Camera dei deputati - XV Legislatura - Dossier di documentazione
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Autore: | Servizio Studi - Dipartimento affari esteri | ||
Titolo: | La Questione Israelo-Palestinese | ||
Serie: | Documentazione e ricerche Numero: 42 | ||
Data: | 31/01/2007 | ||
Descrittori: |
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Organi della Camera: | III-Affari esteri e comunitari |
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Camera dei deputati
XV LEGISLATURA
SERVIZIO STUDI
Documentazione e ricerche
La Questione Israelo-Palestinese
n. 42
31 gennaio 2007
Dipartimento affari esteri
SIWEB
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INDICE
La questione israelo-palestinese (Quadro di sintesi)
§ Dichiarazione sul processo di pace in Medio Oriente, Conclusioni della Presidenza - Consiglio europeo di Bruxelles, 14-15 dicembre 2006
Pubblicistica
§ A. Ciarrapico, L’Europa e la polveriera medio-orientale, in: Affari esteri, ottobre 2006
§ G. S. Frankel, La guerra perpetua di Israele, in: Il Mulino, ottobre 2006
§ U. De Giovannangeli, Radiografia di Hamas, in: Limes, n. 4/2006
§ C. Pavoncello, Le carte della pace, in: I quaderni speciali di Limes, suppl. al n. 4/2006
§ R. Pedatzur, Il triangolo Gaza-Israele-Egitto, in: I quaderni speciali di Limes, suppl. al n. 4/2006
§ U. De Giovannangeli, Se questo sarà lo stato palestinese, in: I quaderni speciali di Limes, suppl. al n. 4/2006
§ R. Alcaro, L’assistenza europea e americana all’autorità nazionale palestinese, Dossier n. 42/aprile 2006 del Servizio Studi del Senato della Repubblica
§ R. Aliboni, Diplomatic Opportunities After the Israeli-hezbollah Conflict, in: The International Spectator, n. 4/2006
§ D. Schmid, Les Européens face au conflit israélo-palestinien: un front uni paradoxal, in: Défense nationale, agosto-settembre 2006
La coesistenza di uno Stato Israeliano e di uno Stato palestinese, reciprocamente accettati, è la soluzione al conflitto israelo-palestinese prospettata dagli Accordi di Oslo del 1993.
“Il Governo dello Stato di Israele ed il team dell’OLP, il quale rappresenta il popolo Palestinese, concordano che è tempo di porre fine ai decenni di scontri e conflitti, riconoscono reciprocamente i loro diritti legittimi e politici, e si impegnano a vivere in coesistenza pacifica e in mutuo rispetto e sicurezza e a realizzare una pace giusta, duratura e completa e una riconciliazione storica mediante il processo politico concordato…”.
Con
questo preambolo si apre il primo degli Accordi di Oslo,
Come
dimostrano i recenti sviluppi della crisi israelo-palestinese, le cose sono
andate diversamente, e la prima Intifada, iniziata nel settembre del
Rimangono pertanto tuttora irrisolti i problemi che hanno sino ad ora impedito un esito positivo della questione, quali, in particolare: i confini e la natura del futuro Stato palestinese, la sicurezza dei due Stati, la questione dei profughi palestinesi, il destino delle colonie israeliane, lo status di Gerusalemme e la sovranità sui luoghi sacri rivendicata da entrambe le parti.
I negoziati di pace sono proseguiti negli anni, a volte con grandi pause, a volte lasciando intravedere una soluzione prossima, con l’elaborazione di progetti per la composizione del conflitto spesso tramontati nel breve volgere di qualche mese [1].
Il piano di pace tuttora all’ordine del giorno è costituito dalla Road map elaborata alla fine del 2002 dal c.d. “Quartetto” formato da USA, Russia, ONU e Unione europea, che avrebbe dovuto condurre alla creazione di uno Stato palestinese entro la fine del 2005.
Nella prima fase il piano richiedeva da parte palestinese l'immediata cessazione degli attacchi terroristici contro Israele, accompagnata dalla ripresa di un dialogo sulla sicurezza con lo Stato ebraico e da riforme politiche globali in seno all'Autorità palestinese. Israele, dal canto suo, si sarebbe adoperata per la normalizzazione della vita dei palestinesi, ritirandosi progressivamente - in corrispondenza con il ripristino di sempre maggiori condizioni di sicurezza - dai territori rioccupati dopo l'inizio (settembre 2000) della seconda Intifada e congelando ogni attività di colonizzazione. Israele dovrà più precisamente smantellare gli insediamenti successivi al marzo 2001, e dovrà riconoscere senza ambiguità il diritto alla nascita di uno Stato palestinese indipendente e sovrano.
La seconda fase prevedeva la creazione entro il 2003 di uno stato palestinese con frontiere provvisorie, riconosciuto dalle Nazioni Unite, e dotato di istituzioni democratiche, da realizzare attraverso libere elezioni. Era prevista la convocazione di una Conferenza internazionale per una pace globale in Medio oriente.
La terza fase prevedeva lo svolgimento, nel 2004, di una seconda Conferenza internazionale, al fine di giungere entro l'anno seguente alla creazione entro confini definitivi di uno Stato palestinese. In quella fase si sarebbero affrontati i nodi dello status di Gerusalemme, degli insediamenti e del ritorno dei profughi palestinesi.
Il percorso, tuttora incompiuto (le scadenze contenute nella Road Map sono state rinviate a data da destinarsi), è stato complicato e reso impraticabile dal perdurare del conflitto tra le parti, che si è concretizzato in attentati suicidi contro gli israeliani, e reazioni militari di questi ultimi.
La Road Map è stata approvata dal Consiglio di sicurezza dell’ONU che, il 19 novembre 2003, ha adottato all’unanimità la risoluzione 1515 presentata dalla Russia. La risoluzione fa anche appello alle parti affinché vengano rispettati gli obblighi da essa previsti per la definizione di due Stati che possano coesistere fianco a fianco in condizioni di pace e sicurezza. In risposta alla risoluzione 1515, il governo di Israele ha precisato che l’attuazione della Road Map è comunque subordinata alle 14 riserve poste da Israele [2] e agli accordi fra Israele e gli Stati Uniti.
In una situazione di permanente conflitto, senza che l’attuazione della Road map segnasse progressi, la strategia israeliana si è progressivamente incentrata sull’approccio unilaterale a una serie di questioni aperte, accompagnato da una lotta senza quartiere contro i gruppi armati palestinesi.
In tale contesto si pone
certamente come principale risultato la messa a punto del piano Sharon per il ritiro
unilaterale di Israele da Gaza e da parte della Cisgiordania. L’attuazione
del Piano Sharon è stata accelerata dopo che nel giugno 2005
Grandi speranze aveva destato il primo atto significativo della presidenza di Abu Mazen (conosciuto anche come Mahmud Abbas, succeduto nella guida dell’ANP[3] ad Arafat, morto nel novembre 2004) ossia l’incontro di Sharm-el-Sheik con Sharon, avvenuto l’8 febbraio 2005 alla presenza del presidente egiziano Mubarak e del re di Giordania: l’incontro non ha definito impegni specifici, ma in esso sono state rilasciate dichiarazioni significative della volontà di pace delle due parti. Tuttavia le fazioni palestinesi estremiste si sono dichiarate non vincolate dalle posizioni dell’Autorità Nazionale Palestinese, dissenso che si è manifestato nelle elezioni amministrative a Gaza, nettamente dominate da Hamas. L’incontro di Sharm-el-Sheik ha comunque sancito pro-tempore la fine, dopo quattro anni, della seconda Intifada e ha rilanciato il percorso di pace della Road Map. Il Governo di Tel Aviv, dal canto suo, ha compiuto dopo l’incontro alcuni gesti di disponibilità, come la liberazione di circa cinquecento prigionieri palestinesi e la riapertura di diversi transiti chiusi da mesi. Inoltre, e non meno rilevante, Israele si era impegnata a trasferire al più presto sotto il controllo palestinese cinque città: Ramallah, Betlemme, Gerico,Tulkarem e Kalkilya. Gerico è stata riconsegnata all’ANP il 16 marzo 2005.
