Camera dei deputati - XV Legislatura - Dossier di documentazione
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Autore: | Servizio Studi - Dipartimento affari esteri |
Titolo: | Le cinque Repubbliche ex sovietiche dell¿Asia centrale (Kazakhstan, Kyrghyzstan, Tagikistan, Turkmenistan, Uzbekistan) - Parte I |
Serie: | Documentazione e ricerche Numero: 102 |
Data: | 25/10/2007 |
Organi della Camera: | III-Affari esteri e comunitari |
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Camera dei deputati |
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XV LEGISLATURA |
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SERVIZIO STUDI |
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Documentazione e ricerche |
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Le cinque Repubbliche ex sovietiche dell’Asia centrale |
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(Kazakhstan, Kyrghyzstan, Tagikistan, Turkmenistan, Uzbekistan) |
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n. 102 |
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Parte I |
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25 ottobre 2007 |
Dipartimento affari esteri
SIWEB
I dossier dei servizi e degli uffici della Camera sono destinati alle esigenze di documentazione interna per l'attività degli organi parlamentari e dei parlamentari. La Camera dei deputati declina ogni responsabilità per la loro eventuale utilizzazione o riproduzione per fini non consentiti dalla legge.
File: es0144a
INDICE
Le Repubbliche ex sovietiche dell’Asia centrale
§ Caratteristiche comuni ed elementi differenziali
§ Le 5 Repubbliche dal 1991 ad oggi: quadro di sintesi
§ Radicalismo islamico e traffico internazionale di droga
§ L’Europa
- Kazakhstan
- Kyrgyzstan
- Tagikistan
- Turkmenistan
- Uzbekistan
§ BBC News: Country Profile and A chronology of key events
- Kazakhstan
- Kyrgyzstan
- Tajikistan
- Turkmenistan
- Uzbekistan
Pubblicistica
§ A. Ferrari, L’Unione europea e l’Asia centrale, ISPI Working Paper n. 22, settembre 2007
§ S. Tosi, Le risorse energetiche e le economie centroasiatiche, ISPI Working Paper n. 21, settembre 2007
§ P. Sartori, L’Islam in Asia centrale tra recupero della tradizione e movimenti radicali: il caso uzbeco, ISPI Working Paper n. 20, settembre 2007
§ M. Fumagalli, La dimensione strategica dell’Asia centrale tra Russia, Cina e Usa, ISPI Working Paper n. 18, settembre 2007
§ F. Indeo, Il Turkmenistan nell’era post-Niyazov, in: ISPI Policy Brief n. 57, luglio 2007
§ G. Friedman, The Geopolitics of Turkey, in: Stratfor, 31 luglio 2007
§ EU: A New Natural Gas Pipeline, a New Hope, in: Stratfor, 25 luglio 2007
§ Kazakhstan, Russia: Moscow’s Pipeline Attack, in: Stratfor, 13 luglio 2007
§ B. McAllister, J. Khersonsky, Trade, Development, and Nonproliferation: Multilevel Counterterrorism in Central Asia, in: Studies in Conflict & Terrorism, luglio 2007
Parte II
§ M. Fumagalli, Framing Ethnic Minority Mobilisation in Central Asia: The Cases of Uzbeks in Kyrgyzstan and Tajikistan, in: Europe-Asia Studies, giugno 2007
§ M. Fumagalli, Alignments and Realignments in Central Asia: The Rationale and Implications of Uzbekistan’s Rapprochement with Russia, in International Political Science Review n. 3/2007
§ S. Peyrouse, Nationhood and the Minority Question in Central Asia. The Russians in Kazakhstan, maggio 2007
§ S. Peyrouse , Asie Centrale: La fin d’une époque?, in: Politique Internationale, n. 115/2007
§ M. Laruelle , Asie Centrale: Le retour de la Russie, in: Politique Internationale, n. 115/2007
§ V. A. Dukhovny, Acqua e globalizzazione: studio analitico dell’Asia Centrale, in: Acque e Terre n. 2/2007
§ A. Mateeva, Return to Heartland: Russia’s Policy in Central Asia, in: The International Spectator, marzo 2007
§ S. Grazioli, Torna il Grande Gioco all’ombra dell’energia, in: IdeAzione gennaio/febbraio 2007
§ N. J. Jackson, International Organization, Security Dichotomies and the Trafficking of Persons and Narcotics in Post-Soviet Central Asia: A Critique of the Securitization Framework, in: Security Dialogue settembre 2006
§ A. Matveeva, EU stakes in Central Asia, in: Challot Paper n. 91 luglio 2006
§ Z. Baran, S. F. Starr, S. E. Cornell, Islamic Radicalism in Central Asia and the Caucasus: Implications for the EU, in: Central Asia-Caucasus Institute and Silk Road Studies Program, luglio 2006
§ K. Kaya, Impatto su Caucaso e Asia centrale dell’adesione turca all’UE, in: Acque e Terre n. 3/2006
§ S. Peyrouse, L’Asie centrale quinze ans après l’indépendance: un bilan en demi-teinte, in: Politique étrangère n. 2/2006
§ M. Brill Olcott, The Great Powers in Central Asia, in: Current History, ottobre 2005
§ B. Shaffer,, From Pipedream to Pipeline: A Caspian Success Story, in: Current History, ottobre 2005
Documentazione
§ Assemblea dell’Unione dell’Europa occidentale, Assemblea interparlamentare europea della sicurezza e della difesa, Raccomandazione n. 790, La sicurezza e la stabilità in Asia centrale
§ Consiglio dell’Unione Europea, Azione Comune 15 febbraio 2007 n. 113
§ Rapporto del Comitato dei Rappresentanti Permanenti al Consiglio dell’Unione Europea, The EU and Central Asia: Strategy for a New Partership, 31 maggio 2007
§ Comunità Europea, Regional Strategy Paper for Assistance to Central Asia for the period 2007-2013
Le 5 Repubbliche ex sovietiche Uzbekistan, Kazachstan, Tagikistan, Kirghizistan e Turkmenistan fanno geograficamente parte di un’area – tradizionalmente denominata Asia Centrale e collocata sul confine fra Europa e Asia - nella quale sono compresi anche l’Afghanistan e il Pakistan. L’Asia centrale, così considerata, ha una superficie complessiva di 5.445.000 Kmq e una popolazione di 240 milioni di abitanti.
Delle 5 Repubbliche ex sovietiche, la maggiore in termini di superficie è il Kazakhstan (2,7 milioni di Kmq). In termini di popolazione, invece, le principali sono l’Uzbekistan (27,8 milioni di abitanti) e il Kazakhstan (15,4 milioni), mentre si collocano su una scala inferiore il Tagikistan con 6,3 milioni, il Kyrghyzstan con 5,9 milioni e il Turkmenistan con 5 milioni di abitanti. Nella Valle di Ferghana (alla cui rilevanza politica si farà cenno nel seguito di questa scheda), politicamente divisa in una parte in territorio uzbeko e due parti minori in territorio khirgizo e tagiko, vi è una densità di popolazione otto volte superiore alla media dell’intera area, con un totale di 12 milioni di abitanti.
