Camera dei deputati - XV Legislatura - Dossier di documentazione
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Autore: | Ufficio Rapporti con l'Unione Europea | ||||
Titolo: | Indagine conoscitiva sulla politica estera dell'Unione europea - Commissione Affari esteri e comunitari | ||||
Serie: | Documentazione sulle politiche dell'Unione europea Numero: 9 | ||||
Data: | 23/11/2006 | ||||
Descrittori: |
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Camera dei deputati
XV LEGISLATURA
Politiche dell’Unione europea
Commissione Affari esteri e comunitari
N. 9 - 23 novembre 2006
Segreteria generale - Ufficio rapporti con l’Unione europea
SIWEB
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I N D I C E
La Politica estera e di sicurezza comune
La Pesc nel Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa
L’allargamento dell’Unione europea
Rapporti tra l’Unione europea e i Balcani occidentali
Il Partenariato euromediterraneo
La cooperazione parlamentare euro-mediterranea
(a cura del Servizio Rapporti Internazionali) 45
La politica europea di vicinato
Allargamento
Comunicazione della Commissione, Strategia di allargamento e sfide principali per il periodo 2006-2007 comprendente una relazione speciale sulla capacità dell’Unione europea di accogliere nuovi Stati membri, COM(2006)649 dell’8 novembre 2006 61
Balcani Occidentali
Comunicazione della Commissione, I Balcani occidentali sulla strada verso l’Unione europea: consolidare la stabilità e rafforzare la prosperità, COM(2006)27 del 27 gennaio 2006 125
Partenariato Euromediterraneo
Conclusioni della Presidenza sul vertice per il 10° anniversario del partenariato Euromediterraneo, 28 novembre 2005 (testo in inglese) 143
Programma di lavoro quinquennale approvato in occasione del vertice per il 10° anniversario del partenariato Euromediterraneo, 28 novembre 2005 (testo in inglese) 147
Risoluzione del Parlamento europeo sul processo di Barcellona rivisitato, 27 ottobre 2005 155
Comunicazione della Commissione, 10° anniversario del partenariato Euromediterraneo: un programma di lavoro per far fronte alle sfide dei prossimi cinque anni, COM(2005)139 del 12 aprile 2005 167
Politica europea di vicinato
Comunicazione alla Commissione, Attuazione e promozione della politica europea di vicinato, SEC(2005)1521 del 22 novembre 2005 (testo in inglese) 185
Comunicazione della Commissione, Politica europea di prossimità - documento di strategia, COM(2004)373 del 12 maggio 2004 201
La Politica estera e di sicurezza comune (PESC) è uno degli strumenti di cui dispone l'Unione europea nell'ambito delle relazioni esterne. La sua base giuridica è stata elaborata piuttosto tardi. Nonostante che, sin dalle origini della Comunità europea, gli Stati membri avessero individuato forme di concertazione sui grandi problemi di politica internazionale, è soltanto con il Trattato di Maastricht (firmato il 7 febbraio 1992 ed entrato in vigore il 1° novembre 1993) che viene formalmente definito l’obiettivo di una “politica estera comune”.
Con il Trattato di Maastricht i legislatori europei ritennero necessario che l’Unione europea si dotasse di una politica estera e di sicurezza comune, la “PESC”, che costituirà, fino all’entrata in vigore del nuovo Trattato che adotta la Costituzione europea, il c.d. 2° Pilastro dell’Unione. Le disposizioni introdotte dal Trattato di Maastricht riprendono in parte la normativa contenuta nel Titolo III dell’Atto Unico Europeo (AUE) e codificano la prassi che si era andata affermando negli anni precedenti, a partire dalla “Cooperazione politica europea”. La politica estera, a differenza di quanto previsto dall’AUE, non era più affidata alla semplice collaborazione tra Stati membri, ma diveniva “politica comune”, da attuarsi attraverso l’adozione di “posizioni comuni[1], azioni comuni[2] e dichiarazioni”, anche se basata essenzialmente sulla cooperazione intergovernativa.
Gli obiettivi della PESC fissati dal Trattato sono:
· la difesa dei valori comuni e degli interessi fondamentali dell'Unione;
Il Trattato di Amsterdam ha dotato la PESC di due nuovi strumenti, le strategie comuni e gli accordi internazionali che si aggiungono agli strumenti previsti dal trattato di Maastricht (posizioni comuni, azioni comuni e dichiarazioni).
Il Consiglio europeo definisce consensualmente le strategie comuni nei settori in cui gli Stati membri condividono importanti interessi. Ogni strategia comune precisa gli obiettivi, la durata e i mezzi che l'Unione e gli Stati membri devono fornire. In tal senso, essa costituisce il quadro generale per le azioni dei tre pilastri dell'Unione, assicura la coerenza delle relazioni esterne e permette al Consiglio di adottare le misure di attuazione attraverso azioni e posizioni comuni.
Quanto agli accordi internazionali, il Trattato di Amsterdam prevede la conclusione di accordi con uno o più Stati od organizzazioni internazionali, ai fini dell’attuazione delle disposizioni in materia di Politica estera e di sicurezza comune. In tali casi il Consiglio può autorizzare la Presidenza, assistita se del caso dalla Commissione, ad avviare i negoziati a tal fine necessari. Tali accordi sono conclusi dal Consiglio su raccomandazione della Presidenza.
Il Trattato di Amsterdam, inoltre, ha istituito la figura dell’Alto Rappresentante per la PESC, con il compito di assistere il Consiglio nelle questioni attinenti alla politica estera e di sicurezza, contribuendo alla formulazione, all'elaborazione e all'attuazione delle decisioni. Su richiesta della presidenza, esso agisce a nome del Consiglio e gestisce il dialogo politico con i paesi terzi, migliorando la visibilità della PESC e garantendone la coerenza. L’Alto Rappresentante PESC è dotato di una struttura di sostegno piuttosto estesa: un’Unità di pianificazione della politica e di allarme rapido per le situazioni di crisi; un Comitato politico di sicurezza; un Comitato militare.
Nel quadro della PESC, l’Unione ha creato una politica europea di sicurezza e difesa (PESD) nella prospettiva di arrivare ad una struttura di difesa comune. Nel dicembre 2003, l’Unione ha inoltre adottato una strategia europea in materia di sicurezza, fissandone successivamente le missioni essenziali e i campi di azione prioritari: la lotta contro il terrorismo, una strategia per il Medio Oriente e una politica globale relativa alla Bosnia-Erzegovina.
Il Trattato di Nizza, entrato in vigore il 1° febbraio 2003, contempla nuove disposizioni in materia di PESC, soprattutto nei seguenti ambiti:
· consente di ricorrere alla cooperazione rafforzata anche nell’ambito della PESC. La cooperazione rafforzata è possibile per l'attuazione di un'azione o di una posizione comune, se queste riguardano questioni che non hanno implicazioni di ordine militare o di difesa. Se nessuno Stato si oppone o chiede una decisione unanime al Consiglio europeo (il cosiddetto "freno d'emergenza"), la cooperazione rafforzata viene decisa a livello di Consiglio, a maggioranza qualificata, con una soglia di otto Stati membri;
· rafforza il ruolo del comitato politico e di sicurezza nel quadro della PESD. Il comitato è autorizzato dal Consiglio europeo a prendere autonomamente decisioni adeguate per garantire il controllo politico e la direzione strategica di un'operazione di gestione di crisi.
La PESD trova attualmente la sua collocazione nell’ambito del Titolo V del Trattato sull’Unione europea[3] (TUE), relativo alle “Disposizioni sulla Politica estera e di sicurezza comune” (PESC) e si definisce come una sua specificazione. L’art. 2 delle disposizioni comuni sancisce, infatti, che uno degli obiettivi dell’Unione consiste nell’”affermare la sua identità sulla scena internazionale, in particolare mediante l'attuazione di una politica estera e di sicurezza comune, ivi compresa la definizione progressiva di una politica di difesa comune, che potrebbe condurre ad una difesa comune, a norma delle disposizioni dell'articolo 17”.
Ribadendo e sviluppando questo principio, l’art. 17 del citato Titolo V stabilisce, al par. 1, c. 1, che la politica estera e di sicurezza comune comprende tutte le questioni relative alla sicurezza dell'Unione, tra cui la definizione progressiva di una politica di difesa comune, che potrebbe condurre a una difesa comune qualora il Consiglio europeo decida in tal senso. In tal caso il Consiglio europeo raccomanda agli Stati membri di adottare tale decisione secondo le rispettive norme costituzionali.
Il par. 2 dell’art. 17 ha trasferito alla competenza dell’Unione le cosiddette missioni di Petersberg. Tra tali compiti figurano le missioni umanitarie e di soccorso, le attività di mantenimento della pace e le missioni di unità di combattimento nella gestione di crisi, comprese le missioni tese al ristabilimento della pace. La disposizione esprime la volontà di intervenire concretamente e con efficacia per la soluzione dei conflitti che mettono a repentaglio la pace e la sicurezza, facendo dell’Unione un soggetto visibile ed attivo nella strategia internazionale.
Si è trattato di un notevole passo avanti, compiuto con l’entrata in vigore del Trattato di Amsterdam nel 1999, in un momento in cui era diventata meno grave, rispetto ai tempi della guerra fredda, la minaccia di conflitti su larga scala ma, al tempo stesso, si assisteva alla recrudescenza di conflitti locali che costituivano un serio rischio per la sicurezza europea, come, ad esempio, la guerra nell'ex-Iugoslavia.
Il Consiglio europeo di Nizza del 7-9 dicembre 2000 ha adottato la relazione della Presidenza sulla politica europea di sicurezza e di difesa, che prevede in particolare lo sviluppo delle capacità militari dell’Unione, la creazione di strutture politiche e militari permanenti e l’incorporazione nell’Unione delle funzioni di gestione delle crisi esercitate dall’Unione dell’Europa occidentale (UEO).
Le strutturepermanenti preposte alla conduzione della PESD, istituite con tre distinte decisioni del Consiglio in data 22 gennaio 2001, comprendono:
· il Comitato politico e di sicurezza (COPS), responsabile della direzione strategica e del controllo delle operazioni militari e dell’attuazione delle decisioni delle preesistenti istituzioni da cui dipende (Coreper, Consiglio Affari generali; Alto rappresentane per la PESC). Il COPS, con sede a Bruxelles, è composto di rappresentanti nazionali a livello di alti funzionari/ambasciatori, e tratta in particolare tutte le questioni relative alla PESC, compresa la PESD, conformemente alle disposizioni del trattato dell'UE e fatta salva la competenza della Commissione Europea. Il COPS fornisce inoltre orientamenti al Comitato militare.
· il Comitato militare dell’UE (UEMC), composto dei Capi di Stato maggiore della difesa dei Paesi membri, rappresentati dai loro delegati militari. L'UEMC si riunisce a livello dei Capi di Stato maggiore della difesa quando necessario; esso offre consulenze militari e formula raccomandazioni al COPS ed assicura la direzione militare di tutte le attività militari nell'ambito dell'UE. Il Presidente dell'UMC, preferibilmente un ex capo di Stato maggiore della difesa di uno Stato membro dell'UE, è di norma generale o ammiraglio a quattro stelle. È selezionato dai capi di Stato maggiore della difesa degli Stati membri secondo procedure definite e nominato dal Consiglio su raccomandazione dell’UEMC riunito a livello di capi di Stato maggiore della difesa. Partecipa alle riunioni del Consiglio quando si devono prendere decisioni con implicazioni in materia di difesa.
· lo Stato maggiore dell’UE (EUMS), in seno alle strutture del Consiglio, fornisce consulenza e sostegno in campo militare alla PESD, compresa l'esecuzione delle operazioni di gestione militare delle crisi sotto la guida dell'UE. Lo Stato maggiore assicura il tempestivo allarme, la valutazione della situazione e la pianificazione strategica nell'ambito dei compiti di Petersberg, compresa l'identificazione delle forze europee nazionali e multinazionali.
La composizione e le funzioni di questi nuovi organi sono precisati nei suballegati III, IV, V di un allegato VI (avente ad oggetto appunto la politica europea di sicurezza e difesa) della citata relazione presentata a Nizza dalla Presidenza francese dell’Unione.
Sono inoltre attivi nell’ambito della PESD i seguenti organismi dell’Unione europea:
· l’Agenzia europea di difesa istituita con l’azione comune 2004/551/PESC del Consiglio del 12 luglio 2004, al fine di sostenere gli Stati membri ed il Consiglio nell’impegno di promuovere le capacità di difesa europee nel settore della gestione delle crisi, nonché per supportare la politica europea di sicurezza e difesa;
· l’Istituto europeo per gli studi sulla sicurezza, istituito con azione comune 2001/554/CFSP del 20 luglio 2001, con il compito di contribuire allo sviluppo della PESC e della PESD tramite la ricerca accademica nelle materie di pertinenza;
· il Centro satellitare europeo, istituito con azione comune 2001/555/CFSP del 20 luglio 2001, con l’obiettivo di appoggiare il processo decisionale dell’Unione in ambito PESC e, in particolare, PESD, per mezzo della messa a disposizione di materiale risultante dall’analisi delle immagini satellitari e dei dati correlati[4].
La PESC rappresenta un pilastro distinto dell'Unione europea, poiché le procedure di funzionamento, di tipo intergovernativo, si distinguono da quelle adottate nei settori comunitari tradizionali.
In linea generale, le decisioni relative alla PESC sono adottate all'unanimità. Gli Stati membri possono tuttavia ricorrere all'"astensione costruttiva": in altri termini, l'astensione di uno Stato membro non impedisce che una decisione venga adottata. Tale meccanismo si applica se le astensioni non rappresentano più di un terzo dei voti ponderati del Consiglio. Inoltre, se uno Stato membro motiva la propria astensione con una dichiarazione formale, esso non è obbligato ad applicare la decisione, ma accetta, in uno spirito di reciproca solidarietà, che questa impegni l'Unione e si astiene pertanto da qualsiasi atto che possa contrastare l'azione dell'Unione basata su tale decisione.
Il titolo V modificato del Trattato sull’Unione europea (TUE) prevede tuttavia il ricorso alla maggioranza qualificata in due casi:
Per quanto riguarda le decisioni adottate a maggioranza qualificata, gli Stati membri possono tuttavia avvalersi di una clausola di salvaguardia che consente loro di impedire che si proceda alla votazione per importanti motivi di politica nazionale. In una situazione di questo genere, dopo che uno Stato membro ha esposto le sue motivazioni, il Consiglio, deliberando a maggioranza qualificata, può chiedere che della questione si occupi il Consiglio europeo e che i capi di Stato e di Governo si pronuncino all'unanimità.
Benché con un ruolo ridotto rispetto alle materie comunitarie, la Commissione è pienamente associata all’attività condotta dall’Unione europea in ambito PESC. Può, come qualsiasi Stato membro, riferire al Consiglio su questioni relative alla PESC e può sottoporre proposte al Consiglio, benché non sia titolare esclusiva dell’iniziativa legislativa come in ambito comunitario. Ugualmente la Commissione può, come gli Stati membri, richiedere alla Presidenza di convocare un Consiglio straordinario e dare suggerimenti sulle attività da intraprendere.
Alla Commissione compete inoltre l’attuazione del bilancio relativo alla PESC attraverso le appropriate proposte finanziarie. Insieme al Consiglio è responsabile di assicurare consistenza alle azioni esterne dell’UE.
Il Parlamento europeo viene consultato dal Consiglio sui principali aspetti e sulle scelte fondamentali della politica estera e di sicurezza comune (PESC) e viene tenuto regolarmente informato della sua evoluzione. Può rivolgere al Consiglio interrogazioni e raccomandazioni.
Attraverso la sua commissione per gli affari esteri, il Parlamento europeo è in contatto regolare con l'Alto Rappresentante dell'UE per la politica estera e di sicurezza comune, nonché con il Commissario europeo incaricato delle relazioni esterne. Il Parlamento dà il suo parere conforme all'adesione di nuovi Stati membri dell'Unione europea ed è consultato sugli accordi internazionali quali gli accordi di associazione o di cooperazione commerciale tra l'Unione e i paesi terzi.
Mentre la rappresentanza esterna negli ambiti comunitari ricade sulle delegazioni della Commissione nei paesi terzi, nella sfera PESC essa compete principalmente alla Presidenza del Consiglio, attraverso gli ambasciatori del paese che detiene la Presidenza di turno dell’Unione europea. Anche l’Alto rappresentante assiste la Presidenza nella rappresentanza esterna dell’UE.
Alla rappresentanza esterna e all'attuazione della PESC contribuiscono anche le attività della Troika, di cui fanno parte il ministro degli Affari esteri del paese titolare della Presidenza dell'UE, l'Alto rappresentante per la PESC, il Commissario responsabile delle relazioni esterne e, se necessario, un rappresentante del paese a cui spetta la successiva Presidenza dell'UE.
Sulla base dell’articolo 28 del Trattato sull’Unione europea, le spesa relative alla PESC sono finanziate dal bilancio comunitario, tranne quando queste riguardano operazioni che coinvolgono il settore militare o della difesa o quando il Consiglio, deliberando all'unanimità, decide diversamente. Esiste una specifica sub sezione del bilancio comunitario dedicata alle spese operative PESC (capitolo 19.03) che è parte del titolo 19 (relazioni esterne ). L'importo totale del finanziamento per la PESC nel bilancio 2006 è pari 102,6 milioni di euro.
Il bilancio PESC è fissato sulla base della procedura prevista per il bilancio comunitario. L’accordo interistituzionale del 6 maggio 1999 prevede che, in mancanza di un accordo tra le due autorità di bilancio, vale a dire Parlamento europeo e Consiglio, sul livello delle attribuzioni alla PESC, la somma totale sarà equivalente alla cifra più bassa tra la quota PESC del bilancio precedente e quella contenuta nella prima proposta di bilancio presentata dalla Commissione.
Con il Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa, la Politica estera e di sicurezza comune, precedentemente regolata dal metodo intergovernativo, viene 'comunitarizzata' a seguito della soppressione della struttura a pilastri introdotta a partire dal Trattato di Maastricht.
Oltre a questa prima sostanziale novità, due importanti modifiche sono introdotte dal Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa rispetto alle disposizioni del Trattato sull'Unione europea: l'istituzione di un ministro degli Affari esteri dell'Unione e la creazione di un servizio europeo per l'azione esterna.
Il ministro degli Affari esteri contribuirà all'elaborazione della PESC e sarà responsabile della sua esecuzione, rileverà le funzioni di rappresentanza esterna della PESC attualmente demandate alla presidenza e assicurerà il coordinamento dell'azione degli Stati membri nell'ambito delle organizzazioni internazionali.
Il servizio europeo per l'azione esterna assisterà il ministro degli Affari esteri e sarà costituito da funzionari del Segretariato generale del Consiglio e della Commissione nonché da personale distaccato dai servizi diplomatici nazionali.
