Camera dei deputati - XV Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento affari esteri
Altri Autori: Ufficio Rapporti con l'Unione Europea
Titolo: Le crisi mediorientali - II edizione
Serie: Documentazione e ricerche    Numero: 16
Data: 17/08/2006
Descrittori:
MEDIO ORIENTE   PALESTINA
Organi della Camera: III-Affari esteri e comunitari
IV-Difesa


Camera dei deputati

XV LEGISLATURA

 

 

 

 

 

SERVIZIO STUDI

Documentazione e ricerche

 

 

 

 

 

 

 

Le crisi mediorientali

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

n. 16

(seconda edizione)

 

17 agosto 2006


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Dipartimento affari esteri

 

SIWEB

 

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File:es0009.doc


 

INDICE

 

 

Schede di lettura

§      Recenti sviluppi della crisi israelo-libanese  3

§      La questione palestinese  14

§      Posizioni e iniziative dell’Unione europea in relazione al conflitto in Libano (a cura dell’Ufficio Rapporti con l’Unione europea)20

Dibattiti parlamentari

§      Commissioni congiunte 3ª (Affari esteri) del Senato e III (Affari esteri) della Camera

-       Audizione del Ministro degli Affari esteri Massimo D’Alema sugli sviluppi della situazione in Medio Oriente

Seduta del 27 luglio 2006  27

Seduta del 2 agosto 2006  27

Documenti dell’Unione europea

§      Conclusioni del Consiglio straordinario per gli Affari generali, Bruxelles, 1° agosto 2006  31

§      Comunicato della Commissione europea dell’8 agosto 2006  31

Risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell’ONU

§      Risoluzione n. 1559, adottata il 2 settembre 2004  35

§      Risoluzione n. 1636, adottata il 31 ottobre 2005 (in italiano, a cura della rivista Affari esteri n. 149/2006)35

§      Risoluzione n. 1680, adottata il 17 maggio 2006  35

§      Risoluzione n. 1686, adottata il 15 giugno 2006  35

§      Risoluzione n. 1701, adottata l’11 agosto 2006 (con traduzione in italiano, a cura del Servizio Studi)35

Missioni dell’ONU in Libano

§      UNIFIL  39

scheda a cura del Servizio Studi39

scheda a cura dello Stato Maggiore della Difesa  39

§      UNTSO   39

scheda a cura del Servizio Studi39

scheda a cura dello Stato Maggiore della Difesa  39

Elenco delle missioni militari internazionali cui l’Italia partecipa

§      Active Endeavour125

§      Albania 2  127

§      Althea  131

§      Antica Babilonia  135

§      Bilaterale Interni139

§      Enduring Freedom   143

§      EU BAM Moldova e Ucraina  147

§      EU BAM Rafah  149

§      EUFOR RD Congo  151

§      EUPM   153

§      EUPOL COPPS   155

§      EUPOL Kinshasa  157

§      EUPT  159

§      ISAF  161

§      KFOR   165

§      Missione europea di sostegno ad AMIS II169

§      MSU   171

§      NATO Headquarters Sarajevo  175

§      NATO HQ Skopje  177

§      NATO HQ Tirana  179

§      NTM-I181

§      TIPH II183

§      UNFICYP   187

§      UNMIK   189

Documentazione

§      Conferenza internazionale per il Libano, Roma 26 luglio 2006 - Dichiarazione finale  195

§      I movimenti politici islamisti in Medio Oriente, aprile 2006 (a cura del Centro Studi Internazionali, nell’ambito del progetto Osservatori del Senato della Repubblica)195

§      O. Mattera, I confini permanenti di Israele secondo Olmert, in: Limes, n. 4/2006  195

§      U. De Giovannangeli, Radiografia di Hamas, in: Limes, n. 4/2006  195

 

 

 


Schede di lettura


Recenti sviluppi della crisi israelo-libanese

L’attentato all’ex premier Rafik Hariri, avvenuto il 14 febbraio 2005, a causa del quale sono morte anche altre 22 persone, ha causato un grave turbamento del già precario equilibrio politico libanese, dando vita innanzitutto ad una decisa reazione dell’opinione pubblica contro la pesante ingerenza siriana nel Paese e accentuando il dibattito sulla smilitarizzazione dei gruppi armati libanesi, così come richiesto dalla risoluzione dell’ONU 1559  del 2 settembre 2004.

Le numerose manifestazioni contro il governo filo-siriano organizzate nelle settimane successive all’attentato – la cosiddetta “rivoluzione dei Cedri” – hanno destato molte speranze, destinate però a cadere nel breve volgere di pochi mesi. Anche grazie a tale movimento, tuttavia, la Siria ha completato il ritiro delle proprie forze militari (aprile 2005), in attuazione di un accordo di Damasco con l’ONU, anche se l’influenza sul Libano, direttrice ormai storica della politica estera siriana, persisteva attraverso la zona grigia dei servizi segreti e dei vertici militari dei due Paesi, nonché attraverso i legami trasversali con elementi di diversi partiti politici libanesi.

Nell’aprile-maggio 2005 si sono svolte in Libano le elezioni parlamentari,  le prime, a partire dalla fine della guerra civile (terminata nel 1990), nelle quali non vi siano state interferenze siriane.

Dalle elezioni è risultata vincente (con la maggioranza di circa i due terzi dei voti) l’ampia coalizione guidata da Saad Hariri, il figlio del primo ministro assassinato che comprendeva  i sunniti fedeli ad Hariri, i drusi di Walid Jumblatt e gruppi cristiani costituiti per la maggior parte da maroniti.

Il 30 giugno 2005 si forma il nuovo Governo,  capeggiato da Fouad Siniora, in precedenza ministro delle finanze nel governo di Rafik Hariri. Nei complicati equilibri istituzionali libanesi mantengono però grande forza i filo-siriani – come il Presidente Lahud – e gli Hezbollah, i quali per la prima volta partecipano al governo con due ministri. Ciononostante, il gruppo di Hezbollah è stato frequentemente in disaccordo con alcuni dei membri del governo di cui essi stessi fanno parte e, all’inizio del 2006, hanno siglato un’alleanza con Michel Aoun (precedentemente critico sia verso Hezbollah che verso la Siria) e con il Free Patriotic Movement: la nuova alleanza cristiano-sciita ha lo scopo di creare una diversa maggioranza e sostenere la candidatura di Aoun in vista della scadenza del mandato del Presidente Lahoud nel 2007.

Sono inoltre proseguiti gli attentati: il 2 giugno 2005 è saltato in aria nella sua auto Samir Kassir, in prima linea nella lotta antisiriana; in dicembre un’autobomba ha provocato la morte di Gibran Thueni, deputato cristiano, nonché direttore del più importante quotidiano di Beirut, anch’egli su posizioni nettamente ostili all’influenza della Siria.

Nel frattempo, la Commissione d’inchiesta dell’ONU aveva reso pubblico (21 ottobre 2005) il primo rapporto sull’assassinio di Rafik Hariri, evidenziando le responsabilità dei servizi segreti libanesi e siriani, oltre a pesanti sospetti verso i più alti livelli politici dei due Paesi; il movente più probabile appare la contrarietà di Hariri alla proroga del mandato del Presidente Lahud, che, come si è detto, è alleato della Siria.

Il 31 ottobre 2005 il Consiglio di Sicurezza dell’ONU ha approvato la risoluzione n. 1636, nella quale, pur mancando l’esplicita menzione di sanzioni contro la Siria – precluse da Cina e Russia -, si allude ad “azioni” contro Damasco in mancanza di collaborazione con la Commissione. La collaborazione dovrà estendersi all’arresto  e alla messa a disposizione delle persone sospette, rispetto alle quali sono previste restrizioni nella libertà di movimento. Sullo sfondo, nella risoluzione si cita esplicitamente il Cap. VII della Carta dell’ONU, che abilita il Consiglio a intraprendere misure punitive verso un Paese che attenti alla pace e alla sicurezza internazionale.

