Camera dei deputati - XV Legislatura - Dossier di documentazione
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Autore: | Servizio Studi - Dipartimento affari esteri |
Titolo: | Incontro con una delegazione della Commissione esteri dell¿Assemblea consultiva islamica iraniana - La questione del nucleare iraniano (aggiornamenti) |
Serie: | Documentazione e ricerche Numero: 106 |
Data: | 06/11/2007 |
Organi della Camera: | III-Affari esteri e comunitari |
Camera dei deputati
XV LEGISLATURA
SERVIZIO STUDI
Documentazione e ricerche
La questione del nucleare iraniano
(aggiornamenti)
Incontro con una delegazione della Commissione esteri dell’Assemblea consultiva islamica iraniana
n. 106
7 novembre 2007
Dipartimento affari esteri
SIWEB
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File:es0188.doc
INDICE
La questione del nucleare iraniano
Premessa - I rischi di un Iran nuclearizzato
Le tappe dell’escalation diplomatica e gli argomenti dell’Iran
I tentativi di mediazione europei
L’intervento del Consiglio di sicurezza
I negoziati del gruppo 5+1 e il tentativo di negoziato dell’estate 2006
La Risoluzione 1696 del Consiglio di Sicurezza
La Risoluzione 1737 del Consiglio di Sicurezza e le reazioni iraniane
La scadenza dell’ultimatum dell’ONU e la Risoluzione 1747
La situazione interna e gli effetti economici delle sanzioni
G. Friedman ’War Plans: United States and Iran’, in: Stratfor, 30 ottobre 2007
J. Wolfsthal, ‘Sanctioning Iran’, in: CSIS-Critical questions, 26 ottobre 2007
‘Iran: meeting the military challenge’, in: CSIS-Gulf roundtable, ottobre 2007
E. Morici ‘Iran: l’eco delle parole di Putin nella politica di Teheran’, in: Equilibri, 25 ottobre 2007
M. Dassù ‘L’Occidente e l’Iran. Necessarie, non sufficienti. Il dilemma sanzioni’, Corriere della Sera, 10 ottobre 2007
D. Dassa Kaye and Frederic M. Wehrey ‘A Nuclear Iran: The Reactions of Neighbours’, in: Survival, estate 2007
T. Hamel ‘Le programme nucléaire iranien, une équation aux multiples inconnues’, in: Défense nationale et sécuritè collective, luglio 2007
F. Jahanpour ‘Iran’s Nuclear Programme and Regional Security’, 13 giugno 2007
A.F. Alhajji, PhD ‘The impact of Iran’s nuclear standoff on world energy security’, in: Energy & Environment, n. 5/2007
La questione del nucleare iraniano – dopo le recenti polemiche suscitate dalle dichiarazioni del Ministro degli Esteri francese - è tornata al centro della attività diplomatica internazionale.
Si ricorda preliminarmente che i termini tecnici della questione hanno una certa complessità. La contesa riguarda infatti - principalmente -un processo (l’arricchimento dell’uranio, fase principale del ciclo di produzione del combustibile nucleare) che non è – di per sé proibiti dal Trattato di Non Proliferazione (TNP), in quanto esso è necessario sia per la produzione di energia, sia per la fabbricazione di ordigni nucleari.
Tuttavia, violazioni da parte dell’Iran degli obblighi internazionali in materia nucleare sono accertati (e risalgono ormai a diversi anni fa). Infatti nel 2002 - grazie alla denuncia di un gruppo dissidente – la comunità internazionale seppe dell’esistenza di due impianti tenuti fino ad allora segreti dalle autorità di Teheran: Ad Arak, un reattore ad acqua pesante e a Natanz, un impianto per l’arricchimento dell’uranio. Tali attività non erano state notificate all’ Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (AIEA).
Nel 2003 l’Iran, anche per reagire al discredito internazionale derivato dalla clamorosa scoperta, si impegnò a sospendere ogni attività di arricchimento dell’uranio.
L’ascesa di Ahmadinejad alla Presidenza della Repubblica islamica nell’agosto del 2005 e il suo dichiarato proposito di riprendere le attività di arricchimento dell’uranio su larga scala ha destato un allarme crescente nella comunità internazionale, sempre più persuasa che il piano nucleare iraniano non sottenda finalità solo civili bensì rifletta l’aspirazione dell’Iran a divenire una potenza nucleare nella regione del Golfo. E’ evidente come ciò possa avere un effetto destabilizzante sull’intero Medioriente, innescando un effetto moltiplicatore delle ambizioni nucleari – seppur in chiave difensiva - di altri Paesi dell’area (Arabia Saudita, Egitto e Turchia in primis).
