, non solo di quel loro particolare lembo di terra, bensì della globalità delle cose, come lo è l'acqua, anch'essa distruggibile come tutte le cose. Per cui ricordiamoci che nel terzo millennio le risorse idriche non si possono e non si devono considerare interminabili giacimenti, come sono state considerate in passato. Pertanto la si usi pure questa acqua contesa, ma per favore lo si faccia con cognizione e con leale sforzo di trasparenza e di coinvolgimento di intesa, con chi in teoria dovrebbe tenere il coltello per il manico, ossia i lacustri, per fissare regole e organismi collegiali di controllo ed erogazione delle acque e non può essere trattato e legiferato come mera questione irrigua, bensì idrica, con tutte le implicazioni che il termine comporta. Poi tutti insieme fate lo sforzo di guardare e di usare l'acqua non con spirito ottocentesco, bensì con spirito aggiornato al terzo millennio, per vederla come risorsa distruttibile e non solo in quanto corpo fluido, ma anche plastico, con cui ci si può appagare e misurare nel modellarlo sul territorio.

Ma, per favore, fatelo con l'arte dovutale e con tanto, tanto rispetto, come esige Sua Maestà, la Natura» -:
se sia a conoscenza della vicenda descritta in premessa;
quali iniziative urgenti intenda adottare al fine di ricondurre nella normalità il grado di tutela e di equilibrio ambientale del lago d'Idro;
se non intenda attivarsi verso le autorità competenti affinché sia fissata la quota minima del lago alla misura di 368 metri sul livello del mare e la quota massima del lago alla misura di 369 metri sul livello del mare, nonché sia consentita la regolazione a serbatoio del lago d'Idro solo ed esclusivamente per l'escursione di 1 metro (da 368 a 369 metri sul livello del mare) e con il volume determinato dal prodotto dell'altezza della lama d'acqua di 1 metro per la superficie del lago (ca. 11,4 exp 6 mc.).
(3-00219)

Interrogazioni a risposta in Commissione:

GIUDICE. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. - Per sapere - premesso che:
con un atto di indirizzo approvato dalla Camera nel corso dell'esame del disegno di legge di conversione del decreto-legge n. 223 del 2006, recante disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, il Governo è stato sollecitato ad adottare misure idonee allo scopo di evitare il licenziamento di 130 operai di cui attualmente si avvale, con contratto a tempo determinato, il Parco nazionale dello Stelvio per la realizzazione di numerosi progetti ed iniziative di notevole importanza;
il licenziamento interverrebbe qualora si applicassero in termini eccessivamente restrittivi le disposizioni in materia di contenimento della spesa per l'utilizzo di personale a tempo determinato da parte di amministrazione pubbliche, di cui all'articolo 1, comma 187, della legge n. 266 del 2005 (legge finanziaria per il 2006) -:
quali iniziative abbia adottato, conformemente all'atto di indirizzo già approvato alla Camera, e quali misure intenda assumere per scongiurare il licenziamento di 130 operai stagionali impiegati presso il Parco nazionale dello Stelvio anche al fine di evitare di pregiudicare l'operatività del Parco.
(5-00178)

CORDONI e MARIANI. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro per i beni e le attività culturali. - Per sapere - premesso che:
l'articolo 114, commi 15 e 16, della legge n. 388 del 2000, ha previsto l'istituzione del Parco archeologico delle Alpi Apuane, per conservare e valorizzare gli antichi siti di escavazione e i beni di rilevante testimonianza storica, culturale e ambientale connessi con l'attività estrattiva;
la medesima norma ha attribuito la gestione del Parco archeologico in oggetto ad un Consorzio da costituirsi tra il Ministero dell'ambiente, il Ministero per i beni e le attività culturali, la Regione Toscana, gli enti locali e l'Ente Parco Regionale delle Alpi Apuane;
nel 2001 il Ministero dell'ambiente ha avviato l'iter istitutivo del Parco archeologico e, in accordo con le amministrazioni interessate, era riuscito ad individuare i siti e i beni da inserire nel Parco, i relativi obiettivi di tutela e valorizzazione, elaborando pure un primo schema del decreto;
il 19 marzo 2003, lo schema del decreto è stato trasmesso alla Regione Toscana ai fini dell'espressione dell'intesa richiesta dalla legge e la Regione stessa è stata invitata ad acquisire il parere preventivo dei Comuni interessati;
con deliberazione n. 23 del 12 febbraio 2003, il Consiglio regionale ha approvato l'intesa sul Parco archeologico, dopo aver acquisito i pareri favorevoli di tutti i Comuni interessati, chiedendo di

apportare allo schema di decreto alcuni adeguamenti che sono stati accolti e la Regione Toscana in data 13 marzo 2003 ha trasmesso copia della deliberazione al Ministero competente;
il 22 aprile 2003 il Direttore generale del Servizio Conservazione della Natura del Ministero dell'ambiente con una nota ha comunicato la necessità di operare alcune modifiche sulla bozza di decreto istitutivo, con il passaggio della presidenza della Commissione Statuto e Regolamento contabilità, dal Presidente dell'Ente Parco Regionale delle Alpi Apuane ad un rappresentante dei Ministeri dell'ambiente e della tutela del territorio e per i beni e le attività culturali;
il Consiglio Regionale della Toscana, di fronte ad una situazione perdurante di stallo - che non trovava alcuna motivazione espressa - in data 5 novembre 2003 ha approvato, con voto unanime, la mozione n. 665 (a seguito di specifica iniziativa della V Commissione consiliare), invitando la Giunta Regionale a «promuovere tutte quelle iniziative che riterrà più idonee al fine di sollecitare i competenti Ministri dell'ambiente e della tutela del territorio e per i beni e le attività culturali, alla firma del decreto di istituzione del Parco archeologico delle Alpi Apuane»;
in data 14 novembre 2003, l'Assessore Regionale all'Ambiente della Toscana, Tommaso Franci, ha chiesto all'allora Ministro dell'ambiente - in forza del mandato consiliare - di essere informato «in merito agli imprevisti e/o problemi che ritardano il completamento della procedura istitutiva e, qualora questi non fossero presenti, i tempi previsti per l'emanazione del decreto stesso»;
in data 6 aprile 2004 in risposta ad una interrogazione parlamentare al Ministro dell'ambiente presentata l'11 dicembre 2003, in sede di VIII Commissione parlamentare della Camera dei Deputati, il Sottosegretario di Stato, onorevole Roberto Tortoli ha riferito che i Ministeri competenti non potevano istituire il Parco archeologico delle Alpi Apuane, sia per i limiti e la laconicità delle norme contenute nell'articolo 114 della legge n. 388 del 2000 (in cui si trova la sua previsione di legge), sia per carenze nella bozza del decreto istitutivo, elaborata già nella primavera del 2001 ed oggetto dell'intesa tra enti locali e Regione Toscana;
in particolare a detta dei due Ministeri le questioni da risolvere al riguardo sarebbero state rappresentata dalla novità legislativa rappresentata da un parco archeominerario rispetto alla legge n. 394 del 1991 «Legge quadro sulle aree protette», la mancanza di indicazioni nella legge n. 388 del 2000 in merito alle modalità di costituzione di un Consorzio gestore di un Parco archeominerario, l'eterogeneità dei soggetti istituzionali, centrali e periferici, che vi partecipano, con la distinzione dei loro poteri d'azione e le sfere di competenza, l'individuazione degli organi fondamentali del Consorzio gestore e alle modalità di nomina dei titolari degli organi, la necessità di introdurre, nella bozza di decreto istitutivo, organismi di gestione provvisoria, fino alla costituzione del Consorzio, poiché «non previsti al momento da alcuna specifica norma», nonché «la manifesta difficoltà di concludere l'iter costitutivo dei Consorzi nei tempi previsti dalla gestione provvisoria»;
l'articolo 114 della legge 23 dicembre 2000, n. 388 prevede l'istituzione, con modalità simili, non soltanto del Parco archeologico delle Alpi Apuane (ai commi 15 e 16), ma pure di altri tre parchi archeominerari, quali il geominerario della Sardegna (comma 10), il tecnologico ed archeologico delle colline metallifere (comma 14) e il Museo delle miniere dell'Amiata (ancora comma 14);
l'istituzione degli altri tre parchi archeominerari è avvenuta regolarmente nonostante che la stessa legge n. 388 del 2000 rappresenti anche per loro una novità rispetto alla legge n. 394 del 1991, oltre a non indicare, pure in questi casi, le modalità di costituzione dei rispettivi Consorzi;
nello specifico degli altri due parchi archeominerari toscani, i decreti istitutivi