Il secondo rapporto sull’assassinio di Rafik Hariri viene reso pubblico il 12 dicembre 2005: si precisa il numero dei sospetti (19 persone, per cinque delle quali si chiede l’arresto – e tra queste ultime figura l’ex capo dei servizi militari siriani in Libano). Il quarto rapporto, risalente al 10 giugno 2006, conferma che sono stati fatti rilevanti progressi nell’indagine sull’attentato ad Hariri, del quale ormai si conoscono i particolari riguardanti l’esplosione, i contenitori e i mezzi di consegna dell’esplosivo e che presto ci saranno certezze sugli esecutori del delitto. Il governo libanese ha chiesto al Segretario generale dell’ONU, il 6 maggio 2006, che la Commissione possa continuare il suo lavoro per un ulteriore periodo di un anno[1].

 

Il nuovo conflitto israelo-libanese è cominciato il 12 luglio 2006 con l’Operazione “Promessa di Verità” con la quale il leader di Hezbollah, Nasrallah, aveva promesso di catturare soldati israeliani per scambiarli con i tre libanesi detenuti in Israele. Fra i tre, Samir Kuntar, aveva partecipato nel 1979 ad un agguato terroristico nel quale erano morti 2 civili israeliani e 2 poliziotti e si trova in carcere, dove sconta una condanna a quattro ergastoli.

Il 12 luglio la parte Nord di Israele è stata attaccata dal lancio di razzi da parte del gruppo di Hezbollah, con la conseguente perdita di cinque civili. Militanti di Hezbollah hanno poi attaccato due veicoli corazzati israeliani in servizio di pattuglia lungo il confine, uccidendo tre soldati e catturandone altri due. Le circostanze del rapimento dei due soldati israeliani sono però contestate dalla polizia libanese che afferma che la loro cattura sarebbe avvenuta in territorio libanese.

La risposta israeliana non si è fatta attendere: forze militari sono penetrate nel territorio libanese, autorizzate dal governo israeliano che ha considerato l’attacco di Hezbollah un vero e proprio atto di guerra. Sono così cominciati, da parte israeliana, bombardamenti aerei, blocchi navali e incursioni terrestri nel sud del Libano, mentre gli Hezbollah hanno bombardato città del nord di Israele tra le quali Haifa.

Il governo libanese, che ha condannato le azioni di Hezbollah, ha invocato fin dall’inizio il cessate il fuoco e ha chiesto alla comunità internazionale l’invio di peacemakers per porre fine al conflitto. Il 21 luglio, tuttavia, il ministro della difesa Elias Murr ha dichiarato che l’esercito libanese è pronto a respingere con le armi qualunque invasione del territorio da parte delle truppe israeliane.

Il Primo ministro israeliano Olmert si è dichiarato disponibile ad un cessate il fuoco solo in cambio della restituzione dei due riservisti rapiti, della cessazione delle ostilità da parte degli Hezbollah e dell’applicazione della risoluzione ONU 1559, che impone il disarmo dei gruppi armati libanesi (14 luglio). I negoziati per ottenere il cessate il fuoco sono continuati nei giorni successivi: Israele è rimasto fermo sulla richiesta di liberazione dei due ostaggi e sulla cessazione dei bombardamenti, ma Nasrallah ha dichiarato che l’unica condizione accettabile è lo scambio dei prigionieri.

Dopo giorni di combattimenti lungo il confine israelo-libanese, con perdite subite da entrambe le parti, e nell’impossibilità di trattare per un immediato cessate il fuoco, su iniziativa dell’Italia è stata convocata una conferenza a Roma il 26 luglio  per trovare una comune via d’uscita dalla crisi. I ministri degli esteri di 15 Paesi, tra i quali quelli del “gruppo di contatto” sul Libano (Usa, Italia, Francia, Russia, Gran Bretagna, Egitto, Arabia Saudita) affiancati da Onu, UE,  Banca Mondiale e lo stesso Libano hanno affrontato le diverse posizioni dei paesi partecipanti al fine di raggiungere una mediazione. Tra gli invitati non compaiono Israele e i due paesi sostenitori degli  Hezbollah, Siria e Iran.

Il summit è stato preceduto da una serie di colloqui tra il segretario di Stato americano,  Condoleezza Rice, ed esponenti politici di Libano Israele e Territori palestinesi.

Gli USA sostengono il diritto di Israele all'autodifesa e la legittimità dei raid per smantellare l'apparato militare di Hezbollah, ragione per la quale la cessazione delle ostilità viene subordinata alla creazione di condizioni che sottraggano il Libano all’influenza della Siria, a  cominciare dalla piena attuazione della risoluzione 1559 dell'Onu. Una posizione sostanzialmente sovrapponibile è quella rappresentata dal Regno Unito che, insieme agli USA, ha fatto registrare aperture circa la creazione di una forza di interposizione cui, tuttavia, gli USA non prenderebbero parte.

Italia, Russia e Francia  sono fra i più critici verso la risposta israeliana, considerata “sproporzionata”, ma sono anche forti sostenitori della forza di interposizione sotto egida ONU.

La Germania, su posizioni meno critiche verso Israele, ha inviato il 22 luglio il proprio ministro degli esteri, Steinmeier in missione nella regione, che ha incontrato autorità egiziane, israeliane e palestinesi.

I Paesi arabi moderati (Egitto, Giordania e Arabia Saudita) sono stati gli unici paesi arabi, oltre al Libano, a partecipare alla conferenza di Roma. Il primo ministro libanese Fouad Siniora, in particolare, ha detto che il suo paese vuole un immediato cessate il fuoco e che sono necessari aiuti della comunità internazionale per giungere alla riappropriazione del territorio nazionale.

   L’ONU ha da subito chiesto una tregua immediata, ha denunciato le azioni terroristiche di Hezbollah, al contempo criticando l’”uso sproporzionato della forza” da parte di Israele. Le proposte avanzate dall’ONU nei giorni precedenti la conferenza riguardano: 1) la consegna da parte di Hezbollah dei due prigionieri israeliani al governo di Beirut sotto la supervisione della Croce Rossa Internazionale; 2) la creazione di corridoi umanitari; 3) l’invio di una forza ''cuscinetto'' nel Libano del Sud e 4) la convocazione di una conferenza internazionale dei donatori che, tra l’altro, definisca i confini contesi tra Libano, Siria e Israele. Kofi Annan, presente al summit, ha dichiarato che il Consiglio di sicurezza dell'Onu deve chiedere al più presto l'immediato cessate il fuoco in Medioriente,  a tal fine coinvolgendo tutti i Paesi interessati, Iran e Siria compresi. Secondo quanto dichiarato da Annan, quindi, l’approvazione di una risoluzione Onu sarebbe il primo passo necessario per cominciare a vedere una via di uscita dalla crisi. Contemporaneamente, la comunità internazionale dovrà farsi carico di  trovare un'intesa circa la forza di interposizione che, sotto il mandato dell’Onu, verrà inviata  per garantire il rispetto della tregua.

  

La conferenza internazionale di Roma si è conclusa con una dichiarazione congiunta[2] delle due presidenze, quella italiana e quella americana, che esprimono, a nome di tutti i partecipanti, la profonda preoccupazione sulla situazione in Libano e le violenze in Medio Oriente da parte della comunità internazionale, la quale ritiene urgente l’avvio di concrete iniziative di assistenza umanitaria e di passi concreti che possano permettere ad un Libano libero, indipendente e democratico di esercitare un effettivo controllo su tutto il suo territorio. I partecipanti alla conferenza di Roma, dopo aver invitato Israele ad esercitare il massimo della moderazione hanno dato atto dell'annuncio di quest’ultimo paese sull' apertura di corridoi umanitari in Libano. La conferenza ha poi espresso la propria determinazione ad operare perché sia raggiunto con la massima urgenza un cessate il fuoco  tra le parti che sia duraturo, permanente e sostenibile.

