Camera dei deputati - XV Legislatura - Dossier di documentazione
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Autore: | Servizio Studi - Dipartimento affari esteri | ||||
Titolo: | La situazione nel Corno d'Africa | ||||
Serie: | Documentazione e ricerche Numero: 15 | ||||
Data: | 01/08/2006 | ||||
Descrittori: |
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Organi della Camera: | III-Affari esteri e comunitari |
Camera dei deputati
XV LEGISLATURA
SERVIZIO STUDI
Documentazione e ricerche
La situazione nel Corno d’Africa
n. 15
1° agosto 2006
Dipartimento affari esteri
SIWEB
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File:es0010.doc
INDICE
§ Sviluppi del conflitto tra Etiopia ed Eritrea, e vicende interne ai due Paesi.
§ Somalia – giugno 2006 (a cura del Centro Studi Internazionali, nell’ambito del progetto Osservatori del Senato della Repubblica) con aggiornamenti a cura del Servizio Studi della Camera
Dibattiti parlamentari
§ Senato della Repubblica
- 3ª Commissione (Affari esteri)
Comunicazioni del Governo sulla situazione nel Corno d’Africa, seduta del 1° febbraio 2006
Missioni internazionali nel Corno d’Africa
§ Processo di pace in Somalia
scheda a cura del Servizio Studi
§ Mare sicuro 2005
scheda a cura del Servizio Studi
scheda a cura dello Stato Maggiore della Difesa
§ UNMEE
scheda a cura del Sevizio Studi
scheda a cura dello Stato Maggiore della Difesa
Documentazione
§ M. Alberizzi, La pace fredda. Etiopia/Eritrea, in: Aspenia, n. 29/2005
§ F. Mini, Le (non) lezioni della Somalia, in:Aspenian n. 29/2005
§ A.M. Turi, Qualcosa di nuovo sul fronte Somalo, in: Limes, n. 4/2005
§ J.W. Harbeson, Ethiopia’s Extended transition, in: Journal of Democracy, n. 4/2005
§ N. Gallippi e F. Carlini, Somalia alla ricerca dell’equilibrio, in: Rivista militare, n. 5/2005
§ R. Fabi, L’Etiopia da centro a periferia, in: Limes, n. 3/2006
§ M. Raffaelli e L. Muscarà, Somalia, la quattordicesima prova, in: Limes, n. 3/2006
§ A. Desiderio, L’Eritrea ‘italiana’ guarda alla Cina, in: Limes, n. 3/2006
§ J. Abbink, Discomfiture of Democracy? The 2005 Election Crisis in Ethiopia and its aftermath, in: African Affairs, 3 aprile 2006
§ M. Bryden, Can Somalia Salvage Itself?, in: Current History, n. 691/2006
La situazione di crisi tra i due Stati risale ad eventi che, con il conflitto esploso fra Etiopia ed Eritrea nella primavera del 1998, avevano registrato uno sviluppo drammatico e hanno trovato soluzione con la firma di un accordo di cessazione delle ostilità ad Algeri, il 18 giugno 2000. L'Italia è stata attivamente impegnata a favorire una soluzione del conflitto tra i due paesi, partecipando alle iniziative coordinate, condotte dall'Organizzazione dell'unità africana, dalle Nazioni Unite, dagli Stati Uniti e dall'Unione europea.
Il conflitto si era infatti acceso nel maggio 1998, nonostante la dirigenza dei due paesi, un tempo alleata nella comune lotta contro il regime di Menghistu, avesse strettamente collaborato anche nei primi anni dell'indipendenza eritrea. La causa diretta dello scontro risiedeva nel riconoscimento delle frontiere, un elemento reso urgente dai problemi di carattere doganale e valutario che la fine dell'unione monetaria tra i due paesi, intervenuta nel 1997, aveva comportato.