La volontà dell’Iran di acquisire tecnologie potenzialmente impiegabili anche per la fabbricazione di armi nucleari, oltre ad indebolire il sistema internazionale di non-proliferazione nucleare, appare infatti in grado di produrre un sensibile mutamento nel sistema degli equilibri regionali, alimentando le ansie di sicurezza di Israele nonché l’antagonismo tra il governo clericale di Teheran e gli Stati Uniti, da anni impegnati nella stessa definizione degli equilibri dell’area attraverso una fitta rete di relazioni diplomatiche ed alleanze con tutti gli Stati della regione, ad eccezione della Siria.
Dati gli attuali equilibri geopolitici, il possesso di un arsenale nucleare da parte dell’Iran determinerebbe un evidente mutamento dei rapporti di forza, accrescendo ulteriormente i fattori di rischio di una regione già altamente instabile, considerato lo stato di disordine in cui versa l’Iraq, le difficoltà nel processo di stabilizzazione in Afghanistan, il terrorismo internazionale di matrice qaedista, che incrina l’affidabilità anche di paesi come l’Arabia Saudita, nonché le persistenti tensioni fra Israele e i palestinesi e fra Siria e Libano.
Il possesso di armi nucleari da parte dell’Iran potrebbe infine amplificare il rischio di un eventuale trasferimento di tecnologie nucleari ad organizzazioni terroristiche, mettendo ancor più a repentaglio la sicurezza internazionale.
Pur aderendo, fin dal 1970, al Trattato di Non proliferazione (TNP)[1], l’Iran non ha garantito il pieno accesso degli ispettori dell’AIEA[2] ad alcune infrastrutture regolarmente denunciate, ed ha in un primo tempo accolto, ma in seguito apertamente disatteso, l’invito della stessa AIEA a sospendere il proprio programma di arricchimento dell’uranio.
Già nel febbraio 2003, l’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea) ha confermato l’esistenza in Iran di un avanzato programma nucleare; da allora ha cominciato a diffondersi il sospetto che tale programma avesse in realtà una segreta destinazione militare.
Tale sospetto è alimentato da considerazioni: di ordine politico, in quanto un arsenale nucleare rafforzerebbe il ruolo dell’Iran nella regione e il suo prestigio a livello internazionale; economico, in quanto non sembra ragionevole per un paese con grandi risorse di gas e petrolio sviluppare un programma nucleare civile complesso e costoso; tecnologico, poiché la tipologia di infrastrutture nucleari che l’Iran aveva omesso di denunciare non sembra corrispondere ad ambizioni puramente pacifiche.
Nel marzo 2004 l’AIEA ha quindi espresso preoccupazione per le omissioni nelle dichiarazioni dell’Iran a proposito delle sue attività in campo nucleare, oltre che per importazioni di uranio avvenute senza notifiche.
Dalle ispezioni dell’AIEA, effettuate dopo molte pressioni, si evince complessivamente come l’Iran sia impegnato a sviluppare l’intero ciclo del combustibile nucleare (alla base della possibile realizzazione di un dispositivo militare).
Da parte sua, l’Iran ha sempre sostenuto che gli scopi del programma di nuclearizzazione sono pacifici. Quanto alle mancate denunce all’AIEA, Teheran sostiene che l’interpretazione letterale del Trattato non impone la denuncia degli impianti, se non nell’imminenza dell’avvio delle attività di arricchimento dell’uranio, stadio al quale nel 2002 non si era ancora arrivati. Sostiene, inoltre, che era intenzione del governo effettuare la denuncia non appena si fosse pervenuti a questo stadio e che quindi non vi sono gli estremi giuridici per accusare l’Iran di violazione del TNP.
All’attività dell’AIEA si è affiancata, a partire dall’agosto del 2003, l’iniziativa dei governi di Francia, Germania e Regno Unito per indurre l’Iran a sospendere temporaneamente le attività per la produzione di uranio arricchito, a fronte di una collaborazione a livello commerciale, tecnologico, nucleare ed economico.
Nel 2004 l’Unione europea ha deciso di associare al processo avviato dai tre paesi europei l’Alto Rappresentante per la politica estera e la sicurezza comune, Javier Solana. Il negoziato condusse, nel novembre 2004, alla presentazione di un documento - condiviso dall’Iran - da parte dei tre paesi europei al Consiglio dei governatori dell’AIEA (c.d. Accordo di Parigi), nel quale si prevedeva la sospensione delle attività di Teheran nel settore della produzione di uranio arricchito in cambio di un pacchetto di incentivi, che includesse accordi commerciali e cooperazione nucleare, nonché dialogo politico sulle questioni di sicurezza cui l’Iran è più sensibile.
