Camera dei deputati - XV Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Rapporti Internazionali
Titolo: IRAN
Serie: Schede Paese    Numero: 41
Data: 07/11/2007

 

Repubblica Islamica dell’Iran

(scheda elaborata in collaborazione con il Ministero degli affari esteri)


 

NOVEMBRE 2007

 

 

CENNI STORICI

 

            Nella storia dell’Iran il 1979 – l’anno della rivoluzione contro lo Shah Mohammad Reza Pahlevi e dell’avvento della Repubblica Islamica – è una data spartiacque: dopo nulla è stato più come prima e l’immagine del paese si è trasformata in maniera radicale.

            Le radici di tale tumultuosa trasformazione vanno ricercate negli avvenimenti immediatamente precedenti allorché – dopo il boom economico legato alle risorse petrolifere – l’inflazione, una dissennata riforma agraria e un bilancio statale assorbito per il 40% dalla spesa bellica, avevano aggregato gli strati più diversi – dal sottoproletario urbano all’intellighenzia progressista – nella comune opposizione al regime.

            I partiti laici, marxisti e non, esistono praticamente soltanto sulla carta e i sindacati sono allo stato embrionale. La componente religiosa, capillarmente diffusa, si ritrova completamente egemone.

            Vi sono due fasi nella rivoluzione khomeinista. La rivolta popolare contro lo Shah, guidata a distanza da Khomeini e poi pagata con una dura repressione da quelle forze laiche che si illudevano di poter “cavalcare” il movimento religioso.

            E poi il putsch, iniziato con la presa degli ostaggi nell’Ambasciata statunitense il 4 novembre 1979, protrattosi sino al loro rilascio il 20 gennaio 1981, culminato con l’erosione del potere di Bani Sadr, presidente laico della repubblica.

            La scomparsa dell'Ayatollah Khomeini il 5 giugno 1989 sancisce l’avvio di una fase di profonda transizione. Due mesi dopo è eletto Presidente della repubblica Hojjat-ol-Eslam Rafsanjani, leader della destra pragmatica e protagonista di un tentativo di ricostruzione economica del paese, uscito gravemente danneggiato dalla guerra con l’Iraq. 

            A Khomeini – dopo l’allontanamento dell’Ayatollah Montazeri per divergenza sulla politica repressiva post-rivoluzionaria - succede come Guida Suprema (Rahbar) l’Ayatollah Ali Khamenei, figura minore all’interno del clero, che a tutt’oggi non è ancora stato in grado di ritagliarsi all’interno della scena politica iraniana un ruolo all’altezza del suo predecessore. Da notare che, sebbene si fregi del titolo di Ayatollah, in realtà, secondo l’ordinamento gerarchico del clero sciita, Khamenei è un Hojjat-ol-Eslam.

            Le relazioni diplomatiche fra l’Iran e gli Stati Uniti erano state formalmente interrotte con l’avvento al potere di Khomeini e la presa degli ostaggi. Nel quadro del deterioramento, anche sostanziale, dei rapporti fra i due Paesi, Washington decretò un embargo commerciale nei confronti dell’Iran, quale ritorsione contro l’addotto sostegno della Repubblica Islamica ai gruppi terroristici attivi in Medio Oriente e l’opera destabilizzante di Teheran nella regione.

            Le elezioni presidenziali del 1997 e quelle parlamentari del 2000 aprono la strada al governo moderato e riformista di Khatami, Presidente dal 1997 al 2005. Lla presidenza Khatami, iniziata sotto l’auspicio di un cambiamento e nel segno di un maggior pluralismo e apertura alle diverse componenti della società civile iraniana, si è poi tradotta in un sostanziale fallimento, dovuto in particolar modo all’isolamento istituzionale in cui si è trovato Khatami, stretto tra il controllo della Guida Suprema, de lConsiglio dei Guardiani e dell’apparato giudiziario, ancora fortemente in meno ai conservatori tradizionalisti.

            Dopo le elezioni parlamentari del febbraio 2004, che hanno fatto registrare una netta affermazione del fronte conservatore, la spinta rinnovatrice si è arrestata. L’elezione a nuovo Presidente della Repubblica dell’ultra conservatore islamico, già sindaco di Teheran, Mahmoud Ahmadinejad nel giugno 2005, ha sancito la fine della cosiddetta  “nuova Era di Khatami” e di ogni illusione riformista.

 

 

 

DATI GENERALI (2007)

fonte: cia worldfactbook 2007

Superficie

1.648.000 Kmq (circa 5 volte e mezzo  il territorio  italiano)

Capitale

TEHERAN(12.000.000 abitanti, compresi gli agglomerati esterni)

Abitanti

65.400.000[1]

Tasso di crescita della popolazione

0,6%

Aspettativa di vita

70 anni

Composizione etnica

Persiani 51%, Azeri 24%, Gilaki e Mazandarani 8%, Kurdi 7%, Arabi 3%, Lur 2%, Baloch 2%, Turkmen 2%, altri 1%

 

Religioni praticate

Mussulmana sciita 89%, Mussulmana sunnita 9%, altre (tra cui Ebraica e Cristiana) 2%

 

 

 

CARICHE DELLO STATO

E PERSONAGGI POLITICI DI RILIEVO

 

Guida spirituale o Guida Suprema (Massima Autorità religiosa)

Ayatollah ali Seyed KHAMENEI (dal 1989)

Presidente della Repubblica e Capo del Governo

MahmoudAHMADI-NEJAD (dal 3 agosto 2005)

Primo Vice Presidente

Parviz DAVUDI (DAL 11 SETTEMBRE 2005)

Presidente del Parlamento (Majlis)

Gholam Ali HADDAD-ADEL (dal marzo 2004)

Presidente del Consiglio per la Determinazione delle Scelte e Presidente dell’Assemblea degli Esperti

Akbar Hashemi RAFSANJANI

Presidente del Consiglio dei Guardiani

ayatollah AHMAD DANNATI

Ministro degli Esteri

Manucher MOTTAKI

 

Interni

Mostafa PUR-MOHAMMADI

 

Difesa

Mostafa Mohammad NAJAR

 

Economia e Finanze

Davud DANESH-JAFARI

 

Negoziatore iraniano sul programma nucleare

 

SAED JALILI (dal 20 ottobre, al posto del dimissionario Larjani)

Sindaco di Teheran

Mohammed Bagher QALIBAF

 

 

 

 

SCADENZE ELETTORALI

 

Presidenziali

Giugno 2009

Politiche

15 marzo 2008

 

 

 

QUADRO POLITICO

 

 

Governo in carica

           

            Con la vittoria dell’ultraconservatore Mahmoud Ahmadinejad (49 anni) al ballottaggio per le elezioni presidenziali (24 giugno 2005) tutte le principali cariche dello Stato sono in mano del fronte conservatore.

 

 

Composizione del Parlamento (Majlis)

 

PARTITO

SEGGI

7° Majlis

SEGGI

6° Majlis

Conservatori

189

60

Riformisti

48

190

Indipendenti (politicamente vicini ai conservatori)

44

35

minoranze religiose[2]

5

5

TOTALE

286[3]

290

 

 

PRINCIPALI FORMAZIONI PARTITICHE

 

All'interno del sistema politico iraniano, la nozione di ''partito'' non ricalca esattamente il significato comune delle democrazie occidentali (associazione di persone che difendono un programma politico), ed il limite con le semplici associazioni e' talvolta tenue. Si indicano pertanto i tre principali orientamenti che fanno da riferimento nel contesto della scena politica iraniana.

 

 

Ultra-conservatori islamici

 

Sonoemersi sulla ribalta della scena politica iraniana dopo l’elezione a presidente del populista Mahmud Ahmadinejad, provengono dagli strati sociali più popolari e provinciali, dalle fila di basiji e pasdaran ed in generale rappresentano le fazioni più radicali del Potere Giudiziario e del clero sciita. I leaders di questo movimento sono, oltre al già citato Presidente in carica, il Sindaco di Teheran, Mohammed Bagher Qalibaf, il quale ha eroso ultimamente il consenso di cui gode Ahmadinejad.

Religiosamente si riconoscono nei dettami dell’Ayatollah Mohammad Taqi Mesbah Yazdi, il quale sostiene l’interpretazione letterale del Corano ed il ritorno ai valori del 1979. Secondo alcuni analisti, potrebbe essere lui la prossima Guida Suprema. E’ naturalmente un nemico dichiarato di ogni forma di pluralismo politico e di riformismo.In particolare, Ahmadinejadi si ritiene essere legato al filone millenaristico scita Hojjatiyeh, fondato nel 1950 da Mahmoud Alabi[4].

Gli ultra-conservatori si contraddistinguono per l’aspro anti-occidentalismo e l’ostilità nei confronti di ogni forma di ingerenza esterna alle dinamiche interne al Paese. Per molti di loro la radice di questa presa di posizione, che più comunemente assume le forme della retorica dell’anti-americanismo e dell’anti-sionismo, sta nella drammatica esperienza della guerra che per otto anni ha contrapposto l’Iran all’Iraq di Saddam Hussein, a cui molti di essi parteciparono come basji (corpi di giovani volontari impiegati nelle operazioni a più alto rischio) e pasadran.

 

In questo contesto di retorica anti-occidentale si collocano le virulente esternazioni anti-sioniste del presidente Ahmadinejad, che hanno trovato il loro culmine nella conferenza sull’Olocausto, svoltasi a Teheran su iniziativa dello stesso Ahmadinejad l’11 e il 12 dicembre 2006. La conferenza, conclusasi con la proposta di costituire una”Commissione Internazionale per la Ricerca e la Verità”, ha costituito l’occasione per una piena affermazione delle teorie negazioniste di cui il presidente iraniano si è fatto portavoce. Simili posizioni sono state accompagnate da un reiterato richiamo alla distruzione di Israele e al crollo degli Stati Uniti che si sono sempre schierati suo supporto, contro i Paesi arabi della regione. Immediate sono state le reazioni di condanna da parte di tutta la comunità internazionale, che hanno messo in evidenza il clima di sempre maggior isolamento in cui il presidente Ahamdinejad sta portando la Repubblica Islamica.

