Camera dei deputati - XV Legislatura - Dossier di documentazione
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Autore: | Servizio Studi - Dipartimento affari comunitari | ||
Titolo: | La legge comunitaria 2006 | ||
Riferimenti: |
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Serie: | Quaderni Numero: 7 | ||
Data: | 14/06/2007 | ||
Descrittori: |
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Organi della Camera: | XIV - Politiche dell'Unione europea |
Camera dei deputati
XV LEGISLATURA
SERVIZIO STUDI
Quaderni
La legge comunitaria 2006
Legge 6 febbraio 2007, n. 13
n. 7
14 giugno 2007
Il quaderno è stato realizzato, con il coordinamento di Valerio Di Porto e Antonella Degano, dall’Osservatorio sulla legislazione del Servizio Studi – Dipartimento Affari comunitari, con la collaborazione dell’Ufficio Rapporti con l’Unione europea.
L’Ufficio RUE, con il coordinamento di Fabrizia Bientinesi e Daniela Chiodi, ha curato le schede relative al contenzioso.
Dipartimento affari comunitari
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File: ID0010.doc
INDICE
La legge n. 131 del 2003 (c.d. “legge La Loggia”)
Le disposizioni per l’adempimento degli obblighi comunitari nella legge finanziaria per il 2007
L’attuazione di obblighi comunitari attraverso la decretazione d’urgenza
Le leggi comunitarie regionali
Parte I - L’articolato della legge
§ Art. 1 (Delega al Governo per l’attuazione di direttive comunitarie)
§ Art. 2 (Principi e criteri direttivi generali della delega legislativa)
§ Art. 3 (Delega al Governo per la disciplina sanzionatoria di violazioni di disposizioni comunitarie)
§ Art. 4 (Oneri relativi a prestazioni e controlli)
§ Art. 6 (Attuazione di direttive comunitarie con regolamento autorizzato)
§ Art. 7 (Introduzione degli articoli 15-bis e 15-ter della legge 4 febbraio 2005, n. 11)
§ Art. 8 (Individuazione di princìpi fondamentali in particolari materie di competenza concorrente)
§ Art. 27 ((Modifica all’articolo 181 del Codice della navigazione))
§ Art. 28 (Abrogazione dell’articolo 23, comma 3 della legge 18 aprile 2005, n. 62)
Parte II – Le direttive contenute negli allegati
§ 2005/68/CE (Attività riassicurative da parte delle imprese di riassicurazione specializzate)
§ 2005/32/CE (Progettazione ecocompatibile dei prodotti che consumano energia)
§ 2005/33/CE (Tenore di zolfo dei combustibili per uso marittimo)
§ 2005/35/CE (Inquinamento provocato dalle navi)
§ 2005/56/CE (Fusioni transfrontaliere delle società di capitali)
§ 2005/61/CE e 2005/62/CE (Sicurezza del sangue umano e dei componenti del sangue)
§ 2005/64/CE (Omologazione dei veicoli a motore)
§ 2005/65/CE (Miglioramento della sicurezza dei porti)
§ 2005/71/CE (Ammissione di cittadini di Paesi terzi a fini di ricerca scientifica)
§ 2005/85/CE (Riconoscimento e revoca dello status di rifugiato)
§ 2005/89/CE (Sicurezza dell’approvvigionamento di elettricità)
§ 2005/94/CE (Influenza aviaria)
§ 2006/7/CE (Qualità delle acque di balneazione)
§ 2006/21/CE (Gestione dei rifiuti delle industrie estrattive)
§ 2006/23/CE (Licenza comunitaria dei controllori del traffico aereo)
§ 2006/25/CE (Esposizione dei lavoratori ai rischi derivanti dalle radiazioni ottiche artificiali)
§ 2006/32/CE (Usi finali dell’energia e dei servizi energetici)
§ 2006/38/CE (Tassazione a carico di autoveicoli pesanti)
§ 2006/42/CE (Nuova direttiva macchine)
§ 2006/48/CE (Attività degli enti creditizi)
§ 2006/49/CE (Adeguatezza patrimoniale delle imprese di investimento e degli enti creditizi)
§ 2006/54/CE (Pari opportunità in materia di occupazione ed impiego)
§ 2005/45/CE (Riconoscimento dei certificati rilasciati dagli Stati membri alla gente di mare)
Direttive da attuare in via amministrativa
§ Direttiva 2004/26/CE (Emissione di inquinanti gassosi prodotti dai motori a combustione interna)
§ 2005/8, 86 e 87/CE (Sostanze indesiderabili nell’alimentazione degli animali)
§ 2005/16, 18 e 77/CE (Protezione dagli organismi nocivi)
§ 2005/17/CE (Passaporto delle piante)
§ 2005/42, 52 e 80/CE (Prodotti cosmetici)
§ 2005/43/CE (Commercializzazione materiale di moltiplicazione della vite)
§ 2005/51/CE (Appalti pubblici)
§ 2005/78/CE (Emissione di inquinanti gassosi prodotti dai motori ad accensione spontanea)
§ 2005/84/CE (Sostanze pericolose per i giocattoli)
Testo della legge 6 febbraio 2007, n. 13
§ L. 6 febbraio 2007, n. 13 Disposizioni per l'adempimento di obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle Comunità europee. Legge comunitaria 2006
La legge comunitaria 2006
La presente introduzione intende tracciare un quadro generale di riferimento, che dà conto, oltre che dei contenuti della legge comunitaria per il 2006, anche delle previsioni di carattere generale sulla legge comunitaria annuale, delle disposizioni in materia di rapporti tra ordinamento interno e ordinamento comunitario recate dalla legge n. 11 del 2005 e dalla legge n. 131 del 2003, nonché degli altri strumenti che, a cavallo tra il 2006 ed il 2007, hanno affiancato l’approvazione della legge comunitaria annuale[1], dettando disposizioni in tema di rapporti con l’ordinamento comunitario e per l’attuazione di obblighi comunitari.
La legge comunitaria per il 2006, legge 6 febbraio 2007, n. 13, è la seconda legge approvata dopo l’entrata in vigore della legge di riforma della legge “La Pergola”, ossia la legge 4 febbraio 2005, n. 11, recante “Norme generali sulla partecipazione dell’Italia al processo normativo dell’Unione europea e sulle procedure di esecuzione degli obblighi comunitari” .
Quest’ultima (cui è dedicato un breve paragrafo) ha sensibilmente ampliato i contenuti della legge comunitaria, in modo da adeguarli alle nuove esigenze emerse con specifico riguardo a seguito della riforma del titolo V della parte II della Costituzione.
In ogni caso, la legge comunitaria continua a conservare i caratteri che è andata via via assumendo nel corso degli anni. Si tratta, infatti, di una legge essenzialmente di organizzazione della futura normazione, con contenuti e formule fortemente tipizzati.
Anche la legge comunitaria per il 2006, pur contenendo elementi di novità, non sfugge a tale constatazione. Essa, in particolare, si compone di 28 articoli e di tre allegati (A, B e C) con i quali si prevede il recepimento di 27 direttive (1 con l’allegato A, 25 con l’allegato B e 1 con l’Allegato C).
Nella relazione governativa al disegno di legge sono, inoltre, indicate le direttive da recepire in via amministrativa: si tratta di 56 direttive, confermandosi così una costante tendenza all’aumento di tale modalità di recepimento[2]. A seguito della presentazione, presso la XIV Commissione, del supplemento alla relazione illustrativa da parte del Governo, si è prevista l’attuazione in via amministrativa di ulteriori 34 direttive.
Per quanto riguarda la struttura ed il contenuto della legge comunitaria 2006, essi riprendono in larga misura le precedenti leggi comunitarie, pur contenendo alcuni significativi elementi di novità.
Essa si articola in 4 capi:
- il capo I (articoli 1-6) concerne il conferimento della delega al Governo per l’attuazione di direttive comunitarie;
- il capo II (articolo 7) riguarda le informazioni al Parlamento sul contenzioso comunitario e sui flussi finanziari con l’Unione europea;
- il capo III (articolo 8) contiene i principi fondamentali della legislazione concorrente;
- il capo IV (articoli 9-28) reca le disposizioni particolari di adempimento ed i criteri specifici di delega legislativa.
Il disegno di legge comunitaria per il 2007, in corso di discussione presso il Senato (S. 1448), reca alcune significative novità sia nella struttura, sia nei contenuti. Per quanto riguarda la struttura, esso si articola in tre capi, l’ultimo dei quali viene introdotto per la prima volta:
- il capo I (articoli 1-5) reca le disposizioni generali sui procedimenti per l’adempimento degli obblighi comunitari;
- il capo II (articoli 6-17) reca le disposizioni particolari di adempimento e i criteri specifici di delega legislativa;
- il capo III (articoli 18-22) contiene le disposizioni occorrenti per dare attuazione a decisioni quadro, adottate nell’ambito della cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale.
Più nel dettaglio, i sei articoli di cui si compone il capo I disciplinano in via generale oggetto, principi e criteri direttivi e procedure della delega al Governo per l’attuazione di direttive comunitarie.
L’articolo 1, intitolato delega al Governo per l’attuazione di direttive comunitarie, prevede:
- la delega al Governo ad emanare, entro 12 mesi[3], i decreti legislativi necessari per dare attuazione alle direttive comprese negli allegati A e B (comma 1);
Con una significativa innovazione, nel disegno di legge comunitaria per il 2007 (A.S. 1448), il termine di esercizio della delega non viene più determinato in via generale, ma viene fatto coincidere con quello di recepimento previsto dalla singole direttive. Oltre al termine generale determinato per relationem, si prevede un termine di novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge per l’esercizio della delega per le direttive comprese negli allegati il cui termine di recepimento sia già scaduto nei tre mesi successivi all’entrata in vigore della stessa. Si fissa altresì un termine di dodici mesi (sempre dalla data di entrata in vigore della legge comunitaria) per quelle direttive, comprese negli allegati, che non prevedano un termine di recepimento.
Nel corso del dibattito presso la 14^ Commissione del Senato, il relatore ha sottolineato come tale innovazione sia intesa a rendere più celere l’adeguamento dell’ordinamento italiano agli obblighi imposti in sede comunitaria.
- l’emanazione del parere, da parte dei competenti organi parlamentari, per le direttive comprese nell’All. B e per quelle comprese nell’All. A nel caso in cui l’attuazione preveda il ricorso a sanzioni penali (comma 3);
- la previsione di una particolare procedura per gli schemi di decreto legislativo che comportino oneri finanziari e che attuino alcune specifiche direttive indicate nel testo del provvedimento: gli schemi devono essere corredati di relazione tecnica e vengono sottoposti al parere anche delle Commissioni parlamentari competenti per i profili finanziari. Il Governo, ove non intenda conformarsi alle condizioni formulate da tali Commissioni con riferimento all’articolo 81, quarto comma, della Costituzione, ritrasmette alle Camere i testi per l’espressione di un secondo parere (comma 4);
- l’adozione, da parte del Governo, entro 18 mesi dall’entrata in vigore dei decreti legislativi attuativi delle direttive comunitarie, di disposizioni integrative e correttive (comma 5);
- l’inserimento nell’ordinamento nazionale, entro 3 anni dall’entrata in vigore degli stessi decreti legislativi - qualora la Commissione europea si sia riservata di adottare disposizioni di attuazione – delle medesime disposizioni da parte del Governo con lo strumento regolamentare (comma 6);
In relazione alle direttive per le quali la Commissione europea si sia riservata di adottare norme di attuazione, il ddl comunitaria 2007 conferma la previsione di cui al comma 6 della legge in commento, che autorizza il Governo ad adottare con regolamento governativo ex art. 17, comma 1 della legge n. 400/1988, entro tre anni dalla data di entrata in vigore dei rispettivi decreti legislativi, misure volte al recepimento di eventuali disposizioni attuative.
In sede di esame parlamentare presso l’altro ramo del Parlamento, il relatore presso la XIV Commissione ha altresì sottolineato l’opportunità di fissare, in via generale, un’autorizzazione permanente all’attuazione in via regolamentare delle predette disposizioni comunitarie, in analogia a quanto previsto dall’articolo 13 della legge n. 11 del 2005 con riguardo agli adeguamenti tecnici di direttive già recepite, ovvero, in alternativa, modificare il termine dell’autorizzazione, adottando il termine contenuto nelle stesse disposizioni della Commissione europea, o, in mancanza, fissandolo a 12 mesi dall’entrata in vigore delle stesse disposizioni comunitarie.
- lo svolgimento di un intervento dello Stato suppletivo, anticipato e cedevole nel caso di inadempienza da parte delle regioni nell’attuazione delle direttive concernenti materie di loro competenza (comma 7);
- la presentazione di una relazione al Parlamento, da parte del Ministro per le politiche europee, nel caso in cui siano trascorsi quattro mesi dalla scadenza del termine e la delega non sia stata esercitata, nella quale sia dia conto dei motivi del ritardo (comma 8);
- una seconda presentazione – cd. doppio parere parlamentare - degli schemi di decreti legislativi contenenti sanzioni penali alle Camere, nell’eventualità che il Governo non intenda conformarsi al parere parlamentare espresso. Solo decorsi 30 giorni dalla trasmissione, i decreti possono essere adottati anche in mancanza di parere (comma 9).
L’articolo 2 prevede i principi e criteri generali della delega legislativa, che possono essere così sintetizzati:
- l’attuazione dei decreti legislativi deve avvenire nell’ambito delle ordinarie strutture amministrative;
- nel caso in cui la normativa interessi materia già disciplinata a livello legislativo, le modifiche devono aver riguardo alla normativa in vigore;
- per assicurare l’osservanza delle disposizioni, possono essere previste sanzioni penali, nel caso in cui le infrazioni ledano o espongano a pericolo interessi costituzionalmente protetti, o sanzioni amministrative;
- eventuali nuove spese derivanti dall’attuazione dei decreti legislativi possono trovare copertura sul fondo di rotazione per le politiche comunitarie, nei limiti di un ammontare massimo pari a 50 milioni di euro;
- qualora la direttiva da attuare incida su materia già disciplinata da decreto legislativo attuativo di direttiva, le modifiche devono essere apportate facendo riferimento a tale atto normativo;
- nel caso in cui siano coinvolte diverse competenze, è necessario apportare tutte le forme di coordinamento necessarie.
L’articolo 3 prevede la delega al Governo ad emanare disposizioni recanti sanzioni penali o amministrative per violazioni di direttive comunitarie attuate in via regolamentare o amministrativa.
L’articolo 4 riguarda gli oneri per prestazioni e controlli. Al riguardo, si rileva come il principio in base al quale gli oneri per le prestazioni ed i controlli da eseguire da parte delle pubbliche amministrazioni in applicazione di normative comunitarie sono in generale a carico dei soggetti interessati sulla base di tariffe predeterminate, generalmente recato dal comma 1 dell’articolo 4 delle precedenti leggi comunitarie, non figura più nel testo in esame. Infatti, tale principio – essendo ora sancito in via generale dall’articolo 9, comma 2, della legge n. 11 del 2005 – viene semplicemente richiamato con un rinvio alla norma da ultimo citata (comma 1). Il comma 2 dispone in merito alle entrate derivanti dalle tariffe di cui al comma 1, riproducendo il contenuto dell’articolo 6 della legge comunitaria 2005 (legge 25 gennaio 2006, n. 29).
Infine, gli interventi di riordino normativo nelle materie interessate dalle direttive comunitarie sono contenuti all’articolo 5. Il comma 2 del testo in esame non ripropone una norma contenuta nelle precedenti leggi comunitarie, in base alla quale le disposizioni contenute nei testi unici non possono essere abrogate, derogate o sospese o comunque modificate se non in modo esplicito, mediante l’indicazione puntuale delle disposizioni da abrogare, derogare, sospendere o modificare.
L’articolo 6 reca “attuazione di direttive comunitarie con regolamento autorizzato”, con il quale si autorizza il Governo a dare attuazione alle direttive comprese nell’elenco di cui all’allegato C con uno o più regolamenti di delegificazione (ex articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400), secondo quanto disposto dagli articoli 9 e 11 della legge 4 febbraio 2005, n. 11. Gli schemi di regolamento – corredati da apposite relazioni cui è allegato il parere del Consiglio di Stato – dovranno essere sottoposti al parere delle Commissioni parlamentari competenti, che si esprimono entro quaranta giorni dall’assegnazione. Decorso il predetto termine, i regolamenti sono emanati anche in mancanza dei pareri parlamentari. Parallelamente, è stato pertanto aggiunto l’Allegato C, all’interno del quale è stata inserita una direttiva, da recepire – appunto – attraverso regolamenti di delegificazione.
La disciplina di tale modalità di recepimento delle direttive è stata reintrodotta dopo lungo tempo dall’articolo 7 della legge comunitaria per il 2005. Infatti – nonostante la possibilità di procedere al recepimento degli atti comunitari anche attraverso i regolamenti governativi fosse già prevista dalla legge n. 86 del 1989 – tale modalità di attuazione delle direttive non era stata adottata nelle ultime leggi comunitarie (l’ultimo esempio di ricorso allo strumento regolamentare è rappresentato dalla legge comunitaria per il 1999, l. n. 526 del 1999).
Si segnala, in proposito, che a seguito della riforma del Titolo V della Costituzione erano emersi alcuni problemi applicativi, soprattutto in relazione all’art. 117, VI comma, che limita alle materie di potestà legislativa statale esclusiva l’ambito di intervento dei regolamenti. Pertanto, nelle leggi comunitarie successive alla riforma – in particolare, a partire dalla legge n. 39 del 2002 – non era stata più utilizzata tale modalità di recepimento. La legge n. 11 del 2005 è tra l’altro intervenuta per adeguare al nuovo dettato costituzionale le modalità di attuazione delle direttive in via regolamentare, dettando una specifica disciplina agli articoli 9, comma 1, lett. d), e 11.
Nel corso dell’esame da parte della XIV Commissione è stato introdotto il capo II, recante modifiche alla legge n. 11 del 4 febbraio 2005, che consta di un solo articolo (il 7), che integra il dettato della legge, prevedendo ulteriori obblighi informativi in capo al Governo nei confronti del Parlamento.
L’articolo 7, infatti, introduce, nell’ambito della legge n. 11, gli articoli 15-bis (Informazione al Parlamento su procedure giurisdizionali e di pre-contenzioso riguardanti l’Italia) e 15-ter (Relazione trimestrale al Parlamento sui flussi finanziari con l’Unione europea). In particolare, l’articolo 15-bis prevede la trasmissione semestrale al Parlamento e alla Corte dei Conti – da parte del Presidente del Consiglio dei ministri o del Ministro per le politiche europee – di un elenco, articolato per settori e materie, contenente l’indicazione di:
§ sentenze della Corte di Giustizia e degli altri organi giurisdizionali dell’Unione relative a giudizi in cui l’Italia sia direttamente o indirettamente coinvolta;
§ cause sollevate in via pregiudiziale, ai sensi dell’articolo 234 TCE e dell’articolo 35 TUE, da organi giurisdizionali italiani;
§ procedure di infrazione avviate nei confronti dell’Italia ai sensi degli articoli 226 e 228 TCE;
§ procedimenti di esame di aiuti di Stato avviati, ai sensi degli articoli 87-88 del Trattato, dalla Commissione europea nei confronti dell’Italia.
