Camera dei deputati - XV Legislatura - Dossier di documentazione
(Versione per stampa)
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Autore: | Servizio Studi - Dipartimento affari comunitari | ||
Altri Autori: | Ufficio Rapporti con l'Unione Europea | ||
Titolo: | Commissione Politiche dell'Unione europea - Politiche legislative e attività istituzionale nella XIV legislatura | ||
Serie: | Documentazione e ricerche Numero: 2 Progressivo: 14 | ||
Data: | 01/05/2006 | ||
Descrittori: |
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Organi della Camera: | XIV - Politiche dell'Unione europea |
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Camera dei deputati
XV LEGISLATURA
SERVIZIO STUDI |
UFFICIO RAPPORTI CON L’UE |
Documentazione e ricerche
COMMISSIONE POLITICHE DELL’UNIONE EUROPEA
Politiche
legislative e attività istituzionale
nella XIV legislatura
n. 2/14
Maggio 2006
Il “dossier di inizio legislatura” si propone di fornire un quadro sintetico delle principali politiche e degli interventi normativi che hanno interessato nella XIV legislatura i settori di competenza delle Commissioni permanenti.
Alla redazione del dossier ha partecipato il Servizio Commissioni.
Dipartimento affari comunitari
SIWEB
Ufficio Rapporti con l’Unione europea
SIWEB
I dossier dei servizi e degli uffici della Camera sono destinati alle esigenze di documentazione interna per l'attività degli organi parlamentari e dei parlamentari. La Camera dei deputati declina ogni responsabilità per la loro eventuale utilizzazione o riproduzione per fini non consentiti dalla legge.
File: UE0001.doc
INDICE
Temi di interesse e di intervento
§ Le leggi comunitarie nella XIV legislatura
Attività della Commissione (a cura del Servizio Commissioni)
Principali politiche e interventi legislativi
L’intervento della Camera nella formazione delle politiche europee
Obblighi informativi da parte del Governo
Attività conoscitive e di indirizzo
§ Esame delle proposte di atti normativi comunitari
§ Esame dei documenti di programmazione legislativa dell’UE
§ Attività della Camera nella XIV legislatura
Rapporti e cooperazione con Istituzioni UE
§ I rapporti con le Istituzioni europee
§ La cooperazione con i Parlamenti dell’UE
§ Attività della Camera nella XIV legislatura
§ Prossimi incontri e riunioni interparlamentari in ambito UE
L’attuazione del diritto comunitario
Rapporti tra ordinamento interno e dell’Ue
Le fonti del diritto comunitario
Recepimento della normativa comunitaria
§ L’esame parlamentare del disegno di legge comunitaria
Dati sul recepimento delle direttive
§ Il tasso di recepimento delle direttive
§ I dati sulle procedure di infrazione
Leggi comunitarie nella XIV legislatura
§ La tempestività dell’approvazione delle leggi comunitarie
§ Tipologia dei contenuti delle leggi comunitarie
§ Tipologia delle fonti utilizzate per il recepimento
§ Direttive contenute nelle leggi comunitarie suddivise per allegato
Valutazione di compatibilità comunitaria
Flussi finanziari Italia-Unione Europea
§ Il sistema di finanziamento dell’Unione europea
§ La contribuzione dell’Unione europea in favore dell’Italia
§ Il Fondo di rotazione per le politiche comunitarie
§ Il fondamento costituzionale
§ Rispetto degli obblighi comunitari come limite all’ammissibilità del referendum abrogativo
§ L’incidenza della giurisprudenza costituzionale in materia comunitaria nei rapporti Stato-Regioni
§ Il Dipartimento per il coordinamento delle Politiche comunitarie
§ Il Ministero degli Affari Esteri
§ Le Conferenze Stato-regioni e Stato-città ed autonomie locali in sessione comunitaria
La Legge comunitaria per il 2005
§ Il contenuto e la struttura della legge comunitaria per il 2005
§ I dati contenuti nella relazione governativa alla legge comunitaria
§ Il disegno di legge comunitaria per il 2006
Le leggi comunitarie regionali
Indagine conoscitiva - Il futuro dell’Unione europea
Indagine conoscitiva - Rapporti commerciali tra UE e Asia
§ Atti normativi comunitari (primo pilastro)
§ Misure di politica estera e di sicurezza comune (secondo pilastro)
§ Misure di cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale (terzo pilastro)
§ Nuovi atti giuridici previsti dal Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa
§ Parte I: l’Unione europea, la sua struttura
§ Ripartizione delle competenze
§ Iniziativa legislativa popolare e trasparenza
§ Carta dei diritti fondamentali
§ Disposizioni generali e finali
§ Mancata ratifica del Trattato
§ Lo stato delle ratifiche del Trattato
§ Il dibattito sul futuro del Trattato
La Carta dei diritti fondamentali
§ Premessa
§ Struttura della Carta dei diritti
§ Titolarità dei diritti e loro attuazione
§ Carta dei diritti e Costituzione italiana
§ La Carta dei diritti nel Trattato Costituzionale europeo
§ Il Trattato di adesione di dieci nuovi Stati membri
§ Il Trattato di adesione di Bulgaria e Romania
§ Un primo bilancio dell'allargamento
Questioni all’esame delle Istituzioni dell’UE
L’allargamento e i Balcani occidentali
Prospettive finanziarie UE 2007-2013
Spazio di libertà, sicurezza e giustizia
§ Diritti fondamentali e cittadinanza dell'Unione
§ Politica in materia di asilo
§ Condivisione delle informazioni
§ Lotta alla criminalità organizzata
§ Cooperazione giudiziaria in materia penale e in materia civile
§ Condivisione di responsabilità e solidarietà tra Stati membri
§ Linee integrate per la crescita e l’occupazione
§ Relazione sui progressi nell’attuazione della strategia
§ Il Consiglio europeo di primavera 2006
§ Il Piano per l’innovazione, la crescita e l’occupazione
La proposta di direttiva Bolkestein
Sedi di cooperazione interparlamentare
Conferenza Presidenti Parlamenti dell’UE
§ Ruolo
§ Composizione e funzionamento
Nel periodo di riferimento della XIV legislatura, diversi sono stati gli eventi di rilievo relativi agli affari comunitari e dell’Unione europea, sia sul piano europeo che interno.
Per quanto riguarda il primo profilo, si ricorda l’adozione di vari Trattati che hanno, in particolare, adeguato le strutture ed i metodi decisionali delle Istituzioni europee al processo di allargamento dell’UE, attualmente in corso. In proposito, si segnalano il Trattato di Nizza (del 2000, ma ratificato in Italia nel maggio 2002), il Trattato di adesione di dieci nuovi Stati membri (2003), nonché il Trattato di adesione di Romania e Bulgaria (2005).
In tale contesto, un ruolo di primo piano svolge il Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa (2004), che riunisce tutte le disposizioni contenute nei differenti Trattati e protocolli vigenti in un unico testo, riorganizzando completamente la struttura comunitaria. Tra le principali novità, si ricordano, infatti, l’eliminazione dell’articolazione in pilastri, la semplificazione e la riorganizzazione delle fonti normative, l’inserimento della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea come parte integrante del Trattato.
In merito al profilo interno, particolarmente significativa appare poi la riforma della legge n. 86 del 1989, c.d. legge La Pergola: la legge n. 11 del 2005, infatti, ha interamente sostituito ed abrogato la legge n. 86, al fine di adeguarne i contenuti al mutato quadro costituzionale. Inoltre, è proseguita, nella XIV legislatura, la tendenza ad un’approvazione tempestiva, con cadenza annuale, delle leggi comunitarie.
Il Trattato di Nizza, firmato il 26 febbraio 2001, è stato ratificato dall’Italia con la legge 11 maggio 2002, n. 10, ed è entrato in vigore il 1° febbraio 2003. Scopo fondamentale del Trattato era quello di preparare l’Unione all’imminente allargamento (previsto originariamente per 27 Paesi, inclusi Bulgaria e Romania) introducendo gli opportuni adeguamenti istituzionali. Si voleva in sostanza evitare che l’aumento del numero degli Stati membri indebolisse la capacità decisionale ed il livello di integrazione dell’Unione.
In merito alla composizione della Commissione, è previsto che, a partire dalla Commissione nominata dopo il 1° gennaio 2005 e fino a quando gli Stati membri non raggiungeranno il numero di 27, la Commissione sia composta di un solo cittadino per ogni Stato membro. Con l’Unione a 27 membri, i commissari saranno scelti secondo un criterio di rotazione ed il loro numero sarà inferiore a quello degli Stati membri. Il Presidente, i cui poteri sono stati rafforzati, è designato dal Consiglio europeo a maggioranza qualificata (in precedenza all’unanimità) mentre viene confermata l’approvazione della designazione da parte del Parlamento europeo, che in un secondo momento approva la designazione della Commissione nel suo complesso.
Per quanto riguarda il Parlamento europeo, il numero massimo dei membri è stato elevato a 723 e, nella prospettiva di un’Unione a 27, è stato stabilito il numero di parlamentari spettanti a ciascuno Stato. L’Italia, come Francia e Regno Unito, è passata da 87 a 72 seggi.
Significative modifiche sono state apportate alla struttura ed alla competenza degli organi giurisdizionali dell’Unione. La Corte di giustizia e il Tribunale di primo grado sono composti di un giudice per ogni Stato membro. Anche per la Corte dei conti è stato confermato il criterio di un componente per ogni Stato membro ed è stata altresì modificata la procedura di nomina[1].
Modifiche estremamente delicate e controverse sono state quelle attinenti al processo decisionale dell’Unione. Per quanto riguarda le deliberazioni a maggioranza qualificata, per le quali vige un sistema di ponderazione dei voti basato sulla popolazione dei singoli Stati, è stato deciso, a partire dal 1° gennaio 2005, l’aumento del numero dei voti attribuiti a ciascuno Stato membro e la ridefinizione della soglia della maggioranza qualificata.
Quando gli Stati membri diverranno 27, tale soglia sarà del 74,78% dei voti (pari a 258 voti su 345) mentre quella attuale è del 71,26% (62 voti su 87). Una Dichiarazione allegata al Trattato prevede tuttavia un diverso meccanismo, di carattere graduale, che eleva la soglia attuale ad un massimo del 73,4%, destinato a trovare applicazione sino a quando il numero degli Stati membri sia inferiore a 27. Per la validità delle votazioni è prevista come seconda condizione che le decisioni raccolgano i voti della maggioranza degli Stati membri. E’ infine previsto un meccanismo di verifica della validità delle deliberazioni: ogni membro del Consiglio può chiedere che si accerti che la maggioranza qualificata rappresenti almeno il 62% della popolazione dell’Unione.
E’ prevista un’estensione del voto a maggioranza qualificata: 27 disposizioni passano integralmente o parzialmente dall’unanimità alla maggioranza qualificata[2] e risulta estesa anche la procedura di codecisione[3].
Significative modifiche sono state inoltre apportate alla disciplina delle cooperazioni rafforzate, tra cui si ricordano: la riduzione del numero di Stati che possono avviarle (ora fissato ad 8); la soppressione della possibilità di opporsi ad esse attraverso il c.d. veto; la previsione in alcuni casi del parere del Parlamento europeo[4]; la possibilità di instaurare cooperazioni rafforzate anche nel settore della politica estera e di sicurezza comune per la realizzazione di un’azione comune o di una posizione comune.
In materia di diritti fondamentali, viene previsto un dispositivo di tipo preventivo: su proposta di un terzo degli Stati membri, del Parlamento o della Commissione, il Consiglio, a maggioranza dei quattro quinti dei componenti e previo parere conforme del Parlamento, può constatare che esiste un rischio di violazione grave dei diritti fondamentali da parte di uno Stato membro e rivolgergli adeguate raccomandazioni. Va ricordato come a Nizza, il 7 dicembre 2000, sia stata firmata dai tre Presidenti delle istituzioni dell’Unione la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea proclamata congiuntamente dal Consiglio, dal parlamento e dalla Commissione. La Carta non è stata tuttavia integrata nei Trattati (ma vedi sul punto il paragrafo Il Trattato costituzionale).
Il Trattato di adesione all’Unione europea di Cipro, Estonia, Lettonia, Lituania, Malta, Polonia, Repubblica ceca, Repubblica slovacca, Slovenia e Ungheria è stato firmato ad Atene il 16 aprile 2003 ed è entrato in vigore il 1° maggio 2004, a seguito del deposito, avvenuto entro il 30 aprile 2004 (come prescritto dall’articolo 2 del Trattato), presso il governo italiano di tutti gli strumenti di ratifica.
L’Italia ha ratificato il Trattato con la legge 24 dicembre 2003, n. 380[5].
II Trattato è composto dal Trattato di adesione propriamente detto, i cui tre articoli riguardano le questioni attinenti la ratifica da parte degli Stati aderenti, e dall’Atto di adesione, firmato contemporaneamente al Trattato 16 aprile 2003, che forma - con i suoi allegati - parte integrante di esso e reca le condizioni di ammissione ed i conseguenti adattamenti dei Trattati sui quali è fondata l'Unione, in base a quanto previsto dall’articolo 49 del Trattato UE. Infine, è stato adottato un Atto finale, che contiene - tra l’altro - una serie di dichiarazioni, alcune comuni (su “un'unica Europa” e sulla Corte di giustizia delle Comunità europee), altre degli Stati membri attuali o dei nuovi Paesi aderenti.
La disciplina sostanziale delle modalità di adesione è, pertanto, contenuta nell’Atto di adesione, che si compone di 62 articoli, e sostanzialmente reca le norme necessarie ad adattare le disposizioni istituzionali del Trattato di Nizza (cfr. il paragrafo precedente) alla nuova dinamica del processo di allargamento (10, anziché 12, nuovi Stati), rimodulando tra l’altro le disposizioni previste nel Trattato di Nizza per adeguarle al numero inferiore di Stati aderenti.
A quest’ultimo proposito, particolare rilievo assumono le disposizioni istituzionali, contenute agli articoli 24-42, che recano disposizioni transitorie sugli aspetti istituzionali e le clausole di salvaguardia e, in particolare, l’articolo 24 rinvia ad un allegato per ciascuno Stato aderente (all. V-XIV) in cui sono indicati gli atti comunitari e le relative condizioni di applicazione.
Per quanto riguarda le modifiche relative alla composizione del Parlamento europeo, l’Atto di adesione prevede che, per le elezioni relative alla legislatura 2004-2009, a tutti gli Stati membri sia assegnato il numero dei seggi previsto dal Trattato di Nizza, aumentato del numero dei seggi non attribuiti a Bulgaria e Romania, distribuiti proporzionalmente fra tutti gli Stati membri. Rispetto alla Dichiarazione sull’allargamento, ad Ungheria e Repubblica ceca sono attribuiti due seggi in più[6].
Con l’ingresso nell’Unione europea di Bulgaria e Romania a tali Stati verrebbe attribuito il numero dei seggi loro riservati dalla Dichiarazione sull'allargamento allegata al Trattato di Nizza. Gli altri Stati membri (quelli attualmente membri dell'Unione e gli Stati aderenti) conserverebbero fino alla scadenza della legislatura 2004-2009 i seggi previsti dall’Atto di adesione. Pertanto, nel complesso della legislatura, il numero dei seggi del Parlamento europeo potrebbe risultare superiore al tetto di 732 fissato a Nizza.
A partire dalla legislatura 2009-2013 tutti gli Stati dovrebbero avere un numero di seggi corrispondente alla ripartizione prevista dalla Dichiarazione relativa all’allargamento dell’Unione europea allegata al Trattato di Nizza, con la sola correzione, già indicata, di due seggi in più per Ungheria e Repubblica Ceca, per un totale di 736 seggi[7].
In merito alla ponderazioni dei voti in sede di Consiglio dei Ministri dell’Unione europea, a partire dal 1° novembre 2004 l’Atto di adesione prevede l'entrata in vigore della nuova ponderazione dei voti prevista dal Trattato di Nizza. Il ritardato ingresso di Bulgaria e Romania comporta ovviamente una diminuzione del numero dei voti necessari per conseguire la maggioranza qualificata: rispetto alla soglia prevista a Nizza (258 voti su un totale di 345 disponibili), l’Atto di adesione fissa la maggioranza qualificata a 232 voti (su un totale di 321). Per l’adozione di un atto da parte del Consiglio saranno quindi necessari almeno 232 voti se la deliberazione è su proposta della Commissione, e 232 voti espressi da almeno due terzi degli Stati membri, negli altri casi[8].
Per quanto riguarda la composizione della Commissione europea, l’Atto di adesione conferma quanto previsto dal Trattato di Nizza[9].
Infine, l'Atto di adesione prevede l'integrazione della composizione della Corte di Giustizia, del Tribunale di primo grado e della Corte dei conti con dieci giudici ciascuno, mentre per la composizione del Comitato economico e sociale e del Comitato delle regioni, se ne prevede l’integrazione con i membri attribuiti agli Stati aderenti secondo lo schema previsto dalla Dichiarazione sull'allargamento allegata al Trattato di Nizza. Gli attuali Stati membri conservano il numero dei membri loro attribuito e la composizione dei due Comitati passa da 222 a 317 membri.
Successivamente, il 25 aprile 2005 è stato firmato il Trattato di adesione di Bulgaria e Romania, il cui ingresso nell’Unione europea è previsto per il 1° gennaio 2007. Con la firma del Trattato, la Bulgaria e la Romania sono considerati Paesi aderenti e partecipano come osservatori attivi a tutti i comitati e organi dell’UE.
Va segnalato che nel Trattato di adesione è stata inserita una clausola di salvaguardia addizionale che prevede che il Consiglio, su proposta della Commissione, possa decidere di rinviare l’adesione di un anno se non dovessero essere rispettati gli impegni assunti in materia di preparazione all’adesione, soprattutto per quanto riguarda i settori della giustizia e affari interni e della concorrenza.
Il 25 ottobre 2005 la Commissione ha pubblicato le relazione globali di verifica del grado di preparazione della Bulgaria e della Romania, le quali evidenziano che entrambi i Paesi hanno compiuto buoni progressi ma devono concentrare tutti i loro sforzi sulle riforme e sulla loro reale attuazione. La prossima revisione del processo di preparazione di Bulgaria e Romania è prevista per maggio 2006: in quella occasione potrebbe essere utilizzata la clausola di salvaguardia, nel caso in cui uno o entrambi i Paesi dovessero risultare manifestamente impreparati.
Nel quadro dell’assistenza finanziaria di preadesione, per il periodo 2004-2006 l’UE ha previsto in favore di Bulgaria e Romania un importo totale di circa 4,5 miliardi di euro, con un considerevole incremento rispetto agli anni precedenti. Per quanto riguarda in particolare il 2006, l’importo dell’assistenza di pre-adesione sarà di 545 milioni di euro per la Bulgaria e di 1.155 milioni di euro per la Romania.
Il Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa, firmato a Roma il 29 ottobre 2004, riunisce tutte le disposizioni contenute nei differenti Trattati e protocolli vigenti in un unico testo composto da:
· Preambolo;
· Parte I, che contiene le norme propriamente costituzionali, nonché le disposizioni generali per la politica estera, di sicurezza e di difesa e per lo spazio di libertà, sicurezza e giustizia;
· Parte II, che contiene la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea;
· Parte III, relativa alle politiche dell'Unione;
· Parte IV, recante le disposizioni generali e finali,
· Protocolli e dichiarazioni allegati al Trattato.
Il Trattato è stato fino ad ora ratificato da 14 Stati membri: Austria, Belgio, Cipro, Germania, Grecia, Italia, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Malta, Slovacchia, Slovenia, Spagna ed Ungheria.
A seguito dell’esito negativo dei referendum sulla ratifica del Trattato costituzionale in Francia e nei Paesi Bassi, i Capi di Stato e di governo hanno adottato, al Consiglio europeo del 16 e 17 giugno 2005, una dichiarazione che prende atto dei risultati dei referendum in Francia e nei Paesi Bassi e, pur sottolineando che tali risultati non rimettono in discussione l’interesse dei cittadini per la costruzione dell’Europa, riconosce la necessità di svolgere una riflessione comune. Si invita a promuovere in questo periodo di riflessione un ampio dibattito che coinvolga cittadini, parti sociali, Parlamenti nazionali e partiti politici.
La dichiarazione ribadisce la validità della prosecuzione dei processi di ratifica, prevedendo altresì un eventuale adeguamento del loro calendario in relazione agli sviluppi nei vari Stati membri; alcuni di questi hanno però sospeso il procedimento di ratifica. Il Consiglio europeo del 15 e 16 giugno 2006 dovrebbe procedere ad una valutazione globale dei dibattiti nazionali e decidere sul seguito del processo.
Tra le novità introdotte dal Trattato si segnala in particolare:
· l’inserimento della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000, nel testo del Trattato come sua Parte II;
· il conferimento della personalità giuridica all’Unione europea e l’eliminazione della struttura a “pilastri” (Comunità europea; politica estera e di sicurezza comune; cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale) in cui si articola attualmente l’Unione;
· la generalizzazione della procedura legislativa ordinaria, modellata sull’attuale procedura di codecisione di Parlamento europeo e Consiglio;
· l’elezione di un Presidente del Consiglio europeo con un mandato di due anni e mezzo rinnovabile, con il compito in particolare di assicurare la rappresentanza esterna dell’Unione;
· la modifica (a partire dal 2014) del numero dei membri della Commissione europea, fissato ai due terzi degli Stati membri;
· l’istituzione del Ministro per gli affari esteri dell’Unione, con il compito diguidare la politica estera e di sicurezza comune dell’Unione;
· il superamento (a partire dal 2009) dell’attuale sistema di voto ponderato, con un sistema che si fonda sul principio della doppia maggioranza del 55% degli Stati membri dell’Unione – con un minimo di 15 - che rappresentino almeno il 65% della popolazione;
· la ripartizione delle competenze tra Unione europea e Stati membri in competenze esclusive, per le quali l'Unione è l'unica a poter legiferare e adottare atti giuridicamente obbligatori; competenze concorrenti, per le quali sia l'Unione, sia gli Stati membri hanno la facoltà di legiferare; e azioni di sostegno, di coordinamento o di completamento, per le quali l’Unione può condurre azioni che completano l’azione degli Stati membri;
· la semplificazione (da quindici a sei) degli atti giuridici dell’Unione, con una distinzione tra atti legislativi, atti non legislativi ed atti esecutivi e l’introduzione del nuovo strumento dei regolamenti delegati;
· il rafforzamento del ruolo dei Parlamenti nazionali, in particolare attraverso la possibilità per ciascun Parlamento nazionale di sollevare obiezioni sulla corretta applicazione del principio di sussidiarietà in relazione alle proposte legislative della Commissione;
· l’introduzione dell’iniziativa legislativa popolare: un milione di cittadini europei, provenienti da un rilevante numero di Stati membri possono invitare la Commissione a presentare una proposta legislativa.
Nel corso della legislatura è stata approvata la legge 4 febbraio 2005, recante “Norme generali sulla partecipazione dell’Italia al processo normativo dell’Unione europea e sulle procedure di esecuzione degli obblighi comunitari”, che integralmente sostituito ed abrogato la legge “La Pergola” (legge 9 marzo 1989, n. 86). La nuova normativa ha, infatti, provveduto ad adeguare la previgente disciplina alle novità derivanti dalla riforma del Titolo V della Costituzione in ordine ai rapporti tra ordinamento interno ed ordinamento comunitario. In particolare, il provvedimento intende rafforzare la partecipazione del nostro Paese al processo normativo comunitario, sia nella fase di formazione che in quella di attuazione.
Le innovazioni attengono principalmente ai seguenti profili:
§ la partecipazione parlamentare e di Regioni, Enti locali, parti sociali alla cosiddetta fase “ascendente” della formazione del diritto comunitario;
§ l’introduzione della riserva di esame parlamentare sui progetti di atti comunitari, che il Governo può apporre in sede di Consiglio dei Ministri dell’UE;
§ la previsione di nuove modalità per il recepimento del diritto comunitario nella cosiddetta fase “discendente”.
In merito alla fase ascendente, si ricorda – oltre alle novità già indicate – l’istituzione del Comitato interministeriale per gli affari comunitari europei (CIACE), nell’ambito del quale si concordano le linee politiche del Governo per la formazione della posizione italiana nella fase di predisposizione degli atti comunitari e dell’Unione europea (articolo 2), nonché l’ampliamento del contenuto della relazione annuale sulla partecipazione dell’ Italia all’UE al Parlamento (articolo 15).
In relazione alla fase discendente, la nuova legge prevede:
· l’ampliamento del contenuto proprio della legge comunitaria;
L’articolo 9 della legge n. 11 ha confermato l’impianto delineato dalla legge La Pergola, inserendo peraltro delle novità, tra cui si segnalano: attuazione, anche mediante il conferimento al Governo di delega legislativa, di decisioni-quadro e decisioni previste dall’articolo 34 del TUE[10]; disposizioni occorrenti per dare esecuzione ai trattati internazionali conclusi nel quadro delle relazioni esterne dell’Unione europea; disposizioni che individuano i princìpi fondamentali nel rispetto dei quali le regioni esercitano la propria competenza normativa concorrente di attuazione di atti comunitari; disposizioni emanate nell’esercizio del potere sostitutivo di cui all’articolo 117, quinto comma, della Costituzione.
· l’attribuzione al Presidente del Consiglio o al Ministro per le politiche comunitarie della facoltà di proporre al Consiglio dei ministri l’adozione dei provvedimenti, anche urgenti, necessari al fine di dare attuazione ad atti normativi e sentenze degli organi comunitari (art. 10).
· la ridefinizione delle modalità di attuazione delle direttive in via regolamentare e amministrativa, circoscrivendo tale possibilità alle sole materie di potestà statale esclusiva (art. 11).
· la competenza delle regioni (articolo 16), nelle materie di propria competenza, a dare immediata attuazione alle direttive comunitarie;
· la disciplina dei poteri sostitutivi statali (artt. 11, comma 8, 13, comma 2, e 16, comma 4), in modo analogo a quanto già contenuto all’art. 1, comma 5 (o 6), delle ultime leggi comunitarie.
La legge comunitaria annuale è uno strumento normativo - introdotto per la prima volta nel 1989 con la legge “La Pergola” - volto ad assicurare il periodico adeguamento dell’ordinamento nazionale a quello comunitario. Il contenuto proprio della legge comunitaria è stato recentemente ampliato dalla legge n. 11 del 2005 – che ha interamente sostituito ed abrogato la legge n. 86 del 1989.
Nel corso della legislatura, si è andata progressivamente confermando l’evoluzione della legge comunitaria in legge di organizzazione della futura legislazione, che articola i processi di recepimento del diritto comunitario attraverso una rete di atti normativi “a cascata”, imperniati sullo strumento della delega, cui fanno seguito decreti legislativi attuativi, decreti legislativi integrativi e correttivi nonchè atti regolamentari ed amministrativi che il Governo dovrà adottare. Si ricorda, inoltre, che le leggi comunitarie più recenti hanno contenuti standardizzati, con formulazioni pressoché identiche dei primi articoli e presentano un numero minore di norme sostanziali e di principi e criteri direttivi specifici.
Si è altresì confermata, nel corso della XIV legislatura, la tendenza ad una tempestiva approvazione della legge comunitaria, anche se essa non è riuscita a collocarsi nell’anno di riferimento e solo la legge comunitaria per il 2003 è stata approvata nel corso dell’anno di riferimento.
Nella XIV legislatura sono state approvate le seguenti 5 leggi comunitarie:
§ Legge comunitaria 2001: legge 1 marzo 2002, n. 39;
§ Legge comunitaria 2002: legge 3 febbraio 2003, n. 14;
§ Legge comunitaria 2003: legge 31 ottobre 2003, n. 306;
§ Legge comunitaria 2004: legge 18 aprile 2005, n. 62;
§ Legge comunitaria 2005: legge 25 gennaio 2006, n. 29.
Le direttive di cui è stato disposto il recepimento all’interno delle leggi comunitarie approvate nella XIV legislatura[11] sono complessivamente 442, di cui 227 da recepire con decreto legislativo e 213 in via amministrativa.
Quanto alla tipologia delle fonti normative utilizzate per il recepimento nell’ordinamento italiano della normativa comunitaria, i dati mostrano:
§ un ricorso considerevole allo strumento della delega legislativa;
§ la tendenza a dare sempre più attuazione in via amministrativa;
Il numero delle direttive da recepire in via amministrativa ha spesso superato quello delle direttive da recepire con delega legislativa;
§ il ricorso molto limitato all’attuazione delle direttive in via regolamentare: l’autorizzazione all’adozione di regolamenti di delegificazione (o comunque il ricorso ad altri regolamenti governativi), abbastanza elevata nella XII legislatura, si è ridotta sempre più fino a scomparire definitivamente dal 2001 al 2004, anche a seguito della riforma del Titolo V della Costituzione[12]. La legge n. 11 del 2005 ha ridisciplinato tale modalità di recepimento in conformità con il dettato costituzionale ed infatti nella legge comunitaria per il 2005 si è previsto nuovamente il ricorso allo strumento regolamentare;
§ a partire dalla legge comunitaria 2000 si è registrato un aumento percentuale delle direttive il cui recepimento è previsto in Allegato B, quindi con decreto legislativo da sottoporre al parere parlamentare, rispetto a quelle da recepire sempre con decreto legislativo ma senza essere sottoposte al parere parlamentare (con l’esclusione dell’anno 2002). Il rafforzamento di tale canale è perseguito inoltre con l’introduzione, a partire dalla legge comunitaria per il 2004, dell’istituto del c.d. doppio parere parlamentare.
La XIV Commissione politiche dell’Unione europea, ai sensi dell’articolo 126 del Regolamento, ha competenza generale sugli aspetti ordinamentali dell’attività e dei provvedimenti delle Comunità europee e dell’attuazione degli accordi comunitari. La competenza della Commissione è compiutamente delineata dal Regolamento. Il Presidente della Camera dei deputati ha altresì precisato, con lettera circolare del 16 luglio 2001, che nella competenza della XIV Commissione è ricompresa la disciplina delle procedure di adeguamento dell’ordinamento interno alla normativa comunitaria.
L’attuale configurazione della XIV Commissione deriva da un progressivo adeguamento del Regolamento alle esigenze poste dall’evoluzione dell’integrazione europea. Si è ritenuto necessario, infatti, individuare in essa un organo che potesse contribuire a valorizzare il ruolo del Parlamento nella determinazione delle politiche europee, assicurando unitarietà nei relativi indirizzi, senza incidere sul criterio della ripartizione per materia delle competenze delle Commissioni permanenti. Si ricorda che nel corso della XIV legislatura è stata rivolta particolare attenzione alla competenza della XIV Commissione, con specifico riguardo al rapporto con la III Commissione Affari esteri e comunitari, al fine soprattutto di considerare un possibile adeguamento delle norme relative alla trasmissione, all’annuncio e all’assegnazione degli atti e dei documenti dell’Unione europea. Il Presidente della Camera dei deputati, prendendo atto dei rilievi rappresentati in questo senso dalla XIV Commissione, ne ha rinviato l’esame alla Giunta per il regolamento, pur ribadendo una sostanziale condivisione dell’attuale riparto delle competenze.
Una disciplina specifica è stabilita per l’esame del disegno di legge comunitaria dall’articolo 126-ter. L’articolo 126, comma 2, fissa invece la competenza in sede consultiva della XIV Commissione sui profili di compatibilità con la normativa comunitaria dei progetti di legge e degli schemi di atti normativi del Governo concernenti l’applicazione di atti comunitari. In considerazione del suo ruolo trasversale, poi, la XIV Commissione può esaminare proposte di atti normativi comunitari (articolo 127) ai fini dell’espressione del parere alla Commissione di competenza.
Per alcuni atti comunitari è prevista peraltro una disciplina specifica. Il Programma di lavoro della Commissione delle Comunità europee, il Programma operativo del Consiglio europeo, nonché il Programma strategico pluriennale sono infatti esaminati secondo una procedura delineata dalla Giunta per il regolamento nella pronuncia del 9 febbraio 2000, e consolidatasi proprio nel corso della XIV legislatura. Si tratta di una procedura che ricalca quella prevista dall’articolo 126-ter del Regolamento per l’esame della relazione annuale sulla partecipazione dell’Italia all’Unione europea. Si prevede, in particolare, che la XIV Commissione proceda all’esame generale dei documenti in questione, nelle forme disciplinate dall’articolo 126-bis, svolgendo altresì – nell’ambito dell’attività istruttoria ed ai sensi dell’articolo 127-ter – audizioni di rappresentanti italiani del Parlamento europeo e di membri della Commissione europea. La XIV Commissione conclude quindi il proprio esame con una relazione, da presentare all’Assemblea ai sensi dell’articolo 143, comma 1, che include anche le relazioni approvate dalle Commissioni di merito.
La XIV legislatura ha costituito l’occasione per procedere alla revisione delle modalità di formazione del disegno di legge comunitaria. La Commissione ha esaminato così in sede referente la riforma della cosiddetta legge La Pergola (legge 9 marzo 1989, n. 86), giungendo all’approvazione della legge 4 febbraio 2005, n. 11, in materia di partecipazione dell'Italia al processo normativo dell' Unione europea e sulle procedure di esecuzione degli obblighi comunitari.
L’esame dei disegni di legge comunitaria che hanno portato all’approvazione della legge comunitaria per il 2001 (legge 1° marzo 2002, n. 39), per il 2002 (legge 3 febbraio 2003, n. 14), per il 2003 (legge 31 ottobre 2003, n. 306), per il 2004 (legge 18 aprile 2005, n. 62) e per il 2005 (legge n. 29 del 25 gennaio 2006) ha rappresentato poi, anche nella passata legislatura, l’occasione per il recepimento di atti comunitari - in particolare direttive - nell’ordinamento nazionale. È stata confermata così la tendenza del legislatore a dare seguito alla normativa comunitaria con lo strumento della legge delega. È stato così, tra l’altro, nel caso dell’articolo 9 della legge n. 62 del 2005 (legge comunitaria 2004) per il recepimento della direttiva 2003/6/CE relativa all'abuso di informazioni privilegiate e alla manipolazione del mercato; dell’articolo 24 della medesima legge n. 62, recante modificazioni alla legge quadro in materia di lavori pubblici, (legge 11 febbraio 1994, n. 109); dell’articolo 25, di delega al Governo per l'attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE sulle procedure di appalto di lavori di enti erogatori di pubblici servizi. Lo stesso è avvenuto per l’articolo 22 della legge n. 29 del 2006 (legge comunitaria per il 2005), di attuazione della direttiva 2005/60/CE in materia di prevenzione dell’uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo.
L’attività della XIV Commissione è stata caratterizzata anche da un forte incremento degli atti comunitari esaminati. In particolare, proprio sul finire della legislatura, è stata data una prima attuazione all’articolo 4 della legge n. 11 del 2005 in materia di riserva di esame parlamentare. Il Governo aveva infatti sollecitato un intervento del Parlamento sulla proposta di regolamento 2005/0124(CNS) del Consiglio istitutiva l'Agenzia dell'Unione europea per i diritti fondamentali e sulla proposta di decisione del Consiglio 2005/0125(CNS) di conferimento alla medesima Agenzia di poteri e funzioni; al riguardo è stato approvato un documento adottato ai sensi dell’articolo 126-bis del Regolamento.
Particolarmente importante è stato poi lo svolgimento dell’esame della proposta di direttiva 2004/2/def., sulla liberalizzazione del mercato interno dei servizi, nota come direttiva Bolkestein. Le conclusioni cui sono pervenute la XIV e la X Commissione, che ne hanno svolto congiuntamente l’esame, hanno sostanzialmente coinciso con l’orientamento emerso nel corso dell’esame da parte del Parlamento europeo. È da sottolineare poi che, per la prima volta, all’esame di un atto comunitario si sono accompagnate audizioni di europarlamentari italiani, svolte dalle Commissioni con la partecipazione di rappresentanti del Governo. Si è inteso così dare seguito alle indicazioni del Presidente della Camera che, con la lettera del 10 ottobre 2005, ha invitato i presidenti delle Commissioni permanenti a favorire all’interno del Parlamento un confronto tra i rappresentanti italiani al Parlamento europeo e quelli del Governo, anche in vista del raggiungimento di un orientamento comune da rappresentare in sede comunitaria.
Un confronto è stato realizzato anche con i rappresentanti di regioni e enti locali. È stato infatti organizzato un seminario sui raccordi tra Parlamento nazionale e Assemblee legislative regionali in relazione alle attività dell'Unione europea svoltosi il 19 novembre del 2004. Nel corso dell’esame del Programma di lavoro della Commissione europea e del Piano d’azione del Consiglio europeo per il 2005, poi, la XIV Commissione ha svolto audizioni di rappresentanti della Conferenza delle Assemblee legislative regionale (CALRE).
La XIV legislatura ha costituito anche l’occasione per lo svolgimento dell’esame di un numero elevato di atti del Governo (120), in specie schemi di decreto legislativo, nell’esercizio dell’attività di indirizzo e controllo, ai sensi degli articoli 143, comma 4, e 126, comma 2, del Regolamento. La Commissione ha altresì svolto un cospicuo numero di sedute (313) in sede consultiva per l’espressione di pareri di competenza alle Commissioni di merito.
Si è quindi proceduto allo svolgimento di interrogazioni, interrogazioni a risposta immediata e risoluzioni, nonché all’espressione, per la prima volta, di rilievi ai sensi dell’articolo 96-ter del regolamento su atti del Governo. E’ da aggiungere lo svolgimento di un consistente numero di audizioni ex articolo 143 del Regolamento, anche congiuntamente alla III Commissione affari esteri. Va detto a questo proposito che attraverso lo svolgimento di sedute congiunte con la III Commissione in sede di comunicazioni del Governo, si è data sostanzialmente attuazione alla previsione dell’obbligo del Governo di informare gli organi parlamentari sulle questioni inserite all’ordine del giorno delle riunioni del Consiglio dei Ministri dell’Unione europea, ai sensi dell’articolo 3 della legge n. 11 del 2005.
La XIV Commissione ha quindi svolto quattro indagini conoscitive: una relativa al futuro dell’Unione europea, congiuntamente alla III Commissione esteri della Camera e alle omologhe Commissioni del Senato; un’altra, congiuntamente alla V Commissione bilancio, sulla riforma delle prospettive finanziarie, che non è peraltro giunta all’approvazione di un documento conclusivo; una terza di carattere istruttorio ai fini dell’esame dei progetti di legge sulla riforma della legge la Pergola; una, infine, sui rapporti commerciali Europa-Asia.
Dai dati indicati nei paragrafi precedenti emerge che l’esame del disegno di legge comunitaria e degli atti comunitari ha costituito la principale sede di confronto tra Governo e Parlamento sulle tematiche comunitarie. Si è visto inoltre che, a partire dalla XIV legislatura, a seguito della lettera del Presidente della Camera del 16 luglio 2001, la Commissione ha acquisito competenza in relazione ai progetti di legge di riforma delle procedure di esame del disegno di legge comunitaria, ampliando le proprie funzioni rispetto al passato. È da ricordare, proprio in questo senso, l’approvazione della citata legge n. 11 del 2005.
L’articolo 9 della legge n. 11 del 2005, in particolare, ha ridefinito il contenuto proprio della legge comunitaria. La predisposizione del disegno di legge comunitaria da parte del Governo rappresenterà, secondo la nuova disciplina, anche l’occasione del coinvolgimento di rappresentanti di regioni, province autonome, enti locali, parti sociali e categorie produttive.
La Commissione, incrementando in maniera significativa il numero di proposte di atti comunitari esaminati, ha d’altra parte spesso avuto modo di indicare al Governo anche le linee di indirizzo da seguire nella fase ascendente di formazione degli atti comunitari. Si tratta anche in questo caso di una funzione che potrà ulteriormente svilupparsi nel corso della prossima legislatura.
Sul versante esterno, infine, la XIV Commissione ha sviluppato una serie di rapporti significativi con istituzioni parlamentari europee, in coerenza con il proprio ruolo di Commissione a competenza orizzontale sulle politiche dell’Unione europea. È stata confermata anche la sua partecipazione alle riunioni periodiche della COSAC, la Conferenza delle Commissioni specializzate sugli affari comunitari. La funzione della Conferenza rimane principalmente quella di confronto tra le diverse delegazioni sulle tematiche legislative europee.
La partecipazione della Camera alla formazione delle politiche europee si esplica attraverso:
• gli obblighi di informazione da parte del Governo;
• le attività conoscitive, di indirizzo e controllo, tra cui anche:
- l’esame delle proposte di atti normativi comunitari;
- l’esame dei documenti di programmazione legislativa dell’Unione europea;
• i rapporti con le istituzioni europee e la cooperazione tra i parlamenti
dell’Unione europea
Una forma particolare di intervento dei Parlamenti nazionali nel processo decisionale europeo è stata individuata per l’elaborazione del progetto di Trattato costituzionale (e prima per l’elaborazione della Carta dei diritti fondamentali dell’UE); per l’occasione è stato costituito, infatti, un organismo specifico, denominato Convenzione, composto da rappresentanti dei Parlamenti nazionali degli Stati membri dell’UE, dei Capi di Stato e di Governo, del Parlamento europeo e della Commissione europea. La Convenzione per l’elaborazione del Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa ha tenuto la sua seduta inaugurale il 28 febbraio 2002 ed ha terminato i suoi lavori il 10 luglio 2003; il nuovo Trattato istituzionalizzerebbe l’intervento di una Convenzione nel procedimento di revisione dei Trattati.
Il Trattato costituzionale è stato fino ad ora ratificato da 14 Stati membri, tra cui l'Italia (legge 7 aprile 2005, n. 57), e respinto in seguito a referendum popolari in Francia e nei Paesi Bassi.
Il Governo entro il 31 gennaio di ogni anno presenta al Parlamento una relazione annuale sulla partecipazione dell’Italia al processo normativo dell’Unione europea, in cui sono illustrate, a consuntivo, le attività svolte e, in via preventiva, gli orientamenti che il Governo intende assumere per l’anno in corso.
Come il disegno di legge comunitaria, la relazione è esaminata da tutte le Commissioni per i profili di rispettiva competenza, dalla Commissione Politiche dell’UE, che riferisce all’Assemblea, e dall’Assemblea, che, di norma, approva una risoluzione contenente indicazioni al Governo sulle principali questioni all’esame delle istituzioni europee.
Il Governo è inoltre obbligato a trasmettere alle Camere contestualmente alla loro ricezione tutti i progetti di atti normativi e di indirizzo adottati dalle istituzioni europee, le eventuali modifiche, nonché gli atti preparatori (atti a carattere conoscitivo, consultivo e di indirizzo come comunicazioni, piani d’azione e libri bianchi e verdi), con l’indicazione della data presumibile in cui saranno discussi.
Ai sensi dell’articolo 3 della legge n. 11 del 2005 – che rafforza le procedure per la partecipazione anche del Parlamento al processo di formazione della normativa comunitaria - il Governo deve, in via preventiva, informare i competenti organi parlamentari sulle proposte all’ordine del giorno delle riunioni del Consiglio dei ministri dell’UE e riferire alle Camere sulla posizione che intende assumere in occasione delle riunioni del Consiglio europeo (v. scheda La legge n. 11 del 2005; in via consuntiva, deve riferire ogni sei mesi sui temi di maggiore interesse discussi in ambito comunitario e informare gli organi parlamentari dei risultati delle riunioni del Consiglio dei ministri dell’Unione europea e del Consiglio europeo.
Le Commissioni parlamentari possono utilizzare nelle materie europee tutti gli ordinari strumenti conoscitivi, di indirizzo e controllo previsti dal Regolamento (audizioni, indagini conoscitive, interrogazioni ed interpellanze, risoluzioni e mozioni).
Vi sono, inoltre, norme specificamente dedicate all’informazione della Camera sulle attività delle istituzioni dell’Unione europea:
- la Commissione politiche dell’Unione europea e le Commissioni permanenti possono disporre, in relazione alle materie all’ordine del giorno del Consiglio, lo svolgimento di un dibattito con l’intervento del Ministro competente;
- tutte le Commissioni possono inoltre invitare membri del Parlamento europeo a fornire informazioni sugli aspetti attinenti alle attribuzioni e all’attività delle istituzioni dell’Unione europea, ed invitare altresì componenti della Commissione europea a fornire informazioni in ordine alle politiche dell’Unione;
- le risoluzioni del Parlamento europeo, i cui testi siano stati formalmente trasmessi alla Camera, sono deferite alle Commissioni competenti per materia e, per il parere, alla Commissione politiche dell’Unione europea. Le Commissioni possono aprire sul documento un dibattito, che può concludersi con l’approvazione di una risoluzione;
- le sentenze della Corte di giustizia delle Comunità europee possono essere esaminate dalle Commissioni, che possono esprimere in un documento finale il proprio avviso sulla necessità di eventuali iniziative.
Nel corso della XIV legislatura è stata inoltre sperimentata la prassi di procedere, sui grandi temi delle politiche europee, ad audizioni di europarlamentari italiani a cui sono invitati a partecipare membri del Governo. L’obiettivo è quello di contribuire - attraverso uno scambio di informazioni e opinioni tra i vari soggetti che in modo diverso intervengono, direttamente o indirettamente, nel processo decisionale dell’Unione europea - a rafforzare l’azione dell’Italia nelle diverse sedi di tale processo, favorendo anche l’emergere di comuni interessi nazionali.
Gli atti ed i progetti di atti normativi adottati dal Consiglio o dalla Commissione europea, nonché gli atti preparatori, trasmessi dal Governo o pubblicati sulla Gazzetta ufficiale delle Comunità europee, sono deferiti per l’esame alla Commissione parlamentare competente per materia e per il parere alla Commissione politiche dell’Unione europea. A tal fine, gli organi parlamentari possono richiedere al Governo una relazione tecnica che dia conto dello stato dei negoziati, delle eventuali osservazioni espresse da soggetti già consultati nonché dell’impatto sull’ordinamento, sull’organizzazione delle amministrazioni pubbliche e sull’attività dei cittadini e delle imprese.
Le Commissioni competenti possono formulare osservazioni e adottare ogni opportuno atto di indirizzo al Governo.
Inoltre, il regolamento della Camera prevede che nella predisposizione del programma e del calendario ciascuna Commissione parlamentare debba garantire il “tempestivo esame” degli atti comunitari e dei progetti normativi comunitari assegnati alle Commissioni parlamentari.
La legge n. 11 del 2005 (v. scheda La legge n. 11 del 2005) ha introdotto un istituto nuovo nell’ordinamento italiano: la riserva di esame parlamentare dei progetti di atti comunitari e dell’Unione europea. Essa può essere attivata su iniziativa di una delle Camere o del Governo e si può applicare ad ogni progetto di atto su cui vige obbligo di trasmissione alle Camere da parte del Governo.
La legge n. 11 del 2005 prevede che, qualora le Camere abbiano iniziato l’esame di progetti di atti comunitari e dell’Unione europea trasmessi dal Governo, questo possa procedere alle attività di propria competenza per la formazione dei relativi atti soltanto a conclusione dell’esame parlamentare, apponendo in sede di Consiglio dei Ministri dell’Unione europea la riserva d’esame parlamentare. In casi di particolare importanza di progetti o atti all’esame del Consiglio dei Ministri dell’Unione europea, il Governo può apporre (di propria iniziativa) in sede di Consiglio una riserva d’esame parlamentare sul testo o su una o più parti di esso, inviando alle Camere il testo sottoposto a decisione affinché su di esso si esprimano i competenti organi parlamentari. In entrambi i casi, decorso il termine di venti giorni dalla comunicazione alle Camere dell’apposizione della riserva d’esame parlamentare in sede di Consiglio dei Ministri dell’Unione europea, il Governo può procedere alle attività dirette alla formazione dei relativi atti comunitari e dell’Unione europea anche in mancanza della pronuncia parlamentare.
Il programma legislativo della Commissione espone le priorità politiche e individua le iniziative legislative (che spettano esclusivamente alla Commissione, tranne in alcuni settori),nonché quelle relative ad atti esecutivi e agli altri atti che la Commissione intende adottare al fine di realizzare tali priorità.
Il programma è definito a conclusione di una complessa procedurache ha inizio nel mese di marzo con la presentazione da parte della Commissione della strategia politica annuale. A partire dalla strategia, sulla base di un dialogo interistituzionale con Parlamento europeo e Consiglio, la Commissione europea elabora il programma legislativo per l’anno successivo, che di norma è presentato nel mese di novembre.
L’attività di programmazione legislativa della Commissione europea viene esaminata dal Parlamento europeo in tutte le sue fasi, coinvolgendo vari organi parlamentari, secondo un preciso scadenzario. Al termine dell’esame annuale, il Parlamento esprime i propri indirizzi e indica le proprie priorità politiche in una risoluzione esaminata nel corso della sessione plenaria di dicembre.
Anche a livello di Consiglio europeo e di Consiglio dell'Unione europea – la cui Presidenza ruota ogni sei mesi tra gli Stati membri, secondo un ordine prestabilito - esistono strumenti di programmazione legislativa.
Il Consiglio europeo adotta un programma strategico pluriennale per i tre anni successivi (il primo programma strategico è stato adottato nel dicembre 2003, il prossimo sarà adottato nel dicembre 2006). Il programma strategico pluriennale è adottato sulla base di una proposta congiunta elaborata dalle Presidenze di turno interessate per il periodo di riferimento, in consultazione con la Commissione e su raccomandazione del Consiglio Affari generali.
Alla luce del programma strategico pluriennale, ogni anno a dicembre le due Presidenze in carica per l’anno successivo presentano un programma operativo annuale delle attività del Consiglio, cheviene esaminato dal Consiglio Affari generali.
La programmazione a livello legislativo europeo si avvale, inoltre, delle priorità che ciascuna Presidenza presenta all'inizio del suo turno di Presidenza del Consiglio dei ministri dell'Unione europea. Le priorità vengono formalmente presentate al Parlamento europeo, all’inizio di ciascuna Presidenza (nei mesi di gennaio e luglio) e su di esse il Parlamento svolge un dibattito.
A partire dal 2000 - sulla base di una pronuncia della Giunta per il regolamento – la Camera dei deputati ha attivato una sua procedura per l’esame delprogramma di lavoro e legislativo della Commissione europea e dei programmi annuale e pluriennale del Consiglio.
La procedura prevede:
- l’esame da parte di tutte le Commissioni permanenti (per i profili ricadenti nell’ambito delle rispettive competenze), che nominano un relatore incaricato di riferire alla XIV Commissione politiche dell’Unione europea;
- l’esame generale da parte della XIV Commissione (anche con l’audizione degli europarlamentari italiani), che presenta una relazione all’Assemblea;
- la discussione in Assemblea, che può concludersi con l'approvazione di atti di indirizzo al Governo.
Nel 2001 lo scioglimento delle Camere non ha consentito l’attivazione della procedura; così è avvenuto anche nel 2002, in conseguenza delle modifiche in corso di definizione in sede europea circa metodo e tempi di elaborazione del documento. La procedura ha poi avuto luogo nel 2003, nel 2004 e nel 2005.
Il programma di lavoro per il 2006 ruota intorno ai quattro obiettivi strategici stabiliti dalla Commissione Barroso all'inizio del mandato: prosperità, solidarietà, sicurezza e responsabilità esterna.
Sulla base di una proposta avanzata al termine dei lavori della Convenzione incaricata di redigere un progetto di Trattato costituzionale e poi ripresa sia dalla COSAC (v. scheda La COSAC) che dalla Conferenza dei Presidenti dei parlamenti dell’Unione europea (v. scheda Conferenza Presidenti Parlamenti dell’UE), l’attuale Presidenza danese della Conferenza ha promosso un primo esperimento di esame contemporaneo da parte dei Parlamenti nazionali del programma legislativo della Commissione europea. Tale esame contemporaneo è avvenuto nel periodo compreso tra il 15 novembre e il 16 dicembre 2005.
La proposta di un esame sistematico ed eventualmente contemporaneo da parte dei parlamenti nazionali del programma di lavoro della Commissione è stata avanzata dal Presidente della Camera dei deputati già alla Conferenza straordinaria dei Presidenti dei Parlamento dell’UE che si è svolta a Vienna nel 1998. Tale proposta è stata poi ripresa, oltre che dalla delegazione italiana in sede COSAC, ancora dal Presidente della Camera alla Conferenza dei Presidenti di Atene nel 2003, e riproposta nelle Conferenze successive, insistendo in particolare sulla contemporaneità dell’esame nei parlamenti nazionali.
Di seguito è riportata la rappresentazione grafica delle sedute degli organi della Camera dedicate alle attività conoscitive, di indirizzo e controllo nelle questioni di rilievo europeo nel corso della XIV legislatura. Tali attività comprendono audizioni, indagini conoscitive, esame di documenti e di proposte di atti dell’UE, dei documenti relativi al programma legislativo dell’UE, della relazione sulla partecipazione dell’Italia all’UE.
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I Affari costituzionali – II Giustizia – III Affari esteri – IV Difesa – V Bilancio – VI Finanze – VII Cultura – VIII Ambiente – IX Trasporti – X Attività produttive – XI Lavoro – XII Affari sociali – XIII Agricoltura – XIV Politiche UE – Commissioni bicamerali - Assemblea
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Citando solo alcuni dei temi di rilievo trattati nel corso della XIV legislatura, le audizioni hanno avuto ad oggetto le missioni internazionali, l’allargamento dell’UE, le riunioni del Consiglio europeo, il programma di lavoro della Commissione e il programma operativo del Consiglio, il processo di integrazione finanziaria a livello europeo, l’energia, la concorrenza, la strategia di Lisbona (v. scheda Strategia di Lisbona); le indagini conoscitive hanno tra l’altro riguardato il futuro dell’Unione europea (v. scheda Indagine conoscitiva- Il futuro dell’UE), l’utilizzo dei fondi strutturali comunitari nel periodo 1994-1999 (v. scheda Indagine conoscitiva: fondi 1994- 1999), i problemi connessi all’introduzione dell’euro, le prospettive finanziarie dell’UE (v. scheda Prospettive finanziarie UE 2007-2013) e le politiche di coesione, le prospettive della politica agricola nazionale di fronte ai processi di allargamento dell’Unione europea, il processo di formazione e attuazione delle politiche dell’Unione europea; risoluzioni di carattere generale sono state approvate a conclusione dell’esame del programma di lavoro della Commissione e di quello operativo del Consiglio, e al termine dell’esame della relazione governativa sulla partecipazione dell’Italia all’UE, con indicazioni su numerosi temi della politica europea; mozioni e risoluzioni hanno trattato, tra l’altro, la politica europea dell’Organizzazione mondiale del commercio, il sistema delle denominazioni d’origine protetta (DOP), l’IVA ridotta, i cambiamenti climatici, l’Autorità alimentare europea, il settore tessile.
Le sedute di commissione (più di 60) formalmente dedicate all’esame (ai sensi dell’art. 127, comma 1, del Regolamento) di proposte di atti comunitari hanno riguardato: la proposta di regolamento sui principi della legislazione alimentare e l’istituzione dell’Autorità europea degli alimenti (COM(2000)716), la proposta di regolamento sullo statuto e il finanziamento dei partiti politici europei (COM(2000)898), la proposta di regolamento sulla classificazione delle unità territoriali per le statistiche NUTS (COM(2001)83), la proposta di direttiva sui servizi nel mercato interno (COM(2004)2) (v. scheda Proposta di direttiva Bolkestein), il progetto di decisione quadro del Consiglio sul reciproco riconoscimento delle decisioni di confisca (10027/04, COPEN 69), il progetto di decisione sulla revisione dell’Atto elettorale del 1976 sulle modalità di elezione del Parlamento europeo, la proposta di regolamento sull’Agenzia dell’UE per i diritti fondamentali (2005/0125(CNS)COM(2005).
Molte altre iniziative legislative o politiche dell’Ue sono state esaminate ricorrendo ad altri strumenti procedurali rispetto a quelli prima citati: ad esempio, la proposta di decisione sulle prospettive finanziarie e le connesse riforme dei fondi strutturali sono state oggetto di una indagine conoscitiva e di specifici indirizzi formulati dalla Camera nell’ambito di risoluzioni di carattere generale.
Per quanto riguarda più specificamente l’attività della XIV Commissione, si rinvia al capitolo Attività non legislative.
Le occasioni di incontro tra organi della Camera e rappresentanti delle Istituzioni europee e dei Parlamenti dell’Unione europea costituiscono strumenti conoscitivi di grande rilevanza nell’attività parlamentare in materia di politiche europee.
Fra le principali forme di relazione degli organi della Camera con le Istituzioni europee figurano:
- gli incontri con il Presidente o con i membri della Commissione europea di volta in volta competenti, sia presso la Camera sotto forma di audizioni nelle Commissioni, sia presso le sedi europee;
- gli incontri tra rappresentanti di altre Istituzioni europee e delegazioni delle Commissioni o di altri organi della Camera;
- gli incontri con gli europarlamentari, in particolare con quelli italiani, svolti sia in base alla norma regolamentare che consente a tutte le Commissioni di procedere alle audizioni di membri del Parlamento europeo, sia mediante missioni effettuate presso le sedi del Parlamento europeo. In più occasioni, sia da parte di organi della Camera, sia da parte di membri italiani del Parlamento europeo, è stata sottolineata l’esigenza di intensificare e rendere sistematiche le iniziative di incontro e confronto sulle politiche dell’Unione europea per rafforzare e coordinare l’attività svolta rispettivamente nelle sedi parlamentari nazionali e in quelle europee.
Particolare rilievo assumono, in questo ambito, le audizioni effettuate in occasione dell’esame alla Camera del programma legislativo annuale della Commissione europea.
Le attività di cooperazione tra i Parlamenti costituiscono importanti occasioni di scambio di informazioni ed esperienze in relazione alle diverse politiche europee e contribuiscono alla formazione di orientamenti comuni nel processo di costruzione dell’ordinamento europeo. Esse hanno assunto negli ultimi tempi una grande rilevanza, come via per realizzare una sorta di rete tra i Parlamenti, sulla base del comune interesse a rafforzare il ruolo delle Assemblee rappresentative nell’Unione europea e ad assicurare un maggior coinvolgimento dei cittadini.
Le attività di cooperazione si articolano in diverse sedi; alcune si svolgono regolarmente con periodicità annuale e semestrale, altre dipendono dall’iniziativa di uno dei parlamenti coinvolti, in relazione a materie o questioni di particolare interesse. In particolare:
- la Conferenza dei Presidenti dei Parlamenti dell’Unione europea, composta dai Presidenti delle Assemblee parlamentari degli Stati membri dell’Unione e del Parlamento europeo. Essa si riunisce annualmente su invito del Presidente del Parlamento ospitante, a cui spetta la Presidenza, ed esercita forme di coordinamento della cooperazione parlamentare in ambito UE; può costituire gruppi di lavoro per preparare l’esame di questioni complesse (v. scheda Conferenza Presidenti Parlamenti dell'UE);
- la COSAC, Conferenza degli organismi specializzati negli affari comunitari ed europei dei parlamenti dell’Unione europea, che si riunisce in via ordinaria ogni sei mesi presso il Parlamento che detiene la presidenza del Consiglio dell’Unione europea. Il ruolo della COSAC è formalmente riconosciuto dal protocollo sui parlamenti nazionali allegato al Trattato di Amsterdam (v. scheda La COSAC).
- le riunioni fra i rappresentanti delle omologhe commissioni del Parlamento europeo e dei Parlamenti nazionali. Tali iniziative sono promosse in genere dal Parlamento europeo o dal Parlamento dello Stato membro che esercita il turno di Presidenza dell’Unione europea o, eventualmente, da altri Parlamenti.
A livello amministrativo, la cooperazione interparlamentare in ambito UE si esplica attraverso la rete dei funzionari di collegamento, che operano presso le strutture competenti per gli affari europei dei Parlamenti nazionali, e dei rappresentanti permanenti che operano presso le sedi delle istituzioni europee in rappresentanza delle singole Assemblee parlamentari.
La cooperazione amministrativa si è molto sviluppata negli ultimi anni sia sul piano dell’attività istruttoria della Conferenza dei Presidenti o della COSAC, sia sul piano di specifici progetti comuni come l’IPEX (Interparliamentary EU information exchange), un progetto inteso a favorire lo scambio elettronico di informazioni in materia europea tra tutti i Parlamenti dell’UE (Parlamenti nazionali e Parlamento europeo).
I grafici che seguono evidenziano la partecipazione degli organi della Camera ad incontri con rappresentanti delle istituzioni europee, alle iniziative di raccordo tra i parlamenti dell’UE, nonché le attività relative alla cooperazione amministrativa nel corso della XIV legislatura.
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I Affari costituzionali – II Giustizia – III Affari esteri – IV Difesa – V Bilancio – VI Finanze – VII Cultura – VIII Ambiente – IX Trasporti – X Attività produttive – XI Lavoro – XII Affari sociali – XIII Agricoltura – XIV Politiche UE
Pres. Presidenza – Conv. Convenzione –Com. Bic.- Commissioni bicamerali:
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Di seguito si riporta un elenco delle riunioni interparlamentari in programma per il periodo maggio-dicembre 2006 nell’ambito dell’Unione europea.
Oltre alle riunioni che si svolgono con cadenza periodica, in sedi strutturate come la Conferenza dei Presidenti dei parlamenti dell’UE o la COSAC, è previsto lo svolgimento di una serie di riunioni delle commissioni di settore dei Parlamenti dell’UE (finanze, ambiente, affari esteri, difesa, agricoltura e pari opportunità), promosse dai Parlamenti di Austria e Finlandia, Stati membri che detengono la Presidenza del Consiglio dell’Unione europea, rispettivamente nel primo e nel secondo semestre 2006.
Nell’ambito del periodo di riflessione aperto dal Consiglio europeo a seguito dei referendum francese e olandese che hanno respinto il Trattato costituzionale, è stata promossa una iniziativa parlamentare di particolare rilievo: una riunione interparlamentare sul futuro dell’Europa, che ha avuto luogo l’8 e il 9 maggio a Bruxelles. La riunione, che è stata co-presieduta dal Parlamento europeo e dal Parlamento austriaco, è intesa a favorire uno scambio di opinioni tra i parlamenti dell’UE sui grandi temi relativi al futuro dell’Europa (v. scheda Il Trattato costituzionale).
22-23 maggio, Vienna |
XXXV COSAC |
29 maggio, Vienna |
Riunione dei Presidenti delle Commissioni Finanze |
30 maggio, Bruxelles |
Riunione della Commissione esteri e difesa del PE con le corrispondenti Commissioni dei parlamenti nazionali |
16 giugno, Vienna |
Riunione dei Presidenti delle Commissioni Ambiente |
21 giugno, Bruxelles |
Riunione della Commissione per i bilanci del PE con le corrispondenti Commissioni dei parlamenti nazionali |
29 giugno–2 luglio, Copenhagen |
Conferenza dei Presidenti dei parlamenti dell’UE |
11 settembre, Helsinki |
Riunione dei Presidenti e della Troika COSAC |
25-26 settembre, Parigi |
Conferenza parlamentare sulla sicurezza stradale |
28–29 settembre, Helsinki |
Riunione delle Commissioni esteri e per la cooperazione allo sviluppo |
12-13 ottobre, Helsinki |
Riunione delle Commissioni Agricoltura |
20 ottobre, Helsinki |
Riunione delle Commissioni Difesa |
31 ottobre-1 novembre, Helsinki |
Riunione delle Commissioni per le pari opportunità |
20 -21 novembre, Helsinki |
XXXVI COSAC |
La questione del rapporto tra ordinamento interno e comunitario è stata a lungo dibattuta dalla dottrina ed affrontata in numerose sentenze dalla giurisprudenza costituzionale e comunitaria (v. scheda Giurisprudenza costituzionale).
Se la questione della costituzionalità della legge di ratifica dei Trattati comunitari è stata risolta da tempo in sede dottrinale facendo ricorso all’articolo 11 della Costituzione, di più difficile soluzione è stata la questione dei rapporti tra il diritto interno e il c.d. “diritto derivato” comunitario (cioè tutte le norme comunitarie poste in essere dalle istituzioni comunitarie in attuazione dei Trattati).
A fronte della mancata introduzione di una disciplina di rango costituzionale in materia (anche se ora, a seguito della riforma costituzionale del 2001, l’art. 117, I comma, Cost., contiene un esplicito riconoscimento al riguardo, su cui si veda infra), la giurisprudenza della Corte di giustizia delle Comunità europee e la giurisprudenza della Corte Costituzionale italiana hanno scandito le fasi che contraddistinguono l’intersecarsi dei rapporti tra l’ordinamento comunitario e l’ordinamento nazionale (v. scheda Titolo V e norme di attuazione nel dossier n. 2/1 relativo alla I Commissione (Affari costituzionali).
In sintesi, dopo numerose pronunce, è stata affermata la prevalenza del diritto comunitario sul diritto interno, in virtù della “distinzione e nello stesso tempo del coordinamento” tra i due ordinamenti (Corte Cost. sent. n. 170 del 1984). Tale prevalenza comporta da un lato la diretta applicazione delle norme comunitarie, dall’altro la “non applicazione” da parte del giudice nazionale e degli organi amministrativi (per questi ultimi sent. n. 389 del 1989) delle norme interne contrastanti con l’ordinamento comunitario.
Nell’ambito dei rapporti tra i due ordinamenti, notevole rilievo ha anche la questione della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, dal momento che essa ha individuato una serie di diritti che non coincidono completamente con quelli tutelati dalla nostra Carta costituzionale e, viceversa, la Costituzione italiana garantisce alcuni profili non presenti nella Carta europea. È vero che al momento la Carta dei diritti non contiene, in quanto tale, disposizioni giuridicamente vincolanti ed ha un valore più politico che giuridico, ma essa fornisce comunque, quantomeno quale fonte di cognizione, indicazioni sui diritti fondamentali garantiti dall'ordinamento comunitario (v. scheda La Carta dei diritti fondamentali).
Infine, si ricorda che - nell’ambito dei rapporti tra i due ordinamenti - riveste notevole interesse il Protocollo sull’applicazione dei principi di sussidiarietà e proporzionalità, aggiunto dal Trattato di Amsterdam al Trattato istitutivo della Comunità europea ed ora ampliato ed allegato al Trattato che adotta un Costituzione per l’Europa (v. scheda Il Trattato costituzionale). In tale protocollo si precisa che l'applicazione dei fondamentali principi di sussidiarietà e proporzionalità (sanciti dall’articolo 5 del Trattato istitutivo) non deve ledere i principi elaborati dalla Corte di giustizia relativamente al rapporto fra diritto nazionale e diritto comunitario. Egualmente meritevole di attenzione, ai nostri fini, è il Protocollo sul ruolo dei Parlamenti nazionali (anch’esso introdotto dal Trattato di Amsterdam ed ora ampliato ed allegato al Trattato che adotta un Costituzione per l’Europa), che ha delineato uno stabile e costante flusso informativo tra Istituzioni comunitarie e nazionali, prevedendo tra l’altro la comunicazione di tutti i documenti di consultazione e delle proposte legislative comunitarie ai Governi degli Stati membri affinché i Parlamenti possano riceverle tempestivamente.
In ogni caso, la modifica del Titolo V della Costituzione, operata dalla legge cost. n. 3 del 2001, ha parzialmente inciso anche sulla questione dei rapporti con l’ordinamento dell’UE (v. scheda Titolo V e norme di attuazione nel dossier n. 2/1 relativo alla I Commissione (Affari costituzionali). Si ricorda, infatti, che:
- il primo comma dell’art. 117 Cost. stabilisce che la potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione e dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario;
- rientra nella potestà legislativa esclusiva dello Stato la competenza in merito ai rapporti con l’Unione europea (art. 117, secondo comma);
- viene inserita nell’ambito della competenza legislativa concorrente la materia relativa ai rapporti delle Regioni con l’Unione europea (art. 117, terzo comma);
- le Regioni e le Province autonome, nelle materie di loro competenza, sono chiamate sia a partecipare alle decisioni per la formazione degli atti comunitari sia all’attuazione dei medesimi, nel rispetto delle norme procedurali stabilite da leggi statali, che disciplinano altresì il potere sostitutivo (art. 117, quinto comma);
- l’articolo 117, sesto comma, circoscrive il potere regolamentare statale alle sole materie di competenza esclusiva;
- l’articolo 120, secondo comma, attribuisce al Governo poteri sostitutivi da esercitare, tra l’altro, in caso di mancato rispetto della normativa comunitaria.
Da tale quadro discendono conseguenze rilevanti in relazione ai rapporti tra ordinamento nazionale e comunitario. Infatti, viene espressamente stabilito che la legislazione nazionale e regionale deve svolgersi nel rispetto degli obblighi comunitari. Tale statuizione appare particolarmente significativa, dal momento che contiene l’esplicito riconoscimento della supremazia del diritto comunitario, attribuendo un fondamento specifico ai vincoli verso l’ordinamento comunitario, già comunque presenti ed inquadrati in via giurisprudenziale e dottrinaria (D’ATENA, ANZON). Come già indicato, infatti, il riconoscimento della prevalenza del diritto comunitario era stata già ricavata in via interpretativa dall’art. 11 Cost., che consente limitazioni della sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia tra le Nazioni.
Peraltro, secondo una parte della dottrina le nuove norme fanno dell'Unione europea e delle fonti da essa prodotte anche un elemento di unificazione dell'ordinamento complessivo e che in precedenza poteva verificarsi solo attraverso l'interposizione della legge nazionale: “di qui la necessità di prendere atto che nel nuovo sistema conseguente alla riforma costituzionale, ai vincoli comunitari è riconosciuto appunto un effetto di unificazione (ed eventualmente di uniformizzazione) di tale rilevanza da andare probabilmente molto oltre la logica dell'integrazione fra l'ordinamento comunitario e quello nazionale. Oggi non è più sufficiente affermare che la logica antica della separazione dell'ordinamento italiano rispetto a quello comunitario ha ormai definitivamente e formalmente ceduto all'opposta logica dell'integrazione fra gli ordinamenti” (PIZZETTI). Del resto, la disposizione costituzionale fa riferimento, non ad obblighi, ma direttamente all'ordinamento comunitario, cosa che implica una generale soggezione del nostro al sistema comunitario. La formula utilizzata, pertanto, sembra comportare l'accettazione di un acquis communautaire, che determina specifici effetti quali la diretta applicabilità di alcune fonti comunitarie, la soggezione degli interpreti alle pronunce della Corte di giustizia, l'idoneità delle fonti comunitarie a derogare a norme costituzionali, con il limite dei principi supremi (SORRENTINO). In questa direzione sembra ormai avviata anche la Corte costituzionale che, in una recente pronuncia (sentenza n. 406 del 2005), appare orientata a considerare in un’ottica unitaria l’ordinamento interno e quello comunitario (v. scheda Giurisprudenza costituzionale)
La riforma ha altresì espressamente definito in Costituzione il ruolo delle regioni e delle province autonome, sia in sede di partecipazione alla formazione delle decisioni e degli atti comunitari, sia in sede di attuazione degli stessi, anche se si tratta sostanzialmente di una costituzionalizzazione dell’esistente.
Il mutato contesto costituzionale ha determinato, inoltre, specifici effetti in ordine all’attuazione della normativa comunitaria, in quanto:
§ aumentano le competenze legislative regionali (esclusive e concorrenti), sottraendo ambiti materiali all’intervento statale, anche di recepimento di norme UE;
§ viene escluso l’intervento regolamentare (anche di attuazione della normativa comunitaria) nelle materie di competenza legislativa concorrente e residuale delle regioni;
§ viene costituzionalizzato l’istituto dei poteri sostitutivi per inadempimento di norme comunitarie.
In ogni caso, la costituzionalizzazione in tal modo operata non appare scevra di conseguenze. In primo luogo, certe scelte (quali, ad esempio, la scelta di coinvolgere le Regioni nella fase ascendente dei processi comunitari di decisione e in quelli di attuazione del diritto UE) in precedenza consentite, ma non imposte dalla disciplina costituzionale, potevano essere legittimamente revocate dal legislatore ordinario, mentre adesso vengono sottratte alla sua disponibilità e s'impongono al rispetto del Parlamento. Inoltre, la costituzionalizzazione ha dotato di un fondamento costituzionale scelte legislative originariamente contrastanti o non del tutto in linea con la Costituzione (si pensi al caso del potere statale sostitutivo) (D’ATENA). Al fine di dare seguito alle novità così introdotte sul versante dei rapporti Stato – Unione europea, si è sentita l’esigenza di rivedere la disciplina nazionale, approvando la legge n. 11 del 4 febbraio 2005, recante “Norme generali sulla partecipazione dell'Italia al processo normativo dell'Unione europea e sulle procedure di esecuzione degli obblighi comunitari” (v. scheda La legge n. 11 del 2005).