 

Nel contesto della politica attuale gli ultra-nazionalisti di Ahmadinejad individuano quale maggiore obiettivo, parallelo alla lotta contro ogni tipo di ingerenza esterna, l’innalzamento del profilo regionale dell’Iran, attraverso sia la politica nucleare sia l’assunzione di un ruolo di alto profilo nelle situazioni di instabilità regionali.

Elemento comune dei diversi orientamenti politici è una forma di nazionalismo inteso come aspirazione a garantire alla Repubblica Islamica dell’Iran un ruolo di potenza regionale di primo piano e di interlocutore non eludibile sullo scacchiere mediorientale.

Un tale ruolo troverebbe concretizzazione in un’intensificazione della cooperazione con i Paesi del Golfo, in un Iran protagonista e interlocutore obbligato nelle conferenze internazionali per la gestione delle crisi regionali, con tutto ciò che ne conseguirebbe sul piano economico.

In questa complessa realtà, caratterizzata da equilibri delicati e da rapporti di forza in continua evoluzione, ago della bilancia ed elemento determinante nei futuri sviluppi interni del Paese sono le Guardie della Rivoluzione, i Pasdaran, tradizionalmente fedeli alla Guida Suprema.

 

 

Conservatori tradizionalisti

 

Con 190 seggi detengono la maggioranza nel Majlis. Essi trovavano uno dei principali punti di riferimento nell’Ayatollah Mohammad Taqi Mesbah-Yazdi, prima che questi venisse cooptato nel movimento ultra-conservatore islamico di Ahmadinejad. Sono appoggiati dalle cosiddette “Fondazioni” (cfr infra) o Bonyad, sorte per la gestione dei patrimoni confiscati al precedente regime, sono poi divenute Istituzioni finanziare centrali nel contesto economico iraniano basato sulle sovvenzioni. Tra le più influenti, si segnalano la Astan-e-Ghods-e Razavi (Mausoleo dell’Imam Reza a Mashad) e la Bonyad-e Mostazafin va Janbazan (Fondazione degli oppressi e dei veterani di guerra).

 

 

 

Riformisti

 

Hanno una visione moderata dell’Islam, disponibili al dialogo e al confronto interreligioso e interculturale. A seguito del tramonto dell’era khatamista hanno stretto un’alleanza tattica con i conservatori pragmatici con cui condividono la necessità di un approccio meno oltranzista, soprattutto nel settore economico. I principali esponenti sono gli ex Presidenti Rafsanjani e Khatami

 

 

 

QUADRO ISTITUZIONALE

 

 

Sistema politico

 

Repubblica Islamica di carattere teocratico. La Costituzione del dicembre 1979 pone le basi per la costruzione di una teocrazia sciita; essa attribuisce alla Guida Suprema un ruolo primario e “super partes”, ulteriormente esaltato dalla singolare frammentazione del potere fra vari centri che contraddistingue la realtà politica iraniana, e sancisce il primato del giureconsulto sciita (Istituto del "Velayat-e-Faqih).

 

 

 

Guida spirituale

 

Al vertice dello Stato è la Guida spirituale, che esercita il diritto di monitoraggio sulle leggi e tutto l’apparato di potere, compreso il Presidente della Repubblica. La Guida spirituale resta in carica a vita. Tra le attribuzioni della Guida, rientrano, tra l’altro, la nomina del “Capo della Giustizia”, dei vertici delle Forze armate (tra i quali il Comandante supremo) e dei membri del Consiglio nazionale per la difesa. Rientra tra le sue competenze anche la formalizzazione dell’elezione del Presidente della Repubblica e la sua eventuale messa in stato d’accusa. Solitamente si tiene al di fuori delle questioni politiche quotidiane, ma esercita piuttosto la sua influenza dietro le quinte.

Il compito di nominare la Guida spetta ad un’Assemblea degli Esperti[5], eletta dal popolo ogni otto anni. (Le ultime elezioni si sono tenute il 15 dicembre 2006, cfr. infra). Le scelte su cui si basa l’assemblea per nominare (o deporre) la Guida Spirituale sono la sua competenza nel campo del diritto e la sua aderenza ai principi della rivoluzione. In caso di vacanza della carica di Guida spirituale, i suoi compito sono assunti da un collegio di giurisperiti islamici, anch’esso nominato dall’Assemblea.

     Il principale organo consultivo della Guida spirituale nelle questioni politiche è il Consiglio per la determinazione delle scelte, un collegio formalmente preposto a dirimere eventuali controversie tra il Parlamento ed il Consiglio dei Guardiani i cui membri sono nominati dalla Guida Suprema e comprendono anche i sei membri religiosi del Consiglio dei Guardiani. Dura in carica sei anni. Dal 2005 i poteri del Consiglio sono stati estesi, almeno sulla carta, per permettergli di compiere un’opera di supervisione sull’operato del Governo

    

 

 

Potere legislativo

 

L’organo parlamentare, l’Assemblea consultiva islamica (Majlis-e Shora-ye Islami),si compone di 290 membri eletti sulla base di collegi elettorali (attualmente 196 uninominali e plurinominali) e non sulla rappresentanza proporzionale, per un periodo di quattro anni. I seguaci dello zoroastrismo e gli Ebrei possono eleggere un rappresentante ciascuno; i Cristiani, gli Assiri e i Caldei eleggono congiuntamente un rappresentante, i Cristiani Armeni del nord e quelli del sud del Paese eleggono ognuno un proprio rappresentante. Alle ultime elezioni (febbraio 2004), su un totale di 6.856 aspiranti candidati, soltanto 5.753 sono stati ammessi a partecipare alle consultazioni dal Consiglio dei Guardiani della Costituzione. In Iran non esistono ufficialmente i partiti politici, nel Majlis non sono costituiti veri e propri gruppi parlamentari.

E’ sufficiente avere 16 anni per votare.

       Il Majlis non può essere sciolto dal Presidente della Repubblica. Ha il potere di opporre un  veto alla nomina dei Ministri proposta dal Presidente dellaRepubblica. In tal caso, quest’ultimo può nominare un reggente il Dicastero al cui titolare proposto sia stata negata la fiducia, ed ha tre mesi di tempo per proporre al Majlis un secondo Ministro.

       A seguito di proposta della Suprema Corte di Giustizia, il Majlis approva la nomina dei sei giuristi del Consiglio dei Guardiani.

Mozioni e progetti di legge approvati dal Majlis non hanno però automaticamente effetto. Il Consiglio dei Guardiani ha poteri che possono configurarsi come quelli di una Corte costituzionale e di una Camera alta, con la facoltàdi bocciare le decisioni dell’Assemblea. Il Consiglio controlla le leggi approvate dal Majlis, le compara con i canoni islamici e la Costituzione, quindi le ratifica o le rinvia per il riesame all’Assemblea. Il Consiglio si compone di 12 membri, 6 nominati dalla Guida spirituale e 6 eletti dal Majlis tra giuristi di riconosciuta fama, in base ad una lista predisposta dal Capo della Giustizia. Il loro mandato dura 6 anni e vengono rinnovati per metà ogni tre anni. Ha inoltre il potere di veto inappellabile sulle candidature a cariche pubbliche. Tale potere consente ai conservatori di condizionare fortemente le elezioni.

 

 

 

Potere esecutivo

 

Nell’ambito del potere esecutivo,la seconda autorità dopo la Guida spirituale è il Presidente della Repubblica. Il Presidente ha la responsabilità di far applicare la Costituzione e agisce come capo del Governo con l’eccezione delle questioni spirituali. Viene eletto per quattro anni con votazione diretta. Non può essere eletto per più di due mandati consecutivi.

Il Presidente è – dopo l’abolizione nel luglio 1988 della carica di Primo Ministro – direttamente a capo del Consiglio dei Ministri. Supervisiona il lavoro dei Ministri e coordina le decisioni degli enti governativi. Fissa il programma e le politiche del Governo, provvedendo all’attuazione delle leggi. È responsabile verso l’Assemblea per le azioni del Consiglio dei Ministri. I Ministri sono nominati dal Presidente e devono ottenere la fiducia dell’Assemblea.

Il Presidente della Repubblica può essere destituito nel caso che la Corte Suprema accerti la violazione delle sue funzioni legali o nel caso venga sfiduciato dal Majlis. Il decreto di destituzione del Presidente è firmato dalla Guida Suprema.

 

 

Capi dello Stato in Iran a partire dalla Rivoluzione islamica (1979)

Ayatollha Khomeini

1979-1989

Hashemi Rafsanjani

1989-1997

Mohammad Khatami

1997-2005

Mahmoud Ahmedinejad

2005-

 

 

 

Potere giudiziario

 

Il sistema giudiziario è fondato sul canone islamico ed ha una struttura accentrata. A capo del sistema giudiziario sta il Capo della Giustizia che è nominato dalla Guida Spirituale per un periodo di cinque anni (attualmente ricopre questa carica l’Ayatollah Mohammad Hasehmi-Shahroudi).

 I tribunali si dividono in pubblici e speciali. I tribunali pubblici si dividono a loro volta in penali e civili. I tribunali speciali comprendono i tribunali della Rivoluzione islamica ed il tribunale speciale per i rappresentanti religiosi. Contro le decisioni dei tribunali pubblici ci si può rivolgere alla Corte Suprema.

In Iran vige la pena di morte che viene applicata soprattutto nei casi di spionaggio, attività contro la Repubblica Islamica, traffico di droga, omicidio ed adulterio.

 

 

GRUPPI DI INFLUENZA

Il Bazaar

 

Tipico protagonista della scena politica ed economica dell’Iran, fa riferimento ai tradizionali mercanti iraniani che si dedicano all’import-export. Essi hanno dimostrato il loro potere nel 1978 attraverso una serie di scioperi che hanno paralizzato l’economia iraniana e costretto lo Scià Reza Pahlavi a lasciare il Paese. Lo stesso Scià considerava il Bazaar un impedimento al perseguimento di una politica di stampo moderno. Dopo la rivoluzione, il Bazaar ha stretto proficui legami con la classe dirigente, ottenendo contratti particolarmente favorevoli in cambio di finanziamenti da impiegare per la costruzione di moschee e per sostenere le campagne elettorali di candidati conservatori. Il Baazar provvede inoltre a fornire crediti al settore privato e sostiene il mercato nero. Riassumendo, il Bazaar si oppone a qualsiasi riforma economica di ampio respiro, alla riduzione delle tariffe doganali e ad una maggiore partecipazione degli investitori esteri in Iran.

