Camera dei deputati - XV Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento affari esteri
Titolo: Missione di studio nel Caucaso meridionale (Georgia, Armenia, Azerbaigian) 16-20 settembre 2007
Serie: Documentazione e ricerche    Numero: 98
Data: 14/09/2007
Organi della Camera: III-Affari esteri e comunitari


Camera dei deputati

XV LEGISLATURA

 

 

 

 

 

SERVIZIO STUDI

Documentazione e ricerche

 

 

 

 

Missione di studio
nel Caucaso meridionale
(Georgia, Armenia, Azerbaigian)

16-20 settembre 2007

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

n. 98

 

14 settembre 2007


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Dipartimento affari esteri

 

SIWEB

 

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File:es0153.doc


INDICE

Schede di lettura (a cura del Servizio Studi)

Georgia  3

Politica interna  3

Relazioni internazionali5

Armenia  9

Politica interna  9

Relazioni internazionali11

Azerbaigian  13

Politica interna  13

Relazioni internazionali14

I conflitti congelati17

Il conflitto in Ossezia meridionale  17

Il conflitto in Abkhazia  20

Previsioni relative a Ossezia meridionale e Abkhazia  23

Il conflitto in Adjara  24

Il conflitto in Nagorno-Karabakh  26

La politica europea di vicinato (a cura dell’Ufficio Rapporti con l’Unione europea)

Nella stessa occasione la Commissione ha presentato:37

Relazioni parlamentari (a cura del Servizio Rapporti Internazionali)

Rapporti parlamentari Italia Georgia  43

Rapporti parlamentari Italia Armenia  49

Rapporti parlamentari Italia Azerbaigian  51

Armenia – La questione del genocidio (a cura del Mae)53

Il conflitto congelato per il Nagorno Karabakh (a cura del Mae)55

Georgia – Country Report – giugno 2007  61

Armenia

Scheda sull’Armenia, a cura del Ministero degli Affari esteri65

Armenia – Country Report – maggio 2007  65

Azerbaigian

Scheda sull’Azerbaijian, a cura del Ministero degli Affari esteri69

Azerbaijian – Country Report – maggio 2007  69

Azerbaijian – Country Report – aggiornamento luglio 2007  69

Documentazione

Caucaso  77

D. Sagramoso, Violence and conflict in the Russian North Caucasus  77

D. Gorenburg, Russia Confronts Radical Islam, in: Current History, 10/2006  77

S. Tosi, Programma Caucaso e Asia centrale: Fonti energetiche e infrastrutture di trasporto, in:ISPI Working Papers 10/2006  77

A Ferrari, Programma Caucaso e Asia centrale: Georgia, Armenia, Azerbaigian: una chance europea?, in: ISPI Working Papers 10/2006  77

K. Kaya, Impatto su Caucaso e Asia centrale dell’adesione turca all’Ue, in Acque & Terre 3/2006  77

S. Ghazaryan, Le relazioni Ue – Caucaso Meridionale nel sistema dell’asse Mar Mediterraneo – Mar Nero – Mar Caspio, in Acque & Terre 3/2006  77

ISPI, Le economie caucasiche: verso una crescita sostenibile?, in: Policy Brief luglio 2006  77

R. Nocella, Russia e Stati Uniti da Everan a Tbilisi, in: Limes 1/2006  77

Georgia  77

D. J. Smith, Non solo petrolio: La Georgia nella Nato conviene anche a Mosca, in: Limes 4/2007  77

P. Migliavacca, La Russia, l’energia, la Georgia e l’Europa, in: Affari esteri 1/2007  77

T. Gordadzé, Grandes manœuvres en Géorges, in: Poliltique Internationale inverno 2006/2007  77

M. De Bonis, Bush non sfonda in Georgia, in: Limes, 6/2006  77

D. Lynch, Why Georgia matters (stralci), in: Chaillot Paper 2/2006  77

D. Lynch, Sharpening EU Policy towards Georgia, in: Alalysis 18 gennaio 2006  77

Armenia  77

R. Nocella, L’Armenia e la diaspora, in: Affari esteri 4/2007  77

R. Nocella, La sottile linea rossa in Armenia, in: Limes, 5/2006  77

V. Sahakyan, A. Atanesyan, Democratization in Armenia: Some Trends of Political Culture and Behavior, in: Demokratizatsiya 3/2006  77

N. Sargsyan, N. Landi, Oltre i confine della nuova Unione Europea: investimenti e concorrenza nella Repubblica di Armenia, in: Diritto del commercio internazionale gen/mar 2006  77

Azerbaijan  77

E. Souleimanov, O. Ditrych, Iran and Azerbaijan: a Contested Neighborhood, Middle East Policy 2/2007  77

C. Tosi, Azeri sull’orlo di una crisi di nervi, in: Limes 6/2006  77

Documentazione Assemblea     Parlamentare NATO


Schede di lettura
(a cura del Servizio Studi)

 


Georgia

Politica interna

La Georgia ha fatto parte dell’Unione sovietica fino alla sua dissoluzione nel 1991. Il Presidente Eduard Shevardnadze, in carica dal 1995, fu costretto a dimettersi nel 2003 in seguito alle proteste scatenate dal tentativo da parte del governo allora in carica di manipolare le elezioni legislative del novembre 2003. Le elezioni anticipate che si tennero all’inizio del 2004 hanno portato al potere Mikheil Saakashvili del Movimento Nazionale (v. infra, box sulla “Rivoluzione delle Rose”).

Il cammino verso la riforma del mercato e la democratizzazione intrapreso a partire dalla sua indipendenza ha subito battute d’arresto a causa dei due conflitti civili nelle regioni secessioniste dell’ Abkhazia e dell’Ossezia meridionale[1] che tuttora permangono al di fuori del controllo del governo centrale e sono amministrati di fatto da governi non riconosciuti ma sostenuti dalla Russia che conduce operazioni di peacekeeping in entrambe le regioni.

 

Il Capo dello Stato viene eletto dal popolo per un periodo di cinque anni, ed è rieleggibile per una seconda volta. Le ultime elezioni, come già ricordato, si sono svolte il 4 gennaio 2004: in tale occasione Mikheil Saakashvili ha ottenuto ben il 96,3% dei consensi. Secondo la Costituzione georgiana, il Capo dello Stato è anche il Capo del Governo per quanto riguarda i principali Ministeri: sicurezza di stato (che comprende gli affari interni) e difesa.

Il Primo Ministro è a capo dei rimanenti ministeri. L’attuale Primo ministro è, dal 17 febbraio 2005,  Zurab Noghaideli.

 

Qui di seguito compare l’elenco delle principali cariche e dei ministri della Repubblica di Georgia:

 

President

Mikheil SAAKASHVILI

Speaker, Parliament

Nino BURJANADZE

Prime Minister

Zurab NOGHAIDELI

Min. of Agriculture

Petre TSISKARISHVILI

Min. of Culture

Giorgi GABASHVILI

Min. of Defense

Davit KEZERASHVILI

Min. of Economics & Infrastructure

Giorgi ARVELADZE

Min. of Education & Science

Kakha LOMAIA

Min. of Energy

Nikoloz GILAURI

Min. of Environment

David TKESHELASHVILI

Min. of Finance

Aleko ALEXISHVILI

Min. of Foreign Affairs

Gela BEZHUASHVILI

Min. of Health & Social Welfare

Lado CHIPASHVILI

Min. of Internal Affairs

Vano MERABISHVILI

Min. of Justice

Gia KAVTARADZE

Min. of Refugees

Giorgi KHEVIASHVILI

State Min. for Conflict Resolution

Davit BAKRADZE

State Min. for Euro-Atlantic Integration

Giorgi BARAMIDZE

State Min. for National Reconciliation

Zinaida BESTAYEVA

State Min. for Small & Medium-Size Businesses

Kakha BENDUKIDZE

 

 

 

Il Parlamento georgiano (Umaghiesi Sabcho) è composto da 235 membri il cui mandato dura cinque anni: 150 sono eletti con il sistema della rappresentanza proporzionale, 75 in collegi uninominali e 10 in rappresentanza dei rifugiati dell’Abkhazia.

Nelle ultime elezioni legislative - che si sono svolte il 28 marzo 2004 per il rinnovo dei soli 150 seggi del proporzionale –il partito di Saakashvili, il Movimento Nazionale – Fronte Democratico (NMD) ha riportato il 67% dei voti, mentre la coalizione dell’Opposizione di Destra ha ottenuto il 7,6%. Nessun altro partito ha raggiunto il 7% che costituisce la soglia di sbarramento.

Nel Parlamento siedono quindi ora:

§         135 membri dell’ NMD

§         15 membri dell’Opposizione di Destra

§         10 membri in rappresentanza dei rifugiati dell’Abkhazia

§         75 membri eletti nel novembre 2003 nei collegi uninominali. (Di questi non si conosce l’esatta appartenenza ai partiti, ma sembra che all’incirca 23 siano membri o sostenitori dell’NMD, 15 appartengano all’Opposizione e il resto siano indipendenti).

 

Le elezioni sono state considerate dagli osservatori internazionali come le più libere mai svolte in Georgia anche se l’OSCE ha fatto rilevare la tendenza ad un abuso delle risorse statali da parte del partito di governo. Durante le elezioni si sono registrate tensioni tra il governo centrale e Aslan Abashidze, (all’epoca leader  della regione autonoma dell’Adjara).

 

 

 

 

La Rivoluzione delle rose

 

La fine dell’era Shevardnadze (presidente dal 1995) è stata segnata dalle elezioni politiche del 2 novembre 2003, contestate dai leader dell’opposizione (Saakashvili, Burdzhanadze e Zhvania). Le imponenti manifestazioni a Tblisi, hanno portato, il 22 novembre 2003, alla cosiddetta “Rivoluzione delle rose”: i dimostranti hanno impedito la prima seduta del nuovo Parlamento e hanno costretto il Presidente Shevardnadze a lasciare la Camera, consentendo al giovane  Saakashvili, con una rosa nel pugno, di prendere possesso della Presidenza. Le nuove elezioni presidenziali (gennaio 2004) hanno segnato la schiacciante vittoria di Saakashvili (con il 96% dei voti) dando luogo ad una fase politica convulsa, con rimozioni ed arresti “eccellenti”, tesi a rinnovare i vertici dell’Amministrazione ed a rimuoverne le sacche d’inefficienza e di corruzione.

Il nuovo Governo si è immediatamente impegnato nel promuovere una serie di riforme, il cui corollario è stato la moralizzazione della vita pubblica, principalmente attraverso la lotta alla corruzione. Tuttavia, se, da un lato, la nuova Amministrazione ha prospettato la via riformista e moralizzatrice delle istituzioni e dell'economia, avviando un significativo processo di avvicinamento all’Occidente, alla Nato e alla Ue - il nostro Paese in particolare incoraggia e sostiene la cooperazione della Georgia con la NATO nell'ambito del dialogo intensivo e con l'Unione Europea nel contesto della Politica Europea di Vicinato - dall’altro si è caratterizzata da un irrigidimento illiberale in politica interna –attuando un ferreo controllo sulla stampa e forme di repressione degli oppositori – nonché da un atteggiamento costantemente polemico verso la Russia e dalla volontà di frenare le ambizioni indipendentiste di alcune sue regioni interne.

A tale ultimo riguardo, occorre rilevare come nella politica interna georgiana abbiano sempre avuto grande rilevanza i cosiddetti “conflitti congelati” dell’Adjara (ora risolto), dell’Ossezia del Sud e dell’Abkhazia (tuttora pendenti), conseguenza dei primi anni successivi all’indipendenza, quando alla revoca degli statuti di autonomia da parte di Tblisi, tali regioni risposero con le armi ed ebbero la meglio sulle forze georgiane.

 

Relazioni internazionali

La Georgia intrattiene buone relazioni con Armenia, Azerbaigian e Turchia,  Paesi con i quali confina a sud e vanta ottime relazioni politiche economiche e militari con l’Ucraina. Fa inoltre parte di Organizzazioni regionali come il Consiglio economico del Mar Nero e il GUAM [2].

La Georgia sta inoltre percorrendo le tappe necessarie a divenire membro effettivo della NATO della quale, si suppone, entrerà a far parte nel 2009 ed è membro (dal febbraio 2007) della Banca Asiatica di Sviluppo.

Quanto all’Unione europea, nel novembre 2006 è stato siglato un Piano d’Azione all’interno della politica europea di vicinato che, nell’intenzione delle due Parti, costituirà l’occasione di migliorare i reciproci rapporti e di promuovere la stabilità, la prosperità e la sicurezza con l’obiettivo di una pacifica soluzione dei conflitti interni alla Georgia e della possibilità di arrivare in un futuro non troppo lontano alla conclusione di un accordo di libero scambio.

La Georgia è considerata la più favorita tra le nazioni caucasiche riguardo un possibile ingresso nell’Unione europea, e questo soprattutto dopo la rivoluzione delle rose. La Georgia non ha ancora formalmente presentato la propria cadidatura ma il Presidente Saakashvili ha dichiarato che il Paese potrebbe essere pronto nel giro di due anni. I conflitti territoriali tuttora irrisolti e una corruzione piuttosto diffusa costituiscono tuttavia i principali ostacoli di tale disegno.

 

I rapporti internazionali più critici sono quelli con la confinante Russia, con cui le tensioni erano cominciate già prima del dissolvimento dell’URSS. La crisi ha raggiunto il suo massimo durante il conflitto secessionista in Abkhazia nel 1992-93 quando il ruolo della Russia – fermamente decisa ad assicurare che Abkhazia e Ossezia ricadano sotto la propria sfera di influenza - nella separazione de facto di tale regione fu decisivo. Dopo la sconfitta militare in  Abkhazia, il leader georgiano Shevardnadze dovette cedere alle pressioni di Mosca ed aderire alla CIS (Confederazione di Stati Indipendenti) in cambio dell’appoggio russo contro le forze fedeli al precedente presidente Zviad Gamsakhurdia deposto da un colpo di stato nel 1992. Da quel momento la Russia ha mantenuto una presenza militare in Georgia.

Altro elemento di tensione è costituito dal fatto che la Russia accusa la Georgia di aver aiutato i separatisti ceceni nel 2002 - se non altro permettendo il passaggio sul proprio territorio di rifornimenti destinati ai ribelli e dando rifugio ad alcuni di essi – così come il tentativo della Georgia di impedire l’accesso della Russia al WTO.

