Camera dei deputati - XV Legislatura - Dossier di documentazione
(Versione per stampa)
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Autore: | Servizio Studi - Dipartimento istituzioni | ||||
Titolo: | Recepimento della direttiva 2004/38/CE sul diritto di circolazione e soggiorno dei cittadini UE e loro familiari - Schema di D.Lgs. n. 46 (art. 1, co. 1 e 3, L. 62/2005) | ||||
Riferimenti: |
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Serie: | Atti del Governo Numero: 36 | ||||
Data: | 29/11/2006 | ||||
Descrittori: |
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Organi della Camera: | I-Affari Costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni | ||||
Altri riferimenti: |
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Camera dei deputati
XV LEGISLATURA
SERVIZIO STUDI
Atti del Governo
Recepimento
della direttiva 2004/38/CE
sul diritto di circolazione e soggiorno
dei cittadini UE e loro familiari
Schema
di D.Lgs. n. 46
(art. 1, co. 1 e 3, L. 62/2005)
n. 36
29 Novembre 2006
DIPARTIMENTO istituzioni
SIWEB
Hanno collaborato alla redazione del dossier il dipartimento Giustizia e l’Ufficio Rapporti con l’Unione Europea
I dossier del Servizio studi sono destinati alle esigenze di documentazione interna per l'attività degli organi parlamentari e dei parlamentari. La Camera dei deputati declina ogni responsabilità per la loro eventuale utilizzazione o riproduzione per fini non consentiti dalla legge.
File: ac0166.doc
INDICE
Scheda di sintesi per l'istruttoria legislativa
Elementi per l’istruttoria legislativa
§ Conformità con la norma di delega
§ Rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definite
§ Incidenza sull’ordinamento giuridico
§ Diritto di circolazione e soggiorno fino a tre mesi
§ Diritto di soggiorno per una durata superiore a tre mesi
§ Diritto di soggiorno permanente
§ Disposizioni comuni al diritto di soggiorno e al diritto di soggiorno permanente
Lo schema di decreto legislativo
§ Premessa
§ Diritto di circolazione e soggiorno fino a tre mesi
§ Diritto di soggiorno per una durata superiore a tre mesi
§ Diritto di soggiorno permanente
§ Disposizioni comuni al diritto di soggiorno e al diritto di soggiorno permanente
§ Restrizioni al diritto di ingresso e soggiorno per motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza
Normativa di riferimento
Normativa nazionale
§ Costituzione della Repubblica (artt. 76 e 87)
§ Codice di procedura civile (art. 737)
§ Legge 24 dicembre 1954, n. 1228. Ordinamento delle anagrafi della popolazione residente
§ D.P.R. 30 dicembre 1965, n. 1656. Norme sulla circolazione e il soggiorno dei cittadini degli Stati membri della C.E.E.
§ Legge 16 aprile 1987, n. 183. Coordinamento delle politiche riguardanti l'appartenenza dell'Italia alle Comunità europee ed adeguamento dell'ordinamento interno agli atti normativi comunitari (art. 5)
§ Legge 23 agosto 1988, n. 400. Disciplina dell'attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri. (art. 17)
§ D.P.R. 30 maggio 1989, n. 223. Approvazione del nuovo regolamento anagrafico della popolazione residente (artt. 4, 5, 13, 14, 16, 32)
§ D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286. Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero (artt. 4, 6, 29, 30)
§ D.Lgs. 21 aprile 2000, n. 181. Disposizioni per agevolare l'incontro fra domanda ed offerta di lavoro, in attuazione dell'articolo 45, comma 1, lettera a), della L. 17 maggio 1999, n. 144 (art. 2)
§ D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445. Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa. (Testo A) (artt. 46, 47)
§ D.Lgs. 18 gennaio 2002, n. 52. Testo unico delle disposizioni legislative in materia di circolazione e soggiorno dei cittadini degli Stati membri dell'Unione europea. (Testo B)
§ D.P.R. 18 gennaio 2002, n. 53. Testo unico delle disposizioni regolamentari in materia di circolazione e soggiorno dei cittadini degli Stati membri dell'Unione europea. (Testo C)
§ D.P.R. 18 gennaio 2002, n. 54. Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di circolazione e soggiorno dei cittadini degli Stati membri dell'Unione europea. (Testo A)
§ D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82. Codice dell'amministrazione digitale (art. 66)
§ Legge 18 aprile 2005, n. 62. Disposizioni per l'adempimento di obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle Comunità europee. Legge comunitaria 2004 (art. 1)
Normativa comunitaria
§ Dir. 25 febbraio 1964, n. 64/221/CEE. Direttiva del Consiglio per il coordinamento dei provvedimenti speciali riguardanti il trasferimento e il soggiorno degli stranieri, giustificati da motivi d'ordine pubblico, di pubblica sicurezza e di sanità pubblica
§ Reg. (CEE) 15 ottobre 1968, n. 1612/68. Regolamento del Consiglio relativo alla libera circolazione dei lavoratori all'interno della Comunità
§ Dir. 68/360/CEE del 15 ottobre 1968. Direttiva del Consiglio relativa alla soppressione delle restrizioni al trasferimento e al soggiorno dei lavoratori degli Stati membri e delle loro famiglie all'interno della Comunità
§ Dir. 18 maggio 1972, n. 72/194/CEE. Direttiva del Consiglio che estende il campo di applicazione della direttiva del 25 febbraio 1964 per il coordinamento dei provvedimenti speciali riguardanti il trasferimento e il soggiorno degli stranieri, giustificati da motivi d'ordine pubblico, di pubblica sicurezza e di sanità pubblica, ai lavoratori che esercitano il diritto di rimanere sul territorio di uno Stato membro dopo aver occupato un impiego
§ Dir. 73/148/CEE del 21 maggio 1973. Direttiva del Consiglio relativa alla soppressione delle restrizioni al trasferimento e al soggiorno dei cittadini degli Stati membri all'interno della Comunità in materia di stabilimento e di prestazione di servizi
§ Dir. 75/34/CEE del 17 dicembre 1974. Direttiva del Consiglio relativa al diritto di un cittadino di uno Stato membro di rimanere sul territorio di un altro Stato membro dopo avervi svolto un’attività non salariata
§ Dir. 75/35/CEE del 17 dicembre 1974. Direttiva del Consiglio che estende il campo di applicazione della direttiva 64/221/CEE per il coordinamento dei provvedimenti speciali riguardanti il trasferimento e il soggiorno degli stranieri , giustificati da motivi di ordine pubblico , di pubblica sicurezza e di sanità pubblica , ai cittadini di uno Stato membro che esercitano il diritto di rimanere nel territorio di un altro Stato membro dopo avervi svolto un'attività non salariata
§ Dir. 90/364/CEE del 28 giugno 1990. Direttiva del Consiglio relativa al diritto di soggiorno
§ Dir. 90/365/CEE del 28 giugno 1990. Direttiva del Consiglio relativa al diritto di soggiorno dei lavoratori salariati e non salariati che hanno cessato la propria attività professionale
§ Dir. 93/96/CEE del 29 ottobre 1993. Direttiva del Consiglio relativa al diritto di soggiorno degli studenti
§ Dir. 29 aprile 2004, n. 2004/38/CE. Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa al diritto dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE
Documentazione
§ Ufficio legislativo Ministero Politiche Europee - Ufficio legislativo Ministero dei Diritti e delle Pari Opportunità: Nota esplicativa allo schema del decreto legislativo dell’11 novembre 2006 per l’attuazione della Direttiva europea n. 2004/38/CE, (http://www.pariopportunita.gov.it/Pari_Opportunita/UserFiles/PrimoPiano/notaesplecativa.doc)
Scheda di sintesi
per l'istruttoria legislativa
Numero dello schema di decreto legislativo |
46 |
Titolo |
Recepimento della Direttiva 2004/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare liberamente nel territorio degli stati membri |
Norma di delega |
Art. 1, commi 1 e 3, all. B, L. 18 aprile 2005, n. 62, Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee. Legge comunitaria 2004. |
Settore d’intervento |
Stranieri comunitari |
Numero di articoli |
25 |
Date |
|
§ presentazione |
11 novembre |
§ assegnazione |
11 novembre |
§ termine per l’espressione del parere |
21 dicembre |
§ scadenza della delega |
10 febbraio 2007[1] |
Commissione competente |
I (Affari Costituzionali); XIV (Politiche dell’Unione europea |
Rilievi di altre Commissioni |
V Commissione (Bilancio) |
Lo schema di decreto legislativo, composto di venticinque articoli, reca il recepimento della direttiva 2004/38/CE, del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione europea e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri.
