Camera dei deputati - XV Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento affari comunitari
Titolo: La messa al bando delle mine antipersona
Serie: Documentazione e ricerche    Numero: 94
Data: 16/07/2007
Organi della Camera: III-Affari esteri e comunitari


Camera dei deputati

XV LEGISLATURA

 

SERVIZIO STUDI

 

 

Documentazione e ricerche

La messa al bando delle mine antipersona

 

 

 

 

 

n. 94

 

 

16 luglio 2007

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

SIWEB

 

Dipartimento affari esteri

 

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File: es0131

 

 


INDICE

Schede di lettura

Mine antiuomo e sminamento. Quadro normativo  3

§      La legge n. 374 del 1997  3

§      La Convenzione di Ottawa  4

§      La legge che istituisce il Fondo per lo sminamento umanitario  6

Il dibattito recente sulle cluster bombs.8

L’International Campaign to Ban Landmines  11

§      Il Landmine Monitor14

Normativa di riferimento

§      L. 29 ottobre 1997, n. 374 Norme per la messa al bando delle mine antipersona.25

§      D.M. 2 ottobre 1998 Disciplina della distruzione delle scorte di mine antipersona.29

§      L. 26 marzo 1999, n. 106 Ratifica ed esecuzione della convenzione sul divieto d'impiego, di stoccaggio, di produzione e di trasferimento delle mine antipersona e sulla loro distruzione, firmata ad Ottawa il 3 dicembre 1997. Modifiche alla L. 29 ottobre 1997, n. 374 , riguardante la disciplina della messa al bando delle mine antipersona  33

§      L. 7 marzo 2001, n. 58 Istituzione del Fondo per lo sminamento umanitario.51

Pubblicistica

§      Landmine Monitor Report, Toward a Mine-Free World, (stralci), anno 2006  57

§      Landmine Monitor Report, Country Report: Croatia, anno 2006  57

§      Landmine Monitor Report, Country Report: Italy, anno 2004  57

§      7a Riunione degli Stati parte della Convenzione per la messa al bando e la distruzione delle mine antipersona, (18-22 settembre 2006)57

-       Interventi della Croazia:

A) Sulla bonifica delle aree minate  57

B) Sull’assistenza alle vittime  57

Documentazione

§      Stato delle ratifiche della Convenzione sul divieto d’impiego, di stoccaggio, di produzione e di trasferimento delle mine antipersona e sulla loro distruzione  61

 


Schede di lettura

 


Mine antiuomo e sminamento. Quadro normativo

La legge n. 374 del 1997

La legge n. 374 del 1997, successivamente modificata dalla legge n. 106 del 1999 (di ratifica della Convenzione di Ottawa del dicembre 1997[1]), reca disposizioni dirette a realizzare una radicale messa al bando delle mine antipersona, intelligenti o meno, comprendendo in tale definizione anche tutte le mine congegnate o adattabili, mediante specifiche predisposizioni, per provocare gli stessi effetti delle mine antipersona.

La finalità della legge 347 - indicata nell’articolo 1, come modificato dalla legge n. 106 - è quella di bandire dal territorio italiano sia la ricerca tecnologica, la produzione, la vendita, l’import-export, la detenzione e l’uso di qualunque tipo di mina antipersona o di parti di esse (con particolare riferimento alle mine destinate ad altre finalità, ma dotate di meccanismi capaci di tarare la sensibilità dell’ordigno alla pressione esercitata, cd. mine ibride o duali), sia l’utilizzo e la cessione dei diritti di brevetto e delle tecnologie idonee alla fabbricazione in Italia o all’estero, direttamente o indirettamente, di tali mine o di parti di esse.

Viene escluso dal generale divieto di uso a qualsiasi titolo di ogni tipo di mina antipersona l’utilizzo da parte delle Forze armate di un quantitativo di mine determinato in 8.000 unità dal successivo articolo 5 della stessa legge per fini esclusivi di addestramento ad operazioni di sminamento e di ricerca tecnologica a tale scopo. Un’ulteriore deroga ai divieti posti riguarda le attrezzature destinate alla rimozione delle mine stesse e le informazioni tecnologiche connesse a scopi umanitari nonché, naturalmente, l’importazione di mine antipersona funzionale alla loro distruzione.

La legge 347 prevede inoltre, all’articolo 3, che i detentori di mine o parti di esse debbano denunciarne il possesso ai comandi territoriali dell’Arma dei carabinieri, entro 120 giorni dall’entrata in vigore delle legge, e consegnarli, entro i successivi 90 giorni, ai centri di raccolta appositamente istituiti; e, all’articolo 4, che analoga denuncia, entro 60 giorni dall’entrata in vigore della legge, vada fatta al Ministero dell’industria da parte di chiunque detenga brevetti o tecnologie idonee a produrre mine antipersona.