L’influenza crescente di Stati Uniti ed Unione Europea in Georgia, in particolare attraverso il programma di assistenza militare e la costruzione dell’oleodotto Baku-Tbilisi-Ceyhan hanno preoccupato la Russia e ulteriormente compromesso i rapporti con la Georgia. Gli analisti ritengono tuttavia possibile che, proprio grazie all’influenza americana ed europea la Georgia possa ammorbidire la propria posizione riguardo l’ingresso della Russia nel WTO, in cambio di un alleggerimento del blocco economico posto in essere dal 2006. Un segni di distensione nei rapporti è dato dal ritorno dell’ambasciatore russo a Tbilisi (gennaio 2007).

Nei mesi più recenti i rapporti con la Russia sono ancora peggiorati (arresto per spionaggio, a settembre del 2006, di quattro ufficiali russi; interruzione dei servizi postali aerei, terrestri e marittimi; rimpatrio forzato degli immigrati georgiani non in regola con i documenti; minacce russe di aumento del prezzo del metano fornito dalla Gazprom; referendum ed elezioni presidenziali del novembre 2006).

L’ultimo incidente risale ai primi di agosto del 2007, quando la Georgia ha accusato la Russia di avere lanciato un missile contro il proprio territorio, finito senza esplodere a una sessantina di chilometri da Tbilisi. La Russia ha negato di avere mai compiuto l’azione ostile. Inoltre, la Russia ha presentato all’OSCE un rapporto nel quale ha respinto le accuse della Georgia, contestando tra l'altro agli esperti internazionali che hanno indagato sull'episodio di essere “politicamente non neutrali''.

 

 


Armenia

Politica interna

L’Armenia, la più piccola delle Repubbliche caucasiche, è divenuta indipendente a seguito del referendum del 21 settembre 1991 che ne ha decretato la separazione dall’ex Unione Sovietica. La Costituzione ora in vigore risale al 1995 ed è stata modificata nel 2005.

Le ultime elezioni politiche si sono svolte nel maggio 2007 ed il Parlamento (unicamerale) formato da 131 membri, risulta ora così composto:

 

§         Partito Repubblicano Armeno – HHK:  69 seggi (32.8%),

§         Prosperous Armenia: 24 seggi (14.7%),

§         Federazione Armena Rivoluzionaria - ARF (Dashnak): 16 seggi (12.7%),

§         Partito della Legalità: 9 seggi (6.8%),

§         Heritage Party: 7 seggi (5.8%),

§         Altri (Dashink: 1 seggio, Independenti: 5 seggi) (27.2%);

 

Il principale partito del governo uscente, il Partito Repubblicano Armeno, ha ottenuto più della metà dei seggi e per questa ragione il Presidente Kocharian ha confermato in carica il primo ministro Serzh Sargsyan, membro di HHK, che dal 4 aprile 2007 era succeduto all’ex primo ministro Margarian, morto nel marzo 2007, all’inizio della campagna elettorale.

Anche gli altri partiti filogovernativi hanno ottenuto buoni risultati: circa il 35 per cento dei voti è andato a formazioni minori alleate del Partito Repubblicano.  ARF (Federazione Armena Rivoluzionaria) in particolare, ha visto crescere i suoi consensi rispetto alle elezioni del 2003. Solo due schieramenti dell'opposizione, il Partito della legalità e Heritage (Eredità), sono riusciti a superare lo sbarramento del 5 per cento e ad avere accesso al parlamento.

Gli osservatori internazionali hanno giudicato regolare lo svolgimento delle elezioni.

Il Gabinetto dell’Armenia risulta composto dai seguenti ministri:

 

Capo dello Stato

Robert KOCHARIAN

Primo Ministro

Serzh SARGSYAN

Ministro Capo del Gabinetto

Manuk TOPUZYAN

Ministro dell’Agricoltura

Davit LOKYAN

Ministro della Cultura

Hasmik POGHOSIAN

Ministro della Difesa

Mikayel HARUTYUNYAN

Ministro dell’Istruzione e della Scienza

Levon MKRTCHYAN

Ministro dell’Energia

Armen MOVSISYAN

Ministro della Protezione Ambientale

Aram HARUTYUNIAN

Ministro delle Finanze e dell’Economia

Vardan KHACHATRYAN

Ministro degli Affari esteri

Vartan OSKANIAN

Ministro della Salute

Harutyun KUSHKIAN

Ministro della Giustizia

Gevorg DANIELYAN

Ministro del Lavoro e degli Affari Sociali

Aghvan VARDANYAN

Ministro dello Sport

Armen GRIGORIAN

Ministro dell1Amministrazione territoriale

Hovik ABRAHAMYAN

Ministro del Commercio

Nerses YERITSIAN

Ministro dei Trasporti

Andranik MANUKYAN

Ministro della Pianificazione Urbana

Vardan VARDANIAN

 

Il Capo dello Stato Robert Kocharian (del Partito Nazionale Democratico) fu eletto Presidente la prima volta nel marzo 1998 e riconfermato nel 2003 (con il 67,5% dei voti). Le prossime elezioni presidenziali si terranno nel  marzo 2008 ma Kocharian, avendo già espletato due mandati, non sarà ulteriormente candidabile. Al suo posto forse si presenterà lo stesso premier Sargsyan.

 

 

La Chiesa apostolica armena

La Chiesa apostolica armena – anche conosciuta come Chiesa ortodossa armena – trae la propria specificità dal periodo delle controversie cristologiche dei primi secoli del cristianesimo: quando il Concilio di Calcedonia del 451 d.C. sancì la presenza di due nature, umana e divina, nell’unica persona di Gesù, gli armeni - che si erano convertiti al Cristianesimo intorno al 300 d.C., ossia ben prima che esso divenisse religione di Stato dell’Impero romano – non accettarono tali conclusioni, e si separarono dalla Chiesa di Roma. Per la verità, tuttavia, essi non aderirono neppure alla contrapposta (tesi monofisita di Eutiche condannata a Calcedonia) che considerano tuttora eretica: la Chiesa apostolica armena professa invece la tesi di San Cirillo di Alessandria, che salvaguarda la compresenza della natura umana con quella divina di Cristo, ma purtuttavia sottolinea con assai maggior forza rispetto alle conclusioni di Calcedonia l’unicità della natura di Gesù in tal modo formatasi. Il monofisismo in fondo solo formale degli armeni fece sì che la loro Chiesa non venisse da Roma considerata eretica, ma solo scismatica. La vicinanza dottrinaria rese poi possibile la nascita della Chiesa cattolica di rito armeno, collegata al papato romano, fiorita soprattutto nella Siria e nel Libano successivamente all’arabizzazione di questi territori.

L’attuale struttura della Chiesa apostolica armena vede al vertice il Catholicos KAREKIN II, posto a capo della sede primaria della Chiesa, che si trova nella città armena di Echmiadzin. La travagliata storia del popolo armeno ha però fatto sì che nel corso dei secoli la sede principale sia stata rivendicata dalle varie località in cui la diaspora armena si raggruppava: tutto ciò fa sì che un’importanza solo di poco minore rivesta oggi il Catholicosato armeno nel LIbano, e che vi siano due Patriarcati armeni anche a Gerusalemme e Costantinopoli.

L’Organo direttivo della Chiesa apostolica armena è il Consiglio spirituale supremo, con il quale collaborano il Consiglio dei Vescovi e l’Assemblea ecclesiastica nazionale (la quale è chiamata ad eleggere il Catholicos).

Relazioni internazionali

L’Armenia ha conservato ottimi rapporti con la Russia, tanto da essere considerata il suo principale alleato nel Caucaso anche se, talvolta, si possono verificare frizioni a causa delle dispute tra Russia e Georgia, che rappresenta la più importante via di passaggio per i commerci armeni. Ma è soprattutto sul piano militare che le relazioni tra Armenia e Russia sono salde e l’Armenia si continua a porre come un solido punto di appoggio per Mosca, soprattutto in considerazione del fatto che alcune Repubbliche ex-sovietiche hanno assunto posizioni filo-occidentali e che la Russia ha dovuto chiudere le basi militari in Georgia. L’Armenia e la Russia hanno siglato, il 29 agosto scorso, un Trattato di amicizia, cooperazione e reciproca assistenza, con il quale Mosca si è impegnata alla difesa dell’Armenia qualora quest’ultima dovesse subire un attacco da parte di un paese terzo. Tuttavia appare chiaro agli osservatori che, nonostante l’Armenia consideri la Russia un grande e fidato alleato, essa non intende escludere altre possibili alleanze, né assumere un ruolo nel confronto tra i paesi transcaucasici filo-russi, da un lato, e quelli filo-americani, dall’altro.

 

Con la Russia, inoltre, a fianco dei rapporti militari, si vanno consolidando anche i legami di tipo economico, soprattutto nei settori dell’industria e dell’energia.

 

Quanto alla Georgia, nonostante le due nazioni abbiano molto in comune, essendo entrambe antiche culture cristiane, i rapporti non sono particolarmente saldi e talvolta sono stati caratterizzati da uno spirito di rivalità. Tuttavia oggi le relazioni con la Georgia hanno assuntouna particolare importanza per l’Armenia in quanto, a causa del blocco economico imposto dalla Turchia e dall’Azerbaijan, la Georgia costituisce l’unica via di transito verso l’Europa e l’unico accesso ai porti del Mar Nero.

 

Di grande interesse geopolitico è il recente avvicinamento fra Armenia e Iran. I due paesi hanno avviato una collaborazione ad ampio raggio, soprattutto sul terreno energetico. L’intesa non sembra comunque basata solo su fattori economici e commerciali, ma anche su fattori di più ampio raggio, quali l’interesse iraniano ad evitare che gli Stati Uniti consolidino in tutta l’area del Caucaso un ruolo centrale di garante della sicurezza e l’interesse armeno ad evitare una escalation americana contro Teheran.

 

L’Armenia intrattiene relazioni strette ed amichevoli con altri Paesi tra i quali la la Francia e la Grecia.

 

Inoltre, l’Armenia è membro di numerose Organizzazioni internazionali, fra cui l’ONU, il Consiglio d’Europa, il CSI (Comunità di Stati Indipendenti), l’OSCE, il Partenariato per la Pace della NATO, il Consiglio di Cooperazione Nordatlantico,  il WTO, il Fondo Monetario Internazionale, la Banca Internazionale per la ricostruzione e lo sviluppo.

Per quanto riguarda la NATO, l’Armenia ha stipulato con l’Alleanza nel 2005 un Individual Partnership Action Plan (accordo biennale di cooperazione volto ad approfondire i rapporti fra la NATO e paesi interessati a una più stretta collaborazione con l’Alleanza).

In un recente (ottobre 2006) incontro con il sottosegretario agli Esteri italiano, Crucianelli, il Ministro della Difesa Sarkisian ha manifestato la volontà del governo armeno di rinnovare il rapporto con la NATO, andando oltre l’IPAP e di instaurare anche rapporti con l’Italia nel settore dell’addestramento militare e della riforma dell’Esercito.

 

Piuttosto tesi sono invece i rapporti con l'Azerbaijian che, come l’Armenia, rivendica la sovranità sul Nagorno-Karabakh, politicamente azero ma abitato da maggioranza armena[3], così come quelli con la Turchia. La contrappone a quest’ultima, infatti, l’appoggio turco all’Azerbaijan sulla questione del Nagorno-Karabakh e, soprattutto, la questione del massacro degli armeni (gli storici stimano che circa 1 milione e mezzo di armeni siano stati uccisi dai turchi tra il 1915 e il 1923) che la Turchia non vuole riconoscere come “genocidio”.

Lo scorso giugno, il Ministro degli esteri del nuovo governo armeno Vardan Oskanyan, per cercare di sbloccare la situazione con la Turchia, con la quale non esistono relazioni diplomatiche, ha proposto – nel corso del Vertice a Istanbul dei 12 paesi che si affacciano sul Mar Nero – di riaprire il confine tra i due Paesi, chiuso ormai dal 1992.

Ma più di recente, in occasione di una presa di posizione della  Lega contro la diffamazione degli ebrei (una organizzazione ebraica americana contro l'antisemitismo e il razzismo) il ministero degli esteri turco ha diramato un comunicato nel quale sostiene che è ''storicamente e legalmente infondato parlare di genocidio degli armeni''.  La Turchia sembra preoccupata di evitare che passi al Congresso americano una risoluzione per imporre al governo americano di riconoscere che gli armeni furono vittime di un genocidio. A questa risoluzione, tuttavia,  la Lega contro la diffamazione degli ebrei si è sempre opposta, ritenendola controproducente ad una auspicabile riconciliazione fra armeni e turchi.


Azerbaigian

Politica interna

La situazione politica interna dell'Azerbaigian, a partire dalle elezioni legislative del novembre 2005 per il Parlamento unicamerale, ha visto un progressivo consolidamento della leadership del presidente Ilham Aliyev (in carica dall'ottobre 2003).

Data la netta sconfitta elettorale delle opposizioni, nonché le sue persistenti divisioni interne, non sembrano esservi molti dubbi sull'esito delle elezioni presidenziali dell'ottobre 2008. Nella ripetizione delle elezioni legislative in 10 circoscrizioni (13 maggio 2006) nessun seggio è andato alle opposizioni. Il Parlamento di Baku si presenta con la maggioranza relativa (56 seggi su 125) al partito presidenziale del Nuovo Azerbaigian, mentre ben 43 seggi sono occupati da deputati indipendenti, facile obiettivo della ricerca governativa di maggioranze schiaccianti.

D'altra parte uno dei partiti di opposizione, il partito dell'indipendenza nazionale dell'Azerbaigian, ha subito una grave scissione, che ha condotto in pratica alla spaccatura in due del partito; nel contempo un altro partito dell'opposizione, il Musavat, ha vissuto prolungate lotte intestine. Non sorprende in questo contesto che il partito sostanzialmente unico di governo, il Nuovo Azerbaigian, abbia conquistato la maggior parte dei seggi nelle elezioni amministrative del 6 ottobre 2006. Per quanto riguarda l'Esecutivo, esso continua ad essere guidato dal premier Artur Rasizade, anch'egli in carica dall'ottobre 2003.

