Camera dei deputati - XV Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento affari esteri
Titolo: L¿Iran e la Questione nucleare
Serie: Documentazione e ricerche    Numero: 49
Data: 26/02/2007
Descrittori:
DIFESA E SICUREZZA INTERNAZIONALE   ENERGIA NUCLEARE
IMPIANTI NUCLEARI   IRAN
STATI ESTERI     
Organi della Camera: III-Affari esteri e comunitari


Camera dei deputati

XV LEGISLATURA

 

 

 

 

 

SERVIZIO STUDI

Documentazione e ricerche

 

 

 

 

 

 

L’Iran e la Questione nucleare

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

n. 49

 

 

26 febbraio 2007


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Dipartimento affari esteri

 

SIWEB

 

 

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File:es0033.doc



INDICE

Schede di sintesi

L‘Iran e la questione nucleare  3

§      Premessa - I rischi di un Iran nuclearizzato  3

§      Le tappe dell’escalation diplomatica  4

§      I tentativi di mediazione europei5

§      L’intervento del Consiglio di sicurezza  7

§      I negoziati del gruppo 5+1  7

§      La Risoluzione 1696 del Consiglio di Sicurezza  9

§      La nuova Risoluzione 1737 del Consiglio di Sicurezza  11

§      Gli sviluppi recenti12

§      La scadenza dell’ultimatum dell’ONU   17

§      La situazione interna dell’Iran  18

Pubblicistica

§      B. Zarmandili, Solo Bush può salvare Ahmadi-Nejad, in: Limes, n. 1/2007  25

§      E. Cavatorta, Medio Oriente: il commercio illegale di armi, da: Equilibri, 29 gennaio 2007  25

§      Bijan Zarmandili, Che cosa cerca Ahmadi-Nejad, in: Limes, n. 4/2006  25

§      E.R. Terzuolo, Una strategia alternativa per la partita nucleare, in: Limes, n. 5/2006  25

§      A. Ramasso Valacca, Il contrasto nucleare tra ONU ed Iran, in: Affari sociali internazionali, n. 3/2006  25

§      L’Iran, il nucleare e le Nazioni Unite, in: Affari esteri, n. 151/luglio 2006  25

§      T. Delpech, L’Iran et la bombe: options de fin de partie, in: Politique internationale, n. 111, primavera 2006  25

§      G. Aivo, La question du nucléaire iranien au regard du droit international, in: Défense nationale, luglio 2006, n. 111, primavera 2006  25

§      K. Dokhanchi, Interessi di regime, in: Intelligence, n. 3/settembre 2006  25

§      R. Mauriello, Identità sciita. Tra potere e democrazia, in: Intelligence, n. 3/settembre 2006  25

§      Scott D. Sagan, How to Keep the Bomb From Iran, in: Foreign Affairs, settembre/ottobre 2006  25

§      M. Paolini, Il meccano di Ahmadi-Nejad, in: Limes, n. 5/2006  25

§      M Ortega, The Perils of Launching a Military Strike against Iran, da: The Daily Star, Lebanon, 3 novembre 2006  25

 

 


Schede di sintesi

 


L‘Iran e la questione nucleare

 

Premessa - I rischi di un Iran nuclearizzato

La questione del nucleare iraniano è stata negli ultimi anni al centro della diplomazia internazionale.

La contesa ha riguardato principalmente il processo di arricchimento dell’uranio, fase principale del ciclo di produzione del combustibile nucleare necessaria sia per la produzione di energia, sia per la fabbricazione di ordigni nucleari; sebbene il processo rientri tra i diritti riconosciuti dal Trattato di Non proliferazione (TNP), e non costituisca pertanto in sé un’attività illegale, l’Iran ha reiteratamente violato i suoi obblighi internazionali, omettendo di notificare le attività nucleari sensibili all’ Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (AIEA).

L’ascesa dell’ultraconservatore Ahmadinejad alla Presidenza della Repubblica islamica nell’agosto del 2005 e il suo fermo proposito di voler arricchire l’uranio su larga scala ha destato un allarme crescente nella Comunità Internazionale, vieppiù sempre più persuasa che il piano nucleare iraniano non sottenda finalità solo civili bensì rifletta l’aspirazione dell’Iran a divenire una potenza nucleare nella regione del Golfo. E’ evidente come ciò possa avere un effetto destabilizzante sull’intero Medioriente, innescando un effetto moltiplicatore delle ambizioni nucleari – seppur in chiave difensiva - di altri Paesi dell’area (Arabia Saudita, Egitto e Turchia in primis).

La volontà dell’Iran di acquisire tecnologie potenzialmente impiegabili anche per la fabbricazione di armi nucleari, oltre ad indebolire il sistema internazionale di non-proliferazione nucleare, appare infatti in grado di produrre un sensibile mutamento nel sistema degli equilibri regionali, alimentando le ansie di sicurezza di Israele nonché l’antagonismo tra il governo clericale di Teheran e gli Stati Uniti, da anni impegnati nella stessa definizione degli equilibri dell’area attraverso una fitta rete di relazioni diplomatiche ed alleanze  con tutti gli Stati della regione, ad eccezione della Siria.

Il possesso di un arsenale atomico è fattore strategico per accrescere lo status internazionale di un paese, fornendogli un deterrente contro ingerenze dall’estero e un potente strumento per esercitare maggiore pressione diplomatica.

Nel caso dell’Iran – considerate le sue relazioni con i paesi vicini -  il possesso di un arsenale nucleare determinerebbe un evidente mutamento dei rapporti di forza, accrescendo ulteriormente i fattori di rischio di una regione già altamente instabile, considerato lo stato di disordine in cui versa l’Iraq, le difficoltà nel processo di stabilizzazione in Afghanistan,  il terrorismo internazionale di matrice qaedista, che incrina l’affidabilità anche di paesi come l’Arabia Saudita, nonché le persistenti tensioni fra Israele e i palestinesi e fra Siria e Libano.

Il possesso di armi nucleari da parte dell’Iran potrebbe infine amplificare il rischio di un eventuale trasferimento di tecnologie nucleari ad organizzazioni terroristiche, mettendo ancor più a repentaglio la sicurezza internazionale.

Le informazioni disponibili circa lo stato di avanzamento del programma nucleare iraniano indicano che vi è ancora un margine congruo di tempo per una soluzione diplomatica della controversia, ma questa, nonostante gli sforzi della Comunità internazionale, non sembra allo stato profilarsi all’orizzonte.