La guerra ha conosciuto tre fasi acute: una prima, nei mesi di maggio e giugno 1998, dopo l'ingresso di truppe eritree in un'area, quella di Bademme, fino ad allora amministrata dall'Etiopia, ma rivendicata dall'Eritrea; una seconda, nel successivo febbraio del 1999, allorché gli etiopici recuperarono la parte principale dei territori precedentemente occupati dagli eritrei (l'area di Bademme) ed infine, l'ultima, nel maggio e giugno 2000. Fin dall'inizio del conflitto, l'Italia si è adoperata per una soluzione negoziata. È anche grazie a questa azione della diplomazia italiana, che fu conferito, nel dicembre 1999, al sottosegretario agli Esteri, Serri, l'incarico di rappresentante speciale della Presidenza dell'Unione europea per la crisi etiopico-eritrea, con il mandato di coadiuvare l'azione dell'Organizzazione dell'unità africana (OUA). Con l'accettazione delle due parti e l'avallo delle Nazioni unite, l'Organizzazione panafricana fissava il quadro negoziale per la soluzione del conflitto, soprattutto a partire dal luglio del 1999, dopo l'assunzione della presidenza dell'OUA da parte dell'Algeria. È stato così messo a punto un piano di pace che prevedeva il ripristino dello status quo ante, lo schieramento di osservatori internazionali e poi la soluzione, con il ricorso all'arbitrato, della disputa relativa al tracciato dei confini, sulla base dei trattati coloniali e delle applicabili norme di diritto internazionale.
L'Italia si è adoperata a sostegno di questo piano, d'intesa con i partner europei e in coordinamento con gli Stati Uniti. Una prima tornata di incontri con le parti ad Algeri si concludeva senza un'intesa sui meccanismi di attuazione del piano di pace e sul ritorno allo status quo ante. Al fallimento di questi incontri, faceva immediatamente seguito l'offensiva etiopica del maggio 2000, con il dichiarato obiettivo di recuperare i territori ancora occupati dagli eritrei. Una seconda tornata di incontri ad Algeri, all'inizio di giugno, convocata dalla presidenza algerina dell'OUA, dopo l'annuncio etiopico di aver raggiunto i propri obiettivi di recupero dei territori occupati dell'Eritrea, portava il 18 giugno alla firma dell'accordo sulla cessazione delle ostilità. Tale accordo prevedeva il ritiro completo delle truppe etiopiche dai territori eritrei occupati nelle ultime fasi della guerra ed il dispiegamento, in una zona di sicurezza frontaliera, di una forza di monitoraggio e peace keeping dell'ONU, «sotto gli auspici dell'OUA». L'accordo di Algeri del 18 giugno, ha costituito la base della risoluzione 1312 del 31 luglio 2000 del Consiglio di sicurezza dell'ONU che autorizzava la missione delle Nazioni Unite in Etiopia ed Eritrea (UNMEE).
Successivamente, la risoluzione 1320 del 15 settembre 2000 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, ha autorizzato il rischieramento nell'ambito della missione UNMEE di una componente militare di 4.200 unità (inclusi un massimo di 220 osservatori), con il compito di verificare l'effettiva cessazione delle ostilità, assistere le due parti nel rispetto delle intese intraprese, verificare il rischieramento delle forze militari dei due contendenti al di fuori della zona di sicurezza temporanea (TSZ) nell'area di frontiera. La UNMEE avrebbe operato, in collaborazione con l'Organizzazione per l'unità africana (OUA), per la realizzazione di una fascia smilitarizzata di separazione, ampia 25 chilometri, lungo i 900 chilometri di confine tra i due paesi. Il mandato dell'ONU prevedeva anche il coordinamento delle attività per lo sminamento, la verifica e il controllo del ritiro delle forze etiopi dalle posizioni conquistate, il controllo del riposizionamento delle forze eritree, il controllo del mantenimento della zona di separazione.
L'Italia ha concorso alla missione fornendo forze ed assetti specialistici nel campo del trasporto e della sorveglianza aerea, della logistica, della demarcazione dei confini, dei rilevamenti aerofotogrammetici, del supporto sanitario e della polizia militare, oltre a fornire osservatori ed un'aliquota di personale per lo staff del comando multinazionale della missione.
Il 10 ottobre 2000 il premier etiopico Melles Zenawi è stato confermato per un secondo mandato quinquennale dal Parlamento di Addis Abeba, che ha altresì confermato in blocco la compagine governativa uscente: Melles Zenawi si è impegnato al rispetto degli accordi di pace con l'Eritrea e ha fatto appello alla Comunità internazionale perché operasse uno sblocco degli aiuti all'Etiopia 'congelati' durante il conflitto. Alla fine di ottobre si è tuttavia registrato il fallimento dei negoziati, ad Algeri, tra i Ministri degli Esteri dei due Paesi, con reciproche pesanti accuse di mancanza di reale volontà di pace.