In termini di risorse naturali, si può tracciare una linea di demarcazione da Nord a Sud, approssimativamente collocata nella parte centrale dell’area occupata dalle 5 Repubbliche: a Ovest di tale linea (e quindi nella parte occidentale del Kazachstan, in Uzbekistan e in Turkmenistan) ci sono i più importanti giacimenti di gas naturale e petrolio, mentre ad Est di tale linea (e quindi nel Kazachstan orientale, in Tagikistan e Kyrghyzstan) sono presenti le principali risorse idriche che scarseggiano invece nella parte occidentale. Non vanno comunque sottovalutate altre importanti risorse naturali, quali uranio in Kazachstan e Uzbekistan, oro in Kyghyzstan e Uzbekistan, cotone in Uzbekistan.
I confini delle 5 Repubbliche furono disegnati dall’Unione Sovietica nel 1920, ma in quell’occasione non grande considerazione fu tenuta sia degli aspetti etnici che linguistici (esistono minoranze tagike e kirghize in Uzbekistan così come minoranze uzbeke in Tagikistan e Kyrghyzstan; minoranze russe sono presenti poi in tutte le 5 Repubbliche). Conflitti e tensioni interetniche sono – più o meno – presenti in tutti i 5 paesi (ad eccezione, forse, del Turkmenistan). E’ questo un primo motivo all’origine di una difficoltà a definire – anche nel campo internazionale – entità nazionali fortemente caratterizzate. In generale, i legami nazionali sono molto meno sentiti di quelli etnici o (soprattutto in Turkmenistan) di quelli tribali.
Oltre a ciò, è possibile individuare numerosi altri elementi comuni alle 5 Repubbliche. Alcuni di questi elementi risalgono alla lunga e recente dominazione sovietica, altri hanno radici più antiche. Fra questi ultimi – anche per il rilievo che l’aspetto religioso assume oggi negli equilibri geopolitici – deve essere ricordato il carattere specifico dell’Islam dell’Asia centrale, con la forte impronta sufi (quindi mistica e quietista, riluttante ad interpretazioni estreme o aggressive del Corano). Fra i lasciti dell’era sovietica si possono invece annoverare, prima di tutto i gruppi dirigenti autoritari e corrotti (che, tranne che in Kirghizistan, sono transitati senza soluzione di continuità dal comunismo al post-comunismo). Scendendo a livello di società, un lascito in comune è la diffusa secolarizzazione (sia pure oggi in fase regressiva). Il collasso dell’Unione Sovietica all’inizio degli anni ’90 ha poi determinato la distruzione di capacità produttive, il crollo degli scambi commerciali e – più in generale – un dissesto economico che si è andato intrecciando con la debolezza strutturale di organizzazioni statuali di recente formazione, caratterizzate da una incapacità a fronteggiare povertà e corruzione e ad assicurare la governance di base (ad esempio, nel settore dell’amministrazione della giustizia).
Quale effetto più recente della vicinanza ad una delle aree di massima instabilità (Afghanistan), si devono menzionare i problemi di sicurezza interna - con fasce non piccole di popolazione coinvolte nel traffico di armi e di droga e in altre forme di criminalità - e la conseguente miscela di attività economiche legali e illegali.
Tuttavia, i summenzionati elementi comuni, non sono sufficienti a giustificare un appiattimento degli elementi differenziali e a sottovalutare – da un lato – le specificità di ciascuna realtà e – dall’altro – i forti elementi di rivalità che esistono fra alcuni di questi paesi.
In realtà ci troviamo di fronte a situazioni molto differenti che potrebbero riassumersi nel modo seguente: Uzbekistan e Turkmenistan sono due stati autoritari retti dai petrodollari, Tagikistan e Kyrghyzstan sono invece due paesi poveri e instabili, il Kazachstan è – fra i 5 – quello tendenzialmente più vicino a standard occidentali. Più in particolare:
L’Uzbekistan è – come si è detto – il paese più popoloso e con un tasso di crescita della popolazione molto elevato (1,7). Presenta anche il maggior grado di omogeneità etnica ed è quello politicamente più influente. Tuttavia è anche il paese che presenta una maggiore permeabilità alla diffusione del radicalismo islamico (soprattutto nell’area della Valle di Ferghana) e i maggiori rischi di instabilità, come testimoniato anche dagli episodi (tuttora oscuri nelle loro cause e nelle conseguenze) verificatisi nel 2005 nella città di Andijan (vedi infra). L’Uzbekistan, inoltre, esprime una conflittualità anche con le repubbliche confinanti (soprattutto con il Tagikistan).
Il
Kazakhstan è – fra le 5 Repubbliche
– quella con il più alto PIL pro capite ($ 2.930). E’ anche il paese con il
territorio più ampio e con il più lungo confine sia con
Forti
potenzialità economiche caratterizzano anche il Turkmenistan,dopo
Il Tagikistan è – fra le 5 Repubbliche – quella con il più basso PIL pro capite ($ 330) e con la più alta percentuale di popolazione sotto la soglia di povertà (64%). La povertà della popolazione si accompagna alla limitatezza delle risorse naturali, e quindi del potenziale economico complessivo: riserve di gas naturale, pur presenti, non sono paragonabili a quelle turkmene. Presenti invece riserve idriche e quindi una attività di produzione di energia idroelettrica.
Infine, il Kyrgyzstan si presenta come un paese anch’esso non ricco di risorse naturali, tranne che nel settore idrico (importa petrolio e gas) e politicamente molto instabile (rivolta popolare del 2005, assassini politici). Nel territorio del Kyrgyzstan meridionale, inoltre, si trova parte della Valle di Ferghana dove operano (ormai quasi del tutto incontrollati) gruppi armati di fondamentalisti.
Immediatamente dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica il paese subì un collasso economico (con il 1994 come anno di maggiore crisi). Il governo è stato comunque in grado di realizzare un programma di privatizzazione a partire dal 1995-1997 e - soprattutto grazie alle enormi ricchezze nel settore energetico – di raggiungere tassi di crescita economica molto alti (attorno all’8% nel periodo 2002-2006 e del 10,6% nel 2006). Oggi – fra i 5 - è il paese che presenta il minor tasso di povertà (19% della popolazione sotto la soglia).
Sul piano politico, Nursultan Nazarbayev
vinse le elezioni presidenziali del dicembre 1991 (non contestate). Nel 1993 venne varata una costituzione che
concedeva ampi poteri al presidente. Il mandato di Nazarbayev è stato
successivamente esteso fino al dicembre 2000 e nel 1995 una nuova costituzione
è stata approvata con referendum. Nel 1998 il mandato presidenziale è stato
nuovamente esteso- da
Il leader del partito comunista uzbeko, Islom Karimov inizialmente sostenne il tentativo di colpo di stato conservatore e antigorbacioviano del 1991. Nello stesso anno, dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica e la proclamazione dell’inipendenza dell’Uzbekistan, Karimov fu eletto presidente. Nel 1995, attraverso un referendum, il mandato quinquennale di Karimov fu esteso per un secondo quinquennio.
