Camera dei deputati - XV Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento affari esteri
Titolo: La situazione in Libano (Aggiornamenti)
Serie: Documentazione e ricerche    Numero: 78
Data: 06/06/2007
Descrittori:
LIBANO   STATI ESTERI


Camera dei deputati

XV LEGISLATURA

 

 

 

 

 

SERVIZIO STUDI

Documentazione e ricerche

 

 

 

 

 

 

 

La situazione in Libano

Aggiornamenti

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

n. 78

 

6 giugno 2007


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Dipartimento affari esteri

 

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File:es0102.doc


INDICE

 

 

 

Scheda di sintesi

§      La situazione in Libano  3

§      L’azione diplomatica italiana per la soluzione della crisi libanese  9

§      La missione UNIFIL  10

§      La più recente attività parlamentare  11

L’evoluzione della crisi in Libano (Cronologia)12

§      U. Ranieri ‘Tre priorità per il Libano dopo la conferenza di Parigi’, in: Affari Internazionali, 1° febbraio 2007  17

§      C. Jean ‘L’Intervento nel Libano e gli interessi nazionali italiani’, in: Affari esteri, gennaio 2007  17

§      G. Scagnetti, ‘Armée libaneise, Hezbollah, UNIFIL 2, in: Rivista Italiana Difesa, n. 1/2007  17

§      Shibley Telhami ‘Lebanese Identity and Israeli Security in the Shadows of the 2006 War, in: Current History, gennaio 2007  17

§      L. Khalili ‘Standing with My Brother’: Hizbullah Palestinians, and the Limits of Solidarity, in: Comparative Studies in Society and History, 2007  17

§      P. Salem ‘The Future of Lebanon’, in: Foreign Affairs, n., 6/2006  17

Documentazione

§      Consiglio europeo di Bruxelles, Conclusioni della Presidenza ‘Relazioni internazionali, 8-9 marzo 2007 (stralci sul Libano)21

§      Consiglio di Sicurezza – Risoluzione ONU n. 1757 del 30 maggio 2007 (Tribunale speciale sull’assassinio Hariri)21

 


Scheda di sintesi

 


La situazione in Libano

(Nota di aggiornamento)

 

 

 

Dopo la guerra della scorsa estate e la crisi istituzionale che ha condotto alla paralisi dell’attività politica, il governo Siniora è attualmente impegnato a risolvere una nuova crisi militare contro un gruppo islamista sunnita  - stabilitosi nei due maggiori campi profughi palestinesi in Libano, Ein el Helweh, nei pressi di Sidone, a sud di Beirut, e Nahr el Bared, vicino a Tripoli, nel nord -  le cui azioni violente stanno aggravando ulteriormente la già fragile situazione politica del Paese.

 

Il 20 maggio scorso si sono verificati i primi violenti scontri tra l'esercito libanese e militanti palestinesi di Fatah al-Islam, un gruppo sunnita accusato di essere alleato sia di al-Qaeda sia dei servizi segreti siriani[1], nei pressi del campo dei rifugiati palestinesi di Nahr al-Bared, nel nord del Libano. In questo campo, Fatah al-Islam ha installato il proprio quartier generale lo scorso novembre, dopo la scissione da Fatah al-Intifada, formazione armata apertamente appoggiata dal regime di Damasco.

 

Nei giorni successivi gli scontri si sono estesi anche a Tripoli e alla stessa capitale, causando oltre un centinaio di morti, fra cui diversi civili,  e numerosi feriti. A detta del ministro libanese Ahmed Fatfat, i guerriglieri sarebbero passati all'azione nell'intento di seminare ulteriore caos e di vanificare in tal modo i tentativi dell'ONU di creare il Tribunale internazionale speciale, chiamato a giudicare i responsabili dell'assassinio di Hariri. ll gruppo sarebbe infatti sospettato di essere implicato negli attentati avvenuti nel febbraio scorso  alla vigilia del secondo anniversario della morte di Hariri, e gli scontri si sarebbero intensificati con l’approssimarsi della votazione in Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite (avvenuta il 30 maggio) della risoluzione volta a istituire il suddetto Tribunale speciale internazionale dell'ONU per le indagini sull'omicidio di Rafiq Hariri.

 

Martedì 22 maggio una tregua ha posto fine a tre giorni di violenti scontri con uso di artiglieria pesante.  Dopo alcuni giorni tuttavia,  durante i quali molti  civili palestinesi hanno evacuato il campo e trovato rifugio altrove, il conflitto è ripreso con violenza ancora maggiore.