A complicare la situazione è arrivata la netta vittoria di Hamas nelle elezioni legislative palestinesi del 26 gennaio 2006, attese da molti anni e più volte rimandate: il movimento integralista ha conquistato la maggioranza assoluta dei seggi e ha dato vita al nuovo Governo (il premier Abu Ala, conseguentemente, ha rassegnato il mandato) che si è formato il 28 marzo 2006, presieduto da Ismail Haniyeh. Del nuovo governo fanno parte solo esponenti di Hamas e suoi simpatizzanti, mentre Fatah si è rifiutato di prendervi parte.
Il 28 marzo 2006 si sono svolte le elezioni politiche israeliane, nelle quali il Partito di Olmert, Kadima, ha conquistato 29 seggi alla Knesset, maggioranza relativa ma meno ampia del previsto. I laburisti di Peretz hanno ottenuto 20 seggi, mantenendo sostanzialmente le precedenti posizioni, mentre il Likud ha perso voti, conquistando appena 12 seggi, gli stessi del partito religioso sefardita Shas. (Inoltre, 11 seggi sono andati al partito di estrema destra degli ebrei russi, 9 alle liste arabe, 6 all’altro Partito religioso - ashkenazita -, 7 ai pensionati, 5 al partito di sinistra Meretz).
Il movimento Hamas al Governo ha sin dall’inizio confermato di non voler procedere al riconoscimento di Israele, preferendo inoltre parlare di “tregua” più che di pace con Tel Aviv. In questo contesto i ministri degli Esteri della UE, riuniti a Lussemburgo il 10-11 aprile 2006, hanno deciso di interrompere gli aiuti finanziari diretti al Governo palestinese, mantenendo solo gli aiuti a carattere umanitario somministrati dalla Comunità internazionale; la decisione coinvolge anche gli aiuti forniti a livello bilaterale dagli Stati membri. In precedenza anche gli Stati Uniti avevano congelato i finanziamenti, mentre le Nazioni Unite hanno imposto ai propri funzionari di evitare incontri di livello politico con esponenti di Hamas.
Il 27 aprile è stato siglato un accordo di governo tra il Partito Kadima e i laburisti, nel quale si ammorbidiscono i toni rispetto al Piano enunciato qualche settimana prima da Olmert, e che prevedeva oltre al ritiro da ampie zone della Cisgiordania, anche l’annessione delle aree dove sono presenti i più omogenei e più territorialmente contigui insediamenti ebraici. Il 4 maggio il Governo Olmert ha ricevuto la fiducia della Knesset.
Il 22 giugno 2006 il premier Olmert e Abu Mazen si sono incontrati, alla presenza del re di Giordania, con l’intenzione di riprendere i colloqui sulla Road Map. L’intenzione espressa di rivedersi nelle settimane successive è stata superata dagli avvenimenti che hanno coinvolto Israele sul fronte del confine con il Libano.
Il 25 giugno, alla frontiera tra Gaza e lo Stato ebraico viene rapito il militare israeliano Gilad Shalit che dà inizio ad una serie di azioni militari da parte di Israele progressivamente sempre più “pesanti” nella striscia di Gaza, e che hanno provocato fino alla metà di agosto 160 vittime tra i palestinesi.
Il 27 giugno Hamas e Fatah hanno entrambe accettato per intero il “Documento dei prigionieri”, un piano di pace redatto da cinque prigionieri appartenenti a Fatah , Hamas, Jihad islamica, Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina e Fronte Democratico per la Liberazione della Palestina. Il documento consiste di 18 punti e chiede il ritiro di Israele fino ai confini precedenti la guerra del 1967 e la creazione di uno Stato palestinese nella West Bank e nella Striscia di Gaza.
Il documento è stato interpretato come un riconoscimento implicito del diritto all’esistenza dello Stato di Israele, in contraddizione con la piattaforma ufficiale di Hamas che propugna invece la sua distruzione. Abu Mazen ha proposto un referendum sul Documento con la probabile intenzione di utilizzarlo come base per i futuri negoziati con Israele. Il referendum, fissato da un decreto del Presidente Abu Mazen per il 26 luglio, non ha avuto luogo.
Il Premier israeliano Olmert, com’era prevedibile, si è pronunciato sfavorevolmente al Piano dei prigionieri, in quanto in esso si chiede il ritorno dei profughi palestinesi e il ritiro di Israele da tutti i territori della West Bank.
All’indomani della Conferenza internazionale sul Libano, il Presidente dell’ANP Abu Mazen si è recato in visita in Italia (27 luglio 2006), dove ha incontrato il Presidente del Consiglio e il Ministro degli esteri. Sulle posizioni di Abu Mazen, ha riferito il Ministro degli Affari esteri durante il seguito dell’audizione sugli sviluppi della situazione in Medio Oriente (2 agosto 2006, Commissioni esteri riunite di Camera e Senato).
Il Ministro degli esteri ha reso noto che Abu Mazen si sta adoperando perché venga accettato il suo piano di pace che si articola in tre fasi:
1) il raggiungimento di un’intesa tra le diverse componenti palestinesi per fermare gli atti di violenza, la restituzione del caporale israeliano Shalit, la fine dei lanci di razzi Kassam sul territorio israeliano e dei raid israeliani su Gaza;
2) la formazione di un governo di unità nazionale sulla base del c.d. “documento dei prigionieri” (cfr. sopra);
3) la ripresa dei colloqui di pace sulla strada delineata dalla Road Map.
Il 5 agosto viene arrestato dagli israeliani, in quanto dirigente di Hamas, il presidente del Parlamento dell’ANP, Abdelaziz Dweik, che va ad aggiungersi ad oltre sessanta esponenti di Hamas – tra cui otto ministri e 26 deputati – tradotti nelle carceri di Israele dopo il rapimento di Gilad Shalit.
La cessazione delle ostilità in Libano del 14 agosto almeno in un primo momento sembrava riaprire spiragli di dialogo anche sul fronte israelo-palestinese, sia per quanto riguarda i rapporti tra Abu Mazen ed Hamas e la formazione di un governo di unità nazionale, sia per ciò che concerne il soldato rapito, del quale Israele chiede pressantemente il rilascio, condizione preliminare alla fine delle azioni militari a Gaza.
Se è vero che Hamas ha interrotto i lanci di razzi verso il territorio israeliano, e ha ammorbidito le proprie posizioni accettando il sopra richiamato “Documento dei prigionieri”, permane tuttavia il rifiuto al riconoscimento di Israele e alla rinuncia in via di principio all’uso della violenza. Di conseguenza, il tentativo di Abu Mazen di rompere l’isolamento internazionale della causa palestinese, dando vita a un governo di ampia coalizione, appare assai arduo, tanto più che le condizioni poste da Hamas non appaiono di poco momento: il movimento integralista intende riservare a sé la scelta del premier, modellare la distribuzione dei ministeri in base ai rapporti di forza parlamentari – che attualmente lo avvantaggiano – e agire secondo un programma di governo che ricalca il “Documento dei prigionieri”.
