Camera dei deputati - XV Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Rapporti Internazionali
Titolo: Israele
Serie: Schede Paese    Numero: 17
Data: 01/07/2007

 

STATO D’ISRAELE


CENNI STORICI (a cura del MAE)

 

Al termine del Mandato britannico in Palestina e dopo il ritiro delle truppe britanniche, in applicazione della UNSC/RES 181 del 1947, il 14 maggio 1948 lo Stato ebraico dichiarò la propria indipendenza. Il rifiuto arabo di costituire un altro Stato nella regione, come previsto dalla stessa Risoluzione 181, determinò l’aprirsi di un durissimo conflitto che coinvolse sia la popolazione araba palestinese che gli Stati arabi confinanti. Il mancato riconoscimento dello Stato ebraico da parte di questi ultimi coinvolse Israele in vari conflitti con gli Stati vicini: nel 1948–49, nel 1956, nel 1967 e nel 1973.

Durante il Mandato britannico e nei primi anni di vita dello Stato ebraico il Partito Laburista dominò la vita politica israeliana, ereditando l’egemonia dei movimenti socialisti sionisti nel plasmare le istituzioni politico-economiche dello Stato. In questa prima fase, il partito Herut, antecedente dell’odierno Likud, ebbe un ruolo di secondaria importanza. Con la guerra dei Sei Giorni del 1967, anche la compagine politica del Paese subì una radicale trasformazione: a partire da quella data anche nella società ebraica emersero nuove divisioni come quella etnica tra Ashkenaziti e Sefarditi e quella tra “falchi” e “colombe”. Tali divisioni sociali ebbero un peso determinante nella prima vittoria del Likud nelle elezioni del 1977, grazie alla crescente rilevanza delle frange religiose e dei falchi. La stabilità della base di consenso del Likud consentì a quel partito di mantenere il potere per 20 anni, conducendo il Paese alla firma degli accordi con l’Egitto del 1978 e all’invasione del Libano nel 1982.

Negli anni ‘80, la consistenza elettorale dei due grandi partiti raggiunse un certo bilanciamento, tanto che nessuna delle due parti riuscì a prevalere sull’altra. Crebbe invece l’importanza dei Partiti religiosi che divennero determinanti sul piano elettorale. Ciò condusse Likud e Labour a collaborare tra il 1984 e il 1988. Nonostante i punti di divergenza tra le due forze politiche avessero posto dei forti limiti al programma di coalizione di Governo, con l’insorgere dell’Intifada nel dicembre 1987 e l’avanzare della possibilità di negoziare con i palestinesi, furono poste le basi per una maggiore unità politica nel Paese.

Grazie al mutato clima internazionale, in seguito alla caduta del muro di Berlino e agli eventi legati alla crisi del Golfo, si crearono condizioni storico-politiche favorevoli alla ripresa del dialogo tra arabi e israeliani. Il processo di pace aperto ad Oslo aprì una fase di distensione nei rapporti tra Israele e OLP, ma anche tra Israele e Paesi arabi vicini: nel 1993 venne firmata da Israele e OLP la Dichiarazione di Principi, che aprì una fase di negoziati permanenti tra le due parti.

Con il 1995 e l’assassinio di Ytzhak Rabin sembrò chiudersi il periodo della distensione tra israeliani e palestinesi. La vittoria elettorale di Netanyahu nel 1996 riportò il Likud alla guida d’Israele e nel 1997 e 1998 furono conclusi due nuovi accordi per concedere altri territori all’Autorità Nazionale Palestinese, ma il Governo intensificò l’attività di espansione degli insediamenti. In seguito, nel 1999 elezioni anticipate portarono di nuovo i laburisti al governo con Ehud Barak e nel maggio 2000 il Governo decise il ritiro dal Libano. Numerosi negoziati continuarono tra le Parti finché, dopo il fallimento dei negoziati di Camp David nel luglio 2000, si assistette ad un ritorno della tensione nei Territori e allo scoppio della seconda intifada. Con la scomparsa di Arafat e l’elezione di Abu Mazen a nuovo Presidente dell’ANP il 9 gennaio 2005 si assiste ora ad una fase di rilancio del processo di pace che ha segnato un significativo passo con il ritiro israeliano dalla Striscia di Gaza e da quattro insediamenti della Cisgiordania (agosto-settembre 2005).

 

DATI GENERALI

Abitanti

 

6.700.000 (inclusi gli abitanti degli insediamenti)

Tasso di crescita della popolazione

 

1,2%

Superficie

20.770 Kmq

 

Capitale

Gerusalemme (605.000 abitanti) Lo Stato di Israele ha proclamato nel 1950 Gerusalemme come propria capitale, ma gran parte delle ambasciate straniere, tra cui quella italiana, si trovano a Tel Aviv.

 

Gruppi etnici

ebrei 80,1%[1]; non-ebrei 19,9% (in prevalenza arabi)

 

 

Religioni praticate

ebraica (80%) musulmana sciita (14%) cristiana ed altre (6%)

 

Lingua

Ebraico, Arabo

 

 

 

 

Cariche dello Stato

 

Presidente dello Stato d’Israele

 

Shimon PERES (Kadima, eletto dalla Knesset il 13 giugno 2007, ha assunto la carica il successivo 15 luglio)

 

Presidente della Knesset

 

Dalia ITZIK (Kadima, dal 4 maggio 2006)

 

 

Primo ministro

Ehud OLMERT (Kadima)

 

Vice Premier e Ministro con delega alla politica di Stato e membro del Gabinetto di difesa[2]

Heim RAMON (dal 4 luglio 2007)

Ministro degli Esteri e facente funzioni di Primo Ministro

Tzipora ”Tizpi” LIVNI (Kadima)

Vice Primo Ministro e Ministro della difesa

Ehud BARAK (Presidente dei laburisti, nominato ministro il 15 giugno 2007)

Ministro delle Finanze e tesoro

Roni BAR-ON (dal 4 luglio 2007, Kadima)

Ministro dell’interno

Meir Sheetrit (dal 4 luglio 2007, Kadima)

Ministro della giustizia

Daniel Friedman (Indipendente)

Capo di Stato Maggiore

Gaby ASHKENAZI(Dal 14 Febbraio, al Posto del dimissionario Dan Halutz)

 

 

 

scadenze elettorali

 

Elezioni legislative

 

2010. Le ultime elezioni, anticipate, si sono tenute il 28 marzo 2006

 

 

 


QUADRO POLITICO

 

 

Governo in carica

 

L’attuale Governo è entrato in carica nel maggio 2006, dopo che le elezioni anticipate hanno visto la vittoria del Partito di centro, Kadima, e dei laburisti. Dopo l’ingresso nella maggioranza del Partito ultranazionalista russofono Israel Beitenu (“Israele è casa mia), il Governo risulta appoggiato da Kadima, laburisti, Shas, Partito dei Pensionati Gil e Israel Beitenu.

 

Il 4 luglio 2007 il Primo Ministro Olmert, tenuto conto del mutato quadro politico generale, originato dall’elezione a Presidente di Shimon Peres, e di una serie di scandali che avevano lasciato dei vuoti tra i ranghi dell’esecutivo (tra cui le dimissioni del Ministro delle Finanze Abraham Hishzon), ha proceduto ad un rimpasto di Governo, che è stato approvato all’unanimità dal Consiglio dei Ministri e ratificato dalla Knesset. Il rimpasto ha suscitato notevoli polemiche per la nomina a Vice Premier dell’ex Ministro della Giustizia, Heim Ramon. Ramon, fedele alleato del capo dell'esecutivo e co-fondatore di Kadima, si dimise da Ministro della Giustizia nell’agosto 2006 perché accusato e, in seguito condannato, per il reato di molestie sessuali.

 

L’attuale composizione della Knesset  è la seguente:

 

GRUPPO PARLAMENTARE

SEGGI

Kadima (centro)

29

Laburista-Meimad

19

Shas (ultraortodosso, sefardita)

12

Likud (destra)

12

Yisrael Beitenu (nazionalista, russofono)

11

Ichud Leumi (ultraortodosso)

7

Partito dei Pensionati Gil

7

Giudaismo Unito della Torah (ultraortodosso)

6

Meretz (sinistra)

5

Ra’am-Ta’al (arabo)

4

Balad (arabo)

3

Hadash (arabo)

3

TOTALE

120

 

I dati principali emersi dalle elezioni del 28 marzo sono tre: la scomparsa del partito centrista liberale Shinui (i cui elettori si sono spostati in modo massiccio verso Kadima[3]), il rafforzamento della destra (escluso il Likud che perde ben 15 seggi) e, soprattutto, l’importanza giocata dai temi economici, come testimoniata dall’affermazione dei laburisti e di una formazione politica nel panorama politico israeliano: il Partito dei Pensionati[4].

 

 

Quadro istituzionale

 

 

Sistema politico

 

            Israele è una Repubblica parlamentare, proclamata il 14 maggio 1948.

            Lo Stato non dispone di una Costituzione scritta[5], per cui l’assetto istituzionale è disciplinato da alcune “leggi fondamentali” di rango costituzionale adottate nel corso degli anni.

 

 

Capo dello Stato

 

Il Presidente dello Stato d’Israele è eletto dalla Knesset per sette anni a maggioranza assoluta dei suoi membri e non è rieleggibile. Il Presidente firma le leggi, ma non ha alcun potere di rinvio. Dopo le elezioni, spetta a lui aprire la prima sessione della Knesset. I suoi poteri sono puramente simbolici, ma la Knesset può, per gravi motivi, votare l’impeachment del Presidente, approvandola con 90 voti su 120. Il Presidente dello Stato è eletto con voto segreto da parte dei membri della Knesset

 

 

 

Parlamento

 

Il potere legislativo è esercitato dalla Knesset, composta da 120 membri eletti per quattro anni con sistema proporzionale e sbarramento al 2%. Tale soglia è stata innalzata dall’1,5% al 2% durante l’attuale legislatura.

L'iniziativa legislativa spetta ai membri della Knesset, al Governo e ai singoli ministri.

