Camera dei deputati - XV Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento giustizia
Titolo: Attuazione della Direttiva 2005/36/CE relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali Schema di D.Lgs. n. 134 (art. 1, co. 1, 3 e 4, L. 29/2006) - Schede di lettura
Riferimenti:
D.Lgs. 06-NOV-07 n. 206   SCH.DEC 134/XV
Serie: Atti del Governo    Numero: 120
Data: 21/09/2007
Organi della Camera: II-Giustizia
X-Attività produttive, commercio e turismo
Altri riferimenti:
05/36/CE   L n. 29 del 25-GEN-06


Camera dei deputati

XV LEGISLATURA

 

 

SERVIZIO STUDI

 

Atti del Governo

 

 

 

 

Attuazione della Direttiva 2005/36/CE relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali

Schema di D.Lgs. n. 134

(art. 1, co. 1, 3 e 4, L. 29/2006)

 

Schede di lettura

 

 

 

 

 

 

 

n. 120

 

 

21 settembre 2007

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Coordinamento: Dipartimento Giustizia

 

 

Ha partecipato alla redazione del dossier l’Ufficio rapporti con l’Unione Europea.

 

I dossier dei servizi e degli uffici della Camera sono destinati alle esigenze di documentazione interna per l'attività degli organi parlamentari e dei parlamentari. La Camera dei deputati declina ogni responsabilità per la loro eventuale utilizzazione o riproduzione per fini non consentiti dalla legge.

 

File: ID0013.doc

 


INDICE

Scheda di sintesi

Dati identificativi3

Struttura e oggetto  4

§      Contenuto  4

§      Relazioni e pareri allegati8

Elementi per l’istruttoria legislativa  9

§      Conformità con la norma di delega  9

§      Rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definite  11

§      Compatibilità comunitaria  12

§      Incidenza sull’ordinamento giuridico  15

§      Impatto sui destinatari delle norme  16

§      Formulazione del testo  17

Schede di lettura

Quadro normativo  21

§      Professioni intellettuali e loro ordinamento  21

§      Albo professionale  23

§      Struttura degli ordini professionali25

§      Il decreto legislativo attuativo della legge La Loggia e il decreto legge Bersani (n. 223 del 2006)28

§      Normativa comunitaria  34

§      La direttiva n. 36 del 2005 in materia di Riconoscimento delle qualifiche professionali40

Il contenuto del provvedimento  49

§      Art. 1  (Oggetto)49

§      Art. 2 (Ambito di applicazione)51

§      Art. 3 (Ambito di applicazione)53

§      Art. 4 (Definizioni)55

§      Art. 5 (Autorità competente)61

§      Art. 6 (Punto di contatto)65

§      Art. 7 (Conoscenze linguistiche)69

§      Art. 8 (Cooperazione amministrativa)71

§      Art. 9 (Libera prestazione di servizi e prestazione occasionale e temporanea)73

§      Art. 10 (Dichiarazione preventiva in caso di spostamento del prestatore)75

§      Art. 11 (Verifica preliminare)77

§      Art. 12 (Titolo professionale)79

§      Art. 13 (Iscrizione automatica)81

§      Art. 14 (Cooperazione tra autorità competenti)83

§      Art. 15  (Informazioni al destinatario della prestazione)85

§      Art. 16 (Procedura di riconoscimento in regime di stabilimento)89

§      Art. 17  (Domanda per il riconoscimento)93

§      Art. 18  (Ambito di applicazione)97

§      Art. 19  (Livelli di qualifica)99

§      Art. 20  (Titoli di formazione assimilati)103

§      Art. 21  (Condizioni per il riconoscimento)105

§      Art. 22  (Misure compensative)107

§      Art. 23  (Tirocinio di adattamento e prova attitudinale)111

§      Art. 24  (Esecuzione delle misure compensative)113

§      Art. 24-bis (Disposizioni finanziarie)115

§      Art. 25  (Piattaforma comune)117

§      Art. 26  (Requisiti in materia di esperienza professionale)121

§      Art. 27  (Condizioni per il riconoscimento delle attività di cui alla Lista I dell'Allegato IV)123

§      Art. 28  (Condizioni per il riconoscimento delle attività di cui alla Lista II dell'Allegato IV)125

§      Art. 29  (Condizioni per il riconoscimento delle attività di cui alla Lista III dell'Allegato IV)127

§      Art. 30  (Principio di riconoscimento automatico)129

§      Art. 31  (Diritti acquisiti)135

§      Art. 32  (Formazione dei medici chirurghi )139

§      Art. 33  (Formazione medica specialistica e denominazione medica specialistica)143

§      Art. 34  (Diritti acquisiti specifici dei medici specialisti)145

§      Art. 35  (Formazione specifica in medicina generale)147

§      Art. 36  (Diritti acquisiti specifici dei medici di medicina generale)149

§      Art. 37  (Formazione d'infermiere responsabile dell'assistenza generale)151

§      Art. 38  (Esercizio delle attività professionali d'infermiere responsabile dell'assistenza generale)155

§      Art. 39  (Diritti acquisiti, specifici agli infermieri responsabili dell'assistenza generale)157

§      Art. 40  (Formazione dell'odontoiatra)159

§      Art. 41  (Formazione di odontoiatra specialista)161

§      Art. 42 (Diritti acquisiti specifici degli odontoiatri)163

§      Art. 43  (Formazione del medico veterinario)167

§      Art. 44  (Diritti acquisiti specifici dei medici veterinari)169

§      Art. 45  (Formazione di ostetrica)171

§      Art. 46  (Condizioni per il riconoscimento del titolo di formazione di ostetrica)173

§      Art. 47  (Esercizio delle attività professionali di ostetrica)175

§      Art. 48  (Diritti acquisiti, specifici alle ostetriche)177

§      Art. 49  (Formazione di farmacista)181

§      Art. 50  (Esercizio delle attività professionali di farmacista)183

§      Art. 51  (Formazione di architetto)185

§      Art. 52  (Deroghe alle condizioni della formazione di architetto)187

§      Art. 53  (Esercizio dell'attività)189

§      Art. 54  (Diritti acquisiti specifici degli architetti)191

§      Art. 55  (Esercizio della professione di architetto in altri Stati membri)193

§      Art. 56  (Servizi di informazione)195

§      Art. 57  (Regolamento)197

§      Art. 58  (Libera prestazione di servizi per l'attività di guida turistica e di accompagnatore turistico)199

§      Art. 59  (Abrogazioni)201

§      Art. 60  (Clausola di invarianza finanziaria)205

 


Scheda di sintesi

per l’istruttoria legislativa

 


 

Dati identificativi

Numero dello schema di decreto legislativo

134

Titolo

Attuazione della direttiva 2005/36/CE, del Parlamento europeo e del Consiglio, del 7 settembre 2005, relativo al riconoscimento delle qualifiche professionali

Norma di delega

L. 25 gennaio 2006, n. 29 (art. 1, co. 1, 3 e 4)

Settore d’intervento

Professioni

Numero di articoli

60

Date

 

§       presentazione

2 agosto 2007

§       assegnazione

22 agosto 2007

§       termine per l’espressione del parere

1° ottobre 2007

§       scadenza della delega

6 novembre 2007

Commissione competente

II (Giustizia), X (Attività produttive), V (Bilancio) e XIV (Politiche dell’Unione europea) (art. 126, co. 2 del Reg.)

Rilievi di altre Commissioni

 

 


 

Struttura e oggetto

Contenuto

Il provvedimento in esame è stato adottato in attuazione della legge 25 gennaio 2006, n. 29, recante "Disposizioni per l'adempimento di obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle Comunità europee - Legge comunitaria 2005", la quale ha delegato il Governo a recepire, mediante decreto legislativo, la direttiva 2005/36/CE del Parlamento europeo e del Consiglio,  relativa al riconoscimeno delle qualifiche professionali.

 

Come si legge nella relazione illustrativa dello schema di decreto in esame, scopo del provvedimento è quello di assicurare a coloro i quali hanno acquisito una qualifica professionale in uno Stato membro di accedere alla stessa professione e di esercitarla in un altro Stato membro con gli stessi diritti dei cittadini di quest’ultimo.

 

Nello specifico, lo schema di decreto legislativo n. 134, composto da sessanta articoli, è suddiviso nei seguenti quattro titoli:

 

1)      Titolo I, contenente disposizioni generali (articoli da 1 a 8);

2)      Titolo II, contenente la disciplina relativa alla libera prestazione di servizi (articoli da 9 a 15);

3)      Titolo III, contenente la disciplina relativa alla libertà di stabilimento (articoli da 16 a 57);

4)      Titolo IV, contenete disposizioni finali (articoli da 58 a 60).

 

Nel merito dei singoli articoli[1], l’articolo 1 individua l’oggetto del provvedimento, riguardante il riconoscimento delle qualifiche professionali acquisite in uno o più degli Stati membri, mentre l’articolo 2 ne definisce il campo applicativo, precisando, al riguardo, che  per talune professioni (medico, medico specialista, infermiere, odontoiatra, odontoiatra specialista, veterinario, farmacista ed architetto) il riconoscimento si attui facendo ricorso al principio del coordinamento delle condizioni minime di formazione.

L’articolo 3, concerne, poi, gli effetti del riconoscimento e l’articolo 4 chiarisce il significato di talune espressioni ricorrenti nello schema di decreto.

L’articolo 5 individua le Autorità nazionali competenti ad operare il riconoscimento delle qualifiche professionali e a svolgere numerose altre competenze previste dal provvedimento, mentre il successivo articolo 6 definisce le competenze del Dipartimento per il coordinamento delle politiche comunitarie quale centro di coordinamento nazionale per l’applicazione della disciplina e Punto nazione di contatto per le informazioni e l’assistenza sui riconoscimenti, così come previsto dall’art. 56, par. 4 e dell’art. 57 della direttiva.

L’articolo 7concerne le conoscenze linguistiche richieste al professionista migrante, mentre l’articolo 8 regola la parte generale della cooperazione amministrativa tra le Autorità competenti dei vari Stati membri.

L’articolo 9 reca, poi, i principi generali riguardanti le prestazioni professionali temporanee ed occasionali di servizi e l’articolo 10 reca taluni adempimenti richiesti al professionista che intenda svolgere in Italia tali prestazioni.

Nel caso di prestazioni occasionali professionali regolamentate aventi ripercussioni in materia di pubblica sicurezza o di sanità pubblica, l’articolo 11 prevede la possibilità di una verifica preventiva delle qualifiche professionali in possesso del prestatore che potrebbe anche concludersi con la necessità di sottoporre il professionista ad una prova attitudinale finalizzata a colmare le differenze sostanziali riscontrate.

Il successivo articolo 12 prevede, poi, l’esercizio della professione con l’uso del titolo del Paese di stabilimento e l’articolo 13 concerne l’iscrizione automatica del professionista presso gli organismo professionali, se esistenti.

L’articolo 14 regola, poi, la cooperazione amministrativa fra le autorità competenti interessate e l’articolo 15 prevede alcuni obblighi di informazione nei confronti del destinatario del servizio. 

I successivi articoli 16 e 17 disciplinano le procedure di riconoscimento volte ad assicurare al professionista proveniente da un altro Stato membro il diritto di stabilirsi in Italia per esercitare una professione regolamentata che è autorizzato a svolgere nel proprio Paese, mentre l’articolo 18 concerne l’ambito di applicazione del Capo II del titolo III del provvedimento riguardante il regime generale dei titoli di formazione.

L’articolo 19 individua i diversi livelli di qualifiche professionali (attestati di competenza, certificati e diplomi), mentre i successivi articoli 20 e 21 attengono ai titoli di formazione assimilati e alle condizioni per il riconoscimento.

L’ articolo 22 reca, poi, la previsione relativa alla possibilità, da parte dell’Autorità competente, di  condizionare il riconoscimento di una qualifica professionale al superamento di una “misura compensativa” da parte del professionista richiedente e ciò nel caso in cui risultino  differenze sostanziali tra i pacchetti formativi previsti (Stato d’origine e lo Stato ospitante).

L’articolo 23  detta, poi, disposizioni in materia di tirocinio e prova attitudinale e l’articolo 24, reca disposizioni concernenti le citate misure compensative, mentre il successivo articolo 24-bis reca disposizioni finanziarie.

L’articolo 25 disciplina le modalità di elaborazione delle “piattaforme comuni” da parte delle autorità italiane, prevedendo, altresì, che i riconoscimenti professionali rispondenti ai criteri stabiliti nel provvedimento comunitario di adozione di tali piattaforme non siano subordinati al compimento di tirocini di adattamento o di prove attitudinali.

Il successivo articolo 26 contiene una disposizione generale riguardante il  riconoscimento automatico delle qualifiche professionali relative alle professioni indicate nell’allegato IV dello schema di decreto, mentre i successivi articoli 27, 28 e 29 indicano le varie categorie di esperienza richiesta in relazione ai gruppi di attività indicati, rispettivamente, nelle liste I, II e III dell’ Allegato IV.

L’articolo 30, collocato in apertura del Capo IV (Riconoscimento sulla base del coordinamento delle condizioni minime di formazione), Sezione I (Disposizioni comuni), sancisce il principio del riconoscimento automatico dei titoli di formazione rilasciati a cittadini di Stati dell’Unione europea da altri Stati membri.

L’articolo 31 detta alcune disposizioni relative ai diritti acquisiti, precisando che i titoli di formazione che non rispondono ai requisiti previsti dallo schema di decreto o che sono stati acquisiti in alcuni specifici Stati possono essere riconosciuti a determinate condizioni.

Il successivo articolo 32 reca, invece, disposizioni in ordine alla formazione dei medici chirurghi, specificando i requisiti in termini di conoscenze ed esperienza che essa deve assicurare e sottolineando la rilevanza della formazione continua ai sensi del decreto legislativo n. 229 del 1999 per l’aggiornamento professionale successivo al compimento degli studi.

L’articolo 33, concernente la formazione medica specialistica e la denominazione medica specialistica, definisce, in particolare, i requisiti che devono caratterizzare la formazione finalizzata al conseguimento di un diploma di medico chirurgo specialista.

L’articolo 34 è diretto ad assicurare il riconoscimento dei diritti acquisiti specifici dei medici specialisti, prevedendo che, a determinate condizioni, i titoli di formazione di medico specialista siano riconosciuti anche nelle ipotesi in cui essi non rispondono ai requisiti prescritti dalla nuova normativa.

L’articolo 35 reca, poi, disposizioni per la disciplina della formazione specifica in medicina generale, specificando le condizioni di accesso, la durata e le modalità di svolgimento del relativo corso di formazione, mentre l’articolo 36 contiene disposizioni volte a salvaguardare i diritti acquisiti specifici deimedici di medicina generale, individuando i requisiti, le condizioni e le certificazioni a cui è subordinata l’ammissione all’esercizio dell’attività professionale in medicina generale.

L’articolo 37 contiene norme relative alla formazione d'infermiere responsabile dell'assistenza generale, in conformità alle disposizione recate dall’articolo 31 della direttiva 2005/36/CE, prevedendo, in particolare, modalità, durata, obiettivi e requisiti minimi delle attività formative.

L’articolo 38 chiarisce il contenuto delle attività professionali d’infermiere responsabile dell’assistenza generale, mentre l’articolo 39, determina i diritti acquisiti specifici degli infermieri responsabili dell'assistenza generale, recependo sostanzialmente le previsioni di cui all’articolo 33 della direttiva 2005/36/CE, provvedendo, tra l’altro, a definire peculiari disposizioni per il riconoscimento dei titoli di formazione rilasciati in Polonia che non soddisfano i requisiti minimi stabiliti dall’articolo 31.

L’articolo 40, concernente la formazione dell’odontoiatra, definisce, in particolare, i contenuti, la durata e le finalità della formazione finalizzata al conseguimento di un diploma di laurea in odontoiatria e protesi dentaria.

L’articolo 41, concernente la formazione di odontoiatra specialista, definisce, in particolare, i requisiti necessari per l’ammissione alle scuole di specializzazione in odontoiatria ed i principali aspetti riguardanti la formazione dell’odontoiatra specialista.

L’articolo 42, concernente i diritti acquisiti specifici degli odontoiatri, specifica, in particolare, i titoli e le condizioni necessarie, ai fini dell'esercizio dell'attività professionale di odontoiatra, per i cittadini in possesso del titolo di medico rilasciato in Italia, Spagna, Austria, Repubblica Ceca e Slovacchia.

L’articolo 43, concernente la formazione del medico veterinario, definisce, in particolare, i contenuti e le finalità del percorso formativo volto al conseguimento del titolo di veterinario.

L’articolo 44, concernente i diritti acquisiti specifici dei medici veterinari, specifica, in particolare, i requisiti e le condizioni per il riconoscimento del titolo di medico veterinario ai cittadini degli Stati membri che abbiano conseguito tale titolo in Estonia.

L’articolo 45 definisce, in particolare, il contenuto, la durata e le condizioni di accesso alla formazione di ostetrica.

L’articolo 46, concernente le condizioni per il riconoscimento del titolo di formazione di ostetrica, specifica, in particolare, i requisiti e le condizioni per il riconoscimento automatico del diploma di ostetrica.

L’articolo 47 disciplina l’esercizio delle attività professionali di ostetrica, elencando, tra l’altro, le attività che caratterizzano l’attività professionale di ostetrica.

L’articolo 48, concernente i diritti acquisiti specifici alle ostetriche, stabilisce i requisiti necessari per il riconoscimento dei titoli di formazione di ostetrica rilasciati dalla ex Repubblica democratica tedesca e dalla Polonia.

L’articolo 49 reca l’elenco delle conoscenze e delle competenze relative alla formazione di farmacista e l’articolo 50 specifica le attività che possono essere esercitate con quel titolo, corredato del diploma di abilitazione all'esercizio della professione e rispondente alle condizioni di formazione previste dallo schema di decreto in esame.

L’articolo 51 individua le caratteristiche e la durata del corso di studi necessarie ai fini del riconoscimento in Italia della qualifica professionale di architetto.

L’articolo 52 completa l’elenco dei titoli di formazione che la direttiva 2005/36/CE, in deroga ai requisiti stabiliti in via generale nell’articolo 51, considera comunque rilevanti ai fini del riconoscimento della professione di architetto.

L’articolo 53 indica gli effetti del riconoscimento dei titoli di formazione di architetto, mentre il successivo articolo 54 riguarda i loro diritti acquisiti specifici.

L’articolo 55 pone in capo al Ministero dell’università e della ricerca l’onere di certificare il valore abilitante all’esercizio della professione di architetto dei titoli conseguiti in Italia, ai fini del riconoscimento degli stessi in altri Stati membri e l’articolo 56 prevede taluni obblighi di informazione posti a carico dei Consigli degli ordini degli architetti.

L’articolo 57 rinvia la definizione di ulteriori norme concernenti la disciplina dei procedimenti di riconoscimento, l’iscrizione all’albo o al registro degli architetti a successivi regolamenti, da adottare entro sei mesi dall’entrata in vigore del decreto legislativo con decreto del Ministro dell’università e della ricerca, di concerto con il Ministro della giustizia.

L’articolo 58 reca disposizioni in materia di guida turistica e di accompagnatore turistico, mentre l’articolo 59 contiene una serie di norme abrogative e di coordinamento normativo.

L'articolo 60 reca la clausola di invarianza finanziaria.

Relazioni e pareri allegati

Lo schema di decreto legislativo in esame è corredato unicamente della relazione illustrativa e della relazione tecnico - finanziaria.


 

Elementi per l’istruttoria legislativa

Conformità con la norma di delega

Come precedentemente rilevato, la legge 25 gennaio 2006, n. 29, recante "Disposizioni per l'adempimento di obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle Comunità europee - Legge comunitaria 2005", ha delegato il Governo a recepire, mediante decreto legislativo, la direttiva 2005/36/CE del Parlamento europeo e del Consiglio relativa al riconoscimeno delle qualifiche professionali

Quanto ai criteri direttivi riferibili allo schema in esame la norma di delega non contiene specifici principi e criteri per il recepimento della direttiva in questione; trovano quindi applicazione solamente i criteri generali della delega, definiti all'art. 3 della legge n. 29/2006, tra i quali si segnalano, in particolare, ai fini dell’esame del presente schema di decreto, i seguenti:

 

Il criterio di cui alla lettera a) precisa che le amministrazioni direttamente interessate provvedono all'attuazione dei decreti legislativi con le ordinarie strutture amministrative.

 

In relazione al citato criterio direttivo si osserva che l’articolo 5 dello schema di decreto legislativo, nell’individuare le Autorità nazionali competenti ad assicurare, al professioniste dell’Unione europea, il diritto di svolgere in Italia una determinata professione regolamentata, fa riferimento a strutture già operative all’interno dell’Amministrazione pubblica.

 

Il criterio di cui alla lettera b)prevede l’introduzione delle modifiche necessarie per un migliore coordinamento con le discipline vigenti nei singoli settori interessati dall’attuazione delle direttive comunitarie, mentre criteri legati all’armonizzazione delle deleghe legislative sono contenuti nelle lettere e) ed f). In particolare, si prevede che l’attuazione di direttive che modificano precedenti direttive già attuate avvenga per mezzo di modifiche apportate ai testi legislativi di attuazione di tali direttive; è in ogni caso prescritto che i decreti di attuazione assicurino la piena conformità della disciplina alle prescrizioni delle direttive medesime, tenuto anche conto delle eventuali modifiche che potranno intervenire fino al momento del concreto esercizio della delega.

 

In relazione ai citati principi direttivi si osserva che la direttiva 2005/36, oggetto di recepimento da parte del provvedimento in esame, sostituisce le seguenti direttive,  Dir. 89/48 CEE, 92/51 CEE, 99/42 CEE, 77/452 CEE, 77/453 CEE, 78/686CEE, 78/67 CEE, 78/1026 CEE, 78/1027 CEE, 80/154 CEE, 85/384 CEE, 85/432 CEE, 85/433 CEE e 93/16 CEE, riguardanti le professioni di infermiere professionale, odontoiatra, veterinario, ostetrica, architetto, farmacista e medico. Come precisato nella relazione illustrativa del provvedimento il testo dello schema di decreto incide sulle norme di recepimento delle direttive citate sostituendosi completamente ad alcune di esse. Si tratta nello specifico del Decreto legislativo 27.01.1992, n. 115 di attuazione della direttiva 89/48/CEE, del Decreto legislativo 2.05.1994, n. 319 di attuazione della direttiva 92/51/CEE, del Decreto legislativo 20.09.2002, n. 229 di attuazione della direttiva 99/42/CE, del Decreto legislativo 27.01.1992, n. 129 di attuazione della direttiva 85/384/CEE in materia di libera circolazione nel campo dell'architettura, del Decreto legislativo 8.08.1991, n. 258 di attuazione delle direttive 85/432/CEE, 858/433/CEE in materia di libera circolazione di farmacisti, del Decreto legislativo 17.08.1999, n. 368 di attuazione della direttiva 93/16/CEE in materia di libera circolazione dei medici, della Legge 18.12.1980, n. 905 di attuazione delle direttive 77/77/452/CEE, 77/453/CEE in materia di libera circolazione degli infermieri, della. Legge 24.07.1985, n. 409 di attuazione delle direttive 78/686/CEE, 78/687/CEE in materia di libera circolazione degli odontoiatri, della Legge 8.11.1984, n. 750 di attuazione delle direttive 78/1026/CEE, 78/1027/CEE in materia di libera circolazione dei veterinari e infine della Legge 13.06.1985, n. 296 di attuazione delle direttive 80/154/CEE, 80/155/CEE in materia di libera circolazione delle ostetriche.

 

Al riguardo, anche in considerazione del principio direttivo indicato nelle citate lettere  e) ed f), sarebbe opportuno che lo schema di decreto legislativo indicasse espressamente le norme abrogate o sostituite da tale  provvedimento e ciò in quanto l'articolo 59 reca una parziale indicazione di  tali abrogazioni.

 

Il principio di delega di cui alla lettera d) fa riferimento alla copertura finanziaria delle norme delegate. Al riguardo si stabilisce che gli oneri derivanti dall’attuazione delle direttive debbano essere coperti con gli ordinari stanziamenti di bilancio.

 

Al riguardo, si osserva che ai sensi dell’articolo 60 dello schema di decreto in esame dall’attuazione del provvedimento non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

 

Criteri connessi all’univocità dei processi decisionali quando i decreti legislativi investano trasversalmente diverse competenze ed amministrazioni sono contenuti nella lettera g), che si pone inoltre l’obiettivo di garantire, attraverso opportune forme di coordinamento, anche la trasparenza nell’azione amministrativa e la chiarezza nell’attribuzione di responsabilità. Sono espressamente richiamati il rispetto delle competenze delle regioni e degli altri enti territoriali, nonché il rispetto dei princìpi di sussidiarietà, differenziazione, adeguatezza e leale collaborazione.

 

In relazione al citato criterio, si osserva, in primo luogo, che l’articolo 5 del provvedimento attribuisce alle Regioni e alle Province autonome il compito di individuare le Autorità competenti a pronunciarsi sulle domande di riconoscimento presentate dai beneficiari.

Il successivo articolo 6 del provvedimento in esame definisce le competenze del Dipartimento per il coordinamento delle politiche comunitarie quale centro di coordinamento nazionale per l’applicazione della disciplina prevista dallo schema di decreto e Punto nazione di contatto per le informazioni e l’assistenza sui riconoscimenti, così come previsto dall’art. 56, par. 4 e dell’art. 57 della direttiva.

Inoltre, l’articolo 25, nel disciplinare le modalità di elaborazione delle proposte di “piattaformi comuni” da sottoporre alla Commissione europea, prevede la convocazione, da parte del Dipartimento per il coordinamento delle politiche comunitarie, di apposite Conferenze di servizi.

Con riferimento, poi, alla libera prestazione di servizi per l’attività di guida turistica e di accompagnatore turistico, l’articolo 58 prevede, poi, l’adozione di un apposito decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, da emanarsi dopo aver sentito il Ministro per le politiche europee e d’intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato e le Regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano.

Rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definite

La disciplina delle professioni rientra, ai sensi dell’articolo 117, comma 3, della Costituzione nell’ambito della competenza legislativa concorrente. Conseguentemente, spetta alla legislazione dello Stato determinare i principi fondamentali, in conformità dei quali le regioni potranno esercitare la propria potestà legislativa.

Le proposte di legge A.C. 867 ed abb. danno altresì attuazione, sia pure con differenti modalità, alle disposizioni dettate dalla Costituzione agli articoli 4 (in materia di diritto al lavoro), 33 (segnatamente al comma 5, relativo all’esame di Stato per l’abilitazione all’esercizio della professione), 35 (con particolare riguardo alla formazione ed elevazione professionale dei lavoratori), e 41 (in tema di iniziativa economica privata).

 

Compatibilità comunitaria

Esame del provvedimento in relazione alla normativa comunitaria

L’articolo 30 dello schema di decreto legislativo, collocato in apertura del Capo IV (Riconoscimento sulla base del coordinamento delle condizioni minime di formazione), Sezione I (Disposizioni comuni), sancisce il principio di riconoscimento automatico dei titoli di formazione rilasciati a cittadini di Stati dell’Unione europea da altri Stati membri.

A questo proposito si osserva che l’’articolo 21 della direttiva 2005/36/CE sembra prevedere ulteriori disposizioni rispetto a quelle recate dall’articolo 30 dello schema di decreto. In particolare, si segnalano il comma 4, relativo alla creazione di nuove farmacie, e il comma 6, che subordina l’accesso e l’esercizio delle attività di medico chirurgo, infermiere, dentista, veterinario, ostetrica e farmacista al possesso di un titolo di formazione indicato nell’allegato V che assicura un determinato percorso formativo

 

Il successivo articolo 33 non sembra, invece, recepire la disposizione contenuta nell’articolo 25, comma 3, della citata direttiva, ove si prevede, tra l’altro, che la formazione implichi la partecipazione anche alle guardie e che i posti siano adeguatamente retribuiti.

 

Si osserva, poi, che l’articolo 28, paragrafo 3, della direttiva 2005/36/CE stabilisce, altresì, che la formazione pratica è effettuata, per almeno sei mesi, in un centro ospedaliero autorizzato, e, per altri sei mesi, in seno a un ambulatorio di medicina generale autorizzato o a un centro autorizzato in cui i medici dispensano cure primarie. Tale previsione non sembra essere stata recepita dall'articolo 35 dello schema di decreto legislativo

 

Si rileva, poi, che l’articolo 37, comma 1, della direttiva 2005/36/CE indica tra i paesi interessati dalla normativa sui diritti acquisiti anche la Romania, che non risulta inclusa tra i paesi elencati all’articolo 42, comma 1, dello schema di decreto legislativo. 

 

Si evidenzia, inoltre, che all’articolo 43 dello schema di decreto in esame sembrerebbe opportuno un chiarimento in ordine alla mancata trasposizione nel testo dello schema di decreto di alcune disposizioni recate dall’articolo 38 (commi 1 e 2) della direttiva 2005/36/CE, in materia di formazione del medico veterinario.

In particolare, il comma 1 del citato articolo 38 specifica che la formazione di veterinario comprende almeno cinque anni di studi teorici e pratici a tempo pieno presso un'università, un istituto superiore di livello riconosciuto equivalente o sotto la sorveglianza di un'università.

Al comma 2, si dispone, inoltre, che l'ammissione alla formazione di veterinario è subordinata al possesso di un diploma o certificato che dia accesso, per tale studio, a istituti universitari o a istituti superiori riconosciuti da uno Stato membro come di livello equivalente ai fini dello studio in questione

 

All'articolo 48 si rileva, inoltre, che la direttiva 2005/36/CE reca l’articolo 43-bis[2], concernente il titolo rumeno di ostetrica, le cui disposizioni non sembrano recepite dallo schema di decreto in commento.

 

Si evidenzia, inoltre, che l’articolo 45 (commi 3, 4 e 5) della direttiva 2005/36/CE contempla altre disposizioni, che non sembrano trasposte nello schema di decreto e, in particolare, nell'articolo 50 .

 

Da ultimo, si osserva che l’articolo 36 della direttiva 2005/36/CE, relativo all’esercizio delle attività professionali di dentista, non sembra essere stato trasposto nello schema di decreto legislativo in esame.

 

Documenti all’esame delle istituzioni europee
(a cura dell’Ufficio rapporti con l’Unione europea)

Il 5 settembre 2006 la Commissione ha presentato una proposta di raccomandazione sulla costituzione di un Quadro europeo delle qualifiche e dei titoli per l’apprendimento (COM(2006) 479).

La proposta intende fornire uno strumento di riferimento per confrontare le qualifiche dei diversi sistemi di istruzione e di formazione nell’UE, creando un linguaggio comune per descrivere le qualifiche, aumentando la trasparenza, migliorando la comparabilità e facilitando il riconoscimento delle diverse qualifiche ottenute nell'ambito dei diversi sistemi d'istruzione e formazione dell'UE. L’elemento chiave è la definizione di otto livelli di riferimento che descrivono le conoscenze e le capacità di chi apprende, spostando l’attenzione dagli input dell’apprendimento (durata, tipo di istituzione) ai risultati dell’apprendimento. In particolare, i livelli di riferimento sono definiti da una serie di descrittori che indicano i risultati dell’apprendimento, che comprendono insegnamento generale e per adulti, istruzione e formazione professionale e istruzione superiore.

Come specificato dal Comitato economico e sociale nel parere espresso il 30 maggio 2007 sulla proposta di raccomandazione, l’approccio del Quadro europeo delle qualifiche e dei titoli, basato sui risultati dell’apprendimento, dovrebbe contribuire a migliorare la corrispondenza tra le necessità del mercato del lavoro e l’offerta di istruzione e formazione, agevolando anche la validazione dell’apprendimento non formale  e informale  e favorendo in tal modo il trasferimento e l’utilizzazione delle qualifiche tra i diversi paesi ed i differenti sistemi di insegnamento e formazione. Secondo il Comitato, inoltre, è necessario che i lavoratori dell’Unione ed i loro potenziali datori di lavoro dispongano di un quadro di riferimento che permetta di comparare le qualifiche ottenute in uno o più Stati membri con le qualifiche di riferimento degli altri Stati membri in cui gli interessati intendano trasferirsi per svolgere un’attività lavorativa. La priorità, pertanto, deve essere assegnata alla validazione concreta ed al riconoscimento delle diverse qualifiche relative ai risultati dell’apprendimento formale, non formale ed informale dei vari paesi e dei diversi settori dell’istruzione, grazie ad una maggiore trasparenza e a una maggior garanzia della qualità.

Il Consiglio istruzione del 13 novembre 2006 ha convenuto su un orientamento generale, in attesa dell’esame in prima lettura, secondo la procedura di codecisione, da parte del Parlamento europeo. Tale esame dovrebbe svolgersi, in seduta plenaria, nella sessione del 25 settembre 2007. La Commissione auspica che l’adozione della proposta possa avvenire entro il 2007.

In riferimento alla tematica in esame, inoltre, il Parlamento europeo ha approvato, nel corso della seduta del 25 settembre 2006, una risoluzione d’iniziativa sulla creazione di un quadro europeo delle qualifiche.

La risoluzione sottolinea la necessità di istituire un sistema europeo di riconoscimento delle qualifiche e delle competenze al fine di favorirne la trasparenza, la trasferibilità, il riconoscimento e l’impiego da parte dei vari Stati membri, nel pieno rispetto delle ricchezze e delle specificità territoriali.

 

Nella proposta di raccomandazione sulla costituzione del Quadro europeo delle Qualifiche e dei Titoli per l’apprendimento permanente, la Commissione sottolinea che i rispettivi campi di applicazione della direttiva 2005/36/CE e del QEQ sono diversi. La direttiva istituisce un sistema di riconoscimento automatico dei titoli per professioni con percorsi di formazione armonizzati (medici, infermieri, ostetriche, odontoiatri, veterinari, farmacisti e anche per architetti) , mentre il QEQ è finalizzato a migliorare la comparabilità delle qualifiche e più in generale della formazione.

 

Si ricorda, infine, che per quanto riguarda il riconoscimento dei risultati dell’apprendimento, la Commissione è impegnata a sviluppare un sistema europeo di crediti accademici nel campo dell’istruzione e formazione professionale (ECVET) .

Tale sistema intende facilitare il trasferimento, la capitalizzazione e il riconoscimento dei risultati dell’apprendimento acquisito dalle persone in paesi,  sistemi e contesti educativi diversi da quello di origine e aiutare, così, le persone a trarre pienamente profitto dall’apprendimento che deriva dalla mobilità transnazionale.

 

Il progetto ECVET, in particolare, ritiene prioritario facilitare e migliorare:

•      La convalida dei risultati dell’apprendimento permanente.

Si vorrebbe introdurre un meccanismo che faciliti il trasferimento e la convalida di conoscenze acquisite in modo non-formale e informale, aumentando così le possibilità di accesso ad una qualifica nell’arco di tutta la vita.

•      La trasparenza delle qualifiche.

In linea con altre iniziative europee, quale il quadro europeo delle qualifiche, il progetto ECVET propone un approccio nella descrizione delle qualifiche di facile comprensione, anche tra sistemi diversi.

Sul documento della Commissione si è svolta una consultazione pubblica fino a marzo 2007. Sulla base dei risultati della consultazione la Commissione potrebbe decidere, entro dicembre 2007, ulteriori iniziative per perfezionare l’introduzione dell’ECVET.

Incidenza sull’ordinamento giuridico

Attribuzione di poteri normativi

Il comma 7 dell’articolo 22 prevede che con decreto del Ministro interessato, sentiti il Ministro per le politiche europee e i ministri competenti per materia, possono essere individuati ulteriori casi, rispetto a quelli previsti dal comma 1 del medesimo articolo 22,  in cui è necessario subordinare il riconoscimento di una qualifica professionale al previo superamento di una prova attitudinale.

L’articolo 57 rinvia la definizione di ulteriori norme concernenti la disciplina dei procedimenti di riconoscimento e di iscrizione all’albo o al registro degli architetti a successivi regolamenti, da adottare entro sei mesi dall’entrata in vigore del decreto legislativo con decreto del Ministro dell’università e della ricerca, di concerto con il Ministro della giustizia.

Con riferimento, poi, alla libera prestazione di servizi per l’attività di guida turistica e di accompagnatore turistico, l’articolo 58 prevede, poi, l’adozione di un apposito decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, da emanarsi dopo aver sentito il Ministro per le politiche europee e d’intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato e le Regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano.

 

 

Coordinamento con la normativa vigente

Come si legge nella relazione illustrativa del provvedimento in esame, lo schema di decreto legislativo sostituisce la normativa esistente in materia di riconoscimenti professionali, mantenendo nella sostanza i meccanismi procedurali già esistenti e disciplinando esclusivamente la materia strettamente necessaria ad assicurare un recepimanto completo e corretto della direttiva 2005/36.

 

Al riguardo, al fine di un miglior coordinamento con la normativa vigente ed al fine di evitare possibili dubbi interpretativi sarebbe opportuno che il provvedimento in esame indicasse espressamente le norme vigenti che si devono considerare  superate dalle nuove disposizioni contenute nello schema di decreto.

A questo proposito, si osserva, infatti, che  l’articolo 59 reca una parziale indicazione delle norme abrogate. Tra queste, si segnala che, probabilmente per un refuso, viene indicato il decreto legislativo n. 196 del 2003, recante  il Codice in materia di protezione dei dati personali,  materia questa estranea al contenuto del provvedimento.

Collegamento con lavori legislativi in corso

In relazione alla materia delle professioni si segnala che presso le Commissioni riunite giustizia ed attività produttive commercio e turismo della Camera dei deputati è in corso l’esame, in sede referente, delle proposte di legge A. C. 867 ed abb. recanti disposizioni in materia di professioni.

Impatto sui destinatari delle norme

Come precisato nella relazione illustrativa del provvedimento, lo schema di decreto, in linea con l'obiettivo della direttiva, ha lo scopo di dare la garanzia a coloro che hanno acquisito una qualifica professionale in uno Stato membro di accedere alla stessa professione e di esercitarla in un altro Stato membro con gli stessi diritti dei cittadini di quest'ultimo.

A tal fine, lo schema di decreto legislativo sostituisce la normativa esistente in materia di riconoscimenti professionali mantenendo nella sostanza i meccanismi procedurali già esistenti, riproponendo le competenze istituzionali che ad oggi hanno assicurato l'applicazione della normativa di settore e disciplinando esclusivamente la materia strettamente necessaria ad assicurare un recepimento completo e corretto della direttiva 2005/36 CEE.

 

 

Formulazione del testo

Si rinvia alle osservazioni contenute nelle singole schede di lettura.

 


Schede di lettura

 


Quadro normativo[3]

Professioni intellettuali e loro ordinamento

La nozione di professione intellettuale è definita dalla dottrina più moderna in relazione, non solo alla specifica disciplina positiva, ma anche al significato che tale concetto può assumere nella realtà odierna: attualmente, infatti, il diffondersi sempre più emergente di nuove figure lavorative, la complessità del sistema sociale ed economico e, infine, l’affermarsi di nuovi modelli di organizzazione hanno reso insufficiente l'individuazione - operata dalla dottrina tradizionale - delle professioni intellettuali in base al carattere della prestazione, ossia in base alla prevalenza dell’attività intellettiva rispetto all’eventuale lavoro manuale.

La più recente dottrina evidenzia quindi la difficoltà di un'opera tesa a ricondurre ad unità la nozione di professione.

La stessa esegesi della normativa recata dal codice civile agli articoli 2229-2238, che costituisce la base generale della disciplina in materia, non consente, anche per il difetto di norme definitorie, di giungere ad una ricostruzione unitaria dei requisiti dell’attività professionale intellettuale in termini giuridicamente soddisfacenti.

Al riguardo appare opportuno rammentare preliminarmente che l’articolo 2229 c.c. si limita a prescrivere che la legge determina le professioni intellettuali per l’esercizio delle quali è necessaria l’iscrizione in appositi albi, attribuendo alle associazioni professionali taluni poteri in merito, e che l’articolo 2231 non concede azione a chi abbia svolto attività professionale non essendo iscritto, ove richiesto, ad un albo o elenco. Il successivo articolo 2232 c.c. fornisce peraltro elementi più significativi ai fini di una ricostruzione della natura dell’attività in esame nella parte in cui precisa che il prestatore d’opera deve eseguire personalmente l’incarico assunto; la norma specifica altresì che il prestatore può avvalersi di sostituti e ausiliari, sempre sotto la propria direzione e responsabilità, se la collaborazione di altri è consentita dal contratto o dagli usi e non è incompatibile con l’oggetto della prestazione.

Da ciò, tra l’altro, si ricava che la connotazione di intellettuale rispetto ad una professione è implicita in quelle attività per il cui svolgimento è necessaria l’iscrizione in albi, sebbene ciò non escluda che altre attività per le quali tali iscrizioni non siano previste non possano rivestire il medesimo carattere. Del pari, come non ha mancato di rilevare la più recente dottrina, nulla positivamente esclude che la professione intellettuale possa essere svolta nell’ambito di un contratto di lavoro subordinato.

In sostanza si può affermare che la professione intellettuale è di volta in volta caratterizzata dalla natura dell’attività svolta e che lo stesso termine professione indica una posizione lavorativa tecnicamente specificata e connessa ad uno svolgimento abituale della stessa da parte del prestatore d’opera. Occorre rilevare, inoltre, che il professionista deve uniformare ed adeguare la sua attività ad una legislazione di tipo pubblicistico posta in funzione di una pluralità di interessi di natura tanto pubblica quanto generale, settoriale ed individuale.

Come accennato, l’iscrizione in taluni albi è obbligatoria per lo svolgimento di alcune professioni intellettuali. La disciplina di talune attività professionali è pertanto fondata su una particolare organizzazione dei rispettivi professionisti, che, sul piano ordinamentale, si risolve nell’istituzione di figure organizzatorie dei relativi gruppi, ossia degli Ordini e Collegi professionali, che trovano il loro primo referente storico nella organizzazione medioevale del lavoro per categorie.

Si determina quindi, per ogni professione, un ordinamento particolare, frutto dell'"entificazione pubblica" dei centri di riferimento degli interessi delle categorie, caratterizzato da un sostanziale autogoverno delle categorie stesse: in sostanza si ha un'organizzazione dei gruppi professionali in enti pubblici di tipo associativo.

Gli Ordini ed i Collegi professionali esercitano poteri pubblicistici (disciplinari, tariffari, normativi) e sono dotati di personalità giuridica; come accennato, l'appartenenza del professionista all'ordine è obbligatoria.

Caratteristica comune delle professioni per il cui esercizio è prescritta l'appartenenza ad un ordine o collegio è sia la particolare formazione culturale, scientifica o tecnica richiesta sia la necessaria autonomia decisionale del professionista circa la scelta degli strumenti e delle modalità di perseguimento dei risultati.

La funzione di governo autonomo della categoria professionale si riflette poi sull'organizzazione interna dei singoli ordini o collegi, caratterizzata sia dall'elettività degli organi, sia dalle competenze degli stessi.

Fondamento normativo della disciplina prevista per le professioni intellettuali è il già citato articolo 2229 del codice civile, il quale, nel riservare alla legge la determinazione delle professioni intellettuali per il cui esercizio è richiesta l'iscrizione in albi o elenchi, demanda alle associazioni professionali, sotto la vigilanza dello Stato, l'accertamento dei requisiti per l'iscrizione, la tenuta degli albi e il potere disciplinare.

Non esiste, al momento, una disciplina unica e generale per tutti gli ordini professionali: tuttavia, oltre alle norme comuni (es. D.lgs. Lgt. 23 novembre 1944, n. 382, sulla ricostituzione su basi democratiche dei consigli degli ordini e collegi; L. 25 aprile 1938, n. 897, sull'obbligatorietà delle iscrizioni negli albi professionali e sulle funzioni relative alla loro custodia; L. 8 dicembre 1956, n. 1378, sugli esami di Stato per l'abilitazione all'esercizio delle professioni), si possono ricavare dai singoli ordinamenti professionali principi comuni di organizzazione e di funzionamento, dei quali si darà brevemente conto di seguito.

Albo professionale

Funzione

L'esercizio delle professioni per le quali sia previsto un ordine è riservato agli iscritti in apposito albo: all'iscrizione consegue automaticamente l'appartenenza al gruppo professionale.

Peraltro, se il concetto stesso di ordine (o collegio) professionale implica quale necessario presupposto quello di un albo, vi sono albi, ruoli, registri ed elenchi tenuti da ministeri o altre pubbliche amministrazioni cui non sovrintende alcun ordine professionale: in questi casi, i ruoli hanno generalmente una mera funzione informativa.

L'albo adempie ad una funzione di certezza legale circa il numero e la condizione degli iscritti e a quella di garanzia circa il possesso delle qualità richieste per l'attività professionale; nei confronti del singolo professionista l'iscrizione all'albo - con il rispetto delle modalità imposte dall'ordinamento professionale - costituisce titolo di legittimazione all'esercizio della professione.

Quest'ultimo principio si trova enunciato nel citato art. 2229 c.c. L'art. 33, quinto comma, Cost. stabilisce che "è prescritto un esame di Stato […] per l'abilitazione all'esercizio professionale": tuttavia la previsione di un esame di Stato si riscontra talvolta anche per l'esercizio di attività o professioni non rientranti tra quelle in esame, in quanto non governate da un ordine o collegio.

Sulla natura giuridica del provvedimento di iscrizione sussistono dubbi in dottrina: a quanti sostengono che esso costituisca atto di accertamento costitutivo della sussistenza dei requisiti necessari per l'iscrizione stessa (di fronte al quale il richiedente è titolare di un pieno diritto soggettivo) si obietta che sussiste pur sempre un margine di discrezionalità nel consiglio dell'ordine laddove si tratta di valutare i requisiti morali del richiedente.

L'istanza di iscrizione, corredata della ricevuta del pagamento della relativa tassa, deve essere presentata al competente organo consiliare locale, la cui decisione è impugnabile dinanzi al Consiglio nazionale.

La funzione informativa assolta dall'albo richiede un suo regolare e periodico aggiornamento, cui presiede l'organo consiliare locale.

Requisiti di iscrizione

I requisiti di iscrizione possono  classificarsi come segue:

§      requisiti di cittadinanza (oltre a quella italiana ed a quella di Stato con cui viga un trattamento di reciprocità deve ora aggiungersi quella di Stato membro della Unione Europea, anche dove tale indicazione non sia esplicitata nei singoli statuti professionali);

§      requisiti di moralità e condotta (assenza di condanne penali, buona condotta, godimento dei diritti civili e politici);

§      requisiti di età (minima, di regola);

§      requisiti professionali (titolo di studio e abilitazione professionale, conseguente al compimento di un periodo di tirocinio presso un professionista iscritto all'albo o, talora, anche ad albo di altra analoga professione, ed al superamento di un esame di Stato).