I partecipanti al summit di Roma hanno ricordato la necessità di rispettare il quadro di decisioni internazionali a partire dalle decisioni del G8, fino alle numerose risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite: viene quindi sollecitata la piena applicazione di queste risoluzioni, nelle quali, tra l’altro, si parla anche dell’impegno delle forze libanesi per il disarmo di tutte le milizie.

I partecipanti auspicano l’imminente autorizzazione di una forza internazionale in Libano sotto il mandato dell'Onu e la convocazione di una conferenza dei paesi donatori, che aiuti la ricostruzione del Libano e in particolare della parte Sud del Paese.

Nell’audizione svoltasi il 27 luglio presso le Commissioni esteri riunite di Senato e Camera, il Ministro degli esteri italiano ha sottolineato l’importanza dell’iniziativa di Roma, che ha visto coinvolti, oltre agli Stati Uniti, i principali stati europei, la UE, e un gruppo significativo dei paesi arabi e islamici e l’ONU, nella persona del Segretario generale. La Conferenza ha sancito “il formarsi di una coalizione che può e vuole agire per la pace” e questo appare un primo risultato significativo. L’obiettivo indicato dal Ministro è che questo gruppo possa rendersi protagonista di un programma di lavoro durevole, indirizzato al raggiungimento della pace nella  tormentata area del Medio Oriente. Ma alcuni risultati sono stati già acquisiti nel corso della Conferenza: l’immediata attivazione per affrontare l’emergenza umanitaria che si è determinata nel Libano; la comune volontà politica per la creazione di una forza multinazionale da inviare nella regione, su mandato dell’ONU; l’impegno della comunità internazionale in direzione di una ricostruzione e della stabilità nel Libano.  Quanto all’obiettivo del cessate il fuoco, questo, in assenza delle parti in causa, non poteva realisticamente essere raggiunto. Tuttavia, il Ministro degli esteri ha rilevato che la dichiarazione finale della Conferenza  esprime con chiarezza la necessità di giungere in tempi rapidi ad una tregua, che consenta di porre le basi per un cessate il fuoco duraturo e sostenibile. I Paesi partecipanti alla Conferenza hanno stabilito di riunirsi nuovamente a New York, al margine dell’Assemblea delle Nazioni Unite di settembre 2006, per fare il punto della situazione e dei risultati che saranno stati, a quella data, conseguiti.

 

Il 30 luglio il Ministro degli esteri D’Alema si è recato in Israele (assente alla Conferenza di Roma) per incontrare il primo ministro Ehud Olmert, il ministro degli Esteri Tzipi Livni, e quello della Difesa Amir Peretz. Il viaggio di D’Alema ha luogo nello stesso giorno del drammatico bombardamento di Cana, dove in un primo tempo si asserisce che 57 civili – tra i quali 37 bambini – hanno perso la vita: il 3 agosto, tuttavia, l’organizzazione Human Rights Watch ha ridimensionato parzialmente l’episodio, mentre Israele ammetteva comunque essersi trattato di un errore militare. L’8 agosto il Segretario Generale dell’ONU ha definito la strage di Cana “un esempio di violazione del diritto internazionale”.

L’episodio, che ha causato indignazione nella comunità internazionale, è stato condannato anche dal ministro D’Alema, il quale ha ammesso che se le operazioni militari continueranno, sarà messo in pericolo il programma adottato nella Conferenza di Roma, rendendo più difficile, tra l’altro, la possibilità di dispiegamento di una forza internazionale sotto l’egida dell’Onu.  Dopo una lunga giornata di colloqui tra D'Alema e Condoleezza Rice da una parte (i due sono stati i copresidenti della Conferenza di Roma sul Libano) e le autorità israeliane dall’altra, solo la decisione israeliana di concedere una tregua di 48 ore dei raid aerei - per far giungere gli aiuti umanitari e per permettere ai residenti nel Sud del Libano di lasciare l'area se lo desiderano - è stata considerata dal Ministro degli esteri italiano un segnale positivo, che incoraggia a proseguire gli sforzi in direzione della pace.

 

Il Consiglio di Sicurezza dell'ONU si è riunito d’urgenzasubito dopo il bombardamento di Cana. Al termine della seduta, si è detto estremamente “addolorato e scioccato” dalla strage: non vi è stata quindi una condanna esplicita, come era negli auspici di Kofi Annan, che deve preparare un rapporto sulla strage nel termine di una settimana. Il Segretario generale dell’ONU aveva infatti chiesto al Consiglio di Sicurezza di condannare la strage “nei termini i più duri possibili” ed era tornato a chiedere un cessate il fuoco immediato. Il Consiglio di Sicurezza - per la contrarietà degli Usa, secondo cui un cessate il fuoco tra israeliani ed Hezbollah appariva ancora prematuro - si è quindi limitato ad approvare all’unanimità una Dichiarazione del Presidente, in cui si deplora la perdita di vite innocenti.

Il Consiglio di Sicurezza ha inoltre deciso, con una risoluzione approvata all’unanimità (ris. 1697 del 31 luglio 2006) di estendere il mandato di UNIFIL fino al 31 agosto 2006. Il rinnovo è quindi stato autorizzato per un mese soltanto, in considerazione del recente rapporto del Segretario generale, nel quale veniva evidenziato il cambiamento del contesto nel quale la Forza si trova ad operare a partire dal 12 luglio, e in attesa di nuove e più adatte soluzioni [3].

La Francia, presidente di turno (fino al 31 luglio) del Consiglio di sicurezza (da agosto la presidenza spetta al Ghana) ha preannunciato la preparazione di una risoluzione per ottenere un cessate il fuoco immediato in vista dello spiegamento di una forza internazionale di sostegno all’esercito libanese; analoga posizione è stata assunta anche dagli USA che presenteranno una risoluzione nella quale sia  previsto anche un accordo per la stabilità a lungo termine.

Il Consiglio dell’Unione europea, nella riunione straordinaria a livello di ministri degli esteri tenutasi il 1° agosto 2006 (v. successiva scheda sulle posizioni dell’Unione europea), ha approvato un documento conclusivo nel quale si chiede  un’immediata cessazione delle ostilità alla quale deve far seguito un cessate il fuoco duraturo, che porti rapidamente ad un accordo politico, prerequisito indispensabile per l’invio di una forza internazionale. Il dispositivo delle conclusioni del Consiglio ricalca quelle del progetto di risoluzione che la Francia ha depositato presso il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.

Il Ministro degli esteri D’Alema ha completato il 2 agostol’audizione iniziata il 27 luglio dinanzi alle Commissioni esteri riunite di Senato e Camera, riferendo sugli ultimi sviluppi della crisi in Libano e, in particolare, sulle iniziative italiane ed europee intese ad ottenere una sospensione delle ostilità, presupposto indispensabile per l’invio nel territorio libanese di una forza multinazionale di pace sotto l’egida delle Nazioni Unite.

 

Il 3 agosto riprendono i bombardamenti israeliani su Beirut, con oltre settanta raid, e nel contempo si intensifica la pioggia di razzi degli hezbollah sulla Galilea, che provoca la morte di otto civili: quattro militari israeliani perdono inoltre la vita in seguito ad attacchi con razzi anticarro. L’esercito di Tel Aviv riesce comunque a creare una zona-cuscinetto di otto chilometri.

Il giorno successivo il copione non muta: muoiono tre civili e tre soldati israeliani, a fronte di quaranta libanesi vittime di attacchi aerei, che colpiscono anche una centrale elettrica di vitale importanza per il sud-est del Libano.

 

Il 5 agosto viene reso noto il raggiungimento di un accordo tra Francia e Stati Uniti su una bozza di risoluzione per il Consiglio di sicurezza dell’ONU: il testo richiede la cessazione delle ostilità, il rispetto del quale sarà compito della missione ONU UNIFIL, già presente in Libano, potenziata con il ricorso a una più ampia forza multinazionale. La fine delle ostilità include l'immediata cessazione di ogni attacco delle milizie sciite di Hezbollah, nonché  delle operazioni militari offensive da parte israeliana. Verrà creata una fascia di sicurezza lungo il confine tra Israele e Libano, sotto il controllo dell'esercito libanese e di truppe multinazionali a guida ONU.