Lo schema di decreto legislativo è accompagnato, oltre che da un’analitica relazione illustrativa, dalla relazione tecnica e dalle relazioni sull’analisi tecnico-normativa (ATN) e sull’analisi di impatto della regolamentazione (AIR).
Lo schema di decreto è adottato in virtù della norma di delega conferita al Governo nell’art. 1, comma 1 e 3, della L. 62/2005 (legge comunitaria 2004), allegato B[2]; per effetto di tali disposizioni lo schema di decreto è anche sottoposto al parere delle competenti Commissioni parlamentari. Decorsi quaranta giorni dalla data di trasmissione alle Camere, i decreti sono emanati anche in mancanza del parere.
Il termine per l’esercizio della delega è fissato dall’art. 1, co. 3, della L. 62/2005 in 18 mesi dall’entrata in vigore della legge. Esso pertanto risulterebbe scaduto il 12 novembre scorso; ai sensi dell’ultimo periodo del co. 3, tuttavia, qualora – come in questo caso – il termine per l'espressione del parere parlamentare scada nei trenta giorni che precedono la scadenza del termine per l’esercizio della delega o successivamente, quest’ultimo è prorogato di 90 giorni. Il termine prorogato verrà pertanto a scadenza il 10 febbraio 2007.
Si segnala peraltro che il termine per il recepimento della direttiva è scaduto, essendo stato fissato dalla direttiva stessa al 30 aprile 2006.
Il contenuto del provvedimento è riferibile alla materia “rapporti dello Stato con l’Unione europea”, di competenza esclusiva statale ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lett. a), Cost..
Può altresì rilevare la materia “immigrazione”, anch’essa riservata alla potestà legislativa esclusiva dello Stato dall’art. 117, secondo comma, lett. b), della Costituzione.
La Commissione ha inviato, il 13 dicembre 2005, un parere motivato(procedura di infrazione 2003/2134) nei confronti dell’Italia in relazione al D.P.R. 18 gennaio 2002, n. 54, recante “Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di circolazione e soggiorno dei cittadini degli Stati membri dell'Unione europea”. Alla data del 19 ottobre 2006 la procedura di infrazione 2003/2134 risultava provvisoriamente archiviata in seguito alle disposizioni di modifica alD.P.R. 18 gennaio 2002, n. 54, introdotte dall’articolo 20 della legge 25 gennaio 2006, n. 29 (Legge comunitaria per il 2005).
Con la procedura in questione, la Commissione riteneva che la normativa italiana fosse contraria all’articolo 1 della direttiva 93/96/CEE[3], in quanto vi si prevedeva come condizione della concessione del diritto al soggiorno degli studenti la presentazione di una prova di disponibilità di un importo determinato, a testimonianza del fatto di non costituire un onere per l’assistenza sociale italiana (laddove invece tale requisito non sarebbe fissato dalla direttiva). Riteneva inoltre che la normativa italiana non recepisse pienamente l’articolo 1 delle direttive 90/364 CEE[4] e 90/365/CEE[5] relative al diritto di soggiorno in quanto:
§ si riconosce il diritto di soggiorno unicamente ai familiari definiti come figli minori a carico (mentre il diritto comunitario riconoscerebbe tale diritto ai figli a carico senza distinzione di età) e del congiunto a carico (mentre la normativa comunitaria non esigerebbe che il coniuge sia a carico del cittadino dell’Unione per poter beneficiare del diritto di soggiorno);
§ si esige dai familiari la presentazione di una documentazione relativa ai redditi del gruppo familiare distinta da quella presentata dal cittadino comunitario titolare del diritto di soggiorno (laddove invece la direttiva non prevederebbe l’obbligo di presentazione di una distinta documentazione).
Nel quadro del programma pluriennale per il rafforzamento dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia nell’Unione europea, il cosiddetto programma dell’Aja[6], adottato dal Consiglio europeo nella riunione del 5 novembre 2004, la Commissione è invitata a presentare nel 2008 una relazione al Consiglio e al Parlamento europeo corredata, se del caso, di proposte intese a garantire la circolazione dei cittadini dell'UE all'interno dell'Unione europea a condizioni analoghe a quelle dei cittadini di uno Stato membro quando si spostano o cambiano residenza all'interno del loro paese, in conformità di principi sanciti dal diritto comunitario.
Nella sua comunicazione sull’attuazione del programma dell’Aja: prospettive per il futuro[7], presentata il 10 maggio 2006, la Commissione, in relazione alla libera circolazione dei cittadini, afferma che provvederà in via prioritaria a verificare la corretta attuazione da parte degli Stati membri della direttiva 2004/38/CE.
Il testo in esame sostituisce integralmente la disciplina oggi recata dal testo unico approvato con D.P.R. 54/2002. Trattandosi di un testo unico “misto”, tale disciplina è oggi, in parte, di rango regolamentare. Il provvedimento in esame ha pertanto quale effetto una parziale rilegificazione della materia.
Agli articoli 2 e 3, il recepimento operato mediante testuale riproduzione dei corrispondenti articoli della direttiva (per le motivazioni del quale si rinvia alle schede di lettura) determina una formulazione per certi versi non pienamente congrua (con riferimento ad es. alla definizione di “Stato membro ospitante” che, nella fattispecie, è l’Italia).
Lo schema di decreto sostituisce la precedente disciplina in materia, raccolta nel D.P.R. 54/2002[8], recante il testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di circolazione e soggiorno dei cittadini degli Stati membri dell’Unione europea.