Ogni progetto di legge deve superare tre letture alla Knesset (nel caso di progetti di legge presentati da parlamentari, è prevista una lettura preliminare ad opera di un Presidium che delibera in merito all'inserimento del progetto nell’agenda della Knesset).

In prima lettura il progetto, presentato dal relatore, è esaminato dalla Knesset in seduta plenaria mediante un breve dibattito cui fa seguito un voto. Nel caso non sia respinto, il progetto è inviato in seconda lettura alla Commissione competente, che può elaborarlo nei dettagli, accorparlo ad altri progetti simili, come pure apportare modifiche. Al termine dell’esame in Commissione il progetto di legge torna in aula ed è votato nei singoli articoli. Se non è necessario rimandarlo di nuovo alla Commissione per ulteriori emendamenti, il progetto di legge è votato nel suo complesso (terza lettura).

Un iter simile seguono le mozioni, che sono esaminate preliminarmente dal Presidium della Knesset ed eventualmente sottoposte al Ministro competente, che può preparare una risposta. Fa quindi seguito un dibattito in aula in cui può essere votato un ulteriore allargamento della discussione, o l’invio del testo in Commissione per un esame approfondito, o il rigetto della stessa.

Il quorum previsto per le decisioni alla Knesset, nella maggior parte dei casi, è quello della maggioranza dei presenti. La Knesset può anche decidere il proprio autoscioglimento mediante una legge in cui viene fissata la data delle nuove elezioni.

 

 

Governo

 

A seguito della legge di riforma costituzionale varata dalla Knesset nel marzo 2001, il Premier, che deve essere membro della Knesset, viene nominato dal Presidente della Repubblica, a seguito di consultazioni con i partiti politici. In precedenza, dal 1996, il Primo Ministro era eletto a suffragio universale diretto.

Il Premier nomina i ministri in un numero variabile e si presenta alla Knesset dove espone il proprio programma per ottenere la fiducia. I ministri possono essere scelti anche al di fuori dei membri della Knesset, mentre i sottosegretari devono necessariamente farne parte.

 

 

Sistema giudiziario e amministrativo

 

            Il sistema giudiziario comprende corti secolari e religiose. Al vertice del sistema giudiziario (anche religioso) è la Corte Suprema, i cui membri sono nominati dal Presidente della Repubblica. La Corte può imporre una revisione delle decisioni adottate da qualsiasi organo dello Stato[6].

            Lo Stato è suddiviso in sei distretti che sono coordinati a livello amministrativo dal Ministero degli Interni. L’amministrazione nei territori occupati spetta invece al Ministero della Difesa.

 

 

attualità politica

 

 

Liberazione di 255 prigionieri palestinesi

            L’8 luglio 2007 il Consiglio dei Ministri del Governo Olmert ha assunto la decisione di liberare 256 detenuti palestinesi (tra cui sei donne), affiliati di Al Fatah. Si tratta del rilascio più importante negli ultimi due anni in termini quantitativi, realizzato da Israele nel momento più duro dello scontro tra Abu Mazen e i radicali islamisti di Hamas.

            Il rilascio effettivo è avvenuto il 20 luglio 2007, principalmente dal carcere di Ketziot nel Negev (solo uno dei 256 annunciati non è stato liberato). La grande maggioranza dei palestinesi rimessi li libertà (circa l'85 per cento) sono militanti di al-Fatah, i restanti sono uomini del Fronte Democratico per la Liberazione Popolare (Fdlp) e de Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (Fplp). Dopo il rilascio il vice-ministro palestinese per i detenuti, Ziad Abu Ein:, ha sottolineato «Sulla questione dei prigionieri è stato rotto il ghiaccio».

La decisione, che segue quella relativa allo sblocco dei fondi dovuti da Israele all’Autorità palestinese, si inserisce dunque nel difficile tentativo delle diplomazie israeliana e palestinese di ricostruire un percorso di pace, rafforzando altresì la posizione di Abu Mazen rispetto ad Hamas. Tutti i detenuti, prima di lasciare il carcere, hanno firmato un  documento in cui si impegnano a non partecipare ad attività terroristiche.

 

Lettera scritta a Tony Blair, inviato del Quartetto per il Medio Oriente, da parte di dieci Ministri degli Esteri dei Paesi mediterranei dell’UE riuniti a Portorose, Slovenia, (primi firmatari Italia, Francia, Spagna e Portogallo) – 9 luglio 2007

 

“Caro Tony, dopo dieci anni passati al servizio della Gran Bretagna, e mentre il mondo si stava già rammaricando di vederla lasciare le luci della ribalta, lei ha accettato una missione più complessa, addirittura più impossibile di tutte quelle in cui si era finora impegnato. Impossibile? Il compito, effettivamente, è tale da scoraggiare più di una persona.

Alla storia apparentemente senza fine di una pace tra Israele e i Palestinesi, si aggiunge oggi un insieme di fattori ostili: il colpo di forza di Hamas a Gaza ovviamente, le difficoltà politiche interne israeliane, l'attendismo degli Stati Uniti, la mancanza di convinzione dell'Europa, nonostante l'azione meritoria di Javier Solana, e soprattutto quella terribile sensazione di impotenza che sembra propagarsi in tutta la comunità internazionale.

C'è indubbiamente di che scoraggiarsi. E tuttavia, non possiamo impedirci, rallegrandoci della sua decisione di accettare questa missione, di provare un improbabile ottimismo. Prima di tutto, poiché noi conosciamo il suo coraggio, il suo senso del bene comune e la sua determinazione. Ma anche perché l'ampiezza della crisi ha provocato una presa di coscienza salutare, che paradossalmente rende finalmente possibile il progresso.

Tanto vale riconoscerlo subito, la prima constatazione di questa analisi è quella di un insuccesso condiviso che non possiamo più ignorare: la "road map" è fallita. Lo status quo che prevale dal 2000 non porta a nulla, lo sappiamo. Le condizioni troppo rigide che avevamo l'abitudine di imporre come preliminari alla ripresa del processo di pace non hanno fatto altro che aggravare la situazione. L'immobilità timorosa della comunità internazionale ha provocato troppi danni.

Questo bilancio negativo ci impone di cambiare approccio. Ci autorizza soprattutto a vedere più lontano. L'Europa ha il dovere di dirlo ai suoi amici sia israeliani che palestinesi. Poiché, se si accetta di cambiare prospettiva, se ci si azzarda a vedere la situazione con occhi nuovi, la situazione attuale offre anche le sue opportunità. Ne citeremo due.

Per prima cosa, la presa di Gaza da parte di Hamas. Da questa sconfitta può nascere una speranza. Il rischio di guerra civile in Cisgiordania, le minacce della divisione di fatto della Palestina e del ritorno degli scenari giordano e egiziano di prima del 1967 possono effettivamente dare uno scossone. Il Presidente dell'Autorità Palestinese, con la sua tenacia nel favorire la pace e il dialogo e nel denunciare coraggiosamente il terrorismo, ci invita all'ottimismo.

Altro motivo di sperare: la determinazione dell'Arabia Saudita, degli Emirati e del Qatar a fianco dell'Egitto e della Giordania. Questi nuovi protagonisti sono in grado, con le loro considerevoli risorse, di portare un aiuto decisivo.

Questi due punti, caro Tony, ci autorizzano a ridefinire i nostri obiettivi. Sostenuti da una concertazione rinnovata del Quartetto e della Lega Araba (con Egitto, Giordania, Arabia Saudita, Siria, Emirati) che associ le due parti (Olmert e Mahmud Abbas), questi obbiettivi dovrebbero ragionevolmente essere quattro:

a) offrire una speranza, una vera soluzione politica ai popoli della regione. Questo passa attraverso negoziati, senza preliminari, sullo statuto finale, salvo che il percorso avvenga per fasi successive. Comprendendo le questioni di Gerusalemme, i rifugiati e le frontiere, questi negoziati permetteranno di fissare un obiettivo condiviso e realistico;

b) prendere in considerazione il bisogno di sicurezza di Israele. Vale la pena esaminare l'idea di una forza internazionale robusta del tipo Nato o Onu capitolo VII. Questa avrebbe ogni legittimità ad assicurare l'ordine nei territori e a imporre il rispetto di un necessario cessate il fuoco. I rischi, ovviamente, sono elevati, ma questa forza può essere funzionante e sicura se noi rispettiamo due condizioni: che accompagni un piano di pace senza sostituirvisi e che si appoggi su un accordo inter-palestinese;

c) ottenere da Israele provvedimenti concreti e immediati a favore di Mahmud Abbas, tra i quali il trasferimento della totalità delle tasse dovute, la liberazione di migliaia di prigionieri che non abbiano le mani macchiate di sangue, la liberazione anche dei principali leader palestinesi per assicurare il ricambio in seno a Fatah, il congelamento della colonizzazione e l'evacuazione degli insediamenti selvaggi. Nessuno di questi provvedimenti può essere contestato per motivi di sicurezza. L'Europa e il Quartetto devono dirlo con fermezza e amicizia a Israele. È troppo tardi per tergiversare;

d) non spingere Hamas a rilanciare. Questo implica riaprire le frontiere tra Gaza e l'Egitto, facilitare il passaggio tra Gaza e Israele, e incoraggiare l'Arabia Saudita e l'Egitto, come il Presidente Mubarak ha proposto, a ristabilire il dialogo tra Hamas e Fatah.

Questi quattro obiettivi sono alla nostra portata. Nonostante le circostanze drammatiche, nonostante le ferite e gli odi, ci troviamo di fronte a una occasione storica - forse l'ultima.

Conosciamo la sua immaginazione. Siamo quindi certi che lei saprà trattare queste problematiche in modo globale. Da qui l'importanza di riunire senza indugio una Conferenza internazionale che comprenda tutte le parti del conflitto. Caro Tony, lei ha lo straordinario privilegio di poter far diventare realtà, la visione di due Stati, israeliano e palestinese, che vivono l'uno accanto all'altro in pace e in sicurezza. Sappia, che, in ogni giorno della sua missione, potrà contare sul nostro sostegno e la nostra adesione incondizionata.”