Nel marzo 2005 gli Stati Uniti, in origine sostanzialmente contrari a coinvolgere l’Iran in una trattativa, avevano deciso di appoggiare l’iniziativa degli europeic, pur rifiutandosi di partecipare direttamente ai negoziati. Ma nell’agosto del 2005 i negoziati promossi dalla Ue sono naufragati in seguito alla decisione unilaterale del governo iraniano di riprendere la conversione dell’uranio (un procedimento preparatorio dell’arricchimento), ritenuta dai tre paesi europei una violazione delle condizioni accettate dall’Iran nel novembre del 2004.
La situazione si era del resto già complicata in seguito all’elezione a presidente dell’Iran di Mahmoud Ahmadinejad (giugno 2005), esponente dell’ala più radicale e meno disponibile ai compromessi della leadership iraniana.
Il 17 settembre successivo il neo presidente iraniano, intervenendo all’Assemblea generale delle Nazioni Unite, ribadiva quindi che l’Iran aveva la ferma intenzione di esercitare il suo diritto a sviluppare la tecnologia nucleare a ciclo completo.
L’estate 2005 segna dunque il fallimento del negoziato tra gli Ue-3 e l’Iran.
Gli europei, pur lasciando aperta la possibilità di riaprire un dialogo, hanno appoggiato la richiesta americana di porre la questione al Consiglio di sicurezza dell’Onu, promuovendo in seno al Consiglio dei governatori dell’AIEA una risoluzione che ha dichiarato l’Iran “inadempiente” ai suoi obblighi internazionali per aver mancato di informare l’AIEA delle attività nucleari in corso, invitandolo altresì ad una piena collaborazione con gli ispettori dell’agenzia.
La risoluzione, pur non contenendo meccanismi di deferimento immediato qualora l’Iran perseveri nelle violazioni contestategli, ha da allora conferito al contenzioso sul nucleare iraniano un più consistente peso internazionale.
Il 29 marzo 2006 il Consiglio di sicurezza, dopo aver espresso viva preoccupazione per il fatto che l’AIEA non era stata posta nelle condizioni di poter esprimere una valutazione conclusiva sul programma nucleare iraniano, ha invitato l’Iran a sospendere le attività di arricchimento dell’uranio e le attività connesse, nonché a riprendere la piena cooperazione con l’Agenzia. Il Consiglio di sicurezza, dopo aver espresso la convinzione che tale sospensione e l’osservanza delle condizioni richieste potessero contribuire ad una soluzione negoziata della questione, in grado di riconoscere all’Iran il diritto allo sviluppo del nucleare per scopi civili, richiedeva quindi un rapporto dell’AIEA entro 30 giorni.
Alla fine di aprile il rapporto del direttore generale dell’Aiea El Baradei lamentava il mancato adeguamento dell’Iran alle richieste dell’Onu e la conseguente impossibilità per l’agenzia di certificare l’assenza di attività nucleari non dichiarate.
In precedenza, l’11 aprile 2006, il presidente iraniano Ahmadinejad aveva annunciato pubblicamente che l’Iran era riuscito ad arricchire un piccolo quantitativo di uranio in una percentuale sufficiente ad essere impiegata in un reattore (3%) e che il Paese avrebbe continuato nel suo programma nucleare fino alla produzione in massa di uranio arricchito.
L’annuncio ha suscitato la reazione preoccupata di
paesi come il Giappone e
Le iniziative internazionali per una soluzione
negoziata sono state in seguito rilanciate dal gruppo dei paesi membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’ONU
(USA, Russia, Gran Bretagna, Francia e Cina) e dalla Germania (c.d. gruppo “5+
Tale proposta era il frutto dell’iniziativa congiunta di americani ed europei e derivava dalla decisione degli USA di ammorbidire le proprie posizioni intransigenti.
In cambio di un pacchetto di incentivi offerti all’Iran[3], si chiedeva all’Iran di rinunciare alla prosecuzione delle attività di arricchimento di uranio. L’alto Rappresentante Ue, Javier Solana, ha discusso di tali proposte con il rappresentante del Governo iraniano Ali Larijani il 6 giugno 2006. Le reazioni del governo iraniano sono state inizialmente positive, ma l’aggravarsi della crisi tra Israele ed Hezbollah libanesi – appoggiati dall’Iran - l’intensificarsi degli scontri in atto nella regione meridionale del Libano e le ulteriori dichiarazioni del presidente iraniano circa il diritto del suo paese a proseguire il suo programma nucleare, hanno determinato un allontanamento di possibili soluzioni negoziate.