Quanto al rilascio del caporale Shalit, dopo un momento nel quale era sembrato imminente anche grazie alla mediazione dell’Egitto, le possibilità di un accordo tra le parti sul problema si sono allontanate, fino ad un inasprimento delle posizioni di Hamas a seguito della vasta operazione militare israeliana a Beit Hanun (Striscia di Gaza) del 5 novembre.
Nel corso della Conferenza svoltasi a Stoccolma il 1° settembre, i 35 paesi donatori, tra cui l’Italia, si sono impegnati a conferire la cifra complessiva di 500 milioni di dollari per fronteggiare la grave situazione umanitaria di Gaza e della Cisgiordania. Alla conferenza hanno anche partecipato più di dieci agenzie delle Nazioni Unite, la Commissione Europea, la Croce rossa, e un elevato numero di organizzazioni umanitarie internazionali.
Il periodo successivo ha visto nuovamente inasprirsi la situazione nei Territori, al centro sia degli scontri tra Hamas e Fatah, sia di attacchi da parte di Israele.
Alla fine di settembre era ripartito il
negoziato tra il presidente Abu Mazen e il Premier Haniyeh per la costituzione
di un governo di unità nazionale - unica speranza per far uscire
A partire dal 1° ottobre si sono succeduti duri scontri che hanno visto opporsi le forze speciali del governo di Hamas e i miliziani islamici, da un lato, e gli uomini di Fatah, dall’altro, portando i Territori palestinesi sull’orlo della guerra civile, causando in soli due giorni dodici morti e oltre cento feriti.
Il 4 ottobre, dopo un colloquio con il segretario di stato americano, Condoleeza Rice, Abu Mazen ha dato due settimane di tempo a Hamas per accettare un accordo di compromesso per la formazione di un governo di unità nazionale sulla base dei summenzionati criteri imposti dalla comunità internazionale, minacciando, in caso contrario, di fare uso dei propri poteri costituzionali, con la possibilità di sciogliere il parlamento e di convocare elezioni anticipate. Hamas, tuttavia, non è retrocesso dalle proprie posizioni e ha ribadito la propria indisponibilità a riconoscere lo Stato di Israele, contestando inoltre il potere del Presidente di sciogliere il Parlamento, poiché non espressamente previsto dalla legge fondamentale palestinese. Il Parlamento palestinese è rimasto pertanto sostanzialmente paralizzato, dato che oltre 30 deputati - e tra di essi anche il presidente - sono stati arrestati e imprigionati nelle carceri israeliane.
A complicare ulteriormente la situazione, la comparsa di una cellula di Al Qaida in Palestina, che ha minacciato di colpire i servizi di sicurezza dell’Anp, fedeli ad AbuMazen.
Ma, come si ricordava più sopra, oltre che dal conflitto interno la Striscia di Gaza è colpita anche da attacchi aerei israeliani che, dopo il 12 ottobre, si sono fatti sempre più frequenti con la motivazione principale di distruggere le rampe di lancio dei razzi Qassam puntati verso il territorio israeliano, dove hanno continuato ad essere lanciati anche nei giorni successivi. Inoltre, le forze militari israeliane nella notte fra il 17 e il 18 ottobre hanno occupato una striscia di territorio lungo il confine con l’Egitto allo scopo di far saltare i tunnel scavati nel terreno per il contrabbando di armi provenienti dal Sinai.
Per fermare il lancio di razzi, il 1° novembre l’esercito israeliano, a distanza di un anno dal ritiro israeliano da Gaza, è penetrato nella città di Beit Hanun e ha dato luogo all’operazione “Nubi d’autunno”. I gravi scontri a fuoco che ne sono seguiti si sono protratti anche nei giorni successivi causando un elevato numero di morti e di feriti, fra i quali anche civili, alcuni dei quali donne che si sono interposte fra l’esercito israeliano ed i miliziani in difesa di questi ultimi. Il Presidente Abu Mazen, il 4 novembre, dopo che nel giro di tre giorni erano stati uccisi almeno 43 palestinesi, ha fatto appello alla comunità internazionale perché con il proprio intervento ponesse fine all’aggressione e ai massacri, ed ha lanciato un appello all’Onu per la convocazione d’urgenza del Consiglio di Sicurezza.
L’UNRWA (United Nations Relief and Works Agency for Palestine Refugees in the Near East), l’Agenzia dell’ONU per i profughi palestinesi, ha da subito condannato fermamente le operazioni militari israeliane a Bet Hannun denunciando le precarie condizioni nelle quali versano i circa 30 mila abitanti della città dove mancano acqua, cibo ed elettricità ed è stato imposto il coprifuoco.
L’attacco israeliano ha avuto l’effetto di far riavvicinare i due leader palestinesi: il Presidente Abu Mazen e il Premier Haniyeh, i quali si sono incontrati il 5 novembre per trovare un compromesso sulla costituzione di un governo di unità nazionale formato di ministri tecnici, il cui programma dovrebbe essere ispirato al “documento dei prigionieri”.
Dopo sei giorni di scontri e con un bilancio provvisorio che supera i 50 morti e i 300 feriti, l’esercito israeliano si è ritirato da Beit Hanun il 7 novembre. Ma già il giorno successivo (8 novembre) 18 abitanti di Beit Hanun, tra i quali donne e bambini, sono stati uccisi alle prime luci dell’alba da colpi di cannone israeliani, ed altri cinque palestinesi (due dei quali civili) sono stati uccisi in Cisgiordania.
All'indomani della strage di Beit Hanun, il premier israeliano Ehud Olmert ha affermato che essa è da imputarsi ad un errore tecnico dell'artiglieria israeliana ed ha quindi espresso il rincrescimento e le scuse di Israele per le vittime civili che ha provocato. Mentre Olmert proponeva al presidente palestinese Abu Mazen un nuovo incontro, tuttavia, da tutto il mondo giungevano pesanti condanne per l'uccisione dei 18 civili palestinesi a Beit Hanun.
L’incontro tra Abu Mazen e Olmert veniva pertanto rimandato, principalmente a causa dell’ondata di dolore e di collera che ha pervaso la popolazione palestinese dopo i fatti di Beit Hanun.
Il 13 novembre il Presidente americano Bush e il premier israeliano Olmert si sono incontrati a Washington a pochi giorni dall’operazione militare di Beit Hanun. I due leader si erano incontrati, l’ultima volta, lo scorso maggio in un clima politico ben differente, a causa della vittoria di Hamas e della conseguente decisione di isolare economicamente i palestinesi. Nei colloqui tra Bush e Olmert si è parlato delle diverse questioni aperte nel Medio oriente, registrandosi peraltro la possibilità di un avvicinamento alla Siria, con la quale - se essa rinuncerà ad appoggiare i movimenti radicali – sarebbe possibile avviare colloqui per un suo coinvolgimento nel processo di pace.
Il 25 novembre si è registrato un momento di ottimismo, allorché il premier israeliano Olmert e il presidente Abu Mazen hanno raggiunto l’accordo per una tregua, in base al quale, in cambio della cessazione dei lanci di razzi sulle città israeliane, Tel Aviv ha accettato di sospendere tutte le operazioni militari in corso a Gaza e in Cisgiordania.