 

 

Elezione di Shimon Peres a Presidente dello Stato di Israele

 

Shimon Peres, 83 anni, è stato eletto nono presidente di Israele il 13 giugno 2007. Eletto dalla Knesset, già premio Nobel, il nuovo capo dello Stato è il più anziano politico israeliano ancora in carica.

Alle votazioni alla Knesset al primo turno Peres non è stato eletto per tre voti, fermandosi a 58. Il suo rivale più agguerrito, Reuven Rivlin del Likud, ha ottenuto 37 voti, la laburista Colette Avital, 21. Subito dopo il primo scrutinio la candidata del centro sinistra ha abbandonato la corsa. Secondo le previsioni la sfida sarebbe stata serrata fra Peres e Rivlin, ma prima del secondo scrutinio quest’ultimo ha ritirato la sua candidatura spianando la strada al rivale.

Peres è stato eletto presidente con 86 voti dei 120 parlamentari della Knesset ed è subentrato a Moshe Katsav accusato di violenza sessuale. L’ironia della sorte vuole che Peres sia stato sconfitto nel 2000 nell’elezione a presidente dello Stato ebraico dall’allora semisconosciuto Katsav. Il giuramento è avvenuto il 15 luglio.
«Il ruolo di presidente non è per la politica e la partigianeria, ma rappresenta ciò che ci unisce in una voce forte - è stato il primo commento di Peres dopo il voto -. Sono stato alla Knesset per 48 anni e neanche per un attimo ho perso la fede e la speranza per Israele. Il neo presidente ha quindi ringraziato la sua famiglia e in particolare la moglie Sonia, «veramente una donna rara».

Di origini polacche, il nono presidente israeliano emigrò in Palestina quando aveva 11 anni e aderì all’Haganah, l’organizzazione paramilitare ebraica. Pupillo di David Ben Gurion, fondatore di Israele, Peres fu tre volte premier, ministro degli Esteri e vicepremier nel governo Sharon del 2005 e nell'attuale esecutivo di Ehud Olmert. Ogni volta che andò al potere, poi venne sconfitto nelle elezioni seguenti, come nel 1996. Diventato primo ministro dopo l’assassinio di Yitzhak Rabin, perse con l’avversario Benyamin Netanyahu del Likud.

 

 

La Commissione Winograd

            Il primo rapporto provvisorio della Commissione Winograd, diffuso il 2 maggio. 2007, ha fatto emergere gravissime responsabilità nella decisione e nella gestione della guerra in Libano del Primo Ministro Olmert, degli allora Ministro della Difesa Peretz e Capo di Stato Maggiore, Dan Halutz. A seguito del rapporto si è aperta una grave crisi politica che ha investito gli equilibri nella stessa coalizione di Governo (in particolare il Ministro degli esteri Livni aveva chiesto al Premier di farsi da parte) e ha suscitato grandi proteste nel Paese contro l’esecutivo. Il rapporto Winograd sarà disponibile all’inizio del mese di settembre.

Olmert ha fatto emergere fin dall’inizio la volontà di restare alla guida del Paese e, forte della consapevolezza che nessuna delle forze di coalizione del suo Governo avrebbe interesse ad andare a nuove elezioni che probabilmente consegnerebbero il Paese al Likud, da sempre contrario ad un accordo di pace che preveda la restituzione dei territori occupati. Olmert ha difeso il suo operato e la scelta di entrare in guerra con il Libano, pur ammettendo errori nella gestione del conflitto.

Il 18 luglio 2007 è stato reso noto un nuovo rapporto del Controllore dello Stato d'Israele, Micha Lindenstrauss, relativo al conflitto israelo-Hezbollah, nel quale il primo ministro Ehud Olmert è il bersaglio di durissime critiche per le falle del sistema usato per tutelare la popolazione civile durante la guerra.

 

            Ehud Barak nuovo leader del Partito laburista

            L’ex Primo Ministro Ehud Barak, il 13 giugno 2007, ha vinto le primarie per la guida del suo partito, il Labor, dopo aver affrontato al ballottaggio il principale avversario Amir Ayalon, uomo nuovo della politica israeliana, con un passato di comandante della Marina e, successivamente, capo dei servizi segreti interni, lo Shin Bet. Fino a qualche mese fa una simile prospettiva sarebbe sembrata quasi impossibile, data la posizione di Barak che, dopo essere stato capo del governo tra il 1999 e il 2001, , aveva lasciato la politica dopo i fallimenti degli accordi di Camp David nel 2000 e lo scoppio della seconda intifada. Il suo rientro è arrivato in un clima di sfiducia generale verso Olmert ed il suo esecutivo, determinato dalla condotta della guerra dell’estate scorsa contro Hezbollah e da vari scandali politici che hanno coinvolto alcune tra le più alte cariche dello Stato.

La questione principale da affrontare per il nuovo leader dei Labor è quella di ridefinire la posizione del partito all’interno della coalizione di governo. Durante la campagna elettorale Barak era stato piuttosto ambiguo riguardo questo tema, mentre il suo avversario, Ayalon, era stato molto chiaro sulle sue intenzioni di rompere la collaborazione con il Governo di Olmert, aprendo probabilmente la strada a nuove elezioni. Barak ha invece deciso di continuare a sostenere il Governo Olmert, assumendo il delicato dicastero della Difesa.

           

            Consolidamento delle posizioni del Likud

 

            I sondaggi apparsi negli ultimi mesi in Israele indicano che se si tenessero oggi le elezioni, Netanyahu sarebbe in grado di sconfiggere qualsiasi candidato delle fazioni rivali. Secondo i dati più recenti infatti, l’ex premier stacca di 20 punti percentuali il rivale Ami Ayalon e di circa 30 punti, Ehud Barak, recente vincitore delle primarie del Labour Party.

Le ragioni politiche che stanno minando il sostegno al governo sono insite nella struttura della coalizione in carica, mentre la crescita e il ritorno alle cronache del Likud –dopo i risultati disastrosi delle elezioni dell’anno scorso- sono da attribuire da una parte al prestigio della figura di Netanyahu e del suo operato, dall’altra alla sua posizione di alternativa all’attuale governo.

Per quanto riguarda i crediti di cui gode il leader del Likud, sono in gran parte da ricercare nel suo periodo in carica come Ministro delle finanze dal 2003 al 2005. Sono state infatti le riforme orientate al mercato da lui introdotte a favorire la forte crescita del prodotto interno lordo, il calo della disoccupazione, il pareggio di bilancio raggiunto per la prima volta nella storia di Israele e l’aumento del tasso di crescita dell’economia in generale. Tuttavia, non è solo l’aspetto economico a costituire l’ampia base di consensi, ma anche valutazioni di tipo prettamente strategico. Il ritiro da Gaza voluto dal precedente leader del partito, Ariel Sharon, ha ottenuto risultati insoddisfacenti rispetto alle intenzioni, mentre su questo tema Netanyahu si è continuamente opposto, soprattutto per quanto riguarda le modalità e i tempi di svolgimento.

Se dunque il governo di Olmert attraversa una parentesi nera che potrà forse risolversi nella sua caduta, il Likud attrae su di sé il sentimento di rifugio dal malcontento generale. Determinanti nel creare questa situazione sono state le vicende legate al conflitto contro Hezbollah scoppiato nel 2006. La totale estraneità del Likud e del suo leader agli avvenimenti, hanno fatto si che la popolarità di quest’ultimo ne traesse ampio vantaggio, in particolare ora, con le conclusioni del Comitato Winograd sulle responsabilità dell’attuale leadership nel conflitto.

 

 

POLITICA ESTERA

A CURA DEL MAE

 

 

            La politica estera di Israele è per tradizione filo-occidentale e, in particolare, filo-americana. L'obiettivo di fondo americano resta la ripresa dei negoziati di pace che realizzino la visione dei due Stati, anche se Washington si rende conto che, qualora, ciò non fosse possibile, l’attuazione del “piano di riallineamento” di Olmert sarà inevitabile. Gli Stati Uniti sono infatti un punto di riferimento indispensabile per Israele, per quanto riguarda la sicurezza (Israele è il primo Paese beneficiario di armamenti e tecnologia militare statunitensi[7]), gli aiuti economici e come partner affidabile e ponte nei negoziati di pace. Profonda è inoltre l’influenza delle comunità ebraiche americane sull’establishment di Washington[8]. Si è consapevoli che l’Amministrazione americana è stata indotta ad un rinnovato impegno nel processo di pace, anche in vista di un necessario miglioramento della propria immagine nel mondo arabo nel quadro della crisi irachena. Rimane comunque viva l’attenzione americana riguardo alla costruzione della barriera e all'espansione degli insediamenti ebraici, questioni suscettibili di modificare la situazione sul terreno in modo tale da rendere più problematica la definizione degli assetti territoriali definitivi e la costituzione di uno Stato palestinese vitale (come previsto dalla Road Map).

            Nel corso della sua ultima visita a Washington (12 novembre 2006), Olmert ha colto l'occasione per prospettare il suo nuovo piano di "riallineamento consensuale". L'orientamento è quello di attuare una politica di concessioni ad Abu Mazen, per rafforzarlo politicamente e metterlo in grado di andare a nuove elezioni, entro la fine del 2007, con possibilità di successo nei confronti di Hamas. Se tale successo si verificasse, Olmert potrebbe discutere con il Presidente palestinese l'evacuazione coordinata da gran parte della Giudea e della Samaria, mantenendo però i grandi blocchi di insediamenti: si creerebbero così le condizioni per la proclamazione di uno Stato palestinese con confini provvisori, quale primo passo verso un regolamento di pace completo. Nell'immediato, quindi, da parte israeliana vi sarebbe disponibilità ad adottare misure di confidence-building, quali: rilascio dei prigionieri, scongelamento di fondi, apertura dei valichi, oltre al rafforzamento della Guardia Presidenziale. Il processo potrà innescarsi solo dopo la liberazione del caporale Shalit e la costituzione del nuovo Governo palestinese con l’accettazione delle tre note condizioni, tra cui la cessazione della violenza. Al momento attuale, vi è sfiducia di fondo sulle possibilità reali di riavviare un dialogo, fintantoché non emergerà dal campo palestinese una forza interlocutrice pronta ad assumersi l'impegno di una soluzione di pace.

