Camera dei deputati - XV Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento affari esteri
Titolo: L¿indipendenza del Kosovo e le reazioni internazionali
Serie: Documentazione e ricerche    Numero: 125
Data: 19/02/2008
Organi della Camera: III-Affari esteri e comunitari


Camera dei deputati

XV LEGISLATURA

 

SERVIZIO STUDI

 

Documentazione e ricerche

L’indipendenza del Kosovo e le
reazioni internazionali

 

 

 

 

 

n. 125

 

 

19 febbraio 2008

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Dipartimento affari esteri

 

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File: es0244.doc

 


INDICE

Nota introduttiva

La situazione del Kosovo e la dichiarazione di indipendenza  3

§      Le elezioni3

§      Gli sviluppi più recenti e il nuovo impegno europeo  4

§      La situazione economica  8

§      Brevi cenni retrospettivi sulla  crisi nel Kosovo  8

Attività parlamentare recente

Camera dei deputati

§      Assemblea  17

Seduta del 26 novembre 2007  17

Seduta del 29 novembre 2007  29

§      III Commissione permanente (Affari esteri)47

Seduta del 21 novembre 2007  47

Senato della Repubblica

§      Commissioni riunite Esteri e Difesa  67

Seduta dell’11 dicembre 2007  67

Seduta del 6 febbraio 2008  73

Senato della Repubblica

§      Commissione Affari esteri77

Seduta del 13 febbraio 2008  77

Pubblicistica

§      Geopolitical Diary: Russia’s Retaliatory Options,, tratto dal sito: www.stratfor.com, 19 febbraio 2008  81

§      Russia: The Implications of Kosovo’s Independence, tratto dal sito: www.stratfor.com, 18 febbraio 2008  81

§      Kosovo: Independence Resonates With Eastern Europe’s Hungarians, tratto dal sito: www.stratfor.com, 18 febbraio 2008  81

§      M. Spedicati, Serbia: la vittoria di Tadic non risolve ma allevia le tensioni all’interno e con l’UE, tratto dal sito: www.equilibri.net, 7 febbraio 2008  81

§      I. Dugoli, Kosovo Coalition Pact Harms Democracy, tratto dal sito del Balkan Investigative Reporting Network, 10  gennaio 2008  81

§      D. Serwer, Coming Soon to a Country Near You: Kosova sovereignty, tratto dal sito del United States Institute of Peace, dicembre 2007  81

§      K. Gashi, Kosovo: a Gunrunners’ Paradise, tratto dal sito del Balkan Investigative Reporting Network, 29 novembre 2007  81

§      F. Strazzari, Lo status del Kosovo e dell’Europa, ne: Il Mulino, n. 434/2007  81

§      C. Civiletti, Kosovo. Un’altra occasione perduta dalla Serbia, tratto dal sito dell’ISPI, n. 67/2007  81

§      Serbia: Kosovo’s Independence Approaches, tratto dal sito: www.stratfor.com, 10 dicembre 2007  81

§      Kosovo Countdown: A Blueprint For Transition, in Europe Report n. 188, 6 dicembre 2007  81

§      B. Coppieters, Kosovo and the Principles of Just Secession, tratto dal sito del CEPS (Centre for European Policy Studies) n. 147, novembre 2007  81

§      Kosovo Decision Will Have International Ramifications, tratto dal sito: CSIS (Center for Strategic & International Studies, 27 novembre 2007  81

§      P. Quercia, Kosovo , la sfida dell’indipendenza, in: Limes, n. 3/2007  81

Documentazione

§      Consiglio dell’Unione Europea, 14 dicembre 2007 – stralci sul Kosovo  85

§      Discorso di David Cameron presso The Bookings Institution, The Balkans: A New Crisis?, 29 novembre 2007, con articolo introduttivo di E. Alessandri, Cameron: una soluzione atlantista al nodo del Kosovo  85

 

 


Nota introduttiva

 


La situazione del Kosovo e la dichiarazione di indipendenza

Le elezioni

Il 17 novembre 2007 si sono svolte le elezioni parlamentari e municipali che erano state decise lo scorso agosto (in accordo con i leader della maggioranza albanese) dall’amministrazione ONU che governa la regione.

Si ricorda che, nel quadro costituzionale stabilito dall’ONU per l’attuale fase provvisoria le elezioni per il rinnovo dei 120 membri del parlamento (che sceglie il presidente e il primo ministro) devono svolgersi ogni tre anni.

Il Partito democratico del Kosovo (Pdk) dell’ex comandante Uck Hashim Thaci ha ottenuto la maggioranza relativa con il 36% dei voti (28,85% nel 2004, pari a 30 seggi) superando per la prima volta la Lega democratica (Ldk), formazione del defunto presidente moderato Ibrahim Rugova, e dell’attuale presidente Fatmir Sejdiu, ininterrottamente al potere dall’insediamento dell’amministrazione Unmik dopo la guerra del 1999, che con il 21% dei voti peggiora di ben 24 punti percentuali il risultato del 2004 (45,42% pari a 47 seggi).

Nel parlamento entrano anche tre partiti etnici albanesi, due dei quali di recente formazione, che superano la soglia di sbarramento del 5%:

-      Alliance for the Future of Kosovo (Aleanca për Ardhmërinë e KosovësAak) di Ramush Haradinaj, già leader del Kla,gruppo paramilitare indipendentista e primo ministro dopo le elezioni del 2004 fino all’incriminazione da parte del tribunale internazionale per i crimini nell’ ex Yugoslavia (ICTY), che ha ottenuto l’11% dei voti (8,39%, 9 seggi nel 2004);

-      New Kosovo Alliance (Aleanca Kosova e Re, Akr) fondata a marzo 2006 dall’imprenditore Bejet Pacolli che ha ottenuto il 10%;

-      Democratic League of Dardania (Lidhja Demokratike e Dardanisë, Ldd) fondata nel  gennaio 2007 da Nexhat Daci, ex speaker del parlamento, dopo il fallito tentativo di diventare il leader della Lega democratica, che ha ottenuto il 10% dei voti.

Nel parlamento della regione serba a maggioranza albanese (90% della popolazione) entrano anche venti deputati appartenenti alle minoranze etniche – pochi Rom e un numero di serbi stimati tra i 60 e i 100 mila - dieci dei quali verranno attribuiti ai partitini serbofoni nonostante la partecipazione al voto da parte serba abbia toccato il minimo storico dell’1% scarso; a nulla sono valsi i reiterati appelli dell’ONU a partecipare al voto.

Il dato generale di affluenza alle urne, minata dal malcontento economico e sociale oltre che dal boicottaggio della minoranza serba, attestandosi al 45% segna un deciso arretramento rispetto al 2004 (quando fece registrare il 49,52%).

La diserzione delle urne da parte di oltre la metà degli albanesi kosovari viene interpretata dagli analisti come il segno che nemmeno l’ipotesi di definitiva secessione da Belgrado - tratto comune della campagna elettorale e del programma di tutte le formazioni rappresentative della maggioranza albanese - è considerata un rimedio sufficientemente credibile al degrado economico (l’economia kosovara ha a tutt’oggi il carattere di un'economia da dopo-guerra permanente, per di più flagellata da traffici mafiosi e sperequazioni) e all’assenza di prospettive (il tasso di disoccupazione nel paese è del 60%). Sul punto, vedi infra.

La vittoria di Hashim Thaci, ex signore della guerra - autocandidatosi subito dopo il voto alla carica di primo ministro, e incaricato l’11 dicembre a formare il nuovo governo – ha creato i presupposti per la formazione di una ulteriore coalizione[1] tra il suo Pdk e la Lega democratica, con  posizioni di forza invertite rispetto all’esecutivo precedente, e uno spostamento dell’asse politico kosovaro in direzione ancor più nazionalista. D’altro canto, il totale rifiuto del voto da parte dei serbi - sostenuto ed applaudito da Belgrado ma deplorato come un “autogol” da qualche raro esponente serbo-kosovaro integrazionista - ha contribuito enormemente alla radicalizzazione dello scenario. Gli osservatori sottolineano, infatti, che la rinnovata coalizione di governo kosovara è destinata a cementarsi intorno all’accelerazione del cammino verso la secessione senza ulteriori indugi diplomatici.

Gli sviluppi più recenti e il nuovo impegno europeo[2]

Lo scorso 25 luglio il Gruppo di contatto (UE, Russia, USA, Germania, Gran Bretagna, Francia e Italia) – che aveva assunto la guida del negoziato dopo il fallimento della mediazione ONU - decise a Vienna la costituzione di una troika negoziale composta da UE, USA e Russia.

Da allora si sono avuti diversi incontri, l’ultimo dei quali a Baden il 28 novembre – dopo le elezioni in Kosovo – si è concluso con un’ennesima e definitiva conferma della situazione di stallo. Il mandato della troika è infatti scaduto il 10 dicembre. In quella data si è avuta la presentazione dei risultati che non contengono alcuna proposta ma la semplice descrizione dei punti aperti che hanno impedito di concludere positivamente il negoziato.

In coincidenza con la presa d’atto del nuovo fallimento del negoziato sul futuro status del Kosovo è maturata la decisione europea (fortemente sollecitata dagli Stati Uniti) in direzione di un nuovo e diretto impegno dell’UE affinché il cammino verso l’indipendenza (o comunque verso forme sempre più accentuate di autonomia) sia accompagnato dall’Europa e proceda in modo parallelo alla integrazione della Serbia nell’UE[3].

Il 14 dicembre, nella riunione del Consiglio Europeo, sono state raccolte le conclusioni alle quali era arrivato il Consiglio dei Ministri degli affari esteri del 10 dicembre, quasi interamente dedicato al Kosovo[4]. Il Consiglio europeo ha approvato all’unanimità l’invio di una missione europea, che dovrebbe essere dispiegata fra febbraio e marzo. Dalle conclusioni della Presidenza: “L’UE è pronta a svolgere un ruolo guida nel rafforzamento della stabilità della regione e nell’attuazione di una soluzione che definisca il futuro status del Kosovo”. L’impegno europeo si concretizzerà nell’invio di una missione PESD e nel contributo ad un ufficio civile internazionale ne quadro delle presenze internazionali. La missione europea (EULEX), civile e di polizia, dovrà subentrare all’UNMIK dell’ONU e dovrà dispiegare circa 1.800 uomini (in gran parte magistrati e poliziotti). La missione europea si schiererà a fianco della NATO che ha già nell’area 16.450 uomini, al 90% europei (KFOR)[5], la cui permanenza è stata confermata dai Ministri degli esteri NATO nella riunione dello scorso 7 dicembre.

Il 19 dicembre, a New York – in una riunione a porte chiuse – il Consiglio di sicurezza ONU, presieduto dal Ministro degli Esteri italiano, D’Alema e aperto dal SG delle Nazioni Unite Ban Ki-moon, ha discusso il rapporto presentato dalla troika il 10 dicembre, nel quale si prende atto – come si è detto – del fallimento dell’ultimo negoziato. I risultati della riunione verranno resi noti nei prossimi giorni.

La posizione della Russia è favorevole ad una nuova estensione della fase negoziale. Anche la Slovacchia, altro membro europeo del Consiglio di sicurezza è stata finora solidale con Belgrado. Ma contro tale ipotesi si sono pronunciati (alla vigilia del Consiglio di sicurezza) Gran Bretagna, Francia, Stati Uniti e Italia.

In preparazione dell’importante riunione, il Ministro D’Alema ha avuto incontri – nella giornata del 18 dicembre – sia con il primo ministro serbo Kustunica, sia con il presidente del Kosovo, Sejdiv.

Un fattore non secondario nel complesso gioco politico-diplomatico intorno alla questione del Kosovo è stato dato dalle elezioni presidenziali serbe, svoltesi a doppio turno il 20 gennaio e il 3 febbraio 2008: nel ballottaggio il Capo dello Stato in carica, Boris Tadic - che al primo turno si era fermato al 35,4 per cento dei consensi contro il 40di Tomislav Nikolic del Partito radicale serbo – è stato rieletto con un margine del 4 per cento nei confronti di Nikolic. La rielezione di Tadic appare come un’apertura di credito verso l’integrazione europea della Serbia, anche se, per quanto riguarda la questione del Kosovo, il riconfermato Presidente serbo non potrà non tener conto delle vaste correnti che nel suo Paese sono irremovibili nell’opposizione all’indipendenza.

Non a caso quasi subito dopo le elezioni presidenziali il premier Kostunica ha duramente polemizzato con l’Unione europea, la cui offerta di giungere al più presto alla firma di un Accordo politico ad interim con Belgrado è stata senza mezzi termini definita una truffa: la UE, infatti, mirerebbe ad addolcire Belgrado per far passare il proprio piano di dispiegamento nel Kosovo di una robusta missione civile europea, la quale servirebbe – secondo Kostunica – ad accompagnare la secessione kosovara.

Il 6 febbraio 2008, parlando alle Commissioni Affari esteri riunite dei due rami del Parlamento, il Ministro degli Esteri On. D’Alema ha caratterizzato come irreversibile la marcia del Kosovo verso l’indipendenza, nella quale tuttavia il ruolo dell’Unione europea appare irrinunciabile per evitare possibili gravi squilibri nell’area balcanica. Il ruolo della UE dovrà esercitarsi soprattutto mediante l’invio della prevista missione civile di duemila tra magistrati e appartenenti alle forze di polizia – tra i quali duecento italiani (e l’Italia guiderà in particolare la componente magistratuale che ha il compito di dare impulso alla riforma del sistema giudiziario kosovaro). Un sollecito riconoscimento del nuovo Stato è obiettivo della politica estera italiana, come realistica presa d’atto di un approdo inevitabile, ma al tempo stesso con l’obiettivo di indirizzarne gli sviluppi successivi.

Il 16 febbraio la UE ha ufficialmente dato il via alla missione EULEX, mentre in sospeso è rimasta la questione di una posizione unitaria dell’Unione nei confronti dell’indipendenza kosovara.

Il 17 febbraio, come già annunciato da diversi giorni, si è avuta la proclamazione ufficiale dell’indipendenza del Kosovo dalla Serbia. Il Consiglio di Sicurezza dell’ONU, riunitosi con urgenza su impulso della Russia, che mirava a far dichiarare nulla l’indipendenza del Kosovo, ha registrato sostanziali divisioni, soprattutto intorno all’interpretazione della risoluzione 1244 del 1999, e conseguentemente sulla liceità o meno della dichiarazione dell’indipendenza.

Il Presidente serbo Tadic non ha mancato di far rilevare i danni irreparabili alla legalità internazionale causati dalla dichiarazione di indipendenza kosovara, che costituirebbe un precedente invocabile d’ora in avanti da tutte le minoranze etniche del mondo per disgregare i rispettivi Stati di appartenenza. Anche la Cina ha espresso preoccupazione per la sfida al diritto internazionale rappresentata dall’indipendenza unilateralmente dichiarata dal Kosovo.

Il 18 febbraio il Parlamento serbo ha dichiarato la nullità e l’illegalità della dichiarazione di indipendenza del Kosovo; nel contempo le autorità di Belgrado hanno avviato procedimenti giudiziari nei confronti dei leader kosovari promotori dell’indipendenza, e hanno preannunciato il richiamo in patria degli ambasciatori serbi dai Paesi che dovessero riconoscere il Kosovo indipendente.

Nella stessa giornata, la riunione dei ministri degli Esteri dell’Unione europea a Bruxelles ha visto l’accordo soltanto sull’esigenza di mantenimento della pace e della stabilità nei Balcani, nonché della prospettiva di un’adesione alla UE per l’intera regione. Il nodo cruciale della posizione da assumere sull’indipendenza del Kosovo non è stato tuttavia sciolto: una maggioranza degli Stati membri, capeggiati dal gruppo dei Paesi più grandi (Germania, Regno Unito, Francia e Italia), si sono detti pronti al riconoscimento, mentre Cipro, Romania e Spagna hanno ribadito la loro netta contrarietà. Un altro gruppo di sei Stati membri – comprendente Grecia, Malta, Paesi Bassi, Portogallo, Rep. Ceca e Slovacchia - si è riservato di decidere uin un secondo momento.

Gli Stati Uniti, in coerenza con una posizione già chiara da lungo tempo, hanno riconosciuto il Kosovo quale Stato indipendente e sovrano, accettandone altresì la richiesta di apertura di formali relazioni diplomatiche con gli USA.

 

La situazione economica

Per quanto l’attenzione di tutti gli osservatori sia concentrata sugli aspetti politici della vicenda kosovara, non bisogna trascurare che molti economisti nutrono dubbi sulle possibilità di “sopravvivenza economica” di un Kosovo indipendente.

Con un'area di circa 10.000 chilometri quadrati, pari a un terzo del Belgio, e una popolazione di due milioni di abitanti, il Kosovo è una delle regioni più povere d'Europa (reddito annuo pro capite pari a circa 1.000 euro) ma con il più alto tasso di natalità del continente. L'età media della popolazione tra la maggioranza albanese è di 28 anni e la disoccupazione tra i giovani tocca il 60 per cento. Il quasi completo distacco dall’economia serba avvenuto dal 1999 ha aggravato una situazione economica già difficile in conseguenza della guerra. Ormai oltre un terzo del Pil è rappresentato dai contributi stranieri, e un ulteriore 13 per cento dalle rimesse degli emigrati che vivono all'estero.

Sul piano del potenziale di sviluppo rivestono un certo rilievo le risorse minerarie; anche l'industria energetica[6] e l'agricoltura potrebbero essere sviluppate, ma attualmente nessuno di questi settori è sfruttato in modo appropriato.

Brevi cenni retrospettivi sulla  crisi nel Kosovo

Il Kosovo è amministrato dai leader e dalle organizzazioni della società civile kosovara in collaborazione con i  rappresentanti internazionali dell'Unmik (United Nations Interim Administration Mission in Kosovo) fin da quando il suo territorio fu posto sotto tutela ONU all’indomani dei bombardamenti Nato del 1999 e dell'allontanamento delle forze di repressione anti separatista del regime jugoslavo di Milosevic. Sulla base dell’accordo tra Nato e Repubblica federale jugoslava, infatti, il Consiglio di sicurezza ONU ha adottato, il 10 giugno 1999, la Risoluzione 1244 che prevede l’istituzione di un’amministrazione civile internazionale che garantisca alla popolazione del Kosovo condizioni di sostanziale autonomia, pur rimanendo esso – sul piano legale – ancora parte della Serbia. A capo della missione è un Rappresentante Speciale del Segretario Generale dell’ONU (Srsg), dal 1° settembre 2006 il tedesco Joachim Rücker.

In merito alla questione dello status del Kosovo, il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite approvò il 24 ottobre 2005 il principio di aprire negoziati sullo status futuro del Kosovo, come previsto dalla risoluzione 1244, affidati alla direzione di un inviato speciale dell’ONU individuato nella persona dell’ex presidente finlandese Martti Ahtisaari.

Il piano Ahtisaari (presentato dall’inviato ONU lo scorso 2 febbraio),consistente in 14 articoli (che pongono i principi base) e di dodici Allegati, contempla l’adozione di una Costituzione della quale indicava alcuni principi fondamentali: stato di diritto, multilinguismo e multietnicità, protezione dei diritti di tutte le comunità, decentramento.  Viene inoltre indicato un percorso di progressivo trasferimento di poteri dalle autorità internazionali a quelle del Kosovo. Il piano prevede, infine, che il Kosovo possa far parte dei più importanti organi internazionali normalmente riservati agli stati sovrani nonché usare la propria bandiera e il proprio inno. Sono anche previste misure per promuovere uno sviluppo economico sostenibile, tra cui l'abilitazione del Kosovo a diventare membro delle principali istituzioni finanziarie.

Lo scorso 10 marzo, in occasione del vertice conclusivo sul futuro status del Kosovo svoltosi a Vienna, l’inviato Ahtisaari, preso atto dell’inutilità di proseguire per la mancanza di volontà dei dirigenti serbi e kosovari di arrivare a un compromesso, rimandava ulteriormente la presentazione al Consiglio di sicurezza dell’ONU dell’ultima versione del piano.

Nel corso del vertice le parti hanno ribadito i loro opposti punti di vista: il presidente kosovaro Sejdiu ha confermato l’accettazione del piano proposto dal negoziatore ONU, mentre il premier serbo Kostunica ha definito l'indipendenza del Kosovo un ''pericoloso precedente'' nella storia dell'ONU, suscettibile di minacciare l'intero ordine internazionale, dal momento che violando in molti punti la sovranità e l'integrità della Serbia, il piano le sottrae in modo unilaterale il 15 per cento del territorio. Il Commissario Ue per l'allargamento, Olli Rehn, invece, nell’annunciare l’appoggio dell’Ue alla presentazione del piano al Consiglio di Sicurezza, lo giudicava un valido schema per un futuro Kosovo stabile, democratico e multietnico e ne valorizzava il carattere di realistico compromesso.

La proposta sullo status del Kosovo è stata presentata ufficialmente il 3 aprile; essa prefigura una sorta di “indipendenza sorvegliata” dalla presenza internazionale, in cui alla minoranza serba è riconosciuta ampia autonomia. In questa occasione la Russia ha liquidato il piano dichiarandolo “praticamente fallito”.

Dopo ulteriori consultazioni, il 31 maggio i paesi europei (Gran Bretagna, Germania, Italia, Francia, Belgio e Slovacchia) e gli Usa hanno presentato al Consiglio di Sicurezza una bozza emendata di risoluzione che nel proporre l'indipendenza del Kosovo sotto supervisione internazionale recepiva senza sostanziali modifiche le indicazioni contenute nel rapporto Ahtisaari ma non teneva conto della proposta russa di nuovi negoziati tra le parti.

La Russia ha respinto la proposta minacciando il ricorso al diritto di veto ma ha altresì reso noto, per voce dell’ambasciatore all'ONU Vitaly Churkin, di essere favorevole "al trasferimento della responsabilità dall'ONU", oggi tutore del Kosovo, "all'Unione europea, ma sempre nel quadro dell'attuale status". Il primo ministro kosovaro Ceku ha definito “un favore fatto alla Russia” la versione emendata della bozza di risoluzione sul futuro del Kosovo all'esame del Consiglio di sicurezza dell'ONU ma ha giudicato accettabili per la maggioranza albanese le modifiche sottolineando che il nuovo testo della risoluzione consentirà comunque di proclamare l'indipendenza. Quanto alla parte serba, il neoministro degli esteri, il liberale Vuk Jeremic, vicino al presidente Tadic e pertanto esponente dell'ala più europeista del governo serbo, ha ribadito di ritenere sbagliata la posizione dell'Occidente evidenziando il rischio di un effetto domino di destabilizzazione sull'intero mosaico balcanico in caso di riconoscimento internazionale di un inedito Stato kosovaro indipendente.

Fonti di stampa hanno affermato, in quella circostanza, che la diplomazia russa avrebbe messo in circolazione una ulteriore ipotesi in base alla quale il Cremlino avrebbe potuto accettare la sostanza del piano Ahtisaari per l'indipendenza del Kosovo se, a loro volta, Usa e Ue avessero consentito il ritorno di peacekeeper russi nel Kosovo, il rinvio di almeno due anni dell'ammissione del Kosovo come membro ONU e la rinuncia da parte della Nato a invitare Georgia, Ucraina e altre repubbliche ex-sovietiche ad aderire al Patto atlantico. Gli analisti hanno sottolineato che tale ipotesi conferma che la principale preoccupazione di Mosca è che un Kosovo indipendente rappresenti un precedente potenzialmente lesivo del principio di sovranità suscettibile di costituire un grimaldello giuridico per molte regioni, presenti in varie aree dell'ex Unione Sovietica, le cui minoranze etniche puntano sull'autodeterminazione. Gli analisti riconducono le perplessità su una eventuale indipendenza del Kosovo manifestate da taluni Paesi europei all’analoga esigenza di non creare un precedente che potrebbe determinare ripercussioni sugli equilibri interni; è il caso, ad esempio, della Spagna con i paesi baschi, e dellaRomania per le rivendicazioni che potrebbero essere avanzate dalla Russia sulla Moldova chiedendo il riconoscimento della Transnistria.