Fatte salve le limitazioni derivanti dalle disposizioni in materia penale e di quelle a tutela dell’ordine pubblico, della sicurezza interna e della sanità, il testo unico ribadisce il diritto al libero ingresso dei cittadini di uno Stato membro dell’Unione europea nel territorio italiano, purché in possesso di un documento di identificazione, valido secondo la legge nazionale, al momento dell’ingresso nel territorio italiano. Soltanto in caso di soggiorni di durata superiore ai tre mesi si richiede la carta di soggiorno, la cui domanda di rilascio deve essere inoltrata alla questura competente (artt. 1 e 2).
L’art. 3, co. 3 (Diritto di soggiorno) dispone inoltre che per i soggetti indicati alle lettere a), b) e c) del comma 1[9], il diritto di soggiorno sia altresì riconosciuto, quale che sia la loro cittadinanza, ai familiari, ovvero ai coniugi, ai figli di età inferiore ai ventuno anni e agli ascendenti e discendenti di tali cittadini e del proprio coniuge, che sono a loro carico, nonché in favore di ogni altro membro della famiglia che, nel Paese di provenienza, sia convivente o a carico del coniuge, degli ascendenti del lavoratore e degli ascendenti del suo coniuge.
Il comma 4 dello stesso articolo stabilisce inoltre che per i soggetti indicati alle lettere d) ed e) del comma 1, il soggiorno sia riconosciuto a condizione che siano iscritti al Servizio sanitario nazionale italiano o titolari di una polizza assicurativa sanitaria per malattia, infortunio e per maternità e che i soggetti indicati alla lettera d) dispongano di risorse economiche tali da non costituire un onere per l'assistenza sociale in Italia, mentre i soggetti indicati alla lettera e) devono disporre di un reddito complessivo non inferiore all'assegno sociale di cui all'articolo 3, comma 6, della legge 8 agosto 1995, n. 335[10]; tale reddito può essere comprensivo anche di pensione di invalidità da lavoro, di trattamento per pensionamento anticipato o di pensione di vecchiaia, ovvero di una rendita per infortunio sul lavoro o per malattia professionale.
Il diritto di soggiorno è inoltre riconosciuto al coniuge non legalmente separato, ai figli di età inferiore ai ventuno anni e ai figli di età superiore, se a carico, nonché ai familiari a carico del titolare del diritto di soggiorno e del coniuge, a condizione che siano iscritti al Servizio sanitario nazionale italiano o titolari di una polizza assicurativa sanitaria per malattia, infortunio e per maternità e che il nucleo familiare di appartenenza abbia risorse tali da non costituire un onere per l'assistenza sociale in Italia, ovvero goda di un reddito annuo non inferiore a quello definito ai sensi dell'articolo 29, comma 3, lettera b), del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286[11].
Il testo unico prevede all’art. 4 (Permanenza del diritto di soggiorno), la sussistenza del diritto di soggiorno per gli studenti e per coloro che abbiano svolto o meno un’attività lavorativa in uno Stato membro, fin quando i beneficiari soddisfino le condizioni sopra menzionate.
Il Titolo II del testo prevede le norme regolamentari e legislative relative ai documenti di soggiorno per i cittadini degli Stati membri.
Gli artt. 5 e 6 contengono le disposizioni regolamentari relative alla richiesta, da inoltrarsi presso la questura competente, e al rilascio della carta di soggiorno, che, valida per tutto il territorio della Repubblica, ha una durata di cinque anni, o, per i periodi inferiori all’anno, per la durata occorrente in relazione ai motivi del soggiorno. La carta rilasciata per cinque anni risulta rinnovabile a tempo indeterminato.
Il testo unico (artt. 7, 8 e 9) stabilisce infine i criteri che regolano l’adozione dell’allontanamento, quasi del tutto coincidenti con quelli previsti dalla direttiva CE/38/2004 e indirizzati alla massima tutela del cittadino interessato. L’allontanamento, è possibile per motivi di ordine pubblico, di sicurezza e di sanità pubblica; vi provvede l’autorità di pubblica sicurezza con avviamento alla frontiera mediante foglio di via obbligatorio; è adottato, salvo motivi d’urgenza, dopo aver sentito il parere di apposita Commissione istituita presso il Ministero dell’interno, dinanzi alla quale il cittadino interessato può farsi assistere o rappresentare da persone di sua fiducia che al contempo dimostrino di possedere la cittadinanza di uno degli Stati membri dell’Unione, buona condotta morale e titolo di studio finale di scuola media di secondo grado.
La direttiva 2004/38/CE[12] ha come obiettivi quelli di
§ agevolare i cittadini dell’Unione nell’esercizio del diritto a circolare e a soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri;
§ ridurre allo stretto necessario le formalità amministrative;
§ definire meglio lo status dei familiari;
§ circoscrivere le possibilità di rifiuto o revoca del diritto di soggiorno.
Il diritto d’ingresso e soggiorno dei cittadini dell’Unione nel territorio degli Stati membri era disciplinato da un corpus legislativo formato da due regolamenti e nove direttive. La presente direttiva modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68[13] ed abroga le direttive 64/221/CEE[14], 68/360/CEE[15], 72/194/CEE[16], 73/148/CEE[17], 75/34/CEE[18], 75/35/CEE[19], 90/364/CEE[20], 90/365/CEE[21] e 93/96/CEE[22].
La direttiva disciplina:
§ le modalità d'esercizio del diritto di libera circolazione e di soggiorno dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari;
§ il diritto di soggiorno permanente;
§ le restrizioni ai diritti sopra menzionati per motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza o di sanità pubblica.
Occorre sottolineare che ai fini dell’art. 2 della direttiva, la definizione di “familiare” deve altresì includere il partner, definito come colui che ha contratto con il cittadino dell'Unione un’“unione registrata” sulla base della legislazione di uno Stato membro, qualora la legislazione dello Stato ospitante equipari l’unione registrata al matrimonio.
Il successivo art. 3, inoltre, prescrive che lo Stato membro ospitante, conformemente alla sua legislazione nazionale, agevoli l’ingresso e il soggiorno di altre categorie di familiari (a carico o conviventi) non comprese tra quelli (titolari di un diritto soggettivo all’ingresso e soggiorno) di cui al punto 2 dell’art. 2, nonché del “partner con cui il cittadino dell'Unione abbia una relazione stabile debitamente attestata”. Per tali soggetti, l'eventuale rifiuto del loro ingresso o soggiorno deve seguire un esame approfondito della situazione personale, e dev’essere giustificato dallo Stato membro ospitante.
Il punto 6) della premessa alla direttiva precisa al riguardo che “per preservare l'unità della famiglia in senso più ampio senza discriminazione in base alla nazionalità, la situazione delle persone che non rientrano nella definizione di familiari ai sensi della presente direttiva, e che pertanto non godono di un diritto automatico di ingresso e di soggiorno nello Stato membro ospitante, dovrebbe essere esaminata dallo Stato membro ospitante sulla base della propria legislazione nazionale, al fine di decidere se l'ingresso e il soggiorno possano essere concessi a tali persone, tenendo conto della loro relazione con il cittadino dell'Unione o di qualsiasi altra circostanza, quali la dipendenza finanziaria o fisica dal cittadino dell'Unione”.