Un’altra tappa incoraggiante è stato il Vertice di Tampere (Finlandia) del partenariato euromediterraneo, che il 28 novembre ha approvato all’unanimità un documento in cui si ribadisce la volontà di pervenire a una soluzione definitiva del conflitto arabo-israeliano, secondo le linee-guida degli accordi di Oslo e delle risoluzioni delle Nazioni Unite. Va ricordato che la cooperazione euromediterranea riunisce, oltre agli Stati membri dell’Unione europea, una serie di Paesi della sponda sud, ossia Algeria, Egitto, Israele, Giordania, Libano, Marocco, Siria, Tunisia, Territori palestinesi e Turchia. Gli spiragli positivi sono stati riconfermati nella riunione di Amman (1° dicembre) tra i ministri degli Esteri dei Paesi del G8 e quelli di un gran numero di Paesi del Medio Oriente e del Nord Africa, i quali ultimi hanno sostanzialmente accettato di cooperare con l’Occidente nella soluzione della difficile situazione irachena, ma nel contempo hanno richiesto uguale impegno per l’ancor più annosa questione palestinese.
Nonostante una fitta serie di iniziative diplomatiche di Abu Mazen, del Primo ministro palestinese Haniyeh e degli stessi Stati Uniti, si palesa nei giorni successivi uno stallo sulla questione primaria dei negoziati per la formazione di un governo di unità nazionale palestinese.
Dopo
aver espresso il proprio pessimismo (30 novembre) al Segretario di Stato
americano Condoleezza Rice, Abu Mazen
convoca il 1° dicembre il Comitato esecutivo dell’OLP – le cui
deliberazioni non hanno effetti vincolanti sull’ANP -, onde esaminare le
possibili opzioni di uscita dalla situazione di impasse politico. Vibrate proteste si sono subito levate dalle fila
di Hamas, che, forte della vittoria elettorale del gennaio
L’11 dicembre si verifica la strage di tre bambini di 6, 7 e 9 anni, figli di un ufficiale dei servizi segreti palestinesi vicino ad Abu Mazen, a seguito della quale si verificano manifestazioni a Gaza di insofferenza verso il deterioramento ormai insopportabile delle condizioni di sicurezza e di vita.
Il
13 dicembre il premier israeliano
Olmert si è recato in visita in Italia, incontrando i massimi vertici dello
Stato e del Governo. Nei colloqui con le autorità italiane si è registrata
un’ampia convergenza di vedute, salvo che nell’atteggiamento da tenere verso
Il 14 dicembre il Primo ministro Haniyeh, mentre transita per il valico di Rafah, con un’ingente somma di denaro frutto di aiuti internazionali, vede il proprio convoglio bloccato dagli israeliani, mentre si scatena una sparatoria che ha tutta l’apparenza di un agguato. Da parte di Hamas si accusano uomini della guardia presidenziale di Abu Mazen, mentre lo stesso Hamas è sospettato di essere il mandante della strage dei tre bambini dell’11 dicembre.
In questo clima di rinnovata tensione, il 16 dicembre il presidente Abu Mazen, in un discorso tenuto a Ramallah, ha annunciato di voler procedere al più presto – previo parere della Commissione elettorale dell’ANP – alla convocazione di elezioni presidenziali e legislative anticipate. La reazione di Hamas, come già in altra occasione, è assai dura, concretizzandosi anche con diversi atti di ostilità, a Gaza, contro le forze fedeli ad Abu Mazen, che dal canto loro hanno reagito.
Il 19 dicembre, in capo a una giornata di
ulteriori sanguinosi scontri, viene raggiunto un cessate il fuoco totale tra Hamas e Fatah, annunciato da Abu Mazen.
Nei giorni successivi si infittisce una tela di iniziative di dialogo, tra cui
un incontro Olmert-Abu Mazen, ma la situazione
a Gaza precipita nuovamente ai primi di gennaio, tanto che agli stranieri
viene consigliato di abbandonare
Dopo un periodo relativamente calmo, che aveva riaperto qualche spiraglio di possibile trattativa, alla fine di gennaio 2007 nei Territori divampa un nuovo violentissimo conflitto armato tra il partito del presidente palestinese, al-Fatah, e le milizie di Hamas, che causa decine di morti e feriti, con i reparti della Sicurezza preventiva (fedele al presidente Abu Mazen) opposti a quelli della Forza esecutiva (alle dipendenze del ministro degli interni di Hamas, Said Siam).
Dopo mesi di tregua sul fronte del terrorismo, anche in Israele, il 29 gennaio, riappaiono le bombe dei kamikaze: un giovane terrorista palestinese si fa esplodere in un panificio della periferia della città turistica di Eilat sul Mar Rosso, causando quattro morti, compreso l'attentatore, e numerosi feriti.
L’attentato è rivendicato dalla Jihad Islamica, il gruppo armato integralista che non ha mai aderito alle tregue con Israele, che ha ora ha agito in associazione con le brigate dei martiri di al-Aqsa, il gruppo armato vicino ad al-Fatah, le cui cellule locali, soprattutto a Gaza, operano tuttavia secondo strategie autonome.
Subito dopo l’attentato, al-Fatah denuncia con forza l’accaduto, ribadendo che l’organizzazione è contraria ad ogni azione ''diretta contro i civili, che siano israeliani o palestinesi '', mentre Hamas afferma che ''l'operazione di Eilat è naturale alla luce dei crimini compiuti dagli israeliani ''.
Il governo israeliano da parte sua innalza il livello d'allerta in tutto il paese, nel timore che quello di Eilat sia solo l'inizio di una nuova spirale di violenza terroristica. Il premier Olmert ribadisce la determinazione di Israele a condurre ''una lotta senza tregua contro i terroristi e i loro mandanti'', mentre il ministro della difesa Peretz convoca i vertici dell'esercito e dei servizi per studiare una possibile risposta. Meno di 24 ore dopo l’attentato l'aviazione israeliana compie un attacco nella Striscia di Gaza, colpendo un tunnel scavato nei pressi di Karni che secondo gli israeliani avrebbe dovuto essere utilizzato dai palestinesi per compiere un attentato in Israele; si tratta del primo attacco aereo israeliano nella Striscia di Gaza dopo oltre due mesi di tregua.
L'attentato di Eilat è intervenuto in un momento molto delicato, posto che attualmente Olmert e il presidente palestinese Abu Mazen stanno lavorando ad un possibile rilancio del processo di pace, tanto che un vertice a tre, con il Segretario di Stato Usa Condoleezza Rice, potrebbe svolgersi nel corso del mese di febbraio.
Nel tentativo di mettere fine alle lotte fratricide palestinesi, sono intervenuti subiti diversi tentativi di mediazione da parte di Stati arabi.
Il
27 gennaio, dopo aspri combattimenti fra miliziani di Hamas e di al-Fatah, e
dopo che il conflitto aveva contagiato anche
Analogamente, anche l'Egitto, attraverso la sua delegazione a Gaza, ha avanzato un progetto in cinque punti volto a contribuire a risolvere la crisi, suggerendo in particolare ai dirigenti di Hamas e di al-Fatah di costituire un esercito nazionale al di sopra le parti in cui confluiscano i miliziani delle diverse organizzazioni. La proposta egiziana è stata accolta con favore da due liste minoritarie della estrema sinistra, il Fronte popolare e il Fronte democratico e un sostegno di principio è stato altresì espresso da esponenti di Hamas ed al-Fatah.
Il 30 gennaio, dopo il quarto giorno consecutivo di combattimenti, le due fazioni palestinesi rivali hanno raggiunto un accordo per un immediato cessate il fuoco e per una ripresa del dialogo per la costituzione di un governo di unità nazionale, anche la fine di impedire che le tensioni e le violenze degli ultimi giorni possano ulteriormente estendersi alla vicina Cisgiordania.