 

Le Bonyad (fondazioni)

 

Le Bonyad (fondazioni), sono state create dopo la rivoluzione per salvaguardare i principî islamici e provvedere al sostentamento dei poveri utilizzando beni espropriati al momento della Rivoluzione. Mentre si occupavano di garantire assistenza alle famiglie dei caduti o dei feriti nella guerra Iran-Iraq, le Bonyad hanno rinforzato la loro posizione fino a controllare larghi settori dell’economia iraniana. Con un personale reclutato dai conservatori, sono responsabili solo di fronte alla Guida spirituale. Le più importanti sono la Bonyad-e Mostazafan (Fondazione degli Oppressi) e Bonyad-e Shahid (Fondazione dei Martiri) che si oppongono a qualsiasi avvicinamento all’Occidente e alla liberalizzazione dell’economia, temendo che gli investimenti esteri possano minacciare il loro impero economico. Una crescente campagna contro di loro le ha poste su una linea difensiva a partire dall’elezione di Khatami nel 1997.

 

 

Le forze armate

 

Le forze armate comprendono sia l’Esercito della Repubblica Iraniana che il Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica (Pasdaran). Ognuno di questi due corpi ha dei propri contingenti terrestri, marittimi ed aerei. Accanto a questi, figurano inoltre le Forze Paramilitari Basij, poste sotto il controllo del Corpo delle Guardie della Rivoluzione, che includono milizie popolari disposte a servire il Paese e che hanno giocato un ruolo importante nella guerra contro l’Iraq (1980-1988). Anche se qualche anno i Basij sono confluiti nei Pasdaram, la distinzione storica tra i due corpi di armata perdura: migliaia di Basij hanno perso la vita nel corso delle terribili offensive contro l’Iraq.  I militari ed i paramilitari hanno un peso politico rilevante in quanto sono poste direttamente sotto il comando della Guida Suprema. Le azioni di repressione (fra le quali si segnala quella particolarmente sanguinosa contro gli studenti dell’Università di Teheran nel febbraio 1999) le hanno reso particolarmente invise alla popolazione, soprattutto quella di tendenze riformiste. In particolare i gruppi militari si occupano di controllare la condotta morale ed i costumi della popolazione iraniana.

Il servizio militare in Iran è obbligatorio per i giovani con più di 18 anni ed ha la durata di 2 anni.

 

 

 

ATTUALITA’ DI POLITICA INTERNA

 

 

 

 

La situazione interna in vista delle prossime elezioni politiche (15 marzo  2008)

 

            La coalizione del Presidente Ahmadinejad rischia di mancare il successo all’appuntamento elettorale per il rinnovo del parlamento, a causa dei crescenti malumori sociali e politici che interessano il paese. L’impopolarità di Ahmadinejad deriva sia dalle sue azioni di governo, al di sotto delle aspettative di giustizia sociale promesse, sia dall’estremizzazione della sua retorica populista, che sta mostrando tutti i suoi limiti e pericoli anche all’interno della Repubblica Islamica. Il leader supremo Khamenei potrebbe avvedersi del sostegno finora accordato al presidente e, nell’interesse per la conservazione del sistema post-Rivoluzione, decidere di appoggiare i moderati di Rafsanjani e Khatami, più portati alla mediazione e al compromesso.

            Il presidente Ahmadinejad ha disatteso le aspettative, non realizzando né una maggiore giustizia sociale attraverso la redistribuzione dei proventi del petrolio, né una seria politica di lotta contro la corruzione. Già alle consultazioni municipali e per il rinnovo dell’Assemblea degli Esperti dello scorso dicembre, gli elettori avevano negato il loro voto alla coalizione da egli sostenuta, a favore dei moderati e di Rafsanjani, molto critico rispetto ai programmi del governo.

            Nell’ultimo mese, a confermare le difficoltà nel settore, sono arrivate le dimissioni dei Ministri del Petrolio e dell’Industria, nonché del Governatore della Banca Centrale. L’inflazione ha raggiunto nell'ultimo mese quasi il 18% rispetto all'anno precedente e la disoccupazione resta una piaga da risolvere, con un tasso del 15%. In più il Paese è strettamente dipendente dalle entrare derivanti dall’esportazione petrolifera e, causa il sistema di sovvenzioni molto oneroso (quasi 50 miliardi di dollari), si è trovato ad adottare misure di emergenza come il razionamento della benzina, il cui consumo stava superando del 75% la produzione. A tutto ciò si aggiunga un brusco irrigidimento in direzione della morale islamica che ha portato ad esecuzioni capitali pubbliche[6] per reati quali il traffico di droga, l’omosessualità e anche il dissenso politico (come nel caso di due giornalisti curdi, accusati di essere “nemici di Allah”).

            La popolazione teme inoltre che l’insistenza posta sul programma nucleare possa inasprire le sanzioni della comunità internazionale e provocare un attacco armato[7]; inoltre le tesi negazioniste dell’Olocausto non sono sostenute né dalla maggioranza della popolazione, né dagli alleati politici, i quali distinguono tra negazione di Israele come Stato e negazione del genocidio nazista. Non va comunque dimenticato che presidente Ahmadinejad continua a mantenere un forte potere in seno al Consiglio dei Guardiani.

            Inoltre la forte pressione demografica contribuisce a scaldare il clima politico, dal momento che il 67% degli iraniani è costituito da giovani sotto i 30 anni, molti studenti universitari. Ed è proprio l’università che tradizionalmente in Iran è il luogo in cui si concentra il dissenso contro il regime, rendendo la situazione costantemente critica.

 

 

L’8 ottobre si è tenuta una manifestazione presso l’Università di Teheran per protestare contro il Presidente Ahmadinejad, accusato di essere un dittatore alla stregua di Pinochet. Oltre a contestare il Capo dello Stato, gli studenti hanno chiesto il rilascio dei loro colleghi arrestati in maggio per aver pubblicato degli scritti considerati un insulto all’Islam.

 

 

 

            Dallo scorso marzo, le associazioni di rappresentanza dei lavoratori sono tra le organizzazioni più impegnate nelle dimostrazioni contro le politiche del presidente Ahmadinejad. Gli operai lamentano non solo l’aumento dei licenziamenti, provocato dall’impoverimento dell’economia – ancora non si dispone di dati certi per l’anno corrente, ma le stime delle organizzazioni internazionali indicano un aumento al 15% del tasso di disoccupazione, dall’11% circa registrato nel 2006 - ma anche l’inadeguatezza dei salari rispetto al costo della vita, talvolta sospesi per alcuni mesi, come è accaduto agli operai di fabbrica nella città occidentale di Shush, in sciopero da alcuni giorni per chiederne il pagamento.

            La costituzione iraniana non vieta la formazione di sindacati, né di altre organizzazioni civili, purché non siano in contrapposizione all’unità nazionale o mettano in discussione i principi islamici della Repubblica. Sebbene permessi dalla legge, negli ultimi mesi il regime si è mostrato intollerante verso qualsiasi manifestazione di dissenso popolare, ordinando perquisizioni delle abitazioni private e arresti dei leader dei sindacati: lo scorso aprile è stato condotto in una luogo di detenzione segreto Mahumud Salehi, figura centrale del sindacato dei fornai della capitale del Kurdistan iraniano; in seguito al ruolo svolto durante le manifestazioni della scorsa estate, Mansour Osanlu e Ibrahim Madadi, entrambi esponenti del sindacato degli autisti, sono stati anche essi arrestati.

            La repressione pare però rafforzare l’avanzata del sindacato tra le classi dei lavoratori e l’incisività delle sue denunce. Alcuni membri del Consiglio di Coordinamento delle Organizzazioni dei Lavoratori e degli Attivisti hanno pubblicamente denunciato la sparizione di 600 loro compagni dei sindacati e hanno chiesto con una lettera all’Organizzazione Internazionale del Lavoro di avviare un’inchiesta che chiarisca gli abusi del potere contro i movimenti dei lavoratori in Iran.

            Tra i problemi di ordine interno a cui il governo deve rispondere, sono da includere i recenti sviluppi della questione curda. Nell’ultimo anno, secondo quanto reso noto dal quotidiano Gulf News e rilanciato dalle agenzie di stampa regionali, il corpo della Guardia Rivoluzionaria Islamica è impegnato in una guerra contro i ribelli curdi in alcune province al confine con l’Iraq. Dapprima le autorità avevano tentato di mantenere le operazioni segrete, ma dopo l’abbattimento di un elicottero da combattimento avvenuto lo scorso febbraio per mano dei ribelli curdi, nel quale sono morti nove militari iraniani incluso il comandante regionale, il generale Saeed Qahhari, le azioni sono divenute più cruente: diversi soldati e appartenenti alle forze di polizia iraniane sono rimasti feriti o uccisi, durante la repressione e l’uccisione di almeno 100 curdi.
            Il gruppo più attivo in questa nuova ondata di guerriglia è il Kurdistan Free Life Party (PJAK), una derivazione del Kurdistan Workers Party (PKK), movimento di guerriglia formato da curdi turchi che dagli anni '70 combatte per la creazione di uno stato curdo nella penisola anatolica; le stesse figure chiave del PJAK non sono curdi iraniani, bensì curdi turchi, con un lungo passato di esilio in Germania. Essi riscuotono consenso nelle province di etnia Azeris, di lingua turca, mentre nelle più vaste province curde dell’Iran, ossia in Kurdistan e in Kermanshahan, restano maggioritari il Kurdistan Democratic Party (PDK), e il Komalah. Il PDK è un partito di stampo socialdemocratico, unitosi di recente all’opposizione iraniana a favore del capovolgimento del regime, pur senza ricorrere alla violenza; in origine il gruppo aveva tentato la via del compromesso con le autorità iraniane, senza ottenere però il riconoscimento dei mullah e continuando a restare perseguitato. Il Komalah è invece impegnato da 25 anni in una lotta di guerriglia contro il governo iraniano, che ha provocato un altissimo numero di vittime.