Nel 1999 si rende clamorosamente evidente la presenza di un movimento estremista islamico, il Movimento Islamico dell’Uzbekistan (MIU), con un sanguinoso attentato nella capitale Tashkent, e con la dichiarazione dell’inizio della jihad nel paese.
Nel 2000, allo scadere del mandato presidenziale, si svolgono nuove elezioni presidenziali dirette (giudicate dagli osservatori non libere) vinte nuovamente da Karimov.
Nell’ottobre 2001 (a seguito degli attentati di New York) l’Uzbekistan concede agli Stati Uniti la possibilità di utilizzare basi aeree per incursioni in Afghanistan.
Nel
2002 Karimov riesce ad ottenere l’estensione del mandato da
Nel luglio 2004 si verificano attentati suicidi alle ambasciate americana e israeliana di Tashkent.
Nel maggio 2005 si verificano i gravi episodi insurrezionali ad Andijan. Tuttora non si conosce il numero di morti (secondo alcune fonti sarebbero oltre mille).
Nel paese dal 1985 è stato al potere Separmyrat Nyazov, prima come massimo esponente del partito comunista e, dopo la proclamazione di indipendenza del 27 ottobre 1991, come primo presidente della repubblica indipendente. Pur avendo messo mano a qualche moderata riforma economica, Nyazov è stato l’artefice di una impalcatura statale caratterizzata da autoritarismo, esasperato culto della personalità - nel 1993 si è autoproclamato Turkmenbashi, ossia guida di tutti i turkmeni, e nel 1999 il parlamento (Mejilis) lo ha designato presidente a vita – e perseguendo, in politica internazionale, una linea di neutralità che ha isolato il paese lasciando aperti solo pochi contatti bilaterali legati allo sfruttamento dei giacimenti di gas.
Dal febbraio 2007 il presidente è Kurbanguly Berdymukhamedov che ha ottenuto, in elezioni giudicate dagli osservatori internazionali non rispondenti ai canoni di regolarità richiesti, l’89% dei consensi. Berdymukhamedov era vice premier dal 2001, e ancora prima aveva ricoperto la crica di ministro della salute (alla quale sarebbe stato chiamato in quanto dentista personale di Nyazov). Le modalità della successione a Nyazov non appaiono di chiarezza adamantina; poco prima della morte del premier - che peraltro da molto tempo era gravemente malato - avvenuta 21 dicembre 2006, con una tempistica da più parti giudicata sospetta, lo speaker del Parlamento era stato arrestato e Berdymukhamedov ne aveva preso il posto. Pertanto, ai sensi della norma costituzionale, che stabilisce che lo speaker del Mejilis assume la carica di presidente ad interim - allamorte di Nyazov, Berdymukhamedov ha assunto tale carica.
La linea politica della nuova presidenza sembra improntata alla valorizzazione delle immense disponibilità di gas attraverso la costruzione di nuove pipeline – alternative alla rete infrastrutturale esistente, da sempre sotto il controllo russo – per fare del paese un fornitore energetico di primo piano delle economie più affamate di energia, innanzitutto Cina e India, Pakistan, ma anche Europa.
Tra il 1992 e il 1997, quando con la mediazione dell’Onu si giunse alla firma di un accordo di pacificazione nazionale, il paese è stato lacerato da una violenta guerra civile - che hacausato 50 mila vittime e l’esodo di circa un decimo della popolazione – che ha visto contrapposti il governo, appoggiato da Mosca, che reggeva la repubblica indipendente dal 1991 e l’Unione Tagika di Opposizione (UTO), una coalizione di partiti islamici di differente orientamento da democratico-moderato a estremista. L’escalation delle violenze aveva portato, nel settembre 1992, alle dimissioni del primo presidente eletto, Ramon Nabiyev, cui era succeduto il comunista Emomali Rakhmonov che ha ripreso il controllo della situazione e schiacciato l’opposizione politica facendo dichiarare illegali tutti i partiti diversi dal partito comunista. Nella fase di pacificazione che ha seguito l’accordo i leader di opposizione sono potuti rientrare dall’esilio e una serie di emendamenti costituzionali (adottati con referendum nel 1999) ha consentito la formazione di schieramenti politici anche di ispirazione religiosa. In virtù di ciò, caso unico nel panorama dell’Asia Centrale, il “partito della rinascita islamica” fa parte della coalizione di governo e il leader dell’opposizione, Sayed Abdullah Nuri, è uno dei membri dell’esecutivo. Di tale ampiezza della rappresentanza non pare possa giovarsi la dialettica politica, come dimostra l’esito delle elezioni politiche del marzo 2005 (contestate dall’OSCE) dove il partito democratico popolare (PDP) del presidente Rakhmonov si è aggiudicato la quasi totalità dei seggi del parlamento. Le cronache degli ultimi anni, inoltre, riferiscono spesso di condanne - quando non di assassini - di oppositori politici.
Rakhmonov nel
Il
Tagikistan supporta la coalizione Usa antiterrorismo nata dopo l’11 settembre
controllando con forze ingenti i
Benché all’inizio degli anni ’90 gli osservatori accreditassero il paese di potenzialità di sviluppo democratiche abbastanza robuste, anche in relazione al fatto che il primo presidente della neonata repubblica, Askar Akayev, era esponente dell’ala riformista del partito comunista kirghiso, la corruzione e il nepotismo caratterizzanti il quindicennio della presidenza Akayev(1990-2005) hanno rovesciato il pronostico. L’opposizione è stata ridotta al silenzio e le elezioni, presidenziali e parlamentari, sono state sistematicamente falsate. Proprio l’accusa di interferenze del governo nello svolgimento di elezioni parlamentari è stata il detonatore, nel 2005, diuna rivolta popolare che ha le sue radici nell’estrema povertà e nella dilagante corruzione, che impediscono ogni sviluppo economico, e che ha costretto Akayev alle dimissioni. Le elezioni presidenziali del luglio 2005 hanno decretato la vittoria di Kurmanbek Bakiev ma la situazione politica rimane molto tesa e numerosi omicidi coinvolgono personaggi pubblici; ampie e reiterate manifestazioni popolari chiedono, inoltre, un’azione incisiva a contrasto di criminalità e corruzione e l’avvio di una politica di riforme. A seguito di tali pressioni Bakiev, nella nuova Costituzione firmata nel novembre 2006 aveva promosso norme che limitassero i poteri del presidente, modificandole successivamente in senso opposto. Sulla redistribuzione del potere nel paese è tuttora in corso un braccio di ferro tra i diversi attori istituzionali.