In base all'accordo - raggiunto al termine di un incontro a Gaza tra il primo ministro palestinese Ismail Haniyeh, di Hamas, e Rawhi Fattouh, rappresentante del presidente Abu Mazen, cui hanno partecipato anche responsabili dei servizi di sicurezza egiziani - le milizie che per giorni si sono date battaglia nella Striscia di Gaza dovranno rientrare alle loro basi e tutti i posti di blocco dovranno essere smantellati; dovrà essere garantita la cessazione immediata di ogni tipo di sobillazione attraverso comunicati stampa o altri tipi di propaganda e il governo palestinese dovrà essere l'unico responsabile del mantenimento dell'ordine pubblico, della sicurezza e del rispetto della legge. I due movimenti si sono infine impegnati a liberare gli ostaggi rapiti, a mettere a disposizione del Procuratore generale i loro miliziani accusati di essere stati protagonisti delle violenze più gravi, nonché, come accennato, a riprendere i contatti per la costituzione di un governo unitario. Una sala operativa congiunta è stata infine incaricata di seguire il rispetto di queste intese.
I colloqui tra le due parti erano ripresi il 23 gennaio scorso, con la creazione di una commissione incaricata di redigere il futuro programma di un governo di unità nazionale, ma, esplose le violenze, Hamas li aveva subito nuovamente congelati. L'annuncio dell’accordo è giunto pertanto a sorpresa, al termine di una ennesima giornata di tensioni - la sera stessa un razzo era stato lanciato contro il quartier generale del servizio di sicurezza nazionale e della polizia palestinese a Gaza, con gravi danni ma nessuna vittima – e sembra comunque potersi connettere anche alle pressioni diplomatiche avanzate dagli stati arabi – con in testa Egitto ed Arabia saudita - che negli ultimi giorni hanno cercato di avviare una mediazione tra le parti.
Dopo feroci combattimenti, dal 30 gennaio nei Territori sembra essersi ripristinato uno stato di relativa calma, anche se la tregua rimane fragile ed esposta anche alle possibili vendette dei clan che hanno subito perdite durante gli scontri. Nonostante l'accordo raggiunto preveda in primo luogo il ritiro di tutti gli uomini armati dalle strade e la cessazione delle ostilità, alla stessa data le principali arterie delle città della Striscia di Gaza risultano ancora presidiate da uomini della sicurezza Anp, fedeli al partito al-Fatah del presidente Abu Mazen, e della forza esecutiva del governo di Hamas, mentre un attivista di Hamas è stato ucciso da uomini armati a sud di Gaza City.
In
questo quadro, alcuni osservatori internazionali esprimono perplessità sulla
possibile tenuta a lungo termine dell’accordo, posto che non sembra essere
stata rimossa la causa originaria degli scontri che hanno insanguinato
Un elemento di rilievo è giunto da ultimo dalla Russia, che attraverso il vice ministro degli Esteri Alexander Saltanov si è dichiarata a favore della fine del blocco degli aiuti economici ai palestinesi, auspicando che tale posizione sia condivisa dal Quartetto di mediazione (Russia, Stati uniti, Unione europea e Onu) che si riunirà a Washington il 2 febbraio.
Il Quartetto aveva infatti deciso il blocco degli aiuti dopo l'avvento al governo del partito di Hamas, ponendo come condizioni per ripresa degli aiuti il riconoscimento d'Israele, dei precedenti accordi fra Anp e Stato ebraico e la fine della violenza. Il ministro russo si è detto inoltre certo che Hamas sia pronta a riconoscere nella piattaforma di governo anche i vecchi accordi con Israele e le decisioni prese dall'Onu e dalla Lega dei paesi arabi, e che anche la leadership siriana sta lavorando in questa direzione con Hamas, come previsto dalle intese raggiunte con il Presidente Putin”
Da parte sua, il presidente Abu Mazen, intervenuto ad un dibattito nel corso del recente World Economic Forum di Davos, assieme al ministro degli esteri israeliano Tzipi Livni ed al vicepremier Shimon Peres, ha affermato che le circostanze attuali sono propizie alla ripresa di negoziati e si è pronunciato per la creazione di uno Stato palestinese all'interno delle frontiere del 1967 che coesista in pace con tutti i suoi vicini, Israele incluso. Si è inoltre dichiarato pronto a riprendere al più presto i negoziati di pace con Israele sotto gli auspici del Quartetto, rimarcando peraltro come nei Territori povertà e disoccupazione abbiano raggiunto livelli molto elevati a causa delle restrizioni e delle distruzioni operate dagli israeliani, posto che il 79% della popolazione nella Striscia di Gaza vive sotto la soglia di povertà ed il 51% è in povertà estrema.
III COMMISSIONE PERMANENTE
(Affari esteri)
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III Commissione - Resoconto di giovedì 30 novembre 2006
Giovedì 30 novembre 2006. - Presidenza del presidente Umberto RANIERI. - Interviene il sottosegretario di Stato per gli affari esteri, Famiano Crucianelli.
La seduta comincia alle 14.10.
COMUNICAZIONI DEL PRESIDENTE
Giovedì 30 novembre 2006. - Presidenza del presidente Umberto RANIERI.
La seduta comincia alle 15.25.
Sulla missione in Israele e nei Territori dell'Autorità nazionale palestinese (20-22 novembre 2006).
Umberto RANIERI, presidente, deposita agli atti della Commissione una relazione concernente la missione in titolo (vedi allegato).
La seduta termina alle 15.30.
ALLEGATO
COMUNICAZIONI SULLA MISSIONE IN ISRAELE E NEI TERRITORI DELL'AUTORITÀ NAZIONALE PALESTINESE
(20-22 novembre 2006)
1. Una delegazione composta dal Presidente della Commissione, Umberto Ranieri, e dai deputati Dario Rivolta e Pietro Marcenaro si è recata in missione in Israele e nei Territori dell'Autorità nazionale palestinese dal 20 al 22 novembre 2006.
In Israele la delegazione ha incontrato a livello politico il Vice Primo ministro, Simon Peres (Kadima), il Vice Ministro della difesa, Eprhaim Sneh (Labour), i deputati Yossi Beilin (presidente del partito Meretz), Gideon Saar (capo del gruppo parlamentare del Likud), e i seguenti componenti della Commissione Esteri e sicurezza della Knesset: Tzachi Hanegbi (Kadima), Colette Avital (Labour), Dan Naveh (Likud), Amira Dotan (Kadima). A livello di interlocutori tecnici ha incontrato il Capo del National security Council e responsabile dello strategy planning per l'Ufficio del Primo Ministro, Ilan Mizrahi, presso il Ministero degli esteri, e il Capo dell'Unità di Ricerca e Pianificazione del Ministero degli Esteri, Nimrod Barkan. La delegazione ha inoltre incontrato rappresentanti del Comitato degli italiani all'estero (COMITES), che hanno fornito informazioni sulla presenza di cittadini italiani in Israele (almeno 10.000 con passaporto e altrettanti aventi titolo ad ottenerlo), alcuni familiari dei soldati israeliani Goldwasser e Regev rapiti dagli Hezbollah, lo scrittore David Grossman, oggi portavoce dell'ampia corrente di opinione pubblica israeliana favorevole ad una pace negoziata con il mondo arabo, il Generale dei Carabinieri, Pietro Pistolese, Comandante del contingente impegnato nella missione dell'Unione europea di assistenza all'Autorità nazionale palestinese ed allo Stato di Israele nella gestione del valico confinario di Rafah (Rafah Crossing Point - RCP) nella Striscia di Gaza (missione iniziata il 25 novembre 2005), ed il Sindaco della città di Sderot, Eli Moyal, colpita da missili qassam lanciati dalla Striscia di Gaza.