            Storicamente, la “minaccia curda” costituisce un richiamo all’unità nazionale e nel contempo una giustificazione all’irrigidimento delle restrizioni alle libertà e ai diritti degli abitanti delle province interessate, senza troppe preoccupazioni sulle formalità legali. Negli avvenimenti più recenti però l’inasprimento delle misure di emergenza colpisce delle province non a maggioranza curda; gli arresti e le ritorsioni sono dirette ai ribelli e anche agli oppositori in generale al regime, inclusi pertanto i sindacalisti, i leader studenteschi e i religiosi sunniti

            Il dissenso contro Ahmadinejad non è manifestato solo nelle strade: esso inizia ad aleggiare pure in alcuni palazzi del potere, come il Parlamento (Majlis). Il Majlis, vale a dire l’organo legislativo della Repubblica, ha respinto diverse indicazioni provenienti dal Gabinetto presidenziale, incluse tre nomine per la carica di Ministro del petrolio. Lo scontento dei conservatori che formano la maggioranza in questa arena origina sia in reazione all’approccio irresponsabile che Ahmadinejad dimostrerebbe verso i conti dello stato, sia in risposta al disprezzo e alla scarsa considerazione che lo stesso riserva ai suoi alleati parlamentari. Inoltre, la disfatta della coalizione dello Sweet scent of service, sostenitrice del presidente alle elezioni municipali del dicembre 2006, e l’elezione di Akbar Hashemi-Rafsanjani alla massima carica dell’Assemblea degli Esperti – corpo religioso investito del potere di nominare e rimuovere il Leader supremo della Repubblica, attualmente il sommo ayatollah Khamenei – hanno segnato il ritorno nella scena politica dei moderati.

            Nei moderati sono rappresentati gli esponenti politici interessati a riformare il modello di governo attuale in senso più razionale e meno rivoluzionario, più portato al dialogo con la comunità internazionale e al consenso e meno oltranzista; oltre all’ex presidente Rafsanjani, sostengono tale programma il predecessore di Ahamdinejad, Khatami, e alcuni ufficiali dell’esercito e uomini di legge, come Mahmoud Hashemi-Shahroudi, al vertice del potere giudiziario iraniano.

            Nonostante i malumori tra i propri seguaci, il presidente può ancora contare sul sostegno di alcune figure eminenti del panorama religioso e politico iraniano, come l’ayatollah Ahmad Dannati, al vertice del Consiglio dei Guardiani, l’organo incaricato di appurare la conformità degli atti del parlamento alla costituzione e alla sharia, nonché di approvare i candidati alle elezioni, e l’ultra-conservatore ayatollah Taqi Mesbah-Tazdi, membro dell’Assemblea degli Esperti, ritenuto il consigliere spirituale di Ahmadinejad, illustre sconfitto del confronto con Rafsanjani per la guida dell’Assemblea.

La “rinascita” di Rafsanjani

 

            Il 4 settembre 2007 l’Assemblea degli Esperti ha votato il suo nuovo capo, dopo la morte dell’Ayatollah Meshkini, che ricopriva tale incarico dai tempi di Khomeyni. L’ex Presidente ha ottenuto 41 voti contro i 34 dell’ayatollah ultraconservatore Jannati, candidato appoggiato da Mezbah Yazdi, altro ayatollah conservatore, considerato il mentore di Ahmadinejad. Rafsanjani è ritenuto essere un pragmatico, moderato e riformista, qualità che fanno sperare, in Iran come fuori, che possa avvenire un cambiamento significativo nelle politiche messe in atto da Teheran da qui a breve tempo, anche se in realtà questa è una prospettiva che non sembra molto probabile.

            Dopo aver perso lo scontro elettorale per la Presidenza nel 2005 proprio contro Ahmadinejad, Rafsanjani sembrava ormai scomparso dalla vita pubblica del Paese. L’età avanzata (oggi 73 anni) e la mancata riconferma come Presidente della Repubblica sembravano essere segnali di un tramonto ormai inevitabile e avviato. Nello scorso dicembre, in occasione delle elezioni amministrative e per l’Assemblea degli Esperti, Rafsanjani si ripropose come portavoce degli ideali riformisti e moderati, cavalcando l’onda dello scontento nei confronti di Ahmadinejad; scontento derivante dalle sue promesse di stampo populistico mai portate a termine (soprattutto una più equa redistribuzione degli ingenti proventi petroliferi). In più il regime era tornato all’autoritarismo e alla repressione del dissenso caratterizzanti i primi anni succeduti alla rivoluzione islamica. In questo clima Rafsanjani ottenne un’importante vittoria elettorale, battendo l’ayatollah Yazdi e ritornando prepotentemente ad essere protagonista della politica iraniana.

            Rafsanjani ha dichiarato di voler cominciare a rendere pubbliche alcune attività dell’Assemblea degli Esperti (formata da 86 membri e con potere di sostituzione e, in casi limite, rimozione della Guida Suprema), che in quasi 30 anni di operatività non ha mai prodotto alcuna relazione circa il suo operato. Questa sarebbe una svolta in direzione di un avvicinamento della popolazione alle dinamiche politiche assemblearie e, se non altro, costituirebbe un punto di partenza importante verso una democratizzazione del sistema iraniano. All’interno di una polemica di stampo teologico-filosofico con gli ayatollah Jannati e Yazdi, Rafsanjani porta avanti anche la convinzione che la legittimazione del potere politico derivi dal popolo e non direttamente da Dio, come affermato dai rappresentanti più conservatori in linea con la tradizione duodecimana e con gli ideali teocratici.

                I sostenitori di Rafsanjani quale portatore di novità e moderazione nella politica iraniana, potrebbero ancora una volta assistere alle stesse delusioni avute dai due precedenti mandati presidenziali dello stesso Rafsanjani (1989-1997) e dall’esperienza del predecessore di Ahmadinejad, Khatami. Entrambi si proponevano come portatori di un programma riformista e modernizzatore, ma nessuno dei due è riuscito ad imprimere concretamente una svolta in questo senso. Fu proprio dalla disillusione degli anni della presidenza di Khatami che nel 2005 è maturata la vittoria dell'ultra-conservatore Ahmadinejad (in una tornata elettorale caratterizzata dall’astensionismo). Il fattore di freno alle riforme sembra essere l’individualismo dei personaggi attualmente al potere, compreso Rafsanjani e i cosiddetti “moderati”, intimoriti dal fatto che uno scardinamento della struttura clericale possa farli uscire di scena a loro volta. La sensazione è che il sistema che controlla e gestisce il potere a prescindere dal Parlamento o dallo stesso Presidente, non permetta un vero cambiamento verso la democratizzazione e le riforme sociali, culturali ed economiche. E’ possibile che, piuttosto che prendere la strada del riformismo, Rafsanjani abbia più interesse nel lasciare inalterato lo status quo e restare al potere, cercando di promuovere qualche innovazione non strutturale, lasciando inalterato il sistema politico vigente. Non è da escludere l’eventualità di una sua possibile candidatura per la successione a Khamenei, da tempo malato di cancro e sulla cui salute si sono avute molte indiscrezioni negli ultimi mesi, sia da parte della stampa iraniana che da fonti di intelligence occidentali.

            Assumendo il ruolo di Guida Suprema Rafsanjani potrebbe confrontarsi con Ahmadinejad da una posizione di forza privilegiata, avendo il potere di metterne in discussione le scelte e cercando di riportare l’Iran a rapporti più distesi con gli Stati Uniti e le potenze occidentali. In effetti questo scenario, per quanto inedito nella storia della Repubblica Islamica, non potrebbe essere così inverosimile. Sarebbe la prima volta che alla Presidenza e alla Guida Suprema si confronterebbero due personaggi apertamente ostili tra loro, al punto di essere stati i protagonisti di un confronto elettorale per le presidenziali (2005). Le reazioni di Ahmadinejad ad una simile evoluzione dei fatti potrebbero essere diverse. Questi potrebbe infatti cercare una riconferma popolare dimettendosi e rimandando la sua carica alle urne, o protrarre un braccio di ferro che, però, sarebbe piuttosto controproducente per la stessa efficienza della politica iraniana.

 

 

 

 

ATTUALITA’ DI POLITICA ESTERA

 

 

 

L’Iran nel contesto regionale. Possibili sviluppi

            L’indebolimento della corrente sunnita in seguito alle operazioni Enduring Freedom ed Iraqi Freedom ha favorito l’ascesa regionale della Repubblica Islamica dell’Iran. I rapporti che l’abile diplomazia di Teheran ha stretto con l’esecutivo afgano, epurato dai talebani, e il cospicuo aiuto elargito per la ricostruzione post-bellica hanno permesso al paese di rafforzare la propria presenza in Afghanistan e all’interno della regione centro-asiatica e di divenire il contrappeso tra due schieramenti opposti, quello indo-afgano e quello pakistano, acquisendo una certa sicurezza da entrambe le parti di non-appoggio delle politiche americane avverse all’Iran.

            Il riconoscimento dell’illegittimità del movimento talebano e la conseguente estromissione dal potere centrale afgano hanno consentito alla diplomazia di Teheran di intraprendere un nuovo percorso di collaborazione con l’Afghanistan, senza rinunciare all’alleanza storica con il Pakistan. La Repubblica Islamica è riuscita pertanto a divenire il fulcro di due schieramenti opposti, quello indo-afgano e quello pakistano, con vantaggi economici, politici e una certa protezione dalle strategie americane, nella misura in cui né il governo del generale Musharraf , né il governo del presidente Karzai, sono disposti a rinunciare all’alleanza iraniana per sostenere un attacco americano, modificando l’equilibrio regionale. Ma si contesta alla Repubblica Islamica di alimentare le fonti dell’instabilità afganaattraverso l’esecuzione di un elevato numero di provvedimenti di espulsione dei rifugiati e la vendita di armi ai gruppi ribelli. Qualora fosse dimostrata, tale strategia rischierebbe di incrinare i rapporti con gli stati confinanti e di destabilizzare l’intera regione[8].