Gli ulteriori round negoziali non hanno modificato il quadro e i rapporti di forza. Fallita la  mediazione dell'ONU tentata con il Piano Ahtisaari, la soluzione della questione è stata messa nelle mani dei negoziatori del Gruppo di contatto. Le divergenze si sono comunque subito riproposte: infatti, mentre per il commissario europeo per l'allargamento, Olli Rehn, il piano doveva continuare a essere il punto di partenza per ogni successiva proposta, Mosca escludeva tale approccio ribadendo la permanenza in vigore della risoluzione ONU 1244 sullo status provvisorio del Kosovo.

Il 25 luglio il Gruppo di contatto si è riunito a porte chiuse a Vienna nella sede dell’ambasciata tedesca, dove si è decisa la costituzione della troika negoziale (composta da UE, USA e Russia). Per gli esiti (negativi) della attività della troika, vedi supra il paragrafo Gli sviluppi più recenti.

 

 

 

 

 

 

 

 


Attività parlamentare recente

 


Camera dei deputati

 


RESOCONTO

STENOGRAFICO

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249

 

Seduta di lunedì 26 novembre 2007

 

presidenza del VICEPRESIDENTE PIERLUIGI CASTAGNETTI

La seduta comincia alle 10,35.

(omissis)


Discussione della mozione Giancarlo Giorgetti ed altri n. 1-00248 relativa ai negoziati sullo status del Kosovo.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della mozione Giancarlo Giorgetti ed altri n. 1-00248 relativa ai negoziati sullo status del Kosovo (Vedi l'allegato A - Mozione sezione 1).

Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione della mozione è pubblicato in calce al resoconto della seduta del 20 novembre 2007.

(Discussione sulle linee generali)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali della mozione.

È iscritto a parlare l'onorevole Giancarlo Giorgetti, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00248. Ne ha facoltà.

GIANCARLO GIORGETTI. Signor Presidente, l'unico atto internazionale oggi in vigore che riguardi lo status del Kosovo è costituito dalla risoluzione del Consiglio di sicurezza n. 1244 del 10 giugno 1999. Tale atto, seppur non privo di ambiguità, rappresenta l'unico momento di accordo unanime della comunità internazionale e la sua violazione costituirebbe a tutti gli effetti un atto illegittimo.

La risoluzione sancisce alcuni principi molto chiari, seppur maturata all'indomani di un intervento internazionale molto controverso e, per la prima volta dal dopoguerra, non autorizzato dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Tra i contenuti inequivocabili della risoluzione n. 1244, il principio del rispetto dell'integrità territoriale della sovranità dello Stato serbo, erede della federazione jugoslava, unitamente all'impegno ad assicurare al Kosovo una sostanziale autonomia. Coerentemente a ciò, nell'aprile 2004 il Governo di Belgrado ha approvato autonomamente un assetto cantonale per il Kosovo che garantisce alla regione amplissima autonomia.

Constatata l'inefficacia dell'intervento internazionale nella regione, i Paesi coinvolti, attraverso l'ONU, hanno voluto imprimere una forte accelerazione al negoziato sullo status, inviando un negoziatore, Martti Ahtisaari, la cui proposta di una sostanziale indipendenza del Kosovo, sotto la transitoria tutela di una forza internazionale, non poteva che incontrare l'opposizionePag. 100del Governo serbo. Di fronte al fallimento del «piano Ahtisaari» e alle difficoltà di compromesso tra le parti, la comunità internazionale pare fortemente tentata dall'idea di imporre una soluzione che soddisfi almeno una parte e che possa avviare in qualche modo un disimpegno dall'area, ma sostenere un'opzione che violi il principio di sovranità degli Stati e il diritto internazionale vigente sconfessa il prestigio e le fondamenta della comunità stessa. È assolutamente improprio in questo caso un riferimento al diritto di autodeterminazione. Come ha scritto il generale Mini, il Kosovo non si è né liberato né autodeterminato: è stato solo miracolato da una guerra scatenata da potenze esterne che ha determinato un cambiamento di equilibrio nei poteri interni di uno Stato sovrano.

Se l'intervento umanitario era già discutibile per la mancanza di un via libera da parte del Consiglio di sicurezza, esso non può arrivare a determinare un cambiamento dello status giuridico del Paese, altrimenti sarebbe un intervento totalmente illecito alla luce del diritto internazionale. Alla vigilia del 10 dicembre 2007, data entro cui dovrebbero concludersi i negoziati, i leader kosovari e gli ex guerriglieri dell'UCK, che, dopo aver portato il vessillo della grande Albania, ora siedono in posizioni di governo, hanno ufficialmente dichiarato che se l'indipendenza non sarà l'esito naturale dei negoziati, la regione procederà immediatamente ad una dichiarazione di indipendenza unilaterale. L'indicazione del 10 dicembre 2007 come deadline per una soluzione definitiva, qualunque essa sia, sta pericolosamente emergendo anche in altre capitali.

Il Presidente francese Nicolas Sarkozy, al termine dell'incontro del 9 ottobre scorso a Mosca con Vladimir Putin, ha affermato di aver detto al Presidente russo che l'Europa - parla, dunque, anche per conto nostro - riconoscerà l'indipendenza della regione se non si arriverà ad un accordo nei tempi previsti.

L'eventuale indipendenza del Kosovo non potrà non avere un effetto destabilizzante a cascata su altre regioni balcaniche, che vivono al loro interno difficili rapporti tra diverse comunità etniche. È il caso della Macedonia, del Montenegro ma soprattutto della Bosnia Erzegovina.

Gli accordi di Dayton del 1995 hanno sancito l'integrità della Repubblica, ma divisa in due entità dotate ciascuna di Parlamento e Governo proprio. Di queste, la Repubblica a maggioranza serba Srpska rappresenta il 49 per cento del territorio. È ormai entrato nel comune sentire dei serbi della Bosnia un diretto collegamento tra un'eventuale indipendenza di Pristina e un eguale diritto alla secessione per la Repubblica Srpska. Se quest'ipotesi dovesse prendere piede, la catena delle rivendicazioni etniche potrebbe contagiare gli interi Balcani.

Un Kosovo indipendente non garantirebbe la sicurezza delle comunità serbe, quelle rimaste nella provincia e quelle costrette dagli estremisti albanesi a lasciarla, naturalmente senza copertura mediatica televisiva. Dopo i fatti del 2003, che hanno lasciato 19 morti sul terreno sotto gli occhi delle forze internazionali, è chiaro che l'intento dei kosovari albanesi è quello della pulizia etnica, naturalmente senza copertura mediatica.

Il Kosovo oggi è definito, nella letteratura geopolitica, lo Stato delle mafie. Si tratta di un territorio le cui istituzioni non hanno né la forza, né la capacità di governare un Paese, praticamente privo di un'economia legale, che non potrebbe, in ogni caso, essere indipendente da una presenza internazionale. Basta fotografare il clima politico in cui si sono svolte le recenti elezioni del 17 novembre: i diversi candidati non erano conosciuti per il loro programma politico, ma indicati dalla popolazione per il proprio predominio in questo o quel tipo di affare illecito.

La mozione presentata dal gruppo Lega Nord Padania ha prima di tutto l'intento di portare il Parlamento a discutere approfonditamente sulla questione dello status del Kosovo e di far sì che il Governo italiano assuma una posizione chiara in merito, su indirizzo di questa Assemblea. Lo abbiamo già fatto in Commissione conPag. 101una risoluzione, tuttavia ci sembra che poi gli atti concreti non rispondano esattamente a tale indirizzo.

L'Italia, come molti altri Paesi, a brevissimo termine si troverà ad esprimere le proprie posizioni e a cercare di costruire una posizione comune e condivisa a livello europeo. Le posizioni americane e russe sono note e stanno, ad oggi, pesando moltissimo sul processo negoziale. Non altrettanto chiaro è il pensiero del vecchio continente, dove alcuni Paesi stanno assumendo posizioni giustificabili solo con la volontà di creare propri assi strategici al di fuori dell'Europa o di ottenere un egoistico disimpegno dei propri uomini e delle proprie risorse.

Noi riteniamo, invece, che l'area balcanica sia principalmente una questione dell'Europa, che dovrebbe costituirne l'attore esterno determinante. L'Unione europea sta giocando la carta degli accordi preadesione con la Serbia in modo strumentale, come il bastone e la carota, al fine di ottenere un atteggiamento conciliante verso il Kosovo. Questo comportamento - inutile negarlo - è dettato anche dalla paura che, se non otterrà l'indipendenza, il Kosovo sarà disposto ad avviare una nuova guerra. La minacciosità dei kosovari albanesi è diventata la loro maggiore forza.

La volontà della Serbia di restare legata all'Europa sta diventando, invece, quasi un obbligo al cedimento della propria sovranità. La disponibilità serba al compromesso, tuttavia, incontra un limite invalicabile nel riconoscimento, da parte europea, di una dichiarazione d'indipendenza unilaterale da parte di Pristina.

Assecondare il Kosovo, nella sua violazione del diritto internazionale, significa per l'Europa perdere definitivamente la Serbia, che tornerà ad avere un asse privilegiato esclusivamente con Mosca; significa, altresì, che il futuro dell'Europa sarà quello di aprirsi alla Turchia musulmana e all'influsso mediterraneo, ma di chiudersi alle spalle le terre di origine dell'identità cristiano-ortodossa.

Per questo motivo, chiediamo al Governo di assumere un preciso mandato a non riconoscere un Kosovo indipendente, se tale sarà la dichiarazione unilaterale, nemmeno laddove Pristina tenti di trovare una giustificazione a posteriori nel consenso degli Stati Uniti o di altri Paesi (consenso che non può superare il principio della sovranità degli Stati).

I negoziati possono e debbono continuare anche dopo il 10 dicembre, se non si alimenta l'idea che questa sia una deadline invalicabile. Da parte sua, la Serbia sta offrendo modelli alternativi di autonomia sui quali, però, non viene nemmeno aperta una reale discussione. Non può esserci un negoziato del «prendere o lasciare», soprattutto se in ballo vi sono così tante variabili.

Chiediamo, quindi, un negoziato vero, che duri per tutto il tempo necessario, ed un maggiore ruolo dell'Europa, a favore del quale l'Italia deve battersi in ogni sede opportuna.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Leoluca Orlando. Ne ha facoltà.

LEOLUCA ORLANDO. Signor Presidente, la mozione Giancarlo Giorgetti ed altri n. 1-00248, presentata dal gruppo Lega Nord Padania, rappresenta sicuramente un importante contributo per affrontare la scadenza del 10 dicembre, in merito alla delicata posizione del Kosovo.

Il ragionamento svolto dall'onorevole Giancarlo Giorgetti, che sento di condividere, sostanzialmente fa riferimento alla risoluzione delle Nazioni Unite n. 1244 del 10 giugno 1999. Si tratta di una risoluzione che, per molti versi, è sicuramente chiara, per quanto riguarda l'integrità della Serbia, ma, al tempo stesso, ambigua, per quanto riguarda le forme di autonomia che devono essere sostanzialmente riconosciute al Kosovo.

E sta esattamente in questo il tema del negoziato, che non sembra abbia portato risultati definitivi, se è vero (come lo è) che, sostanzialmente, bisogna cercare da una parte uno spazio tra l'annunciata eventuale dichiarazione unilaterale d'indipendenza da parte del Kosovo, e dall'altraPag. 102parte la verificata, o verificabile, disponibilità di Belgrado ad accettare una sostanziale autonomia del Kosovo con esclusione della rappresentanza internazionale, e con la disponibilità, eventualmente, ad accettare una rappresentanza internazionale del Kosovo riferita ai temi economici e finanziari.

Credo che questo terreno vada ulteriormente esplorato; sicuramente, la prima delle considerazioni che mi sento di proporre è che bisogna fare in modo che il 10 dicembre 2007 non sia considerato né l'anno zero né l'anno mille, perché diversamente credo che contribuiremmo a complicare l'intera vicenda.

Mi sembra che si possa sostenere in questa fase la censura, la condanna (così come ha fatto l'onorevole Giancarlo Giorgetti, che condivido) dell'eventuale intenzione del Kosovo di procedere a una dichiarazione unilaterale di indipendenza. È evidente che questa dichiarazione trasformerebbe il 10 dicembre non tanto nell'anno zero (ossia quando comincia qualcosa), quanto nell'anno mille (quello nel quale si immagina che finisca il mondo): certamente ciò produrrebbe effetti devastanti, perché farebbe riassorbire al tempo stesso la Serbia nell'orbita russa e produrrebbe conseguenze non prevedibili nel nord del Kosovo, effetti destabilizzanti in Macedonia e Montenegro ed effetti sicuramente emulativi in altre realtà non tanto lontane da quelle di cui stiamo parlando: mi riferisco, in particolare, all'Abkazia e all'Ossezia nel sud della Georgia, che evidentemente si troverebbero incoraggiate da questa scelta del Kosovo. Credo, quindi, che sia assolutamente necessario verificare in qualche modo la possibilità di una posizione europea comune su questo punto e, nelle more che ciò accada, chiedere uno spostamento del termine.

La mozione presentata dall'onorevole Giancarlo Giorgetti, che - lo ripeto - nello spirito condivido pienamente, ha soltanto un aspetto che mi lascia perplesso nell'ultimo punto del dispositivo: l'impegno, lì espressamente indicato, a non riconoscere un'eventuale dichiarazione unilaterale di indipendenza da parte kosovara e a sollecitare un'analoga unitaria presa di posizione da parte di tutti i membri dell'Unione europea.

Atteso che condividiamo questa impostazione, probabilmente sarebbe preferibile che questa eventualità fosse inserita nelle premesse, piuttosto che nell'impegno al Governo, affinché non risulti, nella mozione in esame, una dichiarazione senza possibilità di ritorno su una presa di posizione tanto italiana quanto europea. Credo che probabilmente quest'ultimo punto, del quale condivido pienamente le finalità e lo spirito, sia più indicato come eventualità piuttosto che come impegno a provvedere.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Marcenaro. Ne ha facoltà.

PIETRO MARCENARO. Signor Presidente, come sapete, sono ripresi oggi i colloqui fra i rappresentanti della Serbia e quelli del Kosovo, alla presenza e con la partecipazione della trojka costituita dagli Stati Uniti, dalla Russia e dall'Unione europea. Per quanto grande e fondato sia il pessimismo che circonda questi colloqui, penso che il compito della Camera dei deputati sia oggi quello di ribadire l'auspicio che con le nostre prese di posizione nei mesi scorsi abbiamo sostenuto, cioè quello di chi vuole che questi colloqui portino a un risultato positivo e a una soluzione condivisa. Mi pare, infatti, che questo punto sia al centro della vicenda, che non riguarda solo quale sarà lo status definitivo ma, in larga misura, come ci si arriverà, con quale processo, con quali relazioni, con quali rapporti e, quindi, in quali condizioni politiche, sia dal punto di vista degli effetti sulle dinamiche interne a quella regione, sia con riguardo alle conseguenze sul piano internazionale e, specificamente, sulle dinamiche che riguardano, come anche l'onorevole Giancarlo Giorgetti ricordava, l'intera area balcanica.

Noi sappiamo che tutto ciò oggi avviene in una situazione fortemente compromessa, nella quale le posizioni che vengono espresse dalle parti alla vigilia diPag. 103questa tornata di colloqui appaiono inconciliabili: da un lato, infatti, i rappresentanti della Serbia dichiarano di non essere disposti in alcun modo a concedere neppure un centimetro sulla linea dell'indipendenza - pur se avanzano concessioni importanti sul piano dell'autonomia -, dall'altro, i rappresentanti dei kosovari albanesi dichiarano che l'indipendenza è l'unica soluzione che possa essere accettata.

Naturalmente, siamo in una situazione che fa maturare moltissime preoccupazioni e moltissimi dubbi, in primo luogo per quanto riguarda la situazione interna di quella regione nella quale noi, nonostante la grande mole di risorse che è stata investita dalla comunità internazionale, non abbiamo assistito in questi anni a un processo di sviluppo, ad una rimessa in moto dell'economia e alla costruzione di quella base obiettiva che permette di affrontare i problemi di una comunità, ma neppure allo sviluppo di una struttura politica e democratica che possa essere assimilata a quella che immaginiamo quando usiamo l'espressione «Stato di diritto».

Non vi è dubbio che in Kosovo rimane una situazione nella quale il potere politico è fortemente intrecciato con elementi di malavita e di corruzione, configurandosi, quindi, una situazione che, anche da questo punto di vista, costituisce una minaccia potenziale per l'Europa e - nell'Europa - in particolare per un Paese come il nostro.

D'altra parte, sappiamo che, per una serie di ragioni, oggi l'idea di una possibile continuazione della convivenza tra le popolazioni serbe e kosovare in quella zona si presenta come una posizione scarsamente fondata sulla volontà di quei popoli, sulla loro esperienza e sulle relazioni che oggi lì esistono.

Da questo punto di vista, esistono responsabilità molto pesanti, che non possono essere attribuite solo ai gruppi dirigenti kosovari che attualmente, come hanno dimostrato alle ultime elezioni, prevalgono nella situazione kosovara.

Se queste forze prevalgono è anche perché - ciò va ricordato - vi è stata per anni ed anni una politica serba che, invece di costruire gli elementi di dialogo con le forze dialoganti presenti in quella società, ha puntato ad una linea duramente repressiva, una linea che ha negato quella stessa autonomia che oggi viene messa in campo oltre i tempi realisticamente consentiti dalla politica e che ha determinato la situazione che oggi vediamo.

Aggiungo che tutto ciò avviene, peraltro, in una situazione internazionale nella quale - ed anche questo, forse, va ricordato - i rapporti in particolare tra gli Stati Uniti e la Russia non sono i rapporti tra due Paesi che concorrono insieme a costruire nuove condizioni di dialogo internazionale, ma sono rapporti tra due Paesi che giocano pesantemente, l'uno e l'altro, ad affermare proprie zone di influenza. Penso al senso della politica dell'amministrazione americana in quella regione, ma penso anche al ruolo che la Russia ha svolto, e non si può non vedere un legame tra la posizione di «aproblematica» difesa della posizione serba da parte della Russia e un'involuzione generale della politica russa e della direzione che Putin ha impresso a quel Paese che vede anch'esso messi in discussione pilastri essenziali dello Stato di diritto.

Naturalmente, in questa situazione, i rischi che il Kosovo diventi un focolaio dal quale si sviluppano conflitti più ampi sono realistici.

Come sappiamo, perché ne abbiamo discusso in Commissione solo pochi giorni fa con gli stessi colleghi di oggi, i pericoli provengono da molte direzioni. L'onorevole Giancarlo Giorgetti ricordava, in primo luogo, la questione che riguarda la Bosnia e le possibilità che da parte della componente serba di quello Stato (la Srpska), abbia luogo una spinta di autonomizzazione e una richiesta di separazione. Ma il primo problema riguarda addirittura l'interno del Kosovo. Cosa avverrà di fronte ad una dichiarazione di indipendenza? Le popolazioni serbe, che vivono a nord del fiume Ibar, come si comporteranno? Quali conflitti si apriranno? D'altroPag. 104lato, com'è stato ricordato, non è forse possibile che tutto ciò inneschi, anche a causa di operazioni politiche, processi simili a quelli che riguardano Paesi come l'Abkazia e l'Ossezia del Sud, di cui parlava l'onorevole Orlando, o addirittura il rapporto tra la Transnistria e la Moldavia?

È singolare discutere di tali argomenti perché mi rendo conto, allorché nomino tali Paesi, di riferirmi a luoghi che per la maggior parte dei cittadini italiani forse non hanno alcun significato e dei quali molti non conoscono neanche l'esistenza. Tali Paesi, però, costituiscono oggi, in questo mondo in cui la pace è tutt'altro che un bene consolidato, fonti potenziali di un conflitto che può allargarsi e provocare guai più profondi e che possono toccarci direttamente.

Pertanto, riteniamo utile l'appello che dalla Camera dei deputati e dal Parlamento italiano viene rivolto in favore di una gestione di tale vicenda ispirata non al mero schieramento a favore di una sola parte dei contendenti, ma ad un criterio di prudenza, alla ricerca di forme di dialogo e di soluzioni condivise che escludano una precipitazione implicita nella gestione unilaterale di vicende di simile delicatezza. Tali forme condivise sono ancora oggi (ma anche in futuro) il criterio principale al quale occorre attenersi, soprattutto in una situazione in cui sono ancora in corso i negoziati e le trattative.

La parola «prudenza» ha un senso se si congiunge con un'altra espressione altrettanto importante: responsabilità. Infatti, vi è una responsabilità dell'Europa che, come afferma giustamente l'onorevole Giancarlo Giorgetti, non sempre è stata svolta adeguatamente. Ma in ordine a tale punto, si apre un capitolo più ampio, concernente le difficoltà della costruzione di un ruolo attivo e di un vero soggetto europeo nel campo delle politiche estere di sicurezza. Tuttavia, in questo caso, vi è una responsabilità che riguarderà in primo luogo la fase della transizione, qualunque essa sia. Non sarà possibile garantire che la transizione avvenga in forme pacifiche, che i diritti delle varie popolazioni e delle minoranze siano rispettati, che non si assista di nuovo a forme di persecuzione come quelle che sono state così frequentemente perpetrate in quelle zone, anche con sbocchi sanguinosi, senza la presenza attiva dell'Europa, dei suoi militari e delle forze di interposizione, che possono garantire un tale tipo di soluzione.

Ovviamente non si tratta solo di questo aspetto. Infatti, vi è anche una responsabilità dell'Europa nella gestione e nella promozione dell'unico contesto nel quale oggi si può pensare che i processi di autonomizzazione e di indipendenza che hanno caratterizzato il Kosovo e l'insieme delle vicende riguardanti l'area balcanica possano essere ricondotti ad una logica unitaria. Oggi, naturalmente, neanche il più accanito dei reazionari può immaginare che l'unità delle nuove piccole identità balcaniche possa avvenire in un quadro strettamente regionale, riproducendo così situazioni simili a quelle già conosciute in passato e che andavano sotto il nome di Jugoslavia o altre forme del genere.

È solo nella dimensione europea che oggi tali realtà possono trovare una nuova identità. Ritengo che l'Europa debba avere una posizione sul punto (è questa la nostra opinione e non si tratta di un'opinione personale, ma di un'opinione largamente condivisa nell'odierno dibattito), nel senso che deve essere totalmente aperta a promuovere, in tempi e con modalità più rapide, la possibilità per tali Paesi di aderire all'Unione europea, anche con procedure accelerate, ma con una forte capacità di condizionamento politico di questo risultato rispetto ai processi che investono comunità che, nella dimensione europea, possono insieme trovare uno sbocco.

Tuttavia, affinché ciò avvenga, la prima condizione è che l'Europa non sia divisa, fra qualche settimana, al suo interno di fronte alla questione sulla quale dovrà prendere delle decisioni e che non si divida fra chi riconoscerà il nuovo Stato,Pag. 105in caso di proclamazione unilaterale di indipendenza, e chi invece negherà tale riconoscimento.

Non può essere questo l'unico terreno sul quale l'Europa si unisce o si divide: o l'Europa è capace di elaborare una linea complessiva di intervento nel rapporto fra Serbia e Kosovo, presentando una proposta che non sia solo quella di riconoscere o non riconoscere il nuovo Stato, ma che comprenda diverse strade politiche e istituzionali, oppure, in caso contrario, si rischierà fortemente che l'Europa non svolga il suo ruolo.

