Camera dei deputati - XV Legislatura - Dossier di documentazione
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Autore: | Servizio Studi - Dipartimento lavoro | ||
Titolo: | Direttiva 2006/54/CE Parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego Schema di D.Lgs. n. 230 (art. 1, L. 13/2007) | ||
Riferimenti: |
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Serie: | Atti del Governo Numero: 197 | ||
Data: | 11/03/2008 | ||
Organi della Camera: | XI-Lavoro pubblico e privato | ||
Altri riferimenti: |
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Camera dei deputati |
XV LEGISLATURA |
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SERVIZIO STUDI |
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Atti del Governo |
Direttiva 2006/54/CE Parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego Schema di D.Lgs. n. 230 |
(art. 1, L. 13/2007) |
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n. 197 |
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11 marzo 2008 |
Dipartimento Lavoro
SIWEB
I dossier dei servizi e degli uffici della Camera sono destinati alle esigenze di documentazione interna per l'attività degli organi parlamentari e dei parlamentari. La Camera dei deputati declina ogni responsabilità per la loro eventuale utilizzazione o riproduzione per fini non consentiti dalla legge.
File: LA0387.doc
INDICE
Scheda di sintesi per l’istruttoria legislativa
Elementi per l’istruttoria legislativa
Conformità con la norma di delega
Rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definite
Incidenza sull’ordinamento giuridico
Impatto sui destinatari delle norme
Il contenuto dello schema di decreto legislativo
Normativa nazionale
Costituzione della Repubblica Italiana (artt. 76, 87)
Codice Penale (art. 650)
L. 4 maggio 1983, n. 184. Diritto del minore ad una famiglia (art. 31)
L. 8 marzo 2000, n. 53. Disposizioni per il sostegno della maternità e della paternità, per il diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi delle città (artt. 9, 15)
D.Lgs. 26 marzo 2001, n. 151. Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell'articolo 15 della L. 8 marzo 2000, n. 53 (artt. 17, 32)
D.Lgs. 8 aprile 2003, n. 66. Attuazione della direttiva 93/104/CE e della direttiva 2000/34/CE concernenti taluni aspetti dell'organizzazione dell'orario di lavoro (art. 11)
D.Lgs. 5 dicembre 2005, n. 252. Disciplina delle forme pensionistiche complementari
D.Lgs. 11 aprile 2006, n. 198. Codice delle pari opportunità tra uomo e donna, a norma dell'articolo 6 della L. 28 novembre 2005, n. 246 (art. 8)
D.L. 18 maggio 2006, n. 181. Disposizioni urgenti in materia di riordino delle attribuzioni della Presidenza del Consiglio dei Ministri e dei Ministeri (art. 1, comma 19)
D.L. 4 luglio 2006, n. 223. Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonchè interventi in materia di entrate e di contrasto all'evasione fiscale (art. 19, co. 1)
L. 27 dicembre 2006, n. 296 . Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007) (art. 1, co. 1254, 1255, 1256)
L. 6 febbraio 2007, n. 13. Disposizioni per l'adempimento di obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle Comunità europee - Legge comunitaria 2006 (artt. 1, 2, all. B)
D.Lgs. 6 febbraio 2007, n. 25. Attuazione della direttiva 2002/14/CE che istituisce un quadro generale relativo all'informazione e alla consultazione dei lavoratori (art. 3)
D.P.R. 14 maggio 2007, n. 107. Regolamento per il riordino degli organismi operanti presso il Ministero del lavoro e della previdenza sociale, a norma dell'articolo 29 del D.L. 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla L. 4 agosto 2006, n. 248 (art. 3)
Normativa comunitaria
Dir. 75/117/CEE del 10 febbraio 1975. Direttiva del Consiglio per il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative all'applicazione del principio della parità delle retribuzioni tra i lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile
Dir. 9 febbraio 1976, n. 76/207/CEE. Direttiva del Consiglio relativa all'attuazione del principio della parità di trattamento fra gli uomini e le donne per quanto riguarda l'accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali e le condizioni di lavoro
Dir. 24 luglio 1986, n. 86/378/CEE. Direttiva del Consiglio relativa all'attuazione del principio della parità di trattamento tra gli uomini e le donne nel settore dei regimi professionali di sicurezza sociale.
Dir. 23 novembre 1993, n. 93/104/CE. Direttiva del Consiglio concernente taluni aspetti dell'organizzazione dell'orario di lavoro
Dir. 20 dicembre 1996, n. 96/97/CE. Direttiva del Consiglio che modifica la direttiva 86/378/CEE relativa all'attuazione del principio della parità di trattamento tra gli uomini e le donne nei regimi professionali di sicurezza sociale
Dir. 15 dicembre 1997, n. 97/80/CE. Direttiva del Consiglio riguardante l'onere della prova nei casi di discriminazione basata sul sesso
Dir. 98/52/CE del 13 luglio 1998. Direttiva del Consiglio relativa all'estensione della direttiva 97/80/CE riguardante l'onere della prova nei casi di discriminazione basata sul sesso al Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord
Dir. 22 giugno 2000, n. 2000/34/CE. Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 93/104/CE del Consiglio concernente taluni aspetti dell'organizzazione dell'orario di lavoro, al fine di comprendere i settori e le attività esclusi dalla suddetta direttiva
Dir. 11 marzo 2002, n. 2002/14/CE. Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un quadro generale relativo all'informazione e alla consultazione dei lavoratori
Dir. 23 settembre 2002, n. 2002/73/CE. Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 76/207/CEE del Consiglio relativa all'attuazione del principio della parità di trattamento tra gli uomini e le donne per quanto riguarda l'accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali e le condizioni di lavoro
Dir. 2004/113/CE del 13 dicembre 2004. Direttiva del Consiglio che attua il principio della parità di trattamento tra uomini e donne per quanto riguarda l'accesso a beni e servizi e la loro fornitura
Dir. 5 luglio 2006, n. 2006/54/CE. Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio riguardante l'attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego (rifusione)
Giurisprudenza
Corte costituzionale. Sentenza 20 giugno 2002, n. 256
Scheda di sintesi
per l’istruttoria legislativa
Numero dello schema di decreto legislativo |
230 |
Titolo |
Attuazione della direttiva 2006/54/CE relativa al principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego |
Norma di delega |
Art. 1, L. 6 febbraio 2007, n. 13 |
Settore d’intervento |
Occupazione |
Numero di articoli |
7 |
Date |
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§ presentazione |
3 marzo 2008 |
§ assegnazione |
3 marzo 2008 |
§ termine per l’espressione del parere |
12 aprile 2008 |
§ scadenza della delega |
2 giugno 2008 |
Commissione competente |
XI (Lavoro) |
Rilievi di altre Commissioni |
V (Bilancio) XIV (Politiche dell’Unione europea) |
Lo schema di decreto legislativo in esame, adottato in base alla delega contenuta nell’articolo 1 della legge n. 13 del 2007 (legge comunitaria 2006), è volto a recepire la direttiva 2006/54/CE riguardante l’attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego.
Si consideri che si tratta di una direttiva di rifusione delle preesistenti direttive nella materia in questione, cioè della direttiva 76/207/CEE relativa all’attuazione del principio della parità di trattamento fra gli uomini e le donne per quanto riguarda l’accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali e le condizioni di lavoro (come successivamente modificata), della direttiva 86/378/CEE relativa all’attuazione del principio della parità di trattamento tra gli uomini e le donne nel settore dei regimi professionali di sicurezza sociale (come successivamente modificata), della direttiva 75/117/CEE per il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative all’applicazione del principio della parità delle retribuzioni tra i lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile, e della direttiva 97/80/CE attinente all’onere della prova nei casi di discriminazione basata sul sesso.
La direttiva 2006/54/CE attua la rifusione delle menzionate direttive raggruppando in un unico testo le relative disposizioni e integrando tali disposizioni con gli sviluppi derivanti dalla giurisprudenza della Corte di giustizia delle Comunità europee.
Lo schema di decreto legislativo in esame provvede prima di tutto ad introdurre nell’ordinamento interno le previsioni della direttiva che rappresentano una modifica sostanziale rispetto al contenuto delle direttive precedenti. Inoltre si provvede ad introdurre le modifiche di coordinamento delle nuove previsioni con la normativa vigente.
Volendo sintetizzare, il provvedimento appare caratterizzato dai seguenti principali interventi.