Le possibilità dell'opposizione sono state ulteriormente condizionate dal clima di pesante intimidazione contro il mondo dell'informazione: nel corso del 2006, in particolare, diversi giornalisti di opposizione sono stati aggrediti e malmenati. Va anche ricordato che in luglio, processato per l'organizzazione di diversi omicidi e rapimenti, l'ex alto funzionario del ministero degli interni Mamedov ha chiamato in causa l'ex ministro sviluppo economico, Farkhad Aliyev (che si trovava già agli arresti), per l'assassinio nel marzo del 2005 del giornalista di opposizione Elmar Huseynov. Vi sono state anche forme di intimidazione apparentemente meno gravi, quali manifestazioni di ostilità e rappresaglie contro oppositori. Si ricorda, ad esempio, che alla fine di novembre 2006 il partito del Fronte popolare dell'Azerbaigian, all'opposizione, nonché tre media dello stesso orientamento, sono stati sfrattati dagli edifici che avevano preso in affitto nel centro della capitale Baku, mentre il popolare canale televisivo indipendente ANS è stato chiuso: in questo ultimo caso però le diffuse proteste internazionali hanno condotto due settimane più tardi alla riapertura del canale televisivo.

Il contesto economico del Paese sembra in gran parte favorevole al presidente Aliyev, per il quale, in presenza di elevati prezzi del petrolio - di cui l'Azerbaigian è un importante produttore -, non è difficile mantenere alte o addirittura accrescere le spese in infrastrutture e in stipendi e salari, legando così al governo numerosi ceti dell'élite azera, e prevenendone eventuali spostamenti all'opposizione. Le ricordate divisioni nelle opposizioni sono da un lato l'effetto delle politiche governative, ma sono esse stesse un fattore che induce ad un'ulteriore cautela l’élite politico-sociale azera, soprattutto finché durerà il trend che ha visto stimare la crescita del PIL azero nel 2007 alla cifra-record del 18%, migliore risultato nel mondo.

Relazioni internazionali

Per quanto concerne le relazioni internazionali dell'Azerbaigian va anzitutto ricordato che il Paese si considera affidabile alleato degli Stati Uniti, pur in un contesto regionale nel quale non può prescindere da importanti rapporti con la Federazione russa, né tantomeno può sottovalutare la vicinanza dell'Iran.

Fra i governi di Azerbaigian e Iran il rapporto è tenuto su un filo di equilibrio non sempre facile. Infatti il fattore che rischia di influire negativamente su tali relazioni è la presenza di una forte minoranza azera nelle province settentrionali dell’Iran e le tendenze separatiste largamente diffuse in questa minoranza. Ogni conflitto etnico in questa regione dell’Iran rischia di avere ripercussioni negative sulle relazioni fra i due Stati (rischi che finora sono comunque stati evitati).

Proprio la vicinanza geografica dell’Azerbaigian all’Iran costituisce, d'altra parte, un motivo di interesse degli Stati Uniti verso l'Azerbaigian, venutosi ad accentuare con l’aggravarsi della crisi del nucleare iraniano: alla fine di aprile del 2006 il presidente Aliyev si è recato in visita di Stato a Washington. Va certamente tenuto presente che un'eventuale escalation nella tensione tra Stati Uniti e Iran difficilmente consentirebbe all'Azerbaigian di mantenere una posizione di equilibrio: da un lato l'allargamento delle sanzioni da parte delle Nazioni Unite contro l'Iran potrebbe indirettamente danneggiare anche l'Azerbaigian, visti gli importanti legami commerciali con Teheran. D'altro canto ancora peggiore sarebbe la situazione per i governanti di Baku qualora il peggioramento dei rapporti tra Iran e Stati Uniti sfociasse in un attacco armato da parte di questi ultimi: infatti le alleanze militari bilaterali costringerebbero l'Azerbaigian ad assicurare completo appoggio alle truppe americane, con conseguenti gravi pericoli di rappresaglie da parte dell'Iran.

La cooperazione tra USA e Azerbaigian si svolge poi anche nell'ambito della NATO, e precisamente del Partenrship for Peace,  ma anche nell'attuazione di programmi di lotta al narcotraffico. Gli Stati Uniti proseguono inoltre nell'impulso all'espansione delle reti di esportazione degli idrocarburi azeri, e a tale proposito è stato firmato nel marzo 2007 un accordo di cooperazione nel campo della sicurezza energetica.

Rispetto invece alle relazioni con la Federazione russa è prevedibile che si verifichino di quando in quando periodi di inasprimento, a misura che l'Azerbaigian sviluppa il proprio settore degli idrocarburi: infatti fino alla metà del 2006 la Russia costituiva di gran lunga la principale via di transito per gran parte delle esportazioni petrolifere azere. Tale situazione è però radicalmente cambiata dal momento in cui è entrato pienamente in funzione l'oleodotto che da Baku, attraverso la capitale georgiana Tbilisi, raggiunge il porto di Ceyhan in Turchia. Ulteriori frizioni con Mosca potrebbero verificarsi qualora l'Azerbaigian e il  Turkmenistan giungessero  a una comune posizione sullo sviluppo nei rispettivi settori energetici. Sempre nel 2006, inoltre, l'Azerbaigian si è trovato di fronte a un aumento del 100% dei prezzi del gas russo importato, al quale si è tentato di fare fronte mediante un accordo con la Turchia, che ha consentito all'Azerbaigian di appropriarsi di parte del gas assegnato per il 2007 ad Ankara e proveniente del resto dal giacimento azero di Shah Deniz. Non va poi dimenticato che alla fine del 2006 è stato ufficialmente commissionato il gasdotto del sud Caucaso per il trasporto del gas da Baku attraverso Tbilisi e fino ad Erzerum, nella Turchia orientale. Cionondimeno, al di fuori del settore degli idrocarburi, i tradizionali legami economici con l'ex centro dell'impero sovietico, cioè la Russia, è più probabile che continuino a crescere, proprio per la comunanza di tradizioni e di ambiente operativo tra russi e azeri, a differenza di ciò che può verificarsi per gli operatori occidentali. Anche con la Russia del resto l'Azerbaigian mantiene importanti accordi militari e di sicurezza, e non sembrano esservi particolari motivi per la rimessa in discussione di tali intese.

Per quanto poi concerne i rapporti con l'Unione europea, va ricordato che il 14 novembre 2006 l'Azerbaigian ha siglato a Bruxelles accordi per accedere ai programmi nell'ambito della politica di prossimità della UE.

 


I conflitti congelati

Il conflitto in Ossezia meridionale

Secondo molti osservatori, oggi tutto il territorio delle 7 Repubbliche islamiche del Nord Caucaso (da occidente verso oriente: Adygea, Karachaevo-Cherkessia, Kabardino-Balkaria, Ossezia, Inguscezia, Cecenia, Dagestan) è esposto ad un rischio di estensione del conflitto ceceno. Paradossalmente, proprio in una fase nella quale in Cecenia la situazione sembra aver raggiunto una maggiore stabilità rispetto al passato, è invece la miscela di concause che ha scatenato quel conflitto – povertà, corruzione della classe politica e radicalismo islamico come risposta al disagio sociale -  a minacciare di diffondersi in tutta l’area del Caucaso settentrionale.

Dal punto di vista della Russia la rischiosità dello scenario è accresciuta dalla idoneità di un Nord Caucaso destabilizzato ad assumere il ruolo di primo tassello di un domino che può rapidamente contagiare tutte le repubbliche etniche presenti all’interno della Federazione, oltre che aggravare nell’intera Federazione le tensioni fra minoranza musulmana e tendenze nazionaliste radicali russe.

Molti fra i motivi di instabilità di quest’area risalgono al passato sovietico, se non – ancora prima – alla vera e propria “conquista” russa, realizzata fra il 1859 e il 1864, dopo una lunga resistenza (permeata di valori religiosi , oltre che etnici). Sicuramente ascrivibili alla responsabilità di Stalin sono alcuni gravi errori nella stessa definizione dei confini fra le varie repubbliche che pesano tutt’oggi (vedi situazione in Inguscezia).

E’ quindi in questo contesto – caratterizzato oggi, rispetto solo a pochi anni fa, da una complessiva diminuzione del controllo da parte di Mosca – che va collocato il conflitto nell’Ossezia meridionale.

 

L'Ossezia – con popolazione in maggioranza formata da osseti di ceppo europeo, di lingua osseta (vicina al Farsi), religione cristiano ortodossa e con una minoranza di musulmani - è un unico territorio diviso in due distinte regioni, appartenenti a due diversi Stati: l’Ossezia del Nord rientra nella Federazione russa, mentre l’Ossezia meridionale fa parte della Repubblica di Georgia.

Tradizionalmente gli osseti hanno avuto buone relazioni con la Russia e sono stati considerati leali, tanto al governo zarista quanto al regime sovietico. Durante la guerra civile (1920-1921) gli osseti appoggiarono i bolscevichi a piegare la resistenza della Georgia e – in cambio – videro riconosciuta un’ampia indipendenza a quella parte (Ossezia meridionale) che fu assegnata d’autorità alla Repubblica socialista di Georgia.

L’Ossezia meridionale (3.900 km² - circa 90.000 abitanti) è una regione montuosa e coperta in prevalenza da foreste e pascoli che permettono un vasto allevamento ovino. La capitale Chinvali (38.000 abitanti) è un notevole mercato agricolo. La popolazione della Ossezia meridionale è per 2/3 osseta e per 1/3 georgiana. Già prima della dissoluzione dell’Unione Sovietica l’appartenenza della Ossezia meridionale alla Repubblica di Georgia era stata contestata dalla popolazione locale, desiderosa di unirsi alla Ossezia del Nord. Nel 1989 e 1990 i contrasti degenerarono in scontri armati. Tra il 1990 e il 1991 le tensioni secessioniste della Ossezia del sud si intrecciarono con il processo che portò alla dissoluzione dell’Unione Sovietica e alla piena indipendenza della Georgia da Mosca (referendum del 1991 e solenne proclamazione da parte del Parlamento di Tblisi). A seguito della indipendenza e delle violenze del 1991, la Georgia ha abolito l'enclave autonoma osseta provocando una migrazione di molta della popolazione verso l'Ossezia del Nord. Circa 100.000 profughi osseti del sud sono stati reinseriti nell'Ossezia del Nord, diventando motivo di occasionali conflitti con la popolazione prevalentemente inguscia del distretto di Prigorodnyj[4].

Nel gennaio del 1992 – in coincidenza con i drammatici avvenimenti che portarono alla deposizione del leader georgiano Gamsakhurdia – gli indipendentisti dell’Ossezia meridionale organizzarono un referendum – ovviamente non riconosciuto dalle autorità dello Stato - dal cui esito scaturì la proclamazione della secessione della provincia e della unione alla Russia.

Nell’estate del 1992 si raggiunse il cessate il fuoco con un accordo – mediato dalla Russia – che ha consentito il dispiegamento di forze di interposizione a composizione mista (georgiana, sud-ossetina e russa).

Durante la presidenza Shevardnadze (1992-2003) il conflitto rimase sotto traccia, mentre nel gennaio 2004, dopo le elezioni presidenziali che hanno visto la vittoria di Saakashvili, il nuovo atteggiamento da parte del Presidente, deciso a risolvere definitivamente il conflitto colpendo le formazioni politiche più decisamente secessioniste, ha generato una reazione da parte di queste ultime e provocato sporadiche ma pericolose esplosioni di violenza.

Il disegno di Tblisi si muove entro le coordinate di una appartenenza – comunque – dell’Ossezia allo stato della Georgia, sia pure con riconoscimento di ampie autonomie.

La popolazione locale, invece, ha manifestato ancora una volta la propria volontà di indipendenza in un referendum separatista svolto nel novembre 2006 (il secondo in 14 anni). In questa occasione è stato anche rieletto Presidente della Repubblica il leader indipendentista Kokoity. In contemporanea si è svolta una consultazione alternativa nei villaggi a maggioranza georgiana. Entrambe le iniziative sono state condannate dalla comunità internazionale.

Nel marzo 2007 Saakashvili ha indicato i punti salienti di una nuova strategia per l’Ossezia meridionale, basata sulla creazione di una nuova entità amministrativa nell’area del conflitto, comprendente circa il 40% del territorio disputato. La proposta è stata rapidamente approvata dal Parlamento e a maggio Dimitri Sanakoev[5] è stato posto alla guida di questa entità.

Mosca – insieme ai leader indipendentisti osseti - ha giudicato la nuova entità niente altro che un governo fantoccio (analogo al cd “governo in esilio” dell’Abkhazia guidato da Kodori Gorge).

 

Per quanto riguarda la leadership del movimento indipendentista, si ricorda che nel 2001 fu eletto presidente dell’Ossezia meridionale (con elezioni mai riconosciute dalla comunità internazionale) Eduard Kokoity, uomo d’afari ex-comunista con cittadinanza russa[6].

Kokoity - che è stato poi rieletto nel novembre 2006 – intrattiene stretti rapporti non solo con il governo russo, ma anche con la leadership secessionista dell’Abkhazia.


Il conflitto in Abkhazia

Premesse storiche e composizione etnica della regione

L’Abkhazia è la regione situata nell’estrema parte nord-occidentale della Georgia, tra il Mar Nero da una parte e il confine russo e la catena del Caucaso dall’altra.

Sul piano economico, l’economia dell’Abkhazia aveva nell’agricoltura (e a partire dall’epoca sovietica, nel turismo) le sue fonti principali di risorse, ma il conflitto divampato nel 1992 ha seriamente danneggiato entrambe.

Sul paino culturale e religioso, le popolazioni dell’Abkhazia furono cristianizzate a partire dal VI secolo ma, con l’avvento dell’impero ottomano cinque secoli dopo, la regione andò progressivamente islamizzandosi.

Nel 1864 fu annessa dalla Russia (dopo un cinquantennio in cui il territorio ebbe lo status di protettorato russo). 

In seguito alla rivoluzione del 1917 l'Abkhazia potè godere di un certo grado di autonomia culturale e politica (solo formale), ma - malgrado la sua autonomia nominale – la repubblica era in realtà soggetta al pesante controllo centrale di Tbilisi, finchè nel 1931 l’Abkhazia non fu integrata, anche formalmente, nella Georgia, sia pure con lo status di Repubblica autonoma. In epoca staliniana fu attuata una politica di assimilazione forzata. Il georgiano divenne la lingua ufficiale, la lingua abkhaza fu bandita ed i diritti culturali furono repressi, mentre migliaia di abkhazi vennero uccisi durante le repressioni staliniane. Lavrenty Beria, in particolare, incoraggiò la migrazione georgiana in Abkhazia.