L’articolo 15-ter richiede, invece, la trasmissione trimestrale, da parte del Governo, di una relazione sull’andamento dei flussi finanziari tra l’Italia e l’Unione europea, contenente l’indicazione dei flussi ripartiti per ciascuna rubrica e sottorubrica contemplata dal quadro finanziario pluriennale di riferimento dell’Unione europea.
Il capo III ha dato per la prima volta attuazione all’articolo 9, comma 1, lett. f), della legge n. 11 del 2005, in base al quale la legge comunitaria deve individuare i princìpi fondamentali per le regioni e le province autonome ai fini dell’attuazione di atti comunitari nelle materie di competenza concorrente. Si ricorda, inoltre, che l’articolo 16, comma 1, della medesima legge, stabilisce che i princìpi fondamentali in tal modo individuati dalla legge comunitaria non sono derogabili dalla legge regionale (o provinciale) sopravvenuta e prevalgono sulle contrarie disposizioni eventualmente già emanate da regioni e province autonome.
Il capo reca i principi fondamentali della legislazione concorrente e si compone di un solo articolo, l’articolo 8, secondo il quale:
- in materia di tutela e sicurezza del lavoro, rappresentano principi fondamentali la tutela uniforme a livello nazionale del bene tutelato, soprattutto con riguardo all’esercizio dei poteri sanzionatori, e la possibilità per le Regioni e le Province autonome di porre limiti e prescrizioni ulteriori rispetto a quelli statali;
- in materia di tutela della salute, sono principi fondamentali: la tutela uniforme a livello nazionale del bene tutelato, con riferimento in particolare ai poteri sanzionatori, la limitazione degli interventi regionali e provinciali nel caso di scelte terapeutiche incidenti sui diritti fondamentali, nel caso in cui non sussistano evidenze scientifiche acquisite da organi nazionali o sopranazionali e la possibilità per le realtà locali di imporre limiti più severi di quelli statali.
Tale capo non figura più nel ddl comunitaria 2007 presentato al Senato: al riguardo si fa osservare che, nel corso dell’esame preliminare presso la Conferenza Stato-Regioni del nuovo provvedimento, i rappresentanti regionali hanno sottolineato il problema della definizione dei principi fondamentali ai quali devono attenersi le Regioni nell’attuazione delle direttive comunitarie in materia di legislazione concorrente regionale.
Il capo IV reca Disposizioni particolari di adempimento e criteri specifici di delega legislativa ed ha riguardo ad alcune direttive specifiche, per le quali sono previsti particolari criteri per l’esercizio della delega.
In tal senso, specifici principi e criteri direttivi sono previsti per l’attuazione delle seguenti direttive:
- 2005/14/CE sull’assicurazione della responsabilità civile risultante dalla circolazione di autoveicoli (art. 9);
- 2004/39/CE in materia di mercati degli strumenti finanziari (art. 10);
- 2005/71/CE in merito alla procedura per l’ammissione di cittadini di paesi terzi ai fini di ricerca scientifica (art. 11);
- 2005/85/CE in merito al riconoscimento e alla revoca dello status di rifugiato (art. 12);
- 2005/36/CE in materia di diritti acquisiti per l’esercizio della professione di odontoiatra (art. 13).
Specifiche disposizioni sono, poi, introdotte per apportare modifiche:
- alla legge n. 231/1997, recante classificazione delle carcasse bovine (art. 14);
- all’art. 7 del decreto legislativo n. 174/2000, attuativo della direttiva 98/8/CE, in materia di immissione sul mercato di biocidi (art. 15);
- al decreto legislativo n. 194/1995, attuativo della direttiva 91/414/CEE in merito all’immissione in commercio di prodotti fitosanitari (art. 16);
- al regolamento di cui al D.P.R. n. 290/2001, in materia di immissione in commercio e vendita di prodotti fitosanitari (art. 17);
- al decreto legislativo n. 269/2001, attuativo della direttiva 1999/5/CE, riguardante le apparecchiature radio (art. 18);
- all’art. 144-bis del codice di cui al decreto legislativo n. 206/2005 recante norme per la tutela dei consumatori (art. 19);
- all’art. 29 della legge n. 428/1990 in materia di rimborso di tributi (art. 21);
- alla legge n. 250/2000, di cui si dispone l’abrogazione, contenente norme per l’utilizzazione dei traccianti nel latte in polvere ad uso zootecnico (art. 22);
- all’art. 14 del decreto legislativo n. 18/1999, in materia di servizi di assistenza a terra negli aeroporti (art. 23);
- all’art. 21 del decreto legislativo n. 504/1995 recante norme sulle accise sugli olii minerali ( art. 24);
- alla legge n. 183/1987, riguardante gli organismi consultivi competenti in materia comunitaria (art. 26);
- all’articolo 181 del codice della navigazione, abrogando il dovere di corresponsione di diritti consolari (art. 27);
- all’articolo 23, di cui si dispone l’abrogazione, della legge n. 62/2005, che aveva disposto la proroga dei contratti aventi ad oggetto lo svolgimento di funzioni e servizi pubblici non ricadenti nell'ambito di applicazione dell'art. 113 del testo unico degli enti locali (art. 28).
Infine, l’articolo 20 è finalizzato ad adempiere al regolamento (CE) n. 2153/2005, disciplinando le comunicazioni all’Agea in materia di produzione di olio di oliva e l’articolo 25 prevede l’attuazione di decisioni relative a privilegi ed immunità accordati ad agenzie e meccanismi istituiti dall’Unione europea nell’ambito della politica estera e di sicurezza comune.
Nell’ambito del ddl comunitaria 2007, è stato inserito uno specifico capo – il capo III – che introduce per la prima volta le disposizioni occorrenti per dare attuazione, anche mediante il conferimento al Governo di delega legislativa, alle decisioni quadro adottate nell’ambito della cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale (il cosiddetto "terzo pilastro" dell’Unione Europea) ai sensi dell’articolo 9, comma 1, lettera c), della legge n. 11/2005. Si tratta, in particolare, di quattro decisioni quadro, relative: alla lotta contro la corruzione nel settore privato; al riconoscimento ed esecuzione dei provvedimenti di blocco o sequestro probatorio emessi da un altro Stato membro; al ravvicinamento delle normative nazionali in materia di confisca di beni, strumenti e proventi di reato; all’applicazione, anche alle sanzioni pecuniarie, del principio del riconoscimento reciproco.
Per quanto riguarda gli allegati A e B, vengono conferite deleghe per il recepimento delle sottoindicate direttive[4].
In allegato A (senza parere parlamentare sugli schemi di decreto legislativo):
§ 2005/68/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 novembre 2005, relativa alla riassicurazione e recante modifica delle direttive 73/239/CEE e 92/49/CEE del Consiglio nonché delle direttive 98/78/CE e 2002/83/CE.
In allegato B (con parere delle competenti Commissioni parlamentari):
§ 2005/32/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 6 luglio 2005, relativa all'istituzione di un quadro per l'elaborazione di specifiche per la progettazione eco-compatibile dei prodotti che consumano energia e recante modifica della direttiva 92/42/CEE del Consiglio e delle direttive 96/57/CE e 2000/55/CE del Parlamento europeo e del Consiglio.
§ 2005/33/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 6 luglio 2005, che modifica la direttiva 1999/32/CE in relazione al tenore di zolfo dei combustibili per uso marittimo[5].
§ 2005/35/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 7 settembre 2005, relativa all'inquinamento provocato dalle navi e all'introduzione di sanzioni per violazioni.
§ 2005/47/CE del Consiglio, del 18 luglio 2005, concernente l'accordo tra la Comunità delle ferrovie europee (CER) e la Federazione europea dei lavoratori dei trasporti (ETF) su taluni aspetti delle condizioni di lavoro dei lavoratori mobili che effettuano servizi di interoperabilità transfrontaliera nel settore ferroviario[6].
§ 2005/56/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 ottobre 2005, relativa alle fusioni transfrontaliere delle società di capitali[7].
§ 2005/61/CE della Commissione, del 30 settembre 2005, che applica la direttiva 2002/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio per quanto riguarda le prescrizioni in tema di rintracciabilità e la notifica di effetti indesiderati ed incidenti gravi.
§ 2005/62/CE della Commissione, del 30 settembre 2005, recante applicazione della direttiva 2002/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio per quanto riguarda le norme e le specifiche comunitarie relative ad un sistema di qualità per i servizi trasfusionali.
§ 2005/64/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 ottobre 2005, sull'omologazione dei veicoli a motore per quanto riguarda la loro riutilizzabilità, riciclabilità e ricuperabilità e che modifica la direttiva 70/156/CEE del Consiglio[8].
§ 2005/65/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 ottobre 2005, relativa al miglioramento della sicurezza dei porti.
§ 2005/71/CE del Consiglio, del 12 ottobre 2005, relativa a una procedura specificamente concepita per l'ammissione di cittadini di paesi terzi a fini di ricerca scientifica[9].
§ 2005/81/CE della Commissione, del 28 novembre 2005, che modifica la direttiva 80/723/CEE relativa alla trasparenza delle relazioni finanziarie fra gli Stati membri e le loro imprese pubbliche nonché fra determinate imprese[10].
§ 2005/85/CE del Consiglio, del 1° dicembre 2005, recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato[11].
§ 2005/89/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 18 gennaio 2006, concernente misure per la sicurezza dell'approvvigionamento di elettricità e per gli investimenti nelle infrastrutture[12].
§ 2005/94/CE del Consiglio, del 20 dicembre 2005, relativa a misure comunitarie di lotta contro l'influenza aviaria e che abroga la direttiva 92/40/CEE[13].
§ 2006/7/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 febbraio 2006, relativa alla gestione della qualità delle acque di balneazione e che abroga la direttiva 76/160/CEE[14].
Si ricorda che lo schema di decreto legislativo (Atto n. 93), volto a dare attuazione alla direttiva in oggetto, è stato presentato al Parlamento per l’espressione del parere da parte delle Commissioni competenti.
§ 2006/21/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 marzo 2006, relativa alla gestione dei rifiuti delle industrie estrattive e che modifica la direttiva 2004/35/CE[15].
§ 2006/23/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 aprile 2006, concernente la licenza comunitaria dei controllori del traffico aereo[16].
§ 2006/24/CE del Parlamento e del Consiglio, del 15 marzo 2006, riguardante la conservazione di dati generati o trattati nell’ambito della fornitura di servizi di comunicazione elettronica accessibili al pubblico o di reti pubbliche di comunicazione e che modifica la direttiva 2002/58/CE[17].
§ 2006/25/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 aprile 2006, sulle prescrizioni minime di sicurezza e di salute relative all'esposizione dei lavoratori ai rischi derivanti dagli agenti fisici (radiazioni ottiche artificiali) (diciannovesima direttiva particolare ai sensi dell'articolo 16, paragrafo 1, della direttiva 89/391/CEE)[18].
§ 2006/32/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 aprile 2006, concernente l'efficienza degli usi finali dell'energia e i servizi energetici e recante abrogazione della direttiva 93/76/CEE del Consiglio[19].
§ 2006/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 maggio 2006, che modifica la direttiva 1999/62/CE relativa alla tassazione a carico di autoveicoli pesanti adibiti al trasporto di merci su strada per l'uso di alcune infrastrutture[20].
§ 2006/42/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 maggio 2006, relativa alle macchine e che modifica la direttiva 95/16/CE (rifusione)[21].
§ 2006/48/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 giugno 2006, relativa all'accesso all'attività, degli enti creditizi ed al suo esercizio (rifusione)[22].
§ 2006/49/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 giugno 2006, relativa all'adeguatezza patrimoniale delle imprese di investimento e degli enti creditizi (rifusione)[23].
§ 2006/54/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 luglio 2006, riguardante l’attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego (rifusione)[24].
Per quanto riguarda l’allegato C, si autorizza l’adozione di regolamenti di delegificazione per l’attuazione della direttiva 2005/45/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 7 settembre 2005, riguardante il reciproco riconoscimento dei certificati rilasciati dagli Stati membri alla gente di mare e recante modificazione della direttiva 2001/25/CE.
I settori principalmente interessati dalla legge comunitaria per il 2006 sono i seguenti:
§ immigrazione e sicurezza (riconoscimento dello status di rifugiato, ammissione di cittadini di paesi terzi per motivi di ricerca);
§ giustizia (sanzioni per la violazione della normativa sulla classificazione delle carcasse bovine, Sanzioni per il commercio di alimenti per animali);
§ sanità (influenza aviaria, alimenti per animali, classificazione delle carcasse bovine);
§ tutela dell’ambiente (tenore di zolfo dei combustibili, inquinamento provocato da navi, emissione di inquinanti gassosi, gestione dei rifiuti, acque di balneazione);
§ agricoltura (prodotti fitosanitari, produzione olio d’oliva);
§ trasporti e comunicazioni (omologazione dei veicoli a motore, sicurezza dei porti, certificati gente di mare, controllori del traffico aereo);
§ attività produttive (progettazione prodotti che consumano energia, immissione sul mercato di biocidi, codice al consumo, approvvigionamento di elettricità, efficienza servizi energetici, macchine);
§ finanze (fusioni transfrontaliere delle società di capitali, trasparenza delle relazioni finanziarie tra Stati membri e imprese, riassicurazione, assicurazione della responsabilità civile, tassazione veicoli pesanti, enti creditizi);
§ lavoro (protezione dei lavoratori per esposizione ad agenti fisici, condizioni di lavoro dei lavoratori mobili nei servizi ferroviari transfrontalieri)
La legge comunitaria annuale è uno strumento normativo volto ad assicurare il periodico adeguamento dell’ordinamento nazionale a quello comunitario. Tale specifica procedura di recepimento della normativa comunitaria - che prevede la presentazione al Parlamento entro il 31 gennaio di ogni anno, da parte del Ministro per le politiche comunitarie, di un disegno di legge annuale - è stata introdotta dalla 9 marzo 1989, n. 86 (legge “La Pergola"). Peraltro, la legge 4 febbraio 2005, n. 11, recante “Norme generali sulla partecipazione dell’Italia al processo normativo dell’Unione europea e sulle procedure di esecuzione degli obblighi comunitari”, ha integralmente sostituito ed abrogato le legge “La Pergola”. Il nuovo disposto normativo ha inciso anche sui contenuti della legge comunitaria, che risultano ora ampliati rispetto alle previsioni della legge n. 86/1989.
Il contenuto proprio della legge comunitaria, in base all’articolo 9 della legge n. 11 del 2005, risulta quindi il seguente:
· disposizioni modificative o abrogative di disposizioni statali vigenti in contrasto con gli obblighi di attuazione degli atti comunitari (Cfr. lett. a), comma 1, art. 3 legge n. 86);
· disposizioni modificative o abrogative di disposizioni statali vigenti oggetto di procedure di infrazione (Cfr. lett. a-bis), comma 1, art. 3 legge n. 86);
· disposizioni occorrenti per dare attuazione, anche mediante il conferimento al Governo di delega legislativa, a: ogni atto comunitario e dell’Unione europea che vincoli la Repubblica italiana ad adottare provvedimenti di attuazione; decisioni-quadro e decisioni adottate nell’ambito della cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale previste dall’articolo 34 del Trattato UE (Cfr. per i primi lett. b), comma 1, art. 3 legge n. 86);
· disposizioni che autorizzano il Governo ad attuare in via regolamentare le direttive, sulla base di quanto previsto dall’articolo 11 (Cfr. lett. c), comma 1, art. 3 legge n. 86);
· disposizioni occorrenti per dare esecuzione ai trattati internazionali conclusi nel quadro delle relazioni esterne dell’Unione europea;
· disposizioni che individuano i princìpi fondamentali nel rispetto dei quali le regioni e le province autonome esercitano la propria competenza normativa per dare attuazione o assicurare l’applicazione di atti comunitari nelle materie di competenza concorrente;
· disposizioni che, nelle materie di competenza legislativa delle regioni e delle province autonome, conferiscono delega al Governo per l’adozione di decreti legislativi recanti sanzioni penali per la violazione delle disposizioni comunitarie recepite dalle regioni e dalle province autonome;
· disposizioni emanate nell’esercizio del potere sostitutivo di cui all’articolo 117, quinto comma, della Costituzione, in conformità ai princìpi e nel rispetto dei limiti di cui all’articolo 16, comma 3.
Si ricorda, invece, che secondo l’articolo 3 della legge n. 86/1989 la legge comunitaria conteneva:
· disposizioni modificative o abrogative di norme vigenti, in contrasto con gli obblighi comunitari, finalizzate a dare attuazione diretta alle direttive comunitarie;
· disposizioni di delega legislativa al Governo occorrenti per dare attuazione o assicurare l’applicazione di atti normativi del Consiglio o della Commissione dell’UE; le direttive da attuare con delega generalmente sono riportate in due distinti allegati – allegato A e allegato B – il secondo dei quali contiene le direttive per le quali si richiede che lo schema di decreto legislativo di attuazione venga sottoposto al parere del Parlamento;
· autorizzazione al Governo all’attuazione delle direttive o delle raccomandazioni (CECA) in via regolamentare. Viene così rimessa all'esercizio del potere regolamentare del Governo l'attuazione delle direttive (contenute in passato nell'allegato C), riguardanti materie già disciplinate con legge, ma non riservate alla legge;
Disposizioni modificative o abrogative anche di vigenti norme di attuazione di direttive comunitarie, qualora esse formino oggetto di procedure di infrazione avviate dalla Commissione europea nei confronti dell’Italia.
La legge 4 febbraio 2005, recante “Norme generali sulla partecipazione dell’Italia al processo normativo dell’Unione europea e sulle procedure di esecuzione degli obblighi comunitari” è volta a modificare le procedure per la partecipazione dell’Italia al processo di formazione e di attuazione della normativa comunitaria previste dalla legge “La Pergola” (legge 9 marzo 1989, n. 86), che viene integralmente sostituita ed abrogata.
Le innovazioni attengono principalmente ai seguenti profili:
v la partecipazione parlamentare e degli altri soggetti interessati alla cosiddetta fase “ascendente” della formazione del diritto comunitario;
v l’introduzione della riserva di esame parlamentare sui progetti di atti comunitari, che il Governo può apporre in sede di Consiglio dei Ministri dell’UE;
v la previsione di nuove modalità per il recepimento del diritto comunitario nella cosiddetta fase “discendente”;
v la procedimentalizzazione della partecipazione delle regioni, degli enti locali e delle parti sociali a tutto il processo di integrazione del nostro ordinamento con quello dell’Unione europea, anche in relazione alle modifiche apportate al Titolo V della Costituzione dalla L. cost. n. 3/2001.
Il provvedimento intende rafforzare la partecipazione del nostro Paese al processoso normativo comunitario, sia nella fase di formazione che in quella di attuazione.
In merito alla fase ascendente, si ricorda – oltre alle novità già indicate – l’istituzione del Comitato interministeriale per gli affari comunitari europei (CIACE), nell’ambito del quale si concordano le linee politiche del Governo ai fini della formazione della posizione italiana nella fase di predisposizione degli atti comunitari e dell’Unione europea (articolo 2).