Nei Territori dell'Autorità nazionale palestinese la delegazione ha incontrato Rafiq Husseini, Capo di gabinetto del Presidente dell'ANP, Mahmud Abbas (Abu Mazen), Nimer Hammad, Consigliere speciale del Presidente Abbas, Hassan Khreishe (Fatah), Deputy Speaker del Consiglio nazionale palestinese, e Abdallah Abdallah (Fatah), Presidente della Commissione Politica del Consiglio nazionale palestinese.
2. Nel corso degli incontri a Gerusalemme la delegazione ha potuto ricevere valutazioni da parte israeliana sulla situazione nell'area mediorientale, con particolare riguardo al processo di pace, al dossier siro-libanese e sulla questione nucleare iraniana.
Il Presidente Ranieri ha confermato i sentimenti di amicizia che legano l'Italia ad Israele: ha evidenziato l'impegno italiano e dell'Unione Europea a sostegno della pace e delle iniziative che possano condurre ad una ripresa del negoziato con i palestinesi e del dialogo con i paesi vicini, come dimostrano i contributi italiani alle missioni UNIFIL ed EUBAM. Ha inoltre sottolineato che il Quartetto (Russia-USA-ONU-UE) deve riprendere le proprie iniziative.
Il Presidente Ranieri ha poi ricordato che ad una soluzione di fondo del conflitto si potrà giungere solo sulla base del riconoscimento sia del diritto di Israele a vivere sicuro nei propri confini senza l'incubo del terrorismo, sia della costituzione dello stato palestinese in modo tale da riconoscere il diritto dei palestinesi ad una propria patria.
Ha infine invitato a Roma il Presidente della Commissione Esteri e Sicurezza della Knesset, Hanegbi, il quale ha promesso che cercherà di realizzare la visita non appena possibile.
Per quanto riguarda in particolare il processo di pace, tutti gli interlocutori israeliani hanno concordato sulla priorità da accordare al rafforzamento di Mahmud Abbas: Israele è disposta a fare del suo meglio, attraverso una serie di «confidence building measures» e di azioni concrete per sostenere la presidenza palestinese, sostenendo in ogni momento la necessità che siano liberati i prigionieri israeliani. La speranza è che si arrivi quanto prima alla formazione di un governo palestinese che accetti le condizioni poste dal Quartetto. A tal fine la comunità internazionale (soprattutto l'Europa, che secondo il deputato Saar non dovrebbe distaccarsi dalle iniziative diplomatiche degli USA) non deve mostrare segni di debolezza, di cui Hamas potrebbe approfittare. Si è registrata in proposito l'opinione per la quale Hamas appare adesso ispirarsi a maggiore pragmatismo. La situazione a Gaza resta comunque critica. Hamas si starebbe rafforzando, ricevendo armamenti e risorse finanziarie attraverso il Philadelphi Corridor (si tratta del nome in codice usato dalle Forze armate israeliane per identificare la fascia di territorio di circa 40 km che corre lungo il confine tra Egitto e Striscia di Gaza, che secondo gli accordi di Oslo è stata affidata al controllo militare diretto di Israele per prevenire il movimento di materiali illegali), con l'idea di replicare il modello strategico di Hezbollah, ritenuto vincente.
È stato poi osservato che Iran, Siria, Hezbollah e Hamas intendono sottoporre Israele a tensioni e terrore, inducendola ad indurire il livello della propria risposta, per poi ottenerne la condanna da parte della comunità internazionale. Il Presidente Ranieri ha sostenuto la necessità di sostenere Mahmud Abbas, anche nella prospettiva che si crei un governo tecnico, invitando le autorità israeliane ad avere flessibilità e pazienza.
Meno concordanti sono le valutazioni circa l'approccio da seguire per riavviare il processo di pace. Da una parte i rappresentanti del Likud sono sembrati più pessimisti; dall'altra gli esponenti del governo e dei partiti di maggioranza hanno manifestato opinioni diversificate, spaziando dalla propensione che occorra riprendere appena possibile la strada del negoziato diretto con l'ANP alla posizione di Yossi Beilin, che immagina una soluzione articolata sul metodo della conferenza internazionale, per indurre le parti a fare concessioni reciproche per raggiungere un'intesa. A tal fine Beilin ha illustrato una sua iniziativa di stimolo per una ripresa del negoziato: per motivare la parte palestinese sarebbe essenziale stabilire subito che il traguardo dovrà essere la costituzione di uno Stato palestinese da realizzarsi entro il 2010, dopo una prima fase di disimpegno israeliano dalla West Bank da completare entro il 2008.
Nel corso dell'incontro con Peres si è poi avuto occasione di approfondire il progetto del Vice Primo Ministro di creare una area economica comune tra Israele, Gordania e ANP per favorire la stabilizzazione della Cisgiordania e della Striscia di Gaza, progetto in realtà non particolarmente sostenuto dai vertici politici israeliani.
Quanto al ruolo dell'Europa si è riscontrato un certo scetticismo circa l'efficacia del relativo ruolo per la pacificazione dell'area.
Sul problema delle relazioni tra Siria e Libano l'on. Rivolta ha posto la questione di quale sarebbe il ruolo della missione UNIFIL nel caso in cui il governo Siniora entrasse in crisi e riprendessero gli attacchi di Hezbollah contro Israele e se si potrebbe disinnescare la continua minaccia di violenze concedendo al Libano le fattorie di Sheeba. In risposta si è osservato che il peso di Bashar Assad è troppo limitato per pensare che dopo l'eventuale cessione delle fattorie possa cessare la minaccia di Hezbollah su Israele, che anzi cercherebbe un altro pretesto.
Tutti gli interlocutori israeliani hanno comunque manifestato grande preoccupazione per una situazione sempre più critica: l'eventuale caduta del governo Siniora potrebbe ingenerare una guerra civile e qualcuno punterebbe all'instaurazione di un regime islamico simile a quello iraniano, ai confini di Israele, rendendo inevitabile uno scontro tra Israele ed Hezbollah. Tutti hanno comunque espresso apprezzamento per il ruolo svolto dall'Italia nel promuovere la costituzione della forza internazionale di pace, il cui arrivo ha segnato la fine del conflitto di questa estate. Il Presidente Ranieri ha ricordato che nella vicenda libanese si è riscontrata una ripresa di iniziativa delle Nazioni Unite e si è manifestata una capacità dell'Unione europea di assumersi responsabilità.
Tutti gli interlocutori israeliani hanno invece espresso un giudizio negativo sull'iniziativa franco-spagnola lanciata a Gerona, rifacendosi ai noti argomenti già spesi a livello governativo: una forza internazionale al confine con Gaza apparirebbe difficilmente accettabile e rischierebbe di diventare il bersaglio degli elementi radicali che vogliono sabotare la pace. Peres ha in particolare sostenuto che sarebbe piuttosto necessaria una maggiore responsabilizzazione dell'Egitto. Peraltro in diverse occasioni gli interlocutori israeliani hanno espresso parole di apprezzamento per l'operato della Missione EUBAM e del Generale Pistolese, che comanda il contingente europeo.
Il Presidente Ranieri ha ricordato che sulla base di un accordo tra le parti una presenza internazionale a Gaza potrebbe costituire una garanzia sia per Israele sia per un governo palestinese impegnato nel dialogo.