Con la fine dello stalinismo si ebbe una svolta della politica sovietica verso l’Abkhazia.

La repressione della lingua abkhaza terminò e la componente autoctona acquistò un ruolo maggiore nel governo della repubblica autonoma. Furono stabilite delle quote etniche per certe posizioni burocratiche, dando agli abkazi un grado di potere politico che era sproporzionato al loro status ormai minoritario. Grazie a questa politica, le elites locali acquisivano potere in cambio di lealtà verso il regime sovietico. In Abkhazia come in altre parti dell’impero sovietico, ciò portò al risentimento di altri gruppi etnici - in questo caso i georgiani - che si ritenevano vittime di discriminazioni, originando la discordia etnica esplosa poi nel 1992.

La demografia dell'Abkhazia ha subito storicamente molti cambiamenti. Al tempo dell'ultimo censimento sovietico nel 1989 essa aveva una popolazione di circa 500.000 unità, dei quali il 48% erano georgiani (principalmente della Mingrelia) e solo il 17% abkhazi. A seguito della guerra del 1992-1993 e alla uscita dell’Abkhazia dalla Georgia, l'intera popolazione di origine georgiana (circa 250.000 persone, virtualmente tutta la popolazione della parte orientale dell'Abkhazia) abbandonò la piccola repubblica, in quella che è stata definita la "pulizia etnica dei georgiani in Abkhazia". In conseguenza di questi avvenimenti, la popolazione della repubblica si trova ad essere ora composta per il 45% da abkhazi, e per il resto da russi, armeni, georgiani (molto pochi), greci del Ponto ed ebrei.

Si segnala inoltre che, negli anni ’50 e ‘60, Vazgen I, patriarca della chiesa armena, incoraggiò e finanziò la migrazione armena in Abkhazia. Anche grazie a questo retaggio storico, attualmente, gli armeni costituiscono la minoranza numericamente maggiore in Abkhazia.

Il conflitto

All’avvicinarsi della dissoluzione dello Stato sovietico e dell’indipendenza georgiana il conflitto interetnico si acuì. La componente autoctona fu spinta dal timore di una completa “georgizzazione” ad opporsi al processa di indipendenza della Georgia (incidenti di Sukhumi del luglio 1989).

All’annuncio, da parte del consiglio militare della Georgia della abolizione della costituzione dell’era sovietica  e della restaurazione della costituzione del 1921 della Repubblica Democratica della Georgia (21 febbraio 1992), molti abkhazi interpretarono questa svolta come un abolizione del loro status autonomo. In risposta, il 23 luglio 1992, il governo dell'Abkhazia procedette ad una prima dichiarazione di indipendenza, ma questo gesto non fu riconosciutò da nessun paese o organizzazione internazionale. Il governo georgiano dispiegò 3.000 soldati nella regione, ristabilendo inizialmente l'ordine, prendendo il controllo di gran parte dell'Abkhazia e chiudendo il parlamento regionale. Ma i combattimenti proseguirono fino alla fine del 1993 quando, dopo perdite ingenti da entrambe le parti, le forze del governo georgiano furono battute ed espulse dall’Abkhazia.

Nel 1994 si arrivò alla firma del cessate il fuoco. La nuova solenne dichiarazione di indipendenza intervenuta nello stesso anno non ha ottenuto alcun riconoscimento internazionale, costando invece all’Abkhazia l’isolamento internazionale e l’embargo. Solo la Russia mantiene aperto un punto di comunicazione lungo il confine mentre dopo la guerra ha riaperto la linea ferroviaria che collega il territorio russo alla città di Sukhumi.

La situazione attuale

Dal 2005 Sergei Bagapsh è Presidente della Abkhazia. Relazioni stabili vengono intrattenute dalla Repubblica indipendentista con la Transnistria, l’Ossezia meridionale e le confinanti repubbliche russe (Karachaevo-Cherkessia), ma non vi sono segnali di alcun riconoscimento internazionale.

La Russia sostiene in vario modo l’economia dell’Abkhazia (che versa, come si è detto, in condizioni assai critiche). Recentemente (luglio 2007) il Vicepremier russo Zhukov ha annunciato che la Repubblica secessionista avrà un ruolo importante nelle forniture di materiali edili per la costruzione delle opere previste per le Olimpiadi invernali del 2014, in programma proprio nel territorio della Federazione confinante con l’Abkhazia.

La Georgia ha minacciato ripercussioni negative sullo stato (già estremamente difficile) delle relazioni fra i due paesi e ha denunciato al WTO la dichiarazione russa.

Nel marzo 2007 la popolazione dell’Abkhazia ha votato per il rinnovo del suo Parlamento, formato da 35 deputati. Il Presidente georgiano ha dichiarato illegali le votazioni.


Previsioni relative a Ossezia meridionale e Abkhazia

Le previsioni relative alla situazione in Ossezia meridionale e in Abkhazia non sembrano orientate né in direzione di una vicina soluzione, né in direzione di una riesplosione del conflitto. Tbilisi potrebbe essere portata a forzature, per almeno tre motivi:

·         la impossibilità di accettare il consolidamento di una sostanziale lesione dell’autorità dello Stato;

·         la consistente presenza nell’attuale governo di “falchi” (fra cui lo stesso Ministro della Difesa, Davit Kezerashvili);

·         l’approssimarsi di scadenze elettorali che possono sospingere l’asse politico in direzione nazionalista.

A bilanciare questi elementi vi è una intensa pressione dissuasiva sul governo georgiano da parte degli Stati Uniti i quali – almeno finchè rimarranno impegnati su altri e ben più difficili teatri – hanno un evidente interesse a non dover fronteggiare nuove fratture (soprattutto ove sono coinvolti interessi russi). Negli ultimi mesi i rischi di una iniziativa militare georgiana sembrano essere diminuiti, mentre la politica del governo georgiano è una miscela (non sempre trasparente) di dichiarazioni favorevoli ad una soluzione pacifica delle controversie e di retorica nazionalista (se non apertamente minacciosa).

La Russia tiene in piedi ed offre supporto alle tensioni secessioniste, anche se finora non ha proceduto al riconoscimento formale.

Nonostante proprio il venir meno di questo supporto sembra la vera conditio sine qua non per una stabilizzazione dell’area, non si può prevedere che l’atteggiamento russo cambi – almeno a breve - in quanto esso ha garantito finora alla Russia una certa capacità di condizionamento della Georgia. Soprattutto esso ha consentito finora di evitare che una Georgia filo-occidentale e stabile, porti la NATO nel cuore del Caucaso e ai confini della Russia. Assai rischiosi appaiono invece i collegamenti, sempre più presenti nelle posizioni ufficiali russe, fra la situazione nelle due Repubbliche georgiane e il Kosovo. Tale collegamento rafforza le speranze indipendentiste di osseti e abkhazi e al tempo stesso lega gli equilibri caucasici ad un’altra situazione a sua volta molto precaria. Non deve comunque trascurarsi la circostanza che una destabilizzazione del Nord Caucaso non è negli interessi di Mosca, in quanto ad essa potrebbe collegarsi una insorgenza di tipo islamista, sul modello ceceno, dotata di forti capacità propulsive e diffusive ad altri territori incorporati nella Federazione.

Nei prossimi mesi la tensione dovrebbe comunque rimanere alta, se non accrescersi.


Il conflitto in Adjara

L’Adjara è una regione di estensione pari a 2.900 km2 e con una popolazione di circa 380.000 abitanti, situata nella parte sud-occidentale della Georgia, fra il Mar Nero e il confine turco. La capitale è Batumi (122.000 abitanti), importante porto e centro commerciale. Anche a seguito delle gravi conseguenze della guerra in Abkhazia, la costa dell’Adjara è diventato il più importante nodo commerciale verso il Mar Nero (per la Georgia, ma anche per l’Armenia, priva di sbocco al mare), oltre che l’area turistica più importante del paese.

La composizione etnica della regione è omogenea al resto della Georgia (93,4% georgiani, 2,4% russi, 2,3% armeni, 1,9% altre etnie), in quanto gli Adjari  sono un gruppo etnico georgiano che parla un insieme di dialetti locali (Adjaro), mentre la lingua scritta è il georgiano.

Gli Adjari erano tradizionalmente definiti come “georgiani musulmani”, fino al censimento sovietico del 1926 che adottò la denominazione etnica da allora corrente. La desovietizzazione ha accelerato però il processo di ri-cristianizzazione (soprattutto fra i giovani), incoraggiato dalle autorità di governo. Comunità di musulmani sanniti sono comunque presenti, soprattutto nel distretto di Khulo. Sulla appartenenza religiosa della popolazione dell’Adjara, i dati ufficiali del governo di Tbilisi (censimento 2006) parlano di una maggioranza cristiano ortodossa (63%) e di una percentuale di musulmani pari al 30%. La BBC, invece stima che le due comunità siano sostanzialmente di pari dimensioni.

L’autonomia armata di Aslan Abashidze

Nella primavera del 1991 l’Adjara divenne parte della nuova repubblica indipendente della Georgia. Tuttavia, grazie soprattutto alla leadership autoritaria di Aslan Abashidze, il quale costruì una base di potere del tutto autonoma da Tbilisi, sostenuta da forze armata direttamente ai suoi ordini, l’Adjara si tenne fuori dal caos e dalla guerra civile che caratterizzarono la situazione georgiana negli anni 1991-1993. Abashidze preferì tenersi al di qua dell’esito secessionista dei movimenti paralleli di Abkhazia e Ossezia meridionale, attestandosi su una linea che fu definita “di autonomia armata”, creando in Adjara una sorta di zona franca e sfruttandone i vantaggi commerciali e fiscali (ai danni di Tbilisi). Questa circostanza favorì una prosperità economica sconosciuta in quegli anni al resto del paese.

Nonostante i sospetti di coinvolgimento in attività criminose (che hanno di recente portato alla sua condanna in giudizio[7]) e le critiche di autoritarismo, il leader adjaro ha comunque goduto in quel periodo di una vastissima popolarità (93% dei suffragi nelle elezioni presidenziali del 1998). La particolare situazione in Adjara fra il 1991 e il 2004 si basava però non solo sul consenso goduto da Abashidze, ma anche sull’attivo sostegno russo e sulla accettazione da parte di Shevardnadze dello stato di fatto venutosi a creare.

La  Rivoluzione delle Rose e l’uscita di scena di Abashidze

Quest’ultimo elemento è venuto improvvisamente meno con la caduta di Shevardnadze (non a caso denunciata come “golpe” da Abashidze) e con l’avvento a Tblisi del nuovo leader Saakashvili nel 2004. Il tentativo di forzare la situazione da parte di Abashidze con la proclamazione dello stato d’emergenza non trovò sostegno (almeno nella misura attesa) da parte russa, mentre molto attivi furono gli Stati Uniti nello scoraggiare ogni velleità secessionista.

Nel marzo di quell’anno Saakashvili diede vita ad una spettacolare ed energica iniziativa presentandosi al confine con la repubblica semi-indipendente e inviando immediatamente dopo un ultimatum di un giorno. Al Presidente Abashidze rimase la scelta fra un bagno di sangue e l’accettazione dell’ultimatum (scioglimento delle milizie paramilitari e accettazione dell’autorità centrale). La tensione crebbe nei giorni successivi, con manifestazioni di piazza e diffusi timori di nuovi scontri, ma alla fine la crisi si concluse senza alcun confronto armato: con un salvacondotto per la Russia il leader adjaro abbandonò il campo, ponendo fine alla minaccia secessionista dell’Adjara.

La situazione attuale in Adjara appare al riparo da rischi. Fra l’altro, l’attuale Primo Ministro georgiano, Zurab Noghaideli, è adjaro. Tuttavia la permanenza di una base russa a Batumi rappresenta uno dei massimi motivi di attrito fra Tbilisi e Mosca. Secondo gli accordi intercorsi fra i due paesi, la base dovrebbe essere smantellata entro il 2008.


Il conflitto in Nagorno-Karabakh

Di tutti i conflitti congelati dell’area, è quello che ha luogo da più tempo (1988-89) e ha prodotto il maggior numero di vittime (30.000 morti e un milione di profughi).

Dal maggio 1994 vige il cessate il fuoco, mentre il negoziato è condotto con la mediazione del “Gruppo di Minsk”, un organo composto da 11 nazioni e creato ad hoc nel 1992 in seno all’OSCE per mediare tra le parti.

Dopo le speranze suscitate – nel 2006 – dall’incontro di Rambouillet, il negoziato sembra oggi destinato ad attraversare una fase difficile. Le due parti stanno per entrare in un periodo delicato – caratterizzato dalle elezioni presidenziali in programma, per entrambi i paesi, nel 2008 – senza aver raggiunto un accordo neanche su un numero circoscritto di questioni.

Lo stesso consolidamento dei risultati parziali raggiunti negli ultimi tre anni (che garantirebbe per lo meno che alla riapertura effettiva del negoziato, dopo le tornate elettorali, non si debba ripartire da zero) sembra essere a rischio, visti i risultati deludenti dell’incontro fra i deu Presidenti svoltosi a S. Pietroburgo lo scorso luglio.

Il 13 luglio 2007 i tre Copresidenti del Gruppo di Minsk, Yury Merzlyakov (Russia), Bernard Fassier  (Francia) e Matthew Bryza (Stati Uniti) hanno rilasciato una dichiarazione congiunta dai toni non ottimistici a commento dei risultati dell’incontro di S. Pietroburgo.

Il leader del Nagorno-Karabakh, Ghukasian, ha ripetutamente dichiarato che i negoziati continueranno a fallire fino a che non verrà permesso all’enclave armena di parlare a proprio nome

Di recente la richiesta armena di aprire il tavolo negoziale ad una delegazione del NK (proposta alla quale l’Azerbaigian si è sempre opposto) sembrava aver conquistato qualche nuovo consenso internazionale. In particolare, in una recente dichiarazione (6 settembre) il Ministro degli Esteri spagnolo Moratinos si è detto favorevole a “cambiamenti” nel processo negoziale, senza però specificare se questi cambiamenti debbano includere l’ingresso di negoziatori del N-K.

Si ricorda che il 10 dicembre 2006 la popolazione del Nagorno-Karabakh ha votato la propria Costituzione[8], mentre il 19 luglio 2007 – negli stessi territori – si sono svolte elezioni presidenziali.