            Con tali premesse, a seguito di due settimane di intensi contatti, il 23 dicembre 2006, Olmert ed Abu Mazen hanno avuto un incontro a Gerusalemme in occasione del quale Olmert ha deciso di trasferire direttamente all’Ufficio della Presidenza palestinese 100 milioni di dollari dei fondi fiscali palestinesi trattenuti, si è impegnato a riesaminare le procedure di sicurezza ai valichi fra Israele e Gaza e di rivedere la situazione dei checkpoints in Cisgiordania e si è dichiarato disponibile liberare molti prigionieri dopo il rilascio del Caporale Shalit. Abu Mazen, per parte sua, ha promesso di aumentare i pattugliamenti della guardia presidenziale nella Striscia di Gaza per mettere fine al lancio dei missili Kassam. Le misure concordate vanno effettivamente nella direzione di quei piccoli passi per migliorare la situazione nei Territori che Olmert, nel suo discorso di Sde Boker del 27 novembre, aveva fatto discendere da una cessazione della violenza.

Il Segretario di Stato Americano, Condoleeza Rice, si è recata in visita in Israele dal 13 al 15 gennaio 2007, con l'intenzione di esplorare concretamente la possibilità di stabilire uno Stato palestinese nei prossimi due anni, entro la fine dell'Amministrazione Bush. In questo senso essa si pone sulla stessa posizione del presidente Abu Mazen, che non intende entrare nella seconda fase della Road Map (negoziato sullo Stato palestinese con confini provvisori) senza che essa sia collegata strettamente alla terza (negoziato sullo status finale). In caso di riscontro positivo il vertice per suggellare la firma di un Accordo sulla creazione di una Palestina dai confini provvisori con il contemporaneo avvio di una trattativa sullo status finale dei Territori potrebbe tenersi a Washington.

L’incontro Tripartito di Gerusalemme tra il Segretario di Stato USA Rice, il Premier Olmert e il Presidente Abbas del 19 febbraio ha segnato un importante passo avanti nella ripresa del dialogo israelo-palestinese. L’incontro si è tenuto subito dopo la conclusione dell’Accordo della Mecca tra il Presidente Abbas e il Primo Ministro Hanyeh, con il quale erano stati concordati i termini della composizione e del programma del Governo di Unità Nazionale, e l’assenza di un esplicito riferimento alle tre condizioni del Quartetto nella lettera di incarico del Presidente Abbas ad Hanyeh ha influito sul clima generale della riunione, visto che per questo motivo sia il Governo israeliano sia l’Amministrazione USA continuano a mantenere intatte le proprie riserve sul nuovo Governo palestinese. Nonostante le prime manifestazioni di delusione nei confronti dell’Intesa della Mecca e del costituendo Governo di Unità Nazionale, Olmert ha comunque dichiarato di voler mantenere un canale di comunicazione con il Presidente palestinese e l’incontro tripartito di Gerusalemme ha dato un significativo impulso al prosieguo del dialogo bilaterale. In realtà, non si sono raggiunti risultati concreti particolarmente visibili: Abbas ed Olmert hanno reiterato il proprio impegno verso la soluzione bi-statuale e la Road Map ed a favore del mantenimento della tregua. I due leaders si sono nuovamente incontrati l’11 marzo a Gerusalemme, mentre è prevista a fine marzo una missione della Rice.

 

Egitto, ed in sub-ordine Giordania, svolgono un ruolo di primo piano nel Processo di Pace. L'iniziativa del Cairo è fortemente apprezzata dal "Quartetto", nella convinzione che la presenza di un Paese arabo moderato nella Striscia possa fornire un contributo centrale alla stabilità. Sulla base delle intese israelo-egiziane conseguite il 10 marzo 2005, gli egiziani hanno schierato 750 guardie di frontiera; mentrela forza multinazionale di osservazione MFO continua a svolgere pienamente la sua funzione.Israele ha altresì manifestato apprezzamento per il ruolo dell’Egitto nel controllo del Philadelphi Corridor, affermando che “la situazione di sicurezza in termini di traffico d‘armi e di infiltrazioni è migliorata”. L’Egitto sta altresì svolgendo un importante ruolo di mediazione per la liberazione del Caporale Shalit, rapito a Gaza il 25 giugno.

 

            Un ruolo importante è svolto dall’Egitto anche per quanto riguarda la gestione del passaggio di frontiera con la Striscia di Gaza. Questo è basato su un accordo sull’accesso e i movimenti attraverso Gaza (Framework Agreement), concluso tra ANP e Governo di Israele il 15 novembre 2005. Come previsto dall’Accordo e dal Memorandum of Understanding fra le due Parti e l’Unione Europea, il valico di Rafah tra Gaza e l’Egitto è stato aperto il 25 novembre 2005 con l’arrivo della missione europea. Delicato e centrale è il ruolo del Capo missione, il Generale dei Carabinieri Pistolese. La missione (EU Border Assistance Mission -EUBAM) svolge ora un monitoraggio attivo delle attività delle forze palestinesi a Rafah, verificando e valutando il rispetto delle intese fra le Parti. Compito dell’EUBAM è anche di partecipare al capacity building (in particolare nel settore delle dogane) e di contribuire al dialogo e al collegamento tra Autorità palestinesi, egiziane ed israeliane relativamente alla gestione del valico

 

Dal 1989 sono ripresi, con sempre maggiore intensità, i rapporti con la Russia, Paese dal quale proviene un sesto della popolazione ebraica dello Stato di Israele. Permane tuttavia a Tel Aviv un certo sospetto per l’attivismo russo nella regione (dovuta alla tradizionale politica filo-araba di Mosca ed alla stretta cooperazione militare con l’Iran e la Siria). Nonostante tutto (anche grazie all’inclusione di Mosca nel Quartetto), le relazioni con la Russia vengono per importanza subito dopo quelle con gli USA, l’UE e i suoi Stati membri.

            Mosca attualmente manifesta preoccupazione per la delicata fase politica apertasi con l’uscita di scena di Sharon, ma nutre fiducia nell’operato di Olmert, un personaggio che il Paese conosce bene, essendo tuttora Presidente del Comitato intergovernativo bilaterale Russia-Israele. In ragione dell’influenza che Mosca svolge su Damasco e Teheran, Israele ha deciso di avviare un dialogo strategico sull'Iran - a livello di alti funzionari - con la Russia, sulla falsariga di quello avviato con gli Stati Uniti.

            D’altro canto, la Russia è da sempre convinta che qualunque esercizio diplomatico debba coinvolgere tutti gli attori regionali (Siria, Hamas, Hezbollah ed Iran). In questo quadro, le leve politiche di cui Mosca dispone sono rappresentate dalla lunga tradizione di rapporti con i paesi arabi, soprattutto con quelli – Siria ed Iran – attualmente ai margini della Comunità internazionale, nonché con i movimenti emergenti come Hamas. D’altra parte, la presenza di una comunità di immigrati ebrei russi in Israele (circa un milione su una popolazione totale di sei milioni) contribuisce al forte legame con lo Stato ebraico.Riguardo al processo di pace, gli ebrei di origine russa – in maggioranza residenti nei nuovi insediamenti israeliani- sono in larga parte schierati su posizioni oltranziste. Infatti se i "padri fondatori" di Israele erano in massima parte russi ashkenaziti, politicamente laici e intrisi dei valori democratici europei, i nuovi immigrati dall'ex-URSS tendono a votare a destra per partiti quali l’Israel Bel-Aliya, il Mahar e l’Israel Beitenu (entrato nel Governo di Olmert).

 

            Gerusalemme ha altresì avviato un lavoro politico di normalizzazione delle relazioni diplomatiche con i Paesi arabi moderati del Nord Africa e del Golfo, che sta portando i primi frutti, con il rientro degli Ambasciatori cairota e giordano e la missione di Shalom in Tunisia in occasione del Vertice Mondiale sulla Società dell’Informazione (17 novembre 2005). Dopo il successo del negoziato sul rafforzamento del controllo egiziano alla frontiera di Gaza, l’auspicio di Gerusalemme, pronta ad accogliere le delegazioni diplomatiche degli Stati arabi, è di portareanche altri Paesi sulla stessa scia (Tunisia, Marocco, Qatar, per il quale Israele ha annunciato il sostegno alla candidatura al Consiglio di Sicurezza, e Oman in primis). Intanto, dopo quasi un anno di negoziati, sarebbe stata raggiunta un’intesa per l’apertura di una rappresentanza diplomatica israeliana a Dubai. Da ultimo, l’incontro tra Shalom e l’omologo pakistano Kasuri (31 agosto 2005) segna altresì un importante passo per lo stabilimento delle relazioni diplomatiche e potrebbe incoraggiare altri Stati mussulmani a normalizzare i rapporti con lo Stato ebraico.

            Nell’ottica israeliana, il pericolo rappresentato dall'Iran spingerebbe gli Stati arabi moderati ad aprire un canale di dialogo con Tel Aviv.

 

Sul dossier siro-libanese, Tel Aviv manifesta grande preoccupazione per una situazione che sembra precipitare a seguito dell’uccisione del Ministro Gemayal, aprendo scenari in cui la caduta del governo Siniora sarebbe seguita dalla guerra civile e dall'instaurazione di un regime islamico radicale, sulla falsariga di quello iraniano, per di più alle soglie di Israele. Questo scenario porterebbe ad un ulteriore scontro tra Israele ed Hezbollah. Inoltre, Israele non si ritiene completamente soddisfatta dell'applicazione della 1701. Il trasferimento di armamenti al Partito di Dio continua e Regev e Goldwasser, i due soldati rapiti, non sono ancora tornati a casa. Allo scopo di mantenere la capacità di raccogliere informazioni sulla situazione sul terreno in Libano, l’Aeronautica israeliana continua ad effettuare sorvoli di ricognizione sul territorio libanese.