Onorevole Giancarlo Giorgetti, credo che dovremmo discutere insieme sulla base degli sviluppi della situazione, nonostante il pessimismo che circonda i colloqui attuali, affinché, a seguito dell'evolversi degli eventi, l'Italia svolga un ruolo in questa direzione e possa essere protagonista di una politica di pace più efficace di quella che fino ad oggi è stata condotta dall'Unione europea.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole D'Elia. Ne ha facoltà.

SERGIO D'ELIA. Signor Presidente, dichiaro subito di condividere il dispositivo della mozione presentata dal collega Giancarlo Giorgetti e dai colleghi della Lega, che ringrazio per aver posto all'attenzione della Camera una questione che, nelle prossime settimane, potrà assumere i connotati di una vera e propria emergenza dalle conseguenze drammatiche.

La mozione prevede che il nostro Paese non riconosca un'eventuale dichiarazione unilaterale di indipendenza da parte del Kosovo e che si impegni a promuovere un'analoga unitaria presa di posizione da parte di tutti i membri dell'Unione europea.

È questo l'atto di indirizzo che la Camera dei deputati con la mozione in esame esprime nei confronti del Governo. Ritenendo che lo scenario più realistico con il quale dovremo fare i conti nelle prossime settimane sarà una dichiarazione unilaterale di indipendenza, forse la mozione ha bisogno di essere integrata in merito alle azioni da intraprendere a fronte di un fatto ancora oggi non realizzatosi, ma che si potrà verificare nei prossimi giorni. Nelle prossime ore valuteremo le modalità di intervento al fine di integrare l'atto di indirizzo in esame.

In ogni caso, la personale contrarietà all'indipendenza del Kosovo, tanto più se dichiarata unilateralmente, risiede in due ragioni o, se volete, colleghi, in due ragionamenti. Il primo ragionamento è il seguente: occorre riconoscere nell'illusione nazionalista della sovranità nazionale assoluta delle aspirazioni indipendentiste una causa prioritaria di guerre e anche un'ipoteca pesante e distruttiva sullo sviluppo civile e democratico delle nostre società, che siano i Balcani, il Medio Oriente o la stessa Europa.

Il secondo aggiornamento è il seguente. La dichiarazione unilaterale di indipendenza del Kosovo è una vera e propria bomba collocata nel cuore dell'Europa, volta a far esplodere l'Unione europea e ad aggravare ulteriormente una realtà già grave, quella che Marco Pannella definisce «l'Europa delle patrie», che prende sempre più piede contro una patria europea. Stiamo cioè parlando di quella dimensione sovranazionale dell'Europa, che aveva costituito l'antidoto al proliferare di guerre e conflitti fratricidi nel continente europeo.

La dichiarazione unilaterale di indipendenza del Kosovo, che - lo sanno tutti - è fortemente sponsorizzata dagli Stati Uniti, pronti a riconoscere internazionalmente l'ex provincia serba, corrisponde ad un disegno molto preciso. Tale disegno consiste nell'indebolire l'Europa come attore economico e politico nello scacchiere mondiale, mandare in pezzi la posizione comune europea sul riconoscimento dello status del Kosovo, come fatto politico propedeutico al superamento della posizione comune dell'Europa sulla guerra all'Iran, che si annuncia. Alcuni Paesi europei sono assolutamente necessari per l'attacco all'Iran, come lo sono stati per l'intervento in Iraq, e, quindi, è necessario anche quest'altro precedente: che alcuni Paesi europei, riconoscendo oggi il Kosovo, a ruota degli Stati Uniti, e rompendo laPag. 106posizione comune europea, siano pronti domani a rompere il consenso europeo in occasione di una guerra all'Iran, che è molto probabile Bush stia preparando.

La questione dello status del Kosovo chiama in causa direttamente anche il nostro Paese. Voglio ricordare - anche rispetto alle posizioni contrarie, come la mia, all'indipendenza del Kosovo - che nel 1992 l'Italia, nella persona dell'allora Presidente del Consiglio Amato, ricevette il leader non violento kosovaro Rugova, con cui avevamo ottimi rapporti. Tale incontro avvenne proprio su iniziativa del partito radicale e di Marco Pannella, che da sempre avevano riconosciuto la piena legittimità politica dell'Assemblea parlamentare del Kosovo, il cui presidente di oggi, Fatmir Sejdiu, e la cui leadership democratica sono iscritti da anni al partito radicale transnazionale.

Lo dico proprio per le posizioni che oggi mi trovo ad esprimere in quest'Aula e per gli ottimi rapporti, anche di appartenenza politica e partitica, che abbiamo con i leader kosovari. Oggi la questione del Kosovo chiama in causa il nostro Paese non solo per questioni geografiche e di rapporti politici dell'Italia con l'Albania, ma soprattutto perché l'Italia è in prima linea in Libano ed in Afghanistan ad Herat ai confini dell'Iran. L'Iran, tramite gli hezbollah in un caso, direttamente nell'altro caso, può decidere, come e quando vuole, di coinvolgere il nostro Paese in caso di guerra americana all'Iran.

Quindi, quel che fanno l'Italia e l'Europa sul Kosovo sono strettamente legati a quanto può accadere, oppure essere scongiurato nei prossimi mesi in Medio Oriente. Quindi, sono d'accordo con il collega Marcenaro nel fare in modo che l'Unione europea oggi assuma la unanime posizione degli Stati membri, riconoscendo o meno la dichiarazione unilaterale di indipendenza del Kosovo. È l'unico tentativo possibile per scongiurare la catena di conseguenze e di eventi che si verificheranno o si vanno preparando.

Comunque, colleghi, è necessario essere consapevoli di un fatto sullo status del Kosovo. Dopo il fallimento del «piano Ahtisaari», le posizioni delle parti in causa sono talmente distanti che è realistico prevedere che il negoziato non arrivi ad una conclusione positiva e condivisa entro il 10 dicembre 2007. Quindi, in questo senso l'atto di indirizzo che oggi è sul tavolo e che stiamo discutendo probabilmente va integrato. Si tratta di discutere del dopo e di concordare con la comunità internazionale, in primis con l'Unione europea, i passaggi successivi, nei quali una posizione comune dell'Unione europea - lo ripeto - è fondamentale e vitale, se si vuole evitare la catena di effetti devastanti nei Balcani, in Europa e nel Medio Oriente.

Il ruolo dell'Europa, quindi, l'assunzione di responsabilità dell'Unione europea nei Balcani deve essere semmai più grande dopo la dichiarazione unilaterale di indipendenza del Kosovo che io vedo su due piani: sul piano militare, occorre rafforzare la missione europea volta ad impedire che la situazione post-indipendenza precipiti in un conflitto armato tra serbi e kosovari, oltre che a tutelare la minoranza serba ed il patrimonio storico e religioso ortodosso nel Kosovo; sul piano politico, l'altro ruolo dell'Europa, e anche del nostro Paese, deve consistere nel rafforzare la prospettiva europea della Serbia, accelerando il processo di adesione all'Unione europea; aggiungo non solo della Serbia, ma anche della Bosnia, della Macedonia e dell'Albania, per impedire una serie di effetti a catena.

Occorre un appoggio deciso all'interno dell'Unione europea e da parte del Parlamento italiano e del Parlamento di Strasburgo nel quale promuoveremo con i nostri parlamentari europei un atto di indirizzo; è necessario un appoggio deciso dei Parlamenti italiano ed europeo all'integrazione europea della Serbia. In tal senso, l'apertura immediata di negoziati può essere la risposta politica alla crisi in tutti i Balcani, come anche in Europa, che sarà innescata dalla dichiarazione unilaterale di indipendenza del Kosovo. La pur necessaria e rigorosa collaborazione con il Tribunale penale internazionale, che, come radicali, con l'associazione «Non c'èPag. 107pace senza giustizia» nello specifico del Kosovo abbiamo portato avanti nel 1998 e nel 1999 preparando l'atto di accusa contro Milosevic proprio per i crimini commessi in quella provincia, non può e non deve trasformarsi in un'ipoteca perpetua del passato sul presente e sul futuro della Serbia.

Io non riterrei uno scandalo se, a fronte di pericoli ben maggiori, si decidesse opportunamente di dare priorità al processo di integrazione europea della Serbia rispetto alla questione della consegna dei criminali di guerra serbi al Tribunale dell'Aja. Se l'Unione europea ha una missione, un ruolo ed un futuro, essi sono quelli di impedire che guerre fratricide, dittature fasciste o comuniste, come quelle che nel secolo scorso hanno insanguinato l'Europa, ritornino a manifestarsi nel continente europeo. Come è successo per i Paesi usciti dalla Seconda guerra mondiale, anche nei Balcani si tratta di unire domani in Europa quello che nella regione oggi divide così profondamente e irreparabilmente.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Alì Raschid Khalil. Ne ha facoltà.

ALÌ RASHID KHALIL. Signor Presidente, anche noi viviamo con timore e preoccupazione l'avvicinarsi della data del 10 dicembre 2007. Vorrei dire da subito che condividiamo le preoccupazioni dell'onorevole Giancarlo Giorgetti e condividiamo anche la parte della mozione che impegna il Governo; anche se accolgo l'osservazione dell'onorevole Leoluca Orlando.

Viviamo con preoccupazione questa data e pensiamo al tempo perso da parte della comunità internazionale, delle Nazioni Unite, della troika e in modo particolare dell'Europa, perché per essa la questione del Kosovo e dei Balcani rappresenta un argomento che ha a che fare con la sua sicurezza interna.

Quando sollecitiamo il nostro Governo ad un ruolo più attivo per favorire una soluzione politica basata sul dialogo e sul rispetto reciproco nell'ambito dello Stato di diritto, lo facciamo anche perché essa, in modo particolare per l'Italia, rappresenta una questione di sicurezza nazionale. Da Roma al Kosovo ci si impiega 50 minuti, è come andare a Milano o a Palermo.

Quindi, questioni di carattere politico, ma anche geografico, impongono al nostro Governo di assumere un ruolo ancora più attivo. Si è perso del tempo perché una situazione di questo tipo si poteva prevenire; purtroppo, tutte le volte in cui la comunità internazionale deve affrontare focolai di tensione o di guerra dimostra un pauroso ritardo che si è ripetuto anche questa volta.

Malgrado l'ingente sforzo in termini umani e finanziari, come sottolinea la mozione, si individuano ritardi su tutti i livelli. Sul piano economico tale sforzo non è riuscito a favorire uno sviluppo che aiutasse la società del Kosovo a radicare la popolazione sul suo territorio e a far crescere una cultura di convivenza, di pace, di cooperazione e di conciliazione nazionale. Al contrario, su questo aiuto economico hanno lucrato anche le famiglie mafiose che governano l'economia del Paese. Così come non è stato favorito un processo politico che mettesse le comunità in condizione di tessere nuovamente i rapporti che avevano resistito a lungo a qualsiasi forma di conflitto interno, su base etnica o religiosa.

Del tempo è stato perso e temo che sia tardi, anche se mi auguro che non sia così, anche per le conseguenze nefaste che si possono verificare su tutto il resto dell'ex Iugoslavia, ma anche sull'Europa stessa.

Non dobbiamo darci per vinti anche perché non possiamo permettercelo, in quanto ciò avrebbe delle conseguenze molto negative su noi stessi, sull'idea dello Stato di diritto e su ciò che rappresenta l'Europa, che è chiamata in primo luogo ad accelerare il raggiungimento di una soluzione.

Il nostro partito ha sempre guardato con favore all'idea di una concreta iniziativa europea e, insieme all'Osservatorio suiPag. 108Balcani, ha sostenuto la proposta di considerare il Kosovo come una prima regione europea, nel tentativo di quello che Michele Nardelli - uno degli esponenti di punta dell'Osservatorio sui Balcani e uno dei fautori della proposta a cui ho fatto riferimento - considera un modo per sparagliare le carte. Quando, infatti, la comunità internazionale non è in grado di favorire una soluzione, le istituzioni faticano a trovarne una e la gente si sente assediata da un conflitto interno, occorre pensare ad altro, ai metodi non tradizionali.

Credo che l'idea di includere il Kosovo, da subito, richieda un'iniziativa politica diplomatica importante e forte nei confronti degli altri Paesi europei. Ciò potrebbe disinnescare questa situazione.

Credo che l'intervento internazionale non abbia, fino ad oggi, favorito una soluzione. Al contrario, mi sembra che abbia approfondito le divergenze e il fossato che si para tra le due comunità, che hanno avuto, entrambe, responsabilità pesanti e gravi. È sbagliato attribuire la responsabilità ad una sola parte, come non aiuta l'uso di un linguaggio contrario al concetto di riconciliazione. Entrambe le comunità, a mio avviso, insieme all'Europa, sono vittime di questa situazione.

Oggi è tardi per cercare la responsabilità di chi è stato il primo a causare il conflitto. Oggi è necessario che tutti gli sforzi convergano per favorire una soluzione, anche attraverso l'uso del linguaggio. I conflitti, quando durano nel tempo, portano ad un imbarbarimento generale che colpisce tutti senza eccezione, e oltre all'elemento etnico spesso si aggiunge anche quello religioso, che sempre è utilizzato in modo demagogico.

Non potrei definire il conflitto né in Kosovo, né in altre parti, come conflitto religioso. Tuttavia, mi spaventa l'idea del Dio confessato in piazza, del Dio del gruppo, del Dio della separazione. Dobbiamo essere portatori di un linguaggio che aiuti entrambi - e tutti - a cercare l'altro che è in noi. Sicuramente, la storia comune delle due comunità ha lasciato molti elementi in comune tra di loro.

Dobbiamo ricorrere a un'azione parallela che aiuti le due etnie a riappropriarsi della memoria più vasta, che includa entrambe: se, nel nostro tentativo di favorire una soluzione, utilizziamo un linguaggio che aiuta la divisione, non possiamo avere il successo dalla nostra parte. Non rivendico nulla per il mio partito, ma abbiamo affermato sempre che la strada dello scontro e della guerra, dello scavalcare e del calpestare il diritto internazionale e il ruolo delle Nazioni Unite porta a tali conseguenze. Non ci sono, purtroppo, scorciatoie da percorrere, soprattutto in questi pochi giorni che ci separano dalla data del 10 dicembre.

Chiedo al nostro Governo un intervento straordinario, che corrisponda alla gravità della situazione. Ci rendiamo tutti conto di ciò: esprimo quindi la nostra condivisione sulla preoccupazione dell'onorevole Giancarlo Giorgetti - primo firmatario della mozione - e anche sul dispositivo della mozione stessa.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali della mozione presentata.

Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire nel prosieguo del dibattito.

Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.


 

 


RESOCONTO

STENOGRAFICO

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252

 

Seduta di giovedì 29 novembre 2007

 

presidenza del VICEPRESIDENTE CARLO LEONI

 

La seduta comincia alle 9,40.

(omissis)

 


Seguito della discussione delle mozioni Giancarlo Giorgetti ed altri n. 1-00248 e Ranieri ed altri n. 1-00252 relative ai negoziati sullo status del Kosovo (ore 17,05).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della discussione delle mozioni Giancarlo Giorgetti ed altri n. 1-00248 e Ranieri ed altri n. 1-00252 relative ai negoziati sullo status del Kosovo (Vedi l'allegato A - Mozioni sezione 1).

Avverto che la mozione Ranieri ed altri n. 1-00252 è stata presentata successivamente alla conclusione della discussione sulle linee generali, che ha avuto luogo nella seduta di lunedì 26 novembre 2007, ed è già stata iscritta all'ordine del giorno.

Avverto altresì che le due mozioni sono state riformulate dai rispettivi presentatori in data odierna. I relativi testi sono in distribuzione (Vedi l'allegato A - Mozioni sezione 1).

Ricordo che nella seduta del 26 novembre si è conclusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.

(Intervento e parere del Governo)

PRESIDENTE. Invito il rappresentante del Governo ad esprimere il parere sulle mozioni all'ordine del giorno, come riformulate.

UGO INTINI, Viceministro degli affari esteri. Signor Presidente, prima di esprimere il parere del Governo sulle mozioni presentate, consentitemi di formulare alcune valutazioni di carattere generale. L'azione dell'Italia sul dossier (Commenti)...

PRESIDENTE. Colleghi, per cortesia...

UGO INTINI, Viceministro degli affari esteri. Capisco che, giustamente, la giornata è stata lunga e volete andare via, pertanto cercherò di essere il più rapido possibile. Prima, dunque, di esprimere ilPag. 87parere del Governo sulle mozioni presentate, consentitemi di fare alcuni valutazioni generali.

L'azione dell'Italia sul dossier Kosovo si è ispirata, negli ultimi anni, a due principi cardine: il primo è stato, ed è, l'esigenza di individuare soluzioni quanto più possibili condivise. Nelle relazioni internazionali non vi è fattore di stabilità più importante del riconoscimento di una determinata situazione da parte di tutti gli attori coinvolti. Per questo motivo abbiamo insistito affinché si continuasse a negoziare e si esplorassero tutte le possibili soluzioni sul campo. Il secondo principio è che la sistemazione del Kosovo deve tener conto del carattere profondamente europeo della questione, un principio che comporta specularmente l'esigenza che l'Europa assuma nella vicenda tutte le responsabilità che le spettano.

Coerentemente con questa impostazione, abbiamo promosso e sosteniamo lo sforzo negoziale della trojka Unione europea-Stati Uniti-Russia e, altrettanto coerentemente con la ricordata impostazione, abbiamo incoraggiato l'assunzione di un alto profilo e di un profilo convincente da parte del negoziatore europeo, l'ambasciatore Ischinger. Come è noto, il negoziato entra ora nella fase finale. La trojka Unione europea-Stati Uniti-Russia ha ottenuto, proprio in questi giorni, un'ulteriore tornata negoziale, protratta a Baden in Austria (26-28 novembre) che ha confermato le difficoltà di individuare un terreno d'intesa tra le parti in merito allo status. Il 10 dicembre il gruppo di contatto presenterà al Segretario generale Ban Ki-moon il rapporto conclusivo del negoziato per lo status del Kosovo. La trojka si recherà anche a Belgrado e Pristina all'inizio di dicembre per un colloquio finale.

Siamo consapevoli delle difficoltà esistenti. Sul problema dello status le posizioni delle parti rimangono molto distanti, tuttavia rimaniamo convinti che occorra valorizzare al massimo il tempo residuo che ci separa dal 10 dicembre. Si è trattato, e si tratta, di un negoziato difficile. Negli ultimi contatti intrattenuti con l'ambasciatore Ischinger, quest'ultimo ha sottolineato che, pure in presenza di una perdurante impasse sul nodo dello status, il negoziato lascerà comunque una preziosa eredità in termini di dialogo tra Belgrado e Pristina e che lo stesso si è dimostrato, a tratti, anche costruttivo e cordiale.

Il negoziato ha gettato le basi, dice Ischinger, delle possibili future aree di collaborazione fra le parti in settori di interesse reciproco, a beneficio soprattutto delle minoranze etniche e delle popolazioni residenti a ridosso delle zone limitrofe tra Kosovo e Serbia. È ancora il momento del negoziato, dunque. Si tratta di un negoziato difficile e indubbiamente con possibilità ridotte di un esito consensuale. Tuttavia, qualsiasi posizione che partisse dal presupposto che lo stesso negoziato sia destinato a fallire, lo indebolirebbe e creerebbe per così dire una self-fullfilling profecy (una profezia che si auto-avvera). Ad ogni modo, indipendentemente dagli esiti del negoziato, occorrerà tenere ben saldi due punti.

Il primo è che occorre evitare che si verifichi una spaccatura tra i partner dell'Unione europea, in particolare in tema di riconoscimenti a seguito di una possibile dichiarazione di indipendenza da parte di Pristina. Quando gli europei si sono divisi hanno finito con l'indebolire la propria azione e con il minare la credibilità dell'Unione; ciò che è peggio, quando si sono divisi si sono spesso preclusi la possibilità di esercitare una reale azione stabilizzatrice.

Il secondo punto fermo è che, comunque vadano le cose, la comunità internazionale dovrà rimanere sul territorio mantenendo una presenza attiva nella regione; da questo punto di vista rivestirà un'importanza primaria l'avvio della missione PESD dell'Unione europea che avrà il compito di aiutare la società kosovara ad accrescere i suoi standard di democrazia e a dotarsi di strumenti idonei allo scopo. Questa missione è da tempo in preparazione a Bruxelles e sarà la più importante in termini di risorse umane, diplomatiche, Pag. 88di sicurezza, finanziarie e di impegno per lo sviluppo che sia mai stata varata dall'Unione europea.

Come ho già accennato, l'Italia si è attivata affinché l'Unione europea assumesse un ruolo primario; abbiamo agito in questo senso nella consapevolezza delle profonde implicazioni della realtà kosovara sulla stabilità della regione e, quindi, sulla nostra sicurezza nazionale intesa nel senso più ampio. Anche la NATO e l'OSCE resteranno impegnate nel contribuire alla sicurezza e allo sviluppo del Kosovo.

Questo è quanto volevo dire in premessa, prima di esprimere il parere sulle mozioni. Ho dovuto inevitabilmente dilungarmi (non troppo, ma il minimo indispensabile) in quanto lunedì sera, in sede di discussione sulle linee generali della mozione, si è svolto un dibattito importante che ha messo in luce posizioni non distanti tra maggioranza e opposizione, perché almeno lo spirito è bipartisan.

Alla luce delle considerazioni testé esposte, dunque, il Governo esprime parere contrario sulla mozione Giancarlo Giorgetti ed altri n. 1-00248 - della quale, peraltro, apprezziamo lo spirito e molte delle riflessioni in essa contenute -, mentre il parere è favorevole sulla mozione Ranieri ed altri n. 1-00252. Il Governo ne condivide il contenuto e l'accetta in tutte le sue parti. In particolare, con riferimento al secondo capoverso del dispositivo, desidero sottolineare che il Governo italiano continuerà ad adoperarsi con il massimo impegno per favorire la ricerca di una soluzione condivisa. Tuttavia, non posso evitare di insistere sull'estrema difficoltà del negoziato e sulle ridotte possibilità di un esito consensuale.

(Dichiarazioni di voto)

PRESIDENTE. Passiamo alle dichiarazioni di voto.

Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Evangelisti. Ne ha facoltà.

FABIO EVANGELISTI. Signor Presidente, a nome del gruppo Italia dei Valori, voglio dire che inizialmente abbiamo guardato con interesse, se non con favore, almeno in linea di principio, alla mozione presentata dall'onorevole Giancarlo Giorgetti per il gruppo della Lega. Tuttavia, non potevamo e non possiamo oggi esimerci dal sollevare alcune obiezioni di principio e alcune questioni da chiarire, anche se un contributo notevole in tal senso è stato già fornito dal rappresentante del Governo.

La crisi nei Balcani dopo decenni ha riportato di fronte ad una attonita e fin troppo immobile Europa la barbarie della guerra, della distruzione e della fame, producendo dinamiche che ancora oggi rischiano, da un lato, di incrinare la stabilità del rapporto tra Stato e minoranze etniche nei vari Paesi membri (si pensi, ad esempio, alle correnti separatiste in Spagna e in Grecia) e, dall'altro, di assurgere a potenziale giustificazione, a modello e addirittura a valido precedente per un'azione di smembramento in seno agli stessi Stati membri.

Ieri, tra l'altro, a Baden - è una notizia riportata stamani da tutti i giornali - si è constatato quanto questo obiettivo sia difficile da raggiungere, tanto che i colloqui internazionali sono tornati ad un impasse che rischia di comportare effetti ancora più drammatici.

Proprio per questo motivo (tralascio ogni altra considerazione perché mi rendo conto della ristrettezza dei nostri tempi), pur apprezzando la mozione a prima firma dell'onorevole Giancarlo Giorgetti, non possiamo votare a favore su di essa; appoggeremmo senz'altro, tuttavia, la mozione della maggioranza, la definisco così, di cui è primo firmatario il presidente Ranieri. Chiedo infine che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale della mia dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. La Presidenza lo consente sulla base dei criteri costantemente seguiti. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Venier. Ne ha facoltà.