Entrambe le consultazioni non sono state riconosciute né dal Gruppo di Minsk, né dalla comunità internazionale, dati i rischi che queste forme di consultazione popolare mirate a creare una indipendenza de facto possano minare il processo negoziale.

Excursus storico

La regione copre una superficie totale di 4.400 chilometri quadrati, e nel 1989 aveva una popolazione di 192.000 persone, composta principalmente da armeni (76%) e azerbaigiani (23%), con minoranze russe e curde. La capitale è Stepanakert. L'altra città più grande, oggi parzialmente in rovina, è Shusha.

Risale all’epoca bolscevica la creazione della Regione autonoma del Nagorno-Karabakh, come parte tuttavia dell’Azerbaigian. Questa soluzione (che scontentava la maggioranza armena) fu adottata con l’intento di non scontentare la Turchia (filo-azera) dove – negli anni ’20 – il gruppo dirigente bolscevico intravedeva concrete possibilità di una presa del potere da parte del partito comunista.

Con i primi segnali della dissoluzione dell'Unione Sovietica tra la fine degli anni Ottanta e l'inizio degli anni Novanta, la questione del Nagorno-Karabakh riemerse. La maggioranza armena cominciò a mobilitarsi per riunire la regione alle madrepatria e porre fine alla politica di azerificazione forzata condotta da Baku.

Il 20 febbraio del 1988, i deputati armeni del Consiglio Nazionale del Nagorno-Karabakh votarono per riunire la regione all'Armenia. Nei giorni immediatamente successivi iniziarono scontri, degenerati presto in veri e propri pogrom perpetrati da entrambe le componenti, alle quali non riuscirono a porre fine le stesse truppe inviate da Mosca.

Nel dicembre 1991, con un referendum tenuto nel Nagorno-Karabakh (e boicottato dalla maggioranza armena nella regione disputata), venne approvata la creazione di una repubblica indipendente. La proposta sovietica di concedere maggiore autonomia al Nagorno-Karabakh all'interno dell'Azerbaigian non soddisfaceva né la parte armena né quella azera e ciò pose le premesse per la guerra tra i due stati.

Intanto, nel vuoto lasciato dal crollo nello stesso anno dell’Unione Sovietica, sia l'Armenia che l'Azerbaigian si resero indipendenti da Mosca mentre lo scontro tra le due neonate repubbliche finì con l'essere fortemente influenzato dalla politica militare della Federazione Russa. Si ritiene infatti che la Russia tese a manipolare le rivalità tra le parti, rifornendole entrambe di armi nel tentativo di tenere sotto controllo i due contendenti.

Nella prima fase della guerra furono le truppe dell’Azerbaigian ad avere la meglio. Tuttavia gli armeni, aiutati finanziariamente e diplomaticamente dai loro connazionali emigrati, cominciano a conseguire una serie di vittorie ed impadronirsi del Nagorno-Karabakh e delle regioni circostanti. Quando fu firmato l’armistizio nel 1994, le forze separatiste, aiutate anche dall’esercito armeno, avevano occupato oltre alla regione contesa ben sette regioni, corrispondenti a circa al 15% del territorio azero. Cominciati i negoziati di pace, il presidente Heidar Aliyev (e successivamente anche il successore, suo figlio Ilham) si rifiutò di accettare i rappresentati del Nagorno-Karabakh come attori negoziali, scegliendo di confrontarsi esclusivamente con l’Armenia. Ciò ha reso più difficile il compito del Gruppo di Minsk che dal 2004 il Gruppo ha delegato a tre dei suoi membri più influenti (Francia, USA e Russia) il compito di trovare una soluzione condivisa della controversia. Ma anche il gruppo ristretto non ha avuto maggiore successo nonostante i ripetuti incontri tra le parti.

Da Rambouillet alla situazione attuale

Il 2006 era sembrato a molti un anno propizio per la soluzione del conflitto in Naogorno-Karabakh. Infatti in quell’anno nessuna consultazione elettorale era in calendario sia in Armenia sia in Azerbaigian. Per questo, a febbraio 2006, il Presidente francese Jacques Chirac ha ospitato le due parti a Rambouillet. I due presidenti sono riusciti a trovare un accordo su qualche punto proposto dai tre paesi mediatori. Il primo punto dell’accordo è relativo al ritiro dell’esercito armeno dai territori azeri occupati (esterni al Nagorno-Karabakh). Sembra che i due paesi si siano già accordati sullo status e l’appartenenza di cinque delle sette regioni occupate dagli armeni ma, per ora, tali accordi sono stati tenuti segreti. Invece la regione di Lachin, in ragione della sua funzione di collegamento tra l’Armenia e Nagorno-Karabakh, dovrebbe ricevere uno status speciale. Il secondo punto dell’accordo riguarda il dispiegamento di una forza internazionale di interposizione nei territori contesi (escluse le truppe dei tre paesi mediatori e della Turchia, che è strettamente legata all’Azerbaigian). Il terzo punto riguarda lo sminamento e il recupero di tutti i territori in modo da permettere il ritorno dei rifugiati (principalmente azeri) che rimane tuttavia ancora un grave problema per la possibilità di violenze tra le due etnie. Infine, il riconoscimento di uno status speciale anche alle città azere di Shusha e Khojaly che si trovano all’interno del Nagorno-Karabakh.

Le questioni aperte

Nonostante l’accordo (che è opportuno qualificare comunque come presunto) su tali aspetti, alcune questione cruciali sono ancora in sospeso e con scarse possibilità di essere risolte: lo status della regione di Kelbaijar (la settima regione occupata); la tempistica del ritiro delle truppe armene dalle regioni occupate; l’organizzazione concordata di un referendum per decidere lo status del Nagorno-Karabakh.

Quest’ultima è la questione più controversa e alla sua mancata soluzione sembra in gran parte ascrivibile il sostanziale fallimento del tentativo fatto a Rambouillet.

Innanzia tutto non vi è accordo fra le parti sulla individuazione degli aventi diritto al voto:  soltanto l’attuale popolazione del Nagorno-Karabakh, composta dal 99% di armeni, ovvero la popolazione che abitava la regione prima della guerra, che era composta dal 25% di azeri ? Oppure l’intero Azerbaigian sarà chiamato ad esprimersi ? In secondo luogo, l’Armenia richiede che la data del referendum sia definita prima del ritiro delle truppe, mentre l’Azerbaigian avanza la richiesta opposta come condizione preliminare alla firma di un accordo. Inoltre, i leader azeri ritengono che accettando lo strumento del referendum si apra la strada non solo all’indipendenza del Nagorno-Karabakh ma anche alla sua annessione all’Armenia. A ciò si aggiunge che la Costituzione dell’Azerbaigian considera il Nagorno-Karabakh parte integrante dello Stato e proibisce la secessione di qualsiasi territorio. Riconoscere l’indipendenza della regione comporterebbe la necessità di modificare la Costituzione e fornirebbe un precedente pericoloso. Si osserva, infine, che nei due paesi la pubblica opinione è poco informata e il dibattito pubblico su tali argomenti è scarso.

Nel dicembre 2006 si è svolto invece, ma con finalità e caratteri meramente dimostrativi, il già ricordato referendum sull’adozione di una costituzione del Nagorno-Karabakh. La partecipazione è stata altissima così come il voto favorevole. Ma gli effetti sul negoziato sono stati minimi (se non negativi), visto che - ovviamente - la consultazione è stata sconfessata da Baku.

 

Il Presidente Aliyev ha dichiarato ripetutamente che, sebbene l’indipendenza sia da escludersi, l’Azerbaigian acconsentirebbe a concedere al Nagorno-Karabakh il più lato grado di auto-governo ed autonomia sul modello della Repubblica Nakhichevan. Tale regione, staccata dai confini dell’Azerbaigian e compresa tra Iran ed Armenia, è una repubblica autonoma con il suo parlamento anche se è considerata territorio azero a tutti gli effetti. L’Armenia da parte sua esclude ogni sorta di subordinazione del Nagorno-Karabakh al governo di Baku. Inoltre, la leadership armena, dal canto suo, ha rivelato che non firmerà mai un accordo che possa essere considerato inaccettabile dalla popolazione armena del Nagorno-Karabakh.

Considerazioni conclusive

L’intransigenza dell’Azerbaigian sembra motivata da un mutamento negli equilibri di potere tra i due Stati. In passato, la superiorità militare dell’Armenia si è basata sul grande afflusso di capitali provenienti dagli armeni della diaspora. Inoltre, l’Armenia sta subendo – in questa fase - un certo isolamento economico e geopolitico: è stata esclusa dai progetti dell’oleodotto BTC (Baku-Tbilisi-Ceyhan) e del gasdotto BTE (Baku-Tbilisi-Erzurum), sta soffrendo il conflitto tra Russia e Georgia, essendo quest’ultima uno dei suoi principali partner commerciali e lo stesso conflitto del Nagorno-Karabakh ha scoraggiato l’afflusso di investimenti diretti esteri.

Al contrario, l’Azerbaigian negli ultimi anni ha registrato tassi di crescita molto alti grazie all’estrazione e alla vendita degli idrocarburi. L’aumento delle entrate ha permesso al governo di Baku di incrementare la spesa per la difesa tanto che questa supera l’intero budget armeno. L’Azerbaigian ora ha potenzialità militari di tipo nuovo rispetto al 1994  mentre il nazionalismo rappresenta un elemento importante nella retorica e la politica di Aliyev. Lo scoppio di una guerra ad alta intensità appare – secondo la maggior parte degli osservatori - improbabile nell’immediato futuro, soprattutto a causa dei crescenti interessi e contatti statunitensi nel Paese e a causa dell’interesse russo ad evitare che il Caucaso possa destabilizzarsi coinvolgendo anche la parte settentrionale. Non bisogna però escludere del tutto che un aumento delle tensioni tra Armenia e Azerbaigian nel medio periodo possa portare ad un conflitto armato. A ciò si deve aggiungere l’instabilità generale della regione (in Cecenia, in Ossezia del Sud e in Abkhazia) che accresce la possibilità di eventi destabilizzanti difficili da prevedere e da governare.

E’ comunque interesse dell’Armenia – più che dell’Azerbaigian - arrivare ad una soluzione concordata, in quanto l’attuale situazione di stallo rende comunque possibile il colpo di forza da parte di Baku. In più occasioni il governo armeno ha dichiarato la propria disponibilità ad una soluzione concordata internazionalmente, sul modello di quella del Kosovo, basata su una sorta di indipendenza con sovranità limitata e garanzie internazionali sulla multietnicità.

 

 


La politica europea di vicinato
(a cura dell’Ufficio Rapporti con l’Unione europea)

 


La politica europea di vicinato

 

La “politica europea di vicinato” (PEV) si rivolge ai nuovi Stati indipendenti[9], ai paesi del Mediterraneo meridionale[10] e agli Stati del Caucaso[11]. L’obiettivo è quello di prevenire l’emergere di nuove linee di divisione tra l’Unione europea allargata e i suoi vicini, condividendo con questi ultimi i benefici dell’allargamento e consentendo loro di partecipare alle diverse attività dell’UE, attraverso una cooperazione politica, economica e culturale rafforzata.

La politica europea di vicinato, nettamente distinta dalla questione della potenziale adesione all’UE, propone un nuovo approccio nei confronti dei paesi interessati: in cambio dei progressi concreti compiuti in termini di riconoscimento dei valori comuni e di attuazione effettiva di riforme politiche, economiche e istituzionali, si riconosce loro una partecipazione al mercato interno dell’UE, nonché un’ulteriore integrazione e liberalizzazione per favorire la libera circolazione di persone, merci, servizi e capitali.

Inaugurata dalla Commissione con una comunicazione[12] presentata l’11 marzo 2003, l’iniziativa è stata rafforzata e precisata con due successive comunicazioni del 1° luglio 2003[13]  e del 12 maggio 2004[14], con la creazione di una task-force per l’Europa ampliata e con i suggerimenti avanzati dalle altre istituzioni comunitarie. In particolare, la comunicazione del 12 maggio 2004, che fissa principi, metodologie, ambiti geografici e temi della cooperazione regionale, rappresenta un importante passo in avanti nella definizione delle azioni concrete che l’UE intende mettere in campo per realizzare la politica di vicinato. Si segnalano in particolare:

·         l’istituzione, per il periodo 2004-2006, di programmi di vicinato, volti a garantire la sicurezza delle frontiere esterne, a rafforzare la cooperazione transfrontaliera su temi comuni (ambiente, salute pubblica, lotta alla criminalità organizzata) e a favorire l’integrazione nello spazio europeo della ricerca e nei settori delle reti di trasporto, delle telecomunicazioni e dell’energia. Tali programmi sono finanziati con un importo globale di 955 milioni di euro, nell’ambito degli strumenti finanziari esistenti;

·         a partire dal 2007, nel quadro delle prospettive finanziarie 2007-2013, l’istituzione di un unico strumento finanziario, effettivamente adottato[15], (Strumento europeo di vicinato e partenariato), in sostituzione dei diversi programmi attualmente esistenti, destinato alla frontiera esterna dell’UE allargata. Una componente specifica e innovativa di questo strumento consiste nella cooperazione transfrontaliera, la quale interesserà regioni degli Stati membri e dei paesi vicini che condividono una frontiera comune;

·         la pubblicazione di country reports, che danno conto dei progressi compiuti da ciascun paese nell’attuazione degli accordi bilaterali[16] e delle relative riforme. Tali documenti riflettono la situazione politica, economica, sociale e istituzionale nei diversi paesi e forniscono un punto di partenza per lo sviluppo delle relazioni future;

·         la predisposizione di piani d’azione per ciascuno dei paesi interessati[17]. Si tratta di strumenti considerati cruciali dalla Commissione nel processo di avvicinamento all’Unione, che non sostituiscono gli accordi di associazione o di cooperazione vigenti ma si avvalgono dell’esperienza acquisita nella loro attuazione. I piani d’azione saranno differenziati, per riflettere lo stato delle relazioni di ciascun paese con l’UE, le sue necessità e capacità, nonché gli interessi comuni, e definiranno il percorso da seguire nei prossimi 3-5 anni.