Dopo l’11settembre il Kyrgyzstan ha concesso all’esercito americano
l’utilizzo dell’aeroporto di Manas,
nei pressi della capitale Bishkek. Dal 2003 le forze russe di reazione rapida
sono presenti presso la base aerea di Kant,
a soli
Nel bacino del Mar Caspio sono localizzate alcune delle più ricche riserve di petrolio e di gas naturale della terra. Le stime non sono univoche ma, sulla base della produzione effettiva degli ultimi due anni, si calcola che le riserve petrolifere possano collocarsi fra i 17 e i 33 miliardi di barili (equivalenti, rispettivamente, alle riserve del Qatar e degli USA), mentre le riserve di gas possano ammontare a circa 7 miliardi di mc (equivalenti alle riserve dell’Arabia Saudita).
La crescente rilevanza strategica dell’area si è tradotta in un aumento della produzione che finora ha riguardato soprattutto Azerbaijan e Kazachstan, ma che potrebbe in futuro riguardare anche altri paesi, fra cui – in primo piano – Turkmenistan e Uzbekistan.
Inoltre, una questione specifica riguarda i diritti di sfruttamento di tre importanti giacimenti situati – grosso modo – al centro del bacino del Caspio. La contesa coinvolge direttamente Azerbaijan e Turkmenistan, ma sembra che una definitiva composizione della questione non possa prescindere da un accordo fra tutti e 5 gli stati rivieraschi, accordo al quale sembra essere meno disponibile l’Iran. Fino a che non si giungerà ad una soluzione di questa controversia resteranno anche sospese le possibilità di convogliare il gas prodotto in Turkmenistan attraverso i terminali localizzati in territorio azero.
Connessa
agli interessi strategici che ruotano attorno alla produzione (e quindi agli
accordi economici per lo sfruttamento dei giacimenti) è l’altra grande
questione delle infrastrutture di
trasporto degli idrocarburi (pipelines).
Negli ultimi 20 anni sono stati elaborati decine di progetti di oleodotti e
gasdotti, molti dei quali destinati a non vedere mai la luce (per motivi
tecnici o politici). Alcuni invece sono stati effettivamente realizzati o sono
in via di realizzazione. Dato l’uso strategico da parte della Russia delle
proprie risorse energetiche e delle proprie partecipazioni nei consorzi che
gestiscono le pipelines (evidenziatosi
con la crisi ucraina del gennaio 2006), i paesi consumatori europei e i paesi
fornitori dell’Asia centrale hanno registrato in diverse occasioni un interesse comune a bypassare il territorio russo attraverso la costruzione di
infrastrutture che prevedano percorsi più meridionali. Un ruolo strategico di
particolare rilievo assume – in questa prospettiva –
CPC pipeline (Caspian Pipeline Consortium). Oleodotto costruito nel 2001 e in grado di trasportare 540.000 barili al giorno dalla area estrattiva di Tengiz (Kazachstan occidentale) a Novorossyisk (porto russo sul Mar Nero). L’oleodotto è gestito da un consorzio di cui fa parte la società russa Transneft (di proprietà statale) che sta cercando di acquisire (anche attraverso la leva fiscale) il controllo sul board di gestione del consorzio in modo da imporre una politica delle tariffe favorevole agli interessi petroliferi di Mosca. Sull’oleodotto pesa anche la minaccia di una dichiarazione unilaterale di sussistenza del monopolio naturale. Tuttavia azioni di questo genere potrebbero incrinare i rapporti con il Kazachstan e indurre il ricco partner semplicemente a distribuire le proprie risorse attraverso vie alternative.
BTC pipeline (Baku-Tbilisi-Ceyhan). Inaugurato
ufficialmente nel luglio 2006, l’oleodotto più lungo del mondo (dopo il Druzhba
pipiline che collega
Kazakhstan-China pipeline. Il Kazachstan ha accresciuto la rete delle proprie infrastrutture energetiche anche in direzione della Cina con l’oleodotto che collega la città di Atasu (Kazachstan orientale) con il nodo ferroviario di Alashankou (Xinjiang), completato nel 2005. L’oleodotto ha una capacità iniziale di trasporto di 200.000 barili al giorno (che dovrebbe gradualmente raggiungere i 400.000) ed ha consentito, nel primo anno di esercizio, di trasportare in Cina 4 milioni di tonnellate di petrolio prodotto in Kazachstan.
Di
importanza strategica anche la rete di
gasdotti in grado di convogliare – senza attraversare territorio russo – la
crescente produzione di gas delle 5 Repubbliche (e soprattutto del
Turkmenistan, secondo produttore dopo
Nella
prima direzione si muove il progetto del gasdotto Nabucco,che vede
coinvolte Turchia ed UE e che dovrebbe unire, con un percorso di
Mentre i lavori per il gasdotto Nabucco non sono ancora iniziati, è invece ormai ultimato il primo tratto (che collega Turchia e Grecia) del gasdotto Turchia-Grecia-Italia (Corridoio ITGI)che collegherà l’area di produzione di Shah Deniz (Azerbaijan) con le coste pugliesi, ma attraverso il quale potranno essere convogliate anche risorse provenienti dall’Iran e da Turkmenistan. L'accordo intergovernativo per il corridoio ITGI – che prevede lo sviluppo di un sistema di gasdotti per l'importazione di gas naturale dal Caspio e dal Medio Oriente verso l'Europa - è un progetto strategico che consentirà l'aumento della sicurezza energetica europea e la diversificazione delle fonti di approvvigionamento del gas, incrementando al tempo stesso la concorrenza nel settore.
Per quanto riguarda invece la direttrice orientale, nell’aprile 2006 è
stato solennemente firmato un importante accordo fra Turkmenistan e Cina per un gasdotto che dovrebbe essere completato
entro il 2009. L’infrastruttura (per la quale è stato realizzato uno studio di
fattibilità) dovrebbe convogliare 30 miliardi di mc all’anno di gas per i
prossimi 30 anni e rappresenterebbe una forte minaccia al monopolio che finora
Infine, un progetto di gasdotto (reso però aleatorio dalle condizioni di permanenti instabilità in Afghanistan) fu elaborato negli anni ’90 per trasportare il gas del Turkmenistan in Pakistan e nel redditizio mercato dell’India.
Fra
le risorse energetiche dell’Asia centrale devono infine essere comprese, non
solo le riserve di uranio (presenti
soprattutto in Kazakhstan e Uzbekistan), ma anche le notevoli risorse idroelettriche sul cui
controllo
Il controllo delle risorse idroelettriche dell’Asia centrale, in combinazione con il controllo del sistema infrastrutturale per il trasporto di gas e petrolio assicurerebbe alla Russia una posizione strategica di predominio. In proposito, occorre ricordare che nell’ex URSS erano stati ottenuti notevoli successi – proprio in Asia centrale – nel campo della bonifica e della gestione idrica. Nell’idroingegneria l’URSS aveva una posizione di rilievo a livello mondiale (che trovò conferma e fu rilanciata dalla costruzione della Grande Diga di Assuan sul Nilo). Nei territori delle 5 Repubbliche il patrimonio infrastrutturale nel settore idrico ereditato dall’era sovietica è stato parzialmente distrutto durante gli anni della transizione (anche attraverso politiche di privatizzazione sostenute indiscriminatamente dalle istituzioni finanziarie internazionali e non sempre adeguatamente bilanciate e mirate). Ciò ha avuto effetti negativi anche sull’agricoltura irrigua. Tuttavia, rimangono ancora grandi opere (sistemi di regimentazione, grandi reti di irrigazione e soprattutto grandi dighe) che rendono il business dell’energia elettrica ancora molto appetibile, soprattutto in Tagikistan e Kyrgyzstan.