Pag. 89

IACOPO VENIER. Signor Presidente, sarebbe stato necessario un diverso clima per discutere mozioni relative ad un evento, l'eventuale proclamazione unilaterale d'indipendenza del Kosovo, che a catena potrebbe provocare una nuova guerra nei Balcani e l'esplosione di conflitti in aree molto prossime all'Europa, con conseguenze devastanti sul piano del diritto internazionale.

Voglio solo sottolineare che condividiamo la mozione presentata dal collega Ranieri e da altri componenti della maggioranza, in particolare quando si afferma che l'Italia è impegnata nella ricerca di una necessaria soluzione condivisa. Senza una soluzione condivisa, infatti, non può esservi soluzione per lo status del Kosovo, nonostante le iniziative unilaterali che possono essere pensate (e anche determinate) solo a causa di un atteggiamento irresponsabile del Governo degli Stati Uniti d'America che non guarda all'interesse degli europei, ma cerca una sponda e una base efficace nel centro dei Balcani.

Al nostro Governo chiedo di porre attenzione anche al concerto europeo, in quanto dobbiamo far valere la nostra voce in sede europea e non accettare la condizione attuale della posizione di alcuni Paesi europei. L'Europa, infatti, è un soggetto che potrebbe essere coinvolto dai disastri che potrebbe provocare una proclamazione unilaterale, con il conseguente riconoscimento di un fatto che si porrebbe al di fuori di qualsiasi legalità internazionale anche alla luce della risoluzione dalle Nazioni Unite.

È per questo motivo che noi votiamo a favore sulla mozione a prima firma Ranieri, mentre ci asterremo dal voto sulla mozione presentata dal gruppo della Lega Nord, in quanto non condividiamo tutte le considerazioni in quell'atto contenute. Ma lo spirito di tali atti, ovvero la necessità assoluta di una soluzione condivisa, è ciò cui vogliamo impegnare il nostro Governo e tale spirito era anche alla base della precedente mozione che tutto il Parlamento ha approvato.

Chiedo ufficialmente che il Governo, prima dell'adozione di qualsiasi atto che impegni l'Unione europea o il nostro Paese in seguito al verificarsi di ciò che non deve verificarsi (ovvero la proclamazione unilaterale di indipendenza), venga in Aula per ascoltare l'opinione dei gruppi e del Parlamento stesso; venga, cioè, prima che si compia qualcosa di irreparabile, le cui conseguenze non sono oggi misurabili.

Concludo sottolineando che questo problema enorme - che potrebbe poi scatenare ulteriori guerre - deriva da una scelta sbagliata e illegittima anche sul piano del diritto internazionale, ovvero la guerra contro l'ex Jugoslavia. Le guerre, infatti, non realizzano soluzioni ma provocano nuovi problemi e quello che abbiamo di fronte è uno dei più gravi che dobbiamo affrontare per pensare davvero ad un'Europa senza guerre (Applausi dei deputati del gruppo Comunisti Italiani).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Tondo. Ne ha facoltà.

RENZO TONDO. Signor Presidente, gli scenari complessivi nei quali il difficile equilibrio balcanico si è venuto a trovare all'indomani della deflagrazione della Repubblica federale socialista jugoslava ravvivano in noi le immagini ancora ben chiare del proprio vissuto personale delle dinamiche verificatesi in quella complessa regione e le conseguenze che esse hanno determinato sul destino di milioni di persone.

Mi riferisco alla Slovenia, alla Croazia, alla Serbia, alla Bosnia Erzegovina, al Montenegro, alla Macedonia e ora al Kosovo, con la variante interna relativa alla Bosnia; una Jugoslavia in sedicesimi, appunto, con serbi, croati e musulmani bosniaci a ritentare una non facile coabitazione, tant'è che al nord opera ancora l'autoproclamata Repubblica serba di Bosnia, per non parlare della Bosnia croata a Mostar e dell'Erzegovina o, ancora, del Montenegro, fino a poco tempo fa unito alla Serbia nella Repubblica jugoslava di Serbia e Montenegro e oggi Stato autonomo, a sua volta separato da Belgrado.

Non deve sfuggire, inoltre, la vicenda della Repubblica di Macedonia, sulla denominazionePag. 90 della quale uno Stato membro e fondatore dell'Unione europea quale la Grecia mantiene legittimamente fortissime riserve.

Vale la pena di ricordare come, all'epoca dell'auto-proclamazione della Slovenia come Stato autonomo, il 25 giugno 1991, l'allora Ministro degli affari esteri italiano, l'onorevole Gianni de Michelis, avvertì, purtroppo abbastanza inascoltato, sui grossi rischi che la corsa di vari Governi e istituzioni europee al riconoscimento delle varie sovranità nazionali, e poi a catena delle altre Repubbliche, avrebbero creato con un effetto domino, poi puntualmente verificatosi, dalle conseguenze devastanti. Oggi la vicenda kosovara rischia di essere non già l'ultimo tassello della prima serie, bensì, ahimé, il primo di una seconda tormentata tornata di autoproclamazioni secessioniste decisamente preoccupanti.

L'elemento di maggiore preoccupazione, e soprattutto a noi più vicino, almeno nell'immediato, è proprio la Bosnia, dove i serbi di Bosnia della Republika Srpska di Banja Luka, sarebbero decisamente interessati all'idea di secessione da Sarajevo, con rischi gravissimi di un'ulteriore immediata deflagrazione della situazione balcanica. Nelle mozioni presentate e nel dibattito intervenuto si coglie giustamente l'alto livello di preoccupazione verso un contesto di grande tensione che si verrebbe immediatamente a creare se i leader kosovari (troppo spesso, ahimè, ex guerriglieri dell'UCK) dovessero procedere senza indugi ad una propria dichiarazione unilaterale d'indipendenza.

È evidente quindi che la dead line del 10 dicembre va assolutamente procrastinata, che una iniziativa negoziale non può essere abbandonata da parte di tutti i soggetti in campo, a cominciare dall'ONU e dall'Unione europea. I colloqui devono assolutamente riprendere e devono proseguire. Il rappresentante USA, in seno alla trojka Unione europea, USA e Russia, ha detto ieri che la pace nella regione è in grande pericolo, anche se per fortuna ha aggiunto, speriamo sia vero, che ambo le parti escludono la violenza per la soluzione del conflitto. Certo, i negoziati sono quelli che sono. Pristina ha sempre dichiarato che, con o senza accordo, proclamerà l'indipendenza. Belgrado ha ripetuto che non è disposta a cedere neanche un centimetro di territorio, ma solo a concedere un'ampia autonomia.

Il dibattito ha il merito di porre all'attenzione del Parlamento italiano una situazione di una gravità che finora il Governo, a nostro avviso, ha sottovalutato e che non può essere ulteriormente procrastinata. Deve prevalere la volontà negoziale, pur nella consapevolezza che le posizioni attualmente esistenti sono talmente distanti che un'ipotesi di ricomposizione può apparire impossibile. Compito della comunità internazionale non può essere che quello di negoziare e continuare il negoziato.

Non c'è dubbio che, con la prematura scomparsa di Ibrahim Rugova, leader non violento, unica personalità carismatica kosovara, è venuto a mancare un interlocutore sul quale si sarebbe potuto innestare un percorso e un ragionamento di autonomia negoziata e per fasi successive. D'altra parte la conferma alle elezioni serbe della forte consistenza della spinta nazionalista rappresenta un ulteriore elemento di irrigidimento delle posizioni e di tensione. Tant'è che anche il Presidente Kostunica ha dovuto in qualche modo assumere posizioni di indisponibilità all'indipendenza.

Desidero portare un contributo personale al dibattito. Nel 2002 - all'epoca presiedevo il Friuli Venezia Giulia - ebbi l'opportunità di incontrare separatamente il Presidente Kostunica a Belgrado e il leader kosovaro Rugova a Pristina. In entrambi i colloqui trassi la profonda convinzione di trovarmi di fronte a leader certamente orientati dalla comune volontà di arrivare ad una soluzione, ma nel contempo profondamente condizionati dalla consapevolezza di avere, ciascuno in casa propria, l'elemento estremista deflagrante e soprattutto entrambi impossibilitati a governare questa reciproca tensione interna.Pag. 91

La situazione di questa parte di Europa è oggi, se vogliamo, vieppiù peggiorata. Appare evidente, quindi, quanto pericoloso possa essere, in un simile contesto, una qualsivoglia accelerazione. Noi riteniamo che si debba porre la situazione del Kosovo nell'agenda delle priorità dell'attività diplomatica e politica del Governo. Bisogna fare, e fare presto. Noi chiediamo al Governo di assumere subito un'iniziativa di sostegno e rilancio dell'operato della trojka, ma anche di mobilitazione e coinvolgimento della comunità nazionale e internazionale sulla questione che rischia di essere, tra non molto, una vera e propria polveriera nel cuore dell'Europa.

Il Kosovo, signor Presidente e colleghi, non è una questione minore, non ci sono concesse distrazioni né superficialità. L'appello di questo ramo del Parlamento deve trovare il Governo pronto ad assumere un'iniziativa. Forza Italia attiverà i propri canali e le proprie energie, nessuna esclusa, per far sì che il negoziato, ieri di nuovo pericolosamente fallito, possa rivedere una prospettiva di ripresa positiva (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Giancarlo Giorgetti. Ne ha facoltà.

GIANCARLO GIORGETTI. Signor Presidente, chiedo ai colleghi di avere pazienza per cinque minuti. Il gruppo della Lega Nord ha chiesto la calendarizzazione di questo argomento e siamo orgogliosi di avere portato all'attenzione dell'Aula un argomento tremendamente serio e dai possibili sviluppi imprevedibili, anche per la loro gravità.

L'Italia è un Paese che dista dal Kosovo cinquanta minuti di aereo.

Purtroppo abbiamo l'impressione che le sorti di tale regione siano decise da chi sta molto lontano dal Kosovo e, forse, non nutre queste preoccupazioni.

Abbiamo presentato la mozione in esame perché pensiamo che l'Italia abbia un ruolo fondamentale, poiché il 10 dicembre si troverà a presiedere quel Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite che dovrà gestire le decisioni o le non decisioni della trojka.

L'Italia ricopre un ruolo fondamentale perché, all'interno dell'Europa, dovrebbe in qualche modo proporsi di dettare la linea e non di subirla, come invece a noi sembra che si stia facendo.

Abbiamo voluto che si portasse la discussione su tale materia all'attenzione del Parlamento in quanto molti di noi si lamentano del fatto che il Parlamento non svolga alcun ruolo e che il Governo decida tutto, mentre noi parlamentari ratifichiamo soltanto. Oggi vi sarebbe la possibilità, in qualche modo, insieme con il Governo, di assumere una decisione in un ambito importante quale l'indirizzo di politica estera.

Purtroppo, la situazione contingente e i tempi mi sembrano non essere ideali per svolgere una discussione approfondita e seria, però alcune questioni vanno sottolineate.

Viceministro Intini, è chiaro che tutti sappiamo quale sarà probabilmente l'esito della vicenda: un'eventuale dichiarazione unilaterale da parte delle autorità kosovare, probabilmente ratificata dagli Stati Uniti d'America e da chi si accoderà, causerà enormi problemi sul territorio.

Vi è una prima questione che vorrei sottolineare e che forse non è stata adeguatamente trattata ed esplorata: i soldati della NATO - e tra essi 2.300 soldati italiani - dovranno fronteggiare situazioni di estrema tensione; costoro infatti si trovano in quel luogo in funzione e legittimati da una risoluzione delle Nazioni Unite, la n. 1244 del 10 giugno 1999, che, nel momento in cui verrà dichiarata unilateralmente l'indipendenza, non avrà alcun valore, anzi sarà esplicitamente contraddetta.

In quel momento, chi ha inviato i soldati dovrà chiedersi se costoro si trovano nella regione legittimamente e cosa possono fare in situazioni di estremo pericolo. Infatti questa è la preoccupazione di tutti: garantire la sicurezza delle popolazioni, in particolare della minoranza serba.Pag. 92

Sappiamo benissimo cosa accadrà: abbiamo già visto nel 2003 cosa è accaduto alla minoranza serba (naturalmente senza il clamore televisivo e mediatico che meritavano le bande delinquenti del signor Milosevic); a Pristina, dieci anni fa, vi erano quarantamila serbi, oggi ve ne sono centoventisei, rinchiusi in un palazzo circondato dal filo spinato e pattugliato dalle truppe della NATO.

Queste sono le legittime istituzioni democratiche che chiedono l'indipendenza del Kosovo!

Per tale motivo, con la mozione da noi presentata, chiediamo fondamentalmente due impegni (francamente non capisco come il Governo non possa accettare la nostra mozione e come non possa accettarla la maggioranza, anche perché il nostro atto esprime sostanzialmente gli stessi concetti di quello da essa presentato).

Chiediamo in primo luogo il maggior coinvolgimento dell'Europa, perché siamo convinti che la Serbia sia terra europea e le decisioni che si stanno assumendo, eterodirette, la spingerebbero inevitabilmente nell'orbita russa e in qualche modo la allontanerebbero dall'Europa.

Ciòè inaccettabile e lo capiscono tutti in Serbia, tutti i partiti politici, non semplicemente gli estremisti nazionalisti, ma anche coloro che oggi democraticamente governano la Serbia e si trovano ancora sotto esame, quasi sotto sanzione, come eredi - non si sa in che modo - spirituali di Milosevic e della comunità internazionale, in particolare degli Stati Uniti d'America.

Francamente non capisco l'interesse da parte di qualcuno - gli Stati Uniti d'America - nel voler spingere sull'acceleratore, alterando quindi profondamente i negoziati. Infatti, i negoziati non hanno luogo se una parte si appresta a trattare o a fingere di trattare sapendo che comunque avrà alle spalle una sponsorizzazione eccellente. Oppure, forse, qualcuno che legge ancora l'Unità nelle file della maggioranza avrà letto, a pagina 12 del quotidiano di oggi, il vero motivo per cui avviene tutto ciò.

Non possiamo accettare che nel cuore dell'Europa nasca uno Stato in balia di bande, dove le campagne elettorali si svolgono tra bande contrapposte di tipo malavitoso, come hanno scritto tutti gli organi di informazione negli ultimi giorni, anche in relazione alle recenti elezioni tenutesi in Kosovo.

Perché qualcuno innesca la miccia e poi la fa gestire agli europei? Questa è la vera spiegazione di tutto ciò che succede.

Qualcuno riconoscerà l'indipendenza del Kosovo, e poi toccherà agli europei doverla gestire in tutti i sensi. Per questo motivo non comprendo cosa c'entri la trojka: perché vi è la necessità di una trojka? A questo punto sappiamo come la pensano i russi e gli americani, il grande assente è proprio l'Europa, il protagonista che ci sarebbe dovuto essere.

Per questi motivi abbiamo presentato la nostra mozione. Non vogliamo che il 10 dicembre rappresenti una data invalicabile, vogliamo che le trattative continuino nello spirito condiviso da tutta l'Aula. Per questo motivo, onorevole Intini, voteremo la mozione della maggioranza Ranieri ed altri n. 1-00252 (Nuova formulazione), in quanto dice le stesse identiche cose che pensiamo noi, che pensano in tutti gli ambienti diplomatici e che sono scritte anche nella nostra mozione. Capiamo però le regole del gioco, e le mozioni dell'opposizione non possono essere votate favorevolmente dalla maggioranza. Ci conforta comunque il fatto che abbiamo costretto la maggioranza a guardarsi allo specchio e a proporre una propria mozione (Applausi dei deputati dei gruppi Lega Nord Padania, Forza Italia e del deputato Musi - Congratulazioni ).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole D'Elia. Ne ha facoltà.

SERGIO D'ELIA. Signor Presidente, sarò brevissimo, perché sono già intervenuto in fase di discussione sulle linee generali, e alle considerazioni svolte in quella sede mi richiamo. Sono firmatario della mozione Ranieri ed altri n. 1-00252 Pag. 93e quindi annuncio il voto favorevole della Rosa nel Pugno su tale mozione. Spenderò, invece, qualche parola sulla mozione Giancarlo ed altri n. 1-00248 (Nuova formulazione), sottoscritta dai colleghi della Lega. Come ho già fatto in discussione sulle linee generali, ringrazio i colleghi della Lega per aver posto una questione che avrà nella prossime settimane, nel silenzio e nella disattenzione generale, e forse già nella rassegnazione generale, i connotati di un'emergenza dalle ricadute e dalle conseguenze disastrose. Tali conseguenze non riguarderanno soltanto i Balcani, ma anche l'Europa, e forse anche altre aree di crisi, potendo la catena di conseguenze collegate arrivare anche sulla situazione in Medio Oriente e sui venti di guerra che lì si annunciano, specialmente nel rapporto con l'Iran sulla questione della sicurezza nucleare.

Avanzo la richiesta formale di un voto per parti separate, nel senso di votare separatamente le premesse e il dispositivo. Obiettivamente il Governo non può condividere le premesse, alcune delle quali non sono condivise neanche da me. L'unico punto di differenza nel dispositivo tra la mozione Giancarlo Giorgetti ed altri n. 1-00248 (Nuova formulazione) e la mozione Ranieri ed altri n. 1-00252 (Nuova formulazione) è nel primo capoverso della mozione Giorgetti, laddove si fa riferimento all'impegno per il Governo «ad esprimere in tutte le sedi internazionali una posizione contraria a qualunque violazione del diritto internazionale e ad una eventuale dichiarazione unilaterale d'indipendenza da parte delle autorità locali kosovare». Questo concetto non chiama in causa direttamente il comportamento del Governo italiano rispetto ad un eventuale riconoscimento del Kosovo dichiaratosi indipendente in via unilaterale. Si afferma semplicemente di voler impegnare il Governo ad esprimere in tutte le sedi internazionali una posizione contraria a qualunque violazione del diritto internazionale - vorrei anche vedere che non fosse così - e ad un'eventuale dichiarazione unilaterale di indipendenza. La mozione Ranieri impegna il Governo «a proseguire nel quadro dell'impegno dell'Unione europea, nella ricerca di una necessaria soluzione condivisa». Detti in altre parole, il principio e il concetto sono gli stessi.

Invito quindi il Governo a riformulare il parere e, in particolare, se si dovesse votare per parti separate, a modificare il parere sul dispositivo della mozione Giancarlo Giorgetti ed altri n. 1-00248 (Nuova formulazione), fermo restando, evidentemente, il parere contrario sulle premesse.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Forlani. Ne ha facoltà.

ALESSANDRO FORLANI. Signor Presidente, la tematica in esame è molto delicata e di grande rilievo internazionale, e condivido quanto detto da altri colleghi, ovverosia che un dibattito di questo tipo su un simile argomento avrebbe richiesto un momento diverso e anche una presenza diversa. Noto che vi sono banchi di alcuni gruppi quasi deserti, ed è sinceramente imbarazzante svolgere riflessioni in queste condizioni.

Il problema dello status del Kosovo si trascina da tempo e richiede ormai un'urgente soluzione. Non può rimanere questo buco nero nell'ambito degli equilibri politici e istituzionali europei, e deve essere trovata una definizione. Sappiamo che le parti in causa sono ancora molto drastiche e molto rigide nelle rispettive posizioni. Ho ascoltato l'intervento equilibrato del Viceministro e le argomentazioni degli altri colleghi, e certamente vi è l'esigenza prioritaria, che ritengo avvertita da tutti i gruppi dell'Assemblea, di arrivare ad una soluzione condivisa da entrambe le parti, una soluzione negoziata di una vicenda dalla quale, su un tema vissuto con tale sofferenza da ambedue le etnie coinvolte prima ancora che dai loro rispettivi referenti istituzionali, nessuno deve uscire con un senso di mortificazione e di penalizzazione. Tale vicenda inoltre non deve assolutamente portare profonde alterazioni negli equilibri territoriali europei, soprattutto quelli che involgono le aree contigue al Kosovo e alla Serbia.Pag. 94

Penso sia giusta l'insistenza di entrambe le mozioni in esame sulla necessità che il Governo italiano continui a impegnarsi per una soluzione negoziata, che accolga il consenso di entrambe le parti, e sulla necessità che ci sia la volontà di negoziare e di tentare una soluzione anche oltre il termine del 10 dicembre 2007. Quest'ultima data non deve essere considerata una sorta di deadline: in altre parole, ad essa non deve essere attribuita, come osserva giustamente il collega Giorgetti nella sua mozione, una valenza definitiva. Penso che comunque l'atteggiamento del Governo italiano nelle sedi internazionali debba scoraggiare una soluzione unilaterale che sicuramente avrebbe conseguenze preoccupanti e porrebbe una delle due parti in causa in una condizione di grande difficoltà.È altresì condivisibile la sollecitazione che troviamo nella mozione Ranieri ad incoraggiare soluzioni che compensino in qualche modo un eventuale sacrificio da parte della Repubblica serba, con un'accelerazione del negoziato d'integrazione all'interno dell'Unione europea e con alcune misure efficaci di tutela e di valorizzazione della minoranza serba che resterà nel Kosovo, e dunque a cercare i giusti ammortizzatori di un'eventuale soluzione negoziata di indipendenza del Kosovo. Pertanto mi riconosco totalmente nei contenuti della mozione Ranieri ed altri n. 1-00252 (Nuova formulazione), e sulla stessa dichiaro il mio voto favorevole.

Per quanto riguarda la mozione Giorgetti Giancarlo n. 1-00248 (Nuova formulazione), anch'io condivido l'idea di scorporare eventualmente la premessa, che ha una valenza più drastica e politica, dal dispositivo, che in larga misura è condivisibile, salvo forse - come giustamente sottolineava il collega D'Elia - per quanto riguarda la seconda proposizione del primo capoverso del dispositivo.

Ritengo dunque di condividere il dispositivo della mozione Giorgetti, tranne che per la seguente parte: «ad una eventuale dichiarazione unilaterale di indipendenza da parte delle autorità locali kosovare». Infatti, capisco che tale parte del dispositivo per il nostro Governo possa rappresentare un vincolo troppo forte, anche se l'Esecutivo dovrà impegnarsi a evitare ogni violazione del diritto internazionale, così come oggi si presenta e per quello che allo stato attuale dispone. Per quanto riguarda invece il resto del dispositivo della mozione presentata dal collega Giorgetti dichiaro il mio voto favorevole.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Zanella. Ne ha facoltà.

LUANA ZANELLA. Signor Presidente, penso che questa sia stata un'occasione davvero importante, sicuramente provocata - va riconosciuto - dalla presentazione della mozione da parte della Lega Nord Padania, ma che coincide anche, purtroppo, con l'avvenuto fallimento dei negoziati in relazione allo status della provincia serba del Kosovo.

Parlo di provincia serba, perché di questo si tratta, colleghi. Forse non è stato abbastanza sottolineato qual è lo stato dell'arte della vicenda all'interno del quadro di diritto internazionale e del processo, anche costituente, del Kosovo. Dopo la cosiddetta guerra umanitaria, e alla fine di questo periodo di 78 giorni di bombardamenti, in cui è vi è stata grande confusione, si sono avuti centinaia di migliaia di profughi dei quali, come dimostrato, molti si sono allontanati proprio a causa dell'intervento bellico. Dopo il trattato di pace e la risoluzione n. 1244 dell'ONU, che lo ha recepito, si è avviata una sperimentazione, probabilmente unica al mondo, di un'amministrazione ONU-NATO di una parte di uno Stato - di questo si tratta - sotto la sovranità dello Stato serbo.

Infatti la risoluzione riconosceva questo. Lo status definitivo di questa provincia e di quest'area, peraltro piccolissima, era stato non tanto rimandato ad una data precisa, quanto condizionato all'avvenuto raggiungimento di alcuni standard indicati dagli accordi, e su questi standard forse troppo poco si è parlato e si è riflettuto.