sono del tutto simili alla bozza predisposta per il Parco archeologico delle Alpi Apuane, riportando spesso le medesime formule ed espressioni giuridiche e pertanto non si può fare a meno di rilevare contraddizioni e disparità di trattamento rispetto ad altri analoghi casi portati a termine da parte dei medesimi responsabili dei Ministeri interessati;
secondo gli interroganti, non c'è quindi alcuna «necessità d'introdurre organismi di gestione provvisoria» del Parco archeologico delle Alpi Apuane, poiché la bozza di decreto ha attribuito chiaramente questa funzione-ponte all'Ente Parco Regionale delle Alpi Apuane tenuto debito conto che l'Ente Parco gestisce gran parte del medesimo territorio e dunque conosce la realtà ambientale e paesaggistica, d'ambito interprovinciale, meglio di qualsiasi altro soggetto, soprattutto se di neo-istituzione;
inoltre non sembra costituire ostacolo la manifesta difficoltà di concludere l'iter costitutivo dei Consorzi nei tempi previsti dalla gestione provvisoria, poiché né la legge, né la bozza di decreto istitutivo pongono termini temporali agli atti costitutivi;
ad una interpellanza parlamentare presentata sempre al Ministro dell'ambiente in data 23 novembre 2004 il Ministro ha risposto in data 15 dicembre 2004, riproponendo le stesse considerazioni della risposta dell'Onorevole Tortoli del 6 aprile 2004;
ad oggi i tre Parchi archeominerari geominerario della Sardegna, tecnologico ed archeologico delle colline metallifere e il Museo delle miniere dell'Amiata sono oggi normalmente in funzione, con organi in piena carica, continuando a ricevere il contributo statale per il loro funzionamento, mentre invece il Parco archeologico delle Apuane, ha visto i soli trasferimenti del triennio 2001-2003, per altro introitati dall'Ente Parco Regionale e non ancora utilizzati per la mancata firma del decreto istitutivo;
inoltre in sede di parere sullo schema di ripartizione dello stanziamento previsto nello stato di previsione del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio per l'anno 2006, l'VIII Commissione ha raccomandato la rapida adozione del decreto istitutivo del Parco Archeologico delle Alpi Apuane;
se non ritenga sia giunto il momento di procedere all'istituzione del Parco archeologico delle Apuane, firmando il decreto istitutivo già pronto da lunga data.
(5-00185)

Interrogazioni a risposta scritta:

PINI. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. - Per sapere - premesso che:
nel mese di maggio del corrente anno si apprendeva dagli organi di stampa la notizia circa una probabile fuoriuscita di materiale di raffreddamento contaminato da combustibile nucleare dall'impianto nucleare di Saluggia (Vercelli);
all'epoca dei fatti il responsabile comunicazione della Sogin, Spa statale incaricata della gestione dei siti nucleari italiani inattivi, dichiarava che tali infiltrazioni erano episodiche e che comunque venivano prelevate e riversate nelle piscine di raffreddamento dell'impianto;
contestualmente l'ARPA Piemonte dichiarava che era da escludersi ogni ipotesi di fuoriuscita verso l'esterno della piscina del suddetto liquido di raffreddamento;
rilevato che pochi giorni fa, sempre attraverso organi di stampa, l'APAT (agenzia per la protezione dell'ambiente e del territorio) ha accertato la presenza di un radionuclide (stronzio) in una media dieci volte superiore alla norma in più punti all'esterno della piscina ad una profondità di ben sette metri sotto il livello del suolo;
da parte di Sogin non risultano all'interrogante né ulteriori comunicazioni in merito al gravissimo problema e rischio di inquinamento delle falde acquifere cir

costanti né tantomeno solleciti interventi mirati ad evitare un plausibile disastro ambientale -:
se il Ministro sia a conoscenza della grave situazione di rischio relativo all'impianto nucleare di Saluggia;
se corrisponda al vero quanto riportato dalla stampa nazionale circa l'immobilismo di Sogin relativamente al suddetto problema;
se il Ministro verificata la fondatezza delle informazioni, rilevate a mezzo stampa, intenda intervenire sui vertici Sogin affinché predispongano in tempi brevissimi interventi urgenti a tutela della salute pubblica e dell'ambiente.
(4-00915)

LION. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. - Per sapere - premesso che:
l'interrogante è stato informato di un intervento infrastrutturale concernente la costruzione di un metanodotto in parte da realizzare sul territorio marchigiano e che, come si evincerebbe dal procedimento amministrativo istruito presso gli Uffici Servizio Progettazione Opere Pubbliche - V.I.A. del Dipartimento Territorio e Ambiente della regione Marche, ha per oggetto: «Ulteriore potenziamento importazione Sud - Tratto funzionale Foligno - Sestino»;
l'opera è sottoposta a un parere di Valutazione d'Impatto Ambientale nazionale di competenza del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e del Ministero dei beni culturali, nonché e ad un parere della regione Marche riguardo la valutazione d'impatto ambientale (VIA) e alla conformità urbanistica di competenza del Ministero delle infrastrutture;
il progetto nazionale interessa cento comuni e dieci regioni, tra cui Marche, Lazio, Umbria, Toscana, Emilia Romagna, ha una lunghezza totale di 687 Km ed un perimetro superiore a 3 metri corrispondente ad un diametro di 1.200 mm complessivi. Per quanto riguarda il tratto d'interesse della regione Marche, il progetto prevede un percorso di oltre 47 Km, trattandosi, in particolare, dell'attraversamento di due comuni nel tratto Sulmona-Foligno, di lunghezza pari a 10,5 Km; l'attraversamento di tre comuni e 700 ditte catastali nel tratto Foligno-Sestino, di lunghezza pari a 22,6 Km ed infine il tratto Sestino-Minerbio, di lunghezza pari a 14 Km;
l'opera è stata dichiarata di interesse pubblico in quanto, secondo quanto dichiarato da SNAM progetti, dovrebbe consentire di raggiungere l'obiettivo del raddoppio dei metanodotti delle reti nazionali e regionali con un incremento generale della capacità di trasporto del gas naturale liquefatto, mentre in ambito locale dovrebbe permettere di realizzare una maglia per le reti esistenti in modo da conferire maggiore sicurezza, flessibilità e affidabilità al sistema di trasporto;
il progetto di cui trattasi presenta alcune considerevoli criticità, una di esse concerne la grande dimensione del diametro del tubo. Esso deve essere calato in una trincea profonda cinque metri cui corrisponde, come area direttamente interessata dai lavori, una servitù di gasdotto coincidente con una striscia di terreno di quaranta metri (venti per parte). Tale porzione di superficie, essendo lunga quanto il gasdotto, configura un cantiere largo quaranta metri e lungo centinaia di Km;
a quanto risulta all'interrogante, la SNAM ha fornito spiegazioni che in diverse sedi sono state giudicate insufficienti per giustificare l'effettiva necessità di un opera di tali dimensioni senza invece verificare l'esistenza di soluzioni alternative di minori dimensioni ed impatto. La stessa SNAM non ha dato informazioni sufficientemente dettagliate sui sistemi di scavo e di spostamento dei mezzi. Il timore che sorge a causa della presenza di diverse zone molto scoscese, unite alla necessità di utilizzare mezzi di grandi dimensioni, è che si debba ricorrere ad una servitù di