Il crollo del
Per cogliere le specificità dell’islamismo in Asia centrale occore in primo luogo considerare che la situazione religiosa di questi paesi è molto diversa da quella dei paesi arabi: in Kazachstan e Kyrgyzstan c’è una considerevole presenza di non musulmani (rispettivamente 63% e 25%). Qui, ma in misura minore anche in Tagikistan e Uzbekistan, è ammesso il pluralismo fra religioni, mentre in Turkmenistan le strutture religiose sono strettamente intrecciate con lo stato e sostanzialmente asservite ai suoi interessi. Quanto al pluralismo all’interno dell’islamismo, solo il Tagikistan ha una minoranza (5%) di sciiti ismailiti.
Un insieme di circostanze rende oggi non ipotizzabile una diffusione di massa di movimenti radicali islamici in Asia centrale: tradizione pragmatica dell’islamismo dell’Asia centrale (scuola Hanafi, differente da e diffidente verso le tradizioni formaliste, salafita e wahabita, che invece si radicarono nei paesi arabi), diffusione del sufismo, eredità secolare dell’URSS, pluralismo religioso dovuto anche alla miscela etnica e forte dipendenza dal potere politico.
Altra cosa è la minaccia di una presenza di gruppi islamisti che – anche se contenuta in fasce sociali minoritarie – può alimentare l’attività terroristica. Questa minaccia ha oggi un centro di irradiazione nella Valle di Ferghana dove vive una popolosa comunità (12 milioni) a maggioranza uzbeka presso la quale si registra un revival islamista. Anche nel resto del Kyrgyzstan meridionale e nel Tagikistan si registra la presenza attiva e un certo radicamento di gruppi islamisti (in collegamento con i talebani) , mentre il Kazachstan e il Turkmenistan appaiono oggi più liberi da questa presenza.
Intensa è l’azione di collegamento (e finanziamento) svolta da militanti arabi e da parte dello stesso Iran (la città di Mashad è ritenuta essere un nodo di smistamento di militanti uzbeki).
La prima comparsa del radicalismo islamico in Asia centrale risale agli anni ’70 e all’arrivo di studenti provenienti da Giordania, Iraq e Afghanistan, appartenenti al movimento dei Fratelli Musulmani. L’azione di questi gruppi, dapprima clandestina, cominciò a venire alla luce durante la presidenza Gorbaciov, abilmente utilizzando gli spazi aperti dalla perestroika.
Un momento decisivo per la diffusione e il rafforzamento della presenza islamista in tutta l’area è stata la seconda guerra cecena (a partire dal 1999) che ha visto la trasformazione del conflitto da nazionalista a religioso, con la crescente presenza in tutta l’area di volontari provenienti dai paesi arabi, e successivamente con gli scambi fra Nord Caucaso e Asia centrale (soprattutto Tagikistan e Uzbekistan).
Una mappa completa dei gruppi islamismi presenti oggi nell’area sarebbe estremamente complicata e forse impossibile da disegnare, sia perché molti di questi gruppi sono propaggini di organizzazioni internazionali, sia perché i legami fra gruppi - e filiazioni o frammenti di gruppi - sono spesso connessi a opportunità tattiche rapidamente mutevoli, sia infine perché alcuni hanno dimostrato di saper operare bene al riparo da infiltrazioni dei servizi segreti. Possono ricordarsi alcune delle sigle più ricorrenti:
· Partito Islamico di Liberazione (Hizb ut-Tahir, ovvero HT). Nato negli anni ’50 e presente oggi in più di 40 paesi, è l’unico gruppo con una coerente piattaforma ideologica (al cui centro è la ricostruzione del califfato), alla quale hanno fatto riferimento – fra gli altri - sia Osama bin Laden che il movimento talebano. La rete internazionale è guidata da Londra e dalla Giordania. Il gruppo si autoproclama non-violento e in Occidente è stato dichiarato fuori legge solo in Germania. Tuttavia esso rappresenta una sorta di avanguardia ideologica di supporto al terrorismo. In Asia centrale, oggi, HT è il gruppo radicale più diffuso e in crescita (anche se oggetto di dura repressione, soprattutto da parte delle autorità uzbeke). Ha una forte presenza nella Valle di Ferghana (le stime oscillano fra 7.000 e 60.000 militanti) e, ma anche in Tagikistan e Kyrghyzstan. Si suppone che il quartier generale centroasiatico del gruppo sia localizzato nella città kirghisa di Karasu.
· Akramiya. Prende il nome dal suo leader Akram Yuldaschev, nativo di Andijan (ex membro di Hizb ut-Tahir). Il gruppo – fondato nel 1992 - si ispira in parte agli obiettivi di HT ma ne contesta l’internazionalismo e i metodi non-violenti, propugnando invece gli attacchi suicidi, oltre che una dimensione prettamente regionale del movimento (radicato nella Valle di Ferghana). Il gruppo ha certamente avuto un ruolo decisivo nei gravissimi incidenti di Andijan del maggio 2005.
· Partito dell’Assistenza(Hizb un-Nusrat). Fondato a Tashkent nel 1999 e guidato (si suppone) da Mirzazhanov Sharipzhon Atoyevich. Anche questo gruppo propugna l’obiettivo di un califfato esteso alla sola Asia centrale e non all’intera umma. Si caratterizza per il rigido regime di clandestinità e la difficile penetrabilità.
· Movimento Islamico dell’Uzbekistan(IMU). Fondato nel 1999 da Tahir Yuldashev e fortemente aiutato dall’Arabia Saudita, il gruppo inizialmente si è radicato nella Valle di Ferghana unificando i principali 4 gruppi estremisti presenti. Sin dall’inizio vi furono stretti contatti con i talebani, grazie ai quali l’IMU ha gestito campi di addestramento in territorio afgano. Alla fine del 2001 collaborò con al Qaeda e i talebani nella guerra afgana, da cui è uscito gravemente indebolito. Si stima che oggi la sua forza militare sia dislocata nel Waziristan meridionale e sia limitata a poche centinaia di uomini.
·
Movimento Islamico dell’Asia Centrale(IMCA).
Secondo i governi dei paesi dell’Asia Centrale, sotto questa sigla si sarebbero
riunificati – nel 2002 – vari gruppi radicali (fra cui lo stesso IMU) operanti
in Asia Centrale e che avrebbero costituito il loro quartier generale in
Afghanistan, nella provincia nord orientale del Badakshan (
· Tabligh Jamaat(TJ). Gruppo missionario e di risveglio religioso musulmano nato in India negli anni ’20 e programmaticamente non politico. Si è venuto però radicalizzando in epoca più recente e – secondo i servizi americani - è stato spesso usato come copertura dalla stessa al Qaeda. Il movimento è oggi molto attivo nella Valle di Ferghana.