 

Le tappe dell’escalation diplomatica

Pur aderendo, fin dal 1970, al Trattato di Non proliferazione (TNP)[1], l’Iran non ha garantito il pieno accesso degli ispettori dell’AIEA[2] ad alcune infrastrutture regolarmente denunciate, ed ha in un primo tempo accolto, ma in seguito apertamente disatteso, l’invito della stessa AIEA a sospendere il proprio programma di arricchimento dell’uranio.

Già nel febbraio 2003, l’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea) ha confermato l’esistenza in Iran di un avanzato programma nucleare; da allora ha cominciato a diffondersi il sospetto che tale programma avesse in realtà una segreta destinazione militare.

Tale sospetto è alimentato da considerazioni: di ordine politico, in quanto un arsenale nucleare rafforzerebbe il ruolo dell’Iran nella regione e il suo prestigio a livello internazionale; economico, in quanto non sembra ragionevole per un paese con grandi risorse di gas e petrolio sviluppare un programma nucleare civile complesso e costoso; tecnologico, poiché la tipologia di infrastrutture[3] nucleari iraniane non sembra corrispondere ad ambizioni puramente pacifiche, considerato anche che l’Iran ha condotto attività nucleari clandestinamente per quasi vent’anni. 

Nel marzo 2004 l’AIEA ha quindi espresso preoccupazione per le omissioni nelle dichiarazioni dell’Iran a proposito delle sue attività in campo nucleare, oltre che per importazioni di uranio avvenute senza notifiche.

Dalle ispezioni dell’AIEA, effettuate dopo molte pressioni, si evince complessivamente come l’Iran sia impegnato a sviluppare l’intero ciclo del combustibile nucleare alla base della possibile realizzazione di un dispositivo militare; sono emersi dunque una serie di elementi sospetti in quanto compatibili con lo sviluppo di un programma nucleare militare.

 

I tentativi di mediazione europei

All’attività dell’AIEA si è affiancata, a partire dall’agosto del 2003, l’iniziativa dei governi di Francia, Germania e Regno Unito per indurre l’Iran a sospendere temporaneamente le attività per la produzione di uranio arricchito, a fronte di una collaborazione a livello commerciale, tecnologico, nucleare ed economico.

Nel 2004 l’Unione europea ha deciso di associare al processo avviato dai tre paesi europei l’Alto Rappresentante per la politica estera e la sicurezza comune, Javier Solana. Il negoziato ha condotto, nel novembre 2004, alla presentazione di un documento - condiviso dall’Iran - da parte dei tre paesi europei al Consiglio dei governatori dell’AIEA (c.d. Accordo di Parigi), nel quale si prevedeva la sospensione delle attività di Teheran nel settore della produzione di uranio arricchito in cambio di un pacchetto di incentivi, che includesse accordi commerciali e cooperazione nucleare, nonché dialogo politico sulle questioni di sicurezza cui l’Iran è più sensibile. Il Consiglio ha conseguentemente deciso di “derubricare” l’argomento Iran dall’agenda dei suoi futuri lavori. L’intesa prevedeva, come meccanismo di gestione del negoziato, l’istituzione di un comitato direttivo con il compito di sovraintendere all’attività di tre gruppi di lavoro (nucleare, economico e commerciale, politico e di sicurezza).

Nel marzo 2005 gli Stati Uniti, in origine sostanzialmente contrari a coinvolgere l’Iran in una trattativa, hanno deciso di appoggiare l’iniziativa degli europei, pur rifiutandosi di partecipare direttamente ai negoziati. Gli Usa hanno però ottenuto come condizione del loro appoggio la richiesta della sospensione permanente dell’arricchimento dell’uranio da parte dell’Iran e il deferimento di quel Paese al Consiglio di sicurezza dell’Onu per l’imposizione di sanzioni in caso di fallimento delle trattative.

Dopo ulteriori tentativi di mediazione, nell’agosto del 2005 i negoziati promossi dalla Ue sono naufragati in seguito alla decisione unilaterale del governo iraniano di riprendere la conversione dell’uranio (un procedimento preparatorio dell’arricchimento), ritenuta dai tre paesi europei una violazione delle condizioni accettate dall’Iran nel novembre del 2004.

La situazione si era del resto già complicata in seguito all’elezione a presidente dell’Iran di Mahmoud Ahmadinejad (giugno 2005), esponente dell’ala più radicale e meno disponibile ai compromessi della leadership iraniana.

Il 17 settembre successivo il neo presidente iraniano, intervenendo all’Assemblea generale delle Nazioni Unite, ribadiva quindi che l’Iran aveva la ferma intenzione di esercitare il suo diritto a sviluppare la tecnologia nucleare a ciclo completo.

L’estate 2005 segna dunque il fallimento del negoziato tra gli Ue-3 e l’Iran.

Gli europei, pur lasciando aperta la possibilità di riaprire un dialogo, hanno appoggiato la richiesta americana di porre la questione al Consiglio di sicurezza dell’Onu, promuovendo in seno al Consiglio dei governatori dell’Aiea una risoluzione che ha dichiarato l’Iran “inadempiente” ai suoi obblighi internazionali per aver mancato di informare l’Aiea delle attività nucleari in corso, invitandolo altresì ad una piena collaborazione con gli ispettori dell’agenzia.

La risoluzione, pur non contenendo meccanismi di deferimento immediato qualora l’Iran perseveri nelle violazioni contestategli, ha da allora conferito al contenzioso sul nucleare iraniano una più vasta dimensione internazionale.

Poco tempo dopo il voto all’Aiea è intervenuta la presentazione di una proposta di risoluzione della crisi da parte della Russia, volta a consentire all’Iran di arricchire l’uranio su territorio russo. Il governo di Teheran, dopo qualche oscillazione, ha dapprima lasciato cadere l’ipotesi di Mosca, e ha annunciato successivamente, nel gennaio 2006, la rimozione dei sigilli dagli impianti di Natanz; circa un mese dopo ha cominciato a porre ulteriori limiti alle ispezioni dell’Aiea, costringendo quest’ultima ha disporre il trasferimento del dossier Iran al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.

 

L’intervento del Consiglio di sicurezza

Il 29 marzo 2006 il Consiglio di sicurezza, dopo aver espresso viva preoccupazione per il fatto che l’AIEA non era stata posta nelle condizioni di poter esprimere una valutazione conclusiva sul programma nucleare iraniano, ha invitato l’Iran a sospendere le attività di arricchimento dell’uranio e le attività connesse, nonché a riprendere la piena cooperazione con l’Agenzia. Il Consiglio di sicurezza, dopo aver espresso la convinzione che tale sospensione e l’osservanza delle condizioni richieste potessero contribuire ad una soluzione negoziata della questione, in grado di riconoscere all’Iran il diritto allo sviluppo del nucleare per scopi civili, richiedeva quindi un rapporto dell’AIEA entro 30 giorni.