Il governo Siniora, che continua a soffrire di una grave crisi di legittimità dopo l'uscita dal governo nel dicembre scorso dell'opposizione sciita e cristiana (della parte del Generale Aoun), ha reagito con forza: a partire dal 1° giugno l’esercito libanese ha infatti lanciato un’offensiva contro i miliziani di Fatah al Islam asserragliati nel campo profughi palestinesi di Nahr al Bared; i combattimenti hanno di fatto segnato l’abbandono della prassi seguita all’Accordo del 1969 tra Libano e Lega Araba (per impulso soprattutto di Nasser), e per la quale ai campi profughi palestinesi è stata riconosciuta completa immunità, sovente estesa anche ai movimenti delle milizie in territorio libanese.

Molte delle postazioni dei guerriglieri nella parte nord del campo sono state espugnate e distrutte dall'esercito; la parte sud è rimasta invece presidiata da attivisti del movimento Fatah, fedele al presidente palestinese Abu Mazen e ostile a Fatah al Islam, che hanno eretto barricate. Nella stessa zona, risparmiata dal martellamento dell'artiglieria governativa, si sono radunati molti dei civili che ancora rimangono nel campo, oltre cinquemila (prima dell'inizio dei combattimenti erano più di 30 mila). L’avanzata dei militari libanesi nel campo profughi di Nahr al Bared è proseguita lentamente ma inesorabilmente: il 5 giugno si sono avute le prime defezioni tra i miliziani di Fatah al Islam, alcuni dei quali si sarebbero consegnati alle milizie di Al Fatah.

Il 4 giugno truppe libanesi hanno circondato anche il campo profughi palestinese di Ain el-Hilweh, nei pressi di Sidone  – il più esteso dei 12 campi profughi del Libano -  dopo gli scontri iniziati il giorno prima fra i soldati e militanti del gruppo Jund al Sham. Al momento non è certo se vi sia un collegamento fra i militanti del gruppo Fatah al Islam, asserragliati nel campo di Nahr el Bared,  e quelli di Jund al Sham, un piccolo gruppo di cui farebbero parte estremisti libanesi ricercati dalla giustizia e militanti palestinesi.

 Il pericolo di una escalation delle violenze nei campi profughi ha indotto l’OLP, e al suo interno tanto le fazioni islamiste che quelle laiche, a concordare la formazione di una forza congiunta palestinese per isolare le postazioni di Jund al Sham da quelle libanesi. Il 6 giugno è dunque arrivato in Libano il primo distaccamento (una quarantina di soldati) di militari palestinesi per vigilare sulla sicurezza dei campi profughi. Gli uomini saranno in tutto circa 150 e verranno dislocati nei quartieri di Taamir e Taware, a poca distanza dal campo di Ain el-Hilweh.

 

Per quanto concerne la situazione interna, l'attuale crisi militare, che tiene impegnato l'esercito, mobilitato su più fronti per contenere gli scontri ed evitare nuovi attentati, è stata usata dall'opposizione come ulteriore testimonianza della fragilità politica e militare del governo Siniora e della sua dipendenza dall'appoggio americano (gli Stati Uniti all'indomani dell'inizio degli scontri hanno inviato ingenti aiuti militari, peraltro già previsti dalla conferenza di Parigi dello scorso gennaio).

Per quanto tutte le fazioni politiche libanesi abbiano deplorato la spirale di violenza, gli scontri dei giorni scorsi hanno pertanto aggiunto ulteriori elementi di conflitto nel già instabile scenario politico libanese. All’inizio del conflitto, i partiti filogovernativi hanno infatti sostenuto che il gruppo fondamentalista sunnita è uno strumento della Siria che deve essere sradicato senza esitazioni, mentre i gruppi d'opposizione guidati dal movimento sciita Hezbollah si sono mostrati contrari ad un confronto militare che, come effetto collaterale,  potrebbe attirare al Qaida in Libano. 