Tutti i disegni volti a realizzare in Asia Centrale uno stato islamico fanno perno sulla Valle di Ferghana e puntano in primo luogo alla conquista del potere in Uzbekistan. E’ quindi su Tashkent che si localizza l’epicentro di tutte le tensioni prodotte dall’espansione del radicalismo islamico in questa area. Probabilmente Stati Uniti e paesi occidentali non furono capaci di interpretare correttamente i fatti di Andijan del maggio 2005, limitandosi a protestare contro la repressione da parte del governo e interpretando la rivolta come un movimento che avrebbe potuto facilmente essere incanalato verso obiettivi democratici (molta stampa occidentale accreditò il parallelo con Piazza Tienanmen). Nelle relazioni con il governo uzbeko, fu soprattutto Putin ad avvantaggiarsi da quell’episodio, mentre gli Stati Uniti, a seguito delle critiche a Karimov, si videro revocato il permesso per la base di Karshi-Khanabad, che avrebbe potuto svolgere un ruolo decisivo in azioni di intelligence e di antiterrorismo.
Gli intensi movimenti di gruppi armati lungo i confini tra Uzbekistan, Tagikistan e Kyrgyzstan e da queste aree verso Afghanistan e Pakistan (ma anche Iran), e viceversa, non riescono ad essere controllati adeguatamente dai governi interessati. Si sta pertanto creando una pericolosa area grigia, nella quale terrorismo e traffico di droga si miscelano in modo non separabile, in quanto quest’ultimo non rappresenta solo una fonte di finanziamento, ma una motivazione in sé (processo di criminalizzazione dei gruppi islamisti). Più in generale, tutti i movimenti radicali dell’Asia Centrale (l’IMU in modo più noto), più che come corpi monolitici possono essere letti come amalgama compositi di motivazioni religiose, criminali, tribali (cultura della vendetta) e geopolitiche (ruolo di Iran, Arabia Saudita, Pakistan).
Nonostante la particolare situazione dei 5 paesi (composizione etnica,
legami tribali, difficoltà nell’affermazione di identità nazionali) abbia dato
maggiore rilievo alle relazioni bilaterali piuttosto che a quelle multilaterali
e nonostante – come già affermato - sia preferibile evitare un approccio che
sopravvaluti gli elementi comuni, tuttavia è opportuno segnalare il ruolo (e
anche i risultati) di alcune organizzazioni regionali. Delle organizzazioni -
di cui si riportano di seguito alcuni elementi informativi - la più importante
sul piano politico è
Quanto al funzionamento della SCO, il consiglio dei capi di stato (Heads of State Council, HSC), ne è l’organo decisionale e ne determina gli obiettivi, mentre al consiglio dei capi di governo (Heads of Government Council, HGC) spettano l’individuazione delle linee strategiche più adeguate al loro conseguimento e le decisioni relative al budget; entrambi si riuniscono con cadenza annuale. Gli esiti dei meetings a livello ministeriale, parlamentare o dirigenziale sono coordinati dal consiglio dei coordinatori nazionali degli stati membri CNC (Council of National Coordinators of SCO Member States).
Quanto ai rapporti tra SCO e Unione Europea, il 3 aprile 2007 si è svolta a Berlino una conferenza dedicata alle prospettive della partnership.
L’importanza geopolitica delle 5 Repubbliche ex sovietiche risulta oggi accresciuta per l’effetto combinato di due dinamiche emerse con forza negli anni più recenti:
Ma la lettura del destino delle 5 Repubbliche in chiave esclusivamente russa sarebbe riduttiva. Infatti è interesse degli stessi governi delle 5 Repubbliche giocare una partita su più tavoli. Significativa, in proposito, la posizione di “neutralità permanente” come fondamento della politica estera proclamata dal Turkmenistan all’inizio degli anni ’90, che ha ben rappresentato l’aspirazione di tutti i governi dell’area (e soprattutto di quelli più ricchi di risorse energetiche) di giocare le proprie chances economiche senza alcun vincolo di alleanza. Inoltre, la situazione appare in movimento, con una crescente influenza cinese, un tentativo americano di recuperare terreno (soprattutto in Turkmenistan) e la principale organizzazione regionale, l’SCO, nella quale Russia e Cina devono convivere.
Gli Stati Uniti non hanno mancato di esercitare un forte potere di attrazione all’indomani della dissoluzione dell’URSS, accentuato dopo l’11 settembre. Ma è nel maggio del 2005 – con l’episodio di Andijan – che si opera una svolta (per lo meno nei rapporti fra gli Stati Uniti e il paese politicamente più influente dell’area, l’Uzbekistan). Gli sviluppi futuri della presidenza Berdymukhamedov in Turkmenistan diranno se attraverso questa porta gli Stati Uniti riusciranno a recuperare una influenza nell’area.
Ma
la attuale intensificazione di scambi politici e commerciali con
Grande assente da questa partita è stata finora l’Europa. Tuttavia, nell’ultimo anno, sembra essere maturata (soprattutto grazie alla presidenza tedesca dell’UE) una volontà di allacciare rapporti più stretti e duraturi (vedi infra).
Il
legame con
Quello che invece rappresenta un rischio ben più concreto è oggi la formazione di un’opposizione sociale in termini di radicalismo islamico. Questo elemento ideologico rappresenta, fra l’altro, il trait d’union fra due aree geopolitiche differenti quali l’Asia Centrale e il Nord Caucaso.
Sull’evoluzione di questo rapporto giocheranno una crescente influenza i
movimenti migratori.
Sembrano invece generalmente buone le relazioni diplomatiche tenute da Mosca nell’area: i russi si guardano bene dal mettere alle strette i governi centroasiatici sui diritti umani.
Crescente
è la presenza della Cina, sempre più
interessata alle risorse energetiche del Kazakhstan, del Turkmenistan e
dell’Uzbekistan.
Gli interessi della Cina
nell’area sono poi condizionati dalla necessità – per Pechino – di reprimere il
movimento separatista ed indipendentista
Uighur, attivo in tutto lo Xinijang, e quindi in tutta la vasta area di
confine fra
GliUighur, etnia turcofona e musulmana, rappresenta la maggioranza dei 19 milioni di abitanti dello Xinjiang (a sua volta la regione o provincia più vasta della Cina in termini di superficie). Come per il Tibet a sud, il controllo cinese sullo Xinjiang è piuttosto recente. Molti della minoranza Uighur aspirano da lungo tempo all’indipendenza. Ma anche nella minoranza Kazakh presente nella stessa regione si stanno diffondendo tendenze separatiste. Molti esponenti del movimento uighur sarebbero favorevoli all’autonomia, mentre altri mirano alla costituzione di uno stato indipendente del Turkestan orientale (nome tradizionale dello Xinijang).