L’articolo 5, come modificato dalla legge n. 106 del 1999, stabilisce che le mine in dotazione alle Forze armate – con esclusione di un limitato quantitativo – nonché quelle consegnate dai privati, dovranno essere distrutte entro cinque anni dall’entrata in vigore della legge. Il quantitativo di mine che resterà in possesso delle Forze armate e che sarà destinato a fini esclusivi di addestramento in operazioni di sminamento e alla relativa ricerca tecnologica, non potrà superare le 8.000 unità (nel testo originario il quantitativo previsto era di 10.000 unità) e sarà rinnovabile mediante importazione fino ad una quantità non superiore al numero ora indicato. In base all’articolo 6, è stato emanato il Decreto ministeriale 2 ottobre 1998 (in seguito modificato dal D.M. 1° agosto 2000)  che reca la disciplina della distruzione delle scorte di mine antipersona, individua l’ufficio competente nell’ambito del Ministero della difesa e istituisce un "Registro delle mine" antipersona in possesso delle Forze armate in cui annotare quelle consegnate dai privati, le date e le modalità della loro distruzione e, infine, le denunce fatte ai sensi dell’articolo 4.

La legge 374/1997 stabilisce poi le sanzioni per le violazioni dei divieti e degli obblighi posti, inserisce tra le finalità della cooperazione allo sviluppo quella del sostegno alle vittime delle mine. Infine, sottrae la materia alla apponibilità del segreto di Stato e del segreto militare e attribuisce la competenza sull’attuazione della legge ai Ministri degli affari esteri, della difesa e dell’industria, prevedendo la presentazione al Parlamento di una relazione semestrale sullo stato di attuazione della legge (art. 9), con riferimento allo stato dello smaltimento delle scorte ed ai relativi oneri finanziari. L’ultima relazione, riferita al primo semestre del 2005, è stata presentata alla Camera il 3 aprile 2006[2].

 

La Convenzione di Ottawa

La Convenzione per la messa al bando dell'uso, lo stoccaggio, la produzione ed il trasferimento di mine antipersona, e per la loro distruzione, siglata ad Oslo il 18 settembre 1997, aperta alla firma alla Conferenza di Ottawa del 3 dicembre 1997, è entrata in vigore il 1° marzo 1999 [3] ed è stata ratificata da 153 paesi[4].

La firma della Convenzione è giunta a conclusione del processo negoziale denominato “processo di Ottawa”, iniziato nell’ottobre 1996, articolato in una serie di conferenze diplomatiche che hanno visto la partecipazione dei rappresentanti dei governi di un numero crescente di Stati, osservatori e organizzazioni umanitarie e non governative.

Il “processo” aveva preso il via dall’insoddisfazione di alcuni paesi, guidati dal Canada, verso degli esiti della Conferenza di revisione del II Protocollo alla Convenzione sulle armi indiscriminate, e dalla conseguente decisione di organizzare autonomamente una conferenza internazionale sulle mine antipersona, con l’obiettivo di creare un’area libera dalle mine tra i paesi dichiaratisi favorevoli al divieto di utilizzo e di procedere sulla strada del raggiungimento del bando totale.

 

La Convenzione di Ottawa pone infatti divieti più radicali di quelli previsti dal II Protocollo rivisto, impegnando le Parti (art. 1) a non usare, sviluppare, produrre, acquisire, accumulare riserve, conservare o trasferire mine antipersona; né ad aiutare, incoraggiare o indurre chiunque ad impegnarsi nelle suddette attività.

Le Parti si impegnano altresì a distruggere le scorte di mine che, ai sensi degli articoli 3 e 4, si trovino nella loro proprietà o possesso o sotto la loro giurisdizione o controllo, entro 4 anni dall’entrata in vigore della Convenzione. Viene peraltro autorizzata la conservazione ed il trasferimento di un certo numero di mine antipersona per lo sviluppo di tecniche e l’addestramento per la bonifica e la distruzione. Tale quantità non può comunque superare il numero minimo assolutamente necessario per gli scopi sopra citati.

Inoltre, all’articolo 2, comma 1, viene definito l’ambito di applicazione dei divieti, che si estende a tutte le mine antipersona, comprese quelle ‘intelligenti’, consentite invece dal II Protocollo rivisto.