Le reazioni alla bozza di risoluzione vedono Israele con atteggiamento positivo, ma per il momento più interessato a proseguire l’offensiva, mentre il Governo di Beirut, nonostante un’avvolgente pressione diplomatica della Comunità internazionale, finirà per respingere (6 agosto) il documento, giudicato troppo debole rispetto a diversi dei sette punti[4] del piano Siniora, che il premier libanese aveva presentato nella Conferenza di Roma del 26 luglio, e successivamente aveva fatto approvare dall’Esecutivo libanese (quindi anche dai ministri di Hezbollah). In particolare, il diniego libanese si è incentrato sulla non simultaneità – secondo la bozza di risoluzione – fra la fine delle ostilità e il ritiro israeliano, per il quale non viene neppure fissato un preciso calendario.

Dal canto loro gli Hezbollah fanno sapere di essere disposti a cessare il fuoco solo dopo la partenza dell’ultimo soldato israeliano dal territorio Libanese.

 

Giornata nera per Israele il 6 agosto, quando un razzo esploso in Galilea nei pressi di un cimitero uccide 12 soldati raccolti in preghiera, mentre Haifa subisce un pesante attacco missilistico, con diverse vittime.

Il 7 agosto la Lega Araba riunita a Beirut si dichiara a favore del piano libanese in sette punti, e invia una propria delegazione alle Nazioni Unite per appoggiare gli emendamenti richiesti dal Libano alla bozza di risoluzione. Nell’occasione il premier Siniora denuncia in un appassionato discorso le azioni militari israeliane alla stregua di terrorismo di Stato, sotto l’impressione di un raid contro il villaggio di Houla che fortunatamente, verrà chiarito in seguito, aveva invece provocato una sola vittima. Il punto irrinunciabile per i libanesi si chiarisce sempre più essere quello della completa sovranità nazionale su tutto il territorio, anche a sud del fiume Litani: coerentemente con questo obiettivo vengono richiamati 15.000 coscritti libanesi delle ultime cinque leve militari. Hezbollah si dichiara favorevole al dispiegamento nel sud del Paese di militari libanesi.

 

Nel giorno (9 agosto) in cui si registra il più alto numero di vittime militari israeliane, con quindici morti, il premier Olmert, alla fine  di una lunga riunione del Consiglio di sicurezza di Israele, annuncia l’estensione delle operazioni militari in Libano, presumibilmente per ulteriori quattro settimane, con l’obiettivo di arrivare almeno al fiume Litani, costituendo così una fascia di sicurezza di 30 chilometri. L’inizio dell’offensiva è però rinviato di due o tre giorni, in attesa delle decisioni del Consiglio di sicurezza dell’ONU. Cominciano a serpeggiare nello Stato ebraico forti sintomi di insoddisfazione per l’andamento della campagna militare, con un elevato numero di vittime tra i soldati, ma anche tra i civili del nord di Israele, sottoposti a un bombardamento missilistico che non accenna a scemare.

 

L’11 agosto il Consiglio delle Nazioni Unite per i diritti umani – organismo di recente istituzione, che ha preso il posto della precedente Commissione per i diritti umani – riunito a Ginevra condanna Israele per le gravi violazioni dei diritti umani in Libano, con la “sistematica presa di mira e uccisione di civili”, rispetto a cui si chiede un’inchiesta internazionale. La risoluzione, approvata su iniziativa dell’organizzazione per la Conferenza islamica, e presentata dal Pakistan, ha ottenuto il voto favorevole di una maggioranza di Paesi asiatici e latinoamericani, mentre compattamente contro si sono schierati i Paesi europei membri del Consiglio, più il Canada e il Giappone, accusando il testo di unilateralismo, in quanto non menziona gli attacchi di Hezbollah.

 

 

Sempre l’11 agosto, a tarda notte, viene approvata a New York, all’unanimità, la risoluzione n. 1701 del Consiglio di sicurezza dell’ONU.

Il documento esprime profonda preoccupazione – la situazione in Libano viene espressamente definita quale “minaccia alla pace e alla sicurezza internazionale” - per il crescente inasprimento delle ostilità dopo l’attacco compiuto dall’Hezbollah contro Israele il 12 luglio 2006, e pone l’incondizionata liberazione dei soldati israeliani rapiti tra gli obiettivi irrinunciabili per rimuovere le cause del conflitto, unitamente alla soluzione urgente della questione dei prigionieri libanesi detenuti in Israele.

Si prende inoltre atto con favore dell’impegno assunto dal Governo del Libano, nel suo progetto in sette punti, ad estendere la sua autorità sul suo territorio, mediante le proprie Forze armate legittime, nonché dell’ impegno nei riguardi di una forza delle Nazioni Unite che venga completata e rinforzata.

Si invita conseguentemente alla completa cessazione delle ostilità, in particolare attraverso l’immediata cessazione di ogni attacco da parte dell’Hezbollah e l’immediata cessazione di tutte le operazioni militari offensive da parte di Israele. Dopo l’inizio della tregua il Governo libanese e la missione ONU UNIFIL – potenziata in base al successivo par. 11 – dovranno dispiegare le proprie forze congiuntamente in tutto il Sud, mentre Israele procederà parallelamente al ritiro di tutte le proprie forze dal Libano meridionale.

In base al citato par. 11, l’UNIFIL verrà incrementata fino a un massimo di 15.000 effettivi, onde completarne e rinforzarne la consistenza, le dotazioni, il mandato e il campo d’azione. L’UNIFIL avrà come nuovi compiti principali quelli di monitorare l’effettiva cessazione delle ostilità; accompagnare e sostenere le Forze armate libanesi nel loro dispiegamento nel Sud, anche lungo la Linea blu;  prestare la propria assistenza per aiutare ad assicurare l’accesso umanitario alle popolazioni civili e il volontario e sicuro ritorno delle persone sfollate. L’UNIFIL (par. 12) è autorizzata a resistere a tentativi volti ad impedire ad essa con la forza l’esecuzione dei suoi compiti, e a proteggere il personale, i locali, le installazioni e il materiale delle Nazioni Unite, nonché gli operatori umanitari e i civili esposti a una minaccia imminente di violenza fisica.

Il mandato dell’UNIFIL è prorogato al 31 agosto 2007, riservandosi in una successiva risoluzione un rafforzamento del mandato di essa.

Dopo l’appello alla Comunità internazionale perché assuma iniziative immediate per prestare il suo aiuto finanziario e umanitario al popolo libanese, anche per la ricostruzione del Paese, la risoluzione invita alla costruzione di una fascia di sicurezza tra la “linea blu” e il fiume Litani suscettibile di prevenire una ripresa delle ostilità, nella quale vi sia esclusiva presenza di forze armate e armamenti sotto il diretto controllo del Governo libanese, assistito dall’UNIFIL. Si invita inoltre all’ applicazione integrale delle pertinenti disposizioni degli Accordi di Taef – che nel 1989 posero fine alla lunga guerra civile libanese -, nonché delle risoluzioni 1559 (2004) e 1680 (2006), tutte volte al disarmo dei gruppi armati in Libano.

Il Governo libanese dovrà sorvegliare i propri confini in modo da impedire l’ingresso illegale in Libano di armamenti e materiali connessi, mentre tutti gli Stati si adopereranno affinché armamenti, materiali bellici e assistenza tecnico-militare siano forniti solo su autorizzazione del Governo libanese o dell’UNIFIL.

 

Nella serata del 12 agosto il Governo libanese accetta la risoluzione 1701, definita dal premier un “trionfo diplomatico”: il capo di Hezbollah ha sottolineato tuttavia alcuni problemi in merito all’assetto definitivo della zona di sicurezza a sud del fiume Litani, nella quale risiedono molti dei guerriglieri del “Partito di Dio”, la cui rete dovrebbe essere neutralizzata. Inoltre, il Governo di Beirut ha chiesto la denuncia dei crimini di guerra a suo dire perpetrati dagli israeliani, nuovamente accusati di terrorismo di Stato.