Pechino
ha represso duramente il separatismo e ha vietato le scuole religiose in
Xinjiang, per paura che potessero fomentare radicalismo e separatismo islamico.
Dopo l’11 settembre, in cambio dell’appoggio cinese alla guerra al terrorismo,
il governo cinese ha chiesto alla comunita' internazionale di sostenere la sua
lotta contro i separatisti uighur, assimilati ai terroristi di Osama bin Laden.
Un elemento di novità è oggi rappresentato dalla enorme crescita della domanda
cinese di petrolio e gas, e dalla produzione crescente di entrambi da parte
dello Xinjiang. Inoltre, grazie alla vicinanza all’Asia Centrale, la regione è
diventata il percorso preferito degli oleodotti dal Kazakhstan e oltre. Ora,
come accade altrove in Cina, il governo sembra scommettere sulla forte crescita economica come il modo
migliore per consolidare il proprio controllo.
Le recenti scoperte petrolifere nella regione hanno certamente creato
un’atmosfera di fiducia fra politici e mondo degli affari, in gran parte
provenienti dall’est. La produzione di gas naturale è raddoppiata negli ultimi
cinque anni, e quella di petrolio sta pure crescendo velocemente.
Il movimento indipendentista del Turkestan orientale vede presenti alcuni gruppi moderati e non violenti, ma anche gruppi radicali, sicuramente collegati alla rete del terrorismo fondamentalista (come l’East Turkestan Islamic Movement e il East Turkestan Liberation Organization, con basi anche in Kyrghyzstan, Afghanistan e Pakistan).
Mentre l’Occidente – in senso lato – ha marcato con una certa continuità una presenza in quest’area negli ultimi 15 anni (multinazionali del petrolio, FMI, OCSE), gli Stati Uniti hanno invece perso rapidamente influenza (dopo le aspettative suscitate nella prima parte degli anni ’90). Decisivo fu il raffredamento di rapporti fra USA e Uzbekistan a seguito dei fatti di Adijan del maggio 2005 che determinò la revoca da parte di Karimov del permesso per la base di Karshi-Khanabad. Molti sostengono che il cambio intervenutonella seconda metà del 2005 e la conseguente partnership strategica fra Uzbekistan e Russia firmata nel novembre dello stesso anno abbiano rappresentato una delle più importanti svolte nel quadro degli schieramenti internazionali dalla fine della Guerra Fredda ad oggi.
Dopo
questo passo falso, per gli Stati Uniti ha assunto un valore ancora più
importante la presenza della base americana presso l’aeroporto di Manas, in Kyrghyzstan (e quindi le
relazioni con questa repubblica). Si ricorda che, all’indomani dell’11
settembre gli USA e gli alleati nella missione “Enduring Freedom” chiesero al
Kyrgyzstan di poter utilizzare l’aeroporto internazionale di Manas (
Comunque, anche se non ospita basi militari, oggi – dopo la crisi uzbeka - il paese di maggiore interesse per gli USA è il Kazachstan, sia per le sue ingenti risorse petrolifere, sia perché è in Kazakhstan che sopravvine un’influenza occidentale degna di essere considerata.
Un notevole elemento di novità potrebbe presentarsi nell’ipotesi di un avvicinamento fra Stati Uniti e Turkmenistan. Gli Stati Uniti sono molto interessati non solo ad un recupero di autonomia di questo paese sul piano energetico (che potrebbe essere favorita da investimenti per il miglioramento delle infrastrutture per l’estrazione e della rete interna di gasdotti), ma anche alla posizione geografica, cioè alla sua vicinanza a Iran e Afghanistan. In particolare, gli Stati Uniti sono interessati all’utilizzo della base aerea di Mary, molto vicina al confine iraniano, finora non concessa dal governo di Ashgabat, ma verso cui il nuovo presidente sembra aver manifestato qualche apertura.
L’Europa segna un ritardo nella sua presenza politica in questa area del mondo. E’ un ritardo che comunque appare ancora colmabile (secondo la valutazione che fu data dal Ministro degli Esteri tedesco durante la sua visita in Asia centrale nel novembre del 2006), ma a condizione che si chiariscano in tempi ravvicinati gli obiettivi politici di un’iniziativa in questo senso.
Gli elementi che ostacolano una efficace politica europea verso l’Asia
centrale sono numerosi. Per ricordare solo i principali: i fattori linguistici
e culturali che rendono non comparabile il rapporto con l’Europa e quello con
L’esigenza
di una maggiore presenza in Asia centrale è invece avvertita in modo più
diffuso oggi, dopo che la crisi fra Russia e Ucraina del gennaio
L’Europa – inoltre – indirizza già oggi (e da almeno 15 anni) molti aiuti verso le 5 repubbliche. Addirittura, l’Unione – insieme ai suoi Stati membri – è il più grande fornitore di aiuti all’Asia centrale, soprattutto attraverso il programma TACIS (Technical Assistance to the Commonwealth of Independent States Programme). E’ all’interno del programma TACIS che sono state sviluppate anche due iniziative specificamente dedicate alla apertura e al rafforzamento di vie commerciali. La prima è TRACECA (Transport Corridor Europe – Caucasus – Asia), conosciuta anche col nome “La nuova via della seta”, i cui obiettivi furono definiti nel 1993 da un accordo fra l’UE e i governi di Armenia, Azerbaijan, Georgia, Kazakstan, Kyrghyzstan, Tagikistan, Turkmenistan e Uzbekistan. Lo scopo di TRACECA è quello di sostenere l’integrazione dell’area del Caspio e dell’Asia centrale nell’economia internazionale attraverso il rafforzamento delle infrastrutture di trasporto e delle complessive capacità di partecipare ai flussi commerciali. La seconda iniziativa europea con un impatto regionale è INOGATE (Interstate Oil and Gas Transport to Europe),che finanzia e fornisce assistenza tecnica ai NIS (Newly Independent States) già appartenenti all’Unione Sovietica per la costruzione di una rete di gasdotti ed oleodotti che favoriscano le forniture dirette in Europa. Attualmente 21 paesi hanno sottoscritta l’Umbrella Agreement di Inogate. Il budget degli aiuti UE attraverso questo progetto è stato di 18 milioni di euro per il periodo 2004-2006.
Infine si ricordano le iniziative di cooperazione nel settore della sicurezza, varati all’indomani dell’11 settembre: BOMCA (Border Management Programme in Central Asia) e CADAP (Central Asia Drug Assistance Programme). I due programmi - finalizzati a fornire supporto alle 5 repubbliche per il miglioramento della gestione delle frontiere e quindi dei controlli del traffico di droga – sono gestiti dall’UNDP, in partnership con UNODOC, OSCE e l’International Organization for Migration (IOM).