Le norme primarie del diritto comunitario sono in primo luogo le norme convenzionali, contenute nei Trattati istitutivi delle Comunità europee e negli accordi internazionali successivamente stipulati, al fine di modificarli. Tra questi, si ricordano, in particolare:
- il Trattato istitutivo della Comunità europea o Trattato di Roma, che è stato, come è noto, più volte integrato e modificato ed è quindi necessario fare riferimento al testo c.d. “consolidato”, comprensivo delle novelle apportate dai Trattati di Maastricht, Amsterdam e Nizza;
- L’atto unico europeo del 1986 (entrato in vigore il 1° luglio 1987);
- Il Trattato sull’Unione europea o Trattato di Maastricht del 1992 (entrato in vigore il 1° novembre 1993);
- Il Trattato di Amsterdam del 1997 (entrato in vigore il 1° maggio 1999);
- Il Trattato di Nizza del 2000 (entrato in vigore il 1° febbraio 2003);
- Il Trattato di Adesione dei dieci nuovi Stati membri del 2003 (entrato in vigore il 1° maggio 2004);
- Il Trattato di Adesione di Romania e Bulgaria del 2005 (entrerà in vigore il 1° gennaio 2007) (v. scheda I Trattati di adesione).
Ulteriori sviluppi, su questo versante, potranno derivare dalle prospettive future di allargamento dell’Unione europea, in particolare, verso i Balcani occidentali (v. scheda L’allargamento e i Balcani occidentali).
Le norme primarie stabiliscono le procedure per l’adozione degli atti da parte delle Istituzioni europee, che si pongono pertanto al secondo livello del sistema giuridico comunitario e costituiscono il c.d. “diritto comunitario derivato”.
La creazione del diritto comunitario derivato avviene secondo procedimenti complessi che si concretizzano in atti di tipo normativo e non. Tra questi ricordiamo solo i principali:
§ i regolamenti CE e le direttive del Consiglio o della Commissione (atti normativi);
§ le decisioni della Commissione o del Consiglio (atti il cui carattere normativo è discusso);
§ le raccomandazioni CE ed Euratom (atti non vincolanti);
§ i pareri (atti non vincolanti).
Vi sono poi i c.d. “ atti atipici”, quali le risoluzioni e le dichiarazioni del Consiglio, ovvero le decisioni prese in seno al Consiglio, aventi un carattere preparatorio rispetto a successivi atti normativi, o dichiarativo, o programmatico.
Per quanto riguarda, invece, il settore della cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale, afferente al c.d. Terzo Pilastro, si segnalano:
§ le decisioni-quadro per il ravvicinamento delle disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri (art. 34, par. 2, lett. b) TUE);
§ le decisioni aventi qualsiasi altro scopo coerente con gli obiettivi della cooperazione giudiziaria in materia penale, escluso qualsiasi ravvicinamento delle disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri (art. 34, par. 2, lett. c) TUE).
I regolamenti del Consiglio e della Commissione e le direttive rivolte a tutti gli Stati membri sono pubblicati nella serie L della Gazzetta Ufficiale della Comunità Europea (GUCE).
In particolare, i regolamenti comunitari sono atti normativi a carattere generale, vincolanti e direttamente applicabili senza bisogno di atti di recepimento (art. 249, par. 2, TCE) e, quindi, senza che sia necessario un intervento formale delle autorità nazionali, a meno che non sia richiesto dallo stesso regolamento. In base alla giurisprudenza della Corte di Giustizia, infatti, è preclusa agli Stati membri la riproduzione in un atto interno del regolamento, dal momento che ciò potrebbe ritardare l’applicazione dell’atto comunitario in modo uniforme nell’ambito dell’Unione europea. Tale riproduzione potrebbe, inoltre, pregiudicare la competenza in via esclusiva della Corte di Giustizia a svolgere il controllo giurisdizionale dell’atto, sia sotto il profilo della legittimità che sotto il profilo dell’interpretazione. Tale impostazione è stata confermata anche dalla Corte costituzionale, che ha evidenziato come esigenze fondamentali di eguaglianza e certezza giuridica richiedano che le norme comunitarie entrino in vigore ovunque contemporaneamente, conseguendo un’applicazione costante ed uniforme nei confronti di tutti i destinatari. Pertanto, i regolamenti non devono essere “oggetto di provvedimenti statali a carattere riproduttivo, integrativo o esecutivo, che possano comunque differirne o condizionarne l’entrata in vigore e tanto meno sostituirsi ad essi” (sent. n. 183 del 1973).
Le direttive, invece, non hanno portata generale, essendo vincolanti esclusivamente nei confronti degli Stati destinatari. Esse vincolano quanto al risultato da raggiungere, ma non rispetto al mezzo da utilizzare per raggiungerlo. Analogamente ai regolamenti, le direttive producono effetti obbligatori, ma sono prive di efficacia diretta (art. 249, par. 3, TCE). Tuttavia la Corte di giustizia delle Comunità europee ha statuito (e la giurisprudenza dalla Corte Costituzionale ha poi recepito tale impostazione con la sentenza n. 168 del 1991) che anche una direttiva (o singole disposizioni di essa) possa essere eccezionalmente direttamente applicabile in uno Stato membro, senza che sia necessario un preventivo atto di trasposizione da parte dello stesso. Tale diretta applicabilità può, però, verificarsi solo se ricorrano determinate condizioni, ossia solo se la direttiva sia incondizionata, sufficientemente precisa e sia scaduto il termine per il suo recepimento (v. scheda Giurisprudenza costituzionale).
E’ importante sottolineare che, in base alla giurisprudenza della Corte di giustizia - confermata dalla Corte Costituzionale con la Sentenza n. 168 del 1991 - i privati cittadini hanno il diritto di reclamare dallo Stato membro il risarcimento dei danni subiti a causa della mancata o insufficiente trasposizione della direttiva da parte di tale Stato membro, se si verificano le seguenti condizioni:
§ la direttiva prevede come risultato l'attribuzione di diritti a dei privati cittadini;
§ il contenuto dei diritti è desumibile dalla direttiva stessa;
§ esiste un rapporto di causa ed effetto tra la violazione dell'obbligo di recepimento che incombe allo Stato e il danno subito dal privato cittadino.
La responsabilità dello Stato membro non è pertanto vincolata alla colpa. Nell'ipotesi in cui lo Stato membro disponga di un potere discrezionale, la violazione imputabile all'insufficiente o mancato recepimento della direttiva deve chiaramente trascendere i tre criteri citati, essere, cioè, manifesta e grave.
Prima di concludere sul punto, si ricorda che la giurisprudenza comunitaria ha chiarito che in pendenza del termine di recepimento delle direttive gli Stati sono, comunque, tenuti a non adottare misure che possano gravemente compromettere il risultato perseguito dalla direttiva stessa (c.d. clausola di standstill).
Per quanto riguarda gli altri atti, l’art. 249 del Trattato CE ne prevede espressamente altri tre tipologie. Innanzitutto, al paragrafo 4, le decisioni: atti emanati dal Consiglio (in genere destinate agli Stati) o dalla Commissione (es. in materia di concorrenza), ritenuti generalmente aventi carattere amministrativo (anche se talvolta le decisioni rivolte a Stati sono state considerate di carattere normativo), che servono a regolamentare fatti concreti nei confronti di determinati destinatari e sono obbligatorie in tutti i loro elementi per i destinatari da esse designati, che possono essere Stati membri, ovvero persone fisiche o giuridiche. Al pari delle direttive, le decisioni possono implicare obblighi per uno Stato membro a concedere al singolo cittadino una posizione giuridica più vantaggiosa. Per costituire i diritti di singoli cittadini occorre - come nel caso della direttiva - un atto di trasposizione da parte dello Stato membro interessato. Le decisioni possono essere direttamente applicabili alle stesse condizioni delle disposizioni delle direttive. Nella prassi si sono avute sia decisioni indirizzate agli Stati, principalmente dal Consiglio (anche se la Commissione interviene sempre di più in materia ad esempio di aiuti di Stato, rivolgendosi quindi agli Stati membri) che a singole persone fisiche o giuridiche (es. le decisioni della Commissione in materia di concorrenza).
Il principale problema interpretativo posto da tale categoria di atti è costituito dal riconoscimento o dalla negazione di una loro efficacia diretta negli ordinamenti interni degli Stati membri: il Trattato, mentre affronta espressamente tale profilo per i regolamenti e le direttive, con riferimento alle decisioni tace (articolo 249). In una sentenza del 1970 la Corte di Giustizia ha sancito la diretta applicabilità nel caso sia imposto allo Stato un obbligo chiaro, preciso e incondizionato di non fare e la dottrina ha ritenuto estensibile tale obbligo qualora si tratti di obblighi di fare sufficientemente precisi e dettagliati. L’orientamento più recente della Corte di Giustizia conferma tale impostazione e rileva che, stante l’insussistenza sul piano formale di una preclusione all’efficacia diretta delle decisioni, anche queste ultime possano essere suscettive di immediata applicazione laddove contengano statuizioni sufficientemente precise ed incondizionate[13].
Il Trattato CE (art. 230) prevede poi la possibilità di esperire ricorso di legittimità di fronte alla Corte di giustizia per i destinatari di tali atti.
L’art. 249, paragrafo 5, del Trattato prevede infine le raccomandazioni del Consiglio o della Commissione ed i pareri. Si tratta di atti non vincolanti, che possono essere adottati da tutte le istituzioni comunitarie, sebbene un ruolo privilegiato venga riconosciuto alla Commissione, cui l’art. 211 del Trattato CE conferisce espressamente un potere generale di adozione. In merito alla prima tipologia, si tratta di atti, destinati in genere agli Stati o ai singoli individui - in settori quali la libera circolazione delle merci, la libera circolazione dei servizi e i trasporti - volti ad invitare i destinatari a conformarsi ad un determinato comportamento. I pareri, invece, hanno prevalentemente una funzione di orientamento, rappresentando l’atto attraverso il quale le Istituzioni comunitarie fanno conoscere il proprio punto di vista in ordine ad una determinata materia o questione. Assumono peraltro una rilevanza particolare i pareri espressi dalla Commissione sulle domande di adesione di Stati terzi all’Unione ed i pareri motivati nel caso di supposta violazione degli obblighi da parte di uno Stato membro. Il fatto che tali atti non abbiano carattere vincolante non esclude peraltro un loro rilievo giuridico. Infatti, secondo la giurisprudenza comunitaria, soprattutto le raccomandazioni non possono essere considerate prive di effetti giuridici e quindi i giudici nazionali debbono tenerne conto, quanto meno a fini interpretativi[14].
Venendo ora agli atti afferenti al c.d. terzo pilastro, di cui all’articolo 34 del Trattato sull’Unione europea, si ricorda che le decisioni-quadro sono vincolanti per gli Stati membri quanto al risultato da ottenere, salva restando la competenza delle autorità nazionali in merito alla forma ed ai mezzi. Esse hanno dunque caratteristiche analoghe alle direttive ed al pari di esse non hanno efficacia diretta. Analogamente, le altre decisioni di cui alla lett. c) dell’art. 34 TUE sono vincolanti e non hanno efficacia diretta. Il Consiglio, deliberando a maggioranza qualificata, adotta le misure necessarie per l'attuazione di tali decisioni a livello dell'Unione. Esse si distinguono pertanto dalle decisioni quadro unicamente per l’oggetto che sono chiamate a disciplinare (per una campo di applicazione di tali fonti, si veda la scheda Spazio di libertà, sicurezza e giustizia).
Per quanto riguarda le procedure di adozione degli atti sopra indicati si veda la scheda Procedure decisionali dell’UE.
Si segnala, comunque, che il sistema delle fonti del diritto comunitario e la loro stessa denominazione sono stati ampiamente modificati dal Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa (v. scheda Il Trattato costituzionale).
Da ultimo, si ricorda che anche le pronunce della Corte di Giustizia (o del Tribunale di primo grado) possono avere efficacia diretta nel nostro ordinamento (e, quindi, essere considerate al pari delle fonti del diritto comunitario), dal momento che l’interpretazione di una norma comunitaria, resa in una pronuncia della Corte di Giustizia, ha la stessa immediata efficacia delle disposizioni interpretate. La nostra Corte costituzionale ha, infatti, chiarito che qualsiasi sentenza che applica o interpreta le norme dell’UE ha carattere di sentenza dichiarativa del diritto comunitario: “la Corte di Giustizia, come interprete qualificato di questo diritto, ne precisa autoritariamente il significato con le proprie sentenze e, per tal via, ne determina, in definitiva, l’ampiezza e il contenuto delle possibilità applicative” (cfr. sentenza n. 389 del 1989 e sentenza n. 168 del 1991).
La questione dell’attuazione della normativa comunitaria nel nostro ordinamento rileva principalmente per quanto riguarda le direttive, le decisioni, le decisioni quadro (di cui all’art. 34 TUE) e, in parte, le raccomandazioni, dal momento che i regolamenti sono direttamente applicabili, mentre i pareri svolgono una funzione prevalentemente di orientamento (v. capitolo Le fonti del diritto comunitario). Per quanto riguarda i regolamenti, può porsi un problema applicativo, qualora vi sia la necessità che gli Stati esercitino un’opzione tra più alternative contenute nel regolamento medesimo ovvero che quest’ultimo necessiti di misure meramente esecutive. Infine, possono richiedere provvedimenti attuativi le pronunce della Corte di Giustizia relative a procedure di infrazione avviate contro l’Italia.
L’adeguamento del nostro ordinamento a quello comunitario è stato regolato da vari atti normativi che si sono succeduti nel tempo.
Si ricorda, in primo luogo, la legge n. 87 del 16 aprile 1983, c.d. legge Fabbri[15], che oltre ad aver istituito il Dipartimento per le politiche comunitarie ha regolato l’attuazione del diritto comunitario sia in via amministrativa, mediante regolamenti o altri atti amministrativi generali, sia in via legislativa, attraverso disegni di legge governativi, ovvero delega legislativa.
La successiva legge 9 marzo 1989, n. 86, c.d. legge La Pergola[16], ha introdotto lo strumento della legge comunitaria, il cui disegno di legge deve essere presentato dal Governo entro il 31 gennaio di ogni anno. La legge comunitaria regola pertanto annualmente il recepimento della normativa dell’UE, che può avvenire in via diretta, attraverso delega legislativa, ovvero in via regolamentare e amministrativa.
L’impianto complessivo delineato dalla legge La Pergola è stato recentemente modificato dalla legge n. 11 del 4 febbraio 2005[17], che ha integralmente sostituito ed abrogato la legge n. 86 (v. scheda La legge n. 11 del 2005). Quest’ultimo intervento normativo, sebbene abbia confermato l’impostazione sostanziale della legge La Pergola, ha sensibilmente ampliato il contenuto della legge comunitaria, ha ridisciplinato il recepimento attraverso lo strumento regolamentare, prevedendo altresì la possibilità di dare attuazione alla normativa dell’UE attraverso provvedimenti governativi, proposti dal Presidente del Consiglio (o dal Ministro per le politiche comunitarie) al Consiglio dei Ministri. La legge n. 11 ha anche provveduto ad adeguare il complesso rapporto Stato-Regioni nell’attuazione del diritto comunitario alla riforma del Titolo V della Costituzione, ridisciplinando l’attuazione regionale ed i poteri statali sostitutivi, gettando altresì le basi per l’adozione di leggi comunitarie regionali, peraltro già presenti in alcune Regioni (v. scheda Le leggi comunitarie regionali). Infine, la citata normativa ha contribuito a ridefinire il quadro delle strutture governative coinvolte nella partecipazione ai processi normativi comunitari (v. scheda Strutture governative).
In ogni caso, l’introduzione della legge comunitaria annuale come strumento in grado di assicurare il costante e tempestivo recepimento della normativa comunitaria ha dato senza dubbio risultati positivi. Infatti, si è passati da una percentuale di attuazione delle direttive pari all’80% nel 1990 ad una del 97%, secondo quanto risulta dagli ultimi dati del Monitoraggio dell’attuazione del diritto comunitario forniti del Segretariato generale della Commissione europea (v. capitolo Dati sul recepimento delle direttive e il capitolo Leggi comunitarie nella XIV legislatura).
Inoltre, l’approvazione della legge comunitaria annuale ed il contestuale esame della relazione sulla partecipazione dell’Italia all’Unione europea, in sede parlamentare, diventano il momento per compiere una verifica complessiva dell’adempimento di tutti gli obblighi comunitari da parte dell’Italia. Sui due atti si svolge, infatti, un esame congiunto fino alla conclusione dell'esame preliminare, mentre successivamente, i due procedimenti seguono iter autonomi, avendo l'uno natura legislativa e l'altro quella di indirizzo e controllo.
In particolare, per quanto riguarda l’esame del ddl comunitaria, i nuovi articoli 126-ter del Regolamento della Camera e 144-bis del Regolamento del Senato hanno tracciato una procedura “speciale”. In particolare, l’art. 126-ter R.C. prevede che il disegno di legge comunitaria e la relazione annuale sulla partecipazione dell'Italia al processo normativo dell'Unione europea sono assegnati:
§ per l'esame generale in sede referente, alla Commissione politiche dell'Unione europea;
§ per l'esame delle parti di rispettiva competenza, alle Commissioni competenti per materia.
Le Commissioni sono tenute ad esaminare le parti del disegno di legge di propria competenza entro quindici giorni dall'assegnazione, approvando una relazione e nominando un relatore, che può partecipare alle sedute della Commissione politiche dell’Unione europea. Nello stesso termine sono trasmesse le eventuali relazioni di minoranza presentate in Commissione. Le Commissioni nel corso dell’esame votano anche degli emendamenti, che allegano alla relazione per la XIV Commissione.
Analogamente, sempre entro quindici giorni, le Commissioni esaminano anche le parti di competenza della relazione annuale, approvando un parere.
Decorso il termine indicato, la Commissione politiche dell'Unione europea, entro i successivi trenta giorni, conclude l'esame del disegno di legge comunitaria e della relazione annuale, predisponendo per ciascun atto una relazione generale per l'Assemblea, alla quale sono allegate, rispettivamente, le relazioni ed i pareri approvati dalle Commissioni.
La XIV Commissione (Politiche dell’Unione europea) svolge l’esame in sede referente del provvedimento e gli emendamenti approvati dalle singole Commissioni si ritengono accolti salvo che la XIV Commissione non li respinga per:
§ motivi di compatibilità con la normativa comunitaria;
§ esigenze di coordinamento generale.
Criteri particolari riguardano l’ammissibilità degli emendamenti: oltre ai principi generali contenuti all'articolo 89 R.C.[18], sono, infatti, considerati inammissibili gli emendamenti e gli articoli aggiuntivi che riguardino materie estranee all'oggetto proprio della legge comunitaria, come definito dalla legislazione vigente. Gli emendamenti dichiarati inammissibili in Commissione non possono essere ripresentati in Assemblea.
Terminata la fase in Commissione, il disegno di legge e la relazione approdano all’Assemblea, dove si svolge una discussione generale congiunta e dove possono essere presentate risoluzioni sulla relazione annuale, che si votano dopo la votazione finale sul disegno di legge comunitaria.
Si ricorda, infine, che sul disegno di legge comunitaria si esprime, inoltre, il Comitato per la legislazione, ai sensi dell’articolo 16-bis, comma 6-bis, R.C., dal momento che si tratta di una legge contenente deleghe legislative.
Il tasso di recepimento nel nostro ordinamento delle direttive comunitarie è passato da una percentuale pari a circa l’80% nel 1990 (anno di approvazione della prima legge comunitaria), ad oltre il 95% nel 2000, per arrivare all’attuale 97,25%[19], secondo l’ultimo monitoraggio della Commissione europea.
Tabella 1
Data |
Tasso % di recepimento |
Media CE |
al 31 dicembre 1996 |
90,15% |
- |
al 31 dicembre 1997 |
92,50% |
94,00% |
al 31 dicembre 1998 |
93,62% |
95,70% |
al 31 dicembre 1999 |
94,15% |
94,53% |
al 31 dicembre 2000 |
95,65% |
93,81% |
al 31 dicembre 2001 |
97,64% |
96,73% |
al 31 dicembre 2002 |
95,15% |
95,51% |
al 31 dicembre 2003 |
97,46% |
98,03% |
al 15 novembre 2004 |
96,69% |
96,82% |
al 10 novembre 2005 * |
97,74% |
98,92% |
all’8 marzo 2006 |
97,25% |
98,71% |
*(dal 2005 la media è a 25 paesi)
Si tratta di un dato relativo a tutte le direttive comunitarie già scadute alla data dell’8 marzo 2006[20]. A tale data risultano scadute e applicabili in Italia 2652 direttive: l’Italia si colloca al 23° posto nella graduatoria del recepimento a 25 paesi, avendo comunicato i provvedimenti di attuazione relativi a 2579 di queste, pari al 97,25%[21] delle direttive da recepire (la media CE a 25 Stati è pari al 98,71%).
Per quanto riguarda la tipologia delle fonti con le quali è avvenuto il recepimento si rinvia al capitolo Leggi comunitarie nella XIV legislatura.
Per quanto riguarda invece lo stato di recepimento delle direttivecomunitarie relative al solo mercato interno[22] il “Secondo rapporto sull’attuazione della Strategia per il mercato interno 2003-2006”[23]haevidenziato che gli Stati membri non hanno recepito nella legislazione nazionale, entro i termini stabiliti, numerose direttive essenziali per la realizzazione del mercato interno.
In base ai dati dell’ultimo scoreboard della Commissione europea (pubblicati il 21 febbraio 2006 ed aggiornati a dicembre 2005), il tasso di mancato recepimento dell’UE a 25 paesi, che indica la percentuale media delle direttive relative al mercato interno in vigore e non trasposte alla scadenza, è pari all’1,6%. Si tratta di un obiettivo molto vicino all’obiettivo a medio termine dell’1,5% concordato dai capi di Stato e di governo dell’Unionea partire dal Consiglio europeo di Stoccolma nel 2001 e confermato nei successivi Consigli europei e considerato elemento chiave per il successo ed il rilancio della “Strategia di Lisbona per la crescita e l’occupazione” (v. scheda Strategia di Lisbona.)
Per quanto riguarda la graduatoria dei singoli Stati dell’UE, considerando l’UE a 25 Stati, 17 su 25 Stati membri hanno raggiunto l’obiettivo. Si tratta, nell’ordine, di: Lituania, Danimarca, Ungheria, Finlandia, Polonia, Svezia, Cipro, Lettonia, Malta, Slovenia, Paesi Bassi, Germania, Estonia, Slovacchia, Regno Unito, Austria e Spagna.
L’Italia si colloca nel gruppo degli 8 paesi che non hanno ancora centrato l’obiettivo dell’1,5%. In particolare l’Italia è piuttosto lontana dall’obiettivo in quanto ha un deficit del 3,1% e si colloca al 22° posto della graduatoria a 25 con 50 direttive relative al solo mercato interno ancora da recepire[24]. In questo secondo gruppo solo l’Italia, il Portogallo, la Spagna e il Lussemburgo hanno deficit superiori al 3% .
Per quanto riguarda il ritardo medio di trasposizione delle direttive rispetto alla loro scadenza, espresso in mesi, i dati dello scoreboard mostrano un ritardo medio UE di 9,2 mesi. L’ Italia ha un ritardo di poco superiore alla media, pari a 10 mesi rispetto al termine di scadenza delle direttive.
Nell’ultimo scoreboard si ricorda anche che solo cinque Stati membri hanno già recepito nel proprio diritto nazionale le 20 direttive il cui termine di recepimento è già scaduto del “Piano d’azione per i servizi finanziari (FSAP)”. Di queste, l’Italia ne deve recepire ancora 15.
Si ricorda che il Piano d’azione è stato presentato dalla Commissione nel 1999 [COM(1999)232] e si compone di 40 misure, sia legislative che non, che sono state adottate entro il 2005 e di cui 23 sono costituite da direttive di cui 20 con termine di recepimento ad oggi scaduto. Vedi anche il Libro bianco sui Servizi finanziari COM 2005(629) del 5 dicembre 2005.
Per quanto riguarda lo stato delle procedure di infrazione relative al mercato interno, cioè delle procedure che vengono aperte per non corretta applicazione delle regole relative al Mercato interno o per trasposizione non conforme col diritto comunitario, la Commissione europea, nel recente “Secondo rapporto sull’attuazione della Strategia per il mercato interno 2003-2006”[25], richiedeva agli Stati membri una riduzione del numero delle procedure di infrazione di almeno il 50% entro il 2006. Dai dati dell’ultimo scoreboard del dicembre 2005 risulta che solo cinque Stati membri (Francia, Belgio, Austria, Irlanda e Paesi Bassi) sono riusciti a ridurre negli ultimi tre anni il numero delle procedure di infrazione e che se si considera l’insieme degli Stati membri il numero complessivo delle procedure è comunque aumentato. Si ritiene quindi che entro il 2006 nessuno Stato membro sarà riuscito a dimezzare, come richiesto, il numero delle procedure d’infrazione.
Per quanto riguarda l’Italia, al 1 ottobre 2005, con 157 procedure, rimane il paese con il maggior numero di procedure di infrazione relative al solo mercato interno[26].
A tale proposito si ricorda anche che la Commissione europea, già a partire dalla “Comunicazione sul miglioramento del controllo dell’applicazione del diritto comunitario” [COM(2002) 725 def.], ha optato per un approccio differenziato al trattamento delle procedure d’infrazione, a causa della loro costante crescita e della prospettiva di un ulteriore forte aumento delle stesse dopo l’allargamento dell’UE. In pratica la Commissione, secondo la gravità della presunta infrazione, decide caso per caso se avviare la procedura d’infrazione ovvero ricorrere a meccanismi alternativi di risoluzione delle controversie: principalmente le c.d. “riunioni pacchetto o cumulative”, che mirano a risolvere politicamente le questioni evitando azioni legali, nonché il meccanismo c.d. SOLVIT.
Il Solvit è una rete on-line in funzione dal luglio 2002 che permette di trovare una risoluzione extragiudiziale (informale) alle denunce dei consumatori e delle imprese relative ad una scorretta applicazione delle norme sul mercato interno da parte delle autorità amministrative pubbliche. In ciascuno Stato membro le vittime di un’applicazione erronea del diritto dell’UE, da parte di autorità locali o nazionali di un altro Stato membro, possono rivolgersi al centro Solvit per ottenere che la questione sia rapidamente risolta: i tempi medi sono di 10 settimane per risolvere i reclami. Le soluzioni proposte non sono vincolanti. In ogni caso, se il cliente considera la proposta inaccettabile, può raccomandare di risolvere la controversia per via giudiziaria. Nel 2004 sono stati trattati 289 casi e la percentuale di casi risolti e’ stata dell’80%. Il tempo medio di soluzione dei problemi, sempre nel 2004, è stato di 59 giorni. In Italia l’utilizzo di tale strumento è stato, fino al 15 aprile 2003, - quasi nullo con un tempo medio impiegato di 101 giorni.
La legge comunitaria annuale è uno strumento normativo - introdotto per la prima volta nel 1989 con la legge “La Pergola” - volto ad assicurare il periodico adeguamento dell’ordinamento nazionale a quello comunitario. La prima legge comunitaria è stata approvata nel 1990.
Nel corso delle ultime legislature, il processo di adeguamento al diritto comunitario ha subito un’evoluzione considerevole, che ha avuto ricadute anche sulle strutture e sui contenuti della legge comunitaria, nonchè sugli strumenti ad essa collegati.
Nel corso della legislatura, in particolare, si è andata progressivamente confermando l’evoluzione della legge comunitaria in legge di organizzazione della futura legislazione, che articola i processi di recepimento del diritto comunitario attraverso una rete di atti normativi “a cascata”, imperniati sullo strumento della delega, cui fanno seguito decreti legislativi attuativi, decreti legislativi integrativi e correttivi nonchè atti regolamentari ed amministrativi che il Governo dovrà adottare. Si ricorda, inoltre, che le leggi comunitarie più recenti hanno contenuti standardizzati, con formulazioni pressoché identiche dei primi articoli e presentano un numero minore di norme sostanziali e di principi e criteri direttivi specifici.
Si è altresì confermata, nel corso della XIV legislatura, la tendenza ad una tempestiva approvazione della legge comunitaria, anche se essa non è riuscita a collocarsi nell’anno di riferimento e solo la legge comunitaria per il 2003 è stata approvata nel corso dell’anno di riferimento.
Del resto, il rispetto della cadenza pressoché annuale per l’adozione della legge comunitaria ha ricevuto costante impulso della considerevole evoluzione del processo di integrazione europea, che ha posto in primo piano l’esigenza di un tempestivo adeguamento del nostro ordinamento a quello comunitario, richiedendo forme e tempi certi per il recepimento della relativa normativa. Si ricorda, infatti, che il contesto giuridico nel quale gli Stati membri oggi operano si è progressivamente allargato sia in senso territoriale, con il Trattato di adesione di dieci nuovi Stati (entrato in vigore il 1 maggio 2004) ) e, in prospettiva, con il Trattato di adesione di Bulgaria e Romania (sui quali si vedano le schede su: I Trattati di adesione e L’allargamento e i Balcani occidentali), che dal punto di vista degli obiettivi più ampi, sia economici che politici, che si è progressivamente data l’Unione con i Trattati di Maastricht (1992), di Amsterdam (1997), di Nizza (firmato nel 2001 ed entrato in vigore nel 2003), e da ultimo con il Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa (29 ottobre 2004), la cui entrata in vigore non è peraltro al momento certa a seguito dell’esito negativo dei referendum svoltisi in Francia e nei Paesi Bassi (v. scheda Il Trattato costituzionale).
Questo sviluppo ha richiesto in sede parlamentare forme e tempi più certi per il recepimento della normativa comunitaria. La legge comunitaria è così divenuta uno strumento essenziale ed indilazionabile, il cui esame tempestivo è stato assicurato grazie alle riforme dei regolamenti parlamentari degli anni 1996-1999.
Nella XIV legislatura sono state approvate le seguenti 5 leggi comunitarie:
§ Legge comunitaria 2001: legge 1 marzo 2002, n. 39;
§ Legge comunitaria 2002: legge 3 febbraio 2003, n. 14;
§ Legge comunitaria 2003: legge 31 ottobre 2003, n. 306.
§ Legge comunitaria 2004: legge 18 aprile 2005, n. 62.
§ Legge comunitaria 2005: legge 25 gennaio 2006, n. 29.
Mentre fino al 1996 si era riscontrata una relativa difficoltà a rispettare i termini per l’approvazione delle leggi comunitarie annuali a causa, da un lato, dei ritardi nella presentazione da parte del Governo del disegno di legge comunitaria annuale, e, dall’altro, delle difficoltà di dare un percorso certo e tempi definiti all’iter parlamentare del disegno di legge medesimo (gli esempi più evidenti sono quelli della legge comunitaria 1994, approvata nel 1996, e della legge comunitaria per il 1995, poi divenuta legge comunitaria 1995/1997, approvata nell’aprile 1998), una significativa inversione di tale tendenza si è registrata nella XIII legislatura, a partire dalla legge comunitaria per il 1998 che fu approvata nel febbraio 1999. Anche la legge comunitaria per il 1999, approvata entro lo stesso anno 1999, e quella per il 2000, approvata a dicembre 2000, hanno confermano la tendenza nella XIII legislatura a rimanere nel termine dell’anno di riferimento.
Nella XIV legislatura l’approvazione della legge comunitaria è stata sempre abbastanza rapida, confermandosi così la tendenza ad un’accelerazione dei tempi di approvazione, anche se solo la legge comunitaria 2003 è stata approvata entro l’anno di riferimento.
In un primo momento le leggi comunitarie non avevano né contenuto né struttura tipizzati, prevedevano norme di carattere sostanziale, spesso non direttamente collegate all’attuazione della normativa comunitaria. Le leggi comunitarie più recenti, invece, hanno contenuti standardizzati, con formulazioni pressoché identiche dei primi articoli e presentano un numero minore di norme sostanziali svincolate dall’attuazione del diritto comunitario e di principi e criteri direttivi specifici. In sostanza, si è assistito alla progressiva trasformazione della legge comunitaria in legge di organizzazione della futura legislazione, con una riduzione del contenuto sostanziale immediatamente precettivo, rinviando la concreta disciplina delle materie oggetto della legge ai decreti legislativi o agli atti amministrativi che il Governo dovrà emanare.
Quanto alla tipologia delle fonti normative utilizzate per il recepimento nell’ordinamento italiano della normativa comunitaria, i dati sono illustrati nella seguente tabella 1, che indica, per ciascuna legge comunitaria approvata, le modalità previste per l’attuazione delle direttive, ad eccezione delle disposizioni recanti attuazione diretta.
Tabella 1
Leggi comunitarie |
Direttive da attuare con decreto legislativo |
Direttive da attuare in via regolamentare |
Direttive da attuare in via amministrativa |
XIII Legislatura |
|||
legge comunitaria 95/97 |
86 |
12 |
66 |
legge comunitaria 1998 |
25 |
3 |
43 |
legge comunitaria 1999 |
35 |
6 |
28 |
legge comunitaria 2000 |
24 |
3 |
34 |
XIV Legislatura |
|||
legge comunitaria 2001 |
58 |
0 |
20 |
legge comunitaria 2002 |
37 |
0 |
48 |
legge comunitaria 2003 |
50 |
0 |
38 |
legge comunitaria 2004 |
50 |
0 |
53 |
legge comunitaria 2005 |
32 |
2 |
54 |
Dai dati illustrati è possibile desumere le seguenti indicazioni in ordine all’utilizzo dei diversi strumenti normativi di recepimento:
§ ricorso considerevole allo strumento della delega legislativa: nelle diverse leggi comunitarie annuali la percentuale di direttive da recepire mediante decreti legislativi delegati è rimasta negli anni significativamente alta rispetto al numero complessivo delle direttive di cui si prevede il recepimento;
§ tendenza a dare sempre più attuazione in via amministrativa alle direttive: in particolare nella XIV legislatura, il numero delle direttive da recepire in via amministrativa è stato relativamente elevato ed ha spesso superato quello delle direttive da recepire con delega legislativa;
§ ricorso molto limitato all’attuazione delle direttive in via regolamentare:l’autorizzazione all’adozione di regolamenti di delegificazione (o comunque il ricorso ad altri regolamenti governativi), abbastanza elevata nella XII legislatura, si è ridotta sempre più fino a scomparire definitivamente dal 2001 al 2004, anche a seguito della riforma del Titolo V della Costituzione[27]. La legge n. 11 del 2005 ha ridisciplinato tale modalità di recepimento in conformità con il dettato costituzionale ed infatti nella legge comunitaria per il 2005 si è previsto nuovamente il ricorso allo strumento regolamentare (v. scheda La legge comunitaria per il 2005).
Nella successiva Tabella 2 è evidenziato, per ciascuna legge comunitaria, il numero delle direttive il cui recepimento è stato previsto rispettivamente:
§ in allegato A (direttive da recepire con decreto legislativo senza parere delle competenti Commissioni parlamentari),
§ in allegato B (direttive da recepire tramite decreto legislativo da sottoporre al parere delle competenti Commissioni parlamentari;
§ in allegato C (direttive da recepire con regolamento autorizzato).
A partire dalla legge comunitaria 2000 si registra un aumento percentuale delle direttive il cui recepimento è previsto in Allegato B, quindi con decreto legislativo da sottoporre al parere parlamentare, rispetto a quelle da recepire sempre con decreto legislativo ma senza essere sottoposte al parere parlamentare (con l’esclusione dell’anno 2002).
Tale dato testimonia la volontà del Parlamento di ritagliarsi un ruolo di rilievo anche in sede consultiva, esprimendosi sugli schemi di decreto legislativo predisposti dal Governo, in modo da seguire da vicino la predisposizione della normativa di recepimento del diritto comunitario. Il rafforzamento di tale canale è perseguito inoltre con l’introduzione, a partire dalla legge comunitaria per il 2004, dell’istituto del c.d. doppio parere parlamentare. Si prevede, infatti, un secondo parere delle Commissioni competenti per verificare che quanto enunciato nella prima pronuncia parlamentare sia stato effettivamente recepito dal Governo. La previsione di tale doppio parere scatta esclusivamente nelle ipotesi nelle quali l’esecutivo non intenda conformarsi ai pareri parlamentari relativi a sanzioni penali (contenute negli schemi di decreti legislativi recanti attuazione delle direttive comprese negli allegati A e B), ovvero nel caso in cui ilGoverno non si conformi alle condizioni relative all’osservanza dell’articolo 81, IV comma, Cost.: in tali casi, infatti, l’esecutivo è tenuto a ritrasmettere i testi alle Camere – corredati dei necessari elementi integrativi – affinché le Commissioni competenti si esprimano definitivamente entro venti giorni.
Come evidenziato nel paragrafo precedente, dal 2001 al 2004 non è stata utilizzata la modalità di recepimento con regolamento autorizzato (allegato C).
Tabella 2
Leggi comunitarie |
Allegato A |
Allegato B |
Allegato C |
Legge comunitaria 1995-97 |
51 |
35 |
12 |
Legge comunitaria 1998 |
21 |
4 |
3 |
Legge comunitaria 1999 |
20 |
15 |
6 |
Legge comunitaria 2000 |
8 |
16 |
3 |
Legge comunitaria 2001 |
21 |
37 |
0 |
Legge comunitaria 2002 |
22 |
15 |
0 |
Legge comunitaria 2003 |
19 |
31 |
0 |
Legge comunitaria 2004 |
10 |
40 |
0 |
Legge comunitaria 2005 |
10 |
22 |
2 |
Per quanto riguarda il recepimento tramite decreti legislativi, occorre poi segnalare che solo per alcune direttive sono previsti criteri specifici di delega nelle singole leggi comunitarie, come evidenziato nella successiva Tabella 3. Solo nella legge comunitaria per il 2004 il ricorso a criteri specifici di delega è stato abbastanza rilevante.
Tabella 3
Leggi comunitarie |
Numero di direttive con criteri specifici di delega |
Totale delle direttive da attuare con deleghe legislative |
Legge comunitaria 95-97 |
20 |
86 |
Legge comunitaria 1998 |
3 |
25 |
Legge comunitaria 1999 |
6 |
35 |
Legge comunitaria 2000 |
6 |
24 |
Legge comunitaria 2001 |
14 |
58 |
Legge comunitaria 2002 |
6 |
37 |
Legge comunitaria 2003 |
4 |
50 |
Legge comunitaria 2004 |
12 |
50 |
Legge comunitaria 2005 |
2 |
32 |
Un ruolo peculiare nell’ambito del procedimento legislativo ha assunto la valutazione della legislazione nazionale sotto il profilo della compatibilità comunitaria. Tale valutazione viene svolta su due versanti:
Ø in sede consultiva da parte della XIV Commissione (Politiche dell’Unione europea);
Ø nell’ambito dell’istruttoria legislativa, da parte di tutte le Commissioni permanenti.
In merito al primo profilo, si ricorda la particolare configurazione assunta dalla XIV Commissione, alla quale vengono assegnati, in base all’articolo 126 del regolamento della Camera:
§ i progetti di legge e gli schemi di atti normativi del Governo concernenti l'applicazione dei trattati istitutivi delle Comunità europee e dell’Unione europea nonché le loro successive modificazioni e integrazioni;
§ i progetti di legge e gli schemi di atti normativi del Governo relativi all'attuazione di norme comunitarie[28];
§ in via generale, tutti i progetti di legge, limitatamente ai profili di compatibilità con la normativa comunitaria.
Questa verifica assume un particolare significato per le funzioni svolte dalla XIV Commissione in ragione delle sue specifiche competenze: nella lettera circolare del Presidente della Camera sull’istruttoria legislativa si chiarisce, infatti, che i pareri espressi dalla XIV Commissione sotto questo riguardo hanno efficacia rinforzata ai sensi dell’art. 73, comma 1-bis, R.C.
Si ricorda che quest’ultima norma stabilisce che: “se un progetto di legge, assegnato ad una Commissione, reca disposizioni che investono in misura rilevante la competenza di altra Commissione, il Presidente della Camera può stabilire che il parere di quest'ultima Commissione sia stampato ed allegato alla relazione scritta per l'Assemblea”.
Sul versante delle Commissioni permanenti, invece, il comma 4 dell’art. 79 R.C. prevede che l’istruttoria legislativa in Commissione debba prendere in considerazione, tra gli altri criteri, la verifica della compatibilità della disciplina proposta con la normativa dell’Unione europea.
In particolare, la XIV Commissione ha basato l’attività di verifica della compatibilità comunitaria della legislazione nazionale in corso di formazione sulla considerazione di almeno tre distinti profili:
§ in primo luogo, il confronto con i princìpi e le norme dei trattati e del diritto comunitario derivato vigente;
§ in secondo luogo, l’eventuale esistenza sulla materia di un contenzioso con l’Unione europea;
§ in terzo luogo, l’inquadramento della legislazione nazionale nel più ampio contesto dell’evoluzione della produzione normativa in sede comunitaria e quindi della verifica degli orientamenti del legislatore italiano rispetto all’elaborazione degli atti all’esame delle Istituzioni dell’UE.
In questa prospettiva, i rilievi che la Commissione ha formulato nei suoi pareri, nel corso della legislatura, hanno avuto prevalentemente riguardo a:
Ø specifiche questioni di rispetto di singole disposizioni di direttive da attuare o di altri atti comunitari;
Ø questioni di adeguamento a procedure di infrazione avviate nei confronti dell’Italia;
Ø profili più generali di rispetto delle norme contenute nei Trattati. In quest’ambito, i principi maggiormente richiamati nei pareri sono stati quelli relativi a:
1) aiuti di stato;
2) tutela della concorrenza;
3) libera prestazione dei servizi e libertà di stabilimento;
4) divieto di restrizioni all’importazione.
In riferimento alpunto 1), è stato più volte richiamata la necessità di verificare l’effettivo rispetto degli articoli 87 ed 88 del TCE[29]. Si ricorda, in particolare, che l’art. 87 del TCE vieta gli aiuti pubblici alle imprese che favorendo determinate imprese o produzioni, falsino o minaccino di falsare la concorrenza, incidendo sugli scambi tra gli Stati membri. L’art. 88 prevede inoltre che la Commissione proceda con gli Stati membri all’esame permanente dei regimi di aiuti esistenti; a tal fine, alla Commissione devono essere presentati, affinché essa possa esprimere le proprie osservazioni, i progetti diretti ad istituire o a modificare aiuti (paragrafo 3). In caso di incompatibilità di un aiuto di Stato con l’articolo 87 del Trattato, la Commissione sollecita lo Stato in questione a sopprimerlo o a modificarlo; se lo Stato non si conforma, la Commissione o qualsiasi altro Stato interessato può adire direttamente la Corte di Giustizia. Ai sensi dell’art. 88, paragrafo 2, del Trattato, su richiesta di uno Stato membro, il Consiglio, deliberando all’unanimità, può decidere che un aiuto, istituito o ancora da istituirsi da parte di questo Stato, deve considerarsi compatibile con il mercato quando circostanze eccezionali giustifichino tale decisione. Se su tale aiuto è aperta una procedura da parte della Commissione, la richiesta dello Stato interessato rivolta al Consiglio avrà per effetto di sospendere tale procedura fino a quando il Consiglio non si sia pronunciato. Tuttavia se il Consiglio non si è pronunciato entro tre mesi, la Commissione delibera.
L’articolo 87 non definisce la nozione di aiuto, né elenca le tipologie di aiuto vietate, limitandosi invece a prevedere, ai paragrafi 2 e 3, talune deroghe al principio generale. Peraltro, la Commissione e la Corte di giustizia, sono intervenuti nel corso degli anni al fine di precisare la nozione di aiuto, statuendo, attraverso un orientamento costante, che si è in presenza di un aiuto di Stato, ai sensi del citato articolo 87, qualora ricorrano congiuntamente i seguenti presupposti:
· vi sia un vantaggio concesso dalle autorità pubbliche a favore di una impresa, senza contropartita o con una contropartita che corrisponde in misura minima all’importo al quale può essere valutato il relativo vantaggio;
· il vantaggio concesso all’impresa sia finanziato con fondi pubblici (le risorse statali possono assumere varie forme - sovvenzioni, riduzione tassi d’interesse, conferimento di capitali, ecc. - e possono provenire da risorse di bilanci statali, regionali, locali, nonché da banche o intermediari pubblici e privati incaricati dallo Stato di gestire un regime di aiuti pubblici);
· l’aiuto abbia un carattere selettivo diretto a favorire soltanto alcune imprese e alcune produzioni;
· l’aiuto sia in grado di falsare la concorrenza e di incidere sugli scambi tra gli stati membri.
Rispetto a tale divieto generale, lo stesso articolo 87 ammette deroghe, ritenendo compatibili con il mercato comune:
a) gli aiuti a carattere sociale concessi ai singoli consumatori, a condizione che siano accordati senza discriminazioni determinate dall'origine dei prodotti,
b) gli aiuti destinati a ovviare ai danni arrecati dalle calamità naturali oppure da altri eventi eccezionali;
c) gli aiuti concessi all'economia di determinate regioni della Repubblica federale di Germania che risentono della divisione della Germania, nella misura in cui sono necessari a compensare gli svantaggi economici provocati da tale divisione.
Possono inoltre considerarsi compatibili con il mercato comune:
a) gli aiuti destinati a favorire lo sviluppo economico delle regioni ove il tenore di vita sia anormalmente basso, oppure si abbia una grave forma di sottoccupazione;
b) gli aiuti destinati a promuovere la realizzazione di un importante progetto di comune interesse europeo oppure a porre rimedio a un grave turbamento dell'economia di uno Stato membro;
c) gli aiuti destinati ad agevolare lo sviluppo di talune attività o di talune regioni economiche, sempre che non alterino le condizioni degli scambi in misura contraria al comune interesse;
d) gli aiuti destinati a promuovere la cultura e la conservazione del patrimonio, quando non alterino le condizioni degli scambi e della concorrenza nella Comunità in misura contraria all'interesse comune;
e) le altre categorie di aiuti, determinate con decisione del Consiglio, che delibera a maggioranza qualificata su proposta della Commissione.
Per approfondimenti sul tema degli aiuti di stato, si rinvia al capitolo Gli aiuti di Stato nel dossier n. 2/5, relativo alla V Commissione (Bilancio).
Per quanto riguarda il punto 2), invece, si è invocato il rispetto del principio comunitario di concorrenza, che può desumersi dal combinato disposto degli articoli 3, paragrafo 1, lett. c) e g), e 4, paragrafo 1, del TCE. Tali norme prevedono, infatti, che l'azione della Comunità comporta un mercato interno caratterizzato dall'eliminazione, fra gli Stati membri, degli ostacoli alla libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali (art. 3, par. 1, lett. c) nonchè un regime inteso a garantire che la concorrenza non sia falsata nel mercato interno (art. 3, par. 1, lett. g). L'azione degli Stati membri e della Comunità inoltre è volta all'adozione di una politica economica che è fondata sullo stretto coordinamento delle politiche degli Stati membri, sul mercato interno e sulla definizione di obiettivi comuni, condotta conformemente al principio di un'economia di mercato aperta e in libera concorrenza (art. 4, par. 1). Da tale quadro normativo si evince quindi che la Comunità europea si basa su di un mercato interno caratterizzato dall’eliminazione degli ostacoli alla libera circolazione di merci, persone, servizi e capitali, che si persegue attraverso una politica condotta conformemente al principio di un’economia di mercato aperta ed in libera concorrenza.
Nell’ambito dei principi della concorrenza, è poi opportuno ricordare la nozione di mercato rilevante, ai fini dell’eventuale individuazione di una posizione dominante. Secondo la giurisprudenza comunitaria[30], il mercato rilevante comprende quei prodotti o servizi tra loro intercambiabili sia sotto il profilo delle caratteristiche tecnologiche, sia per la loro idoneità a soddisfare egualmente le esigenze dei consumatori[31].
Si ricorda, da ultimo, che a partire dagli anni ’80 è stata avviata l’estensione della disciplina comunitaria della concorrenza alla materia dei servizi pubblici, che sono attualmente assoggettati alla disciplina comunitaria generale relativa alla concorrenza. Tuttavia, in base all’art. 86 del Trattato, i servizi di interesse economico generale e quindi i servizi pubblici sono sottoposti alle norme sulla concorrenza, fatta salva “la specifica missione loro affidata”. Il diritto comunitario, inoltre, accanto all’obiettivo della liberalizzazione, persegue quello di garantire la fruizione diffusa ed uniforme dei servizi essenziali. A tal fine impone di rispettare i principi di parità di trattamento, adeguatezza e continuità; di disciplinare le modalità di offerta; di garantire l’accessibilità dei prezzi; di assicurare determinati livelli quantitativi. Per quanto riguarda poi più specificamente gli interventi volti alla determinazione delle tariffe, essi possono ritenersi conformi al diritto comunitario quando siano volti a garantire la fruizione dei servizi pubblici e non pregiudichino la libera iniziativa privata e la concorrenza tra le imprese[32].
In merito al punto 3), si ricorda che l’art. 43 TCE vieta le restrizioni alla libertà di stabilimento dei cittadini di uno Stato membro nel territorio di un altro Stato membro, mentre l’art. 49 vieta le restrizioni alla libera prestazione dei servizi all'interno della Comunità nei confronti dei cittadini degli Stati membri stabiliti in un paese della Comunità, che non sia quello del destinatario della prestazione. Quest’ultima norma ammette eccezioni solo per attività che partecipino all’esercizio dei poteri pubblici, ovvero per motivi di ordine pubblico, pubblica sicurezza e sanità pubblica (combinato disposto degli articoli 55 e 45-46 TCE). L’art. 49, così come interpretato dalla Corte di Giustizia, si è rivelata suscettibile di fornire una copertura a una serie di differenti fattispecie. Infatti, secondo una giurisprudenza costante della Corte di Giustizia, l'art. 49 prescrive non solo l'eliminazione di qualsiasi discriminazione nei confronti del prestatore di servizi stabilito in un altro Stato membro in base alla sua cittadinanza, ma anche la soppressione di qualsiasi restrizione, anche qualora essa si applichi indistintamente ai prestatori nazionali e a quelli degli altri Stati membri, allorché essa sia tale da vietare, da ostacolare o da rendere meno attraenti le attività del prestatore stabilito in un altro Stato membro ove fornisca legittimamente servizi analoghi (cfr. sentenza 13 febbraio 2003, in causa C-131/01). Sempre in base alla giurisprudenza della Corte di Giustizia, una restrizione alla libera prestazione dei servizi può essere giustificata da ragioni imperative di interesse generale – quali, ad esempio, la necessità di garantire la qualità delle prestazioni ad utenti che non siano appieno in grado di valutarla autonomamente, anche attraverso l’istituzione di albi professionali – che non risultino già garantite dagli obblighi cui il prestatore di servizi è tenuto nello Stato membro in cui è stabilito (si vedano, in particolare, le sentenze 9 marzo 2000 in causa C-355/98, 17 dicembre 1981, in causa C-279/80). In ogni caso, la procedura nazionale deve essere idonea a garantire il conseguimento dello scopo perseguito ma non andare oltre quanto necessario per il suo raggiungimento. Di conseguenza la disciplina nazionale non dovrebbe né ritardare né rendere più complesso l'esercizio del diritto di un soggetto stabilito in un altro Stato membro di prestare i propri servizi in un altro Stato quando l'esame dei requisiti per l'accesso alle attività di cui trattasi sia stato effettuato e sia stata accertata la sussistenza dei requisiti medesimi (cfr. sentenze Schnitzer dell’11 dicembre 2003 e Corsten del 3 ottobre 2000).
In ogni caso, la medesima Corte ha ritenuto compatibile con l’articolo 49 TCE l’introduzione del requisito di iscrizione in appositi albi e simili solo a determinate condizioni. Tale requisito, infatti, deve risultare automatico e non costituire una previa condizione alla prestazione dei servizi, né implicare oneri amministrativi o contributivi per il prestatore interessato (cfr. sentenze Schnitzer dell’11 dicembre 2003 e Corsten del 3 ottobre 2000)[33].
Al profilo della libera prestazione dei servizi e della libertà di stabilimento è strettamente legato quello relativo al reciproco riconoscimento dei diplomi, certificati ed altri titoli e alle qualifiche professionali, di cui all’art. 47 TCE, che ha previsto, tra l’altro, l’adozione di direttive, allo scopo di evitare agli interessati la ripetizione del percorso degli studi e della successiva formazione per esercitare professioni subordinate al possesso di titoli universitari o comunque post-secondari[34]. Anche su tale aspetto si è soffermata la XIV Commissione, in occasione dell’espressione dei suoi pareri[35].
Infine, per quanto attiene al punto 4)[36], si ricorda che l’articolo 28 TCE vieta fra gli Stati membri le restrizioni quantitative all’importazione e le misure di effetto equivalente. Tuttavia, secondo l’articolo 30 del medesimo Trattato, le restrizioni all’importazione giustificate, tra l’altro, da motivi di tutela della proprietà industriale e commerciale sono autorizzate, qualora non costituiscano un mezzo di discriminazione arbitraria, né una restrizione dissimulata al commercio tra Stati membri. In base all’interpretazione dalla Corte di giustizia di tale normativa, i requisiti cui le normative nazionali assoggettano la concessione di denominazioni nazionali di qualità, a differenza di quanto accade per le denominazioni di origine e le indicazioni di provenienza, possono riguardare solo le caratteristiche qualitative intrinseche dei prodotti, indipendentemente da qualsiasi considerazione relativa all’origine o alla provenienza geografica degli stessi. Infatti, secondo tale giurisprudenza è incompatibile con il mercato unico, sulla base dell’art. 28, la presunzione di qualità legata alla localizzazione nel territorio nazionale di tutto o di parte del processo produttivo, “la quale di per ciò stesso limita o svantaggia un processo produttivo le cui fasi si svolgano in tutto o in parte in altri Stati membri”[37].
La XIV Commissione, nel corso della XIV legislatura, ha svolto l’esame di quindici risoluzioni in materia comunitaria; su otto di queste si è svolto un dibattito e sono state approvate.
Tra gli argomenti trattati, si segnala in particolare la questione della tempestiva e sistematica trasmissione alle Camere delle proposte di atti comunitari e dell'Unioneeuropea. Infatti, nella discussione della risoluzione CONTI Riccardo (7-00072) – presentata il 24/1/2002 e approvata il 13/2/2002 (Atto numero 8/00006) – si è impegnato il Governoad:
§ assicurare la tempestiva e sistematica trasmissione alle Camere delle proposte di atti comunitari e dell'Unione europea e di tutti gli atti e documenti preordinati alla loro formulazione;
§ garantire la concentrazione in capo al Dipartimento per il coordinamento delle politiche comunitarie dei compiti relativi alla trasmissione alle Camere dei predetti atti e documenti
§ acquisire gli indirizzi parlamentari e le osservazioni e i contributi degli altri soggetti consultati e provvedere all'immediata loro trasmissione, di concerto con il Ministero degli affari esteri, alla Rappresentanza permanente d'Italia presso l'Unione europea;
§ assicurare che i documenti trasmessi alle Camere siano corredati da relazioni tecniche che diano conto, in particolare, dello stato del negoziato e delle eventuali osservazioni già espresse dagli altri soggetti consultati e che contengano altresì una analisi dell'impatto sul diritto interno e sulla realtà socio-economica italiana;
§ garantire il costante e periodico aggiornamento della Camera, attraverso opportune forme di comunicazione anche per via telematica, sullo stato dell'iter dei documenti trasmessi.
Un altro argomento di rilievo affrontato è stata la questione dell’applicazione della normativa sull'affidamento dei servizi pubblici locali. Nella risoluzione BELLINI, Leoni, Bova, Crisci, Gambini, Vigni (7-00254) - presentata il 26/5/2003 e approvata il 15/7/2003 - si impegna il governo ad intervenire in sede comunitaria per risolvere le questioni relative all'applicazione della normativa sull'affidamento dei servizi pubblici locali ed in particolare ad assumere ogni utile iniziativa al fine di adeguare la normativa italiana in materia di aggiornamento e gestione dei servizi pubblici locali alle disposizioni delle direttive comunitarie, in particolare con le direttive sugli appalti di servizi (92/50/CEE) e sui settori esclusi (93/38/CEE).
Altre risoluzioni approvate sono state le seguenti:
§ AIRAGHI, Menia (7-00448) presentata il 29/6/2004 e approvata il 15/7/2004, sull’attuazione degli accordi transitori tra gli Stati membri dell'Unione europea e la Repubblica slovena, allo scopo specifico di tutelare gli operatori italiani del settore dei tabacchi operanti nelle aree di confine;
§ BALDI, Garagnani, Licastro Scardino, Santulli, Nan, Di Teodoro, Aracu, Airaghi, Osvaldo Napoli, Fragalà, Filippo Mancuso, Milioto, Vitali, Marras, Azzolini (7-00266), presentata il 18/6/2003 e approvata il 25/6/2003 (Atto numero 8-00047), sull’armonizzazione legislativa in materia di antidoping;
§ AIRAGHI, Duca, Romani, Stucchi, Sanza, Pasetto, Bocchino, Gibelli, Strano, Foti, Butti, Cossa, Ciani, Di Gioia, Riccardo Conti, Giorgio Conte, Crisci, Bova, Guido Giuseppe Rossi, Di Teodoro, Bornacin, De Laurentiis (7-00177), presentata il 27/11/2002 e approvata l’11/12/2002, sull'ammodernamento del naviglio mercantile, il potenziamento dei controlli e dei sistemi di monitoraggio del traffico navale per la prevenzione dell'inquinamento derivante dal trasporto marittimo di idrocarburi;
§ DITEODORO, Romoli (7-00048),presentata il 6/11/2001 e approvata il 22/1/2002, sulla promozione della riduzione dal 10 al 5 per cento l'aliquota IVA sulla fornitura, costruzione, restauro e trasformazione di strutture destinate all'ambito della politica sociale;
§ DESIMONE (7-00021), presentata il 27/7/2001 e approvata il 20/9/2001, sulle truffe all’UE in materia di aiuti alimentari destinati alle famiglie povere d'Europa.
§ MARIANI, Crisci, Coluccini, Ottone, Cialente, Mariotti, Grignaffini, Bellini, Borrelli, Lolli(7-00526), presentata giovedì 16 dicembre 2004 e approvata il 1/3/2005 (Atto numero 8/00113), sul diritto di prestito pubblico dei libri.
Sono poi state presentate ma non approvate le seguenti risoluzioni:
sulla proposta di direttiva “Bolkestein” (v. scheda Proposta di direttiva Bolkestein) (COM(2004)2):
§ CAMPA, Di Teodoro, Santori(7-00695) presentata giovedì 28 luglio 2005 nella seduta n. 664;
§ PAOLA MARIANI, Bova, Ottone, Buglio, Frigato (7-00573), presentata il 21/02/2005 e BELLINI (7-00551), presentata il 26/01/2005. Entrambe le risoluzioni sono state discusse il 20 ed il 28 luglio 2005 ma il dibattito non si è poi concluso in quanto è iniziato l’esame parlamentare in fase ascendente della proposta di direttiva. Nel dibattito i deputati avevano concordato sulla opportunità di definire un testo unificato delle risoluzioni che potesse raccogliere il consenso dei gruppi sia di maggioranza sia di opposizione, per impegnare il Governo ad adottare le iniziative necessarie per una radicale modifica della proposta di direttiva Bolkestein. In particolare, appariva necessario che il Governo si attivasse in sede comunitaria per modificare il principio del paese di origine, distorsivo della libera e leale concorrenza, e perché fosse promossa l'esclusione dall'applicazione della direttiva dei settori sanitario, postale, fiscale, dell'istruzione e della formazione pubblica. Era, peraltro, anche emersa una posizione di fondo favorevole del Ministro per le politiche comunitarie La Malfa, il quale avevaevidenziato come la proposta di direttiva Bolkenstein, sebbene potesse essere sottoposta a rilievi critici sotto diversi punti di vista, indicasse quale impostazione di fondo l'estensione del principio concorrenziale a tutti i settori.
su altri temi:
§ BALDI, Nan, Azzolini, Riccardo Conti, Airaghi, Giorgio Conte, Di Teodoro, Nuvoli, Spina Diana, Collavini (7-00483) presentata il 12/10/2004 sulla designazione di Rocco Buttiglione a Commissario europeo per la giustizia, libertà e sicurezza;
§ SERGIO ROSSI, Lussana, Stucchi, Parolo, Guido Giuseppe Rossi, Caparini (7-00475), presentata il 4/10/2004,sulla disciplina sulla detassazione degli utili reinvestiti in beni strumentali nell'esercizio dell'attività d'impresa o di lavoro autonomo, cosiddetta “Tremonti-bis”;
§ PREDA, Sedioli, Borrelli, Capitelli, Ruzzante, Rava, Franci, Innocenti, Rossiello, Sandi, Raffaella Mariani (7-00370) presentata l’11/2/2004, sul regolamento CEE n. 753/02 sulle modalità di designazione, denominazione, presentazione e protezione dei vini;
§ RAFFALDINI, Bova, Duca, Pasetto, Di Gioia, Panattoni (7-00229), presentata il 25/3/2003 sui problemi aperti nel settore delle infrastrutture e dei trasporti.
Per quanto riguarda le indagini conoscitive, la XIV Commissione ha svolto e concluso le seguenti:
§ Indagine conoscitiva sulle iniziative comunitarie per rafforzare la competitività del sistema produttivo europeo, anche alla luce dei crescenti rapporti commerciali tra Europa e Asia (è stato approvato un documento conclusivo) (v. scheda Indagine conoscitiva – Rapporti commerciali tra UE e Asia);
§ Indagine conoscitiva sul futuro dell'Unione europea, insieme alla III Commissione Esteri della Camera ed alla Commissione III ed alla Giunta per gli affari delle Comunità europee del Senato della Repubblica (svolta e conclusa con l’approvazione di un documento conclusivo esaminato separatamente dai due rami del Parlamento) (v. scheda Indagine conoscitiva – Il futuro dell’Unione europea).
Sono poi state svolte, ma non sono state concluse, le seguenti:
§ Indagine conoscitiva sul processo di formazione e di attuazione delle politiche dell'Unione Europea;
§ Indagine conoscitiva sulle prospettive finanziarie dell'unione europea e delle politiche di coesione, svolta congiuntamente alla V Commissione Bilancio della Camera (v. scheda Prospettive finanziarie UE 2007-13).
Per quanto riguarda infine le interrogazioni svolte in Commissione XIV, sono state 27 le interrogazioni presentate e 4 quelle a risposta immediata.
Tra i principali argomenti trattati nelle interrogazioni vi è la questione dei flussi migratori, in particolare:
§ le risorse finanziarie messe a disposizione per la costituzione del fondo europeo per i rifugiati 2008-2009 (DELMASTRO DELLE VEDOVE 5-04577);
§ le risorse finanziarie messe a disposizione per la costituzione del fondo europeo per le frontiere esterne (DELMASTRO DELLE VEDOVE 5-04576;
§ le risorse finanziarie messe a disposizione per la costituzione del fondo europeo per l'integrazione dei cittadini di Paesi terzi (DELMASTRO DELLE VEDOVE 5-04575);
§ le risorse finanziarie del “fondo europeo per il ritorno” in materia di flussi migratori (DELMASTRO DELLE VEDOVE 5-04573);
§ la creazione di una rete sul web per i servizi di gestione dell' immigrazione degli Stati membri (DELMASTRO DELLE VEDOVE 5-04581);
§ il livello di collaborazione fra gli Stati membri in ordine al sistema informativo visti (VIS) (DELMASTRO DELLE VEDOVE 5-04580).
Le interrogazioni suddette miravano ad individuare, nell’ambito del programma quadro definito «Solidarietà e gestione dei flussi migratori» per il periodo 2007-2013, l’ammontare delle risorse finanziarie messe a disposizione nei quattro fondi. La risposta del Ministro ha evidenziato che le decisioni che istituiscono i singoli Fondi sono ancora a livello di proposta e in discussione nell'ambito dei rispettivi gruppi di lavoro del Consiglio con dotazioni finanziarie provvisorie.
Per approfondimenti sul tema della programmazione in Italia dei flussi migratori si rinvia alla scheda Immigrazione- Le politiche di programmazione nel dossier n. 2/1, relativo alla I Commissione (Affari costituzionali).
Di particolare rilievo anche la discussione dell’interrogazione DELMASTRO DELLE VEDOVE 5-04377 del 2/5/2005 (discussa il 22/6/2005), che ha posto in luce il problema del cosiddetto «rebate» britannico - cioè del ristorno finanziario di circa 4,6 miliardi di euro l'anno di cui il governo inglese beneficia dal 1984 come compensazione ex-post per lo squilibrio fra versamenti alle casse di Bruxelles e ritorni diretti (agricoltura ed aiuti regionali) - nell’ambito dei negoziati sulle prospettive finanziarie dell’Unione. Nella risposta del governo si è evidenziato che tale correzione ad hoc per un solo Paese, nel contesto di un'Unione allargata a 25 e poi a 27 Stati membri, caratterizzata da forti disparità di sviluppo, appare difficilmente giustificabile. Infatti, rispetto al 1984 la situazione è profondamente cambiata ed in particolare il Regno Unito presenta attualmente uno dei redditi pro capite più alti dell'Unione, non essendo più il solo Paese a presentare squilibri di bilancio, in quanto altri Stati membri (fra l'altro, meno prosperi della Gran Bretagna in termini relativi) presentano una situazione simile.
Altre questioni poste nelle interrogazioni sono state le seguenti:
§ la direttiva sulla brevettabilità del software(MARIANI Raffaella 5-03560);
§ la valutazione di impatto ambientale sul progetto MOSE (VIANELLO Michele 5-02794 e 5-02656 e 5-02526 e l’interrogazione a risposta immediata BOVA 5-02597);
§ l’eliminazione della lingua italiana dal novero delle lingue ufficiali nell'ambito dell'Unione europea (DELMASTRO DELLE VEDOVE 5-04084);
§ la continuità del programma comunitario Action Jean Monnet (RODIGHIERO 5-04941);
§ la relazione della Commissione: “Legiferare meglio 2004” (DELMASTRO DELLE VEDOVE 5-04579);
§ la situazione italiana relativamente all’alto numero di procedure di infrazione comunitarie (LANDI DI CHIAVENNA 5-02095: interrogazione non svolta);
§ la proposta, nell’ambito dei negoziati sul capitolo «servizi» dell'Agenda per lo sviluppo di Doha, di apertura del mercato europeo ai competitori esteri nei settori dei servizi (BELLINI Giovanni 5-01685 e l’interrogazione a risposta immediata BOVA 5-01982);
§ l’istituzione nell'ambito della Presidenza del Consiglio presso il Dipartimento per le politiche comunitarie, di una struttura di missione (CRISCI Nicola 5-01660, 5-01244, 5-01240);
§ sul precontenziosoavviatoin sede europea in relazione alla normativa nazionale in materia di affidamento della gestione dei servizi pubblici locali (BELLINI Giovanni 5-00502 e le interrogazioni a risposta immediata ROSSI 5-01287 e BOVA 5-01286 del 2/10/2002, discusse congiuntamente il 3/10/2002); nella prima si chiedeva di garantire la corretta applicazione della normativa comunitaria in materia di affidamento dei servizi pubblici locali ovviando alle incongruenze interpretative sorte tra dicasteri dell’ambiente e delle politiche comunitarie, mentre nelle interrogazioni a risposta immediata si chiedeva quali provvedimenti intendesse prendere il Governo per rispondere alla procedura di infrazione avviata dalla Comunità in relazione alla non compatibilità dell'articolo 35 della legge finanziaria 2002 (legge n. 448 del 2003) con le direttive sugli appalti di servizi (92/50/CEE) e sui settori esclusi (93/38/CEE) circa l'affidamento diretto del servizio idrico integrato a società di capitali partecipate unicamente da enti locali facenti parte dello stesso ambito territoriale.
Il sistema di finanziamento dell’Unione, previsto dall’articolo 269 del Trattato CE, stabilisce che il bilancio generale dell’Unione Europea sia integralmente finanziato dalle cosiddette “risorse proprie”, ossia dai mezzi finanziari conferiti da ciascuno Stato membro per garantire il funzionamento dell’amministrazione comunitaria e la realizzazione delle relative politiche. Tali risorse, attualmente disciplinate dalla decisione del Consiglio n. 597 del 29 settembre 2000, sono costituite da:
§ risorse proprie tradizionali (R.P.T.): derivano dall’esistenza di uno spazio doganale unificato e sono riscosse dai Paesi membri e poi versate alla Comunità, al netto delle spese di riscossione; esse sono costituite dai dazi doganali riscossi dai Paesi membri negli scambi con paesi terzi, dai prelievi sulle importazioni di prodotti agricoli, derivanti da scambi con paesi terzi, nonché da contributi provenienti dall’imposizione di diritti alla produzione dello zucchero;
§ risorsa I.V.A., è costituita da un contributo a carico di ciascuno stato membro calcolato applicando un’aliquota uniforme all’imponibile nazionale dell’IVA;
§ risorsa P.N.L., derivante dall’applicazione di un’aliquota uniforme al PNL (c.d. “risorsa complementare”) e destinata a finanziare le spese di bilancio non coperte dalle altre due suddette risorse.
La risorsa I.V.A. e la risorsa P.N.L. rappresentano attualmente la maggior parte delle risorse del bilancio UE. A quest’ultimo proposito, si ricorda che la citata decisione n. 597 del 2000 ha stabilito la riduzione allo 0,50% dell’aliquota massima dell’IVA, a partire dal 2004[38]. Pertanto, la risorsa PNL va assumendo un peso crescente.
Pertanto, il sistema di risorse proprie in vigore dal 1° gennaio 2002 ècaratterizzato dai seguenti aspetti[39]:
- mantenimento del massimale delle risorse proprie all'1,27% del PNL europeo;
- spese di riscossione delle risorse proprie tradizionali fissate al 25 %;
- aliquota massima di prelievo IVA fissata allo 0,50 %.
Per quanto riguarda gli accertamenti, sono gli Stati membri ad accertare e versare quanto dovuto, mentre il controllo è effettuato principalmente da organismi comunitari (Commissione e Corte dei Conti europea).
Nel nostro Paese alla decisione n. 2000/597/CE è stata data esecuzione con l’articolo 77 della legge finanziaria per il 2002.
Si segnala, infine, che l’esposizione contabile dei flussi finanziari intercorsi tra l'Italia e l'Unione europea viene allegata al Rendiconto generale dello Stato.
Per quanto riguarda invece la contribuzione dell’Unione europea in favore dell’Italia, essa consegue alle politiche comuni di sviluppo poste in essere dall’Unione in vari settori e si realizza concretamente con gli Strumenti finanziari costituiti dai Fondi strutturali (v. capitolo I fondi strutturali comunitari nel dossier n. 2/5, relativo alla V Commissione (Bilancio) e dal FEOGA-Garanzia. Attraverso di essi l’Unione destina ingenti risorse a favore degli Stati membri.
I principali strumenti finanziari sono:
- FEOGA sezione Orientamento (finanzia il miglioramento delle strutture agricole) e FEOGA sezione Garanzia (che finanzia la Politica Agricola Comune intervenendo direttamente sui prezzi dei prodotti agricoli);
- Fondo Europeo di Sviluppo Regionale (FESR) che sovvenziona la politica regionale nelle regioni in ritardo;
- Fondo sociale europeo (FSE) che finanzia interventi di formazione professionale per la politica sociale e l’occupazione);
- SFOP (Strumento Finanziario di Orientamento della Pesca);
- Fondo di coesione (istituito dall’art. 161 del Trattato CE), di cui beneficiano solo Spagna, Grecia, Irlanda e Portogallo e che interviene nei settori dell’ambiente e delle reti transeuropee.
Per quanto riguarda la riforma dei fondi strutturali nel quadro 2007-2013, si veda la scheda Prospettive finanziarie UE 2007-2013.
Si tratta di strumenti a carattere polivalente che vengono attivati nell’ambito di programmi di sviluppo plurisettoriali e definiti in compartecipazione tra le autorità dell’UE e quelle nazionali, secondo il principiodel “cofinanziamento”.