Alla fine di aprile il rapporto del direttore generale dell’Aiea ElBaradei lamentava il mancato adeguamento dell’Iran alle richieste dell’Onu e la conseguente impossibilità per l’agenzia di certificare l’assenza di attività nucleari non dichiarate.

In precedenza, l’11 aprile 2006, il presidente iraniano Ahmadinejad aveva annunciato pubblicamente che l’Iran era riuscito ad arricchire un piccolo quantitativo di uranio in una percentuale sufficiente ad essere impiegata in un reattore (3%) e che il Paese avrebbe continuato nel suo programma nucleare fino alla produzione in massa di uranio arricchito.

L’annuncio ha suscitato la reazione preoccupata di paesi come il Giappone e la Federazione russa, che hanno subito ribadito la richiesta all’Iran di sospendere sia le attività di arricchimento dell’uranio sia quelle di ricerca.

 

I negoziati del gruppo 5+1

Le iniziative internazionali per una soluzione negoziata sono state in seguito rilanciate dal gruppo dei paesi membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’ONU (USA, Russia, Gran Bretagna, Francia e Cina) e dalla Germania (c.d. gruppo “5+1”), che nel corso di un incontro svoltosi a Vienna all’inizio del mese di giugno 2006 hanno definito una proposta di mediazione.

Tale proposta, frutto dell’iniziativa congiunta di americani ed europei, era nata dal presupposto che nonostante gli evidenti gesti di sfida di Teheran, sia la Russia che la Cina non avrebbero acconsentito a sanzionare l’Iran in sede Onu

Ammorbidendo le proprie posizioni, gli Stati Uniti decidevano così di puntare sull’opzione diplomatica, appoggiando la proposta di un pacchetto di incentivi da offrire all’Iran, quali: il riconoscimento formale del diritto dell’Iran alla tecnologia nucleare civile; l’assistenza alla costruzione di un reattore nucleare ad acqua leggera tecnologicamente avanzato ma meno rischioso da un punto di vista di proliferazione nucleare; garanzie sulla fornitura di combustibile nucleare per il reattore; sostegno all’adesione dell’Iran all’Organizzazione mondiale del commercio; accesso ai mercati Usa di attrezzature agricole e di materiali di ricambio per la flotta della compagnia aerea di bandiera iraniana; assicurazioni sul carattere temporaneo della moratoria sull’arricchimento dell’uranio, che avrebbe potuto riprendere una volta certificata la natura pacifica del programma nucleare; l’impegno da parte europea di riprendere le trattative per un accordo di cooperazione e commercio con l’Ue[4].

A fronte di tali incentivi l’Iran avrebbe dovuto rinunciare alla prosecuzione delle attività di arricchimento di uranio. L’alto Rappresentante Ue, Javier Solana, ha discusso di tali proposte con il rappresentante del Governo iraniano Ali Larijani il 6 giugno 2006. Le reazioni del governo iraniano sono state inizialmente positive. Il 16 giugno il Presidente iraniano aveva infatti definito come “un passo avanti” le proposte del gruppo dei “5+1”, ed aveva annunciato che una risposta sarebbe stata data dopo i necessari approfondimenti.

Nel corso del mese di luglio sono proseguiti i negoziati del gruppo 5+1, all’interno del quale si sono evidenziate le perplessità della Russia sull’ipotesi di una risoluzione di aperta condanna dell’Iran.

Nella  vicenda si deve registrare la presa di posizione del Presidente del Consiglio Prodi e del Ministro degli esteri D’Alema, che nel corso di un incontro con il negoziatore iraniano Ali Larijani, svoltosi il 10 luglio 2006, hanno rivolto un forte messaggio inteso a chiedere la sospensione dei programmi di arricchimento dell’uranio, la collaborazione con l’AIEA e la disponibilità ad un serio negoziato con la comunità internazionale.

L’aggravarsi della crisi tra Israele ed Hezbollah libanesi – appoggiati dall’Iran -  l’intensificarsi degli scontri in atto nella regione meridionale del Libano e le ulteriori dichiarazioni del presidente iraniano circa il diritto del suo paese a proseguire il suo programma nucleare, hanno determinato un allontanamento di possibili soluzioni negoziate.

 

La Risoluzione 1696 del Consiglio di Sicurezza

Nel tentativo di vanificare tattiche dilatorie degli iraniani, il 31 luglio 2006 il Consiglio di Sicurezza ha approvato – con il solo voto contrario del Qatar – una risoluzione (n. 1696/2006) proposta da Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia, con la quale si chiedeva all’Iran di sospendere entro il 31 agosto le proprie operazioni di arricchimento dell’uranio. In caso di inadempimento la risoluzione prevedeva misure provvisorie (ex art. 40 della Carta ONU) ed eventuali sanzioni economiche (ex art. 41), escludendo tuttavia l’uso della forza.

La reazione del Presidente iraniano alla decisione del Consiglio di Sicurezza è giunta il giorno successivo, il 1° agosto 2006, con una dichiarazione nella quale si ribadiva che “il popolo iraniano rivendica il diritto inalienabile di avvantaggiarsi della tecnologia per produrre energia nucleare per fini pacifici”.

Il 2 agosto, al termine di un incontro con il vice-premier iracheno Saleh, il Ministro degli esteri D’Alema ha esortato l’Iran ad accogliere la sollecitazione della comunità internazionale a sospendere l’arricchimento dell’uranio affinché “si possa aprire un negoziato che offrirà a Teheran di portare avanti un processo di sviluppo in un clima di cooperazione e non di conflitto con il resto del mondo”.

Nonostante varie dichiarazioni di disponibilità – come quella del 22 agosto – da parte dell’Iran a intavolare negoziati ad ampio raggio, il termine del 31 agosto 2006 è scaduto senza che Teheran abbia interrotto le procedure di arricchimento dell’uranio, come risulta dal rapporto trasmesso dall’AIEA alla Presidenza del Consiglio di Sicurezza, nel quale peraltro l’Agenzia per l’energia atomica asserisce di non avere prove definitive dell’orientamento militare delle attività iraniane.

Diverse sono state le reazioni, da quella più dura degli Stati Uniti, che hanno insistito sulla ormai quasi inevitabilità di sanzioni appropriate, a quella più prudente del Segretario generale dell’ONU, Kofi Annan, sostanzialmente condivisa anche dall’Europa e dal nostro Paese, che attraverso il Ministro degli esteri D’Alema aveva dichiarato l’opportunità di sfruttare ogni possibile spiraglio negoziale prima di mettere Teheran di fronte alle sue responsabilità.