E' quindi prevista, all'articolo 5, la distruzione entro dieci anni delle mine nelle aree minate che rientrino nella giurisdizione o controllo di ciascuna Parte, salvo richieste motivate di estensione.

Con l'articolo 6 viene delineato il principio della cooperazione ed assistenza internazionale, attraverso scambi di attrezzature, materiali ed informazioni tecnologiche, ed attraverso il sostegno di programmi di riabilitazione e reintegrazione delle vittime e programmi di sminamento. Il secondo comma prevede che le Parti non impongano restrizioni circa le attrezzature per la rimozione delle mine e le informazioni tecnologiche connesse a scopi umanitari.

L'articolo 7 tratta delle misure di trasparenza, che si sostanziano in una relazione annuale al Segretario generale dell'ONU sullo stato di attuazione della Convenzione intrapreso in ciascun paese.

L'articolo 8, dopo aver stabilito il principio della consultazione e cooperazione tra le Parti in merito all'attuazione della Convenzione, delinea le procedure da seguire nel caso in cui uno o più Stati Parte richiedano chiarimenti sul rispetto della Convenzione da parte di un altro Stato. Tali procedure possono giungere fino all'invio di una missione d'inchiesta nello Stato che non fornisse sufficienti chiarimenti.

L'articolo 9 reca l'obbligo, per gli Stati Parte, di adottare misure nazionali, che comprendano sanzioni penali, finalizzate a prevenire e reprimere le attività proibite dalla Convenzione.

L'articolo 10 tratta della risoluzione dei contenziosi; mentre l'articolo 11 istituisce edisciplina la Assemblea degli Stati membri, la prima delle quali sarà convocata dal Segretario generale delle Nazioni Unite entro un anno dall'entrata in vigore della Convenzione, ed avrà cadenza annuale. E' altresì prevista, all'articolo 12, una Conferenza di revisione della Convenzione, che si riunirà cinque anni dopo l'entrata in vigore, e successivamente ogni cinque anni.

Le procedure di modifica della Convenzione sono definite dall'articolo 13; e l'articolo 14 prevede che i costi delle Assemblee e delle Conferenze siano ripartiti tra gli Stati Parte in base alla scala dei contributi delle Nazioni Unite, opportunamente adeguate.

 

La legge che istituisce il Fondo per lo sminamento umanitario

La legge 7 marzo 2001, n. 58 è finalizzata a finanziare, mediante la creazione di un apposito fondo, interventi di sminamento nelle regioni che sono state teatro, negli ultimi decenni, di conflitti nel corso dei quali si è fatto uso di mine antipersona.

L’articolo 1 istituisce un fondo, denominato “Fondo per lo sminamento umanitario”, da iscriversi nello stato di previsione del Ministero degli affari esteri a decorrere dal 2001, per la realizzazione di programmi integrati di bonifica in tutte le aree interessate dalla presenza delle mine antipersona. In particolare, le disponibilità del Fondo sono destinate alla attuazione dei seguenti interventi: campagne di informazione preventiva sulla presenza delle mine, censimento, mappatura e bonifica dei campi minati, assistenza alle vittime, ricostruzione e sviluppo delle comunità coinvolte, acquisizione di tecnologie per lo sminamento; formazione di operatori locali; sensibilizzazione contro l’uso delle mine e in favore della loro massa al bando totale.

Le linee guida per lo sviluppo dei programmi integrati di sminamento sono individuate dall’articolo 2 nella partecipazione delle popolazioni coinvolte, nell’integrazione degli interventi stessi nei programmi di ricostruzione e sviluppo in corso o da realizzare e nel perseguimento di finalità di carattere umanitario.

L’articolo 3 rinvia all’emanazione di un successivo decreto del Ministro degli affari esteri, previo parere delle commissioni parlamentari competenti, per la definizione degli interventi prioritari, dei criteri di riparto e di gestione degli stanziamenti, delle modalità di un’eventuale partecipazione di organismi internazionali e delle attività di monitoraggio, assistenza e valutazione degli interventi medesimi.

Il decreto, emanato nel dicembre 2001, ha fissato alcuni criteri per la definizione delle priorità dell’azione italiana contro le mine:

§         coerenza con le linee d’azione e gli obiettivi generali della politica estera italiana;

§         armonizzazione con le iniziative della comunità internazionale e dei singoli donatori;

§         coerenza con le iniziative della Cooperazione italiana allo sviluppo.