            Rimane quindi improntato alla massima fermezza il linguaggio della Livni nei confronti di Siria e Iran, ritenuti i mandanti delle forze estremiste nella regione. Sulle stesse note già spese da Olmert nella sua ultima visita a Washington, la Livni ribadisce che sarebbe un errore irreparabile sotto il profilo della sicurezza comune (e non solo di Israele), adottare una linea più accomodante rispetto ad Iran e Siria. Un eventuale "decoupling" della Siria dall'Iran appare difficile, ma non assolutamente impossibile. Damasco, nell'analisi israeliana, vorrebbe in cambio il Golan, garanzie sull'operato del Tribunale Hariri e soprattutto il mantenimento della propria influenza in Libano (anche per motivi economici, la Siria mira alle ricchezze commerciali e turistiche del Paese dei Cedri). L'opinione pubblica israeliana è certamente più propensa a restituire le Alture del Golan che la Cisgiordania, ma le Autorità ebraiche pretendono maggiori garanzie di sicurezza.

 

            La questione nucleare iraniana costituisce invece il maggior pericolo per Israele. Per la prima volta nella storia, un Paese che disconosce ed addirittura fa apologia dell'Olocausto rischia di dotarsi di armi nucleari. Obbiettivo di Teheran è di diventare una superpotenza mondiale, estendendo la propria influenza fino al Mediterraneo, attraverso l'Iraq (una volta partiti gli americani), l'alleata Siria ed un Libano ridotto nuovamente a vassallo. Occorrono sanzioni forti, che possano indurre dinamiche di "regime change". Gli israeliani hanno espresso la preoccupazione che molti Paesi esitino, anche in ragione dei loro interessi commerciali nell'area.

 

            Per quanto concerne, i rapporti con la Turchia, la svolta “islamista” del Paese anatolico non sembra aver troppo turbato le intense relazioni bilaterali (Israele importa, tra l’altro, ingenti quantitativi di acqua potabile, circa 50 milioni di metri cubici all’anno, per far fronte alla sua cronica carenza di risorse idriche), anche se il Governo di Ankara non ha mancato di recente di assumere in modo più netto delle prese di distanza dalla politica israeliana verso i palestinesi. Tuttavia, il Primo Ministro Erdogan si rende conto che, al di là delle dichiarazioni e delle schermaglie diplomatiche, la cooperazione con Israele è difficilmente rinunciabile nei delicati equilibri della regione.

 

            All’inizio di Gennaio 2007 il Primo Ministro Olmert si è recato in visita ufficiale nella Repubblica Popolare Cinese, per celebrare il quindicesimo anniversario della normalizzazione dei rapporti tra i due stati. Oltre all’obiettivo principale, l’aumento del  interscambio commerciale sino-israeliano da portare, entro il l 2009, da 4 a 6 milioni di dollari, argomento delicato di discussione sono stati i rapporti della Cina col governo di Teheran. Olmert ha tentato di convincere anche la Cina – dopo la Russia - che la risoluzione 1731/2006 del Consiglio di Sicurezza dell’ONU è priva di effetto contro il programma nucleare iraniano, reale minaccia anche per le autorità di Pechino. Queste ultime, in linea con l’atteggiamento della comunità internazionale, hanno recentemente sollecitato l’Iran a cessare l’arricchimento dell’uranio ed a risolvere la questione del nucleare con mezzi diplomatici.

 

            Una svolta importante si è avuta, nel corso del 2000, riguardo alla posizione di Israele nell’ambito delle Nazioni Unite. Dopo cinquant’anni, durante i quali lo Stato ebraico non ha mai avuto l’opportunità di aderire al gruppo dei Paesi asiatici, a causa della ferma opposizione dei Paesi arabi, il 31 maggio 2000 esso è stato temporaneamente accolto in seno al gruppo dei Paesi occidentali (WEOG), in attesa che mutino le circostanze che ne impediscono l’ingresso nel gruppo geografico “naturale”, quello asiatico. La nuova posizione acquisita permette allo Stato ebraico di concorrere per i seggi dei diversi organismi del sistema delle Nazioni Unite (a partire dal CdS), dai quali prima era completamente escluso.

            Tel Aviv non ha mancato di sottolineare in sede ONU il suo auspicio a che la nuova situazione determinatasi sul terreno dopo l’approvazione della Road Map, si traduca in un linguaggio nuovo nelle risoluzioni sul Medio Oriente. In occasione dei suoi interventi alla 59° UNGA, il Ministro degli Esteri israeliano, Silvan Shalom, non si è pronunciato sulla riforma del CdS. Elemento prioritario della posizione di Israele in materia di riforma, resta in ogni caso la salvaguardia del diritto di veto per gli attuali membri permanenti. Qualsiasi riforma che limiti la facoltà americana di farvi ricorso sarebbe vista infatti da Israele come direttamente pregiudizievole per la sicurezza del paese.Nell’ultimo anno Gerusalemme ha fatto molto per riavvicinarsi alle Nazioni Unite ed ha riconosciuto lo status di Kofi Annan nel Quartetto (nei media israeliani si è anche cominciato a discutere della necessità di una presenza ONU/NATO nei Territori per garantire i futuri confini), ma è sempre molto critica della pletora di Risoluzioni onusiane sul Medio Oriente, ritenute un esercizio di retorica araba.

            Alla luce dell’esito dell’ultima battaglia sulle proposte di riforma del CdS, Israele ha preso la storica decisione di candidarsi a membro non permanente del CdS per il biennio 2019-2020.

            La collaborazione tra Israele e NATO, già in atto nell'ambito del Dialogo Mediterraneo dell'Alleanza Atlantica ha guadagnato un profilo più marcato con la partecipazione della "INS Eilat", nave lanciamissili multimissione della classe "Sa'ar5", alle esercitazioni NATO "Cooperation Mako" in Romania. E' la prima volta che Israele partecipa attivamente a un'esercitazione NATO, avendovi preso parte nelle precedenti occasioni come osservatore. Fonti della marina militare hanno commentato con grande favore la crescente collaborazione tra questo paese e l'Alleanza Atlantica sottolineando che il contributo che Gerusalemme puo' offrire e' ora ancor piu' apprezzato a Bruxelles alla luce della minaccia nucleare iraniana.

            E' stato accolta con grande soddisfazione la decisione adottata il 22 giugno 2006 dalla 29ma Conferenza della Croce Rossa e Mezzaluna Rossa di incorporare l'ulteriore emblema del Cristallo Rosso, e di ammettere quale membro della Federazione l'israeliana Magen David Adom (assieme alla Società della Mezzaluna Rossa palestinese), sottolineando come la più grande e antica organizzazione umanitaria abbia finalmente acquisito un carattere effettivamente universale, rimediando a quella che qui è stata percepita come un'ingiustizia storica durata per oltre 57 anni.

 

 

RAPPORTI BILATERALI

A CURA DEL MAE

 

 

1.      Rapporti politici ed economici

 

I rapporti bilaterali tra Italia e Israele hanno conosciuto negli ultimi anni uno straordinario sviluppo, promosso dai due Governi ma anche da una autonoma spinta delle rispettive società civili, degli ambienti imprenditoriali, culturali e scientifici. Israele, nella prospettiva di una pace pur difficile, vede nell’Italia un modello di riferimento che gli è particolarmente congeniale: una grande democrazia mediterranea che riesce a contemperare avanzato sviluppo tecnologico con attenzione alla vita familiare, al sociale ed alle fasce più deboli della popolazione.

Esiste una tradizione ormai consolidata di frequenti visite governative. Il Ministro degli Esteri Tzipi Livni ha svolto una missione in Italia, nella quale ha incontrato il Ministro D’Alema (24 agosto 2006), mentre D’Alema si è recato in Israele l’8 settembre e il 21 dicembre. I due Ministri degli Esteri si sono anche incontrati il 27 novembre al Vertice Euromediterraneo di Tampere. Mentre il 2007 si è aperto con una visita del Vice Ministro Intini in Terra Santa (15-17 gennaio). Da ultimo, si segnala l’incontro tra D’Alema e la Livni a margine del CAGRE (5 marzo).

Non si è trattato di semplici esercizi di diplomazia dell’immagine, bensì di momenti significativi che hanno contribuito a confermare lo spessore e la varietà delle relazioni bilaterali, nonché il contributo che l’Italia può fornire alle iniziative del Governo israeliano volte a stabilire relazioni con i Paesi arabi moderati della fascia mediterranea e del Golfo nello scopo di dare impulso ad un rilancio del processo di pace con i palestinesi. Si segnalano altresì i proficui incontri bilaterali avutisi a margine delle Conferenze internazionali

 

Un elemento di particolare importanza nei rapporti bilaterali è l’Accordo di Collaborazione Industriale Scientifica e Tecnologica, firmato a Bologna nel 2000 ed entrato in vigore nel 2002.

La Commissione mista italo-israeliana deputata ad applicarlo si è già riunita sei volte, l’ultima volta il 10 luglio 2006 a Roma, dove sono stati scelti cinque nuovi progetti congiunti di ricerca e sviluppo tra imprese, università e centri di ricerca italiani e israeliani che verranno finanziati dai due Governi (per un totale di 23 progetti). Sono già stati stanziati da parte israeliana 5,5 milioni di NIS per la partecipazione delle imprese israeliane ai progetti. Si segnala altresì la firma da parte del Responsabile Scientifico israeliano, Eli Ofer, di un accordo di collaborazione tra Matimop e la Regione Lazio.

Nel quadro dell’Accordo sono stati inoltre organizzati in Israele una serie di seminari di altissimo livello che hanno messo in contatto i mondi scientifici dei due Paesi e hanno attirato grande interesse. Nel corso del 2005 sono stati effettuati dei convegni e seminari su diverse tematiche, tra cui il workshop sull’oncologia e quello sulle tematiche ambientali. L’accordo mira quindi a creare un vero e proprio legame permanente e istituzionalizzatoattraverso il quale promuovere lo scambio di conoscenze ed esperienze tra le comunità scientifiche ed imprenditoriali e stimolare la messa in comune di risorse, non solo finanziarie, ma soprattutto in termini di competenze e cognizioni. In quest’ottica si sta cercando di ampliare il numero di convegni organizzati per il biennio 2006-2007 .