Il 13 agosto anche il Governo di Tel Aviv ha accettato la risoluzione 1701, prevedendo la fine delle ostilità per le ore 8 del giorno successivo – termine puntualmente rispettato. Quanto al ritiro delle truppe israeliane, tuttavia, il ministro degli esteri Tzipi Livni ha specificato che esso avverrà solo con l’arrivo della forza multinazionale, e non del solo esercito libanese, ciò allo scopo di evitare la creazione di un vuoto di potere nelle aree abbandonate. Resta poi prioritaria, secondo il ministro, la questione della liberazione dei due ostaggi militari in mano agli Hezbollah.

 

In Israele il malcontento già richiamato per la conduzione della guerra si mostra in crescita, coinvolgendo anche il significato della strategia dei ritiri unilaterali, che sia per quanto riguarda quello dal Libano (2000) che quello da Gaza (2005) non hanno ottenuto l’effetto di aumentare la sicurezza dello Stato ebraico. Non sembra poter placare l’inquietudine la decisione del ministro della difesa Peretz di nominare una Commissione militare per il riesame della condotta della guerra, dato che a capo di essa è stato posto un ex capo di stato maggiore ritenuto in stretti rapporti con lo stesso Peretz, del quale la maggioranza dell’opinione pubblica – secondo un sondaggio del quotidiano Yediot Ahronot – vorrebbe invece le dimissioni.

In ogni modo il 17 agosto inizia il trasferimento di responsabilità sull’area a sud del Litani dall’esercito israeliano a quello libanese, coadiuvato dall’UNIFIL: all’alba un primo contingente di 2.500 soldati di Beirut ha attraversato il fiume in direzione sud  per la prima volta dal 1968. Nella stessa giornata è prevista la riunione di 49 Paesi con esperti dell’ONU allo scopo di delineare i contorni finanziari e logistici, e soprattutto le regole d’ingaggio della missione di rafforzamento dell’UNIFIL.

Sempre il 17 agosto il Presidente del Consiglio Prodi, in una conversazione con il Segretario Generale delle Nazioni Unite, ha asserito di voler contribuire, mediante uno stretto coordinamento con l’ONU, alla formulazione per l’UNIFIL rafforzata di un mandato chiaro e di precise regole di ingaggio. Secondo Prodi, poi, la questione israelo-palestinese va inquadrata nel più vasto contesto regionale, e soprattutto non va disgiunta dalla ricerca di una soluzione dell’annosa questione israelo-palestinese.

Il ministro degli esteri D’Alema, in un’intervista a L’Espresso, non ha nascosto i rischi che la partecipazione alla missione comporterà: essi non sono tuttavia collegati al disarmo di Hamas, che non è compito dell’UNIFIL, e che avverrà probabilmente mediante un’intesa tra i libanesi – essendo del resto previsto dagli accordi che posero fine alla lunga guerra civile libanese-, con l’integrazione piena di Hamas nelle forze armate nazionali, sotto la sovranità completa di Beirut.

 


La questione palestinese

La coesistenza di uno Stato Israeliano e di uno Stato palestinese, reciprocamente accettati, è la soluzione al conflitto israelo-palestinese prospettata dagli Accordi di Oslo del 1993.

Rimangono però tuttora irrisolti problemi che impediscono la realizzazione di tale soluzione e, in particolare: i confini e la natura del futuro Stato palestinese, la sicurezza dei due Stati, la questione dei profughi palestinesi, il destino delle colonie israeliane, lo status di Gerusalemme e la sovranità sui luoghi sacri rivendicata da entrambe le parti.

I negoziati di pace sono proseguiti negli anni, a volte con grandi pause, a volte lasciando intravedere una soluzione prossima, con l’elaborazione di progetti per la composizione del conflitto spesso tramontati nel breve volgere di qualche mese [5].

Il piano di pace tuttora all’ordine del giorno è costituito dalla Road map elaborata alla fine del 2002 dal c.d. “Quartetto” formato da USA, Russia, ONU e Unione europea, che avrebbe dovuto condurre alla creazione di uno Stato palestinese entro la fine del 2005.

 

Nella prima fase il piano richiedeva da parte palestinese l'immediata cessazione degli attacchi terroristici contro Israele, accompagnata dalla ripresa di un dialogo sulla sicurezza con lo Stato ebraico e da riforme politiche globali in seno all'Autorità palestinese. Israele, dal canto suo, si sarebbe adoperata per la normalizzazione della vita dei palestinesi, ritirandosi progressivamente - in corrispondenza con il ripristino di sempre maggiori condizioni di sicurezza - dai territori rioccupati dopo l'inizio (settembre 2000) della seconda Intifada e congelando ogni attività di colonizzazione. Israele dovrà più precisamente smantellare gli insediamenti successivi al marzo 2001, e dovrà riconoscere senza ambiguità il diritto alla nascita di uno Stato palestinese indipendente e sovrano.

La seconda fase prevedeva la creazione entro il 2003 di uno stato palestinese con frontiere provvisorie, riconosciuto dalle Nazioni Unite, e dotato di istituzioni democratiche, da realizzare attraverso libere elezioni. Era prevista la convocazione di una Conferenza internazionale per una pace globale in Medio oriente.

La terza fase prevedeva lo svolgimento, nel 2004, di una seconda Conferenza internazionale, al fine di giungere entro l'anno seguente alla creazione entro confini definitivi di uno Stato palestinese. In quella fase si sarebbero affrontati i nodi dello status di Gerusalemme, degli insediamenti e del ritorno dei profughi palestinesi.

 

Il percorso, tuttora incompiuto, è stato complicato e reso impraticabile dal perdurare del conflitto tra le parti, che si è concretizzato in  attentati suicidi contro gli ebrei, e reazioni militari di questi ultimi.

La Road Map è stata approvata approvata  dal Consiglio di sicurezza dell’ONU che, il 19 novembre 2003, ha approvato all’unanimità la risoluzione 1515 presentata dalla Russia. La risoluzione fa anche appello alle parti affinché vengano rispettati gli obblighi da essa previsti per il raggiungimento di due Stati che possano coesistere fianco a fianco in condizioni di pace e sicurezza. In risposta alla risoluzione 1515, il governo di Israele ha precisato che l’attuazione della Road Map è comunque subordinata alle 14 riserve poste da Israele  [6]  e agli accordi fra Israele e gli Stati Uniti.

In una situazione di permanente conflitto, senza che l’attuazione della road map segnasse progressi, la strategia israeliana nel 2004 si è progressivamente  incentrata sull’approccio unilaterale a una serie di questioni aperte, accompagnato da una lotta senza quartiere contro i gruppi armati palestinesi. In tale contesto si pone certamente come principale risultato la messa a punto del piano Sharon per il ritiro unilaterale di Israele da Gaza e da parte della Cisgiordania. L’attuazione del Piano Sharon è stata accelerata dopo che nel giugno 2005 la Corte Suprema israeliana ha rigettato numerosi ricorsi di coloni, con l’argomentazione, di rilevante carattere innovativo, che i Territori palestinesi non sono parte integrante dello Stato ebraico, in quanto occupati a seguito di eventi bellici: nel mese di agosto 2005, infatti, gli israeliani hanno dato inizio al disimpegno della Striscia di Gaza, facendo sgomberare tutti i coloni da quell’area e da una piccola parte della West Bank.

Sempre nel solco della Road map, il Presidente Bush, in una lettera dell’aprile 2004 indirizzata al premier Sharon, ha specificato la propria opinione riguardo due delle questioni più scottanti: Bush ha infatti ammesso che riteneva irrealistico che i negoziati potessero concludersi con il ristabilimento dei confini di Israele lungo la linea tracciata dall’armistizio del 1949 e che, al contrario, l’accordo sui confini dovrebbe tenere conto delle nuove realtà e rispecchiare i cambiamenti avvenuti da allora.  Inoltre, riguardo il diritto al ritorno in patria dei rifugiati palestinesi, Bush ha espresso l’opinione che un accordo giusto e realizzabile su questo punto dovrebbe prevedere l’istituzione di uno Stato palestinese nel quale i profughi possano venire accolti, piuttosto che non il loro rientro nello Stato di Israele.