La dotazione del Fondo è stabilita dall’articolo 4 in 50 miliardi annui per il triennio 2000-2002, al cui onere si provvede mediante utilizzo delle disponibilità del Fondo speciale di parte corrente iscritto nello stato di previsione del Ministero del tesoro. Per gli anni successivi la quota da iscrivere in bilancio sarà quantificata dalla legge finanziaria nell’ambito dell’allegata tabella relativa alle leggi pluriennali di spesa, secondo quanto disposto dall’articolo 11, comma 3, lettera d), della legge n. 478 del 1978.

Il Fondo è inoltre alimentato da contributi e donazioni di privati ed enti anche internazionali che vengono versati all’entrata del bilancio statale per essere poi assegnati al Fondo.

L’articolo 5 individua direttamente una specifica regione nella quale avviare con urgenza l’attività di sminamento, autorizzando una spesa di 20 miliardi nell’anno 2000 per la realizzazione di interventi di rimozione degli ordigni disseminati nelle aree della ex Jugoslavia interessate dal recente conflitto. Per la relativa copertura finanziaria si prevede il ricorso del Fondo speciale di parte corrente.

L’articolo 6 prevede la presentazione da parte del Ministro degli affari esteri di una relazione annuale al Parlamento sullo stato di attuazione della legge. L’ultima relazione, riferita all’anno 2006, è stata presentata alla Camera il 2 maggio 2007[5].

 

 


Il dibattito recente sulle cluster bombs.

Le cluster bombs  sono armi costituite da un contenitore, lanciato da mezzi aerei o da sistemi di artiglieria,  che si apre a mezz’aria spargendo submunizioni  più piccole (da 200 a 250) su aree che possono anche raggiungere un chilometro quadrato di ampiezza. Lo scopo delle bombe a grappolo, quindi, non è quello di colpire un singolo bersaglio, ma di distruggere una serie di potenziali bersagli collocati all’interno di una data area. Le submunizioni sono progettate in modo da esplodere al momento dell’impatto al suolo, ma il meccanismo non è tra i più sicuri, al punto che le case produttrici garantiscono un tasso di mancata esplosione intorno al 5 per cento. Molte organizzazioni non governative, inoltre, sostengono che la percentuale di ordigni inesplosi sia molto più elevata,  dovendosi collocare addirittura tra il 10 e il 40 per cento.

 

Il 16 gennaio 2007 la Commissione Difesa della Camera ha approvato una risoluzione (Pinotti 8-00027) che, nella parte motiva, sottolinea come le cluster bombs presentino caratteristiche (diffusione di centinaia di submunizioni su un’ampia superficie, instabilità delle submunizioni inesplose) tali da rendere impossibile l’applicazione delle norme internazionali che vietano gli attacchi attraverso mezzi che non possono essere specificamente diretti contro gli obiettivi militari e che pertanto possono con ogni probabilità danneggiare la popolazione civile; la risoluzione rileva inoltre come le submunizioni inesplose rendano le munizioni a grappolo sostanzialmente identiche alle mine antipersona, ragione per la quale la risoluzione chiede l’approvazione del provvedimento in esame.

Nella parte motiva, inoltre, la risoluzione impegna il Governo:

a)      a vietare l’uso di cluster bombs nelle missioni internazionali;

b)      a ratificare il V Protocollo alla Convenzione sulla proibizione o limitazione dell'uso di alcune armi convenzionali che possono essere considerate eccessivamente dannose o aventi effetti indiscriminati (CCW) del 10 ottobre 1980 [6]. Il V Protocollo riguarda i residui esplosivi di guerra ed è entrato in vigore il 12 novembre 2006;

c)      a promuovere i negoziati per la stesura di un ulteriore Protocollo alla suddetta Convenzione CCW, che ponga un espresso divieto alla produzione, allo stoccaggio, al trasferimento e all’uso di munizioni a grappolo.

 

Tuttavia, nel corso del dibattito, cominciato il 12 dicembre 2006, l’on. Cossiga, pur condividendo gli obiettivi della risoluzione, aveva chiesto una riformulazione del testo che facesse riferimento non genericamente alle cluster bombs, ma soltanto a quelle suscettibili di avere effetti deleteri per la popolazione civile.

Nella stessa seduta, il sottosegretario Forcieri, citando la terza Conferenza di riesame della Convenzione CCW – svoltasi a Ginevra dal 7 al 17 novembre 2006 - ha ricordato come la questione delle cluster bombs sia al centro dell'attenzione della comunità internazionale sia per quanto riguarda i profili umanitari sia per quanto concerne le possibili limitazioni alla utilizzazione di tali armi.

Nonostante da più parti fossero giunti appelli e dichiarazioni – fra le quali quella di Kofi Annan – affinché fosse bandito l’uso delle munizioni a grappolo, la Conferenza di Ginevra si è chiusa senza un accordo sostanziale, rinviando il problema ad un gruppo di esperti che lo affronterà il prossimo giugno.