gasdotto sicuramente superiore ai 40 metri oggi previsti;
il destinatario finale dell'opera risulterebbe essere la British Gas. Se tale competenza corrispondesse al vero si avrebbero forti perplessità nel poter designare come opera d'interesse pubblico il gasdotto di cui trattasi, in quanto facendo capo la distribuzione del gas ad una compagnia privata quale la British Gas, perderebbero di significato gli asseriti scopi di interesse pubblico contenuti nella «magliatura» della rete esistente;
dal punto di vista ambientale e paesaggistico si rileva che il tracciato è in grado di ledere zone appenniniche di elevato valore, cioè quelle di maggior pregio naturalistico, e che nelle stesse aree negli ultimi anni si è affermata una realtà turistica in costante crescita, grazie a consistenti investimenti pubblici e privati. Il gasdotto andrebbe a incidere proprio su queste zone interessate da azioni di crescita rivolte alla tutela delle risorse naturali secondo uno sviluppo misurato e compatibile della fruizione turistica del territorio e non sarebbe da escludere che la portata dell'intervento potrebbe compromettere irreparabilmente la sopravvivenza delle nascenti attività economiche quali l'agriturismo, le case per vacanze, i CEA, eccetera;
alcune delle zone interessate dal tracciato sono attualmente allo stato «selvaggio», prive cioè di infrastrutture di qualsiasi genere, e difficili da raggiungere anche a piedi;
le Comunità Montane e i comuni interessati (segmento marchigiano, provincia di Pesaro e Urbino) hanno espresso il proprio dissenso e richiesto l'individuazione di un tracciato alternativo, che passi in zone antropizzate e di minor valore ambientale;
numerose Associazioni ambientaliste della provincia di Pesaro-Urbino hanno inviato una lettera al presidente della regione Marche sulla realizzazione dell'opera, esprimendo una valutazione fortemente negativa del progetto poiché creerebbe una situazione irreversibile per i territori montani dell'alto pesarese, sia sul piano ambientale, sia dal punto di vista economico, nonché per le comunità che hanno intrapreso una via d'avanguardia per il proprio sviluppo turistico compatibile;
le stesse associazioni si sono rivolte sia al Presidente della Repubblica tramite un Ricorso Straordinario, sia al T.A.R. del Lazio tramite un ulteriore ricorso sul decreto di pubblica utilità. Ulteriori iniziative di opposizione sono state annunciate in quanto anche la Valutazione di impatto ambientale sarebbe viziata da profili che la renderebbero nulla -:
se non intenda procedere ad un puntuale accertamento sui presupposti d'interesse pubblico del Gasdotto citato in premessa e ad ogni modo adottare le necessarie iniziative che possano consentire una revisione del progetto al fine di individuare soluzioni meno impattanti e lesive;
quali iniziative intenda intraprendere al fine di verificare la reale necessità dell'opera secondo le caratteristiche proposte e conseguentemente di poter conseguire una maggiore chiarezza sui suoi scopi reali, su chi ne sia il destinatario e gestore finale, sui reali benefici per il paese;
se non intenda riesaminare l'iter amministrativo che prima della valutazione di impatto ambientale ha riguardato il progetto nella forma fino ad ora proposto;
se non intenda verificare la legittimità dell'iter procedurale della Valutazione di impatto ambientale e in tale sede sottoporre il progetto alla necessaria Valutazione Ambientale Strategica di ambito pubblico;
se tuttavia, in caso l'opera avesse i requisiti per essere approvata secondo i presupposti allo scopo indicati, non intenda effettuare uno studio atto ad individuare soluzioni meno impattanti rispetto a quelle prospettate.
(4-00918)

GALANTE. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. - Per sapere - premesso che:
da articoli di stampa si apprende la notizia che alcuni cittadini della periferia ovest di Lucca Maggiano Farneta si sarebbero costituiti in comitato per denunciare l'aumento, nei mesi estivi, di casi di cefalee, alterazioni nervose a causa di un forte ronzio proveniente dai tralicci dell'alta tensione dell'elettrodotto aereo della linea La Spezia-Acciaiolo;
il suddetto Comitato, a tal proposito, ha presentato un esposto alla Procura di Lucca, ai carabinieri e alla ASL locale;
nell'esposto presentato il comitato avanza la richiesta di controlli sull'attività della linea elettrica e sul campo elettromagnetico da essa prodotto, facendo notare che la portata di 132 Kilowatora ha funzionato per un periodo a portata ridotta fino a quando una sentenza della Pretura di Pisa ha consentito di sfruttare la struttura;
già nell'ottobre 2005, il comitato aveva chiesto l'interramento della linea, senza ottenere risposta e ora è determinato a chiedere risarcimenti individuali e collettivi -:
se il Ministro non ritenga opportuno, secondo le proprie competenze, attivarsi al fine di procedere ad un capillare monitoraggio dei nostri elettrodotti al fine di tutelare la salute dei nostri cittadini e salvaguardare il decoro ambientale messo a rischio dall'elevato inquinamento elettromagnetico prodotto da alcuni di essi, per scarsa manutenzione o errata locazione.
(4-00928)

BARANI. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. - Per sapere - premesso che:
nella provincia di La Spezia, ai confini tra i comuni di Riomaggiore e Vernazza, con il parere favorevole della regione Liguria, della provincia di La Spezia e del Parco nazionale delle Cinque Terre, si intende costruire, in una zona incontaminata, una imponente struttura alberghiera di 8.000 metri cubi, che stravolgerà il millenaria assetto delle Cinque Terre;
tale intervento, se realizzato, comprometterebbe definitivamente la peculiarità del sito;
detta costruzione, che la stampa locale ha definito un «ennesimo ecomostro»; è prevista in una zona classificata come «paleofrana», a tal punto che già negli anni '60 le Ferrovie dello Stato hanno dovuto spostare a monte, in zona sicura, la linea ferroviaria;
l'UNESCO, nel 1997, ha iscritto questo sito come Patrimonio dell'umanità considerandolo «sito culturale di eminente valore che rappresenta l'interazione armoniosa tra l'uomo e la natura e produce un paesaggio di eccezionale qualità scenografica che illustra un tradizionale modo di vivere che è esistito per migliaia d'anni, e che continua a giocare un importante ruolo socio-economico nella vita della comunità (...) è un eminente esempio di tradizionali insediamenti umani che è rappresentativo di una cultura, specialmente nel momento in cui diviene più vulnerabile, sotto l'impatto di cambiamenti irreversibili» (Delibera UNESCO, Rapporto del World Heritage Committee - Napoli 1-6 dicembre 1997);
i comitati di cittadini sorti spontaneamente per sostituirsi alle latitanti funzioni di tutela del Parco, vengono osteggiati e mai consultati -:
quali iniziative formali intenda attivare il Ministro per conoscere il reale stato dei fatti riguardo la costruzione di questo complesso alberghiero e, se del caso, quali misure intenda adottare per impedire tale intervento edilizio e la conseguente definitiva compromissione dell'equilibrio ambientale e naturalistico della zona.
(4-00944)