            La presenza interna di interessi e truppe americane è tra le motivazioni alla base delle aperture iraniane all’Afghanistan post-talebano: l’aiuto alla ricostruzione post-bellica consente all’Iran di conquistare una certa penetrazione nel territorio che potrà rivelarsi utile per attaccare gli interessi americani qualora gli Stati Uniti minaccino di colpire i siti nucleari iraniani. La generosità iraniana, seppure interessata, rappresenta una ricca risorsa per la ripresa afgana. Dalla caduta del regime talebano, i finanziamenti elargiti da Teheran per la ricostruzione si aggirano sul miliardo di dollari Usa; sono stati disposti programmi di potenziamento dei collegamenti tra i due paesi e azioni congiunte tra le forze di polizia nazionali per stroncare il narcotraffico.

            Gli esordi della cooperazione tra la Repubblica Islamica dell’Iran e il Pakistan risalgono alla fondazione dello stato pakistano; attraverso intese politiche, commerciali e partenariati militari, entrambi i paesi hanno realizzato considerevoli risultati: ad esempio, nella fase iniziale il programma nucleare iraniano ha beneficiato del trasferimento di know-how e strutture pakistane; o ancora, di recente, grazie alla mediazione iraniana, il Pakistan è stato incluso nel progetto di un gasdotto che dall’Iran trasporterà il gas in India. Il sostegno reciproco è dettato da valutazioni strategiche: i governi di Islamabad ritengono necessario collaborare con Teheran per evitare l’accerchiamento ai confini da parte di un fronte Iran-Afghanistan-India, per di più in prossimità del Balucistan, la regione occidentale del Pakistan agitata da movimenti secessionisti e dotata di importanti riserve di materie prime. Con l’avvio delle operazioni militari statunitensi in Afghanistan, il Pakistan è inoltre divenuto per l’Iran un osservatorio dal quale monitorare l’influenza americana nella regione e adottare per tempo le misure più appropriate.

            Tutti gli attori sono spinti da motivazioni differenti, sia il Pakistan che l’Iran si potrebbero definire interessati ad alimentare la violenza in Afghanistan; tale strategia non è però priva di risvolti negativi, per tutti i protagonisti. L’Iran gioverebbe di un ritorno di immagine positivo in seguito al fallimento militare e politico statunitense in Afghanistan, soprattutto tra i paesi arabi, che avvertirebbero segni di debolezza nella superpotenza; inoltre, incontrando maggiori difficoltà rispetto al previsto, ad un anno dall’appuntamento per le elezioni presidenziali, Washington si dimostrerebbe più prudente circa l’apertura di un nuovo fronte, garantendo indirettamente l’impunità ai piani nucleari iraniani. Dal lato opposto, una volta accertato, il finanziamento degli insorti comporterebbe il deteriorarsi delle relazioni tra Kabul e Teheran, e la conseguente interruzione delle partnership politiche e commerciali avviate. In aggiunta, i disordini ora in Afghanistan potrebbero dilagare nella regione centro-asiatica, in un “effetto domino” dalla portata imprevedibile; altrettanto incerto e pericoloso per l’Iran sarebbe l’avanzamento al potere dei movimenti sunniti o, peggio, dei talebani, in quanto tali gruppi potrebbero trovare manforte in certi ambienti pakistani, danneggiati dalle ingerenze iraniane in Afghanistan.

            D’altra parte il Pakistan teme che l’India si serva dei campi di addestramento afgani per formare milizie sovversive da trasferire nel territorio pakistano e paventa un’ingerenza afgana nella questione del Balucistan. Potrebbe pertanto, al pari dell’Iran essere interessato a favorire l’instabilità del Paese.      Ma in ultima analisi, qualunque sia il soggetto interessato,  promuovere l’instabilità in Afghanistan, o l’Iran, o entrambi, è opportuna un’ultima considerazione generale: l’addestramento di guerriglieri è sempre un’operazione rischiosa, in quanto non è certo né che si ottengano i risultati inseguiti, né che la guerriglia si fermi ai confini e non dilaghi nel territorio contiguo. Questione da tenere ancor più in considerazione, se si guarda ai disordini nel Pakistan, alle spinte secessioniste nel Balucistan ed al malcontento strisciante nella Repubblica Islamica: né il governo di Musharraf né quello di Ahmadinejad hanno al momento una popolarità tale da potere controllare i dissapori interni.

 

 

Questione nucleare: ultimi aggiornamenti

 

Il 20 ottobre 2007 il Capo negoziatore del dossier nucleare iraniano, Ali Larijani, si è dimesso ed al suo posto è stato nominato il vice ministro degli Affari esteri, Said Jalili. «Larijani ha rassegnato molte volte le dimissioni e il presidente (Mahmoud Ahmadinejad) le ha alla fine accettate», ha dichiarato il portavoce del governo, Gholam Hossein Elham. Alla richiesta di chiarimenti sul motivo delle dimissioni, il portavoce si è limitato a dire che Larijani voleva concentrarsi su «altre attività politiche».

Jalili, incaricato delle questioni sull’Europa e sull’America, prenderà dunque il posto del capo negoziatore sul nucleare. Il 23 ottobre 2007 si è svolto a Roma un incontro con l’Alto responsabile per la politica estera e di sicurezza dell’Unione europea, Javier Solana, per “tentare di trovare i mezzi per risolvere la crisi sul programma nucleare iraniano”. Larijani era stato nominato nell’agosto 2005 segretario del Consiglio supremo della sicurezza nazionale e, in virtù di questo titolo, incaricato del dossier nucleare. La comunità internazionale lo percepiva come un pragmatico e lo preferivano come interlocutore al presidente Ahmadinejad, che si è ripetutamente espresso con dichiarazioni particolarmente dure nei loro confronti.

Le dimissioni di Larijani sono dunque arrivate poco prima della relazione prevista a fine novembre 2007 che Solana dovrà presentare al Consiglio di sicurezza dell’Onu sui suoi contatti con l’Iran.

Solana è stato infatti incaricato a fine settembre dai «Cinque più uno» (i cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza più la Germania) di riprendere contatto con Larijani per rilanciare l’offerta di cooperazione politica ed economica presentata a Teheran nel giugno 2006. Un’offerta vincolata alla sospensione dall’Iran di tutte le sue attività di arricchimento d’uranio.

Sulla base del dossier che Solana presenterà ai Cinque più uno e della relazione del direttore generale dell’Aiea (agenzia internazionale per l’energia atomica) previsti a fine novembre 2007, i Cinque più uno dovrebbero decidere se è necessario o meno inasprire i due cicli di sanzioni già adottati dall’Onu contro l’Iran. Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna si sono mostrate favorevoli a un rafforzamento di queste sanzioni, ma la Russia e la Cina, che hanno entrambe diritto di veto al Consiglio di sicurezza, sono contrarie.

Il Presidente iraniano ha affermato il 17 ottobre di volere l’aiuto della Russia per costruire altre due unità di produzione di energia nucleare nella centrale di Busher. In occasione del Vertice del Caspio (15-16 ottobre)[9], Putin e Ahmadinejad avevano concordato che la Russia porterà a termine i lavori della prima unità della stessa centrale entro i tempi concordati (anche se i lavori hanno subito rallentamenti, apparentemente in relazione a ritardi nei pagamenti da parte dell’Iran).

Nonostante sia posto sotto accusa per il medesimo argomento, l’Iran si è fatto promotore all’ONU di una risoluzione sul disarmo nucleare che è stata approvata nel corso dei lavori della Prima Commissione dell’Assemblea Generale, nonostante l’opposizione dei Paesi occidentali. La Commissione, i cui lavori sono imperniati sui temi del disarmo e della sicurezza internazionale, ha concluso l’agenda con l’approvazione di 52 risoluzioni e la discussione dei principali problemi nucleari[10].

Si ricorda infine che il Governo iraniano ha fatto sapere il 3 novembre di non voler rinunciare all’arricchimento dell’uranio entro il proprio territorio, anche se si dovesse creare un consorzio con i Paesi arabi vicini per la produzione di combustibile nucleare, come proposto dall’Arabia Saudita. In passato l’Iran aveva respinto un analogo progetto presentato da Mosca per arricchire sul territorio russo l’uranio (così da avere garanzie tali che il materiale fissile non potesse essere arricchito a livelli tali da potere essere utilizzato per la costruzione di ordigni nucleari). Il piano avanzato dall’Arabia Saudita dovrebbe prevedere la partecipazione di tutti i Paesi del Consiglio della Cooperazione del Golfo (Arabia Saudita, Kuwait, Oman, Qatar, Bahrein ed Emirati Arabi Uniti).

 

 

Partecipazione ad organizzazioni internazionali

 

L'Iran è membro del Movimento dei Paesi Non Allineati e fa parte del G77, di cui ha detenuto la presidenza nel 2001. E' inoltre membro dell'Organizzazione della Conferenza Islamica. Sul piano regionale, l'Iran intrattiene buoni rapporti con i Paesi del Consiglio di Cooperazione del Golfo, mentre resta aperto un contenzioso territoriale con gli Emirati Arabi Uniti. Sono iniziati i negoziati per l’ingresso dell’Iran nell’Organizzazione Mondiale del Commercio.