 

Il tirocinio o pratica professionale concerne lo svolgimento di attività professionale sotto la guida e la direzione di un professionista iscritto all'albo (di regola con una anzianità minima d'iscrizione): talvolta però gli ordinamenti parificano a detta pratica anche la prestazione di attività tecnica subordinata con le mansioni proprie della specializzazione conseguita, ovvero la frequenza di apposite scuole di formazione L'esame di Stato mira all'accertamento della sussistenza nel candidato delle conoscenze tecnico-professionali o culturali necessarie per l'esercizio della professione: esso può consistere in prove teoriche e pratiche, scritte ed orali. L'accertamento stesso è rimesso ad una apposita commissione d'esame, di nomina ministeriale, ma della quale fanno parte anche membri scelti dai rispettivi ordini professionali.

Altri elenchi, registri e sezioni speciali

Gli albi possono essere divisi in sezioni differenti in ragione del titolo di studio conseguito dagli iscritti; talvolta sono disposti albi o elenchi diversi per titoli professionali diversi, pur sottoposti allo stesso ordine professionale. Vi sono poi elenchi speciali annessi agli albi, in cui sono iscritti professionisti cui è consentito un esercizio più esteso della professione ovvero professionisti ai quali è consentita un'attività più limitata; sussistono talvolta anche elenchi speciali di professionisti che versino in condizioni di incompatibilità. Altro elenco ancora è il registro dei praticanti, ove previsto.

L'iscrizione all'albo del luogo di residenza legittima, di regola, l'attività professionale in tutto il territorio nazionale.

L'esercizio della professione è subordinato all'iscrizione nell'albo, in mancanza della quale esso è abusivo: in conseguenza, la prestazione eseguita da chi non è iscritto non dà azione per il pagamento della retribuzione (art. 2231 c.c.) e, se ne ricorrano gli estremi (in particolare la continuità delle prestazioni), risulta integrato il reato di cui all'art. 348 c.p. (esercizio abusivo della professione). Se l'attività professionale è prestata con contratto di lavoro subordinato, invece, si applicherà l'art. 2126 c.c. sulla prestazione del lavoro di fatto, in quanto norma favorevole al prestatore di lavoro dipendente.

Struttura degli ordini professionali

Le organizzazioni professionali si distinguono in ordini e in collegi a seconda che, per l'esercizio della professione, occorra avere conseguito una laurea o un diploma universitario ovvero un diploma (art. 1 RDL 24 gennaio 1924, n. 103): peraltro tale distinzione vale come principio, sussistendovi rilevanti deroghe.

La struttura degli ordini e collegi professionali è ricavabile dai singoli ordinamenti professionali e, per le categorie in esso contemplate, dal D.lgs. lgt. 23 novembre 1944, n. 382, sulla ricostituzione su basi democratiche degli ordini e collegi professionali.

Di regola ogni ordinamento è caratterizzato da una struttura decentrata e da un organo nazionale con funzioni di coordinamento. Le articolazioni periferiche sono a base circoscrizionale, provinciale, regionale o altro.

Taluni ordinamenti professionali, inoltre, impongono un numero minimo di iscritti ad ogni albo locale, pena l'accorpamento di più circoscrizioni.

Ordini locali

A livello periferico, sono organi dell'ordine l'assemblea degli iscritti, il consiglio, il presidente, il vicepresidente, il segretario, il tesoriere e, ove previsto, il collegio dei revisori dei conti.

L'assemblea è costituita dal complesso degli iscritti all'albo della circoscrizione (ne sono esclusi i praticanti) e ad essa compete anzitutto l'elezione dei membri del consiglio locale: per questo essa costituisce organo basilare di autogoverno democratico della professione.

Altre funzioni dell'assemblea sono, di regola, l'approvazione annuale dei bilanci preventivi e dei conti consuntivi presentati dal consiglio. Oltre che per adempiere a tali funzioni, l'assemblea è convocata quando ne faccia richiesta la maggioranza del consiglio ovvero una quota degli iscritti. Ai singoli statuti professionali si deve rinviare per quanto attiene alle norme relative alla costituzione dell'assemblea ed alle sue modalità di funzionamento.

Il consiglio è invece organo prevalentemente amministrativo dell'ordine ed è composto da un numero di membri variabile a seconda degli ordinamenti professionali ed a seconda del numero degli iscritti all'albo locale. I consiglieri sono eletti dall'assemblea, appositamente convocata dal presidente del consiglio dell'ordine locale, e durano in carica per un periodo di due o tre anni (secondo le previsioni dei singoli ordinamenti professionali).

Il diritto di elettorato passivo spetta di regola a tutti gli iscritti all'albo, ma è previsto talvolta il requisito di una minima anzianità di iscrizione. Risultano eletti i candidati che abbiano ottenuto la maggioranza assoluta dei voti: se ciò non si verifica, per tutti o alcuni posti, si procede ad una nuova votazione; si rinvia comunque alle norme degli statuti professionali per quanto attiene ai procedimenti elettorali.

Il consiglio esercita numerose funzioni, che possono sinteticamente definirsi:

§      amministrative dell'ente;

§      di vigilanza sull'esercizio professionale e sul rispetto delle norme deontologiche, e conseguentemente disciplinari, caratterizzate dall'applicazione di sanzioni graduate e dalla definizione del giudizio disciplinare in base a norme deontologiche proprie del singolo ordinamento professionale;

§      tributarie, determinando - nei limiti posti dal Consiglio nazionale - e riscuotendo i contributi e le tasse a carico degli iscritti, finalizzati alla copertura delle spese;

§      di espressione di parere in ordine alle controversie sulla liquidazione degli onorari.

Il presidente, il vicepresidente, il segretario ed il tesoriere sono eletti dai consigli tra i propri componenti. Il presidente ha funzioni di rappresentanza legale del consiglio, il segretario svolge funzioni organizzative ed il tesoriere esercita competenze attinenti alla gestione finanziaria dell'ente.

Alcuni ordinamenti professionali prevedono inoltre il collegio dei revisori dei conti, al quale è attribuito il controllo sulla gestione finanziaria operata dal consiglio e la verifica dei bilanci preventivi e dei conti consuntivi. Talvolta si prevede, anziché un collegio, un singolo revisore dei conti.

L'ordine nazionale

L'organo nazionale di ogni ordine è il Consiglio nazionale, composto da un numero di membri variabile a seconda dell'ordine professionale (generalmente 11: v. art. 10 d.lgs.lgt 382/44), di regola eletti - ogni tre anni - dai consigli degli ordini o collegi locali.

Al Consiglio nazionale sono attribuiti compiti:

§      di vigilanza e di coordinamento dell'attività dei consigli locali;

§      di formazione professionale e di elaborazione della deontologia professionale;

§      di vigilanza sull'esercizio della professione e di decisione sui ricorsi avverso le pronunzie in materia disciplinare assunte dai consigli locali;

§      di decisione sui ricorsi avverso le pronunzie assunte dai consigli locali in materia di iscrizione e cancellazione dagli albi e sui ricorsi presentati in materia di elezioni degli organi di governo dell'ordine;

§      di determinazione delle tariffe professionali, da approvarsi dal ministro vigilante (talvolta il procedimento è più complesso);

§      di consulenza, su richiesta del ministro vigilante, sugli schemi di provvedimenti normativi riguardanti la professione,

§      di designazione dei rappresentanti dell'ordine professionale presso enti, commissioni e pubbliche amministrazioni;

§      di consulenza al ministro vigilante in ordine ai provvedimenti di scioglimento degli organi locali;

§      normativi (predisposizione dei regolamenti interni di procedura da approvarsi dal ministro vigilante).

L'appartenenza al Consiglio nazionale è di regola incompatibile con quella ai consigli locali. Ogni Consiglio elegge poi - di regola - Presidente, vicepresidente, segretario e tesoriere; talvolta è previsto, anche a livello nazionale, un collegio di revisori dei conti.

Rapporti con altri soggetti pubblici

Gli ordini professionali sono posti sotto la vigilanza di un'amministrazione dello Stato. Tale vigilanza è attribuita nella maggioranza dei casi al Ministero della giustizia. Si tratta di una forma di controllo amministrativo sugli enti - ordini professionali, in funzione di tutela degli interessi pubblici connessi con l'esercizio delle professioni.

Il controllo sugli organi può concretarsi nell'emanazione di decreti di scioglimento dei consigli locali per gravi motivi, impossibilità di funzionamento, violazione dei doveri, previo parere non vincolante del rispettivo Consiglio nazionale.

Con lo scioglimento, il ministro della giustizia può nominare un commissario straordinario  per l'amministrazione dell'ente e per le elezioni. Come si è visto, i rapporti tra ordini e pubbliche amministrazioni sono molteplici: sono previsti pareri dei Consigli nazionali al ministro vigilante (sui provvedimenti normativi che interessano la professione, sui provvedimenti relativi allo scioglimento, accorpamento o creazione di ordini locali, ecc), designazioni da parte dei Consigli stessi dei rappresentanti presso enti ed organi nazionali ed internazionali e comunicazioni delle decisioni dei consigli sui ricorsi e di copia degli albi (al ministro vigilante ed alla magistratura).

 

 

Il decreto legislativo attuativo della legge La Loggia e il decreto legge Bersani (n. 223 del 2006)

Il decreto legislativo 2 febbraio 2006, n. 30, Ricognizione dei principi fondamentali in materia di professioni, costituisce il primo caso di attuazione, nel nostro ordinamento, della delega contenuta nell’articolo 1, comma 4, della L. 131/2003[4] (c.d. legge La Loggia), volta ad adeguare l’assetto ordinamentale all’ampia riforma del Titolo V della Costituzione operata dalla Legge cost. 3/2001[5].

Si ricorda, in proposito, che il citato comma 4 ha conferito al Governo una delega ad emanare uno o più decreti legislativi aventi ad oggetto la ricognizione dei princìpi fondamentali che si traggono dalle leggi vigenti nelle materie attribuite alla potestà legislativa concorrente di Stato e Regioni, come, nella fattispecie in esame, la materia delle "professioni”, intesa in senso ampio, ovvero comprensiva delle attività professionali, che l'articolo 117, terzo comma, della Costituzione, riserva alla potestà legislativa concorrente.

 

Particolarmente nutrito, dopo l’entrata in vigore della riforma costituzionale del 2001, il contenzioso costituzionale tra Stato e Regioni in materia di potestà legislativa concorrente sulle attività professionali. Tra le più recenti sentenze della Consulta che hanno colpito con pronuncie di illegittimità costituzionale disposizioni di leggi regionali che hanno legiferato sulla materia delle professioni, si ricordano: C. cost. n. 353/2003 (legge reg. Piemonte n. 25/2002, recante istituzione di nuove professioni sanitarie relative a a pratiche terapeutiche non convenzionali nonché di un apposito registro regionale; C. cost. n. 355/2005 (legge reg. Abruzzo n.17/2003, istitutiva del registro regionale degli amministratori di condominio); C.cost. n. 424/2005 e 40/2006 (rispettivamente, legge reg. Piemonte n. 13/2004 e reg.Liguria n. 18/2004 entrambe istitutive del registro per gli operatori delle discipline bionaturali per il benessere); C. cost. n. 153/2006, (legge reg. Piemonte n. 1/2004, recante istituzione di nuove figure professionali nei servizi sociali).

 

L’attribuzione al Governo di tale compito, per espressa disposizione della legge, avviene “in sede di prima applicazione”, e il suo scopo è quello di “orientare l’iniziativa legislativa dello Stato e delle Regioni fino all’entrata in vigore delle leggi con le quali il Parlamento definirà i nuovi princìpi fondamentali”.

La norma afferma, dunque, il principio secondo cui spetterà al Parlamento individuare con proprie leggi i nuovi princìpi fondamentali, avendo l’attività di ricognizione delegata al Governo carattere provvisorio e contingente: in ragione dell’asserita natura meramente ricognitiva della delega, il Governo non può, con i decreti legislativi di attuazione, modificare i princìpi fondamentali vigenti, dovendo limitarsi a farli emergere nella loro testuale formulazione attualmente vigente nell’ordinamento.

Il citato comma 4, formula, inoltre, i princìpi della delega (individuati nei principi di esclusività; adeguatezza; chiarezza; proporzionalità; omogeneità) e stabilisce la procedura di adozione dei decreti legislativi, che risulta aggravata rispetto a quella delineata, in via generale, dall’art. 14 della L. 400/1988[6].

Sulla delega legislativa illustrata è intervenuta la sentenza della Corte costituzionale 13 luglio 2004, n. 280.

 

Con tale sentenza la Corte ha dichiarato costituzionalmente illegittimi i commi 5 e 6 dell’articolo 1 della L. 131/2003, le parti cioè che individuavano i criteri direttivi della delega (co. 6) e consentivano di estendere la ricognizione alle disposizioni che, nell’ambito delle materie di legislazione concorrente, fossero riconducibili alla competenza esclusiva dello Stato ex art. 117, secondo comma, Cost. (co. 5).

Nella sentenza, la Corte si è concentrata sulla peculiarità della delega in oggetto, in quanto “meramente ricognitiva” e finalizzata a un “primo orientamento” dell’attività legislativa di Stato e Regioni.

Risulta chiaro, secondo la Corte, che “oggetto della delega è esclusivamente l’espletamento di un’attività che non deve andare al di là della mera ricognizione di quei princìpi fondamentali vigenti, che siano oggettivamente deducibili”.

A proposito dell’infondatezza della questione di legittimità costituzionale avente a oggetto l’art. 1, comma 4, la Corte ha infatti sostenuto che i decreti legislativi ricognitivi dei principi fondamentali costituiscono “un quadro (...) di principi già esistenti, utilizzabile transitoriamente fino a quando il nuovo assetto delle competenze legislative regionali, determinato dal mutamento del titolo V della Costituzione, andrà a regime, e cioè (…) fino al momento della entrata in vigore delle apposite leggi con le quali il Parlamento definirà i nuovi principi fondamentali”.

Inoltre, secondo la Corte, i decreti legislativi sopra citati costituiscono un “quadro di primo orientamento destinato ad agevolare, contribuendo al superamento di possibili dubbi interpretativi, il legislatore regionale nella fase di predisposizione delle proprie iniziative legislative, senza peraltro avere carattere vincolante e senza comunque costituire di per sé un parametro di validità delle leggi regionali, dal momento che il comma 3, dello stesso articolo 1 (della Legge 131/2003), ribadisce che le Regioni esercitano la potestà legislativa concorrente nell’ambito dei principi fondamentali espressamente determinati dallo Stato, o, in difetto, quali desumibili dalle leggi statali vigenti”.

Con questa “lettura minimale” – che assimila la delega in esame a quelle di compilazione dei testi unici – risultavano contrastanti i co. 5 e 6 dello stesso art. 1, i quali imponevano al legislatore delegato “un’attività interpretativa, largamente discrezionale”: il co. 5, infatti, ampliava “notevolmente e in maniera del tutto indeterminata l’oggetto della delega stessa fino eventualmente a comprendere il ridisegno delle materie”; i criteri direttivi di cui al co. 6 non solo evocavano “nella terminologia impiegata l’improprio profilo della ridefinizione delle materie, ma” stabilivano, “anche una serie di ‘considerazioni prioritarie’ nella prevista identificazione dei princìpi fondamentali vigenti, tale da configurare una sorta di gerarchia tra di essi”.

 

L’art. 3, comma 1 del decreto legislativo n. 30 del 2006 prescrive che “l’esercizio della professione si svolge nel rispetto della disciplina statale della concorrenza, ivi compresa quella delle deroghe consentite dal diritto comunitario a tutela di interessi pubblici costituzionalmente garantiti o per ragioni imperative di interesse generale, della riserva di attività professionale, delle tariffe e dei corrispettivi professionali, nonché della pubblicità professionale”.

 

Composto da 7 articoli, il decreto legislativo 30/2006 si articola in tre Capi.

 

Il Capo I, recante le Disposizioni generali, si compone del solo articolo 1, che definisce l’ambito d’applicazione del decreto, ovvero l’individuazione dei princìpi fondamentali in materia di professioni, di cui all'articolo 117, terzo comma, della Costituzione, che si desumono dalla legislazione statale vigente ai sensi dell'articolo 1, comma 4, della Legge “La Loggia”.

Tali principi sono più compiutamente enunciati nel Capo II e al loro rispetto sono tenute le Regioni al momento dell’esercizio della loro potestà legislativa in materia di professioni.

Si specifica che la potestà legislativa regionale si esercita sulle professioni individuate e definite dalla normativa statale.

L’articolo esclude dall’ambito di applicazione del decreto alcune specifiche discipline che, pur riconducibili alla stessa materia, ineriscono a interessi unitari e afferiscono alla potestà esclusiva dello Stato:

§      la formazione professionale universitaria;

§      la disciplina dell'esame di Stato previsto per l'esercizio delle professioni intellettuali, nonché i titoli, compreso il tirocinio, e le abilitazioni richiesti per l'esercizio professionale;

§      l'ordinamento e l'organizzazione degli Ordini e dei collegi professionali;

§      gli albi, i registri, gli elenchi o i ruoli nazionali previsti a tutela dell'affidamento del pubblico;

§      la rilevanza civile e penale dei titoli professionali

§      il riconoscimento e l'equipollenza, ai fini dell'accesso alle professioni, di quelli conseguiti all'estero.

 

Il Capo II indica i seguenti principi fondamentali:

 

Tutela della libertà professionale (articolo 2): l'esercizio della professione, quale espressione del principio della libertà di iniziativa economica, è tutelato in tutte le sue forme e applicazioni, purché non contrarie a norme imperative, all'ordine pubblico e al buon costume. Le regioni non possono adottare provvedimenti che ostacolino l'esercizio della professione. E’ sancito il divieto di ogni discriminazione derivante da ragioni razziali, sessuali, politiche, religiose e in genere da qualsiasi condizione personale o sociale, secondo quanto stabilito dalla disciplina statale e comunitaria in materia di occupazione e condizioni di lavoro.

Anche l'attività professionale esercitata nelle forme del lavoro dipendente deve svolgersi secondo specifiche disposizioni normative che assicurino l'autonomia del professionista.

Si stabilisce che le associazioni rappresentative di professionisti che non esercitano attività regolamentate o tipiche di professioni disciplinate ai sensi dell'articolo 2229[7] del codice civile, se in possesso dei requisiti e nel rispetto delle condizioni prescritte dalla legge per il conseguimento della personalità giuridica, possono essere riconosciute dalla regione nel cui àmbito territoriale si esauriscono le relative finalità statutarie.

 

Tutela della concorrenza e del mercato (articolo 3). L'esercizio della professione si svolge nel rispetto della disciplina statale della tutela della concorrenza (ivi compresa quella delle deroghe consentite dal diritto comunitario a tutela di interessi pubblici costituzionalmente garantiti o per ragioni imperative di interesse generale), della riserva di attività professionale, delle tariffe e dei corrispettivi professionali, nonché della pubblicità professionale

La norma equipara l’attività professionale esercitata in forma di lavoro autonomo a quella d’impresa, ai fini della applicazione della disciplina in materia di concorrenza, di cui agli artt. 81, 82 e 86 del Trattato CE[8], salvo quanto previsto dalla normativa in materia di professioni intellettuali.

Sono ammessi gli interventi pubblici a sostegno dello sviluppo delle attività professionali, secondo le rispettive competenze di Stato e Regioni, nel rispetto della normativa comunitaria.

 

Princìpi relativi all’accesso alle professioni (articolo 4): l'accesso all'esercizio delle professioni è libero, nel rispetto delle specifiche disposizioni di legge.

Relativamente alle attività professionali per l’esercizio delle quali sia richiesta una specifica preparazione, a garanzia di finalità tutelate dallo Stato, debbono essere rispettati i requisiti tecnico-professionali e la definizione dei titoli stabiliti dalla legge statale.

I titoli professionali rilasciati dalla regione nel rispetto dei livelli minimi uniformi di preparazione stabiliti dalle leggi statali, consentono l'esercizio dell'attività professionale anche fuori dei limiti territoriali regionali.

Princìpi per la regolazione delle attività professionali (articolo 5): si individuano alcuni princìpi cui la regolazione delle attività professionali dovrà ispirarsi: tutela della buona fede, affidamento del pubblico e della clientela, correttezza, tutela degli interessi pubblici, ampliamento e specializzazione dell'offerta dei servizi, autonomia e responsabilità del professionista.

 

Il Capo III reca le disposizioni finali del decreto legislativo.

 

L’articolo 6 dispone l’applicazione a favore delle Regioni a statuto speciale e le Province autonome di Trento e di Bolzano di quanto previsto dall’articolo 11 della legge “La Loggia”.

 

Il citato art. 11 fa salvo quanto previsto dagli statuti speciali e dalle relative norme di attuazione, nonché dall’articolo 10 della legge costituzionale 3/2001, che estende alle Regioni a statuto speciale e alle Province autonome di Trento e di Bolzano l’applicazione di quelle parti della riforma del Titolo V che prevedono forme di autonomia più ampie rispetto a quelle già attribuite (ciò sino all'adeguamento degli statuti).

L’art. 11 stabilisce inoltre che le Commissioni paritetiche previste dagli statuti speciali, in relazione alle ulteriori materie spettanti alla loro potestà legislativa ai sensi del sopra richiamato articolo 10 L.cost. 3/2001, possono proporre l’adozione delle norme di attuazione per il trasferimento dei beni e delle risorse strumentali, finanziarie, umane e organizzative, occorrenti all’esercizio delle ulteriori funzioni amministrative.

Tali Commissioni sono inoltre facoltizzate a proporre l’adeguamento degli Statuti anche in relazione alla disciplina delle attività regionali in materia di rapporti internazionali e comunitari.

L’articolo 7 reca, infine, una disposizione di rinvio ai sensi della quale i princìpi fondamentali individuati nel decreto legislativo si applicano a tutte le professioni, restando comunque fermi quelli riguardanti specificamente le singole professioni.

 

Più recentemente, il decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223 (cd. decreto Bersani) come modificato dalla legge di conversione 4 agosto 2006, n. 248, ha inteso dare attuazione al principio comunitario dellai libera concorrenza e libera di circolazione delle persone e dei servizi, nonché ad assicurare agli utenti un’effettiva facoltà di scelta nell’esercizio dei propri diritti e di comparazione delle prestazioni offerte sul mercato

In particolare, l’articolo 2 del provvedimento(Disposizioni urgenti per la tutela della concorrenza nel settore dei servizi professionali.) abroga le disposizioni legislative e regolamentari che prevedono, con riferimento alle attività libero professionali e intellettuali:

§      l'obbligatorietà di tariffe fisse o minime ovvero il divieto di pattuire compensi parametrati al raggiungimento degli obiettivi perseguiti;

§      il divieto, anche parziale, di svolgere pubblicità informativa circa i titoli e le specializzazioni professionali, le caratteristiche del servizio offerto, nonchè il prezzo e i costi complessivi delle prestazioni secondo criteri di trasparenza e veridicità del messaggio il cui rispetto è verificato dall'ordine;

§      il divieto di fornire all'utenza servizi professionali di tipo interdisciplinare da parte di società di persone o associazioni tra professionisti, fermo restando che l'oggetto sociale relativo all'attività libero-professionale deve essere esclusivo, che il medesimo professionista non può partecipare a più di una società e che la specifica prestazione deve essere resa da uno o più soci professionisti previamente indicati, sotto la propria personale responsabilità.

 

Da ultimo, si segnala che in data 24 gennaio 2007 il Governo ha presentato alla Camera dei deputati il disegno di legge A.C. 2160, recante la Delega al Governo in materia di professioni intellettuali. Tale disegno, abbinato ad altre proposte di legge di iniziativa parlamentare vertenti sulla medesima materia, è attualmente all'esame in sede referente delle Commissioni riunite giustizia ed attività produttive della Camera dei deputati.

 

Normativa comunitaria

Per quel che concerne, in generale, il rapporto tra la disciplina comunitaria e l’ordinamento nazionale delle libere professioni non c’è dubbio che la prima eserciti una forte pressione riformatrice sull’attuale regime ordinistico. Come è noto, è soprattutto dal versante comunitario che la vigente normativa italiana sulle professioni è ritenuta particolarmente carente in relazione al principio sulla concorrenza definito dagli articoli 81 e 82 del Trattato istitutivo.

Non a caso tali norme ricadono in una sezione relativa alle “Regole applicabili alle imprese”; infatti, nella giurisprudenza comunitaria la nozione di impresa è assai più ampia da quella desunta dall’art. 2082 del codice civile, facendo riferimento ad ogni attività economica che offra beni e servizi in un determinato mercato. In base a tale premessa, ai fini dell’applicazione della disciplina comunitaria sulla concorrenza, ogni professione è equiparata ad un’attività d’impresa ed ogni ordine professionale ad una associazione di imprese. Questa tesi comunitaria è alla base di importanti sentenze (particolarmente in tema di tariffe) che però non hanno scalfito la contrapposizione tipica dell’ordinamento italiano tra attività professionale e attività d’impresa. Del resto, l’ordinamento comunitario considera gli ordini professionali associazioni di imprese ai fini della concorrenza ma non si preoccupa di fornirne una definizione generale, così che tale definizione ben può essere difforme nei vari ordinamenti professionali degli Stati membri. Da qui, una diversa qualificazione delle professioni: da un lato, come attività analoghe a quelle imprenditoriali; dall’altro, come attività ad esse contrapposte, secondo la definizione generale che ne dà l’ordinamento italiano.

Un quadro della situazione delle prestazioni professionali nell’ambito dell’Unione, è stato fornito dalla Relazione sulla concorrenza nei servizi professionalidel 9 febbraio 2004 della Commissione europea (cd. rapporto Monti).

La Commissione, dettagliatamente, ha analizzato le restrizioni alla concorrenza che caratterizzano la regolamentazione dei servizi professionali negli Stati membri dell'Unione e che derivano proprio dalla fissazione o raccomandazione dei prezzi, dalle restrizioni all'accesso alla professione e all'attività pubblicitaria, dai regimi di riserva previsti per talune attività, dalle regolamentazioni inerenti l'organizzazione e la struttura aziendale dell'attività.

Si tratta, nel complesso, di restrizioni che l'Autorità antitrust italiana aveva già avuto modo di individuare, con riguardo all'Italia, nell'ambito della nota indagine conoscitiva del 1997.

 

Nella medesima Relazione, la Commissione europea evidenzia come il diritto comunitario riconosca la legittimità delle sole misure restrittive della concorrenza che superano il c.d. test di proporzionalità. Detto test di proporzionalità si considera soddisfatto allorché le misure in questione risultino oggettivamente necessarie per raggiungere un obiettivo di interesse generale chiaramente articolato e legittimo e costituiscano il meccanismo meno restrittivo della concorrenza idoneo a raggiungere tale obiettivo.

Nel prendere atto delle specificità dei servizi professionali, nella citata Relazione, la Commissione auspica che la revisione complessiva della regolamentazione dei singoli Stati membri in materia di servizi professionali avvenga ad opera di interventi volontari dei soggetti responsabili delle restrizioni esistenti (segnatamente, le autorità di regolamentazione e gli organismi professionali), invitando detti soggetti a verificare la necessarietà/proporzionalità delle esistenti regole restrittive rispetto alle esigenze di tutela degli interessi di utenti e professionisti.

In altri termini, il diritto comunitario ammette deroghe all'applicazione dei principi antitrust solo con riguardo al singolo caso concreto e nella misura in cui ne risulti accertata l'effettiva funzionalità alla tutela di interessi generali sulla scorta del test di proporzionalità.

 

Il 5 settembre 2005 la Commissione Europea ha pubblicato una nuova Comunicazione avente ad oggetto il seguito della Relazione del febbraio 2004 (I servizi professionali – Proseguire la riforma) con un aggiornamento dei progressi compiuti dai singoli Stati nella revisione e nella soppressione delle restrizioni alla concorrenza ed ha ribadito l’importanza di liberalizzare il mercato dei servizi professionali.

 

Quanto alla normativa comunitaria in materia di professioni - essendo condizione indispensabile per la creazione del mercato unico europeo, oltre alla libera circolazione delle merci, la libera circolazione delle persone, dei servizi e dei capitali (artt. 3, 39 e segg. Trattato di Roma istitutivo della comunità europea, come modificato dal Trattato di Amsterdam di cui alla legge 16 giugno 1998, n. 209) – tale normativa si è in particolare concentrata sul riconoscimento del diritto alla libera circolazione dei servizi in ambito U.E. e della conseguente libertà di stabilimento, ossia il diritto di ogni cittadino europeo di esercitare la propria attività in qualsiasi Stato dell’Unione.

Da qui il necessario il reciproco riconoscimento fra i paesi membri dei diplomi, certificati e titoli professionali dei cittadini europei.

La Corte di giustizia CE ha riconosciuto l'immediata precettività delle norme del Trattato che pongono i citati principi della libertà di stabilimento e della libera prestazione dei servizi (v. es: sentt. 21/6/74, n. 2/74 (Reyners), e 28/4/77, n. 71/76 (Thieffry)).

 

In un primo momento la produzione normativa comunitaria ha avuto l'obiettivo di uniformare ed armonizzare le legislazioni nazionali relative all'esercizio delle singole professioni, in base alla considerazione per cui il riconoscimento dei titoli professionali presuppone tale armonizzazione (ed in questa direzione il legislatore comunitario si è mosso in particolare per le professioni sanitarie): non sono peraltro mancate forti resistenze in tale cammino, come dimostra la normativa dettata per gli avvocati (77/249/CEE) che ha consentito a questi professionisti la sola libera prestazione di servizi professionali in ambito comunitario (rinviando ulteriormente l'attuazione del diritto di stabilimento).

 

Peraltro, la professione di avvocato ha avuto un trattamento particolare dalla normativa comunitaria. Essa, infatti, è stata disciplinata oltre che dalla citata direttiva 77/249/CEE, in materia di libera prestazione dei servizi, dalla direttiva 98/5/CE (attuata con il D.Lgs 2 febbraio 2001, n. 96) in relazione all’esercizio permanente delle professione di avvocato in un altro Stato membro attraverso un meccanismo di autorizzazione che prevede l’uso del titolo professionale del Paese d’origine, nonchè dalla direttiva 89/48/CEE, relativa al riconoscimento professionale (v. ultra).

 

In un secondo momento, il legislatore comunitario ha invece percorso - con le citata direttiva 89/48/CEE nonchè con la direttiva 92/51/CEE (ora superate con l’adozione della direttiva 2005/36/CE, v. ultra) - la strada del riconoscimento reciproco dei titoli professionali sulla base della loro equivalenza in ragione della rispondenza a taluni requisiti minimi.

In particolare, la direttiva 89/48/CE, che ha trovato attuazione in Italia con il D.lgs. 27 gennaio 1992, n. 115, ha introdotto un sistema generale di riconoscimento dell'equivalenza delle formazioni professionali conseguite nei diversi paesi della CE mirando, quindi, alla possibilità di esercitare stabilmente la professione con il titolo del Paese ospitante: essa riguarda le professioni il riconoscimento del cui titolo non risulti disciplinato da specifiche direttive (professioni sanitarie, architetto) e per le quali sia richiesto un titolo di formazione a livello universitario di durata pari ad almeno 3 anni.

Ad integrazione della direttiva 89/48/CEE - e particolarmente per disciplinare il riconoscimento dei titoli professionali non compresi fra quelli di cui alla suddetta direttiva - è poi stata emanata la direttiva 92/51/CEE, attuata con il D.Lgs. 2 maggio 1994 n. 319, concernente i titoli di formazione professionale che implicano un iter di studio post secondario inferiore a 3 anni ma superiore ad uno (cd. diplomi).

Tra le direttive relative al sistema generale si ricordano, in particolare:

§      la direttiva 1999/42/CE del 7 giugno 1999, del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un meccanismo di riconoscimento delle qualifiche per le attività professionali disciplinate da direttive di liberalizzazione e di transizione, e completa il sistema generale di riconoscimento dei diplomi di cui alle citate direttive 89/48/CEE e 92/51/CEE. Tale direttiva è stata recepita con il decreto legislativo 20 settembre 2002 n. 229;

§      la direttiva 2001/19/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 maggio 2001, che modifica le direttive 89/48/CEE e 92/51/CEE del Consiglio relative al sistema generale di riconoscimento delle qualifiche professionali (nonché le direttive 77/452/CEE, 77/453/CEE, 78/686/CEE, 78/687/CEE, 78/1026/CEE, 78/1027/CEE, 80/154/CEE, 80/155/CEE, 85/384/CEE, 85/432/CEE, 85/433/CEE e 93/16/CEE del Consiglio concernenti le professioni di infermiere responsabile dell'assistenza generale, dentista, veterinario, ostetrica, architetto, farmacista e medico).

La direttiva 2001/19/CE ha inteso, in particolare:

-        introdurre nella direttiva 89/48/CEE la nozione di "formazione regolamentata" che si è già incontrata nella direttiva 92/51/CEE. La finalità di questa nozione è di obbligare lo Stato membro ospitante a tener conto della formazione che il richiedente ha ottenuto, compresa quella nello Stato membro dove l'esercizio corrispondente non sarebbe regolamentato. Questa nuova disposizione permetterà di evitare che lo Stato membro ospitante chieda due anni di esperienza professionale;

-        verificare che lo Stato membro ospitante prenda in considerazione al momento di esaminare una domanda di riconoscimento di diploma, l'esperienza acquisita dall'interessato dopo l'ottenimento del diploma. Lo Stato ospitante non potrà più esigere sistematicamente misure di compensazione come prove attitudinali, tirocini di adeguamento o altri, ma dovrà semplificare o se possibile sopprimere tali misure;

-        assicurare la certezza giuridica in materia di riconoscimento di formazioni ottenute da cittadini europei nei paesi terzi: il sistema previsto lascia ad ogni Stato membro il diritto di riconoscere o meno tali formazioni salvo il caso in cui un primo Stato membro ospitante ha già riconosciuto l'esperienza professionale degli interessati. In questo caso un secondo Stato membro ospitante non potrà rifiutare direttamente la domanda di riconoscimento ma dovrà motivare il suo rifiuto;

-        estendere la procedura di riconoscimento automatico, già applicata ai medici generici, agli altri medici oltre che alle professioni di infermiere responsabile dell'assistenza generale, ai dentisti, ai veterinari, alle ostetriche e ai farmacisti. La principale semplificazione consiste nell'aggiornamento degli elenchi dei diplomi riconosciuti a livello europeo, poiché la Commissione potrà pubblicare regolarmente gli elenchi dei diplomi notificati dagli Stati membri.

 

Alla direttiva è stata data attuazione con il decreto legislativo 8 luglio 2003, n. 277.

 

A innovare profondamente tale quadro normativo comunitario è però intervenuta lacitata direttiva 2005/36/CE[9], oggetto di recepimento da parte dello schema di decreto legislativo in esame, che ha riformato il regime di riconoscimento reciproco delle qualifiche professionali (per l'analisi di questa direttiva si veda il successivo paragrafo).

 

Si segnala, inoltre, l'approvazione della risoluzione 12 ottobre 2006, n. 2137 del Parlamento europeo (cd. risoluzione Ehler) sul seguito alla relazione sulla concorrenza nei servizi professionali (2137/2006/CE). Tale risoluzione sollecita l’eliminazione degli “ostacoli alla concorrenza che non sono giustificati o che nuocciano all'interesse generale”, pur riconoscendo “il diritto di emanare regolamentazioni legate a peculiarità tradizionali, geografiche e demografiche”. L’obbligatorietà di tariffe fisse o minime e il divieto di contrattare compensi legati al risultato raggiunto – si legge nella risoluzione - potrebbero essere di ostacolo alla qualità del servizio per i cittadini e alla concorrenza; gli Stati membri devono quindi superare tali vincoli con misure meno restrittive e più adeguate al rispetto dei principi di non discriminazione, necessità e proporzionalità e garantire accesso e mobilità nell'ambito dei servizi professionali.

 

In materia di libertà di stabilimento e libera circolazione dei servizi non possono non essere segnalate le vicende della cd. direttiva Bolkenstein,relativa ai servizi nel mercato interno (Dir. 2006/123/CE), definitivamente approvata dal Parlamento Europeo il 12 dicembre 2006.

 

La proposta iniziale della Commissione – che aveva sollevato in tutti i gruppi politici del Parlamento europeo preoccupazioni sui possibili rischi di riduzione dell’acquis comunitario nel settore sociale (in particolare, in relazione al principio del Paese di origine, v. ultra) – è stata sostanzialmente modificata dall’esame parlamentare.

Il testo approvato dal Parlamento europeo ribadisce l’obiettivo della proposta iniziale relativamente alla liberalizzazione dei servizi, sottolineando al contempo la necessità di assicurare un elevato livello di qualità dei servizi stessi.

L’esame del Parlamento europeo si è focalizzato, in particolare, su alcuni punti controversi:

§       campo di applicazione (art. 2): relativamente a questo aspetto, il testo adottato dal Parlamento europeo ribadisce quanto previsto nella proposta della Commissione, ovvero l’esclusione dei servizi di interesse generale. A questo riguardo gli Stati membri restano liberi di definire, conformemente al diritto comunitario, quelli che essi considerano servizi d'interesse generale, nonché di determinare le modalità di organizzazione e di finanziamento di tali servizi e gli obblighi specifici cui essi devono sottostare. La direttiva si applica, tuttavia, ai servizi di interesse economico generale, ovvero ai servizi che corrispondono ad un’attività economica e sono aperti alla concorrenza quali i servizi postali, i servizi di trasmissione, distribuzione e fornitura di energia elettrica e di gas o i servizi di distribuzione e di fornitura idrica. Oltre a tutta una serie di settori indicati espressamente nel testo adottato dal Parlamento europeo, sono inoltre escluse dal campo di applicazione della direttiva le materie disciplinate da disposizioni comunitarie specifiche come quelle sul distacco dei lavoratori, l’esercizio delle attività televisive o le qualifiche professionali;

§       principio del Paese di origine (art. 16): la formulazione iniziale prevedeva la possibilità per un prestatore di fornire i propri servizi in uno Stato membro diverso da quello di appartenenza unicamente in base alla legislazione dello Stato membro di origine. Il Parlamento europeo ha sostituito questo principio con quello della “libera circolazione dei servizi” in base al quale per la fornitura dei servizi si applica la legislazione del paese in cui essi vengono effettivamente prestati. Inoltre, si fa obbligo agli Stati membri di rispettare il diritto del prestatore di fornire i propri servizi liberamente sul suo territorio senza imporre requisiti discriminatori, ingiustificati e sproporzionati tranne che per motivi di pubblica sicurezza, protezione dell'ambiente e sanità pubblica;

§       distacco dei lavoratori (artt. 24 e 25): il Parlamento europeo ha soppresso le disposizioni relative al distacco dei lavoratori, ritenendo che questa questione ricada nel campo di applicazione della direttiva 96/71/CE relativa al distacco di lavoratori nell’ambito di una disciplina di servizi. diritti dei destinatari dei servizi e qualità dei servizi (artt. 20-23 e 26-32): la proposta fissa l’obbligo a carico delle imprese di mettere a disposizione dei consumatori alcune informazioni chiave. Essa stabilisce, inoltre, che le regole professionali in materia di comunicazioni commerciali devono rispettare i principi di non discriminazione, necessità e proporzionalità;

§       cooperazione amministrativa (artt. 34-38): gli Stati membri devono rafforzare la cooperazione amministrativa, anche mediante la trasmissione elettronica delle informazioni, al fine di assicurare un controllo migliore e più efficace delle imprese. In questo contesto la proposta modificata prevede l’istituzione di un meccanismo di allerta in virtù del quale,qualora uno Stato membro sia a conoscenza di fatti gravi suscettibili di nuocere gravemente alla salute o alla sicurezza delle persone o all’ambiente, è tenuto ad informarne tempestivamente lo Stato membro di stabilimento, gli altri Stati membri interessati e la Commissione.

 

 

 

 

La direttiva n. 36 del 2005 in materia di Riconoscimento delle qualifiche professionali

La direttiva 2005/36/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 7 settembre 2005, relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali ed oggetto di recepimento da parte dello schema di decreto legislativo in esame riforma l’attuale regime al fine di contribuire alla flessibilità dei mercati del lavoro, di realizzare una maggior liberalizzazione delle prestazioni di servizi, di favorire un maggiore automatismo nel riconoscimento delle qualifiche, nonché di semplificare le procedure amministrative.

In questa prospettiva, la direttiva in oggetto, che consolida in un unico testo molteplici direttive adottate nel corso degli ultimi decenni, pur mantenendo le garanzie inerenti ad ogni sistema di riconoscimento esistente, istituisce un quadro giuridico unico e coerente, che poggia su una liberalizzazione più estesa della prestazione di servizi, una maggiore automaticità nel riconoscimento delle qualifiche e una maggiore flessibilità delle procedure di aggiornamento della direttiva medesima.

Ilregime di riconoscimento delle qualifiche professionale maggiormente uniforme, trasparente e flessibile introdotto dalla direttiva - come auspicato dal Consiglio europeo di Stoccolma del 2001 - è volto a conferire, a coloro che  hanno acquisito una qualifica professionale in uno Stato membro, la garanzia di accedere alla stessa professione e di poterla esercitare in un altro Stato membro alle stesse condizioni dei cittadini di quest’ultimo.

Tuttavia, come si precisa nel “Considerando..” n. 3, la suddetta garanzia non esonera il professionista migrante dal rispetto di eventuali condizioni di esercizio che potrebbero essere imposte dallo Stato ospitante, purché siano giustificate, proporzionate e non risultino discriminatorie.

 

Con ladirettiva 2005/36/CEsi provvedeal consolidamento in un unico testo, e alla sostituzione, di 15 direttive adottate nel corso degli ultimi quarant'anni e con le quali si era provveduto all’istituzione di differenti regimi di riconoscimento delle qualifiche professionali.

Le direttive in questione, di cui si dispone l’abrogazione a decorrere dal 20 ottobre 2007, sono le seguenti: direttive settoriali 77/452/CEE, 77/453/CEE, 78/686/CEE, 78/687/CEE, 78/1026/CEE, 78/1027/CEE, 80/154/CEE, 80/155/CEE, 85/384/CEE, 85/432/CEE, 85/433/CEE e 93/16/CEE concernenti le professioni di infermiere responsabile dell'assistenza generale, dentista, veterinario, ostetrica, architetto, farmacista e medico; direttive 89/48/CEE e 92/51/CEE relative al sistema generale di riconoscimento delle qualifiche professionali, e direttiva 1999/42/CE che ha istituito un meccanismo di riconoscimento delle qualifiche per le attività professionali disciplinate dalle direttive di liberalizzazione e dalle direttive recanti misure transitorie e che ha completato il sistema generale di riconoscimento delle qualifiche.

Campo di applicazione

La disciplina in esame si applica a tutti i cittadini di uno Stato membro che vogliano esercitare, come lavoratori subordinati o autonomi - compresi i liberi professionisti -una professione regolamentata in uno Stato membro diverso da quello in cui hanno acquisito le loro qualifiche professionali.

La direttiva, peraltro, non esclude la possibilità per gli Stati membri di consentire sul proprio territorio, secondo la propria regolamentazione, l’esercizio di una professione regolamentata ai cittadini di uno Stato membro le cui qualifiche professionali siano state acquisite in un paese terzo, al di fuori del territorio dell'Unione europea.

La direttiva definisce “professione regolamentata”’ l’attività o l’insieme di attività professionali l’accesso alle quali e il cui esercizio sono subordinati - in forza di norme legislative, regolamentari o amministrative - al possesso di determinate qualifiche professionali. Alle professioni regolamentate sono assimilate le professioni esercitate da membri di associazioni o di organismi elencati nella allegato I del provvedimento, cui viene riconosciuta la finalità di promuovere e di mantenere un elevato livello professionale. A tal fine dette associazioni e organismi sono oggetto di riconoscimento da parte dei singoli Stati che rilasciano ai loro membri un titolo di formazione, esigendo da parte di costoro il rispetto delle regole di condotta professionale prescritte dalle associazioni, e conferiscono ai medesimi il diritto di usare un titolo o un'abbreviazione o di beneficiare di uno status corrispondente a tale titolo di formazione. Del riconoscimento di una associazione o di un organismo da parte di uno Stato membro deve essere informata la Commissione, che pubblica un'adeguata comunicazione nella Gazzetta ufficiale dell'Unione europea.

 

Libera prestazione di servizi (titolo II)

La direttiva, data la diversità dei regimi previsti, distingue tra “libera prestazione di servizi” e “libertà di stabilimento”.

Con riferimento alla libera prestazione di servizi, che riveste un carattere temporaneo ed occasionale (valutato caso per caso), la direttiva stabilisce che gli Stati membri non possono sottoporla a restrizioni, per motivi inerenti alle qualifiche professionali, nelle seguenti situazioni:

§         quando il beneficiario sia legalmente stabilito in un altro Stato membro per esercitarvi la stessa professione;

§         in caso di spostamento del prestatore, qualora costui abbia esercitato la professione nello Stato membro di stabilimento per due anni, nel corso dei dieci che precedono la prestazione di servizi, se detta professione non è ivi regolamentata. Tale condizione non si applica in caso di professione regolamentata.

In caso di spostamento, il prestatore di servizi è soggetto a norme - di carattere professionale, legale o amministrativo -  direttamente connesse alle qualifiche professionali (definizione della professione, uso dei titoli e gravi errori professionali connessi direttamente e specificamente alla tutela e sicurezza dei consumatori, disposizioni disciplinari applicabili ai professionisti che esercitano la stessa professione nello Stato ospitante).

Per i prestatori di servizi stabiliti in un altro Stato membro è, tuttavia, prevista la dispensa da requisiti imposti ai professionisti stabiliti sul territorio dello Stato ospitante e riguardanti: a) l'autorizzazione, l'iscrizione o l'adesione a un'organizzazione o a un organismo professionale (gli Stati membri possono prevedere un'iscrizione temporanea e automatica o un'adesione pro forma); b) l'iscrizione a un ente di previdenza sociale di diritto pubblico, per regolare con un ente assicuratore i conti relativi alle attività esercitate a profitto degli assicurati.

 

Agli Stati è riconosciuta la facoltà di esigere una dichiarazione preventiva contenente informazioni sulla copertura assicurativa o analoghi mezzi di protezione personale o collettiva per la responsabilità professionale, quando il prestatore si sposta per la prima volta. Gli Stati membri possono richiedere, altresì che la dichiarazione sia corredata da documenti comprovanti: a) la nazionalità del prestatore; b) lo stabilimento legale in uno Stato membro per  l’esercizio delle attività in questione, non vietato al momento del rilascio dell'attestato; c) i titoli di qualifiche professionali; d) l’esercizio dell’attività in questione per almeno due anni nei precedenti dieci anni in caso di professioni non regolamentate nello Stato di stabilimento; e) l’assenza di condanne penali per le professioni nel settore della sicurezza, qualora lo Stato membro lo richieda per i propri cittadini.

La direttiva richiede che la prestazione di servizio sia effettuata con il titolo professionale dello Stato membro di stabilimento - qualora un siffatto titolo regolamentato esista in tale Stato per l'attività professionale in questione - indicato nella lingua ufficiale o in una delle lingue ufficiali del suddetto Stato.

In caso contrario il prestatore indica il suo titolo di formazione nella lingua ufficiale o in una delle lingue ufficiali dello Stato di stabilimento.

In via eccezionale la prestazione viene effettuata con il titolo professionale dello Stato membro ospitante per i casi di cui al titolo III, capo III (riconoscimento automatico).