Nel titolo V della parte III del Trattato costituzionale, la PESC è disciplinata, congiuntamente alla PESD, nel Capo II, articoli da III-294 a III-313. Tuttavia, già nei Titoli III (Competenze dell’Unione) e V (Esercizio delle competenze dell’Unione) della Parte I sono contenute talune disposizioni che sottolineano la specificità della PESC nell’ambito delle attività dell’Unione.
L’art. I-12, par. 4, del Trattato costituzionale prevede la competenza dell’Unione Europea nel “definire e attuare una politica estera e di sicurezza comune, compresa la definizione progressiva di una politica di difesa comune”, non includendola tuttavia in alcuna delle tre categorie generali in cui si articolano le competenze dell’Unione: esclusive (tra le quali la politica commerciale comune); concorrente (incluse la cooperazione allo sviluppo e l’aiuto umanitario); di sostegno, coordinamento o complemento. In tal modo non sembra del tutto chiarita la natura delle competenze in materia di PESC di cui il Trattato si limita a sottolineare la peculiarità. L’art. I-16, par. 1, dedicato alla PESC, aggiunge che la competenza dell’Unione in questa materia concerne tutti i settori della politica estera e della sicurezza, inclusa la progressiva definizione di una politica di difesa comune.
L’art. 16, par. 2, del Trattato costituzionale enuncia l’obbligo per gli Stati membri di un sostegno attivo e senza riserve alla PESC, rispetto alla quale essi si astengono da qualsiasi azione ostativa.
Anche per quanto concerne l’esercizio, le competenze in materia di PESC sono oggetto di una apposita disciplina. L’art. I – 40, par. 5, pone due distinti obblighi di carattere generale a carico degli Stati membri: l’obbligo di consultarsi in sede di Consiglio europeo e di Consiglio su qualsiasi questione di politica estera e di sicurezza di interesse generale per definire un approccio comune; l’obbligo dei singoli Stati membri di consultare gli altri in sede di Consiglio europeo e di Consiglio prima di intraprendere qualsiasi azione sulla scena internazionale o di assumere qualsiasi impegno che possa ledere gli interessi dell’Unione.
L’art. II – 294, par. 2, vincola a sua volta gli Stati membri a sostenere attivamente e senza riserve la PESC in uno spirito di lealtà e di solidarietà reciproca, nonché ad operare congiuntamente per incrementare la reciproca solidarietà politica e ad astenersi da qualsiasi azione contraria agli interessi dell’Unione o tale da comprometterne l’efficacia come elemento di coesione nelle relazioni internazionali. Il Consiglio e il Ministro degli esteri provvedono ad assicurare il rispetto di tali principi che ricevono una prima attuazione attraverso alcune disposizioni del Trattato. L’art. III – 305 prevede infatti che gli Stati membri coordinino la propria azione nelle Organizzazioni e in occasione delle Conferenze internazionali, difendendo le posizioni dell’Unione. Gli Stati membri impegnati in tali sedi informano gli Stati membri che non vi partecipino ed il Ministro degli esteri dell’Unione in ordine ad ogni questione di comune interesse. Un analogo obbligo di concertazione, di informazione e di difesa delle posizioni e degli interessi dell’Unione è espressamente sancito nei confronti degli Stati membri che siano anche membri del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. L’art. III – 306 dispone che le missioni diplomatiche degli Stati membri e le delegazioni dell’Unione nei paesi terzi e nelle Conferenze internazionali, nonché le loro rappresentanze presso le Organizzazioni internazionali, cooperino al fine di garantire il rispetto e l’attuazione delle Decisioni europee.
A norma dell’art. I-40, n. 2, l’individuazione degli interessi strategici dell’Unione e degli obiettivi della PESC compete al Consiglio europeo, mentre al Consiglio dei ministri spetta l’elaborazione della PESC. L’art. III–295, par. 1, assegna al Consiglio europeo il compito di definire gli orientamenti generali della PESC, inclusi gli aspetti relativi alla difesa, e prevede che, qualora lo esigano gli sviluppi internazionali, il presidente del Consiglio europeo convochi una riunione straordinaria al fine di definire le linee strategiche della politica dell’Unione. L’art. III-295, par. 2, dispone che il Consiglio adotti le Decisioni europee necessarie per la definizione e l’attuazione della PESC in base agli orientamenti generali ed alle linee strategiche definite dal Consiglio europeo. L’art. III–297 disciplina le competenze del Consiglio dei ministri nel caso in cui la situazione internazionale richieda un intervento operativo. L’attuazione delle Decisioni europee del Consiglio - che hanno effetti vincolanti per gli Stati - attraverso prese di posizione o azioni nazionali è subordinata alla previa informazione del Consiglio stesso, in modo da consentire una eventuale concertazione preliminare. L’art. III–298 prevede che le Decisioni europee relative alla definizione della posizione dell’Unione su una questione particolare di natura geografica o tematica vincolino gli Stati membri ad adottare politiche nazionali conformi.
Il Ministro degli affari esteri, che si avvale di un Servizio europeo per l’azione esterna composto da funzionari del Consiglio e della Commissione nonché da personale distaccato dai servizi diplomatici nazionali, concorre attraverso proprie proposte all’elaborazione della PESC ed assicura l’attuazione delle Decisioni europee adottate dal Consiglio europeo e dal Consiglio. Il Ministro rappresenta l’Unione per le materie concernenti la PESC, conduce il dialogo politico con i paesi terzi e rappresenta l’Unione nelle Organizzazioni e nelle Conferenze internazionali (art. III–296), organizzando il coordinamento delle posizioni degli Stati membri (art. III–305, par. 1). Qualora sia necessario assumere decisioni in tempi rapidi, il Ministro convoca, d’ufficio o su richiesta di uno Stato membro, una sessione straordinaria del Consiglio (art. III–299). A norma dell’art. III–301, quando viene definito un approccio comune ai sensi dell’art. I – 40, par. 5, il Ministro e i Ministri degli affari esteri degli Stati membri coordinano le attività nell’ambito del Consiglio. Qualora all’ordine del giorno del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite risulti un tema sul quale l’Unione ha definito una posizione, gli Stati membri che vi partecipano chiedono che il Ministro degli Esteri UE sia invitato a presentare in quella sede la posizione dell’Unione (art. III–305, par. 2). L’art. III–302 autorizza il Ministro a proporre al Consiglio la nomina di un rappresentante speciale con un mandato per questioni politiche specifiche.
Il Parlamento europeo, come avviene già adesso, è regolarmente consultato e viene tenuto informato, ma non interviene formalmente nel processo decisionale. Secondo l’articolo III – 304, la consultazione e l’informazione del Parlamento spettano ora al Ministro degli affari esteri che provvede altresì affinché le opinioni del Parlamento stesso siano prese nella debita considerazione. Il Parlamento deve essere in particolare consultato in merito all’organizzazione ed al funzionamento del servizio europeo per l’azione esterna (art. III–296, par. 3). Il Parlamento può rivolgere interrogazioni e formulare raccomandazioni al Consiglio dei ministri ed al Ministro degli affari esteri e procede due volte all’anno a un dibattito in merito alla PESC ed alla PESD. La PESC è l’unico settore di attività in relazione al quale il Parlamento non deve essere consultato in merito alla conclusione di accordi internazionali (art. III-325, par. 6).
La disciplina relativa alla PESC contiene limitati riferimenti al ruolo della Commissione. L’art I-26, par. 1, esclude la PESC dall’attività di rappresentanza esterna della Commissione. Tuttavia, la figura del Ministro degli esteri in precedenza esaminata sembrerebbe funzionale a garantire uno stabile raccordo tra Commissione e Consiglio affinché l’attività della prima possa risultare comunque coerente con le determinazioni assunte dall’Unione nell’ambito della PESC. L’art. I–40, par. 6, prevede che la Commissione possa appoggiare le proposte in materia di PESC formulate al Consiglio europeo o al Consiglio dei ministri dal Ministro degli esteri dell’Unione.
La Commissione, a norma dell’art. III – 296, par. 3, approva la proposta del Ministro degli esteri dell’Unione relativa all’organizzazione ed al funzionamento del servizio europeo per l’azione esterna, prima che questa venga deliberata dal Consiglio dei ministri. Sussistono quindi degli elementi di raccordo, istituzionali e procedimentali, tra l’attività della Commissione e la PESC la cui efficacia andrà in concreto verificata.
L’art. III–376 stabilisce l’incompetenza della Corte di giustizia in materia di PESC con due eccezioni. La prima riguarda la verifica del rispetto dell’art. III 308 che stabilisce un obbligo bilaterale di non interferenza, disponendo, da un lato, che l’attuazione della PESC non pregiudica le competenze esclusive e concorrenti dell’Unione e, dall’altro, che queste ultime non pregiudicano le competenze dell’Unione in materia di PESC.
Attualmente, l’art. 47 del Trattato sull’Unione europea si limita a prevedere che l’attività dell’Unione in materia di PESC (e nelle materie del terzo pilastro) non deve pregiudicare le competenze della Comunità derivanti dal Trattato che istituisce la Comunità europea. In tale direzione interferenze appaiono in effetti possibili considerata la natura meramente funzionale della PESC, che si configura come un complesso di misure volte a perseguire fini politici. La competenza della Corte di giustizia a riguardo sembrerebbe dover essere esercitata al fine di evitare che la logica intergovernativa propria della PESC venga estesa alle politiche comprese nell’attuale primo pilastro. Non è invece agevole comprendere come potrebbero concretamente realizzarsi interferenze delle politiche materiali con rilievo esterno nella PESC considerato che, come in precedenza evidenziato, anche tali politiche, disciplinate secondo il principio di attribuzione, sono ora chiamate dal Trattato a perseguire, analogamente alla PESC, gli obiettivi politici generali propri dell’Unione. La seconda eccezione all’incompetenza della Corte di giustizia attiene al controllo di legittimità delle Decisioni europee che prevedono misure restrittive nei confronti di persone fisiche o giuridiche rispetto alle qualI, anche con riferimento alla PESC, sussiste una competenza della Corte.
L’art. III–307, par. 1, individua le competenze del Comitato politico e di sicurezza (COPS), organismo disciplinato per la prima volta dal Trattato di Nizza e competente per tutti gli aspetti della PESC e della PESD in relazione alla gestione delle crisi, nonché alla valutazione ed alla programmazione dei relativi interventi. Il COPS è assistito da un Comitato militare con il compito di esprimere pareri e raccomandazioni al COPS ed al Consiglio dei ministri, nonché di impartire direttive allo staff militare europeo con competenze di carattere operativo in relazione agli interventi dell’Unione in situazioni di crisi. Al COPS è attribuita la vigilanza sulla situazione internazionale nelle materia concernenti la PESC, il concorso alla definizione delle politiche attraverso la formulazione di pareri al Consiglio ed il controllo dell’attuazione delle politiche concordate. Il par. 2 affida al Comitato, sotto la responsabilità del Consiglio dei ministri e del Ministro degli esteri, il controllo politico e la direzione strategica delle operazioni di gestione delle crisi. Il Consiglio può inoltre autorizzare il COPS a prendere misure appropriate in merito al controllo politico ed alla direzione strategica dell’operazione. Tale articolo, fatto salvo il ruolo riconosciuto al Ministro degli affari esteri, riproduce i contenuti dell’articolo 25 del TUE come modificato dal Trattato di Nizza.
L’art. I-40, par. 6, prevede che tanto il Consiglio europeo quanto il Consiglio dei ministri adottino Decisioni europee in materia di PESC, di norma all’unanimità, pronunciandosi su iniziativa di uno Stato membro o su proposta del Ministro degli affari esteri, che può avere l’appoggio della Commissione. Nei casi diversi da quelli per i quali è obbligatoria la regola dell’unanimità, il Consiglio europeo può adottare, all’unanimità, una Decisione europea in base alla quale il Consiglio dei ministri potrà deliberare a maggioranza qualificata. L’art. III – 300, par. 1, nel prevedere che il Consiglio dei ministri deliberi all’unanimità, dispone che, in caso di astensione dal voto, gli Stati membri non siano obbligati ad applicare le Decisioni europee, ma debbano esclusivamente astenersi da azioni che contrastino o impediscano l’azione dell’Unione. Qualora tuttavia l’astensione riguardi un terzo degli Stati membri che rappresentino almeno un terzo della popolazione dell’Unione, la Decisione europea non è adottata.
A norma dell’art. III-300, par. 2, il Consiglio delibera tuttavia a maggioranza qualificata quando adotta: una Decisione europea sulla base di una Decisione europea del Consiglio europeo relativa agli interessi ed agli obiettivi strategici dell’Unione; una Decisione europea in base ad una proposta del Ministro degli esteri presentata in seguito ad una richiesta specifica rivoltagli dal Consiglio europeo; una Decisione europea che attua una precedente Decisione europea; una Decisione europea relativa alla nomina di un rappresentante speciale ai sensi dell’art. III–302.
In tutti i casi in cui è previsto il voto a maggioranza qualificata, i membri del Consiglio hanno la facoltà di opporsi all’adozione di una Decisione europea per vitali ed espliciti motivi di politica nazionale. Qualora ciò si verifichi, il Ministro degli affari esteri tenta di individuare una soluzione accettabile per lo Stato membro interessato. In caso di insuccesso, il Consiglio, deliberando a maggioranza qualificata, può investire della questione il Consiglio europeo, per una Decisione europea all’unanimità. Basta quindi che uno Stato membro si opponga e si ritorna alla regola dell’unanimità.
Il par. 3 dell’art. III-300, in conformità al par. 7 dell’art. I-40, riconosce inoltre al Consiglio europeo la facoltà di adottare, all’unanimità, una Decisione europea che autorizzi il Consiglio a deliberare a maggioranza qualificata in ipotesi diverse da quelle indicate dal par. 2 dell’art. III–300. Il Trattato si configura in tal modo aperto a ulteriori sviluppi per quanto riguarda il voto a maggioranza qualificata. Poiché il Consiglio europeo sembrerebbe autorizzato a determinare in termini generali e astratti le ulteriori ipotesi in cui il Consiglio può procedere a maggioranza qualificata, la norma appare sostanzialmente predisporre un meccanismo per la modifica, mediante integrazione, dei contenuti del Trattato. Rispetto all’art. 23 del TUE, l’art. III–300 introduce due importanti novità: la possibilità del voto a maggioranza qualificata su proposta del Ministro degli esteri e la facoltà del Consiglio europeo di introdurre nuovi ipotesi di voto a maggioranza qualificata.
Le previsioni dei par. 2 e 3 dell’art. III-300 relative alle deliberazioni a maggioranza qualificata non trovano applicazione con riferimento alle Decisioni europee che hanno implicazioni militari o che hanno effetti nel settore della difesa.
L’art. I – 40 prevede che la PESC venga attuata dal Consiglio europeo e dal Consiglio dei ministri ricorrendo ad un solo atto - la Decisione europea (par. 3) - ed escludendo espressamente la possibilità di adottare Leggi e Leggi quadro europee (par. 6). La decisione europea è uno strumento disciplinato in via generale dagli artt. I – 33 e I – 35 nell’ambito degli atti giuridici non legislativi ai quali vengono riconosciuti effetti vincolanti. Alle Decisioni europee assunte nel settore della PESC, non a caso disciplinate in un diverso Capo, non sembrerebbe tuttavia secondo taluni possibile attribuire un valore giuridico, trattandosi di atti di natura politica (R.A. Cangelosi, G. Buccino Grimaldi, 2003, p. 92). La Decisione europea, come emerge dall’art. III – 294, rappresenterà quindi la forma attraverso la quale le azioni, le posizioni e le modalità di attuazione delle azioni e delle decisioni in materia di PESC verranno in futuro disciplinate dall’Unione.
Le cooperazioni rafforzate, già previste nella Parte I alle Disposizioni particolari per l’esercizio delle competenze dell’Unione, e in particolare all’articolo I-44, sono ulteriormente disciplinate nel Capo III del Titolo VI (funzionamento dell’Unione) della Parte III. Per quanto riguarda la PESC può osservarsi come, analogamente a quanto si verifica per la disciplina generale, il Trattato rechi una disciplina più snella di quella vigente. Inoltre, le cooperazioni rafforzate non risultano più limitate all’attuazione di un’azione o posizione comune e vengono ammesse anche in materia di difesa.
In base al par. 2 dell’art. III-419, la “richiesta degli Stati membri che desiderano instaurare tra loro una cooperazione rafforzata … è presentata al Consiglio. Essa è trasmessa al Ministro degli affari esteri dell'Unione” e alla Commissione, che esprimono un parere rispettivamente sulla coerenza della cooperazione rafforzata prevista con la PESC e con le altre politiche dell'Unione. “Essa è inoltre trasmessa per conoscenza al Parlamento europeo. L'autorizzazione a procedere a una cooperazione rafforzata è concessa con una Decisione europea del Consiglio, che delibera all'unanimità”. Il par. 2 dell’articolo III-420 detta le procedure per la partecipazione di uno Stato membro a una cooperazione rafforzata già in corso nel quadro della PESC.
L’art. III-422 prevede la possibilità che nell’ambito di una cooperazione rafforzata il Consiglio, con votazione all’unanimità cui prendono parte solo gli Stati partecipanti alla cooperazione rafforzata, possa adottare Decisioni europee che consentano al Consiglio stesso di deliberare a maggioranza qualificata ovvero secondo la procedura legislativa ordinaria. Tale facoltà del Consiglio, tuttavia, è esclusa per le Decisioni con implicazioni militari o di difesa.
Grazie al processo di allargamento, che costituisce da sempre un elemento chiave del progetto europeo, l’Unione europea è passata dagli originali 6 membri (Belgio, Germania, Francia, Italia, Lussemburgo e Paesi bassi) agli attuali 25. Gli allargamenti si sono verificati: nel 1973 (con l’ingresso di Danimarca, Irlanda e Regno Unito); nel 1981 (con l’ingresso della Grecia); nel 1986 (con l’ingresso di Portogallo e Spagna); nel 1995 (con l’ingresso di Austria, Finlandia e Svezia). L’ultimo allargamento risale al 1° maggio 2004, quando Cipro, Estonia, Lettonia, Lituania, Malta, Polonia, Repubblica ceca, Repubblica slovacca, Slovenia e Ungheria sono divenuti a pieno titolo Stati membri dell’Unione Europea. Si è trattato di un allargamento storico che ha significato la riunificazione dell’Europa dopo decenni di divisioni.
In base all’articolo 49 del Trattato sull’Unione europea, ogni paese europeo può presentare richiesta di adesione se rispetta i principi di libertà, democrazia, Stato di diritto, tutela dei diritti umani e delle libertà fondamentali, principi che sono comuni agli Stati membri. Il medesimo articolo stabilisce che sulla richiesta di adesione il Consiglio si esprime all’unanimità, previa consultazione della Commissione e previo parere conforme del Parlamento europeo. A conclusione di tale procedura, è il Consiglio europeo ad attribuire lo status di paese candidato.