 

 

 

PRINCIPALI INDICATORI ECONOMICI (2006) [11]

 

FONTE: CIA WORLDFACTBOOK 2007

 

PIL a parità di potere d’acquisto

599,2 miliardi di dollari USA

PIL al cambio ufficiale

193,5 miliardi di dollari USA

Composizione per settore

11,2% agricoltura; 40,9% industria; 48,7% servizi;

Crescita PIL

4,3%

PIL pro capite a parità di potere d’acquisto

8.700 dollari USA (Italia: 30.200 dollari)

Inflazione

15,8%

Popolazione al di sotto della soglia di povertà

40%

Tasso di disoccupazione

15%

Rapporto debito pubblico / PIL

25,3%

Principali Paesi clienti

Giappone (22,2%), Cina (9,9%) Italia (6,4%), Taiwan (5,6%), Turchia (5,5%)

Principali Paesi fornitori

Germania (10,8%), Francia (8,5%) Cina (8,3%) Italia (8%) Emirati Arabi Uniti (7,8%)

Debito estero

14,8 miliardi di dollari

 

L’economia del Paese è contraddistinta da un settore pubblico gonfiato ed inefficiente, dalla dipendenza dall’industria estrattiva e da politiche pubbliche che contribuiscono a creare forti distorsioni.  Il settore privato è contraddistinto dalle piccole dimensioni delle attività, legate all’artigianato, all’agricoltura ed ai servizi. Il Presidente Armadi-Nejad ha portato avanti le riforme – introdotte dal suo predecessore Rafsanjani -  necessarie ad introdurre un’economia di mercato, ma i risultati sono stati modesti. L’apparato giudiziario – dominato dai conservatori – non è stato minimamente scalfito dal processo di riforme, come pure il potere delle ricchissime fondazioni religiose che controllano l’economia del Paese. Il prezzo elevato del petrolio degli ultimi anni ha consentito all’Iran di accumulare circa 60 miliardi di dollari in riserve valutarie, ma questo non ha avuto comunque ripercussioni sui maggiori problemi del Paese, quali la disoccupazione e l’alta inflazione. Il coinvolgimento di parte dell’economia nello sviluppo di armi di distruzione di massa rimane una questione aperta con le principali nazioni occidentali.

Il 26 maggio 2005, l’OMC ha deciso di avviare i negoziati di adesione dell’Iran all’organizzazione, dopo che gli USA hanno ritirato il loro veto. Teheran aveva chiesto nel 1996 di aderire all’organizzazione, ma gli USA si sono sempre opposti.

 

 

Andamento congiunturale

 

L’Iran è il quarto maggiore produttore di petrolio al mondo, il secondo fra i paesi OPEC e il terzo per livello di scorte accertate.

 

Barili petrolio esportati (80% valore totale esportazione e 40% entrate pubbliche)

2,5 milioni di barili al giorno (oltre il 50% Asia, 25-30% Europa di cui 12,5% Italia), 8-10% Africa e altri Paesi Medio Oriente, 2-5% America Latina). Le aspettative degli introiti petroliferi per l’Iran oscillano tra i 57 ed i 67 miliardi di USD.

 

Gas naturale

Secondo Paese al mondo, dopo la Russia, per riserve accertate di gas naturale. Dal 2000 ha fatto registrare, per effetto del forte rialzo del prezzo del greggio, tassi medi di crescita del PIL del 5,5%.

 

L’economia iraniana ha consistenti debolezze strutturali per la forte dipendenza dell’economia dalla rendita petrolifera, l’elevata inflazione (12% primo semestre 2006 al 14,7% attuale), l’alto tasso di disoccupazione (20% per l’anno in corso-dati Eiu) – il basso livello degli investimenti esteri, l’inefficienza del sistema bancario ed una domanda interna surriscaldata da un’eccessiva crescita della liquidità e da un generoso sistema di sovvenzioni.

La spesa pubblica risulta priva d’adeguati controlli, i forti stanziamenti militari, l’accelerazione del programma nucleare e le somme devolute a forze politicamente affini (Hamas, Jihad Islamica Palestinese, Hezbollah,ecc.) hanno alimentato un alto livello d’inflazione - che ha raggiunto il 14,7% - e del tasso di disoccupazione, in un Paese che vede il 7,3% della popolazione al di sotto della soglia della povertà. In merito a ciò, occorre segnalare la recente sostituzione da parte del Presidente di due membri del Gabinetto, il Ministro del Welfare ed il Ministro delle Cooperative. Si aggiunga, inoltre, la decisione di Ahmadinejad, risalente all’autunno del 2006, di disporre la ristrutturazione del MPO (Management and Planning Organization), l’istituzione statale responsabile per lo sviluppo, ed il monitoraggio delle priorità di spesa pubblica così come della supervisione dell’attuazione dei progetti di sviluppo. Queste iniziative presidenziali, dettate dalla volontà di imporre le proprie decisioni sulle questioni economiche, hanno generato conflitti interni e prodotto le dimissioni del potente ministro per il Petrolio, Kazem Vaziri Hamaneh, in sostituzione del quale è stato nominato da Ahmadinejad Gholam Hossein Nozari, presidente della Società petrolifera nazionale (Nioc), del Ministro dell’Industria e, da ultimo, del Direttore della Banca Centrale Sheibani contrario all’abbassamento dei tassi di interesse, misura da lui ritenuta inflazionistica.

Nel dicembre scorso Teheran ha deciso di sostituire l’Euro al Dollaro nelle transazioni internazionali. La misura mira a ridurre la dipendenza dalla divisa degli Stati Uniti consentendo l’uso nelle transazioni di una valuta attualmente più forte nei mercati internazionali, riducendo l’esposizione dell’Iran al rischio di blocco degli introiti petroliferi, che spesso passano attraverso istituzioni finanziarie con sede a New York e non ultimo ad aggirare le difficoltà di ricevere pagamenti in USD a causa delle pressioni statunitensi.

 

Il “business climate” generale è inoltre influenzato dall’evoluzione della questione nucleare iraniana che, soprattutto dopo il ricorso a sanzioni previsto dalla Risoluzione del CdS dell’ONU del 23 dicembre 2006, sta disincentivando gli investimenti stranieri, in particolar modo quelli europei. Nei settori non oil, nell’anno finanziario 2003-2004 il valore  degli investimenti stranieri è  stato pari a 2,7 miliardi di USD per 32 progetti. Tale importo è salito nell’anno finanziario 2004-2005 a quasi 4,4 miliardi di USD per 61 progetti. Nell’ultimo anno finanziario (2005-2006), invece, meno di 100 milioni di USD sono stati investiti dagli stranieri in Iran.

 

Tra i settori nei quali si riscontra un particolare dinamismo governativo si segnalano:

  • L’ammodernamento della rete ferroviaria, come attestato dalla decisione del Consiglio Economico di Stato di stanziare 152 milioni di Euro per l’acquisto di vagoni ferroviari.
  • La decisione del medesimo organo di attrarre 19.7 milioni di USD in finanziamenti stranieri per la costruzione dell’impianto gas di Bidboland.

 

Tra le misure prese nell’ultimo periodo rientra l’attuazione il piano di razionamento della benzina deciso dal Ministro dell’Interno e quello del Petrolio in seguito all’aumento del prezzo del carburante, con l’obiettivo di ridurre di circa il 30% gli elevati consumi interni di carburante (che costano all’Iran tra i 5 e gli 8 miliardi di dollari in importazioni). Dopo continui annunci, smentite e ritardi, dovuti alla paura di una decisione impopolare, il Governo ha deciso di dare attuazione al programma il 27 giugno. l’annuncio relativo è stato seguito da disordini e proteste soprattutto a Teheran.

 

Barriere tariffarie

 

Il sistema daziario iraniano è tuttora caratterizzato da alte barriere doganali all'ingresso dei beni importati. Le tariffe daziarie sono in genere elevate nei casi in cui esista una corrispondente produzione locale da proteggere.

 

Nei beni d’investimento, nei comparti in cui il fattore tecnologico è predominante ed in cui non esiste una significativa produzione locale da proteggere, i dazi sono invece meno elevati e quindi l'importazione dall'Italia non è economicamente proibitiva.

 

Barriere non tariffarie

 

La normativa iraniana comporta una minore incidenza delle barriere non tariffarie, con una quasi totale riduzione dei beni condizionati al rilascio di licenza, anche se, per tutte le importazioni, viene richiesta la registrazione della fattura proforma presso il locale Ministero del Commercio.

 

Investimenti esteri

 

La legge sulla protezione degli investimenti esteri (FIPPA, Foreign Investment Protection and Promotion Act) approvata nel maggio 2002, definisce le condizioni di ammissibilità degli investimenti esteri.

È tuttavia da sottolineare come gli investimenti esteri in Iran abbiano subito una battuta d’arresto  dovuta alla  questione nucleare iraniana. Di conseguenza, molti progetti che si basano su investimenti esteri, sono in una situazione di stallo o non possono essere varati.

 

 

 

L’Iran e le principali Organizzazioni internazionali

 

La domanda di ammissione dell’Iran all’OMC è rimasta“congelata” dal settembre 1996, a causa dell’opposizione degli USA, nonostante la Commissione Europea si sia invece sempre espressa a favore di una valutazione della richiesta avanzata dalla Repubblica Islamica, sulla base unicamente di parametri economici oggettivi. L’Iran è membro delle principali organizzazioni internazionali; dell’International Convention for the Protection of Industrial Property di Parigi e della World Intellectual Property Organization (WIPO).

 

 

 

             

RAPPORTI BILATERALI

In collaborazione con il MAE

 

 

Ambasciatore d’Italia

 in Iran

 

            ROBERTO TOSCANO

 

 

Ambasciatore d’Iran

 in Italia

 

            ABOLFAZL ZOHREVAND

 

 

 

Quadro generale

 

Le relazioni bilaterali, tradizionalmente intense e dinamiche, specialmente sotto il profilo economico-commerciale, nel corso del 2005 hanno fatto registrare periodi molto critici, in connessione con il progressivo peggioramento dei rapporti dell’Iran con la comunità occidentale.

 

Relazioni politiche

 

L’Italia, pur non deflettendo mai dalle obbligazioni derivanti dalla sua collocazione nel contesto euro-atlantico, ha sempre mantenuto un canale di comunicazione - e di dialogo - con l’Iran, che è stato ripetutamente esortato ad atteggiamenti più costruttivi ed al ritorno al tavolo negoziale sulla questione nucleare, sia in occasione degli incontri avuti dall’On.Ministro con l’omologo iraniano Mottaki (Roma e New York rispettivamente a giugno e settembre 2006) e con Larijani (Roma, luglio e settembre 2006), sia da parte dell’On. Presidente del Consiglio, nei colloqui avuti a Roma con Larijani (luglio e settembre 2006) e, da ultimo, con il Presidente Ahmadinejad a New York in occasione della 61° UNGA. La coerenza e l’assenza di ogni animosità nel nostro approccio hanno fatto guadagnare credibilità nei confronti della Comunità internazionale.