LEOLUCA ORLANDO. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. - Per sapere - premesso che:
il lago d'Idro che rientra nel novero dei grandi laghi alpini, rappresenta un'importante

bene ambientale e demaniale ed è stato designato «sito di importanza comunitaria» entrando a far parte della rete europea Natura 2000;
il lago d'Idro è un invaso naturale la cui regolazione dei deflussi viene controllata da un sistema di opere costituito da una diga e da due gallerie, ma da anni si trova a livelli insufficienti del livello dell'acqua tali da compromettere la salute della flora e della fauna;
gli usi della risorsa idrica sono essenzialmente irrigue ed industriali e negli ultimi tempi le acque del lago vengono dichiarate dalla asl competente per territorio, non balneabili a causa dell'alto tasso di inquinamento ambientale e dell'acuta eutrofizzazione dovuta alla scarsa profondità;
nel 2001 la competenza per il rilascio della concessione della gestione del lago d'Idro è stata affidata alla regione Lombardia che ha emanato un regolamento provvisorio ed ha rinnovato di anno in anno la concessione a vari soggetti finché il 22 settembre 2004, ha aperto presso il Comune di Idro l'istruttoria per la gestione delle acque del lago;
sembra sia stata prospettata un'opera per la messa in sicurezza delle popolazioni lacustri della «terza galleria di svaso del lago» per la quale è prevista una spesa di danaro pubblico di 32 milioni di euro;
si è appositamente costituita una associazione strutturata sulla base di una assemblea permanente e paritetica di venti delegati per organizzare una energica azione di difesa del paesaggio;
tale compagine sociale rappresenta, il coordinamento delle cinque pro loco del lago d'Idro e riunisce tutte le associazioni pro loco esistenti nei quattro Comuni del lago stesso, ufficialmente riconosciute;
il coordinamento delle pro loco del lago d'Idro ha mosso un'azione legale di ampio raggio rivolta al Governo, alla regione Lombardia, alla provincia di Brescia e alla provincia di Trento;
il 16 giugno 2006, il Tar del Lazio a accolto il ricorso del coordinamento pro loco del lago d'Idro ordinando al ministero di consentire l'accesso agli atti del ministero delle infrastrutture;
appare necessario individuare una autorità che costituisca il nuovo Ente gestore dell'importante Ente ambientale rappresentato dal lago d'Idro che dovrebbe essere un Ente eterogeneo, rappresentato in modo equilibrato da tutti i soggetti interessati -:
se il Governo non ritenga di dover intervenire affinchè si assicuri il raccordo tra la Provincia autonoma di Trento e la Regione Lombardia per la propria competenza e responsabilità con lo Stato e con gli uffici competenti per arrivare ad una regolamentazione dell'utilizzo del lago d'Idro che rispetti le esigenze paesaggistiche e le necessità delle popolazioni interessate;
come intenda procedere perché siano adottate le misure idonee a salvaguardare l'equilibrio idrologico del lago d'Idro fissandone le quote minima e massima, rispettivamente a 380,0 mslm ed a 369,0 mslm.
(4-00954)

MARIO PEPE, FASOLINO, BRUSCO e CARFAGNA. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. - Per sapere - premesso che:
il 4 settembre 2006, nelle campagne di Sala Consilina (Salerno), in località «San Giovanni», gli uomini del locale Corpo forestale dello Stato hanno sorpreso alcuni camionisti mentre scaricavano rifiuti, in una zona peraltro sottoposta a vincoli paesaggistici ed ambientali;
sono finiti sotto sequestro un'area di oltre 1500 metri quadrati su cui erano stati scaricati migliaia di metri cubi di rifiuti in prevalenza edili e alcuni bidoni contenenti amianto; gli uomini della Forestale hanno denunciato i titolari delle ditte responsabili dello smaltimento illecito

e i proprietari dell'area in questione. I procedimenti sono ora al vaglio della Procura della Repubblica;
si tratta, dell'ultima di una serie di gravi violazioni delle norme sullo smaltimento dei rifiuti nel Cilento, ancora più gravi se si considera che per la gran parte il territorio è vincolato dall'omonimo Parco nazionale, che ha responsabilità di tutela anche in vaste aree contigue;
in questo ambito si ritiene opportuno evidenziare lo scarso controllo sul territorio esercitato dal Parco medesimo che sta portando al degrado del territorio, delle acque e delle aree costiere del Cilento, come più volte sottolineato dagli stessi ambientalisti locali anche in relazione a casi da essi direttamente segnalati al presidente del Parco, professor Tarallo -:
quali provvedimenti si intendano prendere riguardo il fatto sopra segnalato e se non ritenga opportuno procedere ad una immediata bonifica del sito non appena saranno rese note le risultanze delle analisi condotte dalla Procura della Repubblica;
se non ritenga opportuno sollecitare l'amministrazione del Parco del Cilento e del Vallo di Diano ad un rafforzamento della funzione di controllo del territorio, eventualmente autorizzando lo storno di quota delle vaste risorse (133 milioni di euro) messe a disposizione del Parco nell'ambito del Por (Piano operativo regionale) 2000-2006.
(4-00956)

RAMPELLI. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. - Per sapere - premesso che:
il 18 luglio 2006 a Roma, in un'area ad alta densità abitativa compresa tra via Appia e via Tuscolana, i Carabinieri del Comando per la Tutela dell'Ambiente - in collaborazione con il Nucleo S.A.F. (Speleo-Alpino-Fluviale) dei Vigili del Fuoco - hanno localizzato una discarica abusiva ricavata in antichi cunicoli sotterranei;
dai primi accertamenti effettuati - esclusa la presenza di materia radioattivo - sembrerebbe che i rifiuti rinvenuti siano in prevalenza costituiti da terre contaminate, imballaggi in plastica, rifiuti solidi urbani;
secondo i Carabinieri, la tipologia e la quantità dei rifiuti - quantificabile in centinaia di metri cubi - rendono possibile ipotizzare un uso industriale di queste cavità sotterranee per lo smaltimento illecito dei rifiuti «nel disprezzo della normativa e della salute pubblica»;
le propaggini dei cunicoli sotterranei - che pare si estendano per chilometri sotto le abitazioni - potrebbero avere una profondità tale da interessare la falda acquifera -:
se intenda attivarsi per l'inserimento della suddetta località nell'elenco dei siti inquinati da bonificare di cui alla legge n. 426 del 1998;
se al Governo risulti se sia stata avviata una indagine per accertare i responsabili degli scarichi abusivi e con quali risultati;
se non intenda intraprendere una rigorosa azione di monitoraggio, al fine di individuare nel territorio comunale l'eventuale presenza di altri siti illecitamente usati come discariche.
(4-00960)

RAMPELLI. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro del commercio internazionale. - Per sapere - premesso che:
dal 13 al 18 settembre il Governo italiano è stato in missione in Cina per partecipare alla Fiera Internazionale di Canton;
lo scopo principale della missione è stato quello di favorire lo sviluppo delle relazioni commerciali italo-cinesi e di delocalizzare le imprese italiane nel Paese di Mezzo;
la necessità di approvvigionamento energetico a sostegno di una crescita in

controllabile del prodotto interno lordo fa della Cina il maggiore paese produttore di inquinamento;
i programmi internazionali di difesa dell'ozonosfera, che pure hanno dato risultati soddisfacenti nell'ultimo decennio dopo la messa al bando dei gas Cfc, stanno per essere vanificati visto il ripresentarsi su Tibet e Antartide del buco dell'ozono;
la prevista realizzazione di centinaia di dighe sta producendo una fuga dalle campagne, un inurbamento forsennato, un impoverimento devastante delle comunità rurali, un inquinamento territoriale senza precedenti;
la crescita industriale repentina e l'uso indiscriminato di pesticidi, anticrittogamici e fertilizzanti (di cui la Cina è il maggior produttore) in assenza di cultura ambientale e di norme di salvaguardia ha prodotto l'inquinamento del 70 per cento dei bacini fluviali, negato l'accesso all'acqua potabile a 360 milioni di cinesi e fatto registrare oltre 2 milioni di avvelenamenti da arsenico finora accertati -:
in che modo il Governo intenda evitare che le imprese italiane delocalizzate realizzino i propri prodotti sfruttando i lavoratori e le lavoratrici, schiavizzando i bambini, minando la tenuta già a rischio del sistema ecologico del pianeta.
(4-00962)