L’articolo 15 della legge modifica parzialmente anche il contenuto della relazione annuale al Parlamento. La novità più significativa è contenuta nella lettera d): la relazione governativa deve soffermarsi sulle osservazioni e sugli atti d’indirizzo del Parlamento e (limitatamente alle osservazioni) della Conferenza dei presidenti delle regioni e delle province autonome, della Conferenza Stato-Regioni e dalla Conferenza dei presidenti delle Assemblee legislative regionali. Del pari innovativa, è la previsione di cui alla lettera e), in base alla quale il Governo deve fornire al Parlamento l’elenco delle decisioni comunitarie che il Consiglio dei ministri ha deliberato di impugnare, indicandone i motivi. Le restanti previsioni ricalcano il disposto dell’art. 7 della legge n. 86.
In relazione alla fase discendente, oltre ad ampliare il contenuto proprio della legge comunitaria (su cui si veda il precedente paragrafo), la nuova legge prevede:
· che il tempestivo adeguamento del nostro ordinamento al diritto comunitario possa essere assicurato anche attraverso l’attribuzione al Presidente del Consiglio o al Ministro per le politiche comunitarie della facoltà di proporre al Consiglio dei ministri l’adozione dei provvedimenti, anche urgenti, necessari al fine di dare attuazione ad atti normativi e sentenze degli organi comunitari, qualora la scadenza di essi risulti anteriore alla data di presunta entrata in vigore della legge comunitaria relativa all’anno in corso (art. 10);
· la ridefinizione delle modalità di attuazione delle direttive in via regolamentare e amministrativa, circoscrivendo tale possibilità alle sole materie di potestà statale esclusiva (art. 11). I regolamenti sono adottati ai sensi dell’articolo 17, commi 1 e 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400 e devono conformarsi a specifici principi individuati al comma 3, tenendo comunque conto delle eventuali modificazioni della disciplina comunitaria intervenute sino al momento della loro adozione;
· che le regioni (articolo 16), nelle materie di propria competenza, possono dare immediata attuazione alle direttive comunitarie;
· la disciplina dei poteri sostitutivi statali (artt. 11, comma 8, 13, comma 2, e 16, comma 4), in modo analogo a quanto già contenuto all’art. 1, comma 5 (o 6), delle ultime leggi comunitarie. Infatti, si prevede che possono essere adottati atti normativi statali nelle materie di competenza legislativa delle regioni e delle province autonome al fine di porre rimedio all’eventuale inerzia di tali enti. In tale caso, gli atti normativi statali: si applicano esclusivamente nelle regioni e province autonome nelle quali non sia ancora in vigore una propria normativa di attuazione, a decorrere dalla scadenza del termine stabilito per l’attuazione della rispettiva normativa comunitaria; perdono comunque efficacia dalla data di entrata in vigore della normativa di attuazione di ciascuna regione e provincia autonoma; recano l’esplicita indicazione della natura sostitutiva del potere esercitato e del carattere cedevole delle disposizioni in essi contenute. Tale disciplina si pone in attuazione di quanto previsto dall’art. 117, quinto comma della Costituzione.
.
La legge n. 131 del
2003
(c.d. “legge La Loggia”)
Sui profili della partecipazione delle regioni all’ordinamento comunitario, è intervenuta anche la legge n. 131 del 2003, recante “Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3”.
In particolare, l’articolo 1, comma 2, della legge pone una clausola di cedevolezza – analogamente a quanto previsto dagli articoli 11, comma 8, 13, comma 2, e 16, comma 4, della legge n. 11 del 2005, il primo dei quali è richiamato della legge comunitaria in esame – in base alla quale la normativa statale vigente in materie rientranti nella competenza legislativa regionale si applica sino alla data di entrata in vigore delle specifiche disposizioni regionali in materia.
Inoltre, l’articolo 5 di tale provvedimento reca disposizioni per la partecipazione delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano alla formazione degli atti comunitari e dell’Unione europea (la c.d. “fase ascendente”). La norma prevede che la partecipazione si svolga nell’ambito delle delegazioni del Governo e, nelle materie di competenza residuale delle regioni ex art. 117, IV comma, Cost., il Capo delegazione possa anche essere un Presidente di Giunta regionale o di Provincia autonoma.
Si ricorda che a tale disposizione ha dato attuazione l'articolo 2 dell'Accordo generale di cooperazione Stato/Regioni per la partecipazione delle Regioni alla formazione degli atti comunitari[25], in base al quale le Regioni sono rappresentate dal Presidente della Regione o da un delegato da esso designato, mentre l'articolo 4 prevede che nelle materie ex articolo 117, IV comma, il capo delegazione sia il Governo, salva diversa determinazione assunta d'intesa in sede di Conferenza Stato-Regioni, su istanza delle Regioni o della pubblica amministrazione.
Il comma 2 dell’articolo 5 ha altresì introdotto la possibilità che il Governo - nelle materie di competenza legislativa delle Regioni e delle Province autonome - proponga ricorso dinanzi alla Corte di giustizia avverso atti normativi comunitari ritenuti illegittimi anche su richiesta di una delle Regioni (o delle Province autonome). Tale possibilità diviene obbligo, qualora la richiesta venga effettuata dalla Conferenza Stato-Regioni, a maggioranza assoluta delle Regioni e delle Province autonome.
Infine, l’articolo 8 disciplina l’esercizio dei poteri statali sostitutivi, in attuazione dell’art. 120, II comma, Cost., stabilendo che qualora essi siano necessari al fine di porre rimedio alla violazione della normativa comunitaria, gli atti ed i provvedimenti sostitutivi sono adottati su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri o del Ministro per le politiche comunitarie e del Ministro competente per materia. In particolare, la norma prevede l’assegnazione di un congruo termine all’ente interessato per provvedere, decorso il quale interviene l’adozione dell’atto sostitutivo, di natura anche normativa, da parte del Consiglio dei ministri, sentito l’organo interessato. Accanto a questa forma di sostituzione, l’articolo 8 ne disciplina un’altra, attivabile nei casi di assoluta urgenza (comma 4).
La legge finanziaria per il 2007[26] ha introdotto rilevanti disposizioni che si affiancano a quanto previsto dalla legge n. 11 del 2005 in tema di rapporti tra ordinamento interno ed ordinamento comunitario. In particolare, i commi 1213-1223 dell’unico articolo di cui si compone la legge finanziaria si prefiggono di corresponsabilizzare le Regioni, le province autonome, gli altri enti pubblici e i soggetti equiparati in relazione all’adempimento degli obblighi comunitari, con specifico riguardo alle misure da adottare per porre tempestivamente rimedio alle violazioni loro imputabili.
In questo modo lo Stato che, in base all’ordinamento comunitario, è l’unico responsabile di eventuali violazioni nei confronti dell’Unione europea, intende coinvolgere le proprie articolazioni territoriali ponendo in capo ad esse un generale obbligo di adempimento che, ove non ottemperato, consente l’esercizio di poteri sostitutivi da parte dello Stato stesso, e stabilendo il diritto di rivalersi nei loro confronti.
In particolare, il comma 1213 prevede che le Regioni, le Province autonome di Trento e di Bolzano, gli enti territoriali, gli altri enti pubblici ed i soggetti equiparati:
§ adottino le misure necessarie a porre tempestivamente rimedio alle violazioni, loro imputabili, degli obblighi comunitari, al fine di prevenire l'instaurazione delle procedure d'infrazione di cui agli articoli 226 e seguenti del Trattato istitutivo della Comunità europea o per porre termine alle stesse;
§ diano esecuzione agli obblighi derivanti dalle sentenze della Corte di giustizia delle Comunità europee, pronunciate ai sensi dell'articolo 228, comma 1, TCE.
In ogni caso, il comma 1214 prevede l’esercizio dei poteri statali sostitutivi nei confronti delle Regioni e degli altri enti indicati al comma 1213, responsabili della violazione degli obblighi comunitari o della non tempestiva esecuzione alle sentenze della Corte di giustizia. Tali poteri sostitutivi vengono esercitati secondo i princìpi e le procedure stabiliti dall'articolo 8 della legge n. 131/2003 e dall’articolo 11, comma 8, della legge n. 11/2005.
In caso di inadempimento agli obblighi derivanti dalla normativa comunitaria da parte degli enti suindicati, il comma 1215 prevede il diritto per lo Stato di rivalersi nei confronti degli indicati enti nelle regolazioni finanziarie operate a carico dell'Italia a valere sulle risorse di:
§ Fondo europeo agricolo di garanzia (FEAGA);
§ Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (FEASR);
§ altri Fondi aventi finalità strutturali.
Tale diritto di rivalsa è esercitato dallo Stato per compensare gli oneri finanziari derivanti dalle sentenze di condanna della Corte di Giustizia, ex art. 228 TCE (comma 1216), e della Corte europea dei diritti dell’uomo (comma 1217).
I successivi commi 1218-1222 disciplinano le modalità di esercizio del diritto di rivalsa.
L’attuazione di obblighi comunitari attraverso la decretazione d’urgenza
L’ultima fase dell’iter di approvazione della legge comunitaria 2006 ha visto l’emanazione e la successiva conversione di due decreti legge, finalizzati a dare attuazione ad obblighi comunitari: si tratta del d.l. 27 dicembre 2006, n. 297, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 febbraio 2007, n. 15[27] e del d.l. 15 febbraio 2007, n. 10, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 aprile 2007, n. 46[28].
In particolare, il primo di tali decreti legge ha dato attuazione alle direttive comunitarie 2006/48/CE e 2006/49/CE, il cui recepimento è previsto anche nella legge comunitaria 2006 (allegato B).
Esso inoltre, all’articolo 4, provvede all’esecuzione dell’ordinanza della Corte di Giustizia europea del 19 dicembre 2006 che chiede all’Italia di sospendere l’applicazione della legge della regione Liguria n. 36 del 2006, con la quale sono stabilite deroghe alle specie cacciabili per la stagione venatoria 2006/2007.
L’articolo 5, infine, istituisce l'Agenzia nazionale per i giovani, con sede in Roma, in attuazione della decisione n. 1719/2006/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 novembre 2006, trasferendo alla suddetta Agenzia le dotazioni finanziarie, strumentali e di personale dell'Agenzia nazionale italiana gioventù, costituita presso il Dipartimento della solidarietà sociale, che viene conseguentemente soppressa.
Il decreto legge n. 10 del 2007 adempie a numerosi obblighi comunitari, in distinti settori, derivanti da sentenze della Corte di giustizia delle Comunità europee e da procedure di infrazione pendenti nei confronti dello Stato italiano.
Le leggi comunitarie regionali
Negli ultimi anni le Regioni stanno dedicando notevole attenzione al raccordo con la normativa comunitaria, anche in attuazione della legge n. 11 del 2005. In particolare, al centro del dibattito si è posta l’introduzione di specifiche leggi comunitarie regionali, materia sulla quale alcune Regioni sono già intervenute con proprie leggi[29]: due (Emilia-Romagna e Friuli Venezia Giulia) hanno deciso di intervenire prima con leggi ordinarie e quindi con gli Statuti, dotandosi dello strumento della legge comunitaria (per il Friuli si tratta ancora di un progetto di Statuto, cfr. infra); la Valle d’Aosta ha disciplinato direttamente in via legislativa le modalità di partecipazione al processo normativo comunitario; Marche e Calabria hanno disciplinato la materia nella cornice delineata dagli Statuti; altre (Lazio, Liguria, Piemonte, Puglia, Abruzzo e Toscana) si sono affidate agli Statuti, che in qualche caso rinviano a successive leggi regionali; in particolare, gli Statuti del Lazio e del Piemonte disciplinano la legge comunitaria regionale. Si occupa dell’argomento anche una proposta di legge costituzionale approvata dal Consiglio regionale del Friuli Venezia Giulia per la revisione dello Statuto.
Per quanto riguarda le prime Regioni, Emilia-Romagna e Friuli Venezia Giulia hanno previsto l’adozione di leggi comunitarie (annuali in Emilia-Romagna e periodiche in Friuli Venezia Giulia): la legge 2 aprile 2004, n. 10, del Friuli Venezia Giulia è una legge organica, che reca disposizioni sulla partecipazione della Regione ai processi normativi dell’UE e sull’esecuzione degli obblighi comunitari; la legge 24 marzo 2004, n. 6, dell’Emilia-Romagna riforma in via generale il sistema amministrativo regionale, dettando specifiche disposizioni sui rapporti con l’Unione europea.
In particolare, la prima disciplina:
§ la partecipazione della Regione alla formazione degli atti comunitari;
§ la legge comunitaria regionale, contenente: disposizioni modificative o abrogative di norme legislative in contrasto con gli obblighi comunitari; disposizioni per dare attuazione ad atti comunitari; disposizioni che autorizzano la Giunta ad attuare le direttive in via regolamentare; elenco delle direttive da attuare in via amministrativa, regolamentare e di quelle che non necessitano di attuazione;
§ la relazione semestrale al Consiglio regionale sullo stato di attuazione della legge.
Più di recente, la legge statutaria approvata nella seduta del Consiglio regionale del 1° marzo 2007, recante “Determinazione della forma di governo della Regione Friuli Venezia Giulia e del sistema elettorale regionale, ai sensi dell’articolo 12 dello Statuto di autonomia”, disciplina, all’articolo 12, la partecipazione della Regione alla formazione del diritto comunitario, sulla scia della legge statale n. 11 del 2005.
La legge n. 6 del 2004 dell’Emilia-Romagna prevede anch’essa forme di partecipazione della Regione alla fase ascendente nonché una legge comunitaria regionale, volta a recepire gli atti normativi dell’UE e le sentenze della Corte di Giustizia. Inoltre, essa reca disposizioni modificative o abrogative di norme legislative necessarie all’attuazione degli obblighi comunitari e le disposizioni per l’attuazione di programmi regionali cofinanziati dall’UE, individuando infine gli atti comunitari da attuare in via amministrativa. Successivamente all’approvazione della legge, gli articoli 11 e 12 dello Statuto (legge regionale 31 marzo 2005, n. 13) hanno disciplinato in via generale – rispettivamente – i rapporti con l’ordinamento europeo ed internazionale e la partecipazione della Regione alla formazione e all’attuazione del diritto comunitario, rimandando alla legge la disciplina di dettaglio.
Contenuti del tutto analoghi alle leggi già citate reca la legge 16 marzo 2006, n. 8, della Valle d’Aosta, i cui articoli 9 e 10 introducono e disciplinano la legge comunitaria regionale[30]. In particolare, alla legge comunitaria sono altresì allegati l’elenco degli atti normativi comunitari che non necessitano di recepimento, in quanto l’ordinamento regionale risulta già conforme, nonché l’elenco degli atti normativi comunitari attuati in via amministrativa dalla Giunta (cfr. la legge comunitaria del Friuli).
Da ultimo, si segnalano le leggi della Regione Marche 2 ottobre 2006, n. 14, e della Regione Calabria 5 gennaio 2007, n. 3, che – al pari della legge del Friuli – si configurano come provvedimenti organici i quali, nella cornice delineata dallo Statuto[31], disciplinano la partecipazione della Regione ai processi normativi dell’UE e l’esecuzione degli obblighi comunitari, anche con riferimento alla legge n. 11 del 2005, più volte richiamata. In particolare, si prevede (artt. 3 e 4 di entrambe le leggi) l’adozione della legge comunitaria annuale, volta a dare attuazione agli atti normativi dell’UE, alle sentenze della Corte di giustizia e alle decisioni della Commissione UE. Il provvedimento deve contenere, altresì, disposizioni modificative o abrogative della normazione vigente in contrasto con gli obblighi comunitari nonché l’autorizzazione alla Giunta ad attuare gli atti normativi comunitari in via amministrativa.
Il disegno di legge comunitaria, presentato dalla Giunta al Consiglio (entro il 31 maggio di ogni anno nelle Marche ed entro il 1° giugno in Calabria), viene esaminato nell’ambito di una sessione comunitaria del Consiglio regionale, insieme al rapporto sullo stato di attuazione delle politiche comunitarie (presentato entro lo stesso termine), nel quale sono esposti: le posizioni sostenute dalla Regione nell’ambito della Conferenza Stato-Regioni e del Comitato delle Regioni; lo stato di avanzamento dei programmi di competenza della Regione, con l’indicazione delle procedure adottate per l’attuazione; gli orientamenti e le misure che si intendono adottare per l’attuazione delle politiche comunitarie per l’anno in corso; le attività di collaborazione internazionale avviate e quelle che si intendono avviare nell’anno in corso[32].
Le Regioni Lazio e Piemonte disciplinano nel proprio Statuto la legge comunitaria regionale: il Lazio prevede l’istituzione di una Commissione competente per gli affari comunitari ed entrambe stabiliscono che la legge comunitaria venga approvata in una apposita sessione.
Per quanto riguarda le altre Regioni, si segnala che:
§ la Regione Umbria prevede nell’ambito del proprio Statuto, all’articolo 25, che essa procede con legge al periodico recepimento delle direttive e degli altri atti normativi comunitari che richiedono un intervento legislativo: probabilmente sarà una futura legge regionale a disciplinare le concrete modalità di attuazione della normativa comunitaria;
§ lo Statuto della Toscana rinvia alla legge regionale la definizione dei modi di partecipazione di Giunta e Consiglio all’attuazione degli atti comunitari (articolo 70);
§ gli Statuti della Liguria, della Puglia dedicano specifici articoli ai rapporti con l’Unione europea, ponendo essenzialmente norme di principio. In particolare, l’art. 4 dello Statuto della Liguria afferma la partecipazione della Regione all’attuazione degli atti normativi comunitari, prevedendo altresì che essa realizzi forme di collegamento con gli organi dell’UE. Inoltre, l’art. 50 stabilisce che i regolamenti regionali di esecuzione di atti normativi comunitari sono approvati dalla Giunta, previo parere della Commissione consiliare competente. L’art. 9 dello Statuto della Puglia dichiara, invece, che la Regione opera nel quadro dei principi comunitari, cooperando con le Regioni d’Europa e sostenendo i processi d’integrazione.
Infine, si ricorda che la Regione Friuli si è rivelata particolarmente attiva ai fini dell’adempimento degli obblighi comunitari. Infatti, dopo l’approvazione della legge di carattere generale ed in sua attuazione, la Regione ha adottato due leggi comunitarie, quella per il 2004 e quella per il 2005. Si tratta delle leggi regionali 6 maggio 2005, n. 11, recante Disposizioni per l’adempimento degli obblighi della Regione Friuli Venezia Giulia derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee. Attuazione delle direttive 2001/42/CE, 2003/4/CE e 2003/78/CE (Legge comunitaria 2004) e 26 maggio 2006, n. 9, recante Disposizioni per l’adempimento degli obblighi della Regione Friuli Venezia Giulia derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee. Attuazione delle direttive 98/64/CE, 1999/27/CE, 1999/76/CE, 2000/45/CE, 2001/22/CE, 2003/126/CE, 2004/16/CE, 2005/4/CE, 2005/6/CE, 2005/10/CE.
1. Il Governo è delegato ad
adottare, entro il termine di dodici mesi dalla data di entrata in vigore della
presente legge, i decreti legislativi recanti le norme occorrenti per dare
attuazione alle direttive comprese negli elenchi di cui agli allegati A e B.
Per le direttive il cui termine di recepimento sia già scaduto ovvero scada nei
sei mesi successivi alla data di entrata in vigore della presente legge, il
termine per l'adozione dei decreti legislativi di cui al presente comma è
ridotto a sei mesi.
2. I decreti legislativi sono adottati, nel rispetto dell'articolo
14 della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta del Presidente del Consiglio
dei ministri o del Ministro per le politiche europee e del Ministro con
competenza istituzionale prevalente per la materia, di concerto con i Ministri
degli affari esteri, della giustizia, dell'economia e delle finanze e con gli
altri Ministri interessati in relazione all'oggetto della direttiva.