 

Relazioni economiche, finanziarie e commerciali

 

Sul piano bilaterale, un rapporto che usciva propiziato dai promettenti riscontri della Settima Sessione della Commissione Mista, tenutasi a Teheran il 18 e 19 gennaio 2005, è stato condizionato negativamente dalla congiuntura internazionale. In coincidenza con tale Commissione Mista, erano stati fra l’altro conclusi un Memorandum d’Intesa per il rafforzamento della cooperazione economica, soprattutto fra PMI, ed una Convenzione bilaterale per evitare le doppie imposizioni. Erano state parimenti ipotizzate svariate iniziative di cooperazione economica nei seguenti settori:

 

 

Il cima di fiducia e di conoscenza reciproca instauratosi fra i mondi imprenditoriali dei due paesi costituisce un patrimonio storico che gioca n favore dello sviluppo degli scambi economico-commerciali bilaterali. In negativo pesa invece l’aumentato livello di rischio politico dell’Iran, ed il conseguente, aumentato costo finanziario ed assicurativo di eventuali operazioni congiunte. Ed è tale rischio che ha reso programmabili a breve, fra quelle contemplate nell’ultima Sessione della Commissione Mista, essenzialmente iniziative d’assistenza tecnica nei settori dell’acquicoltura e della concia del pellame. Per altro verso, la presente contingenza non ha reso meno fondamentale l’apporto di SACE e SIMEST a sostegno delle nostre imprese interessate all’Iran.

 

            Per interscambio complessivo, l’Italia, insieme alla Germania, si colloca al vertice dei partner commerciali UE della Repubblica islamica: 5.179 milioni Euro nel 2005. I dati disponibili, relativi ai primi 5 mesi del corrente anno, indicano un valore complessivo dell’interscambio di 2.166 milioni di Euro, con un aumento del valore dell’export iraniano del 35,8% rispetto al pari periodo del 2005, precipuamente dovuto al sensibile incremento del prezzo del greggio, che ha integrato l’83,3% del nostro import dall’Iran nei cinque mesi di riferimento. Nell’ultimo quinquennio, petrolio e minerali bituminosi hanno rappresentato circa l’86,6% delle nostre importazioni dall’Iran e coperto il 6,7% del nostro fabbisogno energetico nazionale all’incirca. Sempre nell’ultimo quinquennio, le esportazioni italiane hanno integrato quote del totale dell’import iraniano oscillanti fra il 5,6 e l’8%.

            In assenza delle criticità connesse all’attuale congiuntura internazionale, il mercato iraniano presenterebbe interessanti potenzialità sia nel settore dei progetti in infrastrutture (specialmente trasporti e telecomunicazioni), sia in quelli considerati d’importanza strategica (petrolio, gas naturale, petrolchimico, siderurgia, industria automobilistica). Il settore delle sub-forniture e l’industria manifatturiera sarebbero di particolare appetibilità per le nostre PMI.

            Si apprezzano altresì utili complementarietà nella potenziale offerta tecnologica delle PMI italiane rispetto alle esigenze dell’imprenditoria iraniana, in particolare nell’industria del marmo, nel meccanico-tessile, in materia di macchine utensili per metalli, ceramica, vetro, concerie e calzature, di macchine agricole e per il trattamento e packaging nel settore agro-alimentare.

            In Iran si registra la presenza di grandi gruppi industriali italiani (ENI, Tecnimont, Ansaldo, FIAT, Fata), nonché di nostre importanti medie imprese, quali la Seli e la Trevi. Gli interessi chiave delle nostre aziende si concentrano nei settori petrolifero, siderurgico, energetico, petrolchimico, dell’industria automobilistica e relative componenti, delle costruzioni e delle macchine ed apparecchi meccanici.

            L’ENI, presente ed attivo in Iran nel settore petrolifero e del gas sin dal 1957, ha effettuato ingenti investimenti (per un valore stimato dallo stesso ENI intorno ai 2,9 mld. USD), specialmente nei progetti South Pars 4 e 5 eDarquain. I contratti stipulati dall’ENI con le controparti iraniane sono “buy-back”. Tale tipologia di contratti (l’Ordinamento iraniano non consente a stranieri lo sfruttamento diretto di risorse strategiche nazionali) prevede che il partner straniero investa cospicue somme che vengono poi rimborsate dal cliente iraniano nel tempo, a scadenze predeterminate, attraverso i proventi delle vendite. L’arco temporale in cui l'ENI deve recuperare tutto quanto investito si estende fino al 2011.

            Alla data del 31 marzo 2006 l’Iran è risultato il Paese di maggiore esposizione della SACE: 4,8 miliardi di Euro; in leggero calo rispetto ai 5,1 miliardi di Euro al 30/9/2005 ed ai 5,6 miliardi di Euro al 30/6/2005. L’esposizione è per il 96% sul medio e lungo termine, con scadenze tra i 5 ed i 9 anni. Non vi sono al momento insoluti. La SACE, pur mantenendosi disponibile all’assunzione di nuovi rischi verso l’Iran, sta perseguendo una graduale politica di ridimensionamento della sua esposizione, che, al 30.12.2005, era il 26% dell'esposizione totale della società. Il concretizzarsi dell’eventualità di sanzioni economiche internazionali verso l’Iran potrebbe comportare la sospensione dell’erogazione delle linee di credito che finanziano le operazioni di finanza strutturata verso tale paese.

            Dal punto di vista dell’Italia, un’esasperazione delle tensioni fra Teheran e l’Occidente integrerebbe uno scenario per noi non auspicabile, tenuto conto dell’importanza dei progetti di imprese italiane (che nell’ultimo triennio si sono aggiudicate in quel Paese contratti per 4,5 miliardi di Dollari USA), dell’entità dell’esposizione SACE, nonché delle nostre importazioni petrolifere.

 

 

Relazioni culturali, scientifiche e tecnologiche

 

            La cooperazione bilaterale culturale tra l’Italia e l’Iran è regolata dall’Accordo di collaborazione culturale del 29 novembre 1958 e incentrata nella valorizzazione del patrimonio archeologico iraniano.

            Il Programma Esecutivo di collaborazione culturale, scaduto nel 2004 e in fase di rinnovo, ha costituito un primo quadro di riferimento per molteplici e differenziate attività di collaborazione, che spaziano dallo scambio di docenti, archivisti, bibliotecari e restauratori all’organizzazione di corsi di italiano, dall’allestimento di mostre ed eventi culturali alla concessione di borse di studio a studenti universitari e post-universitari e, in particolare, alle iniziative congiunte per la valorizzazione e la conservazione del patrimonio culturale e archeologico.

E’ altresì in corso di definizione il progetto per l’istituzione un centro di ricerca scientifica per il patrimonio culturale d’’Iran con sede a Isfahan a cui partecipano enti italiani, iraniani, libanesi e della Santa Sede.

 

 

Intervento italiano a favore del patrimonio culturale di Bam

 

            Il terremoto che ha colpito l’Iran il 26 dicembre 2003, oltre a provocare migliaia di vittime e ad arrecare enormi danni materiali alla Regione di Bam, ha distrutto la cittadella di Arg-e-Bam, di notevole valore storico e archeologico.

            L’appello agli aiuti umanitari rivolto dall’Iran alla comunità internazionale fu immediatamente raccolto dall’Italia con aiuti d’emergenza per un valore di 300.000 Euro, e con un contributo di 55.000 Euro corrisposto all’Organizzazione Mondiale della Sanità.

            Nel giugno 2004, le Autorità iraniane chiesero all’Italia di intervenire anche per il graduale recupero del patrimonio culturale della Regione colpita dal terremoto. L’appello è stato accolto dai Ministeri degli Esteri e per i Beni e le Attività Culturali. ll Ministero degli Esteri ha stanziato un contributo di 300.000 Euro finalizzato, con la cooperazione dell’UNESCO, ad interventi di recupero del patrimonio storico dell’area. Il 10 e 11 maggio 2005 si è tenuto a Roma un seminario internazionale, organizzato in collaborazione fra i Ministeri degli Affari Esteri e per i Beni e le Attività Culturali, l’UNESCO e l’Iranian Cultural Heritage and Tourism Organization (ICHTO). L’iniziativa ha fornito l’occasione per proporre ulteriori progetti di conservazione del patrimonio di Bam, partendo da una verifica degli interventi già effettuati. Alla missione dell’ agosto 2005, nel corso della quale è stata presentata a Teheran la bozza di un programma di intervento congiunto MAE/MIBAC che prevede un intervento esemplare di restauro (il primo in assoluto di questo tipo sulla Cittadella) e un corso di formazione di personale tecnico locale, ha fatto seguito, nel luglio 2006, una ulteriore missione integrativa del MIBAC. Sono in corso di definizione eventuali contributi del Ministero degli Affari Esteri alle attività finanziate dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali.

 

 

Cooperazione allo sviluppo

 

L’Iran è inserito, sulla base delle classificazioni OCSE, nel gruppo dei Paesi a reddito medio-basso e può essere pertanto considerato beneficiario di aiuto pubblico allo sviluppo. La qualità delle relazioni bilaterali raggiunta negli ultimi anni ha indotto il nostro Governo alla decisione (formalizzata a Teheran nel marzo 2000) di aprire un “canale di cooperazione” con l’Iran, che fino ad allora non beneficiava dei finanziamenti della Legge 49/87.

 

I settori prioritari d’intervento della Cooperazione italiana sono:

 

·        agricoltura (82,3%; lotta alla siccità ed alla desertificazione, irrigazione, acquacoltura ed agroindustria), con particolare riferimento alla regione del Sistan-Baluchistan;

·        risorse idriche (14%);

·        conservazione e valorizzazione del patrimonio culturale (3,2%);

·        ambiente, habitat e turismo sostenibile (0,5%).

 

Nell’ambito della cooperazione bilaterale, è stato firmato nel febbraio 2006 un accordo per l’avvio del primo programma relativo al miglioramento dell’acquacoltura in Sistan-Baluchistan, per un importo di 3 milioni di Euro a dono.