L’apertura formale dei negoziati tra gli Stati membri e lo Stato candidato avviene sulla base di una decisione in tal senso del Consiglio europeo e dopo l’approvazione del mandato negoziale da parte del Consiglio. All’apertura formale dei negoziati segue la fase di screening - preliminare all’avvio dei negoziati tecnici veri e propri - cui partecipano esperti della Commissione e dello Stato interessato. L’obiettivo dello screening è quello di esaminare la legislazione del paese candidato sotto il profilo della compatibilità con l’acquis comunitario[5] e di tracciare, settore per settore, un itinerario per il suo recepimento. L’acquis comunitario è suddiviso in capitoli[6], organizzati per materia, su ciascuno dei quali ha luogo un negoziato separato.
Una volta che, a seguito dei negoziati, tutti i capitoli siano stati positivamente esaminati, il risultato dei negoziati confluisce nel testo del Trattato di adesione, che è concordato tra gli Stati membri e il paese candidato e successivamente sottoposto alla Commissione per il parere. Sul testo del Trattato di adesione è richiesto il parere conforme del Parlamento europeo. Dopo la firma, il Trattato di adesione è sottoposto alla ratifica da parte di tutti gli Stati membri, nonché del paese interessato, conformemente allo rispettive norme costituzionali.
L’adesione può essere conseguita soltanto se il paese soddisfa i cosiddetti criteri di Copenaghen, stabiliti dal Consiglio europeo di Copenaghen del giugno 1993 e rafforzati dal Consiglio europeo di Madrid del 1995:
· criteri politici: istituzioni stabili in grado di garantire democrazia, Stato di diritto, diritti umani e protezione delle minoranze;
· criteri economici: economia di mercato funzionante e capacità di far fronte alle pressioni concorrenziali e alle forze di mercato all’interno dell’Unione;
· capacità di fare fronte agli obblighi derivanti dall’adesione, ivi compresi gli obiettivi dell’unione politica, economica e monetaria;
· adozione dell’acquis comunitario e sua effettiva attuazione attraverso adeguate strutture amministrative e giudiziarie.
In aggiunta, come ribadito in particolare in occasione dell’apertura dei negoziati di adesione della Turchia, nei futuri allargamenti si terrà conto anche della capacità di assorbimento dell’Unione europea.
Nel corso del processo di adesione, l’Unione europea sostiene gli sforzi di ciascun paese attraverso una strategia di pre-adesione che si compone di diversi strumenti e meccanismi, tra i quali la partecipazione ai programmi, ai comitati e alle agenzie dell’UE, il dialogo politico, il programma nazionale di adozione dell’acquis comunitario, il cofinanziamento da parte di istituzioni internazionali, l’assistenza di preadesione[7]. Inoltre, il livello di preparazione di ciascun paese è costantemente monitorato dalla Commissione europea, che segue i progressi compiuti sulla strada dell’adesione e suggerisce i settori prioritari di intervento. I risultati dell’attività di monitoraggio e lo stato di attuazione delle riforme vengono resi pubblici attraverso relazioni periodiche[8].
I paesi aderenti sono attualmente due, Bulgaria e Romania, la cuiadesione è prevista per il 1° gennaio 2007.
La Turchia e la Croazia hanno avviato formalmente, il 3 ottobre 2005, i negoziati per l’adesione.
La ex Repubblica iugoslava di Macedonia ha ottenutolo status di paese candidato nel dicembre 2005.
Il processo di adesione della Bulgaria e della Romania è quasi concluso.
La Bulgaria e la Romania hanno avanzato domanda di adesione all’Unione europea rispettivamente il 14 dicembre 1995 e il 22 giugno 1995. I negoziati, avviati per entrambi i paesi il 15 febbraio 2000, sono stati dichiarati conclusi dal Consiglio europeo del dicembre 2004, che ha auspicato di accogliere Bulgaria e Romania quali nuovi Stati membri a partire dal 1° gennaio 2007, a condizione che continuino ad impegnarsi e completino tempestivamente e positivamente tutte le riforme necessarie.
Il Trattato di adesione è stato firmato il 25 aprile 2005, in occasione della riunione del Consiglio affari generali e relazioni esterne, dopo l’espressione del parere da parte del Parlamento europeo, il 13 aprile 2005[9]. Con la firma del Trattato, la Bulgaria e la Romania sono considerati paesi aderenti e partecipano come osservatori attivi a tutti i comitati e organi dell’UE.
Il 26 settembre 2006 la Commissione ha presentato la relazione finale di verifica del grado di preparazione della Bulgaria e della Romania in vista dell’adesione all’Unione europea[10].
Basandosi sui notevoli progressi registrati, la Commissione ritiene che entrambi i paesi saranno in grado di assumere i diritti e gli obblighi che comporta l’adesione all’UE il 1° gennaio 2007[11]. Come nei precedenti allargamenti, la Commissione proseguirà comunque l’attività di monitoraggio anche dopo l’adesione dei due paesi e, in caso di mancata attuazione dell’acquis comunitario, potrà fare ricorso sia agli strumenti applicabili a tutti gli Stati membri[12] sia alle specifiche clausole di salvaguardia previste dal Trattato di adesione[13]. In aggiunta, per i pochi settori che ancora necessitano di ulteriori interventi (lotta alla corruzione eriforma del sistema giudiziario; fondi strutturali; sicurezza alimentare; sicurezza aerea), la Commissione ha proposto un pacchetto di misure specifiche.
La Croazia, dichiarata paese candidato dal Consiglio europeo del 17 e 18 giugno 2004, ha avviato formalmente i negoziati per l’adesione il 3 ottobre 2005.
Con l’apertura formale dei negoziati di adesione, la Commissione ha avviato il processo di screening della legislazione croata che è stato completato alla fine di ottobre del 2006. Un capitolo (scienza e ricerca) è già stato negoziato e provvisoriamente chiuso il 12 giugno 2006, nel corso della prima conferenza di adesione tra UE e Croazia.
L’apertura dei negoziati di adesione con la Croazia era stata fissata dal Consiglio europeo di dicembre 2004 per il 17 marzo 2005, a condizione che il paese collaborasse pienamente con il Tribunale penale internazionale per la ex Iugoslavia. In mancanza di una piena collaborazione, il Consiglio del 16 marzo 2005 aveva rinviato l’apertura dei negoziati e istituito una task force (troika[14] allargata al rappresentante della Commissione e all’Alto Rappresentante per la PESC) per verificare i progressi compiuti dalla Croazia. Nella stessa occasione il Consiglio aveva proceduto all’approvazione del quadro negoziale proposto dalla Commissione per la conduzione dei negoziati tecnici. Il 3 ottobre 2005, avendo constatato la piena collaborazione del paese con il Tribunale penale internazionale per l’ex Iugoslavia, il Consiglio ha dato il via libera all’apertura dei negoziati. La decisione del Consiglio ha tenuto conto della relazione positiva presentata dal Procuratore Capo del Tribunale, Carla Del Ponte.
L’ultima relazione della Commissione sui progressi della Croazia, pubblicata l’8 novembre 2006[15], segnala che il paese continua a rispettare i criteri politici richiesti per l’adesione e ha fatto passi in avanti, in particolare per quanto riguarda la riforma del sistema giudiziario, la lotta alla corruzione e la cooperazione regionale. Prosegue la piena collaborazione con il Tribunale penale per l’ex Iugoslavia. Secondo la Commissione si rendono necessari ulteriori sforzi nella protezione delle minoranze, ritorno dei rifugiati e conduzione dei processi per i crimini di guerra, risoluzione delle questioni bilaterali con i paesi contigui. Dal punto di vista economico, nel medio termine la Croazia dovrebbe essere in grado di fare fronte alle pressioni concorrenziali e alle forze di mercato all’interno dell’Unione, a condizione che attui in maniera vigorosa il suo programma di riforme. L’inflazione resta bassa, i tassi di cambio sono stabili e la crescita economica ha subito un’accelerazione. Tuttavia, significativi squilibri nella bilancia corrente e nella bilancia commerciale e un elevato debito esterno costituiscono rischi potenziali per la stabilità macroeconomica. Nella trasposizione del diritto comunitario, la Croazia ha fatto molti progressi. Sforzi significativi e sostenuti saranno necessari in materia di: libera circolazione dei capitali, politica della concorrenza, appalti pubblici, agricoltura, giustizia sicurezza e libertà, diritti fondamentali e ambiente.
La Turchia ha ottenuto lo status di paese candidato dal Consiglio europeo di Helsinki del dicembre 1999.
Sulla base della relazione periodica e della raccomandazione presentate dalla Commissione il 6 ottobre 2004, il Consiglio europeo del 16 e 17 dicembre 2004 ha deciso che la Turchia soddisfa sufficientemente i criteri politici di Copenaghen, fissando per il 3 ottobre 2005 la data di avvio dei negoziati di adesione, a condizione che entrassero in vigore alcuni specifici atti legislativi (legge sulle associazioni; nuovo codice penale; giurisdizione d’appello; codice di procedura penale; istituzione della polizia giudiziaria; esecuzione delle pene)[16].
Determinante per la decisione favorevole del Consiglio europeo di dicembre 2004 è stata la disponibilità manifestata dal Governo turco a firmare, prima dell’avvio dei negoziati, il protocollo che estende ai dieci nuovi Stati membri, compresa la Repubblica di Cipro, l’Accordo di associazione stipulato nel 1963 con la Comunità europea (cosiddetto Accordo di Ankara). La firma del protocollo è avvenuta il 29 luglio 2005. In occasione della firma, la Turchia ha allegato al protocollo una dichiarazione in cui riafferma di non riconoscere la Repubblica di Cipro. Il 21 settembre 2005, in una contro dichiarazione, l’Unione europea ha precisato fra l’altro che la dichiarazione della Turchia è unilaterale, non fa parte integrante del protocollo e non ha effetti giuridici sugli obblighi che derivano al paese dall’applicazione dell’accordo[17].
Il 3 ottobre 2005 il Consiglio ha approvato il quadro negoziale con la Turchia, consentendo l’apertura formale dei negoziati per l’adesione del paese all’Unione europea, nella data stabilita dal Consiglio europeo del dicembre 2004[18].
Alla decisione del Consiglio si è arrivati dopo una lunga e delicata trattativa. Il principale ostacolo è stato rappresentato dalla richiesta austriaca di prevedere, quale sbocco alternativo dei negoziati con la Turchia, l’ipotesi di un partenariato privilegiato che questa non era disposta ad accettare. L’approvazione del quadro negoziale è stata resa possibile dalla rinuncia dell’Austria a tale ipotesi, a fronte di un rafforzamento nel testo dell’importanza della capacità di assorbimento dell’UE quale criterio di valutazione per le future adesioni.
Anche in considerazione delle diffuse preoccupazioni manifestate in alcuni Stati membri rispetto all’adesione della Turchia all’Unione europea nonché dell’esperienza acquisita nel corso dei precedenti allargamenti, il quadro negoziale approvato per la Turchia è per alcuni aspetti più stringente rispetto al passato. In particolare si segnala che:
· la capacità dell’UE di assorbire la Turchia godrà di importante considerazione, nell’interesse di entrambe le parti, e la Commissione valuterà tale capacità nel corso dei negoziati;
· diversamente dal passato, su proposta della Commissione, il Consiglio stabilirà criteri di verifica (benchmarks) per la chiusura e, ove necessario, anche per l’apertura di ciascun capitolo;
· in caso di violazione grave e persistente dei principi fondanti dell’Unione, il Consiglio, su raccomandazione della Commissione, potrà decidere a maggioranza qualificata la sospensione dei negoziati;
· i progressi della Turchia nel corso dei negoziati saranno misurati anche alla luce dei seguenti requisiti: impegno inequivocabile ad intrattenere buone relazioni con i vicini e a risolvere le dispute di confine; collaborazione alla ricerca di una soluzione al problema di Cipro; normalizzazione dei rapporti bilaterali tra Turchia e Stati membri, inclusa la Repubblica di Cipro; rispetto degli obblighi derivanti dall’attuazione dell’Accordo di Ankara e del relativo protocollo (vedi infra), con particolare riguardo alle previsioni relative all’unione doganale;
· si potranno prendere in considerazione lunghi periodi di transizione, deroghe, disposizioni specifiche o clausole di salvaguardia permanenti, in particolare per settori quali la libera circolazione delle persone, le politiche strutturali o l’agricoltura;
· dal momento che l’adesione della Turchia comporterà conseguenze finanziarie sostanziali, i negoziati potranno essere conclusi solo dopo la definizione del quadro finanziario per il periodo che decorre dal 2014.
L’ultima relazione della Commissione sui progressi della Turchia, pubblicata l’8 novembre 2006[19], presenta un quadro piuttosto problematico. La Commissione segnala infatti che, benché la Turchia continui a rispettare sufficientemente i criteri politici richiesti per l’adesione, il ritmo delle riforme politiche è rallentato nel corso dell’ultimo anno. Alcuni aspetti del nono pacchetto di riforme, che facevano parte delle priorità di breve termine del Partenariato di adesione, quali la istituzione di un ombudsman o la condizione della popolazione rom sono stati affrontati. Tuttavia molte delle iniziative segnalate come priorità di breve termine sono ancora da adottare. La Turchia deve pertanto dar prova di notevole impegno, specie per quanto riguarda la libertà di espressione, tutelare maggiormente i diritti delle comunità religiose non musulmane, delle donne, delle minoranze e dei sindacati e migliorare la situazione in termini di controllo civile sull'esercito. E’ necessario inoltre che la Turchia risolva i seri problemi economici e sociali della regione sud-orientale e assicuri il pieno rispetto dei diritti e delle libertà della popolazione curda. Uno degli aspetti più seri è rappresentato dalla mancata applicazione del protocollo di Ankara. Si richiede infatti che la Turchia applichi il protocollo integralmente e in maniera non discriminatoria e che siano eliminati tutti gli ostacoli alla libera circolazione delle merci, comprese le restrizioni sui mezzi di trasporto nei confronti di Cipro. Quanto ai criteri economici, la Turchia può continuare ad essere considerata un’economia di mercato funzionante. Il paese dovrebbe essere in grado di fare fronte alle pressioni concorrenziali e alle forze di mercato all’interno dell’Unione, a condizione che perseveri nella sua politica di stabilizzazione e faccia significativi passi verso le riforme strutturali. La capacità amministrative devono essere ulteriormente rafforzate. La Turchia si è adeguata alla legislazione dell’Unione europea in un largo numero di settori rilevanti, quali libera circolazione di beni, commercio, diritti di proprietà intellettuale, trasporti, imprese e politica sociale. In altre aree l’allineamento rimane limitato, soprattutto con riguardo a servizi, movimento di capitali, agricoltura e ambiente.
Nel presentare la relazione sulla Turchia, il Presidente della Commissione José Manuel Barroso ha dichiarato che i negoziati di adesione potranno avere esito positivo solo se la Turchia proseguirà risolutamente sulla via delle riforme e adempirà i suoi obblighi. Barroso ha aggiunto: “Oggi abbiamo deciso di dare una possibilità alla diplomazia perché trovi una soluzione. La Turchia deve rispettare gli obblighi connessi all'applicazione del protocollo di Ankara. Se la Turchia non adempirà integralmente i suoi obblighi, ciò si ripercuoterà sull'andamento generale dei negoziati. In tal caso, la Commissione formulerà opportune raccomandazioni prima del Consiglio europeo di dicembre". Secondo quanto dichiarato il 20 novembre 2006 dal Presidente di turno dell’UE, il premier finlandese Matti Vanhanen, durante un discorso ad Helsinki, la Turchia ha tempo fino al 6 dicembre 2006 – data fissata dalla Commissione per la presentazione delle raccomandazioni - per riconoscere la repubblica di Cipro. La Presidenza dell’UE vorrebbe risolvere la questione turca prima del Consiglio europeo di dicembre.
La ex Repubblica iugoslava di Macedonia, che ha avanzato domanda di adesione all’Unione europea il 22 marzo 2004, ha ottenuto lo status di paese candidato dal Consiglio europeo del 15 e 16 dicembre 2005. Sulla base del parere favorevole espresso dalla Commissione, il Consiglio europeo ha tenuto conto in particolare dei progressi compiuti dal paese nell’attuazione dell’accordo di stabilizzazione ed associazione[20]. Il Consiglio europeo ha precisato che ulteriori misure dovranno tenere conto delle discussioni sulla strategia per l’allargamento, del rispetto dei criteri e dei requisiti richiesti per l’adesione da parte dell’ex Repubblica iugoslava di Macedonia nonché della capacità di assorbimento dell’Unione europea.
Al momento non è prevista l’apertura dei negoziati di adesione.
L’8 novembre 2006, nella relazione sui progressi della ex Repubblica iugoslava di Macedonia[21], la Commissione ha rilevato che il paese è sulla strada per soddisfare i criteri politici. Le riforme politiche proseguono benché con ritmo più lento. Importanti sforzi sono stati compiuti per quanto riguarda la riforma del sistema giudiziario e del processo di decentramento. Si richiede tuttavia un maggior impegno per quanto riguarda la lotta alla corruzione, l’indipendenza e la professionalità del settore amministrativo e l’attuazione dell’accordo quadro di Ohrid[22]. Dal punto di vista economico il paese è avviato a diventare un’economia di mercato funzionante. La stabilità macroeconomica è stata incrementata, l’inflazione resta sotto controllo, gli ostacoli nell’accesso al mercato sono stati ridotti. Tuttavia permangono problemi dovuti alla corruzione e alla farraginosità delle procedure amministrative. I mercati finanziario e del lavoro non stanno funzionando correttamente. Per quanto riguarda la legislazione, nonostante i progressi restano da intensificare gli sforzi in aree come agricoltura, sicurezza alimentare, concorrenza, ambiente, giustizia, libertà e sicurezza. Inoltre, il mercato delle telecomunicazioni non è stato ancora liberalizzato e i diritti di proprietà intellettuale non sono adeguatamente protetti.
L’8 novembre 2006, congiuntamente alle relazioni sullo stato di preparazione dei singoli paesi, la Commissione ha presentato il documento di strategia 2006-2007 sull’ampliamento, comprendente una relazione speciale sulla capacità di integrazione dell'Unione[23]. Nel documento la Commissione ribadisce i tre principi su cui si basa la strategia, già espressi lo scorso anno[24]:
· consolidamento degli impegni. Consolidamento significa che l'Unione attua il suo programma di allargamenti rimanendo prudente per quanto riguarda eventuali nuovi impegni, mentre tiene fede a quelli assunti nei confronti dei paesi già coinvolti nel processo;
· rispetto delle condizioni. A tutti i paesi candidati, effettivi o potenziali, vengono applicate condizioni giuste, anche se rigorose. Il passaggio a una fase successiva dipende dai progressi compiuti da ogni paese per soddisfare le condizioni fissate per ciascuna tappa del processo di adesione. Questa impostazione permette di consolidare le riforme e di preparare i nuovi Stati membri a rispettare i loro obblighi al momento dell'adesione;
· migliore comunicazione. Il successo dell'allargamento presuppone un sostegno da parte di tutti i cittadini dell'UE. Gli Stati membri devono assumersi le loro responsabilità per comunicare informazioni esaurienti su questo processo, evidenziando in particolare i vantaggi che ne conseguono per i cittadini dell'UE. La legittimità democratica rimane un fattore essenziale per il processo di adesione dell'UE. Dal canto suo la Commissione intende promuovere una maggiore trasparenza e, a questo fine, raccomanda di rendere pubblici i principali documenti, quali relazioni di screening, parametri di riferimento per l'apertura dei capitoli di negoziato e posizioni comuni finali dell'UE.