Ai fini di garantire l’agevolazione della prestazione di servizi nel contesto della stretta osservanza della salute e della sicurezza pubblica nonché della tutela dei consumatori, la direttiva prevede disposizioni specifiche per le professioni regolamentate aventi implicazioni in materia di pubblica sicurezza e di sanità pubblica, quali la verifica preliminare della professionalità per chi non beneficia del riconoscimento automatico dei titoli di formazione, da parte  dell’autorità competente dello Stato ospitante.

Secondo la definizione contenuta nella stessa direttiva (art. 3) con l’espressione “autorità competente”, si indica l’autorità o l’organismo investito di autorità dagli Stati membri, abilitato in particolare a rilasciare o ricevere titoli di formazione e altri documenti o informazioni e domande, ed autorizzato ad adottare le decisioni.

In caso di differenze sostanziali tra le qualifiche professionali del prestatore e la formazione richiesta nello Stato membro ospitante, tale da nuocere alla pubblica sicurezza o alla sanità pubblica, lo Stato membro ospitante è tenuto a sottoporre il prestatore ad una prova attitudinale volta a dimostrare l’acquisizione da parte di questi delle conoscenze o delle competenze mancanti.

In questo caso la prestazione di servizi è effettuata con il titolo professionale dello Stato ospitante che, ai sensi dell’art. 9, può richiedere al prestatore ulteriori informazioni (eventuale iscrizione in un registro commerciale, sottoposizione ad un regime autorizzatorio dell’attività nello Stato di stabilimento, iscrizione ad un ordine professionale, titolo professionale, eventuale assoggettamento all’IVA dell’attività ed eventuale copertura assicurativa). Dette informazioni possono essere richieste anche in caso di svolgimento dell’attività da parte del prestatore con il titolo di formazione.

Con riferimento al prestatore di servizi è previsto, infine, uno scambio di informazioni e cooperazione a livello amministrativo tra gli Stati membri in merito alla legalità dello stabilimento, la buona condotta, l’assenza di sanzioni disciplinari o penali di carattere  professionale.

 

 

Libertà di stabilimento (Titolo III)

Ci si trova nel quadro della “libertà di stabilimento” quando un professionista  beneficia della libertà di stabilirsi in uno Stato membro per svolgervi un’attività professionale in modo stabile.

 

In tale ambito, la direttiva  conferma i tre regimi di riconoscimento esistenti:

§         un regime generale di riconoscimento reciproco: se in uno Stato membro ospitante l’accesso a una professione regolamentata o il suo esercizio è subordinato al possesso di determinate qualifiche professionali, l’autorità competente di tale Stato membro dà accesso alla professione e ne consente l’esercizio - alle stesse condizioni dei propri cittadini - ai richiedenti che siano in possesso dell’attestato di competenza o del titolo di formazione richiesto, rilasciato da un altro Stato membro per accedere alla stessa professione o esercitarla sul suo territorio. L’accesso alla professione e al suo esercizio è consentito a coloro che abbiano esercitato a tempo pieno la professione per due anni nel corso dei precedenti dieci anni in uno Stato membro che non regolamenti tale professione o che abbia uno o più attestati di competenza o titoli di formazione. Sono previsti alcuni meccanismi di compensazione (tirocinio di adattamento non superiore a tre anni o test attitudinale) in mancanza di un'armonizzazione delle condizioni minime di formazione per accedere alle professioni disciplinate dal regime generale (capo I);

§         il riconoscimento automatico delle qualifiche comprovate dall'esperienza professionale per una serie di attività industriali, artigiane e commerciali elencate nell’allegato IV (capo II);

§         il riconoscimento automatico dei titoli di formazione - sulla base di un coordinamento delle condizioni minime di formazione - per medici, infermieri responsabili delle cure generali, odontoiatri, veterinari, ostetriche, farmacisti e architetti (capo III).

 

Regime generale di riconoscimento dei titoli di formazione (capo I)

Con riferimento al regime generale di riconoscimento dei titoli di formazione, applicabile a tutte le professioni non coperte dai capi II e III (relativi al riconoscimento dell’esperienza professionale e al riconoscimento automatico di alcune professioni), la direttiva, allo scopo di definirne il meccanismo, raggruppa i vari regimi nazionali di istruzione e formazione in diversi livelli che, come si precisa nel “Considerando..” n. 11, “sono stabiliti soltanto ai fini del funzionamento del regime generale, non hanno effetti sulle strutture nazionali di istruzione e di formazione, né sulle competenze degli Stati membri in questo ambito”.

I livelli individuati sono cinque; in essi sono raggruppate le qualifiche professionali che corrispondono ai livelli minimi di cultura essenziali per esercitare le varie professioni: a) diplomi di primo accesso, b) diploma di scuola media superiore, c) diploma attestante formazione a livello di insegnamento  post-secondario di almeno un anno; d) diploma attestanti formazione a livello di insegnamento post-secondario fino a quattro anni; e) diploma attestante formazione a livello di insegnamento post-secondario da quattro anni in su. A seconda delle varie professioni si aggiunge la formazione iniziale e l'obbligo della formazione continua (articolo 11).

Costituiscono titoli di formazione assimilati quelli rilasciati da un'autorità competente in uno Stato membro che sanciscano una formazione acquisita nella Comunità, e che siano riconosciuti da tale Stato membro come di livello equivalente e conferiscano gli stessi diritti d'accesso o di esercizio di una professione. È altresì assimilata ad un titolo di formazione ogni qualifica professionale che, pur non rispondendo ai requisiti delle norme legislative, regolamentari o amministrative dello Stato membro d'origine per l'accesso a una professione o il suo esercizio, conferisca al suo titolare diritti acquisiti in virtù di tali disposizioni. Ciò avviene, quando, ad esempio, lo Stato di origine innalza il livello di formazione richiesto per l’ammissione ad una professione (art. 12).

Gli attestati di competenza o i titoli di formazione richiesti per l’acceso alla professione e il relativo esercizio  devono soddisfano le seguenti condizioni:

a) rilascio da parte di un'autorità competente in uno Stato membro, designata ai sensi delle disposizioni legislative, regolamentari o amministrative di tale Stato;

b) attestazione di un livello di qualifica professionale almeno equivalente al livello immediatamente anteriore a quello richiesto nello Stato membro ospitante, come descritto all'articolo 11;

c) attestazione della preparazione del titolare all'esercizio della professione interessata (quest’ultimo requisito vale solo per chi accede alla professione a seguito dell’esercizio a tempo pieno della medesima in un altro Stato per due anni, nel corso dei precedenti dieci) (art. 13).

Come anticipato, in mancanza di un'armonizzazione delle condizioni minime di formazione per accedere alle professioni disciplinate dal regime generale, allo Stato membro ospitante è consentita la possibilità di imporre misure compensatrici proporzionate, tenendo conto dell'esperienza professionale del richiedente al quale è lasciata la scelta tra una prova attitudinale o un tirocinio d'adattamento (art. 14).

Lo Stato può dispensare dall’applicazione dei provvedimenti di compensazione sulla base di  piattaforme comuni -consistenti in una serie di criteri che permettono di colmare la più ampia gamma di differenze sostanziali che sono state individuate tra i requisiti di formazione esistenti nei vari Stati membri per una determinata professione -  proposte a livello europeo da Stati membri, o da associazioni e organismi professionali che le  possono sottoporre al parere della Commissione. Questa, qualora le ritenga in grado di facilitare il riconoscimento reciproco delle qualifiche professionali, può presentare un progetto di provvedimenti, in vista della loro adozione (art. 15).

 

Riconoscimento dell’esperienza professionale (capo II)

Ai fini del riconoscimento - quale prova del possesso di conoscenze e competenze generali - dell’esercizio di attività commerciali o professionali  indicate nell’Allegato IV della direttiva e raggruppate in tre distinti elenchi, gli articoli 17, 18 e 19 della direttiva stabiliscono in dettaglio le condizioni che l’esperienza professionale deve soddisfare e che si differenziano in relazione all’appartenenza delle attività ad uno dei diversi raggruppamenti di cui al citato allegato IV.

Riconoscimento in base al coordinamento delle condizioni minime di formazione (capo III)

In base al principio di riconoscimento automatico, ogni Stato membro riconosce i titoli di formazione di medico, che danno accesso alle attività professionali di medico con formazione di base e di medico specialista, di infermiere responsabile dell'assistenza generale, di dentista, di dentista specialista, di veterinario, di farmacista e di architetto, nonché i titoli di formazione di ostetrica.

Negli Stati membri l'accesso alle suddette attività professioni e il relativo esercizio sono quindi subordinati al possesso di un determinato titolo di formazione, il che garantisce che l'interessato ha seguito una formazione che soddisfa i requisiti minimi stabiliti.  Il rilascio dei titoli spetta ai  competenti organismi degli Stati membri e può essere eventualmente accompagnato da certificati individuati nell'allegato V della direttiva.

Agli Stati membri è riconosciuta la facoltà di autorizzare una formazione a tempo parziale - non inferiore per durata, livello e qualità, alla formazione continua a tempo pieno – secondo condizioni stabilite dalle autorità competenti. Sulla base di specifiche procedure stabilite degli Stati membri la formazione e l’istruzione permanente garantiscono - a chi abbia completato i propri studi - l’adeguamento ai progressi professionali.

Tale regime è completato da una serie di diritti acquisiti di cui i professionisti qualificati beneficiano a determinate condizioni.

Oltre a disposizioni di carattere comuni, il capo III reca la disciplina inerente la formazione, l’esercizio della professione e i diritti acquisiti con riferimento a ciascuna delle professioni per le quali è previsto il riconoscimento automatico dei  titoli di formazione.

 

 

Disposizioni comuni in materia di stabilimento (capo IV)

La direttiva individua la documentazione che può essere richiesta da uno Stato membro ospitante per poter deliberare in merito a richieste di autorizzazione all’esercizio di professioni regolamentate (quali la conferma dell’autenticità degli attestati e dei titoli di formazione rilasciati da parte di un altro Stato membro in caso di dubbio fondato) ed, inoltre, definisce eventuali formalità da seguire in determinate occasioni. Stabilisce, altresì, procedure uniformi per il riconoscimento delle qualifiche e l’uso del titolo professionale.

 

 

 

 

Titoli IV e V

I titoli IV e V della direttiva recano disposizioni riguardanti, rispettivamente, le modalità d'esercizio della professione e la cooperazione amministrativa e le competenze esecutive dei singoli Stati membri.

Tra le prime si segnala l’obbligo, a carico dei beneficiari del riconoscimento, delle conoscenze linguistiche necessarie all’esercizio  della professione nello Stato ospitante.

Per quanto concerne la cooperazione e le competenze esecutive, la direttiva  chiama le autorità competenti dei singoli Stati membri – che devono essere designate entro il 20 ottobre 2007 - ad una assistenza reciproca e allo scambio di informazioni concernenti azioni disciplinari o sanzioni penali  adottate o altre circostanze gravi che possono avere ripercussioni sull’esercizio dell’attività.

Inoltre, per assicurare la trasparenza del sistema di riconoscimento, la direttiva prevede la realizzazione di una rete di punti di contatto incaricati d’informare e di assistere i cittadini degli Stati membri. Tali punti di contatto comunicheranno ai cittadini che lo richiedono e alla Commissione tutte le informazioni e gli indirizzi utili per la procedura di riconoscimento.

Infine, per rendere efficace la gestione dei diversi regimi di riconoscimento stabiliti dalle direttive settoriali e dal regime generale, la direttiva prevede che la Commissione sia assistita da un Comitato per il riconoscimento delle qualifiche professionali, composto dai rappresentanti degli Stati membri e presieduto da un rappresentante della Commissione. Il Comitato è tenuto a  consultare gli esperti delle categorie professionali interessate.

Da ultimo, il Titolo VI prevede che, a partire dal 20 ottobre 2007, gli Stati membri trasmettano alla Commissione, con cadenza biennale, una relazione sull’applicazione del sistema.

 

Gli Stati membri dovranno conformarsi alla direttiva 2005/36/CE entro il 20 ottobre 2007.


Il contenuto del provvedimento

Art. 1
(Oggetto)

 


1. Il presente decreto disciplina il riconoscimento, per l'accesso alle professioni regolamentate e il loro esercizio, con esclusione di quelle il cui svolgimento sia riservato dalla legge a professionisti in quanto partecipi sia pure occasionalmente dell'esercizio di pubblici poteri ed in particolare le attività riservate alla professione notarile, delle qualifiche professionali già acquisite in uno o più Stati membri dell'Unione Europea, che permettono al titolare di tali qualifiche di esercitare nello Stato membro di origine la professione corrispondente.

 

2. Restano salve le disposizioni vigenti che disciplinano il profilo dell'accesso al pubblico impiego.


 

 

Il Titolo I dello schema di decreto legislativo in esame è composto da 8 articoli e due Capi: il Capo I (art. da 1 a 7) contiene le disposizioni relative all'ambito di applicazione e le definizioni, mentre il Capo II (art. 8) disciplina i rapporti tra le autorità competenti nazionali e quelle di altri Stati membri.

 

Nello specifico, l'articolo 1 individua, l'oggetto dello schema di decreto  consistente nella disciplina del riconoscimento delle qualifiche professionali acquisite in uno o più stati membri dell'Unione europea al fine dell'esercizio, in Italia, di una determinata professione.

Il medesimo articolo precisa, altresì, che la citata disciplina concerne unicamente il riconoscimento delle qualifiche professionali relative all'esercizio di professioni regolamentate, così come definite dal successivo articolo 4, con espressa esclusione di quelle il cui svolgimento sia riservato dalla legge a professionisti in quanto partecipi sia pure occasionalmente dell'esercizio di pubblici poteri ed in particolare le attività riservate alla professione notarile.

 

Nel diritto italiano, secondo quanto recita l'art. 1 della legge 16 febbraio 1913, n. 89 ("legge notarile"), "I notari sono ufficiali pubblici istituiti per ricevere gli atti tra vivi e di ultima volontà, attribuire loro pubblica fede, conservarne il deposito, rilasciarne le copie, i certificati e gli estratti".

Si ottiene la nomina a notaio superando un concorso pubblico nazionale bandito dal Ministero della giustizia.

Gli aspiranti debbono essere in possesso del diploma di laurea in giurisprudenza e aver compiuto un periodo di prattica presso uno studio notarile.

L'esame, preceduto dalla preselezione informatica, verte in due distinte prove:

Ø       un esame scritto, suddiviso in tre prove teorico-pratiche riguardanti atti tra vivi, atti di ultima volontà e ricorsi di volontaria giurisdizione;

Ø       ed un esame orale concernente argomenti di diritto civile e commerciale, ordinamento del notariato e degli archivi notarili e tasse sugli affari.

 

Il comma 2 dispone che restano salve le vigenti norme che disciplinano l’accesso al pubblico impiego.

La disposizione sembrerebbe riferirsi alle eventuali norme che disciplinano l’accesso nelle pubbliche amministrazioni per qualifiche professionali riservate a professionisti iscritti in albi o elenchi.

La norma andrebbe tuttavia formulata in maniera più chiara, anche al fine di precisare se si intende far salve, oltre alle disposizioni legislative, anche le eventuali previsioni della contrattazione collettiva.


 

Art. 2
(Ambito di applicazione)
 

 


1. Il presente decreto si applica ai cittadini degli Stati membri dell'Unione Europea che vogliano esercitare sul territorio nazionale, quali lavoratori subordinati o autonomi, compresi i liberi professionisti, una professione regolamentata in base a qualifiche professionali conseguite in uno Stato membro dell'Unione Europea e che, nello Stato d'origine, li abilita all'esercizio di detta professione.

 

2. Le disposizioni del presente decreto non si applicano ai cittadini degli Stati membri dell'Unione europea titolari di qualifiche professionali non acquisite in uno Stato membro, per i quali continuano ad applicarsi le disposizioni vigenti. Per le professioni che rientrano nel Titolo III, Capo III, il riconoscimento deve avvenire nel rispetto delle condizioni minime di formazione elencate in tale capo.

 

3. Per il riconoscimento dei titoli di formazione acquisiti dai cittadini dei Paesi aderenti allo Spazio Economico Europeo e della Confederazione Svizzera, si applicano gli accordi in vigore con l'Unione Europea.


 

 

Il comma 1 dell’articolo in esame definisce l’ambito di applicazione del provvedimento, che riguarda i cittadini degli Stati dell’Unione, che intendano svolgere sul territorio nazionale, nella veste di lavoratori subordinati o autonomi, una professione regolamentata in base ad una qualifica professionale conseguita in uno Stato membro e che, nello Stato di origine, li abiliti all’esercizio di questa professione.

Il comma successivo esclude dall’ambito di applicazione del provvedimento i cittadini comunitari titolari di qualifiche professionali conseguite al di fuori degli Stati membri, per i quali continuano a trovare applicazioni le disposizioni attualmente in vigore. Ai sensi dello stesso comma, si prevede che il riconoscimento le professioni rientranti nel Titolo III, Capo III (rectius Capo IV) dello schema di decreto – ovvero medico, medico specialista, infermiere responsabile dell’assistenza generale, odontoiatra, odontoiatra specialista, veterinario, farmacista ed architetto - avvenga nel rispetto delle condizioni minime di formazione. Per queste professioni, già disciplinate da specifiche direttive comunitarie, il rinascimento si attua facendo ricorso al principio del coordinamento delle condizioni minime di formazione.

Il comma 3 rinvia, per il riconoscimento dei titoli di formazione acquisti dai cittadini dei Paesi aderenti allo Spazio economico europeo (Islanda, Liechtenstein e Norvegia) ed alla Confederazione elvetica, agli accordi in vigore con l’Unione europea 

 

L’Accordo sullo Spazio economico europeo (SEE) è entrato in vigore il primo gennaio 1994 e riguarda i Paesi dell’Unione europea ed alcuni Paesi aderenti all’EFTA (Associazione europea di libero scambio): l’Islanda, il Lichtenstein e la Norvegia (la Svizzera, quarto Stato aderente all’EFTA, ha rifiutato nel 1992 di aderire al SEE ma è comunque legata all’Unione europea da un accordo bilaterale). Il SEE è finalizzato alla realizzazione delle «quattro libertà» del mercato unico: libera circolazione delle merci, dei servizi, dei capitali e delle persone. Esso contiene anche alcune politiche «di supporto» del mercato unico: ad es., nei settore della concorrenza e politica sociale, della protezione del consumatore e dell'ambiente, dell’istruzione, ricerca e sviluppo. Nondimeno, diversamente dal mercato unico comunitario, il SEE esclude in via di principio i prodotti agricoli e industriali; non comprende l'imposizione indiretta (IVA e accise) e non prevede alcuna politica economica esterna (tariffa esterna comune, misure antidumping ecc.).

 

Si rileva, ai fini della coerenza della formulazione del testo, l’esigenza di sostituire, al comma 2, il riferimento al Capo III del Titolo III, disciplinante i meccanismi di riconoscimento sulla base dell’esperienza professionale, con il riferimento al Capo IV del medesimo Titolo che regola il riconoscimento sulla base del coordinamento delle condizioni minime di formazione, così come previsto dall’articolo 2, par. 2 della direttiva.


 

Art. 3
(Ambito di applicazione)
 

 


1. Il riconoscimento delle qualifiche professionali operato ai sensi del presente decreto legislativo permette di accedere, se in possesso dei requisiti specificamente previsti, alla professione corrispondente per la quale i soggetti di cui all'articolo 2, comma 1, del presente decreto sono qualificati nello Stato membro d'origine e di esercitarla alle stesse condizioni previste dall'ordinamento italiano.

 

2. Ai fini dell'articolo 1, comma 1, la professione che l'interessato eserciterà sul territorio italiano sarà quella per la quale è qualificato nel proprio Stato membro d'origine, se le attività sono comparabili.


 

 

L'articolo 3 definisce l'ambito di applicazione dello schema di decreto in esame volto ad assicurare ai cittadini indicati dal precedente articolo 2 ed in possesso di una qualifica professionale acquisita nello Stato d'origine di esercitare in Italia la corrispondente professione, previo riconoscimento della relativa qualifica da parte della competente Autorità italiana[10].

 

Come si legge nella relazione illustrativa del provvedimento, tale principio non esonera, comunque, il professionista migrante dal rispetto di eventuali condizioni di esercizio non discriminatorie che potrebbero essere imposte dallo Stato membro in questione, purché obiettivamente giustificate e proporzionate.


 

Art. 4
(Definizioni)
 

 


1. Ai fini del presente decreto si applicano le seguenti definizioni:

 

a) «professione regolamentata»:

 

 

1) l' attività, o l'insieme delle attività, il cui esercizio é consentito solo a seguito di iscrizione in Ordini o Collegi o in albi, registri ed elenchi tenuti da amministrazioni o enti pubblici, se la iscrizione é subordinata al possesso di qualifiche professionali o all'accertamento delle specifiche professionalità;

2) i rapporti di lavoro subordinato, se l'accesso ai medesimi é subordinato, da disposizioni legislative o regolamentari, al possesso di qualifiche professionali;

3) l'attività esercitata con l'impiego di un titolo professionale il cui uso é riservato a chi possiede una qualifica professionale;

4) le attività attinenti al settore sanitario nei casi in cui il possesso di una qualifica professionale é condizione determinante ai fini della retribuzione delle relative prestazioni o della ammissione al rimborso;

5) le professioni esercitate dai membri di un'associazione o di un organismo di cui all'Allegato 1.

b) «qualifiche professionali»: le qualifiche attestate da un titolo di formazione, un attestato di competenza di cui all'articolo 19, comma 1, lettera a), punto 1) o un'esperienza professionale; non costituisce qualifica professionale quella attestata da una decisione di mero riconoscimento di una qualifica professionale acquisita in Italia adottata da parte di un altro Stato membro;

c) «titolo di formazione»: diplomi, certificati e altri titoli rilasciati da un'università o da altro organismo abilitato secondo particolari discipline che certificano il possesso di una formazione professionale acquisita in maniera prevalente sul territorio della Comunità. Hanno eguale valore i titoli di formazione rilasciati da un paese terzo se i loro possessori hanno maturato, nell'effettivo svolgimento dell'attività professionale, un'esperienza di almeno tre anni sul territorio dello Stato membro che ha riconosciuto tale titolo, certificata dal medesimo;

d) "autorità competente": qualsiasi autorità o organismo abilitato da disposizioni nazionali a rilasciare o a ricevere titoli di formazione e altri documenti o informazioni, nonché a ricevere le domande e ad adottare le decisioni di cui al presente decreto;

e) «formazione regolamentata»: la formazione che porta al conseguimento degli attestati o qualifiche conseguiti ai sensi della legge 21 dicembre 1978, n. 845 e della legge 28 febbraio 1987, n. 56, nonché qualsiasi formazione che, secondo le prescrizioni vigenti, è specificamente orientata all'esercizio di una determinata professione e consiste in un ciclo di studi completato, eventualmente, da una formazione professionale, un tirocinio professionale o una pratica professionale, secondo modalità stabilite dalla legge;

f) «esperienza professionale»: l'esercizio effettivo e legittimo della professione;

g) «tirocinio di adattamento»: l'esercizio di una professione regolamentata sotto la responsabilità di un professionista qualificato, accompagnato eventualmente da una formazione complementare secondo modalità stabilite dalla legge. Il tirocinio è oggetto di una valutazione da parte dell'autorità competente;

h) «prova attitudinale»: un controllo riguardante esclusivamente le conoscenze professionali del richiedente effettuato dalle autorità competenti allo scopo di valutare l'idoneità del richiedente ad esercitare una professione regolamentata.

i) «dirigente d'azienda»: qualsiasi persona che abbia svolto in un'impresa del settore professionale corrispondente:

 

1) la funzione di direttore d'azienda o di filiale;

2) la funzione di institore o vice direttore d'azienda, se tale funzione implica una responsabilità corrispondente a quella dell'imprenditore o del direttore d'azienda rappresentato;

3) la funzione di dirigente responsabile di uno o più reparti dell'azienda, con mansioni commerciali e/o tecniche.

l) «Stato membro di stabilimento»: lo stato membro dell'Unione europea nel quale il prestatore è legalmente stabilito per esercitarvi una professione.

m) “Stato membro d'origine”: lo Stato membro in cui il cittadino dell'Unione Europea ha acquisito le proprie qualifiche professionali.

n) “piattaforma comune": l'insieme dei criteri delle qualifiche professionali in grado di colmare le differenze sostanziali individuate tra i requisiti in materia di formazione esistenti nei vari Stati membri per una determinata professione. Queste differenze sostanziali sono individuate tramite il confronto tra la durata ed i contenuti della formazione in almeno due terzi degli Stati membri, inclusi tutti gli Stati membri che regolamentano la professione in questione. Le differenze nei contenuti della formazione possono risultare dalle differenze sostanziali nel campo di applicazione delle attività professionali.

 


 

 

 

L' articolo 4 è volto ad esplicitare talune definizioni contenute nello schema di decreto legislativo in esame.

 

Al riguardo, la prima definizione è quella relativa alla nozione di "professione regolamenta" (lett. a)) utilizzata per indicare, in primo luogo, quelle attività per l’esercizio delle quali è necessaria l’iscrizione in appositi Ordini o Collegi o in albi, registri ed elenchi tenuti da amministrazioni o enti pubblici, se la iscrizione é subordinata al possesso di qualifiche professionali o all'accertamento delle specifiche professionalità.

 

Al riguardo, si osserva che gli Ordini ed i Collegi professionali esercitano poteri pubblicistici (disciplinari, tariffari, normativi) e sono dotati di personalità giuridica.

Caratteristica comune delle professioni per il cui esercizio è prescritta l'appartenenza ad un ordine o collegio è sia la particolare formazione culturale, scientifica o tecnica richiesta, sia la necessaria autonomia decisionale del professionista circa la scelta degli strumenti e delle modalità di perseguimento dei risultati. Non esiste, al momento, una disciplina unica e generale per tutti gli ordini professionali: tuttavia, oltre alle norme comuni (es. D.lgs. Lgt. 23 novembre 1944, n. 382, sulla ricostituzione su basi democratiche dei consigli degli ordini e collegi; L. 25 aprile 1938, n. 897, sull'obbligatorietà delle iscrizioni negli albi professionali e sulle funzioni relative alla loro custodia; L. 8 dicembre 1956, n. 1378, sugli esami di Stato per l'abilitazione all'esercizio delle professioni), si possono ricavare dai singoli ordinamenti professionali principi comuni di organizzazione e di funzionamento.

L'esercizio delle professioni per le quali sia previsto un ordine è riservato agli iscritti in apposito albo: all'iscrizione consegue automaticamente l'appartenenza al gruppo professionale.

Peraltro, se il concetto stesso di ordine (o collegio) professionale implica quale necessario presupposto quello di un albo, vi sono albi, ruoli, registri ed elenchi tenuti da ministeri o altre pubbliche amministrazioni cui non sovrintende alcun ordine professionale: in questi casi, i ruoli hanno generalmente una mera funzione informativa.

L'albo adempie ad una funzione di certezza legale circa il numero e la condizione degli iscritti e a quella di garanzia circa il possesso delle qualità richieste per l'attività professionale; nei confronti del singolo professionista l'iscrizione all'albo - con il rispetto delle modalità imposte dall'ordinamento professionale - costituisce titolo di legittimazione all'esercizio della professione.

Tale principio si trova enunciato nel citato art. 2229 c.c. L'art. 33, quinto comma, Cost. stabilisce che "è prescritto un esame di Stato […] per l'abilitazione all'esercizio professionale": tuttavia la previsione di un esame di Stato si riscontra talvolta anche per l'esercizio di attività o professioni non rientranti tra quelle in esame, in quanto non governate da un ordine o collegio.

 

Ai sensi della medesima lettera a) nella nozione di professione regolamentata rientrano, inoltre:

 

Ø      i rapporti di lavoro subordinato, se l'accesso ai medesimi é subordinato, da disposizioni legislative o regolamentari, al possesso di qualifiche professionali;

Ø      l'attività esercitata con l'impiego di un titolo professionale il cui uso é riservato a chi possiede una qualifica professionale;

Ø      le attività attinenti al settore sanitario nei casi in cui il possesso di una qualifica professionale é condizione determinante ai fini della retribuzione delle relative prestazioni o della ammissione al rimborso;

Ø      le professioni esercitate dai membri di un'associazione o di un organismo di cui all'Allegato 1.

 

La seconda definizione contenuta nella lettera b) del comma 1 dell'articolo in esame concerne, invece, le qualifiche professionali, espressione questa utilizzata dallo schema di decreto per indicare unicamente le qualifiche attestate da un titolo di formazione, o un'esperienza professionale , nonché gli attestati di competenza rilasciati da un'autorità competente dello Stato membro d'origine appositamente designata dal medesimo Stato.

Non rientrano, invece, nella definizione in esame gli attestatI di mero riconoscimento di una qualifica professionale acquisita in Italia adottati da parte di un altro Stato membro.

 

La lettera c) fornisce la definizione di “titolo di formazione”.

Con tale denominazione si intendono i diplomi o i certificati che attestano la formazione professionale acquisita nel territorio di uno Stato membro; qualora il titolo di formazione provenga da un Paese terzo, esso potrà essere fatto valere se il possessore ha maturato un’esperienza professionale nel territorio dello Stato che ha riconosciuto il titolo, pari ad almeno tre anni.

 

La successiva lettera d) esplicita, poi, il contenuto dell' espressione "autorità competente", volta ad indicare l'autorità o l'organismo legittimato, tra l'altro, al rilascio e alla ricezione di titoli di formazione, mentre le successive lettere f) e g) definiscono, invece, l' "esperienza professionale" e il "tirocinio di adattamento", la prima espressione intesa come esercizio effettivo e legittimo della professione, la seconda, come esercizio di una professione regolamentata sotto la responsabilità di un professionista qualificato, accompagnato eventualmente da una formazione complementare secondo modalità stabilite dalla legge. A questo proposito la medesima lettera g) prevede che il tirocinio sia oggetto di una valutazione da parte dell'autorità competente.

 

La lettera e), introduce, invece, la nozione di “formazione regolamentata” intesa, in primo luogo, come formazione al termine della quale sia possibile ottenere attestati o qualifiche conseguiti secondo quanto disciplinato dalla legge 845/1978 nonché dalla legge 56/1987.

 

Si ricorda che la L. 21 dicembre 1978 n. 845, Legge-quadro in materia di formazione professionale”, nel fissare il principio secondo cui l’esercizio delle attività di formazione professionale è libero, identifica all’articolo 2 l’oggetto della formazione professionale stabilendo che le iniziative di formazione professionale sono rivolte a tutti i cittadini che hanno assolto l’obbligo scolastico o ne siano stati esonerati, e possono concernere ciascun settore produttivo, sia che si tratti di lavoro subordinato, di lavoro autonomo, di prestazioni professionali o di lavoro associato. A ciò aggiunge che, alle iniziative di formazione professionale possono essere ammessi anche stranieri, ospiti per ragioni di lavoro o di formazione, nell’ambito degli accordi internazionali e delle leggi vigenti.

Si ricorda, in particolare, che l’articolo 14, in merito agli attestati di qualifica, prevede come al termine dei corsi di formazione professionale volti al conseguimento di una qualifica, gli allievi che vi abbiano regolarmente partecipato siano ammessi alle prove finali per l’accertamento dell’idoneità conseguita. Tali prove finali sono svolte di fronte a commissioni esaminatrici, composte nei modi previsti dalle leggi regionali, delle quali dovranno comunque far parte esperti designati dalle amministrazioni periferiche del Ministero della pubblica istruzione e del Ministero del lavoro e della previdenza sociale, nonché esperti designati dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro. Con il superamento delle prove finali gli allievi conseguono gli attestati che vengono rilasciati dalle regioni e in base ai quali gli uffici di collocamento assegnano le qualifiche valide ai fini dell’avviamento al lavoro e dell’inquadramento aziendale. Gli attestati medesimi, poi, costituiscono titolo per l’ammissione ai pubblici concorsi.

Si consideri inoltre che il legislatore è intervenuto sulla materia della formazione professionale anche nell’ambito della riforma del mercato del lavoro di cui alla legge 14 febbraio 2003, n. 30.

Di particolare rilievo, per quanto riguarda la formazione professionale, è stata la revisione della disciplina riguardante i contratti a contenuto formativo - disposta con il Titolo VI del D.Lgs. n. 276/2003, emanato in attuazione della delega prevista dall’articolo 2 della citata legge n. 30/2003 - ed incentrata sulla valorizzazione del contratto di apprendistato, configurato come uno strumento idoneo a costruire un reale percorso di alternanza tra formazione e lavoro, quale primo tassello di una strategia di formazione e apprendimento continuo lungo tutto l'arco della vita[11]. Una delle novità più rilevanti previste dal D.Lgs. n. 276/2003, rispetto alla previdente disciplina dell’apprendistato, è rappresentata dall’introduzione di tre differenti tipologie di contratto di apprendistato, a seconda della qualità e del livello della formazione insita nel rispettivo rapporto:

§       il contratto di apprendistato per l’espletamento del diritto-dovere di istruzione e formazione;

§       il contratto di apprendistato professionalizzante per il conseguimento di una qualificazione attraverso una formazione sul lavoro e un apprendimento tecnico-professionale;

§       il contratto di apprendistato per percorsi di alta formazione.

 

Con riferimento al rapporto di apprendistato per l’espletamento del diritto-dovere di istruzione e formazione, si evidenzia che:

possono essere assunti con tale contratto i giovani e gli adolescenti che abbiano compiuto quindici anni di età mentre la normativa previgente prevedeva come età minima sedici anni;

§       la durata massima del contratto è fissata in tre anni ed è finalizzata al conseguimento di una qualifica professionale;

§       la regolamentazione del contratto è rimessa ad una intesa da raggiungere tra Regioni, Ministero del lavoro e delle politiche sociali e Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca, sentite le associazioni datoriali e sindacali comparativamente più rappresentative.

 

Con riferimento invece al contratto di apprendistato professionalizzante, si evidenzia che:

§       possono essere assunti con tale contratto i soggetti di età compresa tra diciotto (ridotta a diciassette per i soggetti in possesso di una qualifica conseguita ai sensi della legge n. 53/2003[12]) e ventinove anni;

§       è  rimesso ai contratti collettivi stabilire la durata del contratto, che in ogni caso non può essere inferiore a due anni e superiore a sei anni;

§       la regolamentazione dell’apprendistato professionalizzante è rimessa alle Regioni, d’intesa con le organizzazioni sindacali e datoriali comparativamente più rappresentative sul piano regionale.

 

Per quanto riguarda invece l’apprendistato per l’acquisizione di un diploma universitario, si evidenzia che:

§       possono essere assunti come apprendisti soggetti tra 18 e 29 anni (il limite di età minimo si abbassa a 17 anni per i soggetti in possesso di una qualifica professionale);

§       la disciplina e la durata dell’apprendistato in esame è rimessa alle Regioni, in accordo con le associazioni territoriali dei datori di lavoro, le università e le altre istituzioni formative.

 

Si ricorda inoltre che la L. 28 febbraio 1987, n. 56, recante norme sul collocamento ordinario e in particolare sull’organizzazione periferica del Ministero del lavoro a ciò preposta, reca una disciplina organica della materia, sia per quanto riguarda gli organi preposti al collocamento, sia in relazione alla classificazione dei lavoratori iscritti nelle liste di collocamento. La medesima legge, ad eccezione degli articoli 3, 16, 19, commi 2, 3, 4, 5, 6 e 7 e degli articoli 21 e 22, è stata abrogata dall'art. 8 del D.Lgs. 19 dicembre 2002, n. 297[13].

 

Il citato D.Lgs. n. 297/2002, modificando il D.Lgs. n. 181/2000[14] che già aveva introdotto una disciplina per il miglioramento dell’incontro tra domanda e offerta di lavoro, ha ulteriormente contribuito all’obiettivo di ridisegnare l’organizzazione e i compiti del collocamento pubblico, non più inteso come mera “funzione pubblica” ma piuttosto come servizio di tipo promozionale e orientato al mercato. A tal fine sono stati ridefiniti i principi fondamentali in materia di “revisione e razionalizzazione delle procedure di collocamento” (cui deve attenersi la legislazione regionale), introducendo strumenti più efficaci per l’incontro tra domanda e offerta di lavoro tramite la valorizzazione dei mezzi informatici. Inoltre, si è proceduto alla ridefinizione dello stato di disoccupazione e della perdita, cancellazione e sospensione dello stesso.

 

La lettera e) in esame, ricomprende, altresì, nella definizione di “formazione regolamentata” qualsiasi tipologia di formazione specificamente indirizzata, secondo le disposizioni vigenti, all’esercizio di specifiche professioni e consistente in un ciclo di studi eventualmente completato da una formazione professionale, da un tirocinio professionale o dallo svolgimento di una pratica professionale, secondo modalità previste dalla legislazione vigente.

 

La successiva lettera h) reca, poi, i requisiti della "prova attitudinale" consistente una specifica valutazione riguardante le capacità professionali del soggetto richiedente effettuata da organismi appositamente deputati.

 

Ulteriori chiarimenti sono, poi, contenuti nelle lettere i), l), m), n) riguardanti le nozioni di "dirigente d'azienda, "Stato membro di stabilimento", "Stato membro d'origine" e "piattaforme comune" (Cfr. articolato).


 

Art. 5
(Autorità competente)

 


1. Ai fini del riconoscimento di cui al Titolo II e al Titolo III, Capi II e IV, sono competenti a ricevere le domande, a ricevere le dichiarazioni e a prendere le decisioni:

 

a) la Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento per le politiche giovanili e le attività sportive, per le attività che riguardano il settore sportivo ed in particolare quelle esercitate con la qualifica di professionista sportivo;

b) la Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento per lo sviluppo e competitività del turismo, per le attività che riguardano il settore turistico;

c) il Ministero titolare della vigilanza per le professioni che necessitano, per il loro esercizio, dell'iscrizione in Ordini, Collegi, albi, registri o elenchi, fatto salvo quanto previsto alla lettera g);

d) la Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento della funzione pubblica, per le professioni svolte in regime di lavoro subordinato presso la pubblica amministrazione, salvo quanto previsto alle lettere e), f) e g);

e) il Ministero della salute, per le professioni sanitarie;

f) il Ministero della pubblica istruzione, per i docenti di scuole dell'infanzia, primaria, secondaria di primo grado e secondaria superiore e per il personale amministrativo, tecnico e ausiliario della scuola;

g) il Ministero dell'università e della ricerca per il personale ricercatore e per le professioni di architetto, pianificatore territoriale, paesaggista, conservatore dei beni architettonici ed ambientali, architetto junior e pianificatore junior;

h) il Ministero dell'università e della ricerca per ogni altro caso relativamente a professioni che possono essere esercitate solo da chi è in possesso di qualifiche professionali di cui all'articolo 19, comma 1, lettere d) ed e) salvo quanto previsto alla lettera c);

i) il Ministero per i beni e le attività culturali per le attività afferenti il settore del restauro e della manutenzione dei beni culturali, secondo quanto previsto dai commi 7, 8 e 9 dell'articolo 29 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 e successive modificazioni;

l) il Ministero del lavoro e della previdenza sociale per ogni altro caso relativamente a professioni che possono essere esercitate solo da chi è in possesso di qualifiche professionali di cui all'articolo 19, comma 1, lettere a), b) e c;

 

2. Per le attività di cui al titolo III, Capo III, le Regioni e le Province Autonome individuano l'autorità competente a pronunciarsi sulle domande di riconoscimento presentate dai beneficiari.

 

3. Fino all'individuazione di cui al comma 2, sulle domande di riconoscimento provvedono:

 

a) la Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento per le politiche giovanili e le attività sportive, per le attività di cui all'allegato IV, Lista III, punto 4, limitatamente alle attività afferenti al settore sportivo;

b) la Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento per lo sviluppo e la competitività del turismo, per le attività di cui all'allegato IV, Lista II e III e non comprese nelle lettere c), d) e) ed f);

c) il Ministero dello sviluppo economico per le attività di cui all'allegato IV, Lista I, Lista II e Lista III e non comprese nelle lettere d), e) ed f);

d) il Ministero per i beni e le attività culturali per le attività di cui all'allegato IV, Lista III, punto 4, limitatamente alle attività riguardanti biblioteche e musei;

e) il Ministero del lavoro e delle politiche sociali per le attività di cui all'allegato IV, Lista III, punto 4, classe ex 851 e 855;

f) il Ministero dei trasporti per le attività di cui all'allegato IV, Lista II e Lista III nelle parti afferenti ad attività di trasporto;

 

4. Il procedimento di riconoscimento deve concludersi entro quattro mesi dalla data di presentazione della documentazione completa da parte del beneficiario.

 


 

 

L'articolo 5 individua le Autorità nazionali competenti a svolgere una pluralità di attività previste dal provvedimento in esame in merito al riconoscimento delle qualifiche professionali possedute dai soggetti indicati dal precedente articolo 2 che intendano fornire in Italia una prestazione temporanea di servizi professionali, ovvero intendano qui stabilirsi per esercitare la stessa professione esercitata nello Stato membro d'origine con quella qualifica professionale (comma 1).

 

Le citate Autorità governative differiscono a seconda delle seguenti attività e professioni che si intendano svolgere in Italia:

 

Ø      attività sportive;

Ø      attività turistiche;

Ø      professioni svolte in regime di lavoro subordinato;

Ø      professioni sanitarie;

Ø      attività didattica e universitaria;

Ø      professioni di architetto, pianificatore territoriale, paesaggista, conservatore dei beni architettonici ed ambientali, architetto junior e pianificatore junior;

Ø      attività afferenti il settore del restauro e della manutenzione dei beni culturali;

 

Il medesimo articolo precisa, altresì, che in relazione alle attività indicate dal Capo III dello schema di decreto in esame, spetta alle Regioni e alle Province Autonome individuare l'Autorità competente a pronunciarsi sulle domande di riconoscimento eventualmente presentate (comma 2). Il medesimo articolo individua, inoltre, gli organismi nazionali che in attesa della citata designazione da parte delle Regioni e delle Province autonome dovranno provvedere in loro sostituzione (comma 3).

 

Al riguardo si ricorda che Il Capo III disciplina le situazioni che assicurano un riconoscimento automatico per attività professionali individuate nell'Allegato IV. Il riconoscimento si basa sul requisito dell'esperienza professionale maturata dal professionista e fa riferimento ad attività di tipo artigianale o imprenditoriale.

 

Da ultimo, il comma 4 stabilisce il principio generale in base al quale il procedimento di riconoscimento deve concludersi entro quattro mesi dalla data di presentazione della documentazione completa da parte del beneficiario.

 

In relazione alla formulazione del comma in esame, al fine di evitare possibili dubbi interpretativi, andrebbe valutata l'opportunità di indicare espressamente le conseguenze derivanti dalla mancata conclusione del procedimento nel termine prescritto da tale comma.


 

Art. 6
(Punto di contatto)
 

 


1. Il Dipartimento per il coordinamento delle politiche comunitarie assolve i compiti di:

 

a) Coordinatore nazionale presso la Commissione europea;

b) Punto nazionale di contatto per le informazioni e l'assistenza sui riconoscimenti di cui al presente decreto legislativo.

 

2. Il coordinatore di cui al comma 1, lettera a) promuove:

 

a) una applicazione uniforme del presente decreto da parte delle autorità di cui all'articolo 5 del presente decreto;

b) la circolazione di ogni informazione utile ad assicurare l'applicazione del presente decreto, in particolare quelle relative alle condizioni d'accesso alle professioni regolamentate.

 

3. Le autorità di cui all'articolo 5 mettono a disposizione del coordinatore di cui al comma 1, lettera a) le informazioni e i dati statistici necessari ai fini della predisposizione della relazione biennale sull'applicazione del presente decreto da trasmettere alla Commissione europea.

 

4.Il punto di contatto di cui al comma 1, lettera b):

 

a) assicura ai cittadini e ai punti di contatto degli altri Stati membri le informazioni utili ai fini dell'applicazione del presente decreto e in particolare informazioni sulla legislazione nazionale che disciplina le professioni e il loro esercizio compresa la legislazione sociale ed eventuali norme deontologiche ;

b) assiste, se del caso, i cittadini per l'ottenimento dei diritti attribuiti loro dal presente decreto cooperando con le autorità competenti. Su richiesta della Commissione europea, entro due mesi a partire dalla data di ricevimento di tale richiesta, il punto di contatto assicura le informazioni sui risultati dell'assistenza prestata.

 

5. L'Autorità competente di cui all'articolo 5 può istituire un proprio punto di contatto che, in relazione ai riconoscimenti di propria competenza, assicura i compiti di cui alla lettera a) e b) del comma 4. I casi trattati ai sensi del comma 4, lettera b) sono comunicati al punto di contatto di cui al comma 1, lettera b).

 

6. Della attivazione del punto di contatto l'amministrazione competente ai sensi dell'articolo 5 informa il Dipartimento per il coordinamento delle politiche comunitarie, ai fini dell'esercizio delle competenze a questo attribuite quale coordinatore nazionale.


 

L’articolo in commento, al comma 1, definisce le competenze del Dipartimento per il coordinamento delle politiche comunitarie della Presidenza del Consiglio dei ministri, sia come Coordinatore nazionale che come Punto nazionale di contatto per le informazioni e l'assistenza sui riconoscimenti di cui al presente decreto legislativo, funzioni previste, rispettivamente, dall’art. 56, par. 4 e dell’art. 57 della direttiva.

Il Coordinatore è preposto all’applicazione uniforme del provvedimento da parte delle autorità individuate dall’articolo 5 ed alla diffusione di ogni informazione utile ad assicurare l'applicazione del presente decreto, in particolare quelle relative alle condizioni d'accesso alle professioni regolamentate (comma 2)

Il comma 3 dispone che, ai fini della predisposizione della relazione biennale sull’applicazione del sistema di riconoscimento delle qualifiche professionali, da trasmettere alla Commissione europea, prevista dall’art. 60 della direttiva, le autorità di cui all'articolo 5 mettono a disposizione del Coordinatore nazionale le informazioni e i dati statistici necessari.

Il Punto nazionale di contatto, secondo quanto previsto dal comma 4, fornisce ai cittadini ed ai punti di contatto degli altri Stati membri tutte informazioni sulla legislazione nazionale che disciplina le professioni e il loro esercizio compresa la legislazione sociale ed eventuali norme deontologiche. Presta assistenza ai cittadini per l'ottenimento dei diritti attribuiti loro dal decreto in esame, cooperando con le autorità competenti. Inoltre, su richiesta della Commissione europea, entro due mesi a partire dalla data di ricevimento di tale richiesta, il Punto di contatto fornisce le informazioni sui risultati dell'assistenza prestata.

I commi 5 e 6 prevedono l’attivazione, da parte delle autorità individuate dall’articolo 5, di propri punti di contatto che, in relazione ai riconoscimenti di propria competenza, svolgono i compiti conferiti, a livello nazionale, al Punto nazionale di contatto. L’attivazione di questi punti di contatto così come i casi da loro trattati sono comunicati al Dipartimento per il coordinamento delle politiche comunitarie.

 

In relazione all'articolo in esame si rileva, in primo luogo, che la rubrica appare incompleta, in quanto non fa alcun riferimento alla struttura di coordinamento nazionale, parimenti disciplinata nel testo dell’articolo, ma soltanto al Punto (nazionale) di contatto.