Il 6 settembre 2006 si è verificata una significativa evoluzione nelle posizioni russe, in seguito all’atteggiamento di rifiuto nei confronti delle aperture che Mosca aveva avanzato nei mesi precedenti: il Ministro degli esteri Lavrov si è infatti detto disposto a valutare l’ipotesi di sanzioni, pur continuando ad escludere con nettezza ogni possibilità di intervento militare contro l’Iran.

L’8 settembre, il capo negoziatore iraniano sul nucleare, Larijani, ha incontrato a Roma il Presidente del Consiglio Prodi e il Ministro degli esteri D’Alema: l’Italia ha ribadito il suo allineamento con gli sforzi dell’Unione europea, nonché l’importanza dell’Iran nel quadro mediorientale.

Nel mese di settembre si sono svolti a Vienna e a Berlino una serie di colloqui tra Larjani e l’Alto Rappresentante per la politica estera e la sicurezza comune, Javier Solana, sui quali si è mantenuto uno stretto riserbo. Dopo l’incontro del 28 settembre, i due negoziatori avevano ventilato la possibilità di trovare le condizioni per riaprire un negoziato ufficiale. A pochi giorni di distanza, tuttavia, l’Alto rappresentante per la PESC, presente al Consiglio informale dei ministri UE per la difesa (2 ottobre) aveva dichiarato che non si era raggiunto un accordo sulla questione fondamentale della sospensione dell’uranio e che il tempo per ottenere tale sospensione non era illimitato.

In occasione della Cinquantesima Sessione dell’Assemblea generale dell’AIEA (18 settembre 2006), il Direttore generale El Baradei ha ribadito che, in violazione della risoluzione 1696, l’Iran non ha sospeso le attività di arricchimento dell’uranio, ed ha affermato l’impossibilità per l’Agenzia di dare risposte alla questione a causa dell’assenza di trasparenza da parte dell’Iran.

Sempre El Baradei ha poi dichiarato, in un’intervista del 2 ottobre, che l’Iran non costituisce una minaccia imminente e che l’unica strada per risolvere il contenzioso in atto è quella del negoziato; ha quindi plaudito all’iniziativa dell’UE, alla quale si sono associati anche gli Stati Uniti.

El Baradei ha anche sottolineato il ruolo dell’Italia nella crisi iraniana (il Premier Prodi e il Ministro degli esteri, tra l’altro, avevano incontrato i loro omologhi iraniani a margine dell’Assemblea generale dell’ONU) ed ha auspicato l’ingresso del nostro paese nel gruppo dei 5+1. La via del dialogo e del negoziato rappresenta del resto la posizione fin dall’origine privilegiata dal Governo italiano[5], che si è sempre adoperato con coerenza per la ricerca di una soluzione negoziata nell'ambito del G8, dell'Unione Europea e della stessa Agenzia Internazionale per l'Energia Atomica.

 

Il 3 ottobre il governo di Teheran ha proposto alla Francia di partecipare alla creazione di un consorzio per la produzione di uranio arricchito in Iran. La proposta, che consentirebbe alla Francia un controllo sulle attività di arricchimento dell’uranio, permetterebbe, secondo l'Iran, di sbloccare l'impasse sui colloqui sul programma nucleare quel paese.

Gli sviluppi sulla questione dell’Iran e la posizione dell’UE sono stati ulteriormente chiariti dall’Alto Rappresentante per la PESC, Solana, nel corso della riunione della Commissione Affari esteri del Parlamento europeo  del 4 ottobre. In tale ambito Solana aveva rinviato ogni decisione al gruppo dei 5+1, ai quali spettava valutare se il dialogo potesse proseguire o se invece il caso doveva essere sottoposto nuovamente al Consiglio di Sicurezza.

 

La nuova Risoluzione 1737 del Consiglio di Sicurezza

L’approvazione di una nuova risoluzione ONU e, soprattutto, le sanzioni che essa avrebbe dovuto contenere sono stati i temi all’ordine del giorno dei paesi del gruppo 5+1 e dell’Europa nel corso dell’autunno.

In tale quadro, se da una parte sulla questione emergevano diverse posizioni (più intransigenti quelle di USA e Regno Unito favorevoli a dure sanzioni contro l’Iran), dall’altra il Presidente Ahmadinejad dichiarava reiteratamente di non essere disposto a rinunciare al programma nucleare ed anzi di essere pronto a reagire con “misure adeguate”, arrivando ad ammonire l’Europa a non allinearsi con gli USA sul terreno delle sanzioni.

Tra le minacce ventilate, anche quella di rivedere i rapporti tra l’Iran e l’AIEA, se non fossero stati accolti gli emendamenti proposti dalla Russia alla bozza di risoluzione ONU per attenuare la portata delle sanzioni in essa previste.

Nonostante i tentativi di dialogo tra USA da un lato ed Iran e Siria dall’altro, effettuati, in via informale, anche dall’ex segretario di Stato americano Baker, nonché segnali di disponibilità arrivati nel mese di dicembre dal nuovo capo del Pentagono Gates -  che si era detto pronto, ancorché scettico sui risultati, ad avviare un dialogo con Iran e Siria - il 23 dicembre il Consiglio di Sicurezza dell’ONU, al termine di due mesi di trattative, ha approvato la risoluzione 1737, cheimpone sanzioni all’Iran per non aver interrotto il processo di arricchimento dell’uranio.

La risoluzione, proposta da Gran Bretagna, Francia e Germania e approvata il all'unanimità dal Consiglio di sicurezza, richiama il capitolo 7, articolo 41, della Carta delle Nazioni Unite, che prevede l'applicazione obbligatoria delle misure, pur escludendo azioni di tipo militare.

In particolare, la risoluzione vieta di esportare in Iran materiali o tecnologie che contribuiscano alle attività relative all'arricchimento e al riprocessamento (dell'uranio) e alle attività legate all'acqua pesante, nonché allo sviluppo di sistemi di trasporto di testate nucleari, quali i missili balistici. Singoli Paesi possono peraltro decidere in autonomia se esportare materiali o tecnologie suscettibili di doppio uso (civile o nucleare), ma in tal caso hanno l’obbligo di verificarne finalità e destinazione e devono comunque informare il comitato per le sanzioni del Consiglio di sicurezza. Le sanzioni non si applicano invece a materiali per la costruzione di impianti nucleari ad acqua leggera o ad uranio a basso arricchimento quando questi sia una delle parti di un combustibile nucleare composito[6].