Il 12 dicembre 2000 arriva finalmente ad Algeri la firma di un ''accordo globale'' in sei punti, per porre formalmente fine alla guerra scoppiata nel maggio 1998 e costata almeno 50.000 morti, quasi 200.000 feriti e piu' di un milione di sfollati. L'accordo individua tre ostacoli da superare sul cammino della pace, e per ciascuno di essi si demanda la ricerca di una soluzione ad una Commissione. Fra le tre Commissioni, la piu' importante e' senza dubbio quella ''neutrale'' per la delimitazione e demarcazione del confine conteso tra Etiopia ed Eritrea, ''in base ai pertinenti trattati coloniali e alle leggi internazionali applicabili''. Composta da cinque esperti, due designati da ciascun Paese (ma non loro cittadini o residenti stranieri) e un quinto (con funzioni di presidente) scelto dagli altri quattro, la Commissione ha avuto la propria sede a L'Aja e un mandato iniziale di sei mesi. L'accordo di pace prevedeva pero' che questa scadenza possa essere ''estesa'', mentre tra Etiopia ed Eritrea permaneva il contrasto sui ''pertinenti trattati coloniali'' e sulle ''leggi internazionali applicabili'' cui fare riferimento. Per Asmara, il confine deve essere demarcato sulla base dei tre trattati del 1900, 1902 e 1908 che, all'epoca della sua amministrazione coloniale dell'Eritrea, l'Italia sottoscrisse con l'Etiopia. Per Addis Abeba, il riferimento ai tre trattati non e' invece univoco e occorre prendere in considerazione anche le modifiche dei confini amministrativi intervenute dopo l'annessione all'Etiopia dell'Eritrea (1962) e prima della sua indipendenza (1993). Ugualmente complicato appariva il compito della commissione incaricata degli indennizzi di guerra e composta con modalita' analoghe a quella per la demarcazione del confine. La commissione avrebbe avuto un anno di tempo per raccogliere le richieste e altri tre per deciderne la liquidazione. Infine, la terza Commissione aveva l’incarico di ''determinare le origini del conflitto'' tra Etiopia ed Eritrea, con un mandato senza alcuna scadenza.
Dopo pochi giorni dalla firma dell'accordo, nell'immediata vigilia del Natale, i due Paesi hanno dato seguito ai primi scambi di prigionieri dall'inizio del conflitto, scambi proseguiti anche nel gennaio 2001.
Un ulteriore punto di contrasto rimaneva sulle modalità di creazione della zona smilitarizzata nel sud dell'Eritrea, finché il 6 febbraio 2001 i due Paesi si sono accordati per un ritiro delle truppe etiopiche ancora stanziate nella regione: successivamente la zona (25 km. di profondità in territorio eritreo) sarebbe stata presidiata dai caschi blu della UNMEE, e l'Eritrea avrebbe provveduto a ripristinarvi un'amministrazione civile, ma con la sola presenza della polizia.
L’applicazione degli accordi di pace è successivamente proseguita, anche se rinnovate tensioni tra i due Paesi sono emerse a più riprese prima e dopo il 13 aprile 2002, data in cui alle Parti è stata comunicata la decisione della Corte internazionale di arbitrato in merito ai confini: il verdetto ha suscitato entusiasmo in Etiopia, ma un’accoglienza piuttosto compassata in Eritrea. In seguito, però, anche l’Etiopia si è irrigidita, e nel luglio 2004 si è resa necessaria una missione nelle due capitali del Segretario Generale dell’ONU, Kofi Annan. Nel novembre dello stesso anno il leader etiopico Zenawi dichiara in Parlamento che l’Etiopia, ancorché insoddisfatta della decisione della Commissione internazionale in merito alla delimitazione delle frontiere, antepone il bene della pace a ogni altra considerazione, e si augura – accettando infine il verdetto internazionale - di poter instaurare legami di fraterna collaborazione con l’Eritrea. Il messaggio della dirigenza di Addis Abeba pone così obliquamente l’accento su ciò che veramente interessa all’Etiopia, e che anche durante il conflitto aveva costituito un obiettivo di buona parte dell’opinione pubblica, ossia la possibilità dell’ambito sbocco al mare nella baia di Assab: nel nuovo scenario, esso dovrebbe configurarsi come accesso garantito non dagli eritrei, ma dalla supervisione internazionale.
Nel periodo più recente, la questione dei contrasti tra Etiopia ed Eritrea va inquadrata in maniera crescente nelle rispettive situazioni interne dei due Paesi, che sembrano purtroppo ricalcare uno schema già sperimentato da molti Paesi africani dopo l’indipendenza.