L’attuazione degli interventi cofinanziati dall’Unione europea, si può desumere sia dai dati relativi al Fondo di rotazione per le politiche comunitarie che dai dati relativi ai trasferimenti effettuati dalle Amministrazioni statali, riportati entrambi nella Tabella dei flussi finanziari Italia- UE, allegata al Rendiconto generale dello Stato. Nell’ambito del Conto consuntivo del Ministero dell’Economia sono riportate le erogazioni effettuate dal Fondo di rotazione per le politiche comunitarie.
Dal punto di vista quantitativo si ricorda che tra le politiche dell’Unione è la Politica Agricola Comune (PAC) ad assorbire tradizionalmente le quote di finanziamento comunitario più consistenti. Essa da un lato favorisce l’uso di nuove tecnologie e dall’altra opera per il sostegno dei mercati.
Le altre politiche finanziate sono le politiche socio-strutturali, le quali per il nuovo periodo di programmazione 2000-2006 (in base al Regolamento n. 1260/1999), prevede il finanziamento di 3 obiettivi prioritari di sviluppo:
o obiettivo 1: per la promozione, lo sviluppo e l’adeguamento strutturale delle regioni in ritardo di sviluppo;
o obiettivo 2: per la riconversione economica e sociale delle zone con problemi strutturali;
o obiettivo 3: per l’adattamento e l’ammodernamento delle politiche e dei sistemi di istruzione, formazione e occupazione.
Per approfondimenti su tale tema si rinvia alla scheda Fondi strutturali comunitari – Il ciclo di programmazione 2000-2006 nel dossier n. 2/5, relativo alla V Commissione (Bilancio).
Dall’esposizione dei flussi finanziari con l’UE allegata al Rendiconto 2004 risulta che: nelle previsioni definitive di bilancio dell’UE per il 2004 la quota di contribuzione italiana all’UE relativa alle risorse proprie è pari a 13.358 milioni di euro, pari al 14,1% del totale della contribuzione a livello UE. Nel 2003 era di 11.906 milioni di Euro, pari al 14,2% del totale della contribuzione a livello UE, mentre nel 2002 la contribuzione italiana era di 11.654 milioni di euro, pari al 14,4% del totale.
Di questa, la parte maggiore è costituita dalla risorsa PNL pari a 9.408 milioni di euro (pari ad una quota del 13,6% rispetto agli altri Stati membri). La risorsa IVA, pari a 2.756 milioni di euro, vede invece una quota di contribuzione italiana pari al 20,3%, elevata in ragione della correzione dovuta al Regno Unito.
Per quanto riguarda la composizione della contribuzione italiana, essa è costituita ora per la maggior parte, pari al 66,17 % (8.628,405 milioni di euro), dalla risorsa complementare (PNL), per il 24,31% dall’IVA ( 3.169,508 milioni di euro) e per il restante 9,52% (1.241,946 milioni di euro) dalle risorse proprie tradizionali.
Dal momento che in base alla decisione del Consiglio n. 597 del 2000 a partire dal 2004 è stata ridotta allo 0,50% l’aliquota massima dell’IVA, la risorsa PNL ha pertanto assunto un peso crescente. Si ricorda, infatti che nel 2002 la contribuzione italiana era costituita per il 56,34% dalla risorsa PNL e per il 33,82% dall’IVA, mentre nel 2003 le percentuali erano scese rispettivamente del 62,33% e del 28,65%.
Nella legge di bilancio 2006, si prevede una spesa di parte corrente per il finanziamento del bilancio dell’Unione pari a 15,85 milioni di euro, leggermente in aumento rispetto alla legge di bilancio 2005 che prevedeva 15,7 milioni di euro.
Per quanto riguarda, invece, il contributo dell’Unione europea in favore dell’Italia, dai dati del Rendiconto 2004 si ricava che nell’esercizio 2004 sono stati accreditati all’Italia contributi per 9.669,257 milioni di euro[40], con una diminuzione del 4,88% rispetto al precedente anno 2003 pari a 525.259.571 euro.
La parte più importante (5.005,751 milioni di euro, pari al 51,59% del totale) attiene alle azioni cofinanziate dal FEOGA-Garanzia (interventi per la Politica Agricola Comune). Rispetto allo scorso anno, peraltro, la contribuzione relativa al FEOGA-Garanzia è diminuita del 6,9%, come pure risulta ridotta del 26,23% quella relativa al FESR (che è stata pari nel 2004 a 2.236,988 milioni di euro pari al 23,05%) e quella relativa al FEOGA sez. Orientamento (-7,54%). Risultano invece aumentate del 59,65%, le contribuzioni al Fondo Sociale Europeo, per il cofinanziamento delle iniziative di formazione professionale (per una contribuzione nel 2004 pari a 1.755,154 milioni di euro), e del 143,96% quelle relative allo SFOP (33,1 milioni di euro nel 2004) per il settore della pesca.
In particolare, in relazione ai fondi strutturali, i dati del rendiconto 2004 evidenziano anche la ripartizione delle somme accreditate dall’UE all’Italia disaggregate in relazione ai singoli Obiettivi dei Fondi stessi. Si tratta di somme corrisposte sia in base alla programmazione 1994-1999 sia in base ai finanziamenti previsti nella programmazione 2000-2006.
In particolare, dai dati disponibili risulta che nel 2004 l’Unione europea ha accreditato all’Italia per interventi localizzati nelle regioni del Mezzogiorno (Obiettivo 1), complessivamente 2.904,713 milioni di euro, dei quali 2.604,986 relativi alla programmazione 2000-2006[41]. Per quanto riguarda l’Obiettivo 2, che favorisce le Regioni colpite da declino industriale, le somme complessivamente accreditate all’Italia nel 2004 sono state pari a 417,877 milioni di euro, di cui 353,560 milioni di euro relativi alla programmazione 2000-2006, tutti erogati dal FESR (di cui il 23,80% circa alla regione Piemonte, il 15,43% circa alla regione Veneto e l’11% circa alla regione Toscana). Infine, l’Obiettivo 3, relativo a finanziamenti legati al fenomeno della disoccupazione, ha visto accreditate somme nel 2004 pari a 802,317 milioni di euro, di cui 757,068 erogate dal Fondo Sociale Europeo per la programmazione 2000-2006.
Per approfondimenti su tale tema si rinvia alla scheda Fondi strutturali comunitari – Stato di attuazione nel dossier n. 2/5, relativo alla V Commissione (Bilancio).
Il Fondo di rotazione per le politiche comunitarie, istituito dall’articolo 5 della legge n. 183/1987 (c.d. “legge Fabbri”)[42], è un fondo che dà un quadro complessivo degli interventi cofinanziati dall’UE: ad esso infatti affluiscono disponibilità provenienti sia dal bilancio comunitario che quelle provenienti dal bilancio nazionale, è dotato di amministrazione autonoma e di gestione fuori bilancio e si avvale di due conti correnti infruttiferi presso la Tesoreria centrale dello Stato:
- l’uno che registra i movimenti di entrata e uscita che fanno capo ai versamenti comunitari, denominato: Fondo di rotazione per l’attuazione delle politiche comunitarie: finanziamenti CEE;
- l’altro che registra le analoghe operazioni a carico dei finanziamenti nazionali, denominato: Fondo di rotazione per l’attuazione delle politiche comunitarie: finanziamenti nazionali.
Il Fondo di rotazione presenta annualmente il proprio rendiconto alla Corte dei Conti.
Lo stanziamento previsto per l’anno 2006 nella legge di bilancio dello Stato complessivamente a carico del Fondo di rotazione (UPB 4.2.3.8- Cap. 7493) è pari a 2,050 miliardi di euro. Si tratta delle somme da versare al suddetto conto corrente nella sezione finanziamenti nazionali
Si ricorda infine che, nell’ambito del Ministero dell’economia e delle finanze, anche la Ragioneria generale dello Stato, in particolare l’Ispettorato generale per i rapporti finanziari con l'Unione europea (IGRUE), svolge un ruolo nella gestione finanziaria degli interventi di politica comunitaria, curando sia l’intermediazione finanziaria tra le istituzione comunitarie e le Amministrazioni titolari degli interventi, che l’assegnazione delle quote di cofinanziamento nazionale degli interventi a carico della legge n. 183/1987.
L’evoluzione della giurisprudenza della Corte costituzionale italiana in materia comunitaria è particolarmente significativa, in quanto ha contribuito ad individuare i fondamenti costituzionali e teorici dell’appartenenza dell’Italia alla Comunità europea, contribuendo a definire altresì la disciplina sostanziale dei rapporti tra i due ordinamenti. Mai come in questo caso, infatti, i principi che regolano la materia e che orientano gli interpreti hanno una matrice nettamente giurisprudenziale.
Dal momento che le pronunce della Corte nel settore investono una pluralità di aspetti, è opportuno suddividere l’analisi in relazione ai singoli profili.
All’indomani della partecipazione dell’Italia alle Comunità europee molto si è discusso circa il fondamento costituzionale della scelta, fondamento che è stato individuato dalla dottrina e dalla giurisprudenza costituzionale nell’articolo 11 della Costituzione. La norma, infatti, prevede che l’Italia consente a limitazioni della propria sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia tra le Nazioni.
A partire dalla sentenza n. 14 del 1964, la Corte costituzionale ha riconosciuto come l’art. 11 implichi che, in presenza di determinati presupposti, è possibile stipulare trattati, come quelli comunitari, in grado di determinare limitazioni di sovranità, e che a tali trattati è consentito dare esecuzione con legge ordinaria anziché costituzionale. La giurisprudenza successiva ha confermato questa impostazione, sottolineando che altrimenti l’art. 11 risulterebbe svuotato del suo contenuto normativo, se per ogni limitazione di sovranità da esso prevista si dovesse procedere con legge costituzionale (cfr. sent. n. 183 del 1973).
Da allora in poi “l’articolo 11 ha costituito l’unico ancoraggio costituzionale della partecipazione dell’Italia all’Unione europea” (CARTABIA-WEILER).
Al riguardo, si ricorda, comunque, che a seguito della riforma del Titolo V della Costituzione l’art. 117, primo comma, stabilisce che la legislazione statale e regionale deve svolgersi, tra l’altro, nel rispetto degli obblighi comunitari (v. scheda Titolo V e norme di attuazione nel dossier n. 2/1, relativo alla I Commissione (Affari costituzionali). Tale statuizione appare particolarmente significativa, dal momento che contiene l’esplicito riconoscimento della supremazia del diritto comunitario: secondo una parte della dottrina le nuove norme fanno dell'Unione europea e delle fonti da essa prodotte anche un elemento di unificazione dell'ordinamento complessivo – che in precedenza poteva verificarsi solo attraverso l'interposizione della legge nazionale – di modo che si va delineando il superamento della logica della separazione dell'ordinamento italiano rispetto a quello comunitario in favore dell'opposta logica dell'integrazione fra gli ordinamenti (PIZZETTI, SORRENTINO).
In questa direzione sembra ormai avviata anche la Corte costituzionale che, in una recente pronuncia (sentenza n. 406 del 2005), appare orientata a considerare in un’ottica unitaria l’ordinamento interno e quello comunitario. Infatti, essa ha direttamente verificato l’effettivo rispetto delle norme di una direttiva comunitaria da parte di una legge della regione Abruzzo, che è stata dichiarata quindi costituzionalmente illegittima.
È questo il settore nel quale l’apporto giurisprudenziale si è rivelato maggiormente determinante ai fini dell’inquadramento dei rapporti tra ordinamento interno e comunitario (v. capitolo Rapporti tra ordinamento interno e dell’UE). Numerosissime sono le sentenze che hanno progressivamente contribuito a definire gli assetti attuali: esse possono essere ricondotte a tre distinte fasi giurisprudenziali.
La prima inizia sempre dalla sentenza n. 14 del 1964, con la quale la Corte aveva ritenuto che l’art. 11 Cost. non conferisse alla legge esecutiva dei trattati un’efficacia superiore a quella delle altre leggi ordinarie. Di conseguenza, gli atti comunitari immessi nel nostro ordinamento dovevano essere valutati in base al criterio cronologico della successione delle leggi nel tempo e, quindi, considerati abrogabili da leggi interne posteriori.
Successivamente, con la sentenza 183 del 1973, si chiarisce che l’ordinamento interno e quello comunitario sono “autonomi e distinti, ancorché coordinati secondo la ripartizione di competenze stabilita e garantita dal Trattato”. Pertanto, le limitazioni di sovranità derivanti dai Trattati determinano una separazione delle competenze legislative, amministrative, giurisdizionali interne rispetto a quelle delle Istituzioni europee e che di conseguenza anche i rapporti tra le fonti nazionali ed i regolamenti comunitari – riconosciuti come atti dotati di forza di legge – debbono essere definiti in termini di competenza. Da ciò discende che la violazione di questi ultimi da parte di leggi ordinarie – per invasione della loro sfera di competenza – rappresenterebbe una violazione mediata dell’art. 11 Cost. e pertanto tali leggi interne andrebbero impugnate davanti alla Corte costituzionale per un vaglio di legittimità (cfr. sent. n. 232 del 1975).
La terza fase della giurisprudenza costituzionale allinea l’impostazione della nostra Corte con quella della Corte di Giustizia ed è tuttora valida. Infatti, a partire dalla sentenza n. 170 del 1984, viene valorizzato il primato del diritto comunitario, che si afferma attraverso il potere-dovere del giudice comune di disapplicare le norme interne in contrasto con regolamenti comunitari (o con altre norme comunitarie direttamente applicabili), senza bisogno di sollevare questione di costituzionalità sulle prime.
La Corte è andata poi definendo ulteriormente i termini della questione, chiarendo che sono direttamente applicabili anche le sentenze interpretative e di inadempimento della Corte di giustizia (sentt. nn. 113 del 1985 e 389 del 1989), nonché le direttive, allorché sia scaduto il relativo termine di recepimento ed esse risultino incondizionate e sufficientemente precise (c.d. direttive dettagliate) (sentt. nn. 64 del 1990 e 168 del 1991). Inoltre, non spetta soltanto al giudice disapplicare la normativa interna con tali atti incompatibile, ma anche alla pubblica amministrazione (sent. n. 389 del 1989).
Infine, la Corte ha ritenuto ammissibile giudicare della legittimità costituzionale di leggi statali o regionali impugnate in via principale per violazione di norme comunitarie direttamente applicabili e, quindi, per violazione mediata dell’art. 11 Cost. (cfr.sent. n. 384 del 1994, sent. n. 94 del 1995 e sent. n. 406 del 2005).
Il problema della tutela dei diritti va visto sotto un duplice profilo: in primo luogo, per quanto riguarda la questione della tutela nell’ordinamento comunitario, in secondo luogo, relativamente al profilo della garanzia nel nostro ordinamento dei diritti inalienabili garantiti dalla Costituzione anche nei confronti di eventuali atti comunitari che li possano intaccare.
In merito al primo aspetto, si ricorda che in assenza di espresse previsioni, la giurisprudenza della Corte di Giustizia ha dichiarato che i diritti fondamentali della persona umana fanno parte dei principi generali del diritto comunitario di cui essa garantisce l’osservanza. La configurazione di tali diritti è stata dalla medesima Corte ancorata alle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri.
Successivamente, il Trattato sull’Unione europea, all’articolo 6, prevede espressamente che l’Unione rispetta i diritti fondamentali come garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e quali risultano dalle tradizioni costituzionali comuni dei Paesi membri, “in quanto principi generali del diritto comunitario”.
La Carta dei diritti fondamentali dell’UE (v. relativa scheda), proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 nella forma di solenne Dichiarazione congiunta del Parlamento europeo, del Consiglio e della Commissione, rappresenta la tappa successiva di questo percorso e, sebbene non abbia efficacia giuridica, rappresenta comunque un criterio interpretativo forte (A. PACE). Infatti, nonostante essa non contenga, in quanto tale, disposizioni giuridicamente vincolanti comparabili a quelle del diritto primario, avendo un valore più politico che giuridico, fornisce, quantomeno quale fonte di cognizione, indicazioni sui diritti fondamentali garantiti dall'ordinamento comunitario. Tale elemento è stato evidenziato più volte nelle conclusioni dell’avvocato generale presso la Corte di Giustizia[43] e la Carta non può pertanto essere trascurata nella soluzione di controversie giurisdizionali relative ai diritti fondamentali. Del resto, il Tribunale di prima istanza ha a volte richiamato specifici articoli della Carta, in quanto confermativi di principi costituzionali comuni degli Stati membri, ai sensi dell’articolo 6 del Trattato sull’Unione europea[44], ed anche la Corte costituzionale italiana ha fatto espresso richiamo ad essa, in quanto espressiva di principi comuni agli ordinamenti europei, anche se priva di efficacia giuridica (sentenza n. 135 del 2002).
La Carta è stata successivamente stata integrata nella parte II del Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa (artt. da II-61 a II-114) (v. scheda Il Trattato costituzionale), firmato a Roma il 29 ottobre 2004 e ratificato dall’Italia con legge 7 aprile 2005, n. 57.
In merito al profilo della tutela nel nostro ordinamento dei diritti inalienabili garantiti dalla Costituzione anche nei confronti di atti comunitari, si ricorda che la Corte costituzionale, sin dalle prime pronunce in materia ha dimostrato una particolare sensibilità rispetto al tema dell’eventuale lesione dei principi fondamentali del nostro ordinamento da parte di fonti comunitarie. Al riguardo, la Corte ha escluso che le limitazioni di sovranità consentite in virtù dell’art. 11 Cost. possano comportare per gli organi comunitari “un inammissibile potere di violare i principi fondamentali del nostro ordinamento costituzionale, o i diritti inalienabili della persona umana”. In tal caso, sarebbe comunque “sempre assicurata la garanzia del sindacato giurisdizionale di questa Corte sulla perdurante compatibilità del Trattato con i predetti principi fondamentali” (sent. n. 183 del 1973). In tali ipotesi dovrebbe essere impugnata – da parte del giudice interno remittente – la questione di legittimità costituzionale sulla legge di esecuzione dei Trattati comunitari, che ha consentito l’ingresso, nel nostro ordinamento, delle norme comunitarie sospettate di incostituzionalità (cfr. sent. n. 183 del 1973, sent. n.170 del 1984 e sent. n.232 del 1989).
Le c.d. “discriminazioni a rovescio” insorgono nel caso in cui la legislazione interna preveda una disciplina più restrittiva per l’esercizio di professioni o per determinate tipologie di prodotti rispetto a quella vigente negli altri Stati membri. La situazione discriminatoria che si determina è un effetto indiretto dell’applicazione del diritto comunitario, in quanto in base al principio di libera circolazione delle merci e delle persone all'interno dell’Unione, sia i prodotti sia i prestatori di servizi, operanti all'interno di uno Stato membro in base alle regole ivi vigenti, devono poter circolare liberamente in tutti gli altri Paesi, a prescindere dalla disciplina esistente nello Stato di destinazione[45]. Pertanto, nel caso in cui il Paese di destinazione abbia una disciplina più rigorosa, i produttori ed i prestatori di servizi nazionali, in mancanza di una piena armonizzazione nell'attuazione della normativa comunitaria da parte dei vari Stati membri, dovrebbero osservare regole più restrittive di quelle previste negli altri Stati per la produzione del medesimo tipo di bene o per l'esercizio della medesima attività.
Per rimediare a questo tipo di discriminazioni è stata ripetutamente adita la Corte di giustizia delle Comunità europee[46], la quale però ha negato la propria competenza per l'irrilevanza comunitaria di tutte quelle situazioni che, non avendo diretti collegamenti con il diritto comunitario, trovano il proprio fondamento nella legislazione interna del singolo Stato membro[47]. Per quanto riguarda il nostro ordinamento, la Corte costituzionale è intervenuta nella vicenda della produzione della pasta, dichiarando costituzionalmente illegittime, per violazione del principio di eguaglianza, quelle disposizioni suscettibili di discriminare i cittadini italiani costringendoli a rispettare una disciplina più restrittiva di quella applicata ai cittadini degli Stati membri, in ordine ad una medesima fattispecie (sentenza n. 443 del 1997, in materia si vedano anche le sentt. n.249 del 1995 e n.61 del 1996).
Si ricorda, infine, che in materia l’articolo 2 della legge comunitaria per il 2004 (legge n. 62 del 2005) ha introdotto un principio e criterio direttivo alla lettera h), volto ad assicurare in sede di recepimento delle direttive un’effettiva parità di trattamento dei cittadini italiani rispetto a quelli degli altri Stati membri. Tale scopo viene perseguito assicurando la massima armonizzazione tra le legislazioni degli Stati membri al fine di evitare l’insorgere di “discriminazioni a rovescio” a danno dei cittadini italiani, tenuti a rispettare, con particolare riferimento ai requisiti per l’esercizio di attività commerciali e professionali, una disciplina più restrittiva di quella applicata ai cittadini degli altri Stati membri.
In merito ai requisiti per l’ammissibilità del referendum abrogativo, la Corte costituzionale, partendo dal limite degli obblighi internazionali sancito dall’art. 75 Cost., ha elaborato una giurisprudenza che ad esso riconduce anche un nuovo limite, quello delle “leggi comunitariamente necessarie”.
Nelle prime sentenze la Corte aveva, in effetti, considerato ammissibili dei quesiti referendari in quanto essi non interferivano con la normativa comunitaria (sentt. nn. 64 del 1990 e 36 del 1997). Successivamente, la Consulta non ha ritenuto ammissibile il referendum su quelle leggi che sono indispensabili affinché lo Stato italiano non risulti inadempiente rispetto agli obblighi comunitari, dal momento che l’eliminazione di tali norme è possibile solo con la contemporanea introduzione di disposizioni conformi al diritto dell’UE (sentt. nn. 31, 41 e 45 del 2000).
La giurisprudenza costituzionale si è altresì preoccupata di non violare la c.d. clausola di stand still, enucleata dalla Corte di Giustizia, secondo la quale anche in pendenza del termine di recepimento delle direttive gli Stati non devono adottare normative interne in grado di ostacolare o ritardare l’applicazione del diritto comunitario (v. capitolo Le fonti del diritto comunitario). Infatti, con le sentenze nn. 41 e 45 del 2000, la Consulta ha ritenuto inammissibili quesiti volti ad eliminare disposizioni vigenti già conformi a direttive comunitarie in via di recepimento, in quanto non può crearsi una disciplina nazionale in conflitto con i principi contenuti nelle direttive da attuare.
I Trattati comunitari ed il diritto derivato mostrano una sostanziale indifferenza rispetto all’articolazione interna dei singoli Stati membri, di modo che anche il riparto interno delle competenze tra Stato e Regioni non viene preso in considerazione – in linea di massima – dall’ordinamento comunitario.
Peraltro, dal momento che alcune rilevanti materie di competenza della Comunità europea rientrano altresì nella sfera di attribuzione regionale, il diritto comunitario può finire per influire concretamente sulle competenze delle Regioni. Tale influenza può avvenire:
- in modo casuale, dipendendo dalla originaria scelta di attribuire alle Regioni una determinata materia, su cui incide anche la competenza comunitaria;
- in modo diretto, derivante dall’intervento del diritto comunitario che individua il livello di governo più adeguato a svolgere una determinata funzione di rilievo comunitario.
In particolare, nel primo caso, la Corte costituzionale, sollecitata dalle Regioni a difendere i confini delle loro attribuzioni nei confronti della potenzialità invasiva delle norme comunitarie, ha riconosciuto che queste ultime sono in grado di incidere sull’esercizio delle competenze regionali pur fissate in norme costituzionali: “le competenze regionali sono suscettibili di operare nella misura in cui i loro contenuti non vengono a contrastare con le discipline ed i limiti introdotti dalla normazione comunitaria”, di modo che tali competenze possono diventare inoperanti se la disciplina dell’UE dovesse cancellare il presupposto su cui si fondava la competenza (sentenze nn. 224 del 1994 e 458 del 1995).
Nella seconda ipotesi, analogamente, la Corte ha riconosciuto che gli organi comunitari non sono tenuti ad osservare puntualmente la ripartizione delle competenze prevista a livello costituzionale, ma possono dettare disposizioni di differente contenuto, purchè rispettino i principi fondamentali del nostro ordinamento costituzionale ed i diritti inalienabili della persona umana (sentenza n. 399 del 1987). Successivamente, la Consulta ha chiarito che le norme comunitarie, per esigenze organizzative dell’UE, possono prevedere forme attuative che deroghino al normale riparto costituzionale delle competenze, sempre però nel rispetto dei principi fondamentali ed inderogabili della nostra Costituzione (sentenza n. 126 del 1996).
In relazione ad entrambe le fattispecie, il Giudice costituzionale ha sottolineato che “questa situazione non è quella normale e deve pertanto derivare con evidenza dalla normativa comunitaria, sulla base di esigenze organizzative che ragionevolmente facciano capo all'Unione europea stessa” (sentenza n. 126 del 1996).
Si ricorda, infine, la giurisprudenza costituzionale relativa alla questione dei poteri statali sostitutivi (v. scheda La legge n. 11 del 2005) da esercitare in caso di inerzia delle regioni nell’attuazione del diritto comunitario. Tale giurisprudenza, maturata nel quadro costituzionale originario, mantiene la sua validità anche nel mutato contesto della riforma del Titolo V della Costituzione del 2001.
In particolare, in caso di inerzia delle regioni e province autonome nel recepimento delle direttive comunitarie, la Corte ha più volte ribadito come lo Stato sia responsabile integralmente e unitariamente dell'attuazione del diritto comunitario nell'ordinamento interno, di fronte alla Comunità europea, oggi Unione europea (ex plurimis, sentenze nn. 382 del 1993 e 632 del 1988). Pertanto, allo Stato - ferma restando la competenza in prima istanza delle Regioni e delle Province autonome – “spetta una competenza, dal punto di vista logico, di seconda istanza, volta a consentire a esso di non trovarsi impotente di fronte a violazioni del diritto comunitario determinate da attività positive o omissive dei soggetti dotati di autonomia costituzionale” (sentenza n. 126 del 1996). Quindi, “si fa necessariamente strada il potere-dovere dello Stato di assicurare l'adempimento degli obblighi comunitari, ciò di cui, unitariamente e per tutto il territorio nazionale, lo Stato stesso è responsabile. (…) Allo Stato, dunque, il compito di supplire all'eventuale inerzia con proprie norme, colmando la lacuna; alle Regioni e alle Province autonome il potere di far uso in qualunque momento delle proprie competenze, rendendo di conseguenza inapplicabile la normativa statale” (sentenza n. 425 del 1999)[48].
Per approfondimenti sulla giurisprudenza relativa al Titolo V si rinvia alla scheda Titolo V e giurisprudenza costituzionale nel dossier n. 2/1, relativo alla I Commissione (Affari costituzionali).
La legge n. 11 del 2005 è volta a modificare le procedure per la partecipazione dell’Italia al processo di formazione e di attuazione della normativa comunitaria previste dalla legge “La Pergola” (legge 9 marzo 1989, n. 86) - che viene integralmente sostituita ed abrogata -rafforzando la partecipazione del nostro Paese al processo normativo comunitario, sia nella fase di formazione (ascendente) che in quella di attuazione (discendente).
In particolare, la legge ridisegna la disciplina della partecipazione del Parlamento, delle Regioni e province autonome, degli enti locali, delle parti sociali e delle categorie produttive al processo di formazione delle decisioni comunitarie e dell’Unione europea (cosiddetta “fase ascendente”), prevedendo espressamentetra le finalità della legge la disciplina del processo di formazione della posizione italiana nella fase di predisposizione degli atti comunitari e dell’Unione europea (articolo 1).
Dal momento che il ruolo di coordinamento nel processo di definizione della posizione italiana è affidato al Governo, la legge ha istituito – presso la Presidenza del Consiglio dei ministri – il Comitato interministeriale per gli affari comunitari europei (CIACE), con il compito di concordare le linee politiche del Governo nel processo di formazione della posizione italiana nella fase di fase di predisposizione degli atti comunitari e dell’Unione europea e adempiere ai compiti previsti dalla legge (articolo 2) (v. scheda Strutture governative).
Per quanto riguarda il versante parlamentare, la legge n. 11 rafforza, rispetto alla “legge La Pergola”, il ruolo del Parlamento nella fase ascendente, dotandolo di incisivi mezzi di intervento.
Ad esempio, l’articolo 3 (Partecipazione del Parlamento al processo di formazione delle decisioni comunitarie e dell’Unione europea) delinea una gamma molto ampia di atti che il Governo è tenuto a trasmettere alle Camere: progetti di atti comunitari e dell’Unione europea, gli atti preordinati alla formulazione degli stessi, e le loro modificazioni, ivi compresi i documenti di consultazione, quali libri verdi, libri bianchi e comunicazioni[49]. La norma stabilisce, inoltre, che essi vengano comunicati dal Presidente del Consiglio dei ministri o dal Ministro per le politiche comunitarie, contestualmente alla loro ricezione e che sia indicata la data presumibile in cui verranno discussi o adottati dagli organi comunitari. Gli atti e i progetti di atti in tal modo trasmessi vengono assegnati ai competenti organi parlamentari, che possono formulare osservazioni e adottare ogni opportuno atto di indirizzo al Governo. La trasmissione non esaurisce però i compiti dell’esecutivo, che deve altresì:
- assicurare al Parlamento un’informazione qualificata e tempestiva sui progetti e sugli atti trasmessi, curandone il costante aggiornamento;
- informare tempestivamente i competenti organi parlamentari sulle proposte e sulle materie che risultano inserite all’ordine del giorno delle riunioni del Consiglio dei ministri dell’Unione europea;
- illustrare alle Camere la posizione che intende assumere, in vista dello svolgimento delle riunioni del Consiglio europeo (eventualmente riferendo ai competenti organi parlamentari prima delle riunioni del Consiglio);
- riferire semestralmente al Parlamento illustrando i temi di maggiore interesse decisi o in discussione in ambito comunitario, informando gli organi parlamentari competenze in ordine ai risultati delle riunioni dei Consigli europei;
- fornire, su richiesta degli organi parlamentari competenti, una relazione tecnica che dia conto dello stato dei negoziati, dell’impatto sull’ordinamento, sull’organizzazione delle amministrazioni pubbliche e sull’attività dei cittadini e delle imprese in relazione ai vari progetti di atti comunitari all’esame.
Nell’ambito degli obblighi di informazione che fanno capo al Governo, occorre menzionare anche la relazione annuale al Parlamento sulla partecipazione dell’Italia all’Unione europea. L’articolo 15 - riprendendo una disposizione già contenuta nella legge “La Pergola” (art. 7) - prevede che il Governo presenti entro il 31 gennaio di ogni anno una relazione sulla partecipazione dell’Italia all’Unione europea,nella quale siano chiaramente distinti la parte a consuntivo, contenente i resoconti delle attività svolte, da quella a preventivo, relativa agli orientamenti che il Governo intende assumere per l’anno in corso.
La legge 11/2005 introduce due novità per quanta riguarda il contenuto della relazione.
Tali modifiche hanno lo scopo di soddisfare l’esigenza di “creare procedure che consentano l’analisi e l’approvazione della Relazione sulla partecipazione dell’Italia alla Unione europea in tempi certi e brevi e di riservare una sempre maggiore attenzione alle risoluzioni adottate dal Parlamento, così da rendere possibile il confronto tra intendimenti ed indirizzi, da un lato, e dei risultati conseguiti, dall’altro”, come si legge nella relazione al testo unificato della riforma della legge La Pergola, proposto dalla XIV Commissione all’Aula della Camera dei Deputati, ed in alcuni atti d’indirizzo parlamentare approvati nel recente passato, in occasione dell’esame della relazione sulla partecipazione dell’Italia all’UE.
Infatti, tra i temi della relazione sono stati inseriti:
Ø i pareri, le osservazioni e gli atti di indirizzo delle Camere, nonché le osservazioni della Conferenza dei presidenti delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano, della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano e della Conferenza dei presidenti dell’Assemblea, dei Consigli regionali e delle province autonome, con l’indicazione delle iniziative assunte e dei provvedimenti conseguentemente adottati;
Ø l’elenco e i motivi delle eventuali impugnazioni di decisioni del Consiglio dei ministri dell’Unione europea o della Commissione europea destinate alla Repubblica italiana.
La prima disposizione, in particolare, è volta a fornire uno strumento informativo e di controllo sulla rispondenza dell’attività del Governo in sede comunitaria agli indirizzi formulati dalle Camere e dalle regioni e province autonome.
Gli altri temi, già previsti dalla legge La Pergola, sui quali incentrare la relazione annuale sono:
Ø gli sviluppi del processo di integrazione europea, con particolare riferimento alle attività del Consiglio europeo e del Consiglio dei ministri dell’Unione europea; alle questioni istituzionali; alle relazioni esterne dell’Unione europea; alla cooperazione nei settori della giustizia e degli affari interni e agli orientamenti generali delle politiche dell’Unione;
Ø la partecipazione dell’Italia al processo normativo comunitario con l’esposizione dei princìpi e delle linee caratterizzanti della politica italiana nei lavori preparatori in vista dell’emanazione degli atti normativi comunitari e, in particolare, degli indirizzi del Governo su ciascuna politica comunitaria, sui gruppi di atti normativi riguardanti la stessa materia e su singoli atti normativi che rivestono rilievo di politica generale;
Ø l’attuazione in Italia delle politiche di coesione economica e sociale, l’andamento dei flussi finanziari verso l’Italia e la loro utilizzazione, con riferimento anche alle relazioni della Corte dei conti delle Comunità europee per ciò che concerne l’Italia.
Inoltre, l’articolo 4 della legge n. 11 ha introdotto la riserva di esame parlamentare, che può essere attivata su iniziativa di una delle Camere o del Governo, in relazione agli atti comunitari per i quali vi sia obbligo di trasmissione ai sensi dell’articolo 3. In particolare, la norma stabilisce che qualora le Camere abbiano iniziato l’esame di progetti di atti comunitari e dell’Unione europea trasmessi dal Governo, quest’ultimo sia tenuto ad apporre la riserva di esame parlamentare in sede di Consiglio dei Ministri dell’Unione europea, potendo pertanto procedere alle relative attività di propria competenza, una volta terminato l’esame delle Camere. La riserva può essere altresì apposta dallo stesso Esecutivo di propria iniziativa, in relazione a fattispecie di particolare importanza, inviando al Parlamento il testo in questione ai fini della pronuncia dei competenti organi parlamentari in merito[50]. Comunque, decorsi venti giorni dalla comunicazione alle Camere, il Governo può procedere anche in mancanza della pronuncia parlamentare.
Questo istituto è ampiamente consolidato nelle procedure di ordinamenti di altri Stati membri (in particolare Danimarca, Finlandia e Regno Unito), nei quali ha consentito lo sviluppo delle capacità dei Parlamenti nazionali di esaminare i progetti di atti dell’Unione europea in tempo utile per orientare l’attività del rispettivo Governo in sede di Consiglio dei ministri dell’Unione europea.
La legge n. 11 prevede la partecipazione delle regioni e delle province autonome di Trento e Bolzano al processo di formazione delle decisioni comunitarie e dell’Unione europea - in relazione alle materie di loro competenza - con modalità simili a quelle previste per il Parlamento e, in particolare, per quanto riguarda: la trasmissione di atti e progetti di atti; la possibilità di chiedere al Governo di apporre una riserva d’esame presso il Consiglio dei ministri dell’Unione europea; gli obblighi posti a carico del Governo di riferire in via preventiva e in via consuntiva sull’attività del Consiglio dei ministri dell’Unione europea e del Consiglio europeo.
L'art. 117, quinto comma, della Costituzione dispone che le Regioni e le province autonome, nelle materie di loro competenza, partecipino alle decisioni dirette alla formazione di atti normativi comunitari (v. scheda Titolo V e norme di attuazione nel dossier n. 2/1, relativo alla I Commissione (Affari costituzionali). L'art. 5 della legge 131/2003, in attuazione di tale articolo della Costituzione, ha previsto che le Regioni e le Province autonome concorrano direttamente, nelle materie di loro competenza legislativa, alla formazione degli atti comunitari, partecipando, nell'ambito delle delegazioni del Governo, alle attività del Consiglio e dei gruppi di lavoro e dei comitati del Consiglio e della Commissione europea, secondo modalità che garantiscano comunque l'unitarietà della rappresentazione della posizione italiana da parte del Capo delegazione designato dal Governo. A tal fine, nelle delegazioni del Governo è prevista la partecipazione di almeno un rappresentante delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome di Trento e di Bolzano. Il Capo delegazione, nelle materie che spettano alle Regioni ai sensi dell'articolo 117, quarto comma, della Costituzione, può essere anche un Presidente di Giunta regionale o di Provincia autonoma. Al riguardo, si ricorda che l'art. 2 dell'accordo generale di cooperazione Stato/regioni per la partecipazione delle regioni alla formazione degli atti comunitari - sancito il 16 marzo 2006, in base al disposto dell'art. 5 della l. n. 131, e pubblicato nella Gazzetta ufficiale n. 75 del 30 marzo 2003 - stabilisce che le regioni sono rappresentate dal Presidente della regione o da un delegato da esso designato, mentre l'art. 4 prevede che nelle materie ex art. 117, IV comma, il capo delegazione sia il Governo, salva diversa determinazione assunta d'intesa in sede di Conferenza Stato-Regioni, su istanza delle Regioni o della pubblica amministrazione.
In particolare, l’articolo 5 della legge n. 11 prevede la trasmissione da parte del Governo dei progetti di atti comunitari e dell’Unione europea e gli atti preordinati alla formulazione degli stessi alla Conferenza dei presidenti delle regioni e delle province autonome e alla Conferenza dei presidenti dell’Assemblea, dei Consigli regionali e delle province autonome, ai fini dell’inoltro alle Giunte ed ai Consigli regionali e delle province autonome, assicurando un’informazione qualificata e tempestiva sui progetti e sugli atti trasmessi, che rientrano nelle materie di loro competenza, e curandone il costante aggiornamento.
La trasmissione, a carico del Presidente del Consiglio dei ministri o del Ministro per le politiche comunitarie, deve essere contestuale alla loro ricezione da parte del Governo e deve essere accompagnata dalla data presunta della loro discussione o adozione.
In relazione agli atti in tal modo trasmessi, le regioni e le province autonome, nelle materie di loro competenza, possono:
- entro venti giorni dalla data del ricevimento degli atti, trasmettere osservazioni al Governo ai fini della formazione della posizione italiana, ma nel caso in cui tali osservazioni non siano pervenute al Governo entro la data indicata all’atto di trasmissione dei progetti o, in mancanza, entro il giorno precedente quello della discussione in sede comunitaria, il Governo può comunque procedere;
- richiedere che il Governo convochi la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, ai fini del raggiungimento dell’intesa[51] entro il termine di venti giorni. Decorso tale termine, ovvero nei casi di urgenza motivata sopravvenuta, il Governo può procedere anche in mancanza dell’intesa.
- richiedere, attraverso la Conferenza Stato-Regioni, che il Governo ponga una riserva di esame in sede di Consiglio dei ministri dell’Unione europea, ma decorso il termine di venti giorni l’esecutivo può procedere anche in mancanza della pronuncia della Conferenza.
Anche nei confronti delle regioni e delle province autonome, incombono al Governo specifici obblighi informativi. Esso, infatti, è tenuto a:
- informare tempestivamente le regioni e le province autonome - per il tramite della Conferenza dei presidenti delle regioni e delle province autonome - delle proposte e delle materie di loro competenza che risultino inserite all’ordine del giorno delle riunioni del Consiglio dei ministri dell’Unione europea;
- riferire alla Conferenza Stato-Regioni sulle proposte e sulle materie di competenza delle regioni e delle province autonome che risultano inserite all’ordine del giorno del Consiglio europeo, prima del suo svolgimento ed illustrando la posizione che intende assumere. Su richiesta della Conferenza, il Governo riferisce inoltre sulle proposte e sulle materie di competenza delle regioni e delle province autonome che risultano inserite all’ordine del giorno del Consiglio dei ministri dell’Unione europea, illustrando la posizione che il Governo intende assumere.
- informare - per il tramite della Conferenza dei presidenti delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano - le regioni e le province autonome delle risultanze delle riunioni del Consiglio dei ministri dell’Unione europea e del Consiglio europeo con riferimento alle materie di loro competenza, entro quindici giorni dallo svolgimento delle stesse.
Analogamente a quanto avviene per le Regioni, l’articolo 6 prevede la trasmissione alla Conferenza Stato, città e autonomie locali ed alle associazioni rappresentative degli enti locali dei progetti di atti comunitari e dell’Unione europea e degli atti preordinati alla formulazione degli stessi, qualorariguardino questioni di particolare rilevanza negli ambiti di competenza degli enti locali. Su tali atti le associazioni rappresentative degli enti locali, per il tramite della Conferenza Stato-città ed autonomie locali, possono trasmettere osservazioni al Governo e possono richiedere che gli stessi siano sottoposti all’esame della Conferenza stessa, ma il Governo può comunque procedere, qualora le osservazioni degli enti locali non gli siano pervenute entro la data indicata all’atto di trasmissione dei progetti o degli atti o, in mancanza, entro il giorno precedente quello della discussione in sede comunitaria.
Infine, l’articolo 7 prevede la trasmissione al Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro (CNEL) dei progetti di atti comunitari e dell’Unione europea riguardanti materie di particolare interesse economico e sociale. Il CNEL può fare pervenire alle Camere e al Governo le valutazioni e i contributi che ritiene opportuni, istituendo a tale fine uno o più comitati per l’esame degli atti comunitari.
La legge n. 11 del 2005 reca rilevanti novità anche per quanto riguarda la c.d. fase discendete, relativa all’attuazione degli obblighi comunitari nel nostro ordinamento.
Innanzi tutto, l’articolo 1 afferma, tra l’altro, che la legge è volta a garantire l’adempimento degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea, sulla base dei princìpi di sussidiarietà, di proporzionalità, di efficienza, di trasparenza e di partecipazione democratica.
In particolare, la norma chiarisce che tali obblighi derivano:
· dall’emanazione di ogni atto comunitario e dell’Unione europea che vincoli la Repubblica italiana ad adottare provvedimenti di attuazione;
· dall’accertamento giurisdizionale, con sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee, della incompatibilità di norme legislative e regolamentari dell’ordinamento giuridico nazionale con le disposizioni dell’ordinamento comunitario;
· dall’emanazione di decisioni-quadro e di decisioni adottate nell’ambito della cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale.
Si segnala, quindi, che le innovazioni più significative, relative alla fase discendente, consistono essenzialmente in:
v ampliamento del contenuto proprio della legge comunitaria;
v ridefinizione del recepimento delle direttive attraverso la via regolamentare ed amministrativa;
v disciplina delle modalità di recepimento del diritto comunitario anche al di fuori della legge comunitaria;
v definizione dei rapporti tra fonti statali e regionali di attuazione del diritto comunitario, in linea con la riforma del Titolo V della Costituzione, con particolare riguardo al tema dei poteri sostitutivi.
Per il resto, il provvedimento conferma sostanzialmente l’impianto della legge “La Pergola”, alcune disposizioni della quale sono confluite nella nuova disciplina legislativa.
La legge comunitaria annuale è uno strumento normativo - introdotto per la prima volta dallalegge “La Pergola” - volto ad assicurare il periodico adeguamento dell’ordinamento nazionale a quello comunitario. Alla legge comunitaria annuale, la nuova disciplina dedica gli articoli 8 e 9, il primo dei quali afferma solennemente che lo Stato, le regioni e le province autonome, nelle materie di propria competenza legislativa, sono tenuti a dare tempestiva attuazione alle direttive comunitarie.
In particolare, l’articolo 8 definisce la procedura preparatoria alla predisposizione del disegno di legge comunitaria, che vede il coinvolgimento non solo delle Camere, come in precedenza (art. 2, comma 1, l. n. 86/1989), ma anche delle regioni, ai fini della realizzazione della verifica sullo stato di conformità dell’ordinamento interno a quello comunitario[52].
In base alla verifica compiuta[53], il Presidente del Consiglio dei ministri o il Ministro per le politiche comunitarie presentano il disegno di legge comunitaria annuale entro il 31 gennaio di ogni anno, confermando in tal modo quanto già previsto dalla legge “La Pergola” (comma 4).
L’articolo 8, comma 5, ha, inoltre, ampliato il contenuto della relazione governativa di accompagnamento del ddl comunitaria, che dovrà, pertanto, indicare:
a) i dati sullo stato di conformità dell'ordinamento interno al diritto comunitario e sullo stato delle eventuali procedure di infrazione dando conto, in particolare, della giurisprudenza della Corte di giustizia delle Comunità europee relativa alle eventuali inadempienze e violazioni degli obblighi comunitari da parte della Repubblica italiana (analogo a lett. a) dell’articolo 2, comma 3, della legge La Pergola).
b) l'elenco delle direttive attuate o da attuare in via amministrativa (analogo a lett. b) dell’articolo 2, comma 3, della legge La Pergola)[54].
c) l’indicazione dell’eventuale omissione dell’inserimento di direttive il cui termine di recepimento sia scaduto o scada nel periodo di riferimento, in relazione ai tempi previsti per l’esercizio della delega legislativa (analogo a lett. c) dell’articolo 2, comma 3, della legge La Pergola).
d) l’elenco delle direttive attuate con regolamento ai sensi dell’art. 11 della legge n. 11/2005, nonché gli estremi degli eventuali regolamenti d’attuazione già adottati (si tratta di una novità introdotta dalla legge n. 11).
e) l’elenco degli atti normativi regionali e delle province autonome attuativi delle direttive comunitarie. Più precisamente, la disposizione prevede che relazione fornisca “l’elenco degli atti normativi con i quali nelle singole regioni e province autonome si è provveduto a dare attuazione alle direttive nelle materie di loro competenza, anche con riferimento a leggi annuali di recepimento eventualmente approvate dalle regioni e dalle province autonome” (la legge La Pergola conteneva una norma analoga, ma l’articolo in esame ha riformulato in modo più preciso il contenuto).
Il contenuto proprio della legge comunitaria è, invece, disciplinato dall’articolo 9, che ha ampliato gli elementi indicati dalla legge “La Pergola”. Nell’ambito del ddl comunitaria, pertanto, dovranno essere inserite:
· disposizioni modificative o abrogative di disposizioni statali vigenti in contrasto con gli obblighi di attuazione degli atti comunitari (cfr. lett. a), comma 1, art. 3 l. n. 86);
· disposizioni modificative o abrogative di disposizioni statali vigenti oggetto di procedure di infrazione (cfr. lett. a-bis), comma 1, art. 3 l. n. 86);
· disposizioni occorrenti per dare attuazione, anche mediante il conferimento al Governo di delega legislativa, a: ogni atto comunitario e dell’Unione europea che vincoli la Repubblica italiana ad adottare provvedimenti di attuazione (cfr. lett. b), comma 1, art. 3 l. n. 86); decisioni-quadro e decisioni adottate nell’ambito della cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale previste dall’articolo 34 del Trattato UE (si tratta di una novità rispetto alla previgente disciplina);
La tipica modalità di recepimento del diritto comunitario rimane dunque quella che passa attraverso la delega legislativa. Il modello di legge comunitaria, che si è andato delineando negli anni, individua – come è noto – il conferimento di una delega generale al Governo, con la fissazione di principi e criteri direttivi generali, che vanno ad affiancarsi a quelli specifici eventualmente previsti per le singole direttive. In particolare, le direttive da recepire attraverso questa modalità sono inserite in due distinti allegati (A e B), a seconda che sugli schemi di decreto legislativo ad esse relativi non sia necessario acquisire il parere delle competenti Commissioni parlamentari o sia invece necessario. L’intenzione di mutare, invece, impostazione emergeva dalla proposta di legge di iniziativa parlamentare Bova ed altri (A.C. 3310) - alla base del testo unificato di riforma della legge La Pergola, elaborato dalla XIV Commissione della Camera -, che era finalizzata sia a limitare considerevolmente il ricorso alle deleghe sia a renderne i contenuti maggiormente rispettosi del disposto dell’art. 76 Cost. Essa, infatti, oltre a circoscrivere il campo di intervento delle deleghe ai soli casi di scelte tecniche di notevole complessità, prevedeva anche la necessità di indicare espressamente i principi e criteri specifici per ogni singola direttiva da recepire attraverso questa modalità.
· disposizioni che autorizzano il Governo ad attuare in via regolamentare le direttive, sulla base di quanto previsto dall’articolo 11 (cfr. lett. c), comma 1, art. 3 l. n. 86);
le direttive da recepire con regolamento erano in passato contenute nell’allegato C;
· disposizioni occorrenti per dare esecuzione ai trattati internazionali conclusi nel quadro delle relazioni esterne dell’Unione europea (si tratta di una novità introdotta dalla nuova legge);
· disposizioni che individuano i princìpi fondamentali nel rispetto dei quali le regioni e le province autonome esercitano la propria competenza normativa per dare attuazione o assicurare l’applicazione di atti comunitari nelle materie di competenza concorrente (si tratta di una novità rispetto alla previgente disciplina);
· disposizioni che, nelle materie di competenza legislativa delle regioni e delle province autonome, conferiscono delega al Governo per l’emanazione di decreti legislativi recanti sanzioni penali per la violazione delle disposizioni comunitarie recepite dalle regioni e dalle province autonome (si tratta di una innovazione introdotta dalla nuova legge);
· disposizioni emanate nell’esercizio del potere sostitutivo di cui all’articolo 117, quinto comma, della Costituzione, in conformità ai princìpi e nel rispetto dei limiti di cui all’articolo 16, comma 3 (si tratta di una novità rispetto alla previgente disciplina).
Il comma 2 reca una disposizione relativa alla copertura degli oneri derivanti dall’attuazione delle disposizioni comunitarie allorché gli uffici pubblici siano chiamati a prestazioni e controlli. Si tratta di una disposizione, tesa ad evitare aggravi delle finanze pubbliche, che riprende formule già utilizzate dal legislatore nell’ambito delle ultime leggi comunitarie annuali[55].
La possibilità di procedere al recepimento degli atti comunitari anche attraverso i regolamenti governativi era già prevista dalla legge n. 86 del 1989. Peraltro, a seguito della riforma del Titolo V della Costituzione, sono emersi alcuni problemi applicativi, soprattutto in relazione all’art. 117, VI comma, che limita alle materie di potestà legislativa statale esclusiva l’ambito di intervento dei regolamenti. Nelle leggi comunitarie successive alla riforma – in particolare, a partire dalla legge n. 39 del 2002 – non è stata pertanto più utilizzata tale modalità di recepimento.
La legge in esame interviene quindi per adeguare al nuovo dettato costituzionale le modalità di attuazione delle direttive in via regolamentare.
Innanzi tutto, l’art. 11 stabilisce che l’attuazione in via regolamentare possa avvenire solo nelle materie di competenza statale esclusiva. In secondo luogo, la norma prevede una differente disciplina (a differenza della legge “La Pergola”, che prevedeva un'unica tipologia di intervento regolamentare) a seconda che l’attuazione venga effettuata attraverso:
· regolamenti governativi (commi 1-4);
· regolamenti ministeriali o interministeriali (comma 5).
In merito alla prima tipologia, l’art. 11 pone dei requisiti stringenti, in quanto tali regolamenti possono essere adottati solo nelle materie:
- già disciplinate con legge;
- non coperte da riserva assoluta di legge.
In secondo luogo, si stabilisce che i regolamenti siano adottati ai sensi dell’articolo 17, commi 1 e 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri o del Ministro per le politiche comunitarie e del Ministro con competenza istituzionale prevalente per la materia di concerto con gli altri ministri interessati.
Si ricorda che l’art. 17 della legge n. 400 del 1988 prevede, al comma 1, l’adozione di regolamenti governativi esecutivi, attuativi-integrativi, indipendenti e di organizzazione. Tali regolamenti vengono adottati attraverso decreti del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, sentito il parere del Consiglio di Stato. Il comma 2 prevede poi i regolamenti di delegificazione, che disciplinano materie, non coperte da riserva assoluta di legge prevista dalla Costituzione, per le quali le leggi, autorizzando il Governo, determinano le norme generali regolatrici della materia e dispongono l'abrogazione delle norme vigenti, con effetto dall'entrata in vigore delle norme regolamentari.
Sugli schemi dei regolamenti devono essere acquisiti determinati pareri e in particolare:
- sempre il parere del Consiglio di Stato, che deve esprimersi nei 45 giorni successivi alla richiesta.
- il parere dei competenti organi parlamentari solo ove la legge comunitaria disponga in tal senso entro il termine di quaranta giorni dall’assegnazione, decorso il quale il Governo può procedere anche in assenza del parere.
Al riguardo, si ricorda che il regolamento della Camera, a seguito delle modifiche apportate nel luglio del 1999, ha previsto la possibilità per le Commissioni di applicare all’esame di tali atti, in quanto compatibili, le disposizioni relative all’esame in sede referente dei progetti di legge, prevedendo altresì la possibilità di trasmetterli al Comitato per la legislazione (art. 96-ter).
Si ricorda che la procedura appena descritta può essere utilizzata anche per recepire (ovviamente con fonte di rango regolamentare) le modifiche delle direttive attuate in via regolamentare ai sensi dell’articolo in esame, se così dispone la legge comunitaria (art. 12), analogamente a quanto già previsto dall’art. 5 della legge n. 86 del 1989.
I regolamenti in esame devono conformarsi a principi generali espressamente individuati dal comma 3, nel rispetto dei principi e delle disposizioni posti dalle direttive da attuare, e tenendo comunque conto delle eventuali modificazioni della disciplina comunitaria intervenute sino al momento della loro adozione[56].
Si osserva come la tipologia regolamentare delineata dalla legge in esame si discosti parzialmente dal modello definito dalla legge n. 400 del 1988. Infatti, pur richiamando la procedura di adozione dei regolamenti prevista dalla legge n. 400, l’articolo 11 aggiunge l’ulteriore requisito del rispetto delle norme generali da esso poste da parte degli emanandi regolamenti governativi. In tal modo, si mira a guidare il futuro intervento del Governo ponendo dei principi generali, sulla falsariga di quanto avviene per la delega legislativa. Tale impostazione riflette la più generale tendenza emersa in materia di regolamenti di delegificazione, secondo la quale le relative disposizioni di autorizzazione anziché individuare le norme generali regolatrici della materia e le norme, che si intendono abrogate con effetto dalla data di entrata in vigore dei regolamenti, pongono dei principi e criteri direttivi cui dovrà attenersi il Governo ai fini della predisposizione dei regolamenti. La disciplina posta dalla norma in esame – richiedendo sia il rispetto dell’art. 17 della legge n. 400, sia delle norme generali espressamente individuate – sembra pertanto rappresentare un ibrido tra il modello tradizionale, delineato dall’articolo 17 della legge n. 400, e quello affermatosi nella legislazione successiva.
In merito alla seconda tipologia, il comma 5 dell’art. 11 pone ulteriori requisiti, in quanto i regolamenti ministeriali o interministeriali, nonché gli atti amministrativi generali possono intervenire nelle materie:
- non disciplinate dalla legge;
- non disciplinate dai regolamenti governativi;
- non coperte da riserva di legge.
I regolamenti in esame sono adottati ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge n. 400 del 1988.
Si ricorda che quest’ultima norma prevede l’adozione di regolamenti ministeriali o interministeriali (rispettivamente con decreto ministeriale o interministeriale), nelle materie di competenza del ministro o di autorità sottordinate al ministro, quando la legge espressamente conferisca tale potere. Tali regolamenti non possono dettare norme contrarie a quelle dei regolamenti emanati dal Governo e debbono essere comunicati al Presidente del Consiglio dei ministri prima della loro emanazione.
Nelle stesse materie, la disciplina di attuazione può essere posta anche a mezzo di atto amministrativo generale adottato dal Ministro con competenza prevalente per materia, di concerto con gli altri Ministri interessati.
Si ricorda che la possibilità di attuazione in via amministrativa delle direttive comunitarie è stata introdotta dall’articolo 11 della L. 16 aprile 1987, n. 183, cosiddetta “legge Fabbri” e altresì prevista dall’art. 4, comma 7, della legge “La Pergola”: l’art. 11 della legge Fabbri, oltre all’intera legge n. 86 del 1989, sono stati abrogati dall’art. 22 della legge n. 11 del 2005.
In ogni caso, analogamente a quanto già previsto dall’articolo 4, commi 3 e 6, della legge n. 86 del 1989, in relazione ad entrambe le tipologie di regolamenti, è sempre necessario l’intervento della legge comunitaria (o di altra legge)[57]:
· laddove le direttive lascino spazio alla discrezionalità del legislatore nazionale quanto alle modalità della attuazione, per l’individuazione di principi e criteri direttivi;
· per l’adozione delle disposizioni atte a prevedere sanzioni penali od amministrative, nonché quelle necessarie per individuare le autorità pubbliche alle quali affidare le funzioni amministrative attinenti all’applicazione della nuova disciplina;
· ove l’attuazione delle direttive comporti l’istituzione di nuovi organi o strutture amministrative;
· ove l’attuazione delle direttive comporti la previsione di nuove spese o minori entrate.
I descritti regolamenti possono essere utilizzati anche per porre rimedio all’eventuale inerzia delle regioni nell’attuazione del diritto CE (comma 8 dell’art. 11), disciplinando l’esercizio di poteri sostitutivi statali (su cui si veda infra).
Infine, si ricorda che l’articolo 13 prevede anche la possibilità di procedere ad un’attuazione per così dire semplificata, relativa agli adeguamenti tecnici, stabilendo - analogamente all’art. 20 della legge n. 183 del 1987 - che il Governo, nelle materie di legislazione esclusiva, dia attuazione in via amministrativa - con decreto del Ministro competente - alle norme comunitarie non autonomamente applicabili, che modifichino caratteristiche di ordine tecnico e modalità esecutive di direttive già recepite nell’ordinamento nazionale. Circa l’attuazione da parte delle regioni, è previsto un potere sostitutivo dello Stato nel caso di inerzia (su cui si veda infra).
L’articolo 10 definisce gli strumenti giuridici, diversi dalla legge comunitaria annuale, con i quali è possibile ottemperare agli obblighi comunitari di adeguamento del nostro ordinamento, siano essi relativi ad atti normativi da recepire, che conseguenti a sentenze di organi giurisdizionali delle Comunità o dell’Unione europea. La condizione per poter usufruire di questo canale ulteriore rispetto allo strumento tradizionale della legge comunitaria annuale è che il termine di adempimento degli obblighi comunitari in questione scada anteriormente alla data presunta di entrata in vigore della legge comunitaria relativa all’anno in corso.
Per quanto riguarda la tipologia di atti, l’articolo 10 prevede che siano provvedimenti, anche urgenti, adottati dal Consiglio dei Ministri, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri o del Ministro per le politiche comunitarie. Il Presidente del Consiglio dei ministri o il Ministro per i rapporti con il Parlamento dovranno altresì assumere le iniziative necessarie per favorire un tempestivo esame parlamentare di tali atti.
Al riguardo, si segnala che la formulazione utilizzata pone dei problemi in ordine all’esatta individuazione del tipo di atti che il Governo può adottare in base alla norma in esame. In primo luogo, dall’espressione letterale della disposizione si evince che non si tratta necessariamente di provvedimenti urgenti ma anche di atti ordinari. Rimane peraltro incerta, attesa la genericità del termine “provvedimento”, la natura degli atti adottabili, risultando dubbio se essi possano essere anche normativi oltre che amministrativi. Inoltre, nel caso in cui si ritenessero ammissibili atti normativi, non appare chiaro se possa trattarsi di fonti di rango primario ovvero esclusivamente secondario. In ogni caso, per quanto riguarda le fonti primarie adottabili dal Governo, si ricorda che i decreti legislativi possono essere emanati solo previa delegazione delle Camere, mentre per i decreti legge è comunque necessaria la ricorrenza dei presupposti di straordinaria necessità ed urgenza e, a tal fine, non sembra peraltro sufficiente l’imminenza della scadenza del termine di recepimento della direttiva. Si potrebbe, infine, ipotizzare che il termine provvedimenti possa alludere anche a disegni di legge da presentare al Parlamento ed in questa chiave si spiegherebbe anche la previsione in base alla quale il Governo deve assumere le iniziative necessarie per favorire un tempestivo esame parlamentare dei provvedimenti in tal modo adottati.
Qualora gli “obblighi di adeguamento” tocchino materie rientranti nella competenza legislativa o amministrativa delle regioni e province autonome, il comma 3 prevede una procedura particolare, secondo la quale il Governo informa gli enti titolari del potere-dovere di provvedere, assegnando un termine per l’adempimento, eventualmente sottoponendo la questione alla Conferenza permanente Stato-Regioni. In caso di mancato adempimento nei termini da parte dell’ente interessato, il Presidente del Consiglio dei ministri o il ministro per le politiche comunitarie propongono al Consiglio dei ministri di assumere iniziative volte all’esercizio dei poteri sostitutivi (vedi infra).
Il comma 4, infine, recentemente modificato dalla legge comunitaria per il 2005 (legge n. 29 del 2006, art. 2), prevede che i decreti legislativi di attuazione di normative comunitarie o di modifica di disposizioni attuative, emanati sulla base di deleghe contenute in leggi diverse dalla comunitaria, debbano comunque essere rispettosi dei principi e dei criteri direttivi generali posti dalla stessa legge comunitaria per il periodo di riferimento. Tale norma è applicabile anche per l’emanazione di testi unici di riordino ed armonizzazione, nel rispetto delle competenze di regioni e province autonome.
L’articolo 16 disciplina le competenze delle regioni e delle province autonome nel dare attuazione alle direttive comunitarie, tema affrontato in precedenza nell’articolo 9 della legge La Pergola.
Si segnala, peraltro, che il successivo articolo 20, in riferimento alle disposizioni dell’intera legge in commento, provvede a fare salve le norme previste negli statuti delle regioni ad autonomia differenziata e le relative norme di attuazione. Si tratta della formula di norma utilizzata a salvaguardia dell’autonomia delle regioni a statuto speciale e delle province autonome. La disposizione non esclude i suddetti enti dall’applicazione della legge in esame, nelle parti in cui gli statuti e le norme di attuazione non disciplinino diversamente la materia.
Il comma 1 dell’art. 16, riprendendo nel contenuto l’analoga disposizione della legge La Pergola, attribuisce a tutte le regioni nonché alle province autonome di Trento e di Bolzano nelle materie di propria competenza la facoltà di dare immediata attuazione alle direttive comunitarie. Peraltro, nelle materie oggetto di potestà legislativa concorrente, il secondo periodo del comma 1 (come pure l’articolo 9, comma 1, lett. f) chiarisce che la legge comunitaria dovrà indicare i princìpi fondamentali cui le regioni e le province autonome sono tenute a conformarsi: tali principi sono qualificati come inderogabili dalla legge regionale o provinciale.
Si ricorda che la legge ordinaria di attuazione del nuovo Titolo V della Costituzione (Legge n. 131 del 2003 – la cosiddetta legge La Loggia) prevede che “nelle materie appartenenti alla legislazione concorrente, le Regioni esercitano la potestà legislativa nell’ambito dei principi fondamentali espressamente determinati dallo Stato o, in difetto, quali desumibili dalle leggi statali vigenti” (articolo 1, comma 3).
I provvedimenti regionali (e provinciali), rientranti nelle materie di propria competenza legislativa, dovranno indicare nel titolo il numero identificativo della direttiva attuata ed essere trasmessi immediatamente in copia conforme alla Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento per le politiche comunitarie.
Il comma 3 disciplina l’ipotesi dell’intervento statale anticipato e cedevole nell’ipotesi di inerzia regionale (sul quale si veda infra il paragrafo successivo).
Infine, per le direttive che ricadano in materie di legislazione esclusiva dello Stato, il comma 4 prevede che il Governo indichi i criteri e formuli le direttive alle quali si devono attenere le regioni e le province autonome ai fini del soddisfacimento di esigenze di carattere unitario, del perseguimento degli obiettivi della programmazione economica e del rispetto degli impegni derivanti dagli obblighi internazionali.
Tale indicazione può avvenire con varie modalità. Il Governo infatti è libero di utilizzare uno dei seguenti strumenti:
- la legge o un atto avente forza di legge;
- i regolamenti governativi sulla base della legge comunitaria;
- una semplice deliberazione del Consiglio dei ministri su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri, o del Ministro per le politiche comunitarie, d'intesa con i Ministri competenti, secondo le modalità stabilite dall’articolo 8 della legge n. 59 del 1997[58]. Quest’ultima formula ricalca quella relativa agli atti di indirizzo e coordinamento, disciplinati, appunto dal citato articolo 8 della legge n. 59.
La disciplina dei poteri statali sostitutivi è contenuta – nell’ambito della legge n. 11 del 2005 – in vari articoli, che riprendono sostanzialmente quanto già previsto in materia nelle leggi comunitarie approvate dopo l’entrata in vigore della riforma del Titolo V della Costituzione (v. scheda Titolo V e norme di attuazione nel dossier n. 2/1, relativo alla I Commissione (Affari costituzionali)).
Si ricorda, infatti, che a partire dalla legge n. 39 del 2002, all’articolo 1, comma 5 (o comma 6), è stata inserita una norma che prevede un intervento suppletivo anticipato e cedevole da parte dello Stato, in caso di inadempienza delle Regioni nell’attuazione delle direttive, nel rispetto dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dei princìpi fondamentali stabiliti dalla legislazione dello Stato.
Si tratta, in particolare, degli articoli 11, comma 8, relativo all’attuazione in via regolamentare, 13, comma 2, relativo agli adeguamenti tecnici, e 16, comma 3, in materia di attuazione regionale.
La disciplina è sostanzialmente quella prevista dall’art. 11, comma 8, volto a dare attuazione all’art. 117, V comma, Cost.: in base ad esso spetta allo Stato, secondo modalità da stabilirsi con legge, un potere sostitutivo delle regioni e province autonome per i casi di loro inadempienza agli obblighi di attuazione degli atti normativi dell’Unione europea.
La norma prevede una triplice garanzia per le regioni e province autonome:
§ gli atti statali attuativi di direttive comunitarie, che intervengono su materie rimesse alla competenza legislativa – concorrente o residuale generale – delle regioni o delle province autonome, entrano in vigore solo alla data di scadenza del termine stabilito per l’attuazione della normativa comunitaria;
§ esclusivamente nelle regioni e province autonome che non abbiano ancora adottato la propria normativa di attuazione;
§ gli atti statali perdono comunque efficacia dalla data di entrata in vigore della normativa regionale (o provinciale) di attuazione delle direttive comunitarie, adottata da ciascuna regione e provincia autonoma e devono recare l’esplicita indicazione della natura sostitutiva e cedevole del potere esercitato e delle disposizioni in essi contenute.
La norma in oggetto persegue la duplice finalità di rispettare, da un lato, il riparto di competenze legislative delineato dal nuovo art. 117 Cost. nonché le competenze in materia di attuazione degli atti comunitari attribuite alle regioni dal quinto comma dell’art. 117 medesimo; dall’altro, di garantire allo Stato – attraverso l’esercizio del potere sostitutivo previsto espressamente dal medesimo quinto comma – uno strumento per evitare l’insorgere di una responsabilità nei confronti dell’Unione europea a seguito dell’eventuale mancata attuazione delle direttive da parte delle regioni e conseguentemente del verificarsi di ritardi tali da esporre l’Italia a procedure di infrazione. La natura cedevole delle norme statali – secondo uno schema normativo già noto prima della modifica della Costituzione – consente in ogni caso alle regioni di esercitare la propria potestà legislativa.
Tale meccanismo appare in linea con la pregressa giurisprudenza della Corte costituzionale, alla stregua della quale, in caso di inerzia delle regioni e province autonome nella attuazione delle direttive comunitarie “si fa necessariamente strada il potere-dovere dello Stato di assicurare l'adempimento degli obblighi comunitari, ciò di cui, unitariamente e per tutto il territorio nazionale, lo Stato stesso è responsabile. (…) Allo Stato, dunque, il compito di supplire all'eventuale inerzia con proprie norme, colmando la lacuna; alle Regioni e alle Province autonome il potere di far uso in qualunque momento delle proprie competenze, rendendo di conseguenza inapplicabile la normativa statale” (sentenza n. 425/1999).
Si ricorda peraltro che l’art. 117, VI comma, Cost. stabilisce che la potestà regolamentare spetta allo Stato solamente nelle materie di legislazione esclusiva. In ogni caso, la possibilità che regolamenti statali intervengano temporaneamente a disciplinare materie di competenza regionale rappresenta una deroga che trova una proprio fondamento costituzionale nell’art. 117, V comma, Cost., anche secondo quanto evidenziato dalla più recente dottrina (Anzon) e dal Consiglio di Stato.
Si ricorda, infatti, che l’Adunanza Generale del Consiglio di Stato si è recentemente (dopo la riforma del titolo V) pronunciata sul punto, rilevando come all’attuazione delle direttive comunitarie nelle materie attribuite alle Regioni o alle Province autonome in via esclusiva o concorrente, siano competenti le Regioni e le Province autonome, ma se queste non dovessero provvedere, sussiste il potere dovere dello Stato di attuare, attraverso proprie fonti normative, anche regolamentari, tali direttive, al fine di rispettare i vincoli comunitari; le norme poste dallo Stato in via sostitutiva risultano applicabili solo nell’ambito dei territori delle Regioni e Province autonome che non abbiano provveduto e siano cedevoli. Ai fini dell’attuazione in via sostitutiva, è necessario sentire previamente la Conferenza Stato-Regioni nel rispetto del principio di leale collaborazione. Inoltre, dal momento che l’art. 117, V comma, Cost. prevede il potere sostitutivo in caso di inadempienza, la norma statale, se emanata anteriormente, avrà effetto soltanto dalla scadenza dell’obbligo comunitario di attuazione della direttiva nei confronti delle sole Regioni inadempienti. E’ necessario che l’atto normativo dello Stato in funzione sostitutiva contenga la clausola di cedevolezza, in virtù della natura esclusivamente collaborativa dell’intervento dello Stato in materie di competenza regionale. (Adunanza Generale 25 febbraio 2002).
Analogamente, l’art. 13, comma 2, sempre in attuazione dell’art. 117, V comma, stabilisce che i provvedimenti in materia di adeguamenti tecnici possono essere adottati nelle materie di competenza legislativa regionale in caso di inerzia delle regioni e province autonome. In tale caso, i provvedimenti statali adottati si applicano secondo modalità identiche a quelle definite dall’articolo 11, comma 8.
Infine, l’art. 16, comma 3, in riferimento all’attuazione regionale delle direttive comunitarie, chiarisce che le disposizioni legislative adottate dallo Stato per l’adempimento degli obblighi comunitari in materie di competenza regionale si applicano “alle condizioni e secondo la procedura di cui all’art. 11, comma 8”. La disciplina applicabile in questi casi è quindi desumibile dalla norma citata, che viene richiamata esclusivamente per quanto riguarda le condizioni e la procedura di attuazione, non anche per il tipo di atti statali sostitutivi che essa presuppone (v. scheda Le leggi comunitarie regionali).
La disciplina dei poteri sostitutivi, dettata dagli articoli in esame, si aggiunge a quanto previsto dall’art. 8 della legge n. 131 del 2003 (c.d. Legge La Loggia), che è volto a regolare l’esercizio del diverso potere sostitutivo previsto dall’articolo 120 della Costituzione.
La norma stabilisce, in via generale, che i provvedimenti sostitutivi devono essere proporzionati alle finalità perseguite e, in particolare, il comma 1:
· l’assegnazione di un congruo termine all’ente interessato per provvedere;
· l’adozione dell’atto sostitutivo, di natura anche normativa, da parte del Consiglio dei ministri solo a seguito dell’infruttuoso decorso del termine, sentito l’organo interessato.
Peraltro, il comma 2 dispone che qualora l’esercizio del potere sostitutivo si renda necessario al fine di porre rimedio alla violazione della normativa comunitaria, gli atti ed i provvedimenti sono adottati su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri o del Ministro per le politiche comunitarie e del Ministro competente per materia, abrogando l’articolo 11 della legge La Pergola, che dettava la disciplina relativa all’esercizio di poteri statali sostitutivi in caso di inerzia regionale (e delle province autonome)[59].