Il leader druso Walid Jumblatt ha affermato che i miliziani di Fatah al Islam assediati dall'esercito nel Nord del Paese altro non sono che ''una gang siriana'' e ha sostenuto che Damasco potrebbe in futuro anche tentare di far fallire la missione dell'Unifil, il contingente delle Nazioni Unite schierato nel Sud del Libano. ''Mentre le truppe libanesi sono impegnate (nel Nord), la Siria interviene per seminare caos a Beirut e potrebbe anche raggiungere il Sud per ostacolare il lavoro delle forze dell'ONU'', ha detto, riferendosi agli attentati dinamitardi compiuti a Beirut nei giorni scorsi, che sono coincisi con i violenti scontri tra esercito libanese e miliziani di Fatah al Islam attorno al campo profughi palestinese di Nahr al Bared. 

Dall’altra parte, secondo il leader di Hezbollah Sayyed Hassan Nasrallah, l'attacco al campo di Nahr al Bared sarebbe stato “un errore” capace di attirare in Libano i combattenti di al Qaida. L'atteggiamento di Nasrallah ha fortemente irritato i suoi rivali: ''equiparare gli assassini, che sono agenti siriani, alle vittime, che sono soldati martiri, è una vergogna per la resistenza (Hezbollah)'', ha affermato Jumblatt. Secondo il premier Fuad Siniora, le parole di Nasrallah equivalgono a dirsi ''d'accordo con le azioni di Fatah al Islam''.

Secondo taluni analisti la ''cautela'' dello sciita Nasrallah nei confronti dei militanti sunniti si spiegherebbe con il desiderio di evitare che il Paese scivoli in uno scontro interconfessionale sul modello iracheno, posto che la retorica radicale di Fatah al-Islam contro sciiti e cristiani può avere ripercussioni negative sugli equilibri interconfessionali interni al Paese. Fatto sta che Nasrallah, dopo la sua iniziale presa di posizione contro Fatah al Islam e i suoi tentativi di destabilizzare il Libano, da giorni continua ad invocare una risoluzione del conflitto per via politica.

Intanto, come accennato, mercoledì 30 maggio il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha approvato la risoluzione 1757 sull'istituzione di un tribunale a carattere internazionale sull'uccisione, a Beirut nel 2005, dell'ex premier Rafik Hariri.

La risoluzione, approvata con 10 voti a favore e le astensioni di Russia, Cina, Sudafrica, Indonesia e Qatar,  prevede l'entrata in vigore automatica il 10 giugno della convenzione firmata tra Onu e Libano per la creazione del Tribunale speciale, e stabilisce che questo comincerà a funzionare in una data stabilita dal Segretario Generale dell'ONU tenendo conto dei progressi fatti dalla commissione d'inchiesta internazionale. Sulla questione è intervenuto anche il Ministro degli Esteri D’Alema, il quale ha dichiarato che si tratta di una decisione che potrebbe avviare a soluzione un nodo cruciale dello stato politico del Libano, anche se la costituzione di questo tribunale potrà determinare qualche tensione. Sempre secondo il Ministro degli Esteri, è importante spiegare ai paesi vicini, e alla Siria in primo luogo , che l’istituzione del Tribunale non è un gesto di rottura o una decisione contro Damasco, bensì un modo per riaffermare la sovranità e l'indipendenza del Libano. L'istituzione del Tribunale è stata peraltro molto criticata dalla stampa siriana: ''è una decisione politica voluta dagli Stati Uniti e da Israele'', ha scritto un quotidiano di Damasco, aggiungendo che ''con questa risoluzione gli Usa vogliono vendicarsi dei paesi della regione che si sono opposti alla loro occupazione dell'Iraq''.

Il Primo ministro libanese Fuad Siniora ha invece cercato di smorzare i toni, affermando che la creazione del tribunale ''non va contro nessuno e in particolare non va contro la sorella Siria. Si tratta di una vittoria per il Libano e per tutti i libanesi contro l'oppressione e il crimine''.

La creazione del Tribunale – che è stata la causa dell'uscita dei ministri dell'opposizione dal governo di unità nazionale nello scorso novembre, dopo che il Rapporto ONU - Mehlis sull'omicidio aveva accusato alcuni ufficiali libanesi e siriani di coinvolgimento nell'attentato contro l'ex Primo Ministro - rimane comunque fortemente osteggiata da Hezbollah e dal suo attuale alleato politico, il Generale Aoun. Nasrallah ha, in particolare, affermato che tale organo "provocherebbe ulteriori frammentazioni tra la popolazione";  è chiaro tuttavia che la sua creazione porterebbe a mettere sotto accusa la Siria, e quindi i suoi alleati in Libano, come il Presidente uscente Lahoud, complicando ulteriormente il quadro in vista delle prossime elezioni presidenziali che si terranno in autunno e che continuano ad essere fonte di rilevanti tensioni.