Nel tentativo di vanificare tattiche dilatorie degli iraniani, il 31 luglio 2006 il Consiglio di Sicurezza ha approvato – con il solo voto contrario del Qatar – una risoluzione (n. 1696/2006) proposta da Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia, con la quale si chiedeva all’Iran di sospendere entro il 31 agosto le proprie operazioni di arricchimento dell’uranio. In caso di inadempimento la risoluzione prevedeva misure provvisorie (ex art. 40 della Carta ONU) ed eventuali sanzioni economiche (ex art. 41), escludendo tuttavia l’uso della forza.
La reazione del Presidente iraniano alla decisione del Consiglio di Sicurezza è giunta il giorno successivo, il 1° agosto 2006, con una dichiarazione nella quale si ribadiva che “il popolo iraniano rivendica il diritto inalienabile di avvantaggiarsi della tecnologia per produrre energia nucleare per fini pacifici”.
Nonostante varie dichiarazioni di disponibilità da parte dell’Iran a intavolare negoziati ad ampio raggio, il termine del 31 agosto 2006 è scaduto senza che Teheran abbia interrotto le procedure di arricchimento dell’uranio, come risulta dal rapporto trasmesso dall’AIEA alla Presidenza del Consiglio di Sicurezza, nel quale peraltro l’Agenzia per l’energia atomica asserisce di non avere prove definitive dell’orientamento militare delle attività iraniane.
Il 6 settembre 2006 si è verificata una significativa evoluzione nelle posizioni russe, in seguito all’atteggiamento di rifiuto nei confronti delle aperture che Mosca aveva avanzato nei mesi precedenti: il Ministro degli esteri Lavrov si è infatti detto disposto a valutare l’ipotesi di sanzioni, pur continuando ad escludere con nettezza ogni possibilità di intervento militare contro l’Iran.
In occasione della Cinquantesima Sessione dell’Assemblea generale dell’AIEA (18 settembre 2006), il Direttore generale El Baradei ha ribadito che, in violazione della risoluzione 1696, l’Iran non ha sospeso le attività di arricchimento dell’uranio, ed ha affermato l’impossibilità per l’Agenzia di dare risposte alla questione a causa dell’assenza di trasparenza da parte dell’Iran.
Gli sviluppi sulla questione dell’Iran e la
posizione dell’UE sono stati ulteriormente chiariti dall’Alto Rappresentante
per
Nonostante i tentativi di dialogo tra USA da un lato ed Iran e Siria dall’altro, effettuati, in via informale, anche dall’ex segretario di Stato americano Baker, nonché segnali di disponibilità arrivati nel mese di dicembre 2006 dal nuovo capo del Pentagono Gates - che si era detto pronto, ancorché scettico sui risultati, ad avviare un dialogo con Iran e Siria - il 23 dicembre il Consiglio di Sicurezza dell’ONU, al termine di due mesi di trattative, ha approvato la risoluzione 1737, cheimpone sanzioni all’Iran per non aver interrotto il processo di arricchimento dell’uranio.
La risoluzione, proposta da Gran Bretagna, Francia e Germania e approvata il all'unanimità dal Consiglio di sicurezza, richiama il capitolo 7, articolo 41, della Carta delle Nazioni Unite, che prevede l'applicazione obbligatoria delle misure, pur escludendo azioni di tipo militare.
In particolare, la risoluzione vieta di esportare in Iran materiali o tecnologie che contribuiscano alle attività relative all'arricchimento e al riprocessamento (dell'uranio) e alle attività legate all'acqua pesante, nonché allo sviluppo di sistemi di trasporto di testate nucleari, quali i missili balistici. Singoli Paesi possono peraltro decidere in autonomia se esportare materiali o tecnologie suscettibili di doppio uso (civile o nucleare), ma in tal caso hanno l’obbligo di verificarne finalità e destinazione e devono comunque informare il comitato per le sanzioni del Consiglio di sicurezza. Le sanzioni non si applicano invece a materiali per la costruzione di impianti nucleari ad acqua leggera o ad uranio a basso arricchimento quando questi sia una delle parti di un combustibile nucleare composito[4].
La risoluzione dispone poi il congelamento di finanziamenti o fondi di proprietà o controllati da persone, società o organizzazioni legate ai programmi nucleare o missilistico iraniani; tale congelamento si applica, tra l’altro, all'Organizzazione per l'energia atomica iraniana, a tutti gli impianti legati al programma iraniano di arricchimento dell'uranio, al reattore ad acqua pesante di Arak e all'impianto di centrifughe di Natanz. Viene inoltre fatto obbligo agli Stati di segnalare l’ingresso sul proprio territorio di persone legate al programma nucleare iraniano indicate nell’Annesso alla risoluzione stessa.