Accanto a questa forma di sostituzione, l’articolo 8 ne disciplina un’altra, attivabile nei casi di assoluta urgenza (comma 4): qualora l’intervento sostitutivo non sia procrastinabile senza mettere in pericolo le finalità tutelate dall’articolo 120 della Costituzione, il Consiglio dei ministri, anche su iniziativa delle Regioni o degli enti locali, adotta i provvedimenti necessari, comunicati alla Conferenza Stato-Regioni o alla Conferenza Stato-Città e autonomie locali, che possono chiederne il riesame.
Per quanto riguarda i rapporti tra la sostituzione delineata dagli articoli in esame della legge n. 11 e quella disciplinata dalla legge La Loggia, si evidenzia che, in effetti, le due leggi fanno riferimento a diversi articoli della Costituzione: le disposizioni della legge n. 11 si pongono in attuazione dell’art. 117, V comma, Cost., mentre l’art. 8 della legge n. 131 richiama l’art. 120, II comma, Cost.
Si ricorda che l’art. 117, V comma, Cost. prevede che le regioni e le province autonome provvedono all’attuazione degli obblighi comunitari, “nel rispetto delle norme di procedura stabilite da legge dello Stato, che disciplina le modalità di esercizio del potere sostitutivo in caso di inadempienza”, mentre l’art. 120, II comma, Cost., stabilisce che il Governo può sostituirsi a organi delle regioni, città metropolitane, province e comuni, in caso di mancato rispetto di norme e trattati internazionali o della normativa comunitaria oppure di pericolo grave per l’incolumità e la sicurezza pubblica, ovvero quando lo richiedono la tutela dell’unità giuridica o economica e la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni. La norma prevede altresì che la legge definisce le procedure idonee a garantire che i poteri sostitutivi siano esercitati nel rispetto dei principi di sussidiarietà e leale collaborazione.
Si segnala, comunque, che la più recente dottrina (Rescigno, Anzon, D’Atena, Caretti, Gianfrancesco, Scaccia, Marazzita) è divisa circa l’interpretazione da attribuire ai due diversi disposti costituzionali: alcuni ritengono che le due norme facciano sistema, andando a configurare un’unica fattispecie di intervento sostitutivo, che ricorrerebbe in caso di inerzia regionale e si esplicherebbe attraverso un intervento governativo. Altri sostengono, invece, che mentre l’art. 117, V comma, Cost. riguarderebbe i poteri sostitutivi di natura legislativa, che presuppongono l’inadempimento regionale, l’art. 120, II comma, Cost., disciplinerebbe i poteri sostitutivi di natura amministrativa, che non presuppongono l’inadempimento delle regioni e devono essere esercitati esclusivamente dal Governo. Infine, vi è chi ricostruisce il rapporto tra le due norme costituzionali in termini di sostituzione ordinaria e straordinaria. Il dettato costituzionale configurerebbe, quindi, una sostituzione ordinaria, che può essere tanto legislativa (art. 117, V comma) quanto amministrativa (art. 118), ed una sostituzione straordinaria (art. 120, II comma), cui ricorrere a fronte di emergenze istituzionali di particolare gravità. Si tratterebbe in questo caso di una norma di chiusura, che svolge il ruolo residuale di estrema ratio, attivabile dal Governo in relazione all’esercizio di funzioni amministrative e normative, ma non legislative.
Si ricorda, infine, che la Corte costituzionale ha esaminato il tema dei poteri sostitutivi, in riferimento alla disciplina regionale della sostituzione di organi comunali da parte della regione. In tale circostanza, la Corte ha delineato l’art. 120, II comma, Cost., come norma di chiusura, volta ad assicurare comunque – in un sistema di più largo decentramento delle funzioni – taluni interessi essenziali. Configurandosi come estrema ratio la norma non esaurisce le possibilità di esercizio di poteri sostitutivi, dal momento che essa ”prevede solo un potere sostitutivo straordinario in capo al Governo”, da esercitarsi in casi tassativamente indicati (si vedano, in particolare, la sentenza n. 43 del 2004 – che si è occupata della questione per prima – e le successive sentenze nn. 69, 74, 112 e 173 del 2004).
La legge in commento disciplina anche le sessioni comunitarie della Conferenza Stato-regioni e della Conferenza Stato-città ed autonomie locali, stabilendo rispettivamente che il Presidente del Consiglio convochi:
- almeno ogni sei mesi - anche su richiesta delle regioni e delle province autonome - una sessione speciale della Conferenza Stato-regioni, dedicata alla trattazione degli aspetti delle politiche comunitarie di interesse regionale e provinciale (articolo 17, che riproduce sostanzialmente quanto già previsto dall’articolo 10 della legge La Pergola);
- almeno una volta all'anno - anche su richiesta delle associazioni rappresentative degli enti locali o degli enti locali interessati - una sessione speciale della Conferenza Stato-città ed autonomie locali, dedicata alla trattazione degli aspetti delle politiche comunitarie di interesse degli enti locali (articolo 18).
Dei risultati emersi in tali sedi il Governo è tenuto ad informare tempestivamente le Camere.
Infine, si ricorda l’articolo 14, che detta la disciplina per l’attuazione delle decisioni adottate dal Consiglio o dalla Commissione delle Comunità europee.
L’articolo riproduce in modo pressoché identico il contenuto dei tre commi del precedente articolo 6 della legge La Pergola, ma aggiunge un nuovo comma 4, che dispone l‘obbligo di trasmissione alle Camere delle decisioni del Consiglio e della Commissione europea, nonché la loro trasmissione alle Regioni ed alle province autonome qualora le decisioni stesse ricadano nella competenza di tali enti. La nuova procedura è quindi volta a consentire l’espressione del Parlamento (in ogni caso) e delle regioni e province autonome (solo nelle materie di loro competenza) anche in tema di attuazione delle decisioni comunitarie[60].
Per quanto riguarda il meccanismo di esame, si prevede che, a seguito della notificazione, sulle decisioni destinate alla Repubblica italiana il Ministro per le politiche comunitarie, consultati il Ministro per gli affari esteri e quelli interessati e d’intesa con essi, debba riferire al Consiglio dei ministri, qualora, alternativamente: esse rivestano particolare importanza per gli interessi nazionali; esse comportino rilevanti oneri di esecuzione. In tali casi, il Consiglio dei ministri[61] è tenuto a:
1) deliberare l’impugnazione della decisione innanzi alla Corte di Giustizia della Comunità europea;
2) emanare le direttive opportune per la esecuzione della decisione a cura delle autorità competenti.
L’assetto degli organi, delle funzioni e delle strutture amministrative coinvolte nella partecipazione al processo normativo comunitario risulta piuttosto complesso in quanto si caratterizza per la compartecipazione di più soggetti[62]: il Presidente del Consiglio, che si avvale del Dipartimento per le politiche comunitarie; il Ministro per le politiche comunitarie, delegato dal Presidente del Consiglio al coordinamento delle politiche comunitarie; le strutture interne ai singoli ministeri ed il Ministero degli affari esteri.
Le riforme relative all'organizzazione del Governo ed all'ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri intervenute nella XIII legislatura (decreto legislativo 30 luglio 1999 n. 303), hannoavviatoun’evoluzione dell’assetto delle competenze in materia comunitaria: l’esigenza di assicurare l'unità di indirizzo politico ed amministrativo con riferimento alle politiche comunitarie è stata allora realizzata tramite il potenziamento del ruolo di impulso, indirizzo e coordinamento del Presidente del Consiglio nella partecipazione al processo di integrazione europea. Egli infatti “promuove e coordina l'azione del Governo diretta ad assicurare la piena partecipazione dell'Italia all'Unione europea e lo sviluppo del processo di integrazione europea”[63]. Compete al Presidente del Consiglio la responsabilità per l'attuazione degli impegni assunti nell'ambito dell'Unione europea: a tal fine, il Presidente si avvale di un apposito Dipartimento della Presidenza del Consiglio, individuato nel Dipartimento per il coordinamento delle politiche comunitarie.
La partecipazione del nostro Paese al processo normativo dell'Unione Europea è ora recentemente ridisciplinata dalla legge 4 febbraio 2005, n. 11 "Norme generali sulla partecipazione dell'Italia al processo normativo dell'Unione Europea e sulle procedure di esecuzione degli obblighi comunitari", che ha sostituito integralmente la precedente legge 9 marzo 1989, n. 86 (v. scheda La legge n. 11 del 2005).
In base alla nuova legge n. 11/2005, il ruolo di coordinamento nel processo di definizione della posizione italiana in sede europea è stato affidato al Governo. La legge ha pertanto disposto l’istituzione - presso la Presidenza del Consiglio dei ministri - del Comitato interministeriale per gli affari comunitari europei (CIACE), con il compito di concordare le linee politiche del Governo nel processo di formazione della posizione italiana nella fase di predisposizione degli atti comunitari e dell’Unione europea e adempiere ai compiti previsti dalla legge stessa.
Il Dipartimento per il coordinamento delle politiche comunitarie è la struttura di supporto di cui il Presidente del Consiglio dei Ministri si avvale per l'attività inerente all'attuazione degli impegni assunti nell'ambito dell'Unione europea e per le azioni di coordinamento nelle fasi di predisposizione della normativa comunitaria, ai fini della definizione della posizione italiana da sostenere, d'intesa con il Ministero degli affari esteri, in sede di Unione europea.
L’organizzazione interna del Dipartimento per il coordinamento delle politiche comunitarie è stata definita inizialmente con il decreto ministeriale 19 settembre 2000 e successivamente con il decreto del Ministro delle politiche comunitarie del 10 febbraio 2004[64], con il quale è stata ridefinita l’organizzazione interna del Dipartimento per le politiche comunitarie, visto anche il D.P.C.M. 23 luglio 2002, recante “Ordinamento delle strutture generali della Presidenza del Consiglio dei Ministri”, il cui art. 10 aveva provveduto ad individuare gli uffici ed i servizi del Dipartimento per le politiche comunitarie.
L'attuale organizzazione interna del Dipartimento è stabilita dal decreto del Ministro delle politiche comunitarie 9 febbraio 2006, che ha provveduto ad aggiornare alle modifiche apportate dalla legge n. 11/2005 – principalmente l’istituzione del CIACE – il precedente decreto di organizzazione del 10 febbraio 2004, ora abrogato.
Il Dipartimento cura e segue la predisposizione, l'iter parlamentare e l'attuazione della legge comunitaria annuale; assicura, durante il procedimento normativo comunitario, il monitoraggio del processo decisionale; segue il contenzioso comunitario, promuove l'informazione sull'attività dell'Unione europea e coordina, in materia, le iniziative di formazione.
Il Dipartimento è articolato in quattro uffici e in tredici servizi. Gli uffici sono i seguenti:
§ Ufficio di segreteria del Comitato interministeriale, per gli affari comunitari europei (CIACE);
§ Ufficio per la strategia del mercato interno, per gli affari sociali, per la comunicazione, la formazione e l'innovazione tecnologica;
§ Ufficio per le politiche economiche, finanziarie e di struttura;
§ Ufficio per la concorrenza e le politiche di coesione.
Alle dirette dipendenze del Capo del Dipartimento opera inoltre il Servizio affari generali, amministrativi, contabili e gestione del personale. Dipende poi funzionalmente dal Capo del Dipartimento il Nucleo della Guardia di Finanza per la repressione delle frodi comunitarie[65].
Gli Uffici, secondo quanto previsto dall'art. 5 del decreto 9 febbraio 2006:
§ coordinano, nelle materie di propria competenza, amministrazioni dello Stato, regioni, parti sociali e operatori privati nella fase di predisposizione della normativa comunitaria e curano, altresì, d'intesa con il settore legislativo e in collaborazione con le amministrazioni centrali e regionali interessate, le attività dirette al recepimento e all'attuazione delle direttive comunitarie;
§ procedono, sempre nelle materie di propria competenza, in supporto e coordinamento con il settore legislativo, al monitoraggio dello stato di attuazione delle direttive comunitarie, i cui risultati vengono sottoposti mensilmente alle valutazioni del Consiglio dei Ministri e provvedono all'azione di monitoraggio dell'attuazione della normativa comunitaria in ambito regionale;
§ collaborano con il settore legislativo al fine di prevenire il contenzioso comunitario, curando in particolare la fase pre-contenziosa, partecipando agli incontri periodici promossi dal settore legislativo con i rappresentanti della Commissione europea, nonché attraverso il coordinamento delle amministrazioni competenti ai fini della definizione della posizione da assumere;
§ collaborano con il settore legislativo alle attività relative al contenzioso comunitario e alla preparazione, per gli aspetti di competenza, delle riunioni del Consiglio dei Ministri e a quelle del pre-Consiglio;
§ provvedono, sempre in collaborazione con il settore legislativo, agli adempimenti istruttori e a quelli strumentali necessari alla presentazione della legge comunitaria annuale, il cui iter parlamentare è seguito dal settore legislativo.
Come sopra ricordato, la legge n. 11/2005 ha disposto l’istituzione - presso la Presidenza del Consiglio dei ministri - del Comitato interministeriale per gli affari comunitari europei (CIACE), con il compito di concordare le linee politiche del Governo nel processo di formazione della posizione italiana nella fase di predisposizione degli atti comunitari.
In particolare, l’articolo 2 della legge n. 11 prevede che il CIACE sia convocato e presieduto dal Presidente del Consiglio dei ministri o dal Ministro per le politiche comunitarieanche su richiesta del comitato tecnico. Ad esso partecipano il Ministro degli affari esteri, il Ministro per gli affari regionali e gli altri Ministri aventi competenza nelle materie oggetto dei provvedimenti e delle tematiche inseriti all’ordine del giorno. Alle riunioni del CIACE, quando si trattano questioni che interessano anche le regioni e le province autonome, possono chiedere di partecipare il Presidente della Conferenza dei Presidenti delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano o un Presidente di regione o di provincia autonoma da lui delegato e, per gli ambiti di competenza degli enti locali, i Presidenti delle associazioni rappresentative degli enti locali.
La norma prevede, altresì, che il CIACE svolga i propri compiti nel rispetto delle competenze attribuite dalla Costituzione e dalla legge al Parlamento, al Consiglio dei Ministri e alla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano.
Il comma 4 dell’articolo 2 stabilisce che per la preparazione delle proprie riunioni, il CIACE si avvale di un comitato tecnico permanente, istituito presso il Dipartimento per le politiche comunitarie.Il comitato è coordinato e presieduto dal Ministro per le politiche comunitarie o da un suo delegato e di esso fanno parte direttori generali o alti funzionari con qualificata specializzazione in materia, designati da ognuna delle amministrazioni del Governo. Qualora si trattino questioni che interessano anche le regioni e le province autonome, il comitato tecnico è integrato dagli assessori regionali competenti per le materie in trattazione o loro delegati. In tal caso il comitato tecnico, presieduto dal Ministro per le politiche comunitarie, in accordo con il Ministro per gli affari regionali, è convocato presso la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano.
Il funzionamento del CIACE e del comitato tecnico permanente sono disciplinati, rispettivamente, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri e con decreto del Ministro per le politiche comunitarie.
In attuazione di tale disposizione, con DPCM 9 gennaio 2006 è stato adottato il Regolamento per il funzionamento del Comitato interministeriale per gli affari comunitari europei (CIACE). Con riguardo alle funzioni del CIACE, si tratta di una sede nella quale potranno confluire le diverse istanze ed interessi che andranno di volta in volta a costituire la posizione italiana presso le Istituzioni comunitarie e, in particolare, presso il Consiglio dei ministri dell’UE: tramite questo organismo si cercherà di assicurare una maggiore unità di indirizzo alle questioni di interesse del nostro paese in sede europea e di consentire una maggiore e più coordinata rappresentanza delle istanze dei diversi soggetti interessati (regioni, consumatori etc.) ai provvedimenti in discussione nelle sedi comunitarie.
Il CIACE procede infatti all'esame ed al coordinamento degli orientamenti delle amministrazioni e degli altri soggetti interessati, anche sulla base delle osservazioni e degli atti adottati dal Parlamento e dagli organi parlamentari,nonché delle osservazioni trasmesse dalle regioni e dalle province autonome e dagli enti locali.
Oltre a questa generale funzione di coordinamento degli orientamenti delle amministrazioni e degli altri soggetti interessati, si segnala che tra gli ulteriori compiti il DPCM individua quelle di :
§ potersi esprimere in merito all'opportunità di apporre in sede di Consiglio dei Ministri dell'Unione europea una riserva di esame parlamentare ai sensi dell'art. 4, comma 2, della legge 4 febbraio 2005, n. 11;
§ esaminare, su richiesta del Ministro per le politiche comunitarie, questioni di particolare rilievo emerse nel corso della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, convocata dal Governo a norma dell'art. 5, comma 4, della legge 4 febbraio 2005, n. 11;
§ proporre al Ministro per gli affari regionali le questioni relative all'elaborazione degli atti comunitari e dell'Unione europea da sottoporre alla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, anche ai fini della convocazione della sessione comunitaria a norma dell'art. 17 della legge 4 febbraio 2005, n. 11;
§ esaminare, su richiesta del Ministro per le politiche comunitarie, questioni di particolare rilievo emerse nel corso della Conferenza Stato-citta' ed autonomie locali, convocata ai sensi dell'art. 6, comma 1, della legge 4 febbraio 2005, n. 11, e proporre al Ministro per le politiche comunitarie le questioni di particolare rilevanza negli ambiti di competenza degli enti locali da sottoporre alla Conferenza Stato-citta' ed autonomie locali ai fini della convocazione della sessione comunitaria a norma dell'art. 18 della legge 4 febbraio 2005, n. 11.
Si ricorda, infine, che con DM 9 gennaio 2006 è stato altresì adottato il Regolamento per il funzionamento del Comitato tecnico permanente, mentre nell’ambito del decreto ministeriale 9 febbraio 2006, di organizzazione del Dipartimento per le politiche comunitarie, è stata definita l’articolazione interna dell’Ufficio di segreteria del CIACE e del Comitato tecnico permanente.
Il 29 marzo 2006 si è svolta la prima riunione del Comitato tecnico del CIACE a cui hanno partecipato tutte le amministrazioni del governo, rappresentate dai capi dipartimento e dai direttori generali per le tematiche europee.
In base all’art. 3 del decreto legislativo n. 303 del 1999, Il Presidente del Consiglio si avvale delle amministrazioni dello Stato competenti per settore, delle regioni, degli operatori privati e delle parti sociali interessate, ai fini della definizione della posizione italiana da sostenere, di intesa con il Ministero degli affari esteri, in sede di Unione europea.
Al Ministero degli Affari Esteri sono in particolare attribuite le funzioni e i compiti spettanti allo Stato in materia di rappresentanza della posizione italiana in ordine all'attuazione delle disposizioni relative alla politica estera e di sicurezza comune previste dal Trattato dell'Unione europea e di rapporti attinenti alle relazioni politiche ed economiche esterne dell'Unione europea nonché la cura delle attività di integrazione europea in relazione alle istanze ed ai processi negoziali riguardanti i trattati dell'Unione europea, della Comunità europea, della CECA, dell'EURATOM. Tali attività sono curate dalla Direzione Generale per l’Integrazione Europea.
Il Governo – nell’ambito dell’elaborazione degli indirizzi da assumere in ordine alla fase ascendete e discendente dei processi comunitari – è tenuto altresì a collaborare con le Regioni e gli Enti locali. Le sedi in cui si svolge l’attività di concertazione sono la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome e la Conferenza Stato-città ed autonomie locali, nell’ambito di apposite sessioni comunitarie, la cui disciplina è ora contenuta negli articoli 17 e 18 della legge n. 11 del 2005 (v. scheda La legge n. 11 del 2005).
In particolare, la Conferenza Stato-Regioni, istituita in via amministrativa nel 1983 (D.P.C.M. 12 ottobre 1983), ha avuto la prima organica disciplina legislativa con l’articolo 12 della legge n. 400 del 1988, che ha regolamentato l’attività del Governo e l’ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri. L’articolo 10 della legge n. 86 del 1989, e successive modificazioni, ha disciplinato una specifica sessione “comunitaria” della Conferenza, per assicurare il raccordo delle linee della politica nazionale relative all’elaborazione degli atti comunitari con le esigenze delle Regioni, nelle materie di loro competenza, e per acquisire il loro parere sullo schema di disegno di legge comunitaria. Nel 1997 con il decreto legislativo n. 281, emanato in attuazione della legge delega n. 59, sono state ridefinite e ampliate le attribuzioni della Conferenza e ne è stata potenziata la funzione consultiva, rendendola obbligatoria per tutti gli schemi di disegni di legge, regolamenti e schemi di decreti legislativi in materia di competenza regionale adottati dal Governo.
Circa le competenze della Conferenza Stato regioni in relazione all’Unione europea, si ricorda che l’articolo 5 del decreto legislativo n. 281 del 1997 prevede che la Conferenza Stato-regioni, anche su richiesta delle regioni e delle province autonome, si riunisce in apposita sessione almeno due volte all'anno al fine di raccordare le linee della politica nazionale, relativa all'elaborazione degli atti comunitari con le esigenze rappresentate dalle regioni e dalle province autonome, nelle materie di competenza di queste ultime, e di esprimere il parere sullo schema di disegno di legge comunitaria. La Conferenza inoltre:
1) designa i componenti regionali in seno alla rappresentanza permanente italiana presso l'Unione europea;
2) esprime parere – su richiesta dei Presidenti delle regioni e delle province autonome e con il consenso del Governo – sugli schemi di atti amministrativi dello Stato che, nelle materie di competenza delle regioni o delle province autonome, danno attuazione alle direttive comunitarie ed alle sentenze della Corte di giustizia delle comunità europee.
In base all’articolo 17 della legge n. 11 del 2005 il Presidente del Consiglio convoca almeno ogni sei mesi - anche su richiesta delle regioni e delle province autonome - una sessione speciale della Conferenza Stato-regioni, dedicata alla trattazione degli aspetti delle politiche comunitarie di interesse regionale e provinciale. Dei risultati emersi in tale sede il Governo è tenuto ad informare tempestivamente le Camere.
La Conferenza Stato-regioni in sessione comunitaria può infatti esprimere il proprio parere sulle seguenti questioni:
§ sugli indirizzi generali relativi all'elaborazione e all'attuazione degli atti comunitari che riguardano le competenze regionali;
§ sui criteri e le modalità per conformare l'esercizio delle funzioni regionali all'osservanza ed all'adempimento degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea;
§ sullo schema del disegno di legge comunitaria, sulla base di quanto previsto dall'articolo 5, comma 1, lettera b), del decreto legislativo n. 281/1997. Tale norma dispone che la Conferenza Stato-regioni in sessione comunitaria, esprima parere sullo schema di disegno di legge comunitaria e che decorso il termine di venti giorni dalla richiesta del parere, il disegno di legge sia presentato al Parlamento anche in mancanza di tale parere.
La Conferenza Stato-città ed autonomie locali, è un organo collegiale con funzioni consultive e decisionali, sede istituzionale permanente di confronto e raccordo tra lo Stato e gli enti locali. Fu istituita con DPCM 2 luglio 1996 ed è disciplinata dal D.Lgs n. 281 del 1997 e successive modificazioni. In particolare, l’art. 8 del decreto legislativo n. 281 prevede che essa sia presieduta dal Presidente del Consiglio dei Ministri (o, per sua delega, dal Ministro dell'interno o dal Ministro per gli affari regionali) e ne facciano parte oltre a vari Ministri (economia, infrastrutture e sanità), il presidente dell'Associazione nazionale dei comuni d'Italia – ANCI, il presidente dell'Unione province d'Italia – UPI ed il presidente dell'Unione nazionale comuni, comunità ed enti montani – UNCEM, nonché, su designazione delle rispettive associazioni, sei presidenti di provincia e quattordici sindaci, di cui cinque sindaci di città che siano aree metropolitane[66].
L’articolo 18 della legge n. 11 del 2005 ha introdotto altresì la Sessione comunitaria della Conferenza, prevedendone laconvocazione obbligata, almeno una volta all'anno, da parte del Presidente del Consiglio o del Ministro per le politiche comunitarie. La convocazione può altresì avvenire su richiesta delle associazioni rappresentative degli enti locali o su semplice richiesta degli enti locali interessati. La conferenza tratta gli aspetti delle politiche comunitarie di interesse degli enti locali, esprimendo genericamente parere sui criteri e le modalità per conformare l'esercizio delle funzioni di interesse degli enti locali all'osservanza e all'adempimento degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’UE.
Il Governo è tenuto ad informare tempestivamente sia le Camere che la Conferenza dei presidenti delle regioni e delle province autonome sui risultati emersi durante tale sessione.
La legge n. 29 del 2006, recante “Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee. Legge comunitaria 2005”, è la prima presentata e approvata successivamente all’entrata in vigore della legge di riforma della legge “La Pergola”, ossia della legge 4 febbraio 2005, n. 11, recante “Norme generali sulla partecipazione dell’Italia al processo normativo dell’Unione europea e sulle procedure di esecuzione degli obblighi comunitari”, provvedimento che ha sensibilmente ampliato i contenuti della legge comunitaria in modo da adeguarli alle nuove esigenze emerse, soprattutto a quelle derivanti dalla riforma del Titolo V della Costituzione (v. scheda La legge n. 11 del 2005).
La legge comunitaria per il 2005, prevede il recepimento nel nostro ordinamento, con delega legislativa o regolamento autorizzato, di 34 direttive.
La legge consta di 26 articoli e di tre allegati (A, B e C), nei quali sono elencate rispettivamente le direttive da recepire con decreto legislativo (10 con l’allegato A senza parere delle competenti Commissioni parlamentari e 22 con l’allegato B, previo parere delle competenti Commissioni parlamentari) e quelle da recepire con regolamento autorizzato (le due indicate nell’Allegato C).
Nella relazione governativa al disegno di legge originario[67] sono state inoltre indicate 54 direttive da recepire in via amministrativa, confermandosi così la tendenza degli ultimi anni all’aumento di tale modalità di recepimento.
I settori principalmente interessati dalla legge comunitaria per il 2005 sono i seguenti:
§ finanza e mercati (regime fiscale per le società madri e figlie, regime fiscale applicabile a scissioni, fusioni societarie e conferimenti d’attivo, obblighi di trasparenza per gli emittenti valori mobiliari; prevenzione e protezione dell’uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio,comitati di settore dei servizi finanziari, assicurazione per responsabilità civile derivante dalla circolazione di autoveicoli, delega per disposizioni correttive ai decreti su Opa e mercati finanziari);
§ trasporti e comunicazioni (sicurezza degli aeromobili di paesi terzi,sicurezza delle gallerie delle reti stradali transeuropee, sicurezza e sviluppo del sistema ferroviario comunitario e transeuropeo ad alta velocità, apparecchiature radio e di telecomunicazione, dati personali relativi alle persone trasportate, assistenza a terra negli aereoporti, requisiti tecnici dei sistemi di evacuazione degli aerei,);
§ giustizia (indennizzo delle vittime di reato, protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche);
§ immigrazione e sicurezza (titolo di soggiorno per le vittime della tratta di esseri umani, ammissione di cittadini di paesi terzi per motivi di studio, vendita di articoli pirotecnici, munizioni ed esplosivi, protezione internazionale degli apolidi o rifugiati)
§ sanità (norme di polizia sanitaria, igiene prodotti alimentari, protesi articolari e dispositivi medici,conservazione di tessuti e cellule umani, buona pratica di laboratorio, additivi alimentari, prodotti alimentari destinati ad un’alimentazione particolare);
§ tutela dell’ambiente (adempimenti per la gestione di rifiuti pericolosi, compatibilità elettromagnetica, inquinamento dell’aria, azione comunitaria in materia di acque);
§ attività produttive (sospensione aiuti alle imprese del settore fieristico e per investimenti in comuni colpiti da calamità naturali, pratiche commerciali sleali);
§ lavoro e professioni (sicurezza e salute dei lavoratori per esposizione a campi elettromagnetici, parità di trattamento tra uomini e donne nell’accesso e fornitura di beni e servizi,riconoscimento delle qualifiche professionali,requisiti minimi di formazione della gente di mare, supervisione enti pensionistici aziendali o professionali, condizione per la limitazione all’arruolamento di donne nelle Forze armate).
§ istruzione (valutazione di titoli e certificazioni acquisiti in altri Stati membri,equipollenza di titoli di studio);
§ agricoltura (sementi prodotte in paesi terzi, galline ovaiole, controlli sui prodotti fitosanitari).
La legge comunitaria annuale è tradizionalmente divisa in due Capi: nel Capo I sono comprese le disposizioni generali sui procedimenti per l’adempimento degli obblighi comunitari, mentre nel Capo II sono indicate le disposizioni particolari di adempimento, nonché i criteri specifici di delega legislativa. In questa seconda parte altresì sono normalmente ricomprese le norme necessarie ad uniformarsi a sentenze della Corte di Giustizia ovvero per chiudere situazioni di contenzioso aperte in sede comunitaria.
Per quanto riguarda la struttura della legge comunitaria 2005, essa presenta peraltro all’articolo 1, recante la delega per il recepimento delle direttive contenute negli allegati A e B, alcune particolarità rispetto alle precedenti leggi comunitarie, talune peraltro già presenti, rispetto allo standard consueto e consolidato della norma, dalla legge comunitaria per il 2004:
· Il comma 4, prevede la necessità della relazione tecnica, di cui all’articolo 11-ter, comma 2, della legge n. 468 del 1978[68], sugli schemi di decreti legislativi, recanti attuazione di determinate direttive, che comportino conseguenze finanziarie (si tratta di 14 direttive[69]). Su tali schemi si prevede che venga altresì acquisito il parere delle Commissioni parlamentari competenti per i profili finanziari; inoltre, si prevede un doppio parere parlamentare nel caso in cui il Governo non si conformi alle condizioni relative all’osservanza dell’articolo 81, IV comma, Cost.: in tal caso, infatti, l’esecutivo è tenuto a ritrasmettere i testi alle Camere – corredati dei necessari elementi integrativi – affinché le Commissioni competenti si esprimano definitivamente entro venti giorni.
· Il doppio parere parlamentare (comma 9) è stato altresì introdotto per alcune ipotesi specifiche, ovvero quando il Governo non intenda conformarsi ai pareri parlamentari relativi a sanzioni penali contenute negli schemi di decreti legislativi recanti attuazione delle direttive comprese negli allegati A e B. In tali casi, il Governo è tenuto a ritrasmettere con le sue osservazioni ed eventuali modifiche i testi alle Camere per il parere definitivo, che deve essere espresso entro venti giorni (in mancanza di nuovo parere, il Governo adotta ugualmente il provvedimento).
In proposito, si segnala che il Comitato per la legislazione si è recentemente espresso favorevolmente all’introduzione del doppio parere ritenendolo “un meccanismo particolarmente idoneo a consentire un rafforzamento delle prerogative parlamentari ed il massimo coinvolgimento del Parlamento al procedimento di emanazione dei decreti legislativi di attuazione della delega”[70].
· Il comma 8, stabilisce che il Ministro per le politiche comunitarie è tenuto a trasmettere una relazione al Parlamento qualora una o più deleghe conferite dalla legge comunitaria non risulti esercitata trascorsi quattro mesi dal termine previsto dalla direttiva per la sua attuazione. Il medesimo comma prevede altresì un’informativa quadrimestrale da parte del Ministro per le politiche comunitarie alle Camere sullo stato di attuazione delle direttive da parte delle regioni e province autonome.
· Infine, il comma 6 è volto ad introdurre la possibilità di adottare decreti integrativi e correttivi entro tre anni dalla data di entrata in vigore dei decreti di recepimento della direttiva 2004/109/CE (obblighi di trasparenza riguardanti le informazioni sugli emittenti di valori mobiliari) al fine di tener conto delle eventuali disposizioni di attuazione adottate dalla Commissione europea.
L’articolo 2 reca una modifica all’articolo 10 della legge n. 11 del 2005, volta a disciplinare l’esercizio sia delle deleghe legislative già conferite e non ancora attuate, sia delle deleghe che in materia comunitaria saranno conferite da future leggi, diverse dalle leggi comunitarie, disponendo che, fatti salvi i princìpi e criteri direttivi stabiliti di volta in volta dalle leggi delega (in conformità al diritto comunitario), ed in aggiunta ai princìpi contenuti nelle direttive da attuare, tali decreti legislativi siano adottati:
§ nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi generali previsti dalla legge comunitaria per l’anno di riferimento;
§ su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri o del ministro per le politiche comunitarie e del ministro con competenza istituzionale prevalente per la materia, di concerto con i ministri degli affari esteri, della giustizia, dell’economia e delle finanze e con gli altri ministri interessati in relazione all’oggetto della direttiva.
I principi e criteri direttivi per l’esercizio delle deleghe (tradizionalmente contenuti nell’articolo 2), sono per il 2005 contenuti all’articolo 3, mentre l’articolo 4 è conferita una delega al Governo per la disciplina sanzionatoria di violazioni a disposizioni in materia di Politica agricola comune e di Politica dello sviluppo rurale.
L’articolo 5 reca la consueta delega al Governo per la disciplina sanzionatoria della violazione di disposizioni comunitarie attuate in via regolamentare o amministrativa (nelle altre leggi comunitarie questa norma era generalmente contenuta all’articolo 3), mentre l’articolo 6 riguarda gli oneri per prestazioni e controlli.
Di particolare rilievo risulta poi l’introduzione della norma recante “attuazione di direttive comunitarie con regolamento autorizzato” (articolo 7), con la quale si autorizza il Governo a dare attuazione alle direttive comprese nell’elenco di cui all’allegato C con uno o più regolamenti di delegificazione (ex articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400), secondo quanto disposto dagli articoli 9 e 11 della legge 4 febbraio 2005, n. 11. Gli schemi di regolamento – corredati da apposite relazioni cui è allegato il parere del Consiglio di Stato – dovranno essere sottoposti al parere delle Commissioni parlamentari competenti, che si esprimono entro quaranta giorni dall’assegnazione. Decorso il predetto termine, i regolamenti sono emanati anche in mancanza dei pareri parlamentari. Parallelamente, è stato pertanto aggiunto l’Allegato C, all’interno del quale sono state inserite due direttive, da recepire – appunto – attraverso regolamenti di delegificazione.
Infine, l’articolo 8 è finalizzato a prevedere interventi di riordino normativo nelle materie interessate dalle direttive comunitarie(norma tradizionalmente contenuta all’articolo 5 delle precedenti leggi comunitarie).
In realtà, la struttura e contenuti della legge comunitaria 2005, non sembrano ancora rispondere completamente a quanto stabilito dall’articolo 9 della legge n. 11 del 2005, All’interno del provvedimento non risultano, infatti, contenute le disposizioni:
§ occorrenti per dare esecuzione ai trattati internazionali conclusi nel quadro delle relazioni esterne dell’Unione europea;
§ che individuano i princìpi fondamentali per le regioni e le province autonome ai fini dell’attuazione di atti comunitari nelle materie di competenza concorrente[71];
§ che, nelle materie di competenza legislativa delle regioni e delle province autonome, delegano il Governo ad adottare decreti legislativi recanti sanzioni penali per la violazione delle disposizioni comunitarie recepite dalle regioni;
§ emanate nell’esercizio del potere sostitutivo di cui all’articolo 117, quinto comma, della Costituzione (v. scheda Titolo V e norme di attuazione nel dossier n. 2/1 relativo alla I Commissione (Affari costituzionali).
Il Capo II (articoli da 9 a 26) contiene, come di consueto, disposizioni particolari di adempimento.
Si segnala che l’articolo 22, contiene criteri di delega specifici per l’attuazione della direttiva 2005/60/CE, sull’uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio, il cui recepimento è previsto nell’allegato B. Altri criteri specifici sono contenuti all’art. 18, anche se sotto forma di novella alla precedente legge comunitaria 2004, per l’attuazione della direttiva 2003/41/CE, relativaalleattività ed alla supervisione degli enti pensionistici aziendali.
Inoltre, si provvede a dare attuazione a decisioni della Commissione. In particolare, si tratta di:
§ articolo 15, recante attuazione della decisione C(2004)4746 della Commissione, del 14 dicembre 2004, in materia di aiuti a favore delle imprese che hanno sostenuto spese per la partecipazione espositiva di prodotti in fiere all’estero;
§ articolo 24, relativo all’attuazione della decisione n. 2005/315/CE della Commissione, del 20 ottobre 2004, in materia di aiuti a favore delle imprese che hanno realizzato investimenti nei comuni colpiti da eventi calamitosi nel 2002.
Anche nella legge comunitaria 2005, come nelle precedenti, sono contenute disposizioni dirette a dare esecuzione a sentenze o risolvere procedure di infrazione avviate a livello comunitario (articoli 11, 12, 17, 19, 20, 25 e 26).Peraltro, tale finalità è espressamente enunciata solo dagli articoli 20 e 25. In particolare:
§ L’articolo 11 interviene in materia di obblighi contabili per i produttori di rifiuti pericolosi, al fine di dare attuazione ad un’ordinanza della Corte di Giustizia del 28.9.2004 (Causa C-115/03); la norma introduce nell’ordinamento nazionale una disposizione normativa che stabilisce l’obbligo della tenuta del registro di carico e scarico per i produttori di rifiuti pericolosi non inquadrati in un’organizzazione di ente o d’impresa.
§ L’articolo 12 è finalizzato invece a coprire casi di non applicabilità delle direttive 89/48/CEE, 92/51/CEE e 99/42/CE sulla base dei principi contenuti nelle sentenze della Corte di Giustizia dell’8 luglio 1999, causa C-234/97 e del 13 novembre 2003, causa C-313/01. La norma riguarda la valutazione di titoli e certificazioni acquisiti in altri Stati membri o in Stati aderenti all’Accordo sullo Spazio economico europeo e nella confederazione Elvetica.
§ L’articolo 17 dispone l’abrogazione dei commi 1 e 2 dell’articolo 38 del DPR n. 290 del 2001, concernente l’immissione in commercio e l’etichettatura di taluni prodotti fitosanitari, in linea con quanto richiesto dalla procedura di infrazione 2001/4742.
§ L’articolo 19 abroga l’articolo 20 del D. Lgs 18/1999[72] (di attuazione della direttiva 96/67/CE), recante una norma transitoria volta a far salve sino alla scadenza dei relativi contratti, senza possibilità di proroga, ed in ogni caso per un periodo non superiore a sei anni[73], le situazioni contrattuali del personale dei servizi di assistenza a terra, in atto al 19 novembre 1998, che prevedono assetti organizzativi o contrattuali diversi da quelli connessi alla liberalizzazione introdotta dallo stesso decreto legislativo 18/1999. La disposizione in esame appare finalizzata ad ottemperare alla sentenza della Corte di Giustizia europea del 9 dicembre 2004 in relazione alla causa C-460/02, con la quale è stato ritenuto in contrasto con la direttiva 96/67/CE il periodo transitorio previsto dal citato articolo 20 del D. Lgs. n. 18/1999.
§ L’articolo 20 modifica il D.P.R. n. 54 del 2002, recante il testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di circolazione e soggiorno dei cittadini degli Stati membri dell’UE, in linea con le indicazioni emerse nelle procedure di infrazione 2003/2134 e 2003/2166, avviate dalla Commissione europea.
§ L’articolo 25 modifica l’art. 134, comma 1-bis, del d.lgs. n. 285 del 1992, al fine di superare i rilievi mossi dalla Commissione europea nella procedura di infrazione 2001/5165 in riferimento alla disciplina sull’immatricolazione dei veicoli, contenuta nel nuovo codice della strada. In particolare, l’attuale normativa, in violazione dell'articolo 43 TCE, non permetterebbe alle persone giuridiche con sede in altri Stati membri, ma che in Italia svolgono attività su base permanente, di immatricolare autoveicoli in Italia.
§ L’articolo 26 trae origine dalla procedura d’infrazione (n. 1999/4239) con la quale la Commissione europea ha contestato al Governo italiano la non conformità con il principio comunitario di non discriminazione in base al sesso nell’accesso al lavoro del sistema di reclutamento del personale femminile nelle Forze armate per “aliquote” d’ingresso, definite annualmente. A tal fine, la norma novella l’articolo 1 della legge 20 ottobre 1999, n. 380, modificandone il comma 6, che demanda al Ministro della difesa il compito di definire annualmente le aliquote, i ruoli, i corpi, le categorie, le specialità e le specializzazioni di ciascuna Forza armata in cui avranno luogo i reclutamenti del personale femminile.
Per quanto riguarda invece gli allegati A e B, vengono conferite deleghe per il recepimento delle sottoindicate direttive:
In allegato A (senza parere parlamentare sugli schemi di decreto legislativo):
§ 2004/10/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 febbraio 2004, concernente il ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative relative all’applicazione dei princìpi di buona pratica di laboratorio e al controllo della loro applicazione per le prove sulle sostanze chimiche;
§ 2004/23/CE, sulla definizione di norme di qualità e di sicurezza per la donazione, l'approvvigionamento, il controllo, la lavorazione, la conservazione, lo stoccaggio e la distribuzione di tessuti e cellule umani;
§ 2004/41/CE, che abroga alcune direttive recanti norme sull’igiene dei prodotti alimentari e le disposizioni sanitarie per la produzione e la commercializzazione di determinati prodotti di origine animale destinati al consumo umano e che modifica le direttive 89/662/CEE e 92/118/CEE del Consiglio e la decisione 95/408/CE del Consiglio;
§ 2004/68/CE, che stabilisce norme di polizia sanitaria per le importazioni e il transito nella Comunità di determinati ungulati vivi, che modifica le direttive 90/426/CEE e 92/65/CEE e che abroga la direttiva 72/462/CEE;
§ 2004/107/CE, concernente l’arsenico, il cadmio, il mercurio, il nickel e gli idrocarburi policiclici aromatici nell’aria ambiente ;
§ 2004/114/CE relativa alle condizioni di ammissione dei cittadini di paesi terzi per motivi di studio, scambio di alunni, tirocinio non retribuito o volontariato;
§ 2004/117/CE, che modifica le direttive 66/401/CEE, 66/402/CEE, 2002/54/CE, 2002/55/CE e 2002/57/CE per quanto riguarda gli esami eseguiti sotto sorveglianza ufficiale e l’equivalenza delle sementi prodotte in paesi terzi;
§ 2005/1/CE, che modifica le direttive 73/239/CEE, 85/611/CEE, 91/675/CEE, 92/49/CEE e 93/6/CEE del Consiglio e le direttive 94/19/CE, 98/78/CE, 2000/12/CE, 2001/34/CE, 2002/83/CE e 2002/87/CE al fine di istituire una nuova struttura organizzativa per i comitati del settore dei servizi finanziari;
§ 2005/29/CE, relativa alle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori nel mercato interno interno e che modifica la direttiva 84/450/CEE del Consiglio e le direttive 97/7/CE, 98/27/CE e 2002/65/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e il regolamento (CE) n. 2006/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio («direttiva sulle pratiche commerciali sleali»);
§ 2005/50/CE, relativa alla riclassificazione delle protesi articolari dell’anca, del ginocchio e della spalla nel quadro della direttiva 93/42/CEE concernente i dispositivi medici .
In allegato B (con parere delle competenti Commissioni parlamentari):
§ 1998/44/CE, sulla protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche ;
§ 2000/60/CE, che istituisce un quadro per l’azione comunitaria in materia di acque;
§ 2003/123/CE, che modifica la direttiva 90/435/CEE concernente il regime fiscale comune applicabile alle società madri e figlie di Stati membri diversi;
§ 2004/9/CE, concernente l’ispezione e la verifica della buona pratica di laboratorio (BPL);
§ 2004/36/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 aprile 2004, sulla sicurezza degli aeromobili di paesi terzi che utilizzano aeroporti comunitari ;
§ 2004/40/CE, sulle prescrizioni minime di sicurezza e di salute relative all'esposizione dei lavoratori ai rischi derivanti dagli agenti fisici (campi elettromagnetici);
§ 2004/49/CE, relativa alla sicurezza delle ferrovie comunitarie e recante modifica della direttiva 95/18/CE del Consiglio relativa alle licenze delle imprese ferroviarie e della direttiva 2001/14/CE relativa alla ripartizione della capacità di infrastruttura ferroviaria, all’imposizione dei diritti per l’utilizzo dell’infrastruttura ferroviaria e alla certificazione di sicurezza (direttiva sulla sicurezza delle ferrovie);
§ 2004/50/CE, che modifica la direttiva 96/48/CE del Consiglio relativa all’interoperabilità del sistema ferroviario transeuropeo ad alta velocità e la direttiva 2001/16/CE del Parlamento europeo e del Consiglio relativa all’interoperabilità del sistema ferroviario transeuropeo convenzionale;
§ 2004/51/CE, che modifica la direttiva 91/440/CEE relativa allo sviluppo delle ferrovie comunitarie;
§ 2004/54/CE, relativa ai requisiti minimi di sicurezza per le gallerie della rete transeuropea;
§ 2004/80/CE, relativa all'indennizzo delle vittime di reato;
§ 2004/81/CE, riguardante il titolo di soggiorno da rilasciare ai cittadini di paesi terzi vittime della tratta di esseri umani o coinvolti in un'azione di favoreggiamento dell'immigrazione illegale che cooperino con le autorità competenti;
§ 2004/82/CE, concernente l'obbligo dei vettori di comunicare i dati relativi alle persone trasportate;
§ 2004/83/CE, recante norme minime sull'attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta;
§ 2004/108/CE, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative alla compatibilità elettromagnetica e che abroga la direttiva 89/336/CEE;
§ 2004/109/CE, relativa all’armonizzazione degli obblighi di trasparenza riguardanti le informazioni sugli emittenti i cui valori mobiliari sono ammessi alla negoziazione in un mercato regolamentato;
§ 2004/113/CE, che attua il principio della parità di trattamento tra uomini e donne per quanto riguarda l'accesso a beni e servizi e la loro fornitura;
§ 2005/14/CE, sull’assicurazione della responsabilità civile risultante dalla circolazione di autoveicoli;
§ 2005/19/CE, relativa al regime fiscale comune per fusioni, scissioni, conferimenti d’attivo e scambi d’azioni;
§ 2005/28/CE, che stabilisce i princìpi e le linee guida dettagliate per la buona pratica clinica relativa ai medicinali in fase di sperimentazione a uso umano nonché i requisiti per l’autorizzazione alla fabbricazione o importazione di tali medicinali;
§ 2005/36/CE, in materia di qualifiche professionali;
§ 2005/60/CE, concernente la prevenzione dell’uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo.
Per quanto riguarda l’allegato C, viene autorizzata l’adozione di regolamenti delegificanti per l’attuazione delle seguenti direttive:
§ 2003/103/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 novembre 2003, che modifica la direttiva 2001/25/CE concernente i requisiti minimi di formazione per la gente di mare;
§ 2005/23/CE della Commissione, dell’8 marzo 2005, che modifica la direttiva 2001/25/CE del Parlamento europeo e del Consiglio concernente i requisiti minimi di formazione per la gente di mare.
Nella relazione che viene allegata dal Governo alla presentazione del disegno di legge comunitaria annuale al parlamento devono essere contenuti, in base alla legge n. 11/2005 (v. relativa scheda), i seguenti elementi:
a) i dati sullo stato di conformità dell'ordinamento interno al diritto comunitario e sullo stato delle eventuali procedure di infrazione dando conto, in particolare, della giurisprudenza della Corte di giustizia delle Comunità europee relativa alle eventuali inadempienze e violazioni degli obblighi comunitari da parte della Repubblica italiana[74].
b) l'elenco delle direttive attuate o da attuare in via amministrativa[75].
La relazione al ddl comunitaria 2005 indicava 54 direttive, alla cui attuazione provvedono lo Stato ovvero le regioni o le province autonome nell’ambito del riparto costituzionale di competenze e fermi restando i poteri sostitutivi dello Stato. Di queste, 45 direttive sono state già attuate con decreti ministeriali o provvedimenti amministrativi.
Si ricorda altresì che, contrariamente a quanto previsto dall’articolo 10, comma 3-quater, del Testo unico sulla promulgazione delle leggi (DPR n. 1092/1985), introdotto dall’art. 4 della legge comunitaria 1999, non è stato rispettato, in sede di pubblicazione delle leggi comunitarie del 2000, del 20001, del 2002, del 2003 e del 2004, l’obbligo di riportare a titolo informativo nella Gazzetta Ufficiale, unitamente alla legge comunitaria annuale, l’elenco delle direttive attuate o da attuare in via amministrativa. Tale obbligo era invece stato rispettato in sede di pubblicazione della legge comunitaria per il 1999.
c) l’indicazione dell’eventuale omissione dell’inserimento di direttive il cui termine di recepimento sia scaduto o scada nel periodo di riferimento, in relazione ai tempi previsti per l’esercizio della delega legislativa, quindi per lo meno entro l’anno 2005.
La relazione governativa non segnala alcuna direttiva non inserita.
d) l’elenco delle direttive attuate con regolamento ai sensi dell’art. 11 della legge n. 11/2005, nonché gli estremi degli eventuali regolamenti d’attuazione già adottati.
La relazione al ddl comunitaria 2005 non fornisce alcun dato in proposito.
e) l’elenco degli atti normativi regionali e delle province autonome attuativi delle direttive comunitarie, anche con riferimento alle leggi annuali di recepimento eventualmente approvate dalle regioni o dalle province autonome.
Il disegno di legge comunitaria per il 2005 sottolinea che tali dati non risultano disponibili[76].
Si segnala che il 24 febbraio 2006 è stato presentato al Senato il disegno di legge comunitaria per il 2006 (AS 3794). Di tale provvedimento non è iniziato l’esame parlamentare a causa dello scioglimento delle Camere.
Per quanto riguarda il contenuto, il provvedimento dispone il recepimento complessivamente di 23 direttive, di cui 21 con decreto legislativo (17 in Allegato A e 4 in Allegato B) e 2 con regolamento autorizzato (Allegato C). Il disegno di legge contiene inoltre, come di consueto, norme di modifica puntuale alla legislazione vigente per ottemperare ad obblighi comunitari ed a sentenze della Corte di Giustizia. I criteri specifici di delega per il recepimento delle direttive riportate in allegato sono presenti in un unico articolo relativo ad una direttiva contenuta in allegato B.
Per quanto riguarda la struttura di tale disegno di legge, occorre segnalare che viene data per la prima volta attuazione ad alcune delle nuove disposizioni della legge n. 11 del 2005 (v. relativa scheda). Si tratta in particolare delle seguenti:
§ vengono per la prima volta individuati, come previsto dall’articolo 9, comma 1, lettera f), della legge n. 11 del 2005, i principi fondamentali in base ai quali le regioni e le province autonome devono esercitare le proprie competenze normative per dare attuazione agli atti comunitari nelle materie di competenza concorrente. Nel caso specifico tali principi vengono individuati in relazione alle direttive comprese nel disegno di legge nelle materie della tutela e sicurezza del lavoro, delle professioni e della tutela della salute;
§ viene per la prima volta attuata la previsione dell’articolo 8, comma 5, lett. e), della legge n. 11 del 2005, che impone l’obbligo al Governo di dare conto, nella relazione di accompagnamento al disegno di legge comunitaria, degli atti normativi delle regioni e delle province autonome con i quali è stata data attuazione a direttive comunitarie nelle materie di rispettiva competenza. Nella specie si dà conto dei dati pervenuti alla Presidenza del Consiglio, relativi alle regioni Friuli Venezia Giulia, Toscana, Lazio, Lombardia, Veneto e alle Province autonome di Trento e Bolzano.
In ogni caso, si segnala che la struttura del disegno di legge ricalca quella delle precedenti leggi comunitarie (cfr. supra il paragrafo “Il contenuto e la struttura della legge comunitaria per il 2005”), fatta eccezione per l’introduzione di un nuovo Capo (Capo II) dedicato all’individuazione dei principi fondamentali per le regioni (come sopra segnalato). Di conseguenza, il Capo contenente le disposizioni particolari di adempimento (ora ribattezzato “modificazioni e abrogazioni di disposizioni vigenti in contrasto con gli obblighi derivanti dall’appartenenza all’Unione europea, criteri specifici di delega ed autorizzazione, disposizioni particolari”) diviene – a differenza delle altre leggi comunitarie – il Capo III.
Com’è noto, l’articolo 117 della Costituzione, nel testo introdotto con la riforma del 2001, dedica il quinto comma al ruolo delle Regioni e delle Province autonome in ambito comunitario ed internazionale (v. scheda Titolo V e norme di attuazione nel dossier n. 2/1, relativo alla I Commissione (Affari costituzionali). In particolare, esse, nelle materie di loro competenza, sono chiamate sia a partecipare alle decisioni dirette alla formazione degli atti normativi comunitari, sia all’attuazione ed all’esecuzione degli accordi internazionali e degli atti dell’Unione europea, nel rispetto delle norme di procedura stabilite da legge dello Stato, che disciplina le modalità di esercizio del potere sostitutivo in caso di inadempienza.
Le innovative previsioni della disposizione costituzionale hanno trovato riscontro in un’intensa attività del legislatore statale e dei legislatori regionali.
In particolare, la legge 4 febbraio 2005, n. 11 (v. relativa scheda) ha tra l’altro ridisegnato la disciplina della partecipazione delle Regioni e delle Province autonome al processo di formazione delle decisioni comunitarie ed all’attuazione di tali decisioni, sostituendo ed abrogando la legge 9 marzo 1989, n. 86 (cosiddetta “Legge La Pergola”). L’articolo 16 della nuova leggedisciplina le competenze delle regioni e delle province autonome in materia, attribuendo loro la facoltà di dare immediata attuazione alla normativa comunitaria nelle materie di propria competenza.
Di particolare rilievo ai nostri fini, appare, inoltre, l’articolo 8, comma 5, che nel ridefinire i contenuti della relazione governativa di accompagnamento del disegno di legge comunitaria statale, stabilisce che essa debba fornire “l’elenco degli atti normativi con i quali nelle singole Regioni e Province autonome si è provveduto a dare attuazione alle direttive nelle materie di loro competenza, anche con riferimento a leggi annuali di recepimento eventualmente approvate dalle Regioni e dalle Province autonome”.
È pertanto evidente come, a livello statale, sia particolarmente sentita l’esigenza di un maggior coordinamento tra centro e periferia ai fini dell’attuazione del diritto comunitario, esigenza che emerge, tra le righe, dalla disposizione appena ricordata, che fa riferimento all’introduzione di apposite leggi comunitarie regionali. L’adozione di queste è anche funzionale per colmare quel gap informativo che spesso caratterizza i rapporti tra Stato e Regioni in ordine alle questioni di carattere comunitario.
Sul fronte regionale, si registra una grande attenzione per l’argomento, tanto è vero che le Regioni hanno iniziato a disciplinare la materia, sia con leggi ordinarie, sia con gli Statuti.
Due Regioni (Emilia-Romagna e Friuli Venezia Giulia) hanno deciso di intervenire prima con leggi ordinarie e quindi con gli Statuti, dotandosi dello strumento della legge comunitaria; altre Regioni (Calabria, Lazio, Liguria, Piemonte, Puglia, Sicilia e Toscana) si sono affidate agli Statuti, che in qualche caso rinviano a successive leggi regionali; in particolare, gli Statuti del Lazio e del Piemonte disciplinano la legge comunitaria regionale.
Si occupano quindi dell’argomento sette dei nove Statuti delle Regioni ordinarie entrati in vigore fino ad oggi e le due proposte di legge costituzionale approvate – rispettivamente – dal Consiglio regionale del Friuli Venezia Giulia e dall’Assemblea regionale siciliana per la revisione dei rispettivi Statuti.
In particolare, le Regioni Emilia-Romagna e Friuli Venezia Giulia hanno previsto, prima con legge ordinaria e poi nello Statuto, l’adozione di leggi comunitarie (annuali in Emilia-Romagna e periodiche in Friuli Venezia Giulia). Mentre la legge n. 10 del 2004 del Friuli è una legge organica, che reca disposizioni sulla partecipazione della regione ai processi normativi dell’UE e sull’esecuzione degli obblighi comunitari, la legge n. 6 del 2004 dell’Emilia riforma in via generale il sistema amministrativo regionale, dettando specifiche disposizioni sui rapporti con l’Unione europea.
In particolare, la prima disciplina:
· la partecipazione della regione alla formazione degli atti comunitari;
· la legge comunitaria regionale, contenente: disposizioni modificative o abrogative di norme legislative in contrasto con gli obblighi comunitari; disposizioni per dare attuazione ad atti comunitari; disposizioni che autorizzano la Giunta ad attuare le direttive in via regolamentare; disposizioni ricognitive delle direttive da attuare in via amministrativa;
· relazione semestrale al Consiglio regionale sullo stato di attuazione della legge.
La legge della regione Emilia-Romagna prevede anch’essa forme di partecipazione della regione alla fase ascendente nonché una legge comunitaria regionale, volta a recepire gli atti normativi dell’UE e le sentenze della Corte di Giustizia. Inoltre, essa reca disposizioni modificative o abrogative di norme legislative necessarie all’attuazione degli obblighi comunitari e le disposizioni per l’attuazione di programmi regionali cofinanziati dall’UE, individuando infine gli atti comunitari da attuare in via amministrativa.
Le Regioni Lazio e Piemonte disciplinano nel proprio Statuto la legge comunitaria regionale. Il Lazio prevede l’istituzione di una Commissione competente per gli affari comunitari; entrambe le Regioni prevedono che la legge comunitaria venga approvata in una apposita sessione.
Per quanto riguarda le altre Regioni, si segnala che:
§ la Regione Calabria prevede l’istituzione di una Commissione preposta alla trattazione delle questioni relative ai rapporti con l’Unione europea e di quelle con le Regioni e i Paesi extra-europei del Mediterraneo, stabilendo altresì che la regione partecipa all’attuazione del diritto comunitario (Statuto, articoli 28, 3 e 42);
§ la Regione Umbria prevede nell’ambito del proprio Statuto, all’articolo 25, che essa procede con legge al periodico recepimento delle direttive e degli altri atti normativi comunitari che richiedono un intervento legislativo: probabilmente sarà una futura legge regionale a disciplinare le concrete modalità di attuazione della normativa comunitaria;
§ lo Statuto della Toscana rinvia alla legge regionale la definizione dei modi di partecipazione di Giunta e Consiglio all’attuazione degli atti comunitari (articolo 70);
§ gli Statuti della Liguria, della Puglia e delle Marche dedicano specifici articoli ai rapporti con l’Unione europea, ponendo essenzialmente norme di principio. In particolare, l’art. 4 dello Statuto della Liguria afferma la partecipazione della regione all’attuazione degli atti normativi comunitari, prevedendo che la regione realizza forme di collegamento con gli organi dell’UE. Inoltre, l’art. 50 stabilisce che i regolamenti regionali di esecuzione di atti normativi comunitari sono approvati dalla Giunta, previo parere della Commissione consiliare competente. L’art. 9 dello Statuto della Puglia e l’art. 1 dello Statuto delle Marche dichiarano, invece, che la regione opera nel quadro dei principi comunitari, cooperando con le regioni d’Europa e sostenendo i processi d’integrazione. Infine, lo statuto delle Marche pone varie norme volte a disciplinare le attività degli organi regionali in relazione ai rapporti con l’Unione europea (specie artt. 21 e 35).
§ la Regione Sicilia propone di integrare il proprio Statuto con una sezione specificamente dedicata ai rapporti internazionali e con l’Unione europea e con una innovativa previsione, volta a consentire, ai soli fini dell’attuazione del diritto dell’Unione europea, che il Governo regionale possa essere delegato con legge, per materie determinate e con l’indicazione dei tempi, non superiori a sei mesi, e dei principi e criteri direttivi, ad adottare decreti con valore di legge regionale, previo parere vincolante della competente Commissione legislativa della Assemblea regionale siciliana.
Nell’attuazione del diritto dell’Unione europea si conferma la tendenza della legislazione regionale a strutturarsi, come già avviene a livello statale, in modo articolato e complesso. Appare emblematica la scelta compiuta dalla Regione Sicilia e l’opzione di quattro Regioni per lo strumento della legge comunitaria, che in parte attua direttamente il diritto comunitario ed in parte può demandarne l’attuazione a regolamenti della Giunta, in una cornice di principio e procedurale ben definita legislativamente. La relazione di accompagnamento al disegno di legge comunitaria potrebbe costituire un utile strumento di informazione per i Consigli regionali. Appare da sottolineare anche l’opzione per l’istituzione di apposite sessioni comunitarie, che implicano un’organizzazione dei lavori consiliari improntata a criteri di previa definizione dei tempi di discussione; in questa chiave, la disposizione del nuovo Statuto del Piemonte, che demanda al Presidente del Consiglio regionale la potestà di fissare in anticipo il giorno e l’ora della votazione finale della legge comunitaria, secondo quanto disciplinato dal Regolamento, potrebbe aprire una frontiera di sicuro interesse.
Infine, si ricorda che è stata approvata la prima legge comunitaria regionale dalla Regione Friuli, in attuazione della ricordata legge n. 10 del 2004. Si tratta della legge regionale 6 maggio 2005, n. 11, recante disposizioni per l’adempimento degli obblighi della Regione Friuli Venezia Giulia derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee. Attuazione delle direttive 2001/42/CE, 2003/4/CE e 2003/78/CE (Legge comunitaria 2004).
Essa dà attuazione a direttive contenute anche nelle leggi comunitarie nazionali. Al riguardo, si sottolinea che la normativa regionale è destinata a prevalere su quella nazionale, in virtù del disposto degli articoli 11, comma 4, 13, comma 2, e 16, comma 8, della legge statale n. 11 del 2005, in relazione ai poteri statali sostitutivi.
La legge in esame, inoltre, provvede ad attuare direttamente la normativa comunitaria, senza autorizzare la Giunta ad intervenire con regolamenti, a differenza di quanto accade sul versante nazionale e di quanto previsto dalla legge regionale n. 10 del 2004. Quest’ultima contiene altre potenzialità, che non risultano utilizzate dalla legge comunitaria regionale 2004. Questa ad esempio non prevede autorizzazioni alla Giunta ad attuare direttive in via regolamentare, né contiene disposizioni modificative o abrogative di norme legislative in contrasto con gli obblighi comunitari o disposizioni ricognitive delle direttive da attuare in via amministrativa.
Da ultimo, la prima legge comunitaria regionale provvede a modificare la legge “madre”, ossia la legge n. 10 del 2004, nell’ambito del Capo IV (disposizioni finali).
La Commissione affari esteri e comunitari e la Commissione politiche dell’Unione europea della Camera e la Commissione affari esteri, emigrazione e la Giunta per gli affari europei del Senato hanno svolto congiuntamente un’indagine conoscitiva avente ad oggetto il futuro dell’Unione europea che si è protratta dal settembre 2001 al luglio 2004, per concludersi alla vigilia della firma del nuovo Trattato costituzionale europeo (v. scheda Il Trattato costituzionale).
Il rilievo dell’iniziativa è stato innanzitutto di carattere metodologico, poiché ha consentito al Parlamento di svolgere un attento monitoraggio dei lavori della Convenzione e della Conferenza governativa che hanno concorso a diverso titolo alla predisposizione del Trattato.
Nel corso dei lavori sono stati ascoltati esponenti delle istituzioni e della società civile, membri del Governo, i rappresentanti italiani e del Parlamento europeo alla Convenzione, esperti e studiosi della materia, esponenti del mondo imprenditoriale e rappresentanti istituzionali delle regioni.
L’indagine ha consentito di approfondire temi istituzionali quali la ripartizione delle competenze tra Unione e Stati membri, la semplificazione e la riorganizzazione dei Trattati, lo status della Carta dei diritti fondamentali (si veda infra la relativa scheda), il ruolo dei parlamenti nazionali nell’architettura istituzionale europea, ma anche le politiche dell’Unione e, quindi, i temi della competitività e dello sviluppo e della coesione economica e sociale, le politiche ambientali, le politiche del lavoro e del welfare, il patto di stabilità e di crescita, il ruolo dell’Unione europea del mondo, la politica estera e di sicurezza (PESC) e la politica di sicurezza e difesa (PESD).
Il documento conclusivo approvato al termine dell’indagine contiene alcune osservazioni in merito al nuovo Trattato costituzionale ed al futuro dell’Unione europea.
Il punto di partenza dell’analisi è il processo di allargamento ad est (v. schede su: Trattati di adesione e Allargamento e Balcani occidentali) che ha riunificato politicamente l’Europa ed è destinato a modificare la fisionomia ed a influire in misura considerevole sulle prospettive della costruzione europea. Si rileva, in particolare, come le classi dirigenti dei nuovi Stati membri nutrano forti aspettative nei confronti dell’Europa economica ma abbiamo sino ad ora dimostrato un atteggiamento tiepido nei confronti dell’Europa politica. Ciò sottolinea l’urgenza di democratizzare e semplificare le istituzioni europee al fine di consentire all’Unione di rafforzare la propria identità politica.
Il documento sottolinea inoltre il ruolo che i Parlamenti nazionali ed il Parlamento europeo possono svolgere nel superare il deficit democratico dell’Unione e come l’incorporazione integrale della Carta dei diritti nel nuovo Trattato sia idonea a rafforzare l’identità dell’Unione ponendone in luce i principi ed i valori.
Del Trattato vengono apprezzati il rinforzamento del ruolo dei Parlamenti nazionali, posti in rapporto diretto con la Commissione e chiamati a valutare il rispetto del principio di sussidiarietà, e la valorizzazione del Parlamento europeo, attuata attraverso l’introduzione di una procedura legislativa uniforme, di una procedura di controllo sulla legislazione delegata ed attribuendo al Parlamento un peso maggiore nelle procedure di nomina del Presidente della Commissione.
Positivamente sono stati più in generale valutati la semplificazione delle procedure decisionali, gli interventi volti a razionalizzare il sistema delle fonti, la semplificazione del sistema dei Trattati, con la soppressione della struttura a pilastri, e la maggiore stabilità conferita al Consiglio europeo attraverso una diversa disciplina della relativa presidenza.
Per quanto riguarda la PESC e la PESD, le Commissioni hanno sottolineato come la previsione di un Ministro degli esteri europeo con competenze relative all’intera azione esterne dell’Unione rappresenti la premessa istituzionale per la definizione di una politica estera comune. Di rilievo sono stati inoltre ritenuti l’impegno di difesa reciproco, l’introduzione della clausola di solidarietà nell’eventualità di un attacco terroristico e la previsione di un obbligo di previa consultazione in materia di politica estera. Riguardo alla PESD, sono state evidenziate la disciplina in materia di cooperazioni strutturate e l’integrazione delle missioni di Petersberg con le missioni di disarmo, consulenza militare, stabilizzazione e lotta al terrorismo.
Le Commissioni non hanno tuttavia mancato di evidenziare taluni limiti del nuovo Trattato. In particolare, la ridotta estensione del voto a maggioranza qualificata soprattutto nell’ambito della politica estera e di sicurezza, l’adozione di una formula eccessivamente complessa per il calcolo della maggioranza qualificata (una maggioranza inoltre assai ampia), la mancata menzione nel preambolo delle radici cristiane. I risultati raggiunti sono stati comunque ritenuti soddisfacenti alla luce delle condizioni politiche dell’Unione, mentre sono state espresse talune preoccupazioni in ordine all’esito dei procedimenti nazionali di ratifica del nuovo Trattato (v. scheda I Trattati di adesione).
Nel corso della legislatura, la XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea) ha svolto un’indagine conoscitiva sulle iniziative comunitarie per rafforzare la competitività del sistema produttivo europeo, anche alla luce dei crescenti rapporti commerciali tra Europa e Asia.
Le ragioni che hanno spinto la Commissione ad affrontare il tema traevano origine da una riflessione incentrata sugli obiettivi fissati dal Consiglio europeo di Lisbona del 2000, in termini di occupazione, riforma economica e coesione sociale, e sul loro effettivo conseguimento. Come è noto, infatti, l’”Agenda di Lisbona” (v. scheda La strategia di Lisbona) persegue la finalità di far diventare l'Unione entro il 2010 l'economia basata sulla conoscenza più concorrenziale e dinamica del mondo, in grado di promuovere una crescita economica sostenibile accompagnata da un miglioramento quantitativo e qualitativo dell'occupazione e da una maggiore coesione sociale. Tuttavia, nel corso degli anni si è andato progressivamente evidenziando – e la middle term rewiev lo ha confermato – come la recente congiuntura economica non favorevole abbia ostacolato il raggiungimento di tali obiettivi, rendendo indispensabile un approfondimento in ordine alle possibili iniziative da assumere per realizzare una politica europea incisiva ed innovativa sul piano della competitività.
In tale contesto, particolare attenzione meritavano le relazioni dell'Unione europea con i Paesi “terzi”, con i quali sono stati intensificati i rapporti economici, al fine di promuovere una fitta rete di scambi commerciali. Al tempo stesso, la Comunità europea si è dotata di un sistema di regole volte a difendere il mercato dell'Unione da importazioni oggetto di dumping da parte dei Paesi terzi, cui si sono affiancate varie misure particolari, relative a determinati prodotti ovvero a singoli Paesi.
Particolare interesse suscitavano, in proposito, i paesi asiatici, sia ai fini di intensificare i rapporti commerciali ed i flussi di investimenti, nell’ottica di una collaborazione strategica tra Europa ed Asia sulla scena internazionale, sia ai fini di realizzare un’effettiva tutela del mercato europeo. In particolare, per quanto riguarda la Cina, appare necessario aiutare tale paese ad affrontare le nuove sfide sul fronte della sostenibilità, sia ambientale sia sociale, favorendo al tempo stesso l’eliminazione delle barriere doganali poste dalla Cina nei confronti dei prodotti provenienti da tutti gli altri paesi membri dell'OMC e contrastando efficacemente l'attuale diffusione della contraffazione dei prodotti europei, anche attraverso l'introduzione di meccanismi che consentano di garantire l'origine di un prodotto e la sua tracciabilità.
La Commissione ha, quindi, avviato una riflessione sulle sfide che attendono l'Europa nei prossimi anni, individuando le iniziative idonee a valorizzare la competitività del sistema produttivo europeo e tenendo ben presente il profilo della tutela dell'impianto economico dell'Unione. Particolare rilievo, a questi fini, rivestono le questioni connesse ai rapporti commerciali dell'Europa con i partner economici asiatici, essendo necessario sviluppare con essi un rapporto solido, reciprocamente vantaggioso e paritetico, e soprattutto basato sul pieno rispetto dei diritti umani.
La Commissione ha pertanto deliberato - nella seduta del 17 dicembre 2003 - di svolgere l'indagine conoscitiva, che ha avuto una durata di quindici mesi e si è articolata in 22 sedute, con lo svolgimento delle audizioni di 36 soggetti[77]. Inoltre, la XIV Commissione ha completato l’indagine con un incontro a Bruxelles con il Commissario europeo responsabile per il commercio internazionale, Peter Mandelson, ed una missione in India, dal 2 al 6 maggio 2005. In particolare, la Commissione ha constatato l’impegno del governo indiano a realizzare una politica di sviluppo, volta a promuovere investimenti stranieri nel settore produttivo, senza che questo vada a detrimento dello sviluppo sociale. Durante la missione si è altresì registrata la volontà delle imprese indiane di proseguire la propria attività commerciale nei confronti dell'Europa – che rappresenta il maggior partner commerciale dell'India e il Paese di principale destinazione delle esportazioni indiane – nonché l'impegno dell'industria indiana a migliorare la qualità del prodotto nel rispetto degli standard internazionali.
Infine, nella seduta del 22 settembre 2005, la Commissione ha approvato il documento conclusivo dell’indagine, con il quale sono state evidenziate le questioni emerse e le possibili prospettive future.
Il documento parte dall’analisi di alcuni dati sulla situazione economica e sugli scambi commerciali dei Paesi asiatici emergenti, i quali nel 2004 hanno fatto registrare un tasso medio di crescita superiore al 7 per cento, con una punta del 9,5 per cento in Cina, crescita che dovrebbe mantenersi sostenuta anche nel 2005, con una media compresa tra il 6 e il 7 per cento.
In particolare, la Cina ha praticamente raddoppiato il tasso medio di crescita in 10 anni, con un aumento medio della produttività del 10 per cento annuo, mentre l'India ha registrato una crescita pari al 7,3 per cento nel 2004 e a circa il 6 per cento negli ultimi 5 anni. Inoltre, il PIL cinese ha raggiunto nel 2004 un valore di 1.326 miliardi di dollari, pari al 12,7 per cento del PIL mondiale, e quello indiano è stato pari 531 miliardi di euro.