In primo luogo, l’articolo 1 reca modifiche al D.Lgs. 198/2006 (Codice delle pari opportunità tra uomo e donna) al fine di chiarire e ad ampliare l’ambito delle misure di promozione e tutela delle pari opportunità tra uomini e donne in materia di lavoro, rafforzandole e coordinandole con le altre norme del medesimo D.Lgs. 198/2006. In particolare:
§ si ridefiniscono le nozioni di discriminazione, includendo quanto è necessario per renderle conformi alle nozioni comunitarie, e le si rendono valide ai fini di tutta la disciplina recata dal menzionato Codice;
§ si precisa, recependo la giurisprudenza della Corte di giustizia, che la discriminazione derivante dal cambiamento di sesso rientra nella nozione di discriminazione per ragioni connesse al sesso (come previsto dal considerando n. 3 della direttiva 2006/54/CE);
§ vengono ampliate le competenze del Comitato nazionale per l’attuazione dei principi di parità di trattamento e di uguaglianza di opportunità tra lavoratori e lavoratrici, provvedendo altresì a ridefinire la composizione del medesimo organo alla luce delle competenze del Ministro per i diritti e le pari opportunità e del Ministro per le politiche della famiglia;
§ si precisano e si ampliano i compiti promozionali e di garanzia delle consigliere e dei consiglieri di parità;
§ vengono modificate le norme recanti i divieti di discriminazione, ampliando l’ambito dei medesimi divieti e prevedendo le possibili deroghe in conformità alle limitazioni poste dalla direttiva. Vengono introdotte importanti precisazioni riguardo al divieto di discriminazione nella retribuzione e, quanto alle condizioni di lavoro, viene precisato che il divieto di discriminazione tra uomini e donne comprende anche le condizioni di sospensione temporanea e di licenziamento;
§ viene modificata sotto vari profili la disciplina della tutela giudiziaria, in modo da definirne l’ambito di applicazione e la legittimazione. A tal fine: viene precisata la possibilità di agire sia per la violazione dei divieti di discriminazione espressi sia nei casi di condotte antidiscriminatorie atipiche; si estende la legittimazione ad agire alle associazioni e alle organizzazioni rappresentative del diritto o dell’interesse violato; viene modificata la disciplina dell’onere della prova rafforzando la posizione di chi vuol far valere una discriminazione; viene elevata l’entità della sanzione; la tutela giudiziaria viene estesa anche a tutte le ipotesi di “vittimizzazione”, ovvero ogni condotta pregiudizievole posta in essere quale reazione ad una qualsiasi attività diretta ad ottenere il rispetto del principio di parità di trattamento tra uomini e donne;
§ tra le misure per la promozione delle pari opportunità, assume una particolare valenza sistematica la disposizione volta ad introdurre il mainstreaming di genere nell’ordinamento nazionale, precisando che nell’accesso al lavoro, nella promozione e nella formazione professionale, nelle condizioni di lavoro compresa la retribuzione e nei regimi professionali di sicurezza sociale si deve tener conto dell’obiettivo delle pari opportunità tra uomini e donne nella formulazione ed attuazioni di leggi, regolamenti ed atti amministrativi;
§ sempre tra le misure per la promozione delle pari opportunità, viene introdotta una disposizione volta a prevenire le discriminazioni, responsabilizzando a tal fine i datori di lavoro e i responsabili dell’accesso alla formazione professionale.
L’articolo 2 reca modifiche al D.Lgs. 151/2001 (T.U. delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità). Tali modifiche non solo provvedono a migliorare il coordinamento con il Codice delle pari opportunità tra uomo e donna, ma sono anche volte ad assicurare, al rientro dai congedi di maternità o paternità ovvero dai congedi parentali il diritto a beneficiare degli eventuali miglioramenti delle condizioni di lavoro che sarebbero spettati durante l’assenza.
L’articolo 3 reca invece modifiche all’art. 9 della L. 53/2000, in materia di promozione ed incentivazione di azioni positive per conciliare i tempi di vita e di lavoro. Le modifiche sono volte principalmente a rendere tali misure più rispondenti alle esigenze dell’utenza, ad ampliare in novero dei soggetti beneficiari dei relativi finanziamenti, a rendere omogenee le categorie di lavoratori destinatarie delle varie misure ed ad ampliare gli interventi finanziabili.
Si consideri inoltre che:
§ l’articolo 4 dispone in materia di apposite relazioni che il Ministro del lavoro, d’intesa con il Ministro per i diritti e pari opportunità, deve trasmettere alla Commissione europea;
§ l’articolo 5 prevede che il decreto di definizione dei criteri e delle modalità di individuazione della rappresentatività delle associazioni e dei movimenti femminili più rappresentativi sul piano nazionale operanti nel campo della parità e delle pari opportunità nel lavoro venga adottato entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore del provvedimento;
§ l’articolo 6, a fini di coordinamento, abroga alcuni commi della legge finanziaria per il 2007 (L. 296/2006) che avevano novellato l’art. 9 della L. 53/2000;
§ infine l’art. 7 reca la clausola di invarianza per la finanza pubblica.
Al provvedimento, oltre alla Relazione illustrativa, è allegata la Relazione tecnica sugli oneri finanziari. Tale ultima Relazione evidenzia che, come stabilito dall’art. 7, il provvedimento non comporta nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, precisando che, laddove vengono modificati la struttura, i compiti e il funzionamento di talune strutture pubbliche, ciò avviene senza ulteriori oneri, poiché le amministrazioni interessate devono provvedere ai relativi adempimenti facendo ricorso alle risorse umane, strumentali e finanziarie già disponibili a legislazione vigente.
Non sono invece allegate la Relazione sull’analisi tecnico-normativa (ATN) e la Relazione sull’analisi di impatto della regolamentazione (AIR).
Lo schema di decreto legislativo in esame è stato predisposto in parziale attuazione dell’articolo 1 della L. 13/2007 (legge comunitaria 2006), che delega il Governo a recepire, con uno o più decreti legislativi, da adottare entro il termine di dodici mesi dall’entrata in vigore della stessa legge comunitaria[1] (cioè entro il 4 marzo 2008), le direttive inserite nell’allegato B della stessa legge (e quindi sottoposte al parere delle competenti Commissioni parlamentari), tra cui figura la direttiva 2006/54/CE.
Tuttavia, sulla base di quanto previsto dal comma 3 del citato art. 1 della legge comunitaria 2006, poiché il termine per l'espressione del parere parlamentare sullo schema di decreto in esame scade successivamente ai trenta giorni che precedono la scadenza del termine per l’esercizio della delega (come detto, 4 marzo 2008), tale ultimo termine risulta prorogato di 90 giorni (quindi sino al 2 giugno 2008).
Nel merito, lo schema non sembra presentare aspetti problematici per quanto riguarda la conformità con la norma di delega.
La parità di trattamento è uno dei principi fondamentali della nostra Costituzione che, all’articolo 3, stabilisce la pari dignità sociale di tutti i cittadini e la loro uguaglianza, senza distinzioni basate sul sesso, sulla razza, sulla lingua, sulla religione, sulle opinioni politiche e sulle condizioni personali e sociali.
Una specificazione di tale principio generale si ritrova nell’articolo 51, primo comma, che stabilisce la parità dei sessi nell’accesso agli uffici pubblici e alle cariche elettive. La legge costituzionale n. 1 del 2003[2] ha integrato tale disposizione prevedendo l’adozione di appositi provvedimenti per la promozione delle pari opportunità tra donne e uomini.
La Costituzione stabilisce poi, all’articolo 37, che la donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni spettanti al lavoratore.
La promozione delle pari opportunità non compare espressamente né tra le materie riservate alla potestà legislativa esclusiva dello Stato, né tra quelle a legislazione concorrente Stato-regioni, indicate rispettivamente nel primo e nel secondo comma dell’articolo 117 della Costituzione, come modificato dalla legge costituzionale n. 3 del 2001[3].
È vero sì che, ai sensi del sesto comma del medesimo articolo 117, le leggi regionali “rimuovono ogni ostacolo che impedisce la piena parità degli uomini e delle donne nella vita sociale, culturale ed economica” e promuovono la parità di accesso alle cariche elettive. Per tenore e collocazione, peraltro, la norma non sembra voler definire una materia, bensì individuare una finalità che deve caratterizzare nel suo complesso l’attività legislativa delle regioni[4].
E’ da ritenersi, invece, che le disposizioni contenute nello schema di decreto in esame, laddove, intervenendo sulle nozioni di discriminazione e sui relativi divieti, richiedono al datore di lavoro adempimenti e condotte in ottemperanza del principio di parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro, poiché attengono alla disciplina civilistica dei rapporto di lavoro, riguardano la materia “ordinamento civile” di cui all’articolo 117 Cost., secondo comma, lettera l), attribuita alla potestà legislativa esclusiva dello Stato.