Da ultimo, si ricorda che i temi libanesi hanno costituito uno dei principali argomenti discussi il 5 giugno il durante la visita del Ministro degli Esteri D’Alema a Damasco e a Beirut.

In Siria, il Ministronon ha mancato di rappresentare al Presidente Bashar Al Assad l’insostenibilità dello stallo politico libanese, soprattutto dopo l’inizio dei combattimenti nei campi profughi palestinesi.Damasco da parte sua ha ribadito di non avere alcun legame con i qaedisti di Fatah Al-Islam: "non abbiamo alcun rapporto con Fatah al-Islam" ha detto il Ministro degli Esteri siriano Walid Mo'Allem durante una conferenza stampa congiunta con il Ministro D'Alema.         Il responsabile della diplomazia siriana ha inoltre riferito di "scontri al confine con l'Iraq tra le truppe siriane e i miliziani legati ad Al Qaeda "costati la vita a sei guerriglieri". I fondamentalisti legati alla rete di Osama Bin Laden che proliferano nei campi profughi sono "perniciosi per la causa palestinese" ha detto Moallem. "Chi accusa la Siria di essere dietro questa organizzazione copre chi la finanzia e la sostiene". Ai giornalisti che gli chiedevano di specificare tale affermazione, il Ministro siriano si è limitato ad accusare l'invasione statunitense dell'Iraq che "ha attivato la presenza di Al Qaeda nel Paese e la sua diffusione in Siria e in Libano".

Da parte sua, il Ministro D’Alema ha manifestato la volontà del Governo italiano di "rilanciare un rapporto di collaborazione con la Siria" ed incoraggiarne un "contributo positivo e attivo" per la soluzione delle crisi regionali, dal Libano, all'Iraq, sino al conflitto israelo-palestinese. Sottolineando il "rilievo delle relazioni economiche e culturali" tra i due Paesi, D'Alema ha inoltre affermato che "l'Italia intende sostenere l'aspirazione della Siria ad arrivare ad un accordo di associazione con la UE". Per questo, sarà necessario "lavorare per rimuovere tutti gli ostacoli che sinora ne hanno impedito" la realizzazione. D'Alema e Moallem hanno quindi insistito sull'importanza della "stabilità dell'Iraq", del "futuro politico del Libano" – per il quale è stata espressa la necessità di "incoraggiare un accordo politico tra le parti che metta fine all'attuale situazione di stallo" - e della pace tra palestinesi e israeliani, ma anche tra arabi e israeliani; "nessuna di queste questioni potrà essere risolta senza un apporto positivo da parte della Siria", ha inoltre sottolineato il Ministro D’Alema.

In merito al Tribunale speciale, la Siria ha ribadito che avrebbe preferito che una tale decisione fosse stata presa dalle autorità e dal Parlamento libanesi, anziché dalle Nazioni Unite. In ogni caso, ha aggiunto D'Alema, questo Tribunale "non vuole costituire una minaccia nei confronti di nessuno, ma vuole essere una garanzia di giustizia".

A Beirut, il Ministro degli Esteri italiano ha quindi portato il messaggio di disponibilità della Siria a cooperare sulle più importanti questioni regionali.              In particolare, durante la visita, D'Alema ha espresso la sua solidarietà "al Libano, al popolo libanese e alle forze armate per l'attacco che hanno subito" da parte dei qaedisti asserragliati nei campi profughi palestinesi nel nord e nel sud del Paese, nonché un particolare apprezzamento per la "risposta forte del governo Siniora, sostenuta dalla grande maggioranza dei gruppi palestinesi e dalla totalità delle forze politiche libanesi" che va, però, equilibrata con l'impegno a "evitare le sofferenze dei civili palestinesi".

Il titolare della Farnesina ha poi voluto ricordare il "consenso italiano alla decisione del Consiglio di Sicurezza di istituire un Tribunale per accertare le responsabilità dell'omicidio dell'ex premier libanese Rafik Hariri"; un Tribunale che, ha ribadito, "non è una minaccia verso nessun paese”, ma anzi, è un modo per dimostrare che "il Libano non intende più subire il condizionamento della violenza e dell'omicidio politico".A tale proposito, la costituzione del Tribunale internazionale potrebbe diventare per la Siria "una merce di scambio",  con il coinvolgimento di Damasco nella soluzione delle crisi mediorientali; se la soluzione di problemi come quello iracheno e il conflitto israelo-palestinese non può essere perseguita senza la partecipazione della Siria,  il suo coinvolgimento potrebbe passare attraverso la piena collaborazione al giudizio nei confronti dei responsabili della strage compiuta il 14 febbraio 2005 a Beirut.