Oltre ai dati sulla crescita, il documento evidenzia altresì che nel 2004 poco meno della metà dei flussi netti di capitale privato destinati ai Paesi emergenti si sono diretti verso gli emergenti asiatici, raggiungendo i 100 miliardi di dollari.
Anche in questo caso è nei confronti della Cina che si sono registrati i dati più interessanti: il Paese ha, infatti, attratto nel 2004 oltre l'80 per cento degli investimenti diretti esteri (IDE) destinati ai Paesi asiatici emergenti e, in particolare, gli IDE europei sono passati da 2,2 miliardi di euro nel 2001 a 22,6 miliardi di euro nel 2003, mentre verso l’India nello stesso periodo gli IDE europei sono aumentati da 0,4 a 6,2 miliardi di Euro. Del resto, anche i flussi commerciali cinesi con il reso del mondo sono più che raddoppiati dal 2001 al 2004, con un notevole aumento delle esportazioni (con una crescita media annua del 15 per cento)[78]. Le esportazioni indiane hanno registrato invece una crescita media annua dell'8,5 per cento[79].
Per quanto riguarda i servizi, nei rapporti con la Cina si registra invece un saldo attivo crescente in favore dell'UE, con una crescita delle esportazioni dall'UE verso la Cina, che sono salite a 5,8 miliardi di euro.
Il documento passa poi a delineare il quadro normativo entro cui si sviluppano i rapporti commerciali tra i Paesi membri dell'Unione europea ed i Paesi asiatici. Essi rientrano nel quadro della politica commerciale dell'UE – di competenza esclusiva dell'Unione medesima – volta a favorire lo sviluppo del commercio mondiale tramite l'abolizione progressiva delle restrizioni agli scambi e la riduzione delle barriere tariffarie. Tale politica prevede al contempo meccanismi di tutela, affinché venga garantito il rispetto delle regole di concorrenza tra imprese che operano nel commercio internazionale, rimuovendo gli effetti distorsivi delle operazioni di concorrenza sleale. Si tratta principalmente delle misure:
Ø antidumping: adottate allorché siano importati nell’UE da imprese di paesi terzi prodotti a prezzi inferiori al prezzo di vendita sul mercato d'origine della merce. La procedura - contenuta nel Regolamento (CE) 384/96 del 22 dicembre 1996, come modificato dal Regolamento (CE) 461/2004 dell' 8 marzo 2004 - prevede che la Commissione europea attivi d'ufficio, o su ricorso, un procedimento volto ad accertare l'esistenza di un comportamento di dumping. In tal caso, la Commissione, previa consultazione degli Stati membri, propone al Consiglio l'applicazione di dazi a tutte le imprese esportatrici del Paese da cui proviene la merce in dumping, che riportino il prezzo finale del bene importato al livello dei prezzi vigente nel mercato d'origine della merce, ovvero - qualora possibile - la conclusione di un accordo di prezzo minimo con le aziende produttrici, che abbia effetti analoghi.
Il comportamento di dumping sussiste in presenza di quattro condizioni:
§ il prezzo di vendita del prodotto esportato nel mercato comunitario sia inferiore al prezzo di vendita nel mercato d'origine;
§ si verifichi in conseguenza di ciò un rilevante pregiudizio a carico dei produttori comunitari;
§ vi sia un nesso causale tra il pregiudizio ed il dumping;
§ i benefici conseguenti all'imposizione del dazio siano comunque superiori ai costi che ne potrebbero derivare a carico dei consumatori.
Ø di salvaguardia: possono essere ordinarie o temporanee e sono attivate in presenza di un grave danno alle imprese comunitarie derivante da sensibili alterazioni del mercato, principalmente causate da improvvisi e consistenti flussi di importazioni. La materia è disciplinata dai Regolamenti (CE) 3285/94 del Consiglio del 22 dicembre 1994 e 519/94 del Consiglio del 7 marzo 1994, che recepiscono le disposizioni in materia di salvaguardie generali previste dall'accordo dell'Organizzazione mondiale del commercio (OMC). Inoltre, si possono adottare specifici regolamenti recanti misure di salvaguardia temporanee nei confronti di singoli prodotti. Il procedimento è avviato dalla Commissione europea, d'ufficio o dietro ricorso, previa verifica della sussistenza di specifici presupposti, accertati i quali e previa consultazione degli Stati membri la Commissione decide l'imposizione di dazi o di quote all'importazione nei confronti di un determinato prodotto.
I presupposti che devono ricorrere sono:
§ l'incremento improvviso, evidente e rilevante delle importazioni di un determinato prodotto;
§ l'esistenza di una grave crisi attuale o potenziale di un settore produttivo comunitario, conseguente ad un improvviso e sostanziale incremento delle importazioni;
§ i benefici derivanti dalla introduzione del dazio siano comunque superiori ai costi che ne potrebbero conseguire, ad esempio in capo ai consumatori.
Recentemente, a seguito della scadenza dell'accordo OMC «Multi fibre» (gennaio 2005), relativo ai tessili e all'abbigliamento, essendo venuti meno i contingenti sulle importazioni del settore, si è verificato un aumento delle esportazioni cinesi nel territorio comunitario, provocando un grande allarme in molti Stati membri dell'UE. Sono state quindi avviate – sulla base delle linee guida adottate dalla Commissione il 6 aprile 2005[80] – le consultazioni formali con la Cina in sede di OMC in merito alle importazioni di alcuni prodotti, che hanno superato la soglia di allerta fissata nelle linee guida medesime. A seguito dei ripetuti incontri tra il Commissario Mandelson e il ministro cinese per il commercio, l'Unione europea e la Cina hanno concordato un piano che fissa i limiti delle importazioni tessili dalla Cina nel mercato comunitario fino al 2008 per dieci categorie individuate come rilevanti, prevedendo altresì tassi transitori di crescita delle esportazioni cinesi. L'accordo ha preso la forma di un memorandum di intesa tra la Commissione europea ed il Ministero per il commercio cinese[81], successivamente modificato, il 5 settembre 2005, da un nuovo accordo, prospettando l'aumento dei quantitativi per alcune categorie di prodotti e l'introduzione di alcuni meccanismi di flessibilità[82].
Preso atto della dimensione epocale dei mutamenti nella struttura dell'economia mondiale, avviato con lo sviluppo delle economie asiatiche, e delle conseguenti difficoltà delle imprese continentali, il documento evidenzia come le produzioni asiatiche possano avvalersi di costi di produzione enormemente più bassi, anche in considerazione di una minore tutela sociale e ambientale. Da ciò può derivare l'eventuale scomparsa o delocalizzazione di produzioni dal nostro continente, con gravi problemi occupazionali e sociali. Nel documento si segnala pertanto l’opportunità che la Commissione europea si faccia portatrice di una politica commerciale di rigido controllo del rispetto delle regole internazionali, a tutela e difesa della propria economia, attuando azioni a protezione delle nostre imprese nei casi di concorrenza sleale – quali imposizione di dazi anti-dumping, introduzione di clausole di salvaguardia e fissazione di quote di importazione – e velocizzando le relative procedure attuative.
Inoltre, l'Europa dovrebbe adoperarsi affinchè lo sviluppo economico dei paesi asiatici si coniughi con una parallela crescita delle tutele sociali, subordinando il dialogo con tali paesi al rispetto dei diritti umani, dei diritti dei lavoratori, nonché delle più elementari regole di tutela dell'ambiente. Parallelamente, contro la contraffazione operata da alcune imprese asiatiche, appare indispensabile un fermo intervento per la difesa dei marchi, in particolare a tutela della qualità del Made in Italy.
Peraltro, nel corso dell’indagine è emerso con chiarezza come i mercati asiatici costituiscano anche un’opportunità per i paesi europei. Infatti, l'allargato insieme di relazioni commerciali nonché la transizione storica attuale sembrano postulare una riorganizzazione complessiva della divisione internazionale del lavoro, nella quale l'Europa dovrebbe realizzare una trasformazione del proprio modello di specializzazione. In quest’ottica, risorse impegnate in produzioni nelle quali i sistemi produttivi europei tendono a perdere posizioni tradizionali di vantaggio a favore dei paesi emergenti dovrebbero essere riorientate verso specializzazioni nuove, a più elevato contenuto tecnologico, nelle quali i paesi europei possano continuare a vantare una posizione privilegiata. Analogamente, andrebbero perseguite politiche che puntino a liberare risorse da destinare alla ricerca ed all'innovazione a livello nazionale ed europeo. Ciò può riguardare, in particolare, i settori degli aerei, treni, telefoni cellulari, strumenti ottici di precisione, biotecnologie, settori in grado di generare domanda presso gli stessi paesi emergenti, i cui elevati potenziali di reddito possono rappresentare un importante volano per la crescita delle economie europee.
Infatti, pensando ad esempio alla Cina, su una popolazione di 1 miliardo e 300 milioni di persone, vi è una classe media di circa 400 milioni di persone, che risultano avere uno stile di vita proprio della cosiddetta “società affluente”, in grado quindi di acquistare beni di consumo in misura notevole[83].
Per raggiungere l’obiettivo di conquistare una parte di tale mercato, appare opportuno riorientare la collocazione del sistema produttivo europeo nell'ambito dei nuovi assetti di divisione internazionale del lavoro. In questa ottica risulterebbe prioritario completare la realizzazione nell’Unione di un mercato unico degli scambi, obiettivo ribadito nell’ambito della strategia di Lisbona (v. scheda La Strategia di Lisbona). Se tale obiettivo risulta sostanzialmente conseguito per quanto riguarda il mercato unico delle merci, molto rimane da fare per la realizzazione di un mercato unico per i servizi. Alla luce della crescente importanza che i servizi tendono ad assumere nei moderni sistemi produttivi, dal momento che da questi proviene una porzione rilevante e crescente degli input impiegati per la produzione di beni e servizi finali, appare evidente che una elevata produttività dei primi favorisce la competitività dell'intero sistema. Inoltre, la produzione di servizi avanzati in stretto rapporto con l'industria favorisce l'innovazione tecnologica e la sua diffusione, sostenendo anche per tale via la crescita. Del resto, se i mercati restano segmentati e nazionali risulta più difficile per i produttori europei raggiungere quelle dimensioni ottimali di offerta, in termini di economie di scala e di produzione congiunta, che consentono di minimizzare i costi unitari di produzione.
Un altro versante sul quale agire appare quello della regolazione, al fine di uniformare nei vari Paesi europei la disciplina dei settori cruciali dei servizi, introducendo un unico disegno regolatorio fortemente orientato ai principi di liberalizzazione, in grado di favorire la creazione di un mercato unico.
L’Italia ha un interesse specifico a che si possa realizzare un simile obiettivo, essendo particolarmente esposta alla pressione competitiva esercitata dai paesi asiatici, in ragione della maggior contiguità nella attuale specializzazione internazionale con le economie emergenti dell’Oriente. In quest’ottica, la riorganizzazione del modello di produzione dovrebbe orientarsi nel senso di privilegiare l'offerta di beni e servizi di alta qualità e di promuovere condizioni strutturali ed istituzionali idonee a favorire il rinnovamento produttivo e la sua affermazione nei mercati internazionali. A tal fine, sarebbero importanti iniziative a sostegno della conclusione di accordi di produzione e vendita con i paesi emergenti, da parte delle imprese italiane che offrono prodotti di qualità, analogamente a quanto già fatto da altri Stati europei. Realizzare una parziale delocalizzazione delle produzioni italiane ed europee in Cina – nel senso di trovare possibili combinazioni con il mercato cinese, in modo da produrvi parte di un prodotto da completare, poi, in Italia – fornirebbe la possibilità di riesportare dalla Cina a costi più bassi di quelli che sarebbero possibili realizzando i medesimi prodotti in altre aree del mondo.
In conclusione, il documento sottolinea come l'Europa per continuare a competere debba operare un forte e costante intervento a favore dell'innovazione e della ricerca, rilanciando concretamente la strategia di Lisbona. A tal fine, appare necessario agire sia sul fronte di un maggior coordinamento a livello governativo, individuando come richiesto dalla Commissione europea il c.d. “Mister Lisbona” nazionale[84] con l'incarico di coordinare le attività derivanti dagli obiettivi fissati da tale strategia, sia sul versante della cooperazione a livello parlamentare. Le Commissioni politiche dell'Unione europea del Parlamento potrebbe rappresentare l'organo di coordinamento delle attività parlamentari vertenti sul rilancio della Strategia di Lisbona.
Sempre nell’ottica del potenziamento della strategia di Lisbona, la Commissione ritiene necessaria una discussione in ambito comunitario sulla verifica della congruenza dell'attuale ripartizione delle risorse finanziarie rispetto agli obiettivi di Lisbona, condividendo altresì gli orientamenti volti a creare un quadro normativo più favorevole alla concorrenza ed alle imprese. Prioritari sono, inoltre, considerati, gli obiettivi della piena occupazione, della qualità e produttività del lavoro, di potenziamento delle infrastrutture, di maggiore flessibilità e minore burocrazia. In particolare, per l’Italia appare indispensabile un confronto sull'opportunità di una nuova politica dell'energia, indirizzata alla liberalizzazione ed alla diversificazione delle fonti energetiche.
TRATTATI Politica estera e di sicurezza comune Comunità europee Cooperazione
giudiziaria e di polizia in materia penale
Gli atti normativi comunitari sono adottati secondo procedure
diverse, che si applicano di volta in volta a seconda della materia, sulla base
delle relative disposizioni dei Trattati (c.d. “basi giuridiche”). La
Commissione detiene il potere di iniziativa ed è responsabile dei lavori
preparatori. Il Parlamento codecide o
vota pareri (vincolanti e non, a seconda della procedura applicata). Il Consiglio,
eventualmente insieme al Parlamento europeo, adotta l’atto definitivo a maggioranza qualificata oppure all’unanimità, a seconda della materia, ma sempre all’unanimità qualora si discosti dalla proposta della Commissione. Sia il Consiglio sia il Parlamento possono, peraltro, chiedere alla Commissione di elaborare proposte. Possono essere consultati il Comitato economico e sociale e il Comitato delle regioni.
Le procedure normative comunitarie sono sostanzialmente tre: codecisione, consultazione e parere conforme.
La procedura di cooperazione (art. 252) è limitata ad alcune disposizioni di applicazione relative all’Unione economica e monetaria.
La procedura di codecisione è stata istituita dal Trattato di Maastricht e successivamente semplificata ed estesa a nuove basi giuridiche con i trattati di Amsterdam e Nizza (cfr. ora art. 251 TCE). In base a tale procedura un atto può essere adottato soltanto in presenza di un accordo su uno stesso testo tra Parlamento europeo e Consiglio, in prima o seconda lettura. In caso di disaccordo è previsto il ricorso ad una procedura di conciliazione tra le due istituzioni in un comitato apposito. In ogni caso il Parlamento europeo può rigettare la proposta legislativa in ultima istanza. Il Consiglio delibera normalmente a maggioranza qualificata, salvo i casi in cui il Trattato prevede espressamente l’unanimità.
Le materie nelle quali si applica la codecisione sono numerose e, in particolare, si ricordano: il diritto di stabilimento, la libera circolazione dei lavoratori dipendenti, il ravvicinamento delle legislazioni in ordine al mercato interno, il riconoscimento reciproco dei diplomi.
Nella procedura di consultazione, che è quella prevista in origine dai Trattati, la proposta della Commissione viene trasmessa dal Consiglio al Parlamento, che esprime un parere e può formulare emendamenti; la Commissione riesamina la proposta e può modificarla sulla base del parere del Parlamento; il Consiglio adotta quindi l’atto, in linea generale, all’unanimità. L’effettiva espressione della posizione del Parlamento diviene elemento sostanziale per la validità dell’atto, che diviene nullo in caso di mancanza di parere parlamentare.
Tra le ipotesi di maggior rilievo in cui è prescritta la procedura di consultazione, si ricordano: la concorrenza, l’armonizzazione fiscale, l’esercizio del diritto di voto dei cittadini dell’UE.
La procedura del parere conforme implica che il Consiglio ottenga il consenso del Parlamento europeo (maggioranza assoluta dei suoi membri) affinché possano essere prese alcune decisioni che rivestono particolare importanza. Il Parlamento europeo ha facoltà di accettare o di respingere una proposta ma non può modificarla. In questi casi, il parere del Parlamento è obbligatorio e vincolante.
Il parere conforme è richiesto in particolare per l'adesione di nuovi Stati membri, per alcuni accordi internazionali, per le sanzioni a carico degli Stati membri in caso di violazioni dei diritti fondamentali e per la definizione degli obiettivi e compiti dei fondi strutturali.
La politica estera e di sicurezza comune (PESC), il cosiddetto secondo pilastro, ha il suo fondamento giuridico nel titolo V del Trattato sull’Unione europea. Il processo decisionale nell’ambito della PESC si esplica mediante procedure intergovernative. Ogni Stato membro e la Commissione possono sottoporre al Consiglio questioni che rientrano nella PESC e presentare proposte.
Il Consiglio europeo, formato dai Capi di Stato e di governo degli Stati membri, stabilisce i principi e gli orientamenti generali della PESC, decidendo le strategie comuni che l’Unione deve attuare nei settori in cui gli Stati membri hanno importanti interessi in comune.
Il Consiglio dell'Unione europea, formato da rappresentanti di ciascuno Stato membro a livello ministeriale, decide le misure necessarie alla definizione e all’attuazione della PESC, in base agli orientamenti generali adottati dal Consiglio europeo. Il Consiglio dell'Unione europea può adottare azioni comuni su specifiche situazioni in cui si ritiene necessario un intervento operativo dell’Unione, oppure posizioni comuni per definire l’approccio dell’Unione su una questione particolare. Relativamente alla conclusione di accordi internazionali nel settore PESC, il Consiglio può autorizzare la Presidenza ad avviare negoziati. Tali accordi sono in seguito deliberati dal Consiglio. Inoltre, l'Unione europea può adottare dichiarazioni comuni che esprimono pubblicamente una posizione, una richiesta o un'aspettativa dell'Unione europea rispetto ad un Paese terzo o ad una questione internazionale.
La regola generale per le decisioni in ambito PESC è l'unanimità, mitigata dall’astensione “costruttiva” (che non impedisce l’adozione dell’atto). E’ previsto il ricorso alla maggioranza qualificata per le misure di attuazione adottate sulla base di strategie comuni del Consiglio europeo, per le decisioni di attuazione di un’azione comune o di una posizione comune, per la nomina di rappresentanti speciali con mandati politici specifici.
Il Parlamento europeo viene informato periodicamente dalla Presidenza e dalla Commissione sugli sviluppi della politica estera e di sicurezza comune. E’ inoltre consultato sui principali aspetti e sulle scelte fondamentali della PESC. Può rivolgere interrogazioni ed indirizzare raccomandazioni al Consiglio ed una volta all’anno tiene un dibattito sui progressi compiuti in materia.
La cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale, il cosiddetto terzo pilastro, ha il suo fondamento giuridico nel titolo VI del Trattato dell'Unione europea.
Originariamente il Trattato dell’Unione europea includeva nel terzo pilastro tutte le materie relative alla giustizia e agli affari interni. Successivamente il Trattato di Amsterdam ha fatto confluire le disposizioni concernenti visti, asilo, immigrazione e altre politiche connesse alla libera circolazione delle persone nel titolo IV del Trattato istitutivo della Comunità europea (ossia nel primo pilastro). Nel terzo pilastro sono rimaste le disposizioni relative alla cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale.
Nel terzo pilastro il Consiglio può adottare:
· posizioni comuni che definiscono l’orientamento dell’Unione in merito a una questione specifica;
· decisioni-quadro per ravvicinare le disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri. Tali decisioni-quadro sono vincolanti quanto al risultato da ottenere (analogamente alle direttive), ma non hanno efficacia diretta;
· decisioni per qualsiasi altro scopo coerente con gli obiettivi prefissati, escluso il ravvicinamento delle disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri; le decisioni sono vincolanti ma prive di efficacia diretta. Le misure di attuazione delle decisioni a livello dell’Unione sono deliberate a maggioranza qualificata;
· convenzioni, soggette alla successiva ratifica degli Stati membri.
Il Parlamento europeo è informato regolarmente ed è consultato prima che siano stabilite decisioni-quadro, decisioni o convenzioni: il parere del Parlamento è obbligatorio, ma non vincolante. Il Parlamento può rivolgere al Consiglio interrogazioni e raccomandazioni; ogni anno un dibattito parlamentare è dedicato ai progressi compiuti nel settore.
Il Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa, firmato a Roma il 29 ottobre 2004, contiene disposizioni volte alla semplificazione delle procedure legislative e degli atti giuridici (v. scheda Il Trattato costituzionale).
Il Trattato prevede l’eliminazione della struttura a “pilastri” in cui si articola attualmente l’Unione, semplificando le attuali diverse procedure. In particolare viene definita un'unica procedura legislativa ordinaria, ricalcata sull’attuale procedura di codecisione; si provvede inoltre ad una ridenominazione e semplificazione degli atti dell’Unione (che sono ridotti da quindici a sei) stabilendo la distinzione tra atti legislativi (adottati congiuntamente dal Parlamento europeo e dal Consiglio), atti non legislativi ed atti esecutivi (la cui competenza è riservata in via generale agli Stati membri) ed introducendo il nuovo strumento dei regolamenti delegati.
Per l'esercizio delle competenze dell'UE il Trattato costituzionale prevede i seguenti strumenti giuridici:
· legge europea: atto legislativo di portata generale, obbligatoria in tutti i suoi elementi e direttamente applicabile in ciascuno degli Stati membri;
· legge quadro europea: atto legislativo che vincola tutti gli Stati membri destinatari al risultato da raggiungere, salva restando la competenza degli organi nazionali in merito alla scelta della forma e dei mezzi;
· regolamento europeo: atto non legislativo di portata generale volto all'attuazione degli atti legislativi o di alcune disposizioni della Costituzione;
· decisione europea: un atto non legislativo obbligatorio in tutti i suoi elementi;
· raccomandazioni e pareri: atti che non hanno effetto vincolante.
Le leggi europee e le leggi quadro europee possono, inoltre, delegare alla Commissione la facoltà di emanare regolamenti delegati che completano o modificano determinati elementi non essenziali della legge o della legge quadro, delimitando esplicitamente obiettivi, contenuto, portata e durata della delega. La disciplina degli elementi essenziali di un settore rimane riservata alla legge o alla legge quadro.
Le leggi europee e le leggi quadro europee sono adottate congiuntamente dal Parlamento europeo e dal Consiglio dei ministri su proposta della Commissione, di norma secondo le modalità della procedura legislativa ordinaria. I regolamenti, le decisioni europee e le raccomandazioni sono adottati dal Consiglio, dalla Commissione e dalla Banca centrale europea nelle diverse fattispecie previste dal Trattato.
Il Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa[85], firmato a Roma il 29 ottobre 2004, mira a sostituire con un testo unico tutti i trattati esistenti ed è frutto del lavoro svolto dalla Convenzione sul futuro dell’Europa[86] e dalla successiva Conferenza intergovernativa (CIG), chiamata ad adottare la decisione definitiva[87].
Giuridicamente la Costituzione resta un trattato e come tale deve ora essere ratificata dagli Stati membri, secondo le rispettive norme costituzionali (voto parlamentare e/o referendum) ed entrerà in vigore solo dopo il deposito degli strumenti di ratifica, presso il Governo della Repubblica italiana, da parte di tutti i 25 Stati membri (vedi infra il paragrafosullostato delle ratifiche).
Il Trattato è stato fino ad ora ratificato da 14 Stati membri: Austria, Belgio, Cipro, Germania, Grecia, Italia, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Malta, Slovacchia, Slovenia, Spagna ed Ungheria. In Italia il Trattato è stato ratificato con legge 7 aprile 2005, n. 57.
Si ricorda, peraltro, che in Francia e nei Paesi Bassi si sono svolti due referendum sulla ratifica del Trattato costituzionale, che hanno dato esito negativo. Sul seguito dei processi di ratifica, si veda infra il paragrafo “Il dibattito sul futuro del Trattato”.
Ogni ulteriore modifica della Costituzione richiederà nuovamente l'accordo unanime e, come regola generale, la ratifica di tutti gli Stati membri. Tuttavia, per alcune modifiche, ad esempio per estendere l'ambito di applicazione del voto a maggioranza qualificata, sarà sufficiente l'accordo unanime in seno al Consiglio europeo. La Costituzione permette anche di instaurare cooperazioni rafforzate o una cooperazione strutturata in materia di difesa.
IlTrattato che adotta una Costituzione per l’Europa si articola nelle seguenti parti:
§ Preambolo;
§ Parte I, che contiene le norme propriamente costituzionali, nonché le disposizioni generali per la politica estera, di sicurezza e di difesa e per lo spazio di libertà, sicurezza e giustizia;
§ Parte II, che contiene la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea;
§ Parte III, relativa alle politiche dell'Unione;
§ Parte IV, recante le disposizioni generali e finali;
§ Protocolli e dichiarazioni allegati al Trattato.
La Parte I del Trattato è preceduta da un Preambolo nel quale si fa riferimento alle “eredità culturali, religiose e umanistiche dell'Europa, da cui si sono sviluppati i valori universali dei diritti inviolabili e inalienabili della persona, della democrazia, dell’uguaglianza, della libertà e dello Stato di diritto".
Il preambolo riprende gran parte dei temi già affrontati nei preamboli dei trattati esistenti, aggiungendovi nuovi temi, come l'umanesimo, ma anche la ragione e l'identità nazionale dei popoli.
Il Trattato prevede l’istituzione dell'Unione europea, alla quale è conferita personalità giuridica(la mancanza di personalità giuridica ha fino ad ora impedito all’Unione in quanto tale di stipulare accordi con Stati terzi o con organizzazioni internazionali, di possedere beni e presentarsi in giudizio).
L'Unionecoordina le politiche degli Stati membri dirette al conseguimento degli obiettivi comuni ed esercita, sulla base del modello comunitario, le competenze che gli Stati membri le trasferiscono. L'Unione rispetta l'identità nazionale dei suoi Stati membri legata alla loro struttura fondamentale, compreso il sistema delle autonomie regionali e locali e le funzioni essenziali dello Stato.
Il Trattato semplifica l’ordinamento dell’Unione attraverso l’eliminazione della struttura a “pilastri” (pilastro comunitario; politica estera e di sicurezza comune; spazio di libertà, sicurezza e giustizia) in cui si articola attualmente l’Unione.
Il Trattato costituzionale definisce il quadro istituzionale all’articolo I-19 identificando come istituzioni:
· Il Parlamento europeo;
· Il Consiglio europeo;
· Il Consiglio dei ministri (nuova dizione rispetto a quella di Consiglio prevista dai Trattati vigenti);
· Il Ministro degli Affari esteri dell’Unione;
· La Commissione europea;
· La Corte di giustizia dell’Unione europea.
Il Consiglio europeo viene dunque riconosciuto come istituzione a pieno titolo, ciò comporta che, ove ne ricorrano le condizioni, gli atti del Consiglio europeo potranno essere sottoposti alla giurisdizione della Corte di giustizia dell’Unione europea.
A queste istituzioni si aggiungono la Banca centrale europea (BCE) e la Corte dei conti, menzionate nella parte relativa alle «altre istituzioni e organi consultivi dell'Unione».
La Costituzione chiarisce inoltre il ruolo rispettivo del Parlamento europeo, del Consiglio e della Commissione. In particolare, essa riconosce i vari compiti della Commissione, ivi compreso il suo quasi monopolio dell'iniziativa legislativa e la funzione esecutiva e di rappresentanza esterna, tranne che nel settore della politica estera e di sicurezza comune. La Costituzione consacra inoltre il principio della programmazione interistituzionale, su iniziativa della Commissione.
Per quanto attiene gli altri organi dell'UE, il Comitato delle regioni (CdR) e del Comitato economico e sociale europeo (CESE), organi consultivi dell’Unione è stata modificata solo la durata del mandato dei loro membri: è stato portato a cinque anni (invece di quattro), così da allinearlo a quello della legislatura del Parlamento europeo.
La composizione del Parlamento europeo è stata portata ad un numero massimo di 750 seggi. I seggi saranno attribuiti agli Stati membri in modo "regressivamente proporzionale", da un minimo di sei ad un massimo di 96 seggi. Il numero preciso di seggi spettanti ad ogni Stato membro sarà deciso prima delle elezioni europee del 2009.
Il Parlamento europeo esercita, congiuntamente al Consiglio dei ministri, la funzione legislativa e di bilancio.
A proposito della funzione legislativa, il Trattato prevede la generalizzazione della procedura legislativa ordinaria, modellata sull’attuale procedura di codecisione di Parlamento europeo e Consiglio dei ministri. Rispetto ad essa le nuove procedure speciali si caratterizzano come eccezioni. La procedura di codecisione sarà chiamata procedura legislativa ed il 95% delle leggi europee saranno adottate congiuntamente dal Parlamento e dal Consiglio.
Circa i nuovi poteri attribuitigli nella procedura di bilancio, questi si estendono anche alla determinazione delle spese obbligatorie e non saranno più limitati, come avviene attualmente, alle spese non obbligatorie.
Il Parlamento europeo esercita inoltre funzioni di controllo politico e consultive ed elegge il presidente della Commissione europea, su proposta del Consiglio europeo.
La Costituzione eleva, come detto, il Consiglio europeo al rango di istituzione, distinta dal Consiglio dei Ministri.
Il Consiglio europeo definisce gli orientamenti e le priorità politiche generali dell’Unione, ma non esercita funzioni legislative.
Il Consiglio europeo è composto dai Capi di Stato o di Governo degli Stati membri, dal suo presidente e dal presidente della Commissione. Il ministro degli affari esteri dell’Unione partecipa ai lavori.
Il Presidente del Consiglio europeo, dotato di poteri limitati, verrà eletto dal Consiglio stesso a maggioranza qualificata con un mandato di due anni e mezzo, rinnovabile una volta, e potrà essere membro di un’altra istituzione europea, ma non esercitare un mandato nazionale. Il Presidente prepara i lavori del Consiglio europeo e assicura la rappresentanza esterna dell’Unione per le materie relative alla PESC, fatte salve le responsabilità del Ministro degli affari esteri.
Il Consiglio dei ministri è composto da un rappresentante di ciascuno Stato membro a livello ministeriale abilitato ad impegnare il Governo dello Stato membro che rappresenta e delibera di norma a maggioranza qualificata. Il Trattato si limita a individuare e disciplinare il Consiglio affari generali e il Consiglio affari esteri, rinviando per la definizione delle altre formazioni del Consiglio dei ministri ad una futura decisionedel Consiglio europeo, da adottare a maggioranza qualificata
E’ stato mantenuto il sistema della rotazione semestrale fra Stati membri alla presidenza delle varie formazioni del Consiglio (fatta eccezione per il Consiglio Affari esteri), ma all'interno di un "team di presidenza" composto da tre paesi. La Presidenza verrà pertanto esercitata, in condizioni di parità, da gruppi predeterminati di 3 Stati membri, composti tenendo conto della diversità degli Stati membri e degli equilibri geografici in seno all’Unione, per un periodo di 18 mesi: ciascun membro del gruppo eserciterà la Presidenza di tutte le formazioni del Consiglio per un periodo di sei mesi, con l’assistenza degli altri membri del gruppo sulla base di un programma comune.
Questo sistema, basato sulla rotazione paritaria, potrà evolvere in futuro, dato che potrà essere modificato dal Consiglio europeo deliberando a maggioranza qualificata.
Fa eccezione a questa disciplina generale il Consiglio Affari esteri, che è presieduto dal Ministro degli Affari esteri dell’Unione.
L'attuale meccanismo di composizione della Commissione, un membro per ogni Stato membro, compreso il Presidente della Commissione e il Ministro per gli Affari esteri dell’Unione, sarà mantenuto fino al 2014. A partire da quella data, la Commissione sarà composta da un numero di membri corrispondente a due terzi del numero degli Stati membri, a meno che il Consiglio europeo, deliberando all’unanimità, decida di modificare tale numero. I membri della Commissione dovranno essere scelti secondo un sistema di rotazione paritaria tra gli Stati membri, già deciso dal trattato di Nizza.
Il Presidente della Commissione europea sarà eletto dal PE, a maggioranza dei membri che lo compongono, sulla base di una candidatura proposta dal Consiglio europeo a maggioranza qualificata, tenendo conto delle elezioni del PE e previe consultazioni appropriate.
L’art. I- 26del Trattato prevede che la Commissione:
§ promuove l’interesse generale dell’Unione;
§ vigila sull’applicazione del Trattato, nonchè sull’applicazione del diritto dell’Unione sotto il controllo della Corte di giustizia dell’Unione europea;
§ dà esecuzione al bilancio e gestisce programmi;
§ esercita funzioni di coordinamento, esecuzione e gestione, alle condizioni stabilite dal Trattato;
§ assicura la rappresentanza esterna dell’Unione, fatta eccezione per la politica estera e di sicurezza comune;
§ avvia il processo di programmazione annuale e pluriennale dell’Unione.
Viene confermato il potere esclusivo d’iniziativa legislativa della Commissione: un atto legislativo dell’Unione può essere adottato solo su proposta della Commissione, salvo che il Trattato non disponga altrimenti
Una delle maggiori innovazioni istituzionali è la creazione della funzione di ministro degli affari esteri dell'Unione, responsabile dell'iniziativa e della rappresentanza dell'Unione sulla scena internazionale, funzione in cui confluiranno le funzioni attualmente svolte dall'alto rappresentante della politica estera e di sicurezza comune e dal commissario incaricato delle relazioni esterne.
Il Ministro per gli affari esteri dell’Unione è nominato dal Consiglio europeo, a maggioranza qualificata, con l’accordo del Presidente della Commissione, ed è uno dei vice presidenti della Commissione.
Egli guiderà la politica estera e di sicurezza comune dell’Unione e la attuerà in qualità di mandatario del Consiglio. Il ministro degli affari esteri sarà così allo stesso tempo rappresentante del Consiglio per la politica estera e di sicurezza comune e membro a pieno titolo della Commissione, incaricato dei compiti che spettano a quest'ultima nel settore delle relazioni esterne e del coordinamento degli altri aspetti dell'azione esterna dell'Unione; egli presiederà inoltre, come detto, il Consiglio Affari esteri. L'attribuzione all'Unione della personalità giuridica unica le consente inoltre di svolgere un ruolo più visibile sulla scena internazionale.
La soppressione della struttura a pilastri operata dal Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa è accompagnata da un ampliamento delle competenze della Corte di giustizia, in particolare nei settori dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia, per taluni aspetti della politica estera e di sicurezza comune e relativamente al controllo del principio di sussidiarietà.
L’art. I-29 del Trattato stabilisce che la Corte di giustizia dell’Unione europea comprende la Corte di giustizia, il Tribunale, e i tribunali specializzati[88].
Le disposizioni contenute nel Trattato Costituzionale sul ruolo e il funzionamento della Banca centrale europea (BCE) riprendono le disposizioni contenute nei Trattati vigenti: la BCE e le banche centrali nazionali (BCN) costituiscono il Sistema europeo delle banche centrali (SEBC), che è diretto dagli organi decisionali della BCE.
L’art. I-30 amplia il mandato del SEBC; l’obiettivo principale resta quello della stabilità dei prezzi, ma in subordine il SEBC sostiene le politiche economiche generali nell’Unione per contribuire alla realizzazione degli obiettivi di quest’ultima. La BCE, anche se non compresa nel quadro istituzionale dell’Unione, viene elevata a rango di istituzione dell’Unione ed ha personalità giuridica.
L’art. III-382del Trattato prevede che il comitato esecutivo della BCE, composto dal presidente, dal vicepresidente e da altri quattro membri, è nominato dal Consiglio europeo a maggioranza qualificata e non più all’unanimità, come previsto dalle disposizioni vigenti.
Il Trattato riprende le disposizioni vigenti. L’art. I-31configura la Corte dei conti quale istituzione. La Corte esamina i conti di tutte le entrate e le spese dell’Unione ed accerta la sana gestione finanziaria. Essa è composta da un cittadino di ciascuno Stato membro.
La procedura legislativa ordinaria con cui saranno adottate le leggi e leggi quadro europee corrisponderà alla attuale procedura di codecisione di Parlamento e Consiglio. Essa prevede che le due istituzioni siano poste su un piano di parità nei confronti dell’adozione dell’atto e che la decisione sia presa a maggioranza dei voti espressi del Parlamento europeo ed a maggioranza qualificata del Consiglio.
La definizione della maggioranza qualificata per l'adozione delle decisioni in sede di Consiglio è stata la questione più difficile da risolvere in seno alla CIG. Il sistema di voto adottato prevede che il Consiglio deciderà in base alla doppia maggioranza, degli Stati membri e dei popoli, espressione della doppia legittimità dell'Unione.
Il sistema di voto ponderato attualmente in vigore e previsto dal Trattato di Nizza si applicherà fino al 1° novembre 2009; alla scadenza, entrerà in vigore il nuovo sistema.
Il principio della doppia maggioranza di Stati e di popolazione (che è quello proposto dalla convenzione ma con le soglie di maggioranza aumentate in sede CIG), prevede che la maggioranza qualificata sia definita come il 55% degli Stati membri dell’Unione – con un minimo di 15 – che rappresentino almeno il 65% della popolazione. A questo meccanismo sono aggiunti due elementi: la maggioranza qualificata si ritiene comunque conseguita, se i voti contrari sono espressi da meno di quattro rappresentanti degli Stati al Consiglio (la c.d. minoranza di blocco deve essere quindi costituita da almeno cinque Stati, non bastando quindi il “blocco” di tre Stati grandi); inoltre, è previsto che un numero di membri del Consiglio rappresentante almeno ¾ di una minoranza di blocco, o al livello di Stati membri o a livello della popolazione, possa chiedere che non si proceda al voto, ma che, per un periodo di tempo ragionevole, le discussioni continuino al fine di arrivare ad una base di accordo più ampia in seno al Consiglio.
Il Trattato ha poi esteso, rispetto ai Trattati vigenti, il campo di applicazione del voto a maggioranza qualificata.
Tra settori che rimangono all’unanimità, si segnalano in particolare: la politica estera e di sicurezza comune (PESC) - tranne limitate eccezioni-; il sistema di risorse proprie dell’Unione; le misure fiscali, in particolare quelle riguardanti l’armonizzazione delle legislazioni in materia di imposte sulla cifra d’affari, imposte di consumo ed altre imposte indirette; i sistemi di sicurezza sociale; alcune disposizioni nel settore dello spazio di libertà e giustizia; tutte le decisioni relative ad una cooperazione strutturata permanente nel settore della difesa, diverse da quelle relative all’instaurazione, partecipazione successiva e sospensione e l’autorizzazione ad una cooperazione rafforzata nell’ambito della PESC; la procedura di revisione del Trattato .
Il Trattato contiene all’art. IV-444, una clausola evolutiva generale, la c.d. clausola “passerella”, che consente al Consiglio europeo, deliberando all’unanimità e previa approvazione del Parlamento europeo, di estendere la procedura legislativa ordinaria o il voto a maggioranza qualificata ai settori cui si applicano procedure legislative speciali o il voto all’unanimità – ad eccezione, per l’estensione del voto a maggioranza qualificata, delle decisioni che hanno implicazioni militari o rientrano nel settore della difesa – a condizione che nessun Parlamento nazionale presenti obiezioni entro sei mesi dalla trasmissione di una iniziativa in tal senso assunta dal Consiglio europeo.
Il Trattato costituzionale, in particolare nei titoli III e V della Parte I, si pone l’obiettivo di delineare chiaramente l’assetto delle competenze e gli atti giuridici dell’Unione, cercando di temperare le esigenze di chiarezza e quindi di rigidità del sistema con la necessaria flessibilità.
Le competenze tra Unione europea e Stati membri sono ripartite in:
§ competenze esclusive: l'Unione è l'unica a poter legiferare e adottare atti giuridicamente obbligatori;
§ competenze concorrenti:sia l'Unione sia gli Stati membri hanno la facoltà di legiferare. Gli Stati membri esercitano la loro competenza nella misura in cui l'Unione non esercita la propria;
§ azioni di sostegno, di coordinamento o di completamento: l’Unione può condurre azioni che completano l’azione degli Stati membri.
Le competenze dell’Unione in materia di coordinamento delle politiche economiche e occupazionali (art. I-15) e in materia di politica estera e di sicurezza comune (art. I-16) presentano caratteri peculiari e non appaiono riconducibili ad alcune delle predette categorie.
Le cooperazioni rafforzate sono un meccanismo di ultima istanza al quale si può ricorrere qualora un nucleo di Stati intenda raggiungere un risultato cui l’Unione non può pervenire in tempi brevi. Esse sono escluse per i settori di competenza esclusiva dell’Unione e sono aperte a tutti gli Stati membri.
L'autorizzazione a procedere ad una cooperazione rafforzata è accordata dal Consiglio a maggioranza qualificata, a condizione che essa raccolga almeno un terzo degli Stati membri.
Nel settore della politica estera e di sicurezza comune l'autorizzazione a procedere a una cooperazione rafforzata è concessa con una decisione del Consiglio all'unanimità.
Gli artt. III-416 e III-417 pongono alcun limiti invalicabili dalle cooperazioni rafforzate, le quali:
- devono rispettare la Costituzione e il diritto dell’Unione, nonché le competenze, i diritti e gli obblighi degli Stati membri che non vi partecipano;
- non possono recare pregiudizio al mercato interno ed alla coesione economica, sociale e territoriale;
- non possono costituire un ostacolo né una discriminazione per gli scambi tra gli Stati membri;
- non possono provocare distorsioni di concorrenza tra gli Stati membri.
Il Trattato provvede ad una ridenominazione e semplificazione degli atti dell’Unione (che sono ridotti da quindici a sei), stabilendo la distinzione tra atti legislativi (adottati congiuntamente dal Parlamento europeo e dal Consiglio), atti non legislativi ed atti esecutivi[89]. Viene altresì introdotto il nuovo strumento dei regolamenti delegati[90](v. scheda Procedure decisionali dell’UE).
Per l'esercizio delle sue competenze, l'Unione utilizza come strumenti giuridici innanzitutto due tipi di atti legislativi:
§ la legge europea: atto legislativo di portata generale, obbligatoria in tutti i suoi elementi e direttamente applicabile in ciascuno degli Stati membri (che corrisponde all’attuale regolamento);
§ la legge quadro europea: atto legislativo che vincola tutti gli Stati membri destinatari al risultato da raggiungere, salva restando la competenza degli organi nazionali in merito alla scelta della forma e dei mezzi (che corrisponde all’attuale direttiva).
Come atti non legislativi:
§ il regolamento europeo: atto non legislativo di portata generale volto all'attuazione degli atti legislativi;
§ la decisione europea: atto non legislativo obbligatorio in tutti i suoi elementi;
§ le raccomandazioni e i pareri: atti che non hanno effetto vincolante.
La Costituzione estende in misura sostanziale l'ambito di applicazione della procedura di codecisione che, significativamente, d'ora in poi sarà chiamata procedura legislativa (95% delle leggi europee saranno adottate congiuntamente dal Parlamento e dal Consiglio).
La Costituzione introduce, o conferma a livello di testo fondamentale, un numero importante di disposizioni volte a rendere le istituzioni dell'Unione più democratiche, più trasparenti, più controllabili e più vicine ai cittadini.
Il Trattato introduce infatti l’iniziativa legislativa popolare: un milione di cittadini europei, provenienti da un rilevante numero di Stati membri potranno invitare la Commissione a presentare una proposta legislativa. Un legge europea stabilirà le procedure e le condizioni per l’esercizio dell’iniziativa legislativa popolare, compreso il numero minimo di Stati cui devono appartenere i cittadini proponenti.
Dal punto di vista della trasparenza degli atti delle istituzioni, si segnala che i lavori del Consiglio, quando agisca come legislatore, saranno pubblici.
L’art. I-50 sancisce infatti il principio della trasparenza dei lavori delle istituzioni, degli organi e degli organismi dell’Unione, strumentale al buon governo e alla partecipazione della società civile.
Inoltre i Parlamenti nazionali saranno informati di qualsiasi nuova iniziativa della Commissione e se un terzo di essi riterrà che una proposta violi il principio di sussidiarietà, la Commissione sarà tenuta a riesaminarla. Nuove disposizioni sulla democrazia partecipativa e la buona governance hanno inoltre acquisito un valore costituzionale.
L’art. I-9 del Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa, al reca il formale e solenne riconoscimento dei diritti e delle libertà sanciti nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000, che viene a sua volta incorporata nel Trattato, a costituirne l’intera Parte II (si veda infra la relativa scheda).
Nello stesso articolo, al par. 2, si stabilisce l’adesione dell’Unione alla Convenzione europea di salvaguardia dei diritti dell’uomo (CEDU), precisando (par. 3) che i diritti fondamentali in essa garantiti costituiscono princìpi generali del diritto dell’Unione.
La Carta si applica alle istituzioni, agli organi dell’Unione ed agli Stati membri quando applicano il diritto dell’Unione. Innovando rispetto al testo di Nizza, si prevede esplicitamente che le disposizioni della Carta siano interpretate dai giudici dell’Unione e degli Stati membri alla luce delle spiegazioni predisposte dal Praesidium della Convenzione che ha redatto la Carta stessa ed aggiornate dal Praesidium della Convenzione europea. Tali spiegazioni sono contenute in una dichiarazione allegata al Trattato.
La Convenzione non ha proceduto ad un riesame di tutte le politiche dell'Unione. Pertanto, la maggior parte delle disposizioni che disciplinano le politiche sono rimaste sostanzialmente invariate. Diversamente da quanto era avvenuto, ad esempio, con l'Atto unico o con il trattato di Maastricht, non c'è stata alcuna importante estensione delle competenze dell'Unione. Le modifiche essenziali consistono in un'ulteriore estensione della maggioranza qualificata e nella quasi generalizzazione della procedura di codecisione. L'unanimità è stata invece mantenuta nel settore fiscale e, in parte, nei settori della politica sociale e della politica estera e di sicurezza comune.
Per quanto riguarda le Politiche e azioni interne (Titolo III, artt. da III-130 a III-285), esse sono disciplinate in buona parte in conformità ai Trattati esistenti, introducendo peraltro alcune significative novità. Il Trattato costituzionale introduce, infatti, alcune nuove basi giuridiche che consentiranno all’Unione di intervenire con modalità nuove o in settori nuovi. Si tratta dei settori della salute pubblica, dell’energia, della protezione civile e dello sport.
Il Trattato ha, invece, comportato un rinnovamento significativo delle disposizioni relative alla giustizia e agli affari interni, disposizioni che dovranno consentire di realizzare più facilmente, e meglio, lo spazio di libertà, di sicurezza e di giustizia. Infatti, d'ora in poi questi settori rientreranno nell'ambito del metodo comunitario e per grandissima parte nel campo della maggioranza qualificata, benché siano state introdotte o mantenute alcune specificità, in particolare nei settori della cooperazione giudiziaria in materia penale e della cooperazione di polizia.
Le disposizioni relative alle relazioni esterne sono state riscritte; è stata però sostanzialmente mantenuta la distinzione tra la politica estera e di sicurezza comune e gli altri aspetti dell'azione esterna dell'Unione per quanto riguarda il ruolo rispettivo delle istituzioni e le procedure.
Il Trattato prevede la costituzione di uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia da conseguire:
· attraverso l'adozione di leggi e leggi quadro europee intese a ravvicinare le legislazioni nazionali;
· attraverso una cooperazione operativa delle autorità competenti degli Stati membri, compresi i servizi di polizia, i servizi delle dogane e altri servizi specializzati nel settore della prevenzione e dell'accertamento degli illeciti penali.
La soppressione della attuale struttura “per pilastri” dell’ordinamento dell’Unione europea comporterà l’applicazione, con alcune limitate eccezioni, della procedura legislativa ordinaria e l’estensione della votazione a maggioranza qualificata.
Il Trattato prevede che il Consiglio possa istituire all’unanimità una Procura europea, con il compito di combattere i reati che ledono gli interessi finanziari dell'Unione.
Il Trattato prevede la realizzazione di una politica estera e di sicurezza comune fondata sullo sviluppo della reciproca solidarietà politica degli Stati membri, sull'individuazione delle questioni di interesse generale e sulla realizzazione di un livello di convergenza delle azioni degli Stati membri.
Il Consiglio europeo individua gli interessi strategici dell'Unione e fissa gli obiettivi. Il Consiglio elabora tale politica nel quadro delle linee strategiche definite dal Consiglio europeo. Il Ministro degli affari esteri dell'Unione e gli Stati membri attuano la politica estera e di sicurezza comune, ricorrendo ai mezzi nazionali e a quelli dell'Unione.
Gli Stati membri si concertano in sede di Consiglio europeo e di Consiglio su qualsiasi questione di politica estera e di sicurezza di interesse generale.
In materia di politica estera e di sicurezza comune la procedura legislativa ordinaria non si applica. La disciplina di tale settore è affidata alla decisioni europee adottate dal Consiglio europeo e dal Consiglio all'unanimità, salvo i limitati casi di voto a maggioranza qualificata.
Il Trattato prevede la graduale definizione di una politica di difesa comune dell'Unione, attraverso una decisione del Consiglio europeo all’unanimità.
L'Unione può svolgere missioni al suo esterno per garantire il mantenimento della pace, la prevenzione dei conflitti e il rafforzamento della sicurezza internazionale, conformemente ai principi della Carta delle Nazioni Unite.
E’ prevista l’istituzione di un'Agenzia europea per gli armamenti, la ricerca e le capacità militari per coordinare le capacità militari degli Stati membri.
Le decisioni europee relative all'attuazione della politica di sicurezza e di difesa comune sono adottate dal Consiglio all'unanimità. Il diritto di proposta è attribuito al ministro degli affari esteri dell'Unione o ad uno Stato membro.
Gli Stati membri che rispondono a criteri più elevati in termini di capacità militari e che hanno sottoscritto tra loro impegni più vincolanti in materia instaurano una cooperazione strutturata permanente, i cui criteri sono specificati in un apposito protocollo allegato al Trattato.
La procedura di avvio di una cooperazione strutturata permanente nel settore della difesa non prevede un numero minimo di Stati membri partecipanti e la decisione è assunta a maggioranza qualificata dal Consiglio.
Il Trattato contiene, inoltre, una clausola di mutua assistenza in caso di aggressione armata subita da uno Stato membro nel suo territorio, e una clausola di solidarietà tra l’Unione o ogni Stato membro in caso di attacco terroristico o di calamità naturale o provocata dall'uomo.
La quarta parte del Trattato contiene le norme generali e finali ed è composta da 11 artt. (da IV-437 a IV-448).
Le disposizioni di questa parte possono ricondursi a tre differenti categorie:
a) norme relative alla portata ed agli effetti del Trattato;
b) norme riguardanti l’applicazione e l’entrata in vigore del Trattato;
c) norme concernenti le procedure di revisione.
Nel primo gruppo rientrano, tra l’altro, gli articoli che dispongono l’abrogazione dei precedenti Trattati (art. IV-437) e la successione dell’Unione europea alla Comunità europea in tutti i suoi diritti, obblighi ed atti (art. IV-438) nonché la durata illimitata del Trattato (IV-446).
Al secondo gruppo afferiscono, in particolare, le disposizioni transitorie relative alla composizione del Parlamento europeo, alla definizione di maggioranza qualificata per il Consiglio europeo e dei Ministri, per la composizione della Commissione, e per il Ministro degli Esteri, contenute nei protocolli allegati cui rinvia l’art. IV-439, quelle concernenti l’ambito territoriale di applicazione nonchè le procedure per la ratifica del Trattato (art. IV-447).
La norma prevede che il Trattato deve essere ratificato da tutte le parti contraenti secondo le rispettive norme costituzionali; gli strumenti di ratifica saranno depositati presso il Governo italiano; il secondo paragrafo di tale disposizione fissa, al 1° novembre 2006, l'entrata in vigore del Trattato, a condizione che entro tale data siano stati depositati tutti gli strumenti di ratifica. In caso contrario, il Trattato entrerà in vigore il primo giorno del mese successivo al deposito dello strumento di ratifica da parte dello Stato firmatario che procederà per ultimo a tale formalità.
Si segnala, comunque, che nelle dichiarazioni relative a disposizioni del Trattato costituzionale, allegate all’Atto finale di firma, la numero 30 stabilisce che se entro due anni dalla firma dell’atto, hanno ratificato i 4/5 degli Stati e uno o più Paesi membri incontrano delle difficoltà, la questione viene rimessa al Consiglio europeo.
Al terzo gruppo appartengono, invece, gli articoli concernenti le procedure di revisione:
- art. IV-443: procedura di revisione ordinaria.
- art. IV-445: procedura di revisione semplificata riguardante le politiche e azioni interne dell'Unione.
Secondo la procedura di revisione ordinaria, che riguarda le modifiche alla parte I, II e IV, il potere di presentare progetti di emendamento spetta al governo di ciascuno degli Stati membri; al Parlamento europeo; alla Commissione.
I progetti di modifica devono essere presentati al Consiglio dei Ministri, che provvede a trasmetterli al Consiglio europeo ed a notificarli ai Parlamenti nazionali. A quel punto, il Consiglio europeo, previa consultazione del Parlamento europeo e della Commissione, può adottare a maggioranza semplice una decisone favorevole agli emendamenti proposti. In tal caso, si possono percorre due strade. La prima prevede l’istituzionalizzazione del metodo della Convenzione, incaricata di esaminare il progetto di revisione e di adottare per consenso una raccomandazione alla Conferenza intergovernativa (par. 2 dell'art. IV-443). La seconda prospettiva si verifica, invece, per modifiche di minore entità: in tale evenienza, il Consiglio europeo può decidere di non convocare la Convenzione ma direttamente una Conferenza Intergovernativa. In entrambi i casi, la CIG ha la finalità di definire di comune accordo le modifiche da apportare al Trattato costituzionale (par. 3 dell'art. IV-443).
Per quanto riguarda l’entrata in vigore delle modifiche, è necessaria la ratifica da parte di tutti gli Stati membri, secondo le rispettive norme costituzionali. Tuttavia, se entro due anni dalla firma del Trattato che modifica il Trattato costituzionale i quattro quinti abbiano ratificato detto trattato ed uno o più Paesi membri abbiano incontrato difficoltà nelle procedure di ratifica, la questione è deferita al Consiglio europeo.
Il Trattato prevede, inoltre, una procedura semplificata di revisione limitatamente alle politiche interne dell’Unione (parte III, titolo III), a condizione che le modifiche non comportino ampliamento delle competenze attribuite all’Unione.
Tale procedura semplificata prevede la delibera all’unanimità del Consiglio europeo, previa consultazione del Parlamento europeo e della Commissione, senza la convocazione di una Conferenza intergovernativa, ma con la previsione della successiva ratifica da parte di tutti gli Stati membri, secondo le rispettive procedure costituzionali.
La previsione di due distinte procedure di revisione è divenuto un obiettivo importante nel momento in cui si è decisa la riorganizzazione del Trattato in più parti, al fine di predisporre strumenti più flessibili per regole non fondamentali. Peraltro, i primi commentatori hanno evidenziato alcuni problemi che da ciò potrebbero derivare. La doppia procedura può creare incertezza circa il rango delle norme modificate con il canale semplificato, non essendo chiaro se esse diverrebbero diritto primario o derivato. Inoltre, la procedura semplificata non coinvolge in alcun modo i Parlamenti nazionali (i cui rappresentanti sono, invece, presenti nella Convenzione, prevista per la procedura ordinaria). Infine, si evidenzia l’opportunità di evitare il rischio che emendamenti adottati con la procedura semplificata finiscano per modificare surrettiziamente le parti fondamentali del Trattato (B. DE WITTE).
Il terreno delle procedure di entrata in vigore e revisione si rivela decisivo per l’identificazione dei caratteri del documento che le contiene, anche a prescindere dall’autoqualificazione formale compiuta dall’atto stesso (negli articoli del Trattato costituzionale si fa, infatti, sempre riferimento alla “presente Costituzione”).
Le posizioni che si sono andate delineando sono varie, ma possono comunque essere ricondotte a due grandi filoni:
a) l’impostazione secondo la quale è possibile che un documento possa configurarsi come un ibrido tra Trattato e Costituzione;
b) l’impostazione che, al contrario, distingue nettamente tra Trattato e Costituzione. In quest’ambito sono individuabili due ulteriori interpretazioni:
I) il Trattato costituzionale può qualificarsi come una Costituzione;
II) si tratta di un Trattato come gli altri.
È, comunque, necessario precisare che taluni autori, pur assumendo una posizione in base alla situazione attuale, non negano la possibilità di un’evoluzione futura, in grado di modificare l’interpretazione fornita. Si segnala, inoltre, che quasi tutti i commentatori partono dalla distinzione tra Trattato e Costituzione, per poi illustrare la propria posizione. Pertanto, prima di individuare le diverse posizioni, si procederà a chiarire la differenza esistente tra i due termini.
Il Trattato rientra nella sfera dei rapporti tra gli Stati, in cui le cessioni di sovranità da parte di questi “avvengono esclusivamente nel senso pattizio della reciproca obbligazione e mai al fine di costituire un nuovo ed ulteriore principio di unità politica, al di là degli Stati stessi”. Per questa ragione, nel diritto internazionale si applica la regola dell’equal sovereignty, da cui discende la necessaria unanimità per la revisione dei Trattati, non essendoci un “intero politico” di cui sia possibile calcolare una quota (M. FIORAVANTI). Al contrario, le Costituzioni, pur partendo da una pluralità, sono il frutto della determinazione di un unico principio di unità politica. Per questo, per la loro modifica non è richiesta l’unanimità, ma la maggioranza, ossia una quota di un tutto unico.
Inoltre, mentre i Trattati incidono sui cittadini degli Stati solo attraverso l’intermediazione statale, le Costituzioni ovviamente hanno riflessi immediati sui cittadini. Nel caso del Trattato, poi, la decisione originaria di creare (come pure di modificare) l’istituzione proviene da soggetti che operano all’esterno dell’istituzione e sulla base di un diritto che non è quello proprio dell’istituzione stessa: si tratta, quindi, di una decisione esterna, eteronoma. Le Costituzioni sono prodotte dal potere costituente interno all’istituzione costituita e sono, pertanto, espressione di autodeterminazione (G. TOSATO). Altri ancora precisano che perché ci sia effettivamente una Costituzione, è necessario che essa promani dai cittadini, mentre il Trattato è imputabile esclusivamente agli Stati (D. GRIMM).
a) passando ora alla prima impostazione, si segnala innanzi tutto che la Corte di giustizia ha da sempre ritenuto compatibili i due termini (questa interpretazione è maturata già in riferimento ai Trattati attualmente vigenti): l’ibrido Trattato-Costituzione, anzi, sarebbe idoneo a descrivere esattamente la realtà dell’integrazione giuridica europea (ad es., sentenze Van Gend en Loos; Les Verts). In particolare, nel parere n. 1 del 1991, reso in occasione della creazione dello Spazio economico europeo, ha chiarito che “il Trattato CEE, benché sia stato concluso in forma di accordo internazionale, costituisce la Carta Costituzionale di una comunità di diritto”.
Un parte della dottrina (G. TOSATO, A. PIZZORUSSO, M. FIORAVANTI) ha sostanzialmente trasferito tale impostazione al Trattato costituzionale, ritenendo che effettivamente esso configuri una forma nuova o ibrida di organizzazione, dal momento che la secca alternativa tra Trattato e Costituzione si rivela poco compatibile con il contesto dell’Unione europea. Fenomeni come quello in esame evidenziano che si sta andando incontro ad un declino del modello giuridico classico dello Stato moderno. È pertanto necessario un mutamento di prospettiva, in grado di applicare i principi del costituzionalismo al diritto internazionale, dal momento che l’Unione europea rappresenta la forma giuridica (statale) dell’avvenire.
Del resto, la partecipazione della Convenzione nella predisposizione del testo del Trattato – come pure il suo ruolo nelle procedure di revisione – implica un indiretto coinvolgimento dei cittadini, attraverso i rappresentati dei Parlamenti nazionali e del Parlamento europeo, in maggioranza in seno alla Convenzione, che rende gli Stati meno “signori” del documento approvato. Questo elemento determina un sostanziale mutamento rispetto alle procedure di adozione e modifica dei Trattati sinora previste (ad es. dall’art. 48 TUE), in cui i testi venivano valutati e decisi esclusivamente dai rappresentanti dei Governi nazionali (conferenze intergovernative).
b) i commentatori che rientrano in questo secondo gruppo distinguono nettamente, invece, la nozione di Trattato da quella di Costituzione, negando la possibilità di configurare un documento, che presenti le caratteristiche di entrambi. In quest’ottica, alcuni ritengono prevalenti i caratteri della Costituzione (I), altri quelli del Trattato (II).
I) Si ritiene decisivo il lavoro svolto dalla Convenzione nella elaborazione del progetto di Trattato, che viene qualificato come “esercizio comune di potere costituente da parte dei popoli degli Stati partecipanti” (A. MANZELLA). Il ruolo della Convenzione (alla quale, come già ricordato, risultano in maggioranza i rappresentanti di derivazione parlamentare) limita notevolmente quello della Conferenza intergovernativa (governi degli Stati), di modo che il Trattato costituzionale e le modifiche successive saranno imputabili anche ai cittadini.
Del resto, la regola dell’unanimità, valida per i Trattati, nel nostro caso è ridimensionata dalla previsione che se entro due anni dalla firma (del Trattato costituzionale o di quello che lo modificherà) avranno ratificato i 4/5 degli Stati, la questione sarà deferita al Consiglio europeo (cfr. la dichiarazione n. 30 citata e l’art. IV-443). Infine, la previsione del diritto di recesso da parte di ciascuno Stato, implica che ogni Paese non è dominus dell’intero Trattato, ma solo della propria quota di adesione (A. MANZELLA).
Il Trattato costituzionale rientrerebbe, quindi, nella nozione di Costituzione individuata da Rudolf Smend quale “ordinamento giuridico del processo di integrazione” (A. MANZELLA). Secondo altri, infine, il problema della natura del Trattato costituzionale si potrebbe risolvere definendolo come una Costituzione “ottriata”, ossia elargita da un’autorità che ne ha il potere, in contrapposizione a “votata” dal corpo elettorale o da un’assemblea di questo rappresentativa (A. PIZZORUSSO).
Da parte di altri, si segnala, infine, come la supremacy clause contenuta nell’art. I-6 del Trattato assegni ad esso una delle funzioni tipiche delle Costituzioni, ossia quella di normativa fondamentale di un ordinamento giuridico (M. CARTABIA)
II) si ritiene che il Trattato costituzionale e le procedure per la sua modifica futura siano ancora prigionieri della logica internazionalistica, espressa dalla prevalenza del ruolo della Conferenza intergovernativa, dalla necessità dell’unanimità e della ratifica da parte di tutti gli Stati (G. AMATO, B. DE WITTE, D. GRIMM, M. CARTABIA).
La prevalenza di questi elementi non si ritiene venga attenuata dalla istituzionalizzazione del metodo convenzionale, in quanto: malgrado la prevalenza della rappresentanza parlamentare in seno alla Convenzione, non si può ritenere che essa agisca per conto dei cittadini dell’UE; comunque, il Consiglio può decidere di non convocare la Convenzione anche nella procedura di revisione ordinaria, mentre in quella semplificata non è proprio prevista; inoltre, la Convenzione è incaricata di esaminare i progetti di modifica e adottare una raccomandazione da trasmettere alla Conferenza intergovernativa, mentre la decisione finale rimane nelle mani della CIG. La CIG non è un organo dell’UE, ma rimane estraneo ad essa, tanto è vero che i Trattati approvati in quella sede necessitano di ratifica da parte di tutti i Paesi membri: il fondamento giuridico dell’Unione non è, dunque, un atto di autodeterminazione.
Per quanto riguarda, poi, il criterio dell’unanimità, questo non risulta ridimensionato neppure dal principio secondo cui se entro due anni dalla firma solo i 4/5 degli Stati hanno ratificato, la questione è deferita al Consiglio europeo. Si tratta di un’innovazione modesta, che lascia aperte tutte le strade. Altra cosa sarebbe stata la previsione degli strumenti che avrebbe potuto, in quel caso, adottare il Consiglio europeo.
Si ricorda, infine, che il Conseil Constitutionnel francese, nella decisione n. 2004-505 DC del 19 novembre 2004, ha chiarito che il Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa è, appunto, un trattato a tutti gli effetti, stipulato sulla base di un accordo di diritto pubblico internazionale. Questa conclusione deriva dalle norme relative all’entrata in vigore, dalle procedure di revisione e dalla possibilità di denuncia del Trattato. Del resto l’affermazione della supremazia del Trattato rispetto al diritto degli Stati membri, di cui all’art. I-6, non innova alcunché essendo esclusivamente la consolidazione normativa di un principio già enucleato dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia.
Uno dei problemi principali, aperto dalla procedura prevista per l’entrata in vigore del Trattato e delle sue future modifiche, è rappresentato dall’eventualità di una mancata ratifica da parte di alcuni Stati membri. Al riguardo, la dichiarazione n. 30 (allegata all’Atto finale di firma del Trattato) nonché l’art. IV-443 stabiliscono che se entro due anni dalla firma dell’atto, hanno ratificato i 4/5 degli Stati e uno o più Paesi membri incontrano delle difficoltà, la questione viene rimessa al Consiglio europeo.
I primi commentatori del testo hanno evidenziato che manca una chiara indicazione del tipo di iniziativa che può intraprendere il Consiglio in tale evenienza. La decisione che l’organo in questione potrà assumere sarà, quindi, inevitabilmente politica e potrà variare da caso a caso.
Ad ogni modo, sia che qualche Paese voti “no”, sia che un quinto degli Stati dopo due anni non dovesse ratificare, si pone il problema di cosa possa succedere. Varie sono le possibilità: ritenere che il processo europeo si blocchi; ritenere al contrario che esso prosegua senza, però, gli Stati che non hanno ratificato. A quel punto, risulta dubbio se tali Paesi dovrebbero lasciare l’UE oppure potrebbero rimanere all’interno del consesso europeo, seguendo però regole superate dai nuovi Trattati (una sorta di due velocità) (A. RIZZO). Infine, si potrebbe ipotizzare una ripetizione della procedura di ratifica, come in passato è accaduto per i Trattati di Maastricht e di Nizza, rispettivamente, in Danimarca ed in Irlanda (F. VENTURINO). Una diversa proposta è stata avanzata da Mario Monti: con essa si suggerisce che, nell’ipotesi di voto negativo alla ratifica da parte di uno o più Stati, venga proposto (nei medesimi Paesi) un nuovo e diverso quesito con il quale si chiede di confermare o meno la volontà di far parte dell’Unione europea attraverso un voto parlamentare o referendario. Tale percorso dovrebbe essere assunto come impegno politico da parte dei 25 Capi di Governo prima che inizino le procedure di ratifica, in modo da rendere trasparenti gli esiti ed evitare una paralisi dell’Unione.
STATO MEMBRO |
PROCEDURA DI RATIFICA |
DATA DI SVOLGIMENTO DELL’EVENTUALE REFERENDUM |
Austria |
Il Trattato è stato approvato dal Nationalrat l’11 maggio 2005 e dal Bundesrat il 25 maggio 2005. |
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Belgio |
Il Trattato è stato ratificato sia dal Parlamento nazionale sia dalle sette Assemblee regionali. La procedura si è conclusa con la pronuncia della Comunità fiamminga l’8 febbraio 2006. |
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Cipro |
Il Parlamento della Repubblica di Cipro ha ratificato il Trattato il 30 giugno 2005. |
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Danimarca |
La ratifica è prevista con referendum popolare giuridicamente vincolante. Il Governo danese e i partiti favorevoli alla Costituzione europea hanno deciso il 23 giugno 2005 la sospensione del processo di ratifica, rinviando a data da definire il referendum. |
Il referendum è stato sospeso |
Estonia |
La ratifica avverrà per via parlamentare. L’esame è stato avviato ai primi di febbraio 2006. |
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Finlandia |
La ratifica dovrebbe avvenire per via parlamentare. E’ richiesta la maggioranza semplice del Parlamento monocamerale, o la maggioranza di 2/3 qualora si ritenga che il Trattato implica modifiche alla Costituzione (tale valutazione non risulta ancora effettuata). Il Governo ha deciso di sospendere il processo di ratifica. |
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Francia |
La ratifica del Trattato costituzionale è stata sottoposta referendum popolare il 29 maggio 2005. Su un totale di partecipanti pari al 69,34% degli aventi diritto al voto, il 54,68% ha votato no ed il 45,32% ha votato sì. |
29 maggio 2005 |
Germania |
Il disegno di legge di ratifica è stato approvato dal Bundestag il 12 maggio 2005. Il 27 maggio 2005 è stato approvato dal Bundesrat. |
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Grecia |
Il Parlamento greco ha ratificato il Trattato il 19 aprile 2005 |
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Irlanda |
La Costituzione prevede due fasi: il referendum popolare e, a seguire, la ratifica parlamentare. Il Governo ha deciso di sospendere il processo di ratifica. |
Il referendum è stato sospeso |
Italia |
La Camera dei deputati ha approvato il disegno di legge di ratifica del Trattato il 25 gennaio 2005 (436 voti favorevoli, 28 voti contrari e 5 astensioni). Il Senato della Repubblica ha approvato definitivamente il disegno di legge di ratifica il 6 aprile 2005 (217 voti favorevoli, 16 contrari e nessun astenuto). |
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Lettonia |
Il Parlamento lettone ha ratificato il Trattato il 2 giugno 2005. |
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Paesi che hanno ratificato il Trattato
Paesi che non hanno ancora ratificato il Trattato
Paesi che hanno respinto la ratifica del Trattato
STATO MEMBRO |
PROCEDURA DI RATIFICA |
DATA DI SVOLGIMENTO DELL’EVENTUALE REFERENDUM |
Lituania |
Il Parlamento ha ratificato il Trattato l’11 novembre 2004. |
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Lussemburgo |
Il Parlamento ha ratificato il Trattato in prima lettura il 29 giugno 2005 e in seconda il 25 ottobre 2005. Il 10 luglio 2005 si è svolto un referendum popolare consultivo. I voti favorevoli sono stati il 56,52%, i voti contrari il 43,48%. L'affluenza è stata pari all’87,7% degli aventi diritto. |
10 luglio 2005 |
Malta |
Il Parlamento di Malta ha ratificato il Trattato il 6 luglio 2005 . |
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Paesi Bassi |
La ratifica del Trattato costituzionale è stata sottoposta a referendum popolare il 1° giugno 2005. Su un totale di partecipanti pari al 69% degli aventi diritto al voto, il 61,70% ha votato no ed il 38,30% ha votato sì. |
1° giugno 2005 |
Polonia |
Il Governo polacco era inizialmente orientato a procedere alla ratifica del Trattato costituzionale attraverso una consultazione referendaria (l’alternativa è l’approvazione da parte delle due Camere a maggioranza di 2/3). Il 21 giugno 2005 il Presidente Kwasniewski ha annunciato la sospensione del referendum sul Trattato costituzionale. |
Il referendum è stato sospeso |
Portogallo |
Il Governo ha rinviato il referendum sulla Costituzione europea, precedentemente previsto nell’autunno 2005. |
Il referendum è stato rinviato |
Regno Unito |
Era prevista una procedura di ratifica a doppio livello, con il voto popolare a conferma e completamento del processo parlamentare di ratifica. Il progetto di legge di ratifica è stato approvato in seconda lettura dalla House of Commons il 9 febbraio 2005. L'iter parlamentare del disegno di legge sul referendum di ratifica è stato sospeso il 6 giugno 2005. |
La decisione sullo svolgimento del referendum è stata sospesa |
Repubblica Ceca |
Il Primo Ministro ha annunciato l’intenzione di modificare la Costituzione al fine di sottoporre la ratifica del Trattato a referendum. Tale modifica richiede la maggioranza di 3/5 dei componenti di ciascuna delle due Camere. |
Il referendum è stato rinviato alla fine del 2006 |
Slovacchia |
Il Parlamento ha ratificato il Trattato l’11 maggio 2005. |
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Slovenia |
Il Parlamento ha ratificato il Trattato il 1° febbraio 2005. |
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Spagna |
Il Trattato è stato sottoposto a referendum consultivo il 20 febbraio 2005: i voti favorevoli sono stati il 76%, i voti contrari il 17% e le schede bianche sono state il 6%. Il Trattato è stato poi ratificato dalla Camera dei deputati il 28 aprile e dal Senato il 18 maggio 2005. |
20 febbraio 2005 |
Svezia |
Il Governo ha dichiarato che non intende indire un referendum sul Trattato costituzionale. Il processo di ratifica parlamentare è al momento sospeso. |
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Ungheria |
Il Parlamento ha ratificato il Trattato il 20 dicembre 2004. |
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A seguito dell’esito negativo dei referendum sulla ratifica del Trattato costituzionale in Francia e nei Paesi Bassi, i Capi di Stato e di governo - riuniti in occasione del Consiglio europeo che si è svolto a Bruxelles il 16 e 17 giugno 2005 - hanno adottato una dichiarazione sulla ratifica del Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa. La dichiarazione prende atto dei risultati dei referendum in Francia e nei Paesi Bassi e, pur sottolineando che tali risultati non rimettono in discussione l’interesse dei cittadini per la costruzione dell’Europa, riconosce la necessità di svolgere una riflessione comune. Si invita a promuovere in questo periodo di riflessione un ampio dibattito che coinvolga cittadini, parti sociali, parlamenti nazionali e partiti politici. La dichiarazione ribadisce la validità della prosecuzione dei processi di ratifica, prevedendo altresì un eventuale adeguamento del loro calendario in relazione agli sviluppi nei vari Stati membri. Il Consiglio europeo del 15 e 16 giugno 2006 (sotto Presidenza dell’Austria)procederà ad una valutazione globale dei dibattiti nazionali e per decidere sul seguito del processo.