Si consideri altresì che le disposizioni del provvedimento relative alla tutela giudiziaria contro le discriminazioni tra uomini e donne sul lavoro rientrano nella materia “giurisdizione e norme processuali” di cui al medesimo articolo 117, secondo comma, lettera l), spettante quindi alla potestà legislativa esclusiva dello Stato.
Inoltre, le disposizioni del provvedimento che, per realizzare le pari opportunità, prevedono misure a carico di strutture pubbliche o comunque finanziate dallo Stato per rendere possibile la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro (tra cui anche i congedi di maternità, di paternità o parentali), possono farsi rientrare nella materia di cui all’articolo 117 Cost., secondo comma, lettera m), secondo cui spetta allo Stato la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, tra i quali è da ritenere possano includersi i diritti alla parità di trattamento e alle pari opportunità tra uomini e donne in ambito lavorativo.
Infine, altra significativa parte dello schema in esame, intervenendo sulla disciplina relativa alla composizione e ai compiti di organismi nazionali operanti nel settore delle pari opportunità, attiene alla materia “ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali” di cui all’articolo 117 Cost., secondo comma, lettera g), spettante in maniera esclusiva alla potestà legislativa dello Stato.
Il 21 marzo 2007 la Commissione europea ha inviato all’Italia una lettera di messa in mora[5]poiché ritiene che non sia stato correttamente o esaurientemente recepito l’articolo 1 della direttiva 2002/73/CE, che modifica la direttiva 76/207/CEE relativa all’attuazione del principio della parità di trattamento tra gli uomini e le donne per quanto riguarda l’accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali e le condizioni di lavoro.
La direttiva è stata recepita in Italia con il decreto legislativo n. 145 del 30 maggio 2005, che introduce modifiche alla legge n. 125 del 10 aprile 1991 e alla legge n. 903 del 9 dicembre 1977.
La Commissione ritiene che la legislazione italiana non risulti conforme alla normativa comunitaria, in relazione ad alcune disposizioni inerenti il principio di parità di trattamento tra uomini e donne per quanto riguarda l’accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali e le condizioni di lavoro, che rimangono sostanzialmente inattuate.
In particolare, la Commissione ritiene che la legislazione nazionale non risulti conforme, tra l’altro, per i seguenti motivi:
· L’articolo 1, punto 2, sostituisce l’articolo 2 della direttiva 76/207/CEE. Il nuovo articolo 2, paragrafo 4, dispone che l’ordine di discriminare persone a motivo del sesso è considerato una discriminazione ai sensi della presente direttiva. La Commissione sottolinea l’importanza notevole di questa disposizione nel settore dell’occupazione, e osserva che non è stata recepita nella legislazione italiana.
· L’articolo 1, punto 2, della direttiva sostituisce l’articolo 2 della direttiva 76/207; il nuovo articolo 2, paragrafo 7, dispone che alla fine del periodo di congedo per maternità, la donna ha il diritto di riprendere il proprio lavoro o un posto equivalente secondo termini e condizioni che non le siano meno favorevoli e a beneficiare di eventuali miglioramenti delle condizioni di lavoro che le sarebbero spettati durante la sua assenza. Inoltre, gli Stati membri che riconoscono diritti distinti di congedo paternità e/o adozione adottano le misure necessarie per tutelare i lavoratori e le lavoratrici contro il licenziamento causato dall’esercizio di tali diritti e per garantire che alla fine del periodo di congedo essi abbiano diritto di riprendere il proprio lavoro o un posto equivalente secondo termini e condizioni che non siano per essi meno favorevoli e di beneficiare di eventuali miglioramenti delle condizioni di lavoro che sarebbero loro spettati durante la loro assenza. La Commissione osserva che questa disposizione non sia stata recepita nella legislazione italiana.
· L’articolo 1, punto 7, della direttiva inserisce un nuovo articolo 8-bis, in virtù del quale gli Stati membri designano uno o più organismi per la promozione, l’analisi, il controllo e il sostegno della parità di trattamento di tutte le persone evitando discriminazioni fondate sul sesso. La Commissione osserva che il decreto legislativo n. 145 del 30 maggio 2005, che recepisce la direttiva nell’ordinamento giuridico nazionale, non menziona tale organismo; inoltre ritiene che nulla permette di affermare che l’organismo istituito con la legge n. 125 del 10 aprile 1991 corrisponda a quanto previsto nel citato articolo della direttiva in questione; esprime peraltro il desiderio di ricevere ulteriori affermazioni sulla capacità di questo organismo di esercitare, in maniera indipendente, le competenze che gli incombono.
· L’articolo 1, punti 2 e 7, sostituisce o inserisce i nuovi articoli 2, paragrafo 5, nonché 8-ter e 8-quater. Sulla base di queste disposizioni si chiede agli Stati membri di incoraggiare i datori di lavoro ad adottare misure per impedire qualsiasi discriminazione fondata sul sesso, ad adottare misure per favorire il dialogo sociale al fine di promuovere la parità di trattamento, a spingere le parti sociali a stipulare degli accordi, a incoraggiare i datori i lavoro a promuovere la parità di trattamento e a favorire il dialogo con le organizzazioni non governative interessate. La Commissione dichiara di non essere a conoscenza di misure adottate per favorire il dialogo sociale o quello con le organizzazioni non governative e pertanto ritiene che questa disposizione non sia stata adeguatamente recepita nella normativa nazionale.
Il 24 gennaio 2007 la Commissione ha inviato all’Italia un parere motivato[6],nel quale ha contestato l’incompatibilità dell’art. 53, comma 1 del Decreto n. 151/2001 con l’articolo 2, paragrafo 7, della direttiva 76/207/CEE (come modificato dall’art. 2 della direttiva 2002/73), tesa a garantire l’attuazione del principio della parità di trattamento tra uomini e donne relativamente all’accesso al lavoro e alle condizioni di lavoro. Ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 7, riservare un trattamento meno favorevole ad una donna in ragione della sua maternità costituisce una violazione della direttiva.
La Commissione, in particolare, evidenzia come il menzionato articolo preveda l’obbligo, per gli Stati membri, di adottare tutte le misure necessarie ad evitare che le lavoratrici gestanti (o puerpere o in fase di allattamento) siano obbligate a svolgere del lavoro notturno.
La Commissione, tuttavia, osserva come l’articolo 53, comma 1 del decreto n. 151/2001 vada ben oltre quanto previsto dalla norma comunitaria, in quanto non si limita a “non prevedere un obbligo” (per le donne incinte o puerpere) a svolgere del lavoro notturno ma introduce un vero e proprio divieto, per le donne incinte o puerpere, di svolgere del lavoro notturno. L’articolo 53, infatti, vieta che si adibiscano donne incinte o puerpere ad attività lavorative tra le ore 24 e 6 dal momento in cui si è accertata la gravidanza e fino a quando il bambino raggiunge un anno di età. La Commissione, inoltre, evidenzia come le lavoratrici che, proprio in ragione di tale divieto, non hanno la possibilità di lavorare percepiscono, in luogo della retribuzione, una forma di indennità pari all’80% della retribuzione per l’intero periodo.
Pertanto, la Commissione rappresenta come, sebbene la norma nazionale, in astratto, persegua l’obiettivo di tutelare le lavoratrici puerpere o incinte, in concreto, tale norma, si traduce in un pregiudizio a danno delle medesime lavoratrici.
La Commissione ha presentato, il 1° marzo 2006, la tabella di marcia per la parità tra donne e uomini (COM(2006)92) che individua sei ambiti prioritari dell’azione dell’UE in tema di parità tra i generi per il periodo 2006-2010:
· una pari indipendenza economica per le donne e gli uomini;
· l’equilibrio tra attività professionale e vita privata;
· la pari rappresentanza nel processo decisionale;
· l’eradicazione di tutte le forme di violenza fondate sul genere;
· l’eliminazione di stereotipi sessisti;
· la promozione della parità tra i generi nelle politiche esterne e di sviluppo.
Sulla base della tabella di marcia, quindi, il Consiglio europeo del 23 e 24 marzo 2006 ha adottato un patto europeo per la parità di genere, al fine di incoraggiare l’azione a livello di Stati membri e di Unione europea nei seguenti settori: misure per colmare i divari di genere e combattere gli stereotipi di genere nel mercato del lavoro; misure per promuovere un migliore equilibrio tra vita professionale e familiare per tutti; misure per rafforzare la governance tramite l’integrazione di genere.
Il 13 marzo 2007 il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione sulla “tabella di marcia”, nella quale, fra l’altro, chiede alla Commissione, in collaborazione con gli Stati membri e le parti sociali, di incoraggiare la creazione di politiche di conciliazione fra vita familiare e vita professionale.