Questi programmi di aiuto non sono stati però inquadrati – finora –
all’interno di un programma politico complessivo, con finalità chiare. Carenze
dell’iniziativa europea in Asia centrale sono state più volte lamentate (da
ultimo
Nel luglio 2005 il Consiglio adottò l’azione comune 2005/118/PESC con la quale fu nominato un Rappresentante Speciale dell’UE per l’Asia Centrale, ma l’azione di questa figura è stata finora alquanto debole. Infatti la nomina del Rappresentante Speciale (anche se conseguente ad un’iniziativa ben precedente) venne a coincidere con la reazione occidentale ai fatti di Andijan e fu interpretata nell’area come elemento di un clima generale di contrapposizione occidentale al governo uzbeko e di indiretta delegittimazione anche degli altri governi. Attualmente (fino al 28 febbraio 2008) riveste questa carica il diplomatico francese Pierre Morel.
In questo quadro si colloca anche l’impegno, assunto dalla Presidenza tedesca, di rinnovare il documento strategico su cui si basa tutta la politica di aiuti nell’area: il Regional Strategy Paper for assistance to Central Asia(CA RSP). Nella nuova versione, approvata nel giugno 2007, viene previsto per il nuovo quinquennio il raddoppio dell’aiuto europeo all’Asia centrale, ma vengono anche tracciate le linee generali ispiratrici dell’intervento nel periodo 2007-2013, con una premessa di carattere politico che dovrebbe consentire di collocare l’aiuto economico in una prospettiva più definita.
La premessa di questa nuova iniziativa europea risiede nella considerazione che – a seguito dell’allargamento del 2004-2007 – l’Asia centrale si è avvicinata all’Europa e quindi le politiche di sviluppo promosse dall’UE devono essere finalizzate all’obiettivo del miglioramento delle relazioni politiche.
I temi di questa iniziativa sono:
Il 31 maggio 2007 è stato anche trasmesso al Consiglio dell’UE il documento “The EU and Central Asia: Strategy for a New Partnership”, predisposto dal Comitato dei Rappresentanti permanenti.
Il documento delinea le finalità complessive di una nuova partnership fra UE e Asia centrale in una realtà molto oggi più interconnessa e globalizzata. Si propone, fra l’altro di:
L’approccio a questo programma deve essere sia bilaterale che multilaterale e gli Stati membri dell’UE dovranno – a loro volta – affiancare l’iniziativa comunitaria con proprie iniziative bilaterali.
Sul piano dei rapporti diplomatici, oggi solo 2 dei 5 stati ospitano una ambasciata italiana: Kazakhstan) e Uzbekistan, mentre per il Turkmenistan, il Tagikistan e il Kyrghyzstan, esistono solo sedi di accreditamento del Capo missione (rispettivamente Mosca, Tashkent e Astana).
Sul piano dei rapporti economici e commerciali la situazione più significativa è rappresentata dalla presenza dell’ENI come capofila del consorzio di multinazionali che ha firmato un accordo con il governo di Astana per lo sfruttamento del giacimento petrolifero di Kashgan di fronte alle coste kazakhe del Caspio (il più grande giacimento petrolifero individuato negli ultimi trenta anni). Gli investimenti iniziali ENI per lo sfruttamento del giacimento dovrebbero ammontare a oltre 50 miliardi di dollari. L’avvio della produzione è preannunciata per il 2010.
Un quadro più dettagliato delle relazioni bilaterali viene riportato di seguito.
Kazakhstan
Italia e Kazakhstan hanno stipulato nell’ultimo decennio una serie di accordi, ratificati con legge, riguardanti:
Le potenzialità di sviluppo delle relazioni commerciali bilaterali sono state recentemente evidenziate nel documento del ministero del commercio internazionale che delinea la strategia dell’attività promozionale per il triennio 2008-2010; il Kazakhstan è indicato per il 2008 come “paese focus”, dove il sistema Italia può aumentare investimenti e quote di mercato grazie a interventi di sistema mirati e concentrati nel tempo.
L’Italia è al quinto posto per investimenti diretti esteri con un valore assoluto di 306,6 mln di dollari corrispondente al 4,8% del totale (dato 2005, Banca nazionale del Kazakhstan; il dato mostra una flessione rispetto al picco registrato nel 2002 con 469,1 mln di dollari pari all’11,4%), relativi per lo più al settore petrolifero (ENI, SNAM PROGETTI, SAIPEM, SICIM), e a quello delle costruzioni (RENCO e ITALCEMENTI).
Il valore complessivo delle esportazioni
dal Kazakhstan verso l’Italia, in crescita sostenuta nel triennio 2002-
Quanto alle importazioni provenienti dall’Italiail dato relativo al 2004 le valuta in 426,2mln di dollari, corrispondenti a una quota di mercato intorno al 3% che fa dell’Italia il sesto principale fornitore; i settori maggiormente significativi sono rappresentati da macchine e attrezzature, mobili, abbigliamento e calzature, sanitari e apparecchi elettrici.
Più ampio appare il ventaglio delle materie oggetto degli accordi stipulati con l’Uzbekistan, i più recenti dei quali riguardano:
I primi due accordi bilaterali tra Italia e Uzbekistan risalgono al 1997 ed hanno a oggetto la cooperazione turistica e la collaborazione culturale e scientifica.
Quanto alle relazioni commerciali, le importazioni provenienti dall’Italia (macchinari, attrezzature e beni di consumo) nel 2005 si sono attestate sul 1,4% della quota di mercato (segnando un peggioramento rispetto all’1,8% registrato l’anno precedente), corrispondente alla nona posizione tra i paesi fornitori (terzo tra i paesi occidentali, dopo Germania e Usa). Premesso che i dati - forniti dal comitato centrale di statistica della repubblica uzbeka - rispecchiano il solo commercio ufficiale, a fianco del quale si stima esista un ben più consistente commercio “parallelo”, va sottolineato che gli analisti segnalano la tendenza, in progressiva accentuazione, al contenimento della penetrazione commerciale dei paesi occidentali, probabile cotè commerciale del forte riavvicinamento alla Russia, alla Cina e all’India deciso dai vertici politici dopo i gravi disordini sociali del 2005.
Dal momento che le esportazioni uzbeke verso l’Italia, rappresentate principalmente da metalli non ferrosi, prodotti agricoli, filati tessili, e tessuti, sono cresciute nel 2005 rispetto all’anno precedente, la bilancia commerciale bilaterale ha segnato un saldo attivo per l’Uzbekistan superiore ai 10 mln di euro.
Non risultano accordi bilaterali.
La legge 24 ottobre 2003, n. 323 reca la ratifica dell’accordo di partenariato e cooperazione tra Comunità europee e Turkmenistan.
Non risultano scambi commerciali bilaterali.
Dal 2003 è in vigore un accordo di cooperazione tra Italia e Tagikistan in materia di lotta alla criminalità organizzata e al traffico di stupefacenti.
Non risultano scambi commerciali bilaterali.
Gli accordi bilaterali ratificati con legge riguardano i settori della cooperazione turistica (in vigore dal 2006), nonché un Trattato di amicizia e collaborazione (in vigore dal 2004).
La legge 4 marzo 1997, n. 84 reca la ratifica dell’accordo di partenariato e cooperazione tra Comunità europee e Kyrghyzstan.
Non risultano scambi commerciali bilaterali.
Si
segnala che