 

L’azione diplomatica italiana per la soluzione della crisi libanese

L’Italia ha svolto un ruolo molto attivo per la pacificazione del Libano sconvolto dalla guerra del luglio-agosto 2006. Già il 26 luglio, a pochi giorni dall’inizio delle azioni militari, su iniziativa del nostro paese, è stata convocata la Conferenza di Roma dalla quale ha avuto origine la richiesta della autorizzazione all’invio di una forza internazionale in Libano sotto il mandato ONU.

Dopo la cessazione delle ostilità, si ricordano la visita in Libano del Ministro degli esteri D’Alema (20 dicembre)[2] e la visita a Beirut e al contingente italiano inquadrato nella forza di interposizione delle Nazioni Unite del Presidente del Consiglio (24 dicembre).

Inoltre, una delegazione delle Commissioni Esteri e Difesa della Camera ha compiuto il 18 e 19 gennaio 2007 una missione in Libano, al termine della quale è stata ribadita la necessità del rispetto scrupoloso, da parte di tutti i contendenti, della risoluzione 1701 del consiglio di Sicurezza dell’ONU, che ha posto fine al conflitto israelo-libanese dell’estate 2006. La delegazione del Parlamento italiano ha inoltre sostenuto la tesi della sovranità libanese sul territorio circostante alle fattorie di Sheeba, sovranità non riconosciuta da Tel Aviv.

Esattamente un mese dopo è stata la volta di una delegazione delle Commissioni Esteri e Difesa del Senato, la quale ha constatato la sostanziale tenuta della tregua assicurata dalla risoluzione 1701 e dalla missione UNIFIL. D’altro canto, però, la situazione interna libanese si è mostrata bloccata in una preoccupante impasse.

Si ricorda infine la visita del Presidente della Camera, on. Fausto Bertinotti, in alcuni Paesi del Medio Oriente, iniziata il 5-6 maggio proprio dal Libano, ove ha incontrato esponenti di governo e di opposizione, oltre a recarsi presso la base italiana nell’ambito della missione UNIFIL.

 

La missione UNIFIL

In risposta all’aggressione di un commando palestinese avvenuta in territorio israeliano, le forze armate di Israele invasero, nel marzo 1978, il sud del Libano dove si trovavano numerosi campi di rifugiati palestinesi. Il Consiglio di sicurezza dell’ONU invitò immediatamente Israele a ritirare le proprie truppe e, su richiesta del governo libanese, costituì, con la risoluzione 425/1978, la United Nations Interim Force In Lebanon (UNIFIL) con il compito, appunto, di verificare il ritiro delle truppe israeliane, oltre a quello di ristabilire la pace e la sicurezza internazionale e di assistere il Governo del Libano a ripristinare la sua effettiva autorità nella zona.

Il Consiglio di Sicurezza dell'ONU aveva deliberato l'invio di un contingente militare di 4.000 uomini con il compito di interporsi tra le forze palestinesi e le forze israeliane che arretrarono successivamente nei propri confini. Il mandato dell'UNIFIL, viene rinnovato ogni sei mesi sin da quando venne stabilito nel 1978. A seguito del ritiro delle truppe israeliane avvenuto nel giugno 2001 e del conseguente esaurimento di una parte del mandato, l’UNIFIL ha subito una graduale trasformazione, configurandosi come una missione di osservatori ed impiegando un minor numero di uomini (circa 2.000 nel settembre 2004).

Il contingente italiano, su base interforze, è operante in Libano dal luglio 1979 con compiti di ricognizione, ricerca e soccorso, trasporto sanitario e collegamento.

In seguito alla crisi dell’estate 2006, la missione UNIFIL è stata ridefinita dalla risoluzione n. 1701 dell’11 agosto 2006 del Consiglio di Sicurezza dell’ONU. La nuova risoluzione ha disposto una azione "cuscinetto" delle forze UNIFIL, dispiegate tra l'Esercito libanese e quello israeliano, in tutto il territorio libanese a sud del fiume Litani.