La risoluzione invita gli Stati membri ad integrare o rafforzare i propri piani nazionali per l’occupazione e l’integrazione sociale, al fine di inserirvi misure volte a favorire l’accesso delle donne al mercato del lavoro in situazione di pari dignità e di pari retribuzione per pari lavoro e a promuovere l’imprenditoria femminile, nonché a identificare e promuovere nuove opportunità di lavoro nel settore socio-sanitario e nei servizi alla persona e alla famiglia, dove la forza lavoro è prevalentemente composta di donne, mettendo in rilievo il valore economico e sociale di tali lavori e prevedendo un contesto normativo atto ad assicurare la qualità dei servizi, il riconoscimento dei diritti sociali e la dignità degli operatori. Ritiene che, a causa della loro sfavorevole posizione in campo sociale ed economico, caratterizzata da indici di disoccupazione più elevati e retribuzioni inferiori a quelle maschili, le donne siano maggiormente esposte allo sfruttamento.
Il 23 gennaio 2008 la Commissione ha presentato la quinta relazione annuale sulla parità tra le donne e gli uomini (COM(2008)10), realizzata in collaborazione con gli Stati membri su richiesta del Consiglio europeo dei capi di Stato e di governo, relativa all’Europa allargata a 27 Stati membri.
La relazione, che sarà presentata al Consiglio europeo di primavera dell’8 e 9 marzo 2008, ribadisce che la creazione di nuovi e migliori posti di lavoro è uno dei principali obiettivi strategici nel quadro dell’Agenda di Lisbona per la crescita e l’occupazione; rileva che il lavoro femminile è stato il principale fattore della continua crescita dell’occupazione nell’UE nel corso di questi ultimi anni.
La Commissione ritiene che un’attenzione particolare dovrebbe essere prestata:
· all’aumento dell’occupazione delle donne, sia in termini quantitativi che qualitativi, nel quadro del nuovo ciclo della strategia europea per la crescita e l’occupazione;
· all’integrazione di una prospettiva di genere in tutte le dimensioni della qualità del lavoro;
· allo sviluppo sia dell’offerta sia della qualità dei servizi che permettono di conciliare vita professionale e vita privata sia per gli uomini che per le donne;
· alla lotta contro gli stereotipi nell’istruzione, nell’occupazione nei mass media e al coinvolgimento degli uomini nella promozione della parità;
· allo sviluppo di strumenti di valutazione d’impatto delle politiche in una prospettiva di genere.
Il 18 luglio 2007 la Commissione ha presentato la comunicazione sull’analisi delle cause del divario tra le retribuzioni degli uomini e quelle delle donne e l’individuazione delle possibili modalità per porvi rimedio (COM(2007) 424).
Per affrontare la questione, la comunicazione individua quattro campi d’intervento:
· applicare meglio l’attuale legislazione, analizzando in che modo adeguare la legislazione vigente e adottando iniziative di sensibilizzazione;
· combattere il divario tra le retribuzioni come parte integrante delle politiche a favore dell’occupazione degli Stati membri, tra l’altro sfruttando pienamente le potenzialità dei finanziamenti comunitari, come il Fondo Sociale europeo;
· promuovere la parità salariale fra i datori di lavoro, soprattutto grazie a iniziative che stimolino la responsabilità sociale;
· sostenere lo scambio delle migliori pratiche nell’intera UE e interessare le parti sociali.
Da ultimo, si ricorda che, in occasione della Giornata internazionale della donna, la Commissione europea ha presentato la relazione “Donne e uomini nel processo decisionale 2007 – Analisi della situazione e tendenza”, nella quale constata che, nonostante i progressi registrati di recente, le donne in Europa sono ancora escluse dai vertici della politica e dell’economia.
In particolare, la Commissione evidenzia che la percentuale di donne che siedono nei parlamenti nazionali è ben al di sotto della cosiddetta massa critica del 30% ritenuta necessaria affinché le donne esercitino un’influenza sensibile sulla politica. La relazione sottolinea inoltre che le donne sono ampiamente sottorappresentate anche nelle sfere decisionali dell’economia. La sottorappresentazione delle donne ai vertici è un fenomeno ancora più marcato nelle grandi imprese – vale a dire le imprese di ciascun paese tra le più quotate in borsa – in cui sono gli uomini a occupare circa il 90% dei posti nel consiglio di amministrazione.
La relazione ribadisce che il ruolo primario per realizzare un migliore equilibrio tra i generi nel processo decisionale ricade sul livello nazionale, ma sottolinea anche che la Commissione europea coadiuva tali sforzi raccogliendo, analizzando e diffondendo dati comparabili sul persistere dei divari di genere.
La Commissione annuncia che istituirà nel corso del 2008 una nuova rete europea di donne al comando per incoraggiare lo scambio di esperienze e di buone pratiche tra tutti i 27 paesi dell’UE.
Il comma 2-bis dell’articolo 8 del D.Lgs. 198/2006 (introdotto dall’articolo 1, comma 7, lettera f), n. 1) dello schema) dispone che con decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale, di concerto con il Ministro per i diritti e le pari opportunità, siano definiti i criteri e delle modalità di individuazione della rappresentatività delle associazioni e dei movimenti femminili più rappresentativi sul piano nazionale operanti nel campo della parità e delle pari opportunità nel lavoro.
Inoltre l’articolo 5 dello schema dispone che tale decreto venga adottato entro 60 giorni dall’entrata in vigore del provvedimento.
Il provvedimento in esame reca modifiche alla disciplina vigente in materia di pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego, che dovrebbero rafforzare tali tutele e diritti.
Ciò deriverà, per esempio, dagli interventi di modifica del D.Lgs. 198/2006 volte a chiarire e ad ampliare l’ambito delle misure di promozione e tutela delle pari opportunità tra uomini e donne in materia di lavoro.
Si pensi, inoltre, alle modifiche al D.Lgs. 151/2001 che permetteranno, al rientro dai congedi di maternità o paternità ovvero dai congedi parentali, di beneficiare degli eventuali miglioramenti delle condizioni di lavoro che sarebbero spettati durante l’assenza.
Peraltro, le modifiche all’art. 9 della L. 53/2000 potranno incrementare l’efficacia della disciplina relativa alla promozione e all’incentivazione delle azioni positive per conciliare i tempi di vita e di lavoro, rispondendo meglio alle esigenze dell’utenza, ampliando il novero dei soggetti beneficiari dei relativi finanziamenti, rendendo omogenee le categorie di lavoratori destinatarie delle varie misure ed ad ampliare gli interventi finanziabili.
Il provvedimento in esame, adottato in base alla delega contenuta nell’articolo 1 della legge n. 13 del 2007 (legge comunitaria 2006), recepisce la direttiva 2006/54/CE riguardante l’attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego.
La direttiva 2006/54/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 luglio 2006, è volta a riordinare in un unico testo le vigenti disposizioni comunitarie riguardanti le pari opportunità e la parità di trattamento tra sessi in materia di occupazione e lavoro. La direttiva in esame quindi attua la rifusione in un unico testo delle sette direttive che disciplinano questa materia[7], per esigenze di chiarezza e di facilità di consultazione delle norme, provvedendo a coordinare tali direttive anche sulla base delle pronunce della Corte di giustizia delle Comunità europee.
Le disposizioni contenute nella direttiva in esame disciplinano la parità di trattamento in materia di remunerazione, di regimi professionali di sicurezza sociale, di accesso al lavoro, alla promozione e alla formazione professionale e di condizioni di lavoro. La direttiva, inoltre, si occupa delle misure di tutela sia sul piano giudiziale sia per quanto riguarda la promozione della parità di trattamento.
In materia di parità retributiva (Titolo II, Capo I), la direttiva richiama le disposizioni della direttiva 75/117/CEE. Viene sancita in primo luogo la necessità di eliminare ogni discriminazione tra sessi, diretta o indiretta, nella remunerazione di uno stesso lavoro o di un lavoro al quale è attribuito un valore uguale. Inoltre, quando le retribuzioni sono determinate sulla base di un sistema di classificazione professionale, occorre garantire che vengano applicati gli stessi criteri sia per i lavoratori di sesso maschile che di sesso femminile.