La risoluzione dispone poi il congelamento di finanziamenti o fondi di proprietà o controllati da persone, società o organizzazioni legate ai programmi nucleare o missilistico iraniani; tale congelamento si applica, tra l’altro, all'Organizzazione per l'energia atomica iraniana, a tutti gli impianti legati al programma iraniano di arricchimento dell'uranio, al reattore ad acqua pesante di Arak e all'impianto di centrifughe di Natanz. Viene inoltre fatto obbligo agli Stati di segnalare l’ingresso sul proprio territorio di persone legate al programma nucleare iraniano indicate nell’Annesso alla risoluzione stessa.

Le sanzioni possono essere sospese se il direttore generale dell'Aiea ritenga che l'Iran abbia interrotto l'arricchimento dell'uranio e la costruzione delle centrali ad acqua pesante e torni al tavolo dei negoziati, ma possono invece essere ulteriormente aggravate se l'Iran non si conforma ai dettami della risoluzione entro 60 giorni dall’adozione della medesima.

 

Gli sviluppi recenti

All'indomani dell'adozione della risoluzione, le reazioni del Governo di Teheran sono state durissime.

Il presidente Ahmadinejad ha dichiarato che i Paesi che l'hanno votata ''si pentiranno'' di questo ''atto superficiale'', definendo il documento ''un pezzo di carta straccia' che non potrà fermare il programma nucleare di Teheran ed accusando il Consiglio di Sicurezza di essere ''senza dignità' per il fatto di essere controllato ''dagli Usa, dalla Gran Bretagna e dal regime sionista''.

Il 26 dicembre il Vice Ministro degli Esteri, Mehdi Mostafavi,  ha annunciato che il primo passo per produrre su scala industriale combustibile nucleare sarà compiuto durante le celebrazioni per l'anniversario della rivoluzione previste nel mese di febbraio.

Il successivo 27 dicembre il Parlamento iraniano ha approvato una legge che impone al governo di rivedere il livello di cooperazione con l'Aiea, mentre il 22 gennaio è stato annunciato il divieto di accesso nel territorio iraniano a 38 ispettori dell'Agenzia internazionale per l'energia atomica (Aiea).  

Alaeddin Boroudjerdi, presidente della Commissione esteri e difesa del Parlamento iraniano, ha precisato che la lista degli esclusi è stata preparata da una Commissione appositamente formata per “riconsiderare la cooperazione con l'Aiea'', aggiungendo peraltro che le ispezioni di routine di altri esperti dell’Agenzia ai siti nucleari iraniani continueranno normalmente nell'ambito delle regole vigenti.

Il ministro degli Esteri iraniano, Manoucheher Mottaki, ha invece precisato che la decisione di respingere alcuni ispettori è legale e conforme ai regolamenti dell'Aiea, posto che quest’ultima sottopone ai Paesi membri una lunga lista di ispettori, e i Paesi hanno il diritto di impedire l'ingresso ad alcuni di essi.

L’annuncio del divieto di accesso per 38 ispettori dell’Aiea è stato dato contestualmente alla dichiarazione dei Ministri degli Esteri della Ue,  che il 22 gennaio scorso, nell’ambito del Consiglio Affari Generali e Relazioni Esterne, hanno sottolineato l’esigenza di una applicazione ''integrale e rapida'' delle sanzioni Onu, dichiarazione subito qualificata come “deplorevole” dal portavoce del Ministero degli esteri iraniano;  in tale occasione il Presidente Ahmadinejad ha ribadito che l'Iran non ha alcuna intenzione di fare marcia indietro sul suo programma nucleare, anche se il Consiglio di Sicurezza ''adottasse dieci nuove risoluzioni''.

Il 27 gennaio, il citato Presidente della Commissione esteri e difesa del Parlamento iraniano, ha annunciato l’inizio dell’installazione di 3.000 centrifughe[7] per l’arricchimento dell’uranio nel sito di Natanz, nell'Iran centrale, notizia tuttavia subito smentita dal responsabile delle pubbliche relazioni dell'Organizzazione iraniana per l'energia atomica.

Contestualmente all'annuncio e alla successiva smentita circa l’installazione delle suddette centrifughe si è registrata la dichiarazione del direttore generale dell'Aiea, Mohammed ElBaradei, secondo la quale nel confronto fra Iran e comunità internazionale, sarebbe opportuna una ''pausa'' che preveda la sospensione da parte dell'Iran delle sue attività di arricchimento dell'uranio a fronte della sospensione delle sanzioni Onu nei confronti della Repubblica islamica.

Tale posizione è stata subito condivisa dalla Russia, che attraverso il capo del Consiglio di Sicurezza, Igor Ivanov, ha ribadito l’esigenza di una soluzione politica e diplomatica del contenzioso in atto.

Sela Russia ritiene che vada presa in considerazione la proposta di 'pausa' nel braccio di ferro sul programma nucleare iraniano avanzata da ElBaradei, Ali Larijani, segretario del Supremo Consiglio per la sicurezza nazionale iraniano e capo negoziatore sul nucleare, si è mostrato cauto, rilevando come la Repubblica islamica abbia bisogno di più tempo per esaminare il suggerimento, posto che la questione nucleare iraniana “ha più sfaccettature” e la proposta deve essere sviluppata.

Il 29 gennaio il governo di Washington ha invece respinto nettamente la proposta del direttore dell'Agenzia El Baradei, ribadendo una posizione già espressa in passato, ossia che l'unica strada per sbloccare il negoziato è la rinuncia incondizionata di Teheran alle sue attività di arricchimento dell'uranio.  Nella medesima giornata il Presidente G. W. Bush ha inoltre lanciato severo monito a Teheran, annunciando che gli Stati Uniti reagiranno con fermezza se l'Iran dovesse accrescere il suo presunto coinvolgimento negli attacchi alle forze armate americane in Iraq attraverso il sostegno alle milizie sciite.

 Parallelamente, l'Ayatollah Seyyed Ali Khamenei, in un colloquio con il segretario del Consiglio per la Sicurezza Nazionale russo Igor Ivanov, ha sottolineato come una collaborazione tra la Repubblica Islamica e la Federazione Russa, possa formare un asse capace di determinare le scelte politiche ed economiche della regione, e porre freno “all'ambizione americana di governare il mondo”. In quest'ottica, Khamenei ha proposto alla Russia la creazione di un cartello di produttori di gas, sul modello dell'Opec, per poter condizionare attraverso pressioni economiche, le scelte politiche dell'Occidente.

 

Nelle prime settimane di febbraio si segnalano le dichiarazioni del Presidente Ahmadinejad durante le celebrazioni, tenutesi a Teheran l’11 febbraio, del 28° anniversario della rivoluzione khomeinista, le quali hanno ribadito il ruolo strategico dell'energia nucleare per lo sviluppo del paese.