E’ altresì da segnalare che la locuzione “presso la Commissione europea”, riferito al Coordinatore nazionale, di cui al comma 1, lett. a), appare poco coerente con le funzioni svolte effettivamente dalla struttura, che ha prevalentemente funzioni di coordinamento e di raccolta di informazioni, a carattere interno.

Il comma 3 menziona inoltre una relazione biennale sull’applicazione del sistema di riconoscimento delle qualifiche professionali, in attuazione della previsione contenuta nell’art. 60 della direttiva. Tale documento non forma però oggetto di nessuna ulteriore specifica disposizione nell’articolato dello schema di decreto.

In relazione ai commi 5 e 6, si segnala l’opportunità di menzionare le modalità ed i tempi con le quali le autorità individuate dall’articolo 5, informano il Dipartimento per il coordinamento delle politiche comunitarie dell’attivazione di propri punti di contatto e dei casi da questi trattati.

 

 


 

Art. 7
(Conoscenze linguistiche)
  

 


1. Fermi restando i requisiti di cui al titolo II ed al titolo III, i beneficiari del riconoscimento delle qualifiche professionali devono possedere le conoscenze linguistiche necessarie all'esercizio della professione in questione.


 

 

L'articolo 7 è volto a stabilire il principio generale in base al quale coloro i quali intendano richiedere il riconoscimento di una qualifica professionale necessaria per l'esercizio in Italia di una determinata professione devono possedere le conoscenze linguistiche necessarie.

La medesima disposizione fa, comunque, salvi i requisiti previsti dallo schema di decreto in esame per l'esercizio di una prestazione temporanea di servizi professionali, ovvero per l'esercizio in Italia di una professione che può essere esercitata nello Stato membro d'origine del richiedente.

 

 


 

Art. 8
(Cooperazione amministrativa)

 


1. Ogni autorità di cui all'articolo 5 assicura che le informazioni richieste dall'autorità dello Stato membro d'origine nel rispetto della disciplina nazionale relativa alla protezione dei dati personali siano fornite non oltre trenta giorni.Lo scambio di informazioni può avvenire anche per via telematica secondo modalità definite con l'Unione europea.

 

2. Lo scambio di informazioni di cui al comma 1 può riguardare, in particolare, le azioni disciplinari e le sanzioni penali adottate nei riguardi del professionista oggetto di specifica procedura di riconoscimento professionale di cui al Titolo II e al Titolo III, qualora suscettibili di incidere, anche indirettamente, sulla attività professionale.

 

3. Al fine di cui al comma 1 gli Ordini e Collegi professionali competenti, se esistenti, danno comunicazione all'autorità di cui all'articolo 5 di tutte le sanzioni che incidono sull'esercizio della professione.

 

4. Nell'ambito della procedura di riconoscimento a norma del Titolo III l'autorità di cui all'articolo 5, in caso di fondato dubbio, può chiedere all'autorità competente dello Stato membro d'origine conferma sull'autenticità degli attestati o dei titoli di formazione da esso rilasciati e, per le attività previste dal Titolo III, Capo IV, conferma che siano soddisfatte le condizioni minime di formazione previste dalla legge.

 

5. Nei casi di cui al Titolo III, in presenza di un titolo di formazione rilasciato da una autorità competente dello Stato membro di origine a seguito di una formazione ricevuta in tutto o in parte in un centro legalmente stabilito in Italia, ovvero nel territorio di un altro Stato membro dell'Unione Europea, l'autorità competente di cui all'articolo 5 assicura l'ammissione alla procedura di riconoscimento previa verifica, presso la competente autorità dello stato membro d'origine, che:

a) il programma di formazione del centro che ha impartito la formazione sia stato certificato nelle forme prescritte dall'autorità competente che ha rilasciato il titolo di formazione;

b) il titolo di formazione in oggetto sia lo stesso titolo rilasciato dall' autorità competente dello stato membro d'origine a seguito del percorso formativo impartito integralmente nella propria struttura d'origine;

c) i titoli di formazione di cui alla lettera b) conferiscano gli stessi diritti d'accesso e di esercizio della relativa professione.


 

L'art. 8 disciplina la cooperazione amministrativa tra le "autorità competenti" dei vari Stati membri volta a garantire un elevato livello di conoscenza del professionista in mobilità, con particolare riferimento alle eventuali azioni disciplinari e sanzioni penali disposte nei suoi confronti (commi 1e 2). A tal fine gli Ordini e i Collegi professionali sono tenuti a comunicare all'Autorità competente tutte le sanzioni che limitano, ovvero escludono, l'esercizio della professione (comma 3).

 

E', inoltre, prevista la possibilità da parte delle Autorità competenti indicate dal precedente articolo 5 (autorità nazionali e quelle indicate dalle Regioni e dalla province autonome) di chiedere conferme sull'autenticità degli attestati o dei titoli di formazione rilasciati dalle corrispondenti Autorità del singolo Stato membro (comma 4), nonché informazioni nel caso di percorsi formativi atipici come quelli assicurati da organismi stabiliti in uno Stato diverso da quello nel quale è stabilita l'Istituzione che poi rilascia il titolo finale (comma 5).

 

Al riguardo, nella relazione illustrativa allegata allo schema di decreto in esame si legge che l'"Italia è particolarmente interessata a detta possibilità perché sede di alcune imprese di formazione che assicurano una formazione riconosciuta da Università e Istituti inglesi che rilasciano i relativi titoli".

 

Le richieste informative, in particolare, possono riguardare, il programma di formazione svolto dal centro di formazione, la corrispondenza fra il titolo di formazione rilasciato dal citato centro di formazione e quello rilasciato dalla Autorità competente, l'idoneità del titolo di formazione conseguito presso il centro di formazione allo svolgimento di una determinata professione.

 

 


 

Art. 9
(Libera prestazione di servizi e prestazione occasionale e temporanea)
 

 


1. Fatti salvi gli articoli da 10 a 15 del presente decreto, la libera prestazione di servizi sul territorio nazionale non può essere limitata per ragioni attinenti alle qualifiche professionali:

 

a) se il prestatore è legalmente stabilito in un altro Stato membro per esercitarvi la corrispondente professione;

b) in caso di spostamento del prestatore; in tal caso, se nello Stato membro di stabilimento la professione non è regolamentata, il prestatore deve aver esercitato tale professione per almeno due anni nel corso dei dieci anni che precedono la prestazione di servizi.

 

2. Le disposizioni del presente titolo si applicano esclusivamente nel caso in cui il prestatore si sposta sul territorio dello Stato per esercitare, in modo temporaneo e occasionale, la professione di cui al precedente comma 1.

 

3. Il carattere temporaneo e occasionale della prestazione è valutato, dall'autorità di cui all'articolo 5, caso per caso, tenuto conto anche della natura della prestazione, della durata della prestazione stessa, della sua frequenza, della sua periodicità e della sua continuità.

 

4. In caso di spostamento, il prestatore è soggetto alle norme che disciplinano l'esercizio della professione che è ammesso ad esercitare, quali la definizione della professione, l'uso dei titoli e la responsabilità professionale connessa direttamente e specificamente alla tutela e sicurezza dei consumatori, nonché alle disposizioni disciplinari applicabili ai professionisti che, sul territorio italiano, esercitano la professione corrispondente.


 

 

Il Titolo II dello schema di decreto legislativo in esame, comprensivo degli articoli da 9 al 15, è suddiviso in due Capi, contenenti i principi generali e gli adempimenti necessari per lo svolgimento in Italia di prestazioni e servizi professionali temporanei ed occasionali.

 

In particolare, l'articolo 9, costituente l'unico articolo del citato Capo I, reca taluni principi generali riguardanti il prestatore che si sposta dallo Stato nel quale è stabilito ed esercita una determinata professione per venire ad esercitare la medesima professione in Italia in modo occasionale e temporaneo (commi 1 e 2).

 

Come precisato dal successivo comma 3 il carattere temporaneo e occasionale della prestazione è valutato dall'"Autorità competente", caso per caso, tenuto conto anche della natura della prestazione, della durata della prestazione stessa, della sua frequenza, della sua periodicità e della sua continuità.

 

Al riguardo, il comma 1 stabilisce, in primo luogo, che la suddetta attività non può essere limitata per motivi attinenti alle qualifiche professionali se il professionista è legalmente stabilito in un altro Stato membro per esercitarvi la professione  (comma 1, lett. b)).

Ove però in tale Stato la professione che si intende esercitare in Italia non sia regolamenta, il citato articolo 9 aggiunge che il prestatore deve aver esercitato tale professione per almeno due anni nel corso dei dieci anni che precedono la prestazione di servizi (comma 1, lett. b))

 

Il medesimo articolo 9, comma 4, ribadisce, poi, il principio generale secondo il quale in caso di spostamento, il prestatore è soggetto alle norme che in Italia disciplinano l'esercizio della professione che è ammesso ad esercitare, con particolare riferimento:

 

Ø      alla definizione della professione;

Ø      all'uso dei titoli;

Ø      alla responsabilità professionale connessa direttamente e specificamente alla tutela e sicurezza dei consumatori;

Ø      alle disposizioni disciplinari applicabili ai professionisti che, sul territorio italiano, esercitano la professione corrispondente.

 

 


 

Art. 10
(Dichiarazione preventiva in caso di spostamento del prestatore)

 


1. Il prestatore che ai sensi dell'articolo 9 si sposta per la prima volta da un altro Stato membro sul territorio nazionale per fornire servizi è tenuto ad informare 30 giorni prima, salvo i casi di urgenza, l'autorità di cui all'articolo 5 con una dichiarazione scritta, contenente informazioni sulla prestazione di servizi che intende svolgere, nonché sulla copertura assicurativa o analoghi mezzi di protezione personale o collettiva per la responsabilità professionale. Tale dichiarazione ha validità per l'anno in corso e deve essere rinnovata, se il prestatore intende successivamente fornire servizi temporanei o occasionali in tale Stato membro.Il prestatore può fornire la dichiarazione con qualsiasi mezzo idoneo di comunicazione.

 

2. In occasione della prima prestazione, o in qualunque momento interviene un mutamento oggettivo della situazione attestata dai documenti, la dichiarazione di cui al comma 1 deve essere corredata dai seguenti documenti:

 

a) un certificato o copia di un documento che attesti la nazionalità del prestatore;

b) una certificazione dell'autorità competente che attesti che il titolare è legalmente stabilito in uno Stato membro per esercitare le attività in questione e che non gli è vietato esercitarle, anche su base temporanea, al momento del rilascio dell'attestato;

c) una prova dei titoli di qualifiche professionali;

d) nei casi di cui all'articolo 9, comma 1, lettera b), una prova con qualsiasi mezzo che il prestatore ha esercitato l'attività in questione per almeno due anni nei precedenti dieci anni;

e) per le professioni nel settore della sicurezza la prova di assenza di condanne penali.

 

3. Per i cittadini dell'Unione europea stabiliti legalmente in Italia l'attestato di cui al comma 2, lettera b) è rilasciato, a richiesta dell'interessato e dopo gli opportuni accertamenti, dall'autorità competente di cui all'articolo 5.

 


 

Il Capo II del Titolo II dello schema di decreto in esame, comprensivo degli articoli da 10 a 15, reca gli adempimenti necessari per l'esercizio della prestazione di servizi temporanei e occasionali in Italia.

 

Al riguardo, l'articolo 10, prevede, in primo luogo, l'obbligo per il prestatore che si sposta dallo Stato nel quale è stabilito per esercitare una determinata professione per venire a esercitare la stessa professione in Italia di darne una preventiva comunicazione alle Autorità competenti indicate all'articolo 5 dello schema di decreto.

Tale comunicazione, da inviare almeno trenta giorni prima della data di spostamento in Italia deve indicare, in particolare:

 

Ø      le informazioni sulla prestazione di servizi che il prestatore intende svolgere;

Ø      la copertura assicurativa o analoghi mezzi di protezione personale o collettiva per la responsabilità professionale.

 

Ulteriori informazioni sono previste dall'articolo in esame in occasione della prima prestazione, ovvero nel caso in cui intervenga "un mutamento oggettivo della situazione attestata dai documenti" (comma 2).

 

In relazione alla formulazione della disposizione in esame, al fine di evitare possibili dubbi interpretativi, andrebbe chiarito se la disposizione in esame intenda riferirsi al mutamento dei dati contenuti nella comunicazione indicata al precedente comma 1, ovvero, più in generale a ulteriori documenti  forniti all'Autorità competente.

 


 

Art. 11
(Verifica preliminare)
 

 


1. Nel caso delle professioni regolamentate aventi ripercussioni in materia di pubblica sicurezza o di sanità pubblica, che non beneficiano del riconoscimento ai sensi del Titolo III, Capo IV, all'atto della prima prestazione di servizi le Autorità di cui all'articolo 5 possono procedere ad una verifica delle qualifiche professionali del prestatore prima della prima prestazione di servizi.

 

2. La verifica preliminare è esclusivamente finalizzata ad evitare danni gravi per la salute o la sicurezza del destinatario del servizio per la mancanza di qualifica professionale del prestatore.

 

3. Entro un mese dalla ricezione della dichiarazione e dei documenti che la corredano, l'autorità di cui all'articolo 5 informa il prestatore che non sono necessarie verifiche preliminari, ovvero comunica l'esito del controllo ovvero, in caso di difficoltà che causi un ritardo, il motivo del ritardo e la data entro la quale sarà adottata la decisione definitiva, che in ogni caso dovrà essere adottata entro il secondo mese dal ricevimento della documentazione completa.

 

4. In caso di differenze sostanziali tra le qualifiche professionali del prestatore e la formazione richiesta dalle norme nazionali, nella misura in cui tale differenza sia tale da nuocere alla pubblica sicurezza o alla sanità pubblica, il prestatore può colmare tali differenze attraverso il superamento di una specifica prova attitudinale, con oneri a carico dell'interessato secondo quanto previsto dall'articolo 23, comma 4. La prestazione di servizi deve poter essere effettuata entro il mese successivo alla decisione adottata in applicazione del comma 3.

 

5. In mancanza di determinazioni da parte dell'autorità competente entro il termine fissato nei commi precedenti, la prestazione di servizi può essere effettuata.


 

L'articolo 11 del provvedimento in esame è volto a stabilire il principio generale in base al quale l'Autorità Competente di cui al precedente articolo 5, in relazione a professioni regolamentate aventi ripercussioni in materia di pubblica sicurezza o di sanità pubblica, può sottoporre il prestatore ad una verifica preliminare delle qualifiche professionali possedute (comma 1).

 

In relazione alla disposizione in esame, al fine di evitare possibili dubbi interpretativi, andrebbe valutata l'opportunità di sostituire l'espressione "professioni regolamentate aventi ripercussioni" con altra più dettagliata.

 

Sono esclusi dalla verifica in questione, da effettuarsi antecedentemente alla prima prestazione del servizio, coloro i quali intendano svolgere taluna delle professioni regolamentate che beneficiano del riconoscimento previsto dal Titolo III Capo IV dello schema di decreto in esame (comma 1).

 

Al riguardo, si ricorda che il citato Titolo III Capo IV prevede che i titoli di formazione di medico, che danno accesso alle attività professionali di medico con formazione di base e medico specialista, infermiere responsabile dell'assistenza generale, odontoiatra, odontoiatra specialista, veterinario, farmacista e architetto, conformi alle condizioni minime di formazione previste dal provvedimento in esame, rilasciati a cittadini di cui all'art. 2, comma 1, da altri Stati membri, sono riconosciuti dalle autorità di cui all'articolo 5 con gli stessi effetti dei titoli rilasciati in Italia per l'accesso, rispettivamente, all'attività di medico chirurgo, medico chirurgo specialista, infermiere responsabile dell'assistenza generale, odontoiatra, odontoiatra specialista, veterinario, farmacista e architetto.

 

Come precisato dal comma 2 dell'articolo in esame, scopo della verifica professionale è essenzialmente quello di evitare un danno al possibile fruitore del servizio reso dal professionista migrante e ciò in considerazione della delicatezza della professione che si intende svolgere in Italia.

Per tale motivo, nel caso in cui l'Autorità competente riscontri rilevati differenze sostanziali tra le qualifiche professionali del prestatore e la formazione richiesta dalle norme nazionali, al prestatore è offerta l'opportunità di effettuare, a proprie spese, una specifica prova attitudinale (comma 4).

 

Viceversa, nel caso in cui l'Autorità nazionale non ravvisi la necessità di effettuare la verifica preliminare, entro un mese dalla data di ricezione della dichiarazione preventiva di spostamento di cui  precedente articolo 10, ne dà comunicazione all'interessato (comma 3).

 

All'interessato, dovrà, essere, inoltre, data comunicazione;

Ø      dell'esito dell'eventuale controllo preliminare;

Ø      dei motivi di un eventuale ritardo nella conclusione della procedura di controllo e la data entro la quale sarà adottata la decisione che dovrà, comunque, intervenire, entro il secondo mese dal ricevimento della documentazione completa.

 

Come chiarito dal comma 5, nel caso in cui le determinazioni previste dall'articolo in esame non intervengano nei termini previsti dal medesimo articolo, l'esercizio della prestazione si intende autorizzato.

 


 

Art. 12
(Titolo professionale)

 


1. Per le professioni di cui al Titolo III, Capo IV, la prestazione è effettuata con il titolo professionale previsto dalle normative nazionali.

 

2. Nei casi in cui le qualifiche sono state verificate ai sensi dell'articolo 11, la prestazione di servizi è effettuata con il titolo professionale previsto dalla normativa nazionale.

 

3. In tutti gli altri casi la prestazione è effettuata con il titolo professionale dello Stato membro di stabilimento allorché un siffatto titolo regolamentato esista in detto Stato membro per l'attività professionale di cui trattasi.

 

4. Il titolo di cui al comma 3 è indicato nella lingua ufficiale o in una delle lingue ufficiali dello Stato membro di stabilimento.

 

5. Nei casi in cui il suddetto titolo professionale non esista nello Stato membro di stabilimento il prestatore indica il suo titolo di formazione nella lingua ufficiale o in una delle lingue ufficiali di detto Stato membro.


 

 

Il comma 1 dell'articolo 12 stabilisce il principio in base al quale, in relazione alle professioni di medico chirurgo, medico chirurgo specialista, infermiere responsabile dell'assistenza generale, odontoiatra, odontoiatra specialista, veterinario, farmacista e architetto, la prestazione è effettuata con il titolo professionale previsto dalle normative nazionali.

 

Analoga disposizione è prevista dal successivo comma 2 nel caso in cui le qualifiche siano state sottoposte alla verifica preliminare prevista dal precedente articolo 11.

 

Nei restanti casi, la prestazione è svolta utilizzando il titolo professionale previsto dal Paese dell'Unione europea nel quale il prestatore è legalmente stabilito per esercitarvi una professione (comma 3), indicato nella lingua ufficiale o in una delle lingue ufficiali dello Stato membro di stabilimento (comma 4).

 

Nel caso in cui il suddetto titolo professionale non sia previsto nello Stato membro di stabilimento, il prestatore indica il suo titolo di formazione nella lingua ufficiale o in una delle lingue ufficiali dello Stato in cui ha acquisito la propria qualifica professionale (comma 5).

 


 

Art. 13
(Iscrizione automatica)

 


1. Copia delle dichiarazioni di cui all'articolo 10, comma 1, è trasmessa dall'autorità competente di cui all'articolo 5 al competente Ordine o Collegio professionale, se esistente, che provvede ad una iscrizione automatica in apposita sezione degli albi istituiti e tenuti presso i consigli provinciali e il consiglio nazionale con oneri a carico dell'Ordine o Collegio stessi.

 

2. Nel caso di professioni di cui all'articolo 11, comma 1 e di cui al Titolo III, Capo IV, contestualmente alla dichiarazione è trasmessa copia della documentazione di cui all'articolo 10, comma 2.

 

3. L'iscrizione di cui al comma 1 è assicurata per la durata di efficacia della dichiarazione di cui all'articolo 10, comma 1.


 

 

 

L'articolo 13, in relazione alla prestazione temporanea ed occasionale di servizi, dispone una iscrizione automatica dei relativi professionisti presso gli organismi professionali, se esistenti (comma 1).

 

In virtù del rinvio operato dal comma 3 dell'articolo in esame al comma 1 dell'articolo 10, tale iscrizione ha validità per l'anno in corso e deve essere rinnovata se il prestatore intenda successivamente fornire servizi temporanei o occasionali in tale Stato membro (comma 3).

 

Il comma 2 dell'articolo in esame prevede, poi, in relazione alle professioni regolamentate aventi ripercussioni in materia di pubblica sicurezza o di sanità pubblica e alle professioni di medico chirurgo, medico chirurgo specialista, infermiere responsabile dell'assistenza generale, odontoiatra, odontoiatra specialista, veterinario, farmacista e architetto, l'obbligo da parte della Autorità competente di cui all'articolo 5 di trasmettere al competente organismo professionale copia dei seguenti documenti:

 

Ø      un certificato o copia di un documento che attesti la nazionalità del prestatore;

Ø      una certificazione dell'autorità competente che attesti che il titolare è legalmente stabilito in uno Stato membro per esercitare le attività in questione e che non gli è vietato esercitarle, anche su base temporanea, al momento del rilascio dell'attestato;

Ø      una prova dei titoli di qualifiche professionali;

Ø      una prova con qualsiasi mezzo che il prestatore ha esercitato l'attività in questione per almeno due anni nei precedenti dieci anni;

Ø      la prova di assenza di condanne penali.

 

 

 

 


 

Art. 14
(Cooperazione tra autorità competenti)

 


1. Le informazioni pertinenti circa la legalità dello stabilimento e la buona condotta del prestatore nonché l'assenza di sanzioni disciplinari o penali di carattere professionale sono richieste e assicurate dalle autorità di cui all'articolo 5.

 

2. Le autorità di cui all'articolo 5 provvedono affinché lo scambio di tutte le informazioni necessarie per un reclamo del destinatario di un servizio contro un prestatore avvenga correttamente. I destinatari sono informati dell'esito del reclamo.


 

Analogamente a quanto previsto dall'articolo 8 dello schema di decreto legislativo in esame, inserito nell'ambito dei principi generali, l'articolo 14 prevede la cooperazione tra le "autorità competenti" dei vari Stati membri volta a garantire un elevato livello di informazionicirca la legalità dello stabilimento e la buona condotta del prestatore nonché l'assenza di sanzioni disciplinari o penali di carattere professionale.

 

Inoltre, ai sensi del successivo comma 2, le medesime Autorità competenti sono tenute ad assicurare a coloro i quali abbiano reclamato un determinato servizio ogni informazione utile alla corretta formulazione del relativo reclamo.

 

In relazione alla formulazione della disposizione in esame andrebbe valutata l'opportunità di precisare i contenuti formali e sostanziali del citato reclamo, anche al fine di meglio individuare i relativi obblighi di informazione posti a carico dell'Autorità competente.

 


 

 

Art. 15
(Informazioni al destinatario della prestazione)

 


1. Nei casi in cui la prestazione è effettuata con il titolo professionale dello Stato membro di stabilimento o con il titolo di formazione del prestatore, il prestatore è tenuto a fornire al destinatario del servizio le seguenti informazioni:

 

a) se il prestatore è iscritto in un registro commerciale o in un analogo registro pubblico, il registro in cui è iscritto, il suo numero d'iscrizione o un mezzo d'identificazione equivalente, che appaia in tale registro;

b) se l'attività è sottoposta a un regime di autorizzazione nello Stato membro di stabilimento, gli estremi della competente autorità di vigilanza;

c) l'ordine professionale, o analogo organismo, presso cui il prestatore è iscritto;

d) il titolo professionale o, ove il titolo non esista, il titolo di formazione del prestatore, e lo Stato membro in cui è stato conseguito;

e) se il prestatore esercita un'attività soggetta all'IVA, il numero d'identificazione IVA di cui all'articolo 22, paragrafo 1, della direttiva 77/388/CEE del Consiglio, del 17 maggio 1977, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra d'affari. Sistema comune d'imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme ;

f) le prove di qualsiasi copertura assicurativa o analoghi mezzi di tutela personale o collettiva per la responsabilità professionale.

 


 

L'articolo 15 prevede alcuni obblighi di informazione che il prestatore del servizio è tenuto a fornire al destinatario del servizio medesimo, nel caso in cui la prestazione venga effettuata con il titolo professionale dello Stato membro di stabilimento o con il titolo di formazione del prestatore.

 

In particolare, la lettera a)del comma 1 prevede l'obbligo per il prestatore iscritto in un registro commerciale di fornire al destinatario del servizio informazioni riguardanti il registro in cui è iscritto e il relativo numero di iscrizione o un mezzo d'identificazione equivalente, che appaia in tale registro.

 

La successiva lettera b) prevede, invece, l'obbligo di comunicare al fruitore del servizio gli estremi della competente autorità di vigilanza nel caso in cui l'attività svolta nello Stato di stabilimento sia sottoposta ad autorizzazione.

 

Inoltre ai sensi delle lettre c) e d) ulteriori dati dovranno essere forniti dal prestatore del servizio in relazione all'ordine professione di appartenenza (o altro organismo professionale equivalente) e al titolo professionale o di formazione posseduto.

 

La lettera e)prevede, poi, l'obbligo per il prestatore che eserciti un'attività soggetta all'IVA di comunicare al destinatario del servizio medesimo il numero d'identificazione IVA.

 

A questo proposito si ricorda che ai sensi dell’articolo 1 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, recante Istituzione e disciplina dell’imposta sul valore aggiunto, l’imposta sul valore aggiunto si applica sulle cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate nel territorio dello Stato nell'esercizio di imprese o nell'esercizio di arti e professioni e sulle importazioni da chiunque effettuate.

I successivi articoli da 2 a 5 e 67 dello stesso D.P.R. n. 633 del 1972 contengono le seguenti definizioni:

§         cessioni di beni: atti a titolo oneroso che importano il trasferimento della proprietà ovvero la costituzione o il trasferimento di diritti reali di godimento su beni di ogni genere.

§         prestazioni di servizi: prestazioni verso corrispettivo dipendenti da contratti d'opera, appalto, trasporto, mandato, spedizione.

§         esercizio di imprese: esercizio per professione abituale, ancorché non esclusiva, delle attività commerciali o agricole di cui agli articoli 2135 e 2195 del codice civile, anche se non organizzate in forma di impresa, nonché l'esercizio di attività, organizzate in forma d'impresa, dirette alla prestazione di servizi che non rientrano nell'articolo 2195 del codice civile;

§         esercizio di arti e professioni: esercizio per professione abituale, ancorché non esclusiva, di qualsiasi attività di lavoro autonomo da parte di persone fisiche ovvero da parte di società semplici o di associazioni senza personalità giuridica costituite tra persone fisiche per l'esercizio in forma associata delle attività stesse;

§         importazioni: operazioni aventi per oggetto beni introdotti nel territorio dello Stato, che siano originari di Paesi o territori non compresi nel territorio della Comunità Europea e che non siano stati già immessi in libera pratica in altro Paese membro della Comunità medesima, ovvero che siano provenienti dai territori da considerarsi esclusi dalla Comunità.

I citati articoli individuano inoltre alcune fattispecie espressamente escluse o comprese nell’ambito di applicazione dell’imposta.

 

Si ricorda, inoltre, che l’articolo 22 della direttiva 77/388/CEE prevede che i soggetti passivi dell’imposta sul valore aggiunto siano identificabili con un apposito numero individuale. La corrispondente normativa italiana (articolo 35 del D.P.R. n. 633 del 1972) dispone che i soggetti che intraprendono l'esercizio di un'impresa, arte o professione nel territorio dello Stato, o vi istituiscono una stabile organizzazione, devono farne dichiarazione, entro trenta giorni, all’Agenzia delle entrate, la quale attribuisce al contribuente un numero di partita I.V.A. che resterà invariato fino al momento della cessazione dell'attività.

Si segnala che la direttiva 77/388/CEE del 17 maggio 1977, citata dalla disposizione in commento, è stata recentemente abrogata dalla direttiva 2006/212/CE del 28 novembre 2006, la quale contiene la rifusione della direttiva precedente.

 

Da ultimo (lettera f)), il prestatore dovrà informare il destinatario del servizio in merito alle proprie coperture assicurative per la responsabilità professionale.


 

 

Art. 16
(Procedura di riconoscimento in regime di stabilimento)

 

 


1. Ai fini del riconoscimento professionale come disciplinato dal presente Titolo, il cittadino di cui all'articolo 2 presenta apposita domanda all'autorità competente di cui all'articolo 5.

 

2. Entro trenta giorni dal ricevimento della domanda di cui al comma 1 l'autorità accerta la completezza della documentazione esibita, e ne dà notizia all'interessato. Ove necessario, l'Autorità competente richiede le eventuali necessarie integrazioni.

 

3. Per la valutazione dei titoli acquisiti, l'autorità indice una conferenza di servizi ai sensi della legge n.241/90, previa consultazione del Consiglio Universitario Nazionale per le attività di cui al Titolo III, Capo IV, sezione VIII, alla quale partecipano rappresentanti:

 

a) delle amministrazioni di cui all'articolo 5;

b) del Dipartimento per il coordinamento delle politiche comunitarie;

c) del Ministero degli affari esteri.

 

4. Nella conferenza sono sentiti un rappresentante dell'Ordine o Collegio professionale ovvero della categoria professionale interessata.

 

5. Il comma 3 non si applica se la domanda di riconoscimento ha per oggetto titoli identici a quelli su cui é stato provveduto con precedente decreto.

 

6. Sul riconoscimento provvede l'autorità competente con decreto motivato, da emettersi nel termine di tre mesi dalla presentazione della documentazione completa da parte dell'interessato. Il decreto è pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana. Per le professioni di cui al Capo II e al Capo III del presente Titolo il termine è di quattro mesi.

 

7.Nei casi di cui all'articolo 22, il decreto stabilisce le condizioni del tirocinio di adattamento e della prova attitudinale, individuando l'ente o organo competente a norma dell'articolo 24.

 

8. Se l'esercizio della professione in questione è condizionato alla prestazione di un giuramento o ad una dichiarazione solenne, al cittadino interessato è proposta una formula appropriata ed equivalente nel caso in cui la formula del giuramento o della dichiarazione non possa essere utilizzata da detto cittadino.

 


 

 

 

Il Titolo III dello schema di decreto legislativo in esame, rubricato "Libertà di stabilimento",  è composto da 41 articoli suddivisi in quattro Capi.

 

Il Capo I (art. 16 e art. 17) disciplina la procedura di riconoscimento che assicura al professionista proveniente da un altro Stato membro di stabilirsi in Italia per esercitare una professione regolamentata che è autorizzato ad esercitare nello Stato membro dal quale proviene.

 

Nello specifico l'articolo 16, comma 1, oltre a stabilire il principio generale in base al quale il cittadino comunitario interessato all'esercizio di una determinata professione regolamentata nel territorio nazionale deve presentare all'Autorità competente apposita domanda di riconoscimento del proprio titolo professionale, stabilisce, altresì che:

 

Ø      entro trenta giorni dal ricevimento della citata domanda l'Autorità competente accerta la completezza della documentazione esibita e ne dà notizia all'interessato;

Ø      ove necessario, l'Autorità competente richiede le eventuali necessarie integrazioni (comma 2);

 

In relazione, poi, alla valutazione dei titoli presentati, il comma 3 dell'articolo in esame prevede che l'Autorità competente indica una apposita conferenza di servizi ai sensi della legge n. 241/90, previa consultazione del Consiglio Universitario Nazionale per la professione di architetto.

 

Nella conferenza sono sentiti un rappresentante dell'Ordine o del Collegio professionale, ovvero della categoria professionale interessata (comma 4).

 

Il successivo comma 5 prevede, però che la citata conferenza non è prevista se la domanda di riconoscimento ha per oggetto titoli identici a quelli su cui é stato provveduto con precedente decreto.

 

Per quanto riguarda, poi, il soggetto legittimato ad esprimersi in merito alla domanda di riconoscimento, il citato comma 6 attribuisce tale competenza all'Autorità competente che dovrà provvedervi con decreto motivato da emanarsi nel termine di tre mesi dalla data di presentazione della documentazione da parte dell'interessato. Per le professioni di cui al Capo II e al Capo III del presente Titolo il termine è di quattro mesi.

 

Nel caso in cui il riconoscimento sia subordinato al compimento di un apposito tirocinio, il medesimo decreto stabilisce le condizioni del tirocinio di adattamento e della prova attitudinale, individuando l'ente o l'organo competente (comma 7).

 

Ai sensi del comma 8 se l'esercizio della professione in questione è condizionato alla prestazione di un giuramento o ad una dichiarazione solenne, al cittadino interessato è proposta una formula appropriata ed equivalente nel caso in cui la formula del giuramento o della dichiarazione non possa essere utilizzata da detto cittadino.

 

 

 


 

Art. 17
(Domanda per il riconoscimento)

 


1. La domanda di cui all'articolo 16 è corredata dai seguenti documenti:

 

a) un certificato o copia di un documento che attesti la nazionalità del prestatore;

b) una copia degli attestati di competenza o del titolo di formazione che dà accesso alla professione ed eventualmente un attestato dell'esperienza professionale dell'interessato;

c) nei casi di cui all'articolo 26, un attestato relativo alla natura ed alla durata dell'attività, rilasciato dall'autorità o dall'organismo competente dello Stato membro d'origine o dello Stato membro da cui proviene il cittadino di cui all'art. 2, comma 1.

 

2. Le autorità competenti di cui all'articolo 5 possono invitare il richiedente a fornire informazioni quanto alla sua formazione nella misura necessaria a determinare l'eventuale esistenza di differenze sostanziali rispetto alla formazione richiesta sul territorio dello Stato italiano. Qualora sia impossibile per il richiedente fornire tali informazioni, le autorità competenti di cui all'articolo 5 si rivolgono al punto di contatto, all'autorità competente o a qualsiasi altro organismo pertinente dello Stato membro di origine.

 

3. Qualora l'accesso a una professione regolamentata sia subordinato ai requisiti dell'onorabilità e della moralità o all'assenza di dichiarazione di fallimento, o l'esercizio di tale professione possa essere sospeso o vietato in caso di gravi mancanze professionali o di condanne per reati penali, la sussistenza di tali requisiti si considera provata anche da documenti rilasciati da autorità competenti dello Stato membro di origine o dello Stato membro da cui proviene il cittadino di cui all'art. 2, comma 1.

 

4. Nei casi in cui l'ordinamento dello Stato membro di origine o dello Stato membro da cui proviene l'interessato non preveda il rilascio dei documenti di cui al comma 3, questi possono essere sostituiti da una dichiarazione giurata o, negli Stati membri in cui tale forma di dichiarazione non è contemplata, da una dichiarazione solenne, prestata dall'interessato dinanzi ad un'autorità giudiziaria o amministrativa competente o, eventualmente, dinanzi ad un notaio o a un organo qualificato dello Stato membro di origine o dello Stato membro da cui proviene il cittadino straniero.

 

5. Le certificazioni di cui al comma 3, nel caso in cui cittadini stabiliti in Italia intendano stabilirsi in altri Stati membri, devono essere fatte pervenire alle autorità degli Stati membri richiedenti entro due mesi.

 

6. Qualora l'accesso ad una professione regolamentata sia subordinato al possesso di sana costituzione fisica o psichica, tale requisito si considera dimostrato dal documento prescritto nello Stato membro di origine o nello Stato membro da cui proviene il cittadino straniero. Qualora lo Stato membro di origine o di provenienza non prescriva documenti del genere, le autorità competenti di cui all'articolo 5 accettano un attestato rilasciato da un'autorità competente di detti Stati.

 

7. Qualora l'esercizio di una professione regolamentata sia subordinato al possesso di capacità finanziaria del richiedente o di assicurazione contro i danni derivanti da responsabilità professionale, tali requisiti si considerano dimostrati da un attestato rilasciato da una banca o società di assicurazione con sede in uno Stato membro.

 

8. I documenti di cui ai commi 3, 6 e 7 al momento della loro presentazione non devono essere di data anteriore a tre mesi.

 

9. Nei casi previsti dal titolo III, capo IV, del presente decreto, la domanda è corredata da un certificato dell'autorità competente dello Stato membro di origine attestante che il titolo di formazione soddisfa i requisiti stabiliti dalla normativa comunitaria in materia di riconoscimento dei titoli di formazione in base al coordinamento delle condizioni minime di formazione.

 


 

 

 

L'articolo 17 individua, nel dettaglio, i requisiti della domanda di riconoscimento che deve essere presentata dal professionista proveniente da un altro Stato membro che intenda stabilirsi in Italia per esercitare una professione regolamentata che è autorizzato ad esercitare nello Stato membro dal quale proviene.

 

Al riguardo, l'articolo in esame, oltre a disporre che la domanda sia accompagnata da una serie di documenti riguardanti la nazionalità del richiedente, il suo titolo di formazione e la natura e la durata della attività, prevede, altresì, la possibilità, da parte della Autorità competente, di richiedere ulteriori informazioni volte a verificare eventuali differenze sostanziali tra i due pacchetti formativi ( stato d'origine e Stato ospitante).

 

Il medesimo articolo disciplina, altresì, le modalità attraverso le quali può essere dimostrato il possesso, da parte del richiedente, di specifici requisiti necessari per accedere ad una determinata professione regolamentata.

 

Nello specifico:

 

Ø      i requisiti dell'onorabilità e della moralità o l'assenza di una dichiarazione di fallimento o gravi mancanze professionali o condanne per reati penali, si considerano provati anche da documenti rilasciati da autorità competenti dello Stato membro di origine o dello Stato membro da cui proviene il cittadino comunitario;

Ø      il requisito relativo al possesso di sana costituzione fisica o psichica si considera dimostrato dal documento prescritto nello Stato membro di origine o nello Stato membro da cui proviene il cittadino straniero;

Ø      in relazione al possesso di capacità finanziaria del richiedente o di una assicurazione contro i danni derivanti da responsabilità professionale, tali requisiti si considerano dimostrati da un attestato rilasciato da una banca o da una società di assicurazione con sede in uno Stato membro.

 


 

 

Art. 18
(Ambito di applicazione)

 


1. Il presente capo si applica a tutte le professioni non coperte dai Capi III e IV del presente Titolo e nei seguenti casi:

 

a) alle attività elencate all'allegato IV, qualora il migrante non soddisfi i requisiti di cui agli articoli da 27 a 29;

b) ai medici chirurghi con formazione di base, i medici chirurghi specialisti, gli infermieri responsabili dell'assistenza generale, gli odontoiatri, odontoiatri specialisti, i veterinari, le ostetriche, i farmacisti e gli architetti, qualora il migrante non soddisfi i requisiti di pratica professionale effettiva e lecita previsti agli articoli 31,36, 39, 42, 44, 46,48, 54;

c) agli architetti, qualora il migrante sia in possesso di un titolo di formazione non elencato all'allegato V, punto 5.7;

d) fatti salvi gli articoli 30 comma 1, 31 e 36, ai medici, agli infermieri, agli odontoiatri, ai veterinari, alle ostetriche, ai farmacisti e agli architetti in possesso di titoli di formazione specialistica, che devono seguire la formazione che porta al possesso dei titoli elencati all'allegato V, punti 5.1.1, 5.2.2, 5.3.2, 5.4.2, 5.5.2, 5.6.2 e 5.7.1, e solamente ai fini del riconoscimento della pertinente specializzazione;

e) agli infermieri responsabili dell'assistenza generale e per gli infermieri specializzati in possesso di titoli di formazione specialistica, che seguono la formazione che porta al possesso dei titoli elencati all'allegato V, punto 5.2.2, qualora il migrante chieda il riconoscimento in un altro Stato membro in cui le pertinenti attività professionali sono esercitate da infermieri specializzati sprovvisti della formazione di infermiere responsabile dell'assistenza generale;

f) agli infermieri specializzati sprovvisti della formazione di infermiere responsabile dell'assistenza generale, qualora il migrante chieda il riconoscimento in un altro Stato membro in cui le pertinenti attività professionali sono esercitate da infermieri responsabili dell'assistenza generale, da infermieri specializzati sprovvisti della formazione di infermiere responsabile dell'assistenza generale o da infermieri specializzati in possesso di titoli di formazione specialistica, che seguono la formazione che porta al possesso dei titoli elencati all'allegato V, punto 5.2.2;

g) ai migranti in possesso dei requisiti previsti all'articolo 4, comma 1, lettera c), secondo periodo.

 


 

 

 

L'articolo 18 individua, nel dettaglio, l'ambito di applicazione del Capo II del titolo III dello schema di decreto legislativo in esame, riguardante, in primo luogo, le attività indicate nell'allegato IV relativo alle attività di tipo artigianale o imprenditoriale (lettera a)).

 

Come si legge nella relazione illustrativa del provvedimento il riconoscimento si basa sul principio della mutua fiducia tra gli Stati, principio che garantisce ad un prodotto formativo-professionalizzante di uno Stato membro, sotto certe condizioni, di essere riconosciuto da un altro Stato membro.

La lettera b) include, poi, nell’ambito di applicazione del Capo II i medici chirurghi con formazione di base, i medici chirurghi specialisti, gli infermieri responsabili dell'assistenza generale, gli odontoiatri, odontoiatri specialisti, i veterinari, le ostetriche, i farmacisti e gli architetti, qualora il migrante non soddisfi i requisiti di pratica professionale effettiva e lecita di cui agli articoli 31,36, 39, 42, 44, 46,48, 54.

 

La lettera c) prevede che il Capo II si applichi agli architetti nel caso in cui il migrante sia in possesso di un titolo di formazione non previsto nell’Allegato V, punto 5.7.

 

La successiva lettera d)include, invece, i medici, gli infermieri, gli odontoiatri, i veterinari, le ostetriche, i farmacisti e gli architetti in possesso di titoli di formazione specialistica, che devono seguire la formazione che porta al possesso dei titoli elencati all'allegato V del provvedimento rubricato "Riconoscimento in base al coordinamento delle condizioni minime di formazione".

 

La lettera e) prevede che il Capo II si applichi anche agli infermieri responsabili dell'assistenza generale e agli infermieri specializzati in possesso di titoli di formazione specialistica, che seguono la formazione che porta al possesso dei titoli elencati all'allegato V, punto 5.2.2, qualora il migrante chieda il riconoscimento in un altro Stato membro in cui le suddette attività professionali sono esercitate da infermieri specializzati sprovvisti della formazione di infermiere responsabile dell'assistenza generale.

 

La lettera f) annovera, altresì, nel campo di applicazione del citato Capo II gli infermieri specializzati sprovvisti della formazione di infermiere responsabile dell'assistenza generale, qualora il migrante chieda il riconoscimento in un altro Stato membro in cui le sudette attività professionali sono esercitate da infermieri responsabili dell'assistenza generale, da infermieri specializzati sprovvisti della formazione di infermiere responsabile dell'assistenza generale o da infermieri specializzati in possesso di titoli di formazione specialistica, che seguono la formazione che porta al possesso dei titoli elencati all'allegato V, punto 5.2.2;

 

Da ultimo, la lettera g) include, nell’ambito di applicazione del Capo II i migranti in possesso di un titolo di formazione rilasciato da un paese terzo sempre che abbiano maturato, nell'effettivo svolgimento dell'attività professionale, un'esperienza di almeno tre anni sul territorio dello Stato membro che ha riconosciuto tale titolo, certificata dal medesimo.


 

Art. 19
(Livelli di qualifica)

 


1. Ai soli fini dell'applicazione delle condizioni di riconoscimento professionale di cui all'articolo 21, le qualifiche professionali sono inquadrate nei seguenti livelli:

 

a) attestato di competenza: attestato rilasciato da un'autorità competente dello Stato membro d'origine designata ai sensi delle disposizioni legislative, regolamentari o amministrative di tale Stato membro, sulla base:

1) o di una formazione non facente parte di un certificato o diploma ai sensi delle lettere b), c), d) o e), o di un esame specifico non preceduto da una formazione o dell'esercizio a tempo pieno della professione per tre anni consecutivi in uno Stato membro o a tempo parziale per un periodo equivalente nei precedenti dieci anni,

2) o di una formazione generale a livello d'insegnamento elementare o secondario attestante che il titolare possiede conoscenze generali;

b) certificato: certificato che attesta il compimento di un ciclo di studi secondari,

 

1) o generale completato da un ciclo di studi o di formazione professionale diversi da quelli di cui alla lettera c) o dal tirocinio o dalla pratica professionale richiesti in aggiunta a tale ciclo di studi,

2) o tecnico o professionale, completato eventualmente da un ciclo di studi o di formazione professionale di cui al punto i), o dal tirocinio o dalla pratica professionale richiesti in aggiunta a tale ciclo di studi;

c) diploma: diploma che attesta il compimento:

 

1) o di una formazione a livello di insegnamento post-secondario diverso da quello di cui alle lettere d) ed e) di almeno un anno o di una durata equivalente a tempo parziale, di cui una delle condizioni di accesso è, di norma, il completamento del ciclo di studi secondari richiesto per accedere all'insegnamento universitario o superiore ovvero il completamento di una formazione scolastica equivalente al secondo ciclo di studi secondari, nonché la formazione professionale eventualmente richiesta oltre al ciclo di studi post-secondari;

2) o, nel caso di professione regolamentata, di una formazione a struttura particolare inclusa nell'allegato II equivalente al livello di formazione indicato al punto i) che conferisce un analogo livello professionale e prepara a un livello analogo di responsabilità e funzioni;

d) diploma: diploma che attesta il compimento di una formazione a livello di insegnamento post-secondario di una durata minima di tre e non superiore a quattro anni o di una durata equivalente a tempo parziale, impartita presso un'università o un istituto d'insegnamento superiore o un altro istituto che impartisce una formazione di livello equivalente, nonché la formazione professionale eventualmente richiesta oltre al ciclo di studi post-secondari;

e) diploma: diploma che attesta che il titolare ha completato un ciclo di studi post-secondari della durata di almeno quattro anni, o di una durata equivalente a tempo parziale, presso un'università o un istituto d'insegnamento superiore ovvero un altro istituto di livello equivalente e, se del caso, che ha completato con successo la formazione professionale richiesta in aggiunta al ciclo di studi post-secondari.


L’articolo 19, come si legge nella relazione illustrativa, definisce i livelli di qualifica necessari per attivare la procedura di riconoscimento professionale.

Si tratta di cinque livelli, denominati:

-             attestato di competenza, qualora di tratti di una formazione breve o di carattere generale a livello di insegnamento elementare;

-             certificato, nel caso di compimento di un ciclo di studi secondari generale o tecnico-professionale, completati da un corso di studi o di tirocinio professionale di livello non universitario;

-             diploma che attesta il compimento di studi post-secondari di durata non inferiore ad un anno (nel caso di professione regolamentata si rinvia a quanto specificatamente previsto sul punto nell’All.II)

-             diploma che attesta il compimento di studi post-secondari di durata minima di tre anni e non superiore a quattro;

-             diploma che attesta il compimento di studi post-secondari di durata minima di quattro anni

 

In materia di ricorda che il sistema di istruzione scolastico vigente in Italia[15] si articola come segue.

Scuola dell'infanzia (a cui si possono iscrivere i bambini a partire dai tre anni di età) non obbligatoria e di durata triennale.