 

A seguito dei deludenti risultati della Conferenza di Ginevra, la Norvegia ha deciso di organizzare una conferenza internazionale per avviare i negoziati sulla messa al bando delle cluster bombs. Alla Conferenza, che si è svolta ad Oslo dal 21 al 23 febbraio scorso, hanno partecipato 49 Paesi e 50 Organizzazioni non governative. Al termine della Conferenza, 46 Paesi, fra i quali l’Italia, hanno sottoscritto una Dichiarazione nella quale si impegnano a “concludere entro il 2008 uno strumento internazionale vincolante che preveda il divieto dell'uso, della produzione, del trasferimento e dello stoccaggio delle munizioni a grappolo che causano danni inaccettabili ai civili”. Tra i Paesi presenti non hanno approvato il documento Giappone, Romania e Polonia, mentre Stati Uniti [7], Russia e Cina non hanno preso parte alla Conferenza.

La Conferenza di Oslo ha avuto un seguito con la riunione di 68 paesi a Lima, dal 23 al 25 maggio 2007 nella quale si è raggiunto un vasto accordo sulle linee portanti di un futuro trattato. Oltre alla proibizione riguardante l’uso, la fabbricazione e il commercio di munizioni a grappolo, il trattato dovrebbe includere, in analogia con la Convenzione sulle mine antipersona, le condizioni e le scadenze per la distruzione del materiale in stoccaggio e per la bonifica delle aree contaminate, nonché l’obbligo di provvedere all’assistenza alle vittime.

Nel corso della Conferenza di Lima l’Ungheria ha annunciato una moratoria sulle cluster bombs andandosi così ad aggiungere ad una lunga lista di paesi che si adoperano al loro interno per restringere l’uso di tali submunizioni. Il Perù ha proposto di rendere l’America Latina una zona libera da munizioni cluster e il Costa Rica sponsorizzerà un meeting regionale sul tema delle cluster il prossimo agosto. Anche i Paesi africani erano presenti numerosi a Lima.

Tra le delegazioni che non erano state presenti ad Oslo, si segnala il Laos, uno dei paesi più colpiti dalle submunizioni inesplose, che ha sottoscritto la Dichiarazione di Oslo per la negoziazione del trattato anti-cluster.

 Il prossimo meeting del “Processo di Oslo” si svolgerà a Vienna dal 5 al 7 dicembre 2007.  

 

Si segnala anche che dal 21 marzo il Regno Unito ha bandito le cluster bombs che non si autodistruggono: il ministero della difesa britannico ha infatti reso noto che verranno distrutte le scorte di munizioni a grappolo e che verranno conservate solo armi con sistemi di autodistruzione per limitare il numero di bombe inesplose che rimangono sul terreno. Le organizzazioni umanitarie, tuttavia, ritengono che i meccanismi di autodistruzione applicati alle bombe britanniche, anche le più recenti – identiche a quelle usate da Israele nella guerra in Libano - non siano sufficientemente affidabili per renderle sicure per la popolazione civile.


L’International Campaign to Ban Landmines

L’International Campaign to Ban Landmines (ICBL), lanciata nel 1992, è una rete di circa 1.400 organizzazioni sparse in oltre 90 Paesi che lavorano a livello locale, regionale, nazionale o internazionale, per la messa al bando delle mine antipersona. L’impegno dell’ICBL ha contribuito ad ottenere rilevanti risultati, fra i quali la firma della Convenzione di Ottawa.

Nel 2005 l’ICBL ha subito un ampio processo di trasformazione che ha portato, tra l’altro, ad una ristrutturazione organizzativa. Attualmente ha un Comitato direttivo, composto da 5 membri e un Comitato consultivo formato da 21 membri.

L’ICBL è articolata in quattro gruppi di lavoro che affrontano i diversi aspetti collegati al problema della messa al bando delle mine antipersona:

·         il Gruppo di lavoro sul Trattato (Treaty Working Group – TWG), che ha i compiti di sviluppare e implementare le strategie dell’ICBL correlate alla Convenzione di Ottawa, di stabilire collegamenti con altri organismi internazionali e strumenti quali il II Protocollo alla Convenzione sulle armi indiscriminate e di esaminare le normative nazionali in materia.