LION e CAMILLO PIAZZA. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture. - Per sapere - premesso che:
il lago d'Idro, detto anche Eridio, è un lago di origine glaciale, alimentato dai fiumi Chiese e Caffaro. In corrispondenza delle rive dei lembi rivieraschi sono collocati gli abitati di Idro, con le frazioni Crone e Lemprato, di Anfo, di Ponte Caffaro (frazione di Bagolino) e di Baitoni (frazione di Bondone);
presenta una lunghezza massima di 11 km, una larghezza massima di 1,90 km, e una profondità massima di 120 m,;
dal 1917, il lago d'Idro è stato sottoposto a regolazione artificiale che non ne ha cambiato le caratteristiche proprie di Lago naturale;
il fatto che sul Lago di Idro si siano realizzate opere di regimazione e si eserciti un'attività di regolazione non deve consentire di trattarlo effettivamente come se fosse un'opera esclusivamente artificiale a solo scopo irriguo o idroelettrico o per regolare le piene con decisioni cautelative o azioni di gestione avulse dall'equilibrio di vita del lago;
il lago d'Idro è l'habitat di rari organismi invertebrati, tra cui il Chlaenius sulcicollis specie molto rara in Italia, e di rare associazioni vegetali, alcune delle quali segnalate per la prima volta in Italia (ed una addirittura nuova per la scienza), ma che stanno scomparendo dall'Europa proprio a causa della riduzione degli ambienti ad esse confacenti;
il lago d'Idro è stato designato «sito di importanza comunitaria», fa parte della rete europea Natura 2000, ed è particolarmente importante per presenza di un habitat naturale e di specie prioritarie;
di altrettanta valenza ambientale è il territorio di valle, beneficiato dal Chiese, situato in prevalenza nella parte sud-orientale della provincia di Brescia e dell'Alto Mantovano;
una fiorente agricoltura basata su un sistema irriguo consolidato da secoli garantisce l'equilibrio di importanti ecosistemi con habitat naturali essenziali per il territorio, che attraverso una fitta rete canalizia, oltre a creare ambienti umidi, contribuisce in modo fondamentale al rimpinguamento delle falde sottostanti, garantisce gli usi civili e plurimi delle acque;
l'esercizio irriguo su questi territori, molto permeabili alle risorse idriche, comporta la circolazione di abbondanti volumi idrici. Di tale fenomeno beneficiano le aree immediatamente a sud dell'alta pianura, la cui minor permeabilità, garantisce una riserva idrica sotterranea;

minori apporti idrici nei territori considerati abbatterebbero la rialimentazione diffusa della falda, l'assetto idraulico generale verrebbe di fatto totalmente sconvolto, riducendosi pesantemente la circolazione d'acqua distribuita sul territorio;
allorché si prospettassero le esigenze di modificare tali equilibri in tempi rapidi, è fondamentale approfondire tutti gli aspetti, per ponderare accuratamente le decisioni da assumere;
per l'abbassamento eccessivo ed insostenibile del livello del lago che fa seguito ad una quota di massima regolazione (decisa dal Registro Italiano Dighe) fissata in 367,00 m.s.l.m., la Commissione Europea ha avviato una procedura d'infrazione contro l'Italia relativa al SIC 3120065;
nell'ambito della tutela e dell'uso delle risorse idriche, la vigente normativa, stabilisce che le acque costituiscono una risorsa che va tutelata ed utilizzata secondo criteri di solidarietà ed in tal senso qualsiasi loro uso deve essere effettuato salvaguardando le aspettative ed i diritti delle generazioni future a fruire di un integro patrimonio ambientale;
in caso le risorse idriche, siano utilizzate o gestite in difformità dalle norme specifiche impartite dall'Autorità competente, si può incorrere nella fattispecie del danno ambientale;
fatta eccezione per casi specifici, è considerato danno ambientale qualsiasi deterioramento significativo e misurabile, diretto o indiretto, di una risorsa naturale o dell'utilità assicurata da quest'ultima, in particolare se provocato alle acque interne, mediante azioni che incidano in modo significativamente negativo sullo stato ecologico, chimico e/o quantitativo oppure sul potenziale ecologico delle acque interessate, quali definiti nella direttiva 2000/60/CE;
ai sensi di tali disposizioni, si potrebbe affermare che verso il lago di Idro ed i territori ad esso sottesi, partendo da un livello di esercizio fissato ad una quota troppo bassa, nonostante la regolazione effettuata secondo la regola di gestione approvata dall'Autorità di Bacino con delibera 4/2001, si stia consumando un'azione configurabile nella fattispecie del danno ambientale;
nel definire l'impatto ambientale si tiene conto dell'alterazione qualitativa, quantitativa o di una loro combinazione, dell'ambiente, inteso come sistema di relazioni fra i fattori antropici, fisici, chimici, naturalistici, climatici, paesaggistici, architettonici, culturali ed economici, in conseguenza dell'attuazione sul territorio di opere o interventi pubblici o privati, nonché della messa in esercizio delle relative attività;
in particolare, i piani e i programmi che possono avere effetti significativi sull'ambiente e sul patrimonio culturale, concernenti, tra l'altro, i settori agricolo, energetico e delle acque e che contengano la definizione del quadro di riferimento per l'approvazione, l'autorizzazione, l'area di localizzazione o comunque la realizzazione di opere ed interventi i cui progetti sono sottoposti a valutazione di impatto ambientale in base alla normativa vigente, devono essere sottoposti alla Valutazione Ambientale Strategica, anche se la loro approvazione compete ad organi dello Stato;
la Valutazione d'Impatto Ambientale deve assicurare che nei processi di formazione delle decisioni relative alla realizzazione di opere o interventi capaci di incidere sull'equilibrio ambientale siano considerati gli obiettivi di proteggere la salute e di migliorare la qualità della vita umana, al fine di contribuire con un migliore ambiente alla qualità della vita, provvedere al mantenimento della varietà delle specie e conservare la capacità di riproduzione dell'ecosistema in quanto risorsa essenziale di vita, nonché gli obiettivi di garantire l'uso plurimo delle risorse naturali, dei beni pubblici destinati alla fruizione collettiva, e di assicurare lo sviluppo sostenibile. Per tale scopo, per ciascuna operazione è richiesto che siano