L’Eritrea vede un progressivo avvitarsi della situazione economica, anche per i postumi della traumatica guerra con l’Etiopia, e su questo sfondo vanno in pezzi molte solidarietà costruite negli anni della lotta per l’autodeterminazione nazionale contro il regime etiopico di Menghistu: il leader Afwerki incarcera numerosi oppositori di tendenze moderate, e avvia l’Eritrea su una china di progressiva radicalizzazione. Si spiega così in buona parte l’atteggiamento duro nei confronti dell’ONU e della presenza internazionale: l’Asmara imputa alle Nazioni Unite di non aver saputo imporre sic et simpliciter all’Etiopia l’applicazione delle decisioni internazionali: nell’ottobre 2005 vengono proibiti i voli di elicotteri – nel quadro dei molteplici compiti della missione UNMEE – in sorvolo dell’Eritrea, con ciò rendendo impossibili gran parte delle attività previste. In dicembre si giunge alla richiesta eritrea ai componenti della UNMEE[1] statunitensi, canadesi, europei e russi, con un preavviso di dieci giorni, di abbandonare il Paese; parallelamente, altre due divisioni eritree vengono schierate sul confine. Il 29 dicembre la sentenza del Tribunale de l’Aja, su causa intentata dall’Etiopia, riconosce Asmara responsabile dello scatenamento della guerra nel 1998, con i corollari delle violenze sui civili e dei danneggiamenti di proprietà etiopi. Un altro sintomo del clima di tensione in Eritrea era stato, già nel settembre 2005, il blocco quasi completo alla distribuzione gratuita di generi alimentari, ritenuta un fattore di rischiosa dipendenza dall’estero del Paese, nel quale peraltro due terzi dei cittadini si trovavano secondo l’ONU in condizioni di emergenza alimentare. In tale quadro va forse interpretata la richiesta (febbraio 2006) a sei Organizzazioni non governative italiane, delle otto presenti in Eritrea, di cessare le proprie attività. Le tensioni con Roma si rinnovano in marzo, quando viene espulso il numero due dell’Ambasciata italiana ad Asmara, com immediata ritorsione italiana sull’omologo eritreo.
Processi non dissimili riguardano l’Etiopia e i quadri dirigenti usciti dalla lotta contro il regime di Menghistu, che per ironia della sorte avevano conservato per anni eccellenti rapporti con gli omologhi eritrei, la vittoria dei quali era stata resa possibile anche dall’affermazione in Etiopia dello schieramento guidato proprio da Meles Zenawi. Il progressivo consolidarsi del potere di Zenawi avviene nel contesto di una sorda resistenza dell’etnia centro-meridionale degli Oromo, insediata nella parte più ricca dell’Etiopia: nelle elezioni del maggio 2005 l’opposizione, raccolta nella Coalizione per l’unità e la democrazia, registra una forte avanzata, ma la contemporanea forte emorragia di seggi del partito di governo – il Fronte rivoluzionario democratico popolare - non vale a metterne in discussione il primato. Vi sono tuttavia forti perplessità – non ultime quelle espresse con nettezza dall’Unione europea - sulla regolarità del voto, e grandi manifestazioni di protesta vengono represse nel sangue. Nel novembre 2005 viene arrestato il capo del maggior partito di opposizione, con imputazioni che potrebbero comportare la pena di morte (genocidio e alto tradimento). Le resistenze contro Zenawi cominciano allora a prendere la forma di attentati – soprattutto nella capitale – di piccola entità, ma assai numerosi: alla fine di marzo 2006 Zenawi accusa apertamente in Parlamento l’Eritrea della regia di tali atti, nonché di appoggiare la lotta, definita terroristica, degli Oromo. Prima l’Alta Corte di giustizia etiopica (gennaio 2006) e poi lo stesso Zenawi – inutilmente sollecitato a gesti di clemenza da Paesi occidentali alleati respingono ogni istanza di libertà per gli oppositori politici: al contrario, in febbraio Amnesty International denuncia nuove migliaia di arresti tra i membri dell’etnia Oromo, incarcerati senza capi d’accusa e sottoposti a maltrattamenti. In marzo altre 151 persone vengono incriminate con la gravissima imputazione di tentativo di sovvertimento dell’ordine costituzionale. In aprile le accuse all’Etiopia si rinnovano da parte dell’Alto Commissario ONU per i diritti umani, parimenti ignorate da Zenawi. Il mese di maggio vede aggravarsi l’entità degli atti terroristici nella capitale e fuori, mentre sembra aprirsi anche per l’Etiopia un contenzioso con l’Italia per gli indennizzi a seguito della guerra coloniale fascista.
[1] Con una risoluzione del 31 maggio 2006 il Consiglio di Sicurezza ha successivamente ridotto a 2.300, di cui 230 osservatori, gli effettivi militari della UNMEE, prorogandone altresì il mandato al 30 settembre 2006.