Nel 2004, onorevoli colleghi, si sono svolti dei veri e propri pogrom contro la Pag. 95minoranza etnica serba, contro la minoranza etnica rom, e non solo. Vi sono state centinaia di migliaia di profughi, migliaia di morti, migliaia di desaparecidos, centinaia di chiese e monasteri violati e saccheggiati: mentre si parla di radici cristiane d'Europa, con molta disattenzione o, forse, con un certo sentimento di rassegnazione, abbiamo assistito alla devastazione di parte del patrimonio della cristianità serbo-ortodossa.

Siamo anche riconoscenti alle forze militari italiane, che in qualche misura, o in grande misura, hanno sostenuto gli interessi e le necessità elementari di una minoranza destinata a rimanere tale, visto che tra gli standard previsti dagli accordi vi era il rientro dei profughi serbi e delle altre etnie. Questo non solo non è avvenuto ma certamente non è stato incentivato. Mi rendo conto della delicatezza della situazione e della conseguente posizione prudente del Governo, ma non possiamo non vedere che milioni e milioni di euro e di dollari sono stati spesi in questi anni e che abbiamo un'economia drogata dagli interventi cosiddetti umanitari e dell'amministrazione internazionale del protettorato UNMIK.

Non possiamo nascondere che quello è un luogo dove si sono radicate la delinquenza e la criminalità organizzata, un luogo di traffici di armi, di droga e di uomini. Vi è un grande problema di democrazia.

Le ultime elezioni si sono svolte proprio per organizzare, in qualche misura, un plebiscito etnico per la secessione unilaterale: soltanto il 57 per cento della popolazione complessiva è andata a votare, mentre la minoranza etnica serba non lo ha fatto. Una grande e importante percentuale di popolazione kosovara non crede, di fatto e nei fatti, in questo Stato nascente, non partecipa al processo costituente; nemmeno le forze positive di questo cosiddetto «Stato» sono attive nel percorso verso la vera autonomia.

Vorrei sottolineare, signor rappresentante del Governo, signor Presidente e colleghi, che non possiamo assolutamente pensare di rimanere inermi, silenziosi e di non spingere, affinché non si faccia un'ulteriore ingiustizia a questa terra martoriata. Non ne va solo del Kosovo o della Serbia: ne va dei Balcani e dell'Europa.

Ritengo che il Governo dovrebbe fare uno sforzo maggiore. Ritengo, altresì, assolutamente indispensabile che si prenda atto della possibilità di individuare uno status alternativo a quello dello Stato frutto di una secessione o di una provincia che si mantenga tale, seppure nell'autonomia. Le proposte vi sono, e credo che il nostro Governo dovrebbe appoggiarle con maggior convincimento (Applausi dei deputati del gruppo dei Verdi).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Khalil. Ne ha facoltà.

ALÌ RASHID KHALIL. Signor Presidente, nella discussione sulle linee generali abbiamo avuto modo di svolgere un lungo dibattito, interessante e costruttivo, in cui abbiamo condiviso la mozione Giorgetti Giancarlo ed altri n. 1-00248 (Nuova formulazione). Questa posizione esprime anche quella del mio partito, Rifondazione Comunista-Sinistra Europea, sulla necessità di non riconoscere una dichiarazione di indipendenza unilaterale. Noi continuiamo a sostenere tale posizione. Pertanto, è inutile tornare a svolgere un dibattito, perché il nostro imbarazzo è evidente.

Per questo motivo, annuncio il voto favorevole del gruppo di Rifondazione Comunista-Sinistra Europea ad entrambe le mozioni presentate, puntando la nostra fiducia sul senso di responsabilità del Governo, che continuerà la sua azione politica e diplomatica anche oltre la data del 10 dicembre, e insistendo affinché questa soluzione avvenga in un contesto europeo (Applausi dei deputati del gruppo Rifondazione Comunista-Sinistra Europea).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Rivolta. Ne ha facoltà.

DARIO RIVOLTA. Signor Presidente, signor Viceministro, colleghi, avrei voluto Pag. 96utilizzare il tempo a mia disposizione per un'analisi della situazione che, partendo dalla genesi dei fatti, arrivasse a spiegare le conclusioni e gli scenari che ci troviamo di fronte. Per rispetto dei colleghi, considerate le circostanze, mi limiterò solo ad alcune osservazioni di carattere molto sintetico.

Innanzitutto, signor Viceministro, vorrei sottolineare in modo chiaro come sicuramente non solo noi di Forza Italia, ma neanche la maggior parte dei presenti in quest'Assemblea sia aprioristicamente contraria ad un'ipotesi che contempli un Kosovo indipendente. Noi siamo contrari a che ciò avvenga senza la volontà di tutte le parti coinvolte e, quindi, contro il diritto internazionale.

Vorrei sottolineare che, se ci fosse - come accadde per la Repubblica Cecoslovacca che si sciolse o come potrebbe accadere (qualcuno lo ipotizza, anche se io non lo auspico) domani per il Belgio - una volontà di tutte le parti componenti un attuale Stato, armonicamente, di separarsi, non avremmo ostacoli da porre. Al contrario, vogliamo sottolineare che il diritto internazionale non consente che, autonomamente, alcuni Stati - tantomeno una sola delle parti in causa! - dichiari la propria volontà di secessione da uno Stato che è membro dell'ONU.

Non vado oltre con considerazioni sulla risoluzione n. 1244 del Consiglio di sicurezza dell'ONU, sarebbero agevoli da svolgere ma qualche collega lo ha già fatto. Vorrei dire che comprendo - così come lo comprendono tutti colleghi - quanto lei, signor Viceministro, ha affermato in merito alla delicatezza del momento negoziale, ieri vittima di una grave battuta d'arresto che potrebbe averne segnato o potrebbe segnarne la fine definitiva. Comprendo, quindi, le sue parole in questo senso e le devo dire che le due mozioni - anche la nuova formulazione della mozione Giancarlo Giorgetti ed altri n. 1-00252 (Nuova formulazione) - per questo motivo hanno cercato di lasciare al Governo il massimo spazio possibile e praticabile, proprio perché non si vuole, con vincoli troppo stretti, impedire la possibilità di ritrovare quei piccoli «pertugi» che ancora si offrono a spazi negoziali.

Nello stesso tempo, tuttavia, vorrei partire da questa considerazione e sottolineare che voteremo a favore di entrambe le mozioni; tuttavia, nella mozione Giancarlo Giorgetti vi è un punto su cui mi auguro che lei, rispetto ad un primo momento, voglia ravvedersi e su cui desidero attirare l'attenzione sua (una seconda volta), di tutti colleghi e, in modo particolare, di quelli che hanno dichiarato all'estrema sinistra che si sarebbero astenuti su questa mozione. Il punto cruciale riguarda l'ultimo capoverso del dispositivo di tale mozione, in cui si chiede al Governo di consultare il Parlamento quando, conclusa la fase negoziale, qualunque ne sia l'esito, l'Italia dovrà assumere una posizione.

Signor Viceministro, non vorremmo trovarci di fronte ad una situazione come quella del 1999, in cui il Parlamento fu vittima prima di menzogne da parte dell'allora Presidente del Consiglio dei Ministri, il quale venne a raccontare che non vi erano atti bellici da parte dell'Italia, e poi, invece, di fronte all'ammissione di atti bellici che l'Italia aveva in corso, si chiese al Parlamento di approvare decisioni già adottate ed applicate. Pertanto, vorremmo che questa volta - su una questione estremamente delicata, come i colleghi di tutti i gruppi hanno rilevato ed esposto - il Governo agisca solo dopo essersi consultato con il Parlamento. Questa è la cosa importante, signor Viceministro: non possiamo lasciare che decisioni prese al chiuso, in una stanza, possano coinvolgere il nostro Paese e il mondo - come è stato detto - in situazioni che possono portare a gravi conflitti di cui non conosciamo le conseguenze.

Le ricordo - ma lei lo sa benissimo, signor Viceministro - che quello che c'è in ballo di fronte ad eventuali riconoscimenti di indipendenza unilaterali, non riguarda solo quella piccola regione e nemmeno la grande regione dei Balcani, per quanto gravissimi siano - come è stato detto - i rischi di guerra. Si tratta di una questione Pag. 97che riguarda la stabilità mondiale nel suo insieme e se avessimo tempo le enumererei tutti gli Stati in cui situazioni, come quella di oggi del Kosovo, potrebbero trovarsi ad essere incoraggiati ad azioni di questo tipo se la comunità internazionale accettasse atti unilaterali e non negoziati (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Marcenaro. Ne ha facoltà.

PIETRO MARCENARO. Signor Presidente, poiché vi è stata una discussione sulle linee generali alla quale tutti avete partecipato e della quale sicuramente tutti avete letto il resoconto, vi risparmio la ripetizione delle cose che sono state già dette in quel dibattito generale.

Vorrei svolgere solo una considerazione politica sulla discussione che si è svolta oggi: nonostante il fatto che abbiamo analisi diverse della situazione, ritengo che sia emersa anche in questa discussione (così come era emersa, peraltro, in Commissione affari esteri, nella discussione generale sulle mozioni) una comune preoccupazione. Ritengo che, anche raccogliendo la richiesta che è stata fatta di un voto per parti separate su premessa e dispositivo, tale da offrire a questa comune preoccupazione uno sbocco, il Governo possa contribuire ad un esito positivo di questa discussione. Considero quest'ultima come la premessa di una discussione che dovrà continuare perché - come è stato ricordato - siamo oggi ad una tappa di una vicenda molto importante che nei prossimi giorni chiamerà Governo e Parlamento ad un nuovo confronto.

Per questo spero di poter esprimere, dopo le osservazioni del Governo, un voto a favore dei due dispositivi delle due mozioni pur conservando un'opinione negativa sulla premessa della mozione Giancarlo Giorgetti (Nuova formulazione).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, l'onorevole Cannavò. Ne ha facoltà.

SALVATORE CANNAVÒ. Signor Presidente, ritengo che la mozione Giancarlo Giorgetti (Nuova formulazione) sia molto chiara, in quanto impegna il Governo ad un comportamento molto preciso ed è animata dalla preoccupazione di impedire che un'indipendenza unilaterale possa provocare un'escalation del conflitto com'è evidente a tutti gli osservatori internazionali.

Purtroppo, la mozione Ranieri (Nuova formulazione) - la mozione di maggioranza - non è così chiara e lascia un margine di ambiguità tale per cui si sta oggi dentro un gioco della politica diplomatica: il Governo ha libertà di manovra ma è vittima, poi, delle pressioni internazionali degli Stati Uniti e, in particolare, della Germania. Dunque, se vogliamo assumere un impegno chiaro e non fare marcia indietro rispetto agli impegni già assunti dal Parlamento ritengo sia opportuno - così farò conseguentemente - votare a favore della mozione Giancarlo Giorgetti (Nuova formulazione) e astenersi sulla mozione Ranieri (Nuova formulazione).

PRESIDENTE. Sono così esaurite le dichiarazioni di voto.

UGO INTINI, Viceministro degli affari esteri. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

UGO INTINI, Viceministro degli affari esteri. Signor Presidente, ho molto apprezzato, non soltanto il dibattito di lunedì sera, ma anche gli approfondimenti di oggi e mi pare che, essendo in questo caso le preoccupazioni, di maggioranza e di opposizione, comuni, da parte del Governo si possa fare questa proposta. Ribadisco il parere favorevole sulla mozione Ranieri (Nuova formulazione), mentre siamo disponibili ad accettare il dispositivo della mozione Giancarlo Giorgetti (Nuova formulazione) a condizione che sia accettata la seguente riformulazione: espungere dal primo capoverso del dispositivo le parole da: «e ad un'eventuale dichiarazione» fino a: «autorità locali kosovare».

PRESIDENTE. Prendo atto che l'onorevole Giancarlo Giorgetti accetta la riformulazione proposta dal Governo.

Onorevole Forlani, vorrei sapere se intende mantenere la sua proposta di votazione per parti separate delle due parti relative al dispositivo della mozione Giancarlo Giorgetti visto che il parere del Governo è favorevole su tutto il dispositivo?

ALESSANDRO FORLANI. No, signor Presidente, a questo punto aderisco alla posizione del Governo.

(Votazioni)

PRESIDENTE. Sta bene.

Avverto che procederemo a due votazioni distinte, nel senso di votare separatamente la parte motiva ed il dispositivo, della mozione Giancarlo Giorgetti ed altri n. 1-00248 (Nuova formulazione).

Passiamo ai voti.

Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sulla mozione Giancarlo Giorgetti ed altri n. 1-00248 (Nuova formulazione), limitatamente alla parte motiva, non accettata dal Governo.

(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione.

Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).

(Presenti 284

Votanti 263

Astenuti 21

Maggioranza 132

Hanno votato69

Hanno votato no 194

Sono in missione 63 deputati).

Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sulla mozione Giancarlo Giorgetti ed altri n. 1-00248 (Nuova formulazione), nel testo ulteriormente riformulato, limitatamente al dispositivo, accettata dal Governo.

(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione.

Comunico il risultato della votazione: la Camera approva (Vedi votazioni).

(Presenti 286

Votanti 285

Astenuti 1

Maggioranza 143

Hanno votato285

Sono in missione 63 deputati).

Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sulla mozione Ranieri ed altri n. 1-00252 (Nuova formulazione), accettata dal Governo.

(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione.

Comunico il risultato della votazione: la Camera approva (Vedi votazioni).

(Presenti 283

Votanti 278

Astenuti 5

Maggioranza 140

Hanno votato278.

Sono in missione 63 deputati).


 

 


Allegato A


 

Seduta n. 252 del 29/11/2007

MOZIONI GIANCARLO GIORGETTI ED ALTRI N. 1-00248 E RANIERI ED ALTRI N. 1-00252 SUI NEGOZIATI SULLO STATUS DEL KOSOVO

(Sezione 1 - Mozioni)

La Camera,

premesso che:

lo status attuale e le prospettive politiche ed istituzionali del Kosovo sono definite da una risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite, la n. 1244 del 10 giugno 1999. Tale risoluzione è l'unico atto internazionale sullo status del Kosovo oggi in vigore;

la risoluzione Onu afferma chiaramente il principio del rispetto dell'integrità territoriale e della sovranità dello Stato serbo, erede della federazione jugoslava, unitamente all'impegno ad assicurare al Kosovo una sostanziale autonomia;

di fatto, dal 1999, il Kosovo rappresenta un protettorato internazionale, nel quale, nonostante l'ingentissimo dispendio di forze e finanziamenti esteri, non si registra alcun successo nella ricostruzione e nell'avvio di un periodo di pace e benessere: dominano le famiglie mafiose e l'economia non decolla nonostante i miliardi di euro di aiuti. La questione etnica è solo apparentemente superata: i serbi, fuggiti in massa, non rientrano perché non ci sono le condizioni di sicurezza;

nel 2003 a Vienna, sono stati avviati i colloqui per una sistemazione definitiva dello status politico del Kosovo. La rappresentanza kosovara ha visto da subito l'indipendenza come unico scenario accettabile, la Serbia, con altrettanta determinazione, ha chiesto il rispetto della risoluzione Onu, che preserva l'integrità del suo territorio. Coerentemente, Belgrado si è sempre dichiarata, in sede negoziale e non, nettamente contraria all'indipendenza della regione kosovara;

nell'aprile 2004, intanto, il Governo di Belgrado ha approvato autonomamente un assetto «cantonale» per il Kosovo che garantisce alla regione amplissima autonomia;

constatata l'inefficacia dell'intervento internazionale nella regione i Paesi coinvolti, attraverso l'Onu, hanno voluto imprimere una forte accelerazione nel corso dell'ultimo anno al negoziato sullo status, inviando un negoziatore con il preciso obiettivo di giungere ad un disimpegno delle forze esterne nella regione, magari sostituite per un breve periodo da forze dell'Unione europea;

i leader kosovari hanno ufficialmente dichiarato che, se l'indipendenza non sarà l'esito naturale dei negoziati, che dovrebbero concludersi il 10 dicembre 2007, la regione procederà unilateralmente e immediatamente a dichiarare la propria autonomia; l'indicazione del 10 dicembre 2007 come deadline per una soluzione definitiva, qualunque essa sia, sta pericolosamente emergendo anche in altre capitali: il presidente francese Nicolas Sarkozy, al termine dell'incontro del 9 ottobre 2007 a Mosca con Vladimir Putin, ha affermato di aver detto al Presidente russo che «l'Europa riconoscerà l'indipendenza»

della regione se non si arriverà a un accordo nei tempi previsti;

in queste condizioni l'indipendenza del Kosovo costituirebbe un elemento pericoloso per la stabilità complessiva della regione, trascinando con sé ulteriori tensioni etniche tra le componenti slava ed albanese delle altre repubbliche della ex Jugoslavia, in particolare il Montenegro e la Macedonia;

potrebbe, inoltre, rivelarsi un elemento di rivendicazione da parte dei serbi bosniaci della Srpska, una delle due repubbliche che compongono la Bosnia e che rappresenta il 49 per cento del territorio bosniaco, i quali premerebbero per la divisione del Paese e l'unificazione alla madrepatria,

impegna il Governo:

ad esprimere in tutte le sedi internazionali una posizione contraria a qualunque violazione del diritto internazionale;

a sostenere presso il gruppo di contatto e le Nazioni unite l'assoluta necessità di considerare il 10 dicembre 2007 come una tappa importante ma non necessariamente definitiva del negoziato, se non sarà possibile proporre entro tale data una soluzione accettata e condivisa da tutte le parti coinvolte;

a coinvolgere il Parlamento dopo la conclusione definitiva della fase negoziale, qualunque ne sia l'esito e prima di assumere posizioni ufficiali del nostro Paese definitive in merito al futuro status del Kosovo.

(1-00248)

(Ulteriore nuova formulazione) «Giancarlo Giorgetti, Maroni, Gibelli, Alessandri, Allasia, Bodega, Bricolo, Brigandì, Caparini, Cota, Dozzo, Dussin, Fava, Filippi, Fugatti, Garavaglia, Goisis, Grimoldi, Lussana, Montani, Pini, Stucchi».

(8 novembre 2007)

La Camera,

premesso che:

la stabilizzazione dell'area balcanica, l'affermazione di Stati democratici, garanti dello stato di diritto, della democrazia e del rispetto dei diritti dell'uomo corrisponde a una delle principali priorità dell'Italia e della Unione europea oltre ad essere essenziale condizione per lo sviluppo economico di quei popoli;

per questi motivi l'impegno europeo e italiano nelle aree di crisi della Bosnia e del Kosovo è sempre stato di primissimo piano sia per quanto attiene allo sforzo di sostegno economico sia per quello che riguarda la presenza di forse militari e di sicurezza, attualmente inquadrate in diverse missioni Onu, Nato e Unione europea, alle quali le Forze armate italiane partecipano con oltre 2.500 militari;

in questo momento la situazione più delicata riguarda la definizione dello status finale del Kosovo, posto di fatto sotto il controllo delle Nazioni unite dopo l'intervento militare del 1999 e la risoluzione 1244 del Consiglio di sicurezza;

la conduzione del negoziato è resa difficile dall'emergere di posizioni che allo stato appaiono inconciliabili tra Belgrado e Pristina;

in tale contesto l'Italia sostiene la graduale integrazione dei Balcani occidentali in Europa come soluzione durevole e complessiva delle tensioni dell'intera area: un progresso in tale direzione si è avuto con la firma il 7 novembre 2007 a Bruxelles del protocollo preliminare dell'accordo di associazione tra Serbia e Unione europea;

la Commissione affari esteri della Camera dei deputati ha approvato a larga maggioranza nel gennaio 2007 una risoluzione sul Kosovo e i Balcani in cui si ribadiva la necessità di una soluzione pacifica e condivisa della questione dello status finale del Kosovo, del mantenimento di una presenza internazionale nella fase

di implementazione degli accordi sullo status del Kosovo e della fondamentale tutela, in ogni caso, dei diritti delle minoranze, delle libertà civili e della protezione dei siti di interesse religioso e culturale;

l'attuale fase del negoziato richiede il massimo equilibrio per evitare ulteriori elementi di turbativa che finirebbero per allontanare il perseguimento degli obiettivi di stabilizzazione, promozione della democrazia e dello sviluppo fissati concordemente dallo stesso Parlamento italiano,

impegna il Governo:

a sostenere con determinazione e convinzione l'iniziativa negoziale della trojka designata dalle Nazioni unite;

a proseguire, nel quadro dell'impegno dell' Unione europea, nella ricerca di una necessaria soluzione condivisa anche oltre il termine del 10 dicembre 2007 entro il quale i mediatori incaricati riferiranno sull'esito del loro mandato, scoraggiando iniziative unilaterali;

a compiere ogni sforzo affinché sul futuro del Kosovo l'Unione europea si esprima unitariamente;

a sollecitare la stipula in tempi brevi dell'accordo di stabilizzazione e associazione Unione europea-Serbia, nell'ottica del graduale ma irreversibile processo di integrazione europea di tutti i Paesi dei Balcani occidentali;

a riferire tempestivamente in Parlamento su sviluppi della situazione che comportino novità significative per l'assetto della regione.

(1-00252)

(Nuova formulazione) «Ranieri, Marcenaro, Siniscalchi, Pettinari, D'Elia, Venier, Leoluca Orlando, De Zulueta, Cioffi, Brugger».


 


 


III COMMISSIONE PERMANENTE

(Affari esteri)

Seduta di mercoledì 21 novembre 2007

AUDIZIONE

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE UMBERTO RANIERI

 

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La seduta comincia alle 10,05.


Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.

(Così rimane stabilito).

Audizione del sottosegretario di Stato per gli affari esteri, Famiano Crucianelli, sui recenti sviluppi della situazione in Kosovo.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento, del sottosegretario di Stato per gli affari esteri, Famiano Crucianelli, sui recenti sviluppi della situazione in Kosovo.

Do la parola al sottosegretario Crucianelli che è stato a Belgrado di recente.

FAMIANO CRUCIANELLI, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Il 10 dicembre la trojka composta da Ischinger, Wisner e Kharshenko, per il tramite del gruppo di contatto, presenterà al Segretario generale dell'ONU Ban Ki-Moon il rapporto conclusivo del negoziato per lo status del Kosovo. In questi tre mesi di attività si sono svolte sette tornate di incontri con le parti e si è andata progressivamente affermando una specifica autorevolezza di Ischinger a marcare il carattere preminentemente europeo della questione del Kosovo.

Sul problema dello status le posizioni delle parti permangono distanti. Belgrado è disposta a concedere una forma avanzata di autonomia (da ultimo è stato proposto il modello Hong Kong, o anche quello delle isole Aland; insomma c'è una ricchezza, un excursus su tutte le zone di autonomia, praticamente a livello planetario), mentre Pristina, come sapete, aspira all'indipendenza.

Sollecitata dai ministri europei e dal gruppo di contatto, lo scorso 27 settembre a New York, la trojka ha assunto un ruolo propositivo. A Bruxelles, il 14 ottobre ha consegnato alle parti uno schema in quattordici punti contente le aree di possibile futura collaborazione: questioni economiche, garanzie per le minoranze, libertà di movimento. La proposta è stata dibattuta nelle tornate negoziali del 22 ottobre e del 5 novembre, senza peraltro registrare avanzamenti significativi. Erano previste ulteriori due tornate: il 20 novembre a Bruxelles (ovvero ieri) e la settimana successiva, in cui dovrebbe svolgersi un incontro conclusivo, prolungato di due o tre giorni.

L'incontro di ieri non ha dato alcun esito positivo. Ishinger aveva elaborato una posizione che delineava una sorta di comunità neutrale, che fondamentalmente eludeva la discussione sul Kosovo, o comunque prescindeva dal dibattito sullo status, cercando di immaginare una serie di misure che potessero costruire una rete di protezione rispetto alla prospettiva dell'indipendenza. Tale rete di protezione comprende una presenza reciproca nei due Governi, un canale di collegamento istituzionale, commissioni miste che possano continuare a funzionare. Insomma, si tratta del tentativo di costruire un reticolo politico istituzionale che, pur in presenza dell'indipendenza del Kosovo, garantisca la continuità di relazioni fra questa regione e la Serbia. Si è parlato anche di confederazione e in effetti il modello prospettato è abbastanza  vicino ad una confederazione. Ad ogni modo, ciò che possiamo dire oggi - dopo l'incontro di ieri, nel corso del quale questo tema è stato discusso - è che non è stato compiuto alcun passo in avanti.