Pur continuando a rifiutare di adempiere alla risoluzione Onu, il Presidente iraniano non ha dato tuttavia la notizia di nuovi progressi nel programma nucleare, come invece aveva più volte preannunciato. Un'omissione forse riferibile ad un tentativo di non inasprire ulteriormente il braccio di ferro con l'Occidente, nel medesimo giorno in cui il capo negoziatore iraniano, Ali Larijani, durante la 43/a Conferenza sulla sicurezza a Monaco, lanciava segnali di apertura, dichiarando che Teheran desidera la ripresa dei negoziati ed è pronto a presentare in tre settimane proposte che portino ad una soluzione della crisi.

 

Successivamente, il Consiglio Affari generali e Relazioni esterne dell’Unione europea, riunitosi a Bruxelles il 12 febbraio scorso, ha approvato in via ufficiale la dichiarazione che impegna gli Stati membri ad applicare in modo ''pieno e rigoroso'' le sanzioni decise dal Consiglio di sicurezza dell'Onu, sottolineando tuttavia come l'Europa tenga aperta la porta del dialogo verso l'Iran e sia pronta a tornare al tavolo dei negoziati.

 

Pur non sposando la posizione degli Stati Uniti - che in precedenza avevano fatto pressioni per una estensione di fatto delle sanzioni oltre l’ambito circoscritto dalla risoluzione 1737 - la Ue non ha escluso l’eventuale possibilità per il futuro di irrigidire le sanzioni medesime, ad esempio estendendo la lista delle persone e delle entità soggette a misure restrittive quali il congelamento dei beni.

 

A tale riguardo, il Ministro degli esteri D’Alema a margine del Consiglio, ha sottolineato come la politica dell'Unione Europea verso l'Iran passi attraverso un ''doppio binario'': da un lato, il sostegno alla risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell'Onu che prevede sanzioni, dall'altro il tentativo di mantenere aperto il canale del dialogo per riaprire la via ad una soluzione politico-diplomatica della crisi.

 

 In concomitanza con la riunione del Consiglio Ue, sono intervenute le dichiarazioni del portavoce del ministero degli Esteri iraniano, secondo le quali l'Iran è pronto a discutere anche di una eventuale sospensione dell'arricchimento dell'uranio, ma solo dopo la ripresa dei negoziati con la Comunità internazionale e soprattutto a condizione che il caso torni dal Consiglio di Sicurezza dell'Onu all'Agenzia internazionale per l'energia atomica.

Quanto agli sviluppi più recenti, si segnala che secondo fonti  giornalistiche[8], la Svizzera ha presentato il 12 febbraio a Teheran una proposta per risolvere la crisi sul programma nucleare. Tale proposta, che secondo le medesime fonti avrebbe incontrato il favore del governo della Repubblica islamica, prevede che: 1) all'Iran venga concesso di produrre una quota predeterminata di uranio arricchito, a patto che non vengano superate le quantità stabilite e che queste non siano destinate a fini militari; 2) gli ispettori dell'Agenzia internazionale per l'energia atomica avranno maggiori poteri e libertà di azione. 3) l'Aiea si impegni a fornire all'Iran tecnologia nucleare avanzata e la Russia a fornire barre di combustibile nucleare per il reattore atomico di Bushehr; 4) le sanzioni Onu contro Teheran non saranno irrigidite; 5) gli Stati Uniti e l'Europa desistano da qualsiasi intervento militare in Iran; 6) Usa ed Europa, infine, cessino di supportare il loro clandestino programma di supporto alle minoranze iraniane. La proposta svizzera sembra sia stata accolta con favore numerosi Paesi e, seppur non ufficialmente, anche dagli Stati Uniti, che premono per una soluzione diplomatica della questione pur non escludendo altre ipotesi.

A questo proposito, il Segretario di Stato Usa Condoleezza Rice, all’indomani dell’accordo per porre fine al programma nucleare nord-coreano, siglato a Pechino il 13 febbraio scorso, aveva rilanciato le consultazioni affermando che "Teheran dovrebbe seguire l'esempio della Corea del Nord, con la quale attraverso un paziente dialogo diplomatico si è raggiunto un accordo per denuclearizzare la penisola".

A fronte di questa comune volontà della Comunità internazionale di tenere comunque aperta la porta dei negoziati, le tensioni e l’ostilità tra l’Iran e in particolare gli Stai Uniti non sembrano allentarsi.  

Sembra invece consolidarsi l’asse strategico tra la Siria e l’Iran in funzione antiamericana, come testimonia un vertice svoltosi il 18 febbraio a Teheran, durante il quale l’ayatollah Ali Khamenei, e il presidente siriano Bashar al Assad, hanno affermato che gli Stati Uniti sono i ''perdenti'' nella regione mediorientale e si sono impegnati a rendere ancora più forti i legami tra i loro due Paesi. Sia Teheran sia Damasco hanno quindi fatto appello ai musulmani affinché non cedano alle tentazioni delle lotte tra etnie e gruppi religiosi diversi - in particolare sunniti e sciiti in Iraq - che a loro avviso sono il risultato di un complotto ordito dagli Stati Uniti mirante  a creare divisioni nel mondo musulmano e arabo. Al termine del vertice i due governi hanno inoltre espresso una dichiarazione congiunta in cui Damasco ribadisce il suo sostegno al programma nucleare della Repubblica Islamica. L'Iran ha invece riaffermato di ritenere ''inaccettabile'' la sospensione dell'arricchimento dell'uranio chiesta dal Consiglio di Sicurezza dell'Onu, aggiungendo peraltro che potrebbe accettare di discutere con la Comunità internazionale l’eventuale previsione di un limite all'arricchimento del 4 per cento, senza tuttavia precisare quali garanzie Teheran offrirebbe per non oltrepassare questo limite[9].

 

La scadenza dell’ultimatum dell’ONU

All’indomani della scadenza del termine di 60 giorni imposto all’Iran dalla risoluzione 1737 del 23 dicembre scorso, il direttore generale dell'Aiea Mohammed ElBaradei ha inviato al Consiglio di sicurezza dell'Onu il suo ultimo rapporto nel quale si certifica che Teharan ha ignorato l'intimazione delle Nazioni Unite a sospendere ogni attività nucleare.