·         Il Gruppo di lavoro per l’assistenza alle vittime (Working Group on Victim Assistance– WGVA) è composto da 98 membri che rappresentano 40 organizzazioni, e ha funzioni di sostegno, monitoraggio e ausilio della comunità internazionale con riferimento a dove e come tale assistenza è richiesta. Il WGVA, inoltre, è impegnato nel reperimento dei fondi per i programmi di assistenza alle vittime e per il miglioramento della loro qualità.

·         Il Gruppo di lavoro Azione contro le Mine (Mine Action Working Group – MAWG), formato nel febbraio 1998, costituisce il punto di riferimento a cui vengono indirizzate le questioni correlate a tale tema;

·         il sottogruppo per l’educazione sui rischi delle mine, istituito nel settembre 1999 per colmare una grave lacuna sulla materia. Il sottogruppo lavora all’interno del Gruppo di lavoro Azione contro le Mine.

 

La Convenzione per la messa al bando delle mine antipersona prescrive che gli Stati parte si riuniscano regolarmente per analizzare tutte le questioni relative all’applicazione e all’attuazione della Convenzione stessa. La prima Assemblea degli Stati Parte sarebbe stata convocata dal Segretario Generale delle Nazioni Unite entro un anno dall'entrata in vigore della Convenzione e le successive sarebbero state indette dal Segretario Generale delle Nazioni Unite ogni anno, fino alla prima Conferenza di riesame, che si è svolta a Nairobi nel 2004. Nel corso di tale prima Conferenza di riesame, gli Stati parte hanno deciso di continuare ad incontrarsi annualmente (nella seconda parte dell’anno) a Ginevra o, quando possibile, in un paese dove le mine antiuomo siano ancora un problema, fino alla Seconda Conferenza di revisione che si terrà nel 2009.

La Conferenza di Nairobi ha adottato un Piano d’Azione (Ending the suffering caused by anti-personnel mines: Nairobi Action Plan - NAP), che traccia delle linee guida per il periodo 2005-2009 allo scopo di ottenere maggiori risultati nella direzione di eliminare una volta per tutte le sofferenze causate dall’uso delle mine antipersona. A tale scopo, il NAP fornisce agli Stati parte delle precise indicazioni per vincere le sfide poste dalla Convenzione, fra le quali:

·         raggiungere l’adesione universale alla Convenzione per la messa la bando delle mine;

·         distruggere rapidamente le mine antipersona che siano ancora stoccate negli arsenali sotto il controllo o la giurisdizione degli Stati parte, per rispettare i tempi stabiliti dalla Convenzione;

·         impegnarsi maggiormente, con sforzi sia degli stati sul cui territorio persistano aree minate, sia degli stati in grado di assisterli, affinché la bonifica di dette aree avvenga entro le scadenze fissate dalla Convenzione;

·         migliorare le attività dirette alla cura, la riabilitazione e il reinserimento delle persone vittime delle mine antiuomo;

·         aumentare l’impegno degli Stati parte sul piano sia politico che finanziario e materiale per adempiere agli obblighi ad essi posti dalla Convenzione;

·         considerare sempre la trasparenza e l’efficace scambio di informazioni come fattori fondamentali per il raggiungimento degli obiettivi della Convenzione;

·         continuare a sentirsi responsabili, singolarmente e collettivamente, dell’attuazione della Convenzione.

 

Nel corso della 7a Assemblea degli Stati parte (Ginevra, 18 - 22 settembre 2006), la seconda dopo la Conferenza di Nairobi, è stato approvato un documento finale che contiene il “Geneva Progress Report” che fa il punto sullo stato di realizzazione del Piano di Azione di Nairobi.

Il Geneva Progress Report – GPR dà innanzitutto conto dei paesi che da ultimo hanno ratificato la Convenzione e sottolinea che tra i 42 Stati[8]  con non hanno ancora aderito o ratificato la Convenzione, ve ne sono alcuni che producono, usano, trasferiscono e/o conservano ampie riserve di mine antipersona. Quello che è peggio, secondo il Rapporto, è che si ritiene che alcuni di essi stiano prendendo addirittura in considerazione l’ipotesi di sviluppare nuovi tipi di mine antipersona. Il Rapporto ricorda che l’International Campaign to Ban Landmines (ICBL) durante la 6a Assemblea degli Stati parte, che si è svolta a Zagabria dal 28 novembre al 2 dicembre 2005, aveva riferito che tre stati non parte - Myanmar, Nepal e Russia – avevano fatto nuovamente uso di mine antipersona. Alcuni Stati non parte hanno sul proprio territorio aree minate e potrebbero beneficiare della cooperazione e dell’assistenza cui avrebbero diritto se aderissero alla Convenzione. Tra gli Stati non parte della Convenzione, le Isole Marshall e la Polonia sono tra i firmatari ma non hanno portato avanti le procedure per la ratifica.