3. Gli schemi dei decreti legislativi
recanti attuazione delle direttive comprese nell'elenco di cui all'allegato B,
nonché, qualora sia previsto il ricorso a sanzioni penali, quelli relativi
all'attuazione delle direttive comprese nell'elenco di cui all'allegato A sono
trasmessi, dopo l'acquisizione degli altri pareri previsti dalla legge, alla
Camera dei deputati e al Senato della Repubblica affinché su di essi sia
espresso il parere dei competenti organi parlamentari. Decorsi quaranta giorni
dalla data di trasmissione, i decreti sono emanati anche in mancanza del
parere. Qualora il termine per l'espressione del parere parlamentare di cui al
presente comma, ovvero i diversi termini previsti dai commi 4 e 9, scadano nei
trenta giorni che precedono la scadenza dei termini previsti ai commi 1 o 5 o
successivamente, questi ultimi sono prorogati di novanta giorni.
4. Gli schemi dei decreti legislativi recanti attuazione
delle direttive che comportano conseguenze finanziarie sono corredati dalla
relazione tecnica di cui all'articolo 11-ter, comma 2, della legge 5
agosto 1978, n. 468, e successive modificazioni. Su di essi è richiesto anche
il parere delle Commissioni parlamentari competenti per i profili finanziari.
Il Governo, ove non intenda conformarsi alle condizioni formulate con
riferimento all'esigenza di garantire il rispetto dell'articolo 81, quarto
comma, della Costituzione, ritrasmette alle Camere i testi, corredati dei
necessari elementi integrativi di informazione, per i pareri definitivi delle
Commissioni competenti per i profili finanziari, che devono essere espressi
entro venti giorni. La procedura di cui al presente comma si applica in ogni
caso per gli schemi dei decreti legislativi recanti attuazione delle direttive:
2005/32/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 6 luglio 2005;
2005/33/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 6 luglio 2005; 2005/35/CE
del Parlamento europeo e del Consiglio, del 7 settembre 2005; 2005/47/CE del
Consiglio, del 18 luglio 2005; 2005/56/CE del Parlamento europeo e del
Consiglio, del 26 ottobre 2005; 2005/61/CE della Commissione, del 30 settembre
2005; 2005/62/CE della Commissione, del 30 settembre 2005; 2005/65/CE del
Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 ottobre 2005; 2005/71/CE del
Consiglio, del 12 ottobre 2005; 2005/81/CE della Commissione, del 28 novembre
2005; 2005/85/CE del Consiglio, del 1o dicembre 2005; 2005/94/CE del Consiglio,
del 20 dicembre 2005; 2006/54/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5
luglio 2006.
5. Entro diciotto mesi dalla data di entrata
in vigore di ciascuno dei decreti legislativi di cui al comma 1, nel rispetto
dei princìpi e criteri direttivi fissati dalla presente legge, il Governo può
emanare, con la procedura indicata nei commi 2, 3 e 4, disposizioni integrative
e correttive dei decreti legislativi adottati ai sensi del comma 1, fatto salvo
quanto previsto dal comma 6.
6. Entro tre anni dalla data di entrata in vigore dei
decreti legislativi di cui al comma 1, adottati per il recepimento di direttive
per le quali la Commissione europea si sia riservata di adottare disposizioni
di attuazione, il Governo è autorizzato, qualora tali disposizioni siano state
effettivamente adottate, a recepirle nell'ordinamento nazionale con regolamento
emanato ai sensi dell'articolo 17, comma 1, della legge 23 agosto 1988, n. 400,
e successive modificazioni, secondo quanto disposto dagli articoli 9 e 11 della
legge 4 febbraio 2005, n. 11, e con le procedure ivi previste.
7. In relazione a quanto disposto dall'articolo 117, quinto
comma, della Costituzione e dall'articolo 16, comma 3, della legge 4 febbraio
2005, n. 11, si applicano le disposizioni di cui all'articolo 11, comma 8,
della medesima legge n. 11 del 2005.
8. Il Ministro per le politiche europee, nel caso in cui una
o più deleghe di cui al comma 1 non risultino ancora esercitate decorsi quattro
mesi dal termine previsto dalla direttiva per la sua attuazione, trasmette alla
Camera dei deputati e al Senato della Repubblica una relazione che dà conto dei
motivi addotti dai Ministri con competenza istituzionale prevalente per la
materia a giustificazione del ritardo. Il Ministro per le politiche europee
ogni sei mesi informa altresì la Camera dei deputati e il Senato della
Repubblica sullo stato di attuazione delle direttive da parte delle regioni e
delle province autonome nelle materie di loro competenza.
9. Il Governo, quando non intende conformarsi ai pareri
parlamentari di cui al comma 3, relativi a sanzioni penali contenute negli
schemi di decreti legislativi recanti attuazione delle direttive comprese negli
elenchi di cui agli allegati A e B, ritrasmette con le sue osservazioni e con
eventuali modificazioni i testi alla Camera dei deputati e al Senato della
Repubblica. Decorsi trenta giorni dalla data di trasmissione, i decreti sono
adottati anche in mancanza di nuovo parere.
L’articolo 1 conferisce una delega al Governo per l’attuazione delle direttive comunitarie riportate in allegato alla legge comunitaria 2006 e stabilisce i termini e le modalità di emanazione dei decreti legislativi attuativi.
L’attuazione delle direttive comunitarie mediante delega legislativa, già contemplata dalla legge n. 86/1989[33] (c.d. “legge La Pergola”, art. 3) è oggi espressamente prevista, in via generale, dalla legge n. 11/2005[34] il cui art. 9, nel fissare i contenuti della legge comunitaria annuale, prevede che l’adeguamento dell’ordinamento nazionale a quello comunitario venga assicurato, oltre che con disposizioni modificative o abrogative di norme statali vigenti e con autorizzazione al Governo ad intervenire in via regolamentare, anche mediante conferimento al Governo di delega legislativa.
In particolare, il comma 1 richiama i due elenchi di direttive comprese negli allegati A e B alla legge comunitaria, alle quali dare attuazione entro 12 mesi dalla data di entrata in vigore della legge medesima. Nel caso in cui il termine di recepimento di una o più direttive sia già scaduto o sia in scadenza nei sei mesi successivi alla data di entrata in vigore della legge, i relativi decreti legislativi di attuazione dovranno essere adottati entro sei mesi.
La distinzione tra i due allegati risiede nel fatto che (comma 3) il procedimento per l’attuazione delle direttive incluse nell’allegato B prevede l’espressione del parere da parte dei competenti organi parlamentari; decorsi 40 giorni dalla data di trasmissione, i decreti possono comunque essere emanati anche in assenza del parere. Tale procedura – che riproduce quella già prevista nelle precedenti leggi comunitarie – è estesa anche ai decreti di attuazione delle direttive di cui all’allegato A, qualora in essi sia previsto il ricorso a sanzioni penali.
È inoltre previsto che, qualora il termine fissato per l’espressione del parere parlamentare venga a spirare in un momento successivo al trentesimo giorno antecedente la scadenza del termine per l’esercizio della delega, quest’ultimo termine sia prorogato di 90 giorni. Si intende in tal modo permettere al Governo di usufruire in ogni caso di un adeguato periodo di tempo per l’eventuale recepimento nei decreti legislativi delle indicazioni emerse in sede parlamentare.
Tale ultima previsione normativa si applica anche ai decreti legislativi integrativi o correttivi previsti dal successivo comma 5, nonché alle ipotesi di eventuale “doppio parere” previste dai commi 4 e 9, di cui si dirà tra breve.
Si ricorda che il parere parlamentare deve essere richiesto dopo aver già acquisito tutti gli altri pareri previsti dalla legge, secondo la prassi affermatasi nelle scorse legislature, soprattutto a partire dal 1998, a seguito dei reiterati interventi dei Presidenti delle Camere nei confronti del Governo, volti ad ottenere che il testo trasmesso per il parere parlamentare avesse completato la fase procedimentale interna all’esecutivo.
Il comma 2 richiama la procedura prevista dall’art. 14 della legge n.400/1988[35] per l’adozione dei decreti legislativi, i quali sono emanati dal Presidente della Repubblica previa deliberazione del Consiglio dei ministri, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri o del ministro per le politiche europee e del ministro con competenza istituzionale prevalente per materia, di concerto con i ministri degli affari esteri, della giustizia, dell’economia e delle finanze e con gli altri ministri interessati in relazione all’oggetto della direttiva.
Il comma 4 reca una disposizione (già contenuta nelle leggi comunitarie 2004 e 2005) che prevede modalità procedurali specifiche per il recepimento delle direttive che comportino conseguenze finanziarie.
I relativi schemi di decreto legislativo:
§ dovranno essere corredati della relazione tecnica prevista dalla legge n. 468/1978[36] (art. 11-ter, comma 2);
§ saranno oggetto del parere delle Commissioni parlamentari competenti per i profili finanziari.
Per quanto riguarda la prima condizione, va segnalato che l’obbligo di accompagnare con la relazione tecnica gli schemi di decreto legislativo comportanti conseguenze finanziarie è già contemplato in via generale dalla legge n. 468/1978.
Il comma prevede altresì che il Governo, ove non intenda conformarsi alle condizioni formulate al fine di garantire il rispetto dell’art. 81, quarto comma, Cost., deve sottoporre i testi (corredati delle necessarie informazioni integrative) a un nuovo parere delle Commissioni competenti per i profili finanziari, che si esprimono entro 20 giorni. Viene così introdotto il cosiddetto “doppio parere”, limitatamente ai provvedimenti di recepimento delle direttive sopra indicate. Una misura analoga è prevista, come si vedrà, per gli schemi di decreto che prevedono sanzioni penali (comma 9).
Il comma 4 in commento dispone in ogni caso l’applicazione delle modalità procedurali in esso previste agli schemi di decreti legislativi recanti attuazione di alcune direttive:
Si tratta delle seguenti:
§ 2005/32/CE, “Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa all'istituzione di un quadro per l'elaborazione di specifiche per la progettazione ecocompatibile dei prodotti che consumano energia e recante modifica della direttiva 92/42/CEE del Consiglio e delle direttive 96/57/CE e 2000/55/CE del Parlamento europeo e del Consiglio” (contenuta nell’allegato B della presente legge);
§ 2005/33/CE “Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 1999/32/CE in relazione al tenore di zolfo dei combustibili per uso marittimo” (contenuta nell’allegato A della presente legge);
§ 2005/35/CE “Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa all'inquinamento provocato dalle navi e all'introduzione di sanzioni per violazioni” (contenuta nell’allegato B della presente legge);
§ 2005/47/CE “Direttiva del Consiglio concernente l'accordo tra la Comunità delle ferrovie europee (CER) e la Federazione europea dei lavoratori dei trasporti (ETF) su taluni aspetti delle condizioni di lavoro dei lavoratori mobili che effettuano servizi di interoperabilità transfrontaliera nel settore ferroviario” (contenuta nell’allegato A della presente legge);
§ 2005/56/CE “Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alle fusioni transfrontaliere delle società di capitali” (contenuta nell’allegato A della presente legge);
§ 2005/61/CE “Direttiva della Commissione che applica la direttiva 2002/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio per quanto riguarda le prescrizioni in tema di rintracciabilità e la notifica di effetti indesiderati ed incidenti gravi” (contenuta nell’allegato A della presente legge);
§ 2005/62/CE “Direttiva della Commissione recante applicazione della direttiva 2002/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio per quanto riguarda le norme e le specifiche comunitarie relative ad un sistema di qualità per i servizi trasfusionali” (contenuta nell’allegato A della presente legge);
§ 2005/65/CE “Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa al miglioramento della sicurezza dei porti” (contenuta nell’allegato B della presente legge);
§ 2005/71/CE “Direttiva del Consiglio relativa a una procedura specificamente concepita per l'ammissione di cittadini di paesi terzi a fini di ricerca scientifica” (contenuta nell’allegato A della presente legge);
§ 2005/81/CE ”Direttiva della Commissione che modifica la direttiva 80/723/CEE relativa alla trasparenza delle relazioni finanziarie fra gli Stati membri e le loro imprese pubbliche nonché fra determinate imprese” (contenuta nell’allegato A della presente legge);
§ 2005/85/CE “Direttiva del Consiglio recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato” (contenuta nell’allegato A della presente legge);
§ 2005/94/CE “Direttiva del Consiglio relativa a misure comunitarie di lotta contro l'influenza aviaria e che abroga la direttiva 92/40/CEE” (contenuta nell’allegato A della presente legge);
§ 2006/54/CE “Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio riguardante l’attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego (rifusione)” (contenuta nell’allegato B della presente legge).
Il comma 5 delega il Governo ad adottare, con la medesima procedura di cui ai commi 2, 3 e 4, entro 18 mesi dall’entrata in vigore di ciascuno dei decreti legislativi, disposizioni integrative e correttive dei decreti medesimi, nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi fissati dalla legge.
Con riguardo ai decreti legislativi di cui al comma 1, concernenti direttive per cui la Commissione europea si sia riservata di adottare disposizioni di attuazione, il comma 6 autorizza il Governo ad adottare con regolamento governativo (ex art. 17, comma 1, legge n. 400/1988), entro tre anni dall’entrata in vigore di ciascun decreto legislativo, misure volte al recepimento delle disposizioni attuative che siano state eventualmente adottate.
Al riguardo, si ricorda che il comma 6 dell’art. 1 della legge comunitaria per il 2005 prevedeva la possibilità di adottare decreti legislativi integrativi e correttivi entro tre anni dalla data di entrata in vigore dei decreti di recepimento della direttiva 2004/109/CE, al fine di tener conto delle eventuali disposizioni di attuazione adottate dalla Commissione europea. Analoga norma era stata inserita al comma 8 dell’art. 1 del relativo disegno di legge (A.C. 5767-A) onde consentire la medesima possibilità per deleghe conferite dalla legge comunitaria per il 2004, che veniva di conseguenza modificata. Nel corso dell’esame parlamentare, la norma è stata poi riformulata come articolo a sé stante, collocato nel Capo II del provvedimento (attuale art. 16, recante “Modifica all’articolo 1 della legge 18 aprile 2005, n. 62”).
La norma in esame sembra rispondere ad analoghe esigenze, fornendo però una risposta parzialmente differente, in quanto utilizza lo strumento del regolamento governativo al posto del decreto legislativo integrativo e correttivo, e generalizza tale possibilità, svincolandola da riferimenti specifici a singole direttive.
Il comma 7 – pur caratterizzato da una formulazione di non agevole lettura che si basa su di un triplice rinvio normativo – prevede in sostanza che, in relazione alle competenze legislative di Stato e Regioni in materia comunitaria, come definite dal vigente Titolo V della Parte II della Costituzione[37], valga la disciplina di cui all’art. 11, comma 8, della legge n. 11/2005, ove si prevede – in attuazione del nuovo quinto comma dell’art. 117 Cost. – un intervento suppletivo anticipato e cedevole da parte dello Stato, in caso di inadempienza delle Regioni nell’attuazione delle direttive nelle materie di loro competenza. Quest’ultima disposizione, inserita nelle precedenti leggi comunitarie[38], è stata recepita in via generale nella recente legge n. 11/2005: di qui, probabilmente, la scelta di limitare la disposizione ad un mero rinvio agli artt. 11, commi 8, e 16, co. 3, della legge n. 11/2005.
La disciplina dei poteri statali sostitutivi è contenuta – nell’ambito della legge 11/2005 – negli artt. 11, comma 8, relativo all’attuazione in via regolamentare; 13, comma 2, relativo agli adeguamenti tecnici; 16, comma 3, in materia di attuazione regionale.
La disciplina è sostanzialmente quella prevista dall’art. 11, comma 8, in base al quale spetta allo Stato, secondo modalità da stabilirsi con legge, un potere sostitutivo delle regioni e province autonome per i casi di loro inadempienza agli obblighi di attuazione degli atti normativi dell’Unione europea. La norma prevede un’articolata garanzia per le regioni e province autonome:
§ gli atti statali attuativi di direttive comunitarie, che intervengono su materie rimesse alla competenza legislativa (concorrente o residuale generale) delle regioni o delle province autonome, entrano in vigore – esclusivamente per le regioni e le province autonome che non abbiano ancora adottato la propria normativa di attuazione - solo alla data di scadenza del termine stabilito per l’attuazione della normativa comunitaria;
§ gli atti statali perdono comunque efficacia dalla data di entrata in vigore della normativa regionale (o provinciale) di attuazione delle direttive comunitarie, adottata da ciascuna regione e provincia autonoma e devono recare l’esplicita indicazione della natura sostitutiva e cedevole del potere esercitato e delle disposizioni in essi contenute.
Analogamente, l’art. 13, comma 2, stabilisce che i provvedimenti in materia di adeguamenti tecnici possono essere adottati nelle materie di competenza legislativa regionale in caso di inerzia delle regioni e province autonome. In tale caso, i provvedimenti statali adottati si applicano:
§ per le regioni e le province autonome nelle quali non sia ancora in vigore la propria normativa di attuazione;
§ a decorrere dalla scadenza del termine stabilito per l’attuazione della normativa comunitaria.
I provvedimenti recano l’esplicita indicazione della natura sostitutiva del potere esercitato e del carattere cedevole delle disposizioni in essi contenute e perdono comunque efficacia dalla data di entrata in vigore della normativa di attuazione di ciascuna regione e provincia autonoma.
Infine, l’art. 16, comma 3, in riferimento all’attuazione regionale delle direttive comunitarie, chiarisce che le disposizioni legislative adottate dallo Stato per l’adempimento degli obblighi comunitari in materie di competenza regionale si applicano “alle condizioni e secondo la procedura di cui all’articolo 11, comma 8”. La disciplina applicabile in questi casi è quindi desumibile dalla norma citata, che viene richiamata esclusivamente per quanto riguarda le condizioni e la procedura di attuazione, non anche per il tipo di atti statali sostitutivi che essa presuppone.
Il comma 8 introduce l’obbligo (già previsto dalle due ultime leggi comunitarie) per il Ministro per le politiche europee di trasmettere:
§ una relazione al Parlamento qualora una o più deleghe conferite dalla legge comunitaria non risultassero esercitate trascorsi quattro mesi dal termine previsto dalla direttiva per la sua attuazione;
§ un’informativa periodica (semestrale) sullo stato di attuazione delle direttive da parte delle regioni e province autonome.
Nelle precedenti leggi comunitarie tale relazione era quadrimestrale, ma di fatto non è mai stata presentata. Nel corso dell’esame del d.d.l. comunitaria per il 2006, il Governo ha chiesto di prevedere una cadenza semestrale per far sì che tale obbligo possa essere effettivamente rispettato.
Il comma 9 concerne i pareri parlamentari aventi ad oggetto le disposizioni penali introdotte negli schemi di decreti legislativi e prevede che, qualora il Governo non intenda conformarsi ai pareri, debba ritrasmettere alle Camere gli schemi con le sue osservazioni e con eventuali modificazioni. Le Commissioni competenti esprimono il parere definitivo entro 30 giorni[39], decorsi i quali i decreti sono comunque emanati. Viene così introdotto il cosiddetto “doppio parere”, limitato ad una tipologia precisa di schemi di decreto.