 

Il 9-10 febbraio 2005, l’allora Ministro dell’Interno Pisanu si è recato in visita in Israele e, con l’occasione ha firmato l’Accordo bilaterale in materia di lotta alla criminalità (contrasto del traffico illecito di stupefacenti, sostanze psicotrope, terrorismo ed altri reati gravi), accordo che ha aggiornato l’intesa già esistente in tale materia, del 1994.

 

Il 9-10 maggio 2004 ha avuto luogo in Israele la visita dell’allora Ministro delle Comunicazioni, Maurizio Gasparri, la quale ha dato luogo alla firma di una dichiarazione di intenti sulla cooperazione in materia di sicurezza delle reti, firmato a Roma durante la visita dell’allora Ministro delle Comunicazioni, del Lavoro e dei Trasporti, Olmert, il 29 settembre 2004. Il 30 giugno 2006 il Presidente della Repubblica ha firmato lo Strumento di ratifica per l’entrata in vigore dell’accordo succitato. Si attende lo scambio delle relative notifiche dalle parti contraenti per l’effettiva entrata in vigore dell’Accordo.

 

Il 16 giugno 2003, in occasione di un incontro a Parigi, il Ministro della Difesa Martino e l’omologo israeliano Mofaz hanno firmato un Memorandum of Understanding di collaborazione nel campo della difesa ratificato dal Parlamento italiano (17 maggio 2005).

Nel giugno 2005 è stata firmata l’intesa tecnica di attuazione del MoU difesa. Durante la visita dell’allora Ministro Martino (27-28 giugno 2005), Sharon aveva dichiarato che la collaborazione bilaterale tra i due Paesi in materia di difesa rappresenta per Israele un quadro privilegiato che lo Stato ebraico “non ha stabilito con molti altri Paesi”.

A seguito della visita dell’allora Ministro israeliano della Difesa, Mozaf, (18 novembre 2004), si è concordato su una possibile collaborazione nel campo dei sistemi e della tecnologia radar, in quella degli UAV, nonché delle capacità dei sistemi di guerra elettronica. Si è inoltre proceduto ad uno scambio di lettere relative all’avvio di uno studio di fattibilità per un progetto di collaborazione fra le rispettive industrie (elettronica e ELISRA) per l’ammodernamento dei sistemi di contromisure elettroniche per l’Aeronautica.

In campo spaziale, Alenia ed IAI (Israel Aircraft Industries) hanno siglato un MOU per realizzare e commercializzare satelliti civili.

 

Il 3 aprile 2003 è stato firmato a Roma il Memorandum d’Intesa tra il Ministero dell’Ambiente e l’Università di Tel Aviv. A tale proposito sono stati definiti 6 progetti che coinvolgono varie istituzioni israeliane.

Sempre nel settore ambientale è stata firmata il 30 giugno 2004, tra l’allora Min. Altero Matteoli e dell’allora Ministro Sandberg, una dichiarazione congiunta bilaterale, finalizzata a sviluppare nuove attività di cooperazione in aggiunta ai progetti già in corso con l’Università di Tel Aviv.

Si è svolta in Israele, dal 30 maggio al 1° giugno 2004, la visita dell’ex Ministro dell’Istruzione, Moratti che ha partecipato come ospite d’onore alla Conferenza economica internazionale “Israel Gateway”, tenutasi all’interno della manifestazione “Italy-Israel R&D Day”. A questo evento sono seguite le firme di due “dichiarazioni congiunte” (una con il MIUR ed una con il Ministero del Commercio) finalizzate a sviluppare forme di cooperazione in settori di reciproco interesse.

Il 30 maggio 2004, Moratti e Sandberg hanno firmato una “dichiarazione comune” nella quale viene promosso il dialogo tra l’Agenzia Spaziale Italiana e l’Agenzia Spaziale Israeliana al fine di una collaborazione in campo spaziale tra i due paesi.

 

L’8 dicembre 2003 è stata firmata tra l’ex Ministro delle Politiche Agricole italiano, Giovanni Alemanno e il suo omologo israeliano, Yisrael Katz, una dichiarazione di intenti per la collaborazione bilaterale che prevede soprattutto: sviluppo di tecnologie nel campo agricolo e agro-alimentare; sviluppo nel settore dell’acquacoltura e creazione di partnership per la commercializzazione delle produzioni; sviluppo nel settore dell’olio di oliva; tecnologie per l’acqua irrigua e la lotta alla siccità.

Sii è tenuto altresì un incontro tra l’allora Min. Alemanno e il Vice Ministro Simon Peres, visita inserita in prospettiva dell’auspicata creazione di un’area di libero scambio euro-mediterraneo nel 2010. La collaborazione tra Alemanno e il Min. Katz è stata rinnovata con la visita dell’allora Sottosegretario On. Teresio Delfino compiuta a Tel Aviv nei giorni 20-22 febbraio 2005. La missione in Israele di una delegazione tecnica del MIPAF ha permesso di sviluppare le ipotesi di collaborazione scientifica concretizzatesi con la firma di una bozza di Memorandum di cooperazione nel settore agricolo il 19 luglio 2005, a cui dovrebbe seguire la firma del testo definitivo ancora in negoziato tra i due Ministri.

 

E’ stato firmato a Roma l’8 ottobre 2002, un accordo bilaterale di cooperazione tra i Ministeri della Salute italiano ed israeliano, entrato in vigore il 6 agosto 2003, questo anche a sottolineare l’importanza rivestita nel settore dalle già esistenti ed avanzate strutture ospedaliere italiane sul territorio israeliano: l’“ospedale italiano” di Haifa ed il “Fatebenefratelli” di Nazareth (che fornisce tradizionalmente servizi ad un vasto bacino di utenza), la cui nascita è precedente allo stesso Stato ebraico.

Sempre in ambito sanitario, appare opportuno segnalare che la multinazionale farmaceutica israeliana Teva si starebbe ben posizionando nella gara per acquistare la società italiana Recordati.

Si segnalano anche le numerose collaborazioni tra l’Israel Institute of Technology (Technion) con Università (Politecnici di Milano e Torino) ed imprese (Fiat, Augusta, Alenia ed Ansaldo).

 

La Daitelecom, azienda di telefonia appartenente alla Polar Investement Ltd/Sfk, uno dei più importanti gruppi israeliani nel settore dell’alta tecnologia che ha rilevato la Telit, ha annunciato che creerà a Catania un polo di sviluppo di tecnologie nei settori delle telecomunicazioni, agricoltura, ed idrotecnologia per i servizi di localizzazione. L’insediamento, nel quale si investirà un capitale di oltre 27.165 milioni di euro, è operativo dal gennaio 2005.

Si segnala inoltre, che aziende israeliane hanno ottenuto importanti commesse per progetti relativi alle comunicazioni e alla sicurezza delle Olimpiadi invernali di Torino del 2006.

 

I rapporti economici bilaterali sono stati finora caratterizzati soprattutto da un cospicuo volume di scambi commerciali. Il mercato israeliano si sta sempre confermando come strategico per l’Italia. Gli ultimi dati disponibili (gennaio 2007 – analisi del Jerusalem Post) segnano un volume di interscambio pari a circa 2 miliardi di dollari tra Italia e Israele nei primi 9 mesi del 2006,con un aumento del 5% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno.

Dai dati ufficiali, risulta che le nostre esportazioni verso Israele sono aumentate per valore nel corso del 2005 del 10,8%, crescendo da 1,56 a 1,73 miliardi di dollari. Anche i primi 7 mesi del 2006, riflettono una tendenza positiva. L’Italia rappresenta circa il 3% delle importazioni nel mercato israeliano (ottavo esportatore, dopo USA, Germania, Regno Unito Paesi Bassi, Turchia, Belgio e Francia). I settori più importanti del nostro export rimangono le macchine e gli apparecchi meccanici, i prodotti chimici ed i metalli di base, mentre la nostra quota di mercato rimane stabile sul 4,9%, come nel 2004.

 

Le nostre importazioni da Israele sono invece aumentate negli ultimi 12 mesi del 10,8%, da 810 a 898 milioni di dollari (diamanti esclusi). Il totale dell’ interscambio tra i due paesi è salito nel 2005 a 2,63 miliardi di dollari, con un surplus a nostro favore di 835 milioni di dollari. I settori dominanti dei prodotti importati sono quelli della chimica, degli equipaggiamenti elettrici e delle materie plastiche. L’Italia è il quarto fornitore israeliano (con circa il 5% del totale delle importazioni israeliane), essendo stata superata in questa classifica nel corso del 2005 dalla Cina. Questa performance positiva è favorita dall’ottimo clima delle relazioni politiche bilaterali e dal forte impegno del Sistema Italia in Israele, con un immagine molto positiva del Made in Italy in Israele in termini di qualità, prestigio, design e tecnologia.

Conseguenza di questa vitalità dei rapporti economici bilaterali è l’affacciarsi,sul nostro mercato, di società Israeliane che rilevano società italiane.

In questo spirito, è entrato in funzione presso la stessa sede dell’Ambasciata d’Italia, dal 1’ gennaio 2005, il nuovo Sportello unico commerciale e tecnologico (“Italian Business desk”) che unisce in modo sinergico gli Uffici Commerciale e Scientifico dell`Ambasciata, l`ICE e la Camera di Commercio e Industria Israele-Italia. Lo Sportello rappresenta un punto di riferimento unico per gli imprenditori e gli altri operatori economici interessati a sviluppare i rapporti bilaterali. Nel marzo 2006 lo Sportello Unico si e’ impegnato in una campagna promozionale presso il TIV TAAM , maggiore gruppo alimentare in Israele, mirata a facilitare l’ingresso di nuove aziende italiane nel settore agroalimentare locale.