Per quanto concerne la parità di trattamento nel settore dei regimi professionali di sicurezza sociale (Titolo II, Capo II), la direttiva riprende le principali disposizioni della direttiva 86/378/CEE, modificata dalla direttiva 96/97/CE. E’ vietata ogni discriminazione fondata sul sesso per quanto concerne l’accesso ai regimi professionali di sicurezza sociale, ossia quei regimi che assicurano protezione contro rischi derivanti da malattia, invalidità, vecchiaia, infortunio sul lavoro o malattia professionale e disoccupazione. Sono inclusi inoltre i regimi pensionistici dei dipendenti pubblici. In tutti i suddetti regimi è vietata qualsiasi discriminazione anche per quanto riguarda l’obbligo di versamento e il calcolo dei contributi, nonché il calcolo, la durata e il mantenimento delle prestazioni. Tali disposizioni si applicano a tutta la popolazione attiva, compresi i lavoratori autonomi - salvo alcuni casi elencati nella direttiva -, ai lavoratori che hanno interrotto la loro attività per malattia, maternità, infortunio, disoccupazione involontaria, ai pensionati e ai lavoratori invalidi.
Relativamente alla parità di trattamento per quanto riguarda l’accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionale e alle condizioni di lavoro (Titolo II, Capo III), la direttiva riprende le disposizioni della direttiva 76/207/CEE, modificata dalla direttiva 2002/73/CE. Sono vietate discriminazioni basate sul sesso per quanto concerne, ad esempio: i criteri di selezione per l’accesso ad un impiego, pubblico o privato; le condizioni di assunzione; la formazione professionale; le condizioni di lavoro, di licenziamento e la retribuzione, come previsto anche dall’articolo 141 del Trattato CE[8]. Agli Stati membri è lasciata la possibilità di derogare al principio di parità di trattamento nei casi in cui un dato lavoro, per la particolare natura e le caratteristiche, possa essere espletato meglio da un lavoratore di un dato sesso. Sono poi tutelati i diritti delle lavoratrici in congedo per maternità[9], nonché dei genitori in congedo parentale e/o di adozione (laddove gli Stati membri riconoscono tali regimi).
La direttiva prevede poi una serie di disposizioni orizzontali (Titolo III) che riguardano la scelta, da parte degli Stati membri, di misure che garantiscano la tutela del diritto di parità di trattamento, prevedendo il ricorso a procedure giurisdizionali in caso di violazione, nonché forme di risarcimento o riparazione dei danni che devono essere dissuasive e proporzionate al danno subito. In tale ambito viene ripreso il principio di onere della prova previsto dalla direttiva 97/80/CE e dalla direttiva 98/52/CE, in base al quale la parte convenuta dovrà provare l’insussistenza della violazione laddove la parte lesa avrà prodotto elementi sufficienti a far ritenere che si sia verificata una forma di discriminazione. Al fine di promuovere il principio di parità di trattamento, gli Stati membri dovranno poi designare uno o più organismi, incaricati, tra l’altro, di prestare assistenza alle vittime delle violazioni e di svolgere opportune inchieste. Dovranno inoltre adottare misure a favore del dialogo tra le parti sociali e con le organizzazioni non governative, nonché misure atte a proteggere i lavoratori da ogni trattamento sfavorevole da parte dei datori di lavoro aditi per mancato rispetto del principio di parità di trattamento. Agli Stati membri è inoltre lasciata la scelta del regime sanzionatorio in caso di mancata osservanza delle norme di attuazione della direttiva.
Il termine per il recepimento è il 15 agosto 2008, con la possibilità di proroga di un ulteriore anno.
Si dispone l’abrogazione dal 15 agosto 2009 delle direttive oggetto della rifusione, fatti salvi, fino a tale data, gli obblighi degli Stati membri concernenti i termini per l'attuazione e l'applicazione delle diverse direttive.
Lo schema di decreto legislativo in esame, che consta di 7 articoli, provvede prima di tutto ad introdurre nell’ordinamento interno le previsioni della direttiva 2006/54/CE che rappresentano una modifica sostanziale rispetto al contenuto delle direttive precedenti. Inoltre si provvede ad introdurre le modifiche di coordinamento delle nuove previsioni con la normativa vigente.
In particolare, lo schema interviene rispettivamente a modifica del D.Lgs 198/2006[10] recante Codice delle pari opportunità tra uomo e donna (articolo 1), del D.Lgs. 151/2001[11] recante T.U. delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità (articolo 2) e della L. 53/2000[12] recante norme per il sostegno alla maternità e paternità e per la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro (articolo 3).
Inoltre, altre disposizioni attengono agli obblighi informativi alla Commissione europea sulla materia in esame (articolo 4), all’emanazione della normativa di attuazione (articolo 5), all’abrogazione a fini di coordinamento di alcune norme della legge finanziaria 2007 (articolo 6) e alla clausola di invarianza finanziaria (articolo 7).
Modifiche al D.Lgs. 198/2006
L’articolo 1, composto da un unico comma, reca una serie di modifiche al D.Lgs. 198/2006 (Codice delle pari opportunità tra uomo e donna), al fine di chiarire e ad ampliare l’ambito delle misure di promozione e tutela delle pari opportunità tra uomini e donne in materia di lavoro, rafforzandole e coordinandole con le altre norme del medesimo D.Lgs. 198/2006.
Anzitutto, vengono riportate modifiche di carattere formale per recepire le nuove denominazioni di Ministri e amministrazioni citati nel Codice, come Ministro per i diritti e le pari opportunità, Ministro e/o Ministero del lavoro e della previdenza sociale e Ministro e/o Ministero dello sviluppo economico (lettere a), b) e c)).
Inoltre, vengono ridefinite le nozioni di discriminazione presenti nel Codice al fine di renderle conformi alle nozioni comunitarie.
A tal fine, con la lettera e) viene introdotto l’articolo 1-bis recante le nozioni di discriminazione ai sensi del Codice; in tal modo di provvede a ridefinire le nozioni di discriminazione al fine di renderle conformi alle nozioni comunitarie, ma senza rinunciare a quanto in più sia già previsto nella disciplina nazionale.
In particolare, nella norma introdotta vengono definite, in primo luogo, le nozioni di:
§ discriminazione diretta, che si ha quando, anche in forza di una disposizione un criterio, una prassi, un atto, un patto, o un comportamento, una persona è trattata, per ragioni connesse al sesso, meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata un’altra persona in una situazione analoga;
§ discriminazione indiretta, cioè quella situazione dove una disposizione, un criterio, una prassi, un atto o un comportamento apparentemente neutri mettono o possono mettere le persone di un determinato sesso in una posizione di particolare svantaggio rispetto a persone dell’altro sesso, a meno che tutto questo nell’ambito lavorativo riguardi requisiti essenziali allo svolgimento dell’attività lavorativa e in ogni caso sia oggettivamente giustificato da una finalità legittima e i mezzi impiegati per il conseguimento di tale finalità siano appropriati e necessari;
Viene chiarito altresì che sono considerati discriminazione anche:
· un trattamento meno favorevole in ragione dello stato di gravidanza, nonché di maternità o paternità anche adottive, ovvero in ragione dei relativi diritti;
· l’ordine di discriminare persone, direttamente o indirettamente, per ragioni connesse al sesso;
· le molestie, ovvero quei comportamenti indesiderati, posti in essere per ragioni connesse al sesso, o anche le molestie sessuali o quei comportamenti indesiderati con connotazioni sessuali, espressi a livello fisico, verbale o non verbale. Tali comportamenti debbono avere come scopo o effetto la lesione della dignità di una persona e la creazione di un ambiente intimidatorio, ostile, degradante, umiliante od offensivo;
· i trattamenti meno favorevoli subiti da una persona per il fatto di avere rifiutato o essersi sottomessa a comportamenti costituenti molestia o molestia sessuale.
Inoltre, nella nozione di discriminazione per ragioni connesse al sesso rientra anche quella connessa al cambiamento di sesso, intesa non solo come l’adeguamento dei caratteri fisici, ma anche il relativo percorso medico, psicologico e burocratico, nonché ogni altro comportamento o stato della persona connesso a tale adeguamento. A tal riguardo, si sottolinea come nel considerando n. 3 della direttiva 2006/54/CE in esame si legge che “la Corte di giustizia ha ritenuto che il campo d'applicazione del principio della parità di trattamento tra uomini e donne non possa essere limitato al divieto delle discriminazioni basate sul fatto che una persona appartenga all'uno o all'altro sesso”, dal momento che tale principio, “considerato il suo scopo e data la natura dei diritti che è inteso a salvaguardare, si applica anche alle discriminazioni derivanti da un cambiamento di sesso”.
L’introduzione dell’articolo 1-bis sopra descritto ha reso necessario l’adeguamento della formulazione di alcune disposizioni del Codice.