Basandosi sull'esperienza acquisita con i precedenti allargamenti, la Commissione propone di migliorare ulteriormente la qualità del processo di adesione adottando le seguenti misure concrete:
· la capacità di integrare paesi specifici sarà valutata in tutte le fasi essenziali del processo di allargamento analizzando, in particolare, l'impatto sulle istituzioni, sul bilancio e sulle politiche dell'UE, segnatamente la politica agricola e le politiche strutturali;
· l'esito del dialogo politico ed economico alimenterà direttamente il processo negoziale;
· si farà un uso più sistematico di parametri di riferimento concreti, in base ai quali saranno decise l'apertura e la chiusura dei negoziati sui singoli capitoli;
· questioni come la riforma giudiziaria, la capacità amministrativa o la lotta contro la corruzione e la criminalità organizzata vanno affrontate nelle prime fasi del processo di adesione.
La relazione speciale costituisce parte integrante del documento di strategia sull'ampliamento del 2006. A seguito della richiesta formulata dal Consiglio europeo del giugno 2006, essa è incentrata sui problemi da affrontare a medio e lungo termine per quanto riguarda la capacità dell'UE di integrare nuovi Stati membri.
Dopo avere fatto una panoramica storica sulla capacità di integrare nuovi membri dimostrata dall’Unione europea nel corso dei precedenti allargamenti, la Commissione delinea un metodo di valutazione della capacità dell'Unione europea in previsione degli allargamenti futuri, alla luce di tre componenti: istituzioni, politiche comunitarie e bilancio.
L'Unione deve garantire l'efficienza e la continuità di funzionamento delle istituzioni comunitarie e dei processi decisionali, come pure il mantenimento del livello di responsabilità corrispondente alle une e agli altri, sia per l'attuale UE a 25 che in vista di un ulteriore allargamento. In considerazione del fatto che Il trattato di Nizza prevede disposizioni per un'UE composta da non più di 27 Stati membri, inclusa quindi l'adesione, tra qualche mese, di Bulgaria e Romania, una nuova configurazione istituzionale dovrebbe aver visto la luce nel momento in cui il prossimo paese candidato avrà presumibilmente ultimato i preparativi per l'adesione.
Un più efficace funzionamento dell'Unione europea è nell'interesse sia dell'Unione allargata che dei potenziali Stati membri per gli anni a venire. Anche con le nuove adesioni, l'Unione deve essere in grado di continuare a garantire lo sviluppo e l'attuazione delle politiche comuni in tutti i settori. L'impatto dell'allargamento sulle politiche comunitarie sarà valutato durante tutte le fasi essenziali del processo. In futuro, i pareri della Commissione sulle domande di adesione di ciascun paese candidato comprenderanno una valutazione dell'impatto dell'adesione del paese interessato sulle politiche dell'UE. Tale valutazione verrà presa in considerazione nel quadro di definizione del mandato per i negoziati di adesione.
L'Unione deve essere in grado di continuare a finanziare le politiche comunitarie in modo sostenibile, perciò l'impatto delle nuove adesioni sul bilancio dell'UE sarà oggetto di una scrupolosa disamina nel corso dell'intero processo dell'allargamento. I pareri della Commissione sulle domande di adesione di ciascun paese candidato forniranno una stima circa il corrispondente impatto sul bilancio comunitario.
Il 13 novembre 2006 la Commissione Affari costituzionali del Parlamento europeo ha approvato una relazione sugli aspetti istituzionali della capacità dell'Unione europea di integrare nuovi stati membri (relatore Alexander STUBB - PPE/DE, Finlandia). La relazione dovrebbe essere esaminata in plenaria nella sessione del 11-14 dicembre 2006.
Nella relazione si propone di sostituire la dizione “capacità di assorbimento” con quella di “capacità di integrazione”, sottolineando che essa non deve essere un nuovo criterio applicabile ai paesi candidati.
La capacità di integrazione dovrebbe comportare: istituzioni europee in grado di funzionare efficacemente; risorse dell’Unione sufficienti per finanziare adeguatamente le sue attività dopo l’allargamento; sviluppo delle politiche dell'Unione europea e conseguimento dei suoi obiettivi politici.
Al fine di assicurare l'adeguato funzionamento dell'Unione e la sua capacità di pervenire a decisioni, qualsiasi allargamento futuro necessiterà delle seguenti riforme istituzionali:
· adozione di un nuovo sistema di voto a maggioranza qualificata in senso al Consiglio;
· estensione degli ambiti di applicazione del voto a maggioranza qualificata e della partecipazione del Parlamento europeo al processo decisionale, in condizioni di parità con il Consiglio;
· modifica del sistema di rotazione delle Presidenze del Consiglio;
· istituzione del Ministro degli affari esteri;
· modifica della composizione della Commissione e potenziamento del ruolo e della legittimità del suo Presidente mediante l’elezione da parte del Parlamento europeo;
· estensione della giurisdizione della Corte di giustizia in tutti gli ambiti di attività dell’Unione, incluso il monitoraggio del rispetto dei diritti umani;
· istituzione di meccanismi per la partecipazione dei Parlamenti nazionali al controllo dell’azione dell’Unione;
· miglioramento delle disposizioni in materia di flessibilità per rispondere alla eventualità che non tutti gli Stati membri siano disposti o in grado di portare avanti determinate politiche allo stesso passo;
· semplificazione della procedura di revisione dei trattati;
· soppressione della “struttura a pilastri” e sua sostituzione con una singola entità dotata di struttura unificata e di personalità giuridica;
· adozione di una clausola che consenta agli Stati membri di ritirarsi dall’Unione europea;
· chiara definizione dei valori su cui si fonda l’Unione europea nonché dei suoi obiettivi;
· chiara definizione delle competenze dell’Unione;
· rafforzamento della trasparenza del processo decisionale dell’Unione, in particolare mediante il controllo pubblico delle attività del Consiglio quando agisce in qualità di ramo dell’autorità legislativa;
· chiara definizione e semplificazione degli strumenti mediante i quali l’Unione esercita le sue competenze.
I futuri allargamenti dell’Unione comporteranno inoltre la necessità di: rivedere il quadro finanziario dell'Unione e il suo sistema di finanziamento; ridefinire le attuali politiche, in modo da adattarle alle nuove sfide in un mondo globalizzato; rafforzare la politica europea di vicinato, al fine di fornire uno strumento adeguato atto a creare relazioni reciprocamente vantaggiose con paesi che avrebbero un "partenariato privilegiato” con l’UE ma nessuna prospettiva di adesione.
La relazione, infine, ribadisce il suo impegno a pervenire a una soluzione costituzionale per l’Unione europea quanto prima possibile e in ogni caso prima delle elezioni europee nel 2009.
Come ribadito in più occasioni dalle istituzioni europee, la prossima fase del processo di allargamento riguarderà i paesi dei Balcani occidentali[25] che, già in occasione del Consiglio europeo tenutosi a Feira il 19 e 20 giugno 2000, sono stati definiti “candidati potenziali all’adesione all’Unione europea”. Tale approccio è stato ribadito da ultimo il 10 e 11 marzo 2006, nel corso del Consiglio affari esteri informale che si è tenuto a Salisburgo e al quale hanno partecipato anche i paesi candidati e potenziali candidati dei Balcani occidentali.
L’impegno dell’Unione europea nei confronti dei Balcani è confermato anche nella strategia per l’allargamento presentata l’8 novembre 2006 (vedi scheda L’allargamento dell’Unione europea), in cui la Commissione segnala l’importanza di una prospettiva europea convincente per il proseguimento del processo di riforma in atto in questi paesi.
Peraltro, nell’ambito delle riforma dell’assistenza esterna, proposta dalla Commissione nel quadro delle nuove prospettive finanziarie 2007-2013, è previsto che i Balcani occidentali beneficino dei finanziamenti dell’UE attraverso lo strumento dedicato all’assistenza preadesione[26].
Attualmente le relazioni tra l’Unione europea e i cinque paesi dei Balcani occidentali si svolgono prevalentemente nel quadro del Processo di stabilizzazione ed associazione (PSA), istituito nel 1999[27]. Il processo è la cornice entro cui diversi strumenti sostengono gli sforzi compiuti da questi paesi nella fase di transizione verso democrazie ed economie di mercato stabili; come già anticipato, nel lungo periodo la prospettiva è quella della piena integrazione nell’Unione europea, sulla base delle previsioni del Trattato sull’Unione europea e dei criteri di Copenaghen.
Lo stato di avanzamento del processo viene costantemente seguito dalla Commissione che, attraverso la pubblicazione di una relazione annuale[28], fornisce indicazioni sui progressi realizzati dai paesi dei Balcani occidentali rispetto alla situazione dell’anno precedente. Tale relazione rappresenta l’indicatore principale per valutare se ciascun paese sia pronto per una relazione più stretta con l’UE.
Le componenti principali del PSA sono quattro: accordi di stabilizzazione ed associazione, elevato livello di assistenza finanziaria, misure commerciali e dimensione regionale.
a) Accordi di stabilizzazione ed associazione
La pietra angolare del PSA è rappresentata dalla conclusione, con ciascun paese della regione, di un accordo di stabilizzazione ed associazione (ASA), basato sul rispetto dei principi democratici e degli elementi fondanti del mercato unico europeo.
L’accordo si prefigge di integrare le economie della regione con quelle dell’UE, attraverso la graduale realizzazione di un’area di libero scambio e l’attuazione delle politiche connesse, tra le quali concorrenza, aiuti di stato, proprietà intellettuale. Per le aree in cui l’accordo non richiede obblighi specifici di adeguamento all’acquis comunitario, sono comunque previste forme di cooperazione e dialoghi specializzati. Gli accordi sono modulati sulle esigenze di ciascun paese, benché l’obiettivo finale sia il medesimo: la piena realizzazione di un’associazione formale con l’UE.
Per ciascun paese, la Commissione è chiamata a valutare l’opportunità di avviare i negoziati per un accordo di stabilizzazione ed associazione sulla base di diversi criteri: il grado di compatibilità con le condizioni poste dal PSA; il funzionamento generale del paese; l’esistenza di una politica commerciale unitaria; i progressi nelle riforme settoriali.
Accordi di stabilizzazione ed associazione sono già in vigore con la Croazia[29] e con la ex Repubblica iugoslava di Macedonia[30]. Albania e Unione europea hanno firmato l’accordo il 12 giugno 2006. I negoziati con la Bosnia Erzegovina, avviati il 25 novembre 2005, sono in corso. I negoziati con la Serbia-Montenegro, avviati il 10 ottobre 2005, sono stati sospesi il 3 maggio 2006 in mancanza di una piena collaborazione con il Tribunale penale internazionale per la ex Iugoslavia. In particolare, si richiede alla Serbia-Montenegro di assicurare alla giustizia il generale Ratko Mladic, tuttora latitante. Si segnala che il 12 giugno 2006, nel corso del Consiglio Affari generali e Relazioni esterne, l’Unione europea e i suoi Stati membri hanno concordato di sviluppare le loro relazioni con la Repubblica di Montenegro, quale Stato sovrano e indipendente, tenendo pienamente conto del risultato del referendum sull’indipendenza del Montenegro e dei successivi atti approvati dai Parlamenti di Serbia e Montenegro. In quella occasione, il Consiglio ha invitato le due parti ad un dialogo costruttivo sulle loro reciproche relazioni ed ha confermato nuovamente la prospettiva europea dei paesi dei Balcani occidentali. Il 24 luglio 2006 il Consiglio ha autorizzato la Commissione a condurre negoziati separati con i due paesi. I negoziati con il Montenegro sono stati avviati il 26 settembre 2006 a Podgorica.
La situazione del Kosovo non consente al momento di negoziare alcun accordo[31].
b) Assistenza finanziaria.
Nell’ambito del processo di stabilizzazione ed associazione, l’assistenza finanziaria dell’UE viene fornita a ciascun paese e a livello regionale attraverso il programma CARDS (Community Assistance for Reconstruction, Development and Stabilisation). Documenti strategici e programmi pluriennali consentono di dirigere il sostegno finanziario verso i settori prioritari nell’ambito dell’accordo di stabilizzazione ed associazione.
Per il periodo 2000-2006 l’UE ha stanziato in favore dei Balcani occidentali circa cinque miliardi di euro[32]. L’assistenza comunitaria, originariamente destinata agli interventi relativi alle infrastrutture e alle misure di stabilizzazione democratica (ivi compresi gli aiuti ai profughi), ha gradualmente spostato l’accento sul potenziamento istituzionale e sulle iniziative in materia di giustizia e affari interni.
c) Misure commerciali.
Nel marzo 2000, il Consiglio europeo ha dichiarato che la conclusione di accordi di stabilizzazione e di associazione con i paesi dei Balcani occidentali doveva essere preceduta da una liberalizzazione asimmetrica degli scambi. Conformemente a questa dichiarazione, il regolamento del Consiglio n. 2007/2000 del 18 settembre 2000 prevede misure commerciali eccezionali, stabilendo che i prodotti originari dei paesi della regione possono essere importati nella Comunità senza restrizioni quantitative e in esenzione dai dazi doganali o da altre imposte di effetto equivalente.
Per beneficiare di tali misure preferenziali i paesi interessati devono rispettare alcune condizioni:
· applicare la definizione comunitaria di “prodotto originario”[33];
· non introdurre altri dazi o imposte equivalenti sulle importazioni originarie della Comunità europea;
· collaborare con l’UE per evitare frodi;
· dare prova di volere realizzare riforme economiche efficaci e di impegnarsi in una cooperazione regionale con gli altri paesi interessati.
d) Dimensione regionale.
Il PSA non è semplicemente un processo bilaterale tra l’UE e ciascun paese della regione. Già in occasione del Vertice UE-Balcani di Zagabria del 2000, le Parti hanno posto una grande enfasi sulla centralità della cooperazione regionale nell’ambito del processo.
In materia di cooperazione regionale, i principali obiettivi della politica dell’UE sono:
· incoraggiare i paesi della regione a sviluppare relazioni reciproche comparabili a quelle esistenti tra gli Stati membri;
· creare una rete di accordi bilaterali di libero scambio, eliminando qualsiasi barriera alla circolazione dei beni nella regione;
· integrare gradualmente i Balcani occidentali nelle reti infrastrutturali della vicina Europa in materia di trasporti, energia, gestione delle frontiere;
· promuovere la collaborazione tra i paesi della regione in materia di crimine organizzato, immigrazione e altre forme di traffico illegale.
Il 27 gennaio 2006, la Commissione ha adottato la comunicazione “I Balcani occidentali sulla strada verso l’UE: consolidare la stabilità e rafforzare la prosperità[34]”, in cui propone di promuovere commercio, sviluppo economico, movimento di persone, istruzione e ricerca, cooperazione regionale e dialogo con la società civile nel Balcani occidentali come parte della strategia europea di integrazione dei popoli della regione. La comunicazione definisce misure concrete per rafforzare la politica dell’UE e gli strumenti a sua disposizione. L’obiettivo è quello di aiutare questi paesi a rafforzare la prospettiva europea, che rappresentaun forte incentivo ad attuare riforme politiche ed economiche e ha favorito la riconciliazione tra i popoli della regione. Nella comunicazione la Commissione sottolinea infatti i progressi compiuti dai paesi della regione negli ultimi tre anni, in particolare in termini di stabilizzazione e riconciliazione, riforma interna e cooperazione regionale.
Per promuovere il commercio, gli investimenti e lo sviluppo economico e sociale, la Commissione propone:
· di concludere rapidamente, possibilmente entro il 2006, un accordo regionale di libero scambio tra i paesi della regione[35];
· di sostenere le iniziative in corso volte a promuovere l’integrazione commerciale regionale, attraverso la riduzione o l’eliminazione degli ostacoli non tariffari e l’armonizzazione delle normative;
· di promuovere l’inclusione e l’integrazione sociale, concentrandosi in particolare sui gruppi vulnerabili e sulle zone più colpite da crisi economiche, sociali ed etniche;
· di creare una zona di “cumulo diagonale dell’origine”[36] tra l’UE e i paesi della regione che hanno concluso con essa accordi di libero scambio (attualmente Croazia e ex Repubblica iugoslava di Macedonia) come prima tappa dell’inclusione della regione nel sistema di cumulo Paneuromediterraneo;
· di prorogare ai Balcani per altri tre anni la Carta europea per le piccole e medie imprese. In questo contesto la Commissione progetta di contribuire al processo con circa 60 milioni di euro nel 2006, nell’ambito del fondo europeo per l’Europa sud-orientale;
· di favorire il rafforzamento della capacità amministrativa e giudiziaria dei paesi dei Balcani occidentali, anche al fine di favorire il rapido allineamento con la legislazione comunitaria;
· di rafforzare, nel quadro della cooperazione regionale, la dimensione parlamentare, attraverso la definizione di una strategia comune per i parlamenti dell’Europa sudorientale;
· di tenere in considerazione gli obiettivi dell’agenda di Lisbona nella politiche dell’UE per la regione.
Tra le altre misure proposte si segnala inoltre che:
· la Commissione intende portare avanti iniziative per facilitare il rilascio dei visti[37]. Verranno attuate misure specifiche per facilitare i viaggi di ricercatori e studenti;
· le iniziative di istruzione destinate a studenti e ricercatori nell’ambito di programmi finanziati dall’UE verranno ulteriormente incrementate;
· una nuova scuola regionale per l’istruzione superiore nella pubblica amministrazione inizierà le attività nel 2006;
· i paesi dei Balcani occidentali saranno incoraggiati ad assumere su di sè maggiori responsabilità nell’ambito della cooperazione regionale;
· il dialogo con la società civile già avviato con i paesi canditati sarà esteso all’intera regione;
· l’UE assicurerà che le priorità della sua politica verso i Balcani siano supportate da strumenti finanziari commisurati.
La comunicazione della Commissione ha costituito la base di discussione della riunione informale del Consiglio di Salisburgo del 10 e 11 marzo 2006. Nella dichiarazione comune adottata a conclusione della riunione, i ministri partecipanti hanno accolto con favore la strategia proposta dalla Commissione ed hanno espresso la comune intenzione di dare sostegno alla sua attuazione.