1. Salvi gli specifici princìpi e criteri direttivi
stabiliti dalle disposizioni di cui al capo IV e in aggiunta a quelli contenuti
nelle direttive da attuare, i decreti legislativi di cui all'articolo 1 sono
informati ai seguenti princìpi e criteri direttivi generali:
a) le amministrazioni
direttamente interessate provvedono all'attuazione dei decreti legislativi con
le ordinarie strutture amministrative;
b) ai fini di un migliore
coordinamento con le discipline vigenti per i singoli settori interessati dalla
normativa da attuare, sono introdotte le occorrenti modificazioni alle
discipline stesse, fatte salve le materie oggetto di delegificazione ovvero i
procedimenti oggetto di semplificazione amministrativa;
c) al di fuori dei casi
previsti dalle norme penali vigenti, ove necessario per assicurare l'osservanza
delle disposizioni contenute nei decreti legislativi, sono previste sanzioni
amministrative e penali per le infrazioni alle disposizioni dei decreti stessi.
Le sanzioni penali, nei limiti, rispettivamente, dell'ammenda fino a 150.000
euro e dell'arresto fino a tre anni, sono previste, in via alternativa o
congiunta, solo nei casi in cui le infrazioni ledano o espongano a pericolo
interessi costituzionalmente protetti. In tali casi sono previste: la pena
dell'ammenda alternativa all'arresto per le infrazioni che espongano a pericolo
o danneggino l'interesse protetto; la pena dell'arresto congiunta a quella
dell'ammenda per le infrazioni che rechino un danno di particolare gravità.
Nelle predette ipotesi, in luogo dell'arresto e dell'ammenda, possono essere
previste anche le sanzioni alternative di cui agli articoli 53 e seguenti del
decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274, e la relativa competenza del
giudice di pace. La sanzione amministrativa del pagamento di una somma non
inferiore a 150 euro e non superiore a 150.000 euro è prevista per le
infrazioni che ledano o espongano a pericolo interessi diversi da quelli
indicati nel secondo periodo della presente lettera. Nell'ambito dei limiti
minimi e massimi previsti, le sanzioni indicate dalla presente lettera sono
determinate nella loro entità, tenendo conto della diversa potenzialità lesiva
dell'interesse protetto che ciascuna infrazione presenta in astratto, di
specifiche qualità personali del colpevole, comprese quelle che impongono
particolari doveri di prevenzione, controllo o vigilanza, nonché del vantaggio
patrimoniale che l'infrazione può recare al colpevole o alla persona o all'ente
nel cui interesse egli agisce. Entro i limiti di pena indicati dalla presente
lettera sono previste sanzioni identiche a quelle eventualmente già comminate
dalle leggi vigenti per le violazioni omogenee e di pari offensività rispetto
alle infrazioni alle disposizioni dei decreti legislativi;
d) eventuali spese non
contemplate da leggi vigenti e che non riguardano l'attività ordinaria delle
amministrazioni statali o regionali possono essere previste nei decreti
legislativi recanti le norme necessarie per dare attuazione alle direttive nei
soli limiti occorrenti per l'adempimento degli obblighi di attuazione delle
direttive stesse; alla relativa copertura, nonché alla copertura delle minori
entrate eventualmente derivanti dall'attuazione delle direttive, in quanto non
sia possibile fare fronte con i fondi già assegnati alle competenti amministrazioni,
si provvede a carico del fondo di rotazione di cui all'articolo 5 della legge
16 aprile 1987, n. 183, per un ammontare complessivo non superiore a 50 milioni
di euro;
e) all'attuazione di
direttive che modificano precedenti direttive già attuate con legge o con
decreto legislativo si procede, se la modificazione non comporta ampliamento
della materia regolata, apportando le corrispondenti modificazioni alla legge o
al decreto legislativo di attuazione della direttiva modificata;
f) nella predisposizione
dei decreti legislativi si tiene conto delle eventuali modificazioni delle
direttive comunitarie comunque intervenute fino al momento dell'esercizio della
delega;
g) quando si verifichino
sovrapposizioni di competenze fra amministrazioni diverse o comunque siano
coinvolte le competenze di più amministrazioni statali, i decreti legislativi
individuano, attraverso le più opportune forme di coordinamento, rispettando i
princìpi di sussidiarietà, differenziazione, adeguatezza e leale collaborazione
e le competenze delle regioni e degli altri enti territoriali, le procedure per
salvaguardare l'unitarietà dei processi decisionali, la trasparenza, la
celerità, l'efficacia e l'economicità nell'azione amministrativa e la chiara
individuazione dei soggetti responsabili.
L’articolo 2 detta i princìpi e criteri direttivi di carattere generale per l’esercizio delle deleghe ai fini dell’attuazione delle direttive comunitarie; si tratta di princìpi e criteri in gran parte conformi a quelli previsti dalle precedenti leggi comunitarie.
La disposizione, prima di elencare tali princìpi generali, richiama due ulteriori categorie di princìpi e criteri direttivi per l’esercizio delle deleghe:
§ si tratta, innanzitutto, dei criteri contenuti nelle singole direttive comunitarie da attuare, ai quali si aggiungono i princìpi generali oggetto dell’articolo in esame;
§ in secondo luogo, sono fatti salvi gli specifici criteri di delega previsti dal capo IV, contenenti, appunto, le disposizioni particolari di adempimento e i criteri specifici di delega di alcune delle direttive da attuare.
Venendo ai criteri generali di delega, quello di cui alla lettera a) dispone che all'attuazione dei decreti legislativi provvedano le amministrazioni interessate avvalendosi delle loro ordinarie strutture.
La lettera b) prevede l’introduzione delle modifiche necessarie per un migliore coordinamento con le discipline vigenti nei singoli settori interessati dall’attuazione delle direttive comunitarie. Analogamente alle leggi comunitarie per il 2003, per il 2004 e per il 2005, la norma in esame fa salve “le materie oggetto di delegificazione ovvero i procedimenti oggetto di semplificazione amministrativa”.
Si ricorda che le leggi comunitarie precedenti specificavano espressamente che le modifiche, qualora incidessero su materie già oggetto di delegificazione o sui procedimenti amministrativi, dovessero essere introdotte con regolamento di delegificazione, al fine di evitare la rilegificazione di settori disciplinati da norme di rango sublegislativo.
Tale disposizione, già espunta dalla legge comunitaria 2001[40], è stata eliminata perché, in seguito alla riforma del Titolo V della Parte II della Costituzione (legge costituzionale n. 3/2001), la potestà regolamentare è riservata alle Regioni nelle materie che non siano di competenza legislativa esclusiva dello Stato[41].
Norme specifiche per l’introduzione nei decreti legislativi di recepimento delle direttive comunitarie di sanzioni penali e amministrative, per il caso di violazioni delle disposizioni contenute nei decreti legislativi stessi, sono previste nella lettera c).
La scelta che il Governo è autorizzato ad operare, in sede di attuazione della delega, tra la configurazione delle violazioni come reati o come illeciti amministrativi, è ancorata ai seguenti princìpi e criteri direttivi[42]:
§ mantenimento delle norme penali vigenti;
§ introduzione di nuove fattispecie di reati contravvenzionali, sanzionate – in via alternativa o congiunta – con la pena pecuniaria dell’ammenda fino a 150.000 euro e dell’arresto sino a 3 anni, nei casi in cui siano lesi o esposti a pericolo “interessi costituzionalmente protetti”. Quest’ultima formula è stata per la prima volta introdotta nella legge comunitaria 2002 (legge n. 14/2003). Le leggi comunitarie precedenti facevano, invece, riferimento a “interessi generali dell’ordinamento interno, compreso l’ecosistema”. In particolare, la pena dovrà essere prevista come alternativa per le infrazioni che espongano a pericolo o danneggino l’interesse protetto. Viceversa, si applicherà la pena congiunta dell’ammenda e dell’arresto per le infrazioni che rechino un danno di particolare gravità[43];
§ irrogabilità, nelle ipotesi testé dette, delle sanzioni alternative di cui agli artt. 53 ss. del d.lgs. n. 274/2000[44], applicandosi la relativa competenza del giudice di pace; tale criterio rappresenta una novità rispetto alle precedenti leggi comunitarie, che non lo contenevano; tali sanzioni sono quelle consistenti nell’obbligo di permanenza domiciliare (il sabato e la domenica), nel divieto di accesso a determinati luoghi e nello svolgimento di lavori di pubblica utilità (solo su richiesta del contravventore);
§ introduzione di nuove fattispecie di illeciti amministrativi puniti con una sanzione pecuniaria compresa tra un minimo ed un massimo molto distanti tra di loro (tra 150 e 150.000 euro), per le violazioni che ledano o espongano a pericolo beni giuridici diversi da quelli ora indicati;
§ nell’ambito del minimo e del massimo previsti, determinazione della pena edittale tenendo conto delle diverse potenzialità lesive dell’interesse protetto che le infrazioni presentano in astratto, di specifiche qualità personali del colpevole – con particolare riferimento a quelle che impongono particolari doveri di prevenzione, controllo o vigilanza – e del vantaggio patrimoniale che l’infrazione può recare al colpevole (o all’ente o alla persona nel cui interesse agisce);
§ entro i limiti di pena sopra indicati, previsione di sanzioni identiche a quelle eventualmente già comminate da leggi vigenti per violazioni omogenee e di pari offensività.
Il principio di delega di cui alla lettera d) fa riferimento alla copertura finanziaria delle norme delegate. Al riguardo si stabilisce che gli oneri derivanti dall’attuazione delle direttive debbano essere coperti con gli ordinari stanziamenti di bilancio. Nel caso in cui detti stanziamenti non risultassero sufficienti, si farà ricorso alle disponibilità sussistenti sul fondo di rotazione di cui all’art. 5 della legge n. 183/1987 (vedi infra) e, comunque, per un ammontare non superiore a 50 milioni di euro. Una identica disposizione è contenuta già nelle precedenti leggi comunitarie per il 2002, per il 2004 e per il 2005.
La citata legge n. 183/1987[45] istituisce, tra gli organi del coordinamento delle politiche comunitarie, il Fondo di rotazione. Ai sensi dell’art. 5 della legge, confluiscono nel fondo le somme erogate dalle istituzioni comunitarie, le somme individuate annualmente in sede di legge finanziaria e altre somme determinate con la legge di bilancio (nonché altre somme specifiche). Le risorse presenti sul fondo vengono erogate, su richiesta e secondo limiti di quote determinate dal CIPE, alle amministrazioni pubbliche e ad altri operatori pubblici e privati per l’attuazione dei programmi di politica comunitaria.
Le procedure finanziarie riguardanti le erogazioni concesse dal Fondo di rotazione delle politiche comunitarie sono state modificate dall’art. 65, comma 2, della legge finanziaria 2001 (legge 23 dicembre 2000, n. 388). Richiamando le nuove procedure finanziarie previste dai regolamenti comunitari per il ciclo di interventi dei Fondi strutturali 2000-2006, la norma ha autorizzato il Fondo di rotazione ad anticipare alle amministrazioni centrali l’acconto dei contributi comunitari previsto dall’art. 32, par. 2, del Regolamento (CE) n. 1260/1999, direttamente in base ai programmi operativi previsti dai regolamenti comunitari, anziché, come in precedenza, in base ai progetti in cui si articolano i programmi di intervento. La norma intende facilitare l’avvio da parte delle amministrazioni centrali degli interventi, ovviando alla mancanza di disponibilità di cassa in attesa del ricevimento dell’acconto da parte comunitaria, fermo restando il successivo reintegro al Fondo stesso degli accrediti provenienti dall’Unione europea. I ritardi nell’avvio dell’attuazione degli interventi comportano infatti, secondo quanto espressamente previsto dal regolamento, il disimpegno automatico delle risorse comunitarie.
Criteri legati all’armonizzazione delle deleghe legislative sono contenuti nelle lettere e) ed f). In particolare, si dispone che l’attuazione di direttive che modificano precedenti direttive già attuate avvenga per mezzo di modifiche apportate ai testi legislativi di attuazione di tali direttive, e che i decreti di attuazione tengano conto delle eventuali modifiche delle direttive che potranno intervenire fino al momento del concreto esercizio della delega.
Criteri connessi all’univocità dei processi decisionali quando i decreti legislativi investano trasversalmente diverse competenze ed amministrazioni sono contenuti nella lettera g), che si pone inoltre l’obiettivo di garantire, attraverso opportune forme di coordinamento, anche la trasparenza nell’azione amministrativa e la chiarezza nell’attribuzione di responsabilità. Sono espressamente richiamati il rispetto delle competenze delle regioni e degli altri enti territoriali, nonché il rispetto dei princìpi di sussidiarietà, differenziazione, adeguatezza e leale collaborazione.
Si ricorda che la terna di princìpi qui riprodotta (sussidiarietà, differenziazione, adeguatezza), già posta dalla legge n. 59/1997[46] a fondamento della ripartizione delle funzioni e dei compiti amministrativi tra i vari livelli di governo, ha assunto rilievo costituzionale in virtù della legge costituzionale n. 3/2001, di riforma del Titolo V della Parte II della Costituzione. Quest’ultima, nel riscrivere l’art. 118 Cost., ha infatti posto i princìpi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza alla base della ripartizione delle funzioni amministrative tra comuni, province, città metropolitane, regioni e Stato. La leale collaborazione, pur non espressamente menzionata dall’art. 118 Cost., è tuttavia riconosciuta dalla giurisprudenza costituzionale quale principio essenziale nei rapporti tra Stato ed autonomie territoriali (v. per tutte la sentenza C.Cost. 303/2003).
Art. 3
(Delega al Governo per la disciplina sanzionatoria di violazioni di disposizioni comunitarie)
1. Al fine di assicurare la piena integrazione delle norme comunitarie nell’ordinamento nazionale, il Governo, fatte salve le norme penali vigenti, è delegato ad adottare, entro due anni dalla data di entrata in vigore della presente legge, disposizioni recanti sanzioni penali o amministrative per le violazioni di direttive comunitarie attuate in via regolamentare o amministrativa, ai sensi delle leggi comunitarie vigenti, e di regolamenti comunitari vigenti alla data di entrata in vigore della presente legge, per le quali non siano già previste sanzioni penali o amministrative.
2. La delega di cui al comma 1 è esercitata con decreti legislativi adottati ai sensi dell’articolo 14 della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri o del Ministro per le politiche europee e del Ministro della giustizia, di concerto con i Ministri competenti per materia. I decreti legislativi si informano ai princìpi e criteri direttivi di cui all’articolo 2, comma 1, lettera c).
3. Gli schemi di decreto legislativo di cui al presente articolo sono trasmessi alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica per l’espressione del parere da parte dei competenti organi parlamentari con le modalità e nei termini previsti dai commi 3 e 9 dell’articolo 1.
L’articolo 3 prevede, in analogia con quanto disposto dalle ultime leggi comunitarie, l’introduzione di un trattamento sanzionatorio per le violazioni delle direttive attuate in via regolamentare o amministrativa (ossia in via non legislativa) ai sensi delle leggi comunitarie vigenti e per le violazioni di regolamenti comunitari già vigenti nel nostro ordinamento giuridico.
La necessità della norma risiede nel fatto che, sia nel caso dell’attuazione di direttive in via regolamentare o in via amministrativa, sia nel caso di vigenza nell’ordinamento italiano di regolamenti comunitari (che, come è noto, non necessitano di leggi di recepimento, essendo direttamente applicabili all’interno dell’ordinamento), non vi è una fonte normativa di rango primario che possa introdurre norme sanzionatorie di natura penale.
La finalità del presente articolo è, pertanto, quella di consentire al Governo di introdurre sanzioni volte a punire le trasgressioni commesse in violazione dei precetti contenuti nelle disposizioni normative comunitarie, garantendo il rispetto degli atti regolamentari o amministrativi con cui tali disposizioni comunitarie vengono trasposte nell’ordinamento interno.
A tal fine, il comma 1 contiene una delega al Governo per l’adozione, entro due anni dalla data di entrata in vigore della legge e fatte salve le norme penali vigenti, di disposizioni recanti sanzioni penali o amministrative per la violazione di direttive comunitarie attuate in via regolamentare o amministrativa ai sensi delle leggi comunitarie vigenti (non solo, dunque, della legge comunitaria in commento) nonché di regolamenti comunitari vigenti alla data di entrata in vigore della legge comunitaria per il 2006 e per i quali non siano già previste sanzioni penali o amministrative.
Il comma 2 stabilisce che i decreti legislativi sono adottati, ai sensi dell'art. 14 della legge 23 agosto 1988, n. 400[47], su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri o del Ministro per le politiche europee e del Ministro della giustizia, di concerto con i Ministri competenti per materia.
La tipologia e la scelta delle sanzioni dovrà essere effettuata secondo i princìpi ed i criteri direttivi di cui all’art. 2, comma 1, lettera c), della legge comunitaria (vedi supra).
Il comma 3 prevede l’acquisizione del parere delle competenti Commissioni parlamentari sugli schemi di decreto legislativo. I pareri sono espressi con le modalità previste dai commi 3 e 9 dell’art. 1 della legge (cfr. supra).
1. In relazione agli oneri per prestazioni e controlli si applicano le disposizioni di cui all’articolo 9, comma 2, della legge 4 febbraio 2005, n. 11.
2. Le entrate derivanti dalle tariffe determinate ai sensi del comma 1, qualora riferite all’attuazione delle direttive comprese negli elenchi di cui agli allegati A e B, nonché di quelle da recepire con lo strumento regolamentare, sono attribuite alle amministrazioni che effettuano le prestazioni e i controlli, mediante riassegnazione ai sensi del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 10 novembre 1999, n. 469.
L’articolo 4, comma 1, dispone l’applicabilità dell’articolo 9, comma 2, della legge n. 11 del 2005[48] per gli oneri derivanti dall’esecuzione di prestazioni e controlli.
In base alla richiamata disposizione, gli oneri relativi a prestazioni e controlli da eseguire da parte di uffici pubblici, ai fini dell'attuazione delle disposizioni comunitarie di cui alla legge comunitaria, sono posti a carico dei soggetti interessati, secondo tariffe determinate sulla base del costo effettivo del servizio, ove ciò non risulti in contrasto con la disciplina comunitaria; le tariffe sono predeterminate e pubbliche.
La norma appare volta ad evitare oneri aggiuntivi per la finanza pubblica derivanti dall’applicazione della normativa comunitaria, nel caso in cui quest’ultima imponga alle pubbliche amministrazioni adempimenti rivolti a soggetti che è possibile individuare specificamente.
Dunque, la disposizione del comma 1 si limita a confermare quanto già in via generale disposto dall’articolo 9, comma 2, della legge n. 11/2005.
Il comma 2 stabilisce che le entrate derivanti dalle tariffe di cui al comma 1, qualora riferite all’attuazione delle direttive di cui agli allegati A e B della legge in esame, nonché all’attuazione di quelle da recepire con lo strumento regolamentare, siano attribuite alle amministrazioni che effettuano le prestazioni ed i controlli, mediante riassegnazione ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 10 novembre 1999, n. 469.
L’articolo 2 del citato D.P.R. n. 469/1999[49] prevede che le riassegnazioni alle pertinenti unità previsionali di base di particolari entrate previste da specifiche disposizioni legislative, anche riguardanti finanziamenti dell'Unione europea, siano disposte con decreti del Ministro dell’economia e delle finanze, da registrarsi alla Corte dei conti[50].