Da un lato, la lettera d) modifica l’articolo 1 del Codice, chiarendo che lo scopo della disciplina in esso contenuta è volta a eliminare “discriminazioni”: si tratta di un chiarimento lessicale che si raccorda alle disposizioni definitorie contenute nell’articolo 1-bis su menzionato.
Inoltre, conseguentemente all’inserimento, tramite il menzionato articolo 1-bis, di definizioni generali valevoli per tutto il Codice, vengono soppresse le specifiche norme definitorie già esistenti nello stesso Codice. In particolare, la lettera m) abroga il capo I del titolo I del Libro III recante “Pari opportunità tra uomo e donna nei rapporti economici”: in particolare, viene abrogato l’articolo 25 “Discriminazione diretta e indiretta” e articolo 26 “Molestie e molestie sessuali”. Inoltre, la lettera ii) sostituisce l’articolo 55-bis che attualmente contiene la nozione di discriminazione ai fini della parità di trattamento tra uomini e donne nell'accesso a beni e servizi e loro fornitura. Il nuovo articolo 55-bis disciplina invece, ai medesimi fini, le differenze di trattamento consentite, escludendo la discriminazione se le differenze di trattamento nella fornitura di beni e servizi destinati a persona di un solo sesso sia giustificata da finalità legittime perseguite con mezzi appropriati e necessari.
Infine, vanno segnalate le seguenti ulteriori modifiche al Codice di carattere formale:
§ la lettera hh) modifica la rubrica del Titolo II-bis del Libro III del Codice, il quale reca “Parità di trattamento tra uomini e donne nell'accesso a beni e servizi e loro fornitura”: con la modifica tale rubrica viene mutata in “Differenze di trattamento consentite e divieto di discriminazione”;
§ la lettera ll) modifica nell’articolo 55-ter del Codice sopprime le espressione “fondata sul sesso” come ulteriore specificazione della nozione di discriminazione;
§ la lettera mm) che modifica nell’articolo 55-quinquies del Codice sopprimendo l’espressione “per ragioni di sesso” nella rubrica che dopo la modifica reca “Procedimento per la tutela contro le discriminazioni nell’accesso a beni e servizi e loro fornitura”;
§ la lettera nn) all’articolo 55-novies del Codice, in materia di Ufficio per la promozione della parità di trattamento nell’accesso a beni e servizi e loro fornitura, sopprime le espressioni “fondate sul sesso” e “per ragioni di sesso” come ulteriore specificazione delle discriminazioni;
Riguardo al “Comitato nazionale per l’attuazione dei principi di parità di trattamento e di uguaglianza di opportunità tra lavoratori e lavoratrici”, si interviene su composizione e competenze.
In particolare, in tema di finalità e composizione, la lettera f) apporta le seguenti modifiche all’articolo 8 del Codice:
· viene chiarito ed ampliato l’ambito di intervento del Comitato, specificando che esso opera per la rimozione di discriminazioni fra uomo e donna nell’accesso al lavoro, nella promozione e nella formazione professionale, delle condizioni di lavoro compresa la retribuzione, nonché in relazione alle forme pensionistiche complementari collettive di cui al D.Lgs. 252/2005[13];
· si include nella composizione del Comitato, per quanto attiene ai membri con diritto di voto, un rappresentante del Ministero per i diritti e le pari opportunità e uno del Ministro delle politiche per la famiglia;
· tra i componenti senza diritto di voto, si prevede la partecipazione anche di un rappresentante, rispettivamente, del Dipartimento delle politiche per la famiglia, del Ministero della salute e del Dipartimento della funzione pubblica e di tre rappresentanti della Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento per i diritti e le pari opportunità;
· si prevede, per la nomina dei componenti del Comitato da parte del Ministro del lavoro e della previdenza sociale, il concerto con il Ministro per i diritti e le pari opportunità;
· si prevede che con decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale, di concerto con il Ministro per i diritti e le pari opportunità, siano definiti i criteri e le modalità per la individuazione della rappresentatività delle associazioni e dei movimenti femminili per la designazione di 11 componenti del Comitato.
In tema di competenze del Comitato, la successiva lettera g) modifica l’articolo 10 del Codice al fine di includere tra i compiti del Comitato:
· l’elaborazioni di iniziative per favorire il dialogo tra le parti sociali al fine di promuovere la parità di trattamento, avvalendosi dei risultati dei monitoraggi effettuati sulle prassi nei luoghi di lavoro, nell’accesso al lavoro, alla formazione e promozione professionale, nonché sui contratti collettivi, sui codici di comportamento, ricerche e/o scambi di esperienze o buona prassi;
· l’elaborazione di iniziative per favorire, da parte dei datori di lavoro, la promozione sistematica e pianificata, anche in cooperazione con i rappresentanti dei lavoratori, della parità di trattamento tra uomini e donne sul posto di lavoro e la diffusione di informazioni adeguate sulla normativa vigente e sulle misure adottate in materia;
· l’elaborazioni di iniziative per favorire il dialogo con le organizzazioni non governative che hanno un legittimo interesse a contribuire alla lotta contro le discriminazioni;
· lo svolgimento di inchieste indipendenti in materia di discriminazione;
· la pubblicazione di relazioni indipendenti e la formulazione di raccomandazioni in materia di discriminazioni;
· lo scambio di informazioni con gli organismi europei competenti in materia di parità fra donne e uomini;
· la promozione di iniziative ed azioni finalizzate alla tutela della salute riproduttiva sui luoghi di lavoro.
Con riferimento alle consigliere ed ai consiglieri di parità l’intervento riformatore si è indirizzato verso l’ampliamento dell’ambito delle funzioni promozionali e di garanzia di tali organismi.
In particolare, mentre la lettera l) apporta una modifica formale all’articolo 18, la lettera i) modifica l’articolo 15 del Codice nel senso di:
· precisare l’ambito delle discriminazioni la cui prevenzione è affidata agli organismi in questione, vale a dire l’accesso al lavoro, la promozione formazione professionale, le condizioni di lavoro compresa la retribuzione, l’esercizio dell’attività di impresa, le forme pensionistiche complementari collettive;
· specificare che il rapporto annuale dei consiglieri e consigliere di parità va presentato non solo agli organi che li hanno designati ma anche a quelli che hanno provveduto alla nomina.
Riguardo ai divieti di discriminazione è stato ampliato il loro ambito e si è provveduto a restringere le possibili deroghe in conformità alle limitazioni poste dalla direttiva.
In particolare, nella lettera n)(di modifica dell’articolo 27 del Codice) si precisa che il divieto di discriminazione per ragioni connesse al sesso per quanto riguarda l’accesso al lavoro, in forma subordinata, autonoma o in qualsiasi altra forma, comprende anche i criteri di selezione e le condizioni di assunzione, la promozione a tutti i livelli della gerarchia professionale, nonché l’aggiornamento e la riqualificazione professionale, inclusi i tirocini formativi e di orientamento.
La successiva lettera o) (di modifica dell’articolo 28 del Codice) dispone che il divieto di discriminazione retributiva riguarda uno stesso lavoro o un lavoro al quale è attribuito un valore uguale, e riguarda ogni aspetto o condizione delle retribuzioni. Inoltre, si stabilisce che i sistemi di classificazione professionale ai fini della determinazione delle retribuzioni oltre ad adottare criteri comuni per uomini e donne, debbono essere elaborati in modo da eliminare le discriminazione. Infine, si introduce ai fini della disciplina antidiscriminatoria, una nozione ampia e tendenzialmente onnicomprensiva di retribuzione.
La lettera p) (di modifica dell’articolo 29 del Codice) specifica che il divieto di discriminazione fra uomini e donne riguarda le condizioni di lavoro, comprese le condizioni di sospensione temporanea e di licenziamento.
La lettera q) (di modifica dell’articolo 30 del Codice) riconosce alle lavoratrici in possesso dei requisiti per avere il diritto alla pensione di vecchiaia il diritto, e non più la facoltà di opzione, di proseguire il rapporto di lavoro fino agli stessi limiti di età previsti per gli uomini da disposizioni legislative, regolamentari e contrattuali. Si tratta di una modifica resa necessaria dal momento che la facoltà di opzione è stata dichiarata illegittima dalla Corte costituzionale con le sentenze n. 489/1988 e 256/2002.