Come diceva giustamente il presidente Ranieri, nell'ultima settimana sono stato a Belgrado, dove ho incontrato Kostunica e tutte le diverse autorità. Il giorno seguente mi sono recato a Pristina e poi (l'altro ieri) a Sarajevo. Ho fatto questa missione per avere il quadro più completo possibile e la percezione diretta di questioni che, peraltro, avevamo già sufficientemente intuito.

Avremo ancora dei giorni di negoziato. A mio parere, è legittimo dare una carta e una possibilità ulteriore a tale negoziato, senza chiudere tutte le porte e tutte le finestre. Tuttavia, è realistico immaginare che non si arrivi a una conclusione positiva. Questo è abbastanza evidente.

Il presidente Ranieri è stato a Belgrado e sa che il messaggio proveniente dalle autorità di quella città è nettissimo in questa direzione. Infatti, pur essendo disponibili a discutere ogni aspetto della questione, i serbi rifiutano, alla radice, l'indipendenza del Kosovo. Affermano di essere disposti a concedere tutte le autonomie possibili e immaginabili, al di fuori della rappresentanza internazionale, quindi fondamentalmente quella nei confronti delle Nazioni Unite. Dichiarano, inoltre, di essere disponibili a riconoscere financo la rappresentanza presso le sedi internazionali economiche e finanziarie nonché le frontiere. Questo è il chiaro messaggio che viene da Belgrado e che poi si è esercitato in tutti i modelli (come quello di Hong Kong e delle isole Aland), proposti in queste ultime settimane.

A Pristina il messaggio inviato è esattamente di segno opposto. Ho incontrato tutto il team negoziale ed è assolutamente  chiaro che, come loro hanno detto, solo un miracolo potrebbe farci trovare una soluzione. Siccome di questi tempi non mi pare che vi siano miracoli a disposizione, il discorso va rapidamente sul «dopo indipendenza», con una nuova disponibilità - verificheremo se si tratta semplicemente di un'apertura negoziale o se sia reale - a concordare con la comunità internazionale - Europa e Stati Uniti d'America - i passaggi successivi. Non vogliono compiere gesti unilaterali senza essere in relazione con la comunità internazionale. Tuttavia, è chiaro che il percorso è quello. Si possono discutere i tempi e le modalità, ma l'indipendenza è il comune denominatore di tutti.

Come avete visto, in Kosovo si sono tenute le elezioni che, a mio parere, trasmettono nel loro risultato tutta la contraddittorietà della situazione. La percentuale dei votanti si è aggirata intorno al 45 per cento. Come mi è stato ampiamente illustrato dal rappresentante del Consiglio d'Europa - che era presente e che, peraltro, è un italiano, l'onorevole Di Stasi - ci si attendeva una percentuale bassa. A loro parere, tuttavia, il livello dell'affluenza non sarebbe stato poi così basso, perché vi erano le elezioni municipali che facevano da traino; il che fa intendere che se si fossero tenute solo le elezioni politiche, avremmo avuto un'ulteriore flessione nella partecipazione a questo voto.

Ho parlato di contraddittorietà della situazione, perché a fronte di una posizione fondamentalmente monotematica, quando si discute con le autorità kosovare - ormai si parla solo dei modi e tempi dell'indipendenza, ma non da oggi - il sentimento popolare è contrastato. È evidente, infatti, che si tratta di un Paese in condizioni sociali ed economiche disastrose, in cui la criminalità svolge un ruolo decisivo. Il fatto che in un passaggio così cruciale come quello che il Kosovo  sta attraversando - ossia la vigilia della dichiarazione di indipendenza - vi sia un assenteismo così forte da far registrare una partecipazione alle urne abbondantemente al di sotto del 50 per cento dice quanto sia grande la sofferenza di questo Paese nel suo aspetto reale, ovvero quello in cui vive la gente. Volevo evidenziare, dunque, che ci troviamo in una situazione veramente molto difficile.

In ogni caso, il messaggio dei kosovari è stato molto chiaro ed è quello che conoscete. Non c'è nulla di nuovo. Il dato inquietante, emerso nelle discussioni avute a Belgrado e successivamente in quelle con i rappresentanti della KFOR in Kosovo, è che oggi, molto più di ieri - quando pure discussioni di questo tipo si facevano - appare evidente la possibilità di un collegamento con altri scenari. Anche da questo punto di vista, non possiamo stabilire - lo dico per prudenza e per dimostrare il massimo dell'oggettività possibile - quanto questo sia ancora parte di una trattativa in corso e quanto, invece, sia un dato di realismo e di profezia, purtroppo disperante. Ad ogni modo, le autorità di Belgrado hanno messo in evidenza con grande nettezza che il meccanismo che si apre col Kosovo, a questo punto non più teoricamente ma anche praticamente, può avere una ripercussione immediata sul nord del Kosovo e su tutta la zona che riguarda Mitrovica.

Ho avuto una lunga e interessante discussione, sempre con il generale della KFOR, in cui mi chiedevo che cosa sarebbe successo su quel ponte. Del resto, il problema è che cosa accadrà concretamente sul campo. Ho chiesto, dunque, chi presiederà il ponte nel momento in cui il Kosovo del nord rifiuterà l'indipendenza della regione. Il generale ha risposto che se ne occuperanno loro, ma solo dopo aver atteso le indicazioni dei politici. È evidente, infatti, che si creerà un quadro di grande difficoltà. Inoltre, una volta che dovesse  innescarsi un meccanismo che comporta non solo la separazione del Kosovo dalla Serbia, ma anche il distacco interno di una parte dello stesso Kosovo, questo non può escludere altri processi, che riguardano direttamente la Serbia e la valle di Prescevo. Nel momento in cui il nord del Kosovo, in quanto serbo, dirà di no, come si comporterà la valle del Prescevo, che si trova nel sud della Serbia e dove però sono tutti albanesi? In proposito, le dichiarazioni delle autorità serbe relativamente a come si comporterebbero sono assolutamente nette.

Ovviamente sul Kosovo si creerebbe un gigantesco problema politico, diplomatico e di diritto internazionale, ma le autorità serbe hanno sempre detto che questo non aprirebbe un contenzioso in altri terreni, come quello militare ad esempio. È chiaro che se si dovesse arrivare, invece, a una rottura interna alla stessa Serbia, cambierebbe il quadro e quindi vi sarebbe una precipitazione.

La discussione, in seguito, è arrivata a toccare anche la questione della Vojvodina e quindi dei magiari. Insomma, viviamo una situazione il cui meccanismo può investire direttamente altre aree della stessa Serbia, quindi non è un problema che riguarda Paesi esterni alla Serbia. Il dato più preoccupante, per alcuni versi, è il collegamento con la Bosnia. Questa è la ragione per cui due giorni fa mi sono recato in Bosnia a discutere con tutti i suoi rappresentanti.

La situazione in Bosnia può diventare ad alto rischio, perché quell'area è attraversata da una crisi interna. Alcuni ritengono che tale crisi sia pilotata dall'esterno; altri invece, come i serbi di Bosnia, ritengono che abbia una genesi bosniaca. Questa crisi è caratterizzata da uno scontro molto aspro che sta contrapponendo la comunità serba, la Repubblica Srpska, con il rappresentante Lajcak, inviato speciale dell'Unione europea. Lo scontro si concentra fondamentalmente  su questioni che riguardano il funzionamento del Governo e del Parlamento. Infatti, dopo aver più volte chiesto che ci possano essere meccanismi più avanzati rispetto al passato, in modo da far fronte alla paralisi obiettiva della situazione bosniaca, Lajcak ha proposto misure - devo dire - veramente molto minimali. Si tratta di interventi che infatti non incidono sull'autonomia delle singole realtà serbe, bosniache o anche croate, ma che danno una parvenza di credibilità almeno al funzionamento di queste istituzioni: il Governo può lavorare anche in assenza di un ministro, bisogna essere presenti per porre il veto e non basta essere assenti perché questo scatti.

Su queste misure si è avuta, invece, la reazione da parte della Repubblica Srpska, di Dodik in prima persona, che ha affermato che in questo modo si compie un attentato a Dayton, si rimettono in discussione quegli accordi e si crea una rottura dell'equilibrio trovato nel 1995 appunto a Dayton. Lo scontro, quindi, è diventato molto aspro. Se le misure dovessero diventare operative anche sul Parlamento, la componente serba minaccia di ritirare il 1o dicembre i propri membri dal Parlamento, i propri funzionari dalla federazione, ovvero dallo Stato bosniaco per come esso è oggi. Quindi, si delineerebbe una rottura molto traumatica. Se entra in corto circuito con il Kosovo, questa rottura può produrre effetti veramente molto distruttivi.

Voglio ora aprire una porta anche alla speranza, perché altrimenti rischiamo di precipitare nel catastrofismo. Il 28 ottobre, a Mostar, vi è stato un incontro fra i sei partiti bosniaci per affrontare il nodo della riforma della polizia. Questo è un passaggio decisivo, perché il ritardo della parafatura e della firma dell'accordo di stabilizzazione fra l'Unione europea e la Bosnia è proprio dovuto al fatto che la riforma  di polizia si è bloccata. L'Europa ha dichiarato che, finché non si attua tale riforma, non si procede alla firma dell'accordo. Debbo aggiungere che tale situazione rappresenta un punto di grande polemica da parte delle autorità bosniache, le quali ritengono che questa scelta dell'Europa sia in contraddizione con l'atteggiamento assunto con la Serbia. Infatti, nonostante la latitanza di Mladic, si è proceduto alla firma della parafatura dell'accordo di stabilizzazione. Quindi, vi è un ulteriore elemento di polemica fra la Bosnia e la Serbia, e fra la Bosnia e l'Europa.

Tuttavia, ho riscontrato disponibilità a riprendere il percorso sulla riforma di polizia. Il 22 novembre (ovvero domani) si terrà un ulteriore incontro. La speranza è che si facciano passi in avanti concreti e che, quindi, si riapra la prospettiva europea. Dico questo, perché resto convinto - e vengo alle ultime considerazioni - che l'unica possibilità che abbiamo, perché non si incendi di nuovo tutta la prateria balcanica, è quella di un'assunzione di responsabilità da parte dell'Europa. L'Europa dovrà essere necessariamente presente in Kosovo, perché dovrà sostituire la missione delle Nazioni Unite con la nuova missione PESD. Anche sotto questo profilo, come sapete, è in corso una discussione molto complicata e, per alcuni versi, sofisticata, per stabilire la base giuridica di questa nuova presenza della missione militare europea in Kosovo. La Russia, infatti, contesta che la risoluzione 1244 possa essere considerata una base giuridica ancora valida; mentre gli europei sono di opinione diversa. Si aspetta, dunque, di vedere che cosa accadrà. La discussione andrà avanti. Tuttavia, credo che alla fine, anche per scelta degli stessi russi, si troverà una via di uscita. È evidente, infatti, che una forte presenza internazionale in quelle zone è, alla fine, un elemento di garanzia per tutti, compresi i russi, i serbi e via dicendo.

Ritengo, dunque, che alla fine troveremo un'intesa e una base giuridica essenziale, per poter essere presenti in Bosnia con questa missione internazionale.

L'Europa dovrà assumersi comunque la responsabilità, a questo punto non solo teorica ma anche pratica, sul campo, del destino di quest'area. Credo che debba assumerla anche sul terreno politico, ovvero sulla prospettiva politica per questi Paesi.

Ci siamo distratti troppo. Personalmente, ho dovuto fare un'autocritica consapevole con i bosniaci. La Bosnia, infatti, è forse il Paese che più avrebbe dovuto avere una rapida strada verso l'Europa, in quanto fragilissimo, con istituzioni gracili e una conflittualità che può esplodere da un momento all'altro. Quindi, l'unica rete di salvaguardia, perché ci possa essere un cammino di integrazione interno, passa attraverso l'integrazione di questo Paese nell'Unione europea. In questo senso, dunque, l'Europa è l'unica prospettiva che può dare una risposta ai drammatici problemi di quest'area.

Nell'immediato abbiamo il negoziato. Quindi, non voglio parlare della fase successiva ad esso. Tuttavia, mi sento di dire due cose. In primo luogo, dovesse fallire questo negoziato, mi auguro che la situazione non precipiti e non si inneschi alcun meccanismo, sul terreno politico, diplomatico e del diritto internazionale, prima delle elezioni in Serbia. Sarebbe opportuno che tutti i passaggi istituzionali, iniziati in Serbia con le elezioni politiche, terminassero con l'elezione presidenziale che dovrebbe tenersi - anche se su tale argomento ci sono dei ripensamenti - entro gennaio, in modo che tutto possa avvenire in un contesto di relativa tranquillità, prima cioè che il problema sia esploso.

Inoltre - questa è la posizione su cui stiamo lavorando - si spera che ci possa essere una posizione comune dell'Unione  europea. Infatti, se di fronte a ciò che può accadere in Kosovo e al contagio che questa regione può portare ad altre realtà, l'Europa dovesse presentarsi divisa, incapace di prendere decisioni, credo che a quel punto la situazione diventerebbe veramente ad alto rischio. La seconda questione che sottopongo alla vostra attenzione, quindi, è la necessità di arrivare a determinare una posizione comune dell'Europa sul Kosovo e su quelle che saranno le richieste di riconoscimento provenienti dalle autorità kosovare.

PRESIDENTE. Do la parola ai colleghi che intendano porre quesiti o formulare osservazioni.

GIANCARLO GIORGETTI. Ringrazio il sottosegretario Crucianelli. Devo riconoscere che la sua posizione è equilibrata, in una situazione estremamente complicata. Intervengo molto sinteticamente, perché, come molti sapranno, ho preso l'iniziativa di presentare una mozione in Assemblea su questo tema; quindi le eventuali ulteriori discussioni saranno svolte in quella sede.

Tuttavia, anche nel corso della missione di domenica e lunedì, ho capito che il rischio concreto che si corre è lo schieramento dei Paesi membri dell'Unione europea a favore dell'indipendenza, nel caso - io dico malaugurato - in cui il Kosovo dichiari unilateralmente l'indipendenza. Riconoscendo la dichiarazione unilaterale, che contravverrebbe alla risoluzione 1244 dell'ONU, i Paesi europei spingerebbero inevitabilmente il quadro politico serbo, comprese le forze politiche serbe più responsabili, di fatto, verso la sfera di influenza russa. Vale a dire che spingerebbero la Serbia fuori dall'Europa; esattamente il contrario di quello che invece si dovrebbe fare.

Non capisco - faccio finta di non capire - perché gli Stati Uniti d'America appoggino a tutti i costi il Kosovo e quello che esso rappresenta - e non vado oltre - nella dichiarazione unilaterale di indipendenza. Peraltro, le autorità kosovare possono farlo solo perché hanno questo sponsor eccellente che li spinge in questa direzione. Pertanto, accodandosi, l'Europa rischia di combinare un autentico disastro: infatti, rischia di fare in modo che i radicali e i nazionalisti a vario titolo tornino a essere maggioranza in Serbia e che ricominci una retorica che porta la storia indietro, chissà dove.

Quindi, i termini della questione sono estremamente complessi. La posizione della Lega in merito è risaputa. Tuttavia, quello che vorrei dire e che ho capito, sintetizzando al massimo, è quanto segue. L'Italia e l'Europa hanno di fronte a loro una scelta: cercare una formula per tenere la Serbia agganciata all'Europa; oppure, sbagliando, ricacciarla indietro verso la Russia. Credo che oggi il tema da discutere sia questo. Il senso della mozione che abbiamo presentato, il significato di quello che vogliamo dire è che dobbiamo fare di tutto affinché la Serbia resti legata all'Europa.

Sappiamo perfettamente che probabilmente tra dicembre e gennaio il Kosovo dichiarerà l'indipendenza. Che cosa farà l'Unione europea a quel punto? Avrà una posizione comune? Riconoscerà l'indipendenza? La coincidenza con le elezioni presidenziali in Serbia è importante. Infatti, se riconosciamo l'indipendenza del Kosovo, in Serbia - come ci hanno più o meno detto - voteranno per reazione, in modo emotivo, magari per i radicali. Il disastro sarebbe completo; avremmo di fronte uno Stato indipendente, non so quanto democratico e quanto gestito secondo gli standard occidentali, e una Serbia che probabilmente prenderebbe la strada del non ritorno.

DARIO RIVOLTA. Signor sottosegretario, intanto le chiedo scusa perché probabilmente con le mie domande le chiederò di tornare su argomenti che ha già trattato. Tuttavia, a causa di un malinteso nelle comunicazioni, si pensava che l'audizione fosse stata spostata alle ore 11.

Le domande che volevo porle sono le seguenti. Lei si è recato di recente in Bosnia. Secondo la sua percezione, qual è la posizione - e la possibilità di evoluzione di questa posizione - della Repubblica Srpska in merito a una ipotetica dichiarazione unilaterale di indipendenza da parte del Kosovo? Qual è attualmente lo stato negoziale, ai fini della data limite del 10 dicembre? Se non si dovesse raggiungere un accordo concordato tra le parti, pensa che sia possibile ipotizzare, o sia già ipotizzabile, lo spostamento della data, o ritiene invece che si possa anche arrivare a uno stato negoziale?

Ieri, a Bruxelles, il ministro per il Kosovo e il ministro degli esteri serbo hanno rilasciato dichiarazioni in merito a un'offerta di status del Kosovo simile a quello delle isole finlandesi, che godono di larga autonomia e che sono di lingua svedese. Al di là del contenuto preciso della proposta, ritiene che la disponibilità mostrata dai serbi costituisca un rilancio delle basi negoziali?

Infine, lei ha parlato della necessità, da tutti condivisa, dell'unità dell'Unione europea. Ognuno di noi vorrebbe che su tutti i temi internazionali, non soltanto per quello che riguarda il Kosovo e i Balcani, l'Unione europea potesse presentarsi unita. Eppure, in questo caso, sappiamo che l'opinione sulla possibile indipendenza del Kosovo dei dirigenti politici di tanti Paesi europei non è necessariamente quella che i Governi, pur composti dagli stessi dirigenti, rappresentano negli incontri pubblici.

Un caso che penso possa essere citato è proprio quello dell'Italia, dove, non molti mesi fa, il Parlamento ha impegnato all'unanimità il Governo ad appoggiare solamente una ipotesi di soluzione della questione kosovara condivisa dalle parti. Non mi pare che le dichiarazioni rese ufficialmente dal Governo nelle sedi internazionali rispettino, ad oggi, la volontà del Parlamento.

Mi rendo conto che nei momenti negoziali, a volte, si devono usare dei falsi scopi, dei falsi punti di arrivo. A volte si fanno dei «giochi negoziali» facendo credere che una determinata posizione sia l'obiettivo, mentre magari il vero scopo può essere un altro. Peraltro, dubito che questo sia il caso. Ho più il sospetto che vi siano pressioni da parte di alcuni Paesi alleati, affinché la posizione del Governo italiano sia quella che viene annunciata, nonostante il Parlamento all'unanimità si sia pronunciato in direzione diversa.

L'unità dell'Unione europea è un plus, ma se essa deve essere raggiunta, in questo caso, con una violazione del diritto internazionale può portare risultati positivi?

Le mie preoccupazioni non hanno gli stessi esatti termini di quelle espresse dal collega Giorgetti. La Serbia è culturalmente vicina alla Russia da sempre e continuerà a esserlo, per vari motivi storici e politici. Contemporaneamente, tuttavia, è un Paese europeo e non può staccarsi dall'Europa. D'altra parte, bisogna considerare che una soluzione per il Kosovo come quella ipotizzata in apparenza come un ultimatum - l'indipendenza entro il 10 dicembre - possa temporaneamente allontanare la Serbia dall'Europa.

Per quanto mi riguarda, tuttavia, non vedo in questo il vero problema. Certo, la questione si porrebbe comunque per le conseguenze che si determinerebbero sulla stabilità di tutti i Balcani. Penso alla Macedonia, oltre che alla Repubblica  Srpska e ad altre regioni dei Balcani, dove potrebbe esserci la tentazione di seguire la strada del Kosovo, nel caso in cui dichiarasse la propria volontà di indipendenza in maniera unilaterale, appoggiata da qualche Stato del mondo. Penso, soprattutto alle conseguenze su tante aree del mondo più volte ricordate, dove il precedente della dichiarazione unilaterale del Kosovo potrebbe diventare l'appiglio su cui - sto per concludere, presidente - le forze politiche o le opinioni pubbliche possono basarsi per chiedere un uguale status.

Quando il Parlamento si espresse in un certo modo, non lo fece per partigianeria nei confronti di uno Stato, anziché di un altro, o tanto meno per ostilità verso un gruppo etnico. Lo fece soprattutto mosso da preoccupazioni legate al diritto internazionale e dalla consapevolezza delle conseguenze estremamente negative che potrebbero esservi in tutto il mondo.

Allora, qual è la posizione del Governo su questo argomento? Si vuole continuare a contraddire la volontà del Parlamento? Non interessano le conseguenze sul piano internazionale, perché si hanno più a cuore gli interessi di qualche alleato?

PIETRO MARCENARO. Mi pare che le considerazioni dell'onorevole Rivolta dipingano una situazione discussa tutti insieme e sulla quale avevamo raggiunto - mi pare - un notevole grado di convergenza. All'inizio di una fase negoziale, infatti, abbiamo indicato la necessità di una soluzione condivisa.

La relazione dell'onorevole Crucianelli e anche la breve esposizione del presidente Ranieri avvertono che la possibilità di una soluzione condivisa è sostanzialmente alle nostre spalle o che perlomeno conviene ragionare su uno scenario futuro dove questa opzione non appare realisticamente alla portata degli attori politici del negoziato. Quindi, siamo ora in un'altra  fase della discussione. Possiamo anche tornare a ribadire i nostri auspici per una soluzione condivisa, tuttavia, si tratta di fare i conti con un quadro che si delinea sostanzialmente diverso. Si profila un panorama nel quale, a mio parere - non tolgo, ma aggiungo preoccupazioni - rischia di sfumare la possibilità su cui avevamo fatto affidamento, ossia l'adesione all'Unione europea di Serbia e Kosovo; sarebbe stato uno degli elementi in grado di garantire una cornice in cui ricollocare il conflitto e renderlo governabile.

Dico questo non riferendomi solo alle ragioni di cui parlava l'onorevole Giorgetti. Senza dubbio, una soluzione di questo tipo spinge ulteriormente la Serbia in una direzione diversa, come già indicano mille presupposti. Nel mio ragionamento, penso anche al fatto - parliamoci chiaro e infatti parlo senza mediazioni - che il nuovo eventuale Stato kosovaro avrebbe parentele con tutti tranne che con una dimensione europea. Infatti sarebbe, da un lato, uno Stato sostanzialmente determinato dal sostegno degli Stati Uniti, senza i quali non sarebbe neppure ipotizzabile, oggi, un'operazione di questo tipo; dall'altro, un centro di organizzazione della malavita, come è stato detto. Dico questo perché muovo dalla consapevolezza che il quadro attuale presenta tutti i problemi, di cui abbiamo parlato (e sui quali non ritorno), relativi alle dinamiche conflittuali che lo sviluppo della situazione può innescare in quell'area e non solo.