In particolare, in base al rapporto, l'Iran non solo non avrebbe sospeso il processo di arricchimento dell'uranio ma, in aperta sfida alla Comunità internazionale, lo avrebbe persino intensificato. Oltre a non ottemperare a nessuna delle misure richieste di trasparenza, Teheran avrebbe proseguito l'attività di arricchimento nell'impianto pilota di Natanz con l'installazione di quattro cascate di 164 centrifughe (le macchine per produzione di combustibile nucleare) e pianificato l'allaccio progressivo entro maggio 2007 di tutte le 3.000 centrifughe previste per arrivare alla produzione di uranio arricchito su scala industriale.

A fronte di tali conclusioni, la reazione di Teheran è stata quella di alzare i toni dello scontro, ribadendo con fermezza la propria volontà di proseguire con il programma nucleare. Il vice presidente dell'Organizzazione iraniana per l'energia atomica, Mohammad Saidi, ha infatti affermato che l'Iran non può accettare la sospensione dell'arricchimento dell'uranio, poiché ciò contrasta con i suoi diritti e con il Trattato di non proliferazione nucleare, confermando che l’intenzione di mettere in funzione entro il mese di maggio le 3 mila centrifughe. Posizioni ancora più intransigenti sono state espresse dal Presidente iraniano Ahmadinejad, secondo il quale “l'Iran ha ottenuto la tecnologia nucleare, e procederà come un treno che non ha né freni retromarcia''; darà inoltre ''risposte appropriate ad ogni potenza globale che intraprenda delle azioni contro il Paese''. Il vice ministro degli Esteri Manuchehr Mohammadi ha inoltre avvertito che la Repubblica islamica è pronta ad ogni evenienza ''anche alla guerra'', sottolineando altresì che le attività di arricchimento dell'uranio continueranno anche se verrà approvata una nuova risoluzione dell'Onu.

Nonostante il deciso rifiuto di rispettare la risoluzione Onu, le prime reazioni sono apparse caute: gli Stati Uniti hanno in particolare ribadito come non esista alcun piano d'attacco nei confronti dell'Iran – ventilato negli ultimi giorni soprattutto sulla stampa britannica e americana - e come l'obiettivo sia quello di persuadere l'Iran a tornare al tavolo della trattativa anche con nuove sanzioni. Germania e Russia, con un appello congiunto, hanno invitato Teheran ad accettare un accordo sulla questione nucleare, mentre la Francia ha auspicato l'adozione di una nuova risoluzione dell'Onu per "continuare le sanzioni". Da parte di Washington sono giunti da ultimo nuovi segnali di apertura al dialogo; il 25 febbraio il Segretario di Stato Condoleezza Rice, rispondendo alle affermazioni del Presidente iraniano secondo il quale il programma e' ''irreversibile'', ha affermato che se Teheran interromperà l'arricchimento dell’uranio, gli Stati Uniti sono pronti ''a sedersi ad un tavolo e discutere di qualunque cosa l'Iran abbia in mente ''. Toni meno concilianti sono stati tuttavia espressi dal vice-presidente Dick Cheney, il quale ha dichiarato che per impedire all’Iran di dotarsi di armi atomiche ''tutte le opzioni sono sul tavolo''.

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La situazione interna dell’Iran

Per quanto concerne la situazione politica del Paese, si rileva, da ultimo, come all’interno della leadership iraniana siano affiorate delle divisioni tra il partito facente capo al presidente, più incline all’intransigenza, e quello rappresentato dall’establishment clericale conservatore, facente capo alla guida suprema Ali Khamenei

Si registrano inoltre segnali di diffuso malcontento nei confronti del Presidente Ahmadinejad, in particolare degli ambienti riformisti che contestano la politica del muro contro muro adottata per gestire la crisi e il conseguente rischio di isolamento internazionale dell’Iran.  

In questo quadro, alcuni osservatori hanno sottolineato come le rivendicazioni nucleari di Teheran, assieme alle ripetute esternazioni di Ahmadinejad contro l’esistenza dello Stato di Israele - culminate in dicembre con un convegno negazionista in ordine allo sterminio nazista degli ebrei -  siano temi che servono almeno in parte a coprire le spaccature interne al Paese e alla sua leadership politica, dove Ahmadinejad sta perdendo consenso a vantaggio dei suoi oppositori. 

A  tale ultimo riguardo, si ricorda, ad esempio, che il 15 dicembre 2006, nell’elezione dell’Assemblea degli esperti (l’Organismo che nomina, consiglia e può anche rimuovere la guida suprema del paese: al momento l’ayatollah Khamenei), gli alleati del Presidente hanno subito una pesante sconfitta a beneficio sia dei conservatori più pragmatici sia dei riformisti; si è registrata infatti una significativa vittoria di Rafsanjani, rappresentante dell’ala dei pragmatici e suo contendente nelle elezioni presidenziali.

Nel mese di gennaio, inoltre, un gruppo di deputati iraniani che, pur appartenendo al campo conservatore, si sono distinti negli ultimi mesi per le loro critiche al presidente  Ahmadinejad, ha dato vita a una scissione per formare un nuovo gruppo (i “conservatori creativi”) in seno all'Assemblea.

Negli ultimi tempi sembra pertanto che non solo dalla fazione riformista ma anche da quella conservatrice si stiano moltiplicando le critiche ad Ahmadinejad, anche in relazione alla sua politica in campo economico.

   Occorre tuttavia rilevare come all’interno della classe dirigente e politica iraniana, sebbene sussistano diverse valutazioni in ordine al rapporto da tenere con il mondo occidentale, la divisione tra intransigenti e pragmatici sia in parte sfumata, posto che nella sostanza non esistono blocchi omogenei e contrapposti, e che comunque l’ambizione a trasformare la Repubblica islamica in un attore regionale di primo piano in antitesi all’egemonia statunitense è largamente condivisa.

La questione nucleare assume poi i contorni di una questione di orgoglio nazionale su cui anche l’ala dei riformatori non sembra disposta a retrocedere.

Anche le citate divisioni all’interno della leadership iraniana tra il partito facente capo al presidente e l’establishment clericale conservatore, appaiono più di facciata che di sostanza e le recenti dichiarazioni dell’ayatollah Ali Khamenei sembrano testimoniare tale assunto. Il 17 febbraio scorso la Guida suprema iraniana ha infatti incitato tutte le autorità a lavorare per ''raggiungere l'apice della tecnologia e della scienza” in campo nucleare, e ha attaccato coloro che nel Paese hanno espresso negli ultimi mesi timori per il braccio di ferro con l'Occidente, in particolare con gli Usa. 'Nessuna esitazione è permessa nelle Università e negli ambienti scientifici in generale '', ha aggiunto la Guida, sottolineando inoltre come il programma nucleare debba continuare senza incertezze, posto che “sul nucleare si gioca il futuro del Paese” e in assenza di questo l’Iran sarebbe dipendente “dalle potenze che vogliono il dominio '' [10].