In linea generale, tali strumenti offrono assistenza per allineare la legislazione nazionale a quella comunitaria con l’obiettivo di migliorare l’accesso al mercato interno; consentono la partecipazione a numerosi programmi comunitari, fra cui quelli in materia di istruzione, ricerca, ambiente e audiovisivi; accrescono la cooperazione in materia di gestione delle frontiere, di migrazione, di tratta di esseri umani, di crimine organizzato, di riciclaggio di denaro e di crimini finanziari ed economici; migliorano i collegamenti con l’UE in materia di energia, trasporti e tecnologie dell’informazione; estendono il dialogo e la cooperazione ai temi della lotta al terrorismo, della non proliferazione delle armi di distruzione di massa e della gestione dei conflitti regionali. La loro attuazione verrà monitorata su base regolare e i piani d’azione potranno essere conseguentemente adeguati. I primi sette piani d’azione (Autorità palestinese, Giordania, Israele, Marocco, Moldova, Tunisia e Ucraina), presentati dalla Commissione il 9 dicembre 2004, sono stati approvati dal Consiglio nella riunione del 13 e 14 dicembre 2004. Successivamente sono stati approvati dal Consiglio i piani di azione per il Libano (17 ottobre 2006) e per Armenia, Azerbaigian e Georgia (21 novembre 2006). Il piano d’azione per l’Egitto è stato approvato il 6 marzo 2007.

 

 

La comunicazione della Commissione

Il 4 dicembre 2006 la Commissione ha presentato una comunicazione sul rafforzamento della politica europea di vicinato[18]. La nuova comunicazione intende accrescere l'impatto di questa politica proponendo diversi modi in cui l'UE può aiutare i partner favorevoli alle riforme a rendere questo processo più rapido e più efficiente, offrendo contemporaneamente incentivi per convincere quelli che sono ancora indecisi. Le nuove proposte sono corredate di relazioni sui progressi registrati nei paesi in cui l'attuazione dei piani d'azione è iniziata nel 2005.

La comunicazione propone di:

·         offrire a tutti i partner, a est e a sud, una prospettiva chiara di profonda integrazione commerciale ed economica con l'Unione europea, andando al di là del libero scambio di beni e di servizi per affrontare la questione delle barriere non tariffarie onde assicurare gradualmente una convergenza globale a livello normativo;

·         migliorare considerevolmente le procedure in materia di visti per determinati tipi di visitatori;

·         organizzare con i partner riunioni ad hoc o riunioni periodiche tra ministri o tra esperti su argomenti come l'energia, i trasporti, l'ambiente e la pubblica sanità. Quest'impostazione multilaterale può integrare in modo efficace l'azione bilaterale su cui si basa la politica europea di vicinato;

·         intensificare la cooperazione politica, associando sistematicamente i partner alle iniziative dell'UE (dichiarazioni sulla politica estera, posizioni nei consessi internazionali e partecipazione ai programmi e alle agenzie principali dell'UE);

·         rafforzare il ruolo dell'UE nell'ambito della risoluzione dei conflitti nella regione;

·         rafforzare l'impostazione regionale a est prendendo spunto dalla cooperazione esistente nella zona del Mar Nero.

Gli stanziamenti che saranno destinati nel periodo 2007-2013 ai paesi che partecipano alla PEV, pari a 12 miliardi di euro, superano del 32% in termini reali quelli del periodo di bilancio precedente. Al fine di ottimizzare l'impatto e l'effetto leva dei finanziamenti UE, la Commissione propone un Fondo d’investimento per la politica di vicinato, a cui gli Stati membri saranno invitati a contribuire, da utilizzare per mobilitare prestiti supplementari della Banca europea per gli investimenti, della Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo e di altre banche di sviluppo. Il contributo del bilancio comunitario ammonterebbe a 700 milioni di euro. Un contributo degli Stati membri equivalente a quello dell’Unione europea permetterebbe al fondo di generare un importo estremamente ingente di prestiti agevolati.

La Commissione preannuncia inoltre uno stanziamento di 300 milioni di euro per un Fondo "governance" onde integrare le assegnazioni normali per i singoli paesi in modo da riconoscere e sostenere l'impegno dei partner che hanno fatto più progressi nell'attuare i rispettivi piani d'azione.

La comunicazione è stata trasmessa al Consiglio e al Parlamento europeo. Il Consiglio affari generali e relazioni esterne dell’11 dicembre 2006, nel felicitarsi per la presentazione della comunicazione, si è prefisso di approfondirne l’esame e di studiare le future proposte della Commissione e ha invitato le prossime Presidenze a fare progressi nel rafforzamento della politica di vicinato. Un ulteriore scambio di opinioni in seno al Consiglio affari generali e relazioni esterne si è tenuto nel corso della riunione del 22 gennaio 2007.

 

 

Assistenza finanziaria

Come preannunciato, l’assistenza finanziaria ai paesi interessati dalla politica europea di vicinato viene fornita, a partire dal 1° gennaio 2007, attraverso il nuovo strumento, denominato strumento europeo di vicinato e partenariato (anche detto ENPI), destinato alla frontiera esterna dell’UE allargata.

Il regolamento istitutivo del nuovo strumento è stato approvato dal Consiglio del 17 ottobre 2006, a seguito di un accordo raggiunto con il Parlamento europeo, in prima lettura, nel quadro dell’accordo interistituzionale sulle nuove prospettive finanziarie 2007-2013. Il nuovo strumento ha una dotazione finanziaria di 11 miliardi di euro per l’intero periodo e prevede, oltre a programmi nazionali e multinazionali, una componente specifica e innovativa che consiste nella cooperazione transfrontaliera, la quale interessa regioni degli Stati membri e dei paesi vicini che condividono una frontiera comune. I paesi partner sono interessati da tre programmi multinazionali: un programma regionale euro-mediterraneo, rivolto cioè al vicinato meridionale, un programma rivolto al vicinato orientale e un programma rivolto all’insieme dei paesi che formano il vicinato dell’Unione europea.

In tale contesto e sulla base delle iniziative concordate con i partner, il 7 marzo 2007la Commissione ha presentato il documento strategico regionale 2007-2013 e il programma indicativo regionale 2007-2010, in cui sono indicate le priorità dell’assistenza nel quadro dell’ENPI per tutti i paesi interessati dalla PEV. In base a tali documenti i 260,6 milioni di euro resi disponibili a livello regionale per gli anni 2007-2010 saranno concentrati nei seguenti settori:

·         promozione delle riforme attraverso l’esperienza e la competenza europee;

·         promozione dell’istruzione superiore e della mobilità studentesca;

·         promozione della cooperazione tra attori locali nell’UE e nei paesi partner;

·         promozione dell’attuazione della PEV.

Nella stessa occasione la Commissione ha presentato:

·         il programma indicativo per i vicini orientali della PEV. In base a tale documento, i 223,5 milioni di euro resi disponibili a livello regionale per i vicini orientali per gli anni 2007-2010 saranno concentrati nei seguenti settori: trasporti ed energia; protezione ambientale e forestazione; gestione delle frontiere e della migrazione; scambi culturali; sminamento ed armi di piccolo calibro;

·         il programma indicativo per i vicini meridionali della PEV. I 343 milioni di euro resi disponibili a livello regionale per i paesi partner del bacino del Mediterraneo per gli anni 2007-2010 saranno concentrati nei seguenti settori: giustizia  e sicurezza; sviluppo economico sostenibile; sviluppo sociale e scambi culturali.

 

 

La relazione della Presidenza tedesca

Secondo quanto disposto dal Consiglio dell’11 dicembre 2006, la Presidenza tedesca ha presentato una relazione sullo stato dei lavori della politica europea di vicinato, approvata dal Consiglio del 18 e 19 giugno 2007 e dal successivo Consiglio europeo del 21 e 22 giugno 2007. La relazione traccia il bilancio del consenso politico raggiunto e dei progressi compiuti nel settore nel corso degli mesi e individua le ulteriori misure pratiche per intensificare proficuamente la PEV.

In primo luogo, la relazione sintetizza i tre elementi di fondo su cui si registra il consenso tra gli Stati membri:

·         la PEV è una delle priorità fondamentali dell’azione esterna dell’UE. Promuovere la stabilità, lo stato di diritto, il rispetto dei diritti umani, migliorare la governance e la modernizzazione economica dei paesi vicini costituiscono per l’UE un chiaro imperativo geopolitico;

·         una politica di vicinato intensificata rappresenta un quadro d’azione unico, coerente ed aperto, sufficientemente flessibile da consentire ai paesi partner di autodifferenziarsi in base a capacità, esigenze e risultati;

·         La PEV resta distinta dal processo di allargamento dell’UE e non pregiudica eventuali sviluppi futuri delle relazioni dei paesi partner con l’UE.

Nell’ambito dei progressi che sono stati compiuti finora nel quadro della PEV e che si configurano come anticipatori di prospettive future, la relazione segnala in particolare: i negoziati in corso per un accordo rafforzato con l’Ucraina e i lavori per concretizzare uno status avanzato per il Marocco; l’approfondimento delle relazioni nei settori energetico, delle infrastrutture e dell’immigrazione clandestina; la conclusione di accordi di riammissione e di agevolazione dei visti con Ucraina e Moldova; il nuovo approccio integrato alla politica marittima dell’Unione europea, che riveste particolare interesse per i paesi partner del bacino del Mediterraneo; l’apertura graduale e mirata di agenzie e programmi comunitari alla partecipazione dei paesi PEV.

Per quanto riguarda le iniziative future la Presidenza tedesca ritiene necessario in particolare:

·         rafforzare la dimensione parlamentare della PEV, anche attraverso iniziative di “gemellaggio parlamentare” volte a trasferire know-how democratico. L’obiettivo è quello di esercitare un effetto di leva rispetto alle riforme dei partner nei settori della democratizzazione e della costruzione istituzionale;

·         migliorare l’accesso al mercato dell’UE, prevedendo condizioni favorevoli per i partner ed eventualmente delineando elementi di asimmetria a loro vantaggio. L’obiettivo di lungo termine è l’adozione di accordi approfonditi di libero scambio bilaterali, dopo che i singoli paesi avranno aderito all’Organizzazione mondiale del commercio; 

·         avvalersi meglio del peso finanziario dell’Unione europea – peraltro incrementato in maniera significativa con il nuovo strumento finanziario - promuovendo in particolare la realizzazione delle due proposte avanzate dalla Commissione nella comunicazione di dicembre 2006 (Fondo di investimento e Fondo governance);

·         incentrare maggiormente la PEV sui temi settoriali trasversali, in particolare per quanto riguarda migrazione e cooperazione energetica, promuovendo l’utilizzo del programma TAIEX[19] e degli strumenti di gemellaggio per aiutare i partner ad imparare dalle migliori prassi e a condividere più efficacemente le competenze acquisite;

·         favorire un maggiore coinvolgimento dei cittadini, rafforzando la dimensione della società civile, anche attraverso più intense attività in materia di istruzione e formazione.

Come segnalato anche nella relazione della Presidenza tedesca, nell’ambito della PEV rafforzata e, in particolare, dopo l’adesione di Bulgaria e Romania, è di grande importanza per l’UE potenziare le relazioni con la regione del Mar Nero, un'area geografica distinta, ricca di risorse naturali e strategicamente situata al punto d'incrocio fra Europa, Asia Centrale e Medio Oriente.

 

 

La sinergia del Mar Nero

A tal fine l’11 aprile 2007 la Commissione ha presentato la comunicazione “Sinergia del Mar Nero” (COM (2007) 160). Come evidenziato dalla stessa Commissione, non si intende proporre una strategia indipendente per il Mar Nero, dal momento che la politica generale dell'UE per la regione è già definita nella strategia di preadesione della Turchia, nella PEV e nel partenariato strategico con la Russia. Ciò che serve, a parere della Commissione, è un'iniziativa complementare a queste politiche, che concentri l'attenzione sul livello regionale e che rinvigorisca i processi di cooperazione in corso per promuovere la stabilità e le riforme nei paesi che si affacciano sul Mar Nero. Obiettivo primario della Sinergia del Mar Nero sarebbe quindi lo sviluppo di una cooperazione all'interno della regione del Mar Nero nonché tra l'insieme di questa regione e l'Unione europea.

La Sinergia del Mar Nero prenderà spunto dai programmi e dalle iniziative settoriali attuati dall’UE in settori come la governance, la circolazione delle persone e la sicurezza, l'energia, i trasporti, l'ambiente, la politica marittima, la pesca, il commercio, la ricerca, l'istruzione, l'occupazione, gli affari sociali, la scienza e la tecnologia. Si tratterà di un quadro flessibile, tale da migliorare la coerenza e il coordinamento fra le diverse attività tenendo conto degli interessi comuni di tutti i partner.

Ai finanziamenti comunitari di cui beneficiano i paesi della regione si aggiunge un programma specifico di cooperazione transfrontaliera per il Mar Nero volto a promuovere le attività della società civile nelle regioni costiere.

 Il Consiglio del 14 maggio 2007 ha accolto con favore l’iniziativa della Commissione e ha invitato le prossime presidenze e la Commissione europea a proseguire i lavori finalizzati ad un maggiore e coerente coinvolgimento dell'UE nella regione. Tenuto conto dell'importanza strategica che l'area del Mar Nero riveste per l'UE, la Commissione è inoltre invitata ad effettuare nel primo semestre del 2008 un esame dell'evoluzione dell'iniziativa "Sinergia del Mar Nero", sul quale il Consiglio baserà un eventuale ulteriore coinvolgimento nei confronti della regione nel suo complesso.

 

 

La Conferenza del 3 settembre 2007

Tra gli sviluppi della citata comunicazione della Commissione del dicembre 2006 e della successiva relazione della Presidenza tedesca, si segnala che il 3 settembre 2007 si è tenuta a Bruxelles la prima riunione di ministri e altri rappresentanti di tutti i paesi cui si applica la politica europea di vicinato (PEV), per un incontro con i loro omologhi dell’Unione europea. L’obiettivo di carattere generale di tale conferenza, intitolata “Lavorare insieme – Rafforzare la politica europea di vicinato”, era quello di raccogliere le reazioni, le opinioni e i suggerimenti dei paesi partner rispetto alle proposte recentemente avanzate dall’Unione europea. Organizzata e ospitata dalla Commissione, la conferenza ha previsto al mattino una sessione a livello ministeriale, incentrata in particolare sulle opportunità in materia di liberalizzazione degli scambi e di mobilità, nonché sulle sfide del mutamento climatico e della sicurezza energetica. La sessione pomeridiana ha allargato il dibattito ad altri interlocutori, tra cui i rappresentanti delle associazioni imprenditoriali e delle organizzazioni non governative. La conferenza è stata inaugurata da José Manuel Barroso, Presidente della Commissione, e dal Commissario per le relazioni esterne e la politica di vicinato, Benita Ferrero-Waldner.