Qualsiasi cittadino dell'Unione ha il diritto di recarsi in uno Stato membro munito di una carta d'identità o di un passaporto validi. In ogni caso, non può essere imposto alcun visto di uscita o di ingresso. Se il cittadino in questione non dispone di documenti di viaggio, lo Stato membro ospitante gli concede ogni agevolazione affinché egli ottenga o faccia pervenire i documenti richiesti. I familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro, dotati di passaporto, beneficiano dello stesso diritto del cittadino che accompagnano. Ai fini di rendere appieno operante il principio della libera circolazione dei familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro, coloro che hanno già ottenuto la carta di soggiorno (vedi infra) potranno essere esentati dall’obbligo di munirsi di visto d’ingresso a norma del regolamento (CE) n. 539/2001[23] o, infine, a norma della legislazione nazionale applicabile. Il permesso di soggiorno è considerato equivalente al visto di breve durata.
Per i soggiorni inferiori a tre mesi, la sola formalità imposta al cittadino dell'Unione è il possesso di un documento d'identità o di un passaporto valido (artt. 4, 5, 6). Lo Stato membro ospitante può prescrivere all'interessato di dichiarare la sua presenza sul territorio nazionale entro un termine ragionevole e non discriminatorio. L’inosservanza di tale obbligo può comportare sanzioni proporzionate e non discriminatorie.
Il diritto di soggiornare per un periodo superiore a tre mesi resta soggetto ad alcune condizioni:
§ esercitare un'attività in qualità di lavoratore subordinato o autonomo; o
§ disporre di risorse economiche sufficienti e di un'assicurazione malattia al fine di non divenire un onere a carico dell'assistenza sociale dello Stato membro ospitante durante il soggiorno. A questo proposito, gli Stati dell'Unione possono fissare l'ammontare delle risorse considerate sufficienti; o
§ seguire un corso di studi o di formazione professionale in qualità di studente, disponendo di risorse economiche sufficienti e di un'assicurazione malattia al fine di non divenire un onere a carico dell'assistenza sociale dello Stato membro ospitante;
§ essere un familiare di un cittadino dell'Unione facente parte di una delle categorie sopra menzionate.
Il permesso di soggiorno per i cittadini dell'Unione è soppresso. Tuttavia, lo Stato membro ospitante può chiedere al cittadino l'iscrizione presso le autorità competenti entro un periodo che non può essere inferiore a tre mesi dal suo ingresso. L'attestato di iscrizione viene immediatamente rilasciato dietro presentazione:
§ di una carta di identità o un passaporto validi;
§ di una dichiarazione o qualsiasi altro mezzo, a scelta del cittadino, comprovante che egli soddisfa le condizioni sopraelencate;
I familiari di un cittadino dell'Unione non aventi la cittadinanza di uno Stato membro devono chiedere una “carta di soggiorno di familiare di un cittadino dell'Unione”, che ha di norma validità di cinque anni (artt. 7, 8, 9, 10, 11). Il decesso, la partenza dal territorio dello Stato membro ospitante del cittadino dell'Unione così come il divorzio, l'annullamento del matrimonio o lo scioglimento della unione registrata non pregiudicano il diritto di soggiorno dei familiari, qualora ricorrano le condizioni stabilite dagli artt. 12 e 13.
Qualsiasi cittadino dell'Unione acquisisce il diritto di soggiorno permanente nello Stato membro ospitante dopo avervi risieduto legalmente e in via continuativa per un periodo di cinque anni. La continuità della residenza non è pregiudicata da assenze temporanee che non superino complessivamente sei mesi all’anno né da assenze superiori per l’assolvimento degli obblighi militari, né da un’assenza di dodici mesi complessivi dovuta a motivi rilevanti (gravidanza, malattia, formazione, distacco per motivi di lavoro presso un altro Stato membro). Tale diritto non è più soggetto ad alcuna condizione, se non quella relativa ad assenze dallo Stato membro ospitante di durata superiore a due anni consecutivi. Le stesse disposizioni si applicano ai familiari dell'interessato, non aventi la cittadinanza di uno Stato membro, che hanno legalmente risieduto cinque anni con il suddetto nello Stato in questione.
La direttiva riconosce ai cittadini dell'Unione che svolgono un'attività di lavoro subordinato o autonomo e ai loro familiari il diritto di soggiorno permanente prima dello scadere dei cinque anni consecutivi di residenza se determinate condizioni si verificano (art. 17). Il documento che attesta il soggiorno permanente ha durata illimitata. Esso è rilasciato, su domanda, al cittadino dell’Unione nel più breve tempo possibile (art. 19), mentre ai familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro e che siano titolari del diritto di soggiorno permanente, entro sei mesi a partire dalla presentazione della domanda, la carta di soggiorno permanente, rinnovabile di diritto ogni dieci anni (art. 20). Il cittadino può provare la continuità della sua residenza con qualsiasi mezzo ammesso dallo Stato membro ospitante (art. 21).
Qualsiasi cittadino dell'Unione titolare del diritto di soggiorno o del diritto di soggiorno permanente, così come i familiari, gode di pari trattamento rispetto ai cittadini nazionali nel campo d'applicazione del trattato. Tuttavia, prima dell'acquisizione del diritto di soggiorno permanente, lo Stato membro ospitante non è tenuto ad accordare il diritto a prestazioni di assistenza sociale durante i primi tre mesi di soggiorno alle persone che non siano lavoratori subordinati o autonomi o ai loro familiari né il diritto ad una borsa di mantenimento ai titolari del diritto di soggiorno recatisi nel territorio nazionale per motivi di studio (art. 24). I familiari, indipendentemente dalla loro cittadinanza, se titolari del diritto di soggiorno o del diritto di soggiorno permanente potranno esercitare un'attività come lavoratori subordinati o autonomi (art. 23).
Le limitazioni alla libertà di circolazione di un cittadino dell'Unione o di un suo familiare, incluso l’Allontanamento dal territorio dello Stato membro, possono essere motivate da ragioni di ordine pubblico, sicurezza pubblica o sanità pubblica. In nessun caso, la decisione può essere dettata da ragioni economiche. Tutti i provvedimenti relativi alla libertà di circolazione e di soggiorno devono basarsi sul comportamento personale dell'interessato. L'esistenza di condanne penali non può automaticamente giustificare tali provvedimenti. Il comportamento personale deve rappresentare una minaccia reale, attuale e sufficientemente grave da pregiudicare un interesse fondamentale della società. Al fine di verificare se l’interessato costituisca veramente un pericolo, lo Stato membro ospitante può chiedere informazioni allo Stato membro di origine ed eventualmente ad altri Stati membri. La scadenza del documento che ha consentito al cittadino l'ingresso nel paese non costituisce motivo sufficiente a giustificarne l'allontanamento (art. 27).
In ogni caso, prima di adottare un provvedimento di allontanamento dal territorio, lo Stato membro deve valutare alcuni elementi quali la durata della residenza nel suo territorio dell'interessato, l'età di quest'ultimo, il suo stato di salute, la sua situazione familiare e il grado di integrazione sociale nel paese che lo ha accolto così come i suoi legami con il paese d'origine.
Il soggetto che abbia acquisito il diritto di soggiorno permanente non può essere allontanato se non per gravi motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza. Solo in casi eccezionali, per “motivi imperativi di pubblica sicurezza”, può essere disposto l’allontanamento di un cittadino dell'Unione che abbia soggiornato nei dieci anni precedenti nello Stato ospitante o che sia minorenne (salvo che l'allontanamento sia necessario nell'interesse del bambino: art. 28).