Le amministrazioni interessate trasmettono al Ministero dell’economia e delle finanze le domande intese ad ottenere le riassegnazioni, corredate da una dichiarazione del responsabile del procedimento amministrativo che attesti, anche sulla base delle relative evidenze informatiche, l'avvenuto versamento all'entrata del bilancio e la riassegnabilità delle somme.
Si ricorda che la legge finanziaria per il 2006 (legge 23 dicembre 2005, n. 266: art. 1, comma 46) ha disposto un limite alla riassegnazione di entrate: dal 2006 esse non possono superare l'importo complessivo delle riassegnazioni effettuate nel 2005[51].
L’articolo in esame riproduce il contenuto dell’articolo 6 della legge comunitaria 2005 (legge 25 gennaio 2006, n. 29).
Art. 5
(Delega al Governo per il riordino normativo nelle materie interessate dalle direttive comunitarie)
1. Il Governo è delegato ad adottare, senza nuovi o maggiori oneri
a carico della finanza pubblica, con le modalità di cui ai commi 2 e 3
dell'articolo 1, entro il termine di diciotto mesi dalla data di entrata in
vigore della presente legge, testi unici delle disposizioni dettate in
attuazione delle deleghe conferite per il recepimento di direttive comunitarie,
al fine di coordinare le medesime con le altre norme legislative vigenti nelle
stesse materie, apportando le sole modificazioni necessarie a garantire la
semplificazione e la coerenza logica, sistematica e lessicale della normativa.
2. I testi unici di cui al comma 1 riguardano materie o
settori omogenei.
3. Per le disposizioni adottate ai sensi del presente
articolo si applica quanto previsto al comma 7 dell'articolo 1.
L’articolo 5 conferisce, al comma 1, una delega al Governo da esercitare entro 18 mesi dalla data di entrata in vigore della legge, per l’adozione di testi unici delle disposizioni dettate in attuazione delle deleghe conferite per il recepimento di direttive comunitarie nell’ordinamento interno, al fine di coordinare le norme vigenti nelle stesse materie, apportandovi le integrazioni e modifiche necessarie a garantire la semplificazione e la coerenza logica, sistematica e lessicale della normativa.
Il comma precisa che l’adozione dei testi unici non deve comportare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.
Il comma 2 stabilisce che i testi unici devono riguardare materie o settori omogenei.
Si segnala che il comma non ripropone la norma introdotta dalle precedenti leggi comunitarie, in base alla quale le disposizioni contenute nei testi unici non possono essere abrogate, derogate o sospese o comunque modificate se non in modo esplicito, mediante l’indicazione puntuale delle disposizioni da abrogare, derogare, sospendere o modificare.
Disposizioni relative al riordinamento normativo nei settori interessati da direttive comunitarie erano già contenute nelle leggi comunitarie a partire dal 1994[52]. Peraltro, tali deleghe sono state esercitate una volta soltanto, attraverso l’emanazione del testo unico in materia di intermediazione finanziaria (d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, adottato ai sensi degli articoli 8 e 21 della legge comunitaria per il 1994[53]).
In materia di testi unici era intervenuta la disciplina generale di cui all’art. 7 della legge n. 50/1999[54], che prevedeva il riordino della normativa attraverso lo strumento dei testi unici cosiddetti “misti”, ossia recanti sia disposizioni di rango legislativo, che regolamentari.
È in seguito intervenuta la legge di semplificazione per il 2001 (legge n. 229/2003[55]), che ha innovato profondamente le metodologie di razionalizzazione normativa sinora perseguite, modificando il contenuto della legge annuale di semplificazione (così come disciplinato dall’art. 20 della legge n. 59/1997), privilegiando il ricorso alla delegazione legislativa ed alla delegificazione e sancendo l’abbandono dei testi unici misti, con l’abrogazione del citato art. 7 della legge n. 50/1999, che li aveva introdotti[56].
Il comma 3 prevede l’applicazione della clausola di salvaguardia delle competenze regionali, prevista dal comma 7 dell’articolo 1 della legge in esame, anche ai testi unici adottati nelle materie interessate da direttive comunitarie ai sensi dell’articolo in esame.
1. Il Governo è autorizzato a dare attuazione alle direttive comprese nell’elenco di cui all’allegato C con uno o più regolamenti da emanare ai sensi dell’articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, secondo quanto disposto dagli articoli 9 e 11 della legge 4 febbraio 2005, n. 11, e con le procedure ivi previste, previo parere dei competenti organi parlamentari ai quali gli schemi di regolamento sono trasmessi con apposite relazioni cui è allegato il parere del Consiglio di Stato e che si esprimono entro quaranta giorni dall’assegnazione. Decorso il predetto termine, i regolamenti sono emanati anche in mancanza di detti pareri.
2. Dall’attuazione del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri né minori entrate per la finanza pubblica.
L’articolo 6 è volto a prevedere l’attuazione di direttive comunitarie attraverso lo strumento regolamentare, in ossequio a quanto disposto dagli articoli 9, comma 1, lett. d), ed 11 della legge 4 febbraio 2005, n. 11.
La disciplina di tale modalità di recepimento delle direttive è stata reintrodotta dopo alcuni anni dall’articolo 7 della legge comunitaria per il 2005.
E’ interessante sottolineare che – nonostante la possibilità di procedere al recepimento degli atti comunitari anche attraverso i regolamenti governativi fosse già prevista dalla legge n. 86 del 1989 – tale modalità di attuazione delle direttive non è stata adottata nelle ultime leggi comunitarie (l’ultimo esempio di ricorso allo strumento regolamentare è rappresentato dalla legge n. 526 del 1999).
Si ricorda, infatti, che a seguito della riforma del Titolo V della Costituzione erano emersi alcuni problemi applicativi, soprattutto in relazione all’art. 117, sesto comma, che limita alle materie ricadenti nella potestà legislativa statale esclusiva l’ambito di intervento dei regolamenti. Pertanto, nelle leggi comunitarie successive alla riforma – in particolare, a partire dalla legge n. 39 del 2002 – non era stata più utilizzata tale modalità di recepimento.
La legge n. 11 del 2005 è tra l’altro intervenuta per adeguare al nuovo dettato costituzionale le modalità di attuazione delle direttive in via regolamentare, dettando una specifica disciplina agli articoli 9, comma 1, lett. d), ed 11.
Il comma 1 dell’articolo 6, in particolare, autorizza il Governo a recepire le direttive comprese nell’allegato C (appositamente introdotto), attraverso i regolamenti di delegificazione di cui all’art. 17, comma 2, della legge n. 400 del 1988[57].
Tali regolamenti dovranno essere adottati:
- nel rispetto di quanto previsto dagli articoli 9, comma 1, lett. d), e 11 della legge n. 11 del 2005 e secondo le procedure da essi previste;
- sentito il Consiglio di Stato, il cui parere è allegato ai relativi schemi di regolamento trasmessi alle Camere;
- previo parere dei competenti organi parlamentari, che si esprimono entro 40 giorni dalla data dell’assegnazione (decorso il quale i regolamenti sono comunque adottati); gli schemi di provvedimento devono essere trasmessi alle Camere con acclusa relazione, alla quale deve essere allegato il parere del Consiglio di Stato.
Le direttive da attuare con regolamento sono quelle indicate nell’allegato C della Legge comunitaria: per quanto concerne la legge comunitaria 2006 si tratta, in realtà, della sola direttiva 2005/45/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 7 settembre 2005, riguardante il reciproco riconoscimento dei certificati rilasciati dagli Stati membri alla gente di mare e recante modificazione della direttiva 2001/25/CE.
Il comma 2 dell’articolo 6 stabilisce poi che dall’attuazione dell’articolo in esame non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.
L’attuazione delle direttive in via regolamentare secondo la legge n. 11 del 2005.
L’articolo 9, comma 1, lett. d), della legge n. 11 del 2005 annovera, fra i contenuti tipici della legge comunitaria, le disposizioni che autorizzano il Governo ad attuare in via regolamentare le direttive, mentre l’articolo 11 della medesima legge detta la disciplina di tale modalità di attuazione.
Innanzi tutto, l’articolo 11 stabilisce che il recepimento in via regolamentare possa avvenire solo nelle materie di competenza statale esclusiva. In secondo luogo, la norma prevede una differente disciplina a seconda che l’attuazione venga effettuata attraverso:
· regolamenti governativi (commi 1-4);
· regolamenti ministeriali o interministeriali (comma 5).
In merito alla prima tipologia, l’articolo 11 pone dei requisiti stringenti, in quanto tali regolamenti possono essere adottati solo nelle materie:
- già disciplinate con legge;
- non coperte da riserva assoluta di legge.
In secondo luogo, si stabilisce che i regolamenti siano adottati ai sensi dell’articolo 17, commi 1 e 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri o del Ministro per le politiche comunitarie e del Ministro con competenza istituzionale prevalente per la materia di concerto con gli altri ministri interessati.
Sugli schemi dei regolamenti devono essere acquisiti determinati pareri e in particolare:
- sempre il parere del Consiglio di Stato, che deve esprimersi nei 45 giorni successivi alla richiesta.
- il parere dei competenti organi parlamentari solo ove la legge comunitaria disponga in tal senso: in questo caso gli schemi dei regolamenti vengono trasmessi unitamente ad apposite relazioni cui è allegato il parere del Consiglio di Stato. Il parere parlamentare deve essere espresso nel termine di quaranta giorni dall’assegnazione.
Il decorso dei termini legittima il Governo ad adottare i regolamenti anche in mancanza dei citati pareri.
La procedura appena descritta può essere utilizzata anche per recepire (ovviamente con fonte di rango regolamentare) le modifiche delle direttive attuate in via regolamentare ai sensi dell’articolo in esame, se così dispone la legge comunitaria (art. 12).
I regolamenti devono poi conformarsi a norme generali individuati al comma 3, nel rispetto dei principi e delle disposizioni posti dalle direttive da attuare, e tenendo comunque conto delle eventuali modificazioni della disciplina comunitaria intervenute sino al momento della loro adozione.
In particolare, le norme generali consistono in:
- individuazione della responsabilità e delle funzioni attuative delle amministrazioni, nel rispetto del principio di sussidiarietà;
- esercizio dei controlli da parte degli organismi già operanti nel settore e secondo modalità che assicurino efficacia, efficienza, sicurezza e celerità;
- esercizio delle opzioni previste dalle direttive in conformità alle peculiarità socio-economiche nazionali e locali e alla normativa di settore;
- fissazione di termini e procedure, nel rispetto dei princìpi di cui all’articolo 20, comma 5, della legge 15 marzo 1997, n. 59[58], come modificato dall’art. 1 della legge n. 229/2003.
In ogni caso, è sempre necessario l’intervento della legge comunitaria (o di altra legge)[59]:
· laddove le direttive lascino spazio alla discrezionalità del legislatore nazionale quanto alle modalità della attuazione, per l’individuazione di principi e criteri direttivi;
· per l’adozione delle disposizioni atte a prevedere sanzioni penali od amministrative, nonché quelle necessarie per individuare le autorità pubbliche alle quali affidare le funzioni amministrative attinenti all’applicazione della nuova disciplina;
· ove l’attuazione delle direttive comporti l’istituzione di nuovi organi o strutture amministrative;
· ove l’attuazione delle direttive comporti la previsione di nuove spese o minori entrate.
Si segnala poi che il comma 8 dell’art. 11 della legge n. 11 del 2005 prevede che i regolamenti possono essere utilizzati anche per porre rimedio all’eventuale inerzia delle regioni nell’attuazione del diritto comunitario, disciplinando l’esercizio di poteri sostitutivi statali, in attuazione di quanto disposto dall’articolo 117, quinto comma, della Costituzione.
Per quanto riguarda la seconda tipologia di regolamenti, invece, si sottolinea che la legge comunitaria 2006 non si avvale di tale modalità di recepimento delle direttive.
In estrema sintesi, si ricorda comunque che il comma 5 dell’art. 11 della citata legge n. 11 pone ulteriori requisiti, in quanto i regolamenti ministeriali o interministeriali, nonché gli atti amministrativi generali possono intervenire nelle materie:
§ non disciplinate dalla legge;
§ non disciplinate dai regolamenti governativi;
§ non coperte da riserva di legge.
Tali regolamenti sono adottati ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge n. 400 del 1988[60]. Nelle stesse materie, la disciplina di attuazione può essere posta anche a mezzo di atto amministrativo generale adottato dal Ministro con competenza prevalente per materia, di concerto con gli altri Ministri interessati.
Si ricorda, infine, che la possibilità di attuazione in via amministrativa delle direttive comunitarie era stata introdotta dall’articolo 11 della legge n. 183 del 1987 (cd. “legge Fabbri”), prevedendo che il Governo o le regioni potessero dare attuazione alle raccomandazioni o alle direttive comunitarie mediante regolamenti o altri atti amministrativi generali, di competenza dei rispettivi organi, e con i procedimenti previsti per gli stessi, a condizione che la disciplina comunitaria non riguardasse materie già disciplinate con legge o coperte da riserva di legge. Inoltre, l’art. 4, comma 7, della legge “La Pergola” faceva salve le disposizioni di legge che consentivano, per materie particolari, il recepimento di direttive mediante atti amministrativi. Si ricorda che l’art. 11 della legge Fabbri, oltre all’intera legge n. 86 del 1989, sono stati abrogati dall’art. 22 della legge n. 11 del 2005.
Art. 7
(Introduzione degli articoli 15-bis e 15-ter della legge 4 febbraio 2005, n. 11, in materia di informazioni del Governo al Parlamento)
1. Dopo l'articolo 15 della legge 4 febbraio 2005, n. 11,
sono inseriti i seguenti:
"Art. 15-bis.
- (Informazione
al Parlamento su procedure giurisdizionali e di pre-contenzioso riguardanti
l'Italia). - 1. Il Presidente del Consiglio dei ministri o il
Ministro per le politiche europee, sulla base delle informazioni ricevute dalle
amministrazioni competenti, trasmette ogni sei mesi alle Camere e alla Corte
dei conti un elenco, articolato per settore e materia:
a)
delle sentenze della Corte di giustizia delle Comunità europee e degli altri organi
giurisdizionali dell'Unione europea relative a giudizi di cui l'Italia sia
stata parte o che abbiano rilevanti conseguenze per l'ordinamento italiano;
b)
dei rinvii pregiudiziali disposti ai sensi dell'articolo 234 del Trattato
istitutivo della Comunità europea o dell'articolo 35 del Trattato sull'Unione
europea da organi giurisdizionali italiani;
c)
delle procedure di infrazione avviate nei confronti dell'Italia ai sensi degli
articoli 226 e 228 del Trattato istitutivo della Comunità europea, con
informazioni sintetiche sull'oggetto e sullo stato del procedimento nonché
sulla natura delle eventuali violazioni contestate all'Italia;
d)
dei procedimenti di indagine formale avviati dalla Commissione europea nei confronti
dell'Italia ai sensi dell'articolo 88, paragrafo 2, del Trattato istitutivo
della Comunità europea.
2. Il Ministro dell'economia e delle
finanze, di concerto con il Ministro per le politiche europee, trasmette ogni
sei mesi alle Camere e alla Corte dei conti informazioni sulle eventuali
conseguenze di carattere finanziario degli atti e delle procedure di cui al
comma 1.
3. Nei casi di particolare rilievo o
urgenza o su richiesta di una delle due Camere, il Presidente del Consiglio dei
ministri o il Ministro per le politiche europee trasmette alle Camere, in
relazione a specifici atti o procedure, informazioni sulle attività e sugli
orientamenti che il Governo intende assumere e una valutazione dell'impatto
sull'ordinamento.
Art. 15-ter. - (Relazione
trimestrale al Parlamento sui flussi finanziari con l'Unione europea).
- 1. Il Governo presenta ogni tre mesi alle Camere una relazione sull'andamento
dei flussi finanziari tra l'Italia e l'Unione europea. La relazione contiene un'indicazione
dei flussi finanziari ripartiti per ciascuna rubrica e sottorubrica contemplata
dal quadro finanziario pluriennale di riferimento dell'Unione europea. Per
ciascuna rubrica e sottorubrica sono riportati la distribuzione e lo stato di
utilizzo delle risorse erogate dal bilancio dell'Unione europea in relazione
agli enti competenti e alle aree geografiche rilevanti".
L’articolo 7 del Capo II della legge comunitaria 2006 modifica la legge n. 11 del 4 febbraio 2005[61] mediante l’inserimento di due articoli che ne integrano il dettato, prevedendo ulteriori obblighi informativi in capo al Governo nei confronti del Parlamento: trattasi degli articoli 15-bis (Informazione al Parlamento su procedure giurisdizionali e di pre-contenzioso riguardanti l’Italia) e 15-ter (Relazione trimestrale al Parlamento sui flussi finanziari con l’Unione europea).
Informazione al Parlamento su procedure giurisdizionali e di pre-contenzioso riguardanti l’Italia
L’articolo 15-bis della legge n. 11, introdotto dall’articolo 7 della legge comunitaria 2006, prevede la trasmissione semestrale al Parlamento ed alla Corte dei Conti – da parte del Presidente del Consiglio dei ministri o del Ministro per le politiche europee – di un elenco articolato per settore e materia contenente l’indicazione di:
§ sentenze della Corte di Giustizia e degli altri organi giurisdizionali dell’Unione relative a giudizi in cui l’Italia sia direttamente o indirettamente coinvolta;
§ cause sollevate in via pregiudiziale, ai sensi dell’articolo 234 TCE e dell’articolo 35 TUE, da organi giurisdizionali italiani;
Si ricorda che l’articolo 234 TCE prevede che la Corte di giustizia è competente a pronunciarsi, in via pregiudiziale:
a) sull'interpretazione del trattato;
b) sulla validità e l'interpretazione degli atti compiuti dalle istituzioni della Comunità e dalla BCE;
c) sull'interpretazione degli statuti degli organismi creati con atto del Consiglio, quando sia previsto dagli statuti stessi.
L’articolo 35, paragrafo 1, TUE, invece, attribuisce alla Corte di giustizia la competenza a pronunciarsi in via pregiudiziale sulla validità o l'interpretazione delle decisioni-quadro e delle decisioni, sull'interpretazione di convenzioni stabilite ai sensi del Titolo VI (Disposizioni sulla cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale) e sulla validità e sull'interpretazione delle misure di applicazione delle stesse.
§ procedure di infrazione avviate nei confronti dell’Italia ai sensi degli articoli 226 e 228 TCE, corredate da informazioni sintetiche sul procedimento e sulla natura delle violazioni contestate all’Italia;
§ procedimenti di esame di aiuti di Stato avviati, ai sensi dell’articolo 88 del Trattato, dalla Commissione europea nei confronti dell’Italia.
Si ricorda che l’articolo 88 TCE prevede che la Commissione proceda con gli Stati membri all'esame permanente dei regimi di aiuti esistenti. In particolare, alla Commissione devono essere comunicati, in tempo utile perché presenti le sue osservazioni, i progetti diretti a istituire o modificare aiuti. Qualora la Commissione constati che uno di tali aiuti non è compatibile con l'articolo 87 TCE decide se lo Stato interessato deve sopprimerlo o modificarlo entro un termine da essa fissato. Nel caso in cui lo Stato non si dovesse conformare, la Commissione (o altro Stato interessato) può adire direttamente la Corte di giustizia.