 

Importante è stata la partecipazione israeliana al Forum Economico del Mediterraneo svoltosi a Palermo nel mese di febbraio 2006, realizzato in collaborazione con UCME (Union of Mediterranean Confederations of Enterprises), Confindustria e ICE, cui hanno partecipato delegazioni di 13 paesi del mediterraneo oltre all’Italia, paese ospitante. Nell’ambito di tale iniziativa, volta a rilanciare la penetrazione economica italiana e il processo d’integrazione coi paesi del Mediterraneo e a promuovere investimenti, la  vicinanza geografica e culturale fa dell’Italia la porta ideale d’accesso per Israele verso il mercato unico europeo.

Prospettive di particolare interesse per il futuro sviluppo delle esportazioni italiane e la cooperazione commerciale vi sono nel settore dei trasporti (ferrovie) , delle tecnologie ambientali, dei sistemi di sicurezza per impianti e strutture e nel settore turistico.

 

 

2.      Relazioni culturali

 

I rapporti bilaterali in campo culturale tra Italia ed Israele sono molto buoni. La nostra presenza culturale e di promozione della lingua è estremamente apprezzata, come dimostra il notevole riscontro ottenuto dalle varie iniziative realizzate dalle istituzioni italiane in loco.

E’ stato firmato (4 agosto 2005) tra il Ministero per i Beni e le Attività Culturali e l’Israel Antiquities Authority un Memorandum d’Intesa in materia di cooperazione, restauro e tutela del patrimonio archeologico.

Il quadro di riferimento normativo delle relazioni bilaterali in questo settore, è dato dall’Accordo di Collaborazione Culturale firmato a Roma nel 1971 e dai relativi Protocolli esecutivi. Nel marzo 2004, in occasione della visita in Israele dell’On. Ministro, è stato firmato il nuovo Protocollo triennale ed il Programma Esecutivo dell’Accordo di collaborazione culturale e scientifica 2004-2007.Il programma permetterà di sviluppare cinque progetti congiunti di particolare rilevanza nel campo della ricerca scientifica di base.

 

L’attività di cooperazione universitaria è abbastanza intensa. Si segnalano accordi tra la Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa e l’Università Ebraica di Gerusalemme. Sono altresì in essere vari accordi finanziati dal MIUR che coinvolgono, tra l'altro, le Università di Milano, Roma Tre, Torino, Bologna e il Politecnico di Milano, che riguardano programmi congiunti per l’attivazione di master e dottorati. Dal 2002 ha avuto inizio una cooperazione quadriennale tra le Facoltà di Giurisprudenza delle Università di Milano e Tel Aviv.

In quest’ambito assume particolare rilievo l’iniziativa dell’Università Ebraica di Gerusalemme che ha approvato, nel settembre 2002, l'istituzione nel proprio ambito del “centro di studi italiani”, progetto che si svilupperà in collaborazione con l'Università di Roma "La Sapienza". Nel corso di una missione in loco (ottobre 2003), i docenti dei due Atenei hanno convenuto che il Centro, potrà accedere ai finanziamenti del MIUR, ad avvenuta attivazione di alcuni progetti di collaborazione.

Anche il Ministero degli Affari Esteri ha previsto la concessione di borse di studio, per l’a.a. 2006-2007, di n. 40 mensilità dell’importo di Euro 774,69. Delle suddette mensilità 9 dovranno essere destinate per una borsa di studio (con borsellino mensile di Euro 1000) per il Diploma avanzato in Studi Europei presso il Collegio Europeo di Parma e 8 mensilità per una borsa di studio nell’ambito del progetto speciale dell’Associazione Rondine.

Nel Paese non vi sono istituzioni scolastiche italiane. Hannoperò sede l’Istituto Italiano di Cultura di Tel Aviv e una sezione dello stesso Istituto ad Haifa.

Queste ultime hanno organizzato, già da due anni, corsi linguistici per studenti universitari, che hanno riscosso vivo apprezzamento. I corsi formano i numerosi studenti interessati a alle nostre università ( circa 500 all’anno) prevedendo, oltre all’apprendimento della lingua, anche l’insegnamento – sempre in italiano- delle principali materie che saranno affrontate nei test per l’ammissione presso le nostre facoltà. Da questa positiva esperienza è nata l’iniziativa “MECHINA”: tale corso, aperto a studenti che abbiano già frequentato corsi intensivi di lingua italiana, si giova dell’apporto di selezionati professori madrelingua e riesce a portare, dopo un anno, gli studenti israeliani ad un padronanza linguistica di base sufficiente per la frequenza di qualunque corso universitario italiano.

E’ operante un Dipartimento di italiano presso l’Università di Gerusalemme, con docenti locali. In altri Atenei del Paese vengono tenuti corsi, che registrano un’alta affluenza di studenti, grazie anche al contributo di due lettori di ruolo inviati dal MAE, uno presso l’Università di Tel Aviv, l’altro ad Haifa, presso l’Università e presso il Technion (Israel Institute of Technology), Politecnico del Paese di alto prestigio internazionale.

Riguardo ai corsi di lingua, questa strategia di espansione ha portato all’apertura di altri due nuovi centri di insegnamento a Ramat Gan e a Natanya e Nazaret, nel 2004, facendo salire a nove il numero complessivo dei centri di insegnamento gestiti dall’Istituto Italiano di Cultura in Israele. E’ giunta al contempo la richiesta di aprire corsi di lingua in nuove località più decentrate del Paese, come Ra’anana, Ashdod, Ashkelon, Givataym, Rosh Pina e Tiberiade. Nel 2005 l’aumento percentuale di studenti nei corsi degli IIC è stato di oltre il 20%, il dato conferma il costante incremento delle iscrizioni degli ultimi anni.

E’ stata aperta la prima Delegazione israeliana dell’Accademia Italiana della Cucina in occasione della grande mostra “Cinquant’anni di cucina italiana” organizzata in occasione del Cinquantenario dell’Accademia Italiana della Cucina; nel settore cinematografico è stata sostenuta la promozione del nuovo cinema italiano. Va ricordato infine che nel campo delle belle arti tutti i più importanti musei, ed in primo luogo il Museo d’Arte di Tel Aviv, possiedono collezioni e sezioni interamente dedicate all’arte italiana.

L’attività di promozione culturale in Israele è svolta dagli Istituti di Cultura italiani di Tel Aviv e Haifa, che programmano manifestazioni ed eventi indirizzati a tutte e tre le comunità presenti sul territorio israeliano (quella musulmana, ebraica e cristiana), allo scopo di creare spazi di confronto e di dialogo interculturale.

Dall’inizio dell’Anno accademico 2006-2007 l’Istituto Italiano di Cultura ha avviato, in cooperazione con la sezione di Haifa, l’apertura di una serie di corsi di italiano curriculare in cinque scuole superiori secondarie israeliane, localizzate nel centro-nord del Paese. Tale iniziativa è stata presa anche in considerazione della crescente richiesta di studio della lingua italiana da parte del pubblico israeliano e nell’ottica di promuovere il riconoscimento della lingua italiana come materia di licenza liceale riconosciuta dal Ministero dell’Educazione locale.

 

3.      Comunità italiana in Israele

 

La comunità italiana residente in Israele, la più numerosa tra i Paesi dell’intero continente asiatico, è costituita da circa 8000 concittadini, di cui 7.921 iscritti all'anagrafe consolare al 10 febbraio 2003 e un numero imprecisato di oriundi.

La collettività presenta alcune marcate peculiarità che derivano dal suo carattere “confessionale”. Essa è costituita, ad eccezione di alcuni connazionali che risiedono in Israele per ragioni attinenti alle loro funzioni (missionari o uomini d’affari), da italiani di religione ebraica, quasi tutti con doppia cittadinanza, generalmente emigrati permanentemente ed integrati nel Paese. Gli italiani di religione ebraica si considerano innanzitutto ebrei, in secondo luogo israeliani ed infine italiani.

Nell’ambito della società israeliana esiste un forte senso di appartenenza a gruppi originari dello stesso Paese ed una sorta di competitività basata sul prestigio del Paese d’origine.

La comunità italiana è orgogliosa di costituire una delle più antiche realtà dell’ebraismo della Diaspora (quella di Roma è stata una delle prime comunità “in esilio” al mondo) e tende ad identificarsi con l’Italia soprattutto nella cultura e nell’arte, senza mancare di rivendicare una precisa identità ebreo-italiana.

L’emigrazione dall’Italia è avvenuta inizialmente nel periodo fascista, a seguito dell’entrata in vigore delle leggi razziali, per la necessità di trovare sicuro rifugio dalle persecuzioni e, successivamente, per motivi vocazionali ed ideologici da parte di quanti tra gli ebrei italiani si identificavano nella causa del sionismo.

La comunità ha un rapporto particolare con il Paese d’origine: vivono ancora ricordi del periodo fascista, dovuti anche alla pluridecennale assenza dall’Italia democratica, ma anche un profondo senso di attaccamento e nostalgia, una necessità di rivalutazione e riscatto anche nei confronti degli altri gruppi israeliani.

Con grande gioia è stata accolta la legge che permette la doppia cittadinanza, che rende oggi possibile agli italiani di Israele di poter vivere appieno la propria doppia identità, colmando un precedente senso di lacerazione e contraddizione ed evitando scelte dolorose.

Si tratta di una collettività dinamica e di buon livello culturale che costituisce un prezioso patrimonio per il nostro Paese, soprattutto nell’ottica di uno sviluppo dei rapporti economici e commerciali. La principale richiesta dei nostri connazionali è un maggiore impegno del nostro Paese in ambito culturale, che permetta di valorizzare la loro immagine di italiani nella società israeliana e rafforzare il loro orgoglio di appartenenza.

Assai meritoria e di grande impatto sociale e culturale appare poi l’opera di numerosi missionari e studiosi che tuttavia, a causa della complessa situazione politica del Paese, necessitano talvolta di tutela nei rapporti con le Autorità locali. Si tratta di individui impegnati soprattutto nei settori dell’assistenza sociale e sanitaria, che gestiscono in particolare centri di cura e ospedali di primissimo ordine, come quelli presenti a Haifa e Nazareth.