 


 

 

DATI STATISTICI BILATERALI

 

 

PRINCIPALI ESPORTAZIONI E IMPORTAZIONI ITALIANE (gen ago 2006)

Esportazioni

Importazioni

1.   Macchine ed apparecchi meccanici (64,3%)

1.  Petrolio greggio e gas naturale (84,6%)

2.   Prodotti chimici e fibre sintetiche e artificiali (9,9%)

2.  Prodotti della metallurgia (10 %)

3.   Prodotti della metallurgia (4,8%)

3.  Prodotti chimici e fibre sintetiche artificiali (1,7%)

4.   Macchine ed apparecchi elettrici (4,4%)

4.  Prodotti dell’agricoltura e della caccia (1,1%)

5.   Prodotti in metallo esclusi macchine ed impianti (3,5%)

5.  Prodotti alimentari e bevande (0,9%)

6.   Autoveicoli, rimorchi e semirimorchi (3%)

6.   Prodotti tessili (0,5%)

Fonte:Elaborazioni Osservatorio Economico (MinComEs) su dati ISTAT

 

QUOTE SUL MERCATO IRANIANO (gen-giu. 2006)

PRINCIPALI FORNITORI

% su import

PRINCIPALI ACQUIRENTI

% su export

1. Germania

13,1

1. Giappone

15,1

2. Cina

9,7

2. Cina

13,8

3. EAU

8

3. Corea del Sud

5,8

4. Corea del Sud

6,4

4. Italia

5,6

5. Italia (3. nel 2005)

6,2

5. Paesi Bassi

5,1

6. Francia

5,5

6. Turchia

4,5

Fonte:Elaborazione Osservatorio Economico (MinComEs) su dati FMI

 

 

INCIDENZA INTERSCAMBIO SUL COMMERCIO ESTERO ITALIANO

(gen-ago 2006)

Esportazioni verso l’Iran sul totale delle esportazioni italiane

0,62 %

Importazioni dall’Iran sul totale delle importazioni italiane

1,12 %

 

 

FLUSSI TURISTICI BILATERALI

 

dall’Italia

verso l’Italia

2003

dato non disponibile

2894 visti per turismo rilasciati

2004

dato non disponibile

4222 visti per turismo rilasciati

2005

dato non disponibile

3253 visti per turismo rilasciati

2006*

dato non disponibile

2695 visti per turismo rilasciati

Fonte: Ministero degli Affari Esteri – Centro Visti *dati relativi al I°semestre

 

 

AIUTO PUBBLICO ALLO SVILUPPO (erogato)

 

2003

2004

2005

Doni

0,929

2,382

2,507

Crediti di Aiuto

/

/

/

Fonte: Ministero Affari Esteri - DGCS - Valori in milioni di Euro

 

 

INVESTIMENTI DIRETTI NETTI NEI DUE PAESI (gen – lug 2006)

Italiani in Iran in milioni Euro

 

 

% tot degli investimenti italiani all’estero

Iraniani in Italia in milioni Euro

 

% tot degli investimenti stranieri in Italia

1,2

 

0,00

0

 

0

Fonte:UIC 2006 provvisori

 

 

 

 

 

SACE

Categoria di rischio

5/7

 

Categoria Consensus

2

 

Condizioni di assicurabilità

Apertura con restrizioni

 

Impegni in essere (a)

4.654,32 mln. Euro

 

Crediti da surroga (b)

 

 

Esposizione complessiva (a+b+sinistri in corso)

4.654,32 mln. Euro

 

Indennizzi erogati da recuperare

1,39 mln. Euro

 

Politici

1,39 mln. Euro

 

Commerciali

0,00

 

Sinistri in corso al 30.6.2006

0

 

Esposizione Paese sul totale al 30.6.2006

15,31%

 

Fonte: SACE; situazione al  30.6.2006

 

ACCORDI DI RISTRUTTURAZIONE DEBITORIA

Ultima intesa Club di Parigi

L’Iran non ha finora fatto ricorso al Club di Parigi

Ultimo accordo bilaterale

/

Fonte: Ministero Affari Esteri

 

 

 

 



Composizione della popolazione per età:0-14 anni: 27.1%;15-64 anni: 68% oltre 65 anni: 4.9%

Circa 2/3 della popolazione è nata dopo la rivoluzione islamica del 1979.

[2] 5 seggi sono assegnati a rappresentati delle minoranze religiose riconosciute: Cristiana, Ebrei e Zoroastriani.

[3] Quattro seggi non sono stati assegnati. Fra questi, quello spettante alla città di Bam, distrutta da un terremoto nel dicembre 2003.

[4] La setta attende il ritorno del dodicesimo Imam o Mahdi, attualmente nella fase di occultamento maggiore (ghaybatu ‘s-sughra) e che potrà riapparire al fine di colmare la terra di giustizia dopo che in essa saranno prevalse iniquità e tirannia. Specificatamente Ahmadinejad sembrerebbe appartenere al gruppo Jamkaran degli Hojjatiyeh e tale appartenenza sarebbe uno dei fattori del suo atteggiamento estremistico ed alla base delle sue crescenti difficoltà con i conservatori tradizionalisti e con Khamanei.

 

[5] L’Assemblea, formata da 86 religiosi, può anche decidere di rimuovere la Guida, se ritenuto necessario. I candidati sono selezionati dal Consiglio dei Guardiani. L’Assemblea si riunisce solo a cadenza semestrale e le sedute sono segrete. Nelle ultime elezioni per l’Assemblea (dicembre 2006) il Consiglio dei Guardiani ha ammesso solo 164 candidature (bocciandone due terzi). Tutte le donne sono state escluse.

[6] La questione della pena di morte non è affatto nuova in Iran, ma negli ultimi due anni le condanne sembrano essere nuovamente cresciute (secondo il rapporto annuale di Amnesty International tra il 2005 ed il 2006 vi sarebbe stato un incremento quasi del 100%: da 113 condanne a 215).

[7] Recentemente l’amministrazione di Washington è tornata a lanciare moniti contro l’eventualità di un’arma nucleare iraniana. La vera novità in questo caso riguarda però la presa di posizione della Francia. Sia il Presidente francese Sarkozy che il Ministro degli Esteri Kouchner hanno paventato la possibilità di un attacco militare a Teheran, contraddicendo le precedenti politiche francesi. L'ex Presidente Chirac non era mai arrivato a tal punto e adesso le esternazioni di Parigi, membro permanente del Consiglio di Sicurezza dell'ONU, potenza economica del G8 e potenza nucleare a sua volta, alimentano le paure dell'Iran. Ma questa percezione di insicurezza tra la popolazione iraniana potrebbe essere addirittura controproducente per le politiche occidentali, arrivando anche a scatenare il forte senso di appartenenza alla nazione, peculiarità dell'Iran. Piuttosto che ribellarsi ad Ahmadinejad per avere portato il Paese sull’orlo di un possibile conflitto armato, la popolazione potrebbe stringersi attorno al proprio leader in un momento così delicato, andando a rafforzarne la posizione. Il dissenso interno potrebbe così lasciare spazio al nazionalismo. I rapporti con la Comunità Internazionale sembrano ormai compromessi e la sensazione è che si sia arrivati ad un punto tale per cui è venuta a mancare la reciproca fiducia, base di qualsiasi accordo. Cosciente di questo fatto, Teheran sta continuando a stringere i rapporti con quelle potenze nemiche degli USA, come Venezuela e Bielorussia. In particolare il governo di Minsk ha investito 250 milioni di dollari per lo sviluppo del campo petrolifero di Jofeir, nel Sud dell’Iran e aiuta Teheran nella raffinazione, vero tallone di Achille dell’Iran in campo petrolifero.

 

[8] Nell’ultimo anno sono giunte da Washington e da alcuni ambienti della stampa afgana accuse contro l’entourage del presidente Ahmadinejad, per le quali, mentre ufficialmente si impegna per la ricostruzione dell’Afghanistan, ne alimenta l’instabilità con altri strumenti. Stando alle rilevazioni dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, dal 2006 il governo iraniano ha obbligato al rimpatrio diverse centinaia di migliaia di rifugiati afgani; fonti ufficiali del governo difendono la buonafede del provvedimento, sostenendo che con esso si intende solo ridurre l’aggravio di tali individui sul sistema delle sovvenzioni e dei sussidi pubblici nazionali, e in nessun modo danneggiare il tessuto sociale o economico afgano. Secondo i vertici dell’Alleanza Atlantica, l’intelligence iraniana sarebbe inoltre il tramite per il passaggio di armi e ordigni esplosivi dall’Iraq alla resistenza talebana. Allo stato attuale però non è certo che l’Iran abbia soddisfatto le richieste di armi provenienti dai gruppi talebani, con cui i servizi segreti iraniani sono in contatto; piuttosto, secondo l’indagine dell’Institute for War and Peace Reporting di Londra, le armi made in Iran potrebbero giungere ai talebani dal commercio clandestino di alcuni combattenti ed ex-combattenti dell’Alleanza del Nord, riforniti negli anni 1990 per opporsi all’avanzata talebana. A smentire le accuse contro la Repubblica Islamica è intervenuto pubblicamente in più occasioni il presidente Karzai, interessato al proseguimento del partenariato tra i due paesi.

 

[9] Il Vertice (di cui fanno parte Russia, Kazakhstan, Iran, Turkmenistan e Azerbaijan) si è concluso con l’impegno degli Stati aderenti a non cooperare ad alcuna aggressione operazione militare rivolta contro uno di loro”. L’intesa raggiunta viene così ad assumere una particolare importanza nell’ipotesi di un attacco USA contro l’Iran.

[10] Di particolare rilievo due nuove risoluzioni rispettivamente sullo riduzione dello stato di allerta delle forze nucleari e sui possibili effetti dell’uso dell’uranio impoverito. Su questi due testi l’Italia, di concerto con altri partner ed in particolare la Germania, ha espresso un voto favorevole.

[11] L’economia iraniana, controllata per l’80% dallo Stato, è basata essenzialmente sulla vendita del petrolio (terzo produttore in ambito OPEC). L’Iran dispone inoltre di una delle più grandi riserve di gas naturale dopo quella della Russia (26 miliardi di metri cubi, pari al 18% delle riserve mondiali).