Le sanzioni possono essere sospese se il direttore generale dell'Aiea ritenga che l'Iran abbia interrotto l'arricchimento dell'uranio e la costruzione delle centrali ad acqua pesante e torni al tavolo dei negoziati, ma possono invece essere ulteriormente aggravate se l'Iran non si conforma ai dettami della risoluzione entro 60 giorni dall’adozione della medesima.
All'indomani dell'adozione della risoluzione, le reazioni del Governo di Teheran sono state durissime.
Il presidente Ahmadinejad ha dichiarato che i Paesi che l'hanno votata ''si pentiranno'' di questo ''atto superficiale'', definendo il documento ''un pezzo di carta straccia' che non potrà fermare il programma nucleare di Teheran ed accusando il Consiglio di Sicurezza di essere ''senza dignità' per il fatto di essere controllato ''dagli Usa, dalla Gran Bretagna e dal regime sionista''.
Il 27 gennaio 2007, il Presidente della Commissione esteri e difesa del Parlamento iraniano, ha annunciato l’inizio dell’installazione di 3.000 centrifughe[5] per l’arricchimento dell’uranio nel sito di Natanz, nell'Iran centrale, notizia tuttavia subito smentita dal responsabile delle pubbliche relazioni dell'Organizzazione iraniana per l'energia atomica.
Contestualmente all'annuncio e alla successiva smentita circa l’installazione delle suddette centrifughe si è registrata la dichiarazione del direttore generale dell'Aiea, Mohammed ElBaradei, secondo la quale nel confronto fra Iran e comunità internazionale, sarebbe opportuna una ''pausa'' che preveda la sospensione da parte dell'Iran delle sue attività di arricchimento dell'uranio a fronte della sospensione delle sanzioni Onu nei confronti della Repubblica islamica.
Tale posizione è stata subito condivisa dalla Russia, che attraverso il capo del Consiglio di Sicurezza, Igor Ivanov, ha ribadito l’esigenza di una soluzione politica e diplomatica del contenzioso in atto.
Il 29 gennaio il governo di Washington ha invece respinto nettamente la proposta del direttore dell'Agenzia El Baradei, ribadendo una posizione già espressa in passato, ossia che l'unica strada per sbloccare il negoziato è la rinuncia incondizionata di Teheran alle sue attività di arricchimento dell'uranio. Nella medesima giornata il Presidente G. W. Bush ha inoltre lanciato severo monito a Teheran, annunciando che gli Stati Uniti reagiranno con fermezza se l'Iran dovesse accrescere il suo presunto coinvolgimento negli attacchi alle forze armate americane in Iraq attraverso il sostegno alle milizie sciite.
Successivamente, il Consiglio Affari generali e Relazioni esterne dell’Unione europea,
riunitosi a Bruxelles il 12 febbraio
Pur non sposando la posizione degli Stati Uniti -
che in precedenza avevano fatto pressioni per una estensione di fatto delle
sanzioni oltre l’ambito circoscritto dalla risoluzione 1737 -
In concomitanza con la riunione del Consiglio Ue, sono intervenute le dichiarazioni del portavoce del
ministero degli Esteri iraniano, secondo le quali l'Iran è pronto a discutere anche di una eventuale sospensione
dell'arricchimento dell'uranio, ma solo
dopo la ripresa dei negoziati con
All’indomani della scadenza del termine di 60 giorni imposto all’Iran dalla risoluzione 1737 del 23 dicembre scorso, il direttore generale dell'Aiea Mohammed ElBaradei ha inviato al Consiglio di sicurezza dell'Onu il suo ultimo rapporto nel quale si certifica che Teharan ha ignorato l'intimazione delle Nazioni Unite a sospendere ogni attività nucleare.
In particolare, in base al rapporto, l'Iran non solo non avrebbe sospeso il processo di arricchimento dell'uranio ma, in aperta sfida alla Comunità internazionale, lo avrebbe persino intensificato. Oltre a non ottemperare a nessuna delle misure richieste di trasparenza, Teheran avrebbe proseguito l'attività di arricchimento nell'impianto pilota di Natanz con l'installazione di quattro cascate di 164 centrifughe (le macchine per produzione di combustibile nucleare) e pianificato l'allaccio progressivo entro maggio 2007 di tutte le 3.000 centrifughe previste per arrivare alla produzione di uranio arricchito su scala industriale.