Primo ciclo di istruzione - costituito dalla scuola primaria, della durata di cinque anni, e dalla scuola secondaria di primo grado della durata di tre anni. Il percorso si conclude con un esame di Stato, il cui superamento costituisce titolo di accesso al secondo ciclo del sistema educativo.

La scuola primaria, a cui si accede a sei anni, è articolata in un primo anno, teso al raggiungimento delle strumentalità di base, e in due periodi didattici biennali.

La scuola secondaria di primo grado si articola in un biennio e in un terzo anno che completa il percorso disciplinare ed assicura l'orientamento ed il raccordo con il secondo ciclo.

In relazione al mancato avvio della “riforma Moratti” per la parte relativa al secondo ciclo di istruzione, le alternative possibili in uscita dal primo ciclo sono attualmente quelle antecedenti alla riforma; e cioè: il ginnasio-liceo classico; il liceo scientifico; il liceo artistico;gli  istituti tecnici; gli istituti professionali; gli istituti d'arte.

Per gli attuali istituti tecnici e professionali è stato recentemente previsto un riordino (art.13 del decreto legge n. 7/2007) mirante alla realizzazione di un’area di istruzione generale comune a tutti i percorsi ed aree di indirizzo numericamente inferiori a quelle attuali. La disciplina di tale riordino, affidata a regolamenti ministeriali, dovrà essere dettata entro il 31 luglio 2008.

Si segnala infine che di recente (con il citato art. 13 del DL n. 7/2007), con la finalità di promuovere in modo stabile e organico la diffusione della cultura scientifica e tecnica, è stata prevista la costituzione di “poli tecnico-professionali”, comprensivi di istituti tecnici, istituti professionali, strutture della formazione professionale gestite dalle regioni e accreditate dallo Stato, Istituti operanti nell'ambito del sistema dell'istruzione e formazione tecnica superiore non universitaria (vedi infra).

Il sistema universitario italiano è stato interessato recentemente dalla riforma degli ordinamenti didattici, avviata nel 1997[16] ed ormai entrata a regime.

Punti cardine della riforma, appunto al fine della leggibilità e comparabilità dei titoli, sono la nozione di “credito formativo universitario” (che misura la quantità di lavoro di apprendimento richiesta allo studente, comprensiva dello studio individuale e della partecipazione ad attività didattiche[17]) ed il diploma supplement, rilasciato dalle università unitamente al titolo di studio per certificare, secondo modelli europei, il curriculum specifico dello studente[18].

La nuova articolazione dei corsi universitari (cosidetto 3+2[19]) e dei relativi titoli è la seguente:

·         la laurea triennale, finalizzata ad assicurare un'adeguata padronanza di metodi e contenuti scientifici generali e caratterizzata da un percorso di base comune per gli studenti del primo anno di ciascuna classe di laurea cui farà seguito un percorso metodologico o in alternativa professionalizzante;

·         la laurea magistrale(inizialmente denominata specialistica) conseguibile in ulteriori due anni al termine del corso di laurea triennale (3+2), finalizzata a garantire una formazione di livello avanzato per l'esercizio di attività di elevata qualificazione in ambiti specifici;

·         il master universitario, annuale di I e II livello (conseguibile cioè dopo la laurea triennale o magistrale), interamente affidato all'autonomia degli atenei, finalizzato all'offerta di formazione aggiuntiva e di aggiornamento professionale;

·         la specializzazione, nei soli casi in cui la prevedano specifiche disposizioni legislative o in applicazione di direttive dell'Unione europea; ed in particolare nelle aree degli studi sanitari, della formazione degli insegnanti, della preparazione alle professioni legali;

·         il dottorato di ricerca, già riordinato nel 1998[20] nell’ottica di accentuare l'autonomia degli atenei nell'istituzione dei corsi (attivabili anche in convenzione con soggetti pubblici e privati) e sostituire ad un taglio prevalentemente accademico un orientamento verso la “ricerca di alta qualificazione”, da svolgere anche in ambito non universitario[21].

Va inoltre segnalato che è stata ridisciplinata a partire dal 1999[22] l’alta formazione artistica e musicale riconoscendo un livello equiparato a quello universitario (benché da esso distinto) a tale percorso di studio e conferendo un’autonomia paragonabile a quella delle università agli istituti che lo impartiscono, e cioè: le Accademie di belle arti; l’Accademia nazionale di arte drammatica; gli Istituti superiori per le industrie artistiche; i Conservatori di musica, gli Istituti musicali pareggiati (non statali) e l’Accademia nazionale di danza.

Si ricorda infine che in alternativa ai percorsi universitari è stata istituita nel1999[23], ed avviata negli anni successivi, una nuova tipologia di formazione post secondaria di livello non universitario: il sistema di istruzione e formazione tecnica superiore (IFTS), al quale si accede di norma con il diploma di scuola secondaria superiore o anche solo con l'ammissione al quinto anno.

La programmazione dei corsi è affidata alle regioni, sulla base di linee guida definite d'intesa con le parti sociali e con i Ministri della pubblica istruzione, del lavoro, dell'università e della ricerca.

I percorsi hanno durata variabile dai due ai quattro semestri ed afferiscono ai seguenti settori: agricoltura; servizi pubblici e servizi privati di interesse sociale; industria e artigianato; ICT (Information and Communications Technology); edilizia; commercio, turismo e trasporti; servizi assicurativi e finanziari.

 

 

 


 

 

Art. 20
(Titoli di formazione assimilati)

 


1. È assimilato a un titolo di formazione che sancisce una formazione di cui all'articolo 19, anche per quanto riguarda il livello, ogni titolo di formazione o insieme di titoli di formazione rilasciato da un'autorità competente di un altro Stato membro, se sancisce una formazione acquisita nella Comunità, riconosciuta da tale Stato membro come formazione di livello equivalente al livello in questione e tale da conferire gli stessi diritti d'accesso o di esercizio alla professione o tale da preparare al relativo esercizio.

 

2. È altresì assimilata ad un titolo di formazione, alle stesse condizioni del comma 1, ogni qualifica professionale che, pur non rispondendo ai requisiti delle norme legislative, regolamentari o amministrative dello Stato membro d'origine per l'accesso a una professione o il suo esercizio, conferisce al suo titolare diritti acquisiti in virtù di tali disposizioni. La disposizione trova applicazione se lo Stato membro d'origine eleva il livello di formazione richiesto per l'ammissione ad una professione e per il suo esercizio, e se una persona che ha seguito una precedente formazione, che non risponde ai requisiti della nuova qualifica, beneficia dei diritti acquisiti in forza delle disposizioni nazionali legislative, regolamentari o amministrative; in tal caso, detta formazione precedente è considerata, ai fini dell'applicazione dell'articolo 21, corrispondente al livello della nuova formazione.

 


 

 

L’articolo 20 dello schema in esame, al comma 1,dispone l’assimilazione ad un titolo che attesta una formazione secondo quanto stabilito dal precedente articolo 19, anche per quanto riguarda il livello di qualifica professionale, di ciascun titolo o insieme di titoli di formazione rilasciato da un altro Stato membro dell’Unione europea, a condizione che lo stesso titolo o insieme di titoli attesti una formazione acquisita all’interno della Comunità europea, riconosciuta da tale Stato membro come formazione di livello equivalente a quello in questione e tale da attribuire gli stessi diritti d'accesso o di esercizio della professione.

Il successivo comma 2 tende, altresì, ad assimilare ad un titolo di formazione, ogni qualifica professionale che, pur non rispondendo più ai requisiti previsti normativa vigente nello Stato membro d'origine per l'accesso ad una professione o il suo esercizio, attribuisca al suo titolare diritti acquisiti in virtù della medesima normativa.

Lo stesso comma precisa, quindi, che tale previsione deve essere applicata se lo Stato membro d'origine eleva il livello di formazione richiesto per l’accesso ad una professione e per il suo esercizio e se, nel contempo, una persona che ha seguito una precedente formazione, che non è più rispondente ai requisiti della nuova qualifica professionale, beneficia dei diritti acquisiti in virtù della stessa normativa nazionale; se ricorrono tali condizioni, la formazione precedente conseguita sulla base della previgente disciplina è considerata, ai fini dell'applicazione dell'articolo 21 (condizioni per il riconoscimento professionale), corrispondente al livello di qualifica della nuova formazione.

 

 

 


 

Art. 21
(Condizioni per il riconoscimento)

 

 


1. Al fine dell'applicazione dell'articolo18, comma 1, per l'accesso o l'esercizio di una professione regolamentata sono ammessi al riconoscimento professionale le qualifiche professionali che sono prescritte da un altro Stato membro per accedere alla corrispondente professione ed esercitarla. Gli attestati di competenza o i titoli di formazione ammessi al riconoscimento soddisfano le seguenti condizioni:

 

a) essere stati rilasciati da un'autorità competente in un altro Stato membro, designata ai sensi delle disposizioni legislative, regolamentari o amministrative di tale Stato;

b) attestare una qualifica professionale almeno equivalente al livello immediatamente precedente a quella prevista dalle normative nazionali.

 

2. L'accesso e l'esercizio della professione regolamentata di cui al comma 1 sono consentiti anche ai richiedenti che abbiano esercitato a tempo pieno tale professione per due anni, nel corso dei precedenti dieci, in un altro Stato membro che non la regolamenti e abbiano uno o più attestati di competenza o uno o più titoli di formazione che soddisfino le seguenti condizioni:

 

a) essere stati rilasciati da un'autorità competente in un altro Stato membro, designata ai sensi delle disposizioni legislative, regolamentari o amministrative di tale Stato membro;

b) attestare un livello di qualifica professionale almeno equivalente al livello immediatamente anteriore a quella prevista dalle normative nazionali;

c) attestare la preparazione del titolare all'esercizio della professione interessata.

 

3. Non sono necessari i due anni di esperienza professionale di cui al comma 3 se i titoli di formazione posseduti dal richiedente attestano una formazione regolamentata ai sensi dell'articolo 4, comma 1, lettera e) dei livelli di cui all'articolo 19, lettere b), c), d) ed e). Sono considerate formazioni regolamentate del livello di cui all'articolo 19, lettera c), quelle di cui all'allegato II.

 

4. In deroga al comma 2, lettera b) e al comma 3, il riconoscimento di cui al comma 1 è assicurato nel caso in cui l'accesso a detta professione è subordinato al possesso di un titolo di formazione che attesta il compimento di una formazione a livello di insegnamento superiore o universitario di una durata pari a quattro anni e se il richiedente possiede un titolo di formazione di cui all'articolo 19, comma 1, lettera c).

 


 

L'articolo 21 stabilisce, nel dettaglio, le condizioni per il riconoscimento dei titoli di formazione necessari per l'accesso o l'esercizio in Italia di una professione regolamentata.

 

Al riguardo, la regola generale stabilita dal comma 1 dell'articolo in esame è quella secondo la quale sono ammessi al riconoscimento professionale gli attestati di competenza o i titoli di formazione che sono prescritti da un altro Stato membro per accedere alla corrispondente professione ed esercitarla.

 

A questo proposito il medesimo comma 1 precisa che ai fini del citato riconoscimento i titoli professionali (attestati di competenza o titoli di formazione) devono essere stati rilasciati da un'autorità dello Stato membro espressamente legittimata a tal fine dalla normativa vigente nel medesimo Stato e devono, altresì, attestare una qualifica professionale almeno equivalente al livello immediatamente precedente a quello previsto dalle normative nazionali.

 

Le medesime condizioni sono previste dal successivo comma 2 anche nel caso in cui la richiesta di riconoscimento provenga da professionisti che abbiano esercitato a tempo pieno tale professione per due anni, nel corso dei precedenti dieci, in un altro Stato membro che non la regolamenti. In questa ipotesi gli attestati di competenza o i titoli di formazione posseduti dal richiedente devono, inoltre, dimostrare attestare la preparazione del titolare all'esercizio della professione interessata.

 

Non sono necessari i due anni di esperienza professionale se i titoli di formazione posseduti dal richiedente attestano una formazione regolamentata dei livelli di cui all'articolo 19, lettere b) (certificato); c), d) ed e) (diploma).

 

Il comma 4 stabilisce, da ultimo, che il riconoscimento è, comunque, assicurato nel caso in cui l'accesso ad una determinata professione è subordinato al possesso di un titolo di formazione che attesta il compimento di una formazione a livello di insegnamento superiore o universitario di una durata pari a quattro anni, ovvero se il richiedente possiede un diploma che attesta il compimento:

Ø      o di una formazione a livello di insegnamento post-secondario di almeno un anno o di una durata equivalente a tempo parziale, di cui una delle condizioni di accesso è, di norma, il completamento del ciclo di studi secondari richiesto per accedere all'insegnamento universitario o superiore ovvero il completamento di una formazione scolastica equivalente al secondo ciclo di studi secondari, nonché la formazione professionale eventualmente richiesta oltre al ciclo di studi post-secondari;

Ø      o, nel caso di professione regolamentata, di una formazione a struttura particolare inclusa nell'allegato II equivalente al livello di formazione indicato al punto i) che conferisce un analogo livello professionale e prepara a un livello analogo di responsabilità e funzioni;

 


 

Art. 22
(Misure compensative)

 

 


1.Il riconoscimento di cui al presente capo può essere subordinato al compimento di un tirocinio di adattamento non superiore a tre anni o di una prova attitudinale, a scelta del richiedente, in uno dei seguenti casi:

 

a) se la durata della formazione da lui seguita ai sensi dell'articolo 21, comma 1 e 2, è inferiore di almeno un anno a quella richiesta in Italia;

b) se la formazione ricevuta riguarda materie sostanzialmente diverse da quelle coperte dal titolo di formazione richiesto in Italia;

c) se la professione regolamentata include una o più attività professionali regolamentate, mancanti nella corrispondente professione dello Stato membro d'origine del richiedente, e se la differenza è caratterizzata da una formazione specifica, richiesta dalla normativa nazionale e relativa a materie sostanzialmente diverse da quelle dell'attestato di competenza o del titolo di formazione in possesso del richiedente.

 

2. Nei casi di cui al comma 1 per l'accesso alle professioni di avvocato, dottore commercialista, ragioniere e perito commerciale, consulente per la proprietà industriale, consulente del lavoro, attuario e revisore contabile, nonché per l'accesso alle professioni di Maestro di sci e di guida alpina, il riconoscimento è subordinato al superamento di una prova attitudinale.

 

3. Con decreto dell'autorità competente di cui all'articolo 5, sentita la Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento per il coordinamento delle politiche comunitarie, sono individuate altre professioni per le quali la prestazione di consulenza o assistenza in materia di diritto nazionale costituisce un elemento essenziale e costante dell'attività.

 

4. Nei casi di cui al comma 1 il riconoscimento è subordinato al superamento di una prova attitudinale se:

 

a) riguarda casi nei quali si applica l'articolo 18, lettere b) e c), l'articolo 18, lettera d) per quanto riguarda i medici e gli odontoiatri, l'articolo 18, lettera f) qualora il migrante chieda il riconoscimento per attività professionali esercitate da infermieri professionali e per gli infermieri specializzati in possesso di titoli di formazione specialistica, che seguono la formazione che porta al possesso dei titoli elencati all'allegato V, punto 5.2.2 e l'articolo 18, lettera g);

b) riguarda casi di cui all'articolo 18, lettera a), per quanto riguarda attività esercitate a titolo autonomo o con funzioni direttive in una società per le quali la normativa vigente richieda la conoscenza e l'applicazione di specifiche disposizioni nazionali.

 

5. Ai fini dell'applicazione del comma 1, lettere b) e c), per "materie sostanzialmente diverse" si intendono materie la cui conoscenza è essenziale all'esercizio della professione regolamentata e che in termini di durata o contenuto sono molto diverse rispetto alla formazione ricevuta dal migrante.

 

6. L'applicazione del comma 1 comporta una successiva verifica sull'eventuale esperienza professionale attestata dal richiedente al fine di stabilire se le conoscenze acquisite nel corso di detta esperienza professionale in uno Stato membro o in un paese terzo possano colmare la differenza sostanziale di cui al comma 3, o parte di essa.

 

7. Con decreto del Ministro interessato, sentiti il Ministro per le politiche europee e i Ministri competenti per materia, osservata la procedura comunitaria di preventiva comunicazione agli altri Stati membri e alla Commissione contenente adeguata giustificazione della deroga., possono essere individuati altri casi per i quali in applicazione del comma 1 è richiesta la prova attitudinale.

 

8. Il decreto di cui al comma 7 è efficace tre mesi dopo la sua comunicazione alla Commissione europea, se la stessa nel detto termine non chiede di astenersi dall'adottare la deroga.

 

 


 

 

L'articolo 22, fissa il principio in base al quale nel caso in cui risultino differenze sostanziali tra i pacchetti formativi previsti dallo Stato d'origine e lo Stato ospitante, l'Autorità competente dello stato ospitante (Stato italiano) può condizionare il riconoscimento al superamento di una misura compensativa (prova attitudinale o tirocinio di adattamento) a scelta del professionista richiedente (commi 1 e 6).

 

I presupposti per il ricorso alla citata misura compensativa sono previsti dal comma 1 dell'articolo in esame che, a tal fine, prende in considerazione la durata della formazione seguita dal professionista, le materie trattate nel corso della formazione, la corrispondenza tra la professione svolta nello Stato d'origine e lo Stato ospitante.

 

In relazione alle materie oggetto della formazione professionale il successivo comma 5 specifica, in particolare, che per "materie sostanzialmente diverse" si intendono materie la cui conoscenza è essenziale all'esercizio della professione regolamentata e che in termini di durata o contenuto sono molto diverse rispetto alla formazione ricevuta dal migrante

 

Il comma 2 stabilisce, comunque, che per l'accesso alle professioni di avvocato, dottore commercialista, ragioniere e perito commerciale, consulente per la proprietà industriale, consulente del lavoro, attuario e revisore contabile, nonché per l'accesso alle professioni di Maestro di sci e di guida alpina, il riconoscimento è subordinato al superamento di una prova attitudinale.

 

Il comma 3, delega, invece,l'Autorità competente di cui all'articolo 5, sentita la Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento per il coordinamento delle politiche comunitarie, ad individuare, con proprio decreto altre professioni per le quali la prestazione di consulenza o assistenza in materia di diritto nazionale costituisce un elemento essenziale e costante dell'attività.

 

Il comma 4 subordina, altresì il riconoscimento professionale allo svolgimento di una apposita prova attitudinale anche in relazione ai casi nei quali si applicano:

§         l'articolo 18, lettera b), ossia le ipotesi dei medici chirurghi con formazione di base, dei medici chirurghi specialisti, degli infermieri responsabili dell'assistenza generale, degli odontoiatri, degli odontoiatri specialisti, dei veterinari, delle ostetriche, dei farmacisti e degli architetti, qualora il migrante non soddisfi i requisiti di pratica professionale effettiva e lecita di cui agli articoli 31, 36, 39, 42, 44, 46, 48, 54;

§         l'articolo 18, lettera c), ossia il caso di architetti in possesso di titoli di formazione non elencati all’allegato V, 5.7;

§         l'articolo 18, lettera d), per quanto riguarda i medici e gli odontoiatri, che devono seguire la formazione volta al conseguimento dei titoli elencati nelle corrispondenti sezioni dell’allegato V.

§         l'articolo 18, lettera f), qualora il migrante chieda il riconoscimento per attività professionali esercitate da infermieri professionali e per gli infermieri specializzati in possesso di titoli di formazione specialistica, che seguono la formazione che porta al possesso dei titoli elencati all'allegato V, punto 5.2.2;

§         l'articolo 18, lettera g), ossia l’ipotesi di migranti in possesso di un titolo di formazione rilasciato da un paese terzo che abbiano maturato un'esperienza di almeno tre anni sul territorio dello Stato membro che ha riconosciuto il titolo certificata dal medesimo.

 

Analoga prova attitudinale è prevista in relazione allo svolgimento di attività esercitate a titolo autonomo o con funzioni direttive in una società nell'ambito della quale la normativa vigente richieda la conoscenza e l'applicazione di specifiche disposizioni nazionale.

 

Ai sensi del successivo comma 7, con decreto del Ministro interessato, adottato dopo aver sentito il Ministro per le politiche europee e i Ministri competenti per materia ed osservata la procedura comunitaria di preventiva comunicazione agli altri Stati membri e alla Commissione, possono essere individuati altri casi per i quali in applicazione del comma 1 è richiesta la prova attitudinale.

 

 

 


 

 

Art. 23
(Tirocinio di adattamento e prova attitudinale)

 


1. Nei casi di cui all'articolo 22, la durata e le materie oggetto del tirocinio di adattamento e della prova attitudinale sono stabilite dall'Autorità competente a seguito della Conferenza di servizi di cui all'articolo 16, se convocata. In caso di valutazione finale sfavorevole il tirocinio può essere ripetuto.

Gli obblighi, i diritti e i benefici sociali di cui gode il tirocinante sono stabiliti dalla normativa vigente, conformemente al diritto comunitario applicabile.

 

2. La prova attitudinale si articola in una prova scritta o pratica e orale o in una prova orale sulla base dei contenuti delle materie stabilite ai sensi del comma 1. In caso di esito sfavorevole, o di mancata presentazione dell'interessato senza valida giustificazione, la prova attitudinale non può essere ripetuta prima di sei mesi.

 

3. Ai fini della prova attitudinale le autorità competenti di cui all'articolo 5 predispongono un elenco delle materie che, in base ad un confronto tra la formazione richiesta sul territorio nazionale e quella avuta dal richiedente, non sono contemplate dai titoli di formazione del richiedente. La prova verte su materie da scegliere tra quelle che figurano nell'elenco e la cui conoscenza è una condizione essenziale per poter esercitare la professione sul territorio dello Stato.

Lo status del richiedente che desidera prepararsi per sostenere la prova attitudinale è stabilito dalla normativa vigente.

 

4. Qualora da queste attività derivino oneri aggiuntivi per l'Amministrazione, gli stessi sono posti a carico del richiedente il riconoscimento, secondo criteri e modalità predeterminati dalle autorità competenti di cui all'articolo 5 con i decreti di cui all'articolo 24.

 


 

 

L'articolo 23 detta disposizioni in materia di tirocinio e prova attitudinale, stabilendo, in primo luogo, il principio in base al quale spetta all'Autorità competente, individuata ai sensi del precedente articolo 5, definire la durata e le materie oggetto del tirocinio di adattamento e della prova attitudinale.

 

Con specifico riferimento, poi, ai tirocinanti, il comma 2 richiama espressamente l'applicabilità della normativa nazionale relativamente ai loro obblighi, diritti e benefici sociali.

 

Per quanto riguarda, invece, la prova attitudinale, prevista, ad esempio, dal precedente articolo 22 per le professioni di avvocato, dottore commercialista, ragioniere e perito commerciale, consulente per la proprietà industriale, consulente del lavoro, attuario e revisore contabile, nonché per l'accesso alle professioni di Maestro di sci e di guida alpina, il comma 2 dell'articolo in esame prevede che essa si articoli, alternativamente:

 

Ø      in una prova scritta o pratica e orale;

Ø      in una prova orale sulla base dei contenuti delle materie stabilite dalla Autorità competente ai sensi del precedente comma 1;

 

Alla medesima Autorità competente spetta, poi, il compito di individuare le materie sulle quali deve vertere la prova, considerate essenziali  per poter esercitare la professione sul territorio dello Stato e non contemplate nei titoli di formazione del richiedente (comma 3).

 

Il comma 3 precisa, altresì, che lo status del richiedente che desidera prepararsi per sostenere la prova attitudinale è stabilito dalla normativa vigente.

 

In relazione alla disposizione in esame, al fine di evitare possibili dubbi interpretativi, andrebbe valutata l'opportunità di definire in maniera più precisa il contenuto della disposizione in esame.


 

 

Art. 24
(Esecuzione delle misure compensative)

 

 


1. Con riferimento all'articolo 5, comma 1, con decreto del Ministro competente ai sensi dell'articolo 17, comma 3 della legge 23 agosto 1988, n. 400, sono definite, con riferimento alle singole professioni, le procedure necessarie per assicurare lo svolgimento, la conclusione, l'esecuzione e la valutazione delle misure di cui agli articoli 23 e 11.

 


 

 

 

L'articolo 24 attribuisce all'Autorità competente individuata ai sensi del precedente articolo 5, il compito di individuare, con riferimento alle singole professioni, le procedure necessarie per assicurare lo svolgimento, la conclusione, l'esecuzione e la valutazione delle misure di cui agli articoli 23 e 11 dello schema in esame, concernenti, rispettivamente la verifica preliminare e il tirocinio di adattamento e la prova attitudinale.

 

Lo strumento a tal fine previsto è il decreto ministeriale previsto dall'articolo 17 della legge n. 400 del 1988.

 

Al riguardo, si ricorda che ai sensi di tale norma con decreto ministeriale possono essere adottati regolamenti nelle materie di competenza del ministro o di autorità sottordinate al ministro, quando la legge espressamente conferisca tale potere. Tali regolamenti, per materie di competenza di più ministri, possono essere adottati con decreti interministeriali, ferma restando la necessità di apposita autorizzazione da parte della legge. I regolamenti ministeriali ed interministeriali non possono dettare norme contrarie a quelle dei regolamenti emanati dal Governo. Essi debbono essere comunicati al Presidente del Consiglio dei ministri prima della loro emanazione

 


Art. 24-bis
(Disposizioni finanziarie)

 


1. Gli eventuali oneri aggiuntivi derivanti dall’attuazione delle misure previste dagli articoli 11 e 12 sono a carico dell’interessato sulla base del costo effettivo del servizio, secondo modalità da stabilire con decreto del Ministro competente da emanarsi entro sessanta giorni dall’entrata in vigore del presente decreto.

 


 

 

Si ricorda che in base all’articolo 11 del provvedimento in esame, in relazione a professioni regolamentate aventi ripercussioni in materia di pubblica sicurezza o di sanità pubblica, il prestatore di servizi può essere sottoposto ad una verifica preliminare delle qualifiche professionali possedute; in particolare, ai sensi del comma 4 del medesimo articolo, nel caso in cui si riscontrino differenze sostanziali tra le qualifiche professionali del prestatore e la formazione richiesta dalle norme nazionali, al prestatore è offerta l'opportunità di effettuare, a proprie spese, una specifica prova attitudinale. L’articolo 12 espone invece una disciplina dettagliata in merito al possesso dei titoli professionali necessari alla prestazione di servizi.

 

L’articolo 24-bis in commento dispone che, qualora dall’attuazione delle citate misure derivino oneri aggiuntivi, essi sono posti a carico del soggetto interessato, sulla base del costo effettivo del servizio, demandando le modalità di attuazione ad un decreto del Ministro competente, da emanarsi entro sessanta giorni dall’entrata in vigore del provvedimento in esame.

 

La disposizione non precisa con quali modalità debba essere calcolato il  “costo effettivo del servizio”, criterio sulla base del quale si pongono a carico dell’interessato gli eventuali oneri aggiuntivi; a tal fine dovrebbe peraltro provvedere il citato decreto ministeriale.


 

Art. 25
(Piattaforma comune)

 

 


1. La Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento per il coordinamento delle politiche comunitarie, al fine di elaborare proposte in materia di piattaforme comuni di cui all'articolo 4, comma 1, lettera n), da sottoporre alla Commissione Europea, convoca apposite conferenze di servizi cui partecipano le autorità competenti di cui all'articolo 5. Sulla ipotesi di piattaforma elaborata dall'autorità competente di cui all'articolo 5 o, in mancanza, dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento per il coordinamento delle politiche comunitarie, vengono sentiti, se si tratta di professioni regolamentate, gli ordini, i collegi e le associazioni di categoria rappresentative sul territorio nazionale e, se si tratta di professioni non regolamentate nel territorio nazionale, le associazioni di categoria rappresentative a livello nazionale.

 

2. All'elaborazione di piattaforme comuni, proposte da altri Stati membri, partecipano le autorità competenti di cui all'articolo 5, sentiti, se si tratta di professioni regolamentate, gli ordini, i collegi e le associazioni di categoria rappresentative sul territorio nazionale e, se si tratta di professioni non regolamentate nel territorio nazionale, sentite le associazioni di categoria rappresentative a livello nazionale. Analogamente si procede in ogni altro caso in cui a livello europeo deve essere espressa la posizione italiana in materia di piattaforma comune.

 

3. Al fine della valutazione in ordine alla rappresentatività a livello nazionale si tiene conto:

 

a) della avvenuta costituzione, per atto pubblico o per scrittura privata autenticata, da almeno quattro anni;

b) della adozione di uno statuto che sancisca un ordinamento a base democratica, senza scopo di lucro, la precisa identificazione delle attività professionali cui l'associazione si riferisce, la rappresentatività elettiva delle cariche interne e l'assenza di situazioni di conflitto di interesse o di incompatibilità, la trasparenza degli assetti organizzativi e l' attività dei relativi organi, la esistenza di una struttura organizzativa, e tecnico-scientifica adeguata all'effettivo raggiungimento delle finalità dell'associazione;

c) la tenuta di un elenco degli iscritti, aggiornato annualmente con l'indicazione delle quote versate direttamente all'associazione per gli scopi statutari;

d la diffusione su tutto il territorio nazionale;

e) la mancata pronunzia, nei confronti dei suoi rappresentanti legali di condanna, passata in giudicato, in relazione all'attività dell'associazione medesima.

 

4. Qualora le qualifiche professionali del richiedente rispondano ai criteri stabiliti nel provvedimento comunitario di adozione della piattaforma comune, il riconoscimento professionale non può prevedere l'applicazione dei provvedimenti di compensazione di cui all'articolo 22.

 

5. Se le autorità competenti di cui all'articolo 5 ritengono che i criteri stabiliti dal provvedimento di cui al comma 5 non offrano più garanzie adeguate quanto alle qualifiche professionali, ne informa il coordinatore di cui all'art. 6 che cura la trasmissione dell'informazione alla Commissione europea per le iniziative del caso.

 


 

 

L’articolo 25 disciplina le modalità di elaborazione delle “piattaforme comuni” da parte delle autorità italiane: tali piattaforme, secondo la definizione recata dall’art. 4, comma 1, lett. n) consistono in una serie di criteri che permettono di colmare la più ampia gamma di differenze sostanziali che sono state individuate tra i requisiti di formazione esistenti nei vari Stati membri per una determinata professione.

 

In particolare, il comma 1 dispone che il Dipartimento per il coordinamento delle politiche comunitarie, al fine di elaborare proposte in materia di piattaforme da sottoporre alla Commissione, convochi apposite conferenze di servizi cui partecipano le autorità rispettivamente competenti. Lo stesso comma prevede inoltre la consultazione da parte delle autorità competenti ovvero, in loro mancanza, del Dipartimento per il coordinamento delle politiche comunitarie, degli ordini, dei collegi e delle associazioni di categoria rappresentative sul territorio nazionale, qualora si tratti di professioni regolamentate e delle associazioni di categoria rappresentative a livello nazionale., nel caso di professioni non regolamentate nel territorio nazionale.

Il comma 2 prevede la stessa procedura di consultazione per l’elaborazione di piattaforme comuni, proposte da altri Stati membri ed in ogni altro caso in cui a livello europeo debba essere espressa la posizione italiana in materia di piattaforma comune.

Tra i criteri di valutazione della “rappresentatività a livello nazionale” delle associazioni di categoria rilevano, ai sensi del comma 3:

a)             la costituzione, per atto pubblico o per scrittura privata autenticata, da almeno quattro anni dell’associazione;

b)             l’adozione di uno statuto che sancisca un ordinamento a base democratica, senza scopo di lucro, la precisa identificazione delle attività professionali cui l'associazione si riferisce, la rappresentatività elettiva delle cariche interne e l'assenza di situazioni di conflitto di interesse o di incompatibilità, la trasparenza degli assetti organizzativi e l'attività dei relativi organi, la esistenza di una struttura organizzativa, e tecnico-scientifica adeguata all'effettivo raggiungimento delle finalità dell'associazione;

c)             la tenuta di un elenco degli iscritti, aggiornato annualmente con l'indicazione delle quote versate direttamente all'associazione per gli scopi statutari;

d)             la diffusione su tutto il territorio nazionale;

e)             la mancata pronunzia, nei confronti dei suoi rappresentanti legali di condanna, passata in giudicato, in relazione all'attività dell'associazione medesima.

 

Il comma 4, in coerenza con quanto previsto dall’articolo 15, par. 3 della direttiva, dispone che nel caso in cui il riconoscimento della qualifica professionale risponda ai criteri stabiliti nel provvedimento comunitario di adozione della piattaforma comune, non trovino applicazione nei riguardi del richiedente i provvedimenti di compensazione di cui all’articolo 22 (tirocinio di adattamento o prova attitudinale).

Il comma 5 prevede che le autorità competenti informino il Coordinatore nel caso in cui ritengano che i criteri stabiliti dal provvedimento comunitario di adozione della piattaforma comune 5 (rectius 4) non offrano più garanzie adeguate quanto alle qualifiche professionali. Il Coordinatore nazionale cura la trasmissione di queste informazioni alla Commissione europea per le iniziative del caso.

 

In relazione alla formulazione del comma 5, occorre sostituire il riferimento al comma 5 con il coerente riferimento al comma 4 e la forma verbale “ne informa” riferito alle autorità competenti ex art. 5, con la forma corretta “ne informano”.

 

 


 

Art. 26
(Requisiti in materia di esperienza professionale)

 


Per le attività elencate nell'Allegato IV il cui accesso o esercizio è subordinato al possesso di conoscenze e competenze generali, commerciali o professionali, il riconoscimento professionale è subordinato alla dimostrazione dell'esercizio effettivo dell'attività in questione in un altro Stato membro ai sensi degli articoli 27, 28 e 29.


 

 

L'articolo 26 dello schema di decreto legislativo in esame, inserito nell'ambito del Capo III del provvedimento (art. 26-art. 29), individua le situazioni che assicurano un riconoscimento automatico delle qualifiche professionali per lo svolgimento di attività professionali individuate nell'Allegato IV. Il riconoscimento si basa sul requisito dell'esperienza professionale maturata dal professionista e fa riferimento ad attività di tipo artigianale o imprenditoriale.

 

I successivi articoli inseriti nel medesimo Capo III disciplinano, a loro volta, le varie categorie di esperienza richiesta in relazione ai gruppi di attività contenuti nell'allegato IV, che, come precisato nella relazione illustrativa del provvedimento non ricomprendono lavori su beni culturali.


 

Art. 27
(Condizioni per il riconoscimento delle attività di cui alla Lista I dell'Allegato IV)

 


1. In caso di attività di cui alla Lista I dell'allegato IV, l'attività deve essere stata precedentemente esercitata:

 

a) per sei anni consecutivi come lavoratore autonomo o dirigente d'azienda; oppure

b) per tre anni consecutivi come lavoratore autonomo o dirigente d'azienda, se il beneficiario prova di aver in precedenza ricevuto, per l'attività in questione, una formazione di almeno tre anni sancita da un certificato riconosciuto da uno Stato membro o giudicata del tutto valida da un competente organismo professionale; oppure

c) per quattro anni consecutivi come lavoratore autonomo o dirigente d'azienda, se il beneficiario prova di aver in precedenza ricevuto, per l'attività in questione, una formazione di almeno due anni sancita da un certificato riconosciuto da uno Stato membro o giudicata del tutto valida da un competente organismo professionale; oppure

d) per tre anni consecutivi come lavoratore autonomo, se il beneficiario prova di aver esercitato l'attività in questione per almeno cinque anni come lavoratore subordinato; oppure

e) per cinque anni consecutivi in funzioni direttive, di cui almeno tre anni con mansioni tecniche che implichino la responsabilità di almeno uno dei reparti dell'azienda, se il beneficiario prova di aver in precedenza ricevuto, per l'attività in questione, una formazione di almeno tre anni sancita da un certificato riconosciuto da uno Stato membro o giudicata del tutto valida da un competente organismo professionale.

 

2. Nei casi di cui alle lettere a) e d) l'attività non deve essere cessata da più di 10 anni alla data di presentazione della documentazione completa dell'interessato alle autorità competenti di cui all'articolo 5.

 

3. Il comma 1, lettera e) non si applica alle attività del gruppo ex 855 (parrucchieri) della nomenclatura ISIC.

 


 

 

L’articolo 27 indica le condizioni per il riconoscimento dell’esercizio effettivo di una attività in un altro Stato membro ai fini dell’esercizio delle attività di cui alla Lista I dell’Allegato IV.

In particolare, ai fini del riconoscimento, l’attività deve essere stata esercitata in uno dei seguenti modi:

·       6 anni consecutivi come lavoratore autonomo o dirigente d’azienda (sempre che l’attività non sia cessata da oltre 10 anni);

·       3 anni consecutivi come lavoratore autonomo o dirigente, se in possesso di un titolo, rilasciato o riconosciuto dallo Stato membro, che attesti una precedente formazione di almeno 3 anni;

·       4 anni consecutivi come lavoratore autonomo o dirigente, se in possesso di un titolo, rilasciato o riconosciuto dallo Stato membro,  che attesti una precedente formazione di almeno 2 anni;

·       3 anni consecutivi come lavoratore autonomo e 5 anni come lavoratore subordinato (sempre che l’attività non sia cessata da oltre 10 anni);

·       5 anni consecutivi in funzioni direttive, di cui 3 con mansioni tecniche che implichino la responsabilità di almeno uno dei reparti dell’azienda, se in possesso di un titolo, rilasciato o riconosciuto dallo Stato membro,  che attesti una precedente formazione di almeno 3 anni.

 

La Lista I dell’Allegato IV riguarda le attività nei seguenti settori:

a)       Industria tessile;

b)       Fabbricazione di calzature e abbigliamento;

c)       Industrie del legno e del sughero;

d)       Industrie del mobile in legno;

e)       Stampa, edizioni e industrie collegate;

f)         Industria del cuoio e delle pelli;

g)       Industria della gomma;

h)       Industria chimica;

i)         Lavorazione del petrolio;

j)         Industria dei prodotti minerali non metallici;

k)       Produzione e prima trasformazione dei materiali ferrosi e non ferrosi;

l)         Fabbricazione di oggetti in metallo;

m)     Costruzione di macchine elettriche e non elettriche;

n)       Costruzione di materiale da trasporto;

o)       Industrie manifatturiere diverse;

p)       Edilizia e genio civile;

q)       Industrie dei grassi vegetali e animali

r)        Fabbricazione di bevande

s)       Parrucchieri.

 


 

Art. 28
(Condizioni per il riconoscimento delle attività di cui alla Lista II dell'Allegato IV)

 

 


1. In caso di attività di cui alla Lista II dell'allegato IV, l'attività in questione deve essere stata precedentemente esercitata:

 

a) per cinque anni consecutivi come lavoratore autonomo o dirigente d'azienda; oppure

b) per tre anni consecutivi come lavoratore autonomo o dirigente d'azienda, se il beneficiario prova di aver in precedenza ricevuto, per l'attività in questione, una formazione di almeno tre anni sancita da un certificato riconosciuto da uno Stato membro o giudicata del tutto valida da un competente organismo professionale; oppure

c) per quattro anni consecutivi come lavoratore autonomo o dirigente d'azienda, se il beneficiario prova di aver in precedenza ricevuto, per l'attività in questione, una formazione di almeno due anni sancita da un certificato riconosciuto da uno Stato membro o giudicata del tutto valida da un competente organismo professionale; oppure

d) per tre anni consecutivi come lavoratore autonomo o dirigente d'azienda, se il beneficiario prova di aver esercitato l'attività in questione per almeno cinque anni come lavoratore subordinato; oppure

e) per cinque anni consecutivi come lavoratore subordinato, se il beneficiario prova di aver in precedenza ricevuto, per l'attività in questione, una formazione di almeno tre anni sancita da un certificato riconosciuto da uno Stato membro o giudicata del tutto valida da un competente organismo professionale; oppure

f) per sei anni consecutivi come lavoratore subordinato, se il beneficiario prova di aver in precedenza ricevuto, per l'attività in questione, una formazione di almeno due anni sancita da un certificato riconosciuto da uno Stato membro o giudicata del tutto valida da un competente organismo professionale.

 

2. Nei casi di cui alle lettere a) e d), l'attività non deve essere cessata da più di 10 anni alla data di presentazione della documentazione completa dell'interessato alle autorità competenti di cui all'articolo 5.

 


 

 

L’articolo 28 indica le condizioni per il riconoscimento dell’esercizio effettivo di una attività in un altro Stato membro ai fini dell’esercizio delle attività di cui alla Lista II dell’Allegato IV.

In particolare, ai fini del riconoscimento, l’attività deve essere stata esercitata in uno dei seguenti modi:

·       5 anni consecutivi come lavoratore autonomo o dirigente d’azienda (sempre che l’attività non sia cessata da oltre 10 anni);

·       3 anni consecutivi come lavoratore autonomo o dirigente, se in possesso di un titolo, rilasciato o riconosciuto dallo Stato membro, che attesti una precedente formazione di almeno 3 anni;

·       4 anni consecutivi come lavoratore autonomo o dirigente, se in possesso di un titolo, rilasciato o riconosciuto dallo Stato membro,  che attesti una precedente formazione di almeno 2 anni;

·       3 anni consecutivi come lavoratore autonomo e 5 anni come lavoratore subordinato (sempre che l’attività non sia cessata da oltre 10 anni);

·       5 anni consecutivi come lavoratore subordinato, se in possesso di un titolo, rilasciato o riconosciuto dallo Stato membro, che attesti una precedente formazione di almeno 3 anni;

·       6 anni consecutivi come lavoratore subordinato, se in possesso di un titolo, rilasciato o riconosciuto dallo Stato membro, che attesti una precedente formazione di almeno 2 anni;

·        

 

La Lista II dell’Allegato IV riguarda le attività nei seguenti settori:

t)        Pesca;

u)       Costruzione di materiale da trasporto;

v)        Attività ausiliarie dei trasporti;

w)      Poste e telecomunicazioni;

x)       Lavanderie e tintorie;

y)       Studi fotografici;

z)       Manutenzione e pulitura di immobili o locali;

aa)   Esercizio ambulante di una serie di attività;

bb)   Operatori di servizi nei settori dei viaggi e trasporti.


 

Art. 29
(Condizioni per il riconoscimento delle attività di cui alla Lista III dell'Allegato IV)

 

 


1. In caso di attività di cui alla Lista III dell'allegato IV, l'attività in questione deve essere stata precedentemente esercitata:

 

a) per tre anni consecutivi come lavoratore autonomo o dirigente d'azienda; oppure

b) per due anni consecutivi come lavoratore autonomo o dirigente d'azienda, se il beneficiario prova di aver in precedenza ricevuto, per l'attività in questione, una formazione sancita da un certificato riconosciuto da uno Stato membro o giudicata del tutto valida da un competente organismo professionale; oppure

c) per due anni consecutivi come lavoratore autonomo o dirigente d'azienda se il beneficiario prova di aver in precedenza esercitato l'attività in questione come lavoratore subordinato per almeno tre anni; oppure

d) per tre anni consecutivi come lavoratore subordinato, se il beneficiario prova di aver in precedenza ricevuto, per l'attività in questione, una formazione sancita da un certificato riconosciuto da uno Stato membro o giudicata del tutto valida da un competente organismo professionale.

 

2. Nei casi di cui alle lettere a) e c), l'attività non deve essere cessata da più di 10 anni alla data di presentazione della documentazione completa dell'interessato alle autorità competenti di cui all'articolo 5.

 


 

 

L’articolo 29 indica le condizioni per il riconoscimento dell’esercizio effettivo di una attività in un altro Stato membro ai fini dell’esercizio delle attività di cui alla Lista III dell’Allegato IV.

In particolare, ai fini del riconoscimento, l’attività deve essere stata esercitata in uno dei seguenti modi:

·       3 anni consecutivi come lavoratore autonomo o dirigente d’azienda (sempre che l’attività non sia cessata da oltre 10 anni);

·       2 anni consecutivi come lavoratore autonomo o dirigente, se in possesso di un titolo, rilasciato o riconosciuto dallo Stato membro, che attesti una precedente formazione;

·       2 anni consecutivi come lavoratore autonomo e 3 anni come lavoratore subordinato (sempre che l’attività non sia cessata da oltre 10 anni);

 

La Lista III dell’Allegato IV riguarda le attività nei seguenti settori:

cc)   Commercio all’ingrosso;

dd)   Attività di intermediazione;

ee)   Commercio al minuto;

ff)       Attività di ristorante, spacci di bevande, alberghi e simili;

gg)   Banche ed altre istituti finanziari;

hh)   Agenzie di brevetti;

ii)       Trasporto passeggeri;

jj)       Esercizio di condutture per il trasporto di prodotti chimici liquidi;

kk)   Servizi ricreativi;

ll)       Servizi domestici;

mm)             Istituti di bellezza;

nn)   Esercizio ambulante di una serie di attività.

 

 


 

Art. 30
(Principio di riconoscimento automatico)

 


1. I titoli di formazione di medico, che danno accesso alle attività professionali di medico con formazione di base e medico specialista, infermiere responsabile dell'assistenza generale, odontoiatra, odontoiatra specialista, veterinario, farmacista e architetto, di cui all'allegato V e rispettivamente ai punti 5.1.1, 5.1.2, 5.2.2, 5.3.2, 5.3.3, 5.4.2, 5.6.2 e 5.7.1, conformi alle condizioni minime di formazione di cui rispettivamente agli articoli 32, 33, 36, 37, 40, 41, 43, 45 e 49, rilasciati a cittadini di cui all'art. 2, comma 1, da altri Stati membri, sono riconosciuti dalle autorità di cui all'articolo 5 con gli stessi effetti dei titoli rilasciati in Italia per l'accesso, rispettivamente, all'attività di medico chirurgo, medico chirurgo specialista, infermiere responsabile dell'assistenza generale, odontoiatra, odontoiatra specialista, veterinario, farmacista e architetto.

 

2. I titoli di formazione di cui al comma 1, devono essere rilasciati dalle autorità competenti degli altri Stati membri e essere accompagnati dai certificati di cui all'allegato V e rispettivamente ai punti 5.1.1, 5.1.2, 5.2.2, 5.3.2, 5.3.3, 5.4.2, 5.6.2 e 5.7.1.

 

3. Le disposizioni del primo e secondo comma, non pregiudicano, rispettivamente, i diritti acquisiti di cui agli articoli 32, 33, 36, 37, 40, 41, 43, 45 e 49.

 

4. I diplomi e i certificati rilasciati da altri Stati membri conformemente all'articolo ed elencati nell'allegato V punto 5.1.4, sono riconosciuti con gli stessi effetti dei diplomi rilasciati in Italia per l'accesso all'attività di medico di medicina generale nel quadro del regime nazionale di previdenza sociale; sono fatti comunque salvi i diritti acquisiti di cui all'articolo.

 

5. I titoli di formazione di ostetrica rilasciati ai cittadini di cui all'art. 2, comma 1, da altri Stati membri elencati nell'allegato V punto 5.5.2, conformi alle condizioni minime di formazione di cui all'articolo e rispondenti alle modalità di cui all'articolo, sono riconosciuti dall'Autorità di cui all'articolo 5, con gli stessi effetti dei titoli rilasciati in Italia per l'accesso all'attività di ostetrica; sono fatti comunque salvi i diritti acquisiti di cui all'articolo.