La Commissione europea ha presentato il 13 ottobre 2005 una comunicazione intitolata “Contributo della Commissione al periodo di riflessione: piano D, democrazia, dialogo e dibattito”, che illustra le iniziative previste dalla Commissione per promuovere dibattiti nazionali sul futuro dell’Europa. In particolare, la Commissione presterà assistenza a tutti gli Stati membri nell’organizzazione di dibattiti sul futuro dell’Europa, rafforzando la cooperazione con i parlamenti nazionali.
I dibattiti nazionali non dovrebbero limitarsi a questioni istituzionali o alla Costituzione europea, ma dovrebbero comprendere tre grandi temi di discussione: a) lo sviluppo economico e sociale dell’Europa; b) la percezione dei cittadini nei confronti dei compiti ed obiettivi dell’Unione europea; c) la questione dei confini dell’Europa e del ruolo dell’Unione europea nel mondo.
La Commissione preparerà nel mese di maggio 2006 una relazione di sintesi dei dibattiti nazionali per il Consiglio europeo che si svolgerà, sotto la presidenza austriaca, nel giugno 2006. La Commissione ha proposto, in particolare, di effettuare, da parte dei commissari europei visite presso gli Stati membri, offrendo disponibilità a fornire assistenza ed informazioni ai parlamenti nazionali.
L’8 e 9 maggio si è svolta a Bruxelles una riunione interparlamentare sul futuro dell’Europa alla quale hanno partecipato delegazioni del Parlamento europeo, di 23 Parlamenti degli Stati membri dell’Unione europea, dei 2 Paesi aderenti (Bulgaria e Romania) e, in qualità di osservatori, dei 3 paesi candidati all’adesione (Croazia, Turchia, la ex Repubblica jugoslava di Macedonia).
Il Parlamento italiano non ha potuto partecipare all'incontro in quanto impegnato nella seduta comune per l’elezione del Presidente della Repubblica. Per analoghe ragioni non era presente il Parlamento cipriota.
La riunione – promossa dal PE e copresieduta da quest’ultimo e dalla Presidenza austriaca – ha inteso favorire uno scambio di opinioni tra i Parlamenti dell’UE sui grandi temi relativi alla prospettive dell’Europa.
La riunione si è articolata in incontri di gruppi di lavoro su 4 temi specifici e in un dibattito in plenaria sulle prospettive del processo di riforma costituzionale dell'UE.
In particolare, i gruppi di lavoro hanno esaminato i seguenti temi :
Nel corso della riunione sono emerse posizioni differenti in merito alle diverse modalità, opzioni e tempi per rilanciare il processo costituzionale. Peraltro, è stata sottolineata concordemente l’importanza del pieno coinvolgimento dei Parlamenti nazionali e del Parlamento europeo nelle scelte relative al futuro dell’Europa. Nel corso della riunione il Parlamento della Finlandia - che eserciterà la Presidenza dell’Unione europea nel secondo semestre 2006 - ha annunciato l'intenzione di organizzare una seconda riunione interparlamentare sul futuro dell’Europa il 4 e 5 dicembre 2006 a Bruxelles.
Il ruolo dei Parlamenti nazionali nel Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa
Nel Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa il ruolo dei parlamenti nazionali è disciplinato essenzialmente nei due Protocolli - allegati al Trattato -sul ruolo dei Parlamenti nazionali e sui princìpi di sussidiarietà e proporzionalità; ulteriori disposizioni contenute nel Trattato definiscono il ruolo dei parlamenti.
I due protocolli prevedono:
Ø la trasmissione diretta ai parlamenti nazionali:
§ dei documenti di consultazione della Commissione;
§ di tutte le proposte legislative, nonché delle loro modifiche nel corso del procedimento,
§ del programma legislativo annuale, della strategia politica annuale e degli altri strumenti di programmazione della Commissione;
§ della relazione annuale della Commissione sull’applicazione dei principi fondamentali in tema di delimitazione delle competenze;
§ della relazione annuale della Corte dei conti;
Ø la comunicazione diretta ai parlamenti nazionali degli ordini del giorno e dei risultatidei lavori del Consiglio –compresi i processi verbali delle sessioni nelle quali il Consiglio delibera su progetti di atti legislativi europei - nello stesso momento in cui sono comunicati ai Governi degli Stati membri;
Ø la possibilità per ciascun Parlamento nazionale (o Camera) di sollevare obiezioni, entro un termine di sei settimane dalla data di trasmissione di un progetto, sulla corretta applicazione del principio di sussidiarietà (cosiddetto early warning o allerta precoce) in relazione alle proposte legislative;
Ø qualora le obiezioni rappresentino almeno un terzo dell’insieme dei voti attribuiti ai parlamenti nazionali il progetto deve essere riesaminato. A tal fine ciascun Parlamento nazionale dispone di due voti, ripartiti in funzione del sistema parlamentare nazionale; in un sistema parlamentare nazionale bicamerale ciascuna delle due Camere dispone di un voto. Ciascun Parlamento nazionale o ciascuna Camera può consultare all’occorrenza i parlamenti regionali con poteri legislativi. La soglia per l’obbligo di riesame è abbassata a un quarto, nel caso di proposte della Commissione o di una iniziativa di un gruppo di Stati membri che si riferiscono allo spazio di libertà sicurezza e giustizia; Al termine del riesame il progetto in questione può essere – con una decisione motivata - mantenuto, modificato o ritirato.
Ø la facoltà per ciascun Parlamentonazionale (oCamera) di presentare –attraverso la trasmissione effettuata dai relativi Governi – un ricorso alla Corte di giustizia per violazione del principio di sussidiarietà;
Ø l’organizzazione di una efficace e regolare cooperazione interparlamentare definita congiuntamente da Parlamento europeo e parlamenti nazionali;
Ø la possibilità per la Conferenza degli organismi specializzati negli affari comunitari ed europei (COSAC) (v. scheda La COSAC) di sottoporre all'attenzione delle istituzioni europee i contributi che ritiene utili; la Conferenza promuove inoltre lo scambio di informazioni e buone prassi tra i parlamenti degli Stati membri e il Parlamento europeo, nonché tra le loro commissioni specializzate, e può altresì organizzare conferenze interparlamentari su temi specifici che rientrano nella politica estera e di sicurezza comune e nella politica di sicurezza e di difesa comune.
L’articolo I-18 prevede che se un’azione appare necessaria per realizzare obiettivi stabiliti dalla Costituzione, senza che questa abbia previsto i poteri d’azione da parte dell’Unione, il Consiglio dei ministri può deliberare all’unanimità, su proposta della Commissione e previa approvazione del Parlamento europeo (clausola di flessibilità). In questo caso la Commissione europea deve richiamare l’attenzione dei parlamenti nazionali, nel quadro della procedura di controllo del principio di sussidiarietà.
Altre disposizioni riguardanti i parlamenti nazionali sono collocate negli articoli relativi allo spazio di libertà, sicurezza e giustizia, sia nella parte I sia nella parte III. In particolare l’articolo I-42, paragrafo 2, stabilisce in via di principio che i parlamenti nazionali possano partecipare ai meccanismi di valutazione dell’attuazione delle politiche dell’Unione relative allo spazio di libertà, sicurezza e giustizia e siano associati al controllo politico delle attività dell’Europol ed alle valutazioni dell’attività di Eurojust[91]. I parlamenti nazionali sono inoltre tenuti informati dei lavori del Comitato politico istituito in seno al Consiglio dell’UE per promuovere e rafforzare la cooperazione operativa in materia di sicurezza interna (art.III-261).
L’articolo I-58, paragrafo 2 relativo alla procedura di adesione all’Unione europea, prevede che i parlamenti nazionali (e il Parlamento europeo) siano informati della domanda di adesione proveniente da uno Stato europeo che desideri diventare membro dell’Unione.
L’articolo IV-443, relativo alla procedura di revisione ordinaria, stabilisce che:
· i progetti di modifica del Trattato sono notificati ai parlamenti nazionali;
· nel caso in cui il Consiglio europeo decida di procedere nell’esame delle modifiche proposte, esso convoca una Convenzione composta da rappresentanti dei parlamenti nazionali, dei Governi, del Parlamento europeo e della Commissione. La Convenzione esamina i progetti di revisione e adotta per consenso una raccomandazione alla Conferenza dei rappresentanti dei Governi, cui spetta di comune accordo di stabilire le modifiche da apportare al Trattato.
L’articolo IV-444, relativo alla procedura di revisione semplificata, prevede al paragrafo 3 che ogni iniziativa del Consiglio europeo volta ad estendere, deliberando all’unanimità, la procedura legislativa ordinaria ed il voto a maggioranza qualificata ai settori cui si applicano procedure legislative speciali o il voto all’unanimità (c.d. clausola passerella) sia trasmessa ai parlamenti nazionali. In caso di opposizione di un parlamento nazionale, notificata entro sei mesi dalla data di trasmissione, la decisione non è adottata.
A seguito del 50° anniversario della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, celebrato nel dicembre 1998, il Consiglio europeo di Colonia (3-4 giugno 1999) decise di avviare i lavori per la redazione di una Carta dei diritti fondamentali. Si voleva in tal modo raccogliere in un unico testo i diritti fondamentali in vigore a livello dell'Unione (e basati sui trattati comunitari, sulle convenzioni internazionali, nonché sulle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri), in modo da conferire loro maggiore visibilità[92].
L'elaborazione venne affidata ad una speciale Assemblea - che decise di darsi il nome di Convenzione - composta da 62 membri, rappresentanti dei Parlamenti nazionali, del Parlamento europeo, dei governi degli Stati membri e del Presidente della Commissione europea.
I lavori ebbero inizio il 17 dicembre 1999 e terminarono con la proclamazione, a latere del Consiglio europeo di Nizza, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, il 7 dicembre 2000, nella forma di solenne Dichiarazione congiunta del Parlamento europeo, del Consiglio e della Commissione, con l’auspicio che alla Carta fosse data la più ampia diffusione possibile presso i cittadini dell’Unione. Nulla in quella sede è stato deciso circa il valore giuridico della Carta stessa e l’esame della questione è stato rinviato ad un secondo momento.
La Carta è stata successivamente stata integrata nella parte II del Trattato Costituzionale europeo (artt. da II-61 a II-114), firmato a Roma il 29 ottobre 2004 e ratificato dall’Italia con legge 7 aprile 2005, n. 57 (v. scheda Il Trattato costituzionale).Poichéil Trattato entrerà in vigore solo dopo la ratifica da parte di tutti i 25 Stati membri secondo le proprie procedure costituzionali, allo stato attuale non è possibile fare una previsione circa la sua entrata in vigore, stante la bocciatura del Trattato nei referendum tenutisi in Francia e nei Paesi Bassi.
Si ricorda, infatti, che a fronte di questi risultati, il Consiglio europeo del 16 e 17 giugno 2005 ha infatti ritenuto la scadenza del 1° novembre 2006, che era stata inizialmente prevista per l’entrata in vigore della Costituzione, non più perseguibile, in quanto gli Stati che non hanno ancora ratificato il trattato non saranno in grado di fornire una buona risposta prima della metà del 2007. Tutti gli Stati membri, che abbiano o non abbiano ratificato la Costituzione, si sono così presi una pausa di riflessione ed il Consiglio europeo del 15 e 16 giugno 2006 dovrebbe procedere ad una valutazione globale dei dibattiti nazionali e decidere sul seguito del processo.
Al momento pertanto, la Carta dei diritti fondamentali non contiene, in quanto tale, disposizioni giuridicamente vincolanti comparabili a quelle del diritto primario ed ha un valore più politico che giuridico, non essendo formalmente inserita nell’ambito dei Trattati. Peraltro, essa fornisce, quantomeno quale fonte di cognizione, indicazioni sui diritti fondamentali garantiti dall'ordinamento comunitario, come evidenziato più volte nelle conclusioni dell’avvocato generale presso la Corte di Giustizia[93], ed essa non può pertanto essere trascurata nella soluzione di controversie giurisdizionali relative ai diritti fondamentali. Del resto, il Tribunale di prima istanza ha a volte richiamato specifici articoli della Carta, in quanto confermativi di principi costituzionali comuni degli Stati membri, ai sensi dell’articolo 6 del Trattato sull’Unione europea[94], ed anche la Corte costituzionale italiana ha fatto espresso richiamo ad essa, in quanto espressiva di principi comuni agli ordinamenti europei, anche se priva di efficacia giuridica[95]. Secondo una parte della dottrina resta comunque innegabile che la Carta introduca un criterio interpretativo forte, che si salda con il dettato costituzionale, in modo da orientare gli operatori giuridici ed il legislatore: è piuttosto difficile, infatti, che un testo redatto ricorrendo alla tecnica giuridica “non assuma di fatto rilevanza giuridica (…), costituendo quantomeno un immediato ausilio interpretativo per rafforzare conclusioni raggiungibili comunque su altre basi” (A. PACE).
La Carta, alla quale è premesso un Preambolo, si compone di 54 articoli suddivisi in sette titoli:
· dignità (artt. da 1 a 5);
· libertà (artt. da 6 a 19);
· uguaglianza (artt. da 20 a 26);
· solidarietà (artt. da 27 a 38);
· cittadinanza (artt. da 39 a 46);
· giustizia (artt. da 47 a 50);
· disposizioni generali che disciplinano l’interpretazione e l’applicazione della Carta (artt. da 51 a 54).
Nel Preambolo si richiama il retaggio spirituale e morale dell’Europa, da cui discendono i valori universali della dignità umana, della libertà, dell’uguaglianza e della solidarietà, ai quali l'Unione Europea ispira la propria azione, unitamente al principi di democrazia e dello stato di diritto. Si assicura inoltre il rispetto del principio di sussidiarietà, ribadendo i diritti derivanti dalle tradizioni costituzionali e dagli obblighi internazionali comuni agli Stati membri.
Titolo I: dignità. Accanto ai diritti “classici”, quali la tutela della dignità umana, il diritto alla vita (con conseguente divieto della pena di morte), il diritto all’integrità fisica e psichica, il divieto della tortura e della schiavitù, la proibizione della tratta degli esseri umani, vengono enunciati princìpi di “nuova generazione” da applicare in particolare nel campo della medicina e della biologia: il diritto al consenso libero e informato, il divieto delle pratiche eugenetiche e della clonazione riproduttiva degli esseri umani.
Titolo II: libertà. Anche in questo caso la Carta amplia lo spettro delle tutele: accanto ai diritti tradizionali, quali la libertà personale, il rispetto della vita privata e familiare, la libertà di pensiero, coscienza o religione, e la libertà di espressione e di informazione (compreso il rispetto della libertà dei media e del loro pluralismo), la libertà di riunione e di associazione, della scienza e delle arti, vengono introdotti nuovi diritti, come il diritto all'obiezione di coscienza, la protezione dei dati personali o l'estensione del diritto di proprietà alle opere intellettuali . Si prevede altresì il diritto di sposarsi e di costituire una famiglia. Il principio generale del diritto all’istruzione viene integrato con il diritto alla formazione professionale e continua, la gratuità dell'istruzione obbligatoria, la libertà di creare istituti di insegnamento e per le famiglie di scegliere il tipo di istruzione da impartire ai loro figli. Viene assicurata la libertà professionale e il diritto per ogni cittadino di circolare, risiedere liberamente e lavorare in tutto il territorio dell'Unione (tale diritto si applica anche ai cittadini di Paesi terzi che siano autorizzati a lavorare negli Stati membri). Analogamente è garantita anche la libertà di impresa. Si sancisce inoltre il diritto d'asilo e il divieto delle espulsioni collettive, nonché il divieto di estradizione verso Paesi in cui esista il rischio di tortura o pena di morte.
Titolo III: uguaglianza. Dal diritto fondamentale di uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge deriva il divieto di ogni forma di discriminazione di sesso, razza, estrazione sociale o origine etnica, caratteristiche genetiche, lingua, religione o convinzioni personali, opinioni politiche o di qualsiasi altra natura, appartenenza ad una minoranza nazionale, patrimonio, nascita, disabilità, età o orientamento sessuale. Correlativamente, si afferma il rispetto di ogni diversità culturale, religiosa e linguistica e il diritto per tutti ad un pari trattamento e a pari opportunità in ogni settore della vita e del lavoro. Una tutela speciale è garantita ai minori (cui è riconosciuto il diritto alla protezione e alla cura, nonché il diritto di esprimere liberamente le proprie opinioni), agli anziani e ai disabili (a cui l’Unione riconosce il diritto a beneficiare di misure intese a garantirne l'inserimento sociale e la partecipazione alla vita della comunità).
Titolo IV: solidarietà. Si riprendono alcuni diritti sanciti dalla Carta sociale europea e dalla Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori, nonché da altre disposizioni del Trattato costituzionale, da direttive vigenti e sentenze della Corte di giustizia. In particolare, si riconosce il diritto dei lavoratori all'informazione e alla consultazione nell'ambito dell'impresa; il diritto per i lavoratori ed i datori di lavoro di negoziare e ricorrere, in caso di conflitti di interesse, ad azioni collettive, compresi lo sciopero (per i lavoratori) e la serrata (per i datori di lavoro); il diritto di accesso ad un servizio di collocamento gratuito; il diritto alla protezione contro il licenziamento ingiustificato, ad una efficace tutela della salute e della sicurezza sul lavoro, inclusa la limitazione della durata massima del lavoro, il diritto a periodi di riposo giornalieri e settimanali e a ferie annuali retribuite. È prevista una tutela rafforzata per i minori (l’età minima per l’ammissione al lavoro non può essere inferiore a quella in cui termina la scuola dell’obbligo). Si garantisce la protezione giuridica, sociale ed economica per le famiglie e la tutela della maternità, prevedendo la possibilità di usufruire di congedi per la nascita o l'adozione di un figlio e la tutela contro il licenziamento per motivi legati alla maternità. Si stabilisce il diritto all'assistenza sociale nei casi di maternità, malattia, infortuni sul lavoro, dipendenza o vecchiaia, perdita del posto di lavoro, come pure il diritto all’assistenza abitativa per chi non dispone di risorse sufficienti. Si garantisce il diritto all’assistenza sanitaria, prevedendo che nella definizione ed attuazione di tutte le politiche comunitarie si garantisca un elevato livello di protezione della salute umana. Particolarmente innovativi risultano gli articoli che prevedono la tutela dell'ambiente, la protezione dei consumatori e il diritto ad accedere a servizi di interesse economico generale.
Titolo V: cittadinanza. Vengono enunciati alcuni diritti il cui contenuto è ripreso e precisato in altri articoli del Trattato costituzionale, in particolare: il diritto di voto e di eleggibilità al Parlamento europeo e alle elezioni comunali negli Stati membri, il diritto di presentare una petizione al Parlamento europeo, la libertà di circolazione e di soggiorno nel territorio dell'Unione, la tutela diplomatica e consolare, il diritto di ricorrere al Mediatore dell'Unione per casi di cattiva amministrazione. Una novità significativa è costituita dall’introduzione del diritto ad una buona amministrazione, riconosciuto a tutti gli individui e accompagnato dal diritto di accesso agli atti amministrativi.
Titolo VI: giustizia.In primo luogo si stabilisce il diritto di ricorso dinanzi a un giudice in caso di violazione dei propri diritti garantiti dal diritto dell’Unione; ad esso è correlato il diritto all'assistenza legale e a una difesa gratuita, nel caso in cui non si disponga di mezzi sufficienti. Sono sanciti inoltre i princìpi di presunzione di innocenza, irretroattività delle leggi in materia penale, proporzionalità della pena, e da ultimo, il principio ne bis in idem, in base la quale nessuno può essere perseguito o condannato per un reato per il quale è stato già assolto o condannato nell’Unione a seguito di una sentenza penale definitiva conformemente alla legge.
Titolo VII: Disposizioni generali. Si tratta di disposizioni che disciplinano l’interpretazione e l’applicazione della Carta. Per quanto concerne l’ambito di applicazione, l’articolo 51, stabilisce che le disposizioni della Carta si applicano in primo luogo alle istituzioni ed agli organi dell’Unione, nel rispetto del principio di sussidiarietà, come pure agli Stati membri, esclusivamente nell’attuazione del diritto comunitario, come già sancito dalla giurisprudenza della Corte di giustizia in materia di diritti fondamentali comunitari[96]. Si chiarisce poi che la Carta non introduce competenze nuove o compiti nuovi per l’Unione, né modifica quelle definite dai Trattati.
Alla luce di queste disposizioni, dunque, la Carta dei diritti non dovrebbe sovrapporsi alle Costituzioni nazionali, essendo a queste demandata la disciplina dell’attività degli Stati membri per tutta la parte che non attiene all’attuazione del diritto dell’Unione europea.
Sussiste peraltro il problema, di non facile soluzione, relativo alla distinzione dell’attività degli Stati membri attuativa del diritto dell’Unione dalla restante attività degli Stati nazionali: è noto infatti che le pubbliche amministrazioni e i giudici sono tenuti a dare applicazione sia al diritto interno che a quello comunitario, dando a quest’ultimo prevalenza nel caso in cui il primo risulti con esso incompatibile.
E’ inoltre piuttosto evidente come, ponendosi nell’ottica del cittadino, sia tutt’altro che agevole individuare, da un lato, un fascio di diritti, disciplinato dalla Carta dei diritti dell’Unione europea, di cui egli sarebbe titolare nei confronti degli Stati membri quando agiscono nell’attuazione del diritto dell’Unione europea e, dall’altro, un altro fascio di diritti, disciplinato dalle Costituzioni degli Stati membri, di cui egli sarebbe titolare nei confronti degli Stati membri allorquando questi agiscano “indipendentemente” dal diritto comunitario.
Inoltre, come è stato da più parti rilevato (CARTABIA), occorre anche verificare l’interpretazione dell’espressione “attuazione del diritto comunitario”, se essa cioè verrà circoscritta alle attività degli Stati membri di esecuzione degli obblighi comunitari, o se verrà estesa alle attività statali che ricadono nel più ampio “ambito di applicazione” del diritto comunitario: in quest’ultimo caso, la portata della Carta potrebbe arrivare a coprire tutte le attività di competenza dell’Unione.
L’art. 52 dispone che eventuali limitazioni all’esercizio dei diritti sanciti dalla Carta debbano essere previste dalla legge; tali limitazioni possono essere apportate solo laddove siano necessarie e rispondano effettivamente a finalità di interesse generale riconociute dall’Unione o all’esigenza di proteggere i diritti e le libertà altrui. Lo stesso art. 52 prevede che, laddove la Carta riconosca diritti che trovano fondamento nei Trattati comunitari o nel Trattato sull’Ue, questi si esercitano alle condizioni e nei limiti definiti dai Trattati stessi.
Oltre alla clausola di carattere generale dell’art. 52, all’interno delle singole disposizioni della Carta dei diritti compaiono una serie di previsioni specifiche, dirette a demandare al legislatore nazionale o l’attuazione o la limitazione dei diritti enunciati: ad esempio, del diritto di sposarsi e di costituire una famiglia (art. 69), del diritto all’obiezione di coscienza (art. 70), del diritto dei genitori di provvedere all’educazione dei figli secondo le loro convinzioni religiose, filosofiche e pedagogiche (art. 74), etc.
Sotto il profilo interpretativo, il par. 3 dell’art. 52 prevede poi che nel caso in cui la Carta contenga diritti che risultino corrispondenti a quelli garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali il significato e la portata degli stessi debbano essere uguali a quelli conferiti dalla suddetta Convenzione. E’ fatta salva la facoltà dell’Unione di concedere una protezione più estesa.
L’art. 53 sancisce, inoltre, come clausola di salvaguardia, che nessuna disposizione della Carta possa essere interpretata in senso limitativo dei diritti e delle libertà fondamentali riconosciute nelle Costituzioni degli Stati membri, nonché, nel rispettivo campo di applicazione, dai vari testi in vigore nell’Unione, in particolare dalla Convenzione europea sui diritti dell’uomo e le libertà fondamentali. La disposizione fa quindi salvo il pluralismo esistente nella protezione dei diritti fondamentali in Europa e implica che in caso di divergenze tra i vari livelli di tutela si ricorra ad un’interpretazione dei diritti protetti dalla Carta che non pregiudichi le garanzie accordate dalle Costituzioni degli stati membri o da altri livelli di tutela (es. CEDU).
L’art. 54, sul divieto dell’abuso del diritto, infine è inteso ad evitare che le disposizioni della Carta possano essere interpretate nel senso di consentire attività che mirino a limitare o a distruggere diritti o libertà riconosciuti dalla Carta stessa. Sono pertanto vietate, agli organi dell’Unione e agli Stati, interpretazioni ed applicazioni improprie dei diritti e delle libertà recate dalla Carta.
In relazione alla titolarità dei diritti, la Carta cerca di rispettare il principio dell’universalità dei diritti fondamentali, di conferire cioè ad ogni individuo i diritti in essa contemplati. Questo principio, tuttavia, non è esclusivo e pertanto incontra alcuni limiti dovuti essenzialmente alla particolare qualificazione giuridica che l’ordinamento comunitario attribuisce di volta in volta agli individui (cittadini, cittadini di Stati terzi, ecc.). Si possono pertanto classificare i diritti in relazione ai soggetti cui è riconosciuta dalla Carta la piena titolarità:
Tutti gli individui |
Cittadini dell’Unione |
Lavoratori |
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¨ diritto alla vita ¨ integrità della persona ¨ libertà e sicurezza ¨ diritto al rispetto della vita privata e familiare ¨ diritto alla protezione dei dati di carattere personale ¨ libertà di pensiero, di coscienza e di religione ¨ libertà di espressione e d’informazione ¨ libertà di riunione e associazione ¨ diritto all’istruzione, ¨ diritto al lavoro ¨ diritto all’accesso a servizi di collocamento gratuiti ¨ diritto a costituire sindacati ¨ diritto alla proprietà ¨ diritto alle prestazioni di sicurezza sociale ¨ diritto alla buona amministrazione ¨ diritto al risarcimento da parte dell’Unione dei danni cagionati dalle sue istituzioni e agenti, ad un ricorso effettivo davanti ad un giudice imparziale, rivolgersi alle istituzioni dell’Unione e a ricevere risposta in una delle lingue del Trattato |
¨ libertà di cercare un lavoro, di lavorare, di stabilirsi o di prestare servizi in qualunque Stato membro ¨ diritto di voto e di eleggibilità alle elezioni del Parlamento europeo nello Stato membro in cui risiedono ¨ diritto di voto e di eleggibilità alle elezioni comunali ¨ diritto di accesso ai documenti delle istituzioni ¨ diritto di rivolgersi al Mediatore ¨ diritto di presentare una petizione al Parlamento europeo ¨ libertà di circolazione e di soggiorno nel territorio degli Stati membri ¨ tutela diplomatica e consolare nel territorio di paesi terzi da parte delle autorità diplomatiche di qualsiasi Stato membro |
¨ diritto all’informazione e consultazione nell’ambito dell’impresa ¨ diritto a condizioni di lavoro giuste ed eque ¨ diritto di negoziazione e di azioni collettive ¨ tutela contro l’ingiustificato licenziamento ¨ diritto dei giovani alla protezione sul luogo di lavoro ¨ tutela contro il licenziamento per un motivo legato alla maternità ed i congedi di maternità e parentali |
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Altri soggetti considerati nella Carta ed a cui viene attribuita la titolarità di diritti sono i seguenti:
Persone che risiedono nell’Unione |
Altri soggetti titolari |
¨ diritto alle prestazioni di sicurezza sociale e ai benefici sociali ¨ diritto di accesso ai documenti delle istituzioni ¨ diritto di adire il Mediatore ¨ diritto di petizione |
¨ i minori , che godono di una particolare tutela ¨ i cittadini dei paesi terzi, che hanno il diritto a condizioni di lavoro equivalenti a quelle dei cittadini dell’Unione, se autorizzati a lavorare nel territorio degli Stati membri, ed ai quali può essere accordata la libertà di circolazione e di soggiorno se risiedono legalmente in uno Stato membro ¨ i disabili ¨ gli anziani |
La compresenza e le sovrapposizioni di diversi livelli di protezione dei diritti fondamentali in Europa vanno valutate con estrema attenzione, anche in ragione della diversità dei “cataloghi” dei diritti contenuti nelle rispettive Carte di riferimento. Un confronto tra la Carta dei diritti e la nostra Costituzione può essere utile per individuare in primo luogo una serie di diritti che nella Carta trovano formale riconoscimento e che invece, nel nostro ordinamento, trovano una diversa forma di tutela.
All’art. 3, nell’ambito del diritto all’integrità della persona, si prevedono espressamente il diritto al consenso libero e informato, il divieto delle pratiche eugenetiche e il divieto della clonazione riproduttiva degli esseri umani.
All’art. 8, è espressamente previsto il diritto di ogni individuo alla protezione dei dati di carattere personale che lo riguardano, che deve essere affidato al controllo di un’autorità indipendente. Tale diritto non compare nella Costituzione italiana, ma solo nella legislazione ordinaria (L. 675/1996 e successive modificazioni), peraltro attuativa di direttive comunitarie, che ha istituito l’Autorità garante per la protezione dei dati personali.
All’art. 10, è espressamente riconosciuto (secondo le leggi nazionali che ne disciplinano l’esercizio) il diritto all’obiezione di coscienza. Anche in questo caso si tratta di un diritto che la Costituzione italiana non prevede, ma che il legislatore e la Corte costituzionale hanno tutelato, in particolare relativamente al servizio militare obbligatorio e ai medici con riguardo all’interruzione volontaria della gravidanza.
All’art. 17, co. 2, viene introdotta espressamente la protezione della proprietà intellettuale, nel nostro ordinamento tutelata dalla legislazione ordinaria.
Agli artt. 24 e 25 si enunciano distintamente i diritti del minore e degli anziani.
L’art. 28 stabilisce il diritto di negoziazione collettiva tra le parti sociali e riconosce il diritto delle stesse di far ricorso, in caso di conflitti di interesse, ad azioni collettive, compreso lo sciopero. Si dà quindi pari riconoscimento anche al diritto di serrata che, al contrario, la Costituzione italiana espressamente non prevede.
All’art. 29, si prevede il diritto di ogni individuo ad accedere ad un servizio di collocamento gratuito.
All’art. 30, si stabilisce (conformemente al diritto comunitario e alle legislazioni e prassi nazionali) che ogni individuo ha diritto alla tutela contro ogni licenziamento ingiustificato.
Agli artt. 36, 37 e 38 vengono espressamente garantiti, rispettivamente, l’accesso ai servizi di interesse economico generale (come previsto dalle legislazioni e prassi nazionali), un livello elevato di tutela dell’ambiente (in Italia ricavato per via interpretativa dalla Corte costituzionale) e la protezione dei consumatori (nel nostro ordinamento oggetto di protezione di rango legislativo, peraltro adottata in attuazione della normativa comunitaria).
All’art. 41, nell’ambito del diritto ad una buona amministrazione, si procede ad una codificazione di alcuni diritti sanciti in Italia dalla L. 241/1990 e riconosciuti dalla giurisprudenza amministrativa: si tratta del diritto del cittadino alla partecipazione ai procedimenti diretti alla produzione di atti individuali che gli rechino un pregiudizio; del diritto di accesso; dell’obbligo di motivazione delle decisioni dell’amministrazione.
All’art. 50, si stabilisce il divieto di essere perseguiti o condannati per reati per i quali si sia stati assolti o condannati nell’Unione europea a seguito di una sentenza penale definitiva.
Si tratta principalmente dei seguenti.
All’art. 2, sono sanciti l’espressa tutela del diritto alla vita e il radicale divieto della pena di morte. Nella Costituzione italiana non vi è un’espressa tutela del diritto alla vita e il divieto della pena di morte non include i casi previsti dalle leggi militari di guerra. A quest’ultimo proposito, si ricorda peraltro che ormai la pena di morte è scomparsa anche dalle leggi militari di guerra (L. 589/1994) e che il Parlamento il 4 giugno 2002 ha approvato, in prima lettura, una proposta di legge di revisione costituzionale volta a sopprimere all’art. 27, quarto comma, Cost., le parole: “se non nei caso previsti dalle leggi militari di guerra”.
L’art. 9 riconosce il diritto di sposarsi e di costituire una famiglia, secondo le leggi nazionali che ne disciplinano l’esercizio. La nostra Costituzione reca una formulazione diversa al riguardo, prevedendo il riconoscimento dei diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio.
All’art. 10, comma 1, non compare, nel riconoscimento della libertà di culto, il limite del buon costume previsto dall’art. 19 della Costituzione italiana. In tema si ricorda inoltre che l’art. 7 della nostra Costituzione disciplina specificamente il rapporto tra lo Stato italiano e la Chiesa cattolica, regolato dai Patti Lateranensi.
L’art. 11 prevede espressamente la libertà dei media (e non solo della stampa, come nell’art. 21 della Costituzione italiana), nonché la necessità del loro pluralismo (in Italia affermata dal legislatore e dalla Corte costituzionale).
L’art. 12, al par. 1, nel proclamare la libertà di associazione non prevede, come fa la Costituzione italiana all’art. 18, il divieto di dar vita ad associazioni segrete e ad associazioni che perseguano scopi politici con organizzazioni di carattere militare.
Lo stesso articolo, al par. 2, disciplina i partiti politici a livello dell’Unione i quali contribuiscono a esprimere la volontà politica dei cittadini dell’Unione. Al riguardo si evidenzia che tale disposizione è inserita nell’ambito del capo concernente la libertà e non in quello sulla cittadinanza (Capo V). L’art. 49 della Costituzione italiana non solo inserisce il diritto ad associarsi in partiti politici nell’ambito delle libertà politiche ma richiede l’ulteriore requisito del “metodo democratico” quale strumento di attività politica.
L’art. 15 sancisce la libertà professionale e la libertà di lavoro. Si ricorda che il riconoscimento del diritto al lavoro – così come affermato dall’articolo 4 della Costituzione italiana – non ha incontrato il consenso dei componenti la Convenzione. Si segnala che la Carta attribuisce espressamente ai cittadini dei Paesi terzi che lavorino regolarmente nel territorio degli Stati membri il diritto a condizioni di lavoro equivalenti a quelle di cui godono i cittadini dell’Unione.
L’art. 16 garantisce la libertà di impresa, che incontra il limite della “conformità” al diritto comunitario e alle legislazioni e prassi nazionali. Si è così venuto incontro alle diverse impostazioni costituzionali che disciplinano quello che la nostra Costituzione definisce “libertà di iniziativa economica” (si ricorda, infatti, che la Costituzione italiana, all’art. 41, precisa che tale libertà non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale).
All’art. 21, il divieto di discriminazione è riferito ad elementi anche ulteriori rispetto a quelli enunciati nell’articolo 3, primo comma, della Costituzione italiana. Si introduce, in particolare, espressamente il divieto di discriminazione in base all’orientamento sessuale.
All’art. 23, si prevede che il principio della parità tra uomini e donne non osta alle cosiddette “azioni positive”, ossia al mantenimento o all’adozione di misure che prevedano vantaggi specifici a favore del sesso sottorappresentato. Si ricorda a tal riguardo che la legge costituzionale 1/2003 ha introdotto nell’art. 51 della Costituzione italiana la previsione secondo cui “la Repubblica promuove con appositi provvedimenti la parità di accesso tra donne e uomini”.
L’art. 31 stabilisce il diritto per i lavoratori alla durata massima del lavoro e a periodi di riposo giornalieri e settimanali e a ferie annuali retribuite. Tali disposizioni non prevedono, tuttavia, come nella Costituzione italiana, la irrinunciabilità di tali diritti.
All’art. 32, si precisa che l’età minima per l’ammissione al lavoro non può essere inferiore all’età in cui termina la scuola dell’obbligo.
All’art. 33, comma 2, si prevede espressamente il diritto di ogni individuo ad un congedo di maternità retribuito e ad un congedo parentale dopo la nascita o l’adozione di un figlio (previsioni non contemplate nell’art. 37 della nostra Costituzione).
L’art. 48 sancisce la presunzione di innocenza fino alla prova di colpevolezza “legalmente provata”. Secondo la nostra Costituzione, tuttavia, (art. 27) la presunzione di innocenza vale fino “alla condanna definitiva”.
Si ricordano in particolare le seguenti:
§ art. 11: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”;
§ art. 14, ultimo comma: “Gli accertamenti e le ispezioni per motivi di sanità e di incolumità pubblica o a fini economici e fiscali sono regolati da leggi speciali”;
§ art. 22: “Nessuno può essere privato, per motivi politici, della capacità giuridica, della cittadinanza, del nome”;
§ art. 23: “Nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge”;
§ art. 24, ultimo comma: “La legge determina le condizioni e i modi per la riparazione degli errori giudiziari”;
§ art. 25, primo comma: “Nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge”, e ultimo comma, “Nessuno può essere sottoposto a misure di sicurezza se non nei casi previsti dalla legge”;
§ art. 30, secondo comma: “Nei casi di incapacità dei genitori, la legge provvede a che siano assolti i loro compiti”; terzo comma, “La legge assicura ai figli nati fuori dal matrimonio ogni tutela giuridica e sociale, compatibile con i diritti dei membri della famiglia legittima”, e ultimo comma, “La legge detta le norme e i limiti per la ricerca della paternità”;
§ art. 45: “La Repubblica riconosce la funzione sociale della cooperazione a carattere di mutualità e senza fini di speculazione privata. La legge ne promuove e favorisce l’incremento con i mezzi più idonei e ne assicura, con gli opportuni controlli, il carattere e le finalità. La legge provvede alla tutela e allo sviluppo dell’artigianato”;
§ art. 47: “La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme; disciplina, coordina e controlla l’esercizio del credito. Favorisce l’accesso del risparmio popolare alla proprietà dell’abitazione, alla proprietà diretta coltivatrice e al diretto e indiretto investimento azionario nei grandi complessi produttivi del Paese”;
§ art. 51, ultimo comma: “Chi è chiamato a funzioni pubbliche elettive ha diritto di disporre del tempo necessario al loro adempimento e di conservare il suo posto di lavoro”.
Come già ricordato, l’art. I-9 del Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa, al par. 1, reca il formale e solenne riconoscimento dei diritti e delle libertà sanciti nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000, che viene a sua volta incorporata nel Trattato, a costituirne l’intera Parte II. L’art. I-9 dispone inoltre l’adesione dell’Unione alla Convenzione europea di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentalie stabilisce il principio in base al quale i diritti fondamentali, garantiti dalla Convenzione e risultanti dalle tradizioni costituzionali degli Stati membri, “fanno parte del diritto dell’Unione in quanto principi generali”.
Rispetto al testo di Nizza, si prevede esplicitamente che le disposizioni della Carta siano interpretate dai giudici dell’Unione e degli Stati membri alla luce delle spiegazioni predisposte dal Praesidium della Convenzione che ha redatto la Carta stessa ed aggiornate dal Praesidium della Convenzione che ha elaborato il progetto di Trattato costituzionale. Tali spiegazioni sono contenute in una dichiarazione allegata al Trattato.
Le disposizioni della Carta si applicano in primo luogo alle istituzioni ed agli organi dell’Unione nel rispetto del principio di sussidiarietà, come pure agli Stati membri esclusivamente nell’attuazione del diritto dell’Unione.
La suddivisione della Carta in Titoli e in articoli prende una diversa numerazione in virtù dell’inserimento nella Parte II del Trattato costituzionale. In particolare:
· dignità (artt. da II-61 a II-65);
· libertà (artt. da II-66 a II-79);
· uguaglianza (artt. da II-80 a II-86);
· solidarietà (artt. da II-87 a II-98);
· cittadinanza (artt. da II-99 a II-106);
· giustizia (artt. da II-107 a II-110);
· disposizioni generali che disciplinano l’interpretazione e l’applicazione della Carta (artt. da II-111 a II-114).
Il Titolo VII contiene ledisposizioni generali che disciplinano l’interpretazione e l’applicazione della Carta.
L’articolo II-111 del Trattato costituzionale, stabilendo che le disposizioni della Carta si applicano in primo luogo alle istituzioni ed agli organi dell’Unione, come pure agli Stati membri nell’attuazione del diritto comunitario (come peraltro già sancito in precedenza dalla giurisprudenza della Corte di giustizia in materia di diritti fondamentali comunitari[97].), chiarisce che la Carta non estende l’ambito di applicazione del diritto comunitario stesso al di là delle competenze dell’UE e non introduce competenze nuove per l’Unione.
Alla luce di queste disposizioni, dunque, la Carta dei diritti non dovrebbe sovrapporsi alle Costituzioni nazionali, essendo a queste demandata la disciplina dell’attività degli Stati membri per tutta la parte che non attiene all’attuazione del diritto dell’Unione europea.
L’art. II-113 sancisce, inoltre, come clausola di salvaguardia, che nessuna disposizione della Carta può essere interpretata in senso limitativo dei diritti e delle libertà fondamentali riconosciute nelle Costituzioni degli Stati membri, nonché, nel rispettivo campo di applicazione, dai vari testi in vigore nell’Unione, in particolare dalla Convenzione europea sui diritti dell’uomo e le libertà fondamentali.
L’art. II-114 infine è inteso ad evitare che le disposizioni della Carta possano essere interpretate nel senso di consentire attività che mirino a limitare o a distruggere diritti o libertà riconosciuti dalla Carta stessa.
L’art. II-112 dispone che eventuali limitazioni all’esercizio dei diritti sanciti dalla Carta debbano essere previste dalla legge; tali limitazioni possono essere apportate solo laddove siano necessarie e rispondano effettivamente a finalità di interesse generale riconociute dall’Unione o all’esigenza di proteggere i diritti e le libertà altrui.
E’ opportuno rilevare che, oltre alle norme di carattere generale sopra citate, vi sono talune disposizioni che demandano esplicitamente al legislatore nazionale l’attuazione o la limitazione dei diritti enunciati (precisamente: il diritto di sposarsi e di costituire una famiglia (art. II-69); il diritto all’obiezione di coscienza (art. II-70); la libertà di creare istituti d’insegnamento e il diritto dei genitori di provvedere all’educazione dei figli secondo le loro convinzioni religiose, filosofiche e pedagogiche (art. II-74); la libertà di impresa (art. II-76); il diritto dei lavoratori ad esser informati e consultati nell’ambito dell’impresa (art. II-87); il diritto di negoziare e concludere contratti collettivi (art. II-88); la tutela in caso di licenziamento ingiustificato (art. II-90); il diritto all’assistenza sociale (art. II-94); il diritto alla salute (art. II-95); il diritto di accesso ai servizi di interesse economico generale (art. II-96).
In relazione alla titolarità dei diritti, la Carta cerca di rispettare il principio dell’universalità dei diritti fondamentali, di conferire cioè ad ogni individuo i diritti in essa contemplati. Questo principio, tuttavia, non è esclusivo e pertanto incontra alcuni limiti dovuti essenzialmente alla particolare qualificazione giuridica che l’ordinamento comunitario attribuisce di volta in volta agli individui (cittadini, cittadini di Stati terzi, ecc.).
Il Trattato di adesione all’Unione europea di Cipro, Estonia, Lettonia, Lituania, Malta, Polonia, Repubblica ceca, Repubblica slovacca, Slovenia e Ungheria è stato firmato ad Atene il 16 aprile 2003 ed è entrato in vigore il 1° maggio 2004, a seguito del deposito, avvenuto entro il 30 aprile 2004 (come prescritto dall’articolo 2 del Trattato), presso il governo italiano di tutti gli strumenti di ratifica.
L’Italia ha ratificato il Trattato con la legge 24 dicembre 2003, n. 380[98].
Per quanto riguarda i profili procedurali, si ricorda che pochi giorni prima della firma del Trattato, il 9 aprile 2003, il Parlamento europeo ha votato il parere conforme sull’adesione dei dieci Paesi candidati, approvando una risoluzione separata su ciascun Paese (in base all’art. 49 del Trattato sull’Unione europea, l’adesione di ogni nuovo Stato membro richiede il consenso preventivo del Parlamento europeo a maggioranza assoluta). Il PE ha poi approvato una risoluzione non legislativa sulle conclusioni dei negoziati[99]. Il Consiglio europeo di Copenaghen aveva, quindi, invitato gli Stati membri e gli Stati aderenti a ratificare il Trattato, secondo le rispettive procedure nazionali, in tempo utile per accogliere i nuovi Stati membri il 1° maggio 2004, per consentire loro di partecipare alle elezioni del Parlamento europeo del giugno 2004 in qualità di membri. In vista della ratifica del Trattato, in tutti i Paesi aderenti (esclusa Cipro, a causa della particolare situazione) nel corso del 2003 si sono svolti referendum interni sull’adesione all’Unione europea, con esito favorevole.
II Trattato di adesione propriamente detto è composto da tre articoli.
L’articolo 1 prevede, al comma 1, che la Repubblica ceca, l’Estonia, Cipro, la Lettonia, la Lituania, l’Ungheria, Malta, la Polonia, la Slovenia e la Repubblica slovacca diventano membri dell’Unione europea e Parti dei trattati sui quali è fondata l’Unione. Il comma 2 del medesimo articolo 1 precisa che le condizioni di ammissione e gli adattamenti che ne derivano per i trattati sui quali è fondata l’Unione sono contenuti nell’atto unito al trattato, le cui disposizioni sono parte integrante del trattato di adesione. Il comma 3, infine, dispone che le disposizioni relative ai diritti e agli obblighi degli Stati membri, nonché i poteri e le competenze delle istituzioni della Comunità, si applicano nei confronti del trattato di adesione stesso.
L’articolo 2 dispone la ratifica del trattato secondo le norme interne di ciascuna parte, mentre l’articolo 3 è relativo al deposito dei testi (negli archivi della Repubblica italiana) e alla trasmissione delle copie conformi.
L’unito Atto di adesione, firmato contemporaneamente al Trattato 16 aprile 2003, forma - con i suoi allegati - parte integrante del Trattato e si compone di 62 articoli. Esso reca le condizioni di ammissione e i conseguenti adattamenti dei Trattati sui quali è fondata l'Unione, in base a quanto previsto dall’articolo 49 del Trattato UE.
In particolare:
Ø gli articoli 1-10 contengono i principi e le definizioni essenziali, oltre alla disciplina delle relazioni tra gli obblighi di diritto internazionale e quelli che i nuovi Stati membri assumono con l'adesione all'Unione e alle Comunità;
Ø gli articoli 11-19 contengono gli adattamenti definitivi dei trattati (sia quelli istituzionali, articoli 11-17, sia altri adattamenti, articoli 18 e 19);
Ø gli articoli 20-23 recano modifiche permanenti all’acquis comunitario (tecnicamente effettuate mediante il richiamo degli allegati al trattato);
Ø gli articoli 24-42 recano disposizioni transitorie sugli aspetti istituzionali e le clausole di salvaguardia e, in particolare, l’articolo 24 rinvia ad un allegato per ciascuno Stato aderente (all. V-XIV) in cui sono indicati gli atti comunitari e le relative condizioni di applicazione;
In particolare, si segnala che le clausole di salvaguardia (artt. 37-40 dell’Atto di adesione) consentono di non applicare alcune parti dell'acquis comunitario. In alcuni settori, infatti, possono insorgere difficoltà per effetto dell'adesione di nuovi Stati. Nell'Atto di adesione l'ambito delle clausole di salvaguardia riguarda i seguenti settori: economia, mercato interno, cooperazione nel settore della giustizia e degli affari interni (GAI). In particolare, la clausola di salvaguardia economica può riguardare sia gli Stati aderenti che gli attuali Stati membri; le altre due clausole, invece, concernono solamente inadempienze di nuovi Stati membri.
Ø gli articoli 44-62 recano disposizioni di applicazione. Tali articoli sono divisi in tre titoli: insediamento delle istituzioni e degli organi; applicabilità degli atti delle istituzioni; disposizioni finali ).
I plenipotenziari riuniti in occasione della firma del trattato di adesione hanno inoltre adottato un Atto finale.
Tale Atto reca - tra l’altro - una serie di dichiarazioni, alcune comuni (su “un'unica Europa” e sulla Corte di giustizia delle Comunità europee), altre degli Stati membri attuali e dell’Estonia (sulla caccia all'orso bruno in Estonia), altre di vari Stati membri attuali e vari nuovi Stati (Repubblica ceca e della Austria sulla centrale nucleare di Temelin), altre ancora comuni degli Stati membri attuali, alcune delle quali in riferimento ai nuovi membri (sviluppo rurale, libera circolazione dei lavoratori, sull'argillite petrolifera, il mercato interno dell'energia elettrica, attività di pesca nella zona delle Svalbard, sulla questione di Kaliningrad, sullo sviluppo della rete transeuropea in Slovenia) e altre di alcuni Stati membri.
E’ stata inoltre effettuata una dichiarazione comune degli stati membri attuali (n. 21) con la quale si sottolinea che le dichiarazioni allegate all’Atto finale non possono essere interpretate o applicate in modo contrario agli obblighi che incombono agli Stati membri in virtù del trattato e dell’atto di adesione.
Infine, sono state effettuate dichiarazioni comuni di vari nuovi Stati membri (nn. 22 e 23) e di singoli Stati nuovi aderenti (nn. 24-42) oltre che della Commissione europea (nn. 43-44) ed è stato fatto uno scambio di lettere tra l’Unione e i nuovi Stati aderenti sulla procedura di informazione e consultazione per l’adozione di talune decisioni e altre misure durante il periodo che precede l’adesione.
L'Atto di adesione reca le norme necessarie ad adattare le disposizioni istituzionali del Trattato di Nizza alla nuova dinamica del processo di allargamento (10, anziché 12, nuovi Stati). Pertanto tale Atto:
Ø anticipa l'entrata in vigore degli adeguamenti previsti dal Trattato di Nizza al 1° novembre 2004 (rispetto alla data prevista del 1° gennaio del 2005) e definisce regimi transitori per il periodo dal 1° maggio 2004 al 1° novembre del 2004;
Ø rimodula le disposizioni previste nel Trattato di Nizza adeguandole al numero inferiore di Stati aderenti.
Il Trattato di Nizza ha introdotto gli adeguamenti istituzionali considerati necessari per il buon funzionamento di un’Unione allargata[100]; per le nuove disposizioni è stata fissata l’entrata in vigore al 1° gennaio 2005. Al momento della firma del Trattato (26 febbraio 2001) si prevedeva che il nuovo allargamento dell’Unione avrebbe riguardato contemporaneamente i 12 Paesi candidati (Bulgaria, Cipro, Estonia, Lettonia, Lituania, Malta, Polonia, Repubblica ceca, Repubblica slovacca, Romania, Slovenia e Ungheria). Successivamente, il Consiglio europeo di Copenhagen (dicembre 2002) ha rinviato l’ingresso di Bulgaria e Romania al 2007, ed ha auspicato l’entrata in vigore del Trattato di adesione dei 10 nuovi Stati membri entro il 1° maggio 2004.
Le modifiche disposte dall'Atto di adesione (parte II, titolo I, artt.11-17; parte IV, titolo I, artt.25 e 26; parte V, titolo I, artt.43-52) riguardano in particolare:
a) composizione del Parlamento europeo;
b) ponderazioni dei voti in sede di Consiglio dei Ministri dell’Unione europea;
c) composizione della Commissione europea;
d) composizione dei seguenti organi: Corte di giustizia, Tribunale di primo grado, Comitato economico e sociale, Comitato delle regioni.
Per le elezioni relative alla legislatura 2004-2009, l’Atto di adesione prevede chea tutti gli Stati membri sia assegnato il numero dei seggi previsto dal Protocollo e dalla Dichiarazione sull'allargamento allegati al Trattato di Nizza aumentato, provvisoriamente e fino alla scadenza della legislatura (giugno 2009), del numero dei seggi non attribuiti a Bulgaria e Romania, distribuiti proporzionalmente fra tutti gli Stati membri. Rispetto alla Dichiarazione sull’allargamento, ad Ungheria e Repubblica ceca sono attribuiti due seggi in più[101].
A partire dall’ingresso nell’Unione europea di Bulgaria e Romania a tali Stati verrebbe attribuito il numero dei seggi loro riservati dalla Dichiarazione sull'allargamento allegata al Trattato di Nizza. Gli altri Stati membri (quelli attualmente membri dell'Unione e gli Stati aderenti) conserverebbero fino alla scadenza della legislatura 2004-2009 i seggi previsti dall’Atto di adesione. Pertanto, nel complesso della legislatura, il numero dei seggi del Parlamento europeo potrebbe risultare superiore al tetto di 732 fissato a Nizza.
A partire dalla legislatura 2009-2013 tutti gli Stati dovrebbero avere un numero di seggi corrispondente alla ripartizione prevista dalla Dichiarazione relativa all’allargamento dell’Unione europea allegata al Trattato di Nizza, con la sola correzione, già indicata, di due seggi in più per Ungheria e Repubblica Ceca, per un totale di 736 seggi[102].
A partire dal 1° novembre 2004 l’Atto di adesione prevede l'entrata in vigore della nuova ponderazione dei voti prevista dal Trattato di Nizza. Il ritardato ingresso di Bulgaria e Romania comporta ovviamente una diminuzione del numero dei voti necessari per conseguire la maggioranza qualificata in seno al Consiglio: rispetto alla soglia prevista dal Trattato di Nizza (258 voti su un totale di 345 disponibili), l’Atto di adesione fissa la maggioranza qualificata a 232 voti (su un totale di 321). Per l’adozione di un atto da parte del Consiglio saranno quindi necessari almeno 232 voti se la deliberazione è su proposta della Commissione, e 232 voti espressi da almeno due terzi degli Stati membri, negli altri casi[103].
Occorre infine ricordare che l’Atto di adesione non modifica la disposizione del Protocollo sull’allargamento del Trattato di Nizza per cui, in caso di adozione di una decisione a maggioranza qualificata, un membro del Consiglio può chiedere di verificare che gli Stati membri che compongono tale maggioranza qualificata rappresentino almeno il 62% della popolazione totale dell’Unione.
L’Atto di adesione prevede, conformemente a quanto previsto dal Trattato di Nizza, che ogni Stato membro aderente abbia diritto, a partire dalla data di adesione, a che un suo cittadino sia nominato membro della Commissione europea.
L’Atto di adesione stabiliva, inoltre, la scadenza della precedente Commissione, prevedendo che la successiva Commissione, composta da un cittadino di ogni Stato membro, si sarebbe insediata il 1° novembre 2004, con un mandato che scadrà il 31 ottobre 2009[104].
L'Atto di adesione prevede l'integrazione della composizione della Corte di Giustizia, del Tribunale di primo grado e della Corte dei conti con dieci giudici ciascuno. L'Atto di adesione non contiene, invece, disposizioni volte a modificare direttamente il numero degli avvocati generali, attualmente fissato a otto. Tuttavia la Dichiarazione n. 2, allegata al Trattato di adesione, richiama l'articolo 222 del TCE, per cui il Consiglio può all'unanimità aumentare il numero degli avvocati generali. In alternativa la Dichiarazione prevede che i nuovi Stati membri saranno associati al sistema vigente per la nomina degli avvocati generali.
Si ricorda che l'articolo 223 del TCE prevede che gli avvocati generali siano nominati di comune accordo per sei anni dai Governi degli Stati membri e che l'articolo 247 del TCE prevede che la Corte dei conti sia composta da un cittadino per ogni Stato membro.
L'Atto di adesione integra la composizione del Comitato economico e sociale e del Comitato delle regioni con i membri attribuiti agli Stati aderenti secondo lo schema previsto dalla Dichiarazione sull'allargamento allegata al Trattato di Nizza, con modalità identiche per tutti e due gli organi. Gli attuali Stati membri conservano il numero dei membri loro attribuito e la composizione dei due Comitati passa da 222 a 317 membri.
RIPARTIZIONE DEI SEGGI AL PARLAMENTO EUROPEO (tabella 1)
|
Seggi attuali |
A partire dalla legislatura 2004-2009 |
Dopo l’adesione della Bulgaria e della Romania |
|
|
|
|
Fino
all’elezione |
A
partire delle elezioni |
Germania |
99 |
99 |
99 |
99 |
Francia |
87 |
78 |
78 |
72 |
Italia |
87 |
78 |
78 |
72 |
Regno unito |
87 |
78 |
78 |
72 |
Spagna |
64 |
54 |
54 |
50 |
Paesi bassi |
31 |
27 |
27 |
25 |
Belgio |
25 |
24 |
24 |
22 |
Grecia |
25 |
24 |
24 |
22 |
Portogallo |
25 |
24 |
24 |
22 |
Svezia |
22 |
19 |
19 |
18 |
Austria |
21 |
18 |
18 |
17 |
Danimarca |
16 |
14 |
14 |
13 |
Finlandia |
16 |
14 |
14 |
13 |
Irlanda |
15 |
13 |
13 |
12 |
Lussemburgo |
6 |
6 |
6 |
6 |
STATI ADERENTI |
||||
Polonia |
|
54 |
54 |
50 |
Repubblica Ceca |
|
24 |
24 |
22 |
Ungheria |
|
24 |
24 |
22 |
Slovacchia |
|
14 |
14 |
13 |
Lituania |
|
13 |
13 |
12 |
Lettonia |
|
9 |
9 |
8 |
Slovenia |
|
7 |
7 |
7 |
Estonia |
|
6 |
6 |
6 |
Cipro |
|
6 |
6 |
6 |
Malta |
|
5 |
5 |
5 |
STATI CANDIDATI |
||||
Romania |
|
|
36 |
33 |
Bulgaria |
|
|
18 |
17 |
TOTALE |
626 |
732 |
786[105] |
736 |
PONDERAZIONE DEI VOTI IN SEDE DI CONSIGLIO (tabella 2)
Stato membro |
Voti attuali |
Voti dal 1° maggio
2004 |
Voti a partire dal 1° novembre 2004 |
Germania |
10 |
10 |
29 |
Francia |
10 |
10 |
29 |
Italia |
10 |
10 |
29 |
Regno unito |
10 |
10 |
29 |
Spagna |
8 |
8 |
27 |
Polonia |
|
8 |
27 |
Paesi bassi |
5 |
5 |
13 |
Grecia |
5 |
5 |
12 |
Repubblica Ceca |
|
5 |
12 |
Belgio |
5 |
5 |
12 |
Ungheria |
|
5 |
12 |
Portogallo |
5 |
5 |
12 |
Svezia |
4 |
4 |
10 |
Austria |
4 |
4 |
10 |
Slovacchia |
|
3 |
7 |
Danimarca |
3 |
3 |
7 |
Finlandia |
3 |
3 |
7 |
Irlanda |
3 |
3 |
7 |
Lituania |
|
3 |
7 |
Lettonia |
|
3 |
4 |
Slovenia |
|
3 |
4 |
Estonia |
|
3 |
4 |
Cipro |
|
2 |
4 |
Lussemburgo |
2 |
2 |
4 |
Malta |
|
2 |
3 |
TOTALE UE |
87 |
124 |
321 |
Maggioranza qualificata |
62 (71,26% dei voti totali) |
88 (70,97%dei voti totali) |
232 (72,97% dei voti totali) |
Minoranza di blocco |
26 |
37 |
90 |
L’articolo 3 dell’Atto relativo alle condizioni di adesione e agli adattamenti dei Trattati sui quali si fonda l’Unione europea, allegato al Trattato di adesione, regola l’applicazione dell’acquis di Schengen e delle disposizioni in materia di libera circolazione delle persone e delle merci ai 10 Paesi che entreranno a far parte dell’Unione europea.
L' ”Accordo di Schengen”, firmato il 14 giugno 1985,conteneva essenzialmente una dichiarazione di intenti, prefigurando la creazione di uno spazio comune entro il 1° gennaio 1990, attraverso la progressiva eliminazione dei controlli alle frontiere sia delle merci sia delle persone, che richiedeva l’introduzione di «misure di compensazione», soprattutto in materia di sicurezza, attraverso una collaborazione nei campi della giustizia, polizia e immigrazione. È risultata così necessaria la predisposizione di una Convenzione di applicazione, contenente le modalità della soppressione del controllo delle persone, firmata il 19 giugno 1990 a Schengen. Con la firma del Trattato di Amsterdam, il “pacchetto” di misure di Schengen (“acquis” di Schengen) è stato inserito all’interno del Trattato sull’Unione europea. In particolare, il Protocollo allegato al medesimo Trattato ha individuato in modo puntuale gli atti che costituiscono l’acquis di Schengen:
§ l’accordo, firmato a Schengen il 14 giugno 1985, tra i Governi degli Stati dell’Unione economica del Benelux, la Repubblica federale di Germania e la Repubblica francese;
§ la Convenzione, firmata a Schengen il 19 giugno 1990, tra il Regno del Belgio, la Repubblica federale di Germania, la Repubblica francese, il Granducato di Lussemburgo e il Regno dei Paesi Bassi, recante applicazione dell’accordo di Schengen, nonché l’atto finale e le dichiarazioni comuni relativi;
§ i protocolli e gli accordi di adesione all’accordo del 1985 e la Convenzione di applicazione del 1990 con l’Italia (firmata a Parigi il 27 novembre 1990), la Spagna e il Portogallo (entrambe firmate a Bonn il 25 giugno 1991), la Grecia (firmata a Madrid il 6 novembre 1992), l’Austria (firmata a Bruxelles il 28 aprile 1995) e la Danimarca, la Finlandia e la Svezia (tutte firmate a Lussemburgo il 19 dicembre 1996), con i relativi atti finali e dichiarazioni.
§ le decisioni e le dichiarazioni adottate dal Comitato esecutivo istituito dalla Convenzione di applicazione del 1990, nonché gli atti per l’attuazione della Convenzione adottati dagli organi cui il Comitato esecutivo ha conferito poteri decisionali.
Per quanto riguarda i contenuti, si ricorda che l'Accordo di Schengen si articola in due titoli: il Titolo I, relativo a misure a breve termine di carattere organizzativo e amministrativo (viene delineata una organizzazione dei posti di frontiera, intesa a facilitare lo scorrimento del traffico delle persone e delle merci); il Titolo II, contenente misure applicabili a lungo termine ed impegni di principio. La Convenzione di applicazione dell'Accordo si compone di 142 articoli, suddivisi in titoli.
In particolare, la norma dispone che:
¨ gli atti che compongono l’acquis di Schengen, come individuati dal Protocollo allegato al Trattato di Amsterdam e nuovamente elencati nell’allegato I del Trattato di adesione, sono immediatamente vincolanti ed applicabili ai nuovi Stati membri (paragrafo 1);
¨ gli atti adottati dall’Unione europea basati ovvero connessi all’acquis (si tratta sostanzialmente delle disposizioni relative alla rimozione dei controlli alle frontiere interne dell’Unione), sono vincolanti per i nuovi Stati membri ma non direttamente applicabili (paragrafo 2).
La relazione governativa che accompagna il disegno di legge di ratifica in esame sottolinea che il carattere comunque vincolante degli atti di cui al paragrafo 2 è volto ad evidenziare l’obbligo e non la mera facoltà di realizzare i necessari adeguamenti, da parte dei nuovi Stati aderenti, al “sistema Schengen”. Inoltre, la medesima relazione ricorda che per tali atti è stata delineata un’applicazione articolata in due fasi:
· al momento dell’adesione i nuovi Paesi membri devono avere compiuto decisivi progressi nei sistemi di controllo delle frontiere interne e devono altresì migliorare i sistemi di controllo alle frontiere esterne;
· l’eliminazione definitiva dei controlli alle frontiere interne e la conseguente piena applicazione degli atti individuati dal paragrafo 2 avverrà solo successivamente all’adesione e a seguito di una decisione del Consiglio, sentito il Parlamento europeo come prevede il secondo capoverso del paragrafo 2. Ai fini dell’assunzione della decisione, il Consiglio è tenuto a verificare il rispetto dei requisiti necessari per l’applicazione degli atti richiamati da parte di ciascuno Stato aderente[106].
La relazione governativa segnala, inoltre, che i Paesi candidati hanno predisposto un “piano d’azione Schengen” nel quale si individua tra l’altro la tempistica relativa all’attuazione delle disposizioni contenute negli atti di cui al paragrafo 2.
In linea con quanto delineato dal sistema Schengen circa la necessità di compensare la progressiva eliminazione dei controlli alle frontiere con misure di stretta cooperazione nei campi della giustizia, polizia e immigrazione (su cui si veda infra), i paragrafi successivi dell’articolo 3 stabiliscono precisi obblighi dei nuovi Stati membri in ordine alla collaborazione in materia penale e di giustizia, in particolare, attraverso l’impegno: ad aderire alle convenzioni ovvero agli strumenti negli ambiti della giustizia e degli affari interni che alla data di adesione sono aperti alla firma degli attuali Stati membri e a quelli che sono elaborati dal Consiglio in conformità al titolo VI del Trattato UE (si tratta delle norme comuni sulla concorrenza, sulla fiscalità e sul ravvicinamento delle legislazioni) e raccomandati agli Stati membri per l’adozione; ad adottare disposizioni per agevolare la cooperazione tra le istituzioni e le organizzazioni degli Stati membri operanti nei settori della giustizia e degli affari interni (par. 4)[107].
Si segnala, infine, che l’Atto di adesione istituisce degli strumenti di finanziamento di carattere temporaneo in favore degli Stati aderenti, che ne potranno beneficiare fra la data di adesione e la fine dell’anno 2006 per raggiungere un pieno adeguamento al sistema comunitario. In particolare, l’articolo 34 introduce l’assistenza finanziaria denominata “strumento di transizione”, che aiuta i nuovi Stati membri a sviluppare e rafforzare la propria capacità istituzionale di attuare la normativa comunitaria in determinati settori, attraverso azioni che non possono essere finanziate dai fondi strutturali. Tra i settori indicati, vi è quello della giustizia e affari interni, ivi compresi gli interventi volti a rafforzare i controlli alle frontiere esterne. Inoltre, l’articolo 35 istituisce uno specifico “strumento Schengen” diretto a potenziare le azioni di controllo dei Paesi candidati alle nuove frontiere esterne per l’attuazione dell’acquis di Schengen. La norma individua quindi gli interventi ammessi al finanziamento nonché gli importi per ciascuno degli anni 2004, 2005 e 2006, destinati ai singoli Stati aderenti. Tra gli interventi da finanziare, si ricordano gli investimenti per la costruzione o il miglioramento delle infrastrutture per l’attraversamento delle frontiere, per la formazione delle guardie di frontiera, per i costi logistici e operativi. I singoli Stati aderenti sono direttamente responsabili delle scelte e dell’attuazione degli interventi realizzati in base ai finanziamenti in esame, sull’uso dei quali la Commissione è competente a svolgere verifiche, attraverso l’Ufficio per la lotta antifrode, anche effettuando controlli sul posto. La Commissione può altresì adottare i provvedimenti tecnici necessari al funzionamento dello strumento in esame.
Le questioni finanziarie conseguenti all’ingresso dei nuovi Stati membri sono regolate dall’Atto di adesione sia per la parte relativa alla partecipazione degli Stati membri al bilancio comunitario sia per quanto riguarda le modalità di erogazione degli stanziamenti comunitari a favore dei nuovi Stati membri a titolo di azioni strutturali, pagamenti diretti in agricoltura e risorse finanziarie aggiuntive.
In particolare, per quanto riguarda la politica di coesione, si ricorda che la politica regionale e l’ammissione dei nuovi Stati membri ai finanziamenti comunitari relativi ai fondi strutturali è affrontata dal Trattato nei suoi due aspetti principali, quello degli adattamenti normativi, che l’estensione dell’acquis comunitario comporta, e quello connesso alle modifiche del quadro finanziario, che il passaggio da 15 a 25 del numero degli Stati membri dell’Unione richiede.
Il primo punto è disciplinato dalla sezione 15° “Politica regionale e coordinamento degli strumenti strutturali” dell’Allegato II[108], cui rimanda l’art. 20 dell’Atto di adesione (parte III - disposizioni permanenti), relativo agli adattamenti degli atti delle istituzioni. In particolare, la citata sezione dell’Allegato riporta le modifiche ai rilevanti atti della legislazione comunitaria in materia di politica regionale e coordinamento degli strumenti strutturali che si rendono necessarie al fine di consentire ai nuovi Stati membri l’accesso ai fondi strutturali, dalla data di adesione fino al 31 dicembre 2006.
Più in particolare[109]:
· Obiettivo 1 (finalizzato allo sviluppo delle regioni in ritardo di sviluppo) - All’Obiettivo 1 è assegnato, per il periodo 2004-2006 un totale di 13.234,3 miliardi di euro, pari al 93,49% degli stanziamenti per i fondi strutturali. L’idoneità delle regioni è stata determinata sulla base del PIL pro-capite su base regionale a livello NUTS 2 prendendo come riferimento gli anni 1997, 1998 e 1999[110].
· Obiettivo 2 (relativo alla riconversione economica e sociele delle zone con difficoltà strutturale) – All’Obiettivo 2 è assegnato, per gli anni 2004-2006, un totale di 121,2 miliardi di euro, pari allo 0,86 % degli stanziamenti per i fondi strutturali. La partecipazione a questo obiettivo è stata prevista per il 31% della popolazione delle aree non comprese nell’obiettivo 1[111];
· Obiettivo 3 (relativo allo sviluppo delle risorse umane) - All’Obiettivo 3 è assegnato un totale, per il periodo 2004-2006, di 111,6 miliardi di euro, pari allo 0,79% degli stanziamenti dei fondi strutturali[112];
· Iniziative comunitarie - I nuovi Stati membri riceveranno i finanziamenti delle iniziative comunitarie Interreg (cooperazione tra le regioni) ed Equal (che mira all’eliminazione delle cause di disuguaglianze e discriminazioni nell’accesso al mercato del lavoro), mentre fra il 2004 e il 2006 non sono attuate le iniziative Leader+ (scambi di esperienze fra operatori di zone rurali) e Urban (Risanamento centri urbani e quartieri degradati). Ad Interreg e ad Equal è destinato complessivamente il 4,58% degli stanziamenti dei fondi strutturali.
· Fondo di coesione – Tutti i nuovi Stati membri sono idonei a ricevere finanziamenti: l’idoneità è stata determinata sulla base del PIL pro-capite prendendo come riferimento gli anni 1998, 1999, e 2000.
L’art. 32 specifica poi che gli stanziamenti supplementari massimi per la rubrica 2 (Azioni strutturali) delle prospettive finanziarie, concernenti l’allargamento, sono riportati nell’Allegato XV dell’Atto di adesione[113], che riporta la dotazione finanziaria complessiva per le azioni strutturali per i nuovi Stati membri fissata a 21,75 miliardi di euro per il periodo fra il 2004 e il 2006.
Con l’Allegato XV quindi l’Atto di adesione recepisce gli accordi negoziali[114] coi paesi candidati per quanto riguarda i fondi strutturali, nel quadro finanziario approvato dal Consiglio europeo di Copenaghen del dicembre 2002.