A fronte di tali conclusioni, la reazione di Teheran è stata quella di alzare i toni dello scontro,
ribadendo con fermezza la propria volontà di proseguire con il programma
nucleare. Il vice presidente dell'Organizzazione iraniana per l'energia
atomica, Mohammad Saidi, ha
infatti affermato che l'Iran non può
accettare la sospensione dell'arricchimento dell'uranio, poiché ciò
contrasta con i suoi diritti e con il Trattato di non proliferazione nucleare,
confermando che l’intenzione di mettere
in funzione entro il mese di maggio le 3 mila centrifughe. Posizioni ancora
più intransigenti sono state espresse dal Presidente iraniano Ahmadinejad, secondo il quale “l'Iran ha ottenuto la
tecnologia nucleare, e procederà come un treno che non ha né freni nè retromarcia''; darà inoltre
''risposte appropriate ad ogni potenza globale che intraprenda delle azioni
contro il Paese''. Il vice ministro degli Esteri Manuchehr Mohammadi ha inoltre
avvertito che
Intanto, a partire dal marzo 2007, si registrava anche un certo peggioramento dei rapporti fra Iran e Russia e un crescente isolamento di Teheran che ha portato all’approvazione all’unanimità da parte del Consiglio di Sicurezza di una nuova Risoluzione (la n. 1747), recante una nuova raffica di sanzioni (24 marzo 2007). Gli esperti hanno, comunque, giudicato sostanzialmente blande queste sanzioni (oltre che difficili da applicasrsi)[6].
Come risposta a questa nuova censura internazionale il Presidente iraniano, ha minacciosamente annunciato ad aprile che l’Iran è ormai in grado di produrre uranio arricchito “su scala industriale”, senza peraltro fornire dati sulle centrifughe attivate.
Ma, proseguendo nell’uso sapiente della tattica dello “stop and go”, poche settimane dopo (13 luglio 2007) l’Iran ha dato il via libera alla ispezione AIEA del reattore di Arak, suscitando una incoraggiante risposta del Segretario Generale delle NU. A settembre, invece, dichiarazioni di tutt’altro tenore con la proclamazione del raggiungimento della soglia di 3000 centrifughe attive e con la minaccia di troncare ogni forma di collaborazione con l’AIEA.
In occasione dell'apertura della sessione annuale dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, il presidente iraniano Ahmadinejad il 25 settembre 2007 ha tagliato corto, definendo la questione del dossier nucleare un caso chiuso per il suo paese, suscettibile solo di sviluppi di routine nei colloqui con l'Agenzia internazionale per l'energia atomica. Nella stessa sede tuttavia, oltre a pesanti accuse nell'intervento del presidente americano Bush, l'Iran ha dovuto subire anche le attenzioni non benevole del presidente francese Sarkozy, per il quale in nessun caso è possibile che la Comunità internazionale consenta a Teheran di dotarsi dell'arma nucleare, perché questo sarebbe un rischio inaccettabile per la regione e per il mondo intero.
In attesa della scadenza di novembre, concordata in seno al Gruppo 5+1 prima di proporre sanzioni rafforzate dell'ONU contro Teheran, e motivata con la necessità di prendere in considerazione due rapporti imminenti del direttore dell'Agenzia internazionale per l'energia atomica e dell'Alto commissario per la PESC, Solana; il Ministro degli esteri francese Bernard Kouchner ha chiesto ai colleghi europei di valutare la possibilità di sanzioni dell'Unione europea contro l'Iran, allo scopo di aumentare la pressione parallelamente al proseguimento dei negoziati di Teheran con l’ONU. La proposta è stata accolta con favore dal Regno unito, mentre Italia e Germania hanno preferito continuare ad attenersi allo schema del Gruppo 5+1, e anche la Spagna ha criticato l'iniziativa francese.
Il 16-17 ottobre il presidente russo Putin si è recato a Teheran: nel corso dei colloqui con le massime autorità iraniane è stata ribadita la contrarietà russa a un intervento armato contro l'Iran. Nel corso di un vertice cui hanno partecipato Russia, Iran, Kazakhstan, Turkmenistan e Azerbaigian, Putin ha esplicitamente chiesto l'impegno dei paesi che si affacciano sul Caspio a non mettere a disposizione il proprio territorio in caso di attacco a un altro stato, e al termine dei lavori i presidenti dei paesi partecipanti hanno firmato un documento di accoglimento dell'invito russo, e di riconoscimento del diritto legittimo all'uso pacifico dell'energia nucleare, senza discriminazioni, nell'ambito del Trattato di non proliferazione. Putin si è anche fatto latore di un messaggio speciale alla guida suprema iraniana, l'ayatollah Alì Khamenei, contenente una proposta di risoluzione del contenzioso sul programma nucleare iraniano. Va peraltro sottolineato che è rimasta in sospeso nei colloqui bilaterali la questione del completamento dei lavori in quella che dovrebbe essere la prima centrale nucleare dell'Iran, nel sito di Bushehr.