Il Consiglio europeo del 15 e 16 giugno 2006, nelle sue conclusioni a proposito dei Balcani occidentali:
· ha sottolineato come tutti i paesi della regione abbiano compiuto nello scorso anno passi significativi nel loro cammino verso l'UE;
· ha accolto con favore i progressi iniziali compiuti nell'attuazione della citata comunicazione della Commissione;
· ha ribadito che l'Unione europea continuerà ad assistere i paesi dei Balcani occidentali con misure pratiche per rendere la prospettiva europea più tangibile;
· ha auspicato di pervenire a risultati concreti nel prossimo futuro, in particolare su questioni quali il libero scambio regionale e le agevolazioni per il rilascio dei visti,
· ha salutato con favore l'intenzione della Commissione di ampliare e intensificare la sua cooperazione con la Banca europea per gli investimenti e le altre istituzioni finanziarie internazionali nei Balcani occidentali, al fine di adottare misure adeguate volte all'istituzione di un meccanismo di finanziamento per i Balcani occidentali.
Il partenariato euromediterraneo è stato inaugurato dalla Conferenza di Barcellona del 27 e 28 novembre 1995 che ha riunito i Ministri degli esteri degli Stati membri dell'Unione europea insieme a quelli di Algeria, Egitto, Israele, Giordania, Libano, Marocco, Siria, Tunisia, Turchia e dell'Autorità palestinese[38].
La Conferenza si è conclusa con l'adozione unanime di una Dichiarazione e del relativo programma di lavoro. Tali documenti stabiliscono le finalità ed il funzionamento del partenariato tra l'Unione europea e i paesi terzi del bacino mediterraneo. Tre sono gli obiettivi principali del partenariato:
· la definizione di un’area comune di pace e stabilità, attraverso il rafforzamento della cooperazione politica e di sicurezza;
· la costruzione di un’area di prosperità condivisa attraverso la cooperazione economica e finanziaria e la progressiva creazione di una zona di libero scambio (che dovrebbe concludersi entro il 2010);
· l’avvicinamento tra i popoli attraverso la cooperazione nei settori sociale, culturale e umano, volta ad incoraggiare la comprensione tra le culture e lo scambio tra le società civili.
La Dichiarazione di Barcellona indica inoltre le modalità per il futuro sviluppo del dialogo euromediterraneo, prevedendo i seguiti della Conferenza: una riunione periodica dei ministri degli affari esteri[39] e riunioni tematiche su argomenti specifici di ministri, alti funzionari, esperti e rappresentanti della società civile.
Obiettivo generale dell'iniziativa è quello di fare del bacino del Mediterraneo una zona di dialogo, di scambi e di cooperazione che garantisca la pace, la stabilità e la prosperità.
Il partenariato euromediterraneo si compone di due dimensioni complementari:
· la dimensione regionale. Il dialogo regionale rappresenta uno degli aspetti più innovativi del partenariato coprendo nello stesso tempo temi politici, economi e culturali. La cooperazione regionale ha un considerevole impatto strategico, affrontando problemi che sono comuni a molti paesi del Mediterraneo e enfatizzando le complementarietà nazionali;
· la dimensione bilaterale. L’Unione europea porta avanti diverse iniziative bilaterali con ciascuno dei paesi del partenariato. Lo strumento indispensabile per l’attivazione e l’efficace attuazione della dimensione bilaterale del partenariato è rappresentato dagli accordi bilaterali di associazione[40]. Questi accordi, di durata illimitata, mirano a rafforzare i legami esistenti tra i firmatari, instaurando relazioni fondate sulla reciprocità, la compartecipazione e il co-sviluppo nel rispetto dei principi democratici e dei diritti umani. Gli accordi prevedono l’instaurazione di un dialogo politico regolare; la delimitazione progressiva di una zona di libero scambio in conformità con le disposizioni dell’Organizzazione mondiale del commercio (OMC); disposizioni in materia di libertà di stabilimento, liberalizzazione dei servizi, libera circolazione dei capitali e concorrenza; il rafforzamento della cooperazione economica; una cooperazione sociale completata da una cooperazione culturale; una cooperazione finanziaria per sostenere gli sforzi di riforma richiesti dalla creazione di una zona di libero scambio tra i paesi terzi mediterranei e l’Unione europea.
Nel corso degli anni, il Partenariato euromediterraneo si è dotato di diversi strumenti destinati a facilitare il dialogo e la cooperazione fra le Parti. Si segnalano in particolare:
· l’Assemblea parlamentare euromediterranea istituita, con un ruolo consultivo, in occasione della VI Conferenza ministeriale euromediterranea tenutasi a Napoli il 2 e 3 dicembre 2003. L’Assemblea parlamentare euromediterranea, la cui istituzione è stata proposta dal Parlamento europeo nell’aprile 2002 e successivamente raccomandata dalla Commissione nella comunicazione del 15 ottobre 2003[41], è composta da 240 membri, di cui 120 dei paesi della sponda sud e 120 europei (75 membri di Parlamenti nazionali e 45 del Parlamento europeo). Nel corso della prima sessione dei lavori, tenutasi il 22 e 23 marzo 2004 ad Atene, l’Assemblea ha approvato il regolamento, ha eletto l’Ufficio di Presidenza e ha adottato una dichiarazione finale. Le successive riunioni dell’Assemblea plenaria si sono tenute rispettivamente al Cairo dal 12 al 15 marzo 2005 e a Bruxelles il 27 marzo 2006;
· il Fondo euromediterraneo d’investimento e di partenariato (FEMIP), meglio noto come Euromediterranean Facility, varato il 18 ottobre 2002, con l’incarico di gestire i finanziamenti messi a disposizione dalla Banca europea degli investimenti a favore dei paesi mediterranei, sostenendo l’espansione del settore privato e la nascita di progetti volti a promuovere l’integrazione regionale. Il Consiglio ECOFIN del 25 novembre 2003 ha deciso di svilupparlo ulteriormente, con l’apertura di nuove linee di credito a sostegno del settore privato e dei processi di riforma strutturale;
· la Fondazione euromediterranea, istituita dalla citata Conferenza ministeriale di Napoli per promuovere il dialogo tra civiltà e culture, sulla base dei principi individuati alla Conferenza di Creta, tenutasi il 26 e 27 maggio 2003. La fondazione è stata denominata “Fondazione euromediterranea Anna Lindh per il dialogo fra le culture”, in memoria del ministro degli affari esteri svedese assassinata nel 2003, e ha sede nella biblioteca di Alessandria d’Egitto[42], dove gode della collaborazione dell’Istituto svedese della stessa città egiziana. La riunione inaugurale della Fondazione si è tenuta il 20 aprile 2005.
L’ultima Conferenza dei ministri degli affari esteri euromediterranei[43] si è tenuta a Lussemburgo il 30 e 31 maggio 2005 ed è stata dedicata all’analisi dei risultati e degli sviluppi futuri del processo di Barcellona, con l’obiettivo di preparare la strada alla Conferenza straordinaria di alto livello tenutasi il 27 e 28 novembre 2005. Queste due iniziative rappresentano gli eventi politici rilevanti del 2005, dichiarato anno del Mediterraneo[44].
L’aspetto rilevante della Conferenza è rappresentato dal fatto che, dopo lunghi negoziati, il dibattito è confluito in un documento di conclusioni comuni. Come sottolineato dal Presidente di turno dell’Unione, il lussemburghese Asselborn, è la prima volta che nell’ambito del Processo di Barcellona vengono adottate conclusioni consensuali piuttosto che conclusioni della Presidenza. Secondo Asselborn si tratta di un atout essenziale per l’avvenire del partenariato e la base sulla quale potranno essere costruire le iniziative future.
Nel corso della Conferenza i ministri hanno ripercorso i dieci anni del Partenariato, sulla base delle indicazioni provenienti da diverse fonti, tra le quali le risoluzioni adottate dall’Assemblea parlamentare euromediterranea, un documento predisposto dai partner arabi, i contributi di Euromesco[45], FEMISE[46] e Forum civile. Inoltre i ministri hanno esaminato la comunicazione della Commissione “Decimo anniversario del partenariato – Un programma di lavoro per raccogliere le sfide dei prossimi cinque anni”[47] che, oltre a presentare un resoconto dettagliato dei principali risultati ottenuti dal partenariato, propone iniziative per realizzare progressi concreti in tre ambiti cruciali per il futuro della regione mediterranea: l’istruzione; la crescita economica sostenibile; i diritti umani e la democrazia.
La revisione dei dieci anni del Partenariato operata dai ministri euromediterranei ha disegnato un quadro misto che, a fronte dei molti risultati positivi ottenuti, mostra quanto resta ancora da fare per esprimere tutte le potenzialità del Processo di Barcellona. A questo proposito, il Presidente di turno dell’UE, il lussemburghese Asselborn, intervenuto in chiusura della Conferenza, nel ribadire la centralità dello strumento del partenariato euromediterraneo che si trova oggi in una fase cruciale del suo cammino, ha constatato tuttavia come, dopo dieci anni, gli sforzi compiuti non abbiano prodotto risultati corrispondenti alle attese.
Tra i risultati positivi sono stati segnalati, tra gli altri:
l’istituzione dell’Assemblea europarlamentare che risponde alle esigenze di legittimità democratica rivendicate dalla società civile e rafforza la trasparenza del processo;
l’inaugurazione della Fondazione Anna Lindh che, configurata come “una rete delle reti”, rappresenta una creazione originale, oltre ad essere la prima istituzione comune del processo cofinanziata da tutti i paesi partner;
il Forum civile euromediterraneo che rappresenta una tappa importante nel rafforzamento del ruolo della società civile nel contesto del partenariato;
la firma dell’Accordo di Agadir[48], del 25 febbraio 2004, che istituisce a partire dal 1° gennaio 2006 un’area di libero scambio di tipo sud-sud tra Egitto, Giordania, Marocco e Tunisia[49].
Alla luce dei principali spunti forniti dalla revisione, i ministri hanno definito gli orientamenti per il futuro, individuando le attività che vanno modificate o aggiornate per rilanciare il partenariato nei seguenti settori: pace, sicurezza, stabilità, governance e democrazia; sviluppo sostenibile e riforme[50]; scambi culturali e istruzione; giustizia, sicurezza, migrazione e integrazione sociale. Tra gli orientamenti di carattere generale si segnala che:
· per incrementare prosperità e sicurezza e per garantire una migliore qualità della vita nella regione, i ministri hanno incaricato gli alti funzionari di definire obiettivi concordati sui temi citati;
· si auspica un maggiore coinvolgimento dei paesi partner nei programmi dell’UE e un adeguamento delle risorse finanziarie, che tenga conto dell’importanza annessa ai paesi del bacino sud del Mediterraneo;
· i ministri hanno concordato sulla necessità di migliorare i metodi di lavoro e hanno confermato la prassi di una Conferenza ogni 18 mesi a livello di ministri degli affari esteri e di una conferenza informale intermedia;
· i ministri si prefiggono di incoraggiare le autorità libiche a compiere i passi necessari per aderire al partenariato e di esaminare la richiesta di adesione avanzata dalla Mauritania.
Il 27 e 28 novembre 2005 si è tenuta a Barcellona la Conferenza straordinaria dei Capi di Stato e di Governo del paesi euro-mediterranei per celebrare il decimo anniversario dell’adozione della Dichiarazione di Barcellona che ha istituito il partenariato euromediterraneo.
Il Vertice è stato dedicato ad una riflessione sul processo di Barcellona e ha portato a risultati contrastanti. I partner euromediterranei non sono riusciti ad approvare una dichiarazione su una visione comune, come era nella previsioni, e le conclusioni sono state affidate ad una dichiarazione della Presidenza.
E’ stato invece raggiunto l’accordo su un programma quinquennale di lavoro e su un codice di condotta nella lotta al terrorismo.
Il programma di lavoro, finalizzato all’ulteriore sviluppo del partenariato, consentirà di lavorare in piena sinergia con i piani d‘azione bilaterali sviluppati nel quadro della politica europea di vicinato (cfr. scheda). Nell’adottare il programma di lavoro, i partner hanno concordato su diversi temi, fra i quali: l’istituzione di un fondo per la governance, per sostenere ed accompagnare le riforme politiche; la liberalizzazione del mercato dei servizi e dei prodotti agricoli; la lotta all’immigrazione illegale, aumentando le risorse per l‘istruzione e promuovendo l’uguaglianza di genere; il rafforzamento del ruolo della società civile e il miglioramento dell’interazione tra governi e parlamenti.
Nei primi commenti riportati dalla stampa è stata sottolineata soprattutto l’importanza dell’approvazione del codice di condotta sulla lotta al terrorismo che, sulla base di un accordo tra europei, arabi e israeliani su un’agenda comune, sottolinea per la prima volta il comune impegno della lotta al terrorismo in tutte le sue dimensioni.
In occasione del decimo anniversario del processo di Barcellona, il 20 e 21 novembre 2005 si è tenuta a Rabat una riunione straordinaria dell’Assemblea Parlamentare euromediterranea. I dibattiti sono stati dedicati, oltre che ai temi del processo di Barcellona, all’attuazione del partenariato strategico dell’UE con il Mediterraneo e il Medio Oriente, alla politica di vicinato, all’immigrazione e alle prospettive di integrazione regionale.
A partire dal 1996 l’Unione europea ha sostenuto l’attuazione del partenariato euromediterraneo attraverso il programma MEDA[51], che riunisce in una gestione unitaria il finanziamento delle misure di cooperazione tecnica e finanziaria a favore dei paesi mediterranei. La maggior parte delle risorse MEDA viene erogata ai partner su base bilaterale, il resto (circa il 15% del totale) è destinato ad attività regionali, di cui possono beneficiare tutti i partner.
Per il periodo 2000-2006 il programma MEDA mette a disposizione un importo totale pari a 5,350 milioni di euro. A tali stanziamenti si aggiungono 6,400 miliardi di euro messi a disposizione dalla BEI (Banca europea per gli investimenti). La Banca, inoltre, si è impegnata a fornire un ulteriore importo pari a 1 miliardo di euro, dalle proprie risorse e a proprio rischio in favore di progetti transnazionali.
I settori di intervento della cooperazione bilaterale sono definiti nei programmi indicativi nazionali, elaborati dalla Commissione in consultazione con i singoli paesi. In linea generale, le priorità per l’impiego delle risorse MEDA a livello bilaterale sono:
· sostegno alla transizione economica, allo scopo di preparare la realizzazione dell’area di libero scambio attraverso un incremento di competitività, in particolare per quanto riguarda il settore privato;
· rafforzamento dell’equilibrio socio-economico, allo scopo di alleviare i costi della transizione economica attraverso misure appropriate nel settore della politica sociale.
A livello regionale le priorità della cooperazione sono:
· focus sulle riforme per promuovere armonizzazione e compatibilità tra le legislazioni dei paesi euromediterranei;
· necessità di dialogo avanzato tra le culture, per creare una cornice alle attività di collaborazione e ricerca a tutti i livelli della comunità accademica;
· promozione delle reti di cooperazione tra istituzioni di politica estera, istituti economici di ricerca e autorità municipali e locali[52].
A partire dal 2007, nel quadro delle nuove prospettive finanziarie 2007-2013, l’assistenza ai paesi del partenariato euromediterraneo verrà fornita attraverso uno nuovo strumento, denominato strumento europeo di vicinato e partenariato (anche detto ENPI) destinato alla frontiera esterna dell’UE allargata. Tale strumento sostituirà i programmi geografici e tematici esistenti, compreso il programma MEDA. Una componente specifica e innovativa di questo strumento consiste nella cooperazione transfrontaliera, la quale interesserà regioni degli Stati membri e dei paesi vicini che condividono una frontiera comune. Il regolamento istitutivo del nuovo strumento è stato approvato dal Consiglio del 17 ottobre 2006, a seguito di un accordo raggiunto con il Parlamento europeo in prima lettura. Il nuovo strumento disporrà di una dotazione finanziaria di 11 miliardi di euro per l’intero periodo.
Il 27 ottobre 2005 il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione sul partenariato euromediterraneo nella quale, pur segnalando i risultati positivi ottenuti in questi anni, chiede che l’attuazione della dichiarazione di Barcellona venga adeguata e potenziata. Il PE condivide l’opinione secondo cui, anche se il partenariato non ha ancora realizzato i benefici previsti e non ha contribuito, come avrebbe potuto, all’abbassamento delle tensioni nella regione, esso può essere migliorato e resta dunque il quadro indicato per la politica mediterranea dell’Unione europea.
Tra le questioni considerate cruciali il Parlamento europeo segnala: lo sviluppo della democrazia, che va conseguito con il coinvolgimento della società civile e di tutti i gruppi e movimenti politici che rifiutano l’uso della violenza; una maggiore partecipazione di tutti i partner mediterranei al processo decisionale nel quadro del partenariato; il miglioramento del dialogo culturale e religioso come forma di lotta al terrorismo; una maggiore cooperazione in tema di gestione dei flussi migratori e di inserimento sociale degli immigrati; la promozione della presenza delle donne nei settori economici sociali e culturali così come nella vita politica dei singoli paesi; l’integrazione nel processo di cooperazione economica dei criteri dello sviluppo sostenibile, della coesione sociale e della protezione ambientale; la promozione del rispetto dei diritti umani, utilizzando i diversi strumenti a disposizione, a cominciare dalle clausole di sospensione previste dagli accordi di associazione euromediterranea.
Il Parlamento europeo si rammarica inoltre del fatto che non abbia avuto seguito la proposta, contenuta nella dichiarazione iniziale di Barcellona, di organizzare ogni anno una riunione dei rappresentanti delle città e delle regioni e invita la Commissione a realizzare tale iniziativa per consentire loro il bilancio delle sfide comuni e la condivisione delle esperienze acquisite.
Il Parlamento europeo sottolinea infine che la politica euromediterranea per essere efficace deve essere dotata di un bilancio conforme alle sue ambizioni. Pertanto chiede alla Commissione e agli Stati membri di assicurare che le prossime prospettive finanziarie prevedano un finanziamento sufficiente per il sostegno alla transizione economica dei paesi partner mediterranei e che l’importo finanziario assegnato al nuovo strumento di vicinato e partenariato sia tale da assicurare una certa stabilità e continuità dell’assistenza europea alla regione.
La promozione della democrazia, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali costituisce uno dei principali obiettivi delle politiche esterne dell’UE.
L’Unione europea ha, con tutti i paesi con cui intrattiene relazioni, un dialogo politico con un grado diverso di ufficialità. In molti casi il dialogo sui diritti umani e la democrazia è assicurato dalla clausola sugli “elementi essenziali” che dal 1992 figura in tutti gli accordi conclusi dalla Comunità con i paesi terzi e che si applica attualmente a più di 120 paesi. Qualora l’accordo in vigore non contempli tale clausola, il dialogo politico deve essere improntato alle disposizioni del Trattato relative ai diritti umani e alla democrazia. La clausola sugli “elementi essenziali” stabilisce che il rispetto dei diritti fondamentali e dei principî democratici, sancito nella Dichiarazione universale dei diritti umani, informa le politiche interne ed esterne delle Parti e costituisce un elemento essenziale dell’accordo.
I diritti umani e le libertà fondamentali costituiscono una parte integrante ed essenziale del quadro che disciplina le relazioni tra l’Unione europea e i partner mediterranei, sia nel contesto regionale del partenariato euromediterraneo, sia nell’ambito degli accordi bilaterali di associazione.