Il GPR informa che tra gli Stati che hanno ratificato la Convenzione, 139 non sono in possesso di depositi di mine antipersona, sia perché non li avevano mai posseduti, sia perché hanno completato il loro programma di distruzione. Gli Stati parte hanno distrutto più di 38 milioni di mine in stoccaggio, ma per un piccolo numero di essi, la distruzione rimane importante ma difficile da attuare. La Repubblica democratica del Congo e la Lettonia hanno dichiarato di avere completato i propri obblighi riguardo la distruzione degli arsenali.

 Quanto alle attività di bonifica, Guatemala, Suriname e Macedonia hanno formalmente dichiarato di avere ottemperato agli obblighi dell’articolo 5 della Convenzione (ovvero la distruzione, entro dieci anni, delle mine collocate nelle aree minate situate nella giurisdizione o sotto il controllo di ciascuna Parte).

Per 45 Stati parte la bonifica delle aree minate è ancora in fase di svolgimento[9] e per alcuni di essi esiste la concreta possibilità che, nonostante gli sforzi, non riescano a portarla a termine entro la scadenza prefissata del 2009. E’ quindi probabile che alcuni di questi Stati saranno costretti a chiedere una proroga del termine, come del resto, ad alcune condizioni, la stessa Convenzione prevede. 

Il GRP segnala che, seguendo le conclusioni della Prima Conferenza di Riesame, i copresidenti della Commissione per l’assistenza alle vittime e il reinserimento socioeconomico hanno continuato ad assistere i 24 Stati parte interessati dalla presenza di vittime delle mine antiuomo [10].

Particolari sforzi sono  stati compiuti per superari alcuni ostacoli, tra i quali il Rapporto di Ginevra ricorda: a) il fatto che pochi tra i 24 Stati in questione hanno risposto con obiettivi specifici, misurabili, raggiungibili, pertinenti e tempestivi (c.d SMART= specific, measurable, achievable, relevant and time-bound objectives) nel 2005 e alcuni non hanno saputo dare precise informazioni circa lo stato dell’assistenza alle vittime; b) in alcuni casi gli ufficiali deputati allo sminamento hanno condotto attività di assistenza alle vittime senza poter interagire con gli operatori delle strutture sanitarie e dei servizi sociali; in altri casi ancora non sono stati neppure predisposti gli obiettivi di assistenza alle vittime.

 

Il Landmine Monitor

Nel giugno 1998 l’ICBL ha istituito il “Landmine Monitor”, un network basato su organizzazioni della società civile che ha lo scopo di monitorare e documentare l’attuazione della Convenzione sulla messa al bando delle mine e la risposta umanitaria nelle aree di crisi.

Landmine Monitor, che affianca e completa il sistema già esistente di monitoraggio stabilito dall’articolo 7 della Convenzione, pubblica un rapporto annuale che dà conto dell’uso, della produzione e del commercio di mine, degli arsenali e dello stato di avanzamento del processo di messa al bando.

L’ultimo rapporto annuale pubblicato (Landmine Monitor Report 2006[11]) prende in considerazione il periodo che va dal maggio 2005 al maggio 2006. In esso viene reso noto che la Convenzione di Ottawa e il movimento per la messa al bando delle mine continuano a compiere significativi progressi nella direzione di eliminare le mine terrestri, salvare vite e prevenire mutilazioni in ogni regione del mondo, anche se la battaglia non è ancora vinta. Anche alcuni Gruppi armati si sono impegnati a bandire l’uso delle mine antipersona, fra i quali il Fronte Polisario (Sahara Occidentale) e il Partito curdo dei lavoratori (PKK). Altri Gruppi armati, invece, continuano ad usare tali mine, anche in Paesi parte della Convenzione, come Burundi, Colombia e Guinea-Bissau.

Il Landmine Monitor Report 2006 riferisce che non ci sono prove che dimostrino che Paesi parte della Convenzione di Ottawa usino mine terrestri. Di contro, gli Stati che conservano, producono e usano mine, rimangono al di fuori della Convenzione e fra di essi spiccano Myanmar, la Cina, l’India, il Pakistan, la Russia e gli Stati Uniti. Il governo del Nepal, tra i maggiori utilizzatori di mine antiuomo, ha firmato nel maggio 2006 un accordo per il cessate il fuoco con i ribelli maoisti e un Codice di Condotta nel quale viene espressamente escluso l’uso di tali ordigni.