 

6.I titoli di formazione di architetto oggetto di riconoscimento automatico di cui al comma 1, attestano una formazione iniziata al più presto nel corso dell'anno accademico indicato nell'allegato V punto 5.7.1

 

7. Il Ministero della salute e il Ministero dell'università e della ricerca, rispettivamente per le professioni sanitarie e per le professioni nel campo dell'architettura di cui al presente Capo, notificano alla Commissione europea le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative che adottano in materia di rilascio di titoli di formazione nei settori coperti dal presente capo. Inoltre per i titoli di formazione nel settore dell'architettura, questa notifica è inviata anche agli altri Stati membri.

 

8. Le informazioni notificate di cui al comma 7 sono pubblicate nella Gazzetta ufficiale dell'Unione europea attraverso una comunicazione della Commissione europea nella quale sono indicate le denominazioni date dagli Stati membri ai titoli di formazione ed, eventualmente, l'organismo che rilascia il titolo di formazione, il certificato che accompagna tale titolo e il titolo professionale corrispondente, che compare nell'allegato V e, rispettivamente, nei punti 5.1.1, 5.1.2, 5.1.3, 5.1.4, 5.2.2, 5.3.2, 5.3.3, 5.4.2, 5.5.2, 5.6.2 e 5.7.1.

 

9. Gli elenchi di cui all'allegato V sono aggiornati e modificati , in conformità alle relative modifiche definite in sede comunitaria, relativamente alle professioni sanitarie, con decreto del Ministro della salute di concerto con il Ministro dell'università e della ricerca e, relativamente alla professione di architetto, con decreto del Ministero dell'università e della ricerca.


 

 

L’articolo in esame, collocato in apertura del Capo IV (Riconoscimento sulla base del coordinamento delle condizioni minime di formazione), Sezione I (Disposizioni comuni), sancisce il principio di riconoscimento automatico dei titoli di formazione, in conformità a quanto stabilito dall’articolo 21 della direttiva 2005/36/CE.

 

In Italia, l’esercizio delle professioni sanitarie, secondo la definizione stabilita dalla legge 26 febbraio 1999, n. 42, è consentito anche a chi abbia conseguito all’estero i titoli di studio e di abilitazione previsti, previo riconoscimento da parte del Ministero della salute.

Coloro che abbiano acquisito in Italia un titolo professionale dell’area sanitaria ed intendano esercitare la professione in un altro Paese comunitario inoltrano domanda di riconoscimento all’Autorità competente del Paese cd. ospitante, che confronta la formazione acquisita nello Stato di origine con quella richiesta dallo Stato ospitante. il Ministero della salute rilascia, su richiesta dell’interessato, un attestato di conformità della formazione conseguita ai requisiti previsti dalle direttive comunitarie.

Per la professione medica la normativa di riferimento è contenuta nel decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 368 (Attuazione della direttiva 93/16/CE in materia di libera circolazione dei medici e di reciproco riconoscimento dei loro diplomi, certificati ed altri titoli e delle direttive 97/50/CE, 98/21/CE, 98/63/CE e 99/46/CE che modificano la direttiva 93/16/CE).

In particolare, per l'esercizio dell'attività di medico-chirurgo di medicina generale nell'ambito del Servizio sanitario nazionale è necessario il possesso del diploma di formazione specifica in medicina generale fermo restando la validità degli attestati rilasciati ai sensi del decreto del Ministro della sanità 10 ottobre 1988 e del decreto legislativo 8 agosto 1991, n. 256 (articolo 21).

Ai sensi dell’articolo 20 del citato decreto n. 368 del 1999, la formazione che permette di ottenere un diploma di medico chirurgo specialista, risponde ai seguenti requisiti:

§         conseguimento del titolo a seguito di un ciclo di formazione nel corso del quale siano state acquisite adeguate conoscenze nel campo della medicina generale;

§         insegnamento teorico e pratico;

§         formazione a tempo pieno sotto il controllo delle autorità o enti competenti;

§         formazione effettuata in un ateneo universitario o in una azienda ospedaliera o in un istituto accreditato;

§         partecipazione personale del medico chirurgo candidato alla specializzazione, alle attività e responsabilità proprie della disciplina.

Per l’odontoiatria la normativa di riferimento è contenuta nella legge 24 luglio 1985, n. 409 (Istituzione della professione sanitaria di odontoiatria e disposizioni relative al diritto di stabilimento ed alla libera prestazione di servizi da parte dei dentisti cittadini di Stati membri delle Comunità europee), in base al quale la professione di odontoiatra è esercitata da coloro che sono in possesso del diploma di laurea in odontoiatria e protesi dentaria e della relativa abilitazione all'esercizio professionale, conseguita a seguito del superamento di apposito esame di Stato, nonché dai laureati in medicina e chirurgia che siano in possesso di un diploma di specializzazione in campo odontoiatrico.

La citata legge stabilisce altresì che formano oggetto della professione di odontoiatra le attività inerenti alla diagnosi ed alla terapia delle malattie ed anomalie congenite ed acquisite dei denti, della bocca, delle mascelle e dei relativi tessuti, nonché alla prevenzione ed alla riabilitazione odontoiatriche. Presso ogni Ordine dei medici-chirurghi è istituito un separato Albo professionale per la iscrizione di coloro che sono in possesso della laurea in odontoiatria e protesi dentaria e dell'abilitazione all'esercizio professionale conseguita a seguito di superamento di apposito esame di Stato.

Con decreto legislativo 13 ottobre 1998, n. 386 sono state dettate disposizioni in merito all’esercizio della professione di odontoiatra.

La professione di farmacista è disciplinata dal decreto legislativo 8 agosto 1991, n. 258 (Attuazione delle direttive n. 85/432/CEE, n. 85/433/CEE e n. 85/584/CEE, in materia di formazione e diritto di stabilimento dei farmacisti, a norma dell'art. 6 della legge 30 luglio 1990, n. 212). Per farmacista si intende il laureato in farmacia o in chimica e farmacia e il diplomato in farmacia che, in possesso della relativa abilitazione professionale, presta la sua opera per l’esercizio di una farmacia, sia in qualità di titolare dell’impresa sia in quella di direttore o collaboratore.

Per ottenere, mediante l'iscrizione all'albo, l'autorizzazione all'esercizio della professione di farmacista l'interessato deve presentare al Ministero della salute una domanda nella quale sia indicata la provincia presso il cui ordine dei farmacisti si chiede l'iscrizione, corredata da idonea documentazione.

La professione di veterinario è definita dalla legge 8 novembre 1984, n. 750 (Diritto di stabilimento e libera prestazione di servizi da parte dei veterinari cittadini degli Stati membri della Comunità economica europea).

La legge 10 agosto 2000, n. 251 (Disciplina delle professioni sanitarie infermieristiche, tecniche della riabilitazione, della prevenzione nonché della professione ostetrica) stabilisce che l’accesso alla professione infermieristica avvenga con il conseguimento di un diploma di laurea breve, che abilita all’esercizio della professione. Il profilo professionale è definito, oltre che dalla legge n. 42 del 1999, anche dal decreto ministeriale 14 settembre 1994, n. 739. Ulteriori disposizioni sono dettate dalla legge 18 dicembre 1980, n. 905.

La formazione infermieristica post-base per la pratica infermieristica specialistica consente, inoltre, di fornire agli infermieri di assistenza generale delle conoscenze cliniche avanzate o specialistiche nelle aree della sanità pubblica, pediatria, salute mentale, geriatria e dell’area critica.

L’esercizio della professione di ostetrica richiede il conseguimento di un diploma universitario (laurea breve), ai sensi della legge 10 agosto 2000, n. 251 che ha previsto la cd. laurea sanitaria per la professione ostetrica. Il profilo professionale è delineato dal D.M. 14 settembre 1994, n. 740, che definisce l'ostetrica/o come l'operatore sanitario che, in possesso del diploma universitario abilitante e dell'iscrizione all'albo professionale, assiste e consiglia la donna nel periodo della gravidanza, durante il parto e nel puerperio, conduce e porta a termine parti eutocici con propria responsabilità e presta assistenza al neonato. Ulteriori disposizioni per la disciplina della figura dell’ostetrica/o sono contenute nella legge 13 giugno 1985, n. 296 (Diritto di stabilimento e libera prestazione dei servizi da parte delle ostetriche con cittadinanza di uno degli Stati membri della Comunità economica europea).

Per la professione di architetto, la normativa di riferimento è contenuta nel D.Lgs. n. 129 del 1992[24] e successive modificazioni[25], con cui è stata recepita nel nostro ordinamento la direttiva 85/384/CEE[26] (c.d. direttiva architetti). In particolare, il decreto:

-    ha individuato le caratteristiche e la durata (almeno quattro anni di studio a tempo pieno) del corso di studi universitario necessarie per consentire il riconoscimento in Italia dei relativi titoli di studio (art. 2);

-    ha attribuito ai titoli medesimi “la stessa efficacia dei diplomi rilasciati dallo Stato italiano per l’accesso all’attività nel settore dell’architettura e per il suo esercizio con il titolo professionale di architetto” (art. 3);

-    ha definito la procedura da seguire per ottenere il riconoscimento (art. 4), la quale si articola in:

§       una domanda, corredata da documentazione, da presentare al Ministero dell’università e della ricerca scientifica e tecnologica;

§       l’accertamento della regolarità della domanda (eventualmente, previa richiesta di informazioni alle autorità dello Stato membro di provenienza) e l’invio di copia della medesima al Consiglio dell’ordine degli architetti competente per territorio;

§       l’espressione del parere da parte del Consiglio universitario nazionale (CUN) e del Consiglio nazionale dell’ordine degli architetti;

§       l’accoglimento o la reiezione con decreto del ministro dell’università e della ricerca scientifica e tecnologica, di concerto con i ministri degli affari esteri e di grazia e giustizia. L’intero procedimento deve essere definito entro tre mesi dalla presentazione della domanda[27];

-    ha regolato l’ammissione all’esercizio della professione di architetto con stabilimento in Italia (ovvero la prestazione di servizi con carattere di temporaneità e senza stabilimento) dei cittadini degli altri Stati membri, nonché l’uso del relativo titolo professionale e l’iscrizione all’albo degli architetti (artt. 5-11);

-    ha rinviato, infine, ad un successivo regolamento ministeriale la definizione di ulteriori norme concernenti la procedura di riconoscimento dei titoli e la tenuta dell’albo e dei registri delle prestazioni di servizi, la cui istituzione è prevista dal provvedimento. A questo adempimento si è provveduto con il D.M. 10 giugno 1994, n. 776.

 

In particolare, i titoli di formazione di medico, che danno accesso alle attività professionali di medico con formazione di base e medico specialista, infermiere responsabile dell'assistenza generale, odontoiatra, odontoiatra specialista, veterinario, farmacista e architetto, di cui all'allegato V[28], rilasciati a cittadini di Stati dell’Unione europea da altri Stati membri, sono riconosciuti dalle autorità competenti (il Ministero della salute per le professioni sanitarie) con gli stessi effetti dei titoli rilasciati in Italia per l'accesso, rispettivamente, all'attività di medico chirurgo, medico chirurgo specialista, infermiere responsabile dell'assistenza generale, odontoiatra, odontoiatra specialista, veterinario, farmacista e architetto (comma 1).

I titoli di formazione devono essere rilasciati dalle autorità competenti degli altri Stati membri ed essere accompagnati dalla prescritta certificazione (comma 2).

Le disposizioni in questione devono comunque salvaguardare i diritti acquisiti (comma 3).

I diplomi e i certificati rilasciati da altri Stati membri conformemente all'articolo in commento sono riconosciuti con gli stessi effetti dei diplomi rilasciati in Italia per l'accesso all'attività di medico di medicina generale, fatti salvi i diritti acquisiti (comma 4).

Il principio del riconoscimento automatico opera anche in relazione ai titoli di formazione di ostetrica rilasciati da altri Stati membri e conformi alle condizioni e modalità definite dall'articolo in esame, con gli stessi effetti dei titoli rilasciati in Italia per l'accesso all'attività di ostetrica (comma 5).

La disposizione precisa, altresì, che i titoli di formazione di architetto oggetto di riconoscimento automatico attestano una formazione iniziata al più presto nel corso dell'anno accademico indicato nell'allegato V punto 5.7.1 (comma 6).

Il Ministero della salute e il Ministero dell'università e della ricerca, rispettivamente per le professioni sanitarie e per le professioni nel campo dell'architettura, notificano alla Commissione europea le disposizioni adottate in materia di rilascio di titoli di formazione nei settori disciplinati dal Capo IV. Inoltre per i titoli di formazione nel settore dell'architettura, questa notifica è inviata anche agli altri Stati membri (comma 7).

Le informazioni notificate sono pubblicate nella Gazzetta ufficiale dell'Unione europea attraverso una comunicazione della Commissione europea, in cui sono indicate le denominazioni dei titoli di formazione, l'organismo che li rilascia, il certificato che accompagna il titolo e il titolo professionale corrispondente (comma 8).

Gli elenchi dei titoli di cui all'allegato V sono aggiornati, in relazione alle modifiche definite in sede comunitaria, relativamente con decreto del Ministro della salute di concerto con il Ministro dell'università e della ricerca per le professioni sanitarie, e con decreto del Ministero dell'università e della ricerca per la professione di architetto (comma 9).

 


 

Art. 31
(Diritti acquisiti)

 

 


 

1. Fatti salvi i diritti acquisiti specifici di cui al presente capo i titoli di formazione che danno accesso alle attività professionali di medico con formazione di medico di base e di medico specialista , di infermiere responsabile dell'assistenza generale, di odontoiatra, di odontoiatra specialista,di veterinario, di farmacista in possesso di cittadini di sui all'art 2 comma1 e che non subiscono all'insieme dei requisiti di formazione di cui agli articoli 32, 33, 37, 40, 41, 43, 45 e 49 sono riconosciuti se sanciscono compimento di una formazione iniziata prima delle date indicate nell'allegato V V5.1.1.,5.1.2.,5.2.2.,5.3.2,5.3.3,5.4.2,5.5.2,5.6.2, e se sono accompagnati da un attestato che certifichi l'esercizio effettivo e lecito dell'attività in questione per almeno tre anni consecutivi nei cinque anni che precedono il rilascio dell'attestato stesso.

 

2. Il riconoscimento è altresì assicurato ai titoli di formazione in medicina che danno accesso alle attività di medico con formazione di base e di medico specialista, di infermiere responsabile dell'assistenza generale, di odontoiatra, di odontoiatra specialista, di veterinario, di ostetrica e di farmacista acquisiti sul territorio della ex repubblica democratica tedesca, che non soddisfano i requisiti minimi di formazione di cui agli articoli 32, 33, 37, 40, 41, 43, 45 e 49 se tali titoli sanciscono il completamento di una formazione iniziata:

 

a) prima del 3 ottobre 1990 per i medici con formazione di base, infermieri responsabile dell'assistenza generale, odontoiatri, odontoiatri specialisti, veterinari, ostetriche, farmacisti;

b) prima del 3 aprile 1992 per i medici specialisti.

 

3. I titoli di formazione di cui al comma 2 consentono l'esercizio delle attività professionali su tutto il territorio della Germania alle stesse condizioni dei titoli di formazione rilasciati dalle competenti autorità tedesche di cui all'allegato V, 5.1.1., 5.1.2, 5.2.2, 5.3.2, 5.3.3, 5.4.2, 5.5.2, 5.6.2.

 

4. Sono altresì riconosciuti i titoli di formazione in medicina, che danno accesso alle attività professionali di medico con formazione di base e di medico specialista, di infermiere responsabile dell'assistenza generale, di veterinario, di ostetrica, di farmacista e di architetto che sono in possesso di cittadini di cui all'art. 2 comma 1 e che sono stati rilasciati nell'ex Cecoslovacchia, o per i quali la corrispondente formazione è iniziata, per la Repubblica ceca e la Slovacchia, anteriormente al 1° gennaio 1993, qualora le autorità dell'uno o dell'altro Stato membro sopra indicato attestino che detti titoli di formazione hanno sul loro territorio la stessa validità giuridica dei titoli che esse rilasciano e, per quanto riguarda gli architetti, la stessa validità giuridica dei titoli menzionati, per detti Stati membri, all'allegato VI, punto 6; per quanto riguarda l'accesso e l'esercizio delle, attività professionali di medico con formazione di base, medico specialista, infermiere responsabile dell'assistenza generale, veterinario, ostetrica e farmacista, relativamente alle attività di cui all'articolo 50, e di architetto, relativamente alle attività di cui all'articolo 53. Detto attestato deve essere corredato di un certificato rilasciato dalle medesime autorità, il quale dimostri:

 

a) l'effettivo e lecito esercizio da parte dei cittadini in questione, nel territorio di questi, delle attività in oggetto per almeno tre anni consecutivi nei cinque anni precedenti il rilascio del certificato.

 

5. Sono altresì riconosciuti ai sensi dell'articolo 30i titoli di formazione in medicina, che danno accesso alle attività professionali di medico con formazione di base e di medico specialista, di infermiere responsabile dell'assistenza generale, di odontoiatra, di odontoiatra specialista, di veterinario, di ostetrica, di farmacista e di architetto che sono in possesso di cittadini di cui all'art. 2 comma 1e che sono stati rilasciati nell'ex Unione Sovietica, o per cui la corrispondente formazione è iniziata:

 

a) per l'Estonia, anteriormente al 20 agosto 1991,

b) per la Lettonia, anteriormente al 21 agosto 1991,

c) per la Lituania, anteriormente all' 11 marzo 1990, qualora le autorità di uno dei tre Stati membri sopra citati attestino che detti titoli hanno sul loro territorio la stessa validità giuridica dei titoli che esse rilasciano e, per quanto riguarda gli architetti, la stessa validità giuridica dei titoli menzionati, per detti Stati membri, all'allegato VI, punto 6, per quanto riguarda l'accesso alle, e l'esercizio delle, attività professionali di medico con formazione di base, medico specialista, infermiere responsabile dell'assistenza generale, dentista, dentista specialista, veterinario, ostetrica e farmacista, relativamente alle attività di cui all'articolo 45, e di architetto, relativamente alle attività di cui all'articolo 53. Detto attestato deve essere corredato di un certificato rilasciato dalle medesime autorità, il quale dimostri l'effettivo e lecito esercizio da parte dei cittadini in questione, nel territorio di questi, delle attività in oggetto per almeno tre anni consecutivi nei cinque anni precedenti il rilascio del certificato.

 

6. Sono altresì ammessi al riconoscimento di cui all'art. 30 i titoli di formazione in medicina, che danno accesso alle attività professionali di medico con formazione di base e di medico specialista, di infermiere responsabile dell'assistenza generale, di odontoiatra, di odontoiatra specialista, di veterinario, di ostetrica, di farmacista e di architetto che sono in possesso di cittadini di cui all'art. 1 e che sono stati rilasciati nell'ex Jugoslavia, o per i quali la corrispondente formazione è iniziata, per la Slovenia, anteriormente al 25 giugno 1991, qualora le autorità dello Stato membro sopra citato attestino che detti titoli hanno sul loro territorio la stessa validità giuridica dei titoli che esse rilasciano e, per quanto riguarda gli architetti, la stessa validità giuridica dei titoli menzionati, per detto Stato membro, all'allegato VI, punto 6, per quanto riguarda l'accesso alle, e l'esercizio delle, attività professionali di medico con formazione di base, medico specialista, infermiere responsabile dell'assistenza generale, dentista, dentista specialista, veterinario, ostetrica e farmacista, relativamente alle attività di cui all'articolo 50, e di architetto, relativamente alle attività di cui all'articolo 53. Detto attestato deve essere corredato di un certificato rilasciato dalle medesime autorità, il quale dimostri l'effettivo e lecito esercizio da parte dei cittadini di tale Stato membro, nel territorio di questo, delle attività in questione per almeno tre anni consecutivi nei cinque anni precedenti il rilascio del certificato.

 

7. I titoli di formazione di medico, infermiere responsabile dell'assistenza generale, di odontoiatra, di veterinario, di ostetrica e di farmacista rilasciati ai cittadini di cui all'articolo 2 comma1 da un altro stato Membro e che non corrispondono alle denominazioni che compaiono per tale Stato all'allegato V, 5.1.1, 5.1.2, 5.1.3, 5.1.4, 5.2.2, 5.3.2, 5.3.3, 5.4.2, 5.5.2,e 5.6.2 sono riconosciuti se accompagnati da un certificato rilasciato da autorità od organi competenti di detto stato Membro che attesti che tali titoli di formazione sanciscono il compimento di una formazione ai sensi dell'articolo 32, 33, 35, 37,40,41,43,45 e 49.e che sono assimilati dallo Stato Membro che li ha rilasciati a quelli le cui denominazioni appaiono nell'allegato V, 5.1.1, 5.1.2, 5.1.3, 5.1.4, 5.2.2, 5.3.2, 5.3.3, 5.4.2, 5.5.2,e 5.6.2.


 

 

L’articolo in esame, nel recepire sostanzialmente il contenuto dell’articolo 23 della direttiva 2005/36/CE, detta alcune disposizioni relative ai diritti acquisiti.

In particolare, si precisa che, fatti salvi i diritti acquisiti specificamente menzionati nel Capo IV, i titoli di formazione che danno accesso alle attività professionali di medico con formazione di medico di base e di medico specialista, di infermiere responsabile dell'assistenza generale, di odontoiatra, di odontoiatra specialista, di veterinario, di farmacista in possesso di cittadini di Stati membri dell’Unione europea e che non rispondono ai requisiti di formazione di cui agli articoli 32, 33, 37, 40, 41, 43, 45 e 49 sono riconosciuti se attestano una formazione iniziata prima di determinate date indicate nell'allegato V e se sono accompagnati da un attestato che certifichi l'esercizio dell'attività nei cinque anni che precedono il rilascio dell'attestato stesso (comma 1).

Sono riconosciuti altresì i titoli di formazione danno accesso alle professioni di medico con formazione di base e di medico specialista, di infermiere responsabile dell'assistenza generale, di odontoiatra, di odontoiatra specialista, di veterinario, di ostetrica e di farmacista acquisiti sul territorio della ex Repubblica democratica tedesca, che non soddisfano i requisiti minimi di formazione di cui sopra, ove tali titoli sanciscano il completamento di una formazione iniziata prima del 3 aprile 1992 per i medici specialisti e prima del 3 ottobre 1990 per le altre professioni (comma 2). I titoli di formazione in questione consentono l'esercizio delle attività professionali su tutto il territorio della Germania alle stesse condizioni dei titoli di formazione rilasciati dalle competenti autorità tedesche (comma 3).

Sono altresì riconosciuti i titoli di formazione in medicina, che danno accesso alle attività professionali di medico con formazione di base e di medico specialista, di infermiere responsabile dell'assistenza generale, di veterinario, di ostetrica, di farmacista e di architetto in possesso di cittadini di Stati membri e che sono stati rilasciati nell'ex Cecoslovacchia, o anche nella Repubblica Ceca e nella Slovacchia, quando la formazione è iniziata prima del 1° gennaio 1993 e le autorità di tali Stati attestino che detti titoli hanno sul loro territorio la stessa validità giuridica dei titoli che esse rilasciano. L’attestazione deve essere corredato di un certificato rilasciato dalle medesime autorità, il quale dimostri l'effettivo e lecito esercizio da parte dei cittadini in questione delle attività in oggetto per almeno tre anni consecutivi nei cinque anni precedenti il rilascio del certificato (comma 4).

Sono altresì riconosciuti i titoli di formazione che danno accesso alle professioni sanitarie di medico con formazione di base e di medico specialista, di infermiere responsabile dell'assistenza generale, di odontoiatra, di odontoiatra specialista, di veterinario, di ostetrica, di farmacista e di architetto in possesso di cittadini di Stati membri e rilasciati nell'ex Unione Sovietica, ovvero in Estonia, Lettonia e Lituania, ove la corrispondente formazione sia iniziata prima di una determinata data (rispettivamente 20 agosto 1991, 21 agosto 1991, 11 marzo 1990), qualora le autorità di Estonia, Lettonia o Lituania attestino che detti titoli hanno sul loro territorio la stessa validità giuridica dei titoli che esse rilasciano. Anche in questo caso è richiesta una specifica certificazione (comma 5).

Sono altresì ammessi al riconoscimento i titoli di formazione che danno accesso alle professioni di medico con formazione di base e di medico specialista, di infermiere responsabile dell'assistenza generale, di odontoiatra, di odontoiatra specialista, di veterinario, di ostetrica, di farmacista e di architetto in possesso di cittadini membri di Stati dell’Unione europea e che sono stati rilasciati nell'ex Jugoslavia ovvero in Slovenia, quando la corrispondente formazione è iniziata prima del 25 giugno 1991, qualora le autorità di tale Stato attestino che i titoli hanno sul loro territorio la stessa validità giuridica dei titoli che esse rilasciano (comma 6).

I titoli di formazione che consentono l’accesso alle professioni di medico, di infermiere responsabile dell'assistenza generale, di odontoiatra, di veterinario, di ostetrica e di farmacista rilasciati ai cittadini di Stati membri da un altro Stato membro e che non corrispondono alle denominazioni che compaiono per tale Stato all'allegato V sono riconosciuti se accompagnati da un certificato rilasciato da una autorità di detto Stato che attesti che tali titoli di formazione sanciscono il compimento della formazione di cui agli articoli 32, 33, 35, 37, 40, 41, 43, 45 e 49 e che sono assimilati dallo Stato membro che li ha rilasciati a quelli le cui denominazioni appaiono nell'allegato V (comma 7).

 

Con riferimento al comma 1 dell’articolo 31, sembrerebbe opportuno chiarire la formulazione della disposizione, ove si fa riferimento a titoli di formazione che “non subiscono all’insieme dei requisiti di formazione di cui agli articoli 32, 33, 35, 37, 40, 41, 43, 45 e 49”


 

 

Art. 32
(Formazione dei medici chirurghi )

 

 


1. La formazione di medico chirurgo comprende:

 

a) adeguate conoscenze delle scienze sulle quali si fonda l'arte medica, nonché una buona comprensione dei metodi scientifici, compresi i princìpi relativi alla misura delle funzioni biologiche, alla valutazione di fatti stabiliti scientificamente e all'analisi dei dati;

 

b) adeguate conoscenze della struttura, delle funzioni e del comportamento degli esseri umani, in buona salute e malati, nonché dei rapporti tra l'ambiente fisico e sociale dell'uomo ed il suo stato di salute;

 

c) adeguate conoscenze dei problemi e delle metodologie cliniche atte a sviluppare una concezione coerente della natura delle malattie mentali e fisiche, dei tre aspetti della medicina: prevenzione, diagnosi e terapia, nonché della riproduzione umana;

 

d) adeguata esperienza clinica acquisita sotto opportuno controllo in ospedale.

 

2. La formazione di cui al comma l comprende un percorso formativo di durata minima di sei anni o un minimo di 5.500 ore di insegnamento teoriche e pratiche impartite in una università o sotto il controllo di una università.

 

3. Per coloro che hanno iniziato i loro studi prima del 1 gennaio1972, la formazione di cui al primo comma può comportare una formazione pratica a livello universitario di 6 mesi effettuata a tempo pieno sotto il controllo delle autorità competenti.

 

4. Fermo restando il principio dell'invarianza della spesa, la formazione continua, ai sensi del decreto legislativo n. 229 del 1999, assicura la formazione professionale e l'aggiornamento permanente di coloro che hanno completato i loro studi, per tutto l'arco della vita professionale.

 


 

 

L’articolo in commento, in conformità all’articolo 24 della direttiva 2005/36/CE, reca disposizioni in ordine alla formazione dei medici chirurghi.

In particolare, si prevede che la formazione di medico chirurgo comprenda:

Ai sensi del comma 2, la formazione comprende un percorso di durata minima di sei anni o un minimo di 5.500 ore di insegnamento teoriche e pratiche impartite in una università.

In base al comma 3, inoltre, la formazione di coloro che hanno iniziato gli studi prima del 1° gennaio 1972 possa comportare una formazione pratica a livello universitario di 6 mesi effettuata a tempo pieno sotto il controllo delle autorità competenti.

Fermo restando il principio dell'invarianza della spesa, la formazione continua, ai sensi del decreto legislativo n. 229 del 1999, assicura la formazione professionale e l'aggiornamento permanente per tutto l'arco della vita professionale (comma 4).

 

L’articolo 16-bis del decreto legislativo n. 502 del 1992, introdotto dal decreto legislativo n. 229 del 1999 (Norme per la razionalizzazione del Servizio sanitario nazionale, a norma dell'articolo 1 della legge 30 novembre 1998, n. 419), prevede un meccanismo di formazione continua dei medici, articolato in aggiornamento professionale e formazione permanente.

L'aggiornamento professionale è l'attività successiva al corso di diploma, laurea, specializzazione, formazione complementare, formazione specifica in medicina generale, diretta ad adeguare per tutto l'arco della vita professionale le conoscenze professionali.

La formazione permanente comprende le attività finalizzate a migliorare le competenze e le abilità cliniche, tecniche e manageriali e i comportamenti degli operatori sanitari al progresso scientifico e tecnologico con l'obiettivo di garantire efficacia, appropriatezza, sicurezza ed efficienza alla assistenza prestata dal Servizio sanitario nazionale.

La formazione continua deve essere diversificata in base ai profili professionali ed include la partecipazione a corsi, convegni, seminari, organizzati da istituzioni pubbliche o private accreditate, nonché soggiorni di studio e la partecipazione a studi clinici controllati e ad attività di ricerca, di sperimentazione e di sviluppo.

La formazione continua può essere realizzata sia secondo percorsi formativi autogestiti sia nell’ambito di programmi finalizzati al conseguimento degli obiettivi prioritari fissati dal Piano sanitario nazionale e del Piano sanitario regionale, secondo le modalità indicate dalla Commissione nazionale per la formazione continua[29].

I laureati in medicina e chirurgia e gli altri operatori delle professioni sanitarie, tenuti alla formazione continua, sono esonerati da tale attività formativa limitatamente al periodo di espletamento del mandato parlamentare di senatore o deputato della Repubblica nonché di consigliere regionale.

Ai sensi dell’articolo 16-quater del decreto legislativo n. 502 del 1992, la partecipazione alle attività di formazione continua costituisce, comunque, un requisito indispensabile per svolgere attività professionale, in qualità di dipendente o libero professionista, per conto delle aziende ospedaliere, delle università, delle aziende sanitarie locali e delle strutture sanitarie private. Per le strutture sanitarie private l'adempimento, da parte del personale sanitario dipendente o convenzionato che opera nella struttura, dell'obbligo di partecipazione alla formazione continua e il conseguimento dei crediti nel triennio costituiscono requisito essenziale per ottenere e mantenere l'accreditamento da parte del Servizio sanitario nazionale.

In materia di formazione continua sono stati conclusi diversi accordi in sede di Conferenza Stato-Regioni (20 dicembre 2001, 13 marzo 2003 e 20 maggio 2004), al fine di definire gli obiettivi di formazione continua di interesse nazionale e di garantire che siano le stesse Regioni a disciplinarne lo svolgimento nel rispetto dei principi fondamentali posti dalle leggi dello Stato. Da ultimo sono intervenuti gli accordi del 14 dicembre 2006, di proroga del regime sperimentale del Programma di educazione continua in medicina, e  del 16 marzo 2006 sul Piano nazionale dell’aggiornamento del personale sanitario 2005 – 2007.

 

Con riferimento alla formulazione del comma 4 dell’articolo 32, si segnala l’opportunità di riportare il riferimento al decreto legislativo n. 229 del 1999 in maniera completa ed estesa (ossia, decreto legislativo 19 giugno 1999, n. 229.

 


 

Art. 33
(Formazione medica specialistica e denominazione medica specialistica)

 

 


1. La formazione che permette di ottenere un diploma di medico chirurgo specialista nelle specializzazioni indicate nell'allegato V, 5.1.2, 5.1.3 risponde ai seguenti requisiti:

 

a) presupporre il conferimento e validità del titolo conseguito a seguito di un ciclo di formazione di cui all'articolo 32 nel corso del quale siano state acquisite adeguate conoscenze nel campo della medicina di base;

b) insegnamento teorico e pratico;

c) formazione a tempo pieno sotto il controllo delle autorità o enti competenti;

d) formazione effettuata in un ateneo universitario o in una azienda ospedaliera o in un istituto accreditato a tal fine dalle autorità competenti;

e) partecipazione personale del medico chirurgo candidato alla specializzazione, alle attività e responsabilità proprie della disciplina.

 

2. Il rilascio di un diploma di medico chirurgo specialista è subordinato al possesso di un diploma di medico chirurgo di cui all'allegato V. 5.1.1

 

3. Le durate minime della formazione specialistica non possono essere inferiori a quelle indicate, per ciascuna di tale formazione, nell'allegato V. 5.1.3.

 

4.Le durate minime di formazione di cui all'allegato V. 5.1.3.

 

5. I titoli di formazione di medico specialista di cui all'articolo 30 sono quelli che rilasciati dalle autorità od organi competenti di cui all'allegato V, 5.1.2 corrispondono per la formazione specialistica in questione alle denominazioni vigenti negli Stati Membri così come riportato all'allegato V, 5.1.3.

 


 

 

L’articolo in esame, concernente la formazione medica specialistica e la denominazione medica specialistica, recepisce sostanzialmente le disposizioni contenute negli articoli 25 e 26 della direttiva 2005/36/CE.  In particolare, il comma 1 ripropone il contenuto dell’articolo 20 del decreto legislativo n. 368 del 1999, prevedendo che la formazione finalizzata ad ottenere un diploma di medico chirurgo specialista nelle specializzazioni indicate nell'allegato V (5.1.2, 5.1.3) deve rispondere ai seguenti requisiti:

·         presupporre il conferimento e validità del titolo conseguito a seguito di un ciclo di formazione come previsto all’articolo 32, nel corso del quale siano state acquisite adeguate conoscenze nel campo della medicina di base;

·         insegnamento teorico e pratico;

·         formazione a tempo pieno sotto il controllo delle autorità o enti competenti;

·         formazione effettuata in un ateneo universitario o in una azienda ospedaliera o in un istituto accreditato a tal fine dalle autorità competenti;

·         partecipazione personale del medico chirurgo candidato alla specializzazione, alle attività e responsabilità proprie della disciplina (comma 1).

 

La disposizione stabilisce altresì che il rilascio di un diploma di medico chirurgo specialista è subordinato al possesso di un diploma di medico chirurgo (comma 2) e che la durata minima della formazione specialistica non può essere inferiore a quella indicata nell'allegato V. 5.1.3 (comma 3).

 

Il comma 5 statuisce, infine, che i titoli di formazione di medico specialista di cui all'articolo 30 sono quelli rilasciati dalle autorità competenti che corrispondono per la formazione specialistica in questione alle denominazioni vigenti negli Stati membri così come riportato all'allegato V. 5.1.3.

 

Per quanto concerne la formulazione del testo, si rileva l’opportunità di rivedere la numerazione dei commi dell’articolo 33, in quanto il comma 4 sembrerebbe  essere stato inserito nel testo per errore.

L’articolo 33 non sembra peraltro recepire la disposizione contenuta nell’articolo 25, comma 3, della citata direttiva, ove si prevede, tra l’altro, che la formazione implichi la partecipazione anche alle guardie e che i posti siano adeguatamente retribuiti.


 

Art. 34
(Diritti acquisiti specifici dei medici specialisti)

 

 


1. I cittadini di cui all'art. 2, comma 1, in possesso di un diploma di medico specialista di cui all'allegato V. 5.1.2, 5.1.3 conseguito in un altro Stato membro, la cui formazione medico specialistica, svolta secondo le modalità del tempo parziale, era disciplinata da disposizioni legislative, regolamentari e amministrative vigenti alla data del 20 giugno 1975, che hanno iniziato la loro formazione di specialisti entro il 31 dicembre 1983, possono ottenere il riconoscimento del loro titolo di medico specialista purché detto titolo di specializzazione sia accompagnato da un attestato rilasciato dall'autorità competente dello Stato membro presso cui è stato conseguito il titolo che certifichi l'effettivo e lecito esercizio da parte degli interessati dell'attività specialistica in questione per almeno tre anni consecutivi nei cinque precedenti il rilascio dell'attestato.

 

2. E' riconosciuto il titolo di medico specialista rilasciato in Spagna ai medici, cittadini di cui all'art. 2, comma 1, che hanno completato una formazione specialistica prima del 1 gennaio 1995 anche se tale formazione non soddisfa i requisiti minimi di formazione di cui all'articolo 33, se ad esso si accompagna un certificato rilasciato dalle competenti autorità spagnole attestante che gli interessati hanno superato la prova di competenza professionale specifica organizzata nel contesto delle misure eccezionali di regolarizzazione di cui al decreto reale 1497/99 al fine di verificare se detti interessati possiedono un livello di conoscenze e di competenze comparabile a quello dei medici che possiedono titoli di medico specialista menzionati per la Spagna, all'allegato V 5.1.2, 5.1.3.

 

3. Laddove siano state abrogate le disposizioni legislative, regolamentari o amministrative sul rilascio dei titoli di formazione di medico specialista di cui all'allegato V 5.1.2, 5.1.3, e siano stati adottati a favore dei cittadini italiani provvedimenti sui diritti acquisiti, è riconosciuto ai cittadini degli altri Stati membri in possesso di un titolo di medico specialista conseguito in un Paese dell'Unione il diritto di beneficiare delle stesse misure, purché i titoli di formazione specialistica in loro possesso siano stati rilasciati dallo Stato di provenienza prima della data a partire dalla quale l'Italia ha cessato di rilasciare i titoli di formazione per la specializzazione interessata. Le date di abrogazione di queste disposizioni si trovano all'allegato V. 5.1.3.


 

 

L’articolo 34, che recepisce le disposizioni contenute nell’articolo 27 della direttiva 2005/36/CE, disciplina la materia dei diritti acquisiti specifici dei medici specialisti. Il comma 1 prevede che i cittadini di Stati membri dell’Unione europea in possesso di un diploma di medico specialista di cui all'allegato V (5.1.2, 5.1.3) conseguito in un altro Stato membro, la cui formazione, svolta secondo le modalità del tempo parziale, era disciplinata da disposizioni vigenti alla data del 20 giugno 1975, che hanno iniziato la loro formazione di specialisti entro il 31 dicembre 1983, possono ottenere il riconoscimento del loro titolo di medico specialista, purché detto titolo sia accompagnato da un attestato rilasciato dall'autorità competente dello Stato membro presso cui è stato conseguito il titolo che certifichi l’esercizio dell'attività specialistica per almeno tre anni consecutivi nei cinque precedenti il rilascio dell'attestato.

Il comma 2 riconosce il titolo di medico specialista rilasciato in Spagna ai medici che hanno completato una formazione specialistica prima del 1° gennaio 1995, anche se tale formazione non soddisfa i requisiti di cui all'articolo 33, ove sia esibito un certificato attestante che gli interessati hanno superato una prova di competenza professionale specifica (in base alle misure di regolarizzazione di cui al decreto reale 1497/99).

Ai sensi del comma 3, nelle ipotesi in cui siano state abrogate disposizioni sul rilascio dei titoli di formazione di medico specialista di cui all'allegato V 5.1.2, 5.1.3 e siano stati adottati a favore dei cittadini italiani provvedimenti sui diritti acquisiti, è riconosciuto ai cittadini degli altri Stati membri in possesso di un titolo di medico specialista conseguito in un Paese dell'Unione il diritto di beneficiare delle stesse misure, purché i titoli in questione siano stati rilasciati dallo Stato di provenienza prima della data in cui l'Italia ha cessato di rilasciare i titoli di formazione per la specializzazione interessata.

 

 


 

Art. 35
(Formazione specifica in medicina generale)

 

 


1. L'ammissione alla formazione specifica in medicina generale presuppone il compimento del ciclo di studi di cui all'art. 32.

 

2. Il corso di formazione specifica in medicina generale della durata di almeno tre anni è riservato ai laureati in medicina e chirurgia, abilitati all'esercizio professionale.

 

3. Al termine del suddetto corso è rilasciato il diploma di formazione specifica in medicina generale.

 

4. Il corso di formazione specifica in medicina generale comporta un impegno dei partecipanti a tempo pieno con obbligo della frequenza alle attività didattiche teoriche e pratiche, da svolgersi sotto il controllo delle regioni e province autonome. Il corso si conclude con il rilascio di un diploma di formazione in medicina generale da parte delle regioni e delle province autonome, conforme al modello predisposto con decreto del Ministro della salute.

 

5. La durata del corso di cui al comma 2, può essere ridotta per un periodo massimo di un anno e comunque pari a quello della formazione pratica impartita durante il corso di laurea in medicina e chirurgia di cui all'articolo 32, se detta formazione è stata dispensata in un centro ospedaliero riconosciuto,che disponga di attrezzature e di servizi adeguati di medicina generale o nell'ambito di uno studio di medicina generale riconosciuto o in un centro riconosciuto in cui i medici dispensano cure primarie. All'inizio di ogni anno accademico, le Università notificano l'attivazione di tali periodi di formazione al Ministero della salute e al Ministero dell' dell'università e della ricerca.

 

6. Il corso di formazione specifica in medicina generale, che si svolge a tempo pieno sotto il controllo delle regioni e province autonome, è di natura più pratica che teorica.


 

 

L’articolo in esame, suddiviso in 6 commi, reca disposizioni per la disciplina della formazione specifica in medicina generale.

In primo luogo, si prevede che l'ammissione alla formazione specifica in medicina generale sia subordinata alla conclusione del ciclo di studi previsto all'art. 32 (comma 1).

L’accesso al corso di formazione specifica in medicina generale, della durata di almeno tre anni, è consentito ai laureati in medicina e chirurgia, abilitati all'esercizio professionale (comma 2). Il corso, che si conclude con il rilascio di un diploma di formazione specifica in medicina generale rilasciato dalle regioni, conformemente al modello predisposto con decreto del Ministro della salute, comporta un impegno dei partecipanti a tempo pieno con obbligo della frequenza alle attività didattiche teoriche e pratiche, sotto il controllo delle regioni medesime (commi 3 e 4).

La durata del corso può essere ridotta alle seguenti condizioni:

§         per un periodo massimo di un anno e comunque pari a quello della formazione pratica impartita durante il corso di laurea in medicina e chirurgia di cui all'articolo 32;

§         se la formazione è stata dispensata in un centro ospedaliero riconosciuto, che disponga di attrezzature e di servizi adeguati di medicina generale o nell'ambito di uno studio di medicina generale riconosciuto o in un centro riconosciuto in cui i medici dispensano cure primarie.

All'inizio di ogni anno accademico, le Università notificano l'attivazione di tali periodi di formazione al Ministero della salute e al Ministero dell'università e della ricerca (comma 5).

Il comma 6 contiene indicazioni sulle modalità di svolgimento del corso di formazione specifica in medicina generale a tempo pieno sotto il controllo delle regioni, precisando che tale corso è caratterizzato dalla prevalenza degli aspetti  pratici su quelli teorici.

 

L’articolo 28, paragrafo 3, della direttiva 2005/36/CE stabilisce, altresì, che la formazione pratica è effettuata, per almeno sei mesi, in un centro ospedaliero autorizzato, e, per altri sei mesi, in seno a un ambulatorio di medicina generale autorizzato o a un centro autorizzato in cui i medici dispensano cure primarie. Tale previsione non sembra essere stata recepita nello schema di decreto legislativo.


 

Art. 36
(Diritti acquisiti specifici dei medici di medicina generale)

 

 


1. Hanno altresì diritto ad esercitare l'attività professionale in qualità di medico di medicina generale i medici chirurghi abilitati all'esercizio professionale entro il 31 dicembre 1994.

 

2. Detto diritto è esteso ai medici, cittadini di un altro Stato membro già iscritti all'albo dei medici chirurghi ai sensi della legge 22 maggio 1978, n. 217, e che erano titolari, alla data del 31 dicembre 1996 di un rapporto convenzionale per l'attività di medico in medicina generale.

 

3.Ai cittadini di cui all'art. 2, comma 1, in possesso di un titolo di medico conseguito in uno Stato membro a seguito di un ciclo di formazione di cui all'art. 32, titolari di diritti acquisiti nello Stato di origine o di provenienza secondo quanto stabilito da ciascuno Stato membro ed indicato nell'allegato V. 5.1.4., è riconosciuto il diritto di esercitare in Italia l'attività di medico di medicina generale senza il titolo di formazione di cui all'allegato V 5.1.4.

 

4. I cittadini comunitari di cui al comma 3, titolari di diritti acquisiti, ai fini del suddetto riconoscimento devono produrre una certificazione rilasciata dall'Autorità competente dello Stato membro di provenienza attestante il diritto di esercitare in detto Stato l'attività di medico di medicina generale nel quadro del regime nazionale di previdenza sociale senza il titolo di formazione di cui all'allegato V. 5.1.4.

 

5. I medici di cui ai commi 1 e 2 che intendono esercitare l'attività professionale in qualità di medico di medicina generale nel regime nazionale di sicurezza sociale di uno degli altri Stati Membri anche se non sono in possesso di una formazione specifica in medicina generale devono chiedere il rilascio del relativo certificato al competente ordine provinciale dei medici chirurghi previa presentazione della documentazione comprovante i diritti acquisiti.

 

6. Il Ministero della salute fornisce a richiesta delle competenti autorità dei Paesi comunitari le informazioni inerenti alle istanze dei medici chirurghi italiani tendenti ad ottenere l'ammissione all'esercizio dell'attività specifica in medicina generale nei Paesi dell'Unione europea e rilascia le certificazioni richieste, previa acquisizione della relativa documentazione.

 


 

 

L’articolo in esame, suddiviso in 6 commi, contiene disposizioni volte a salvaguardare i diritti acquisiti specifici dei medici di medicina generale, individuando i requisiti, le condizioni e le certificazioni a cui è subordinata l’ammissione all’esercizio dell’attività professionale in medicina generale, in conformità a quanto previsto dall’articolo 30 della direttiva 2005/36/CE.

Il comma 1 prevede che possono esercitare l'attività professionale di medico di medicina generale i medici chirurghi abilitati all'esercizio professionale entro il 31 dicembre 1994.

Tale facoltà è estesa ai medici, cittadini di un altro Stato membro già iscritti all'albo dei medici chirurghi (e quindi abilitati all’esercizio della professione) ai sensi della legge 22 maggio 1978, n. 217[30], e che erano titolari, alla data del 31 dicembre 1996 di un rapporto convenzionale per l'attività di medico in medicina generale (comma 2).

Il comma 3 prescrive che ai cittadini di Stati membri, in possesso di un titolo di medico conseguito in uno Stato membro a seguito di un ciclo di formazione conforme alle previsioni dell'articolo 32, titolari di diritti acquisiti nello Stato di origine o di provenienza, è riconosciuto il diritto di esercitare in Italia l'attività di medico di medicina generale senza il titolo di formazione di cui all'allegato V 5.1.4 (formazione specifica in medicina generale).

I cittadini comunitari di cui al comma 3, interessati al riconoscimento dei diritti acquisiti, devono produrre una certificazione rilasciata dall'Autorità competente dello Stato membro di provenienza attestante il diritto di esercitare l'attività di medico di medicina generale nel quadro del regime nazionale di previdenza sociale senza il titolo di formazione di cui sopra (comma 4).