Dal punto di vista della sanità pubblica, le sole malattie che possono giustificare misure restrittive della libertà di circolazione sono quelle con potenziale epidemico, nonché altre malattie infettive o parassitarie contagiose (art. 29).
Il provvedimento di rifiuto dell'ingresso o di allontanamento dal territorio deve essere notificato all'interessato, deve essere motivato e i mezzi di ricorso disponibili ed i termini entro cui agire devono esservi indicati. Fatta eccezione per casi urgenti, il termine ultimo per lasciare il territorio non può essere inferiore a un mese a decorrere dalla data di notifica (art. 30). La direttiva prevede il diritto dell’interessato ad accedere ai mezzi di impugnazione giurisprudenziale e, all’occorrenza, amministrativa e reca una serie di garanzie procedurali (art. 31). Il provvedimento di divieto di ingresso può essere revocato su domanda; l'interessato può presentare una domanda di riesame della sua situazione decorso un congruo periodo, e comunque dopo tre anni (art. 32).
Tra le disposizioni finali recate dalla direttiva si segnalano le seguenti:
§ art. 35: gli Stati membri possono adottare le misure necessarie per rifiutare, estinguere o revocare un diritto conferito dalla presente direttiva, in caso di abuso di diritto o frode, quale ad esempio un matrimonio fittizio;
§ art. 36: gli Stati membri determinano le sanzioni da irrogare in caso di violazione delle norme nazionali adottate in attuazione della direttiva e adottano tutti i provvedimenti necessari per la loro applicazione;
§ art. 37: le disposizioni della direttiva non pregiudicano le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative di diritto interno più favorevoli ai beneficiari del testo;
§ art. 39: entro il 30 aprile 2008 la Commissione presenta al Parlamento e al Consiglio una relazione relativa all'applicazione della presente direttiva e, all'occorrenza, ogni opportuna nuova proposta;
§ art. 40: il termine per il recepimento della direttiva da parte degli Stati membri è fissato al 30 aprile 2006.
Lo schema di decreto legislativo, composto di 25 articoli, reca attuazione della direttiva 2004/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE.
Lo schema di decreto è adottato in virtù della norma di delega conferita al governo nell’art. 1, commi 1 e 3, della L. 62/2005 (legge comunitaria 2004)[24]; per effetto di tali disposizioni lo schema di decreto è sottoposto al parere delle competenti Commissioni parlamentari. Si segnala peraltro che il termine per il recepimento è scaduto, essendo stato fissato dalla direttiva stessa al 30 aprile 2006.
Il decreto, in conformità all’atto normativo europeo, prevede la regolamentazione dell’ingresso e del soggiorno dei cittadini dell’Unione europea e dei loro familiari, stabilendo pertanto la normativa diretta a sostituire interamente la precedente disciplina adottata con il D.P.R. 18 gennaio 2002, n. 54, recante il testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di circolazione e soggiorno dei cittadini degli Stati membri dell’Unione europea (vedi supra).
Il provvedimento (articolo 1) disciplina le modalità di esercizio del diritto di libera circolazione e soggiorno nel territorio dello Stato da parte dei cittadini dell'Unione europea e dei familiari che li accompagnano o li raggiungono, i presupposti del diritto di soggiorno permanente, nonché le limitazioni ai predetti diritti per motivi di ordine pubblico e di pubblica sicurezza.
Un particolare rilievo assume il recepimento degli articoli 2 e 3 della direttiva.
Come si è già accennato nella relativa scheda di lettura, tali articoli – recanti, rispettivamente, le definizioni dei termini usati nel testo e l’individuazione dei titolari del diritto di ingresso e soggiorno – individuano, nell’ambito dei familiari destinatari della direttiva medesima, il partner del cittadino dell’Unione europea.
La direttiva configura un vero e proprio diritto soggettivo all’ingresso e soggiorno per coloro che soddisfano le caratteristiche necessarie per essere definiti partner ai sensi dell’art. 2, punto 1), lett. b): tale condizione deve tuttavia risultare da un’unione registrata sulla base della legislazione di uno Stato membro e diviene vincolante solo qualora lo Stato membro ospitante abbia una legislazione che equipari l’unione registrata al matrimonio, nel rispetto delle condizioni previste da tale legislazione.
In Italia tale previsione normativa non appare oggi applicabile, poiché manca nel nostro ordinamento una specifica disciplina giuridica delle “unioni di fatto” ed un riconoscimento giuridico delle “unioni civili” previste dagli ordinamenti di alcuni Paesi dell’Unione europea.
Il fenomeno della c.d. convivenza more uxorio o famiglia di fatto, intesa come convivenza contraddistinta da una communio omnis vitae (condivisione di tutta la vita) – nonostante l’ampia e sempre crescente diffusione sociale[25] - non ha nel nostro ordinamento una specifica disciplina giuridica.
Peraltro, il tema della famiglia di fatto può essere inquadrato da un punto di vista costituzionale richiamando gli articoli 2 e 29 della Costituzione: il primo riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, il secondo riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio.
Da queste norme ha preso le mosse la giurisprudenza costituzionale per affermare, in molteplici occasioni, che “la convivenza more uxorio è diversa dal vincolo coniugale, e a questo non meccanicamente assimilabile al fine di desumerne l’esigenza costituzionale di una parificazione di trattamento”.
La Corte ha quindi sempre sostenuto che non è né irragionevole, né arbitrario che il legislatore adotti soluzioni diversificate per la famiglia fondata sul matrimonio, espressamente contemplata nell’articolo 29 della Costituzione, e per la famiglia di fatto, tradizionalmente ricondotta all’articolo 2 della Costituzione.
Il particolare rilievo riconosciuto alla famiglia fondata sul matrimonio non vale infatti ad escludere né l’esistenza né la garanzia di altre forme di convivenza tra persone, che non sono indifferenti né al diritto, né alla Costituzione, e che trovano una tutela – sicuramente meno forte, ma pur sempre una tutela – con particolare riferimento alla nozione di formazioni sociali costituzionalmente riconosciute, di cui all’articolo 2 della Costituzione. La Corte costituzionale ha infatti affermato che “un consolidato rapporto, ancorché di fatto, non appare - anche a sommaria indagine - costituzionalmente irrilevante quando si abbia riguardo al rilievo offerto al riconoscimento delle formazioni sociali e alle conseguenti intrinseche manifestazioni solidaristiche” (Corte cost., sent. n. 237 del 1986).
Tenendo distinta l'una dall'altra forma di vita comune tra uomo e donna, la Corte ha ritenuto di riconoscere a entrambe una specifica dignità, evitando di configurare la convivenza come forma minore del rapporto coniugale, riprovata o appena tollerata, ed evitando di innescare una rincorsa verso la disciplina del matrimonio da parte di coloro che abbiano scelto di liberamente convivere.