A tali posizioni si sono aggiunte le sopra citate dichiarazioni della leadership iraniana intervenute dopo la presentazione dell’ultimo rapporto del direttore generale dell'Aiea.

Dopo la scadenza del termine previsto dalla risoluzione 1737, sono attualmente in corso le consultazioni dei rappresentanti del gruppo dei 5+1 per decidere quale posizione assumere nei confronti dell'Iran; un nuovo deferimento al Consiglio di Sicurezza dell’Onu per l’irrogazione di nuove e più severe sanzioni sembra probabile, nonostante, come accennato, sia gli Stati Uniti sia i partner europei abbiano manifestato la volontà di addivenire ad un negoziato prendendo ad esempio il positivo esito delle trattative per la sospensione delle attività nucleari della Corea del Nord[11].

Un nuovo deferimento al Consiglio di Sicurezza allontanerebbe tuttavia le posizioni tra le parti, posto l'Iran si è a più riprese dichiarato pronto a riprendere i negoziati con la Comunità internazionale solo a condizione che il caso torni dal Consiglio di Sicurezza dell'Onu all'Agenzia internazionale per l'energia atomica

In questo scenario, una possibile soluzione negoziale alla controversia sul programma nucleare iraniano non sembra ancora a portata di mano e il corso degli eventi futuri rimane quanto mai incerto.

 

 


 



[1]    Il TNP, sottoscritto il 1 luglio 1968 ed entrato in vigore il 5 marzo 1970, proibisce agli stati firmatari che non disponessero di armamenti nucleari (stati non-nucleari), di ricevere o fabbricare tali armamenti o di procurarsi tecnologie e materiale utilizzabile per la costruzione di armamenti nucleari. Ugualmente il trattato proibisce agli stati nucleari firmatari di cedere a stati non-nucleari, armi nucleari e tecnologie o materiali utili alla costruzione di queste armi. Inoltre il trasferimento di materiale e tecnologie nucleari, da utilizzarsi per scopi pacifici, deve, secondo il trattato, avvenire sotto lo stretto controllo dall’Agenzia Internazionale per l'Energia Atomica.

[2]    L'Agenzia Internazionale dell'Energia Atomica è un'agenzia autonoma fondata il 29 luglio 1957, con lo scopo di promuovere l'utilizzo pacifico dell'energia nucleare e di impedirne l'utilizzo per scopi militari. La sede dell'IAEA si trova a Vienna, in Austria, presso il Vienna International Centre; uffici di collegamento sono presenti a Toronto, Ginevra, New York e Tokyo. Il laboratorio centrale si trova a circa 30 km da Vienna e ricerche vengono fatte anche nei laboratori di Monaco e Trieste. I paesi membri sono 137, i rappresentanti dei quali si incontrano una volta all'anno per la Conferenza generale e per eleggere i 35 membri che fanno parte del Consiglio dei Governatori (Board of governors), che si riunisce cinque volte l'anno per preparare le decisioni da presentare alla Conferenza Generale. Per il suo impegno l'Agenzia ha ricevuto il Premio Nobel per la pace nel 2005, insieme al suo direttore Mohamed ElBaradei.

 

 

 

[3]    I siti industriali tenuti segreti che hanno suscito allarme perché compatibili con un programma militare sono in particolare l’infrastruttura per l’arricchimento dell’uranio di Natanz e i piani per la costruzione di un reattore di ricerca ad acqua pesante e di uno stabilimento per la produzione dell’acqua pesante stessa presso Arak.

[4]    Il pacchetto conteneva peraltro anche la minaccia di sanzioni all’Iran in caso di inadempimento , quali: il blocco delle esportazioni in Iran di materiali legati ad attività nucleari; il congelamento dei titoli finanziari e il diniego di visto a importanti esponenti politici e di governo; la sospensione della cooperazione tecnica con l’Aiea; il blocco degli investimenti esteri in settori legati all’energia nucleare e il diniego di soggiorno agli studenti iraniani di tecnologie nucleari. Erano inoltre previste altre misure quali l’embargo sulle armi e il congelamento dei titoli delle istituzioni finanziarie iraniane.

[5]    In nostro Paese considera in particolare le relazioni con l'Iran un elemento qualificante della politica estera dell'Unione Europea, ed in tal senso ha sempre sostenuto il coinvolgimento diretto dell'Alto Rappresentante Solana nel negoziato nucleare con l'Iran. In questa prospettiva, si è sempre impegnato per mantenere una stretta coesione tra i Paesi membri dell'UE per far fronte ai rischi di proliferazione che il programma nucleare iraniano comporta. Tale indirizzo si è sviluppato anche in seno all'AIEA, appoggiando le attività di verifica condotte dal Direttore Generale, El Baradei, e sostenendo la necessità che l'Agenzia sia dotata di strumenti sempre più efficaci per portare a termine i propri compiti di controllo. La posizione italiana nei confronti della questione nucleare iraniana è peraltro coerente con l'impegno del nostro Paese nel sostegno al sistema globale di non proliferazione incentrato sul Trattato di Non Proliferazione Nucleare (TNP). Si veda, al riguardo, la risposta del rappresentante del Governo ad una interrogazione sul programma nucleare iraniano svoltasi in Commissione Affari esteri della Camera il 18 gennaio 2006.

[6]   Si fa presente che questo punto consente di fatto alla Russia di portare a compimento la costruzione in Iran dell’impianto nucleare civile ad acqua leggera di Bushehr.

[7]   Le centrifughe sono una tecnologia atta ad arricchire l'uranio che utilizzato a bassa intensità serve come combustibile nucleare per produrre energia elettrica, mentre ad alta concentrazione può essere impiegato per fabbricare armi atomiche.

[8]  Fonte:Il Velino.

[9]  Si ricorda che per alimentare centrali nucleari che producano energia elettrica – ciò che l'Iran dichiara di voler fare – è sufficiente un arricchimento dell'uranio fino al 5 per cento. Con la stessa tecnologia può tuttavia essere arricchito materiale fissile fino all'80 o 90 per cento, la soglia necessaria per costruire ordigni atomici.

[10]  Fonte: Ansa

[11]   si ricorda che il 13 febbraio è stato firmato a Pechino un accordo tra i 6 Paesi (Corea del Nord, Corea del Sud, Cina, Stati Uniti, Russia e Giappone) partecipanti al negoziato per porre fine al programma nucleare nord-coreano. L’accordo impegna la Corea del Nord a compiere i primi passi verso lo smantellamento del proprio arsenale nucleare in cambio di massicci rifornimenti di energia.