valutati gli effetti diretti ed indiretti della sua realizzazione sull'uomo, sulla fauna, sulla flora, sul suolo, sulle acque di superficie e sotterranee, sull'aria, sul clima, sul paesaggio e sull'interazione tra detti fattori, sui beni materiali e sul patrimonio culturale ed ambientale e che siano esplicitate le principali ragioni della scelta fra le alternative proposte dal soggetto che agisce;
nella valutazione d'impatto ambientale si assicura che in ogni fase della procedura siano garantiti lo scambio di informazioni e la consultazione tra il soggetto proponente e l'autorità competente e che siano garantite l'informazione e la partecipazione del pubblico al procedimento. I documenti e gli atti inerenti i procedimenti di valutazione, pendenti o conclusi, concernenti opere ed interventi attinenti le attribuzioni e competenze degli uffici delle amministrazioni pubbliche che ne curano il deposito, devono essere adeguatamente pubblicizzati al pubblico affinché possa averne visione;
le procedure relative alla VAS e alla VIA si applicano in via ordinaria, andrebbero previste in maniera speciale in caso di attività che vanno ad incidere in aree vulnerabili o sensibili con scarso ricambio idrico e facilità di fenomeni di accumulazione;
un contesto naturale particolarmente sensibile è il lago di Idro, che, come detto, è sottoposto a regolazione artificiale. In seguito a problematiche di natura tecnica, tra cui una parziale agibilità della galleria di fondo, che però ne conferma, ai sensi del Registro Italiano Dighe, l'utilizzo in regime operativo e giuridico di protezione civile, nonché al collocamento in stato di osservazione di una paleofrana presente nell'incile, è stata disposta una quota limitata di massima regolazione alla quale riferire l'esercizio ordinario a 367,00 m.s.l.m, e si sta compromettendo la sopravvivenza del Lago di Idro;
nel frattempo si faceva strada l'idea di produrre quell'energia elettrica che avrebbe enormemente potenziato la nascente industria bresciana;
anteriormente al 1917, il problema dei rapporti tra i vari utilizzatori dell'acqua, era legato quasi esclusivamente alla ripartizione tra i vari enti di bonifica della portata del Chiese;
l'atto ufficiale che sancì la trasformazione del Lago d'Idro in bacino artificiale fu il Decreto Luogotenenziale del 25 ottobre 1917 il quale, oltre ad autorizzarne la regolazione, definì le portate dei rilasci. La regolazione prevedeva i seguenti criteri: Quota di massimo invaso 368,0 m.s.l.m.; Quota di massimo svaso 364,5 m.;
assegnatari della concessione di derivazione furono la Società Elettrica Bresciana e l'Università del Naviglio Grande. Agli stessi due enti fu autorizzato dal 1920 il potenziamento delle strutture di regolazione allo scopo di aumentare la produzione;
nel 1922, per iniziativa degli agricoltori bresciani e della Società Elettrica Bresciana (S.E.B.) fu costituita la Società Lago d'Idro (S.L.I.), avente lo scopo di costruire e gestire le opere di regolazione del lago; nel 1925 la S.E.B., l'Università del Naviglio Grande e la Società del Lago d'Idro chiesero concordemente che la concessione per la costruzione e gestione delle strutture di regolazione venisse intestata alla sola S.L.I., che la concessione industriale (idroelettrica) fosse assentita alla sola S.E.B. e che l'erogazione fosse stabilita 10 m3/s nel periodo invernale e in un valore minimo di 25 m3/s nel periodo estivo (11 maggio-10 settembre). Tale concessione fu accordata con R.D. 8 dicembre 1927, che stabilì i seguenti nuovi limiti di regolazione: Quota di massimo invaso 370,0 m.s.l.m.; Quota di massimo svaso 364,5 m.s.l.m.;
il Regio Decreto 22 settembre 1932, lasciando inalterate le quantità dei rilasci previste nel provvedimento dell'8 dicembre 1927, concedeva alla SLI la possibilità di operare il massimo svaso fino alla quota di 363,0 m.s.l.m. contro i 364,5 precedentemente previsti; l'andamento imposto dai livelli era sintetizzabile nei seguenti punti: il livello a quota 370,0 m.s.l.m. al 1o luglio

si riduceva progressivamente fino a quota 363,86 m.s.l.m. all'11 settembre; di tale quota il livello cresceva progressivamente fino a quota 364,72 m.s.l.m. fino al 1o dicembre; dal 1o dicembre il livello decresceva progressivamente fino a quota 363,0 m.s.l.m. che veniva raggiunta all'11 aprile; dall'11 aprile al 1o luglio era previsto il riempimento completo del volume di regolazione, ritornando alla quota 370,0 m.s.l.m.; il volume totale regolabile tra le quote 370,0 e 363,0 m.s.l.m. era pertanto di 75.477.000 m3; portate superiori a quella minima potevano essere erogate per tutto il periodo 1o luglio-11 settembre nel caso in cui le quote del lago fossero superiori a quelle individuate nel regolamento; nel caso di deflussi meteorici di piena eccezionali, la portata defluente del lago poteva essere ulteriormente aumentata (fino a un massimo di 220 m3/s), che rappresentava la capacità di deflusso dell'opera di regolazione;
con l'entrata in esercizio degli impianti idroelettrici dell'Alto Chiese, oggi in gestione all'ENEL, la regolazione del lago è stata coordinata con la conduzione degli impianti stessi («Coordinamento dell'esercizio degli impianti Alto Chiese con quello del Lago d'Idro» Regolamento approvato con decreto ministeriale 30 giugno 1958 n. 2051). Erano di competenza del lago quei volumi idrici che sarebbero stati invasati nello stesso in condizione di regime naturale dei deflussi, tenendo presente che Idro entrava in condizioni di sfioro da quota 370,0 m.s.l.m.;
la Società Lago d'Idro (SLI) venne riconosciuta nel 1927 come titolare della concessione limitatamente alle solo opere di regolazione stabilendo altresì che la concessione così configurata non avrebbe comportato alcun uso dell'acqua per il fatto dell'aumento di portata conseguibile con le sole opere di invaso e svaso;
la Società Lago d'Idro, nel 1926 aveva chiesto la concessione di tutte le acque nuove conseguenti la regolazione del lago serbatoio;
il Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici espresse nel 1930 voto favorevole per la ammissibilità della stessa in istruttoria, la cui titolarità, nel 1964 fu dalla società stessa ceduta ai quattro consorzi, del Naviglio Grande Bresciano, della Roggia Lonata, della Roggia Maggiore Calcinata e della Roggia Montichiara e derivate, oggi confluenti tutti nel Consorzio di Bonifica Medio Chiese;
l'esercizio della regolazione del lago per fini idroelettrici ed irrigui venne proseguita dalla SLI fino al 1987, anno di scadenza della concessione;
in data 30 gennaio 1985, la SLI presentò all'allora competente Ministero dei Lavori Pubblici, istanza di rinnovo e, in subordine, una nuova istanza per ottenere la concessione;
successivamente, in relazione all'accresciuto interesse alla regolazione del lago, vennero presentate al Ministero le seguenti istanze, tutte tese ad ottenere il rilascio della concessione di regolazione; la Comunità Montana di Valle Sabbia; Consorzio di Bonifica Medio Chiese; il Consorzio di Bonifica del Chiese di Secondo Grado;
ai fini della regolazione del Lago d'Idro, sono stati posti in subordine i problemi connessi sia alla protezione delle caratteristiche naturali del lago stesso e del fiume Chiese, che all'assetto territoriale e alla fruizione turistica;
nel 1991 all'Autorità di bacino, il Ministero dei Lavori Pubblici conferiva il mandato di affrontare la problematica relativa alla regolazione del Lago e delle derivazioni d'acqua dal fiume; L'autorità di Bacino, con propria delibera n. 9/93, indicava che l'escursione dei livelli del lago previsti dal disciplinare del 1934 creava problemi ai comuni rivieraschi, sia di ordine territoriale che di natura ecologica, problemi altrettanto gravi sotto il profilo ambientale si verificavano nel fiume Chiese, e che pertanto il rinnovo della concessione di derivazione del lago d'Idro e delle concessioni di derivazione a scopo irriguo avrebbe dovuto tener conto, in forma complessiva, dell'insieme degli aspetti che intervengono, puntando ad una soluzione integrata;