Il 21 maggio 2003 la Commissione europea ha adottato la comunicazione[53] “Imprimere un nuovo impulso alle azioni dell’UE coi partner mediterranei nel campo dei diritti umani e della democratizzazione” nella quale esamina la situazione nei paesi partner e propone dieci raccomandazioni concrete per potenziare il dialogo tra l’UE e i suoi partner mediterranei e la cooperazione finanziaria dell’UE nelle questioni relative ai diritti umani. L'esecuzione delle raccomandazioni sarà rafforzata da tre livelli di complementarità:
· tra il dialogo politico e gli aiuti finanziari;
· tra il programma MEDA e gli aiuti nel quadro dell'Iniziativa europea per la democrazia e i diritti umani[54];
· tra la dimensione nazionale e quella regionale.
Le dieci raccomandazioni puntano a:
· potenziare la componente dei diritti umani nei rapporti bilaterali, attraverso l’inclusione sistematica del tema in tutti i dialoghi politici istituzionalizzati con i partner mediterranei, l’istituzione di sottogruppi tecnici; il potenziamento della cooperazione in questioni quali le riforme giuridiche, la libertà di espressione e di associazione e i diritti delle donne;
· rendere più efficaci gli strumenti esistenti, dedicando alla questione dei diritti umani una maggiore attenzione al momento della definizione degli orientamenti della cooperazione e della stesura dei documenti di strategia e dei programmi indicativi a livello regionale e nazionale;
· incrementare la competenza dell’UE, migliorando la documentazione sui settori chiave connessi ai diritti umani di ogni paese mediterraneo, potenziando la cooperazione tra le delegazioni della Commissione e le ambasciate degli Stati membri in tali paesi, organizzando riunioni di esperti e contatti periodici con la società civile;
· introdurre nuovi strumenti, quali piani d'azione nazionali e regionali dedicati al rispetto dei diritti umani ogniqualvolta i paesi partner vogliano sviluppare un'ulteriore cooperazione nel settore. Questi piani potranno focalizzarsi, per esempio, sui diritti delle donne o sulla cooperazione nel campo della giustizia;
· migliorare il quadro generale delle elezioni nei vari paesi della regione, sfruttando le sinergie tra gli strumenti di osservazione e di sostegno elettorale esistenti (dialogo politico, MEDA, Iniziativa europea per la democrazia e i diritti umani).
(a cura del Servizio Rapporti internazionali)
Nel novembre 2005, la Dichiarazione di Barcellona ha dato avvio al Partenariato Euromediterraneo, un accordo politico multilaterale tra l’UE ed i suoi Stati membri ed i Paesi partner della sponda meridionale, dapprima dodici, ora dieci (Algeria, Autorità Palestinese, Egitto, Giordania, Israele, Libano, Marocco, Siria, Tunisia, Turchia) a seguito dell’ingresso nell’UE di Cipro e Malta.
Tra le caratteristiche innovative del Partenariato Euromediterraneo, figura la particolare attenzione rivolta alla dimensione della società civile nel cui ambito il Programma di azione - al punto 5 - include espressamente il dialogo parlamentare.
In un primo tempo, l’iniziativa in tale quadro è stata duplice.
Da un lato, sin dal 1996, i Parlamenti nazionali, su impulso dell’Italia, hanno stabilito di riunire periodicamente i rispettivi Presidenti in una Conferenza che, dopo gli incontri preparatori di Palermo, Atene e Tunisi, è stata per la prima volta convocata ufficialmente a Palma di Maiorca nel marzo 1999. In quell’occasione, è stata adottata una dichiarazione sulla cooperazione parlamentare euromediterranea che, tra l’altro, ha istituito il Forum euromediterraneo delle donne parlamentari, insediatosi a Napoli l’anno successivo. La Camera italiana fa parte del Gruppo di collegamento che prepara i lavori della Conferenza, così come del Comitato di coordinamento del Forum delle donne.
Da un altro lato, il Parlamento europeo ha riunito a Bruxelles dal 1998 il Forum parlamentare euromediterraneo, senza tuttavia mai raggiungere un’intesa sul relativo regolamento, a causa della diversità di vedute con i Parlamenti nazionali circa la sua composizione.
Un punto di svolta si è avuto nella primavera del 2002 con la prima convocazione dello stesso Forum in un luogo diverso da Bruxelles (in Italia, a Bari, presso la Fiera del Levante) e l’idea di trasformarlo in Assemblea parlamentare euromediterranea (APEM). Ne è seguito un processo di riavvicinamento e di negoziato che ha consentito di raggiungere l’accordo sulla composizione del nuovo organo e quindi di deliberare la suddetta trasformazione in una sessione straordinaria tenutasi a Napoli il giorno prima della Conferenza dei Ministri degli Esteri del Partenariato che ha riconosciuto la nuova Assemblea come istituzione del Partenariato stesso (2-3 dicembre 2003). La vicenda si è poi conclusa sotto la presidenza italiana dell’UE, di cui ha rappresentato una priorità.
La costituzione dell’APEM non ha alterato la realtà della Conferenza dei Presidenti dei Parlamenti euro-mediterranei che ha proseguito a riunirsi.
Per completezza, si rammenta infine che in seno all’Unione interparlamentare è maturata l’iniziativa di un’Assemblea parlamentare del Mediterraneo (PAM) come evoluzione della Conferenza per la sicurezza e la cooperazione mediterranea (CSCM), per la cui sede vi è stata la candidatura maltese.
L’Assemblea parlamentare euro-mediterranea (APEM), costituisce l’istituzione più recente del Processo di Barcellona che, secondo quanto stabilito dal punto V del Programma di lavoro annesso alla Dichiarazione, prevedeva l’istituzione di un dialogo parlamentare permanente tra i Parlamenti delle due sponde del Mediterraneo.
Il 22 e 23 marzo 2004 si è svolta a Vouliagmeni (Atene) la Sessione costituente dell’Assemblea Parlamentare Euro-Mediterranea (APEM), formalmente istituita in seguito alla deliberazione della VI Conferenza ministeriale euromediterranea, riunitasi a Napoli il 2 e 3 dicembre 2003, che ha accolto favorevolmente la raccomandazione adottata dal V Forum Parlamentare euromediterraneo, ivi svoltosi il giorno prima, circa la trasformazione del Forum in Assemblea, indicandone altresì composizione e funzioni.
Hanno partecipato ai lavori rappresentanti ufficiali dei Parlamenti dei Paesi membri dell’UE, dei dodici Paesi partner del Mediterraneo e del Parlamento europeo. Hanno inoltre assistito, come invitati speciali della Presidenza, parlamentari dei Paesi candidati all’adesione e dei Paesi balcanici, oltre a rappresentanti della Libia e della Mauritania. Erano presenti inoltre rappresentanti di organizzazioni e assemblee internazionali e un esponente del Governo ellenico.
L’Assemblea, composta da 120 parlamentari dei Paesi partner mediterranei e da altrettanti parlamentari europei (di cui 75 membri dei Parlamenti nazionali e 45 membri del Parlamento europeo) ha proceduto all’approvazione del Regolamento interno[55], all’elezione dei suoi organi e all’individuazione dei metodi di lavoro e delle priorità delle tre commissioni in cui si articola (Commissione politica, di sicurezza e dei diritti umani, Commissione economica, finanziaria, per gli affari sociali e l’istruzione e Commissione per la promozione della qualità della vita, degli scambi umani e della cultura).
L’Assemblea ha altresì designato i quattro membri dell’Ufficio di Presidenza che eserciteranno, rispettivamente la Presidenza per un periodo di un anno: il Presidente dell’Assemblea del Popolo d’Egitto, Fathi Sorour (marzo 2004-marzo 2005); il Presidente del Parlamento europeo, Josepp Borrell (marzo 2005-marzo 2006); il Presidente della Camera dei Deputati della Tunisia, Fouad Mebazaâ(marzo 2006-marzo 2007) e il Presidente del Parlamento ellenico, Anna Benaki-Psarouda (marzo 2007-marzo 2008).
In tale occasione è stata inoltre stabilita la composizione degli Uffici di Presidenza delle tre commissioni, secondo il seguente schema:
Commissione |
Presidente |
Vice Presidente |
Vice Presidente |
Vice Presidente |
Politica |
PE |
Israele |
Spagna |
Palestina |
Economica |
Giordania |
Irlanda |
Turchia |
PE |
Cultura |
Italia |
Marocco |
Malta |
Algeria |
Da allora la Plenaria è tornata a riunirsi tre volte, al Cairo, nel marzo 2005, e a Rabat, nel mese dinovembre 2005, in una Sessione straordinaria indetta per celebrare il decennale della Dichiarazione di Barcellona, ed a Bruxelles il 26 e 27 marzo 2006, adottando in ciascuna occasione una Dichiarazione finale che riunisce il lavoro svolto dalle tre commissioni permanenti. La prossima Plenaria si terrà a Tunisi nel mese di marzo 2007.
Il 21 e 22 settembre 2004 ha avuto luogo la riunione istitutiva delle tre commissioni permanenti in cui si articola l’Assemblea Parlamentare Euro-Mediterranea. Si è proceduto alla costituzione degli Uffici di Presidenza.
COMMISSIONE |
PRESIDENTE |
VICE PRESIDENTI |
Commissione politica e di sicurezza |
Tokia Saïfi (PE) |
Ziad Abu Zayyad, (Palestina), Josep Duran i Lleida (Spagna), Majalli Whbee (Israele) |
Commissione economica e finanziaria |
Hashem Ad-Dabbas (Giordania) |
Jamila Madeira (PE), Oguz Oyan (Turchia), Michael Mulcahy (Irlanda) |
Commissione per la promozione della qualità della vita, gli scambi nell’ambito della società civile e la cultura |
Mario Greco (Italia), per la XIV legislatura Tana de Zulueta (Italia), per la XV legislatura |
Mohamed Mansouri (Marocco), Mario Galea (Malta), Miloud Chorfi (Algeria) |
Le Commissioni, oltre alle riunioni realizzate nel corso delle Plenarie, si riuniscono con cadenza periodica (tre - quattro volte all’anno).
Nella riunione dell’Ufficio di Presidenza dell’APEM del 6 febbraio 2006 il Presidente di turno Borrell (PE) ha poi proposto che, per quello che riguarda la struttura delle Commissioni permanenti, si conservi per altri due anni la medesima ripartizione delle cariche. La proposta è stata accettata dall’Ufficio di Presidenza, con la raccomandazione ai Parlamenti nazionali di cercare, per quanto possibile, di assicurare la continuità anche dei rappresentanti.
Per quanto riguarda in particolare la Commissione per la promozione della qualità della vita, gli scambi nell’ambito della società civile e la cultura, la cui presidenza spetta al Parlamento italiano,si ricorda al Sen. Mario Greco è subentrata – per la XV legislatura - l’on. Tana de Zulueta (Verdi), che rivestirà quindi tale incarico fino al 2008.
La prima riunione della Commissione Cultura ospitata dalla Camera dei deputati ha quindi avuto luogo a Roma, il 6 novembre 2006, ed ha riguardato i seguenti temi: le iniziative per porre le basi di una cultura euro-mediterranea, ivi inclusi gli scambi tra studenti e la società dell’informazione; le esperienze di politiche di integrazione degli immigrati nelle amministrazioni locali; la tutela dell’ambiente marino anche alla luce della recente emergenza ambientale in Libano.
Si ricorda infine che, in considerazione dei più recenti eventi connessi alla questione libanese, alla riunione della Commissione Politica del 31 agosto 2006 si è convenuto che una delegazione dell’APEM costituita ad hoc svolga missioni in Libano, Israele e territori palestinesi.
In occasione della riunione dell’Ufficio di Presidenza dell’APEM del 24 maggio 2005, sulla base delle indicazioni emerse nel corso della riunione plenaria del 15 marzo 2005, è stato deciso di costituire sei gruppi di lavoro, facenti capo alla Commissione competente per materia, composti da venti membri, e ripartiti in modo da rispecchiare l'equilibrio tra le componenti dell'APEM (10 membri dei PPM, 6 dei PN e 4 del PE) sui seguenti temi:
Gruppo di lavoro |
Presidenza e Vice Presidenza |
Commissione di riferimento |
Pace e sicurezza in Medio Oriente[56] |
Adbelwahad Radi (Marocco)
|
Commissione politica
|
Problemi delle mine terrestri |
ABOU EL ENEIN (Egitto), |
Commissione politica |
Trasformazione della FEMIP in Banca Mediterranea |
Abderrahmane BOUHRIZI, (Tunisia) |
Commissione economica |
Adattamento del Regolamento APEM |
Edward McMILLAN SCOTT (Parlamento europeo); |
Bureau + Presidenti Commissioni |
Prevenzione catastrofi naturali ed ecologiche |
Antonios TRAKATELLIS (Parlamento europeo) |
Commissione cultura |
Rapporti dell'APEM con la Fondazione Anna Lindh |
Bernard DEFLESSELLES, Francia
|
Commissione cultura |
I Gruppi di lavoro hanno ormai quasi tutti concluso la propria attività, presentando un documento conclusivo. Solo il Gruppo di lavoro sul regolamento ed il finanziamento dell’APEM proseguirà i propri lavori fino alla primavera del 2006.
Si è infine proceduto all'istituzione di una Commissione ad hoc sui diritti della donna nella regione mediterranea, composta da quaranta membri (20 dei PPM, 12 dei PN e 8 del PE) a presidenza polacca e con tre Vice presidenti, analogamente alle tre Commissioni permanenti. La Commissione è composta interamente o in larghissima parte da donne. Tale Commissione è stata incaricata dal Bureau dell’Assemblea del 6 febbraio 2006 di esaminare le possibilità di collegarsi con l’esperienza positiva del Forum euro-mediterraneo delle donne parlamentari, istituito a Napoli nel marzo 2000. La Commissione ha già svolto una serie di riunioni su diversi argomenti.
La prossima riunione è prevista a Il Cairo per il 20 e 21 novembre 2006.
La Conferenza dei Presidenti dei Parlamenti euromediterranei rappresenta la prima iniziativa della dimensione parlamentare del "processo di Barcellona" (1995), in quanto è stata avviata sin dal 1996 per iniziativa del Parlamento italiano. Vi partecipano i Presidenti dei Parlamenti dei 25 Paesi dell’Unione europea e dei 10 Paesi del bacino del Mediterraneo (Algeria, Autorità Nazionale Palestinese, Cipro, Egitto, Giordania, Israele, Libano, Malta, Marocco, Siria, Tunisia, Turchia).
La prima riunione ufficiale ha avuto luogo a Palma di Maiorca (1999), alla cui conclusione è stata adottata la Dichiarazione sulla cooperazione parlamentare euromediterranea con l’obiettivo di intensificare il dialogo, migliorare la comprensione reciproca dei popoli e contribuire alla stabilità politica e alla pace nella regione. Al termine della II Conferenza svoltasi ad Alessandria d’Egitto (2000), è stata adottata una Dichiarazione finale nella quale si sottolinea l’esigenza di rilanciare il processo di Barcellona anche in virtù del ruolo che i Parlamenti vi possono svolgere.
All’interno della Conferenza opera un Gruppo di collegamento con lo scopo di assicurare un coordinamento permanente delle iniziative comuni, nonché di preparare le sessioni plenarie annuali. Il Gruppo di collegamento è formato dai Presidenti dell’Assemblea del Popolo della Repubblica Araba d’Egitto, del Congresso dei deputati del Regno di Spagna, dall’Assemblea nazionale della Repubblica di Tunisia e della Camera dei deputati italiana, in modo tale che vi sia una rappresentanza paritaria tra i Parlamenti degli Stati membri dell’Unione e quelli dei Paesi della sponda meridionale del Mediterraneo. Il Gruppo è stato integrato, a seguito di una delibera della II Conferenza di Alessandria (maggio 2000) con il Presidente del Parlamento europeo e, per analogia, con il Presidente dell'Unione Interparlamentare Araba. Il Gruppo è altresì integrato dal Presidente del Parlamento che ospita la Conferenza.
La III Conferenza dei Presidenti ha avuto luogo ad Atene dal 16 al 18 febbraio 2002 ed è stata dedicata al tema: “Le Istituzioni Parlamentari e il Dialogo Euromediterraneo”. La Conferenza si è conclusa con l'adozione di una Dichiarazione finale, in cui si esprime particolare preoccupazione per la crisi medio-orientale e si appoggia l'iniziativa della visita dei Presidenti dei Parlamenti europei a Ramallah, in occasione dell'auspicata visita al Consiglio legislativo palestinese del Presidente della Knesset israeliana.
Il 20 e 21 febbraio 2004 si è riunita a Malta la IV Conferenza dei Presidenti dei Parlamenti euromediterranei, a cui sono stati invitati anche i Presidenti dei Parlamenti dell’Unione europea che, a partire dal 1° maggio, sono stati ammessi come membri a pieno diritto della Conferenza. La Conferenza si è articolata su due temi principali di discussione: 1) bilancio delle Conferenze ministeriali euromediterranee di Valencia, Creta; 2) dialogo parlamentare nell’ambito dello spazio euromediterraneo.
In occasione delle celebrazioni del 10° anniversario della Dichiarazione di Barcellona, adottata nel quadro della Conferenza celebrata a Barcellona il 27 e 28 novembre 2005, i Presidenti del Parlamento spagnolo, Francisco Javier Rojo, Presidente del Senato, e Manuel Marín, Presidente del Congresso, hanno deciso di convocare, il 25 e 26 novembre 2005, a Barcellona, la Conferenza dei Presidenti dei Parlamenti euromediterranei. La Conferenza è stata dedicata al bilancio dei dieci anni di partenariato in ciascuno dei volet in cui è articolata la cooperazione (politico, economico e culturale). In tale ambito, il Presidente della Camera, Pier Ferdinando Casini, ha tenuto una relazione sui risultati e sulle prospettive delle a cooperazione euro-mediterranea in ambito politico ed economico. La Conferenza si è conclusa con la presentazione di conclusioni della Presidenza.
Il Forum euromediterraneo delle donne parlamentari - previsto dalla Dichiarazione sulla cooperazione parlamentare euromediterranea, adottata a Palma di Maiorca, il 7 e 8 marzo 1999, dalla Conferenza dei Presidenti dei Parlamenti dei Paesi firmatari della Dichiarazione di Barcellona sul Partenariato euromediterraneo – è stato costituito a Napoli nella prima riunione del 7 e 8 marzo 2000. La Carta istitutiva sancisce l'impegno, tra l'altro, a vigilare sull'attuazione delle convenzioni e dei piani d'azione internazionali diretti a garantire i diritti delle donne, a favorire la partecipazione delle donne alla politica, oltre che a promuovere iniziative per l'affermazione del principio di pari opportunità tra donne e uomini nelle legislazioni nazionali e nei programmi di governo.