La collettività italiana costituisce peraltro un'élite culturale e sociale, in quanto i suoi membri sono per lo più giornalisti, scrittori, studiosi, professori universitari e liberi professionisti. Alcuni dei suoi esponenti si sono distinti nella vita pubblica, come l’Architetto David Cossuto, ex Vice Sindaco di Gerusalemme, ed i Professori Alfredo Rabello e Sergio Della Pergola, rispettivamente docenti presso le Facoltà di Giurisprudenza e di Statistica dell’Università di Gerusalemme.

 

COMITES

E’ stato eletto nel marzo 2004 il primo COMITES Israele.

CGIE

La Comunità italiana in Israele non è al momento rappresentata nel Consiglio Generale degli Italiani all’Estero, ma il COMITES parteciperà all’elezione del prossimo CGIE.

ASSOCIAZIONI

In termini assoluti, le Associazioni costituiscono un numero piuttosto limitato. Esse sono però guidate da personalità capaci e motivate e le attività promosse sono di alto livello e portate avanti con efficienza e serietà. Si segnalano le seguenti associazioni:

A) Associazione Ebrei di Origine italiana in Israele.

Raggruppa la grande maggioranza degli italiani di Israele e a cui fanno capo un Centro Studi sull’Ebraismo Italiano, il Museo “U. Nahon” di arte ebraica ed il Tempio italiano, una sinagoga molto antica. L’Associazione produce anche un bollettino in lingua italiana denominato “Qol ha-Italkim” (la Voce degli Italiani);

B) Associazione Amicizia Italia – Israele.

Esistono poi un “Fondo Anziani Italiani Bisognosi” e la Società Dante Alighieri, rappresentata dal Comitato di Gerusalemme e dal meno attivo Comitato di Haifa. ASSISTENZA DIRETTA (CAP. 3121):sono stati assegnati all’Ambasciata di Tel Aviv 8.700 Euro per il 2005

 


 

PRINCIPALI INDICATORI ECONOMICI 2006

 

PIL a parità di potere d’acquisto

170,3 miliardi dollari USA

 

Composizione per settore

agricoltura 2,6%; industria 30,8%; servizi 66,6%

 

Crescita del PIL

4,8%

 

PIL pro capite a parità di potere d’acquisto

26.800 (Italia: 29.700)

 

Popolazione sotto la soglia della povertà (2005)

21,6%[9] (redditi al di sotto di 320 euro al mese). Le aree più povere sono concentrate soprattutto a sud del Paese

Inflazione

-0,1%

 

Tasso di disoccupazione

8,3%

 

Crescita industriale

8,6%

 

Rapporto debito pubblico / PIL

89% del PIL (Italia: 107,8%)

 

Quota del PIL destinato alle spese militari

7,3% (Italia: 1,8%)

Debito estero

81,98 miliardi di dollari

 

Fonte: CIA Worldfactbook.2007.  Dati sul PIL espressi a parità di potere d’acquisto.

 

Sembra potersi considerare chiusa la difficile fase del 2001-2003 quando Israele aveva patito gli effetti negativi sia dello scoppio della Seconda Intifada, sia dell’esplodere della bolla speculativa legata alle nuove tecnologie.

L’economia israeliana si è dimostrata solida anche in una situazione di crisi come quella legata al conflitto nel Libano meridionale, con l’apprezzamento della moneta locale sia nei confronti dell’Euro che del dollaro americano, attualmente giunto al tasso di cambiopiù basso degli ultimi cinque anni. Questo, secondo i maggiori analisti, è prova della  fiducia che gli investitori stranieri hanno nella tenuta dell’economia di Israele .

Vi sono due aspetti di politica economica che hanno avuto un ruolo parimenti importante. Il primo è rappresentato dalle riforme economiche in senso liberista attuate nell’ultimo quinquennio. Soprattutto per volontà dall’ex Ministro dell’Economia Netanyahu: il vasto programma di privatizzazione e l’apertura dell’economia – a lungo ingessata da posizioni monopolistiche e da tentazioni di protezionismo – ai principi della competizione e del libero mercato, hanno infuso nuova linfa alle aziende israeliane, permettendo loro di reagire con maggiore flessibilità ai veloci mutamenti in atto sul piano internazionale. Inoltre i sacrifici imposti sul versante della spesa pubblica hanno ricondotto sotto controllo le spese correnti. Il secondo fattore è rappresentato dalla forte propensione all’innovazione tecnologica che caratterizza questa economia, sia da parte delle aziende, sia sotto il profilo dell’azione dei pubblici poteri: la spesa per la ricerca e sviluppo è superiore al 4% del PIL, percentuale ben più alta di quella riscontrabile negli altri Paesi industrializzati.

Anche la spesa militare, che può essere variamente stimata ma che ammonta a circa il 10% del PIL, ha rilevanti conseguenze positive sul livello tecnologico dell’industria nel suo insieme, come è reso evidente dai grandi progressi di Israele in settori quali le telecomunicazioni, la diagnostica o le biotecnologie. Infatti, in base agli ultimi dati diffusi dal Ministero della Difesa israeliano, il controvalore delle esportazioni di materiale militare nel 2006 avrebbe raggiunto la cifra record di 4,4 miliardi di dollari, ponendo Israele tra i cinque maggiori esportatori mondiali di armamenti, subito dopo USA e Regno Unito. Infine le Università hanno sviluppato un rapporto di stretta collaborazione, mutualmente benefico, con le imprese private e con i capitali di rischio, traendo vantaggi economici dallo sfruttamento commerciale delle ricerche che si trasformano in prodotti finali.

 

Il 2006 è stato un anno di grandi successi per l'economia israeliana che ha proseguito il ciclo espansivo cominciato nel 2002. Il tasso di crescita è stato del 5% e, tanto il settore degli investimenti esteri diretti quanto quello delle acquisizioni/fusioni hanno registrato significativi successi. Le ostilità della scorsa estate, che pure avrebbero potuto causare danni importanti con gran sorpresa della maggior parte degli analisti economici, non hanno intaccato la crescita.

E' stato approvato il "piano economico" per il 2006-2007 presentato il 12 settembre 2006 dall’allora Ministro delle Finanze Avraham Hirchson. Il valore totale del bilancio 2007 sarà di 300 miliardi di Shekels. Di questi, 50 miliardi andranno alla difesa, 32 miliardi all'istruzione e 16 miliardi alla sanità. Le previsioni di crescita sono state ridotte dal 4,1% di prima della guerra al 3,8 del PIL; il debito pubblico passerà verosimilmente dal 86% al 91% del PIL per poi attestarsi nel corso del 2007 su un livello pari all'89% del Prodotto Interno Lordo; il deficit, dal canto suo, salira' dal 2 al 2,9% del PIL e cio' consentirà di aggiungere 3,5 miliardi di Shekels una tantum al bilancio le spese della guerra e della ricostruzione.

Si tratta di una legge finanziaria fortemente orientata alla crescita, che contiene però anche alcuni tagli alla spesa sociale.

DATI STATISTICI BILATERALI

 

 

PRINCIPALI ESPORTAZIONI E IMPORTAZIONI ITALIANE 2006

 

ESPORTAZIONI

IMPORTAZIONI

 

1. Prodotti petroliferi raffinati

1. Prodotti chimici di base

 

2. Prodotti chimici di base

2. Prodotti petroliferi raffinati

 

3. Altre macchine di impiego generale

3. Prodotti farmaceutici e prodotti chimici e botanici per usi medicinali

 

Fonte: ICE – Dicembre 2006

 

QUOTE DI MERCATO 2005 (diamanti esclusi)

 

PRINCIPALI FORNITORI

% su import

PRINCIPALI ACQUIRENTI

% su export

 

1. Stati Uniti

 

1. Stati Uniti

 

 

2. Germania

 

2. Regno Unito

 

 

3. Cina

 

3. Germania

 

 

4. Italia

 

4. Paesi Bassi

 

 

 

 

 

 

 

 

SACE (situazione al 31.12.2005)

Categoria di rischio*

3 su 7

 A - Paesi assicurabili con o senza particolari restrizioni

 

Impegni in essere (a)

80,05

0,4% del totale

Indennizzi erogati da recuperare (b)

80,79

0,8% del totale

Mancati incassi (sinistri in corso)(c)

0,03

0,03% del totale

Esposizione complessiva (a+b+c)

160,87

0,54% del totale

Ultimo accordo bilaterale:                         9-10 febbraio 2005

Fonte: SACE- 31 Dicembre 2005 (mln di Euro)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



[1] Di questi, circa il 32,1% provengono dall’Europa o dagli USA, il 20,8% sono israeliani di nascita, il 14,6% provengono dall’Africa ed il 12,6% provengono dall’Asia.

Dal 1989 ad oggi, circa 950.000 ebrei sono emigrati in Israele dai territori dell’ex Unione sovietica e rappresentano oltre il 16% della popolazione totale (Fonte: Il Cannocchiale: febbraio 2006).

[2] Da notizie di agenzie di stampa

[3] In previsione di una pesante sconfitta elettorale ed a fronte delle scissioni presenti nel partito, il leader e fondatore del Partito, Tommy Lapid, ha rassegnato le sue dimissioni il 25 gennaio 2006.

[4] Il Partito dei pensionati ha portato in piazza le difficoltà di tutti coloro che devono sopravvivere con pensioni non adeguate al costo della vita e di chi non ha, o teme di non avere, accesso in futuro ad un trattamento pensionistico. A votarlo sono stati in maggioranza israeliani con meno di 40 anni  che temono di dover affrontare la vecchiaia senza la certezza di una pensione.

[5] E’ allo studio una Costituzione scritta. I maggiori oppositori sono i Partiti religiosi che temono possa incrinare il carattere “ebraico” dello Stato.

[6] Si ricorda, in particolare, che la Corte si è espressa con sfavore riguardo alla costruzione della barriera di difesa.

[7] I principali programmi includono la fornitura di elicotteri d’attacco AH-64 ed AH-1, caccia F-15, missili AMRAAM, lanciarazzi multipli MLRS.

[8] La cosiddetta “lobby ebraica”, la cui influenza sulla politica americana verso il Medio Oriente è ampiamente riconosciuta

[9] La parte più povera della popolazione dello Stato d’Israele è costituita prevalentemente da arabi.