di seguito alla sperimentazione effettuata per cinque stagioni irrigue dal 1996 al 2000, l'Autorità di Bacino del Fiume Po con propria deliberazione n. 4/2001 del 31 gennaio 2001 terminò l'attività di approfondimento e dispose: di considerare gli esiti della sperimentazione sufficienti per la definizione di un regolamento di gestione; di adottare il documento «Attività del Comitato di Sperimentazione, Relazione conclusiva» che nella sostanza prevedono in via definitiva, da un lato, la riduzione dell'escursione del lago d'Idro a 3.25 metri 369.25 - 366.00 corrispondenti ad un volume utile di 35,411 milioni di mc, dall'altro lato l'applicazione, nell'alveo del fiume Chiese nel tratto a valle delle derivazioni irrigue, del rilascio per deflusso minimo costante vitale pari a 2.2 mc/sec, pari a complessivi 13,685 milioni di mc stagionali (1/7-10/9);
ai sensi del decreto legislativo 31 marzo 1998 n. 112 sono state trasferite le funzioni alle Regioni ed alle Province Autonome, in particolare relative alla gestione del demanio idrico, ivi comprese tutte le funzioni amministrative relative alle derivazioni di acqua pubblica;
conseguentemente l'Autorità di Bacino ha rimesso la problematica alla Regione Lombardia;
poiché, pur trovandosi la traversa di regolazione e la galleria di scarico di fondo in Regione Lombardia, il rigurgito provocato dalla regolazione operata a Idro (BS) interessa anche il Comune rivierasco di Bondone (TN), d'intesa tra le 2 amministrazioni;
nelle more del rinnovo della concessione, a regolazione del lago è stata affidata ad un commissario regolatore sotto la cui responsabilità la SLI ha continuato ad esercitare nel contempo la Regione Lombardia, ha avviato le procedure amministrative per il rilascio/rinnovo della concessione;
particolare rilievo assumono le opere di regolazione del lago i dati principali delle opere di scarico e di derivazione sono rappresentate da una portata esitata con livello nel serbatoio alla quota 370,00 m.s.l.m., caratterizzata in uno scarico di superficie di (circa) 180 m3/s, in uno scarico di fondo con funzionamento a pelo libero di (circa) 80-90 m3/s (prima degli intereventi di manutenzione realizzati negli anni '90 e 2000), ed in una galleria di derivazione ENEL Idro-Vobarno, di 30 m3/s;
le sponde del Lago d'Idro sono interessate da vari centri abitati tra i quali di particolare rilievo il capoluogo di Idro e quello di Anfo;
l'alveo a valle in origine piuttosto ristretto ed a forte pendenza per alcune centinaia di metri è stato sistemato in senso longitudinale con briglie di fondo ed ampliato sino a 20 m. di larghezza mediante taglio della sponda sinistra costituita come dal corpo di un'antica frana. Al fine della sua protezione al piede è stato realizzato un muraglione in calcestruzzo per uno sviluppo di circa 80 m a valle della traversa prolungato a valle con una gabbionata e con una scogliera in pietrame fino allo sbocco della galleria di svaso;
al quadro amministrativo si devono aggiungere le precarie condizioni delle opere di regolazione. In particolare lo scarico di superficie e lo scarico di fondo sono sottoposte alle verifiche del Servizio Nazionale Dighe poi Registro Italiano Dighe;
sulla traversa in sponda sinistra del Chiese insiste una «Antica Frana» che già negli anni 60 ha compromesso la piena funzionalità del manufatto che è stata oggetto di ripetute campagne di rilevamento da parte della Regione Lombardia e da parte di ARPA Lombardia ad agosto 2006 sono terminate le indagini e attualmente il fenomeno è tenuto sotto osservazione anche al fine di attivare eventuali azioni di tutela e di protezione civile in caso di crisi dello stesso;
la galleria di scarico di fondo presenta problemi strutturali. Nel 1992 si è verificato un cedimento. Per motivi di

sicurezza, il Servizio Nazionale Dighe provvedeva in data 18 agosto 1992 ad imporre la quota di 368,00 come quota temporanea di massima regolazione limitata, imponendo peraltro l'effettuazione di lavori di sistemazione della galleria;
gli interventi di ripristino dei cedimenti del 1992 realizzati dal Magistrato per il Po, si sono conclusi nel 1996. Nel 1999 nel collaudo dei lavori il Servizio Nazionale Dighe ha segnalato il generale peggioramento in più punti delle caratteristiche statiche dell'opera ed ha richiesto ulteriori interventi di consolidamento;
in seguito alle valutazioni effettuate, il Registro Italiano Dighe ha disposto in data 18 luglio 2003 la seguente limitazione all'esercizio dell'invaso del lago: quota alla quale riferire l'esercizio ordinario 367,00 m.s.l.m., quota raggiungibile esclusivamente solo in caso di eventi eccezionali 368,00 m.s.l.m., messa fuori esercizio dell'opera di sbarramento (paratoie sollevate) fino al termine dei lavori idonei a garantire le necessarie condizioni operative di sicurezza;
a causa di tale limitazione, adottata per altro senza effettuare alcuna verifica d'impatto ambientale ne con la concertazione degli altri soggetti allo scopo interessati e competenti, in tempo ordinario ad esclusione di eventi idrologici intensi, non possono defluire acque in superficie del fiume Chiese e neppure possono essere erogate acque nel Chiese tramite la galleria di scarico;
resta fatto salvo l'esercizio della derivazione della centrale Enel che può prelevare acque dal lago;
al fine di ripristinare la massima funzionalità dell'esistente galleria, nel 2002 la Regione Lombardia ha invitato il Consorzio del Chiese di Bonifica di Secondo Grado a redigere il progetto di consolidamento e sistemazione dello scarico di fondo del lago d'Idro;
il Consorzio, nel mese di giugno 2002 ha predisposto il Progetto preliminare. Successivamente l'AIPO, Ufficio Operativo di Mantova, con nota 3481 del 22 luglio 2002 ha conferito l'incarico per l'effettuazione di indagini geognostiche, per ricostruire la stratigrafia del sottosuolo in corrispondenza della galleria. Il Rapporto conclusivo è stato completato in data 30 settembre 2002;
il progetto di ripristino è stato approvato dal Servizio nazionale Dighe il 13 dicembre 2002;
l'ente appaltatore è stato individuato nel Consorzio del Chiese di Bonifica di Secondo Grado, che ha provveduto alla nomina dell'Assistente Governativo, su conforme segnalazione del Registro Italiano Dighe;
l'impresa esecutrice, a seguito di gara d'appalto è risultata l'A.T.I. costituita da CO.FOR s.r.l. (impresa capogruppo) di Reggio Calabria e dall'impresa RAM Costruzioni di Qualità s.r.l. (impresa mandante). I lavori sono stati consegnati al raggruppamento di imprese in data 15 settembre 2003 ed ultimati il 3 novembre 2004;
la Commissione di Collaudo, che avviando le procedure di verifica, effettuava visita in data 14 luglio 2004, successivamente in data 22 aprile 2005, ha reso il verbale di collaudo dei lavori giungendo alle seguenti conclusioni: non s'intravede la possibilità di una messa in sicurezza definitiva dell'attuale galleria a seguito dei fenomeni di interazione tra il manufatto e l'ammasso roccioso nel quale l'intera opera è realizzata; si auspica quale unica soluzione risolutiva che si debba provvedere senza ritardi alla realizzazione di un nuovo scarico di fondo che interessa formazioni geologiche stabili e che abbia una maggiore capacità di deflusso;
in conseguenza di quanto sopra l'auspicata rimozione dei vincoli imposti dal Registro Italiano Dighe in data 18 luglio 2003 e precedenti è rimasta tuttora inevasa;
per cercare di fare fronte alle criticità createsi, nonché all'impatto ambientale