A tale scopo il contingente UNIFIL è stato incrementato fino a un massimo di 15.000 effettivi ed ha come nuovi compiti principali quelli di monitorare l’effettiva cessazione delle ostilità; accompagnare e sostenere le Forze armate libanesi nel loro dispiegamento nel Sud, anche lungo la Linea blu;  prestare la propria assistenza per contribuire ad assicurare l’accesso umanitario alle popolazioni civili e il volontario e sicuro ritorno delle persone sfollate. Il mandato dell’UNIFIL è prorogato al 31 agosto 2007.

Il 2 febbraio il generale Claudio Graziano ha assunto il comando dell'Unifil, subentrando al collega francese Alain Pellegrini.

 

La più recente attività parlamentare

Si ricordano tre recenti eventi di particolare rilievo che hanno riguardato il Parlamento italiano.

Il primo è l’informativa urgente del Governo sulla situazione in Libano resa dal Viceministro Ugo Intini nella seduta del 29 gennaio. In questa occasione il rappresentante del Governo ha riconfermato l’appoggio italiano al primo ministro Sinora e alla rivendicazione di legittimità del suo governo.

Il secondo evento parlamentare è la già citata missione di una delegazione congiunta delle Commissioni Esteri e Difesa della Camera, il 18 e 19 gennaio. Nelle comunicazioni sulla missione, rese dal Presidente della III Commissione, On. Ranieri, nella seduta del 25 gennaio, sono richiamati tutti i termini della crisi in corso, primo fra tutti il problema della ratifica del trattato per l’istituzione di un tribunale internazionale chiamato a giudicare i responsabili dell’assassinio di Hariri. L’interesse della Commissione Esteri per la situazione libanese è sfociato il 1° febbraio nell’approvazione di una risoluzione di iniziativa del presidente Ranieri (ris.ne n. 7-00106, sulla situazione in Libano), con la quale si impegna il governo a favorire in tutte le sedi internazionali la ripresa del dialogo tra le forze politiche libanesi, contribuendo, sia a livello bilaterale che in seno all'Unione europea, a mettere a disposizione del Libano le risorse finanziarie necessarie alla ricostruzione e alla ristrutturazione dell'economia. La risoluzione vincola infine il governo italiano “a seguire in seno al Consiglio di sicurezza dell'ONU l'evoluzione della crisi libanese e ad informare puntualmente e tempestivamente il Parlamento sugli ulteriori sviluppi della situazione”.


 

L’evoluzione della crisi in Libano (Cronologia)

Intrecciati, anche cronologicamente, con i passaggi cruciali della crisi nei Territori, vi sono gli episodi attraverso cui si è evoluta la più recente crisi libanese - fra l’omicidio Hariri e la cessazione delle ostilità fra Israele e le milizie Hezbollah, - e che si richiamano di seguito:

·         14 febbraio 2005: uccisione dell’ex premierRafik Hariri. Tale evento ha causato una decisa reazione dell’opinione pubblica contro la pesante ingerenza siriana nel Paese: le numerose manifestazioni contro il governo filo-siriano organizzate nelle settimane successive all’attentato hanno dato vita alla cosiddetta “rivoluzione dei Cedri” che ha destato molte speranze, deluse però nei mesi successivi. Sul piano politico, tuttavia, la rivoluzione dei Cedri ha prodotto una ripresa del dibattito sulla smilitarizzazione dei gruppi armati libanesi, così come richiesto dalla risoluzione dell’ONU 1559 del 2 settembre 2004;

·         Un segno tangibile del cambiamento verso il quale avrebbe potuto avviarsi il Libano è stato dato dalle elezioni parlamentari del maggio 2005, le prime, a partire dalla fine della guerra civile (terminata nel 1990), che si siano svolte senza interferenze da parte siriana. Dalle elezioni è risultata vincente (con 72 seggi su 128) l’ampia coalizione anti-siriana guidata da Saad Hariri, il figlio del primo ministro assassinato. La coalizione comprendeva  i sunniti fedeli ad Hariri, i drusi di Walid Jumblatt e gruppi cristiani costituiti per la maggior parte da maroniti. Il nuovo Governo (formato il30 giugno 2005)è guidato dal sunnita Fouad Siniora[3], in precedenza ministro delle finanze nel governo di Rafik Hariri e comprende tutte le maggiori formazioni politiche ad eccezione del FPM (Free Patriotic Movement) guidato dal generale Michel Aoun, già primo ministro negli ultimi due anni della guerra civile. Del governo fanno quindi parte anche componenti filo-siriane, che sostengono il Presidente Lahoud e, per la prima volta, due ministri di Hezbollah. Come prevedibile, il gruppo di Hezbollah è stato frequentemente in disaccordo con alcuni dei membri del governo di cui esso stesso fa parte e, all’inizio del 2006, ha siglato un’alleanza con il Free Patriotic Movement di Michel Aoun, precedentemente critico sia verso Hezbollah sia verso la Siria: la nuova alleanza cristiano-sciita ha lo scopo di creare una diversa maggioranza e sostenere la candidatura di Aoun in vista della scadenza del mandato del Presidente Lahoud nell’ottobre 2007[4].