Il Forum riunisce annualmente le donne parlamentari dei Paesi aderenti al Partenariato, oltre a una delegazione del Parlamento europeo, per discutere temi di interesse politico, economico e sociale rientranti negli obiettivi del Processo di Barcellona. Ciascuna delegazione è formata da quattro donne parlamentari.
Un Comitato di Coordinamento - di cui fa parte l’Italia insieme a Egitto, Marocco, Regno Unito, Spagna, Tunisia e Parlamento europeo, nonché il Paese che detiene la presidenza di turno - stabilisce l’ordine del giorno della riunione annuale e diffonde i relativi documenti di lavoro.
Il Forum è tornato a riunirsi nell’arco della XIV legislatura tre volte: a Malta il 2 e 3 marzo 2001, a Madrid il 17 e 18 ottobre 2002 e ad Amman il 20 e 21 ottobre 2003.
In tali occasioni sono stati affrontati i temi della globalizzazione e dei suoi effetti sulla condizione femminile, sotto i profili del potere economico e dell’accesso all’informazione e alla cultura (Malta); istruzione ed eguaglianza, violenza sulle donne e tratta degli esseri umani (Madrid); donne e i conflitti armati e loro ruolo a sostegno della pace, nella prevenzione dei conflitti e nella fase della ricostruzione e dello sviluppo (Amman).
I lavori del Forum si sono conclusi con l’adozione di una Dichiarazione, in cui le delegate condannano ogni forma di violenza perpetrata contro le donne in occasione dei conflitti e ne auspicano un maggior ruolo nelle trattative sul disarmo, nell’elaborazione dei piani per la ricostruzione postbellica, nei governi di transizione. Le donne devono anche essere partecipi delle Istituzioni legislative che elaborano le Carte costituzionali e le leggi fondamentali in materia di diritti civili e politici, amministrazione della giustizia, tutela della dignità di donne e bambini, garanzie di pari opportunità nell’accesso delle donne al lavoro e alle professioni.
Secondo quanto deciso in occasione del III Forum, la Francia si è assunta l’onere di convocare la riunione successiva. Tuttavia la convocazione di tale riunione ha subito uno slittamento, dopo la decisione dell’Assemblea Parlamentare euro-mediterranea di creare un Commissione ad hoc sui diritti delle donne nei Paesi mediterranei. Il 25 settembre 2005, si è riunito a Parigi il Comitato di coordinamento del Forum per discutere di eventuali modalità di coordinamento delle due iniziative.
Si rammenta al riguardo che la Commissione ad hoc ha una composizione diversa rispetto al Forum euromediterraneo delle donne parlamentari (non sono infatti rappresentati tutti i Paesi che partecipano al dialogo euromediterraneo e ha una composizione prevalentemente ma non esclusivamente femminile). Per tale motivo è stato deciso, al fine di assicurare un coordinamento tra le due iniziative, che una rappresentanza del Forum sarà invitata a partecipare regolarmente alle riunioni della Commissione.
La cooperazione tra i Paesi delle due sponde del Mediterraneo occidentale, che nasce a livello governativo, ha preso le mosse a Roma nell’ottobre 1990 e si è inizialmente definita ad Algeri nella forma del Dialogo 5+5 (ottobre 1991), con la partecipazione da un lato di Italia, Francia, Spagna, Portogallo e Malta e dall’altro di Algeria, Tunisia, Marocco, Libia e Mauritania (i cinque Paesi appartenenti all’Unione del Maghreb Arabo – UMA). Dopo il congelamento quasi decennale dovuto alle sanzioni imposte dall’ONU alla Libia, l’esercizio si è riattivato nel gennaio 2001 con la Conferenza Ministeriale di Lisbona, cui ha fatto seguito quella di Tripoli del maggio 2002. La Tunisia ha quindi ospitato il primo Vertice dei Capi di Stato e di Governo il 5 dicembre 2003.
Dal 24 al 25 febbraio 2003 si è svolta in Libia la prima riunione dei Presidenti dei Parlamenti dei Paesi del Mediterraneo Occidentale (Dialogo 5 + 5). La riunione ha rivestito un indubbio valore politico per il solo fatto di essersi tenuta in una fase internazionale delicata e di avvenire su invito libico. Si rammenta che la Libia ha ritirato la sua candidatura all’adesione al Partenariato Euromediterraneo (“processo di Barcellona”), che pure l’Italia aveva a suo tempo sostenuto, e non ha mai partecipato, pur essendo sempre stata invitata in qualità di osservatore, alle diverse sedi della cooperazione parlamentare euromediterranea (a differenza della Mauritania).
A conclusione della riunione è stata approvata una Dichiarazione finale nella quale è stato ribadito il concetto di responsabilità condivisa della pace e della sicurezza nella regione, e quindi la necessità di sviluppare ulteriormente la cooperazione economica, culturale e sociale tra gli Stati del Dialogo 5+5.
E’ stato altresì deciso che le riunioni avvengano con cadenza annuale.
La II riunione, svoltasi quindi a Parigi, il 7 dicembre 2004, ha fatto registrare un clima di collaborazione per affrontare i problemi legati all’immigrazione clandestina: in particolare i Paesi della sponda sud hanno espresso la loro preoccupazione per un fenomeno che, allo stato attuale, non sono in grado di fronteggiare da soli e a cui occorre dare una risposta globale, non solo in termini di repressione, ma in termini di sviluppo al fine di rendere meno drammatico lo squilibrio tra i Paesi della riva sud e quelli della riva nord.
La III riunione dei Presidenti delle Assemblee parlamentari dei Paesi del Mediterraneo Occidentale, si terrà a Rabat dal 22 al 24 novembre 2006 sul tema “le sfide del Mediterraneo”.
L’iniziativa, avviata a Roma nel novembre 1999, ha sviluppato la dimensione culturale delle relazioni internazionali nel quadro della proclamazione del 2001 quale Anno del Dialogo tra le civiltà da parte dell’Assemblea generale dell’ONU. La Camera dei deputati ne è stata promotrice insieme al Parlamento ellenico, all’Assemblea popolare egiziana ed all’Assemblea consultiva islamica iraniana. Ciascun Parlamento partecipante si è assunto l’onere di ospitare un incontro quadrilaterale.
Nella XIII legislatura hanno avuto luogo i primi tre incontri, in Italia, Iran ed Egitto. Il primo incontro è stato organizzato dalla Camera dei deputati a Napoli dal 12 al 14 maggio 2000 sul tema "Il Mediterraneo: il mare che unisce". Il secondo incontro è stato organizzato dall'Assemblea consultiva islamica della Repubblica Islamica dell'Iran a Teheran dal 26 al 27 novembre 2000 sul tema "Il Millennio della comprensione e della convergenza. Dialogo tra le civiltà orientali ed occidentali". Il terzo incontro è stato organizzato dall'Assemblea del popolo della Repubblica araba d'Egitto al Cairo dal 23 al 24 gennaio 2001 ed ha visto la riunione delle delegazioni delle Commissioni competenti in materia culturale delle quattro Assemblee parlamentari.
Nella XIV legislatura si è svolto l’incontro conclusivo dell’iniziativa, che si è tenuto ad Atene il 18 febbraio 2002, a margine della Conferenza dei Presidenti dei Parlamenti euromediterranei.
L'incontro – cui hanno partecipato i Presidenti, o Vice Presidenti, dei Parlamenti dei quattro Paesi promotori – è stato dedicato al ruolo delle istituzioni rappresentative nel dialogo tra le civiltà quali luoghi di elaborazione della cultura politica democratica. A conclusione della riunione, i rappresentanti delle quattro Assemblee hanno siglato una Dichiarazione finale, in cui si riaffermano i valori del dialogo tra le civiltà, si apprezzano i risultati conseguiti e si delinea il prosieguo dell'iniziativa invitando, pertanto, le rispettive Commissioni parlamentari competenti in materia culturale a riunirsi per portare avanti il dialogo. All’incontro era presente in rappresentanza della Camera dei deputati, il Vice Presidente Alfredo Biondi.
A partire dal 1992, l’Unione interparlamentare ha deciso di avviare un più intenso dialogo nell’ambito del Mediterraneo ed ha fatto propria l’idea di una Conferenza interparlamentare per la sicurezza e la cooperazione nel Mediterraneo[57].
A seguito delle evoluzioni di tale idea si è giunti alla Sessione inaugurale dell’Assemblea parlamentare del Mediterraneo (PAM), svoltasi ad Amman il 10 e 11 settembre 2006 ed organizzata nell’ambito dell’Unione interparlamentare. In tale sede sono stati quindi adottati i documenti statutari fondamentali dell’Assemblea è stato eletto Presidente della PAM Abdelwahed RADI (Presidente della Camera dei rappresentanti del Marocco), sono stati individuati i Paesi i cui rappresentanti svolgeranno le funzioni di Vicepresidenti e di Presidenti di Commissione. La sede del Segretariato esecutivo dell’Assemblea sarebbe inoltre stata individuata a Malta[58].
Si registra quindi un’evoluzione che conferisce alla nuova Assemblea una propria configurazione autonoma, come istituzione esterna all’Unione interparlamentare, dotata di un proprio Statuto e di un meccanismo di finanziamento direttamente a carico dei Parlamenti nazionali.
A differenza dell’APEM, che raccoglie tutti i Paesi aderenti al Processo di Barcellona (e, quindi, i venticinque paesi dell’Unione europea e i dieci Paesi della sponda sud del Mediterraneo, oltre al Parlamento europeo), della PAM fanno parte solo i Parlamenti dei Paesi rivieraschi mediterranei, la Giordania, l’ex Repubblica iugoslava di Macedonia e il Portogallo; non ne fa parte invece il Parlamento europeo. La delegazione italiana risulta aver dato l’adesione del Parlamento italiano all’iniziativa. Si segnala invece che la delegazione spagnola non ha partecipato alla riunione di Amman e che il Congresso spagnolo non intende aderire alla nuova Assemblea.
Giova quindi ricordare come la prospettiva dell’istituzione della PAM ha suscitato talune perplessità e contrarietà nell’ambito dell’Assemblea parlamentare euro-mediterranea (APEM). Ciò in particolare da parte di alcune componenti dell’APEM, tra cui il Parlamento europeo, evidenziando il rischio di una duplicazione tra i due organismi.
In particolare, il Presidente del Parlamento europeo, Josep Borrell Fontelles, ha scritto ai Presidenti dei Parlamenti dei Paesi del processo CSCM chiedendo loro di riconsiderare la creazione dell’Assemblea del Mediterraneo. Successivamente, come convenuto al termine della riunione del 6 febbraio 2006 dell’Ufficio di Presidenza dell’APEM, il Presidente di turno (Parlamento europeo) ha scritto una lettera al Presidente della UIP, Pier Ferdinando Casini, per chiedere maggiori informazioni sulla nuova struttura. Infine, la questione è stata nuovamente sollevata il 6 maggio 2006 nel corso di una riunione dell’Ufficio di presidenza dell’APEM in cui il Presidente Borrell ha fatto presente di non avere al momento ricevuto alcuna risposta da parte del Presidente dell’UIP e si è quindi convenuto sull’opportunità che il Presidente Mebazaâ, in qualità di Presidente di turno dell’APEM, inviasse una nuova lettera al Presidente Casini riprendendo i termini della questione e ribadendo la richiesta di chiarimenti.
Al riguardo si ricorda che, anche da parte dei Presidenti della Camera e del Senato era stata espressa condivisione – rispondendo, il 28 giugno 2005, alla lettera del Presidente del Parlamento europeo, Josep Borrell – in ordine all’esigenza di evitare confusioni e sovrapposizione nelle iniziative finalizzate a valorizzare il dialogo politico-parlamentare dell’area euro-mediterranea, anche per quanto attiene ai relativi costi in termini finanziari ed al dispendio di energie parlamentari. E’ stata quindi sottolineata la grande importanza attribuita dal Parlamento italiano all’APEM, volta proprio ad una razionalizzazione del dialogo politico-parlamentare dell’area. Tali preoccupazioni erano state quindi portate a conoscenza del Presidente del Gruppo italiano dell’Unione interparlamentare, On. Martino, già dal marzo 2004.
Per quanto concerne il finanziamento della PAM i 24 paesi aderenti si impegnarono, nella riunione di Nafpilon del 2005, per un bilancio iniziale di 280.000[59] franchi svizzeri (pari a 176.855 euro). Per l’Italia sarebbe prevista – come per la Francia – una quota pari al 15 per cento del totale (quindi circa 26.000 euro annui), avendo proposto di seguire la percentuale di contributo attualmente vigente per l’UIP. La ripartizione è comunque in corso di revisione anche alla luce della partecipazione di Serbia, Montenegro e Autorità palestinese.
La “politica europea di vicinato” (PEV) si rivolge ai nuovi Stati indipendenti[60], ai paesi del Mediterraneo meridionale[61] e agli Stati del Caucaso[62]. L’obiettivo è quello di prevenire l’emergere di nuove linee di divisione tra l’Unione europea allargata e i suoi vicini, condividendo con questi ultimi i benefici dell’allargamento e consentendo loro di partecipare alle diverse attività dell’UE, attraverso una cooperazione politica, economica e culturale rafforzata.
La politica europea di vicinato, nettamente distinta dalla questione della potenziale adesione all’UE, propone un nuovo approccio nei confronti dei paesi interessati: in cambio dei progressi concreti compiuti in termini di riconoscimento dei valori comuni e di attuazione effettiva di riforme politiche, economiche e istituzionali, si riconosce loro una partecipazione al mercato interno dell’UE, nonché un’ulteriore integrazione e liberalizzazione per favorire la libera circolazione di persone, merci, servizi e capitali.
Inaugurata dalla Commissione con una comunicazione[63] presentata l’11 marzo 2003, l’iniziativa è stata rafforzata e precisata con due successive comunicazioni del 1° luglio 2003[64] e del 12 maggio 2004[65], con la creazione di una task-force per l’Europa ampliata e con i suggerimenti avanzati dalle altre istituzioni comunitarie. In particolare, la comunicazione del 12 maggio 2004, che fissa principi, metodologie, ambiti geografici e temi della cooperazione regionale, rappresenta un importante passo in avanti nella definizione delle azioni concrete che l’UE intende mettere in campo per realizzare la politica di vicinato. Si segnalano in particolare:
· l’istituzione, per il periodo 2004-2006, di programmi di vicinato volti a garantire la sicurezza delle frontiere esterne, a rafforzare la cooperazione transfrontaliera su temi comuni (ambiente, salute pubblica, lotta alla criminalità organizzata) e a favorire l’integrazione nello spazio europeo della ricerca e nei settori delle reti di trasporto, delle telecomunicazioni e dell’energia. Tali programmi saranno finanziati con un importo globale di 955 milioni di euro, nell’ambito degli strumenti finanziari esistenti;
· a partire dal 2007, nel quadro delle prospettive finanziarie 2007-2013, l’adozione di un unico strumento finanziario[66] (Strumento europeo di vicinato e partenariato), in sostituzione dei diversi programmi attualmente esistenti, destinato alla frontiera esterna dell’UE allargata. Una componente specifica e innovativa di questo strumento consiste nella cooperazione transfrontaliera, la quale interesserà regioni degli Stati membri e dei paesi vicini che condividono una frontiera comune;
· la pubblicazione di country reports che danno conto dei progressi compiuti da ciascun paese nell’attuazione degli accordi bilaterali[67] e delle relative riforme. Tali documenti riflettono la situazione politica, economica, sociale e istituzionale nei diversi paesi e forniscono un punto di partenza per lo sviluppo delle relazioni future;
· la predisposizione di piani d’azione per ciascuno dei paesi interessati[68]. Si tratta di strumenti considerati cruciali dalla Commissione nel processo di avvicinamento all’Unione, che non sostituiscono gli accordi di associazione o di cooperazione vigenti ma si avvalgono dell’esperienza acquisita nella loro attuazione. I piani d’azione saranno differenziati, per riflettere lo stato delle relazioni di ciascun paese con l’UE, le sue necessità e capacità, nonché gli interessi comuni, e definiranno il percorso da seguire nei prossimi 3-5 anni.
In linea generale, tali strumenti offrono assistenza per allineare la legislazione nazionale a quella comunitaria con l’obiettivo di migliorare l’accesso al mercato interno; consentono la partecipazione a numerosi programmi comunitari, fra cui quelli in materia di istruzione, ricerca, ambiente e audiovisivi; accrescono la cooperazione in materia di gestione delle frontiere, di migrazione, di tratta di esseri umani, di crimine organizzato, di riciclaggio di denaro e di crimini finanziari ed economici; migliorano i collegamenti con l’UE in materia di energia, trasporti e tecnologie dell’informazione; estendono il dialogo e la cooperazione ai temi della lotta al terrorismo, della non proliferazione delle armi di distruzione di massa e della gestione dei conflitti regionali. La loro attuazione verrà monitorata su base regolare e i piani d’azione potranno essere conseguentemente adeguati.I primi sette piani d’azione (Autorità palestinese, Giordania, Israele, Marocco, Moldova, Tunisia e Ucraina), presentati dalla Commissione il 9 dicembre 2004, sono stati approvati dal Consiglio nella riunione del 13 e 14 dicembre 2004. Il 21 novembre 2006 sono stati adottati i piani d’azione per Armenia, Azerbaigian e Georgia. Per quanto riguarda il Libano, il 5 luglio 2006 la Commissione ha presentato al Consiglio la proposta di piano d’azione che è in attesa di approvazione[69]. Sono ancora in corso i lavori congiunti per allestire il piano d’azione per l’Egitto.
Il 24 novembre 2005 la Commissione ha esaminato un documento di lavoro presentato dal commissario europeo per le relazioni esterne e la politica di vicinato, Benita Ferrero-Waldner[70], nel quale sono indicate le priorità della Commissione per gli anni 2006-2007. Tra esse si segnalano:
· il completamento dei cinque nuovi piani d’azione;
· la preparazione del country report per l’Algeria;
· l’apertura di programmi ed agenzie europee ai paesi partner;
· nell’ambito delle nuove prospettive finanziare, un finanziamento della politica europea di vicinato adeguato alle sue ambizioni;
· l’avvio di un periodo di riflessione sulle prospettive di lungo termine della politica europea di vicinato;
· per la fine del 2006, la preparazione di una comunicazione rivolta al Consiglio e al Parlamento europeo, che riporti i progressi conseguiti nei primi due anni di attività con un resoconto dell’attuazione dei piani d’azione in corso.
[1] In base alle posizioni comuni gli Stati membri devono adottare politiche nazionali conformi alla posizione definita, sulle singole questioni, dall'Unione europea.
[2] Con questo termine si designa un'azione coordinata dagli Stati membri, attraverso la quale risorse di qualsiasi genere (risorse umane, know-how, finanziamenti, materiali, ecc.) sono attivate per conseguire concreti obiettivi fatti propri dal Consiglio sulla base degli orientamenti generali formulati dal Consiglio europeo.
[3] Il Trattato sull’Unione europea, siglato a Maastricht il 7 febbraio 1992, è entrato in vigore il 1° novembre 1993.