che si stava provocando, a causa dei limiti di livello di esercizio imposti dal RID che hanno inciso sull'equilibrio ambientale del Lago e sulle utilizzazioni economiche, durante i due ultimi anni sono state avviate riunioni presso le istituzioni competenti, tra cui il Ministero dell'ambiente e la Prefettura di Brescia;
in seguito alle richieste più volte avanzate dal R.I.D. per determinare un quadro generale e dei possibili scenari idrologici del fiume Chiese e del lago d'Idro, il Consorzio del Chiese di Secondo Grado, su invito del Commissario Regolatore, ha assegnato, con disciplinare del 14 ottobre 2005, al Prof. Ing. Luigi Natale dell'Università di Pavia, l'incarico di redigere un programma tecnico di gestione dell'invaso del lago d'Idro in condizioni di emergenza idrologica;
nello studio, che rappresenta per la prima volta lo scenario completo delle dinamiche idrologiche ed idrauliche del lago, si riproduce, l'analisi delle laminazioni delle piene in ingresso ed uscita dal serbatoio configurando più ipotesi di utilizzo dei manufatti di regolazione; il Prof. Natale trae quindi la procedura di regolazione in situazione di emergenza nell'ambito operativo e giuridico di protezione civile (come espressamente richiesto dal R.I.D.) delineando altresì un modello di preannuncio; la ricerca evidenzia come sia possibile, in circostanze di assoluta sicurezza, ridurre la limitazione dell'invaso attualmente impartita, individuando prudenzialmente come quote di massima regolazione: per il periodo gennaio-luglio compresi + 368,80 (quota idrometro s.l.m.) per il periodo agosto-dicembre compresi + 368,50 (quota idrometro s.l.m.);
in relazione alle risultanze dei suddetti studi, il Commissario Regolatore Straordinario del lago d'Idro ha richiesto al Registro Italiano Dighe lo svincolo dei limiti di invaso attualmente imposti e l'adozione delle nuove quote di massima regolazione sopra indicate;
il Registro Italiano Dighe, Ufficio di Milano, con nota del 31 maggio 2006 indirizzata al Commissario Regolatore ed al RID di Roma, ha tuttavia rigettato tale richiesta;
tale posizione appare eccessivamente rigida e autoritaria, soprattutto non tiene conto che per arrivare a stabilire parametri talmente compromettenti per l'ambiente e la popolazione del territorio lacuale eridiano, nonché, secondo gli interroganti, contrari alla salvaguardia e alla tutela dell'habitat del lago e penalizzanti delle utilizzazioni vallive, sarebbe stato necessario ad ogni modo procedere ad una valutazione d'impatto ambientale ed ambientale strategica sia pure di ambito statale, nonché ad una auspicata conferenza dei servizi;
in occasione di una riunione indetta dal Prefetto di Brescia in data 24 luglio 2006, di fronte alle istanze poste dallo stesso Commissario in riferimento alla necessità che il RID decidesse di autorizzare il sopralzo della quota di massima regolazione e di esercizio del lago di Idro, il RID non avrebbe opposto le stesse negazioni in precedenza esplicitate, manifestando la volontà di approfondire meglio la questione ed in altra sede decidere, eventualmente, di assecondarle nei termini che prevedono l'innalzamento della quota di esercizio del lago ai livelli desumibili dallo studio realizzato dal Prof. Ing. Natale -:
se, tenendo conto che a causa della fissazione del livello di massima regolazione a 367 m.s.l.m., si è provocato un grave impatto ambientale sul Lago di Idro e si sta impedendo il defluire delle acque in superficie del fiume Chiese, e che nel fissare tale livello non si è provveduto ad effettuare le operazioni di valutazione e di concertazione auspicabili (VIA, VAS, conferenza dei servizi), non ritenga necessario valutare l'opportunità di intervenire verso le autorità competenti, segnatamente il RID o le istituzioni cui fa capo, affinché nell'ambito delle condizioni di sicurezza garantite dallo studio realizzato dal Prof. Luigi Natale dell'Università di Pavia, siano fissati livelli di esercizio ordinario del lago d'Idro superiori a quelli vigenti e ad ogni modo confacenti a risolvere tutte le problematiche esposte in premessa;

se non intenda provvedere a svolgere una incisiva azione d'indirizzo verso le istituzioni interessate, affinché quelle competenti, indicano una conferenza dei servizi allargata anche a soggetti appositamente costituiti per tutelare le risorse ambientali e paesaggistiche del lago d'Idro (coordinamento delle pro loco e associazioni ambientaliste), agli utilizzatori e in tale sede si decidano le misure da adottare per conseguire una gestione del lago che ne protegga l'integrità ambientale, dia tranquillità e serenità alle popolazioni rivierasche, riesca a soddisfare le esigenze irrigue delle aree rurali servite dai Consorzi di bonifica Medio Chiese, Alta e Media Pianura Mantovana e fra Mella e Chiese e quelle delle utenze industriali ed idroelettriche relativamente interessate;
se non ritenga opportuno che si proceda ad una pertinente valutazione tecnico-economica, valutazione d'impatto ambientale ed ambientale strategica volta a verificare il grado di compatibilità delle misure che fino ad oggi sono state adottate per far fronte ai requisiti di protezione civile e se non ve ne siano di alternative in grado di comportare un minor impatto sull'ambiente ed indirizzare la eventuale realizzazione di nuove opere incidenti sul lago (nuovo scarico di fondo o terza galleria) a vantaggio di interventi mirati capaci di garantire la medesima efficacia funzionale ed il pieno equilibrio del regime naturale delle acque;
se non intenda accertare se la fissazione di quote talmente basse da non permettere il defluire, in condizioni ordinarie, delle acque in superficie del fiume Chiese e neppure di defluire attraverso la galleria di scarico di fondo a scapito degli interessi della collettività locale, dell'ambiente, delle risorse naturali e delle utilizzazioni irrigue, sia compatibile con la tutela del bilancio idrico;
se, tenendo conto che, con delibera 4/2001 del 31 gennaio 2001 dell'Autorità di Bacino del Fiume Po sono state approvate le attività del Comitato di Sperimentazione, costituito dall'Autorità di Bacino del Fiume Po, dal Ministero del Lavori Pubblici-Direzione Generale Difesa del Suolo, dal Ministero del Lavori Pubblici-Provveditorato Opere Pubbliche Regione Lombardia, dal Ministero del Lavori Pubblici-Magistrato per il Po, Ministero dell'Ambiente, Ministero dell'Agricoltura, Prefettura di Brescia, Regione Lombardia-Assessorato ai LL.PP., Regione Lombardia-Assessorato all'Agricoltura, Provincia Autonoma di Trento, Provincia di Brescia, ed il Regolamento transitorio che, prevedono:
«livello di massimo invaso ai fini della compatibilità con gli strumenti urbanistici degli Enti locali rivieraschi = + 369,50 m.s.l.m.;
livello di massimo invaso ai fini della regolazione per gli usi produttivi della risorsa invasata = + 369,25 m.s.l.m.;
livello di minimo invaso ai fini della regolazione per gli usi produttivi della risorsa invasata = + 366,00 m.s.l.m.;
massima oscillazione del livello del lago d'Idro per le finalità produttive e di gestione ordinaria = 3,25 m.;
valore massimo della velocità di escursione del lago ai fini della regolazione ordinaria = 0,40 m/3 giorni»;
se non ritenga opportuno intervenire verso le autorità competenti perché si regolino i livelli del lago d'Idro nelle condizioni di esercizio previste e si realizzino le opere necessarie per consentire il rilascio del deflusso minimo vitale nel Chiese.
(4-00983)