Stando a quanto ascoltato e alle informazioni conosciute, mi sembra difficile che soluzioni come quella del modello finlandese, o di altro tipo, possano essere considerate accettabili a questo punto. A mio parere - esprimo un pensiero forse addirittura velleitario - in questo quadro solo una Serbia disposta a mettere sul tavolo la propria autonomia e a comprometterla in Kosovo potrebbe forse riaprire la partita,  ovvero una Serbia che proponesse, ad esempio, una presenza nelle organizzazioni internazionali a firma doppia, offrendo poteri reali e rinunciando, in qualche modo, ad altri aspetti. Tuttavia, non mi pare che oggi tale ipotesi rientri nell'ordine delle possibilità.

A questo punto, il rischio più forte che intravedo (non so se dispongo di tutte le informazioni necessarie in merito) è effettivamente quello della divisione dell'Europa, all'indomani della probabile dichiarazione unilaterale di indipendenza, in un quadro internazionale che vede il riconoscimento immediato da parte degli Stati Uniti e di una serie di Paesi che in qualche modo si riconoscono in questo sviluppo. Possiamo figurarci, infatti, che cosa avverrà nei Paesi recentemente entrati dell'area ex sovietica.

Rivolgendomi in particolare all'onorevole Rivolta, trovo che non vi sia contraddizione fra la posizione che il Governo sostiene, quando dice che il problema dell'unità dell'Europa è un punto essenziale, e quello che abbiamo affermato e detto insieme sulla necessità di una posizione condivisa. Mi pare, infatti, che l'unità dell'Europa sia oggi l'unico modo per sostenere una posizione che il nuovo scenario non rende più realistica in quanto le dinamiche politiche hanno preso un altro andamento.

In una situazione così difficile e sicuramente gravida di rischi e di pericoli, penso che questo punto vada collocato all'interno di un'idea di Europa che ha sostenuto l'esigenza di una soluzione condivisa e che, di fronte a un conflitto che si apre, si candida a essere uno dei soggetti che lavorano per una ricomposizione. Naturalmente dico questo sulla base di una valutazione e di un'analisi dello stato dei fatti che mi sembra realistica. Certo, se la situazione prendesse un'altra direzione, allora sarebbe diverso. Tuttavia, non mi pare che al momento  vi siano le condizioni per sperare in un accordo che a dicembre o in una data successiva possa dare soluzione a questo problema.

Queste sono le considerazioni provvisorie che ho voluto svolgere, sulla base delle relazioni presentate e delle osservazioni portate sia dall'onorevole Giorgetti, sia dall'onorevole Rivolta.

TANA DE ZULUETA. Sono stati affrontati molti argomenti. Quindi, mi limito a ringraziare il sottosegretario Crucianelli per la sua esposizione chiara e molto utile. Condivido anche le preoccupazioni dell'opposizione riguardo alla posizione del nostro Governo.

Ho letto la dichiarazione di un ministro inglese, che definirei «muscolosa», secondo cui su ventisette Paesi dell'Unione, venti sarebbero pronti a riconoscere la dichiarazione unilaterale da parte del Kosovo. Se le cose stanno così - e me ne rammarico - è chiaro che chi, come l'Italia, ha forti preoccupazioni, deve assumere una iniziativa. Non so con precisione quali siano gli altri sette Paesi che nutrono le nostre stesse perplessità, ma immagino che vi siano, tra gli altri, certamente Spagna, Grecia e Ungheria. Sarebbe necessaria una mossa diplomatica altrettanto netta per evitare la deriva di una spinta cosiddetta «maggioritaria», di cui gli uomini a presidio del ponte, per primi, pagheranno le conseguenze.

Siamo in attesa di un segnale politico e diplomatico diverso rispetto alle attuali prospettive, che indichi come orientarsi per far sì che la decisione europea - che ci auguriamo unanime - sia più vicina alle nostre preoccupazioni e ai nostri auspici.

SERGIO D'ELIA. Ho molto apprezzato la relazione del sottosegretario Crucianelli cui chiedo subito se, in sede di replica, potrà indicarci il quadro della posizione dei Paesi  membri dell'Unione europea. Infatti, se l'obiettivo è quello di arrivare ad avere una posizione comune dell'Unione europea sul Kosovo, questo mi sembra molto più velleitario della soluzione condivisa fra serbi e kosovari a proposito delle future relazioni reciproche. L'Unione europea non ha una posizione comune in politica estera su nulla. Non l'ha avuta neanche sulla pena di morte cui tutti sono contrari. Se è stato fatto qualche passo in avanti, ciò è avvenuto grazie a qualcosa di più grande dell'Unione europea. Penso a quello che sta succedendo ora a New York. Fino all'ultimo minuto gli europei sono rimasti divisi tra loro per vari motivi.

Come dice il collega Marcenaro, abbiamo approvato una mozione parlamentare, ma ora ci troviamo in uno scenario diverso, che lei, signor sottosegretario, ha descritto molto bene. Non dobbiamo rivendicare il passato, ma porre in essere atti di indirizzo differenti rispetto alla prospettiva che si è aperta. Il riconoscimento del Kosovo indipendente avverrà, da parte di una serie di Paesi. Sarebbe un atto responsabile che questi si assumessero anche il carico di un tale riconoscimento per tutti i problemi, che lei ci ha delineato, sulla realtà del Kosovo.

Credo che l'Unione europea non debba accettare soluzioni e iniziative unilaterali. Nello stesso tempo, tuttavia, ritengo che si debba fare carico delle prospettive e di quello che succederà sul campo. Lei ha detto che occorre dare una prospettiva europea. Ma a chi? Non credo che la si debba dare ad un Kosovo autoproclamatosi indipendente. Per evitare i rischi che si apriranno dopo la dichiarazione unilaterale di indipendenza - in proposito le chiedo quali sono i tempi prevedibili - l'unico antidoto su cui l'Unione europea può lavorare, come lei ha accennato, è legato alla Bosnia e alla Serbia. L'unica garanzia che non scoppi nuovamente un conflitto dalle proporzioni incalcolabili è l'accelerazione dei tempi per l'adesione  all'Europa di queste realtà. Lo dice una persona che ha sempre sostenuto che il tribunale penale internazionale deve fare il suo corso. Sappiamo che esiste quel blocco, quel vincolo. Non è una questione di realismo, ma di opportunità politica, mettere da parte il dossier sui tribunali sull'ex Jugoslavia e procedere, in maniera accelerata, all'integrazione di quei Paesi nella dimensione europea. È l'unica garanzia che non scoppino conflitti. Non so se lei, sottosegretario, condivide la mia analisi.

IACOPO VENIER. Ringrazio anch'io il sottosegretario Crucianelli per la sua chiara esposizione. Svolgerò solo alcune brevissime considerazioni. La guerra, condotta contro l'ex Jugoslavia per la vicenda del Kosovo, era contro l'Europa e produce i suoi effetti ancora oggi. Credo, tuttavia, che ci troviamo di fronte al fallimento di questa strategia. Il nostro Governo deve aiutarci a capire se è proprio questa la strada che l'Europa deve seguire. Quando gli Stati Uniti prendono unilateralmente iniziative su vicende che hanno a che fare anche con i destini dell'Europa, questa non può che accodarsi alle decisioni prese altrove per interessi diversi e poi intervenire per cercare di correggere le dinamiche messe in moto da queste iniziative, condividendo le responsabilità di scelte che vanno contro i suoi stessi interessi. Siamo nuovamente di fronte a un bivio di questo tipo.

Come ha detto l'onorevole Marcenaro, ci troviamo dinanzi alla scelta dell'accelerazione del processo di riconoscimento unilaterale a seguito della proclamazione di indipendenza del Kosovo, insostenibile se non fosse per la decisione di Washington ed illegale sul piano del diritto internazionale. Siamo di fronte a una entità che non ha alcuna caratteristica di statualità. Si vuole l'ulteriore coinvolgimento dell'Europa in questo processo e siamo di fronte a una missione PESD. Ha fatto bene la collega De Zulueta a dire che abbiamo bisogno,  anche nella dinamica diplomatica, di interventi altrettanto decisi rispetto a quelli dei Paesi che hanno deciso di seguire una strada contraria alla stabilizzazione.

Del resto, non posso rassegnarmi al fatto che il Parlamento si limiti a dichiararsi portatore di auspici e non di iniziativa politica. Non penso che quando abbiamo votato e preso delle posizioni abbiamo semplicemente espresso la nostra speranza in un miracolo - come è stato detto - invece di agire perché la soluzione condivisa si potesse concretizzare. È ovvio che una posizione condivisa nel quadro internazionale significava bilanciare i fattori in campo e dare alla Serbia la possibilità di condividere un percorso. Si sarebbero dovuti trovare partner e relazioni diplomatiche in grado di sostenere una posizione che portasse ad un ripensamento da parte, prima di tutto, delle autorità kosovare e di chi li sponsorizza, ed isolasse la posizione statunitense. Dobbiamo dunque capire se il Parlamento e il Paese vogliono di nuovo prendere atto di iniziative altrui e poi intervenire per cercare di ridurre i disastri da queste provocate.

Anche l'onorevole D'Elia diceva - non so se in questo senso - che chi si assumerà la responsabilità di rompere la legalità internazionale e di introdurre una nuova, profonda ed assai pericolosa contraddizione all'interno del continente europeo deve farlo in maniera completa. Pertanto, dobbiamo agire perché questo non accada e anche insistere su una posizione che deve andare nell'interesse dell'Europa. L'Europa non può semplicemente adeguarsi a tutto quello che succede, ma deve imporre che gli standard di partnership siano quelli compatibili con un destino comune e una comune responsabilità nella sicurezza e nello sviluppo di questo continente.

ALÌ RASHID KHALIL. Condivido le preoccupazioni espresse dal sottosegretario, rispetto a una situazione di  crescente destabilizzazione, peraltro già ribadite nei diversi interventi svolti dai colleghi. Condivido, in modo particolare, il quadro lucido e realistico presentato dall'onorevole Giorgetti.

Ci troviamo di fronte a una situazione anche imbarazzante per una forza di sinistra, come quella che rappresento in questa sede. In nome di una Europa che non c'è, non c'è neanche un ruolo italiano protagonista. Inoltre, vengono paralizzate anche le istituzioni democratiche che dovrebbero dare indirizzi di politica generale ed estera, come la Commissione e il Parlamento. Ogni giorno di più avvertiamo la frustrazione vissuta dal nostro partito e dalla maggior parte delle forze politiche. Soprattutto in politica estera, constatiamo una situazione sempre più destabilizzata. Penso al fatto che il partito di un personaggio come Hashim Thaci sia quello più votato in Kosovo.

Occorre una politica estera più decisa. In nome dell'Europa o dell'Alleanza atlantica, alla fine, ci troviamo senza politica estera mentre la situazione del mondo peggiora giorno dopo giorno. Per il nostro partito questa situazione sta diventando insopportabile, visti anche gli sviluppi che nel giro di qualche mese riguarderanno l'Afghanistan, l'Iran e gli altri punti di conflitto.

PRESIDENTE. Volevo aggiungere due parole, visto che abbiamo ancora qualche minuto. Come ricordavano il sottosegretario Crucianelli ed anche molti colleghi intervenuti, si può dire di essere di fronte a dati difficilmente modificabili per quanto riguarda gli orientamenti dei due protagonisti della discussione e del negoziato. Del resto, ne abbiamo avuto la conferma sul versante serbo nei colloqui dei giorni scorsi. Sul versante kosovaro, invece, la conferma più autorevole è  arrivata dal voto, anche se la partecipazione inferiore al 50 per cento è la spia di qualche problema esistente all'interno della stessa opinione pubblica kosovara.

A vincere è stato Thaci, sostenitore delle posizioni più oltranziste nel corso degli anni, mentre è stato sconfitto il partito che fu di Rugova, l'uomo dei Balcani più mite e disposto all'apertura. Anche questo è un segno ed è chiaro che ha fatto presa la campagna di Thaci.

Le conseguenze negative di una scelta che andasse nella direzione di cui ha parlato il sottosegretario Crucianelli, ovvero l'indipendenza unilaterale del Kosovo, sono state sottolineate a più riprese. Credo che il Governo italiano, in sintonia con le preoccupazioni espresse dal Parlamento e dalla Commissione, si stia muovendo. È elevato il rischio di una Serbia per la quale si offuschi la prospettiva europea, collocandosi nella sfera di influenza russa. Inoltre, sono state ricordate le conseguenze per la Bosnia, una Bosnia che resta fragile per ragioni di fondo; tale fragilità potrebbe comportare anche rotture in presenza di una forzatura per quanto riguarda il Kosovo, anche se nei colloqui ci è sembrato che sulla questione bosniaca vi fosse molta prudenza, considerato quello che tale vicenda ha significato per la Serbia nella prima metà degli anni Novanta. Quindi, dire che agevoleremo una secessione, una rottura degli equilibri di Dayton non è facile: la memoria della tragedia occorsa negli anni Novanta è ancora troppo forte. Comunque, certamente i rischi sono quelli.

Tuttavia, vorrei che nell'ambito della nostra analisi, molto severa e preoccupata, sulle conseguenze di una scelta unilaterale che conducesse a quanto abbiamo detto, tenessimo presente anche altri aspetti di questo quadro così tormentato,.

Da un lato - almeno così a me pare - suscita preoccupazione (e non può non farlo in chi ha a cuore un equilibrio  stabile) la politica condotta dalla Russia. Non possiamo non discuterne e non prenderla in considerazione. Si corre, infatti, il rischio di una regressione della politica russa, di cui abbiamo avuto alcuni segnali nel corso dei questi ultimi due anni. In questo rischio di regressione vedo anche le responsabilità dell'Occidente, anzi mi sono molto chiare, a cominciare dalla questione missilistica. Tuttavia, è indubbio che la condotta di Putin e della Russia è preoccupante, anche sugli assetti del Kosovo. Non si proclama il ricorso al veto con tanta facilità!

Dobbiamo dare un quadro equilibrato della situazione, pur mantenendo la nostra preoccupazione, contenuta nei documenti approvati dal Parlamento. Pertanto, non dobbiamo del tutto escludere dalla nostra riflessione le profonde ragioni storiche che hanno portato al conflitto irriducibile tra albanesi, kosovari e serbi in Kosovo. Altrimenti, verrebbe meno una parte della vicenda dei Balcani, almeno per quanto riguarda le relazioni tra Belgrado e Pristina. L'abisso scavato tra albanesi e serbi non è colmabile con una proclamazione di buoni principi. Lo sanno anche i serbi di Belgrado che le cose stanno così e che si tratta di un abisso non colmabile.

D'altro canto, sapevamo nel 1996 - forse già nel 1994 e certamente era noto nel 1999 - che ormai la leadership albanese del Kosovo era completamente orientata in una certa direzione. In aggiunta vi erano le posizioni «ultrà» di Thaci, Haradinaj e dei gruppi dell'UCK. Lo stesso Rugova non avrebbe mai ottenuto il 48 per cento alle prime elezioni tenute in Kosovo se avesse proposto di tornare nell'ambito della Repubblica serba. Rugova era a favore dell'indipendenza, che lui stesso nei colloqui poneva come condizione. Ma Rugova era anche l'interlocutore dell'Occidente, l'uomo più mite e culturalmente più aperto all'Europa e all'Occidente.

La nostra posizione è molto chiara: siamo a favore della prosecuzione del negoziato e perché si giunga ad un esito condiviso. Non vogliamo che si mortifichi Belgrado; tuttavia nel sostenere le nostre posizioni e le nostre preoccupazioni dobbiamo avere un quadro che tenga conto di tutti i soggetti e dell'andamento delle vicende.

Nel nostro documento abbiamo messo l'accento su due aspetti, in primo luogo l'impegno affinché le scelte relative al futuro status del Kosovo avvengano in un contesto pacifico, su basi di condivisione. Ciò voleva dire che avremmo affidato la decisione al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Quindi, il nostro problema non era tanto quello dell'indipendenza (può darsi che tra di noi vi fosse distinzione in merito), quanto il modo con cui giungere a questo status. Il nostro obiettivo era quello di una risoluzione dell'ONU e di basi condivise. La questione da noi sollevata è proprio questa e da essa trae origine la nostra preoccupazione.

In secondo luogo, l'altro punto importante è far sì che il futuro status del Kosovo garantisca la piena attuazione dei principi dello Stato di diritto, del rispetto degli standard europei e delle minoranze. Si tratta di un aspetto su cui va speso il nostro impegno, che in ogni caso permane, compresa la preoccupazione nei confronti della lotta alla criminalità. Sono questi gli aspetti su cui dobbiamo continuare ad insistere, qualunque sia l'evoluzione della vicenda.

A me pare che il Governo italiano si stia muovendo verso questa direzione. Poi vedremo come andranno le cose; può darsi che fallisca anche l'ultimo round di negoziati (le ultime due sedute), anche se il rappresentante europeo ieri ha rilasciato una dichiarazione in cui si dichiarava più ottimista in merito alla ripresa di un filo negoziale. In ogni caso nelle  sedi europee, nelle relazioni bilaterali, nei rapporti con gli Stati Uniti dobbiamo segnalare il nostro punto di vista.

Vedremo cosa farà l'Unione europea e non i singoli Stati dell'Unione. Noi dobbiamo lavorare per far sì che si muova l'Unione europea nel suo complesso, anche perché si tratterà di una missione PESD. Allora sia l'Unione europea nel suo complesso a parlare. Dovremo evitare che a muoversi siano i singoli Stati. Non so se questo sarà possibile perché le cose non dipendono da noi.

Si è detto genericamente che alcuni Stati sosterranno la dichiarazione di indipendenza. Ma non si tratta di Stati qualsiasi - ad esempio la Slovacchia - ma degli Stati Uniti d'America. L'evoluzione di cui stiamo parlando sarà quella in cui prenderanno posizione soggetti fondamentali, per cui dobbiamo fare in modo che sia l'UE a pronunciarsi.

Noi continueremo in tutte le forme possibili a far presente la nostra posizione, ovvero quella che ho ricordato e che condivido per intero. Vediamo gli sviluppi della situazione e lavoriamo perché sia l'Unione europea nel suo complesso a prendere posizione, evitando, come accadde agli inizi degli anni Novanta, che siano i singoli Stati - prima la Germania e poi gli altri - a riconoscere l'indipendenza. Facciamo in modo che sia l'Unione nel suo complesso ad esprimere valutazioni e poi vedremo lo sviluppo della situazione.

È noto che l'Italia ha sostenuto la prosecuzione dei negoziati. Lo abbiamo detto «in tutte le salse» e continueremo a dirlo.

Con il mio intervento intendevo solo contribuire a delineare un quadro che tenesse conto di tutti gli aspetti di questa complessa situazione.

Do la parola al sottosegretario Crucianelli per la replica.

FAMIANO CRUCIANELLI, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Rispondo brevemente, non avendo molto tempo a disposizione, anche se le questioni sollevate sono numerose e alcune di ambizione generale.

Credo che sarebbe opportuno svolgere una riflessione generale sulla politica estera, come diceva l'onorevole Rashid. Dovremmo fare un bilancio della situazione, dei processi in corso e degli enormi problemi sul campo. Credo si tratti di una richiesta più che legittima che sarebbe opportuno avanzare.

Vorrei dire all'onorevole Rivolta, il quale non era presente, che la posizione della Repubblica Srpska è molto chiara; tuttavia, anche in quel caso è difficile stabilire dove alle parole corrispondano le reali intenzioni. Dodik, il rappresentante massimo della Repubblica Srpska, a fronte delle accuse di essere fondamentalmente teleguidati da Mosca e da Belgrado, sostiene infatti che non vi è alcuna intenzione di collegarsi alle posizioni sostenute da altri, ma che ci si muove autonomamente. Fatto sta che la situazione interna in Bosnia si sta radicalizzando di giorno in giorno, sviluppo che si può prestare a varie interpretazioni. Ad ogni modo, oltre alle preoccupazioni sulle conseguenze dell'assetto in Kosovo e alle rivendicazioni delle ragioni di Belgrado, non è stata fatta alcuna affermazione esplicita che legasse gli sviluppi in Kosovo a quelli nella Repubblica Srpska.

Tra le varie domande poste, è stato chiesto se sia possibile andare oltre il 10 dicembre. Nel corso di tutti questi mesi - e devo dire che senza una nostra iniziativa non sarebbe stato neanche possibile avere una ulteriore fase di negoziato - abbiamo sostenuto che si dovesse trattare fino all'ultimo secondo. Tuttavia, al momento, credo che sia difficile pensare che si andrà oltre il 10 dicembre. Per come ho ascoltato, visto e interpretato le posizioni sul tavolo, mi pare molto difficile  che la richiesta, pure avanzata da qualche settore, di andare oltre quella data, venga soddisfatta. La vedo molto lontana dalla realtà.

Allo stesso modo, non mi pare che le ultime proposte avanzate dai serbi, che vanno dal modello di Hong Kong a quello delle isole Aland, abbiano sbloccato il negoziato che continua a restare molto «sospeso» fra le autorità serbe e quelle kosovare. Come il presidente, anche io spero che nel corso di questi ultimi dieci o quindici giorni si possa avere un salto di qualità, ma è legittimo nutrire un sano pessimismo rispetto alla situazione che si è venuta a determinare.

Vorrei svolgere soltanto una considerazione. Credo che dopo il 10 dicembre, prima di Natale, dovremmo avere un ulteriore momento di incontro e di indirizzo. L'onorevole Giorgetti ha annunciato di aver presentato una mozione alla Camera; quindi immagino che vi sarà una discussione tempestiva, alla luce del quadro definitivo che emergerà da questo negoziato.

All'onorevole Rivolta vorrei dire che né chi vi parla, né il Governo hanno subìto la mozione approvata dalla Commissione. Anzi, vi è stato un pieno riconoscimento del Governo in quell'atto, interpretata nell'unico modo politicamente e diplomaticamente serio e non propagandistico. Tanto nelle sedi internazionali, quanto nelle riunioni ristrette, abbiamo sostenuto in primo luogo che la questione serba dovesse avere una sua centralità. Quando parlo di centralità, intendo dire che era necessario evitare il rischio - peraltro, voi conoscete bene, anche dall'interno, il sentimento e le ragioni politiche dei serbi - di una nuova umiliazione nei confronti di questo popolo. In particolare, era necessario tenere aperta - perché questa non era una contropartita, ma il forte messaggio che bisognava dare alla Serbia - la porta dell'Europa, anche in assenza di  alcune ottemperanze, che ancora oggi dobbiamo rilevare, sulla vicenda del tribunale dell'Aia. Devo dire all'onorevole Rivolta che se si è arrivati alla firma della parafatura, se il capitolo serbo è rimasto sempre aperto nelle sedi europee, questo, in gran parte, lo si deve all'iniziativa italiana, che ha poi avuto altre convergenze e possibilità di interlocuzioni. Senza questa iniziativa, probabilmente tale capitolo sarebbe stato messo ai margini.

A riprova di quanto dico, basterebbe fare riferimento alle discussioni tenute al Consiglio dei ministri di Bruxelles - alle quali ho partecipato direttamente almeno due volte, in sostituzione del ministro D'Alema - alla presenza dell'inviato speciale Ahtisaari. In quelle occasioni, ancora una volta, abbiamo posto la questione della necessità della convergenza ed esposto garbatamente - come la diplomazia e la politica richiedono in quelle condizioni - le nostre perplessità sulla relazione presentata. Del resto, nessuno, noi compresi, aveva interesse a indebolire la posizione di Ahtisaari. Quindi, abbiamo sempre sottolineato che lo sforzo poteva e doveva essere un altro rispetto a quel tipo di proposta finale.

Abbiamo cercato di interpretare la mozione, condivisa fino in fondo, nelle uniche due maniere possibili: sostenere la prospettiva e la proiezione europea della Serbia e allo stesso tempo l'apertura di spazi di negoziato fra la Serbia e il Kosovo. Abbiamo evitato, come ricordava il presidente, di entrare nel merito della questione relativa all'indipendenza e alla risoluzione 1244, perché questo avrebbe immediatamente aperto un altro tipo di discussione. Il Governo, quindi, ha assunto questo tipo di iniziativa, in coerenza con le posizioni che la Commissione ha espresso.