Il 20 ottobre il capo negoziatore iraniano sulla questione del nucleare, Ali Larijani, si è dimesso: non appare ancora possibile, tuttavia, trarne delle conclusioni sulle prospettive dei negoziati, che per Teheran non muterebbero affatto. Il 23 ottobre Larijani e il suo successore, Jalili, si sono incontrati a Roma con l’Alto commissario per la PESC, Solana, presente in qualità di rappresentante del Gruppo 5+1. Il giorno precedente il Ministro degli esteri D’Alema aveva escluso con forza la possibilità di un conflitto con l’Iran, a favore del proseguimento di negoziati in cui, parallelamente, alla pressione sull’Iran deve affiancarsi il riconoscimento di principio del diritto di Teheran al nucleare civile.
Per quanto concerne la situazione politica del Paese, si rileva come all’interno della leadership iraniana siano affiorate in modo sempre più marcato alcune divisioni tra il partito facente capo al Presidente, più incline all’intransigenza, e quello rappresentato dall’establishment clericale conservatore, facente capo alla guida suprema Ali Khamenei. Lo stesso partito del Presidente è in rotta anche con l’ala guidata da Rafsanjani, da cui è distante sia sui temi del confronto con l’Occidente, sia su quelli della politica economica. Si ricorda, in proposito che la forza politica di Rafsanjani appare invece in ascesa, dopo la recente vittoria (4 settembre 2007) nella elezione del Capo dell’Assemblea degli Esperti.
Ancora più radicato è il malcontento nei confronti del Presidente Ahmadinejad[7] degli ambienti riformisti che contestano apertamente la politica del muro contro muro adottata per gestire la crisi e il conseguente rischio di isolamento internazionale dell’Iran.
In questo quadro, alcuni osservatori hanno sottolineato come le rivendicazioni nucleari di Teheran, assieme alle ripetute esternazioni di Ahmadinejad contro l’esistenza dello Stato di Israele siano temi che servono almeno in parte a coprire le divisioni interne al Paese e alla sua leadership politica e la perdita di consenso di Ahmadinejad.
Occorre d’altra parte considerare come all’interno
della classe dirigente e politica iraniana, sebbene sussistano diverse
valutazioni in ordine al rapporto da tenere con il mondo occidentale, la
divisione tra intransigenti e pragmatici sia sfumata (nella sostanza non
esistono blocchi omogenei e chiaramente contrapposti), e l’ambizione a
trasformare
La questione nucleare assume poi i contorni di una questione di orgoglio nazionale su cui anche l’ala dei riformatori non sembra disposta a retrocedere o a subire una umiliazione.
Non è facile pervenire ad una valutazione oggettiva e condivisa delle sanzioni che stanno colpendo l’Iran[8]. Un primo motivo risiede nella non attendibilità di molte statistiche ufficiali fornite dalle autorità di Teheran. Un secondo motivo risiede nelle specificità dell’economia iraniana.
Certamente alcuni dati relativi ai trends economici (in primis, l’occupazione e l’inflazione) non sono positivi e queste difficoltà contribuiscono anche a spiegare il crescente malcontento verso la classe dirigente al potere registrato dagli osservatori. Invece, appare controversa l’interpretazione in merito a quanto queste tendenze dipendano (o siano influenzate) dalle sanzioni e quanto invece derivino dalla caratteristiche strutturali dell’economia iraniana.
Secondo il Fondo Monetario Internazionale l’Iran è un’economia “dominata dallo stato”. Agricoltura e commercio interno sono in gran parte in mani private, ma la più grande risorsa economica del paese – le fonti energetiche, a cui si deve l’80% dei ricavi da esportazioni - è sotto il controllo dello stato. Una organizzazione statale controlla anche i prezzi di molti beni di consumo (cereali, zucchero, latte, carta, fertilizzanti, prodotti farmaceutici, macchine agricole, ecc.).
Alle sanzioni economiche fin qui approvate dalle NU – limitate al commercio di beni legati alla realizzazione del programma nuclare e a poche altre forniture militari – non non possono essere attribuiti impatti diretti significativi sulla situazione economica complessiva del paese.
Altra cosa è l’impatto di tipo indiretto, cioè sulla propensione all’investimento da parte di potenziali investitori esteri (a partire dal settore energetico). Qui gli effetti (già in corso) potrebbero invece essere molto dolorosi, soprattutto se considerati in combinazione con gli effetti delle sanzioni di carattere finanziario adottate dagli Stati Uniti (limiti all’attività delle banche Sepah e Saderat, limiti alle transazioni finanziarie fatte negli Stati Uniti da cittadini iraniani attraverso i circuiti finanziari iraniani, ecc.).