Sempre nel 2004 il Presidente Bush ha riconosciuto che l’obiettivo della creazione di uno Stato palestinese entro il 2005 era ormai irrealistico e che tale data doveva necessariamente slittare in avanti, a causa del riacuirsi della crisi e del moltiplicarsi degli episodi di violenza.

Grandi speranze ha destato il primo atto significativo della presidenza di Abu Mazen (più conosciuto come Mahmud Abbas, succeduto nella guida dell’ANP[7] ad Arafat, morto nel novembre 2004)ossia l’incontro di Sharm-el-Sheik con Sharon, avvenuto l’8 febbraio 2005 alla presenza del presidente egiziano Mubarak e del re di Giordania: l’incontro non ha definito impegni specifici, ma in esso sono state rilasciate dichiarazioni significative della volontà di pace delle due parti. Tuttavia le fazioni palestinesi estremiste si sono dichiarate non vincolate dalle posizioni dell’Autorità Nazionale Palestinese, dissenso che si è manifestato nelle elezioni amministrative a Gaza, nettamente dominate da Hamas. L’incontro di Sharm-el-Sheik ha comunque sancito pro-tempore la fine, dopo quattro anni, della seconda Intifada e ha rilanciato il percorso di pace della Road Map.  Il Governo di Tel Aviv, dal canto suo, ha compiuto dopo l’incontro alcuni gesti di disponibilità, come la liberazione di circa cinquecento prigionieri palestinesi e la riapertura di diversi transiti chiusi da mesi. Inoltre, e non meno rilevante, Israele si è impegnata a trasferire al più presto sotto il controllo palestinese due città, tra le quali Gerico.

A complicare la situazione è venuta la netta vittoria di Hamas nelle elezioni legislative palestinesi del 26 gennaio 2006, attese da molti anni e più volte rimandate: il movimento integralista ha conquistato la maggioranza assoluta dei seggi e il diritto a dar vita al nuovo Governo (il premier Abu Ala, conseguentemente, ha rassegnato il mandato) che si è formato il 28 marzo 2006, presieduto da Ismail Hanyek. Del nuovo governo fanno parte solo esponenti di Hamas e simpatizzanti mentre Fatah si è rifiutato di prendervi parte.

Dopo un periodo di incertezza, determinata anche dai possibili risultati delle ripetute pressioni internazionali su Hamas, il Governo israeliano ha messo in atto un’azione di forza: alla metà di marzo 2006 è stato attaccato con ingenti forze militari il carcere di Gerico, città ormai sotto il controllo dell’ANP, ottenendo dopo una giornata di combattimenti la resa dei detenuti. L’obiettivo dell’attacco erano sei detenuti, dei quali Israele temeva l’imminente rimessa in libertà, e in particolare tra questi Ahmed Saadat, capo del Fronte popolare per la liberazione della Palestina (di ispirazione marxista e nazionalista araba). Saadat si trovava nel carcere di Gerico in attuazione di un’intesa pregressa, in quanto mandante dell’omicidio, nel 2001, del ministro israeliano per il turismo Zeevi. Rifugiatosi nel quartier generale di Arafat a Ramallah, Saadat fu destinato alla detenzione di Gerico da un accordo mediato dagli Stati Uniti, e in base al quale gli israeliani tolsero un pesante assedio a Ramallah. Le reazioni palestinesi al blitz sono state violente, con attacchi di manifestanti ad uffici dell’ONU e dell’Unione europea, nonché il sequestro di undici stranieri, per fortuna presto rilasciati.

 

Il 28 marzo 2006 si sono svolte le elezioni politiche israeliane, nelle quali il Partito di Olmert, Kadima, ha conquistato 29 seggi alla Knesset, maggioranza relativa ma  meno ampia del previsto. I laburisti di Peretz hanno ottenuto 20 seggi, mantenendo sostanzialmente le precedenti posizioni, mentre il Likud ha perso voti, conquistando appena 12 seggi, gli stessi del partito religioso sefardita Shas. (Inoltre, 11 seggi sono andati al partito di estrema destra degli ebrei russi, 9 alle liste arabe, 6 all’altro Partito religioso  - ashkenazita-, 7 ai pensionati, 5 al partito di sinistra Meretz).

Il movimento Hamas al Governo ha subito confermato di non voler procedere al riconoscimento di Israele, preferendo inoltre parlare di “tregua” più che di pace con Tel Aviv. In questo contesto i ministri degli Esteri della UE, riuniti a Lussemburgo il 10-11 aprile 2006, hanno deciso di interrompere gli aiuti finanziari diretti al Governo palestinese, mantenendo solo gli aiuti a carattere umanitario somministrati dalla Comunità internazionale; la decisione coinvolge anche gli aiuti forniti a livello bilaterale dagli Stati membri. In precedenza anche gli Stati Uniti avevano congelato i finanziamenti, mentre le Nazioni Unite hanno imposto ai propri funzionari di evitare incontri di livello politico con esponenti di Hamas. Un grave contrasto tra il presidente Abu Mazen e il Governo in merito al controllo prevalente delle forze di sicurezza palestinesi non contribuisce certo a rasserenare il clima nell’ANP.

Il 27 aprile è stato siglato un accordo di governo tra il Partito Kadima e i laburisti, nel quale si ammorbidiscono i toni rispetto al Piano enunciato qualche settimana prima da Olmert, e che prevedeva oltre al ritiro da ampie zone della Cisgiordania, anche l’annessione delle aree dove sono presenti insediamenti ebraici i più omogenei e più territorialmente contigui. Il 4 maggio il Governo Olmert ha ricevuto la fiducia della Knesset.

Il 22 giugno 2006 il premier Olmert e Abu Mazen si sono incontrati, alla presenza del re di Giordania, con l’intenzione di riprendere i colloqui sulla Road Map. L’intenzione espressa di rivedersi nelle settimane successive è stata superata dagli avvenimenti che hanno coinvolto Israele sul fronte del confine con il Libano.

Il 25 giugno, alla frontiera tra Gaza e lo Stato ebraico viene rapito il militare israeliano Gilad Shalit: Israele inizia una serie di azioni militari progressivamente più “pesanti” nella striscia di Gaza, che provocano fino alla metà di agosto 160 vittime tra i palestinesi.

Il 27 giugno Hamas e Fatah hanno entrambe accettato per intero il “Documento dei prigionieri”, un testo redatto da cinque prigionieri appartenenti a Fatah, Hamas, Jihad islamica, Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina e Fronte Democratico per la Liberazione della Palestina. Il documento consiste di 18 punti e chiede il ritiro di Israele fino ai confini precedenti la guerra del 1967 e la creazione di uno Stato palestinese nella West Bank e nella Striscia di Gaza.

Il documento è stato interpretato come un riconoscimento implicito del diritto all’esistenza dello Stato di Israele, in contraddizione con la piattaforma ufficiale di Hamas che propugna invece la sua distruzione. Abu Mazen ha proposto un referendum sul Documento con la probabile intenzione di utilizzarlo come base per i futuri negoziati con Israele. Olmert, tuttavia, si è pronunciato sfavorevolmente in quanto in esso si chiede il ritorno dei profughi palestinesi e il ritiro di Israele da tutti i territori della West Bank.

All’indomani della Conferenza internazionale sul Libano, il Presidente dell’ANP Abu Mazen si è recato in visita in Italia (27 luglio 2006), dove ha incontrato il Presidente del Consiglio e il Ministro degli esteri. Durante i colloqui Abu Mazen ha chiesto il cessate il fuoco in Libano e a Gaza e il dispiegamento di una forza di interposizione internazionale, nonché una conferenza internazionale sul Medio oriente per trovare al più presto una soluzione negoziata.