La Corte ha quindi posto le premesse “per una considerazione giuridica dei rapporti personali e patrimoniali di coppia nelle due diverse situazioni, considerazione la quale - fermi in ogni caso i doveri e i diritti che ne derivano verso i figli e i terzi - tenga presente e quindi rispetti il maggior spazio da riconoscersi, nella convivenza, alla soggettività individuale dei conviventi; e viceversa dia, nel rapporto di coniugio, maggior rilievo alle esigenze obiettive della famiglia come tale, cioè come stabile istituzione sovraindividuale” (Corte cost., sent. n. 8 del 1996).
Peraltro, il comma 2, lett. b), dell’articolo 3 della direttiva, riferendosi alla (diversa) figura del “partner con cui il cittadino dell’Unione abbia una relazione stabile debitamente attestata”, pur non configurando per essa un diritto soggettivo pieno, prevede che lo Stato membro ospitante – conformemente alla sua legislazione nazionale, ne agevoli l’ingresso e il soggiorno.
Con riguardo a tale questione, come sottolinea la relazione illustrativa che accompagna lo schema di decreto, la scelta operata è stata quella di utilizzare quale modalità di recepimento l’integrale e testuale riproposizione degli artt. 2 e 3 della direttiva 2004/38/CE nei corrispondenti articoli 2 e 3 dello schema: ciò – precisa la relazione, “al fine di evitare che con il provvedimento venissero introdotti istituti non previsti dal nostro ordinamento”.
I termini della questione sono stati esposti in modo articolato in una nota esplicativa sullo schema di decreto, pubblicata nel sito istituzionale del Dipartimento dei diritti e delle pari opportunità della Presidenza del Consiglio dei ministri[26], il cui testo è riportato nel presente dossier.
Gli articoli 4, 5 e 6 disciplinano il diritto di libera circolazione nell’ambito dell’Unione Europea a favore del cittadino dell’Unione europea e dei suoi familiari, qualunque sia la loro cittadinanza. Il diritto è condizionato esclusivamente al possesso di un documento d’identità valido per l’espatrio, per il cittadino europeo, ovvero al possesso del passaporto in corso di validità, per il suo familiare extracomunitario. Per questi ultimi è anche richiesto il visto d’ingresso, quando previsto dalla normativa vigente. Il visto non è richiesto nei casi in cui il familiare, non cittadino europeo, sia in possesso della carta di soggiorno.
L’articolo 7 riconosce il diritto di soggiorno per un periodo superiore a tre mesi al cittadino dell’Unione che sia lavoratore subordinato o autonomo, ovvero quando l’interessato disponga per sé e per i propri familiari di risorse economiche sufficienti per il periodo del soggiorno non divenendo un onere a carico dell’assistenza sociale dello Stato e di una assicurazione sanitaria o di altro titolo idoneo che copra tutti i rischi. Analogo diritto è riconosciuto anche a chi frequenti un corso di studi o di formazione professionale presso un istituto pubblico o privato. Anche in tal caso il diritto di soggiorno è subordinato alla titolarità di una assicurazione sanitaria e alla dimostrazione di disporre di risorse economiche sufficienti per il periodo del soggiorno. Infine il diritto di soggiorno è riconosciuto al familiare, qualunque sia la sua cittadinanza, che accompagna o raggiunge il cittadino dell’Unione cui è riconosciuto il diritto di soggiorno. E’ prevista la conservazione del diritto di soggiorno a favore del cittadino comunitario, già lavoratore subordinato o autonomo, nei casi d’inabilità temporanea al lavoro per malattia o infortunio ovvero in stato di disoccupazione involontaria, dopo aver lavorato nello Stato per oltre un anno. Nell’eventualità, invece, in cui la disoccupazione involontaria si è verificata durante i primi dodici mesi di soggiorno nel territorio nazionale, il cittadino dell’Unione conserva il diritto di soggiorno per un solo anno.
A tutela dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari, nei casi di rifiuto o revoca del diritto di ingresso e soggiorno è ammesso ricorso al tribunale in composizione monocratica del luogo in cui risiede lo straniero il quale provvede sentito l’interessato pronunciandosi in camera di consiglio ai sensi dell’art. 737 del codice di procedura civile (articolo 8).
L’iscrizione anagrafica del cittadino dell’Unione e dei suoi familiari rinviano alla normativa generale in materia[27]. Trascorsi tre mesi, dall’ingresso nel territorio nazionale, l’interessato deve chiedere l’iscrizione al comune. Per l’iscrizione, oltre l’ordinaria documentazione prevista dalla normativa vigente per i cittadini italiani, è anche richiesta una documentazione specifica secondo le condizioni cui è collegato il diritto di soggiorno.
L’articolo 10 disciplina la carta di soggiorno per il familiare del cittadino dell’Unione con cittadinanza di Stato extracomunitario: trascorsi tre mesi dall’ingresso nel territorio nazionale, il familiare interessato deve fare richiesta alla questura del luogo di residenza per il rilascio della carta di soggiorno.
La carta di soggiorno ha validità quinquennale anche nell’eventualità di assenze temporanee non superiori a sei mesi e, nel caso di periodi maggiori, quando l’assenza è dovuta all’assolvimento di obblighi militari o è dovuta a rilevanti motivi quali gravidanza e maternità o malattia grave.
Nel caso di decesso o partenza dallo Stato del cittadino dell’Unione, l’articolo 11 garantisce la conservazione del diritto di soggiorno a favore dei suoi familiari, cittadini di Stati membri dell’Unione europea, purché questi abbiano acquisito il “diritto di soggiorno permanente” (vedi infra) oppure abbiano i requisiti che consentono il riconoscimento del diritto di soggiorno autonomo (attività lavorativa ovvero polizza assicurativa e disponibilità di risorse economiche, etc.).
Per i familiari non cittadini dell’Unione, la conservazione del diritto di soggiorno è consentita a condizione di aver soggiornato nel territorio nazionale per almeno un anno e purché i familiari abbiano acquisito il diritto di soggiorno permanente o esercitino una attività lavorativa o dimostrino di possedere risorse economiche sufficienti e una polizza assicurativa sanitaria.
Nell’eventualità che non si sia verificata la condizione del soggiorno per almeno un anno, lo schema di decreto rinvia all’applicazione della disposizione di cui all’articolo 30, comma 5, del testo unico n. 286/1998 che, con disposizione valevole in via generale per i cittadini di Stati non appartenenti all’Unione europea regolarmente soggiornanti, prevede, nelle medesime ipotesi, il rilascio del permesso di soggiorno per lavoro subordinato o autonomo o per studio purché ne ricorrano le condizioni. Si è ritenuto necessario estendere tale disposizione anche ai familiari di cittadini comunitari in quanto, in assenza di tale specifica previsione, per il caso in esame sarebbe stata prevista una normativa più favorevole ai cittadini di Stati non appartenenti all’Unione europea rispetto alla regolamentazione prevista per i comunitari.
Specifiche disposizioni sono previste in caso di divorzio o annullamento del matrimonio del cittadino dell’Unione europea (articolo 12).
Il diritto di soggiorno è conservato ai sensi della disposizione in esame fino a quando gli interessati hanno le risorse economiche stabilite in modo da non diventare un onere eccessivo per il sistema di assistenza sociale dello Stato o fin quando non costituiscano un pericolo per l’ordine e la sicurezza pubblica.