[4] Ulteriori elementi in materia di PESD possono essere trovati nel Dossier sulla Conferenza dei Presidenti delle Commissioni Difesa dei Parlamenti dell’UE (Helsinki, 20 ottobre 2006) a cura dell’Ufficio Rapporti con l’Unione europea.
[5] L'"acquis comunitario" corrisponde alla piattaforma comune di diritti ed obblighi che vincolano l'insieme degli Stati membri nel contesto dell'Unione europea. Esso è in costante evoluzione ed è costituito: dai principi, dagli obiettivi politici e dal dispositivo dei trattati; dalla legislazione adottata in applicazione dei trattati e dalla giurisprudenza della Corte di giustizia; dalle dichiarazioni e dalle risoluzioni adottate nell'ambito dell'Unione; dagli atti che rientrano nella politica estera e di sicurezza comune; dagli atti che rientrano nel contesto della giustizia e degli affari interni; dagli accordi internazionali conclusi dalla Comunità e da quelli conclusi dagli Stati membri tra essi nei settori di competenza dell'Unione.
[6] Con i negoziati di adesione di Croazia e Turchia i capitoli sono passati a 35, in luogo dei 31 dei precedenti allargamenti. Essi sono: libera circolazione dei beni; libera circolazione dei lavoratori; diritto di stabilimento e libera fornitura di servizi; libera circolazione dei capitali; appalti pubblici; diritto societario; proprietà intellettuale; concorrenza; servizi finanziari; società dell’informazione; agricoltura e sviluppo rurale; sicurezza alimentare e politica veterinaria e fitosanitaria; pesca; trasporti; energia; tassazione; politica economica e monetaria; statistica; politica sociale e occupazione; impresa e politica industriale; reti transeuropee; politica regionale; diritti fondamentali; giustizia, libertà e sicurezza; scienza e ricerca; istruzione e cultura; ambiente; salute e protezione dei consumatori; unione doganale; relazioni esterne; politica estera, di sicurezza e difesa; controllo finanziario; previsioni finanziare e di bilancio; istituzioni; altre questioni.
[7] A partire dal 1° gennaio 2007, nel quadro delle nuove prospettive finanziarie 2007-2013, sarà in vigore un nuovo strumento di preadesione (denominato IPA) destinato a paesi candidati e precandidati, istituito con il regolamento (CE) n. 1085/2006 del 17 luglio 2006.Il nuovo strumento sostituisce gli strumenti esistenti (Phare per institution building e coesione economica e sociale; ISPA per ambiente e trasporti e SAPARD per lo sviluppo rurale) e abbraccia i seguenti settori: sostegno alla transizione e sviluppo istituzionale; cooperazione transfrontaliera; sviluppo regionale; sviluppo delle risorse umane; sviluppo rurale.
[8] Le prossime relazioni sono previste per l’8 novembre 2006.
[9] La data di entrata in vigore del Trattato è fissata al 1° gennaio 2007, a condizione che tutti gli strumenti di ratifica siano stati depositati prima di tale data. Al momento, il trattato di adesione risulta ratificato, oltre che dall’Italia (legge n. 16 del 9 gennaio 2006), da Austria, Belgio, Bulgaria, Cipro, Estonia, Finlandia, Francia, Grecia, Irlanda, Lettonia, Lituania, Malta, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Regno Unito, Repubblica ceca, Repubblica slovacca, Romania, Spagna, Svezia e Ungheria. Per quanto riguarda la Germania, il completamento della procedura di ratifica del trattato di adesione è previsto per il 24 novembre 2006, a seguito dell’approvazione a larga maggioranza da parte del Bundestag il 26 ottobre scorso. La Danimarca, l’unico altro Stato membro che non ha ancora ratificato il trattato, ha fissato per il 21 novembre 2006 l’approvazione finale.
[10] COM (2006) 549.
[11] Va segnalato che nel Trattato di adesione di Bulgaria e Romania era stata inserita una clausola di salvaguardia addizionale in base alla quale il Consiglio, su proposta della Commissione, può decidere a maggioranza qualificata di rinviare l’adesione di un anno se non dovessero essere rispettati gli impegni assunti in materia di preparazione all’adesione, soprattutto per quanto riguarda i settori della giustizia e affari interni e della concorrenza.
[12] Tali strumenti sono: misure di salvaguardia; correzioni finanziarie dei fondi dell’UE, con riduzione dei futuri pagamenti; procedure di infrazione; misure di politica delle concorrenza.
[13] Le misure di salvaguardia previste dal Trattato di adesione di Bulgaria e Romania sono di tre tipi: clausola economica (uno o più Stati membri possono essere autorizzati a prendere misure di protezione in caso di serie difficoltà economiche); clausola mercato interno (in caso di seri danni al funzionamento del mercato interno possono essere prese misure che limitano l’applicazione delle politiche dell’UE in alcuni settori); clausola giustizia e affari interni (consente la sospensione unilaterale della cooperazione in materia con uno Stato membro). Sono inoltre previste clausole di salvaguardia temporanee che possono essere applicate nei primi tre anni dopo l’adesione in materia di sicurezza alimentare.
[14] La troika è composta dal rappresentante dello Stato membro che detiene la Presidenza dell’Unione europea e dai rappresentanti rispettivamente dello Stato che ha detenuto la Presidenza nel semestre precedente e dello Stato che la deterrà nel semestre successivo.
[15] SEC (2006) 1385.
[16] Tale condizione è stata soddisfatta dalla Turchia il 1° giugno 2005.
[17] Il 24 gennaio 2006 il ministro turco degli affari esteri, Abdullah Gül, ha annunciato una serie di iniziative destinate a migliorare le relazioni bilaterali con Cipro, tra cui l’apertura dei porti ed aeroporti alle compagnie greco cipriote, a condizione che cessino le restrizioni verso i turco ciprioti, e la ripresa di dialoghi politici di alto livello tra le due parti. L’8 luglio 2006, nel quadro delle iniziative del Segretario generale delle Nazioni unite in favore della riunificazione dell’isola, i leader delle due comunità di Cipro hanno raggiunto un accordo in cinque punti sull’avvio di un nuovo processo di discussione.
[18] Lo screening della legislazione turca, avviato come per la Croazia dopo l’apertura formale dei negoziati, è stato completato il 13 ottobre 2006. Il 12 giugno 2006, nel corso della prima conferenza di adesione tra UE e Turchia, è stato provvisoriamente chiuso il negoziato sul capitolo scienza e ricerca. In quella occasione, l’Unione europea ha ribadito la necessità per la Turchia di dare completa attuazione al protocollo all’Accordo di Ankara; in caso contrario non saranno possibili progressi nei negoziati.
[19] SEC (2006) 1390.
[20] Il 23 febbraio 2004 UE e ex Repubblica iugoslava di Macedonia hanno firmato l’Accordo di stabilizzazione ed associazione, che è entrato in vigore il 1° aprile 2004.
[21] SEC (2006) 1387.
[22] L’Accordo quadro di Ohrid, firmato il 13 agosto 2001, ha posto fine al conflitto scoppiato nel 2001 tra l’esercito macedone ed una formazione albanese armata, l’Uck, attiva nella parte occidentale del paese.
[23] COM (2006) 649. La relazione speciale fa seguito all’invito rivolto in tal senso dal Consiglio europeo di giugno 2006 in vista del dibattito sull’allargamento che si terrà in occasione del Consiglio europeo di dicembre 2006. Tale dibattito riguarderà tutti gli aspetti relativi a ulteriori allargamenti, ivi compresa la capacità dell'Unione di accogliere nuovi membri, e sui modi di migliorare la qualità del processo di allargamento, sulla base delle positive esperienze finora acquisite.
[24] Documento di strategia del 2005 sull’ampliamento (COM (2005) 561).
[25] Albania, Bosnia-Erzegovina, Serbia-Montenegro e Kosovo. La Croazia e l’ex Repubblica iugoslava di Macedonia sono già paesi candidati.
[26] A partire dal 1° gennaio 2007, nel quadro delle nuove prospettive finanziarie 2007-2013, sarà in vigore un nuovo strumento di preadesione (denominato IPA) destinato a paesi candidati e precandidati, istituito con il regolamento (CE) n. 1085/2006 del 17 luglio 2006. L’IPA sostituirà i diversi strumenti finanziari esistenti.
[27] Su proposta della Commissione (COM (1999)235) il PSA è stato approvato dal Consiglio il 21 giugno 1999. Gli strumenti che compongono il PSA, formalizzati al Vertice UE-Balcani di Zagabria del 2000, sono stati arricchiti da elementi ispirati al processo di allargamento nel giugno 2003, con l’approvazione da parte del Consiglio europeo della cosiddetta “Agenda di Salonicco”.
[28] L’ultima relazione della Commissione è stata pubblicata l’8 novembre 2006.
[29] Il 29 ottobre 2001 la Croazia e l’UE hanno concluso l’Accordo di stabilizzazione ed associazione, che è entrato in vigore il 1° febbraio 2005.
[30] Il 23 febbraio 2004, UE ed ex Repubblica iugoslava di Macedonia hanno firmato l’Accordo di stabilizzazione ed associazione, che è entrato in vigore il 1° aprile 2004.
[31] In considerazione dei progressi realizzati, il 24 ottobre 2005, l’ONU ha deciso di avviare un processo politico per determinare il futuro status del Kosovo. Dopo una serie di sette incontri tecnici, avviati il 20 febbraio 2006 a Vienna, alla presenza di rappresentanti di UE e USA, il 24 luglio 2006 si è tenuto il primo round dei dialoghi diretti di alto livello tra il Presidente e il Primo ministro serbi e le loro controparti kosovare.
[32] La cifra indica l’ammontare complessivo dell’assistenza finanziaria fornita dall’UE sia ai singoli paesi sia a livello regionale.
[33] Regolamento CEE n. 2454/93.
[34] COM (2006) 27.
[35] Tale obiettivo potrebbe essere raggiunto con l’estensione ai paesi dei Balcani occidentali dell’Accordo di libero scambio dell’Europa centrale (CEFTA) già esistente, di cui Bulgaria, Romania e Croazia sono membri. I dialoghi per l’estensione e la modifica del CEFTA sono stati avviati il 6 aprile 2006 a Bucarest in una riunione dei primi ministri dei paesi dei Balcani, alla presenza dei commissari europei per l‘allargamento e per il commercio.
[36] Il sistema dovrebbe consentire ai paesi di unirsi per adempiere ai criteri sulle regole di origine stabiliti per la vendita di prodotti nell’UE. In pratica, con il sistema del cumulo diagonale di origine, vengono considerati originari di un determinato paese anche i prodotti comprendenti elementi di altri paesi o parzialmente fabbricati in altri paesi.
[37] Il 13 novembre 2006 il Consiglio ha autorizzato la Commissione a negoziare accordi con i paesi dei Balcani occidentali per facilitare il rilascio dei visti di breve durata.
[38] Malta e Cipro, che partecipavano al partenariato euromediterraneo, sono dal 1° maggio 2004 membri dell’Unione europea.
[39] Si sono tenute sette Conferenze ministeriali euromediterranee: a Barcellona nel 1995, a Malta nel 1997, a Stoccarda nel 1999, a Marsiglia nel 2000, a Valencia nel 2002, a Napoli nel 2003 e a Lussemburgo il 30 e 31 maggio 2005; incontri informali di medio termine hanno avuto luogo a Palermo nel 1998, a Bruxelles nel 2001, a Creta nel 2003, a Dublino nel maggio 2004 e a l’Aja nel novembre 2004.
[40] Allo stato attuale sono in vigore gli accordi con Tunisia (1° marzo 1998), Marocco (1° marzo 2000), Israele (1° giugno 2000), Giordania (1° maggio 2002), Egitto (1° giugno 2004), Algeria (1° settembre 2005), Libano (1° aprile 2006) e l’accordo interinale d’associazione sugli scambi e la cooperazione con l’Organizzazione per la liberazione della Palestina a vantaggio dell’Autorità palestinese (1° luglio 1997). Con la Turchia è in vigore dal 1964 un accordo di associazione, cosiddetto di prima generazione, superato dallo status di paese candidato della Turchia. Il negoziato con la Siria è stato concluso il 19 ottobre 2004.
[41] COM (2003) 610 per preparare il Vi incontro euromediterraneo dei ministri degli esteri , Napoli 2-3 dicembre 2003, (Barcellona VI)
[42] La sede della fondazione è stata concordata durante la Conferenza di medio termine dei ministri degli affari esteri euromediterranei, tenutasi a Dublino il 5 e 6 maggio 2004. Nel documento finale i ministri euromediterranei citando le sedi proposte da Cipro, Italia e Malta affermano che la fondazione terrà conto in maniera particolare delle attività euromediterranee di questi paesi.
[43] Alla Conferenza hanno partecipato, in qualità di osservatori, anche i rappresentanti di: Bulgaria, Lega Araba, Libia, Mauritania, Romania e Unione del Maghreb Arabo.
[44] Per dare visibilità al decimo anniversario del Partenariato, i ministri degli affari esteri euromediterranei riuniti a l’Aja il 29 e 30 novembre 2004 hanno deciso di dichiarare il 2005 anno del Mediterraneo.
[45] Rete di cooperazione tra istituzioni di politica estera.
[46] Rete di cooperazione tra istituti economici.
[47] COM (2005) 109.
[48] Il Processo di Agadir è una iniziativa sub-regionale lanciata nel maggio 2001 da Egitto, Giordania, Marocco e Tunisia con l’obiettivo di stabilire una zona di libero scambio tra i paesi Euromed maggiormente in linea con i requisiti degli Accordi di associazione.
[49] L’iniziativa, sostenuta dall’UE sia dal punto di vista finanziario sia da quello tecnico, rappresenta un’importante esperienza da estendere agli altri partner e apre nuove prospettive all’integrazione della regione.
[50] Facendo seguito alle raccomandazioni approvate dalla Conferenza in materia di liberalizzazione del mercato agricolo, il 14 novembre 2005 il Consiglio dell’UE ha autorizzato la Commissione ad avviare i negoziati con i paesi euromediterranei per ampliare ulteriormente gli scambi di prodotti agricoli freschi e trasformati e di prodotti della pesca. L’obiettivo è quello di conseguire una più ampia liberalizzazione entro il 2010, come previsto dalla dichiarazione di Barcellona.
[51] Regolamento (CE) n. 1488/96 del Consiglio, come modificato dal Regolamento (CE) n. 2698 (2000) del 27 novembre 2000.
[52] Le prime due reti sono già attive: EUROMESCO (tra istituzioni di politica estera) e FEMISE (istituti economici).
[53] COM (2003) 294.
[54] L’Iniziativa europea per la democrazia e i diritti umani è un capitolo di bilancio istituito nel 1994 su impulso del PE. Comprende i finanziamenti relativi alla promozione dei diritti umani, alla democratizzazione e alla prevenzione dei conflitti ed è complementare ai programmi comunitari e può essere attuata con la collaborazione di partner diversi, in particolare con le organizzazioni non governative (ONG) e le organizzazioni internazionali.
[55]Il 19 e 20 gennaio 2004 si era riunito a Bruxelles il Gruppo di lavoro incaricato di predisporre una bozza diregolamento dell’Assemblea parlamentare euromediterranea, ivi incluso il finanziamentoe l’organizzazione del segretariato dell’Assemblea. Sulla base dei risultati raggiunti nel corso della riunione del Gruppo di lavoro, la Co-Presidenza ha elaborato un progetto di Regolamento che ha poi trasmesso alle Parti interessate.
[56]L’Ufficio di Presidenza dell’APEM, nella riunione del 20 settembre 2005, ha stabilito di portare il numero dei partecipanti al Gruppo di lavoro sul Medio Oriente da 20 a 26, prevedendo 3 seggi in più per i Paesi partner Mediterranei, 2 per i Parlamenti nazionali degli Stati membri e 1 per il Parlamento europeo.
[57]La I Conferenza interparlamentare per la sicurezza e la cooperazione nel Mediterraneo (CSCM) si è svolta a Malaga (Spagna) dal 15 al 20 giugno 1992. La II Conferenza CSCM ha avuto luogo a La Valletta (Malta) dal 1° al 4 novembre 1995, al termine della quale fu adottato un documento finale in cui si raccomandava la creazione di una Associazione di Stati Mediterranei per instaurare un dialogo politico permanente a livello intergovernativo e interparlamentare. La III CSCM si è tenuta a Marsiglia (Francia) dal 30 marzo al 3 aprile 2000.
A partire dal 2001 si è quindi fatta concretamente strada l’idea di creare un'Assemblea parlamentare mediterranea, avviando così il processo di trasformazione della CSCM in un’Assemblea con lo scopo di conferire maggiore statura alla diplomazia parlamentare nel Mediterraneo.
La decisione è giunta nel corso della IV CSCM, tenutasi a Nafplion (Grecia) dal 6 al 7 febbraio 2005, dove è stata concordata la creazione dell’Assemblea (PAM) ed adottato il suo statuto. È stato quindi chiesto al Presidente, Rudy SALLES (Francia), e ai due Co-Presidenti, Abdelwahed RADI (Marocco) ed Elsa PAPADIMITROU (Grecia), di mantenere le loro funzioni finché l’Assemblea non si fosse riunita per eleggere i membri dell’Ufficio di Presidenza. Al Segretariato della UIP è stato chiesto, nella medesima occasione, di continuare a fornire il necessario sostegno amministrativo, a titolo transitorio.
[58]Elementi informativi risultanti dal comunicato stampa UIP.
[59]Resoconto del Segretario Generale dell’UIP al Consiglio direttivo dell’UIP, ottobre 2005.
[60] Bielorussia, Moldova, Ucraina.
[61] Algeria, Autorità palestinese, Egitto, Giordania, Israele, Libano, Libia, Marocco, Siria, Tunisia.
[62] Armenia, Azerbaigian e Georgia.
[63] COM(2003)104.
[64] COM(2003)393
[65] COM(2004) 373.
[66] Regolamento CE 1638/2006 del 24 ottobre 2006. Il nuovo strumento dispone di una dotazione finanziaria di 11 miliardi di euro per l’intero periodo.
[67] Sono in vigore: gli accordi euromediterranei di associazione con Tunisia (1° marzo 1998), Marocco (1° marzo 2000), Israele (1° giugno 2000), Giordania (1° maggio 2002),Egitto (1° giugno 2004), Algeria (1° settembre 2005) e Libano (1° aprile 2006); l’accordo interinale d’associazione sugli scambi e la cooperazione con l’Organizzazione per la liberazione della Palestina a vantaggio dell’Autorità palestinese (1° luglio 1997); gli accordi di partenariato e cooperazione con Armenia, Azerbaigian, Georgia (1° luglio 1999), Moldova e Ucraina (1° luglio 1998).
[68] I piani d’azioni, negoziati tra la Commissione e le autorità del singolo paese, devono essere approvati dal Consiglio e in seguito sottoscritti dai rispettivi consigli di associazione o di cooperazione istituiti dagli accordi bilaterali.
[69] COM (2006) 365.
[70] SEC (2005) 1521.