 

 

 


Relazioni parlamentari
(a cura del Servizio Rapporti Internazionali)


Rapporti parlamentari Italia Georgia

 

Rappresentanze diplomatiche

 

Ambasciatore della Repubblica di Georgia a Roma:

 

Zaal GOGSADZE

 

 

Ambasciatore d’Italia a Tblisi:

 

Vittorio SANDALLI

 

 

Attività legislativa

 

       Al momento, non ci sono disegni di ratifica di trattati internazionali relativi alla Georgia all’esame della Camera. 

 

 

Incontri del Presidente

 

       Il Vice Primo Ministro della Georgia e Ministro per l’integrazione euro-atlantica, Georgi Baramidze, è stato in visita alla Camera dall’11 al 13 luglio 2006. In tale occasione è stato ricevuto dal Vice Presidente della Camera, on. Carlo Leoni.

       Il Vice Presidente della Camera, on. Carlo Leoni, ha incontrato il Presidente del Parlamento della Georgia, Nino Burjanadze, a margine della Conferenza europea dei Parlamenti (Tallin, 30-31 maggio 2006).

 

 Nel corso del colloquio, il Vice Presidente Leoni ha confermato la volontà italiana di mantenere ottime relazioni con la Georgia. La Burjanadze ha a sua volta domandato un coinvolgimento maggiore del nostro Paese nell’area caucasica ed il sostegno particolare dell’Italia per l’adesione della Georgia al programma NATO “partnership for peace”. La Presidente georgiana ha sottolineato quanto siano legati i processi di democratizzazione in atto nel Paese con la possibile adesione della repubblica caucasica alla NATO. Il Presidente Leoni ha a sua volta assicurato che la Camera invierà una delegazione parlamentare in Georgia e che il Governo appoggerà l’ingresso della Georgia nella NATO. La signora Burjanadze, in conclusione dell’incontro, ha ricordato la sua intenzione di candidarsi alla Presidenza dell’OSCE nel luglio 2006 ed ha chiesto l’appoggio italiano a tale proposito.

 

      Precedentemente, con una lettera del 12 maggio 2006, la Presidente Burjanadze aveva chiesto al Presidente della Camera, on. Fausto Bertinotti, l’invio di osservatori per monitorare le elezioni locali programmate per l’autunno 2006. Pur sottolineando che le elezioni locali sono raramente oggetto di monitoraggio internazionale, la Presidente del Parlamento georgiano ha ricordato come il suo Paese sia fermamente impegnato in un processo di democratizzazione di cui le prossime elezioni locali costituiscono una tappa decisiva.

 

 

Incontri delle Commissioni

 

       Una delegazione parlamentare georgiana, composta dagli onn. Konstantin Gabashvili (Presidente della Commissione Esteri), Nikoloz Rurua (Vice Presidente della Commissione Affari Giuridici), George Tragamadze (Presidente della Commissione Difesa e Sicurezza e membro dela Commissione Affari giuridici), George Bokeria (Presidente aggiunto della Commissione Affari giuridici e membro della Commissione Difesa e Sicurezza) David Bakradze (Presidente della Commissione per l’Integrazione europea) è stata in visita alla Camera dal 27 al 29 marzo 2007. La delegazione è stata ricevuta dal Presidente della XIV Commissione Politiche comunitarie, on. Franca Bimbi, dal Presidente della Commissione Esteri, on. Umberto Ranieri, e dal Presidente della Commissione Affari Costituzionali, on. Luciano Violante. All’incontro presso la Commissione Esteri hanno partecipato anche gli onn. Margherita Boniver (FI) e Sandra Cioffi (Popolari-UDEUR).

 

I colloqui hanno riguardato i maggiori temi della politica internazionale, nonché le riforme alla Costituzione della Georgia. Il Presidente Ranieri ha dichiarato la propria intenzione di promuovere una missione della Commissione Esteri e del Comitati per i Diritti Umani in Georgia. Anche il Presidente della Commissione Affari Costituzionali, on. Luciano Violante, è stato invitato a compiere una visita in Georgia.

 

 

       Il Presidente della Commissione Affari Esteri, on. Umberto Ranieri, ha ricevuto a Roma, il 25 gennaio 2007, la visita del Ministro degli Affari Esteri della Georgia, Gela Bezhuashvili.

 

Nel corso dell’incontro, è stato trattato soprattutto il tema dell’adesione della Georgia alle organizzazioni euro-atlantiche. Il Ministro degli Esteri ha sottolineato che la Georgia è pronta ad entrare a pieno titolo nella NATO, della quale appoggia la missione in Kosovo[20]. Contingenti del Paese caucasico sono altresì operativi in Afghanistan ed Iraq[21]. La Georgia conta sull’appoggio diplomatico italiano. Il traguardo dell’ingresso nell’Ue è più lontano, e la Georgia auspica una politica di vicinato favorevole, soprattutto in tema di ingressi e di visti per la popolazione georgiana. Il Presidente Ranieri ha a sua volta ricordata la necessità di intensificare i rapporti bilaterali, anche a livello parlamentare. Interpellato a proposito delle regioni secessioniste (Abkhazia e Ossezia), il Ministro degli Esteri ha affermato che i rapporti con la Russia continuano a restare problematici e che occorrerà molto tempo per avviare una normalizzazione. La Georgia, fortunatamente, è riuscita a vincere il suo isolamento energetico e non è più dipendente solo dalla Russia per le forniture. La CSI è un’organizzazione di facciata tenuta in piedi dalla Russia per motivi di orgoglio. In realtà, ha sottolineato il Ministro georgiano, Mosca non può contare più su solidi alleati. Anche la Bielorussia ed il Kazakhstan, un tempo in sintonia con il Cremlino, hanno finito per cambiare rotta.

 

            Il Presidente della Commissione Giustizia, on. Pino Pisicchio, ha ricevuto, il 23 gennaio 2007, l’on. Irakli Kovzanadze e l’on. Levan Bejashvili, rispettivamente Presidente della Commissione Finanze e della Commissione Affari giuridici del Parlamento georgiano. I due parlamentari erano accompagnati dal Vice Capo Missione e dal console georgiano a Roma.

 

Nel corso del colloquio sono stati affrontati i temi della riforma dell’ordinamento penale, particolarmente discussi nei due Paesi e le riforme per lo snellimento delle procedure giudiziarie. Le personalità georgiane hanno illustrato le finalità della loro missione, volta soprattutto ad studiare l’organizzazione ed il funzionamento delle giustizia contabile italiano ed hanno inoltre sottolineato il ruolo svolto da giuristi e magistrati italiani nel sostenere, attraverso le iniziative promosse dall’Unione europea e dal Consiglio d’Europa, i riassetto in senso democratico e garantista del sistema giudiziario georgiano.

 

Il Presidente della Commissione Affari Esteri, on. Umberto Ranieri, ha ricevuto la visita dell’Ambasciatore di Georgia, Zaal GOGSADZE, il 12 ottobre ed il 19 dicembre 2006.

 

Ranieri ha confermato l’apertura del Governo italiano rispetto ad un possibile ingresso della Georgia nella Nato, nonché l’impegno a costituire un gruppo di collaborazione parlamentare.

 

            Il Vice Primo Ministro della Georgia e Ministro per l’integrazione euro-atlantica, Georgi Baramidze, è stato in visita alla Camera dall’11 al 13 luglio 2006. E’ stato ricevuto dal Vice Presidente della Camera, on. Carlo Leoni, dal  Presidente della Commissione Affari Esteri, on. Umberto Ranieri, dal Presidente della Commissione Politiche per l’Unione europea, on. Franca Bimbi, e dal Presidente della Commissione Difesa, on. Roberta Pinotti.

 

Nel corso degli incontri, Baramidze ha esposto i progressi compiuti dal Paese caucasico sia in campo economico, sia nel campo delle riforme, riconosciuti anche a livello internazionale. Restano comunque irrisolti i principali problemi della Georgia, quali l’approvvigionamento energetico, le regioni separatiste ed i difficili rapporti con la Russia. Baramidze ha ricordato che è fermo interesse della Georgia l’ingresso nelle strutture euro-atlantiche, innanzi tutto nella NATO, cui è necessario ovviamente arrivare a piccoli passi. Il Presidente della Commissione Esteri, Ranieri, ha concordato sulla necessità di sviluppare il dialogo parlamentare. Il Vice Presidente della Camera, Leoni, ha ricordato a Baramidze come anche l’Italia sia stata afflitta da problemi di corruzione, soprattutto negli ’90 ed ha apprezzato il realismo del Ministro georgiano. Alla Presidente della Commissione Politiche per l’Unione europea, Bimbi, Baramidze ha ricordato come l’esperienza democratica georgiana sia determinante per promuovere processi democratici in tutti i Paesi dell’area e come sia forte la volontà georgiana di giungere ad una risoluzione della questione del separatismo in base alle decisioni approvate dall’OSCE. La Presidente della Commissione Difesa, Pinotti, la quale ha espresso il proprio favore sull’allargamento della NATO ad est.

 

 

Cooperazione multilaterale

Le relazioni parlamentari con la Georgia si sviluppano anche in ambito multilaterale; infatti è membro delle Assemblee parlamentari dell’OSCE e del Consiglio d’Europa nonché all'Assemblea parlamentare della NATO.


 

Rapporti parlamentari Italia Armenia

 

 

 

RAPPRESENTANZE DIPLOMATICHE

 

Ambasciatore d’Italia in Armenia: Massimo LAVEZZO CASSINELLI

 

Ambasciatore dell’Armenia  in Italia: Rouben SHUGARIAN

 

 

 

DISEGNI DI LEGGE DI RATIFICA DI TRATTATI INTERNAZIONALI ALL’ESAME DEL PARLAMENTO

S.1585 / C.2932

Ratifica ed esecuzione della Convenzione tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo della Repubblica di Armenia per evitare le doppie imposizioni in materia di imposte sul reddito e sul patrimonio e per prevenire le evasioni fiscali, con Protocollo aggiuntivo, fatta a Roma il 14 giugno 2002.

Approvato dal Senato. Trasmesso alla Camera il 19 luglio 2007. Assegnato alla III Commissione permanente (Affari esteri e comunitari) in sede referente il 30 luglio 2007. In corso di esame. Pareri delle Commissioni 1ª (Aff. costit.), 2ª (Giustizia), 5ª (Bilancio), 6ª (Finanze), 7ª (Cultura), 10ª (Att. produt.), 11ª (Lavoro).

 

 

 

 

COMMISSIONI PARLAMENTARI

Il Presidente della Commissione Affari esteri (III) Umberto Ranieri ha incontrato, il 13 settembre 2007, Rouben Shugarian, Ambasciatore della Repubblica armena in Italia.

Tra i principali temi oggetto dell’incontro la situazione nel Nagorno Karabak, i rapporti con la NATO e le relazioni con la Turchia.

 

 

 

MISSIONI DI OSSERVAZIONE DELLE ELEZIONI

Alle elezioni politiche del 12 maggio 2007 ha partecipato una delegazione parlamentare della Camera dei deputati: l’on. Gianni FARINA (Ulivo) della delegazione OSCE e l’on. Andrea RIGONI (Ulivo), Presidente della delegazione del Consiglio d’Europa .

 

 

 

COOPERAZIONE MULTILATERALE

L’Armenia è membro dell’Assemblea parlamentare dell’OSCE e del Consiglio d’Europa, mentre ha lo status di membro associato presso l’Assemblea parlamentare della NATO. Nell’ambito del Consiglio d’Europa, nell’aprile 2007  è stata approvata una risoluzione nella quale si invitano, con riferimento al conflitto nel Nagorno-Karaback, Armenia ed Azerbaijan ad accettare le misure attualmente in fase di negoziazione. 

 

 

 

 

 

 


Rapporti parlamentari Italia Azerbaigian

 

 

 

RAPPRESENTANZE DIPLOMATICHE

 

Ambasciatore d’Italia in Azerbaijan: Gian Luigi MASCIA

 

Ambasciatore d’Azerbaijan  in Italia: Emil Zulfgar Oglu KARIMOV

 

 

 

DISEGNI DI LEGGE DI RATIFICA DI TRATTATI INTERNAZIONALI
ALL’ESAME DEL PARLAMENTO

Al momento, non vi è alcun disegno di legge di ratifica di trattati internazionali riguardanti l’Azerbaijan all’esame del Parlamento.

 

 

INCONTRI DELLE COMMISSIONI

Il Presidente della Commissione Affari esteri (III) Umberto Ranieri ha incontrato, il 13 settembre 2007, Emil Zulfugar Oglu Karimov, Ambasciatore della Repubblica azera in Italia.

I temi dell’incontro hanno riguardato la prossima visita della Commissione nel Caucaso; ci si è poi soffermati sulla situazione nel Nagorno Karaback e sul ruolo dell’OSCE, sulle relazioni con la NATO  e con l’Unione europea.

Si ricorda che un precedente incontro tra il Presidente Ranieri e l’Ambasciatore Karimov aveva avuto luogo alla Camera dei deputati il 30 gennaio 2007 in occasione della visita del Presidente della Commissione per i rapporti interparlamentari e relazioni internazionali del Parlamento dell'Azerbaigian, Samad Seyidov.

Il colloquio con il Presidente Seydov si è incentrato sul tema dell’approvvigionamento energetico e la questione dei conflitti interni che contrappongono il suo paese soprattutto all’Armenia (Nagorno-KARABAKH). Da parte sua, l’on. Samad Seyidov, ha insistito sulla necessità di trovare un accordo con l’Armenia che però, allo stato attuale, appare un traguardo molto lontano; egli ha altresì sottolineato come i conflitti esistenti rendono molto difficile l’auspicato l’avvicinamento del suo paese all’Unione europea. 

In pari data l’on. Samad Seyidov ha incontrato anche il Presidente della delegazione italiana presso l’Assemblea del Consiglio d’Europa, on. Andrea Rigoni, e l’Ufficio di Presidenza della stessa.

Nel corso dell’incontro, nel quale sono stati affrontate le questioni emerse con l’on. Ranieri, l’on. Rigoni si è fatto latore della proposta avanzata dal governo italiano per “una moratoria universale delle esecuzioni capitali” che la nostra delegazione sostiene in ambito dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa. 