La questione dei pagamenti diretti nel settore agricolo, che nei negoziati ha costituito uno dei maggiori punti di contrasto, è regolata dalla sezione 2° “Agricoltura” dell’Allegato II[115], cui rimanda l’art. 20 dell’Atto di adesione (parte III - disposizioni permanenti) relativo agli adattamenti degli atti delle istituzioni.
Tale allegato dispone, in linea con le decisioni del Consiglio di Copenaghen del dicembre 2003, che i pagamenti diretti verranno erogati ai nuovi Stati membri in conformità del seguente schema di incrementi espressi in percentuale del livello di tali pagamenti nella Comunità a 15 membri al 30 aprile 2004:
2004: 25% |
2009: 60% |
2005: 30% |
2010: 70% |
2006: 35% |
2011: 80% |
2007: 40% |
2012: 90% |
2008: 50% |
2013: 100% |
Il medesimo allegato stabilisce che, previa autorizzazione della Commissione, i nuovi Stati membri hanno la possibilità di integrare gli aiuti diretti concessi agli agricoltori[116], mentre dal 2007 è prevista la possibilità di incrementare gli aiuti di massimo 30 punti percentuali, ma in nessun caso l’integrazione potrà dar luogo nei nuovi Stati membri a pagamenti diretti superiori al 100% del livello vigente nell’UE.
Infine, una serie di risorse finanziarie aggiuntive sono previste a favore dei nuovi Stati membri:
· l’art. 34 dell’Atto di adesione disciplina lo “strumento di transizione”, col quale viene fornita un’assistenza finanziaria temporanea al fine di sviluppare e rafforzare la capacità amministrativa di attuare e applicare la normativa comunitaria. Si applica ad azioni che non possono essere finanziate dai fondi strutturali. Gli stanziamenti previsti per lo strumento di transizione, sono complessivamente pari a 380 milioni di euro[117] per il periodo 2004-2006 (voce “Misure transitorie per il rafforzamento istituzionale”, della Tabella riportata dal citato Allegato XV);
· l’art. 35 istituisce lo strumento Schengen (su cui si veda anche il paragrafo precedente);
· la tabella riportata nell’Allegato XV prevede anche una voce relativa a misure transitorie a favore dei nuovi Stati membri in materia di sicurezza nucleare, con un finanziamento totale di 375 milioni di euro[118] per il periodo 2004-2006.
La Bulgaria e la Romania hanno avanzato domanda di adesione all’Unione europea rispettivamente il 14 dicembre 1995 e il 22 giugno 1995. I negoziati, avviati per entrambi i paesi il 15 febbraio 2000, sono stati dichiarati conclusi dal Consiglio europeo del dicembre 2004, che ha auspicato di accogliere Bulgaria e Romania quali nuovi Stati membri a partire dal 1° gennaio 2007, a condizione che continuino ad impegnarsi e completino tempestivamente e positivamente tutte le riforme necessarie.
Il processo di adesione della Bulgaria e della Romania è quasi concluso: il Trattato di adesione è stato firmato il 25 aprile 2005, in occasione della riunione del Consiglio affari generali e relazioni esterne, dopo l’espressione del parere da parte del Parlamento europeo, il 13 aprile 2005. La data di entrata in vigore del Trattato è fissata al 1° gennaio 2007, a condizione che tutti gli strumenti di ratifica siano stati depositati prima di tale data. Al momento, il trattato di adesione risulta ratificato, oltre che dall’Italia (legge n. 16 del 9 gennaio 2006), da Bulgaria, Cipro, Estonia, Grecia, Lettonia, Malta, Polonia, Portogallo, Regno Unito, Repubblica ceca, Repubblica slovacca, Romania, Spagna e Ungheria. Con la firma del Trattato, la Bulgaria e la Romania sono considerati paesi aderenti e partecipano come osservatori attivi a tutti i comitati e organi dell’UE.
Va segnalato che nel Trattato di adesione è stata inserita una clausola di salvaguardia addizionale che prevede che il Consiglio, su proposta della Commissione, possa decidere di rinviare l’adesione di un anno se non dovessero essere rispettati gli impegni assunti in materia di preparazione all’adesione (vedi infra).
Il 25 ottobre 2005 la Commissione ha pubblicato le relazione globali di verifica del grado di preparazione della Bulgaria e della Romania in vista dell’adesione all’Unione europea. Le relazioni segnalano che entrambi i paesi hanno compiuto buoni progressi e dovrebbero essere in grado di rispettare i criteri previsti dall’Unione europea per il 1° gennaio 2007, a condizione che concentrino tutti i loro sforzi sulle riforme, in particolare sulla loro reale attuazione. La prossima revisione del processo di preparazione di Bulgaria e Romania è prevista per il mese di maggio 2006.
II Trattato di adesione propriamente detto è composto da sei articoli.
L’articolo 1 prevede, al comma 1, che la Bulgaria e la Romania divengano membri dell’Unione europea, e, ai sensi del comma 2, Parti del Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa e del Trattato istitutivo della Comunità europea dell’energia atomica (EURATOM). Il comma 3 stabilisce che le condizioni e modalità di ammissione sono contenute nel Protocollo allegato al Trattato di adesione, del quale costituisce parte integrante. Inoltre (comma 4), il Protocollo con relativi allegati è allegato al Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa e al Trattato EURATOM, dei quali parimenti costituisce parte integrante.
L’articolo 2, comma 1, fornisce un’opzione alternativa per l’eventualità che il Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa non entri in vigore prima del Trattato di adesione (ossia in data antecedente al 1° gennaio 2007): qualora si realizzi tale ipotesi – eventualità oggi assai probabile considerato lo stato delle ratifiche del Trattato costituzionale ed in particolare la bocciatura francese e olandese – la Bulgaria e la Romania diverranno Parti dei Trattati attualmente vigenti e i commi 2-4 del precedente articolo 1 avranno applicazione solo dopo l’entrata in vigore del Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa. Nelle more dell’entrata in vigore del Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa, a norma del comma 2, si applicheranno – sia per le condizioni di ammissione della Bulgaria e della Romania alla UE, che per gli adattamenti dei Trattati vigenti che ne conseguono – le disposizioni dell’Atto, anch’esso allegato al Trattato di adesione, e che ne costituisce parte integrante. In ogni modo, il comma 3 prevede che il Protocollo di cui in precedenza sostituisca l’Atto di adesione a partire dall’entrata in vigore del Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa, ma senza che ciò comporti nuovi effetti giuridici rispetto a quelli a quel punto già prodotti dall’Atto di adesione.
L’articolo 3 precisa che l’entrata in vigore del Trattato comporta l’applicazione, nei confronti di Romania e Bulgaria, di tutte le disposizioni relative ai diritti ed agli obblighi degli Stati membri nonché ai poteri ed alle competenze delle istituzioni dell’Unione, contenute nei Trattati di cui la Bulgaria e la Romania diventano Parti.
L’articolo 4, comma 1, prevede la ratifica del Trattato di adesione, da parte di tutti gli Stati contraenti, secondo le rispettive norme costituzionali, nonché il deposito dei relativi strumenti, non oltre il 31 dicembre 2006, presso il Governo italiano. Il deposito degli strumenti di ratifica nei termini anzidetti costituisce (comma 2) condizione necessaria per l’entrata in vigore del Trattato di adesione il 1° gennaio 2007. Se, tuttavia, la Romania o la Bulgaria non dovessero depositare il proprio strumento di ratifica nei termini stabiliti, il Trattato di adesione avrà effetto solo per l’altro Stato. La rimanente parte del comma 2 contempla la possibilità che il Trattato di adesione entri in vigore un anno più tardi, e dunque il 1° gennaio 2008, qualora il Consiglio UE adotti per entrambi gli Stati, o per uno solo di essi, la decisione prevista dall’art. 39 del Protocollo – o, anteriormente all’entrata in vigore del Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa, dal medesimo articolo dell’Atto di adesione.
L’art. 39 in questione, e segnatamente il comma 1, prevede che se il monitoraggio della Commissione UE sul progresso nell’adeguamento della Bulgaria e della Romania all’acquis communautaire, che prosegue per tutto il periodo precedente l’adesione, dovesse dare risultati insoddisfacenti, una deliberazione unanime del Consiglio UE, su raccomandazione della Commissione, potrà determinare lo slittamento di un anno della data di adesione dello Stato inadempiente. Per la sola Romania è prevista la possibilità (commi 2 e 3) che il Consiglio deliberi, a maggioranza qualificata, lo stesso slittamento di un anno qualora risultassero gravi carenze nell’attuazione del piano di azione di Schengen, nel settore della politica della concorrenza relativamente all’Accordo di associazione con l’UE già in vigore dal 1995, e per quanto riguarda i requisiti e impegni in materia di sorveglianza e controllo delle frontiere esterne.
Il Protocollo di adesione che, come accennato - con i suoi allegati - forma parte integrante del Trattato, si compone di 61 articoli ed è basato sul Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa e sul trattato EURATOM. L’Atto di adesione, che si basa invece sui testi vigenti del Trattato sull’Unione europea (TUE) e del Trattato istitutivo della Comunità europea (TCE), nonché anch’esso sul Trattato EURATOM, conta parimenti 61 articoli.
A parte gli iniziali riferimenti alle diverse basi (e ipotesi) giuridiche cui il Protocollo e l’Atto si riferiscono, la struttura di essi è praticamente identica, ed è quindi possibile sintetizzarne i contenuti attraverso un unico schema:
§ Parte I: principi dell’adesione;
§ Parte II: adattamenti del Trattato costituzionale (solo per il Protocollo), del TUE e del TCE:
§ Parte III: disposizioni permanenti (che includono le modifiche agli atti delle Istituzioni comunitarie);
§ Parte IV: disposizioni temporanee. In questa sezione sono richiamate le misure transitorie applicabili alla Bulgaria e alla Romania, come anche una serie di disposizioni istituzionali valide nel periodo tra l’adesione bulgara e rumena e una serie di scadenze istituzionali rilevanti. Sono presenti nella Parte IV anche le disposizioni finanziarie, nonché le clausole di salvaguardia. Le clausole di salvaguardia (artt. 36-40 del Protocollo e dell’Atto di adesione) consentono di non applicare alcune parti dell'acquis comunitario. In alcuni settori, infatti, possono insorgere difficoltà per effetto dell'adesione di nuovi Stati. Nel Protocollo (ovvero nell’Atto) di adesione l'ambito delle clausole di salvaguardia riguarda i seguenti settori: economia, mercato interno, cooperazione nel settore della giustizia e degli affari interni (GAI).
§ parte V - disposizioni di applicazione.
L’art. 20 del Protocollo di adesione (art. 23 dell’Atto), tramite rinvio agli allegati VI e VII, rispettivamente concernenti le misure transitorie applicabili alla Bulgaria e alla Romania, individua le deroghe di carattere transitorio all’acquis communautaire. Le principali deroghe sono previste in tema di:
§ libera circolazione dei capitali;
§ diritto societario;
§ politica della concorrenza;
§ agricoltura;
§ trasporti;
§ settore fiscale;
§ settore dell’ambiente.
L’articolo 4, sia del Protocollo chedell’Atto di adesione regolano l’applicazione dell’acquis di Schengen (cfr. supra l’analogo paragrafo l’acquis di Schengen relativo al Trattato di adesione dei dieci nuovi Stati membri) ai due nuovi Paesi che entreranno a far parte dell’Unione europea.
In particolare, si prevede che gli atti che compongono l’acquis di Schengen sono immediatamente vincolanti ed applicabili ai nuovi Stati membri.
Si ricorda che in base all’art. 8 del Protocollo n. 2, annesso ai vigenti Trattati UE e CE, l’insieme delle disposizioni dell’acquis Schengen (e altre misure adottate dalle istituzioni dell’Unione europea rientranti nel campo d’applicazione di tale acquis) rappresentano un corpus normativo che deve essere integralmente accettato da tutti gli Stati aderenti all’Unione europea.
Gli atti adottati dall’Unione europea basati ovvero connessi all’acquis sono invece vincolanti per i nuovi Stati membri (a partire dalla data di adesione) ma non direttamente applicabili, essendo a tal fine necessaria una decisione adottata dal Consiglio.
Nell’ambito del Trattato di adesione particolare attenzione è dedicata alla questione della libera circolazione dei lavoratori. In particolare, il Trattato introduce diverse clausole derogatorie, volte a rendere graduale la possibilità di ingresso dei lavoratori della Bulgaria e della Romania nell’ambito dell’Ue a seguito dell’adesione dei citati Paesi. Le deroghe riprendono quelle già applicate nei confronti di otto dei dieci Stati (sono esclusi Cipro e Malta) che sono entrati a far parte dell’Unione il 1 maggio 2004. Tali clausole prevedono altresì la facoltà per gli Stati membri di optare per l’applicazione immediata dell’intero acquis comunitario nei confronti dei nuovi Paesi aderenti.
In particolare, si prevedono tre periodi transitori:
§ nei primi due anni successivi all’adesione (quindi, fino al 1º gennaio 2009) non si attua la libera circolazione dei lavoratori e gli Stati membri applicheranno a Romania e Bulgaria le rispettive legislazioni nazionali;
§ trascorsi due anni dall’adesione (2009), si svolgeranno delle verifiche, con una relazione della Commissione, al termine delle quali gli Stati membri possono continuare ad applicare la misura transitoria per ulteriori tre anni ovvero liberalizzare l’accesso al lavoro, dovendo comunque comunicare il regime che intendono applicare;
§ dopo altri tre anni (2012), qualora si verifichino o possano verificarsi rischi di gravi perturbazioni del mercato del lavoro, gli Stati possono mantenere in vigore, per ulteriori due anni, la propria legislazione nazionale, informandone la Commissione.
Il regime transitorio, pertanto, cesserà definitivamente solo alla scadenza del settimo anno (2014), trascorso il quale nessuno Stato membro sarà più autorizzato a richiedere il permesso di lavoro ai lavoratori degli altri Stati membri.
Il Trattato di adesione di Bulgaria e Romania è articolato in due parti, di cui una destinata ad operare nel caso in cui il Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa entri in vigore entro il termine previsto per l’adesione (1° gennaio 2007), la seconda ad applicarsi fintanto che esso non entrerà in vigore.
In questa seconda ipotesi, al momento la più probabile, per il funzionamento delle istituzioni si applicheranno i Trattati vigenti e varranno le condizioni e le modalità di ammissione della Bulgaria e Romania contenute nell’Atto allegato al Trattato di adesione. Tra gli adattamenti alle disposizioni istituzionali contenute nei Trattati vigenti, si ricordano in particolare le seguenti:
§ composizione del Parlamento europeo (art. 9): viene modificato l’articolo 189, secondo comma, del Trattato che istituisce la Comunità europea (TCE), elevando la composizione massima del Parlamento da 732 a 736 membri. Si prevede che, a partire dalla legislatura 2009-2014 del Parlamento europeo, a Bulgaria e Romania siano assegnati rispettivamente 17 e 33 seggi[119];
§ ponderazione per il voto a maggioranza qualificata in seno al Consiglio (art. 10): si modifica l’articolo 205 del TCE e l’articolo 118 del Trattato CEEA, prevedendo che nelle deliberazioni del Consiglio e del Consiglio europeo che richiedono una maggioranza qualificata la ponderazione dei voti attribuiti ad ogni Stato membro venga modificata con l’attribuzione a Bulgaria e Romania rispettivamente di dieci e quattordici voti e con l’innalzamento della soglia per la validità delle deliberazioni da 232 a 255 voti, che esprimano il voto favorevole della maggioranza dei membri quando le deliberazioni avvengano su proposta della Commissione, o che esprimano il voto favorevole di almeno due terzi dei membri negli altri casi[120].
Per quanto riguarda la composizione del Parlamento europeo nel periodo antecedente al 2009, le disposizioni della parte IV, titolo II prevedono che, in deroga al numero massimo dei membri del Parlamento europeo fissato dall’articolo 189, secondo comma, del TCE, il numero dei membri del Parlamento europeo sia aumentato per tener conto dell’adesione di Bulgaria e Romania, con l’attribuzione di 18 membri alla Bulgaria e 35 membri alla Romania. Si prevede inoltre (articolo 24, comma 2) che Bulgaria e Romania precedano entro il 31 dicembre 2007 all’elezione al Parlamento, a suffragio universale diretto, dei rispettivi membri. Si dispone (articolo 24, comma 3) che se le elezioni si svolgono dopo la data di adesione, nel periodo compreso tra la data di adesione e le elezioni previste entro il 31 dicembre 2007, siano i Parlamenti di Bulgaria e Romania a nominare tra i loro membri i rappresentanti al Parlamento europeo.
La parte V, titolo I, reca poi le disposizioni relative all’ insediamento delle istituzioni e degli organi.
Per quanto riguarda la composizione della Commissione europea (art. 45): si prevede che un cittadino di ogni nuovo Stato membro sia nominato membro della Commissione a partire dalla data dell’adesione[121]: i nuovi membri sono nominati dal Consiglio, di comune accordo con il Presidente della Commissione, previa consultazione del Parlamento europeo ed il loro mandato scade contemporaneamente a quello dei membri che sono già in carica al momento dell’adesione di Bulgaria e Romania[122].
Per quanto riguarda l’assistenza finanziaria nel periodo successivo all’adesione, è già stato predisposto un quadro finanziario triennale[123], comune a Bulgaria e Romania, che prevede, nei tre anni successivi all’adesione, stanziamenti per circa 15,4 miliardi di euro e pagamenti per 9 miliardi di euro, così ripartiti:
· per l’adozione delle misure di mercato nell'ambito della politica agricola comune (PAC) 1.120 milioni di euro (388 per la Bulgaria e 732 per la Romania);
· per finanziare l’introduzione graduale dei pagamenti diretti, 1.312 milioni di euro fino al 2009 (431 milioni per la Bulgaria e 881 per la Romania);
· per il sostegno alla politica di sviluppo rurale, 3.041 milioni di euro (617 per la Bulgaria e 2.424 per la Romania);
· per le azioni strutturali (fondi strutturali e di coesione) 8.273 milioni di euro (di cui 2.300 per la Bulgaria e 5.973 per la Romania).
La Commissione europea ha adottato il 3 maggio 2006 una comunicazione in occasione del secondo anniversario dell'allargamento dell'Unione europea ai dieci nuovi Stati membri, "L'allargamento a due anni di distanza: un successo economico" (COM(2006)200-final), che esamina gli aspetti economici dell'allargamento ed è accompagnata da uno studio dettagliato e generale dell'Ufficio dei consiglieri per le politiche europee e della Direzione generale per gli affari economici e finanziari (Occasional papers n. 24 del 2006).
Nella comunicazione si evidenzia che l'ultimo allargamento ha catalizzato il dinamismo economico e la modernizzazione, aiutando le economie dei nuovi e vecchi Stati membri ad affrontare meglio la sfida della globalizzazione. Allo stesso tempo, i cambiamenti economici indotti dall'allargamento sono stati bene assorbiti, senza produrre impatti distruttivi soprattutto nel mercato del lavoro.
L'allargamento non ha suscitato problemi economici nella UE, non avendo innescato flussi migratori massicci dai nuovi ai vecchi Stati membri. Per contro, ha consentito uno sviluppo economico rapido della Ue-10, con un costo di 28 miliardi di euro a carico del bilancio della Ue negli ultimi 15 anni. Nel 2005 gli importi annuali trasferiti sono saliti raggiungendo la significativa percentuale del 2,1% del Pil della Ue-10, che corrisponde tuttavia soltanto allo 0,1% del Pil annuale dei vecchi Stati membri.
Un'attenta preparazione dell'allargamento nei 10 anni precedenti è stata la chiave di questo successo. In ogni caso, i restanti cambiamenti non devono essere sottovalutati. Tutti gli Stati membri dovranno, infatti, adattarsi alle nuove realtà (si pensi, in particolare, alla pressione sull'economia esercitata dalla globalizzazione), modernizzando i loro sistemi di welfare e diventando società basate sulla conoscenza e l'innovazione. Nell'era della concorrenza globale - non ultima l'Asia - un'economia dinamica è essenziale. L'allargamento ai dieci nuovi Stati ha consentito a tutti i Paesi membri dell'UE di compiere importanti passi avanti in questa direzione. L'integrazione economica europea aiuterà l'Unione ad essere maggiormente competitiva e a guadagnare dall'aumento degli scambi commerciali, migliorando la crescita e l'occupazione. Sia le imprese che i consumatori beneficeranno di un mercato interno allargato, dell'innovazione tecnologica, di una riduzione dei prezzi, cogliendo Anche le opportunità della nuova divisione del lavoro che sta emergendo a livello globale. La strategia di Lisbona e l'euro offrono un'adeguata cornice, in cui inserire i necessari cambiamenti strutturali.
In particolare, per quanto riguarda i dieci nuovi Stati, risulta che l'adesione all'Unione europea abbia prodotto un'accelerazione della loro crescita economica, particolarmente necessaria per il brusco incremento della disoccupazione verificatosi a causa degli aggiustamenti strutturali all'economia di mercato. Infatti, tali Stati, con una crescita economica media del 3¾% all'anno tra il 1997 e il 2005, hanno registrato risultati migliori dei vecchi Stati membri (Ue-15) (2½% in media nello stesso periodo), ma il loro tasso di disoccupazione, pari al 13,4%, continua a superare quello della Ue-15 di 5,5 punti percentuali.
Inoltre, l'adozione dell'acquis comunitario ha contribuito a riformare le vecchie economie centralizzate, consentendo di raggiungere la stabilità macroeconomica e dei mercati finanziari e di creare notevoli opportunità per le imprese, in quanto i Paesi della Ue-10 sono economie molto aperte.
I loro scambi (esportazioni più importazioni) rappresentano in media il 93% del loro Pil, a fronte di una media del 55% per la Ue-15. La quota della Ue-15 negli scambi totali della Ue-10 è salita da circa il 56% nel 1993 al 62% nel 2005. La Ue-10 ha registrato disavanzi commerciali significativi, come tipico per le economie in fase di recupero, ma decrescenti (circa il 3% del Pil nel 2005).
Gli Stati Ue-10 hanno attirato un volume consistente di investimenti diretti esteri (IDE), che hanno raggiunto un totale di 191 miliardi di euro nel 2004, mentre una decina d'anni prima essi erano praticamente inesistenti . Inoltre, hanno promosso cambiamenti strutturali in tutta l'Unione, in un momento particolarmente opportuno in quanto coincidente con l'affermazione dei mercati della Cina e dell'India.
A seguito dell'allargamento del 2004, i quindici Stati membri avevano la possibilità di introdurre misure transitorie relative all'accesso dei lavoratori provenienti da otto dei nuovi Stati (i lavoratori di Malta e Cipro erano esclusi) nel proprio mercato. La prima fase di applicazione di queste misure transitorie si è conclusa il primo maggio 2006 e i quindici Stati membri, entro il 30 Aprile 2006, avrebbero dovuto comunicare se essi avrebbero continuato ad applicare tali misure, ovvero misure risultanti da accordi bilaterali o ancora il diritto comunitario in materia. In assenza di tale notifica, si applica comunque il diritto comunitario a partire dal 1 maggio 2006. Per un approfondimento circa lo stato di tali notifiche, si veda la tabella in allegato.
Grazie al processo di allargamento, che costituisce da sempre un elemento chiave del progetto europeo, l’Unione europea è passata dagli originali 6 membri (Belgio, Germania, Francia, Italia, Lussemburgo e Paesi bassi) agli attuali 25. Gli allargamenti si sono verificati: nel 1973 (con l’ingresso di Danimarca, Irlanda e Regno Unito); nel 1981 (con l’ingresso della Grecia); nel 1986 (con l’ingresso di Portogallo e Spagna); nel 1995 (con l’ingresso di Austria, Finlandia e Svezia). L’ultimo allargamento risale al 1° maggio 2004, quando Cipro, Estonia, Lettonia, Lituania, Malta, Polonia, Repubblica ceca, Repubblica slovacca, Slovenia e Ungheria sono divenuti a pieno titolo Stati membri dell’Unione Europea (v. scheda I Trattati di adesione). Si è trattato di un allargamento storico che ha significato la riunificazione dell’Europa dopo decenni di divisioni.
Le fasi del processo di adesione - In base all’articolo 49 del Trattato sull’Unione europea, ogni paese europeo può presentare richiesta di adesione se rispetta i principi di libertà, democrazia, Stato di diritto, tutela dei diritti umani e delle libertà fondamentali, principi che sono comuni agli Stati membri. Il medesimo articolo stabilisce che sulla richiesta di adesione il Consiglio si esprime all’unanimità, previa consultazione della Commissione e previo parere conforme del Parlamento europeo. A conclusione di tale procedura, è il Consiglio europeo ad attribuire lo status di paese candidato.
L’apertura formale dei negoziati tra gli Stati membri e lo Stato candidato avviene sulla base di una decisione in tal senso del Consiglio europeo e dopo l’approvazione del mandato negoziale da parte del Consiglio. All’apertura formale dei negoziati segue la fase di screening - preliminare all’avvio dei negoziati tecnici veri e propri - cui partecipano esperti della Commissione e dello Stato interessato. L’obiettivo dello screening è quello di esaminare la legislazione del paese candidato sotto il profilo della compatibilità con l’acquis comunitario. L'acquis comunitario corrisponde alla piattaforma comune di diritti ed obblighi che vincolano l'insieme degli Stati membri nel contesto dell'Unione europea.
Una volta che, a seguito dei negoziati, tutti i capitoli siano stati positivamente esaminati, il risultato dei negoziati confluisce nel testo del Trattato di adesione, che è concordato tra gli Stati membri e il paese candidato e successivamente sottoposto alla Commissione per il parere. Sul testo del Trattato di adesione è richiesto il parere conforme del Parlamento europeo. Dopo la firma, il Trattato di adesione è sottoposto alla ratifica da parte di tutti gli Stati membri, nonché del paese interessato, conformemente alle rispettive norme costituzionali.
L’adesione può essere conseguita soltanto se il paese soddisfa i cosiddetti criteri di Copenaghen, stabiliti dal Consiglio europeo di Copenaghen del giugno 1993 e rafforzati dal Consiglio europeo di Madrid del 1995:
· criteri politici: istituzioni stabili in grado di garantire democrazia, Stato di diritto, diritti umani e protezione delle minoranze; |
· criteri economici: economia di mercato funzionante e capacità di far fronte alle pressioni concorrenziali e alle forze di mercato all’interno dell’Unione; |
· capacità di fare fronte agli obblighi derivanti dall’adesione, ivi compresi gli obiettivi dell’unione politica, economica e monetaria; · adozione dell’acquis comunitario e sua effettiva attuazione attraverso adeguate strutture amministrative e giudiziarie. |
In aggiunta, come ribadito in particolare in occasione dell’apertura dei negoziati di adesione della Turchia, nei futuri allargamenti si terrà conto anche della capacità di assorbimento dell’Unione europea. |
Nel corso del processo di adesione, l’Unione europea sostiene gli sforzi di ciascun paese attraverso una strategia di pre-adesione che si compone di diversi strumenti e meccanismi, tra i quali la partecipazione ai programmi, ai comitati e alle agenzie dell’UE, il dialogo politico, il programma nazionale di adozione dell’acquis comunitario, il cofinanziamento da parte di istituzioni internazionali, l’assistenza di preadesione, attraverso una serie di strumenti finanziari. Inoltre, il livello di preparazione di ciascun paese è costantemente monitorato dalla Commissione europea, che segue i progressi compiuti sulla strada dell’adesione e suggerisce i settori prioritari di intervento. I risultati dell’attività di monitoraggio e lo stato di attuazione delle riforme vengono resi pubblici attraverso relazioni periodiche. |
I paesi aderenti sono attualmente due, Bulgaria e Romania, la cuiadesione è prevista per il 1° gennaio 2007 .
La Turchia e la Croazia hanno avviato formalmente, il 3 ottobre 2005, i negoziati per l’adesione.
La ex Repubblica iugoslava di Macedonia ha ottenutolo status di paese candidato nel dicembre 2005.
Il processo di adesione della Bulgaria e della Romania è quasi concluso (v. scheda I Trattati di adesione).
La Bulgaria e la Romania hanno avanzato domanda di adesione all’Unione europea rispettivamente il 14 dicembre 1995 e il 22 giugno 1995. I negoziati, avviati per entrambi i paesi il 15 febbraio 2000, sono stati dichiarati conclusi dal Consiglio europeo del dicembre 2004, che ha auspicato di accogliere Bulgaria e Romania quali nuovi Stati membri a partire dal 1° gennaio 2007, a condizione che continuino ad impegnarsi e completino tempestivamente e positivamente tutte le riforme necessarie.
Il Trattato di adesione è stato firmato il 25 aprile 2005 e la data di entrata in vigore del Trattato è fissata al 1° gennaio 2007, a condizione che tutti gli strumenti di ratifica siano stati depositati prima di tale data.
La Croazia, dichiarata paese candidato dal Consiglio europeo del 17 e 18 giugno 2004, ha avviato formalmente i negoziati per l’adesione il 3 ottobre 2005.
Con l’apertura formale dei negoziati di adesione, nel mese di ottobre la Commissione ha avviato il processo di screening della legislazione croata. Al momento lo screening è stato completato per il capitolo negoziale scienza e ricerca ed è in corso di completamento per il capitolo negoziale istruzione e cultura. Sulla base di una proposta di posizione comune della Commissione, sarà il Consiglio a decidere l’avvio dei negoziati tecnici sul capitolo scienza e ricerca.
L’apertura dei negoziati di adesione con la Croazia era stata fissata dal Consiglio europeo di dicembre 2004 per il 17 marzo 2005, a condizione che il paese collaborasse pienamente con il Tribunale penale internazionale per la ex Iugoslavia. Solo il 3 ottobre 2005, una volta constatata la piena collaborazione del paese con il Tribunale penale internazionale per l’ex Iugoslavia, il Consiglio ha dato il via libera all’apertura dei negoziati.
In quanto paese candidato la Croazia usufruisce, a partire dal 1° gennaio 2005, degli attuali strumenti finanziari di preadesione.
L’ultima relazione sui progressi della Croazia, pubblicata dalla Commissione il 9 novembre 2005, segnala che il paese continua a rispettare i criteri politici richiesti per l’adesione e ha fatto passi in avanti, in particolare per quanto riguarda la riforma del sistema giudiziario, la cooperazione regionale e la condizione delle minoranze. Secondo la Commissione si rendono necessari ulteriori sforzi nella lotta alla corruzione, che resta un problema serio, nel miglioramento delle condizioni di vita di serbi e rom, che sono tuttora oggetto di discriminazioni, nella persecuzione dei reati con motivazioni etniche, nella risoluzione di tutte le questioni bilaterali pendenti. Dal punto di vista economico, le politiche macroeconomiche hanno assicurato un livello di inflazione relativamente basso, tassi di cambio stabili ed una significativa riduzione del deficit. Secondo la Commissione, vi sono tuttavia diverse questioni da affrontare: permangono squilibri fiscali; il processo di ristrutturazione industriale e di privatizzazione ha subito rallentamenti; lo sviluppo del settore privato è ostacolato da regole complesse e deficienze della pubblica amministrazione. Nella trasposizione del diritto comunitario, la Croazia ha fatto molti progressi, in particolare per quanto riguarda libera circolazione dei beni, società dell’informazione, istruzione e cultura, politica estera, di sicurezza e difesa. Sforzi significativi e sostenuti saranno necessari in materia di: ambiente, concorrenza, sicurezza alimentare, tassazione, politica regionale, agricoltura e politiche sociali.
La Turchia ha ottenuto lo status di paese candidato dal Consiglio europeo di Helsinki del dicembre 1999.
Sulla base della relazione periodica e della raccomandazione presentate dalla Commissione il 6 ottobre 2004, il Consiglio europeo del 16 e 17 dicembre 2004 ha deciso che la Turchia soddisfa sufficientemente i criteri politici di Copenaghen, fissando per il 3 ottobre 2005 la data di avvio dei negoziati di adesione, a condizione che entrassero in vigore alcuni specifici atti legislativi (legge sulle associazioni; nuovo codice penale; giurisdizione d’appello; codice di procedura penale; istituzione della polizia giudiziaria; esecuzione delle pene). Tale condizione è stata soddisfatta dalla Turchia il 1° giugno 2005.
Determinante per la decisione favorevole del Consiglio europeo di dicembre 2004 è stata la disponibilità manifestata dal Governo turco a firmare, prima dell’avvio dei negoziati, il protocollo che estende ai dieci nuovi Stati membri, compresa la Repubblica di Cipro, l’Accordo di associazione stipulato nel 1963 con la Comunità europea (cosiddetto Accordo di Ankara). La firma del protocollo è avvenuta il 29 luglio 2005. In occasione della firma, la Turchia ha allegato al protocollo una dichiarazione in cui riafferma di non riconoscere la Repubblica di Cipro. Il 21 settembre 2005, in una contro dichiarazione, l’Unione europea ha precisato fra l’altro che la dichiarazione della Turchia è unilaterale, non fa parte integrante del protocollo e non ha effetti giuridici sugli obblighi che derivano al paese dall’applicazione dell’accordo. Il 24 gennaio 2005 il ministro turco degli affari esteri, Abdullah Gül, ha annunciato una serie di iniziative destinate a migliorare le relazioni bilaterali con Cipro, a condizione che cessino le restrizioni verso i turco ciprioti, e la ripresa di dialoghi politici di alto livello tra le due parti. In particolare, le autorità di Ankara propongono di tenere entro maggio o giugno 2006 una riunione sotto l’egida dell’ONU a cui parteciperebbero la Turchia, la Grecia e i ciprioti greci e turchi.
Il 3 ottobre 2005 il Consiglio ha approvato il quadro negoziale con la Turchia, consentendo l’apertura formale dei negoziati per l’adesione del paese all’Unione europea, nella data stabilita dal Consiglio europeo del dicembre 2004. Come per la Croazia, anche per la Turchia è stata avviata la fase di screening.
Alla decisione del Consiglio si è arrivati dopo una lunga e delicata trattativa. Il principale ostacolo è stato rappresentato dalla richiesta austriaca di prevedere, quale sbocco alternativo dei negoziati con la Turchia, l’ipotesi di un partenariato privilegiato che questa non era disposta ad accettare. L’approvazione del quadro negoziale è stata resa possibile dalla rinuncia dell’Austria a tale ipotesi, a fronte di un rafforzamento nel testo dell’importanza della capacità di assorbimento dell’UE quale criterio di valutazione per le future adesioni.
Anche in considerazione delle diffuse preoccupazioni manifestate in alcuni Stati membri rispetto all’adesione della Turchia all’Unione europea nonché dell’esperienza acquisita nel corso dei precedenti allargamenti, il quadro negoziale approvato per la Turchia è per alcuni aspetti più stringente rispetto al passato.
Facendo seguito alle conclusioni del Consiglio europeo di Helsinki del 1999, l’8 marzo 2001 il Consiglio ha adottato un Partenariato per l’adesione della Turchia, aggiornato da ultimo il 23 gennaio 2006, che riunisce in un unico strumento-quadro le priorità per la preparazione all’adesione e le risorse finanziarie disponibili.
Nell’ultima relazione sui progressi della Turchia, pubblicata il 9 novembre 2005, la Commissione segnala che la Turchia continua a rispettare sufficientemente i criteri politici richiesti per l’adesione. Importanti riforme legislative sono in via di attuazione e dovrebbero comportare significativi cambiamenti del sistema, in particolar modo nel settore giudiziario. Ciò nonostante, secondo la Commissione permangono aspetti problematici sui quali è necessario intervenire (violazioni dei diritti umani, eccesso di potere delle forze armate, casi di tortura, limitazioni all’esercizio della libertà di espressione, problemi per le minoranze religiose non musulmane, violenze nei confronti delle donne). Quanto ai criteri economici, la Turchia può essere considerata un’economia di mercato funzionante. Considerevoli progressi sono stati fatti nella gestione e nel controllo della finanza pubblica, nella definizione del quadro regolamentare del settore bancario nonché nel processo di privatizzazione in corso. Preoccupazioni restano per quanto riguarda il recente aumento del deficit di spesa corrente delle finanze pubbliche. La Turchia si è adeguata alla legislazione dell’Unione europea in un largo numero di settori rilevanti. Rimane insufficiente l’allineamento nei settori finanziario e agricolo nonché nella politica di sicurezza e difesa.
La ex Repubblica iugoslava di Macedonia, che ha avanzato domanda di adesione all’Unione europea il 22 marzo 2004, ha ottenuto lo statusdi paese candidato dal Consiglio europeo del 15 e 16 dicembre 2005. Sulla base del parere favorevole espresso dalla Commissione, il Consiglio europeo ha tenuto conto in particolare dei progressi compiuti dal paese nell’attuazione dell’accordo di stabilizzazione ed associazione. Il Consiglio europeo ha precisato che ulteriori misure dovranno tenere conto delle discussioni sulla strategia per l’allargamento, del rispetto dei criteri e dei requisiti richiesti per l’adesione da parte dell’ex Repubblica iugoslava di Macedonia nonché della capacità di assorbimento dell’Unione europea.
Al momento non è prevista l’apertura dei negoziati di adesione.
La strategia della Commissione
Il 9 novembre 2005, congiuntamente alle relazioni sullo stato di preparazione dei singoli paesi, la Commissione ha presentato il documento di strategia 2005 sull’ampliamento in cui ha esposto i tre principi su cui si basa la strategia futura della Commissione in materia di allargamento:
· consolidamento degli impegni che i Capi di Stato e di governo dell’Unione europea hanno assunto nei confronti della Turchia e dei Balcani, tenendo in considerazione la capacità di assorbimento dell’UE e salvaguardando il buon funzionamento delle proprie istituzioni;
· rispetto delle condizioni per l’adesione, manifestando rigore nell’esigere dai paesi il rispetto dei criteri richiesti ed equità nel riconoscere e ricompensare i progressi compiuti;
· miglioramento della comunicazione per fugare le preoccupazioni e rendere più chiari i vantaggi dei futuri allargamenti, inaugurando un reale dialogo con i cittadini.
Il 16 marzo 2006, il Parlamento europeo ha adottato a larga maggioranza una risoluzione (397 voti a favore, 95 contrari e 37 astensioni) sul documento di strategia della Commissione, in cui in particolare:
· invita gli Stati membri e la Commissione a cooperare strettamente alla definizione di una strategia di comunicazione per rispondere alle legittime inquietudini dei cittadini europei nei confronti dell’ampliamento;
· approva l’accento posto dalla Commissione su condizioni eque e rigorose per assicurare che i progressi nei negoziati dipendano dalla chiara rispondenza di ciascun paese ai criteri richiesti;
· ritiene che la situazione di stallo in cui si trova il processo di ratifica del trattato che adotta una Costituzione per l'Europa impedisce all'Unione di accrescere la propria capacità di assorbimento;
· ricorda che la capacità di assorbimento dell'Unione, come definita nel Consiglio europeo di Copenaghen del 1993, resta una delle condizioni per l'adesione di nuovi paesi;
· ritiene che, per comprendere il significato della nozione di "capacità di assorbimento", sia fondamentale definire la natura dell'Unione europea, compresi i suoi confini geografici; chiede alla Commissione di presentare, entro il 31 dicembre 2006, una relazione che enunci i principi su cui si fonda tale definizione.
Rapporti tra l’Unione europea e i Balcani occidentali
Come ribadito in più occasioni dalle istituzioni europee, la prossima fase del processo di allargamento riguarda i paesi dei Balcani occidentali che, già in occasione del Consiglio europeo tenutosi a Feira il 19 e 20 giugno 2000, sono stati definiti “candidati potenziali all’adesione all’Unione europea”. Si tratta di Albania, Bosnia-Erzegovina, Serbia-Montenegro e Kosovo. La Croazia e l’ex Repubblica iugoslava di Macedonia sono già paesi candidati (cfr. paragrafo Le prospettive future).
Tale approccio è stato ribadito da ultimo il 10 e 11 marzo 2006, nel corso del Consiglio affari esteri informale che si è tenuto a Salisburgo e al quale hanno partecipato anche i paesi candidati e potenziali candidati dei Balcani occidentali.
L’impegno dell’Unione europea nei confronti dei Balcani è confermato anche nella citata strategia per l’allargamento presentata il 9 novembre 2005, in cui la Commissione segnala l’importanza di una prospettiva europea convincente per il proseguimento del processo di riforma in atto in questi paesi.
Peraltro, nell’ambito delle riforma dell’assistenza esterna, proposta dalla Commissione nel quadro delle nuove prospettive finanziarie 2007-2013 (v. scheda Prospettive finanziarie UE 2007-2013), è previsto che i Balcani occidentali beneficino dei finanziamenti dell’UE attraverso lo strumento dedicato all’assistenza preadesione.
Attualmente le relazioni tra l’Unione europea e i cinque paesi dei Balcani occidentali si svolgono prevalentemente nel quadro del Processo di stabilizzazione ed associazione (PSA), istituito nel 1999.
Su proposta della Commissione (COM (1999) 235), il PSA è stato approvato dal Consiglio il 21 giugno 1999. Gli strumenti che compongono il PSA, formalizzati al Vertice UE-Balcani di Zagabria del 2000, sono stati arricchiti da elementi ispirati al processo di allargamento nel giugno 2003, con l’approvazione da parte del Consiglio europeo della cosiddetta “Agenda di Salonicco”.
Il processo è la cornice entro cui diversi strumenti sostengono gli sforzi compiuti da questi paesi nella fase di transizione verso democrazie ed economie di mercato stabili; come già anticipato, nel lungo periodo la prospettiva è quella della piena integrazione nell’Unione europea, sulla base delle previsioni del Trattato sull’Unione europea e dei criteri di Copenaghen.
Lo stato di avanzamento del processo viene costantemente seguito dalla Commissione che, attraverso la pubblicazione di una relazione annuale, fornisce indicazioni sui progressi realizzati dai paesi dei Balcani occidentali rispetto alla situazione dell’anno precedente. Tale relazione rappresenta l’indicatore principale per valutare se ciascun paese sia pronto per una relazione più stretta con l’UE.
Le componenti principali del PSA sono quattro: accordi di stabilizzazione ed associazione, elevato livello di assistenza finanziaria, misure commerciali e dimensione regionale.
a) Accordi di stabilizzazione ed associazione
La pietra angolare del PSA è rappresentata dalla conclusione, con ciascun paese della regione, di un accordo di stabilizzazione ed associazione (ASA), basato sul rispetto dei principi democratici e degli elementi fondanti del mercato unico europeo.
L’accordo si prefigge di integrare le economie della regione con quelle dell’UE, attraverso la graduale realizzazione di un’area di libero scambio e l’attuazione delle politiche connesse, tra le quali concorrenza, aiuti di stato, proprietà intellettuale. Per le aree in cui l’accordo non richiede obblighi specifici di adeguamento all’acquis comunitario, sono comunque previste forme di cooperazione e dialoghi specializzati. Gli accordi sono modulati sulle esigenze di ciascun paese, benché l’obiettivo finale sia il medesimo: la piena realizzazione di un’associazione formale con l’UE.
Per ciascun paese, la Commissione è chiamata a valutare l’opportunità di avviare i negoziati per un accordo di stabilizzazione ed associazione sulla base di diversi criteri: il grado di compatibilità con le condizioni poste dal PSA; il funzionamento generale del paese; l’esistenza di una politica commerciale unitaria; i progressi nelle riforme settoriali.
Accordi di stabilizzazione ed associazione sono già in vigore con la Croazia (dal 1° febbraio 2005) e con la ex Repubblica iugoslava di Macedonia (dal 1° aprile 2004). Nel febbraio 2006 Albania e Unione europea hanno concluso i negoziati in vista dell’Accordo di stabilizzazione ed associazione. La proposta di conclusione dell’Accordo, presentata dalla Commissione il 21 marzo 2006, è all’esame del Consiglio e del Parlamento europeo. In attesa della firma, prevista entro il primo semestre del 2006, e della successiva ratifica, un protocollo provvisorio permetterà l’applicazione dell’accordo. Al momento le relazioni tra UE e Albania sono disciplinate dall’Accordo di cooperazione economica e commerciale, in vigore dal 1992.I negoziati con la Bosnia Erzegovina, avviati il 25 novembre 2005, sono in corso. I negoziati con la Serbia Montenegro, avviati il 10 ottobre 2005, sono stati sospesi il 3 maggio 2006 in mancanza di una piena collaborazione con il Tribunale penale internazionale per la ex Iugoslavia. In particolare, si richiede alla Serbia Montenegro di assicurare alla giustizia il generale Ratko Mladic, tuttora latitante. La situazione del Kosovo non consente al momento di negoziare alcun accordo. In considerazione dei progressi realizzati, il 24 ottobre 2005, l’ONU ha deciso di avviare un processo politico per determinare il futuro status del Kosovo. Gli incontri per lo statuto del Kosovo sono iniziati il 20 febbraio a Vienna alla presenza di rappresentanti di UE e USA.
b) Assistenza finanziaria
Nell’ambito del processo di stabilizzazione ed associazione, l’assistenza finanziaria dell’UE viene fornita a ciascun paese e a livello regionale attraverso il programma CARDS (Community Assistance for Reconstruction, Development and Stabilisation). Documenti strategici e programmi pluriennali consentono di dirigere il sostegno finanziario verso i settori prioritari nell’ambito dell’accordo di stabilizzazione ed associazione.
Per il periodo 2000-2006 l’UE ha stanziato in favore dei Balcani occidentali circa cinque miliardi di euro. L’assistenza comunitaria, originariamente destinata agli interventi relativi alle infrastrutture e alle misure di stabilizzazione democratica (ivi compresi gli aiuti ai profughi), ha gradualmente spostato l’accento sul potenziamento istituzionale e sulle iniziative in materia di giustizia e affari interni.
c) Misure commerciali
Nel marzo 2000, il Consiglio europeo ha dichiarato che la conclusione di accordi di stabilizzazione e di associazione con i paesi dei Balcani occidentali doveva essere preceduta da una liberalizzazione asimmetrica degli scambi. Conformemente a questa dichiarazione, il regolamento del Consiglio n. 2007/2000 del 18 settembre 2000 prevede misure commerciali eccezionali, stabilendo che i prodotti originari dei paesi della regione possono essere importati nella Comunità senza restrizioni quantitative e in esenzione dai dazi doganali o da altre imposte di effetto equivalente.
Per beneficiare di tali misure preferenziali i paesi interessati devono rispettare alcune condizioni:
· applicare la definizione comunitaria di “prodotto originario”;
· non introdurre altri dazi o imposte equivalenti sulle importazioni originarie della Comunità europea;
· collaborare con l’UE per evitare frodi;
· dare prova di volere realizzare riforme economiche efficaci e di impegnarsi in una cooperazione regionale con gli altri paesi interessati.
d) Dimensione regionale
Il PSA non è semplicemente un processo bilaterale tra l’UE e ciascun paese della regione. Già in occasione del Vertice UE-Balcani di Zagabria del 2000, le Parti hanno posto una grande enfasi sulla centralità della cooperazione regionale nell’ambito del processo.
In materia di cooperazione regionale, i principali obiettivi della politica dell’UE sono:
§ incoraggiare i paesi della regione a sviluppare relazioni reciproche comparabili a quelle esistenti tra gli Stati membri;
§ creare una rete di accordi bilaterali di libero scambio, eliminando qualsiasi barriera alla circolazione dei beni nella regione;
§ integrare gradualmente i Balcani occidentali nelle reti infrastrutturali della vicina Europa in materia di trasporti, energia, gestione delle frontiere;
§ promuovere la collaborazione tra i paesi della regione in materia di crimine organizzato, immigrazione e altre forme di traffico illegale.
Il 27 gennaio 2006, la Commissione ha adottato la comunicazione “I Balcani occidentali sulla strada verso l’UE: consolidare la stabilità e rafforzare la prosperità”, in cui propone di promuovere commercio, sviluppo economico, movimento di persone, istruzione e ricerca, cooperazione regionale e dialogo con la società civile nel Balcani occidentali come parte della strategia europea di integrazione dei popoli della regione. La comunicazione definisce misure concrete per rafforzare la politica dell’UE e gli strumenti a sua disposizione. L’obiettivo è quello di aiutare questi paesi a rafforzare la prospettiva europea, che rappresentaun forte incentivo ad attuare riforme politiche ed economiche e ha favorito la riconciliazione tra i popoli della regione. Nella comunicazione la Commissione sottolinea infatti i progressi compiuti dai paesi della regione negli ultimi tre anni, in particolare in termini di stabilizzazione e riconciliazione, riforma interna e cooperazione regionale.
Per promuovere il commercio, gli investimenti e lo sviluppo economico e sociale, la Commissione propone:
· di concludere rapidamente, possibilmente entro il 2006, un accordo regionale di libero scambio tra i paesi della regione;
· di sostenere le iniziative in corso volte a promuovere l’integrazione commerciale regionale, attraverso la riduzione o l’eliminazione degli ostacoli non tariffari e l’armonizzazione delle normative;
· di promuovere l’inclusione e l’integrazione sociale, concentrandosi in particolare sui gruppi vulnerabili e sulle zone più colpite da crisi economiche, sociali ed etniche;
· di creare una zona di “cumulo diagonale dell’origine” tra l’UE e i paesi della regione che hanno concluso con essa accordi di libero scambio (attualmente Croazia e ex Repubblica iugoslava di Macedonia) come prima tappa dell’inclusione della regione nel sistema di cumulo Paneuromediterraneo;
· di prorogare ai Balcani per altri tre anni la Carta europea per le piccole e medie imprese. In questo contesto la Commissione progetta di contribuire al processo con circa 60 milioni di euro nel 2006, nell’ambito del fondo europeo per l’Europa sud-orientale;
· di favorire il rafforzamento della capacità amministrativa e giudiziaria dei paesi dei Balcani occidentali, anche al fine di favorire il rapido allineamento con la legislazione comunitaria;
· di rafforzare, nel quadro della cooperazione regionale, la dimensione parlamentare, attraverso la definizione di una strategia comune per i parlamenti dell’Europa sudorientale;
· di tenere in considerazione gli obiettivi dell’agenda di Lisbona nella politiche dell’UE per la regione
Le prospettive finanziarie stabiliscono, in relazione alle priorità politiche da esse individuate, il quadro delle grandi categorie di spesa del bilancio dell’Unione europea, indicando il massimale e la composizione delle spese prevedibili per ogni categoria nell’intero periodo di riferimento e in ciascuno degli anni in esso ricompresi. L’adozione delle prospettive finanziarie, che non è espressamente prevista dal Trattato CE, è operata - a partire dal 1988 - mediante la conclusione di un accordo interistituzionale tra Parlamento europeo, Consiglio e Commissione. Le risorse proprie sono i mezzi di finanziamento dell’Unione. Il Consiglio, deliberando all’unanimità su proposta della Commissione e previa consultazione del Parlamento europeo, stabilisce le disposizioni relative al sistema delle risorse proprie della Comunità di cui raccomanda l’adozione da parte degli Stati membri, in conformità delle loro rispettive norme costituzionali. Le prospettive finanziarie e ilsistema di risorse proprie in vigore sono state adottate per il periodo 2000-2006 e scadono il 31 dicembre 2006. |
Il 4 aprile 2006 Parlamento europeo, Consiglio e Commissione europea hanno raggiunto un accordo sulle prospettive finanziarie e sulle risorse proprie 2007-2013. al termine di un negoziato complesso, caratterizzato da forti divergenze tra istituzioni europee e soprattutto tra Stati membri in merito al volume complessivo del bilancio dell’UE, nonché alle priorità politiche e ai relativi stanziamenti. L’intesa dovrà ora essere trasfusa in un accordo interistituzionale approvato formalmente dalle tre istituzioni.
Il Comitato dei Rappresentanti permanenti degli Stati membri presso l’UE (Coreper) ha raggiunto il 12 aprile, sulla base dell’intesa raggiunta il 4 aprile, un accordo di principio che sarà adottato dal Consiglio dell’UE senza dibattito in una delle sue prossime riunioni. La Commissione per i bilanci del Parlamento europeo ha approvato il 24 aprile 2006 una relazione e una proposta di risoluzione con la quale si propone di approvare l’accordo dell 4 aprile. La proposta di risoluzione sarà esaminata dall’Assemblea il 17 maggio 2006.
Sulla base dell'accordo raggiunto il 4 aprile 2006,il massimale medio delle spese dell’UE per il 2007-2013 è fissato all’1,048% del reddito nazionale lordo (RNL) europeo in stanziamenti di impegno (pari a 864,316 miliardi di euro) e all' 1 % in stanziamenti di pagamento (pari a 820,780 miliardi di euro).
L’accordo prevede, inoltre, una clausola di riesame –volta a consentire una verifica, alla fine del 2009, del funzionamento delle prospettive finanziarie da parte della Commissione europea, cui dovrà essere associato il Parlamento europeo (che sarà rinnovato a seguito delle elezioni europee previste per il giugno del 2009).
L'accordo stabilisce, infine:
· l’aumento di 2,5 miliardi di euro, al di fuori del massimale delle prospettive finanziarie, delle riserve del fondo di garanzia della Banca europea per gli investimenti finalizzato a sostenere interventi nel settore della ricerca e sviluppo, reti transeuropee e piccole e medie imprese;
· una maggiore responsabilizzazione degli Stati membri nella gestione dei fondi comunitari;
· il miglioramento dell'esecuzione dei programmi e del bilancio UE attraverso l’inclusione di appositi principi nel regolamento finanziario.
Il Consiglio europeo del 15-16 dicembre 2005, dopo un lungo negoziato sulle proposte presentate dalla Commissione nel febbraio 2004,aveva raggiunto un compromesso tra gli Stati membri sul nuovo quadro finanziario e sul sistema di risorse proprie dell’Unione europea per il periodo 2007-2013. Il 18 gennaio 2006 il Parlamento europeo avevaperò respinto l’accordo definito dal Consiglio europeo, ribadendo la propria posizione negoziale precedentemente affermata in una risoluzione dell'8 giugno 2005.
L’intesa raggiunta il 4 aprile ha modificato il compromesso definito dal Consiglio europeo di dicembre 2005, prevedendo in particolare:
· l’innalzamento del massimale complessivo di spesa delle prospettive finanziarie di circa 2 miliardi di euro (da 862,36 a 864,316 in impegni);
· lo spostamento, all’interno delle prospettive finanziarie, di stanziamenti a favore di settori relativi all’agenda di Lisbona pari a circa 2 miliardi di euro.
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Totale 2007-2013 (mld di euro in stanziamenti di impegno) |
Accordo definitivo |
864,316 |
% RNL |
1,048% |
Consiglio europeo |
862.363 |
% RNL |
1,045% |
Proposta Commissione |
1.025.035 |
% RNL |
1,24% |
Posizione Parlamento |
974.839 |
% RNL |
1,18% |
Sulla base dell’accordo raggiunto il 4 aprile la ripartizione degli stanziamenti di impegno tra le varie rubriche per il periodo 2007-2013 dovrebbe essere la seguente:
ACCORDO FINALE SULLE PROSPETTIVE FINANZIARIE 2007-2013 |
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Rubrica |
Stanziamenti in miliardi di euro |
Rubrica 1A: competitività per la crescita e l'occupazione |
74, 098 |
Rubrica 1B: coesione per la crescita |
308,041 |
Rubrica 2: conservazione e gestione delle risorse naturali (comprese le spese agricole). |
371,344 |
Rubrica 3A: libertà, sicurezza e giustizia. |
6,630 |
Rubrica 3B: cittadinanza |
4,140 |
Rubrica 4: l'UE come partner mondiale |
49,463 |
Rubrica 5: amministrazione |
49,800 |
Rubrica 6: compensazioni |
0,800 |
Totale |
864,316 |
La Camera dei deputati ha seguito attivamente e costantemente il negoziato sulle prospettive finanziarie 2007-2013, attraverso diversi strumenti e procedure.
In particolare, le Commissioni V e XIV hanno svolto a partire da marzo 2004 un’indagine conoscitiva sulle prospettive finanziarie e sulla politica di coesione, nell'ambito della quale sono stati auditi, tra gli altri, il Ministro degli esteri e il Vice ministro dell'economia e delle finanze, gli europarlamentari italiani membri della Commissione temporanea per le prospettive finanziarie e il Commissario europeo responsabile per la politica regionale Hübner.
Specifici impegni al Governo in merito al negoziato sulle prospettive finanziarie sono inoltre contenuti nelle risoluzioni approvate dalla Camera a in esito all’esame delle relazioni sulla partecipazione dell’Italia all’Unione europea per l’anno 2003 e per l’anno 2004, nonché nella risoluzione approvata a conclusione dell’esame del programma di lavoro per il 2005 della Commissione europea e del programma operativo annuale per il 2005 del Consiglio.
Le questioni relative alle prospettive finanziarie 2007-2013 hanno inoltre costituito oggetto di approfondimento nell’ambito di riunioni ed incontri interparlamentari cui hanno partecipato delegazioni della Camera dei deputati.
Il 14 luglio 2004 la Commissione ha presentato un pacchetto di cinque proposte relative al rinnovo del quadro legislativo per la riforma della politica di coesione nel periodo di programmazione 2007-2013:
· una proposta di regolamento generale recante norme e principi comuni applicabili al Fondo europeo di sviluppo regionale, al Fondo sociale e al Fondo di coesione (COM(2004)492, procedura di parere conforme);
· una proposta di regolamento sul Fondo europeo di sviluppo regionale (FEDER) (COM(2004)495, procedura di codecisione);
· una proposta di regolamento sul Fondo sociale europeo (FSE) (COM(2004)493, procedura di codecisione); (a seguto degli emendamenti adottati dal Parlamento europeo il 6 luglio 2005, la Commissione ha presentato una proposta modificata il 17 ottobre 2005 (COM(2005)523):
· una proposta di regolamentosul Fondo di coesione (COM(2004)494, procedura di consultazione);
· una proposta di regolamento che istituisce un nuovo strumento giuridico denominato gruppo europeo di cooperazione transfrontaliera (GECT) (COM(2004)496, procedura di codecisione); il 7 marzo 2006 la Commissione ha presentato una proposta modificata (COM(2006)94).
Le proposte prospettano la concentrazione degli interventi strutturali sui seguenti tre nuovi obiettivi:
· Convergenza. Tale obiettivo riguarderebbe in primo luogo gli Stati membri e le regioni meno sviluppate in cui il PIL per abitante, calcolato in base ai dati dell’ultimo triennio, è inferiore al 75% delle media comunitaria (per l’Italia, a tale titolo, rientrerebbero nell’obiettivo, la Campania, la Puglia, la Calabria e la Sicilia); in secondo luogo e in via transitoria l’obiettivo riguarderà le regioni c.d. "ad effetto statistico” il cui PIL sarebbe stato inferiore al 75% delle media comunitaria calcolata su 15 Stati membri e non lo è invece nel calcolo su 25 Stati membri ( per l’Italia vi rientrerebbe la Basilicata).
· Competitività e occupazione regionale. Tale obiettivo è volto a rafforzare la competitività in tutte le regioni non ricompresse nell’obiettivo “Convergenza” e nelle regioni che nel 2006 rientrano nell’attuale obiettivo 1 in via transitoria (per l’Italia la Sardegna).
· Cooperazione territoriale.
Il 6 luglio 2005, il Parlamento europeo ha esaminato in prima lettura il pacchetto di proposte ed ha adottato, sulla proposta di regolamento generale (COM(2004)492), che segue la procedura di parere conforme, una risoluzione interlocutoria con la quale indica alcuni aspetti ed obiettivi di cui tenere conto nella prosecuzione dell’esame.
I profili di carattere finanziario relativi alla riforma della politica di coesione hanno costituito un aspetto particolarmente delicato e conflittuale del negoziato sul quadro finanziario 2007-2013 sul quale Parlamento europeo, Consiglio e Commissione hanno raggiunto un'intesa il 4 aprile 2006.
L'intesa in questione ha fissato un massimale complessivo degli stanziamenti di impegno destinati alla politica di coesione pari a 308,041 miliardi di euro.
Il Parlamento europeo riprenderà l’esame della proposta di regolamento generale e della proposta di regolamento istitutiva del Fondo di coesione il 13 giugno 2006.
Il Consiglio ha esaminato le quattro proposte nella riunione del 14 novembre 2005, raggiungendo un accordo politico parziale, in quanto gli aspetti di bilancio sono stati esclusi in attesa dei risultati del negoziato sul futuro quadro finanziario comunitario.
Dopo la conclusione del primo programma adottato in materia di libertà, sicurezza e giustizia dal Consiglio europeo di Tampere del 1999, il Consiglio europeo, nella riunione del 5 novembre 2004, ha adottato un nuovo programma pluriennale per il rafforzamento dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia nell’Unione europea, il cosiddetto programma dell’Aja.
Il 2 giugno 2004 la Commissione ha presentato una comunicazionedi bilanciodel programma quinquennale di Tampere (COM(2004)401), nella quale notava che, pur essendo stati realizzati sostanziali progressi nella maggior parte dei settori individuati, il livello di ambizione iniziale del programma è stato limitato da costrizioni di tipo istituzionale e talvolta anche da un consenso politico insufficiente.
Una comunicazione della Commissione, “Il programma dell'Aja: dieci priorità per i prossimi cinque anni - Partenariato per rinnovare l'Europa nel campo della libertà, sicurezza e giustizia” (COM(2005)184), definisce un piano d’azione per concretizzare gli obiettivi e le priorità del programma.
La comunicazione individua dieci aree sulle quali, secondo la Commissione, dovrebbero essere concentrati gli sforzi nei prossimi cinque annie contiene un calendario per l'adozione del pacchetto di politiche e iniziative europee in materia.
Le aree individuate sono le seguenti: diritti fondamentali e cittadinanza; lotta al terrorismo; istituzione di un sistema comune di asilo; gestione dell’immigrazione; integrazione dei migranti; frontiere interne, frontiere esterne e visti; tutela della privacy e della sicurezza nella condivisione di informazioni; lotta alla criminalità organizzata; sviluppo di uno spazio giudiziario penale e civile europeo; condivisione di responsabilità e solidarietà tra Stati membri.
Entro il 1° novembre 2006 (data inizialmente prevista per l’entrata in vigore del Trattato costituzionale, il cui processo di ratifica è attualmente sospeso), il Consiglio europeo, su proposta della Commissione, effettuerà una valutazione dei progressi realizzati e adotterà le integrazioni necessarie al programma.
La Commissione presenterà inoltre relazioni annuali sull’attuazione del programma dell’Aja. Tali relazioni verranno sottoposte al Consiglio, al Parlamento europeo e ai parlamenti nazionali.
Di seguito si fornisce una sintesi delle principali misure previste dal programma dell’Aja del Consiglio e dal piano d’azione, in attuazione dei quali, alla data del 31 marzo 2006, la Commissione ha complessivamente presentato circa venti proposte di atti legislativi comunitari.
In questo settore l’obiettivo è quello di garantire lo sviluppo di politiche in grado di controllare e promuovere il rispetto dei diritti fondamentali e di migliorare l'esercizio dei diritti che la cittadinanza europea conferisce ai cittadini dell'Unione
A tal fine, il 30 giugno 2005, la Commissione ha presentato una proposta di regolamento e una proposta di decisione relative all’istituzione di un’Agenzia dei diritti fondamentali dell’Unione europea (COM(2005)280), finalizzata a creare a livello di Unione europea un centro di expertise sulle questioni relative ai diritti fondamentali. La Commissione è impegnata in particolare a tutelare i diritti dei minori e a combattere la violenza contro le donne.
Il rafforzamento della sicurezza dell’Unione ha acquisito particolare urgenza alla luce degli attentati terroristici del settembre 2001 negli Stati Uniti e di Madrid del marzo 2004.
La prevenzione e il contrasto del terrorismo sono considerati elementi chiave del programma. A breve termine, dovranno essere attuate le misure previste nella dichiarazione del Consiglio europeo del 25 marzo 2004 e nel piano d’azione dell’UE per la lotta contro il terrorismo. Verrà inoltre garantita protezione ed assistenza alle vittime del terrorismo. Come previsto dal programma, il Consiglio del 2 dicembre 2005 ha approvato una strategia e un piano d’azione per combattere la radicalizzazione e il reclutamento delle organizzazioni terroristiche.
Dal 1º gennaio 2005 una “cellula comune” del Consiglio dell'UE fornisce al Consiglio stesso analisi strategiche della minaccia terroristica basate sulle informazioni trasmesse dai servizi di sicurezza e di intelligence degli Stati membri e dall’Europol.
In materia di asilo l’obiettivo è l'instaurazione, entro il 2010, di una procedura comune e di uno status uniforme per i cittadini di paesi terzi che hanno ottenuto l'asilo o che, necessitando di protezione internazionale pur non potendo ottenere il beneficio dell'asilo, hanno ottenuto una protezione sussidiaria. Il regime sarà basato sulla piena applicazione della Convenzione di Ginevra del 1951 relativa allo status dei rifugiati e degli altri trattati pertinenti.In tale contesto la Commissione presenterà uno studio sul trattamento comune delle domande di asilo all'interno dell'Unione. Uno studio distinto esaminerà l'opportunità e la fattibilità del trattamento comune delle domande di asilo all'esterno del territorio dell'UE.
La Commissione svilupperà programmi di protezione regionali dell’UE nel quadro di un partenariato con ipaesi terzi interessati ed avvierà programmi pilota di protezione.
La novità più rilevante è la decisione di applicare, dal 1° gennaio 2005, la procedura legislativa ordinaria - basata sulla codecisione con il Parlamento europeo e la maggioranza qualificata per le decisioni in seno al Consiglio dei ministri - per le misure concernenti la libertà di circolazione dei cittadini dei paesi terzi, l’immigrazione illegale nonché il soggiorno irregolare, compreso il rimpatrio. Per quanto riguarda l'immigrazione legale, si applica ancora (fino all’entrata in vigore del Trattato costituzionale) la procedura che comporta la consultazione del PE e le decisioni del Consiglio assunte all’unanimità.
A partire dalla primavera del 2005 la Commissione è tenuta ad integrare il tema della migrazione nei documenti di strategia nazionali e regionali e a presentare un programma politico in materia di migrazione legale che comprenda le procedure di ammissione; sarà perseguito un maggiore coordinamento fra le politiche nazionali di integrazione e quelle dell'UE e verranno stabiliti i principi fondamentali comuni in materia.
L’obiettivo è quello di definire un quadro europeo in materia di integrazione mirante a garantire il rispetto dei valori europei, nonché a ribadire la non discriminazione.
Il Consiglio e la Commissione sono invitati ad attuare una serie di misure per offrire un aiuto agli Stati membri con frontiere esterne lunghe o problematiche, o che debbano affrontare circostanze particolari e impreviste. Non è prevista la creazione di un corpo europeo di guardie di frontiera di cui sarà valutata la fattibilità, facendo seguito agli studi già effettuati su impulso della Presidenza italiana. Verrà inoltre istituita una politica in materia di allontanamento e rimpatrio basata su norme comuni.
L'elaborazione di una politica dei visti efficace dovrebbe essere agevolata grazie al sistema di informazione sui visti (VIS) in via di realizzazione. A tale scopo, occorrerà intensificare la cooperazione fra gli Stati membri per creare centri comuni di trattamento delle richieste di visto, che potrebbero rappresentare un primo passo verso l'allestimento di un futuro servizio consolare europeo comune.
Gli identificatori biometrici saranno integrati nei documenti di viaggio, nei visti, nei permessi di soggiorno, nei passaporti dei cittadini dell'UE e nei sistemi d'informazione e verranno predisposte norme minime per le carte d'identità nazionali.
In questo ambito si mira ad ottenere un giusto equilibrio fra sicurezza e tutela della privacy in sede di scambio di informazioni fra autorità giudiziarie e di polizia.
Dal 1º gennaio 2008 lo scambio di informazioni di questo tipo dovrebbe essere disciplinato tenendo conto del principio di disponibilità: in base a tale principio, un ufficiale di uno Stato membro può richiedere le informazioni di cui necessita ad un altro Stato membro, che è tenuto a trasmettergliele per i fini dichiarati.
Per contrastare la criminalità organizzata verrà elaborata ed attuata una strategia che comprenderà misure destinate a migliorare la conoscenza del fenomeno e a potenziare la prevenzione, l'attività investigativa e la cooperazione di polizia all'interno dell'Unione, sfruttando appieno le potenzialità di Europol e di Eurojust.
La strategia dovrà altresì privilegiare un'intensa cooperazione con i paesi terzi e con le organizzazioni internazionali.
Si prevede di completare l'attuazione del principio del reciproco riconoscimento delle decisioni penali deciso a Tampere. In particolare, per instaurare la fiducia reciproca si punta a ravvicinare vari aspetti del diritto procedurale penale (principio del ne bis in idem, regime probatorio, sentenze contumaciali etc.) ed a istituire norme minime.
Il Consiglio esaminerà, alla luce delle proposte della Commissione, l'ulteriore sviluppo dell'Eurojust.
Il completamento entro il 2011 dell'attuazione del programma di misure sul reciproco riconoscimento costituisce la priorità dei prossimi anni in materia di cooperazione giudiziaria civile. Verrà inoltre effettuato un riesame del funzionamento degli strumenti recentemente adottati in materia di cooperazione giudiziaria civile in vista della preparazione di nuove misure.
In materia di diritto contrattuale, la qualità della vigente e futura normativa dell'UE dovrebbe essere migliorata con misure di consolidamento, codificazione e razionalizzazione degli strumenti giuridici in vigore e con la definizione di un quadro comune di riferimento.
Al fine di definire, anche in termini di risorse finanziarie, i concetti di corresponsabilità e solidarietà fra Stati membri, la Commissione ha presentato i programmi-quadro Sicurezza e protezione delle libertà (COM(2005)124-1), Diritti fondamentali e giustizia (COM(2005)122-1) e Solidarietà e gestione dei flussi migratori (COM(2005)123-1), che stabiliscono gli strumenti politici e finanziari nei rispettivi settori per il periodo 2007-2013.
Il Consiglio europeo di Lisbona del marzo 2000 ha definito una serie di azioni volte a far sì che entro il 2010 l’Unione europea consegua l’obiettivo di diventare l’economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo, in grado di realizzare una crescita economica sostenibile con nuovi e migliori posti di lavoro e una maggiore coesione sociale.
Gli obiettivi della strategia - rilanciati nella revisione intermedia della primavera 2005, che ha riorientato le priorità verso la crescita e l’occupazione - consistono in:
· migliorare le politiche in materia di società dell’informazione e di ricerca e sviluppo tecnologico;
· modernizzare il modello sociale europeo;
· promuovere un contesto economico sano e prospettive di crescita favorevoli applicando un’adeguata combinazione di politiche macroeconomiche;
· integrare pienamente la dimensione ambientale nelle politiche per lo sviluppo.
Il Consiglio europeo di Lisbona, inoltre, ha previsto che il Consiglio europeo si riunisca ogni primavera, sulla base di una relazione annuale della Commissione, per valutare lo stato di attuazione della strategia.
Con la revisione intermedia si è inteso anche coinvolgere tutte le forze interessate (parlamenti, autorità locali, parti sociali e società civile) nella migliore realizzazione della strategia, che è stata orientata in un ciclo triennale. La Commissione ha presentato le linee direttrici integrate per la crescita e l’occupazione per il periodo 2005-2008, approvate dal Consiglio europeo di giugno 2005.
Il documento della Commissione si articola in due parti, concentrate su un numero limitato di misure considerate essenziali per aumentare la crescita e l’occupazione:
· una raccomandazione recante i grandi orientamenti di politica economica (GOPE), applicabili a tutti gli Stati membri e alla Comunità. I GOPE definiscono le linee direttrici macroeconomiche – intese a sostenere uno sviluppo economico equilibrato e a sfruttare il massimo potenziale attuale di crescita – e le linee direttrici microeconomiche – volte a rinforzare l’efficacia e la capacità di adattamento dell’economia europea ed accrescerne il potenziale di crescita;
· una decisione (2005/600/CE) del Consiglio, adottata il 12 luglio 2005, recante le linee direttrici per l’occupazione che enunciano gli obiettivi generali e le azioni prioritarie in materia di occupazione nell’Unione europea e negli Stati membri.
Sulla base delle linee direttrici, gli Stati membri hanno definito programmi di riforma nazionali, che sono stati oggetto di consultazione con le parti interessate e successivamente esaminati dalla Commissione europea.