Il problema, cari colleghi, nasce molto prima e mi auguro che un giorno svolgeremo una riflessione seria e - spero -  unitaria. Nel corso degli anni passati questa situazione e questa pianta sono state lasciate crescere. Noi siamo arrivati proprio nel finale di partita. Quando abbiamo intrapreso questa iniziativa, che la Commissione ha sollecitato con tanta forza, ormai gran parte del percorso era stato compiuto e gran parte delle rivendicazioni di Pristina erano state garantite. Questo è il problema con il quale ci siamo scontrati, che ha reso la situazione attuale ampiamente compromessa.

Ha ragione il presidente Ranieri a ricordare che lo stesso Rugova qualche anno fa parlava di indipendenza, quando la questione era sul tavolo, ma in un contesto internazionale ancora fresco degli accordi postbellici del 1998. Allora forse si poteva seguire un'altra strada e concordare con le due parti un percorso politico e istituzionale diverso, nell'ambito del diritto internazionale. Credo che si siano perse delle occasioni e del tempo e che quindi siamo arrivati alla fine, quando ormai gran parte dei giochi erano stati consumati.

Siccome la speranza è l'ultima a morire, mi auguro che possa esservi la consapevolezza, da parte sia dei serbi sia dei kosovari, che in questa partita tutti hanno qualcosa da perdere. Infatti, se il Kosovo dichiara la sua indipendenza, lo fa in un contesto di conflittualità esplicita nei confronti della Serbia e allora il suo futuro non sarà una passeggiata. Se le autorità kosovare hanno questa percezione, a mio parere, dovrebbero anche aprirsi a una discussione diversa con la Serbia, che resta comunque un Paese vicino. La Serbia non sparirà dopo il 10 dicembre, e con essa dovranno fare i conti. Peraltro, le strade che vanno a nord passano per la Serbia; esiste proprio un legame geografico, oltre che storico, tra questi Paesi. Nutro quindi ancora qualche speranza, sebbene,  dopo essere stato in quei luoghi qualche giorno fa, debbo dire che non ho avuto la percezione di una fiammella che si accendeva.

Detto questo, se dovessimo trovarci di fronte al quadro indicato, avremmo a che fare con problemi nuovi. È per questo motivo che, a mio avviso, occorre prevedere una nuova discussione; dobbiamo ragionare tenendo presente il nuovo quadro che ci troveremo dinanzi.

Capisco le obiezioni dell'onorevole Venier, a proposito della risoluzione 1244, delle compatibilità con il diritto internazionale, della sovranità che la Serbia aveva perso ormai da tempo immemorabile sul Kosovo, ma seguendo questa via si apre un'altra discussione.

I problemi che avremo dinanzi sono due. Il primo è come evitare che scatti un meccanismo incontrollabile. Non c'è niente da fare: il rischio più grande è che si dia il via ad una instabilità che contagi rapidamente l'insieme dei Balcani. Questa è la prima questione.

In secondo luogo - fatto che all'Italia preme in modo speciale - è importante che il Kosovo possa essere un Paese nel quale la promiscuità fra criminalità e istituzioni venga il più possibile respinta. I primi a essere interessati a una seria missione europea in Kosovo siamo noi italiani. Siamo noi che dobbiamo sollecitare un intervento militare, e non solo, che possa garantire una evoluzione di quel Paese. Infatti, se dovesse diventare un luogo nel quale il controllo sull'economia, sulla società, sulla politica viene effettuato da forze «eversive», i primi a pagare un prezzo carissimo saremmo noi. Questo è l'altro problema che abbiamo e che è legato a quello di come garantire la sicurezza dei kosovari e la nostra. Questo è il contesto sul quale dobbiamo ragionare.

A quel punto, come diceva anche il presidente Ranieri, credo che la priorità sarà il pieno coinvolgimento dell'Unione europea. Saremo i primi a essere interessati, perché si arrivi ad avere una posizione unitaria da parte europea. Per gli svedesi o per chi abita a Cipro il discorso è diverso, ma per andare da Sarajevo a Roma sono necessari 50 minuti. Il viaggio da Roma a Belgrado o a Pristina si compie in un'ora. Questa è la distanza che passa tra noi e questi territori, simile a quella tra Palermo e Milano. Pertanto, siamo noi, e non chi si trova a Cipro o in Svezia, ad essere i più interessati ad una soluzione europea, per evitare che in quelle zone si apra il «vaso di Pandora», di cui pagheremmo noi in primo luogo le conseguenze. Questo è il contesto entro il quale dobbiamo ragionare sui problemi che si porranno.

In questa fase, non posso esprimere la mia opinione personale, tuttavia non vorrei che la discussione prendesse una china che ci faccia perdere di vista i due punti fondamentali cui occorre invece prestare attenzione. Mi riferisco alla necessità di evitare che si inneschi un meccanismo distruttivo per i Balcani e di salvaguardare la sicurezza dei kosovari nonché quella del nostro Paese.

Ritengo che sulla base di queste considerazioni dovremmo svolgere una discussione.

PRESIDENTE. Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 11,35



ALLEGATO

Sulla missione a Belgrado (18-19 novembre 2007).

RELAZIONE DEL PRESIDENTE

Dal 18 al 19 novembre 2007, una delegazione della Commissione Affari esteri e comunitari, composta dal presidente Umberto Ranieri e dal vicepresidente Giancarlo Giorgetti, si è recata in missione a Belgrado, dove ha incontrato il Presidente dell'Assemblea nazionale, Oliver Dulić, le Commissioni per gli esteri e per l'integrazione europea dell'Assemblea stessa presiedute rispettivamente dai deputati Dragoljub Mićunović e Milošetvic, nonché gli esponenti governativi Aleksandar Simic, della Presidenza del Consiglio, e Ljubomir Kljakić, del Ministero per il Kosovo e la Methokia.
La missione si è svolta all'indomani della parafatura dell'Accordo di stabilizzazione e di associazione tra l'Unione europea e la Repubblica di Serbia e alla vigilia della quinta sessione dei colloqui per lo status finale del Kosovo, per cui il Consiglio di sicurezza dell'ONU ha posto la scadenza del prossimo 10 dicembre. Questi temi sono, quindi, stati al centro degli incontri.
Generale, a partire dalle considerazioni del presidente Dulić, è stato il riconoscimento del ruolo dell'Italia nella regione dei Balcani occidentali, unitamente alla gratitudine per il sostegno del nostro Paese allo sviluppo della prospettiva europea per la Serbia. Altrettanto generale è l'indicazione che la questione del futuro europeo della Serbia e la questione dello status del Kosovo debbano essere considerate separate, senza che i relativi negoziati siano influenzati a vicenda.
Tutti gli interlocutori serbi hanno espresso la loro contrarietà all'indipendenza del Kosovo che minerebbe l'integrità territoriale della Repubblica di Serbia, in contrasto con la risoluzione 1244 dell'ONU. Essi hanno altresì rammentato come il principio della conservazione dei confini delle ex repubbliche jugoslave sia sempre stato sinora applicato dalla comunità internazionale. Questa posizione è stata più volte ribadita in sede parlamentare, con l'eccezione di un solo gruppo politico minore. Sia pure con accenti diversi, vi convergono quindi sia la maggioranza che l'opposizione.
La parte serba ha ripetuto la più ampia disponibilità a riconoscere al Kosovo quell'autonomia sostanziale menzionata nella predetta risoluzione ONU, ricorrendo a formule già felicemente applicate, quali il modello Hong-Kong oppure quello dell'isola finlandese di Oland od anche dell'Alto Adige-Sud Tirolo. Resterebbero a Belgrado soltanto le competenze in materia di difesa internazionale e rappresentanza estera.
Una simile prospettiva è stata presentata dal professor Kljakić come più vantaggiosa per gli albanesi kosovari dello stesso piano Athisaari che in fondo affida il potere finale alla comunità internazionale.
Quanto alla proposta del negoziatore europeo, Ischinger, del trattato del 1972 tra le due Germanie, il professor Simić, l'ha esclusa sia perché estranea al mandato che la Trojka ha ricevuto dal Segretario generale delle Nazioni Unite, non condivisa all'interno della stessa Trojka e quindi mai ufficialmente proposta, sia perché i due stati tedeschi erano entrambi all'epoca già esistenti sia di fatto che di diritto.
La prospettiva dell'integrazione europea è senz'altro perseguita e giudicata favorevolmente per la stabilizzazione della regione. Si fa tuttavia presente da parte serba che per stare nell'UE occorre che gli Stati aspiranti siano concreti e responsabili, dubitando quindi che il Kosovo possa esserlo. Al riguardo, è forte la preoccupazione delle possibili influenze della criminalità organizzata internazionale.
Né sono mancati, in alcuni interlocutori, gli echi del rimpianto per la dissoluzione della Yugoslavia e per la recente secessione del Montenegro. Sia pure isolata, non è neanche mancata l'evocazione dello spettro della «Grande Albania», che potrebbe realizzarsi non nell'immediato, ma in un prossimo futuro. Il presidente Micunovic ha poi giudicato le aspirazioni indipendentiste degli albanesi del Kosovo alla stregua di un rigurgito del nazionalismo romantico ottocentesco, in assoluto contrasto con la tendenza all'integrazione europea.
Il risultato delle recentissime elezioni in Kosovo, con l'affermazione del PDK, è stato considerato scontato a causa della mancata soluzione della questione dello status, per cui l'astensione della comunità serba è stata presentata come ovvia ed inevitabile in un simile contesto. È stato peraltro significativamente sottolineato il non elevato tasso di partecipazione degli elettori, motivato ora con la sfiducia diffusa nella stessa popolazione albanese ora con l'inaffidabilità delle registrazioni anagrafiche, che includerebbero in realtà moltissimi albanesi non più residenti nella regione. Si è poi fatto comunque notare che la minoranza serba non è la sola presente in Kosovo.
L'ipotesi dell'indipendenza - di cui si teme la dichiarazione unilaterale anche per le conseguenze che avrebbe sulla politica serba chiamata a breve a nuove elezioni presidenziali dal riformato testo costituzionale - è poi contestata come irreversibile, mentre occorrerebbe più tempo per giungere ad una soluzione condivisa concordata, per cui l'autonomia potrebbe rappresentare un primo passo meno compromettente. Ogni soluzione ambigua, suscettibile di interpretazioni difformi delle parti, è del pari rigettata.
Una tale valutazione è altresì influenzata dalla diffidenza per i colloqui in corso che deriva dall'impressione che la parte albanese non stia sostanzialmente trattando perché sicura dell'appoggio statunitense. Per converso, la Serbia si sente sicura dell'appoggio russo. Il deputato Miloš Aligrudić, rilevando l'asimmetria negoziale in atto, ha invitato l'UE a non schiacciarsi sulla posizione USA in nome della diversità degli interessi europei, che sarebbero assai compromessi da quello che apparirebbe in tutto il continente come un precedente secessionistico imitabile.
In sostanza, oltre alla riaffermazione del proprio diritto rivendicato nel solco della legalità internazionale, la Serbia teme per la sorte dei profughi e per la destabilizzazione della regione. Per quanto riguarda i profughi, ai 200.000 che già hanno lasciato le loro case ed il cui ritorno sarebbe definitivamente escluso dalla dichiarazione di indipendenza, molti altri potrebbero aggiungersene. Al riguardo, si segnala la preoccupazione aggiuntiva espressa dal deputato della minoranza magiara della Voivodina, Balint Pastor, circa la modificazione degli equilibri etnici che un ulteriore flusso migratorio produrrebbe nella sua regione.
Sul piano regionale, da un lato si immagina la reazione dei serbi di Bosnia, che ritornerebbero a chiedere l'annessione alla Serbia, dall'altro la reazione degli albanesi della FYROM, che potrebbero mettere nuovamente in discussione il fragile accordo su cui quello stato poggia.
Alcuni parlamentari, tra cui il rappresentante magiaro (schierato all'opposizione), hanno comunque criticato l'eccessiva concentrazione della politica e della stampa serba sulla crisi del Kosovo.
È comunque da rilevare l'impegno riformatore che sta promuovendo la Commissione parlamentare per l'integrazione europea in particolare sul piano del ravvicinamento legislativo. Resta tuttavia aperto il tema della collaborazione con il Tribunale penale internazionale per i crimini della ex Yugoslavia, cui gli interlocutori serbi hanno manifestato la loro convinta adesione, attendendo con una certa fiducia la relazione che la procuratrice Dal Ponte sta per depositare. Il presidente Jetvić assicurando che oltre il 60 per cento della popolazione è in favore dell'UE, ha evidenziato l'impegno serbo per lo sviluppo della capacità tecnica di assorbimento dei fondi comunitari, facendo tesoro degli esempi stranieri e aprendosi alla cooperazione regionale.
Il presidente Ranieri, nel ricordare l'antica amicizia dell'Italia per la Serbia ed il suo riconoscimento del ruolo centrale di Belgrado nella regione, ha sottolineato come gli sviluppi lungo la strada dell'integrazione europea debbano tradursi in concrete politiche per la crescita del Paese. Con riferimento al Kosovo, ha ribadito l'auspicio dell'Italia per l'individuazione di una soluzione condivisa che tenga conto delle preoccupazioni serbe, temendo le conseguenze sul piano regionale di un'eventuale dichiarazione unilaterale. Pur non negando validità alle argomentazioni contrarie allo Stato kosovaro, ha invitato al realismo ed alla presa d'atto del drammatico percorso che ha portato all'incomunicabilità tra albanesi e serbi nella regione, sancendo un gap tra la Serbia ed il Kosovo non più recuperabile, dal momento che la comunità albanese non si sente più parte dello Stato serbo. A suo avviso, dovrebbe essere garantita a Belgrado, oltre alla tutela della minoranza serba e del patrimonio storico-religioso ortodosso, una «relazione speciale» con la propria comunità in Kosovo. La via del compromesso dovrebbe essere responsabilmente perseguita da entrambe le parti.
Nel ribadire il convinto appoggio di tutto il Parlamento italiano all'integrazione europea della Serbia, il presidente Ranieri ha invitato i serbi a guardare al futuro, che non può essere «ostaggio» del Kosovo. Al riguardo, ha dichiarato che la pur doverosa e scrupolosa collaborazione con il Tribunale penale internazionale non può e non deve trasformarsi in un'ipoteca perpetua del passato sul presente del Paese. Il suo auspicio è che quel che si è diviso nei Balcani possa un giorno ritrovarsi unito in Europa, così come è capitato anche ai paesi usciti dalla seconda guerra mondiale e dalle dittature fasciste e comuniste.
Il vicepresidente Giorgetti ha ribadito l'atteggiamento che l'Italia ha assunto sulla questione del Kosovo in seno all'UE ed ha manifestato forti preoccupazioni per le ripercussioni sull'immagine dell'Europa nell'opinione pubblica serba, ove l'Unione stessa si muovesse in modo non equilibrato. Anche se un solo partito politico è infatti oggi dichiaratamente anti-europeo, gli è stato risposto che, soprattutto sulla stampa, si evoca la Russia come alternativa possibile all'Europa, anche facendo leva sulla frustrazione della popolazione.
Sul piano bilaterale, si è apprezzato il fatto che l'Italia è il secondo partner commerciale della Serbia ed in particolare il primo paese importatore. Si è tuttavia preso l'impegno di promuovere ulteriormente tali relazioni e di rilanciare gli investimenti. È stata altresì auspicata l'intensificazione della cooperazione parlamentare. I pur significativi progressi economici non possono peraltro far dimenticare che il Paese non è ancora ritornato ai livelli del 1989 e che soffre di un perdurante isolamento, tanto che il 90 per cento dei suoi giovani non è mai stato all'estero, come ha lamentato il presidente Mićunović, che si è detto preoccupato anche per le accuse che i radicali rivolgono ai democratici di non aver saputo mantenere le promesse. Da parte italiana, è stato garantito il massimo impegno per il consolidamento politico, economico, sociale e culturale della Serbia.

 

 


Senato della Repubblica

 


COMMISSIONI 3a e 4a RIUNITE

 

martedì 11 dicembre 2007

21a Seduta

Presidenza del Presidente della 3ª Commissione

DINI

 

 Intervengono i sottosegretari di Stato per gli affari esteri Crucianelli e per la difesa Forcieri.

 

 

La seduta inizia alle ore 15,20.

 

 

SULLA PUBBLICITA' DEI LAVORI 

 

Il presidente DINI comunica che, ai sensi dell’articolo 33, comma 4, del Regolamento del Senato, è stata chiesta l’attivazione dell’impianto audiovisivo a circuito chiuso e la trasmissione radiofonica e che la Presidenza del Senato ha fatto preventivamente conoscere il proprio assenso.

 

Poiché non vi sono osservazioni, tale forma di pubblicità è dunque adottata per il prosieguo dei lavori.

 

Avverte inoltre che della procedura informativa sarà redatto il resoconto stenografico, che sarà reso disponibile in tempi brevi.

 

Le Commissioni riunite prendono atto.

 

 

PROCEDURE INFORMATIVE

 

Comunicazioni del Governo sugli ultimi sviluppi della situazione nei Balcani con particolare riferimento al Kossovo

 

Il presidente DINI, dopo una breve introduzione dei lavori, cede la parola al sottosegretario Crucianelli.

 

Il sottosegretario CRUCIANELLI si sofferma in primo luogo sulla situazione nel Kossovo all’indomani dell’ultima riunione, che ha avuto luogo ieri, delle parti serba e kossovara con la troika costituita dall’Unione europea, Stati Uniti e Russia. Al riguardo, sebbene non sia stato raggiunto alcun accordo, come peraltro previsto, e restino esigui i margini per ulteriori trattative, rileva come degne di nota la disponibilità delle controparti ad incontrarsi e ad impegnarsi ad escludere il ricorso alla forza. Evidenzia inoltre l’importanza che l’Europa riesca a mantenere un atteggiamento coeso e improntato all’apertura nei confronti della Serbia e dei Balcani nel loro complesso, anche al fine di evitare il propagarsi di fattori destabilizzanti nella regione. Sottolinea, infine, l’esigenza di recuperare un clima di maggiore dialogo tra mondo occidentale e Russia.

 

Ha quindi la parola il sottosegretario FORCIERI, il quale, dopo aver ricordato che l’impegno militare italiano nella regione balcanica risale alla prima metà degli anni ’90, si sofferma in particolare sulla missione NATO Joint Enterprise, nel cui ambito si inquadra la presenza militare italiana in Kossovo, ed in particolare sulla missione di KFOR. Segnala infine che l’impegno militare nazionale nella regione balcanica è estremamente importante per la stabilizzazione dell’area, particolarmente critica per la sicurezza dell’Europa e dell’Italia.

 

Il presidente DINI ringrazia i rappresentanti del Governo per l’esposizione e, dopo aver richiesto chiarimenti sullo stato del processo di ricostruzione in Kossovo, apre il dibattito.

 

Il senatore DE GREGORIO (Misto-Inm), presidente della 4a Commissione, sottolinea che, se la situazione dovesse precipitare, esiste il rischio di un nuovo contenzioso armato nella regione, che potrebbe richiedere un rafforzamento della presenza militare italiana. Esprime dubbi in ordine all’esistenza delle risorse necessarie per garantire, in tal caso, il necessario livello di sicurezza dei militari italiani impegnati in quel teatro.

 

Il senatore SELVA (FI) sottolinea che in realtà il destino del Kossovo è già stato deciso, nel senso dell’indipendenza, dagli Stati Uniti, e che il Parlamento italiano non ha alcuna possibilità di influire su tali decisioni. Auspica comunque una più stretta collaborazione tra Italia ed Albania, affinché essa comprenda la necessità di non istigare i nazionalismi kossovari nell’ambito del processo di stabilizzazione, che si augura avvenga pacificamente.

 

Il senatore ZANONE (PD-Ulivo), premesso che il Kossovo rappresenta uno dei terreni in cui si esercita la tensione che caratterizza l’atteggiamento della Russia nei confronti delle politiche occidentali, chiede quale sia l’opinione del Sottosegretario agli esteri in ordine alla possibilità di un’accelerazione della candidatura della Serbia all’ingresso nell’Unione europea, anche atteso che la prossima presidenza dell’Unione sarà assunta dalla Slovenia. Si sofferma quindi in particolare sulla necessità, in caso di dichiarazione di indipendenza del Kossovo, di ridiscutere e ridefinire gli ambiti e i limiti della missione Joint Enterprise, domandandosi in che termini siano possibili interazioni tra la NATO e la PESD.

 

Il senatore ANTONIONE (FI), alla luce dell’analitica esposizione del sottosegretario Crucianelli sul ruolo dell’Europa nella vicenda del Kossovo, chiede chiarimenti sulle divergenze che sembrano emergere al riguardo tra gli Stati membri dell’Unione europea e sulla posizione assunta dal Governo italiano. Sottolineando l’importanza strategica dell’area dei Balcani, anche per la presenza nella regione di significativi contingenti militari italiani, rileva l’esigenza che su tale delicata materia il Parlamento si esprima con la propria azione di indirizzo.

 

Il senatore COSSUTTA (IU-Verdi-Com) sottolinea i rischi derivanti da un’eventuale dichiarazione unilaterale d’indipendenza da parte del Kossovo, suscettibile di porsi in contrasto con il diritto internazionale e con le deliberazioni delle Nazioni Unite. Al riguardo, evidenziando come una tale evoluzione inciderebbe sul senso della missione militare internazionale presente nella regione, invita il Governo ad assumere una posizione improntata alla massima cautela ed auspica un adeguato approfondimento della questione da parte del Parlamento.

 

Su proposta del presidente DINI, dato l’imminente inizio dei lavori dell’Assemblea, le Commissioni riunite convengono, infine, di rinviare ad altra seduta la procedura informativa in titolo.

 

 

La seduta termina alle ore 16,30.

 




[1]    Il nuovo esecutivo ha ricevuto l’approvazione del Parlamento di Pristina il 9 gennaio 2008.

[2]   Sul piano delle relazioni bilaterali, si ricorda il 3 dicembre si è svolta una visita di Prodi a Tirana. La visita è stata una conferma delle buone (e sempre più salde) relazioni fra i due paesi. In quella occasione, il primo ministro albanese, Berisha ha escluso di pensare all’indipendenza del Kosovo come ad un passaggio intermedio verso la “grande Albania”.

     Va altresì ricordato che nei giorni 20 e 21 dicembre 2007 una delegazione della Commissione Affari esteri della Camera si è recata in missione nel Kosovo, ove ha incontrato esponenti politici sia albanesi che serbi, oltre ai vertici della missione delle Nazioni Unite UNMIK. Inoltre, parte importante della missione è stata dedicata a visitare reparti del contingente italiano operanti nella regione nell’ambito della forza NATO KFOR.

[3]   Anche accelerando ulteriormente le procedure per la firma in tempi brevi dell’accordo di stabilizzazione e associazione e la concessione dello status di paese candidato.

[4]   In quell’occasione si era verificata l’unanimità sull’invio della missione europea, con la sola eccezione di Cipro, che teme che la dichiarazione unilaterale del Kosovo possa determinare un precedente, invocabile dalla Repubblica turca del Cipro del nord (RTCN). La Gran Bretagna, all’opposto, si era espressa in favore della dichiarazione di indipendenza del Kosovo tout court.

[5]   Secondo alcuni dei paesi membri, la missione KFOR dovrà essere ulteriormente rafforzata.

[6]   Il Kosovo ha due centrali per l'energia termica che dovrebbero bastare per il fabbisogno interno, ma la tecnologia obsoleta e la mancanza di professionalità del personale hanno causato frequenti guasti e black-out. Dal 1999 sono stati allontanati 8000 lavoratori serbi nell'industria energetica, ma senza provvedere ad adeguate sostituzioni. In una situazione normalizzata, il Kosovo potrebbe divenire esportatore di energia elettrica.