Il comma 5 stabilisce che i medici di cui ai commi 1 e 2 che intendono esercitare l'attività professionale di medico di medicina generale nel regime nazionale di sicurezza sociale di uno degli altri Stati membri, anche se non sono in possesso di una formazione specifica in medicina generale, devono chiedere il rilascio del relativo certificato al competente ordine provinciale dei medici chirurghi previa presentazione della documentazione comprovante i diritti acquisiti.

Il Ministero della salute, a richiesta delle competenti autorità dei Paesi membri, fornisce le informazioni relative alle istanze dei medici italiani finalizzate all'esercizio dell'attività di medicina generale nei Paesi dell'Unione europea e rilascia le certificazioni necessarie, previa acquisizione di idonea documentazione. (comma 6).

 


 

Art. 37
(Formazione d'infermiere responsabile dell'assistenza generale)

 

 


1. L'ammissione alla formazione d'infermiere responsabile dell'assistenza generale è subordinata al compimento di una formazione scolastica generale di 10 anni sancita da un diploma, certificato o altro titolo rilasciato da autorità od organi competenti di uno Stato membro o da un certificato attestante il superamento di un esame d'ammissione, di livello equivalente, alle scuole per infermieri.

 

2. La formazione d'infermiere responsabile dell'assistenza generale avviene a tempo pieno con un programma che corrisponde almeno a quello di cui all'allegato 5.2.1.

 

3. La formazione d'infermiere responsabile dell'assistenza generale comprende almeno tre anni di studi o 4.600 ore d'insegnamento teorico e clinico. L'insegnamento teorico rappresenta almeno un terzo e quello clinico almeno la metà della durata minima della formazione. Possono essere accordate esenzioni parziali a persone che hanno acquisito parte di questa formazione nel quadro di altre formazioni di livello almeno equivalente.

 

4. L'insegnamento teorico è la parte di formazione in cure infermieristiche con cui il candidato infermiere acquisisce le conoscenze, la comprensione, le competenze e gli atteggiamenti professionali necessari a pianificare, dispensare e valutare cure sanitarie globali. La formazione è impartita da insegnanti di cure infermieristiche e da altro personale competente, in scuole per infermieri e in altri luoghi d'insegnamento scelti dall'ente di formazione.

5. L'insegnamento clinico è la parte di formazione in cure infermieristiche con cui il candidato infermiere apprende, nell'ambito di un gruppo e a diretto contatto con individui e/o collettività sani o malati, a pianificare, dispensare e valutare le necessarie cure infermieristiche globali in base a conoscenze e competenze acquisite. Egli apprende non solo a lavorare come membro di un gruppo, ma anche a essere un capogruppo che organizza cure infermieristiche globali, e anche l'educazione alla salute per singoli individui e piccoli gruppi in seno all'istituzione sanitaria o alla collettività.

L'istituzione incaricata della formazione d'infermiere è responsabile del coordinamento tra l'insegnamento teorico e quello clinico per tutto il programma di studi.

L'attività d'insegnamento ha luogo in ospedali e altre istituzioni sanitarie e nella collettività, sotto la responsabilità di infermieri insegnanti e con la cooperazione e l'assistenza di altri infermieri qualificati. All'attività dell'insegnamento potrà partecipare anche altro personale qualificato.

I candidati infermieri partecipano alle attività dei servizi in questione nella misura in cui queste contribuiscono alla loro formazione, consentendo loro di apprendere ad assumersi le responsabilità che le cure infermieristiche implicano.

 

6. La formazione di infermiere responsabile dell'assistenza generale garantisce l'acquisizione da parte dell'interessato delle conoscenze e competenze seguenti:

 

a) un'adeguata conoscenza delle scienze che sono alla base dell'assistenza infermieristica di carattere generale, compresa una sufficiente conoscenza dell'organismo, delle funzioni fisiologiche e del comportamento delle persone in buona salute e malate, nonché delle relazioni esistenti tra lo stato di salute e l'ambiente fisico e sociale dell'essere umano;

b) una sufficiente conoscenza della natura e dell'etica della professione e dei principi generali riguardanti la salute e l'assistenza infermieristica;

c) un'adeguata esperienza clinica; tale esperienza, che dovrebbe essere scelta per il suo valore formativo, dovrebbe essere acquisita sotto il controllo di personale infermieristico qualificato e in luoghi in cui il numero del personale qualificato e l'attrezzatura siano adeguati all'assistenza infermieristica dei pazienti;

d) la capacità di partecipare alla formazione del personale sanitario e un'esperienza di collaborazione con tale personale;

e) un'esperienza di collaborazione con altre persone che svolgono un'attività nel settore sanitario.


 

 

L’articolo in commento, che apre la Sezione III dedicata alla figura dell’infermiere responsabile dell’assistenza generale, è composto da 6 commi, che recano norme volte a disciplinare la formazione d'infermiere responsabile dell'assistenza generale, in conformità alle disposizione recate dall’articolo 31 della direttiva 2005/36/CE.

 

Ai sensi dell’articolo 1 del decreto ministeriale 14 settembre 1994, n. 739 (Regolamento concernente l'individuazione della figura e del relativo profilo professionale dell'infermiere) l'infermiere è l'operatore sanitario che, in possesso del diploma universitario abilitante e dell'iscrizione all'albo professionale è responsabile dell'assistenza generale infermieristica.

Le principali funzioni sono la prevenzione delle malattie, l'assistenza dei malati e dei disabili di tutte le età e l'educazione sanitaria.

In particolare, l'infermiere partecipa all'identificazione dei bisogni di salute della persona e della collettività, identifica i bisogni di assistenza infermieristica e formula i relativi obiettivi, pianifica, gestisce e valuta l'intervento assistenziale infermieristico, garantisce la corretta applicazione delle prescrizioni diagnostico-terapeutiche, agisce sia individualmente sia in collaborazione con gli altri operatori sanitari e sociali, si avvale, ove necessario, dell'opera del personale di supporto, svolge la sua attività professionale in strutture sanitarie pubbliche o private, nel territorio e nell'assistenza domiciliare, in regime di dipendenza o libero-professionale. L'infermiere contribuisce, altresì, alla formazione del personale di supporto e all'aggiornamento relativo al proprio profilo professionale e alla ricerca.

Come già illustrato in precedenza, la formazione infermieristica post-base consente di fornire agli infermieri di assistenza generale delle conoscenze cliniche avanzate e delle capacità che permettano loro di fornire specifiche prestazioni infermieristiche nelle seguenti aree: a) sanità pubblica: infermiere di sanità pubblica; b) pediatria: infermiere pediatrico; c) salute mentale-psichiatria: infermiere psichiatrico; d) geriatria: infermiere geriatrico; e) area critica: infermiere di area critica.

Il percorso formativo viene definito con decreto del Ministero della sanità e si conclude con il rilascio di un attestato di formazione specialistica che costituisce titolo preferenziale per l'esercizio delle funzioni specifiche nelle diverse aree, dopo il superamento di apposite prove valutative.

 

Il comma 1 dell’articolo in commento stabilisce che l'ammissione alla formazione d'infermiere responsabile dell'assistenza generale è subordinata al compimento di una formazione scolastica generale di 10 anni sancita da un diploma, certificato o altro titolo rilasciato da uno Stato membro o da un certificato attestante il superamento di un esame d'ammissione, di livello equivalente, alle scuole per infermieri.

La formazione d'infermiere responsabile dell'assistenza generale deve svolgersi a tempo pieno con un programma conforme a quello di cui all'allegato 5.2.1 (comma 2) e deve comprende almeno tre anni di studi o 4.600 ore d'insegnamento teorico e clinico (comma 3). Lo stesso comma 3 stabilisce che l'insegnamento teorico deve costituire almeno un terzo e quello clinico almeno la metà della durata minima della formazione fermo restando che possono essere previste esenzioni parziali per coloro che hanno acquisito parte della formazione richiesta nell’ambito di altre attività formative di livello equivalente.

Il comma 4, nel precisare che l'insegnamento teorico deve consentire al candidato di acquisire le conoscenze, le competenze e gli atteggiamenti professionali necessari a pianificare, dispensare e valutare cure sanitarie globali, stabilisce che la formazione è impartita da insegnanti di cure infermieristiche e da altro personale competente, in scuole per infermieri e in altri luoghi d'insegnamento scelti dall'ente di formazione.

Il comma 5 definisce, invece, l'insegnamento clinico come la parte di formazione con cui il candidato infermiere apprende, nell'ambito di un gruppo e a diretto contatto con individui sani o malati, a pianificare, dispensare e valutare le necessarie cure infermieristiche globali in base a conoscenze e competenze acquisite. La formazione clinica prevede che il candidato acquisisca esperienza sia come membro di un gruppo, sia come capogruppo che organizza cure infermieristiche globali, inclusa l’educazione alla salute. L'istituzione incaricata della formazione  è responsabile del coordinamento tra l'insegnamento teorico e quello clinico per tutto il programma di studi.

L'attività di formazione ha luogo in ospedali, in altre strutture sanitarie e nella collettività, sotto la responsabilità di infermieri insegnanti e con la cooperazione e l'assistenza di altri infermieri qualificati.

Le attività in questione devono prevedere, tra l’altro, che il candidato partecipi alle responsabilità che le cure infermieristiche implicano.

Il comma 6 sancisce, infine, che la formazione di infermiere responsabile dell'assistenza generale deve assicurare l'acquisizione delle seguenti competenze:

Ø      adeguata conoscenza delle scienze che sono alla base dell'assistenza infermieristica di carattere generale, compresa una sufficiente conoscenza dell'organismo, delle funzioni fisiologiche, del comportamento delle persone in buona salute e malate e delle relazioni esistenti tra lo stato di salute e l'ambiente;

Ø      sufficiente conoscenza della natura e dell'etica della professione e dei principi generali riguardanti la salute e l'assistenza infermieristica;

Ø      adeguata esperienza clinica, sotto il controllo di personale infermieristico qualificato e in luoghi in cui il numero del personale qualificato e l'attrezzatura siano adeguati all'assistenza infermieristica dei pazienti;

Ø      capacità di partecipare alla formazione del personale sanitario e un'esperienza di collaborazione con tale personale;

Ø      esperienza di collaborazione con altre persone che svolgono un'attività nel settore sanitario.


 

Art. 38
(Esercizio delle attività professionali d'infermiere responsabile dell'assistenza generale)

 

 


1. Le attività professionali d'infermiere responsabile dell'assistenza generale sono le attività esercitate a titolo professionale e indicate nell'allegato V, 5.2.2.

 


 

 

L’articolo 38 disciplina, in conformità all’articolo 32 della direttiva 2005/36/CE, l’esercizio delle attività professionali d’infermiere responsabile dell’assistenza generale, statuendo che le attività in questione sono quelle attività esercitate a titolo professionale e indicate nell'allegato V, 5.2.2.


 

Art. 39
(Diritti acquisiti, specifici agli infermieri responsabili dell'assistenza generale)

 

 


1. Se agli infermieri responsabili dell'assistenza generale si applicano le norme generali sui diritti acquisiti, le attività da essi svolte devono comprendere la piena responsabilità della programmazione, organizzazione e somministrazione delle cure infermieristiche ai pazienti.

 

2. Per quanto riguarda i titoli polacchi di formazione di infermiere responsabile dell'assistenza generale, si applicano solo le seguenti disposizioni relative ai diritti acquisiti. Per i cittadini degli Stati membri i cui titoli di formazione di infermiere responsabile dell'assistenza generale sono stati rilasciati o la cui corrispondente formazione è iniziata in Polonia anteriormente al 1° maggio 2004 e che non soddisfano i requisiti minimi di formazione di cui all'articolo 37 vengono riconosciuti come prova sufficiente i seguenti titoli di formazione di infermiere responsabile dell'assistenza generale se corredati di un certificato il quale dimostri l'effettivo e lecito esercizio da parte dei cittadini di tale Stato membro, nel territorio della Polonia, delle attività di infermiere responsabile dell'assistenza generale per il periodo di seguito specificato:

 

a) titolo di formazione di grado licenza di infermiere (dyplom licencjata pielêgniarstwa): almeno tre anni consecutivi nei cinque anni precedenti il rilascio del certificato,

b) titolo di formazione di grado diploma di infermiere (dyplom pielêgniarki albo pielêgniarki dyplomowanej) che attesta il completamento dell'istruzione post-secondaria ottenuto da una scuola professionale medica: almeno cinque anni consecutivi nei sette anni precedenti il rilascio del certificato.

Le suddette attività devono aver incluso l'assunzione della piena responsabilità per la pianificazione, l'organizzazione e la prestazione delle attività infermieristiche nei confronti del paziente.

 

3. Vengono riconosciuti, inoltre, i titoli di infermiere rilasciati in Polonia ad infermieri che hanno completato anteriormente al 1° maggio 2004 la corrispondente formazione che non soddisfa i requisiti minimi di formazione di cui all'articolo 31, sancita dal titolo di «licenza di infermiere» ottenuto sulla base di uno speciale programma di rivalorizzazione di cui all'articolo 11 della legge del 20 aprile 2004 che modifica la legge sulle professioni di infermiere e ostetrica e taluni altri atti giuridici (Gazzetta ufficiale della Repubblica di Polonia del 30 aprile 2004 n. 92, pag. 885) e al regolamento del Ministro della sanità dell'11 maggio 2004 sulle condizioni dettagliate riguardanti i corsi impartiti agli infermieri e alle ostetriche, che sono titolari di un certificato di scuola secondaria (esame finale - maturità) e che hanno conseguito un diploma di infermiere e di ostetrica presso un liceo medico o una scuola professionale medica (Gazzetta ufficiale della Repubblica di Polonia del 13 maggio 2004 n. 110, pag. 1170), allo scopo di verificare che gli interessati sono in possesso di un livello di conoscenze e di competenze paragonabile a quello degli infermieri in possesso delle qualifiche che, per quanto riguarda la Polonia, sono definite nell'allegato V, 5.2.2.


 

L’articolo 39, costituito da 3 commi, determina i diritti acquisiti, specifici agli infermieri responsabili dell'assistenza generale, recependo sostanzialmente le previsioni di cui all’articolo 33 della direttiva 2005/36/CE.

 

Il comma 1 stabilisce che le attività svolte dagli infermieri responsabili dell'assistenza generale cui si applicano le norme generali sui diritti acquisiti devono essere improntate al principio della piena responsabilità della programmazione, organizzazione e somministrazione delle cure infermieristiche.

Ai sensi del comma 2, ai titoli polacchi di formazione di infermiere responsabile dell'assistenza generale si applicano esclusivamente le disposizioni relative ai diritti acquisiti contenute nell’articolo in commento. In particolare, per i cittadini degli Stati membri i cui titoli di formazione sono stati rilasciati o la cui formazione è iniziata in Polonia prima del 1° maggio 2004 e che non soddisfano i requisiti minimi di formazione di cui all'articolo 37, sono riconosciuti i seguenti titoli di formazione, se corredati di un certificato che comprovi l’esercizio delle attività di infermiere responsabile dell'assistenza generale per il periodo di seguito specificato:

a) licenza di infermiere: almeno tre anni consecutivi nei cinque anni precedenti il rilascio del certificato;

b) diploma di infermiere che attesta il completamento dell'istruzione post-secondaria ottenuto da una scuola professionale medica: almeno cinque anni consecutivi nei sette anni precedenti il rilascio del certificato.

Le suddette attività devono aver incluso l'assunzione della piena responsabilità per la pianificazione, l'organizzazione e la prestazione delle attività infermieristiche.

Il comma 3 detta altresì norme per il riconoscimento dei titoli di infermiere rilasciati in Polonia ad infermieri che hanno completato anteriormente alla suddetta data la corrispondente formazione che non soddisfa i requisiti minimi di formazione di cui all'articolo 31. Tale formazione deve essere sancita dal titolo di licenza di infermiere, ottenuto sulla base del programma di rivalorizzazione di cui all'articolo 11 della legge polacca del 20 aprile 2004 che modifica la legge sulle professioni di infermiere e ostetrica e taluni altri atti giuridici e al regolamento del Ministro della sanità dell'11 maggio 2004 sulle condizioni dettagliate riguardanti i corsi impartiti agli infermieri e alle ostetriche, che sono titolari di un certificato di scuola secondaria (esame finale -maturità) e che hanno conseguito un diploma di infermiere e di ostetrica presso un liceo medico o una scuola professionale medica, allo scopo di verificare che gli interessati sono in possesso di un livello di conoscenze e di competenze equivalente a quello degli infermieri in possesso delle qualifiche che definite nell'allegato V, 5.2.2.

 


 

 

Art. 40
(Formazione dell'odontoiatra)

 

 


1. La formazione dell'odontoiatra comprende un percorso di studi teorici e pratici della durata minima di cinque anni svolti a tempo pieno.

Il programma di studi, che permette il conseguimento del diploma di laurea in odontoiatria e protesi dentaria, corrisponde almeno a quello di cui all'allegato V,5.3.1. Detti studi sono effettuati presso un'Università o sotto il controllo di un'Università.

 

2. La formazione dell' odontoiatra garantisce l'acquisizione da parte dell'interessato delle sottoelencate conoscenze e competenze:

 

a) adeguate conoscenze delle scienze sulle quali si fonda l'odontoiatria, nonché una buona comprensione dei metodi scientifici e, in particolare, dei principi relativi alla misura delle funzioni biologiche, alla valutazione di fatti stabiliti scientificamente e all'analisi dei dati;

b) adeguate conoscenze della costituzione, della fisiologia e del comportamento di persone sane e malate, nonché del modo in cui l'ambiente naturale e sociale influisce sullo stato di salute dell'uomo, nella misura in cui ciò sia correlato all' odontoiatria;

c) adeguate conoscenze della struttura e della funzione di denti, bocca, mascelle e dei relativi tessuti, sani e malati,nonché dei loro rapporti con lo stato generale di salute ed il benessere fisico e sociale del paziente;

d) adeguata conoscenza delle discipline e dei metodi clinici che forniscano un quadro coerente delle anomalie, lesioni e malattie dei denti, della bocca, delle mascelle e dei relativi tessuti, nonché dell'odontoiatria sotto l'aspetto preventivo,diagnostico e terapeutico;

e) adeguata esperienza clinica acquisita sotto opportuno controllo.

 

3 La formazione di odontoiatra conferisce le competenze necessarie per esercitare tutte le attività inerenti alla prevenzione, alla diagnosi e alla cura delle anomalie e delle malattie dei denti, della bocca, delle mascelle e dei relativi tessuti.


 

 

L’articolo in esame, concernente la formazione dell’odontoiatria, recepisce sostanzialmente le disposizioni contenute nell’articolo 34 della direttiva oggetto di recepimento.

In particolare, il comma 1 stabilisce che la durata della formazione dell'odontoiatra ha la durata minima di cinque anni svolti, a tempo pieno, e comprende un programma di studi, corrispondente almeno a quello di cui all'allegato V,5.3.1, effettuati presso una università o sotto il controllo di un ateneo, al fine di conseguire il diploma di laurea in odontoiatria e protesi dentaria.

Il comma 2 elenca una serie di conoscenze che, unitamente all’esperienza clinica, devono essere acquisite nel percorso di formazione dell'odontoiatra, con particolare riferimento alle seguenti materie:

§         scienze sulle quali si fonda l'odontoiatria ed i metodi scientifici ed i principi relativi alla misura delle funzioni biologiche, alla valutazione di fatti stabiliti scientificamente e all'analisi dei dati;

§         costituzione, fisiologia e comportamento di persone sane e malate, nonché modalità in cui l'ambiente naturale e sociale influisce sullo stato di salute dell'uomo, nella misura in cui ciò sia correlato all' odontoiatria;

§         struttura e funzione di denti, bocca, mascelle e relativi tessuti, sani e malati, nonché loro rapporti con lo stato generale di salute ed il benessere fisico e sociale del paziente;

§         discipline e metodi clinici che forniscono un quadro coerente delle anomalie, lesioni e malattie dei denti, della bocca, delle mascelle e dei relativi tessuti, nonché dell'odontoiatria sotto l'aspetto preventivo, diagnostico e terapeutico.

Il comma 3 stabilisce che la formazione di odontoiatra conferisce le competenze necessarie per esercitare tutte le attività inerenti alla prevenzione, alla diagnosi e alla cura delle anomalie e delle malattie dei denti, della bocca, delle mascelle e dei relativi tessuti.

 


 

Art. 41
(Formazione di odontoiatra specialista)

 

 


1. L'ammissione alle scuole di specializzazione in odontoiatria presuppone il possesso di un diploma di laurea in odontoiatria e protesi dentaria, corredato della relativa abilitazione all'esercizio professionale. Tale diploma attesta il compimento con successo di cinque anni di studi teorici e pratici nell'ambito del ciclo di formazione di cui all'articolo 40.

 

2 Accedono alle scuole di specializzazione in odontoiatria di cui al comma 1 anche coloro i quali sono in possesso dei requisiti previsti agli articoli 31 e 42 del presente decreto legislativo.

3. La formazione dell'odontoiatra specialista comprende un insegnamento teorico e pratico che si svolge presso una Università, una Azienda ospedaliera o un Istituto accreditato a tal fine dalle Università.

 

4. La formazione di odontoiatra specialista si svolge a tempo pieno, per un periodo non inferiore a tre anni, sotto il controllo delle autorità od organi competenti. Essa richiede la partecipazione personale dello specializzando alle attività e responsabilità proprie della disciplina.


 

 

L’articolo in esame, concernente la formazione di odontoiatra specialista, recepisce sostanzialmente le disposizioni contenute nell’articolo 35 della direttiva 2005/36/CE.  

In particolare, il comma 1 dispone che l'ammissione alle scuole di specializzazione in odontoiatria presuppone il possesso di un diploma di laurea in odontoiatria e protesi dentaria, che attesta il compimento con successo di cinque anni di studi teorici e pratici ed è corredato della relativa abilitazione all'esercizio professionale.

Il comma 2 stabilisce che possono accedere alle scuole di specializzazione in odontoiatria anche coloro i quali sono in possesso dei requisiti previsti agli articoli 31 (aspiranti a cui siano stati riconosciuti diritti acquisiti) e 42 (aspiranti cui siano riconosciuti i diritti acquisiti specifici degli odontoiatri) del provvedimento in esame.

Il comma 3 prevede che la formazione dell'odontoiatra specialista comprende un insegnamento teorico e pratico da svolgersi presso una università, una azienda ospedaliera o un istituto accreditato a tal fine dalle università.

Il comma 4 precisa, infine, che la formazione di odontoiatra specialista si svolge a tempo pieno, per un periodo non inferiore a tre anni, sotto il controllo delle autorità od organi competenti e richiede la partecipazione personale dello specializzando alle attività e responsabilità proprie della disciplina.

Si evidenzia che l’articolo 36 della direttiva 2005/36/CE, relativo all’esercizio delle attività professionali di dentista, non sembra essere stato trasposto nello schema di decreto legislativo in esame.

 


 

 

Art. 42
(Diritti acquisiti specifici degli odontoiatri)

 

 


1. Ai fini dell'esercizio dell'attività professionale di odontoiatra di cui all'allegato V. 5.3.2, ai cittadini di cui all'art.2, comma1 in possesso di un titolo di medico rilasciato in Italia, Spagna, Austria, Repubblica Ceca e Slovacchia, che hanno iniziato la formazione in medicina entro la data indicata per ciascuno dei suddetti Stati nell'allegato V. 5.3.2, è riconosciuto il titolo di formazione di medico purchè accompagnato da un attestato rilasciato dalla autorità competente dello Stato di provenienza.

 

2. Detto attestato deve certificare il contestuale rispetto delle sottoelencate condizioni:

 

a) che tali cittadini hanno esercitato effettivamente, lecitamente e a titolo principale nello Stato di provenienza l'attività professionale di odontoiatra, per almeno tre anni consecutivi nel corso dei cinque precedenti il rilascio dell'attestato;

b) che tali persone sono autorizzate a esercitare la suddetta attività alle stesse condizioni dei titolari del titolo di formazione indicato per lo Stato di provenienza nell'allegato V, 5.3.2. .

È dispensato dal requisito della pratica professionale di tre anni, di cui al secondo comma, lettera a), chi abbia portato a termine studi di almeno tre anni, che le autorità competenti dello Stato di provenienza dell'interessato certificano equivalenti alla formazione di cui all'articolo 40.

Per quanto riguarda la Repubblica ceca e la Slovacchia, i titoli di formazione conseguiti nell'ex Cecoslovacchia sono riconosciuti al pari dei titoli di formazione cechi e slovacchi e alle stesse condizioni stabilite nei commi precedenti.

 

3. Sono riconosciuti i titoli di formazione in medicina rilasciati in Italia a chi ha iniziato la formazione universitaria in medicina dopo il 28 gennaio 1980 e prima del 31 dicembre 1984, accompagnati da un attestato rilasciato dal Ministero della Salute, previi opportuni accertamenti ed in collaborazione con gli Ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri.

L'attestato deve certificare il rispetto delle tre seguenti condizioni:

 

a) che tali persone hanno superato la specifica prova attitudinale organizzata dalle competenti autorità italiane per verificare il possesso delle conoscenze e competenze di livello paragonabile a quelle dei possessori del titolo di formazione indicato per l'Italia all'allegato V. 5.3.2;

b) che tali persone hanno esercitato effettivamente, lecitamente e a titolo principale in Italia l'attività professionale di odontoiatra, per almeno tre anni consecutivi nel corso dei cinque precedenti il rilascio dell'attestato;

c) che tali persone sono autorizzate a esercitare o esercitano effettivamente, lecitamente e a titolo principale le attività professionale di odontoiatra alle stesse condizioni dei possessori del titolo di formazione indicato per l'Italia all'allegato V. 5.3.2.

È dispensato dalla prova attitudinale, di cui al terzo comma, lettera a), chi abbia portato a termine studi di almeno tre anni, che il Ministero della salute, previi gli opportuni accertamenti presso il Ministero dell'università e della ricerca ed in collaborazione con gli Ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri certificano equivalenti alla formazione di cui all'articolo 40. Sono equiparati ai predetti soggetti coloro che hanno iniziato la formazione universitaria in Italia di medico dopo il 31 dicembre 1984, purché i tre anni di studio sopra citati abbiano avuto inizio entro il 31 dicembre 1994.


 

 

L’articolo in esame, concernente i diritti acquisiti specifici degli odontoiatri, ripropone sostanzialmente il contenuto dell’articolo 37 della direttiva 2005/36/CE.  

In particolare, il comma 1 riconosce, ai fini dell'esercizio dell'attività professionale di odontoiatra, ai cittadini degli Stati membri, in possesso di un titolo di medico rilasciato in Italia, Spagna, Austria, Repubblica Ceca e Slovacchia, che hanno iniziato la formazione in medicina entro la data indicata per ciascuno dei suddetti Stati nell'allegato V. 5.3.2 (per l’Italia la data indicata è il 28 gennaio 1980), il titolo di formazione di medico purché accompagnato da un attestato rilasciato dalla autorità competente dello Stato di provenienza.

Il comma 2 prevede che l’attestato in questione deve certificare il contestuale rispetto delle seguenti condizioni:

a) l’effettivo esercizio, lecitamente ed a titolo principale nello Stato di provenienza dell’attività professionale di odontoiatra, per almeno tre anni consecutivi nel corso dei cinque precedenti il rilascio dell'attestato;

b) l’autorizzazione ad esercitare la suddetta attività alle stesse condizioni dei titolari del diploma di laurea in odontoiatria e protesi dentaria.

È dispensato dal requisito della pratica professionale di tre anni, di cui al secondo comma, lettera a), chi abbia portato a termine studi di almeno tre anni, che le competenti autorità dello Stato di provenienza certificano equivalenti alla formazione dell’odontoiatra di cui all'articolo 40.

Per quanto riguarda la Repubblica ceca e la Slovacchia, i titoli di formazione conseguiti nell'ex Cecoslovacchia sono riconosciuti al pari dei titoli di formazione cechi e slovacchi e alle stesse condizioni stabilite in precedenza.

Il comma 3 riconosce i titoli di formazione in medicina rilasciati in Italia a chi ha iniziato la formazione universitaria in medicina dopo il 28 gennaio 1980 e prima del 31 dicembre 1984, accompagnati da un attestato rilasciato dal Ministero della Salute, dopo gli opportuni accertamenti ed in collaborazione con gli Ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri.

L'attestato deve certificare il rispetto delle tre seguenti condizioni:

a) il superamento della specifica prova attitudinale organizzata dalle competenti autorità italiane per verificare il possesso di conoscenze e competenze di livello paragonabile a quelle dei possessori del titolo di formazione relativo al diploma di laurea in odontoiatria e protesi dentaria (indicato per l'Italia all'allegato V. 5.3.2);

b) l’esercizio effettivo, lecitamente e a titolo principale in Italia, dell’attività professionale di odontoiatra, per almeno tre anni consecutivi nel corso dei cinque precedenti il rilascio dell'attestato;

c) l’autorizzazione ad esercitare o l’esercizio effettivo dell’attività professionale di odontoiatra alle stesse condizioni dei possessori del titolo di formazione relativo al diploma di laurea in odontoiatria e protesi dentaria (indicato per l'Italia all'allegato V. 5.3.2).

È dispensato dalla prova attitudinale, di cui al terzo comma, lettera a), chi abbia portato a termine studi di almeno tre anni, che il Ministero della salute, previi gli opportuni accertamenti presso il Ministero dell'università e della ricerca ed in collaborazione con gli Ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri, certifica equivalenti alla formazione dell’odontoiatra di cui all'articolo 40. Sono equiparati ai predetti soggetti coloro che hanno iniziato la formazione universitaria di medico in Italia dopo il 31 dicembre 1984, purché i tre anni di studio sopra citati abbiano avuto inizio entro il 31 dicembre 1994.

 

Per quanto concerne la rispondenza del provvedimento alle previsioni della direttiva oggetto di recepimento, si rileva che l’articolo 37, comma 1, della direttiva 2005/36/CE indica tra i paesi interessati dalla normativa sui diritti acquisiti anche la Romania, che non risulta inclusa tra i paesi elencati al suddetto articolo 42, comma 1, dello schema di decreto legislativo. 


 

 

Art. 43
(Formazione del medico veterinario)

 

 


1. Il ciclo di formazione per il conseguimento del titolo di medico veterinario verte almeno sul programma indicato nell'allegato V. 5.4.1..

 

2. La formazione di medico veterinario garantisce l'acquisizione da parte dell'interessato delle sottoelencate conoscenze e competenze:

 

a) adeguate conoscenze delle scienze sulle quali si fondano le attività di medico veterinario;

b) adeguate conoscenze della struttura e delle funzioni degli animali in buona salute, del loro allevamento, della loro riproduzione e della loro igiene in generale, come pure della loro alimentazione, compresa la tecnologia impiegata nella fabbricazione e conservazione degli alimenti rispondenti alle loro esigenze;

c) adeguate conoscenze nel settore del comportamento e della protezione degli animali;

d) adeguate conoscenze delle cause, della natura, dell'evoluzione,degli effetti, della diagnosi e della terapia delle malattie degli animali, sia individualmente che collettivamente;fra queste, una particolare conoscenza delle malattie trasmissibili all'uomo;

e) adeguate conoscenze della medicina preventiva;

f) adeguate conoscenze dell'igiene e della tecnologia per ottenere,fabbricare e immettere in commercio i prodotti alimentari animali o di origine animale destinati al consumo umano;

g) adeguate conoscenze per quanto riguarda le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative relative alle materie summenzionate;

h) un'adeguata esperienza clinica e pratica sotto opportuno controllo.


 

 

L’articolo in esame, che apre la Sezione V dedicata alla professione di veterinario, recepisce in parte le disposizioni contenute nell’articolo 38 della direttiva 2005/36/CE relative alla formazione del medico veterinario.

In particolare, il comma 1 prevede che il ciclo di formazione per il conseguimento del titolo di medico veterinario verte almeno sul programma indicato nell'allegato V. 5.4.1.

Il comma 2 dispone che la formazione di medico veterinario è garantita, oltre che da una idonea esperienza clinica e pratica sotto opportuno controllo, dall'acquisizione di adeguate conoscenze nelle seguenti materie:

·         scienze sulle quali si fondano le attività di medico veterinario;

·         struttura e funzioni degli animali in buona salute, loro allevamento, riproduzione, igiene, alimentazione, compresa la tecnologia impiegata nella fabbricazione e conservazione degli alimenti rispondenti alle loro esigenze;

·         comportamento e protezione degli animali;

·         cause, natura, evoluzione, effetti, diagnosi e terapia delle malattie degli animali, sia individualmente che collettivamente; fra queste, una particolare conoscenza deve essere riservata alle malattie trasmissibili all'uomo;

·         medicina preventiva;

·         igiene e tecnologia per ottenere, fabbricare e immettere in commercio i prodotti alimentari di origine animale destinati al consumo umano;

·         disposizioni legislative, regolamentari e amministrative relative alle materie summenzionate.

 

Si evidenzia che l’articolo in esame sembrerebbe opportuno un chiarimento in ordine alla mancata trasposizione nel testo dello schema di decreto di alcune disposizioni recate dall’articolo 38 (commi 1 e 2) della direttiva 2005/36/CE, in materia di formazione del medico veterinario.

In particolare, il comma 1 del citato articolo 38 specifica che la formazione di veterinario comprende almeno cinque anni di studi teorici e pratici a tempo pieno presso un'università, un istituto superiore di livello riconosciuto equivalente o sotto la sorveglianza di un'università.

Al comma 2, si dispone, inoltre, che l'ammissione alla formazione di veterinario è subordinata al possesso di un diploma o certificato che dia accesso, per tale studio, a istituti universitari o a istituti superiori riconosciuti da uno Stato membro come di livello equivalente ai fini dello studio in questione.


 

Art. 44
(Diritti acquisiti specifici dei medici veterinari)

 

 


Fatto salvo l'articolo 31 ai cittadini di cui all'articolo 2 comma1 i cui titoli di formazione di veterinario sono stati rilasciati in Estonia o per i quali la corrispondente formazione è iniziata in tale Stato anteriormente al 1 maggio 2004 è riconosciuto in Italia il titolo di medico veterinario se corredato di un certificato rilasciato dall'autorità competente dell'Estonia attestante che detti cittadini hanno effettivamente e lecitamente svolto l'attività professionale di medico veterinario in tale territorio per almeno cinque anni consecutivi nei sette anni precedenti il rilascio di detto certificato.


 

 

L’articolo in esame, concernente i diritti acquisiti specifici dei medici veterinari, recepisce le disposizioni contenute nell’articolo 39 della direttiva 2005/36/CE.

In particolare, fatto salvo quanto disposto sui diritti acquisiti dall'articolo 31, ai cittadini degli Stati membri, in possesso di titoli di formazione di veterinario rilasciati in Estonia o per i quali la corrispondente formazione è iniziata in tale Stato anteriormente al 1° maggio 2004, è riconosciuto in Italia il titolo di medico veterinario, se un certificato, rilasciato dall'autorità competente dell'Estonia, attesta l’effettivo e lecito svolgimento dell'attività professionale di medico veterinario in tale territorio per almeno cinque anni consecutivi nei sette anni precedenti il rilascio del certificato medesimo.

 


 

 

Art. 45
(Formazione di ostetrica)

 

 


1. La formazione di ostetrica comprende almeno una delle formazioni che seguono:

 

a) una formazione specifica a tempo pieno di ostetrica di almeno 3 anni di studi teorici e pratici (possibilità I) vertente almeno sul programma di cui all'allegato V, 5.5.1.

b) una formazione specifica a tempo pieno di ostetrica di 18 mesi (possibilità II), vertente almeno sul programma di cui all'allegato V 5.5.1 le cui materie non siano comprese in un insegnamento equivalente per la formazione di infermiere responsabile dell'assistenza generale.

L'ente incaricato della formazione delle ostetriche è responsabile del coordinamento tra teoria e pratica per tutto il programma di studi.

 

2. L'accesso alla formazione di ostetrica è subordinato a una delle condizioni che seguono:

 

a) compimento almeno dei primi dieci anni di formazione scolastica generale, per la possibilità I, o

b) possesso di un titolo di formazione d'infermiere responsabile dell'assistenza generale di cui all'allegato V, 5.5.1, per la possibilità II.

 

3. La formazione di ostetrica garantisce l'acquisizione da parte dell'interessato delle conoscenze e competenze seguenti:

 

a) un'adeguata conoscenza delle scienze che sono alla base delle attività di ostetrica, ed in special modo dell'ostetricia e della ginecologia;

b) un'adeguata conoscenza della deontologia e della legislazione professionale;

c) un'approfondita conoscenza delle funzioni biologiche, dell'anatomia e della fisiologia nei settori dell'ostetricia e del neonato, nonché una conoscenza dei rapporti tra lo stato di salute e l'ambiente fisico e sociale dell'essere umano e del suo comportamento;

d) un'adeguata esperienza clinica acquisita sotto il controllo di personale ostetrico qualificato e in istituti autorizzati;

e) la necessaria comprensione della formazione del personale sanitario e un'esperienza di collaborazione con tale personale.


 

 

L’articolo in esame, che apre la Sezione VI dedicata alla professione di ostetrica,recepisce le disposizioni contenute nell’articolo 40 della direttiva 2005/36/CE relative alla formazione di ostetrica.

In particolare, il comma 1 contempla due percorsi formativi alternativi:

a) il primo (possibilità I) prevede una formazione specifica a tempo pieno di ostetrica di almeno 3 anni di studi teorici e pratici, vertente almeno sul programma di cui all'allegato V, 5.5.1;

b) il secondo (possibilità II) comprende una formazione specifica a tempo pieno di ostetrica di 18 mesi, vertente almeno sul programma di cui all'allegato V 5.5.1, le cui materie non siano comprese in un insegnamento equivalente per la formazione di infermiere responsabile dell'assistenza generale.

L'ente incaricato della formazione delle ostetriche è responsabile del coordinamento tra teoria e pratica per tutto il programma di studi.

Il comma 2 condiziona l'accesso alla formazione di ostetrica ad una delle seguenti condizioni:

a) compimento almeno dei primi dieci anni di formazione scolastica generale, per la possibilità I;

b) possesso di un titolo di formazione d'infermiere responsabile dell'assistenza generale di cui all'allegato V, 5.5.1, per la possibilità II.

Il comma 3 elenca, ai fini della formazione di ostetrica, l'acquisizione da parte dell'interessato delle seguenti conoscenze e competenze:

a) adeguata conoscenza delle scienze che sono alla base dell’attività di ostetrica, ed in special modo l'ostetricia e la ginecologia;

b) adeguata conoscenza della deontologia e della legislazione professionale;

c) adeguata conoscenza delle funzioni biologiche, dell'anatomia e della fisiologia nei settori dell'ostetricia e del neonato, nonché dei rapporti tra lo stato di salute e l'ambiente fisico e sociale dell'essere umano e del suo comportamento;

d) esperienza clinica acquisita sotto il controllo di personale ostetrico qualificato e in istituti autorizzati;

e) comprensione della formazione del personale sanitario e una esperienza di collaborazione con tale personale.

 


 

 

Art. 46
(Condizioni per il riconoscimento del titolo di formazione di ostetrica)

 

 


1. I titoli di formazione di ostetrica di cui all'allegato V, 5.5.2, beneficiano del riconoscimento automatico ai sensi dell'articolo 30 se soddisfano uno dei seguenti requisiti:

 

a) una formazione a tempo pieno di ostetrica di almeno tre anni:

 

 

1) subordinata al possesso di un diploma, certificato o altro titolo che dia accesso agli istituti universitari o di insegnamento superiore o, in mancanza di esso, che garantisca un livello equivalente di conoscenze, oppure

2) seguita da una pratica professionale di due anni al termine della quale sia rilasciato un attestato ai sensi del paragrafo 2;

b) una formazione a tempo pieno di ostetrica di almeno due anni o 3.600 ore subordinata al possesso di un titolo di formazione d'infermiere responsabile dell'assistenza generale di cui all'allegato V, 5.2.2;

c) una formazione a tempo pieno di ostetrica di almeno 18 mesi o 3.000 ore subordinata al possesso di un titolo di formazione d'infermiere responsabile dell'assistenza generale di cui all'allegato V, 5.22 e seguita da una pratica professionale di un anno per la quale sia rilasciato un attestato ai sensi del comma 2.

 

2. L'attestato di cui al comma 1 è rilasciato dalle autorità competenti dello Stato membro d'origine e certifica che il titolare, dopo l'acquisizione del titolo di formazione di ostetrica, ha esercitato in modo soddisfacente, in un ospedale o in un istituto di cure sanitarie a tal fine autorizzato, tutte le attività di ostetrica per il periodo corrispondente.


 

 

L’articolo in esame, concernente le condizioni per il riconoscimento del titolo di formazione di ostetrica, recepisce le disposizioni contenute nell’articolo 41 della direttiva 2005/36/CE.

In particolare, il comma 1 prevede che il diploma d'ostetrica (di cui all'allegato V, 5.5.2) beneficia del riconoscimento automatico, ai sensi dell'articolo 30, se soddisfa uno dei seguenti requisiti:

a) una formazione a tempo pieno di ostetrica di almeno tre anni subordinata al possesso di un diploma, certificato o altro titolo che dia accesso agli istituti universitari o di insegnamento superiore o, in mancanza di esso, che garantisca un livello equivalente di conoscenze, oppure seguita da una pratica professionale di due anni al termine della quale sia rilasciato un attestato;

b) una formazione a tempo pieno di ostetrica di almeno due anni o 3.600 ore subordinata al possesso di un titolo di formazione d'infermiere responsabile dell'assistenza generale di cui all'allegato V, 5.2.2;

c) una formazione a tempo pieno di ostetrica di almeno 18 mesi o 3.000 ore subordinata al possesso di un titolo di formazione d'infermiere responsabile dell'assistenza generale di cui all'allegato V, 5.22, seguita da una pratica professionale di un anno per la quale sia rilasciato uno specifico attestato.

Il comma 2 prevede che gli attestati di cui al comma 1 siano rilasciati dalle autorità competenti dello Stato membro d'origine. Tali attestati certificano che il titolare, dopo l'acquisizione del titolo di formazione di ostetrica, ha esercitato in modo soddisfacente, in un ospedale o in un istituto di cure sanitarie autorizzato, tutte le attività di ostetrica per il periodo corrispondente.

 

Per quanto concerne la formulazione del testo, il comma 1, lettera a), numero 2, dell’articolo in commento fa riferimento al rilascio di “un attestato ai sensi del paragrafo 2”. Sarebbe opportuno sostituire il termine paragrafo usata dal legislatore comunitario con la dizione comma.


 

Art. 47
(Esercizio delle attività professionali di ostetrica)

 

 


1. Le disposizioni della presente sezione si applicano alle attività di ostetrica come definite dalla legislazione vigente , fatto salvo il comma 2, ed esercitate con i titoli professionali di cui all'allegato V, 5.5.2.

 

2. Le ostetriche sono autorizzate all'esercizio delle seguenti attività:

 

a) fornire una buona informazione e dare consigli per quanto concerne i problemi della pianificazione familiare;

b) accertare la gravidanza e in seguito sorvegliare la gravidanza normale, effettuare gli esami necessari al controllo dell'evoluzione della gravidanza normale;

c) prescrivere gli esami necessari per la diagnosi quanto più precoce di gravidanze a rischio;

d) predisporre programmi di preparazione dei futuri genitori ai loro compiti, assicurare la preparazione completa al parto e fornire consigli in materia di igiene e di alimentazione;

e) assistere la partoriente durante il travaglio e sorvegliare lo stato del feto nell'utero con i mezzi clinici e tecnici appropriati;

f) praticare il parto normale, quando si tratti di presentazione del vertex, compresa, se necessario, l'episiotomia e, in caso di urgenza, praticare il parto nel caso di una presentazione podalica;

g) individuare nella madre o nel bambino i segni di anomalie che richiedono l'intervento di un medico e assistere quest'ultimo in caso d'intervento; prendere i provvedimenti d'urgenza che si impongono in assenza del medico e, in particolare, l'estrazione manuale della placenta seguita eventualmente dalla revisione uterina manuale;

h) esaminare il neonato e averne cura; prendere ogni iniziativa che s'imponga in caso di necessità e, eventualmente, praticare la rianimazione immediata;

i) assistere la partoriente, sorvegliare il puerperio e dare alla madre tutti i consigli utili affinché possa allevare il neonato nel modo migliore;

j) praticare le cure prescritte da un medico;

k) redigere i necessari rapporti scritti.


 

L’articolo in esame, concernente l’esercizio delle attività professionali di ostetrica, ripropone il contenuto dell’articolo 42 della direttiva oggetto di recepimento.

In particolare, il comma 1 prevede che le disposizioni della sezione VI si applicano alle attività di ostetrica come definite dalla legislazione vigente (fatto salvo il comma 2). Tali attività sono esercitate con i titoli professionali di cui all'allegato V, 5.5.2.

Il comma 2 stabilisce che le ostetriche sono autorizzate, altresì, all'esercizio delle seguenti attività:

§         fornire una buona informazione in ordine ai problemi della pianificazione familiare;

§         accertare la gravidanza e sorvegliare la gravidanza normale;

§         prescrivere gli esami necessari per la diagnosi precoce di gravidanze a rischio;

§         predisporre programmi di preparazione dei futuri genitori, assicurare la preparazione completa al parto e fornire consigli in materia di igiene e di alimentazione;

§         assistere la partoriente durante il travaglio e sorvegliare lo stato del feto con i mezzi clinici e tecnici appropriati;

§         praticare il parto normale, compresa, se necessario, l'episiotomia e, in caso di urgenza, praticare il parto nel caso di una presentazione podalica;

§         individuare nella madre o nel bambino i segni di anomalie che richiedono l'intervento di un medico; prendere i provvedimenti d'urgenza che si impongono in assenza del medico e, in particolare, l'estrazione manuale della placenta seguita eventualmente dalla revisione uterina manuale;

§         esaminare il neonato e averne cura e prendere ogni iniziativa in caso di necessità, inclusa la rianimazione immediata;

§         assistere la partoriente, sorvegliare il puerperio e dare alla madre i consigli utili per l’allevamento del neonato;

§         praticare le cure prescritte da un medico;

§         redigere i necessari rapporti scritti.

 

 

 

 

 


 

Art. 48
(Diritti acquisiti, specifici alle ostetriche)

 

 


1. Viene riconosciuta come prova sufficiente per i cittadini degli altri Stati membri dell' Unione europea, i cui titoli di formazione in ostetricia soddisfano tutti i requisiti minimi di formazione di cui all'articolo 45 ma, ai sensi dell'articolo 46, sono riconoscibili solo se accompagnati dall'attestato di pratica professionale di cui al suddetto articolo 46, comma 2, i titoli di formazione rilasciati dagli Stati membri prima della data di riferimento di cui all'allegato V, 5.5.2, accompagnati da un attestato che certifichi l'effettivo e lecito esercizio da parte di questi cittadini delle attività in questione per almeno due anni consecutivi nei cinque che precedono il rilascio dell'attestato.