Come complemento dei programmi nazionali di riforma, a luglio 2005 la Commissione ha presentato una comunicazione sul programma comunitario di Lisbona 2005-2008, relativo alle azioni da intraprendere a livello comunitario a favore della crescita e dell’occupazione. Il programma propone misure suddivise in tre settori principali:
· porre la conoscenza e l’innovazione al servizio della crescita;
· rendere l’Europa più capace di attrarre investimenti e lavoro;
· creare nuovi e migliori posti di lavoro.
Per le conseguenti modifiche al Patto di stabilità e crescita, si veda il capitolo Riforma del Patto di stabilità e crescita nel dossier n. 2/5, relativo alla V Commissione (Bilancio).
I progressi compiuti, sia in ambito nazionale sia in quello comunitario, vengono monitorati nel quadro di un’unica relazione annuale dell’Unione europea sullo stato di avanzamento. Sulla base di tale relazione annuale la Commissione intende valutare le ulteriori azioni eventualmente necessarie a livello comunitario per rivedere di conseguenza il programma della strategia di Lisbona.
Il 25 gennaio 2006 la Commissione ha presentato la relazione annualesui progressi nell’attuazione della strategia di Lisbona rinnovata, destinata al Consiglio europeo di primavera 2006. Scopo della relazione è imprimere nuovo slancio e accelerare il conseguimento degli obiettivi.
Per quanto riguarda l’Italia, la Commissione condivide l’analisi presentata dal programma nazionale di riforma (Piano per l’innovazione, la crescita e l’occupazione, PICO) ma ritiene che una delle principali sfide per l’Italia sia quella di accrescere in generale la concorrenza su tutti i mercati, anche attraverso l’approfondimento del mercato interno. La relazione della Commissione incoraggia le autorità italiane ad accrescere i loro sforzi per assicurare la sostenibilità delle finanze pubbliche e ad adottare misure più incisive e più specifiche per promuovere la concorrenza, soprattutto nelle industrie e nei servizi di rete. Sollecita inoltre l’adozione di un approccio più generale diretto ad accrescere l’offerta di lavoro e i tassi di occupazione, intervenendo in particolare sulle disparità regionali.
La Commissione sottolinea che, nonostante il basso tasso di crescita, la creazione di un numero consistente di posti di lavoro negli ultimi anni ha contribuito a far scendere il tasso di disoccupazione all’8% nel 2004, ossia al di sotto della media UE. Contemporaneamente il tasso di occupazione, pari al 57,6% (2004) rimane molto al di sotto dell’obiettivo di Lisbona. Osserva inoltre che l’Italia ha registrato una perdita di competitività sul piano internazionale e ha un debito pubblico molto forte.
La relazione della Commissione identifica quattro azioni prioritarie, per ciascuna delle quali presenta proposte per ottenere che, al Consiglio europeo di marzo, i leader europei si impegnino ad attuare le azioni proposte e onorino il loro impegno entro il 2007:
· investire nell’istruzione e nella ricerca;
· eliminare le costrizioni per le piccole e medie imprese e liberare il potenziale delle imprese;
· creare migliori e più numerosi posti di lavoro per far fronte alla globalizzazione e all’invecchiamento della popolazione;
· garantire l’approvvigionamento efficiente, sicuro e sostenibile dell’energia.
Il Consiglio europeo di primavera del 23 e 24 marzo 2006, accogliendo favorevolmente la relazione annuale della Commissione, ha sottolineato che la massima priorità per gli Stati membri nel 2006 sarà costituita dall’attuazione tempestiva e completa delle misure concordate nei programmi nazionali.
Il Consiglio europeo, in particolare,
· chiede agli Stati membri di riferire nell’autunno 2006 sulle misure adottate per attuare i programmi nazionali di riforma e invita a tener conto di questi ultimi nell’elaborazione dei quadri di riferimento strategico nazionali per la coesione;
· invita inoltre il Consiglio, la Commissione e gli Stati membri a organizzare lo scambio di esperienze e la Commissione a rivolgere particolare attenzione, nella sua relazione destinata al Consiglio europeo di primavera 2007, ai progressi verso l’attuazione dei programmi nazionali di riforma, alle azioni prioritarie, e alle eventuali ulteriori misure che potrebbero risultare necessarie.
Il Consiglio europeo, nel confermare la validità degli orientamenti integrati per la crescita e l’occupazione per il 2005-2008, conviene quanto segue:
· definizione di settori specifici per azioni prioritarie da attuare entro la fine del 2007:
- aumentare gli investimenti nella ricerca e nell’innovazione;
- liberare il potenziale delle imprese, in particolare delle piccole e medie imprese;
- accrescere le opportunità di lavoro per le categorie prioritarie (giovani, donne, lavoratori anziani, immigrati legali e minoranze etniche);
· nuova politica energetica per l’Europa, che dovrebbe contribuire in modo equilibrato ai suoi tre obiettivi principali:
- aumentare la sicurezza dell’approvvigionamento;
- assicurare la competitività delle economie europee;
- promuovere al sostenibilità ambientale;
· misure che devono essere assunte a tutti i livelli per mantenere lo slancio in tutti i pilastri del partenariato per la crescita e l’occupazione:
- assicurare finanze pubbliche sane e sostenibili;
- favorire il completamento del mercato interno e promozione degli investimenti;
- rafforzare la coesione sociale;
- promuovere una crescita sostenibile dal punto di vista ambientale.
Delegazioni della Camera dei deputati hanno partecipato ai due incontri organizzati dal Parlamento europeo (marzo 2005 e gennaio 2006) per favorire un confronto tra parlamenti sulla strategia di Lisbona. Si prevede l’organizzazione di ulteriori incontri.
In occasione della presentazione del piano italiano per la crescita e l’occupazione (PICO), il Ministro per le politiche comunitarie, on. Giorgio La Malfa, cui è stato affidato il coordinamento della strategia di Lisbona, è stato audito il 13 ottobre 2005 dalla Commissione politiche dell’Unione europea, ed il 9 novembre congiuntamente dalle Commissioni bilancio e politiche dell’Unione europea.
Il Piano per l’innovazione, la crescita e l’occupazione (PICO) è stato definitivamente approvato dal Governo, nella riunione del 14 ottobre 2005, nel quadro del rilancio della strategia di Lisbona, deciso dal Consiglio europeo del 22 e 23 marzo, le cui modalità di intervento sono state precisate dal Consiglio europeo del 16 e 17 giugno 2005.
Il Piano indica le riforme, le misure e gli interventi nazionali programmabili per perseguire gli obiettivi dell'Accordo di Lisbona del 2000, individuando cinque obiettivi prioritari:
§ l’ampliamento dell’area di libera scelta dei cittadini e delle imprese;
§ l’incentivazione della ricerca scientifica e tecnologica;
§ il rafforzamento dell’istruzione e della formazione;
§ l’adeguamento delle infrastrutture materiali e immateriali;
§ la tutela dell’ambiente.
In quest’ambito, due sono le categorie di interventi delineate dal Piano:
- provvedimenti di carattere generale per il sistema economico, tra i quali i più significativi riguardano:
- una più ampia liberalizzazione dell’offerta nel settore dei servizi, in linea con gli orientamenti europei;
- una più libera espressione del mercato – nei settori indicati dall’Autorità garante della concorrenza e dalle altre Autorità – e dei prezzi;
- una più efficace legislazione per prevenire le frodi in materia comunitaria e per contrastare le contraffazioni, in modo da ridurre le distorsioni che esse generano nel funzionamento dei mercati;
- miglioramento delle prestazioni della pubblica amministrazione e un contenimento dei suoi costi;
- creazione di un contesto normativo propizio agli investimenti, all’innovazione e allo sviluppo tramite una riduzione, semplificazione e miglioramento qualitativo della legislazione esistente;
- miglioramento della normativa concernente le piccole imprese ed i distretti produttivi;
- più efficace organizzazione del sistema di istruzione e della formazione professionale;
- creazione o completamento di reti infrastrutturali per i collegamenti interni, intraeuropei e internazionali;
- piena attuazione della “politica di coesione europea”, volta a ridurre le disparità economiche tra aree interne all’Unione, con particolare attenzione al Mezzogiorno;
- una maggiore attenzione nei processi produttivi alla domanda di protezione ambientale.
- progetti specifici con effetti positivi sulla produttività e competitività dell’economia italiana, tra cui si ricordano:
- il completamento del progetto Galileo per la creazione di una rete satellitare europea;
- la partecipazione alla realizzazione dei progetti europei Egnos e Sesame per la gestione del traffico aereo;
- la realizzazione di piattaforme informatiche per la tutela della salute, lo sviluppo del turismo, l’infomobilità, la gestione delle banche dati pubbliche e territoriali;
- l’attuazione di 12 programmi strategici di ricerca nei settori della salute, farmaceutico e bio-medicale, dei sistemi di manifattura, della motoristica, della cantieristica navale e aeronautica, della ceramica, delle telecomunicazioni, dell’agroalimentare, dei trasporti e della logistica avanzata, dell’ ICT e componentistica elettronica e della microgenerazione energetica;
- la creazione di 12 laboratori di collaborazione pubblico-privata per lo sviluppo della ricerca nel Mezzogiorno nei settori della diagnostica medica, dell’energia solare, dei sistemi avanzati di produzione, dell’e-business, delle bio-tecnologie, della genomica, dei materiali per usi elettronici, della bioinformatica applicata alla genomica, dei nuovi materiali per la mobilità, dell'efficacia dei farmaci, dell’open source del software, dell’analisi della crosta terrestre;
- lo sviluppo di 24 distretti tecnologici, che estendono l’esperienza dei distretti industriali italiani a settori ad alto contenuto tecnologico e potenziale innovativo;
- l’ampliamento e l’uso razionale delle infrastrutture nel settore energetico e idrico;
- settori di rilevanza strategica aventi ricadute tecnologiche nei processi produttivi e nel benessere dei cittadini e in condizione di garantire una migliore tutela ambientale, con particolare attenzione alle fonti energetiche alternative.
In base alle stime effettuate dal Governo, l’attuazione del Piano dovrebbe determinare:
- un aumento delle spese in ricerca e sviluppo, in modo tale che esse si avvicinino all’obiettivo del 3% del PIL suggerito dalla Commissione;
- un impatto macroeconomico in termini di innalzamento del reddito potenziale attuale nell’ordine dell’1%, con effetti disinflazionistici strutturali stimati in 30 centesimi di punto e conseguente rafforzamento del potere di acquisto salariale;
- un incremento dell’occupazione, valutato in circa 200 mila posti di lavoro.
Per quanto riguarda l’individuazione delle risorse finanziarie assegnate in via generale al Piano per l’innovazione, la crescita e l’occupazione - secondo le indicazioni del Piano e quelle fornite dal Ministro per le politiche comunitarie[124] – si è proceduto ad una ricognizione degli interventi già previsti a livello legislativo riferibili ai cinque obiettivi prioritari del Piano medesimo. Risultano al momento stanziati per questi interventi, precedenti all’approvazione del piano medesimo, 33,7 miliardi di euro, riferiti a risorse iscritte nel bilancio statale o da dotazioni aggiuntive per la politica di coesione comunitaria (si presume di provenienza comunitaria), di cui 29,9 relativi agli anni fino al 2005 e 3,8 miliardi di euro relativi al triennio 2006-2008.
Le risorse, secondo le indicazioni del Governo, sono imputabili ad interventi in materia di infrastrutture per 26,1 miliardi di euro (di cui 2,5 riferiti al triennio 2006-2008), di ricerca e sviluppo per 5,2 miliardi di euro (di cui 0,9 riferiti al triennio 2006-2008), di istruzione e formazione per 1,2 miliardi di euro (di cui 0,2 riferiti al triennio 2006-2008), di ampliamento dell’area di libera scelta dei cittadini e delle imprese per 0,8 miliardi di euro (di cui 0,2 riferiti al triennio 2006-2008), di ambiente per 0,4 miliardi di euro (interamente riferiti al periodo precedente al 2006).
Per quanto riguarda lo stanziamento di nuove risorse, sono ritenuti necessari per il triennio 2006-2008 circa 13 miliardi di euro - di cui 3 miliardi di euro nel 2006, 4 miliardi nel 2007, 7 miliardi nel 2008 - provenienti dalla cessione di attività reali dello Stato.
L’acquisizione delle predette risorse è peraltro subordinata al raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica.
Le risorse dovrebbero essere destinate, per l’intero triennio, ad interventi in materia di infrastrutture per 5,2 miliardi di euro, di ricerca e sviluppo per 4,1 miliardi di euro, di istruzione e formazione per 0,4 miliardi di euro, di ampliamento dell’area di libera scelta dei cittadini e delle imprese per 1,3 miliardi di euro e di ambiente per 1,7 miliardi di euro.
La legge finanziaria per il 2006 (legge 23 dicembre 2005, n. 266), all’articolo 1, commi 357-360, ha istituito il Fondo per l’innovazione, la crescita e l’occupazione, presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri finalizzato a finanziare:
- i progetti individuati dal Piano per l’innovazione, la crescita e l’occupazione;
- interventi di adeguamento tecnologico nel settore sanitario, proposti dal Ministro della salute.
Il fondo è ripartito con delibere del CIPE, che stabilisce i criteri e le modalità di attuazione dei progetti sulla base delle risorse affluite al fondo medesimo, riservando il 15% dell’importo agli interventi di adeguamento tecnologico nel settore sanitario (comma 359).
Le risorse assegnate dal CIPE costituiscono limiti massimi di spesa ai sensi dell’articolo 11-ter, comma 6-bis[125], della legge 5 agosto 1978, n. 468 (comma 360).
L’articolo 11-ter, comma 6-bis, della legge n. 468/1978 prevede che le disposizioni che comportano nuove o maggiori spese hanno effetto entro i limiti della spesa espressamente autorizzata nei relativi provvedimenti legislativi. Con decreto dirigenziale del Ministero dell'economia e delle finanze - Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato, da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale, è accertato l'avvenuto raggiungimento dei predetti limiti di spesa. Le disposizioni recanti espresse autorizzazioni di spesa cessano di avere efficacia a decorrere dalla data di pubblicazione del decreto per l'anno in corso alla medesima data.
Il comma 358 stabilisce che gli interventi e i progetti previsti dal Fondo possono essere realizzati solo previo reperimento delle risorse finanziarie necessarie da parte di appositi provvedimenti legislativi nonchè previa identificazione di ulteriori coperture finanziarie, concordate con la Commissione europea, ai fini della compatibilità con gli impegni comunitari in sede di valutazione del programma italiano di stabilità e crescita. La realizzazione degli interventi è, comunque, subordinata al perseguimento degli obiettivi posti dall’articolo 1, comma 5, della medesima legge finanziaria in materia di riduzione del debito pubblico.
Al riguardo, si ricorda che, nel testo originario del disegno di legge finanziaria, il fondo era finanziato nel 2006 con l’introito dei proventi da operazioni di dismissione o alienazione di beni dello Stato ulteriori rispetto a quelle previsti dal bilancio per il 2006, nel limite massimo di 3 miliardi di euro.
A seguito delle successive modifiche parlamentari, i maggiori proventi da dismissioni immobiliari sono stati invece destinati alla riduzione del debito pubblico, ai sensi del citato articolo 1, comma 5.
Il 16 febbraio 2006 il Parlamento europeo ha approvato in prima lettura – con 394 voti favorevoli, 215 contrari e 33 astensioni – la relazione predisposta dall’on. Evelyne Gebhardt (Partito socialista europeo) sulla proposta di direttiva relativa ai servizi nel mercato interno (COM(2004)2) (cosiddetta “direttiva Bolkenstein”).
La proposta, che segue la procedura di codecisione con la votazione a maggioranza qualificata del Consiglio, è stata presentata dalla Commissione il 13 gennaio 2004 e si inserisce nel processo di riforme economiche varato dal Consiglio europeo di Lisbona (23-24 marzo 2000) al fine di fare dell’Unione europea, entro il 2010, l’economia basata sulla conoscenza più competitiva e più dinamica del mondo.
L’obiettivo della proposta è quello di stabilire un quadro giuridico che elimini gli ostacoli alla libertà di stabilimento dei prestatori di servizi ed alla libera circolazione dei servizi tra Stati membri.
La proposta iniziale della Commissione – che aveva sollevato in tutti i gruppi politici del Parlamento europeo preoccupazioni sui possibili rischi di riduzione dell’acquis comunitario nel settore sociale – è stata sostanzialmente modificata dall’esame parlamentare.
Il testo approvato dal Parlamento europeo ribadisce l’obiettivo della proposta iniziale, relativamente alla liberalizzazione dei servizi, sottolineando al contempo la necessità di assicurare un elevato livello di qualità dei servizi stessi. E’ stabilito, inoltre, che la direttiva non pregiudica le disposizioni comunitarie in materia di concorrenza e aiuti di Stato.
L’esame del Parlamento europeo si è focalizzato, in particolare, su alcuni punti controversi:
· campo di applicazione (art. 2): relativamente a questo aspetto, il testo adottato dal Parlamento europeo ribadisce quanto previsto nella proposta della Commissione, ovvero l’esclusione dei servizi di interesse generale. A questo riguardo gli Stati membri restano liberi di definire, conformemente al diritto comunitario, quelli che essi considerano servizi d'interesse generale, nonché di determinare le modalità di organizzazione e di finanziamento di tali servizi e gli obblighi specifici cui essi devono sottostare. La direttiva si applica, tuttavia, ai servizi di interesse economico generale, ovvero ai servizi che corrispondono ad un’attività economica e sono aperti alla concorrenza quali i servizi postali, i servizi di trasmissione, distribuzione e fornitura di energia elettrica e di gas o i servizi di distribuzione e di fornitura idrica. Oltre a tutta una serie di settori indicati espressamente nel testo adottato dal Parlamento europeo, sono inoltre escluse dal campo di applicazione della direttiva le materie disciplinate da disposizioni comunitarie specifiche come quelle sul distacco dei lavoratori (vedi infra), l’esercizio delle attività televisive o le qualifiche professionali;
· principio del Paese di origine (art. 16): la formulazione iniziale prevedeva la possibilità per un prestatore di fornire i propri servizi in uno Stato membro diverso da quello di appartenenza unicamente in base alla legislazione dello Stato membro di origine. Il Parlamento europeo ha sostituito questo principio con quello della “libera circolazione dei servizi”, in base al quale per la fornitura dei servizi si applica la legislazione del paese in cui essi vengono effettivamente prestati. Inoltre, si fa obbligo agli Stati membri di rispettare il diritto del prestatore di fornire i propri servizi liberamente sul suo territorio senza imporre requisiti discriminatori, ingiustificati e sproporzionati tranne che per motivi di pubblica sicurezza, protezione dell'ambiente e sanità pubblica;
· distacco dei lavoratori (artt. 24 e 25): il Parlamento europeo ha soppresso le disposizioni relative al distacco dei lavoratori, ritenendo che tale questione ricada nel campo di applicazione della direttiva 96/71/CE relativa al distacco di lavoratori nell’ambito di una disciplina di servizi.
Il 4 aprile 2006 la Commissione ha presentato una proposta modificata che riprende in larga misura il testo adottato in prima lettura dal PE, in particolare per quanto riguarda la soppressione del principio del Paese di origine e la sua sostituzione con quello relativo alla libera circolazione dei servizi, nonché il mantenimento dei servizi di interesse economico generale nel campo di applicazione della direttiva proposta. La Commissione ha, inoltre, deciso di escludere dal campo di applicazione della direttiva proposta una serie di servizi, fra cui i servizi sanitari, alcuni dei quali saranno oggetto di iniziative specifiche.
Nella stessa data la Commissione ha presentato una comunicazione relativa agli “Orientamenti riguardanti il distacco dei lavoratori effettuato nell’ambito di una prestazione di servizi” al fine di facilitare l’applicazione della citata direttiva 96/71/CE.
Il testo modificato della proposta sarà ora trasmesso al Consiglio che, nelle intenzioni della Presidenza austriaca, dovrebbe raggiungere un accordo politico nel mese di giugno.
Esame presso la Camera dei deputati
La Camera dei deputati ha promosso una serie di iniziative dedicate all’esame della proposta di direttiva, anche al fine di definire una posizione italiana da difendere nelle opportune sedi europee.
In particolare, la proposta è stata esaminata dalle Commissioni riunite X (Attività produttive) e XIV (Politiche dell’Unione europea), che hanno anche proceduto ad una audizione di eurodeputati italiani, cui sono stati invitati i competenti rappresentanti del Governo.
In conclusione dei lavori, il 25 gennaio 2006, le Commissioni hanno adottato un documento finale con il quale si invita il Governo ad adoperarsi nelle competenti sedi decisionali comunitarie affinché la proposta di direttiva si configuri come un atto giuridico “quadro”, senza la previsione di norme di dettaglio, preveda l’elencazione puntuale dei settori a cui si applica, definisca meglio il principio del paese di origine per scongiurare forme di dumping sociale ed eviti il rischio di intaccare i sistemi nazionali volti ad assicurare un’alta qualità dei servizi e la tutela dei consumatori.
La Conferenza dei Presidenti dei parlamenti dell’Unione europea è composta dai Presidenti delle Assemblee parlamentari degli Stati membri dell’Unione e del Parlamento europeo.
Il suo funzionamento è regolato dai “principi direttivi” approvati nella Conferenza dei Presidenti di Roma (settembre 2000). La Conferenza opera - rispettando la differente posizione costituzionale dei Presidenti - per tutelare e promuovere il ruolo dei parlamenti, su temi attinenti al ruolo dei parlamenti e all’organizzazione delle funzioni parlamentari, anche in relazione alle forme e agli strumenti della cooperazione interparlamentare.
La Conferenza si riunisce annualmente su invito del Presidente del Parlamento ospitante, a cui spetta la Presidenza. Essa delibera per consenso e può costituire gruppi di lavoro per preparare l’esame di questioni complesse. La Presidenza – che ha inizio dalla conclusione della precedente Conferenza e termina con la conclusione della successiva - cura la predisposizione di un resoconto delle riunioni e di norma dà conto dei lavori nelle sue conclusioni. La successione delle Presidenze non segue la rotazione prevista per la Presidenza semestrale dell’Unione europea, bensì è stabilita secondo un ritmo biennale: le due Presidenze successive sono infatti fissate, sulla base di candidature spontanee da parte dei singoli parlamenti nazionali, al termine di ciascuna Conferenza.
In occasione della Conferenza che si è svolta a L’Aja il 2 e 3 luglio 2004 sono state approvate le “Linee guida in materia di cooperazione interparlamentare tra i parlamenti dell’Unione europea”.
Le “linee guida” fissano i principi e gli obiettivi fondamentali della cooperazione interparlamentare nell’UE, indicano le sedi e i settori prioritari di cooperazione e recano, in un apposto allegato, alcune raccomandazioni su aspetti pratici e relativi alla programmazione delle attività interparlamentari. Le “linee guida” confermano e rafforzano il ruolo della Conferenza dei Presidenti e della sua Presidenza nel generale coordinamento della cooperazione tra i parlamenti dell’UE.
L’ultima Conferenza dei Presidenti dei parlamenti dell’Unione europea si è svolta a Budapest, il 6 e 7 maggio 2005, la prossima Conferenza si svolgerà a Copenhagen dal 29 giugno al 2 luglio 2006.
La Conferenza degli organismi specializzati negli affari comunitari ed europei dei parlamenti dell'Unione europea (COSAC) è stata istituita dalla Conferenza dei Presidenti delle Assemblee parlamentari dei Paesi membri della Comunità europea, che si è svolta a Madrid nel maggio 1989, al fine di rafforzare il ruolo dei parlamenti nazionali nel processo comunitario mediante riunioni periodiche degli organismi specializzati negli affari europei e comunitari.
Il ruolo e le funzioni della COSAC sono disciplinate dal Protocollo sul ruolo dei parlamenti nazionali, allegato al Trattato di Amsterdam.
Il Protocollo dispone che la COSAC:
· può esaminare proposte o iniziative di atti legislativi concernenti la realizzazione di uno spazio di libertà, di sicurezza e di giustizia che possa incidere direttamente sui diritti e le libertà dei singoli;
· può sottoporre all'attenzione delle istituzioni dell'Unione i contributi che ritenga opportuni sulle attività legislative dell'Unione e in particolare per quanto riguarda l'applicazione del principio di sussidiarietà, lo spazio di libertà, di sicurezza e di giustizia e le questioni inerenti ai diritti fondamentali. Il Protocollo precisa che i contributi trasmessi dalla COSAC non vincolano i parlamenti nazionali e non pregiudicano la loro posizione.
La composizione e il funzionamento della COSAC sono disciplinati da un regolamento adottato nel 1991 e modificato da ultimo dalla XXIX COSAC che si è svolta ad Atene il 5 e 6 maggio 2003 (tra le altre modifiche, è stato introdotto il voto a maggioranza qualificata di ¾ dei voti espressi per l’adozione di contributi).
La COSAC è composta da sei membri degli organismi specializzati negli affari comunitari ed europei di ogni Parlamento dell’UE e da sei membri in rappresentanza del Parlamento europeo. E’ prevista inoltre la partecipazione di tre osservatori dei parlamenti dei paesi candidati all’adesione. Essa si riunisce ordinariamente ogni sei mesi nello Stato membro che detiene la Presidenza del Consiglio dell'Unione europea; è fatta salva la possibilità di procedere a riunioni straordinarie in caso di necessità.
Le riunioni plenarie sono precedute da una riunione preparatoria della troika, che comprende i rappresentanti del Parlamento dello Stato membro che esercita il turno di Presidenza dell’Unione europea, di quello che lo ha esercitato nel semestre precedente, di quello che lo eserciterà nel semestre successivo e del rappresentante del Parlamento europeo.
La COSAC di Roma
(ottobre 2003) - sulla base delle linee guida approvate alla COSAC di Atene
(maggio 2003) - ha deciso l’istituzione, in via sperimentale, di un segretariato della Presidenza e della
troika presidenziale dalla COSAC composto
da cinque membri: quattro designati
rispettivamente dai paesi membri della troika e dal Parlamento europeo per un
periodo di 18 mesi; il quinto membro -
distaccato da uno dei parlamenti nazionali - è nominato per un periodo
di due anni dalla riunione dei Presidenti delle delegazioni nazionali su
proposta della troika.
La COSAC di Londra (ottobre 2005) ha confermato, prorogandola, l’operatività del segretariato, prevedendo però che entro due anni a partire dal 15 gennaio 2006 si avvii una discussione sulle modifiche da apportare al Regolamento COSAC per quanto riguarda il segretariato.
La decisione di istituire un segretariato è arrivata al termine di un lungo e acceso dibattito avviato dalla proposta danese di istituire un segretariato permanente costituito da cinque persone indipendenti dalla presidenza e assunte dalla COSAC. La delegazione italiana, in attuazione delle decisioni votate all’unanimità sia dalla Commissione politiche UE della Camera dei deputati sia dalla Giunta per gli affari europei del Senato, si è opposta alla creazione di una struttura permanente, ritenendo che la soluzione più funzionale e coerente alla natura e alle esigenze della COSAC fosse quella di assegnare i compiti di segretariato alle amministrazioni dei parlamenti della troika presidenziale coordinate dalla presidenza di turno.
La XXXV COSAC, nell’ambito del semestre di Presidenza dell’Unione europea dell’Austria, si svolgerà a Vienna il 23 e 24 maggio 2006, avrà all’ordine del giorno i seguenti punti, definiti dalla troika nella riunione che si è svolta il 20 febbraio 2006 a Vienna:
· Europa: prospettive e pragmatismo;
· il futuro del modello sociale europeo;
· il futuro del Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa e il controllo di sussidiarietà da parte dei parlamenti nazionali (v. scheda Il Trattato costituzionale);
· i Balcani occidentali e la politica europea di vicinato (v. scheda L’allargamento e i Balcani occidentali).
La XXXVI COSAC, nell’ambito del semestre di Presidenza dell’Unione europea della Finlandia, si svolgerà a Helsinki il 20 e 21 novembre 2006.
[1] In particolare, si prevede che il Consiglio, a maggioranza qualificata, sentito il Parlamento europeo, adotti l’elenco dei componenti redatto in conformità alle proposte degli Stati membri
[2] Tra queste si ricordano quelle in materia di libera circolazione dei cittadini, cooperazione giudiziaria civile, accordi internazionali nel settore del commercio e dei servizi, politica industriale, statuto dei deputati e dei partiti politici europei, fondi strutturali e fondi di coesione (a partire dal 2007).
[3] Gli articoli interessati riguardano: discriminazioni sessuali e razziali; visti, asilo e immigrazione; cooperazione giudiziaria in materia civile; sostegno al settore industriale; azioni di coesione economica e sociale esterne ai fondi strutturali; statuto dei partiti politici europei.
[4] Si tratta dei casi in cui hanno ad oggetto materie per cui si applica la codecisione.
[5] "Ratifica ed esecuzione del Trattato di adesione all’Unione europea tra gli Stati membri dell’Unione europea e la Repubblica ceca, la Repubblica di Estonia, la Repubblica di Cipro, la Repubblica di Lettonia, la Repubblica di Lituania, la Repubblica di Ungheria, la Repubblica di Malta, la Repubblica di Polonia, la Repubblica di Slovenia, la Repubblica slovacca, con Atto di adesione, Allegati, Protocolli, Dichiarazioni, Scambio di lettere e Atto finale, fatto ad Atene il 16 aprile 2003".
[6] Ungheria e Repubblica Ceca hanno ottenuto di equiparare i loro seggi a quelli di Belgio, Grecia e Portogallo, Stati membri con popolazione di analoga consistenza numerica.
[7] Sarà quindi necessaria un modifica della disposizione del Trattato di Nizza che ha fissato il limite massimo dei seggi in settecentotrentadue. Si segnala al proposito che nel progetto di Costituzione per l'Europa elaborato dalla Convenzione europea il limite dei seggi del Parlamento europeo è stato fissato a settecentotrentasei.
[8] Per le decisioni assunte a maggioranza qualificata nei settori della politica estera e di sicurezza comune e nel settore delle cooperazioni (art. 23, paragrafo 2 del TUE) e negli affari interni e della giustizia (art. 34, paragrafo 3 del TUE) occorrono invece sempre duecentotrentadue voti espressi da almeno due terzi degli Stati membri.
[9] Si ricorda che il Trattato di Nizza ha previsto che a partire da quando l'Unione europea annoveri ventisette Stati membri il numero dei commissari sia inferiore al numero degli Stati membri, sulla base di una rotazione paritaria tra gli stessi. Spetterà al Consiglio definire, all'unanimità, le modalità di tale rotazione paritaria e fissare il numero dei membri della Commissione.
[10] Si tratta degli atti adottati nell’ambito della cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale.
[11] Non sono qui considerati i casi di recepimento diretto.
[12] Tale norma ha limitato l’intervento dei regolamenti governativi nelle sole materie di competenza statale esclusiva (art. 117, VI comma, Cost.).
[13] Si veda la decisione 10 novembre 1992, Hansa Fleisch, in causa C-156/91.
[14] Si vedano le decisioni 13 novembre 1989, Grimaldi, in causa 322/88, e 13 dicembre 1990, Nefaria, in causa T-113/89.
[15] “Coordinamento delle politiche riguardanti l'appartenenza dell'Italia alle Comunità europee ed adeguamento dell'ordinamento interno agli atti normativi comunitari”.
[16] “Norme generali sulla partecipazione dell'Italia al processo normativo comunitario e sulle procedure di esecuzione degli obblighi comunitari”.
[17] “Norme generali sulla partecipazione dell'Italia al processo normativo dell'Unione europea e sulle procedure di esecuzione degli obblighi comunitari”.
[18][18]Sono dichiarati inammissibili, tra l’altro, gli emendamenti ed articoli aggiuntivi relativi ad argomenti affatto estranei all’oggetto della discussione.
[19] Si tratta dell’ultimo dato disponibile relativo al monitoraggio sull’attuazione del diritto comunitario, aggiornato all’8 marzo 2006.
[20] I dati sono forniti dal Segretario generale della Commissione europea.
[21] Al 30 aprile 2004 la percentuale era del 97,70%.
[22] Al 30 Ottobre 2005 erano 1639 le direttive e 546 i regolamenti riferibili al mercato interno come definito dai Trattati.
[23] Pubblicato il 27 gennaio 2005 e presentato al Consiglio europeo di primavera 2005.
[24] Si tratta di direttive in vigore a prescindere dal termine di recepimento.
[25] pubblicato il 27 gennaio 2005 e presentato al Consiglio europeo di primavera v. anche il COM(2003)238 final, del 7 maggio 2003.
[26] I dati si riferiscono a casi di non conformità nel recepimento o di applicazione erronea della legislazione del mercato interno e non comprendono i casi di mancata comunicazione del recepimento per evitare una duplicazione nel conteggio delle procedure.
[27] Tale norma ha limitato l’intervento dei regolamenti governativi nelle sole materie di competenza statale esclusiva (art. 117, VI comma, Cost.).
[28] Gli effetti attribuiti al parere che la XIV Commissione esprime sugli schemi di atti normativi di recepimento delle direttive comunitarie (spesso adottati in base alla delega contenuta nella legge comunitaria annuale) risulta particolarmente significativo in quanto lo stesso viene trasmesso direttamente al Governo contestualmente a quello della Commissione di merito.
[29] Si vedano le questioni sorte in occasione dell’espressione dei pareri relativi agli AA.CC. 3053 e abb., 6176, 5736, 3258, 4444 e abb., 3226 e abb.
[30] Si vedano, in particolare, le sentenze della Corte di giustizia del 9 novembre 1983, in causa C-322-81, del 14 novembre 1996, in causa C-333/94, e del Tribunale del 30 marzo 2000, in causa T- 65/96.
[31] Si veda, in particolare, le questioni sorte in occasione dell’espressione del parere reso sull’A.C. 310 e abb.-D.
[32] Si vedano, ad esempio, le questioni sorte in occasione dell’espressione dei pareri relativi agli AA.CC. 3244, 587 e abb., 6176 e allo schema di decreto legislativo atto n. 550.
[33] Si vedano le questioni sorte in occasione dell’espressione dei pareri sugli AA.CC 1048, 6176, 1219, 1698, 5133, 587 e abb.
[34] Si ricorda che in materia è stata di recente adottata la direttiva 2005/36/CE, che mira a consolidare in un unico testo e a semplificare le direttive settoriali in materia di professioni. In particolare, la direttiva dispone che, se in uno Stato membro l'accesso o l'esercizio di una delle attività elencate nell’allegato alla proposta, è subordinato al possesso di conoscenze e competenze generali, commerciali o professionali, ogni Stato membro riconosce come prova sufficiente di tali conoscenze e competenze l’esercizio dell’attività considerata in un qualunque altro Stato membro. La direttiva, tra l’altro, prevede:
§ un regime generale di riconoscimento reciproco: se in uno Stato membro ospitante l’accesso a una professione regolamentata o il suo esercizio è subordinato al possesso di determinate qualifiche professionali, l’autorità competente di tale Stato membro dà accesso alla professione e ne consente l’esercizio, alle stesse condizioni dei cittadini, ai richiedenti in possesso dell’attestato di competenza o del titolo di formazione prescritto, per accedere alla stessa professione o esercitarla sul suo territorio, da un altro Stato membro.
§ il riconoscimento automatico delle qualifiche comprovate dall'esperienza professionale per una serie di attività industriali, artigiane e commerciali elencate nell’allegato IV della proposta (come ad esempio quelle delle attività dell’intermediazione commerciale).
§ il riconoscimento automatico dei titoli di formazione, sulla base di un coordinamento delle condizioni minime di formazione, per medici, infermieri, responsabili delle cure generali, odontoiatri, veterinari, levatrici, farmacisti e architetti.
[35] Si vedano le questioni sorte in occasione dell’espressione dei pareri sugli AA.CC 587 e abb., 5337, 1219, 1698.
[36] Si vedano, in particolare, le questioni sorte in occasione dell’espressione del parere sull’A.C. 472 e abb.
[37] Vedi la sentenza della Corte UE del 12 ottobre 1978, causa 13/78, Eggers Sohn et Co. contro Città di Brema; in tale sentenza sono stati chiaramente enucleati i motivi alla base dell’interpretazione dell’art. 28 (allora 30) del Trattato fatta dalla Corte, in tema di marchi di qualità di titolarità di enti pubblici. In particolare, nel punto 24 della sentenza citata si afferma che “in effetti, in un mercato che deve possedere, nella misura del possibile, le caratteristiche di un mercato unico, il diritto a una denominazione di qualità per un prodotto dovrebbe dipendere – salve restando le norme da applicarsi in materia di denominazione di origine e indicazione di provenienza – unicamente dalle caratteristiche obiettive intrinseche dalle quali risulti la qualità del prodotto, rispetto allo stesso prodotto di qualità inferiore, ma non dalla localizzazione geografica di questa o di quella fase della produzione. Nel punto 25 della medesima sentenza si afferma, inoltre, che “per quanto auspicabile, la politica di controllo della qualità da parte di uno Stato membro non può essere attuata, in ambito comunitario, se non con mezzi conformi ai principi fondamentali del Trattato; ne consegue che, se è vero che gli Stati membri sono competenti a stabilire norme di qualità dei prodotti messi in commercio sul loro territorio e possono subordinare l’uso di denominazioni di qualità al rispetto di queste norme, essi lo sono a condizione che queste norme e denominazioni, a differenza di quanto accade per le denominazioni di origine e le indicazioni di provenienza, non siano legate alla localizzazione nel territorio nazionale del processo di produzione dei prodotti in questione, bensì unicamente al possesso delle caratteristiche obiettive intrinseche che danno ai prodotti la qualità richiesta dalla legge; sempre facendo eccezione per le regole relative alle denominazioni di origine e per le indicazioni di provenienza, è incompatibile con il mercato comune la presunzione di qualità legata alla localizzazione nel territorio nazionale di tutto o di parte del processo produttivo, la quale di per ciò stesso limita o svantaggia un processo produttivo le cui fasi si svolgano in tutto o in parte in altri Stati membri (…).Nello stesso senso, si vedano inoltre le decisioni del 5 novembre 2002 (causa C-325/00), 6 marzo 2003 (causa C-6/02), del 17 giugno 2004 (causa C-255/03).
[38] Era pari allo 0,75 % nel periodo 2002-2003.
[39] Ulteriori caratteristiche del nuovo sistema rispetto al precedente sono le seguenti:
- l'imponibile massimo IVA sulla base del quale va calcolata l'aliquota di prelievo resterà fissato al 50% del PNL di ciascuno Stato membro ("livellamento della risorsa IVA");
- la risorsa IVA è uguale all'aliquota effettiva IVA applicata alle basi imponibili IVA (compreso un eventuale livellamento);
- il metodo di riscossione delle risorse proprie continuerà ad essere determinato da disposizioni nazionali, sulle quali la Commissione eserciterà un regolare controllo. Gli Stati membri informeranno altresì regolarmente la Commissione delle anomalie che possono avere un impatto finanziario, riscontrate in sede di riscossione;
- non saranno create nuove risorse proprie ma la Commissione dovrà avviare prima del 1° gennaio 2006, un riesame generale del funzionamento del sistema delle risorse proprie, anche alla luce dell’allargamento;
- vengono applicate le nozioni statistiche più recenti, definite nel sistema europeo dei conti economici integrati (SEC 95 - regolamento CE n. 2223/96): per PNL si intende il RNL dell’anno ai prezzi di mercato fornito dalla Commissione in applicazione del SEC95;
- vengono apportati correttivi (un sistema differenziato per Stato membro) e adeguamenti tecnici (a favore del Regno Unito) al sistema della correzione britannica.
[40] Nel 2000 erano stati 19.199miliardi di lire; nel 2001, 15.235,5 miliardi di lire; nel 2002, 7.809 milioni di euro e nel 2003 10.194 milioni di euro.
[41] Tali risorse sono state così ripartite: FESR: 1.561,494 milioni; FSE: 600,947 milioni; FEOGA orientamento 418,894 milioni; SFOP: 23,652 milioni.
[42] Legge 16 aprile 1987, n. 183, Coordinamento delle politiche riguardanti l’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee ed adeguamento dell’ordinamento interno agli atti normativi comunitari.
[43] In tal senso le conclusioni dell’avvocato generale Juliane Kokott del 15/12/2005 nella causa C-10/05. Cfr. anche sul punto le conclusioni dell'8 settembre 2005 nella causa C‑540/03, Parlamento/Consiglio e il 14 ottobre 2004 nelle cause riunite C‑387/02, C‑391/02 e C‑403/02, Berlusconi e altri; nello stesso senso le conclusioni dell'avvocato generale Poiares Maduro presentate il 29 giugno 2004 nella causa C‑181/03 P, Nardone, dell'avvocato generale Mischo, presentate il 20 settembre 2001 nelle cause riunite C‑20/00 e C‑64/00, Booker Aquaculture e Hydro Seafood, dell'avvocato generale Tizzano, presentate l'8 febbraio 2001 nella causa C‑173/99, e dell'avvocato generale Léger, presentate il 10 luglio 2001 nella causa C‑353/99 P, Hautala; più prudentemente si è espresso l'avvocato generale Alber nelle conclusioni da lui presentate il 24 ottobre 2002 nella causa C‑63/01, Evans.
[44] Si vedano, ad esempio, le sentenze relative alle cause T-112/98 e T-54/99.
[45] In base alla giurisprudenza comunitaria tale principio può limitarsi esclusivamente per «esigenze imperative attinenti, in particolare, all'efficacia dei controlli fiscali, alla protezione della salute pubblica, alla lealtà dei negozi commerciali e alla difesa dei consumatori» (sentenza 20 febbraio 1979, in causa C-120/78, Rewe Zentral, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale delle Comunità europee - GUCE).
[46] Come ad esempio nelle vicende relative all'aceto di vino italiano, alla birra tedesca, al gin, al formaggio olandese, alla pasta italiana, allo yogurt francese, nonché, da ultimo, al cioccolato e al prosciutto di Parma, rispettivamente, sentenza 9 dicembre 1981, causa C-193/80; 12 marzo 1987, causa C-178/84; 26 novembre 1985, causa C-182/84; 5 dicembre 2000, causa C-448/98; 14 luglio 1988, causa C-407/85.
[47] Sentenze 16 gennaio 1997, causa C-134/95; 9 settembre 1999, causa C-108/98; 21 ottobre 1999, causa C-97/98; 6 giugno 2000, causa C-281/98; 20 febbraio 2001, causa C-192/99; causa C-14/00.
[48] In ordine all'esigenza di garanzia del principio autonomistico e del suo contemperamento con la necessaria dotazione in capo allo Stato di poteri congrui, anche in via d'urgenza, rispetto alle sue responsabilità comunitarie, si vedano anche le sentenze nn. 458 del 1995; 316 del 1993; 453 e 349 del 1991; 448 del 1990; 632 del 1988; 433 e 304 del 1987; 81 del 1979 e 182 del 1976.
[49] Il riferimento delle disposizioni della legge 11/2005 agli “atti e progetti di atti comunitari e dell’Unione europea” implica che rientrano nel campo di applicazione della legge le attività relative alla predisposizione non solo degli atti propriamente comunitari (I° pilastro), ma anche degli atti adottati nell’ambito delle disposizioni contenute nel Trattato sull’Unione europea relative politica estera e di sicurezza comune (II° pilastro) ed alla cooperazione di polizia e giudiziaria nel settore penale (III° pilastro).
[50] La riserva di esame parlamentare può essere apposta su di un testo ovvero su una o più parti di esso.
[51] Come previsto ai sensi dell’articolo 3 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281.
[52] Infatti, la norma prevede che il Presidente del Consiglio o il Ministro per le politiche comunitarie informino tempestivamente le Camere e le regioni e province autonome sugli atti normativi e di indirizzo emanati dalla Unione europea e dalle Comunità europee. L’informazione di regioni e province autonome deve avvenire per il tramite della Conferenza dei presidenti delle regioni e delle province autonome e della Conferenza dei presidenti dell’Assemblea, dei Consigli regionali e delle province autonome. La previsione del doppio tramite pare sottendere la volontà di coinvolgere nella fase discendente tanto il livello esecutivo, quanto quello assembleare di regioni e province autonome.
[53] Per quanto riguarda lo Stato, il Presidente del Consiglio ovvero il Ministro per le politiche comunitarie verificano, con la collaborazione delle amministrazioni interessate, la conformità sia dell’ordinamento interno sia degli indirizzi politici del Governo, trasmettendo le risultanze di tale controllo, con cadenza almeno quadrimestrale, agli organi parlamentari competenti nonché alla Conferenza Stato-Regioni e a quella dei Presidenti dell’Assemblea, dei Consigli regionali e delle province autonome, che possono formulare ogni opportuna osservazione. Il Governo indica, inoltre, le eventuali misure necessarie per l’adeguamento;
Per quanto riguarda le regioni e le province autonome, esse - verificato lo stato di conformità dei rispettivi ordinamenti - trasmettono le risultanze del controllo alla Presidenza del Consiglio dei ministri-Dipartimento per le politiche comunitarie, indicando anche le misure da intraprendere.
[54] Si ricorda altresì che, contrariamente a quanto previsto dall’articolo 10, comma 3-quater, del Testo unico sulla promulgazione delle leggi (DPR n. 1092/1985), introdotto dall’art. 4 della legge comunitaria 1999, non è stato rispettato, in sede di pubblicazione delle leggi comunitarie del 2000, del 2001, del 2002, del 2003 e del 2004, l’obbligo di riportare a titolo informativo nella Gazzetta Ufficiale, unitamente alla legge comunitaria annuale, l’elenco delle direttive attuate o da attuare in via amministrativa. Tale obbligo era invece stato rispettato in sede di pubblicazione della legge comunitaria per il 1999.
[55] Può citarsi, al riguardo, l’articolo 4 della legge comunitaria per il 2004 (legge 27/4/2005, n. 62), che riprende a sua volta il disposto dell’articolo 4 delle precedenti leggi comunitarie.
[56] In particolare, le norme generali consistono in:
- individuazione della responsabilità e delle funzioni attuative delle amministrazioni, nel rispetto del principio di sussidiarietà;
- esercizio dei controlli da parte degli organismi già operanti nel settore e secondo modalità che assicurino efficacia, efficienza, sicurezza e celerità;
- esercizio delle opzioni previste dalle direttive in conformità alle peculiarità socio-economiche nazionali e locali e alla normativa di settore;
- fissazione di termini e procedure, nel rispetto dei princìpi di cui all’articolo 20, comma 5, della legge 15 marzo 1997, n. 59[56], e successive modificazioni (a tale proposito si segnala che i termini e le procedure cui riferirsi sono ora contenute nel comma 4, anziché nel comma 5 dell’art. 20 della legge n. 59/1997, a seguito della sostituzione dell’art. 20 stesso ad opera dell’art. 1 della legge 29 luglio 2003, n. 229).
[57] In realtà, è richiesta esclusivamente la legge comunitaria per gli ultimi due punti, mentre per il primo la legge comunitaria o altra legge statale e per il secondo una qualsiasi legge statale.
[58] Così dispone la norma citata: 1. Gli atti di indirizzo e coordinamento delle funzioni amministrative regionali, gli atti di coordinamento tecnico, nonché le direttive relative all'esercizio delle funzioni delegate, sono adottati previa intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, o con la singola regione interessata. 2. Qualora nel termine di quarantacinque giorni dalla prima consultazione l'intesa non sia stata raggiunta, gli atti di cui al comma 1 sono adottati con deliberazione del Consiglio dei ministri, previo parere della Commissione parlamentare per le questioni regionali da esprimere entro trenta giorni dalla richiesta. 3. In caso di urgenza il Consiglio dei ministri può provvedere senza l'osservanza delle procedure di cui ai commi 1 e 2. I provvedimenti in tal modo adottati sono sottoposti all'esame degli organi di cui ai commi 1 e 2 entro i successivi quindici giorni. Il Consiglio dei ministri è tenuto a riesaminare i provvedimenti in ordine ai quali siano stati espressi pareri negativi. 4. Gli atti di indirizzo e coordinamento, gli atti di coordinamento tecnico, nonché le direttive adottate con deliberazione del Consiglio dei ministri, sono trasmessi alle competenti Commissioni parlamentari.
[59] In particolare, la norma stabiliva che in caso di inadempimento delle regioni (e province autonome) il Governo, ai sensi dell’art. 6, III comma, del d.p.r. n. 616, poteva prescrivere con deliberazione del Consiglio dei Ministri, su parere della Commissione parlamentare per le questioni regionali e sentita la regione interessata, un congruo termine per provvedere, decorso il quale era possibile adottare i provvedimenti necessari in sostituzione dell'amministrazione regionale. In particolare, il Consiglio dei Ministri disponeva l'intervento sostitutivo dello Stato, eventualmente attraverso il conferimento dei poteri necessari ad un’apposita commissione.
[60] Il meccanismo prevede la trasmissione alle Regioni per il tramite della Conferenza dei presidenti delle stesse regioni e province autonome, nonché della Conferenza dei presidenti dell’Assemblea, dei Consigli regionali e delle province autonome, con la possibilità per questi soggetti di formulare osservazioni.
[61] Al Consiglio dei ministri, nei casi in cui l’esecuzione della decisione investa profili di competenza regionale, è chiamato ad intervenire, con voto consultivo, il presidente della regione o provincia autonoma, salvo quanto stabilito dagli statuti speciali.
[62] Nel corso dell’indagine conoscitiva sulla qualità ed i modelli di recepimento delle direttive comunitarie, svolta sul finire della XIII Legislatura e conclusa nell’ottobre 2000, era stata evidenziata, rispetto all’interazione dei soggetti coinvolti nel recepimento, la necessità di una più razionale definizione delle competenze tra i vari soggetti e di un loro maggiore coordinamento. In particolare, nel documento conclusivo, dopo aver valutato positivamente la direzione intrapresa con il decreto legislativo n. 303 del 1999, era stata evidenziata la necessità di definire con più evidenza il ruolo ed il reciproco rapporto del Dipartimento per le politiche comunitarie e del Ministero degli affari esteri, ed in particolare della Rappresentanza permanente.
[63] Articolo 3 del D.Lgs. n. 303 del 1999
[64] Pubblicato in GU 28/4/2004 e che ha provveduto ad abrogare il precedente decreto di organizzazione del Dipartimento del 19 settembre 2000.
[65] Con compiti di supporto del Comitato omologo istituito ai sensi dell'art. 76 della legge 19 febbraio 1992, n. 142.
[66] La legge 5 giugno 2003, n. 131 di adeguamento dell'ordinamento alla riforma del Titolo V della Costituzione, ha attribuito nuovi compiti alla Conferenza (si veda, in particolare, l’art. 120, comma 4).
[67] Cfr. la relazione all’A.C. 5767
[68] Si ricorda che il comma 2 dell’art. 11-ter della l. n. 468, stabilisce che i disegni di legge, gli schemi di decreto legislativo e gli emendamenti di iniziativa governativa che comportino conseguenze finanziarie devono essere corredati da una relazione tecnica, predisposta dalle amministrazioni competenti e verificata dal Ministero del tesoro, sulla quantificazione delle entrate, degli oneri recati e delle relative coperture. Nella relazione devono essere indicati i dati e i metodi utilizzati per la quantificazione, le loro fonti e ogni elemento utile per la verifica tecnica in sede parlamentare secondo le norme da adottare con i regolamenti parlamentari.
[69] In particolare: 2003/123/CE, 2004/9/CE , 2004/36/CE, 2004/49/CE , 2004/50/CE , 2004/54/CE, 2004/80/CE, 2004/81/CE, 2004/83/CE, 2004/113/CE, 2005/19/CE, 2005/28/CE, 2005/36/CE e 2005/60/CE.
[70] Parere, ai sensi dell’articolo 16-bis, del Regolamento, sul disegno di legge recante Riordino del settore energetico, nonché delega al Governo per il riassetto delle disposizioni vigenti in materia di energia (A.C. 3297-B), 14 luglio 2004.
[71] L’obbligo è stato invece rispettato con la presentazione del disegno di legge comunitaria 2006, come successivamente evidenziato.
[72] Decreto legislativo 13 gennaio 1999, n. 18 Attuazione della direttiva 96/67/CE relativa al libero accesso al mercato dei servizi di assistenza a terra negli aeroporti della Comunità.
[73] A tale proposito, si fa presente che il termine di sei anni dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo 18/1999 risulta scaduto nel febbraio 2005.
[74] Analoga previsione era già contenuta nella precedente legge La Pergola (l. n. 86/1989) .
[75] Analoga previsione era già contenuta nella precedente legge La Pergola (l. n. 86/1989) .
[76] Si segnala invece che tali dati sono stati comunicati nella relazione di accompagnamento al disegno di legge comunitaria 2006, per il quale cfr. il paragrafo successivo.
[77] In particolare, si ricorda: il Ministro delle politiche comunitarie; il Ministro dell'economia e delle finanze; il Vice Ministro delle attività produttive; il Ministro delle politiche agricole e forestali; di rappresentanti del settore metallurgico; rappresentanti di associazioni di categoria (Confartigianato, CNA, Confcommercio, Casartigiani, CONFAPI, Confesercenti, Comitato per il settore tessile); rappresentanti di associazioni professionali operanti nel settore agricolo (Confagricoltura, CIA, Coldiretti, COPAGRI, UNCI, Confcooperative-Federagroalimentari, AGCI, ANCA-LEGACOOP); rappresentanti di Confindustria; rappresentanti delle associazioni di consumatori; rappresentanti di organizzazioni sindacali; il Presidente della Fondazione Italia-Cina; di rappresentanti la Conferenza dei presidenti delle regioni e delle province autonome e di ANCI, UNI, UNCEM E CO.NORD; il direttore dell'Agenzia delle dogane; rappresentanti dell'ICE e dell'Unioncamere; il Presidente e un componente dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato; il Presidente dell'Autorità per l'energia elettrica e il gas; rappresentanti dell'ENEL; rappresentanti dell'ambasciata della Repubblica popolare cinese in Roma; l'ambasciatore della Repubblica dell'India.
[78] In particolare, la quota delle esportazioni cinesi sul totale mondiale è passata dal 5,09 del 2000 al 9,06 per cento del 2004 (le importazioni dal 3,95 per cento al 7,15 per cento).
[79] Le esportazioni di beni dalla Cina verso l'UE hanno avuto una crescita annuale del 14,6 per cento, mentre le importazioni della Cina dall’UE una crescita media annua del 16,9 per cento.
Le esportazione di merci dell'India verso l'UE hanno registrato un aumento medio annuo del 6,6 per cento, mentre le importazioni un incremento medio annuo dell'11 per cento.
[80] Si tratta delle linee guida per l'applicazione delle clausole di salvaguardia nei confronti delle importazioni di prodotti tessili e di abbigliamento dalla Cina
[81] Ai fini di recepire le disposizioni in esso contenute, la Commissione ha adottato il regolamento (CE) 1084/2005 dell'8 luglio 2005, volto a modificare il regolamento (CEE) 3030/93, relativo al regime comune da applicare alle importazioni di alcuni prodotti tessili originari dei Paesi terzi.
[82] Per dare attuazione all'accordo, la Commissione ha adottato il 12 settembre il regolamento (CE) n. 1478/2005.
[83] I dati riportati sono stati forniti dalla Fondazione Italia-Cina, nel corso dell’audizione presso la XIV Commissione nella seduta del 21 luglio 2004.
[84] Nella specie, è stato individuato - da parte del Governo - il Ministro per le politiche comunitarie, On. Giorgio La Malfa.
[85] Adottato con un accordo politico dai capi di Stato e di governo al Consiglio europeo di Bruxelles del 17 e 18 giugno 2004.
[86] E’ stata assunta la decisione di affidare la preparazione di una Costituzione per l'Europa ad una convenzione, che ha riunito i rappresentanti dei Parlamenti nazionali, del Parlamento europeo, dei governi nazionali e della Commissione europea.
[87] La CIG ha seguito in grandissima parte il testo redatto dalla convenzione europea, apportando un numero relativamente importante di modifiche testuali. Una delle maggiori differenze consiste nelle minore ambizione per quanto riguarda l'ambito di applicazione della maggioranza qualificata.
[88] L’articolo III-350 contempla la possibilità che una legge europea possa istituire tribunali specializzati affiancati al Tribunale e incaricati di conoscere in primo grado talune categorie di ricorsi proposti in materie specifiche. Attualmente l’articolo 225 del TCE prevede, con analoghe finalità, la creazione di camere giurisdizionali; sulla base di tale articolo il Consiglio, con decisione del 2 novembre 2004, ha istituito il Tribunale della funzione pubblica dell’Unione europea.
[89] La competenza per l’adozione degli atti esecutivi è attribuita in via di generale agli Stati membri.
[90] Le leggi europee e le leggi quadro europee possono delegare alla Commissione la facoltà di emanare regolamenti delegati che completano o modificano determinati elementi non essenziali della legge o della legge quadro, delimitando esplicitamente obiettivi, contenuto, portata e durata della delega. La disciplina degli elementi essenziali di un settore rimane riservata alla legge o alla legge quadro.
[91] Gli articoli III-260, 273 e 276 stabiliscono un obbligo di informazione ai Parlamenti nazionali, oltre che al Parlamento europeo.
[92] Già in una sentenza del 1969, la Corte di giustizia aveva riconosciuto l’esistenza dei diritti fondamentali a livello comunitario ed aveva stabilito che tali diritti rientrano tra i principi giuridici generali che essa deve salvaguardare facendo anche riferimento alle “tradizioni costituzionali comuni” degli Stati membri. Anche sulla base di questa prassi giurisprudenziale, il vigente art. 6 del Trattato sull’Unione europea (introdotto a Maastricht) stabilisce che “L'Unione rispetta i diritti fondamentali quali sono garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, e quali risultano dalle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri, in quanto principi generali del diritto comunitario”.
[93] In tal senso le conclusioni dell’avvocato generale Juliane Kokott del 15/12/2005 nella causa C-10/05. Cfr. anche sul punto le conclusioni dell'8 settembre 2005 nella causa C‑540/03, Parlamento/Consiglio e il 14 ottobre 2004 nelle cause riunite C‑387/02, C‑391/02 e C‑403/02, Berlusconi e altri; nello stesso senso le conclusioni dell'avvocato generale Poiares Maduro presentate il 29 giugno 2004 nella causa C‑181/03 P, Nardone, dell'avvocato generale Mischo, presentate il 20 settembre 2001 nelle cause riunite C‑20/00 e C‑64/00, Booker Aquaculture e Hydro Seafood, dell'avvocato generale Tizzano, presentate l'8 febbraio 2001 nella causa C‑173/99, e dell'avvocato generale Léger, presentate il 10 luglio 2001 nella causa C‑353/99 P, Hautala; più prudentemente si è espresso l'avvocato generale Alber nelle conclusioni da lui presentate il 24 ottobre 2002 nella causa C‑63/01, Evans.
[94] Si vedano, ad esempio, le sentenze relative alle cause T-112/98 e T-54/99.
[95] Cfr. sentenza n. 135 del 2002.
[96] La giurisprudenza della Corte di giustizia ha da tempo esteso l’ambito di applicazione dei diritti fondamentali comunitari anche agli Stati membri nella misura in cui questi agivano “nel campo di applicazione del diritto comunitario”, escludendo dalla propria giurisdizione solo le attività statali inerenti a materie del tutto estranee al diritto comunitario. E’ stata così elaborata la dottrina così detta della incorporation, alla luce della quale i diritti fondamentali comunitari (finora elaborati dalla Corte di giustizia, in assenza di un Bill of rights comunitario, attraverso estrapolazione dalla CEDU o dalle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri) vincolano non solo le istituzioni e gli organi comunitari ma anche le istituzioni nazionali quando esse agiscono per dare esecuzione ad obblighi comunitari, oppure quando gli Stati membri invocano una clausola di giustificazione contenuta nel diritto comunitario per non applicare un obbligo comunitario in uno specifico caso (M. Cartabia, 2001) (cfr. tra le molte, le sentt. 13 luglio 1989, 5/88, Wachauf; 8 aprile 1992, 62/90, Commissione c. Germania; 26 giugno 1997, C-368/95, Familiapress; 13 aprile 2000, C-292/97, Karlsson).
[97] La giurisprudenza della Corte di giustizia ha da tempo esteso l’ambito di applicazione dei diritti fondamentali comunitari anche agli Stati membri nella misura in cui questi agivano “nel campo di applicazione del diritto comunitario”, escludendo dalla propria giurisdizione solo le attività statali inerenti a materie del tutto estranee al diritto comunitario. E’ stata così elaborata la dottrina così detta della incorporation, alla luce della quale i diritti fondamentali comunitari (finora elaborati dalla Corte di giustizia, in assenza di un Bill of rights comunitario, attraverso estrapolazione dalla CEDU o dalle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri) vincolano non solo le istituzioni e gli organi comunitari ma anche le istituzioni nazionali quando esse agiscono per dare esecuzione ad obblighi comunitari, oppure quando gli Stati membri invocano una clausola di giustificazione contenuta nel diritto comunitario per non applicare un obbligo comunitario in uno specifico caso (M. Cartabia, 2001) (cfr. tra le molte, le sentt. 13 luglio 1989, 5/88, Wachauf; 8 aprile 1992, 62/90, Commissione c. Germania; 26 giugno 1997, C-368/95, Familiapress; 13 aprile 2000, C-292/97, Karlsson).
[98] "Ratifica ed esecuzione del Trattato di adesione all’Unione europea tra gli Stati membri dell’Unione europea e la Repubblica ceca, la Repubblica di Estonia, la Repubblica di Cipro, la Repubblica di Lettonia, la Repubblica di Lituania, la Repubblica di Ungheria, la Repubblica di Malta, la Repubblica di Polonia, la Repubblica di Slovenia, la Repubblica slovacca, con Atto di adesione, Allegati, Protocolli, Dichiarazioni, Scambio di lettere e Atto finale, fatto ad Atene il 16 aprile 2003".
[99] Fra il 1987 e il 1996 tredici Stati (i dieci Stati aderenti più Bulgaria, Romania e Turchia) hanno presentato la candidatura all’adesione all’Unione europea. Il 31 marzo 1998 si sono aperti i negoziati con Cipro, Estonia, Repubblica ceca, Polonia, Slovenia e Ungheria. Il 13 ottobre 1999 la Commissione ha dato l’avvio ai negoziati con Bulgaria, Lettonia, Lituania, Malta, Repubblica slovacca, Romania. Al Consiglio europeo di Copenaghen del 12 e 13 dicembre 2002 si sono conclusi i negoziati di adesione con dieci Paesi; i negoziati con Bulgaria e Romania proseguono con l’obiettivo, confermato ultimamente dal Consiglio europeo di Salonicco, di accogliere tali Stati in qualità di membri nel 2007. Quanto alla Turchia, il Consiglio europeo di Copenaghen ha rinviato ogni decisione sull’avvio dei negoziati al Consiglio europeo del dicembre 2004.
In considerazione del mancato raggiungimento di una soluzione globale della questione cipriota prima della firma del Trattato, allo stesso è allegato un protocollo su Cipro, che dispone la sospensione dell’acquis nelle parti dell’isola sulle quali il Governo della Repubblica di Cipro non esercita il controllo effettivo (parte nord, zona turco-cipriota); si tratta di una misura esplicitamente transitoria, che il Consiglio può revocare non appena risolta la questione della divisione dell’isola.
[100] Le disposizioni del Trattato di Nizza relative agli adeguamenti istituzionali per una Unione ampliata sono contenute nel Protocollo sull’allargamento (per quanto riguarda gli Stati membri) e nella Dichiarazione relativa all’allargamento dell’Unione europea (per quanto riguarda gli Stati candidati).
[101] Ungheria e Repubblica Ceca hanno ottenuto di equiparare i loro seggi a quelli di Belgio, Grecia e Portogallo, Stati membri con popolazione di analoga consistenza numerica.
[102] Sarà quindi necessaria un modifica della disposizione del Trattato di Nizza che ha fissato il limite massimo dei seggi in settecentotrentadue. Si segnala al proposito che nel progetto di Costituzione per l'Europa elaborato dalla Convenzione europea il limite dei seggi del Parlamento europeo è stato fissato a settecentotrentasei.
[103] Per le decisioni assunte a maggioranza qualificata nei settori della politica estera e di sicurezza comune e nel settore delle cooperazioni (art. 23, paragrafo 2 del TUE) e negli affari interni e della giustizia (art. 34, paragrafo 3 del TUE) occorrono invece sempre duecentotrentadue voti espressi da almeno due terzi degli Stati membri.
[104] Si ricorda che il Trattato di Nizza ha previsto che a partire da quando l'Unione europea annoveri ventisette Stati membri il numero dei commissari sia inferiore al numero degli Stati membri, sulla base di una rotazione paritaria tra gli stessi. Spetterà al Consiglio definire, all'unanimità, le modalità di tale rotazione paritaria e fissare il numero dei membri della Commissione.
[105] Questo totale tiene conto dei seggi che sarebbero eventualmente attribuiti a Bulgaria e Romania nel caso di una loro adesione nel 2007, calcolati proporzionalmente sulla base dei seggi attribuiti agli altri Stati membri.
[106] La norma specifica, inoltre, il procedimento per l’adozione della decisione in esame (unanimità dei componenti del Consiglio che rappresentino i Governi degli Stati membri che già applicano le disposizioni relative a Schengen e del Governo dello Stato membro interessato).
[107] Il paragrafo 3 prevede che gli accordi conclusi dal Consiglio con la Repubblica di Islanda e il Regno di Norvegia (Paesi associati all’attuazione dell'acquis di Schengen e al suo ulteriore sviluppo), al fine di individuare procedure appropriate, disposizioni relative al contributo dell’Islanda e della Norvegia ad eventuali conseguenze finanziarie, sono vincolanti per i nuovi Stati membri dalla data di adesione.
[108] L’allegato II “Disposizioni permanenti, modifiche al diritto derivato” si compone di 22 sezioni.
[109] Si sottolinea come non risultano modificati i criteri per l’accesso dei vecchi Stati membri ai vari Obiettivi, essendo ancora in corso il dibattito sul futuro della politica regionale dopo il 2006.
[110] Regioni idonee: per la Repubblica ceca tutte le regioni eccetto Praga e per la Slovacchia tutte le regioni eccetto Bratislava; per Ungheria e Polonia, tutte le regioni; per Estonia, Lettonia, Lituania, Malta e Slovenia, l’intero territorio nazionale.
[111] Le regioni di Praga e Bratislava nonché l’intero territorio di Cipro. Sulla determinazione delle zone cui si applica l’Obiettivo 2, l’Allegato III dell’Atto di adesione stabilisce alcune modalità delle decisioni della Commissione.
[112] Rientrano nell’Obiettivo 3 le aree non coperte dall’Obiettivo 1 (le regioni di Praga e Bratislava nonché l’intero territorio di Cipro).
[113] L’art. 32 prevedeva, inoltre, che dal 1° gennaio 2003 i nuovi Stati membri sarebbero stati equiparati agli attuali Stati per quanto attiene all’erogazione dei fondi relativi alle prime tre rubriche (agricoltura, azioni strutturali e politiche interne) delle prospettive finanziarie dell’accordo interistituzionale del 6 maggio 1999 tra Parlamento europeo, Consiglio e Commissione sulla disciplina di bilancio e il miglioramento della procedura di bilancio. Dall’altra, fissava la data del 31 dicembre 2003, come momento a partire dal quale si interrompe nei confronti degli Stati aderenti, l’assunzione di impegni finanziari nell’ambito degli strumenti di preadesione (Phare, Ispa, Sapard). L’esecuzione degli impegni precedentemente assunti è regolata dall’Art. 33 dell’Atto di adesione che stabilisce le modalità per l’esecuzione dei contratti e i pagamenti relativi al programma Phare , il controllo ex ante della Commissione, e per la soppressione graduale degli strumenti di preadesione ivi compreso il programma Ispa.
[114] Si ricorda che i negoziati si sono concentrati su tre punti in particolare: 1) sulla capacità amministrativa dei nuovi Stati membri relativamente alla gestione delle risorse finanziarie messe a disposizione dall’Unione; 2) sui requisiti di idoneità a ricevere tali finanziamenti; 3) sugli stanziamenti nei primi anni dopo l’adesione. Nel contesto di tali negoziati, la Commissione ha indicato i requisiti organizzativi e istituzionali cui i nuovi Stati membri dovranno conformarsi a partire dall’adesione, secondo determinate scadenze; l’attuazione di tali impegni è monitorata dalla Commissione e costituirà uno degli elementi necessari all’approvazione dei finanziamenti comunitari.
[115] L’allegato II “Disposizioni permanenti, modifiche al diritto derivato” si compone di 22 sezioni.
[116] Tali integrazioni sono consentite fino alle seguenti percentuali, calcolate sul livello dei pagamenti diretti raggiunti nella Comunità: 2004: 55% - 2005: 60% - 2006: 65%
[117] Prezzi 1999.
[118] Prezzi 1999.
[119]L’Atto di adesione dei dieci nuovi Stati membri aveva previsto che, per le elezioni relative alla legislatura 2004-2009, a tutti gli Stati membri fosse assegnato il numero dei seggi previsto dal Protocollo e dalla Dichiarazione sull'allargamento allegati al Trattato di Nizza aumentato, provvisoriamente e fino alla scadenza della legislatura (giugno 2009), del numero dei seggi non attribuiti a Bulgaria e Romania, distribuiti proporzionalmente fra tutti gli Stati membri. A partire dall’ingresso nell’Unione europea di Bulgaria e Romania a tali Stati verrà attribuito il numero dei seggi loro riservati dalla Dichiarazione sull'allargamento allegata al Trattato di Nizza. Gli altri 25 Stati membri conserveranno fino alla scadenza della legislatura 2004-2009 i seggi a loro attribuiti. Pertanto, nel complesso della legislatura, il numero dei seggi del Parlamento europeo risulterà superiore al tetto di 736 fissato dal Trattato di adesione di Romania e Bulgaria.
[120]Rimane immutata la possibilità – introdotta sempre dal Trattato di Nizza – che uno Stato membro possa chiedere, in caso di adozione di una decisione a maggioranza qualificata da parte del Consiglio, che si verifichi che gli Stati membri che compongono tale maggioranza qualificata rappresentino almeno il 62% della popolazione totale dell’Unione.
[121] L’articolo I-26 del Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa prevede che la prima Commissione nominata dopo l’entrata in vigore della Costituzione sia composta da un membro per ogni Stato, compreso il presidente della Commissione e il ministro per gli affari esteri dell’Unione, che è uno dei vicepresidenti. A partire dalla Commissione successiva la composizione è fissata ad un numero corrispondente ai due terzi degli Stati membri, a meno che il Consiglio europeo, deliberando all’unanimità, decida di modificare tale numero. I membri dovranno essere scelti sulla base di un sistema di rotazione paritaria tra gli Stati. Tale sistema è stabilito dal Consiglio europeo all’unanimità, sulla base di un criterio di assoluta parità tra gli Stati membri e di rispetto della loro molteplicità demografica e geografica. Le norme attualmente vigenti, contenute nel protocollo sull'allargamento dell'UE allegato al Trattato di Nizza, prevedono che a partire dal 1° novembre 2004 la Commissione comprenda un cittadino di ciascuno Stato membro. Il protocollo sull'allargamento prevede inoltre che quando l'Unione annovererà 27 Stati membri, il numero dei membri della Commissione dovrà essere inferiore al numero degli Stati membri. I membri della Commissione saranno scelti in base a una rotazione paritaria, sulla base dei principi seguenti: a) gli Stati membri sono trattati su un piano di assoluta parità per quanto concerne la determinazione dell'avvicendamento e del periodo di permanenza dei loro cittadini in seno alla Commissione; non è comunque consentita la permanenza nella Commissione di due cittadini dello stesso Stato membro; b) ciascuno dei collegi successivi è costituito in modo da riflettere in maniera soddisfacente la molteplicità demografica e geografica degli Stati membri dell'Unione europea.
[122]Il mandato dell’attuale commissione europea scade il 31 ottobre del 2009.
[123]Il quadro finanziario, proposto dalla Commissione il 10 febbraio 2004 (SEC(2004)160), è stato approvato dal Consiglio il 22 marzo 2004.
[124] Cfr. audizione del ministro sul piano italiano per la crescita e lo sviluppo (PICO), svolta il 13 ottobre 2005 davanti alla XIV Commissione Politiche dell’Unione europea della Camera dei deputati.
[125] Comma aggiunto dal comma 1 dell'art. 1, D.L. 6 settembre 2002, n. 194, come sostituito dalla relativa legge di conversione.