La necessità di introdurre tali procedure informative sembra derivare anche dalla recente comunicazione (Sec(2005)1658) adottata dalla Commissione europea, che modifica ed inasprisce il sistema delle sanzioni, intervenendo sul metodo di calcolo e sulla tipologia delle sanzioni stesse, al fine di incentivare gli Stati membri ad adeguarsi più rapidamente alle sentenze di inadempimento della Corte di Giustizia (cfr. ultra).
Il comma 2 del nuovo articolo 15-bis stabilisce che è compito del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro per le politiche europee, trasmettere semestralmente alle Camere e alla Corte dei conti informazioni sulle eventuali conseguenze di carattere finanziario degli atti giurisdizionali e delle procedure di pre-contenzioso che riguardano l’Italia.
Inoltre, nei casi di particolare rilievo o urgenza (dunque d’ufficio) o su richiesta di una delle due Camere, si prevede che il Presidente del Consiglio dei ministri o il Ministro per le politiche europee trasmetta alle Camere, in relazione a specifici atti o procedure, informazioni sulle attività e sugli orientamenti che il Governo intende assumere e una valutazione dell’impatto sull’ordinamento (comma 3).
Si ricorda che la legge n. 11 del 2005, agli artt. 3 e 4, stabilisce in via generale quale sia il ruolo del Parlamento ed i connessi obblighi informativi del Governo nel processo di formazione delle decisioni comunitarie e dell'Unione europea (cd. fase ascendente del diritto comunitario).
L’articolo 10 prevede sia compito del Presidente del Consiglio dei Ministri o del Ministro per le politiche comunitarie proporre al Consiglio dei Ministri l'adozione dei provvedimenti, anche urgenti, necessari a fronte di atti normativi e di sentenze degli organi giurisdizionali delle Comunità europee e dell'Unione europea che comportano obblighi statali di adeguamento (qualora la scadenza risulti anteriore alla data di presunta entrata in vigore della legge comunitaria relativa all'anno in corso), assumendo le iniziative necessarie per favorire un tempestivo esame parlamentare dei provvedimenti.
Con specifico riferimento alle decisioni delle Comunità europee in fase discendente, l’art. 14 stabilisce che il Presidente del Consiglio dei Ministri o il Ministro per le politiche comunitarie trasmetta il testo delle decisioni adottate dal Consiglio o dalla Commissione delle Comunità europee alle Camere per la formulazione di eventuali osservazioni ed atti di indirizzo ai fini della loro esecuzione.
Un generale obbligo di informazione al Parlamento è posto in capo al Governo dall’articolo 15, che prevede una relazione annuale sui seguenti aspetti di rilievo comunitario:
a) gli sviluppi del processo di integrazione europea, con particolare riferimento alle attività del Consiglio europeo e del Consiglio dei Ministri dell'Unione europea, alle questioni istituzionali, alle relazioni esterne dell'Unione europea, alla cooperazione nei settori della giustizia e degli affari interni e agli orientamenti generali delle politiche dell'Unione;
b) la partecipazione dell'Italia al processo normativo comunitario con l'esposizione dei princìpi e delle linee caratterizzanti della politica italiana nei lavori preparatori in vista dell'emanazione degli atti normativi comunitari e, in particolare, degli indirizzi del Governo su ciascuna politica comunitaria, sui gruppi di atti normativi riguardanti la stessa materia e su singoli atti normativi che rivestono rilievo di politica generale;
c) l'attuazione in Italia delle politiche di coesione economica e sociale, l'andamento dei flussi finanziari verso l'Italia e la loro utilizzazione, con riferimento anche alle relazioni della Corte dei conti delle Comunità europee per ciò che concerne l'Italia;
d) i pareri, le osservazioni e gli atti di indirizzo delle Camere, nonché le osservazioni della Conferenza dei presidenti delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano, della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano e della Conferenza dei presidenti dell'Assemblea, dei Consigli regionali e delle province autonome, con l'indicazione delle iniziative assunte e dei provvedimenti conseguentemente adottati;
e) l'elenco e i motivi delle impugnazioni di decisioni comunitarie.
Relazione trimestrale al Parlamento sui flussi finanziari tra Italia e l’Unione europea
L’articolo 15-ter della legge n. 11, introdotto dall’articolo 7 in esame, prevede la presentazione al Parlamento da parte del Governo di una Relazione trimestrale sull’andamento dei flussi finanziari tra l’Italia e l’Unione europea, che contenga l’indicazione dei flussi finanziari ripartiti per ciascuna delle rubriche e sottorubriche contemplate nel quadro finanziario pluriennale di riferimento dell’Unione europea.
Per ciascuna rubrica e sottorubrica devono altresì essere riportate la distribuzione e lo stato di utilizzo delle risorse erogate dal bilancio dell’Unione europea in relazione agli enti competenti e alle aree geografiche rilevanti.
Per ciò che concerne l’articolazione del quadro finanziario pluriennale di riferimento dell’UE, si ricorda che esso si articola in otto rubriche di spesa: agricoltura, azioni strutturali, politiche interne, azioni esterne, amministrazione, riserve (monetaria, per aiuti d’urgenza, per garanzie), strategia di preadesione, compensazioni.
Quest’ultima rubrica, in particolare, è stata istituita per destinare risorse ai nuovi Stati membri al fine di evitare un loro saldo negativo nei flussi finanziari con l’UE, a causa della possibile sottoesecuzione dei fondi comunitari nei primi anni di adesione.
A tale riguardo, si ricorda che il Ministero dell’economia e delle finanze, annualmente, in sede di predisposizione del rendiconto generale dello Stato, provvede, ai sensi dell’art. 5, co. 2 del D.L. 23 settembre 1994, n. 547[62], a fornire al Parlamento una complessiva esposizione contabile dei reciproci flussi finanziari intercorsi nell'anno tra l'Italia e l'Unione europea, sia delle erogazioni effettuate da parte delle amministrazioni interessate a valere sugli stanziamenti iscritti nei capitoli del bilancio dello Stato destinati all’attuazione di interventi cofinanziati dall’Unione europea, sia delle erogazioni poste in essere dal fondo di rotazione per le politiche comunitarie in attuazione di tutti gli interventi di politica comunitaria[63].
L’ultima relazione disponibile relativa alla “Esposizione contabile dei flussi finanziari intercorsi nell’anno 2005 tra l’Italia e l’Unione europea” è contenuta nel Rendiconto per l’esercizio finanziario 2005, L. n. 272 del 22 ottobre 2006, in allegato al Conto consuntivo del Ministero dell’economia e finanze.
Si ricorda inoltre che il Ministero dell’Economia e finanze - Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato/I.G.R.U.E – già predisponeva trimestralmente una pubblicazione, relativa alla “Situazione trimestrale dei flussi finanziari Italia – Unione europea”, che perveniva, per prassi, al Parlamento, alla V Commissione Bilancio.
Tale pubblicazione è disponibile sul sito internet del Ministero dell’economia[64].
1. Sono
princìpi fondamentali, nel rispetto dei quali le regioni e le province autonome
esercitano la propria competenza normativa per dare attuazione o assicurare
l'applicazione degli atti comunitari di cui agli allegati alla presente legge
in materia di "tutela e sicurezza del lavoro", i seguenti:
a) salvaguardia delle
disposizioni volte a tutelare in modo uniforme a livello nazionale il bene
tutelato "tutela e sicurezza del lavoro", con particolare riguardo
all'esercizio dei poteri sanzionatori;
b) possibilità per le regioni e le
province autonome di introdurre, laddove la situazione lo renda necessario,
nell'ambito degli atti di recepimento di norme comunitarie incidenti sulla
materia "tutela e sicurezza del lavoro" e per i singoli settori di
intervento interessati, limiti e prescrizioni ulteriori rispetto a quelli
fissati dallo Stato, con contestuale salvaguardia degli obiettivi di protezione
perseguiti nella medesima tutela dalla legislazione statale.
2. Sono princìpi fondamentali, nel rispetto dei quali le
regioni e le province autonome esercitano la propria competenza normativa per
dare attuazione o assicurare l'applicazione degli atti comunitari di cui agli
allegati alla presente legge nella materia "tutela della salute", i
seguenti:
a) salvaguardia delle
disposizioni volte a tutelare in modo uniforme a livello nazionale il bene
tutelato "salute", con particolare riguardo all'esercizio dei poteri
sanzionatori;
b) limitazione degli
interventi regionali e provinciali in materie concernenti la tutela della
salute e le scelte terapeutiche comunque incidenti su diritti fondamentali
della persona interessata, qualora l'opzione normativa non risulti fondata
sull'elaborazione di indirizzi basati sulla verifica dello stato delle
conoscenze scientifiche e delle evidenze sperimentali acquisite tramite
istituzioni e organismi nazionali o sopranazionali e non costituisca il
risultato di tale verifica;
c) possibilità per le regioni
e le province autonome di introdurre, nell'ambito degli atti di recepimento di
norme comunitarie incidenti sulla tutela della salute e per i singoli settori
di intervento interessati, limiti e prescrizioni più severi di quelli fissati
dallo Stato, con contestuale salvaguardia degli obiettivi di protezione della
salute perseguiti dalla legislazione statale.
3. Le regioni a statuto speciale e le province autonome
danno attuazione o assicurano l'applicazione degli atti comunitari di cui al
presente articolo compatibilmente con le disposizioni dei rispettivi statuti
speciali di autonomia e delle relative norme di attuazione.
4. Dall'attuazione del presente articolo non devono derivare
nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.
L’articolo 8 è volto a individuare – limitatamente al recepimento di alcuni degli atti comunitari contemplati dal disegno di legge – i princìpi fondamentali in base ai quali le Regioni e le Province autonome esercitano l’attività legislativa in talune materie di competenza concorrente, ai sensi dell’art. 117, terzo comma, della Costituzione.
Quest'ultimo, com’è noto, reca un’elencazione di materie, denominate “di legislazione concorrente”, nelle quali spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei princìpi fondamentali, la quale è riservata alla legislazione dello Stato.
Con riguardo all’individuazione dei princìpi fondamentali in materie di competenza concorrente, la legge n. 131/2003[65] ha stabilito (art. 1, co. 3) che il legislatore regionale esercita la propria potestà legislativa concorrente nell’ambito dei principi fondamentali “espressamente determinati dallo Stato o, in difetto, quali desumibili dalle leggi statali vigenti”: il testo riconosce, dunque, alle Regioni la possibilità di esercitare immediatamente la potestà legislativa concorrente, pur in assenza di leggi statali recanti i princìpi fondamentali, desumendosi questi ultimi (in tal caso) dal complesso della legislazione statale vigente nelle relative materie.
La stessa legge ha delegato il Governo ad operare (entro l’11 giugno 2006) una ricognizione dei princìpi fondamentali che si traggono dalle leggi vigenti nelle materie attribuite alla potestà legislativa concorrente di Stato e Regioni (art. 1, co. 4). La delega legislativa (sulla quale ha inciso la Corte costituzionale, che, nella sentenza n. 280/2004, ne ha sottolineato la natura meramente ricognitiva) è stata esercitata con riguardo alle materie “professioni” (d.lgs. n. 30/2006); “armonizzazione dei bilanci pubblici” (d.lgs. n. 170/2006) e “casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale, enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale” (d.lgs. n. 171/2006).
L’articolo in commento attua una specifica previsione della legge 11/2005: l’art. 9, co. 1, lett. f), nel quale si dispone che la legge comunitaria annuale rechi, tra le altre, “disposizioni che individuano i princìpi fondamentali nel rispetto dei quali le Regioni e le Province autonome esercitano la propria competenza normativa per dare attuazione o assicurare l'applicazione di atti comunitari nelle materie di cui all'articolo 117, terzo comma, della Costituzione”.
Le materie prese in considerazione nell’articolo in esame sono le seguenti: “tutela e sicurezza del lavoro” (comma 1) e “tutela della salute” (comma 2).
Il comma 1 individua i princìpi fondamentali che devono essere rispettati dalle Regioni e dalle Province autonome nell’attuazione, per quanto di competenza, delle direttive comunitarie riportate negli allegati al disegno di legge comunitaria riguardanti la “tutela e sicurezza del lavoro”, materia rientrante nella sfera della legislazione concorrente ai sensi dell’art. 117, terzo comma, della Costituzione.
In particolare, si prevedono i seguenti princìpi fondamentali:
§ salvaguardia delle disposizioni dell’ordinamento statale volte a tutelare in modo uniforme a livello nazionale la “tutela e sicurezza del lavoro”, con particolare riferimento alla previsione di sanzioni;
§ possibilità per le Regioni e le Province autonome di introdurre, “laddove la situazione lo renda necessario”, per la stessa materia, limiti e prescrizioniulteriori rispetto a quelli fissati dalla legislazione dello Stato, sempre comunque salvaguardando gli obiettivi di protezione perseguiti dalla stessa legislazione.
La previsione di una competenza legislativa concorrente tra lo Stato e le Regioni e Province autonome, in materia di tutela e sicurezza del lavoro, ha sollevato alcuni dubbi e dato adito a problemi interpretativi relativamente alla ripartizione di competenze (cfr. infra). In particolare, l’attribuzione alle Regioni di una potestà legislativa concorrente in materia di sicurezza dei lavoratori non dovrebbe contrastare con l’esigenza di una garanzia uniforme sull’intero territorio nazionale per un bene di primaria importanza, quale la salute e la sicurezza sui luoghi di lavoro.
Si consideri che un notevole contributo all’interpretazione ed al chiarimento della ripartizione di competenze tra Stato e Regioni in materia di lavoro, a seguito dell’entrata in vigore del nuovo titolo V della Costituzione, è stato fornito dalle pronunce della Corte costituzionale relative ai provvedimenti di riforma del mercato del lavoro e, in particolare, dalla sentenza n. 50/2005, che, in sostanza, si occupa integralmente delle deleghe di cui agli articoli da 1 a 7 della legge n. 30/2003 e del conseguente d.lgs. n. 276/2003, e dalla sentenza n. 384/2005, relativa, invece, all’articolo 8 della legge n. 30/2003 ed al conseguente d.lgs. n. 124/2004, di riforma del sistema di vigilanza ispettiva del lavoro (cfr. infra).
Per quanto riguarda l’attribuzione di competenze legislative in materia di lavoro, si ricorda che il nuovo articolo 117 della Costituzione attribuisce la “tutela e sicurezza del lavoro” alla potestà legislativa concorrente tra Stato e Regioni. Pertanto, in base a tale criterio, allo Stato spetterebbe dettare i princìpi fondamentali in materia, mentre alle Regioni sarebbe riservata la disciplina di dettaglio[66] . La giurisprudenza della Corte costituzionale non ha fino ad oggi chiarito quale sia “il completo contenuto che debba riconoscersi alla materia tutela e sicurezza del lavoro”[67]. Tuttavia, sulla base delle sue pronunce, può affermarsi che sicuramente vi rientra la disciplina del mercato del lavoro e dell’incontro tra domanda e offerta di lavoro, quindi, in particolare, la disciplina relativa al collocamento, ai servizi per l’impiego ed alle politiche attive per l’inserimento lavorativo; inoltre, vi rientra la tutela relativa alla sicurezza e alla salute dei lavoratori sui luoghi di lavoro.
Peraltro, la Corte costituzionale ha chiarito, pronunciandosi sulla riforma del mercato del lavoro del 2003, che la legislazione sul lavoro non interviene esclusivamente nella materia “tutela e sicurezza del lavoro”, di competenza concorrente, poiché la regolamentazione dei contratti e rapporti di lavoro dal punto di vista intersoggettivo (obblighi e diritti delle parti) attiene alla materia “ordinamento civile”, di competenza esclusiva dello Stato. Si consideri, inoltre, che la legislazione sul lavoro, nel regolamentare i contratti a contenuto formativo, può toccare profili relativi alla competenza esclusiva delle Regioni (formazione e istruzione professionale), alla competenza concorrente (istruzione pubblica) o alla competenza esclusiva dello Stato (livelli essenziali dell’istruzione).
Si comprende, quindi, la difficoltà, con riferimento alla disciplina del lavoro, di individuare esattamente e distintamente la competenza spettante allo Stato o alle Regioni su singole disposizioni, che possono presentare profili attinenti a più di una materia, tra quelle definite dall’articolo 117. In tal caso, secondo la giurisprudenza della Corte costituzionale, va suddivisa la competenza in base ad ogni singolo profilo. Tuttavia, possono insorgere questioni di legittimità dovute all’interferenza tra norme rientranti in materie sottoposte a diversi regimi di competenza. In tal caso, non prevedendo la Costituzione un criterio di soluzione di tali interferenze, è necessaria, secondo la Corte, l’adozione di princìpi appositi e diversi: in primo luogo, quello di leale collaborazione, ma talvolta anche quello della prevalenza, cui la stessa Corte ha fatto ricorso “qualora appaia evidente l’appartenenza del nucleo essenziale di un complesso normativo ad una materia piuttosto che ad altre”[68].
Con riferimento al principio fondamentale di cui alla lettera a), relativo alla salvaguardia delle disposizioni volte a tutelare in maniera uniforme la materia “tutela e sicurezza del lavoro”, particolare importanza assume l’esercizio dei poteri sanzionatori, che, per sua natura, dovrebbe presentare un’adeguata uniformità sul territorio nazionale. A tal proposito, si ricorda che le Regioni e le Province autonome non possono assicurare appieno l’effettività della tutela, in quanto ad esse è sottratta la possibilità di introdurre sistemi sanzionatori penali. Difatti, la riserva statale della legislazione penale, già derivante dalla pacifica e costante interpretazione dell’art. 25, secondo comma, della Costituzione, è stata confermata dalla riforma costituzionale del 2001, che, all’articolo 117, secondo comma, della Costituzione, ha compreso tra le materie sottratte alla legislazione regionale quella relativa all’ordinamento penale. Ciò comporta un rilevante limite al potere normativo delle Regioni e delle Province autonome, considerato anche che spesso la legislazione interna che recepisce la disciplina comunitaria deve prevedere un sistema sanzionatorio non solamente amministrativo, ma anche penale, modulato sulla rilevanza degli interessi protetti, sistema che in materia di tutela e sicurezza del lavoro appare fondamentale.
Inoltre, si rileva che, per quanto riguarda la competenza legislativa relativa al potere sanzionatorio, la Corte costituzionale ha ripetutamente affermato[69] il principio secondo cui la regolamentazione delle sanzioni spetta al soggetto a cui è riservata la disciplina sostanziale della materia (l'inosservanza della quale costituisce atto sanzionabile); stesso discorso vale per l’attività di vigilanza e di ispezione, poiché prodromica all’individuazione di fattispecie sanzionabili.
Gli atti comunitari di cui è previsto il recepimento (riportati negli allegati alla legge in esame) riconducibili alla materia della “tutela e sicurezza del lavoro” appaiono individuabili nella direttiva 2005/47/CE, "concernente l'accordo tra la Comunità delle ferrovie europee (CER) e la Federazione europea dei lavoratori dei trasporti (ETF) su taluni aspetti delle condizioni di lavoro dei lavoratori mobili che effettuano servizi di interoperabilità transfrontaliera nel settore ferroviario",e nella direttiva 2006/25/CE, recante "prescrizioni minime di sicurezza e di salute relative all’esposizione dei lavoratori ai rischi derivanti dagli agenti fisici (radiazioni ottiche artificiali)". Si ricorda, inoltre, che l'allegato B della legge comunitaria 2006 contempla anche la direttiva 2006/54/CE, "riguardante l'attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego (rifusione)"[70].