La lettera r) recepisce la disciplina comunitaria sui “regimi professionali di sicurezza sociale”, che, in considerazione alla corrispondente definizione contenuta nella direttiva 2006/54/CE, va riferita, sul piano interno, alle forme pensionistiche complementari collettive di cui all’articolo 1, comma 3, lettera a) del D.Lgs. 252/2005. In particolare, si introduce nel Codice delle pari opportunità l’articolo 30-bis che prevede un generale divieto di discriminazione riguardo a tali forme pensionistiche e alle relative condizioni di accesso, nonché all’obbligo di versare i contributi e al calcolo degli stessi, al calcolo delle prestazioni, alle condizioni relative alla durata e al mantenimento del diritto alle prestazioni. In sostanza, tale norma rappresenta la specificazione nel campo della previdenza complementare del generale principio di non discriminazione. Inoltre, la norma introdotta consente di fissare livelli differenti nelle prestazioni se necessario per tener conto di elementi di calcolo attuariale che sono differenti per i due sessi nel caso di regimi a contribuzione definita”[14]. Pertanto, sono state ritenute ammissibili limitate differenziazioni solo sulla base di dati attuariali e statistici affidabili, pertinenti e accurati. D’altro canto è previsto il controllo della COVIP come autorità di vigilanza competente, che è incaricata anche della raccolta, della pubblicazione e dell’aggiornamento dei dati relativi all’utilizzo del sesso come fattore attuariale determinante: di tale attività la COVIP ha l’obbligo di relazionare annualmente il Comitato nazionale di parità e pari opportunità nel lavoro.
La lettera s) (di modifica dell’articolo 35 del Codice) interviene sul divieto di licenziamento per causa di matrimonio, eliminando l’esclusione, dall’ambito della tutela apprestata, della categoria delle addette ai servizi familiari e domestici.
Riguardo alle deroghe ai divieti, la lettera t) introduce l’articolo 35-bis nel Codice, prevedendo che qualora differenze di trattamento tra uomo e donna nell’accesso al lavoro, ivi compresa la relativa formazione, sono consentite dal Codice come da qualsiasi altra disposizione di legge, regolamento o contratto collettivo, esse devono necessariamente essere giustificate da una caratteristica specifica di un sesso che costituisca requisito essenziale, determinante e proporzionato per lo svolgimento dell’attività lavorativa e devono rispondere ad una finalità legittima.
Inoltre, la medesima lettera t) introduce nel Codice l’articolo 35-ter, il quale, riprendendo sostanzialmente quanto già attualmente previsto dall’articolo 26, comma 3 (che viene contestualmente abrogato) prevede la nullità di atti, patti o provvedimenti adottati nei confronti di vittime di molestie o molestie sessuali in conseguenza del rifiuto di tali comportamenti oppure della sottomissione ad essi.
In materia di tutela giudiziaria l’intervento si è dispiegato sotto vari profili per definirne l’ambito d’applicazione e la legittimazione. Le modifiche previste da u lato sono volte a precisare la possibilità di agire tanto per la violazione dei divieti di discriminazione espressi, quanto nei casi di condotte antidiscriminatorie atipiche, dall’altro sono volte ad elevare il trattamento sanzionatorio, equiparandolo a quanto già previsto nel Codice per le discriminazioni nell’accesso ai beni e servizi e loro fornitura. In particolare:
· la lettera u) (di modifica dell’articolo 36 del Codice) è volta a delineare e a ampliare i casi di discriminazione presupposto del tentativo di conciliazione;
· la lettera v) (di modifica dell’articolo 37 del Codice), in materia di procedimento per la tutela di più soggetti, oltre a disporre modifiche formali di coordinamento, viene sostituita la sanzione penale per i casi di inottemperanza ai provvedimenti giudiziari, attualmente disciplinata rinviando all’articolo 650 c.p., con l’ammenda fino a 50.000 euro o l’arresto fino a tre anni: tale sanzione viene quindi allineata a quella già introdotta nel Codice all’articolo 55-quinquies a seguito del recepimento della direttiva 2004/113/CE[15];
· la lettera z) (di modifica dell’articolo 38 del Codice), in materia di procedimento per la tutela dei singoli, oltre a disporre modifiche formali di coordinamento, estende alle associazioni e alle organizzazioni rappresentative del diritto o dell’interesse leso la legittimazione processuale su delega del lavoratore nei procedimenti volti a chiedere al tribunale in funzione di giudice del lavoro di ordinare la cessazione del comportamento discriminatorio. Inoltre, si sostituisce la sanzione penale per i casi di inottemperanza ai provvedimenti giudiziari, attualmente disciplinata rinviando all’articolo 650 c.p., con l’ammenda fino a 50.000 euro o l’arresto fino a tre anni, che anche in questo caso viene allineata a quella contenuta nel Codice all’articolo 55-quinquies;
· la lettera aa) (di modifica dell’articolo 40 del Codice) interviene attribuendo al resistente l’onere di provare l’insussistenza della discriminazione laddove il ricorrente deduca elementi di fatto dai quali si può presumere una discriminazione ai sensi del Codice: in tal senso, la disciplina dell’onere della prova viene rivista per rafforzare la posizione di chi vuol far valere una discriminazione;
· la lettera bb) (di modifica dell’articolo 41 del Codice), in materia di revoca ed esclusione da benefici o appalti, chiarisce i presupposti di applicazione delle misure previste ai fini del coordinamento con le disposizioni in materia di divieti, aggravando anche il trattamento sanzionatorio previsto, ora fissato in una ammenda da 1000 euro a 5000 euro;
· la lettera cc) introduce nel Codice l’articolo 41-bis, che estende la tutela giudiziaria prevista dal capo III in caso di discriminazioni, anche alle ipotesi di “vittimizzazione”, intesa come quel comportamento pregiudizievole posto in essere quale reazione ad una qualsiasi attività diretta ad ottenere il rispetto del principio di parità di trattamento tra uomini e donne.
In tema di promozione delle pari opportunità si segnala, anzitutto, l’introduzione nel nostro ordinamento del c.d. mainstreaming di genere. In particolare, la lettera dd), introducendo l’articolo 41-ter nel Codice, sancisce il principio per cui nel formulare ed attuare leggi, regolamenti, atti amministrativi, politiche e attività in relazione all’accesso al lavoro, alla promozione e alla formazione professionale, alle condizioni di lavoro, compresa la retribuzione, e ai regimi professionali di sicurezza sociale, deve tenersi conto dell’obiettivo della parità tra uomini e donne.
Nella successiva lettera ee), che modifica l’articolo 42 del Codice, si è introdotto l’obiettivo della valorizzazione del contenuto professionale delle mansioni a più forte presenza femminile e la distribuzione del salario aziendale a sostegno dei congedi parentali, come ulteriore scopo delle azioni positive volte alla realizzazione delle pari opportunità.
La lettera ff) modifica l’articolo 46 del Codice, per uniformare la soglia dimensionale dell’impresa per l’applicazione dell’obbligo informativo[16] con quella prevista dall’articolo 3 del D.Lgs. 25/2007[17] istitutivo di un quadro generale relativo all’informazione e consultazione dei lavoratori che, in attuazione della direttiva 2002/14[18], ha fissato in cinquanta dipendenti la soglia numerica per l’applicazione dell’obbligo generale di informazione e consultazione dei lavoratori e dei loro rappresentanti.
Infine, lettera gg) introduce nel Codice l’articolo 50-bis volto a prevenire tutte le discriminazioni e, in particolare, le molestie e le molestie sessuali sui luoghi di lavoro, responsabilizzando verso tale obiettivo i datori di lavoro e i responsabili dell’accesso alla formazione professionale.
Modifiche al D.Lgs. 151/2001.
L’articolo 2, anch’esso composto da un unico comma, apporta modifiche al D.Lgs. 151/2001 (T.U. delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità).
In esso, in primo luogo, si segnala (lettera a)) un coordinamento formale con il Codice delle pari opportunità, attraverso la modifica dell’articolo 3 del D.Lgs. 151/2001.
Inoltre, modificando l’articolo 5 del D.lgs. 151/2001, viene reso obbligatorio da parte degli statuti delle forme pensionistiche complementari la previsione della possibilità di conseguire l’anticipazione delle prestazioni nei casi di congedi parentali (lettera b)). Attualmente, tale anticipazione è rimessa al potere discrezionale dei soggetti che costituiscono il fondo di previdenza complementare.
Con la lettera c) si interviene per aumentare la flessibilità nella fruizione dei congedi parentali spettanti ai sensi dell’articolo 32 del D.Lgs. 151/2001, consentendo alla madre lavoratrice e al padre lavoratore di poter usufruire anche su base oraria dei congedi parentali. Comunque, nella norma introdotta si prevede che la fruizione oraria di tale congedo non possa ecceda la metà dell’orario giornaliero, escludendo la cumulabilità con altri permessi o riposi previsti.
Nei casi di adozione internazionale, alla lettera d)[19] viene previsto il divieto di licenziamento dal momento della comunicazione della proposta di incontro con il minore adottando[20] per un periodo massimo, se la proposta è accettata, di ventuno mesi e comunque di non oltre un anno dall’ingresso del minore nel nucleo familiare.