Qualsiasi cittadino dell’Unione europea, così come i suoi familiari, che abbia soggiornato legalmente e in via continuativa per cinque anni nello Stato, gode del diritto di soggiorno permanente.
Gli articoli 14 e 15 (Deroghe a favore dei lavoratori che hanno cessato la loro attività nello stato membro ospitante e dei loro familiari), che contengono le previsioni al riguardo, accolgono quanto stabilito in materia dalla direttiva 2004/38/CE. Relativamente all’attestazione della titolarità, l’articolo 16 prevede che la richiesta dell’interessato, accompagnata dalla documentazione attestante le condizioni stabilite, venga inoltrata al Comune di residenza che rilascia, entro trenta giorni, l’attestato che certifica la titolarità del diritto di soggiorno permanente. E’ poi stabilito che l’attestato potrà essere sostituito da una istruzione contenuta nel microchip della carta d’identità elettronica ai sensi del decreto legislativo n. 82/2005[28].
I familiari extracomunitari del cittadino dell’Unione europea possono presentare richiesta alla questura competente che entro 90 giorni rilascia una “Carta di soggiorno permanente per familiari di cittadini europei”.
Lo schema di decreto rinvia alla legislazione vigente in ordine ai mezzi di prova per i requisiti richiesti per il mantenimento del soggiorno e per le deroghe relative al diritto di soggiorno permanente. La continuità del soggiorno è comunque interrotta dal provvedimento di allontanamento adottato nei confronti dell’interessato (articolo 18). Conformemente alla normativa in vigore, ai cittadini dell’Unione ed ai loro familiari, indipendentemente dalla loro cittadinanza, è consentito lo svolgimento di qualsiasi attività economica autonoma o subordinata escluse quelle attività che la legge, conformemente ai Trattati dell’Unione europea ed alla normativa comunitaria, riserva ai cittadini italiani. In linea con quanto disposto dalla direttiva 2004/38/CE, lo schema di decreto stabilisce che per i primi tre mesi di soggiorno i cittadini comunitari e i loro familiari non godono del diritto a prestazioni d’assistenza sociale, salvo che tale diritto non discenda autonomamente dall’attività esercitata.
I provvedimenti restrittivi in questione sono adottati nel rispetto del principio della proporzionalità ed in relazione ai comportamenti della persona che comunque devono rappresentare una minaccia reale ed attuale tale da pregiudicare l’ordine pubblico e la sicurezza pubblica. La valutazione è fatta con riferimento a comportamenti concreti e non è di per sé sufficiente l’esistenza di condanne penali. Nell’adottare il provvedimento di allontanamento, deve comunque tenersi conto della durata del soggiorno in Italia dell’interessato, della sua età, del suo stato di salute, della sua situazione familiare ed economica, della sua integrazione sociale e culturale in Italia e dell’importanza dei suoi legami con il paese di origine. Per i cittadini comunitari ed i loro familiari che hanno acquisito il diritto di soggiorno permanente, l’allontanamento è disposto esclusivamente per gravi motivi di ordine e sicurezza pubblica. Invece l’allontanamento di coloro che hanno soggiornato nel territorio dello Stato per oltre dieci anni e per i minorenni può essere disposto esclusivamente per quei motivi di pubblica sicurezza che mettano a repentaglio la sicurezza dello Stato. Salva la possibilità, per i minorenni, di adottare l’allontanamento nel caso in cui questo è necessario nell’interesse del minore stesso come previsto dalla Convenzione delle Nazioni Unite del fanciullo.
L’allontanamento previsto dalla disposizione è adottato con provvedimento del Ministro dell’interno. Il provvedimento deve essere motivato, ed è prevista la notificazione con l’indicazione dei mezzi di impugnazione e della durata del divieto di reingresso per un periodo massimo di tre anni. Sempre nel provvedimento deve essere indicato il termine, non inferiore ad un mese, entro il quale lasciare il territorio nazionale, salvo i casi di comprovata urgenza. La violazione del divieto di reingresso è sanzionata con l’arresto da tre mesi ad un anno e con l’ammenda di euro 5.000, prevedendo in tale ipotesi anche l’allontanamento immediato. L’esecuzione immediata dell’allontanamento da parte del questore è altresì disposta nel caso in cui il provvedimento è fondato su motivi di pubblica sicurezza che mettono a repentaglio la sicurezza dello Stato ovvero quando il destinatario si è trattenuto sul territorio dello Stato oltre il termine fissato dal provvedimento.
L’allontanamento per cessazione delle condizioni che determinano il diritto di soggiorno (articolo 21) è invece previsto, per il cittadino dell’Unione e i suoi familiari, indipendentemente dalla loro nazionalità, nei casi in cui vengono a mancare le condizioni che hanno determinato il diritto di soggiorno. In tali ipotesi, l’allontanamento è disposto con provvedimento motivato del prefetto notificato all’interessato. Nell’adottare il provvedimento si deve tener conto della durata del soggiorno in Italia dell’interessato, della sua età, del suo stato di salute, della sua situazione familiare ed economica, della sua integrazione sociale e culturale in Italia e dell’importanza dei suoi legami con il paese di origine. Per queste ipotesi di allontanamento il provvedimento non può prevedere un divieto di reingresso.
L’articolo 22 dello schema di decreto prevede i mezzi di tutela avverso il provvedimento di allontanamento adottato dal Ministro o dal prefetto. Per il provvedimento del Ministro, basato sui motivi di ordine e sicurezza pubblica, il ricorso può essere presentato al T.A.R. del Lazio. Con la disposizione si è voluto ribadire quanto già previsto per le espulsioni adottate con provvedimento del Ministro. Il ricorso può essere presentato anche dall’estero e può contenere l’istanza di sospensione dell’efficacia del provvedimento. Il provvedimento di allontanamento adottato dal prefetto è invece ricorribile avanti al tribunale in composizione monocratica del luogo in cui ha sede l’autorità che lo ha adottato.
Il ricorso deve essere presentato, a pena d’inammissibilità, entro venti giorni dalla notifica e deciso nei successivi trenta giorni.
Unitamente al ricorso può essere presentata anche l’istanza di sospensione dell’allontanamento. In tal caso l’efficacia dell’allontanamento è sospesa fino alla decisione della relativa istanza, salvo che il provvedimento di allontanamento si basi su una precedente decisione giudiziale. Il tribunale provvede in camera di consiglio, ai sensi degli artt. 737 ss. c.p.c..
L’articolo 23 estende l’applicabilità delle norme contenute nello schema di decreto, se più favorevoli, ai familiari di cittadini italiani di diversa cittadinanza.
L’articolo 24 prevede la norma di copertura finanziaria. A questo proposito la Relazione tecnica sottolinea come la nuova disciplina preveda un ampliamento delle possibilità di soggiorno dei cittadini comunitari rispetto alla normativa previgente con un onere derivante valutato in 14,5 milioni di euro annui, a decorrere dal 2007, a carico della disponibilità del Fondo di rotazione di cui alla legge 183/1987[29].
L’articolo 25 reca le norme finali e dispone l’abrogazione delle disposizioni già vigenti in materia, in particolar modo quelle recate dal testo unico approvato con D.P.R. 54/2002.
Come si è detto, la disciplina recata dal testo unico citato è, in parte, di rango regolamentare. Il provvedimento in esame ha pertanto quale effetto una parziale rilegificazione della materia.