In generale tuttavia, soprattutto in occasione delle conversazioni svolte dagli analisti Mizrahi e Barkan, si è manifestata l'opinione che sia ancora possibile, anche se difficile, trattare separatamente con la Siria: Damasco vorrebbe in cambio le alture del Golan, specifiche garanzie sull'operato del Tribunale internazionale chiamato ad indagare sull'omicidio di Rafik Hariri e soprattutto per il mantenimento della propria influenza in Libano: si tratta di obiettivi molto importanti per la Siria, che starebbe esaurendo le proprie fonti petrolifere e vorrebbe accedere alle risorse commerciali e turistiche libanesi. Secondo tali analisti l'opinione pubblica israeliana sarebbe propensa a restituire più le alture del Golan che la Cisgiordania, anche se Gerusalemme pretenderebbe comunque precise garanzie di sicurezza.
Si è poi affrontata la questione nucleare iraniana che, nella valutazione di tutti gli interlocutori, rappresenta il maggior pericolo non solo per Israele, ma anche per il resto della comunità internazionale: si teme infatti un profondo mutamento degli equilibri strategici non solo in Medio Oriente ma a livello planetario. L'Iran, sempre secondo gli analisti Mizrahi e Barkan, intende diventare una superpotenza mondiale e non ha interesse a fare accordi con Israele. Il suo obiettivo è di estendere la propria influenza fino al Mediterraneo, attraverso l'Iraq (una volta partiti gli americani), l'alleata Siria ed un Libano ridotto nuovamente a stato vassallo. Gli analisti hanno sostenuto che la comunità internazionale non può rispondere con sterili politiche di appeasement; l'Iran ne potrebbe essere incoraggiato, come lo è stato in seguito al recente risultato elettorale americano. Hanno invece sostenuto che ci vogliono sanzioni pesanti, che possano al limite indurre ad un cambiamento di regime a Teheran. Gli analisti hanno aggiunto che le esitazioni dei paesi occidentali dipenderebbero dalla preoccupazione di proteggere i propri interessi commerciali nell'area. Nell'ipotesi in cui il Consiglio di sicurezza dell'ONU si dimostrasse impotente, hanno anche sostenuto la necessità di formare una coalition of willing contro l'Iran.
Tale analisi presuppone un contesto geostrategico che vede come potenze regionali protagoniste nell'area mediorientale l'Iran, la Turchia e Israele. L'equilibrio sarebbe minacciato dal radicalismo islamico (di matrice non solo sciita ma anche sunnita) che - fomentato dall'Iran - mira a destabilizzare la Giordania, dove ci sono molti rifugiati iracheni e palestinesi, ed il Libano, dove non solo gli Hezbollah ma anche alcune organizzazioni sunnite si stanno armando. Quanto alla Siria, essa assicurerebbe il collegamento sul piano militare e della intelligence tra Iran e Hezbollah. In particolare, secondo l'analisi di Mizrahi, la politica aggressiva dell'Iran sarebbe mossa da motivazioni non solo religiose ma anche nazionalistiche, corrispondenti a quello che ha definito «iranianismo»: sempre secondo Mizrahi il nazionalismo iraniano costituirebbe una gravissima minaccia per tutta la comunità internazionale, alla quale i maggiori paesi dell'area (in particolare Arabia Saudita e Pakistan), non stanno contrapponendo misure realmente efficaci. Sarebbe anche una forza destabilizzante in Iraq, per staccarne la parte sciita: in proposito ha espresso il parere che per l'Iraq una soluzione federale che divida kurdi, sciiti e sunniti sarebbe pericolosa perché porterebbe alla disintegrazione dello stato iracheno.
Il Presidente Ranieri ha sottolineato che la questione nucleare iraniana preoccupa l'intera comunità internazionale. Le conseguenze di un'eventuale arma nucleare iraniana sarebbero rovinose per il trattato di non proliferazione. Non si tratta di un contenzioso tra Israele e gli Stati Uniti o tra Iran e Israele. È la comunità internazionale nel suo complesso che deve intervenire. Il Presidente Ranieri ha poi ricordato che la cautela dell'Occidente non si spiega unicamente con interessi economici da tutelare ma con preoccupazioni politiche circa il modo più efficace per affrontare il contenzioso con l'Iran. Nessuno può escludere che il regime iraniano, in presenza di sanzioni, possa ricompattarsi. In ogni caso l'Italia e l'Unione europea non si sottrarranno alle loro responsabilità e uniformeranno le loro scelte alle decisioni del Consiglio di sicurezza dell'ONU anche in caso di sanzioni. Per quanto riguarda l'Iraq il Presidente Ranieri ha sostenuto che la divisione del Paese sarebbe una scelta gravida di rischi e conseguenze pericolose.
3. Nel corso dei colloqui nei Territori dell'Autorità nazionale palestinese è emersa l'attiva cooperazione prestata dall'ANP per la liberazione dei due cooperanti della CRI rapiti il 21 novembre nella Striscia di Gaza, per la quale il Presidente Ranieri ha ringraziato gli interlocutori palestinesi.
È stato affrontato il tema del prospettato governo palestinese di unità nazionale palestinese. Gli interlocutori palestinesi Hammad e Husseini hanno precisato che dovrebbe trattarsi di un governo di tecnici, in qualche modo comunque riconducibili a fatah e Hamas, anche se sono emerse perplessità circa l'effettiva possibilità di arrivare a formarlo effettivamente in tempi brevi. La ragione è la difficoltà di conciliare, all'interno di Hamas, le correnti moderate con quelle estremiste, cosa che rende necessario un approccio razionale da parte israeliana e internazionale (all'interno del «Quartetto»): infatti nel corso dei colloqui israeliani è in qualche modo emersa la sensazione di aver fatto poco per sostenere Abbas, molte volte in difficoltà all'interno dell'ANP proprio per la scelta di non riconoscerlo come interlocutore forte di Tel Aviv. Ciò ha comportato che l'Iran, forte del consolidamento di Hezbollah in Libano, si sia inserito nella dialettica politica palestinese. A ciò - secondo Hammad - deve aggiungersi la debolezza dell'Amministrazione Bush dopo le recenti elezioni politiche negli USA e il non compiuto coinvolgimento dell'Egitto, al quale Israele impedisce di schierare lungo il confine con la Striscia di Gaza una consistenze forza che impedisca il traffico di armi.
Gli interlocutori presso il Consiglio nazionale palestinese hanno confermato questa lettura, sottolineando le condizioni critiche in cui versa la popolazione palestinese a causa del mancato pagamento degli stipendi, che ha azzerato le entrate di quasi tutte le famiglie ed impedisce l'erogazione dei servizi pubblici, anche essenziali (sanità, scuola, ministeri, sicurezza). Nel sostenere la necessità di un governo di unità nazionale, hanno invocato il sostegno degli USA e dell'Europa, chiedendo che l'Italia svolga un ruolo primario, come ha dimostrato di saper fare in Libano. In tal senso il Presidente Ranieri ha offerto il proprio impegno a sensibilizzare il Governo italiano, rilevando la necessità che un nuovo esecutivo stabile costruito intorno ad Abbas sia sostenuto concretamente.
INTERROGAZIONI A RISPOSTA IMMEDIATA
Mercoledì 20 dicembre 2006 - Presidenza del presidente Umberto RANIERI. - Interviene il sottosegretario di Stato per gli Affari esteri, Famiano Crucianelli.
La seduta comincia alle 11.25.