Nelle ipotesi di rientro dai congedi di maternità, paternità o parentali, la lettera e)[21] assicura il diritto a beneficiare degli eventuali miglioramenti delle condizioni di lavoro che sarebbero spettati, sulla base di contratti collettivi ovvero in via legislativa o regolamentare, alla lavoratrice o al lavoratore durante l’assenza.
Infine, con la lettera f),che introduce l’articolo 17-bis al D.Lgs. 151/2001, si prevede la possibilità che nel periodo del congedo di maternità, le lavoratrici possano partecipare a concorsi pubblici, a procedure selettive interne, anche finalizzate alla progressione in carriera, a corsi di formazione professionale, nonché di riqualificazione per la progressione in carriera, previa presentazione di apposita certificazione medica che attesti che tale scelta non è pregiudizievole per la salute della lavoratrice e del nascituro. Il diritto alla frequenza dei corsi e delle procedure selettive interne viene riconosciuto anche alla lavoratrice in stato di gravidanza interessata da un provvedimento di interdizione dal lavoro adottato dal servizio ispettivo del Ministero del lavoro ai sensi dell’articolo 17 del D.Lgs. 151/2001. Infine, nelle ipotesi in cui non sia possibile rinviare l’inizio dei corsi e delle procedure, le amministrazioni pubbliche ammettono le lavoratrici impossibilitate a partecipare a causa della gravidanza ad una seconda sessione, accantonando il numero dei posti necessario. Peraltro, è previsto che nel caso di superamento delle prove nella seconda sessione, le lavoratrici interessate siano poste nella graduatoria della prima sessione.
Modifiche alla L. 53/2000
Con riferimento alla L. 53/2000[22] le modifiche apportate dallo schema di decreto in esame si concentrano sull’articolo 9, in materia di promozione ed incentivazione di azioni positive per conciliare i tempi di vita e di lavoro.
Tra le esigenze che si è inteso soddisfare con la nuova formulazione dell’articolo 9 si segnalano:
· l’aggiornamento dello strumento nell’interesse dell’utenza;
· l’ampliamento dei soggetti beneficiari del finanziamento che vengono ora indicati nei datori di lavoro privati iscritti in pubblici registri o albi professionali nonché e le aziende sanitarie ospedaliere oltre alle aziende sanitarie locali e le aziende ospedaliere già menzionate nella norma modificata;
· il rendere omogenee le categorie di lavoratori destinatarie delle varie misure, con il riferimento generico alle “lavoratrici o lavoratori con figli minori” anche per evitare disuguaglianze basate sulla tipologia contrattuale dei soggetti interessati,
· l’ampliamento delle azioni finanziabili, che riguardano anche interventi e servizi innovativi che favoriscano quelle esigenze di conciliazione che rimarrebbero insoddisfatte – come si legge nella relazione illustrativa - se le azioni fossero limitate alla riorganizzazione del lavoro, alla flessibilità di orario o alla formazione. Inoltre, si incoraggia l’attivazione di reti tra enti territoriali, aziende e parti sociali, promovendo l’accesso al finanziamento per consorzi o associazioni di imprese, anche temporanee.
A tal riguardo, si fa presente che l’articolo 6 dello schema di decreto in esame, a fini di coordinamento, prevede l’abrogazione dei commi 1254, 1255 e 1256 dell’articolo 1 della legge 296/2006[23] i quali contengono la disciplina dell’articolo 9 della L. 53/2000 nella versione antecedente alle modifiche disposte nell’articolo 3 dello schema di decreto in esame.
Altre disposizioni
Nell’articolo 4 dello schema di decreto in esame si prevede, in ottemperanza all’articolo 31 della direttiva, una serie di adempimenti informativi da parte del Ministro del lavoro e della previdenza sociale, d’intesa con il Ministro per i diritti e pari opportunità.
In primo luogo, si dispone la trasmissione entro il 14 febbraio 2011 alla Commissione europea di tutte le informazioni necessarie per la Commissione al fine di redigere una relazione sull’applicazione della direttiva 2006/54/CE.
Inoltre, si prevede un obbligo di informazione verso la Commissione, ogni quattro anni in merito alle azioni positive adottate nonché ogni otto anni in merito agli esiti delle valutazioni sul mantenimento delle differenze di trattamento tra uomo e donna consentita dalla normativa vigente.
Lo schema di decreto, inoltre, contiene come disposizione transitoria la previsione che il decreto per la individuazione della rappresentatività delle associazioni e dei movimenti di cui all’articolo 8, comma 2, lettera e) del Codice venga adottato entro 60 giorni dall’entrata in vigore del decreto legislativo in esame.
L’articolo 5 prevede che il decreto di cui all’articolo 8, comma 2-bis, del D.Lgs. 198/2006, per la definizione dei criteri e delle modalità di individuazione della rappresentatività delle associazioni e dei movimenti femminili più rappresentativi sul piano nazionale operanti nel campo della parità e delle pari opportunità nel lavoro, venga adottato entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore del provvedimento in esame.
Infine, l’articolo 7 reca la clausola d’invarianza finanziaria, precisando che le strutture pubbliche interessate devono provvedere agli adempimenti conseguenti al provvedimento in esame facendo ricorso alle risorse umane, strumentali e finanziarie già disponibili a legislazione vigente.
[1] La legge n. 13/2007 è entrata in vigore il 4 marzo 2007.
[2] L. Cost. 30 maggio 2003 , n. 1, Modifica dell’articolo 51 della Costituzione.
[3] L. Cost. 18 ottobre 2001, n. 3, Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione.
[4] L’art. 51 della Costituzione, nel testo modificato dalla citata legge costituzionale n. 1 del 2003, attribuisce alla Repubblica – e non allo Stato – il compito di promuovere con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini, lasciando dunque completamente impregiudicata la fonte normativa di tali provvedimenti.
[5] 2006/2535
[6] Procedura 2006/2228. La procedura era stata avviata con lettera di messa in mora del 28 giugno 2006.
[7] Si tratta delle direttive 75/117/CEE, 86/378/CEE, 96/97/CE, 76/207/CE, 2002/73/CE, 97/80/CE, 98/52/CE. Si consideri che: la direttiva 2002/73/CE modifica la direttiva 76/207/CEE; la direttiva 96/97/CE modifica la direttiva 86/378/CEE; la direttiva 98/52/CE ha esteso la direttiva 97/80/CE al Regno Unito e all’Irlanda del Nord.
[8] Tale articolo sancisce la parità di retribuzione tra uomini e donne.
[9] Per quanto riguarda i diritti della donna, in particolare per la gravidanza e la maternità, la direttiva in esame non pregiudica le altre disposizioni comunitarie (direttive 96/34/CE e 92/85/CEE).
[10] D.Lgs. 11 aprile 2006, n. 198, “Codice delle pari opportunità tra uomo e donna, a norma dell'articolo 6 della L. 28 novembre 2005, n. 246”.
[11] D.Lgs. 26 marzo 2001, n. 151, “Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell'articolo 15 della L. 8 marzo 2000, n. 53”.
[12] L. 8 marzo 2000, n. 53, “Disposizioni per il sostegno della maternità e della paternità, per il diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi delle città”.
[13] D.Lgs. 5 dicembre 2005, n. 252, Disciplina delle forme pensionistiche complementari.
[14] In tal senso, anche l’articolo 9, comma 1, lettera h), della direttiva 2006/54/CE.
[15] Direttiva 2004/113/CE del 13 dicembre 2004 del Consiglio che attua il principio della parità di trattamento tra uomini e donne per quanto riguarda l'accesso a beni e servizi e la loro fornitura.
[16] Tale obbligo è previsto dall’articolo 21 della Direttiva n. 2006/54/CE in esame.
[17] D.Lgs. 6 febbraio 2007, n. 25, “Attuazione della direttiva 2002/14/CE che istituisce un quadro generale relativo all'informazione e alla consultazione dei lavoratori”.
[18] Direttiva 11 marzo 2002, n. 2002/14/CE, del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un quadro generale relativo all'informazione e alla consultazione dei lavoratori.
[19] Di modifica dell’articolo 54, comma 9 del T.U.
[20] Ai sensi dell’articolo 31, comma 3, lettera d) della legge 4 maggio 1983, n. 184.
[21] Di modifica dell’articolo 56 del T.U.
[22] L. 8 marzo 2000, n. 53, “Disposizioni per il sostegno della maternità e della paternità, per il diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi delle città”.
[23] L. 27 dicembre 2006, n. 296, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007).