Sulle posizioni di Abu Mazen, inoltre, ha riferito anche il Ministro degli Affari esteri durante il seguito dell’audizione sugli sviluppi della situazione in Medio Oriente (2 agosto 2006, Commissioni esteri riunite di Camera e Senato).

Il Ministro degli esteri ha infatti affermato che Abu Mazen si sta adoperando perché venga accettato il suo piano di pace che si articola in tre fasi:

1) il raggiungimento di un’intesa tra le diverse componenti palestinesi per fermare gli atti di violenza, la restituzione del caporale israeliano Shalit, la fine dei lanci di razzi Kassam sul territorio israeliano e dei raid israeliani su Gaza;

2) la formazione di un governo di unità nazionale sulla base del c.d. “documento dei prigionieri” (v. sopra);

3) la ripresa dei colloqui di pace sulla strada delineata dalla Road Map.

 

Il 5 agosto viene arrestato dagli israeliani, in quanto dirigente di Hamas, il presidente del Parlamento dell’ANP, Abdelaziz Dweik, che va ad aggiungersi a oltre sessanta esponenti di Hamas – tra cui otto ministri e 26 deputati – tradotti nelle carceri di Israele dopo il rapimento di Gilad Shalit.

 

La cessazione delle ostilità in Libano del 14 agosto sembra riaprire spiragli di dialogo anche sul fronte israelo-palestinese, sia per quanto riguarda i rapporti tra Abu Mazen e Hamas e la formazione di un governo di unità nazionale, sia per ciò che concerne il soldato rapito, del quale Israele chiede pressantemente il rilascio, condizione preliminare alla fine delle azioni militari a Gaza. A tale proposito si prospetta una soluzione mediata dall’Egitto, cui il caporale Shalit verrebbe consegnato, per ottenere in cambio la liberazione dei dirigenti di Hamas e di altri detenuti palestinesi.

Se è vero che Hamas ha interrotto i lanci di razzi verso il territorio israeliano, e ha ammorbidito le proprie posizioni accettando il sopra richiamato “Documento dei prigionieri”, permane tuttavia il rifiuto al riconoscimento di Israele e alla rinuncia in via di principio all’uso della violenza. Di conseguenza, il tentativo di Abu Mazen di rompere l’isolamento internazionale della causa palestinese, dando vita a un governo di ampia coalizione appare tuttora assai arduo, tanto più che le condizioni poste da Hamas non appaiono di poco momento: il movimento integralista intende riservare a sé la scelta del premier, modellare la distribuzione dei ministeri in base ai rapporti di forza parlamentari – che attualmente lo avvantaggiano – e agire secondo un programma di governo che ricalca il “Documento dei prigionieri”.

 

 


Posizioni e iniziative dell’Unione europea in relazione al conflitto in Libano
(a cura dell’Ufficio Rapporti con l’Unione europea)

La Presidenza finlandese dell’Unione europea e la Commissione europea hanno in più occasioni sottolineato come l’Unione europea si sia impegnata nei confronti della crisi in Libano e delle sue ripercussioni sia sul piano diplomatico sia su quello degli aiuti umanitari. L’UE è intervenuta inoltre per contribuire all’evacuazione dal Libano dei suoi cittadini e di quelli provenienti dai paesi terzi  nonché per limitare i danni ambientali causati dal conflitto.

     A quest’ultimo proposito si ricorda che il 27 luglio le autorità libanesi hanno richiesto l’assistenza dell’Unione europea per affrontare le conseguenze dello spargimento di petrolio presso le coste libanesi. E’ stato pertanto attivato il “meccanismo comunitario per la protezione civile”[8] ed è stato avviato il monitoraggio per la valutazione dell’inquinamento marino.

Dichiarazioni dei rappresentanti dell’UE in occasione della Conferenza di Roma (26 luglio)

Il 26 luglio 2006, la Commissione, la Presidenza Finlandese e l’Alto Rappresentante hanno partecipato alla Conferenza internazionale sul Libano che si è svolta a Roma. Il 27 e 28 luglio una troika dell’UE  - composta dal Commissario per le relazioni esterne e la politica europea di vicinato, Benita Ferrero-Waldner, il rappresentante della Presidenza finlandese dell’UE, il Ministro finlandese per gli affari esteri Erkki Tuomioja, e il rappresentante speciale dell’Unione europea,Marc Otte - si è recata in Israele, Gaza e Libano per trasmettere un messaggio di solidarietà alle popolazioni ed individuare un possibile percorso in direzione di una soluzione globale del conflitto. Tale viaggio, svoltosi il 27 e 28 luglio, ha  costituito una prima occasione per l’Unione europea per discutere con tutte le parti coinvolte il risultato della Conferenza di Roma.

In occasione della Conferenza di Roma,  il Commissario Ferrero-Waldner ha richiamato l’attenzione su tre questioni di particolare importanza per l’Unione europea:

·         la crisi umanitaria e l’impegno dell’Unione europea per alleviare le sofferenze della popolazione di tutta la regione (Libano, Israele, Gaza e West Bank); al riguardo ha preannunciato un ulteriore sostegno di 30 milioni di euro, oltre ai 20 già stanziati e ha sottolineato la necessità di garantire un accesso sicuro al paese;

·         l’evacuazione dal territorio, particolarmente problematica per i cittadini non-UE, per la quale la Commissione europea ha reso disponibili 11 milioni di euro;

·         la dimensione politica, che comprende una soluzione sostenibile del conflitto e un piano politico globale.

Il Consiglio affari generali e relazioni esterne (1° agosto)

Il 31 luglio, a Bruxelles, il Consiglio affari generali e relazioni esterne dell’UE ha tenuto una sessione straordinaria per riesaminare la situazione in Medio Oriente e concordare i principi chiave per una soluzione politica della crisi.  Nelle conclusioni del 1° agosto, il Consiglio ha espresso la massima preoccupazione per le perdite di civili libanesi e israeliani e le sofferenze umane, la vasta distruzione di infrastrutture civili e il numero crescente di sfollati interni a seguito dell’intensificarsi della violenza. Ha deplorato la morte di civili innocenti e fatto appello a tutte le parti affinché facciano tutto il possibile per proteggere le popolazioni civili e per astenersi da atti che violano il diritto internazionale umanitario.

Il Consiglio, in particolare:

Interventi dell’Alto Rappresentante dell’UE (11-13 agosto)

L’Alto Rappresentante per la politica estera e di sicurezza comune, Javier Solana, si è recato dall’11 al 13 agosto in Medio Oriente per confrontarsi con i leader politici in merito alla risoluzione del  conflitto tra Israele e Libano.  Al termine della visita - nel corso della quale l’Alto Rappresentante ha incontrato, fra gli altri, il Primo Ministro libanese, Fouad Siniora, il Ministro per gli affari sociali,  Sig.ra Nayla Moawad, e il Presidente del Parlamento libanese, Nabih Ferri – si è svolta a Beirut una conferenza stampa nel corso della quale sono stati ricordati i punti salienti degli scambi avvenuti[9].

In particolare, l’Alto Rappresentante:

·         si è congratulato per l’adozione, da parte del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, della risoluzione intesa a porre fine al conflitto tra Israele e Libano, sollecitandone l’immediata attuazione;

·         ha confermato la disponibilità dell’Unione europea a contribuire agli sforzi per la stabilizzazione, la ricostruzione e la forza di pace in Libano; al riguardo, ha ricordato che l’impegno segue tre principali linee di azione:

-          l’azione umanitaria, per alleviare le sofferenze della popolazione e favorirne il rientro;

-          l’attività della UNIFIL rafforzata, a cui contribuiranno molti paesi europei;

-          l’impegno per la ricostruzione.

L’Alto Rappresentante ha ribadito alla stampa l’urgenza dell’attuazione della risoluzione, premessa essenziale per un cessate il fuoco immediato ed una pace duratura, ed ha ricordato la responsabilità in tal senso del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.