Umberto RANIERI, presidente, ricorda che, ai sensi dell'articolo 135-ter, comma 5, del regolamento, la pubblicità delle sedute per lo svolgimento delle interrogazioni a risposta immediata è assicurata anche tramite la trasmissione attraverso l'impianto televisivo a circuito chiuso. Dispone, pertanto, l'attivazione del circuito.
5-00531 Ranieri: Situazione nella striscia di Gaza.
Umberto RANIERI (Ulivo) illustra l'interrogazione in titolo.
Il sottosegretario Famiano CRUCIANELLI risponde all'interrogazione in titolo nei termini riportati in allegato (vedi allegato 4).
Umberto RANIERI (Ulivo), replicando, si dichiara soddisfatto per la risposta fornita dal rappresentante del Governo, che riferisce l'apprezzabile iniziativa politica che sta conducendo il nostro Paese. Se è vero che il successo della politica di Abu Mazen è essenziale per riaprire una prospettiva al negoziato tra Israele e i palestinesi, occorre che la comunità internazionale, l'Unione europea in particolare, sostenga lo sforzo di Abu Mazen in modo concreto e non solo con dichiarazioni generiche. Lo stesso Israele deve concretamente compiere atti che aiutino il consolidamento della posizione di Abu Mazen. Ribadisce, infine, il carattere essenziale dell'obiettivo del governo di unità nazionale e la necessità di un forte intervento dell'Unione europea e dell'Italia per sostenere chi lavora in tale direzione.
Interrogazione n. 5-00531 Ranieri: Situazione nella striscia di Gaza.
TESTO DELLA RISPOSTA
La crisi israelo-palestinese attraversa una fase densa di pericoli ma anche ricca di opportunità, che devono essere colte per interrompere lo stallo in cui versa l'area e riavviare il più rapidamente possibile i negoziati diretti tra le Parti.
L'Italia ha appoggiato con forza - nel corso degli ultimi sei mesi - gli sforzi del Presidente delle ANP Abbas di costituire un Governo di Unità Nazionale che riflettesse i tre noti principi del Quartetto (riconoscimento di Israele, riconoscimento degli accordi pregressi stipulati dall'OLP, cessazione della violenza);
I nuovi sviluppi in campo palestinese, ed in particolare il discorso di Abu Mazen di sabato 16 dicembre, sono seguiti con grande attenzione e qualche preoccupazione. La situazione, soprattutto a Gaza, è molto tesa per le prospettive di elezioni anticipate (Presidenziali e Legislative) aperte dal discorso del Presidente cui Hamas, almeno per il momento, intende opporsi ritenendo tale decisione illegittima;
L'Italia ritiene che il Governo di Unità Nazionale (GUN), che rifletta i principi del Quartetto, sia la soluzione più appropriata in quanto costituisce elemento unificante delle fazioni palestinesi ed è importante per la ripresa del dialogo con la Comunità Internazionale e Israele. Tuttavia, di fronte a una perdurante situazione di stallo e qualora fosse effettivamente impossibile costituire il GUN, probabilmente il ricorso alle urne rimane la forma più democratica per permettere al popolo palestinese di esprimersi compiutamente fra un Presidente eletto con una piattaforma politica e un Consiglio Legislativo che ha espresso una maggioranza eletta con diverso programma politico.
L'Italia considera un segnale positivo per la ripresa dei negoziati il discorso del Primo Ministro Olmert del 27 novembre scorso a Sde Boker; per quanto non contenga elementi sostanzialmente innovativi (a parte il riferimento all'iniziativa di pace araba di Beirut del 2002 «in alcune sue parti») appare importante il messaggio di disponibilità. Olmert ha anche ripetutamente insistito (anche nella visita a Roma del 13 dicembre 2006) di ricercare un dialogo diretto con Abu Mazen, ritenuto moderato, affidabile e in grado di negoziare con Israele;
L'Italia ha incoraggiato il PM Olmert a:
1. procedere a un limitato rilascio di prigionieri (donne e ragazzi) direttamente al Presidente Abbas, senza attendere la liberazione del Caporale Shalit;
2. consegnare al Presidente Abbas - attraverso il Temporary International Mechanism, che assicura un supporto finanziario alla popolazione palestinese senza passare dal Governo di Hamas - almeno una parte delle risorse provenienti dalle entrate doganali;
3. attuare pienamente l'Accordo su Movimento e Accesso, con l'eliminazione di una parte dei circa 500 posti di blocco nella West Bank che rendono la circolazione delle persone e delle merci estremamente difficile per i palestinesi.
Occorre altresì che i valichi siano aperti per consentire il passaggio di persone e merci, essenziale per ridare fiato alla devastata economia dei Territori ma importante anche per quella israeliana. Di particolare interesse per l'Italia e per l'Unione europea, è il valico di Rafah, dove è presente la missione di monitoraggio dell'Unione europea (EUBAM), guidata dal Generale dei Carabinieri Pistolese.
Nell'attuazione di un tale «sentiero virtuoso» che ristabilisca la fiducia tra le Parti e rimetta in moto i meccanismi della Road Map, occorre non perdere di vista l'obiettivo finale di creare le condizioni per convocare una Conferenza Internazionale, per ora prematura, in cui tutti gli attori regionali coinvolti (ANP, Israele, Siria, Libano) possano definire, attraverso la soluzione dei rispettivi contenziosi, un nuovo quadro di stabilizzazione regionale.
Il Ministro D'Alema si recherà nei prossimi giorni a Ramallah (21 dicembre) per incontrare il Presidente Abu Mazen e ribadire il nostro impegno per il miglioramento delle condizioni di sicurezza nei Territori e la ripresa dei negoziati con Israele.
[1] Si ricordano, al proposito: gli Accordi su Hebron del 1997; l’Accordo di Wye Plantation del 1998, che prevedeva un parziale ritiro di Israele dalla Cisgiordania in cambio del disarmo di gruppi armati palestinesi; il Memorandum di Sharm el Sheikh del 1999; i complessi negoziati di Camp David del 2000 che, conclusisi con un nulla di fatto, sono stati seguiti da una proposta di mediazione del Presidente Clinton. E, ancora, si ricordano il piano proposto dalla Commissione Mitchell e quello del direttore della CIA, Tenet (entrambi del 2001), nonché il Piano proposto dal ministro degli esteri tedesco Fischer.
[2] Le riserve sono contenute in un documento assai dettagliato apparso il 27 maggio 2003 sulla stampa israeliana: in 14 punti vengono riassunte le questioni principali che per Israele si connettono inscindibilmente all'attuazione della Road map. In sintesi, il documento richiama l'attenzione sul fatto che non si potrà passare ad una nuova fase senza il totale completamento della precedente. In ambito palestinese dovrà emergere e consolidarsi una dirigenza del tutto nuova, che si coordini con Israele nel processo di consolidamento democratico. Mentre il monitoraggio sui progressi della Road map dovrà essere controllato dagli USA, lo Stato provvisorio palestinese scaturirà da negoziati tra le due Parti, e in nessun caso potrà avere proprie Forze Armate, né concludere Accordi a carattere militare, e i suoi confini e lo spazio aereo saranno controllati da Israele. I futuri Accordi definitivi saranno negoziati direttamente tra le Parti, e dovranno contenere il riconoscimento all'esistenza di Israele quale Stato ebraico, nonché la rinuncia al ritorno dei profughi nel suo territorio.
[3] Abu Mazen è il primo presidente palestinese nominato sulla base dell'esito di una tornata elettorale (9 gennaio 2005).