[1] Si veda infra, il paragrafo Conformità con la norma di delega.
[2] L. 18 aprile 2005, n. 62, Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee.
[3] Direttiva relativa al diritto di soggiorno degli studenti.
[4] Direttiva relativa al diritto di soggiorno.
[5] Direttiva relativa al diritto di soggiorno dei lavoratori salariati e non salariati che hanno cessato la propria attività professionale.
[6] ll programma ha stabilito che entro il 1° novembre 2006 il Consiglio europeo, su proposta della Commissione, effettui una valutazione dei progressi realizzati e adotti le integrazioni necessarie al programma stesso (cosiddetta revisione di metà percorso). Il Consiglio europeo del 15 e 16 giugno 2006 ha rinviato la revisione di metà percorso del programma dell’Aja alla riunione del Consiglio europeo di dicembre 2006.
[7]COM(2006)331.
[8] D.P.R. 18 gennaio 2002, n. 54, Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di circolazione e soggiorno dei cittadini degli Stati membri dell’Unione europea. Si tratta di un testo unico “misto”, che raccoglie le disposizioni legislative e regolamentari contenute, rispettivamente, nel D.Lgs. 18 gennaio 2002, n. 52 e nel D.P.R. 18 gennaio 2002, n. 53.
[9] Il co. 1 dell’art. 3 recita: “1. Hanno diritto al soggiorno nel territorio della Repubblica i cittadini di uno Stato membro dell'Unione europea che:
a) desiderino stabilirsi nel medesimo per esercitarvi un'attività' autonoma;
b) appartengano alla categoria dei lavoratori ai quali si applicano le disposizioni dei regolamenti adottati dal Consiglio dei Ministri dell'Unione europea, in conformità agli articoli 39 e 40 del Trattato istitutivo della Comunità europea;
c) desiderino entrare nel territorio della Repubblica per effettuarvi una prestazione di servizi o in qualità di destinatari di una prestazione di servizi;
d) siano studenti, iscritti a un istituto riconosciuto per conseguirvi, a titolo principale, una formazione professionale, ovvero iscritti ad università o istituti universitari statali o istituti universitari liberi abilitati a rilasciare titoli aventi valore legale;
e) abbiano o meno svolto un'attività lavorativa in uno Stato membro”.
[10] Legge 8 agosto 1995, n. 335, Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare.
[11] D.Lgs. 25 luglio 1998 n. 286, Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero.
[12] Dir. 2004/38/CE del 29 aprile 2004, Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa al diritto dei cittadini dell’Unione europea e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli stati membri,che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE.
[13] Reg. (CEE) n. 1612/68, del 15 ottobre 1968, Regolamento del Consiglio relativo alla libera circolazione dei lavoratori all'interno della Comunità.
[14] Dir. 64/221/CEE del 25 febbraio 1964, Direttiva del Consiglio per il coordinamento dei provvedimenti speciali riguardanti il trasferimento e il soggiorno degli stranieri, giustificati da motivi d'ordine pubblico, di pubblica sicurezza e di sanità pubblica.
[15] Dir. 68/360/CEE del 15 ottobre 1968, Direttiva del Consiglio relativa alla soppressione delle restrizioni al trasferimento e al soggiorno dei lavoratori degli Stati membri e delle loro famiglie all'interno della Comunità.
[16] Dir. 72/194 CEE del 18 maggio 1972, Direttiva del Consiglio che estende il campo di applicazione della direttiva del 25 febbraio 1964 (64/221/CEE) per il coordinamento dei provvedimenti speciali riguardanti il trasferimento e il soggiorno degli stranieri, giustificati da motivi d'ordine pubblico, di pubblica sicurezza e di sanità pubblica, ai lavoratori che esercitano il diritto di rimanere sul territorio di uno Stato membro dopo aver occupato un impiego.
[17] Dir. 73/148/CEE del 21 maggio 1973, Direttiva del Consiglio relativa alla soppressione delle restrizioni al trasferimento e al soggiorno dei cittadini degli Stati membri all'interno della Comunità in materia di stabilimento e di prestazione di servizi.
[18] Dir. 75/34/CEE del 17 dicembre 1974, Direttiva del Consiglio relativa al diritto di un cittadino di uno Stato membro di rimanere sul territorio di un altro Stato membro dopo avervi svolto un'attività non salariata.
[19] Dir. 75/35/CEE del 17 dicembre 1974, Direttiva del Consiglio che estende il campo di applicazione della direttiva 64/221/CEE per il coordinamento dei provvedimenti speciali riguardanti il trasferimento e il soggiorno degli stranieri, giustificati da motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza e di sanità pubblica, ai cittadini di uno Stato membro che esercitano il diritto di rimanere nel territorio di un altro Stato membro dopo avervi svolto un'attività non salariata.
[20] Dir. 90/364/CEE del 28 giugno 1990, Direttiva del Consiglio relativa al diritto di soggiorno.
[21] Dir. 90/365/CEE del Consiglio del 28 giugno 1990, Direttiva relativa al diritto di soggiorno dei lavoratori salariati e non salariati che hanno cessato la loro attività professionale.
[22] Dir. 93/96/CEE del 29 ottobre 1993, Direttiva del Consiglio relativa al diritto di soggiorno degli studenti.
[23] Regolamento (CE) n. 539/2001 del Consiglio, del 15 marzo 2001, che adotta l'elenco dei paesi terzi i cui cittadini devono essere in possesso del visto all'atto dell'attraversamento delle frontiere esterne e l'elenco dei paesi terzi i cui cittadini sono esenti da tale obbligo (modificato da ultimo dal Regolamento (CE) n. 851/2005 del Consiglio, del 2 giugno 2005).
[24] L. 18 aprile 2005, n. 62, Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alla Comunità europea – Legge comunitaria 2004.
[25] L’ISTAT ha pubblicato nel maggio 2003 l’indagine multiscopo sulle famiglie “Aspetti della vita quotidiana”, nella quale ha riportato i dati raccolti nel periodo dicembre 2001 – marzo 2002. Tali dati evidenziano che nel biennio considerato le coppie non coniugate hanno raggiunto la percentuale del 3,1% (a fronte del 2,4% nel biennio 1998-1999 e del 2,0% nel biennio 1996-1997). Peraltro, dalla scomposizione del dato, emerge che nell’Italia del nord le coppie non coniugate sono circa il 4,5%.
[26] http://www.pariopportunita.gov.it/Pari_Opportunita/UserFiles/PrimoPiano/notaesplecativa.doc. La nota (a firma S. Ceccanti e A. Celotto) è pubblicata sotto la doppia intestazione “Ufficio legislativo Ministero Politiche Europee – Ufficio legislativo Ministero dei Diritti e delle Pari Opportunità”.
[27] D.P.R. 30 maggio 1989, n. 223, Approvazione del nuovo regolamento anagrafico della popolazione residente.
[28] D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82, Codice dell'amministrazione digitale.
[29] L. 16 aprile 1987, n. 183, Coordinamento delle politiche riguardanti l'appartenenza dell'Italia alle Comunità europee ed adeguamento dell'ordinamento interno agli atti normativi comunitari.