·         Le elezioni del maggio 2005 e la formazione del nuovo governo non hanno tuttavia impedito – nel corso dell’intero 2005 - una scia di assassini politici di personalità ostili all’ingerenza siriana nel paese: il giornalista anti-siriano Samir Kassir (2 giugno 2005), l'ex leader comunista  George Hawi (21 giugno 2005), il parlamentare anti-siriano Gebran Tueni (12 dicembre 2005).

·         19 ottobre 2005: viene presentato il primo rapporto della Commissione[5] sull’assassinio di Rafik Hariri (Rapporto Mehlis). In esso si evidenziano le responsabilità dei servizi segreti libanesi e siriani, oltre a pesanti sospetti verso i più alti livelli politici dei due Paesi; il movente più probabile appare la contrarietà di Hariri alla proroga del mandato del Presidente Lahoud, che, come si è detto, è alleato della Siria. Il 31 ottobre 2005 il Consiglio di Sicurezza dell’ONU ha approvatola risoluzione n. 1636, nella quale, pur mancando l’esplicita menzione di sanzioni contro la Siria – precluse da Cina e Russia - si allude ad “azioni” contro di essa in caso di mancata collaborazione con la Commissione. La collaborazione prevede, tra l’altro, l’arresto  e la messa a disposizione delle persone sospette, rispetto alle quali sono previste restrizioni nella libertà di movimento. Nella risoluzione si cita esplicitamente il Cap. VII della Carta dell’ONU, che abilita il Consiglio ad intraprendere misure punitive verso un Paese che attenti alla pace e alla sicurezza internazionale.

·         12 dicembre 2005: viene reso pubblico il secondo rapporto sull’assassinio di Rafik Hariri nel quale è precisato il numero dei sospetti (19 persone, per cinque delle quali si chiede l’arresto – e tra queste ultime figura l’ex capo dei servizi militari siriani in Libano).

·         marzo 2006: il Consiglio di sicurezza ha approvato la risoluzione 1664 che ha incaricato il segretario generale dell'ONU di negoziare un accordo con il governo del Libano per la creazione di un tribunale internazionale per processare i responsabili dell’uccisione di Hariri[6].

·         15 giugno 2006: con la risoluzione del Consiglio di Sicurezza n. 1686, il mandato della Commissione internazionale sull’assassinio di Hariri è stato prorogato al 15 giugno 2007.

·         12 luglio 2006: inizia il nuovo conflitto israelo-libanese con il lancio di razzi verso la parte Nord di Israele e sequestri di militari israeliani da parte del gruppo di Hezbollah. In risposta, le forze militari israeliane sono penetrate nel territorio libanese, autorizzate dal governo israeliano che ha considerato l’attacco di Hezbollah un vero e proprio atto di guerra. Sono così cominciati, da parte israeliana, bombardamenti aerei (anche di Beirut), blocchi navali e incursioni terrestri nel sud del Libano, mentre gli Hezbollah hanno bombardato diverse città del nord di Israele, tra le quali Haifa. I combattimenti lungo il confine israelo-libanese sono durati per molti giorni, causando perdite ad entrambe le parti.