 

2. Le condizioni di cui al comma1 si applicano ai cittadini degli Stati membri i cui titoli di formazione in ostetricia sanciscono una formazione acquisita sul territorio della ex Repubblica democratica tedesca e che soddisfa tutti i requisiti minimi di formazione di cui all'articolo 45 ma, ai sensi dell'articolo 46, sono riconoscibili solo se accompagnati dall'attestato di pratica professionale di cui all'articolo 46, paragrafo 2, se sanciscono una formazione iniziata prima del 3 ottobre 1990.

 

3. Per quanto riguarda i titoli polacchi di formazione in ostetricia, si applicano solo le seguenti disposizioni relative ai diritti acquisiti.

Per i cittadini degli Stati membri i cui titoli di formazione in ostetricia sono stati rilasciati o la cui corrispondente formazione è iniziata in Polonia anteriormente al 1° maggio 2004 e che non soddisfano i requisiti minimi di formazione di cui all'articolo 40, gli Stati membri riconoscono i seguenti titoli di formazione in ostetricia se corredati di un certificato il quale dimostri l'effettivo e lecito esercizio da parte dei cittadini di tale Stato membro delle attività di ostetrica per il periodo di seguito specificato:

 

a) titolo di formazione di grado licenza in ostetricia (dyplom licencjata poloznictwa): almeno tre anni consecutivi nei cinque anni precedenti il rilascio del certificato,

b) titolo di formazione di grado diploma in ostetricia che certifichi il compimento di un ciclo di istruzione post-secondaria, ottenuto da una scuola professionale medica (dyplom polonej): almeno cinque anni consecutivi nei sette anni precedenti il rilascio del certificato.

 

4. Vengono riconosciuti i titoli di ostetrica rilasciati in Polonia ad ostetriche che hanno completato la corrispondente formazione anteriormente al 1° maggio 2004, che non soddisfa i requisiti minimi di formazione di cui all'articolo 40, sancita dal titolo di «licenza di ostetrica» ottenuto sulla base di uno speciale programma di rivalorizzazione di cui all'articolo 11 della legge del 20 aprile 2004 che modifica la legge sulle professioni di infermiere e ostetrica e taluni altri atti giuridici (Gazzetta ufficiale della Repubblica di Polonia del 30 aprile 2004 n. 92, pag. 885) e al regolamento del Ministro della sanità dell'11 maggio 2004 sulle condizioni dettagliate riguardanti i corsi impartiti agli infermieri e alle ostetriche, che sono titolari di un certificato di scuola secondaria (esame finale - maturità) e che hanno conseguito un diploma di infermiere e di ostetrica presso un liceo medico o una scuola professionale medica (Gazzetta ufficiale della Repubblica di Polonia del 13 maggio 2004 n. 110, pag. 1170), allo scopo di verificare che gli interessati sono in possesso di un livello di conoscenze e di competenze paragonabile a quello delle ostetriche in possesso delle qualifiche che, per quanto riguarda la Polonia, sono definite nell'allegato V, 5.5.2.


 

 

L’articolo in esame reca disposizioni per il riconoscimento dei diritti acquisiti, specifici alle ostetriche, recependo le disposizioni contenute nell’articolo 43 della direttiva 2005/36/CE.

In particolare, il comma 1 stabilisce che per i cittadini, i cui titoli di formazione soddisfano i requisiti minimi, ma sono riconoscibili solo se accompagnati dall’attestato di pratica professionale di cui all’articolo 46, comma 2, costituisce prova sufficiente il possesso dei titoli di formazione rilasciati dagli Stati membri, prima della data di riferimento di cui all'allegato V, 5.5.2, accompagnati da un attestato che certifichi l’esercizio delle attività professionali in questione per almeno due anni consecutivi nei cinque che precedono il rilascio dell'attestato.

In analogia a quanto disposto dal comma 1, il comma 2 prevede il riconoscimento dei titoli di formazione in ostetricia nei confronti dei cittadini degli Stati membri i cui titoli sanciscono una formazione acquisita sul territorio della ex Repubblica democratica tedesca, che soddisfa tutti i requisiti minimi di formazione, ma necessita dell’attestato di pratica professionale di cui all’articolo 46, comma 2. Tale riconoscimento opera se la formazione è iniziata prima del 3 ottobre 1990.

Il comma 3 stabilisce, per quanto riguarda i titoli polacchi di formazione in ostetricia, che devono essere applicate unicamente le disposizioni relative ai diritti acquisiti ivi indicate.

In particolare, per i cittadini degli Stati membri i cui titoli di formazione in ostetricia sono stati rilasciati o la cui corrispondente formazione è iniziata in Polonia anteriormente al 1° maggio 2004 e che non soddisfano i requisiti minimi di formazione di cui all'articolo 45, gli Stati membri riconoscono i seguenti titoli di formazione in ostetricia se corredati di un certificato il quale dimostri l'effettivo e lecito esercizio da parte dei cittadini di tale Stato membro delle attività di ostetrica per il periodo di seguito specificato:

o        grado licenza in ostetricia: almeno tre anni consecutivi nei cinque anni precedenti il rilascio del certificato;

o        grado diploma in ostetricia che certifichi il compimento di un ciclo di istruzione post-secondaria, ottenuto da una scuola professionale medica: almeno cinque anni consecutivi nei sette anni precedenti il rilascio del certificato.

Il comma 4 stabilisce che gli Stati membri riconoscono i titoli di ostetrica rilasciati in Polonia, che non soddisfano i requisiti minimi di formazione di cui all'articolo 45, ad ostetriche che hanno conseguito anteriormente al 1° maggio 2004 il titolo di “licenza di ostetrica” all’esito di uno speciale programma di rivalorizzazione, allo scopo di verificare il possesso dello stesso livello di conoscenze e di competenze paragonabile a quello delle ostetriche in possesso delle qualifiche che, per quanto riguarda la Polonia, sono definite nell'allegato V, 5.5.2.

 

Con riferimento alla formulazione dei commi 3 e 4 dell’articolo 48 in esame, si segnala che i requisiti minimi di formazione delle ostetriche non sono contenuti nell’articolo 40 dello schema di decreto legislativo in esame, bensì nell’articolo 45 dello stesso decreto.

Si evidenzia, inoltre, che la direttiva 2005/36/CE reca l’articolo 43-bis[31], concernente il titolo rumeno di ostetrica, le cui disposizioni non sembrano recepite dallo schema di decreto in commento.


 

Art. 49
(Formazione di farmacista)

 

 


1. La formazione di farmacista garantisce l'acquisizione da parte dell'interessato delle sottoelencate conoscenze e competenze:

 

a) un'adeguata conoscenza dei medicinali e delle sostanze utilizzate per la loro fabbricazione;

b) un'adeguata conoscenza della tecnologia farmaceutica e del controllo fisico, chimico, biologico e microbiologico dei medicinali;

c) un'adeguata conoscenza del metabolismo e degli effetti dei medicinali, nonché dell'azione delle sostanze tossiche e dell'utilizzazione dei medicinali stessi;

d) un'adeguata conoscenza che consenta di valutare i dati scientifici concernenti i medicinali in modo da potere su tale base fornire le informazioni appropriate;

e) un'adeguata conoscenza delle norme e delle condizioni che disciplinano l'esercizio delle attività farmaceutiche.


 

 

L’articolo in esame, collocato nella sezione VII, reca norme per la formazione di farmacista, recependo parzialmente le disposizioni contenute nell’articolo 44 della direttiva 2005/36/CE.

In particolare, la normastabilisce che la formazione di farmacista prevede l'acquisizione delle seguenti conoscenze e competenze concernenti:

a) i medicinali e le sostanze utilizzate per la loro fabbricazione;

b) la tecnologia farmaceutica ed il controllo fisico, chimico, biologico e microbiologico dei medicinali;

c) il metabolismo e gli effetti dei medicinali, nonché l'azione delle sostanze tossiche e l'utilizzazione dei medicinali stessi;

d) la valutazione di dati scientifici concernenti i medicinali in modo da potere su tale base fornire le informazioni appropriate;

e) le norme e le condizioni che disciplinano l'esercizio delle attività farmaceutiche.

 

Si evidenzia che l’articolo 44 della direttiva 2005/36/CE in esame prevede, altresì, al comma 1, ai fini dell'ammissione alla formazione di farmacista, il possesso di un diploma o certificato, che dia accesso, per tale studio, a istituti universitari o a istituti superiori di livello riconosciuto equivalente, in uno Stato membro.

Al comma 2 dello stesso articolo 44 è stabilito, inoltre, che il titolo di formazione di farmacista prevede una formazione della durata di almeno cinque anni, di cui almeno: a) quattro anni d'insegnamento teorico e pratico a tempo pieno in un'università, un istituto superiore di livello riconosciuto equivalente o sotto la sorveglianza di un'università; b) sei mesi di tirocinio in una farmacia aperta al pubblico o in un ospedale sotto la sorveglianza del servizio farmaceutico di quest'ultimo.

Tale ciclo di formazione verte almeno sul programma di cui all'allegato V, 5.6.1.

 


 

Art. 50
(Esercizio delle attività professionali di farmacista)

 

 


1. I titolari del titolo di formazione universitaria di farmacista, corredato del diploma di abilitazione all'esercizio della professione di cui allegato V. 5.6.2 che soddisfi le condizioni di formazione di cui all'articolo 49 del presente decreto legislativo, sono autorizzati ad accedere e ad esercitare almeno le sottoelencate attività, fermo restando le disposizioni che prevedono, nell'ordinamento nazionale, ulteriori requisiti per l'esercizio delle stesse:

 

a) preparazione della forma farmaceutica dei medicinali;

b) fabbricazione e controllo dei medicinali;

c) controllo dei medicinali in un laboratorio di controllo dei medicinali;

d) immagazzinamento, conservazione e distribuzione dei medicinali nella fase di commercio all'ingrosso;

e) preparazione, controllo, immagazzinamento e distribuzione dei medicinali nelle farmacie aperte al pubblico;

f) preparazione, controllo, immagazzinamento e distribuzione dei medicinali negli ospedali;

g) diffusione di informazioni e consigli nel settore dei medicinali.


 

 

L’articolo in esame, concernente l’esercizio delle attività professionali di farmacista, recepisce parzialmente le disposizioni contenute nell’articolo 45 della direttiva 2005/36/CE.

In particolare, la norma prevede che i possessori del titolo di formazione universitaria di farmacista, corredato del diploma di abilitazione all'esercizio della professione di cui allegato V. 5.6.2, che soddisfi le condizioni di formazione di cui all'articolo 49 dello schema di decreto in esame, sono autorizzati ad esercitare almeno le sottoelencate attività, ferme restando le disposizioni che prevedono, nell'ordinamento nazionale, ulteriori requisiti per l'esercizio delle stesse:

·         preparazione della forma farmaceutica dei medicinali;

·         fabbricazione e controllo dei medicinali;

·         controllo dei medicinali in un laboratorio di controllo dei medicinali;

·         immagazzinamento, conservazione e distribuzione dei medicinali nella fase di commercio all'ingrosso;

·         preparazione, controllo, immagazzinamento e distribuzione dei medicinali nelle farmacie aperte al pubblico;

·         preparazione, controllo, immagazzinamento e distribuzione dei medicinali negli ospedali;

·         diffusione di informazioni e consigli nel settore dei medicinali

Si evidenzia che l’articolo 45 (commi 3, 4 e 5) della direttiva 2005/36/CE contempla altre disposizioni, che non sembrano trasposte nello schema di decreto.

Al comma 3, si precisa che se, in uno Stato membro, l'accesso all'attività di farmacista o il suo esercizio è subordinato al requisito di un'esperienza professionale complementare, oltre al possesso di un titolo di formazione di cui all'allegato V, punto 5.6.2, tale Stato riconosce come prova sufficiente al riguardo un attestato rilasciato dalle competenti autorità dello Stato membro d'origine che certifica che l'interessato ha esercitato la suddetta attività nello Stato membro d'origine per un periodo di tempo equivalente (comma 3).

Il suddetto riconoscimento non si applica per quanto concerne l'esperienza professionale di due anni richiesta dal Granducato del Lussemburgo per il rilascio di una concessione statale di farmacia aperta al pubblico (comma 4).

Infine, qualora alla data del 16 settembre 1985 in uno Stato membro esisteva un concorso per esami per scegliere, fra i titolari di un titolo di formazione di farmacista, coloro che sarebbero divenuti i titolari delle nuove farmacie, tale Stato membro può mantenere il concorso e sottoporre ad esso i cittadini degli Stati membri in possesso di uno dei titoli di formazione di farmacista di cui all'allegato V, punto 5.6.2 o che beneficiano del disposto riguardante i diritti acquisiti (comma 5).

 


 

 

Art. 51
(Formazione di architetto)

 

 


1. La formazione di architetto comprende almeno quattro anni di studi a tempo pieno oppure sei anni di studi, di cui almeno tre a tempo pieno, in un'università o un istituto di insegnamento comparabile. Tale formazione deve essere sancita dal superamento di un esame di livello universitario.

Questo insegnamento di livello universitario il cui elemento principale è l'architettura, deve mantenere un equilibrio tra gli aspetti teorici e pratici della formazione in architettura e garantire l'acquisizione delle seguenti conoscenze e competenze:

 

a) capacità di creare progetti architettonici che soddisfino le esigenze estetiche e tecniche;

b) adeguata conoscenza della storia e delle teorie dell'architettura nonché delle arti, tecnologie e scienze umane ad essa attinenti;

c) conoscenza delle belle arti in quanto fattori che possono influire sulla qualità della concezione architettonica;

d) adeguata conoscenza in materia di urbanistica, pianificazione e tecniche applicate nel processo di pianificazione;

e) capacità di cogliere i rapporti tra uomo e opere architettoniche e tra opere architettoniche e il loro ambiente, nonché la capacità di cogliere la necessità di adeguare tra loro opere architettoniche e spazi, in funzione dei bisogni e della misura dell'uomo;

f) capacità di capire l'importanza della professione e delle funzioni dell'architetto nella società, in particolare elaborando progetti che tengano conto dei fattori sociali;

g) conoscenza dei metodi d'indagine e di preparazione del progetto di costruzione;

h) conoscenza dei problemi di concezione strutturale, di costruzione e di ingegneria civile connessi con la progettazione degli edifici;

i) conoscenza adeguata dei problemi fisici e delle tecnologie nonché della funzione degli edifici, in modo da renderli internamente confortevoli e proteggerli dai fattori climatici;

j) capacità tecnica che consenta di progettare edifici che rispondano alle esigenze degli utenti, nei limiti imposti dal fattore costo e dai regolamenti in materia di costruzione;

k) conoscenza adeguata delle industrie, organizzazioni, regolamentazioni e procedure necessarie per realizzare progetti di edifici e per l'integrazione dei piani nella pianificazione generale.

 


 

 

L’articolo 51, che aprela sezione VIII del Capo IV del Titolo III dello schema di decreto legislativo, riproduce quasi integralmente le disposizioni contenute nell’articolo 46 della direttiva 2005/36/CE, riguardante le condizioni minime previste per la formazione di architetto.

 

La sezione VIII del Capo IV del Titolo III dello schema di decreto legislativo regola le condizioni per il riconoscimento sulla base del coordinamento delle disposizioni minime di formazione applicabili alla professione di architetto, attualmente disciplinati dal D.Lgs. n. 129 del 1992[32] e successive modificazioni, con cui è stata recepita nel nostro ordinamento la direttiva 85/384/CEE[33](c.d. direttiva architetti). Per una sintesi del quadro normativo vigente, si rinvia al commento dell’articolo 30 dello schema di decreto in esame.

 

In particolare, il comma 1 richiede ai fini del riconoscimento quattro anni di studi a tempo pieno (o, in alternativa, sei anni, di cui almeno tre a tempo pieno) in una università ovvero in un istituto di insegnamento comparabile. Tale formazione deve essere certificata dal superamento di un esame di livello universitario.

Il corso di livello universitario deve comunque mantenere un equilibrio tra aspetti teorici e aspetti pratici della formazione in architettura, nonché garantire l’acquisizione di una serie di conoscenze e competenze, che la disposizione in commento raccoglie in un elenco di obiettivi formativi, tra cui, si distinguono:

a) capacità di creare progetti architettonici che soddisfino le esigenze estetiche e tecniche;

b) adeguata conoscenza della storia e delle teorie dell’architettura nonché delle arti, tecnologie e scienze umane ad esse attinenti;

c) adeguata conoscenza in materia di urbanistica, pianificazione e tecniche applicate al processo di pianificazione;

d) conoscenza dei problemi di concezione strutturale, di costruzione e di ingegneria civile connessi con la progettazione degli edifici;

e) conoscenza adeguata delle industrie, organizzazioni, regolamentazioni e procedure necessarie per realizzare progetti di edifici e per l’integrazione dei piani nella pianificazione generale.

 

Si osserva in merito che per quanto riguarda sia la durata, sia i requisiti del ciclo di formazione, non vi sono innovazioni rispetto a quanto già previsto dalla direttiva 85/384/CEE (articoli 3 e 4), nonché dal D. Lgs. n. 129/1992 (articolo 2).

Si ricorda, inoltre, che l’elenco dei titoli rilasciati dagli Stati membri soggetti a riconoscimento automatico è contenuto nell’allegato V, punto 5.7.1. della direttiva 2005/36/CE.

 


 

Art. 52
(Deroghe alle condizioni della formazione di architetto)

 

 


1. In deroga all'articolo 51, è riconosciuta soddisfare l'articolo 30 anche la formazione impartita in tre anni dalle Fachhochschulen della Repubblica federale di Germania, in vigore al 5 agosto 1985, che soddisfa i requisiti di cui all'articolo 46 e che dà accesso alle attività di cui all'articolo 53 in tale Stato Membro con il titolo professionale di architetto, purché la formazione sia completata da un periodo di esperienza professionale di quattro anni, nella Repubblica federale di Germania, attestato da un certificato rilasciato dall'ordine professionale cui è iscritto l'architetto che desidera beneficiare delle disposizioni della presente direttiva.

L'ordine professionale deve preventivamente stabilire che i lavori compiuti dall'architetto interessato in campo architettonico sono applicazioni che provano il possesso di tutte le conoscenze e competenze di cui all'articolo 51, comma 1. Il certificato è rilasciato con la stessa procedura che si applica all'iscrizione all'ordine professionale.

 

2. In deroga all'articolo 51, è riconosciuta soddisfare l'articolo 30 anche la formazione acquisita nel quadro della promozione sociale o di studi universitari a tempo parziale, anche la formazione, che soddisfa i requisiti dell'articolo 51, sancita dal superamento di un esame in architettura da parte di chi lavori da sette anni o più nel settore dell'architettura sotto il controllo di un architetto o di un ufficio di architetti. L'esame deve essere di livello universitario ed equivalente a quello di fine di studi di cui all'articolo 51 comma 1.

 


 

 

L’articolo 52 prevede due deroghe ai requisiti per la formazione di architetto, stabiliti in via generale dall’articolo 51 e necessari ai fini del riconoscimento reciproco.

La prima riguarda i titoli rilasciati dalle “Fachhochschulen” della Repubblica federale di Germania, sulla base di una formazione triennale che è ritenuta capace di soddisfare i requisiti previsti dall’articolo 51 e di dare accesso alla professione di architetto in tale Stato. Ai fini dell’equivalenza è altresì necessario che la formazione sia completata da un periodo di esperienza professionale di quattro anni, svolto nella Repubblica federale di Germania e certificato da apposita attestazione del relativo ordine professionale (comma 1)[34]. Ai fini del rilascio del certificato, lo stesso ordine deve verificare in via preventiva che i lavori compiuti dall’architetto interessato diano prova dell’acquisizione di tutte le conoscenze e le competenze di cui all’articolo 51.

Si osserva che nel corpo del testo è contenuto erroneamente un rinvio all’articolo 46 (Condizioni per il riconoscimento del titolo di formazione di ostetrica) piuttosto che all’articolo 51 (Formazione di architetto).

 

La seconda deroga è prevista dal comma 2, il quale sancisce il riconoscimento di formazioni professionali acquisite nell’ambito di un sistema di promozione sociale o di studi universitari a tempo parziale, convalidate da un esame di architettura di livello universitario, superato da persone che lavorano da almeno sette anni nel settore dell’architettura sotto la sorveglianza di un architetto.

 

La disposizione in commento dà piena attuazione dell’articolo 47 della direttiva 2005/36/CE. In ogni caso, si ricorda che entrambe le deroghe sono contemplate nel d. lgs. n. 129/1992 (articolo 2, comma 2-ter e 2-quinquies-bis), in attuazione della direttiva 85/384/CEE, come modificata dalla direttiva 2001/19/CE (articoli 4 e 6).

 

Si osserva che nel comma 1 dell’articolo in esame  è contenuto erroneamente un rinvio all’articolo 46 (Condizioni per il riconoscimento del titolo di formazione di ostetrica) piuttosto che all’articolo 51 (Formazione di architetto).

 

 

 


 

 

Art. 53
(Esercizio dell'attività)

 


1. Il riconoscimento attribuisce ai diplomi, certificati ed altri titoli, la stessa efficacia dei diplomi rilasciati dallo Stato italiano per l'accesso all'attività nel settore dell'architettura e per il suo esercizio con il titolo professionale di architetto.

 

2. Il riconoscimento attribuisce il diritto di far uso del titolo di architetto secondo la legge italiana e consente di far uso del titolo riconosciuto e della relativa abbreviazione, secondo la legge dello Stato membro di origine o di provenienza e nella lingua di questi.


 

L’articolo 53 specifica gli effetti del riconoscimento dei titoli di formazione di architetto.

In particolare, il comma 1 dispone che i diplomi, i certificati e gli altri titoli riconosciuti hanno la stessa efficacia dei diplomi rilasciati dallo Stato italiano ai fini dell’accesso all’attività professionale nel settore dell’architettura e del suo esercizio con il titolo di architetto.

Il comma 2 stabilisce inoltre che il riconoscimento, da un lato, attribuisce il diritto di valersi del titolo di architetto conformemente alla normativa nazionale, nonché consente, dall’altro, di utilizzare il titolo riconosciuto (e la relativa abbreviazione) secondo il diritto dello Stato membro di origine o provenienza e nella relativa lingua.

 

 

 

 

 


 

 

Art. 54
(Diritti acquisiti specifici degli architetti)

 


1. I titoli di formazione di architetto, di cui all'allegato VI, punto 6, rilasciati dagli Stati Membri, che sanciscono una formazione iniziata entro l'anno accademico di riferimento di cui al suddetto allegato, anche se non soddisfano i requisiti minimi di cui all'articolo 46, attribuendo loro ai fini dell'accesso e dell'esercizio delle attività professionali di architetto, lo stesso effetto sul suo territorio dei titoli di formazione di architetto che esso rilascia.

 

2. Sono riconosciuti gli attestati delle autorità competenti della Repubblica federale di Germania che sanciscono la rispettiva equivalenza tra i titoli di formazione rilasciati a partire dell'8 maggio 1945 dalle autorità competenti della Repubblica democratica tedesca e quelli al suddetto allegato.


 

 

L’articolo 54, che recepisce l’articolo 49, comma 1, della direttiva 2005/36/CE, riconosce alcuni diritti acquisiti in capo agli architetti che abbiano determinati titoli di formazione.

In particolare, il comma 1 precisa che l’Italia riconosce i titoli di formazione di architetto - appositamente elencati nell’allegato VI, punto 6 – rilasciati da altri Stati membri che sanciscono una formazione iniziata entro l’anno accademico di riferimento di cui all’allegato citato, ancorché tali titoli possano non soddisfare i requisiti formativi di cui all’articolo 51. A tali titoli è attribuito lo stesso effetto dei titoli di formazione di architetto rilasciati nel territorio italiano, ai fini dell’accesso e dell’esercizio dell’attività professionale.

Ai sensi del comma 2 sono altresì riconosciuti gli attestati delle autorità competenti della Repubblica federale di Germania che sanciscono la rispettiva equivalenza tra i titoli di formazione rilasciati a partire dall’8 maggio 1945 dalle autorità competenti della Repubblica democratica tedesca e quelli al suddetto allegato.

 

Per quanto concerne la corrispondenza del provvedimento alle disposizioni della direttiva oggetto di recepimento, si rileva che l’articolo 49, comma 2, della direttiva 2005/36/CE indica ulteriori titoli volti a garantire il riconoscimento di diritti acquisiti, che tuttavia non risultano inclusi nell’articolo in commento.

In relazione alla formulazione del testo, si osserva che nel comma 1 è contenuto erroneamente un rinvio all’articolo 46 (Condizioni per il riconoscimento del titolo di formazione di ostetrica) piuttosto che all’articolo 51 (Formazione di architetto).

 

Per quanto concerne la corrispondenza del provvedimento alle disposizioni della direttiva oggetto di recepimento, si rileva che l’articolo 49, comma 2, della direttiva 2005/36/CE indica ulteriori titoli volti a garantire il riconoscimento di diritti acquisiti, che tuttavia non risultano inclusi nell’articolo 54 dello schema di decreto legislativo.

In relazione alla formulazione del testo, si osserva che nel comma 1 dell’articolo 54 è contenuto erroneamente un rinvio all’articolo 46 (Condizioni per il riconoscimento del titolo di formazione di ostetrica) piuttosto che all’articolo 51 (Formazione di architetto).

 

 

 


 

Art. 55
(Esercizio della professione di architetto in altri Stati membri)

 


1. Ai fini del riconoscimento in altri Stati dell'Unione europea o negli altri Stati aderenti all'Accordo sullo spazio economico europeo, il Ministero dell'università e della ricerca certifica il valore abilitante all'esercizio della professione dei titoli conseguiti in Italia.


 

 

L’articolo 55 attribuisce al Ministero dell’università e della ricerca le competenze relative alla certificazione del valore abilitante all’esercizio della professione di architetto dei titoli conseguiti in Italia. L’attestazione è funzionale a consentire il riconoscimento dei titoli medesimi ai fini dell’esercizio della professione in altri Stati dell’Unione europea o negli Stati aderenti all’Accordo sullo spazio economico europeo.

 

La disposizione in commento riproduce il testo dell’attuale articolo 9-bis del d.lgs. n. 129/1992. Sul punto, si ricorda che l’estensione dell’ambito applicativo delle norme sul riconoscimento agli Stati aderenti all’Accordo sullo spazio economico europeo è stata introdotta nella normativa nazionale con l’articolo 16 della legge 3 febbraio 2003, n. 14 (legge comunitaria 2002).

 

 

 


 

Art. 56
(Servizi di informazione)

 


1. I Consigli dell'ordine degli architetti, in collaborazione con il Consiglio nazionale dell'ordine degli architetti, forniscono agli interessati le necessarie informazioni sulla legislazione e deontologia professionale.

2. Gli ordini possono attivare corsi, con oneri a carico degli interessati, per fornire loro le conoscenze linguistiche necessarie all'esercizio dell'attività professionale.


 

 

L’articolo 56 prescrive alcuni obblighi in capo ai Consigli dell’ordine degli architetti, in collaborazione con il Consiglio nazionale, al fine della predisposizione di servizi di informazione nei confronti dei soggetti interessati al riconoscimento e all’esercizio della professione in Italia.

In particolare, i Consigli devono fornire le informazioni sulla legislazione e deontologia professionale, nonché possono attivare corsi di lingua, con oneri a carico degli interessati, per consentire l’acquisizione delle competenze necessarie all’esercizio dell’attività professionale.

 

Al riguardo, si ricorda che, più in generale, l’articolo 5 dello schema di decreto in esame attribuisce al Dipartimento per il coordinamento delle politiche comunitarie della Presidenza del Consiglio dei ministri le funzioni di Punto nazionale di contatto, per la diffusione di ogni informazione utile ad assicurare l'applicazione del decreto, in particolare quelle relative alle condizioni d'accesso alle professioni regolamentate. La stessa disposizione prevede altresì la possibilità di istituire punti di contatto volti a garantire informazioni di maggiore dettaglio sulle singole professioni.

 

 

 

 

 


 

 

Art. 57
(Regolamento)

 


1. Con decreto del Ministro dell'università e della ricerca scientifica e tecnologica, di concerto con il Ministro della giustizia, da emanarsi entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo, ai sensi dell'art. 17, commi 3 e 4, legge 23 agosto 1988, n. 400, saranno emanate ulteriori norme ad integrazione della disciplina dei procedimenti di riconoscimento e di iscrizione all'albo od al registro e sulla tenuta di questo.


 

 

L’articolo 57 rinvia a successivi regolamenti ministeriali la definizione di ulteriori norme concernenti la disciplina dei procedimenti di riconoscimento, l’iscrizione all’albo o al registro e la tenuta di questi. I regolamenti saranno adottati con decreto del Ministro dell’università e della ricerca, di concerto con il Ministro della giustizia, da emanare entro sei mesi dall’entrata in vigore del decreto legislativo.

 

Si ricorda che, nel quadro normativo vigente, le norme integrative della disciplina dei procedimenti di riconoscimento ed iscrizione all’albo degli architetti sono contenute nel D.M. 10 giugno 1994, n. 776[35], adottato in attuazione dell’articolo 12 del D. lgs. 27 gennaio 1992, n. 129.

 


Art. 58
(Libera prestazione di servizi per l'attività di guida turistica e di accompagnatore turistico)

 


1. Con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, sentito il Ministro per le politiche europee, d'intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano e secondo le modalità di cui all'articolo 2, comma 4, della legge 29 marzo 2001 n. 135, possono essere adottati, nel rispetto del diritto comunitario e dell'articolo 9, coma 3, del presente decreto, criteri per rendere uniformi le valutazioni ai fini della verifica della occasionalità e della temporaneità delle prestazioni professionali per l'attività di guida turistica e di accompagnatore turistico.


 

 

L'articolo 58 attribuisce ad un apposito decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, sentito il Ministro per le politiche europee, d'intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, il compito di definire criteri per rendere uniformi le valutazioni ai fini della verifica della occasionalità e della temporaneità delle prestazioni professionali per l'attività di guida turistica e di accompagnatore turistico.

 

In relazione alle professioni di guida e accompagnatore turistico, oggetto dell'articolo in esame, si segnala che è recentemente intervenuta la legge n. 40 del 2007, di conversione del decreto legge n. 7 del 2007, la quale al comma 4 dell'articolo 10 ha previsto:

il venir meno dell’obbligo di autorizzazione preventiva allo svolgimento dell’attività, di rispetto dei parametri numerici e di requisiti di residenza;

§       la riconferma dell’obbligo del possesso di requisiti di qualificazione professionale;

§       che l’esercizio dell’attività è consentito ai laureati in lettere con indirizzo in storia dell’arte o archeologia o titolo equipollente e non è subordinato allo svolgimento di un esame abilitante o di altre prove selettive. Con riferimento a detti soggetti è tuttavia consentita la verifica delle relative conoscenze linguistiche qualora non siano state oggetto del corso di studi.

In relazione alle citate modifiche si ricorda che l’articolo 7 della legge 29 marzo 2001, n. 135 (Riforma della legislazione nazionale del turismo", c.d. Legge quadro del turismo) con riguardo alle professioni turistiche (ossia relative all’organizzazione e alla fornitura di servizi di promozione dell’attività turistica, nonché ai servizi di assistenza, accoglienza, accompagnamento e guida dei turisti) stabiliva che il relativo esercizio fosse subordinato ad un’apposita autorizzazione valida sull’intero territorio nazionale (fatta eccezione per le guide turistiche), rilasciata dalla regione.


Art. 59
(Abrogazioni)

 


1. A far data dall'entrata in vigore del presente decreto, è abrogato il comma 5 dell'articolo 201 del decreto legislativo 10 febbraio 2005 n. 30 recante codice della proprietà industriale.

 

2. A far data dall'entrata in vigore del presente decreto sono abrogati il decreto legislativo 17 gennaio 1992 n. 115, il decreto legislativo 2 maggio 1994 n. 319, il decreto legislativo 30 giugno 2003 n. 196.

 

3. Il riferimento ai decreti legislativi 27 gennaio1992 n.115, 2 maggio 1994 n.319, contenuto nell'articolo 49 comma 2 del D.P. R. 31 agosto 1999 n.394 si intende fatto al titolo III del presente decreto; tuttavia resta attribuito all'autorità competente di cui all'articolo 5 la scelta della eventuale misura compensativa da applicare al richiedente.


 

 

 

L’articolo 59 reca una serie di norme abrogative e di coordinamento normativo.

Il comma 1 dispone l’abrogazione dell’articolo 201, comma 5, del decreto legislativo n.30/2005, in quanto recante norme in contrasto con i principi di libera prestazione di servizi a livello comunitario.

L’articolo 201 del decreto legislativo 10 febbraio 2005, n.30, recante il Codice della proprietà industriale, disciplina la rappresentanza nelle procedure di acquisto e mantenimento dei diritti di proprietà industriale. In particolare, il comma 5 prevede che il mandato può essere conferito unicamente a cittadini UE in possesso di una qualifica professionale corrispondente a quella dei mandatari in materia di brevetti e marchi iscritti all’Albo italiano dei consulenti in proprietà industriale, riconosciuta ufficialmente nello Stato membro dell'Unione europea ove essi hanno il loro domicilio professionale, a condizione che nell'attività svolta il mandatario utilizzi esclusivamente il titolo professionale dello Stato membro in cui risiede, espresso nella lingua originale, e che l'attività di rappresentanza dei propri mandanti sia prestata esclusivamente a titolo temporaneo. Il mandatario invia la documentazione, comprovante il possesso della qualifica nel proprio Stato membro, all'Ufficio e al Consiglio dell'ordine, cui spetta l'attività di controllo del rispetto delle condizioni per l'esercizio dell'attività di rappresentanza professionale previste in questo articolo.

Il comma 2 dispone, in primo luogo, l’abrogazione del decreto legislativo 17 gennaio 1992, n.115 e del decreto legislativo 2 maggio 1994, n.319, le cui disposizioni risultano trasfuse nello schema di decreto in esame.

Tali provvedimenti regolano le professioni alle quali si applica un sistema generale di riconoscimento dei titoli che comprende i diplomi di istruzione universitaria della durata minima di tre anni ed i titoli professionali conseguiti al termine di un ciclo di studio post-secondario inferiore a tre anni ma superiore ad uno.

Infatti, laDirettiva 89/48/CE del 1988, recepita in Italia dal D.Lgs. 27 gennaio 1992, n. 115, ha inizialmente disposto il riconoscimento dei diplomi di istruzione superiore che sanzionano formazioni professionali della durata minima di tre anni; in seguito, la direttiva 92/51/CE, recepita con. D.Lgs. 2 maggio 1994, n. 319,ha integrato la precedente, al fine di eliminare gli ostacoli all’accesso alle professioni regolamentate ed al loro esercizio, prescrivendo il riconoscimento dei titoli professionali che implicano un iter di studio post-secondario inferiore a tre anni ma superiore ad uno.

 

La disposizione prevede, inoltre, l’abrogazione integrale del decreto legislativo 30 giugno 2003, n.196, recante il Codice in materia di protezione dei dati personali.

 

In relazione alla abrogazione in esame, si osserva che tale disposizione è del tutto estranea alla materia in esame e probabilmente frutto di un refuso nella stesura del testo. Appare, pertanto, necessario verificare il corretto riferimento normativo  

 

Il comma 3 reca una disposizione di coordinamento normativo, attualizzando i rinvii alla normativa vigente in materia di riconoscimento dei titoli (abrogata dal precedente comma 2) contenuti nel DPR n.394/1994.

 

L’articolo 49 del DPR 31 agosto 1994, n.394 (Regolamento di attuazione del Testo unico in materia di immigrazione) prevede che i cittadini stranieri, regolarmente soggiornanti in Italia che intendono iscriversi agli ordini, collegi ed elenchi speciali istituiti presso le amministrazioni competenti, se in possesso di un titolo abilitante all'esercizio di una professione, conseguito in un Paese non appartenente all'Unione europea, possono richiederne il riconoscimento ai fini dell'esercizio in Italia, come lavoratori autonomi o dipendenti, delle professioni corrispondenti. In particolare, il comma 2 dispone il rinvio alla normativa vigente in materia, prevedendo che per le procedure di riconoscimento dei titoli si applicano le disposizioni del decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 115, e decreto legislativo 2 maggio 1994, n. 319, compatibilmente con la natura, la composizione e la durata della formazione professionale conseguita.

 

Si fa presente che il rinvio alla normativa vigente andrebbe attualizzato anche al comma 3 dell’articolo 49, in quanto anche tale disposizione rinvia ai decreti legislativi n.115/1992 e n.319/1994 oggetto di abrogazione[36].

 


 

 

Art. 60
(Clausola di invarianza finanziaria)

 


1. Dall'attuazione del presente decreto non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

 

2. Alle misure ed attività previste dal presente decreto i soggetti pubblici interessati provvedono con le risorse finanziarie, umane e strumentali previste dalla legislazione vigente.


 

 

La norma in commento dispone, al primo comma, una clausola di invarianza finanziaria, disponendo che dall’attuazione del decreto non derivino nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. Inoltre, ai sensi del comma 2, i soggetti pubblici interessati dovranno provvedere all’attuazione delle misure ed attività disposte dal decreto con le risorse finanziarie, umane e strumentali già previste dalla legislazione vigente.

 

 

 

 




[1]    Per una analisi più specifica, si rinvia alle schede di lettura del presente dossier, relative ai singoli articoli del provvedimento.

[2]    Articolo inserito dall'allegato della direttiva 2006/100/CE.

[3]     Per l'analisi della normativa vigente relativa alle singole professioni oggetto del provvedimento in esame si rinvia al paragrafo contenente le  schede di lettura relative all'articolato del provvedimento. In questo capitolo è, viceversa, illustrata la normativa nazionale concernente le professioni intellettuali, in generale, con particolare riferimento alla disciplina degli albi e degli ordini professionali. Nel presente capitolo, un apposito paragrafo è, poi, dedicato, alla normativa comunitaria con particolare riferimento alla direttiva 2005/36/CE, oggetto di recepimento da parte del presente schema di  decreto legislativo .

[4]    Legge 5 giugno 2003, n. 131, Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla Legge Costituzionale 18 ottobre 2001, n.3.

[5]    Legge Costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, Modifiche al Titolo V della parte seconda della Costituzione.

[6]    Legge 23 agosto 1988, n. 400, Disciplina dell'attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri.

[7]    L’articolo 2229 c.c. costituisce il fondamento normativo della disciplina prevista per le professioni intellettuali: esso, nel riservare alla legge la determinazione delle professioni intellettuali per il cui esercizio è richiesta l'iscrizione in albi o elenchi, demanda alle associazioni professionali, sotto la vigilanza dello Stato, l'accertamento dei requisiti per l'iscrizione, la tenuta degli albi e il potere disciplinare.

[8]    Si tratta delle disposizioni che stabiliscono l’incompatibilità con il mercato comune: a) degli accordi di imprese e associazioni di imprese che abbiano lo scopo di impedire, limitare o falsare le regole della concorrenza all’interno dell’Unione; tali accordi sono nulli di pieno diritto (art. 81); b) dello sfruttamento abusivo di posizione dominante (art. 82).  E’ poi sancita la sottoposizione delle imprese incaricate della gestione di servizi di interesse economico generale o aventi carattere di monopolio fiscale alle generali regole di concorrenza, nei limiti in cui l'applicazione di tali norme non osti all'adempimento, in linea di diritto e di fatto, della specifica missione loro affidata (art. 86).

[9]    Direttiva 2005/36/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 7 settembre 2005, relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali, che abroga le direttive 77/452/CEE, 77/453/CEE, 78/686/CEE, 78/687/CEE, 78/1026/CEE, 78/1027/CEE, 80/154/CEE, 80/155/CEE, 85/384/CEE, 85/432/CEE, 85/433/CEE, 89/48/CEE, 92/51/CEE, 93/16/CEE e 1999/42/CE.

[10]   Il successivo articolo 5 dello schema di decreto legislativo in esame individua le singole Autorità nazionali competenti ad effettuare il citato riconoscimento.

[11]    Cfr. Circolare n. 40 del Ministro del lavoro del 14 ottobre 2004.

[12]    Delega al Governo per la definizione delle norme generali sull'istruzione e dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e formazione professionale.

[13]   “Disposizioni modificative e correttive del D.Lgs. 21 aprile 2000, n. 181, recante norme per agevolare l'incontro tra domanda e offerta di lavoro, in attuazione dell'articolo 45, comma 1, lettera a) della L. 17 maggio 1999, n. 144”.

[14]    “Disposizioni per agevolare l'incontro fra domanda ed offerta di lavoro, in attuazione dell'articolo 45, comma 1, lettera a), della L. 17 maggio 1999, n. 144”.

[15]   La cosidetta “riforma Moratti” è entrata a regime, con l’anno scolastico 2006-2007 limitatamente al primo ciclo dell’istruzione, comprendente un percorso di otto anni (vedi infra); mentre per l’avvio del riordino del percorso scolastico successivo (secondo ciclo del sistema educativo di istruzione e formazione), anche in ragione di alcune innovazioni introdotte recentemente (decreto legge n. 7 dell’aprile del 2007[15]), è stato fissato l’anno scolastico 2009/2010.

 

[16]   Art. 17, comma 95, della legge 127/1997 (così detta “Bassanini 2”) e regolamenti ministeriali adottati con il Decreto 3 novembre 1999, n 509, poi sostituito da DM 22 ottobre 2004 n. 270.

[17]   A ciascun credito corrispondono di norma 25 ore di lavoro. Il lavoro di un anno corrisponde convenzionalmente a 60 crediti.

[18]   Il rilascio dell’attestato è stato introdotto unitamente ad altre innovazioni, che non alterano l’impianto della riforma universitaria, dal Decreto del Ministero dell’università e ricerca scientifica 22 ottobre 2004, n. 270.

[19]   Delineata dal regolamento approvato con D.M. 3 novembre 1999, n 509, poi sostituito dal D.M. 22 ottobre 2004, n. 270che tuttavia non ne ha modificato l’impostazione.

[20]   Art. 4 L. 210/1998 e regolamento attuativo D.M. 30 aprile 1999, n. 224.

[21]    Ai dottorandi di ricerca può essere peraltro affidata una “limitata attività didattica sussidiaria o integrativa che non deve in ogni caso compromettere l'attività di formazione alla ricerca”.

[22]   Legge 21 dicembre 1999, n.508.

[23]   Art. 69 della L. n.144 del 1999.

[24]    D. Lgs. 27 gennaio 1992, n. 129 “Attuazione delle direttive n. 85/384/CEE, n. 85/614/CEE e n. 86/17/CEE in materia di riconoscimento dei diplomi, delle certificazioni ed altri titoli nel settore dell'architettura”.

[25]   Il decreto ha subito due importanti interventi correttivi: in primo luogo, al fine di dare seguito ai rilievi della Corte di giustizia, nonché, più in generale, di adeguare, sotto taluni specifici profili, l’ormai datata disciplina interna alla nuova realtà comunitaria, è intervenuto l’articolo 16 della legge 3 febbraio 2003, n. 14 (Legge comunitaria 2002), che ha novellato in più parti il D. lgs. n. 129/1992. Successivamente, è intervenuto l’articolo 7 del decreto legislativo n. 277/2003, con il quale sono state recepite nel nostro ordinamento le modifiche della direttiva 85/384/CEE introdotte dalla direttiva 2001/19/CE.

[26]    Dir. 85/384/CEE del 10 giugno 1985 “Direttiva del Consiglio concernente il reciproco riconoscimento dei diplomi, certificati ed altri titoli del settore dell'architettura e comportante misure destinate ad agevolare l'esercizio effettivo del diritto di stabilimento e di libera prestazione di servizi”.

[27]    Il termine è sospeso qualora siano richieste informazioni alle autorità dello Stato membro di provenienza; ma per non oltre tre mesi dalla richiesta, in caso di mancata risposta.

[28]   L’allegato V contiene un prospetto relativo al riconoscimento dei titoli in base al coordinamento delle condizioni minime di formazione ed elenca, per ciascun Paese aderente all’Unione europea, i titoli di formazione previsti.

[29]   La Commissione è presieduta dal Ministro della salute ed è composta da quattro vicepresidenti, di cui uno nominato dal Ministro della salute, uno dal Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, uno dalla Conferenza permanente dei Presidenti delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano, uno rappresentato dal Presidente della federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri, nonché da 25 membri, di cui due designati dal Ministro della salute, due dal Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, uno dal Ministro per la funzione pubblica, uno dal Ministro per le pari opportunità, uno dal Ministro per gli affari regionali, sei dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, su proposta della Conferenza permanente dei presidenti delle regioni e delle province autonome, due dalla Federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri, uno dalla Federazione nazionale degli ordini dei farmacisti, uno dalla Federazione nazionale degli ordini dei medici veterinari, uno dalla Federazione nazionale dei collegi infermieri professionali, assistenti sanitari e vigilatrici d'infanzia, uno dalla Federazione nazionale dei collegi delle ostetriche, uno dalle associazioni delle professioni dell'area della riabilitazione di cui all'art. 2 della legge 10 agosto 2000, n. 251, uno dalle associazioni delle professioni dell'area tecnico-sanitaria di cui all'art. 3 della citata legge n. 251 del 2000, uno dalle associazioni delle professioni dell'area della prevenzione di cui all'art. 4 della medesima legge n. 251 del 2000, uno dalla Federazione nazionale degli ordini dei biologi, uno dalla Federazione nazionale degli ordini degli psicologi e uno dalla Federazione nazionale degli ordini dei chimici. Cfr. al riguardo il D.M. 5 luglio 2002.

[30]   La citata legge è stata abrogata dall'art. 46,del decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 368, limitatamente alle disposizioni concernenti i medici.

[31]   Articolo inserito dall'allegato della direttiva 2006/100/CE.

[32]    D. Lgs. 27 gennaio 1992, n. 129 “Attuazione delle direttive n. 85/384/CEE, n. 85/614/CEE e n. 86/17/CEE in materia di riconoscimento dei diplomi, delle certificazioni ed altri titoli nel settore dell'architettura”.

[33]    Dir. 85/384/CEE del 10 giugno 1985 “Direttiva del Consiglio concernente il reciproco riconoscimento dei diplomi, certificati ed altri titoli del settore dell'architettura e comportante misure destinate ad agevolare l'esercizio effettivo del diritto di stabilimento e di libera prestazione di servizi”.

[34]   La disposizione specifica che debba trattarsi di formazione in vigore al 5 agosto 1985, data che corrisponde al termine stabilito per il recepimento della direttiva 85/384/CEE.

[35]    D.M. 10 giugno 1994, n. 776 “Regolamento contenente norme ed integrazione della disciplina dei procedimenti di riconoscimento ed iscrizione all'albo degli architetti”.

[36]   L’articolo 49, comma 3, del DPR n.394/1999 dispone che “Ove ricorrano le condizioni previste dai decreti legislativi di cui al comma 2, per l'applicazione delle misure compensative, il Ministro competente, cui è presentata la domanda di riconoscimento, sentite le conferenze dei servizi di cui all'articolo 12 del decreto legislativo n. 115 del 1992 e all'articolo 14 del decreto legislativo n. 319 del 1994, può stabilire, con proprio decreto, che il riconoscimento sia subordinato ad una misura compensativa, consistente nel superamento di una prova attitudinale o di un tirocinio di adattamento”.