Queste sanzioni stanno pertanto incidendo sul livello degli investimenti esteri, e quindi sui livelli di vita della popolazione. Tuttavia, un’economia come quella iraniana (in gran parte dipendente dal bilancio statale) ed una società come quella iraniana (che convive da anni con uno stato di turbolenza rivoluzionaria permanente) potrebbero non essere piegate facilmente dalle sanzioni oggi in atto. Innalzamento dei prezzi del petrolio – come quelli in corso da anni – probabilmente hanno più che compensato molti degli effetti delle sanzioni.
Al contrario, un abbassamento del prezzo del petrolio, o sanzioni direttamente indirizzate all’import/export nel settore del petrolio e dei suoi derivati avrebbero conseguenze devastanti sul paese. Ma è difficile che sanzioni di questo tipo non abbiano invece effetti negativi proprio sul livello dei prezzi del petrolio, con effetti molto negativi sui paesi importatori.
[1] Il TNP, sottoscritto il 1 luglio 1968 ed entrato in vigore il 5 marzo 1970, proibisce agli stati firmatari che non disponessero di armamenti nucleari (stati non-nucleari), di ricevere o fabbricare tali armamenti o di procurarsi tecnologie e materiale utilizzabile per la costruzione di armamenti nucleari. Ugualmente il trattato proibisce agli stati nucleari firmatari di cedere a stati non-nucleari, armi nucleari e tecnologie o materiali utili alla costruzione di queste armi. Inoltre il trasferimento di materiale e tecnologie nucleari, da utilizzarsi per scopi pacifici, deve, secondo il trattato, avvenire sotto lo stretto controllo dall’Agenzia Internazionale per l'Energia Atomica.
[2] L'Agenzia
Internazionale dell'Energia Atomica è un'agenzia autonoma fondata il 29
luglio 1957, con lo scopo di promuovere l'utilizzo pacifico dell'energia
nucleare e di impedirne l'utilizzo per scopi militari. La sede dell'IAEA si
trova a Vienna, in Austria, presso il Vienna
International Centre;
uffici di collegamento sono presenti a Toronto, Ginevra, New York e Tokyo. Il
laboratorio centrale si trova a circa
[3] Gli incentivi consistevano in: riconoscimento formale del diritto dell’Iran alla tecnologia nucleare civile; assistenza alla costruzione di un reattore nucleare ad acqua leggera tecnologicamente avanzato ma meno rischioso da un punto di vista di proliferazione nucleare; garanzie sulla fornitura di combustibile nucleare per il reattore; sostegno all’adesione dell’Iran all’Organizzazione mondiale del commercio; l’accesso ai mercati Usa di attrezzature agricole e di materiali di ricambio per la flotta della compagnia aerea di bandiera iraniana; assicurazioni sul carattere temporaneo della moratoria sull’arricchimento dell’uranio, che avrebbe potuto riprendere una volta certificata la natura pacifica del programma nucleare; impegno da parte europea di riprendere le trattative per un accordo di cooperazione e commercio con l’Ue. Il pacchetto conteneva peraltro anche la minaccia di sanzioni all’Iran in caso di inadempimento , quali: il blocco delle esportazioni in Iran di materiali legati ad attività nucleari; il congelamento dei titoli finanziari e il diniego di visto a importanti esponenti politici e di governo; la sospensione della cooperazione tecnica con l’Aiea; il blocco degli investimenti esteri in settori legati all’energia nucleare e il diniego di soggiorno agli studenti iraniani di tecnologie nucleari. Erano inoltre previste altre misure quali l’embargo sulle armi e il congelamento dei titoli delle istituzioni finanziarie iraniane.
[4] Si fa presente che questo punto consente di fatto alla Russia di portare a compimento la costruzione in Iran dell’impianto nucleare civile ad acqua leggera di Bushehr.
[5] Le centrifughe sono una tecnologia atta ad arricchire l'uranio che utilizzato a bassa intensità serve come combustibile nucleare per produrre energia elettrica, mentre ad alta concentrazione può essere impiegato per fabbricare armi atomiche.
[6] Le più significative consistono nel limite alle esportazioni di armi iraniane e nel limite agli aiuti internazionali (esclusi quelli umanitari).
[7] Vedi i risultati negativi ottenuti dai sostenitori del Presidente alla elezione dell’Assemblea degli esperti (l’Organismo che nomina, consiglia e può anche rimuovere la guida suprema del paese: al momento l’ayatollah Khamenei) tenute nel dicembre 2006.
[8] Tale difficoltà è testimoniata anche dalle dichiarazioni talvolta opposte della questione provenienti da autorevoli rappresentanti dei governi occidentali.