·         11 agosto: approvazione all’unanimità della risoluzione n. 1701 del Consiglio di sicurezza dell’ONU, che ha disposto – a tregua avvenuta - il dispiegamento congiunto delle forze libanesi e della Forza multinazionale di pace (UNIFIL) nel Libano meridionale, nonché il contestuale ritiro di Israele dalla regione[7]. La stessa risoluzione ha invitato alla costruzione di una fascia di sicurezza tra la “linea blu” e il fiume Litani suscettibile di prevenire una ripresa delle ostilità, nella quale vi sia esclusiva presenza di forze armate e armamenti sotto il diretto controllo del Governo libanese, assistito dall’UNIFIL. Il testo invita inoltre all’applicazione integrale delle pertinenti disposizioni degli Accordi di Taef – che nel 1989 posero fine alla lunga guerra civile libanese -,nonché delle risoluzioni 1559 (2004) e 1680 (2006), entrambe volte al disarmo dei gruppi armati in Libano. La risoluzione ha previsto altresì l'avvio di negoziati politici tra Israele e Libano, per giungere ad una soluzione duratura della questione.

·         A seguito dell’accettazione risoluzione 1701, sia da parte del Governo libanese che di quello israeliano, si arriva, il 14 agosto, alla cessazione delle ostilità.

 




[1]    In particolare, Il gruppo salafita Fatah al Islam deriverebbe da un distaccamento di un analogo gruppo siriano, anch'esso operante nei campi profughi palestinesi in Siria, con l'obiettivo di sostituirsi alla leadership, principalmente di stampo nazionalista filo-Fatah, dei campi palestinesi in Libano. I jihadisti della milizia non sono tutti palestinesi, bensì provengono da numerosi teatri arabi quali Pakistan, Arabia Saudita, Iraq; tale circostanza, assieme alla condanna espressa sia da parte delle autorità palestinesi (ANP), sia dagli stessi profughi palestinesi in Libano, confermerebbe l'estraneità del gruppo alla causa dell'indipendenza palestinese. Viceversa, molto forti sarebbero i legami tra il gruppo e il terrorismo islamista di al-Qaeda, stante anche lo stretto legame tra il leader di Fatah al-Islam, Shaker Abssi, e l’ex capo di al-Qaeda in Iraq, Abu Musab Al-Zarqawi, entrambi di origine palestinese.

[2]    In questa occasione D’Alema si è espresso in favore dell’iniziativa della Lega araba per il raggiungimento di un accordo di collaborazione tra le parti, anche se ha espresso riserve circa il coinvolgimento della Siria nelle trattative di pace.

 

[3]     Si ricorda che in base ad un accordo mai scritto risalente al Patto Nazionale del 1943, il Premier è sunnita, il Capo dello Stato è cristiano maronita e il Presidente del Parlamento è sciita.

[4]    Si ricorda che  Lahoud era stato eletto dal Parlamento nel 1998 ma il mandato, della durata di sei anni, è stato prorogato di tre anni con un voto dell’Assemblea Nazionale il 3 settembre 2004.

[5]     Per fare chiarezza sull’uccisione di Hariri, il Consiglio di Sicurezza dell’ONU aveva disposto, attraverso la risoluzione 1595 del 7 aprile 2005, l’istituzione di una Commissione internazionale indipendente, con sede in Libano, con il compito di assistere nelle indagini le autorità di quel paese.

[6]     Sull’accordo raggiunto con il governo libanese, il Consiglio di Sicurezza ha successivamente espresso (21 novembre 2006) la propria soddisfazione, anche se l’effettiva istituzione di tale organismo appare tuttora come un snodo nevralgico della crisi libanese. Lo Statuto del Tribunale - che dovrà indagare anche su ogni altro attentato che, a partire dall’ottobre 2004 sia assimilabile per natura e gravità a quello che ha causato la morte di Hariri -  prevede che esso sia composto da un giudice internazionale per le indagini preliminari, tre giudici di camera di consiglio (uno libanese e due internazionali) cinque giudici di appello (due libanesi e tre internazionali) e due supplenti (uno libanese ed uno internazionale).

[7]    La risoluzione ha fatto appello alla Comunità internazionale perché assumesse iniziative immediate per prestare il suo aiuto finanziario e umanitario al popolo libanese. A seguito di questo appello, Il 31 agosto 2006 si è tenuta a Stoccolma la prima Conferenza dei paesi donatori, che si è conclusa con un impegno complessivo che ha superato i 940 milioni di dollari. Secondo il documento finale della Conferenza, questo importo, unito ai contributi a vario titolo ricevuti dal Libano precedentemente, ha portato ad un totale di oltre 1,2 miliardi di dollari la cifra – fino ad allora - messa a disposizione per la ricostruzione del paese. Il 25 gennaio 2007 si è tenuta a Parigi la seconda Conferenza dei paesi donatori alla quale hanno partecipato una trentina di nazioni e di Organizzazioni internazionali.