Il Rapporto informa che gli stessi 13 Paesi segnalati nell’edizione dell’anno precedente sono coinvolti nella produzione di mine antipersona: Myanmar, Cina, Cuba, India, Iran, Corea del Nord, Corea del Sud, Nepal, Pakistan, Russia, Singapore, Stati Uniti e Vietnam. Alcuni di questi Stati non producono realmente mine, ma non intendono rinunciare al diritto di farlo. Un discorso a parte meritano gli Stati Uniti che, seppure non producano mine dal 1997, ha sviluppato un sistema che sembra essere incompatibile con le disposizioni della Convenzione.

Quanto al trasferimento di mine antipersona, l’accusa più seria di aver violato la Convenzione è stata rivolta all’Eritrea (parte della Convenzione dal 2001) da un gruppo di monitoraggio dell’embargo delle Nazioni Unite, che ha riferito che il governo eritreo ha consegnato 1.000 mine ai militanti fondamentalisti in Somalia, nel marzo 2006.

Il Landmine Monitor Report 2006 ha registrato una diminuzione del numero di Paesi contaminati dalle mine. Sono però ancora almeno 78 le nazioni all’interno delle quali esistono aree minate e 51 di queste sono parti della Convenzione. Guatemala e Suriname (parti della Convenzione) hanno riferito di avere completato la bonifica nel 2005.

Per la prima volta a partire dal 1992, nel 2005 si è registrato un calo sensibile dei contributi versati dai donatori per la campagna contro le mine, su cui ha influito in maniera determinante la diminuzione dei fondi elargiti da due tra i maggiori contributori: gli Stati Uniti e l’Unione europea. Il grosso dei contributi è stato destinato, sempre nel 2005, a: Afghanistan, Sudan, Angola, Iraq e Cambogia.

 

 

 

 




[1]     Vedi infra.

[2]    Doc. CLXXXII, n. 8.

[3]    La Convenzione è stata ratificata dall’Italia con la legge 26 marzo 1999, n. 106.

[4]    Tra i Paesi che non ne fanno parte si segnalano gli USA e la Russia.

[5]    Doc. CLXXIII, n. 1.

[6]    La Convenzione è entrata in vigore a livello internazionale il 2 dicembre 1983. L'Italia ha provveduto alla ratifica della Convenzione e dei tre Protocolli allegati (il I sui frammenti non identificabili; il II sull'impiego delle mine; il III sulle armi incendiarie) con legge 14 dicembre 1994, n. 715. La Convenzione ed i Protocolli allegati hanno lo scopo di precisare alcune norme di diritto umanitario internazionale preesistenti, con particolare riferimento alla materia contenuta nella IV Convenzione di Ginevra del 12 agosto 1949 relativa alla protezione delle persone civili in tempo di guerra, ratificata dall'Italia con legge 27 ottobre 1951, n. 1739.

      L’Italia ha in seguito aderito anche al IV Protocollo riguardante la proibizione di Armi Laser accecanti.

[7]    Il portavoce del Dipartimento di Stato americano McCormack, ha rilasciato una dichiarazione secondo la quale gli USA ritengono che la sede ritenuta adeguata per il negoziato è la Convention on Certain Conventional Weapons - CCW, che ha già messo a punto un trattato sottoposto dall'amministrazione Bush al Senato.

[8]    44 al momento della stesura del rapporto. In seguito ha aderito il Montenegro ed ha ratificato l’Indonesia.

[9]    Afghanistan, Albania, Algeria, Angola, Argentina, Bosnia-Erzegovina, Burundi, Cambogia, Ciad, Cile, Colombia, Congo, Croazia, Cipro, Repubblica Democratica del Congo, Danimarca, Ecuador, Eritrea, Etiopia, Francia, Grecia, Guinea-Bissau, Giordania, Malawi, Mauritania, Mozambico, Nicaragua, Niger, Perù, Rwanda, Senegal, Serbia, Sudan, Swaziland, Tajikistan, Thailandia, Tunisia, Turchia, Uganda, Regno Unito, Vanuatu, Venezuela, Yemen, Zambia, e Zimbabwe.

[10]   Essi sono: Afghanistan, Albania, Angola, Bosnia-Erzegovina, Burundi, Cambogia, Ciad, Colombia, Croazia, Repubblica Democratica del Congo, El Salvador, Eritrea, Etiopia, Guinea-Bissau, Mozambico, Nicaragua, Perù, Senegal, Serbia, Sudan, Tajikistan, Thailandia, Uganda e Yemen.

[11]   Stralci del Landmine Monitor Report 2006 sono contenuti nella sezione di Pubblicistica del presente dossier.