Il 13 luglio 2006, il Presidente della Commissione Esteri, on. Umberto Ranieri, ha ricevuto la visita dell’Ambasciatore dell’Azerbaijan, Emil Karimov.

Nel corso del colloquio è stata ravvisata l’opportunità di sviluppare le relazioni parlamentari attraverso lo scambio di visite tra Presidenti delle Commissioni esteri. L’Ambasciatore ha quindi ricordato il conflitto irrisolto nel Nagorno-Karabah ed ha invitato Ranieri a ricostituire il gruppo di amicizia parlamentare.

 

 

 

COOPERAZIONE MULTILATERALE

L’Azerbaijan è membro dell’Assemblea parlamentare dell’OSCE e del Consiglio d’Europa, mentre ha lo status di membro associato presso l’Assemblea parlamentare della NATO. Nell’ambito del Consiglio d’Europa, nell’aprile 2007  è stata approvata una risoluzione nella quale si invitano, con riferimento al conflitto nel Nagorno-Karaback Azerbaijan ed Armenia ad accettare le misure attualmente in fase di negoziazione. 

 

 


Armenia – La questione del genocidio
(a cura del Mae)

 

L'idea di indipendenza e di unità nazionale dell'Armenia moderna è in parte fondata, secondo una percezione diffusa tra la popolazione e sostanzialmente incoraggiata dalle autorità, sulla commemorazione del genocidio perpetrato nel 1915 dall'Impero ottomano ai danni della popolazione armena. Uno dei prioritari obiettivi politici della Repubblica di Armenia è l'ottenimento del riconoscimento, su scala internazionale, del genocidio, con relativa ammissione di responsabilità e presentazione di scuse da parte della Turchia.

Sia il governo di Jerevan che le influenti comunità armene residenti all’estero (di rilievo soprattutto quelle stabilite negli Stati Uniti ed in Francia) si battono da tempo per tale riconoscimento. Alle pronunce in tal senso emesse dagli organi legislativi di taluni Paesi, così come da organismi ed enti territoriali, fanno regolarmente seguito le proteste ufficiali del governo turco.

Come noto, dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica e la ritrovata indipendenza, l’Armenia ha allacciato relazioni diplomatiche con numerosissimi Stati, ma non con la Turchia. Ogni anno, all'approssimarsi della ricorrenza del genocidio (24 aprile), il termometro dei rapporti turco-armeni tende a surriscaldarsi. In questo quadro, va salutata con soddisfazione l’iniziativa adottata da qualificati ambienti accademici turchi per lo svolgimento di un seminario sul tema, iniziativa fortemente avversata dai partiti conservatori e filo-nazionalisti.

Il 90° anniversario della drammatica scomparsa di centinaia di migliaia di armeni nel 2005 ha riportato il tema d’attualità. La Turchia ha proposto la formazione di una commissione mista di storici per ricostruire i fatti e chiesto al Parlamento britannico di riesaminare il Blue Book stilato durante la Grande Guerra, sotto l’egida del governo di Londra, da Lord Bryce e da Arnold J. Toynbee.

Il genocidio ha contribuito allo sradicamento della popolazione armena dal territorio storicamente abitato ed alla disseminazione di varie comunità (“diaspora”) in pressoché tutti e cinque i continenti. L'Armenia moderna occupa uno spazio fisico solo parzialmente coincidente con la "patria" storicamente percepita.

In Italia hanno riconosciuto il genocidio alcuni Consigli Comunali (Milano nel 1997, Firenze e Venezia nel 1998, Roma e Belluno nel 2000), chiedendo al governo italiano di procedere al riconoscimento e di adoperarsi presso le sedi internazionali, in particolare l'Unione Europea, per ottenere dal governo turco un analogo atto, in assenza del quale la stessa Unione non avrebbe potuto accettare la Turchia tra i propri membri.

Il 16 novembre 2000 la Camera dei Deputati ha approvato una mozione che prende atto di una risoluzione del Parlamento Europeo che incoraggia il governo turco a intensificare i suoi sforzi di democratizzazione, affrontando in particolare questioni che riguardano il popolo armeno, tra cui l’invito al riconoscimento del genocidio ai danni della minoranza armena, commesso anteriormente allo stabilimento della moderna Repubblica turca".

La mozione in parola impegna il governo “ad adoperarsi per il completo superamento di ogni contrapposizione tra popoli e minoranze diverse nell'area al fine di creare le condizioni, nel rispetto dell'integrità territoriale dei due Stati, per la pacifica convivenza e la corretta tutela dei diritti umani nella prospettiva di una più rapida integrazione della Turchia e dell'intera regione nell'Unione Europea”.

 

La Turchia ha posto, come uno dei prerequisiti per la normalizzazione dei rapporti bilaterali (attualmente Ankara non ha relazioni diplomatiche con Jerevan) la rinuncia da parte del governo armeno alla pretesa del riconoscimento da parte turca del genocidio del 1915. Per l’Armenia, invece, la questione del genocidio non deve essere legata alla normalizzazione delle relazioni: Jerevan infatti auspica che il tema possa essere affrontato a livello politico successivamente al ristabilimento delle relazioni diplomatiche. Per questo motivo Jerevan ha sempre rifiutato la proposta turca, ricordata sopra, di affidare la soluzione della controversia ad una commissione di storici.

 


Il conflitto congelato per il Nagorno Karabakh
(a cura del Mae)

PRECEDENTI STORICI

-          Il Nagorno-Karabakh scelse la secessione dall’Azerbaigian per riunirsi all’Armenia nel 1989 provocando un conflitto armato iniziato nel 1992 e costato nel complesso 30.000 vite ed un milione di profughi.

-          Il “cessate-il-fuoco” del maggio 1994 è tuttora in vigore nonostante sporadici scontri lungo la linea di contatto tra i territori occupati ed il resto dell’Azerbaijan. Il “cessate il fuoco” e’ sostanzialmente rispettato anche senza la presenza di forze internazionali di peacekeeping.

-           

 

SITUAZIONE ATTUALE

-          Il processo di pace segue da anni vicende alterne ma a tutt’oggi il possibile compromesso è impedito dalle contrapposte rigidità negoziali. La posizione armena continua ad essere caratterizzata dall’inflessibilità propria di chi gode di una posizione di forza sul terreno. Il Governo di Baku continua a ribadire che il principio del rispetto dell’integrità territoriale del suo Paese ed il ritorno dei rifugiati nei luoghi d’origine costituiscono precondizioni non negoziabili.

-          Nella prima meta’ del 2006 si erano registrati alcuni progressi: le autorità armene avevano fatto stato della loro disponibilità al ritiro da alcuni territori prima considerati “incedibili” (in particolare Kelbajar, di estrema importanza strategico-militare), in cambio del consenso azero a fissare una data certa per un referendum sull’autodeterminazione. Da parte azera sembro’ esistere una disponibilità di fondo allo svolgimento di tale referendum. Ma non ci furono sviluppi decisivi.

-          La “finestra d’opportunità” apertasi in assenza di eventi elettorali nei due Paesi si è tuttavia di recente chiusa in vista delle consultazioni politiche in Armenia poi svoltesi nel maggio 2007.

-          Infatti, i piu’ recenti Vertici tra Kocharian ed Aliev nel 2006  (a Rambouillet in febbraio, a Bucarest in giugno, a Minsk in novembre) non hanno prodotto alcuna svolta nel processo di pace anche se tali incontri (e quelli paralleli tra i Ministri degli Esteri: il cosiddetto “processo di Praga”) contribuiscono a mantenere vivo un dialogo facilitato peraltro dai negoziatori internazionali (la co-Presidenza franco-russo-americana del “Gruppo di Minsk” OSCE).

-          In previsione delle elezioni presidenziali azere nel 2008 non sono da attendersi evoluzioni significative verso la risoluzione del conflitto.

-          Un possibile ostacolo ad una pacifica soluzione della controversia e’ rappresentato dal tentativo azero di superare l’attuale formato negoziale coinvolgendo l’ONU nel dossier Karabakh: nel settembre 2006 Baku è riuscita a far inserire, con il sostegno degli altri Paesi del Gruppo GUAM (Georgia, Ucraina, Moldova), un punto sui "frozen conflicts" nell'agenda dell'Assemblea Generale. L’Italia, insieme alla maggior parte dei PAESI UE, si è astenuta nella votazione ritenendo che non sia opportuna una variazione del quadro negoziale. L’Armenia minaccia di abbandonare il negoziato attualmente in corso nel contesto del Gruppo di Minsk se ciò dovesse portare a decisioni e/o voti da parte della UNGA e/o del Consiglio di Sicurezza.

 

RUOLO DELLE ORGANIZZAZIONI INTERNAZIONALI

-          L’OSCE è, attraverso la co-Presidenza del “Gruppo di Minsk”, l’unico foro negoziale riconosciuto da entrambe le Parti. La Presidenza OSCE ha anche un rappresentante speciale per il conflitto nagornino, il polacco Andrzej Kasprzyk. Nel gennaio 2006 l’OSCE ha organizzato una missione di valutazione ambientale in Nagorno Karabakh per verificare le cause degli incendi che gli azeri avevano ricondotto ad atti dolosi da parte armena.

-          L’ONU non è coinvolta nella crisi nagornina nonostante i già ricordati tentativi azeri di aprire nuovi fori negoziali.

-          Del tutto marginale la presenza UE, a parte l’attività del Rappresentante Speciale per il Caucaso Meridionale Peter Semneby, attività che comunque e’ più concentrata sui due conflitti congelati in Georgia (Abkhazia e Ossezia meridionale).

 



[1]    V. capitolo su “I conflitti congelati”.

[2]    Organizzazione per la Democrazie e lo Sviluppo economico, di cui fanno parte Georgia, Ukraina, Azerbaijan e Moldova.

[3]    V. il paragrafo sul Conflitto del Nagorno-Karabakh.

[4]    Storicamente, la parte del distretto di Prigorodnyj situata sulla riva destra del fiume Terek era parte dell'Inguscezia, ma fu assegnata all'Ossezia nel 1944 a seguito delle deportazioni degli ingusci in Asia centrale volute da Stalin. Benché fu loro permesso di tornare sulla loro terra, il territorio non è mai stato restituito all'Inguscezia, causando notevole tensione nell'area. Una legge locale approvata nel 1982 di fatto proibisce agli ingusci di ottenere permessi di residenza nella repubblica. Il massiccio arrivo di profughi osseti dal sud nei primi anni novanta ed i conseguenti scontri tra i due gruppi ha spinto molti ingusci a tornare in Inguscezia. Benché gli sforzi prodotti sembrano aver raffreddato il problema dei profughi, il conflitto tra le due repubbliche è ancora aperto.

[5]    Esponente osseto rivale del Presidente Kokoity, Sanakoev è risultato vincitore nella elezione alternativa del novembre 2006.

[6]    Il caso non è isolato: un numero considerevole di abitanti della Ossezia meridionale ha passaporto russo.

[7]    Il 22 gennaio 2007 il tribunale di Bitumi ha condannato Abashidze – contumace - a 15 anni di carcere per abuso d’ufficio e appropriazione indebita di fondi pubblici. Abashidze è inoltre accusato dell’omicidio del deputato Nodar Imnadze.

[8]     Con un’affluenza dell’87%, il testo è stato approvato con il 98,6% delle preferenze. L’Azerbaigian, l’Unione Europea, il Consiglio d’Europa, l’OSCE (Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa) e il GUAM (associazione regionale che unisce Georgia, Ucraina, Azerbaigian e Moldova) hanno preferito non riconoscere la validità del voto. Tuttavia per la popolazione della regione del Nagorno-Karabakh il valore simbolico del referendum è notevole. Il giorno della votazione, infatti, coincideva esattamente con il 15° anniversario del precedente referendum che aveva sancito l’indipendenza del Nagorno-Karabakh e dato inizio alla guerra con l’Azerbaigian (sebbene le tensioni fossero già cominciate nel 1988). L’articolo 142 del documento definisce la Repubblica del Nagorno-Karabakh come “uno Stato sovrano, democratico, legittimo e sociale” che detiene tutti i poteri necessari all’amministrazione del proprio territorio

[9]     Bielorussia, Moldova, Ucraina.

[10]   Algeria, Autorità palestinese, Egitto, Giordania, Israele, Libano, Libia, Marocco, Siria, Tunisia.

[11]   Armenia, Azerbaigian e Georgia.

[12]   COM(2003)104.

[13]   COM(2003)393

[14]   COM(2004) 373.

[15]     Regolamento CE 1638/2006 del 24 ottobre 2006. Il nuovo strumento dispone di una dotazione finanziaria di 11 miliardi di euro per l’intero periodo.

[16]    Sono in vigore: gli accordi euromediterranei di associazione con Tunisia (1° marzo 1998), Marocco (1° marzo 2000), Israele (1° giugno 2000), Giordania (1° maggio 2002), Egitto (1° giugno 2004), Algeria (1° settembre 2005) e Libano (1° aprile 2006); l’accordo interinale d’associazione sugli scambi e la cooperazione con l’Organizzazione per la liberazione della Palestina a vantaggio dell’Autorità palestinese (1° luglio 1997); gli accordi di partenariato e cooperazione con Armenia, Azerbaigian, Georgia (1° luglio 1999), Moldova e Ucraina (1° luglio 1998).

[17]    I piani d’azione, negoziati tra la Commissione e le autorità del singolo paese, devono essere approvati dal Consiglio e in seguito sottoscritti dai rispettivi consigli di associazione o di cooperazione istituiti dagli accordi bilaterali.

[18]   COM(2006)726. La comunicazione è accompagnata dalle relazioni sullo stato di attuazione dei piani d’azione di Autorità palestinese, Giordania, Israele, Marocco, Moldova,Tunisia ed Ucraina.

[19]    TAIEX (Technical Assistance and Information Exchange) è un programma della direzione generale allargamento della Commissione europea destinato ad assistere i nuovi Stati membri, i paesi candidati e potenziali candidati, nonchè i paesi della PEV nell’adeguamento della legislazione nazionale al diritto comunitario.

[20]   La Brigata Multinazionale Sud Ovest (ex KFOR) ha alle proprie dipendenze anche unità provenienti da Spagna, Romania, Argentina, Bulgaria, Austria, Svizzera, Turchia, Georgia, Azerbaijan e Germania.

[21]   Il Presidente Saakashvili ha annunciato il 4 marzo l’intenzione di inviare rinforzi in Iraq, che si aggiungeranno agli 850 militari già schierati nel Paese.