 

Il 13 agosto, a Ramallah, West Bank, Javier Solana è intervenuto[10] in merito agli incontri avuti con il Presidente dell’Autorità Palestinese, Abu Mazen, e il Negoziatore Capo palestinese, Saeb Erekat. Alla stampa l’Alto Rappresentante ha dichiarato di aver manifestato sostegno da parte della comunità internazionale e dell’Unione europea al Presidente e al popolo della Palestina; in particolare, l’Alto Rappresentante ha sottolineato che il problema israelo-palestinese è al centro della crisi in Medio Oriente, e che tutte le energie andranno spese in favore della ricerca di una soluzione.

 

Il 13 agosto Javier Solana si è inoltre recato a Gerusalemme, dove ha incontrato il Primo Ministro, il Ministro della difesa ed il Ministro per gli affari esteri israeliani. Rispondendo alla stampa, l’Alto Rappresentante ha ribadito che l’attuazione delle risoluzioni delle Nazioni Unite richiede tre linee d’azione: l’aspetto umanitario, l’aiuto alla ricostruzione del Libano e il dispiegamento di una forza che accompagnerà quella libanese; a questo proposito Solana ha sottolineato che si tratta di una missione delle Nazioni Unite, cui parteciperanno forze europee nonché forze provenienti da altri paesi che non sono membri dell’UE. L’Alto Rappresentante ha inoltre ribadito quanto già affermato a Ramallah in merito alla pace in Medio Oriente: in particolare ha riaffermato la necessità di adottare un approccio complessivo che affronti in modo diretto il conflitto israelo-palestinese.

Dichiarazione della Presidenza UE sul Libano (12 agosto)

La Presidenza dell’Unione europea ha formulato, il 12 agosto 2006, una dichiarazione sul Libano[11] nella quale ha espresso apprezzamento per l’accordo unanime raggiunto sulla risoluzione 1701 delle Nazioni Unite, con la quale si chiede la cessazione delle ostilità tra Israele e Hezbollah e si stabilisce il quadro necessario per un assetto politico che consenta una soluzione sostenibile della crisi. La Presidenza ha chiesto a tutte le parti di rispettare integralmente la risoluzione e di applicarla senza indugi.

La Presidenza dell’Unione si è inoltre congratulata per “l’intenzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite di affrontare l’ulteriore rafforzamento del mandato della UNIFIL e di altri elementi nell’ambito di una futura risoluzione, per contribuire all’attuazione di un ‘cessate il fuoco’ permanente e di una soluzione a lungo termine”.

La Presidenza, infine, ha richiamato la necessità di lavorare ad un piano di pace generale per il Medio Oriente.

 

Dichiarazioni del Commissario europeo per lo sviluppo e l’aiuto umanitario (16 agosto)

Il Commissario europeo per lo sviluppo e l’aiuto umanitario, Louis Michel, si è recato a Beirut per incontrare le vittime del conflitto, gli operatori umanitari e alcuni membri del governo libanesi, tra i quali il Primo Ministro Siniora. Secondo un comunicato della Commissione europea è previsto che il 17 agosto il Commissario si rechi a Tel Aviv per incontrare membri del governo israeliano e per visitare le vittime degli attacchi di Hezbollah.

In tale occasione il Commissario ha richiamato l’attenzione sulla difficoltà di far pervenire gli aiuti umanitari urgenti in Libano, a causa della mancanza di infrastrutture e del blocco instaurato da Israele. Egli ha insistito sul fatto che la situazione è critica, in particolar modo nel sud del Libano e in alcune parti di Beirut; ha inoltre posto l’accento sul ritorno delle persone sfollate nel sud.

La Commissione europea ha mobilizzato fondi d’urgenza umanitaria per un ammontare di 20 milioni di euro, per fornire ricoveri, cibo, cure mediche, acqua, sostegno psico-sociale, protezione e coordinamento nelle operazioni di soccorso. I fondi sono gestiti dal Servizio di aiuto umanitario della Commissione europea (ECHO). Nel corso della sua visita,  il Commissario Michel ha annunciato l’apertura di un ufficio permanente ECHO a Beirut. Il Commissario ha inoltre ricordato che la Commissione ha chiesto al Parlamento europeo e al Consiglio di portare gli aiuti a 50 milioni di euro, prelevandoli dalla riserva di urgenza del bilancio comunitario.

 

 




[1]    Con la risoluzione del Consiglio di Sicurezza n. 1686 del 15 giugno 2006 il mandato della Commissione Internazionale Indipendente che investiga sull’attentato ad Hariri è stato prorogato al 15 giugno 2007.

[2]    V. testo in allegato.

[3]    Sempre il 31 luglio, il Consiglio di Sicurezza ha approvato, con il solo voto contrario del Qatar, una risoluzione che chiede la sospensione del programma nucleare in Iran.

[4]  Il piano articolato in sette punti richiede il ritiro dell'esercito israeliano dietro la “linea blu” (confine riconosciuto dall’ONU) e il ritorno dei profughi, il dispiegamento nel sud del Libano delle Forze armate legittime di Beirut, l’aumento delle Forze ONU operanti nel sud del Libano in numero, equipaggiamento e mandato, sì da rendere possibili gli interventi umanitari e di soccorso quanto mai urgenti. I sette punti includono inoltre l’ impegno a liberare i prigionieri libanesi e israeliani attraverso la Croce Rossa internazionale; la giurisdizione delle Nazioni Unite sulla zona – oggetto di controversia – delle Fattorie di Sheba; l’attuazione piena, sotto garanzia ONU, dell’armistizio israelo-libanese del 1949; l’aiuto della Comunità internazionale per la ripresa complessiva del Libano dalla situazione catastrofica in cui versa.

 

[5]    Si ricordano, al proposito: gli Accordi su Hebron del 1997; l’Accordo di Wye Plantation del 1998, che prevedeva un parziale ritiro di Israele dalla Cisgiordania in cambio del disarmo di gruppi armati palestinesi; il Memorandum di Sharm el Sheikh del 1999; i complessi negoziati di Camp David del 2000 che, conclusisi con un nulla di fatto, sono stati seguiti da una proposta di mediazione del  Presidente Clinton. E, ancora, si ricordano il piano proposto dalla Commissione Mitchell e quello del direttore della CIA, Tenet (entrambi del 2001), nonché il Piano proposto dal ministro degli esteri tedesco Fischer.

[6]  Le riserve sono contenute in un documento assai dettagliato apparso il 27 maggio 2003 sulla stampa israeliana: in 14 punti vengono riassunte le questioni principali che per Israele si connettono inscindibilmente all'attuazione della road map. In sintesi, il documento richiama l'attenzione sul fatto che non si potrà passare ad una nuova fase senza il totale completamento della precedente. In ambito palestinese dovrà emergere e consolidarsi una dirigenza del tutto nuova, che si coordini con Israele nel processo di consolidamento democratico. Mentre il monitoraggio sui progressi della road map dovrà essere controllato dagli USA, lo Stato provvisorio palestinese scaturirà da negoziati tra le due Parti, e in nessun caso potrà avere proprie Forze Armate, né concludere Accordi a carattere militare, e i suoi confini e lo spazio aereo saranno controllati da Israele. I futuri Accordi definitivi saranno negoziati direttamente tra le Parti, e dovranno contenere il riconoscimento all'esistenza di Israele quale Stato ebraico, nonché la rinuncia al ritorno dei profughi nel suo territorio.

 

 

[7]    Abu Mazen è il primo presidente palestinese nominato sulla base dell'esito di una tornata elettorale (9 gennaio 2005).

[8]    Il meccanismo comunitario per la protezione civile, istituito con decisione 2001/792/CE, Euratom, è inteso a consentire una cooperazione degli interventi di assistenza nella protezione civile.

[9]    Comunicato stampa  S227/06 del 12 agosto 2006, a cura del Consiglio dell’Unione europea.

[10]   Comunicato stampa S228/06 del 13 agosto 2006, a cura del Consiglio dell’Unione europea.

[11]   Comunicato stampa 292/2006, a cura della Presidenza finlandese dell’UE.