Il comma 2 dell’articolo in esame individua i seguenti princìpi fondamentali, cui le Regioni e le Province autonome devono attenersi, nell’ambito dell’esercizio delle proprie competenze normative, nel dare attuazione alle direttive comunitarie che riguardino la materia della “tutela della salute”:
§ salvaguardia delle disposizioni volte a tutelare in modo uniforme su tutto il territorio nazionale il bene "salute", con particolare riferimento all’esercizio dei poteri sanzionatori;
§ divieto di intervento sui profili della tutela della salute e delle scelte terapeutiche incidenti su diritti fondamentali della persona interessata, quando la soluzione normativa prescelta non si fondi su indirizzi e conoscenze acquisiti da parte di organismi nazionali o sopranazionali;
§ possibilità di adottare limiti e prescrizioni più severi, rispetto a quelli fissati dal legislatore statale, con contestuale salvaguardia degli obiettivi di protezione della salute perseguiti dalla legislazione statale.
Con riferimento alla necessità di assicurare l’uniformità del sistema sanzionatorio a livello nazionale, si ricorda, in particolare, la sentenza della Corte costituzionale n. 361 del 2003, con la quale è stato respinto il ricorso della Regione Toscana sull’inasprimento delle sanzioni previsto dalla legge finanziaria per il 2002 in caso di infrazione del divieto di fumo. La Corte ha sottolineato che la disciplina delle sanzioni rientra nei princìpi fondamentali stabiliti dal legislatore statale e che non possono essere ammesse discipline differenziate nelle singole realtà regionali, sia in ordine alle fattispecie da sanzionare sia sull’entità delle sanzioni.
Con riguardo al secondo punto (divieto di intervento su profili incidenti su diritti fondamentali della persona) si segnala, in particolare, la sentenza n. 338 del 2003, con la quale la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità di una legge della Regione Marche, che vietava, tra l’altro, la pratica dell’elettrochoc. In tale occasione, la Corte sottolineava che spetta alla comunità scientifica (e, in ultima analisi, al medico) decidere in ordine all’appropriatezza ed efficacia delle terapie; il legislatore può solo definire indirizzi generali, avvalendosi dello stato delle conoscenze acquisite da parte degli organi tecnico-scientifici nazionali o sopranazionali.
Il comma 3 precisa che le Regioni a statuto speciale e le Province autonome di Trento e di Bolzano recepiscono o assicurano l'applicazione degli atti comunitari di cui al presente articolo compatibilmente con le disposizioni dei rispettivi statuti speciali e delle relative norme di attuazione.
Nel corso dell’esame del disegno di legge alla Camera, è stato soppresso l’originario comma 3 dell'articolo in esame. Tale comma precisava che sono princìpi fondamentali in materia di professioni, ai sensi dell’articolo 117, terzo comma, della Costituzione,quelli individuati dal decreto legislativo 2 febbraio 2006, n. 30 (Ricognizione dei princìpi fondamentali in materia di professioni, ai sensi dell’articolo 1 della legge 5 giugno 2003, n. 131)[71].
La soppressione consegue all’orientamento assunto dalla Commissione Giustizia della Camera, che nella seduta del 4 luglio 2006 deliberava di riferire favorevolmente sul d.d.l. comunitaria a condizione, tra l’altro, che venisse soppresso il menzionato comma 3. Ciò in quanto tale disposizione rinviava, per la definizione dei princìpi fondamentali in materia di professioni, a quelli individuati nel citato decreto legislativo 2 febbraio 2006, n. 30, “il quale tuttavia già qualifica espressamente tali princìpi quali princìpi fondamentali in materia di professioni” (così la relazione approvata dalla Commissione Giustizia).
Con riguardo alla materia “professioni”, peraltro, il comma 3 si asteneva dal precisare – contrariamente a quanto fanno i precedenti commi 1 e 2 – che i princìpi fondamentali enunciati erano intesi a dare attuazione o ad assicurare l'applicazione degli atti comunitari – di cui agli allegati al disegno di legge – in materia, per l’appunto, di “professioni”. Dalla formulazione del comma 3 risultava, dunque, una disposizione dalla portata assai ampia, che andava al di là del contenuto tipico della legge comunitaria.
Il comma 4 specifica che dall’attuazione del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.
Art. 9
(Introduzione dell’articolo 26-bis della legge 25 gennaio 2006, n. 29, recante attuazione della direttiva 2005/14/CE sull’assicurazione della responsabilità civile risultante dalla circolazione di autoveicoli)
1. Dopo l'articolo 26 della legge 25 gennaio 2006, n.
29, è aggiunto il seguente:
"Art. 26-bis.
- (Attuazione
della direttiva 2005/14/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'11
maggio 2005, che modifica le direttive 72/166/CEE, 84/5/CEE, 88/357/CEE,
90/232/CEE e la direttiva 2000/26/CE del Parlamento europeo e del Consiglio,
sull'assicurazione della responsabilità civile risultante dalla circolazione di
autoveicoli). - 1. Nella predisposizione del decreto legislativo
per l'attuazione della direttiva 2005/14/CE del Parlamento europeo e del
Consiglio, dell'11 maggio 2005, che modifica le direttive 72/166/CEE, 84/5/CEE,
88/357/CEE, 90/232/CEE e la direttiva 2000/26/CE del Parlamento europeo e del
Consiglio, sull'assicurazione della responsabilità civile risultante dalla
circolazione di autoveicoli, il Governo è tenuto a seguire, oltre ai princìpi e
criteri direttivi di cui all'articolo 3, anche i seguenti princìpi e criteri
direttivi:
a)
prevedere che l'assicurazione per la responsabilità civile derivante dalla
circolazione dei veicoli a motore sia obbligatoria almeno per i seguenti
importi:
1) nel caso di danni alle persone, un importo minimo di copertura pari a euro
5.000.000 per sinistro, indipendentemente dal numero delle vittime;
2) nel caso di danni alle cose, un importo minimo di copertura pari a euro
1.000.000 per sinistro, indipendentemente dal numero delle vittime;
b)
prevedere un periodo transitorio di cinque anni, dalla data dell'11 giugno 2007
prevista per l'attuazione della direttiva, per adeguare gli importi minimi di
copertura obbligatoria per i danni alle cose e per i danni alle persone secondo
quanto indicato alla lettera a);
c)
prevedere, ai fini del risarcimento da parte del Fondo di garanzia per le
vittime della strada costituito presso la Concessionaria servizi assicurativi
pubblici - CONSAP Spa, in caso di danni alle cose causati da un veicolo non
identificato, una franchigia di importo pari a euro 500 a carico della vittima
che ha subìto i danni alle cose, qualora nello stesso incidente il Fondo sia
intervenuto per gravi danni alle persone".
2. All'articolo 1, comma 4, della legge 25 gennaio 2006, n.
29, dopo le parole: "2004/113/CE" sono inserite le seguenti: ",
2005/14/CE".
L’articolo 9 novella la legge 25 gennaio 2006, n. 29 (legge comunitaria 2005), in merito all’attuazione della direttiva 2005/14/CE dell’11 maggio 2005, sull’assicurazione della responsabilità civile risultante dalla circolazione di autoveicoli.
Il contenuto della direttiva 2005/14/CE
La direttiva 2005/14/CE modifica e integra alcune precedenti direttive[72] in materia di assicurazione della responsabilità civile risultante dalla circolazione di autoveicoli. Fra le disposizioni principali si segnalano quelle relative all’incremento della misura dei massimali di garanzia e al loro periodico aggiornamento, nonché quelle che impongono la validità della copertura assicurativa per l’intero territorio dell’Unione europea per l’intera durata del contratto, ed escludono la possibilità di limitare il risarcimento dei danni subìti da terzi trasportati, quando fossero a conoscenza dello stato di alterazione del conducente.
In particolare, l’articolo 1, modificando la direttiva 72/166/CEE, specifica la natura dei controlli che gli Stati membri possono effettuare sui veicoli provenienti da altro Stato membro, chiarendo che deve trattarsi di controlli non sistematici, non aventi carattere discriminatorio ed eseguiti in ambito non esclusivamente finalizzato al controllo dell'assicurazione. Per razionalizzare la disciplina sullo Stato di stazionamento abituale, viene inoltre previsto, che, in caso di incidente che coinvolga veicolo privo di targa d’immatricolazione o recante una targa che non corrisponde o non corrisponde più allo stesso veicolo, si assuma come territorio in cui il veicolo staziona abitualmente il territorio dello Stato in cui si è verificato l'incidente.
La norma interviene altresì sulle fattispecie di deroga all’assicurazione obbligatoria, richiedendo la notifica delle deroghe nazionali – prima prescritta nei riguardi della Commissione e di tutti gli Stati membri – alla sola Commissione, che ne pubblica l’elenco. Inoltre, viene modificato il regime risarcitorio nel caso di deroga concessa a determinati tipi di veicoli o a determinati veicoli con targa speciale: l'organismo di indennizzo dello Stato membro in cui si è verificato l'incidente può presentare richiesta d’indennizzo nei confronti del fondo di garanzia istituito nello Stato membro in cui il veicolo staziona abitualmente. L’applicazione di questa nuova disposizione è soggetta a verifica da parte della Commissione dopo un quinquennio.
L’articolo 2 sostituisce l'articolo 1 della direttiva 84/5/CEE, che regola i limiti minimi della garanzia assicurativa obbligatoria:
a) nel caso di danni alle persone, un importo minimo di copertura pari a euro 1.000.000 per vittima o a euro 5.000.000 per sinistro, indipendentemente dal numero delle vittime;
b) nel caso di danni alle cose, euro 1.000.000 per sinistro, indipendentemente dal numero delle vittime.
In precedenza erano previsti per i danni alle persone il limite di euro 350.000 moltiplicato per il numero delle vittime, e per i danni alle cose il limite di euro 100.000 per ciascun sinistro indipendentemente dal numero delle vittime. Tuttavia, gli Stati membri avevano facoltà di prevedere un importo minimo di euro 500.000 per i danni alle persone, qualora vi siano più vittime di uno stesso sinistro, ovvero, per i danni alle persone e alle cose, un importo minimo globale di euro 600.000 per sinistro, indipendentemente dal numero delle vittime o dalla natura dei danni.
È consentito agli Stati membri di stabilire un periodo transitorio fino a cinque anni dal termine di recepimento, entro il quale adeguare i vigenti limiti minimi. Entro trenta mesi dal termine di recepimento, essi debbono comunque aumentare i limiti minimi ad almeno la meta dei nuovi importi.
Ogni cinque anni, gli importi sono oggetto di revisione, mediante automatico adeguamento in base all'indice europeo dei prezzi al consumo (IPCE) previsto dal regolamento (CE) n. 2494/95 del Consiglio, del 23 ottobre 1995, relativo agli indici dei prezzi al consumo armonizzati, rilevato per il quinquennio immediatamente precedente, con arrotondamento a un multiplo di euro 10.000.
Relativamente all’organismo di risarcimento dei danni causati da veicolo non identificato o non assicurato, la nuova formulazione precisa che gli Stati membri non possono autorizzare l'organismo a subordinare il pagamento dell'indennizzo alla condizione che la vittima dimostri in qualsiasi modo che il responsabile del sinistro non è in grado o rifiuta di pagare.
È mantenuta la possibilità di limitare o escludere il pagamento dell'indennizzo da parte dell'organismo di risarcimento in caso di danni alle cose causati da un veicolo non identificato. Tuttavia, rispetto a quest’ipotesi viene stabilito che quando l'organismo sia intervenuto per gravi danni alle persone nel medesimo incidente a seguito del quale sono stati causati danni alle cose da un veicolo non identificato, gli Stati membri non escludono l'indennizzo per danni alle cose in ragione del fatto che il veicolo non è identificato. Tuttavia, essi possono prevedere una franchigia non superiore a euro 500, imputabile alla vittima che ha subìto i danni alle cose.
Si specifica altresì che i danni alle persone sono qualificati come gravi conformemente alla legislazione o alle disposizioni amministrative dello Stato membro in cui è avvenuto l'incidente. A tale riguardo, gli Stati membri possono tenere conto, tra l'altro, della necessità o meno di cure ospedaliere.
L’articolo 3 modifica la direttiva 88/357/CEE allo scopo di permettere alle succursali delle compagnie di assicurazione di divenire rappresentanti nelle attività di assicurazione degli autoveicoli, come già avviene in altri servizi di assicurazione.
L’articolo 4 modifica la direttiva 90/232/CEE prevedendo l’inefficacia di disposizioni di legge o clausole contrattuali che escludano un passeggero dalla copertura assicurativa quando sapeva o avrebbe dovuto sapere che il conducente del veicolo era sotto gli effetti dell'alcol o di altre sostanze eccitanti al momento del sinistro. Si dispone inoltre che l'assicurazione obbligatoria copra i danni alle persone e i danni alle cose subìti da pedoni, ciclisti e altri utenti non motorizzati della strada che, in conseguenza di un incidente nel quale sia stato coinvolto un veicolo, hanno diritto alla riparazione del danno conformemente alla legislazione civile nazionale. Viene vietata l’opposizione di franchigie alla persona lesa a seguito di un sinistro ed è statuito il diritto di azione diretta delle persone lese nel sinistro nei confronti dell'impresa assicuratrice del responsabile del sinistro; si specifica infine la procedura per la definizione dei risarcimenti.
È stabilito che la copertura assicurativa valga per tutto il territorio dell’Unione europea, per l’intera durata del contratto, indipendentemente dalla durata di eventuali periodi di stazionamento fuori dello Stato d’immatricolazione; si disciplina altresì il caso particolare della spedizione di un veicolo da uno ad altro Stato membro. È inoltre riconosciuto al contraente il diritto di ottenere in qualunque momento, entro quindici giorni dalla richiesta, un'attestazione dello stato di rischio. I centri d’informazione nazionali debbono fornire le previste informazioni a tutte le persone coinvolte in un incidente stradale causato da un veicolo assicurato.
L’articolo 5, modificando la direttiva 2000/26/CE, prescrive altresì agli Stati membri di adottare tutte le misure necessarie per agevolare la fornitura, in tempo utile, alle vittime, ai loro assicuratori o ai loro rappresentanti legali, dei dati di base necessari per la liquidazione dei danni, anche rendendoli disponibili in forma elettronica presso un deposito centrale in ciascuno Stato membro, con accesso delle parti interessate su loro esplicita richiesta.
Viene infine precisato che la nomina del mandatario per la liquidazione dei sinistri non costituisca di per sé apertura di una succursale e il predetto mandatario non è considerato uno stabilimento.
Il termine per il recepimento è stabilito nell’11 giugno 2007, mentre il termine per l’esercizio della delega scade il 23 agosto 2007.
La disciplina nazionale vigente
La disciplina nazionale relativa all’assicurazione obbligatoria per i veicoli a motore ed i natanti, già contenuta in numerosi atti normativi, è ora raccolta nel Titolo X (articoli da 122 a 160) del codice delle assicurazioni, emanato con il decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209.
L’articolo 122 dispone che i veicoli a motore senza guida di rotaie, compresi i filoveicoli e i rimorchi, non possono essere posti in circolazione su strade di uso pubblico o su aree a queste equiparate se non siano coperti dall'assicurazione per la responsabilità civile verso i terzi prevista dall'articolo 2054 del codice civile[73] e dall'articolo 91, comma 2, del codice della strada[74]. Il regolamento, adottato dal Ministro delle attività produttive, su proposta dell'ISVAP, individua la tipologia di veicoli esclusi dall'obbligo di assicurazione e le aree equiparate a quelle di uso pubblico. L’articolo 123 disciplina il medesimo obbligo per i natanti.
L'assicurazione comprende la responsabilità per i danni alla persona causati ai trasportati, qualunque sia il titolo in base al quale è effettuato il trasporto. Essa copre anche la responsabilità per i danni causati nel territorio degli altri Stati membri dell’Unione europea, secondo le condizioni ed entro i limiti stabiliti dalle legislazioni nazionali, ferme le maggiori garanzie eventualmente previste dal contratto o dalla legislazione dello Stato in cui il veicolo staziona abitualmente.
L’assicurazione non ha effetto nel caso di circolazione avvenuta contro la volontà del proprietario, dell'usufruttuario, dell'acquirente con patto di riservato dominio o del locatario in caso di locazione finanziaria, a partire dal giorno successivo alla denuncia presentata all'autorità di pubblica sicurezza. In quest’ipotesi, a norma dell’articolo 283, comma 1, lettera d), i danni alla persona o a cose vengono risarciti dal Fondo di garanzia per le vittime della strada, limitatamente ai terzi non trasportati e a coloro che sono trasportati contro la propria volontà ovvero che sono inconsapevoli della circolazione illegale. Lo stesso Fondo risarcisce inoltre i soli danni alla persona derivanti da sinistro cagionato da veicolo o natante non identificato; i danni alla persona, nonché i danni a cose per la parte eccedente euro 500, nel caso di sinistro prodotto da veicolo o natante che non risulti coperto da assicurazione; i danni alla persona o a cose, qualora il veicolo o natante risulti assicurato presso impresa operante nel territorio della Repubblica, in regime di stabilimento o di libertà di prestazione di servizi, che si trovi o venga posta in stato di liquidazione coatta.
L’articolo 128 rimette a regolamento adottato, su proposta dell'ISVAP, dal Ministro delle attività produttive la determinazione dei limiti minimi di copertura assicurativa obbligatoria (“massimali di garanzia”) riferiti a ciascun sinistro, indipendentemente dal numero delle vittime o dalla natura dei danni. Gli importi possono essere incrementati con decreto del Ministro delle attività produttive, sentito l'ISVAP, tenuto conto anche delle variazioni dell'indice generale dei prezzi al consumo desunte dalle rilevazioni dell'Istituto nazionale di statistica; dev’essere comunque assicurato il rispetto dei limiti minimi previsti dall'ordinamento comunitario.
Sono altresì disciplinati l’esercizio dell’assicurazione (articoli da 130 a 136), la determinazione del risarcimento e le procedure di liquidazione (articoli da 137 a 150), il risarcimento di danni derivanti da sinistri avvenuti all’estero (articoli da 151 a 155) nonché l’esercizio dell’attività peritale (articoli da 156 a 160).
Il Titolo XVII, nell’ambito della disciplina dei sistemi d’indennizzo, regola fra l’altro la liquidazione dei danni nelle ipotesi d’intervento del Fondo di garanzia per le vittime della strada, anche come organismo di indennizzo italiano per sinistri avvenuti in altro Stato membro dell’Unione europea.
Le disposizioni europee adottate in materia di assicurazione per la responsabilità civile risultante dalla circolazione degli autoveicoli tendono a favorire la libera circolazione degli autoveicoli e delle persone all'interno della Comunità, in ragione della sua incidenza diretta sulla creazione e sul funzionamento del mercato comune, stabilendo un complesso di regole minime comuni in materia di copertura assicurativa obbligatoria dei danni.
In particolare, la direttiva 72/166/CEE del 24 aprile 1972[75] ha escluso il controllo sistematico dell’adempimento degli obblighi d’assicurazione sui veicoli transitanti alla frontiera, imponendo a ciascuno Stato membro di prescrivere tale obbligo ai veicoli abitualmente stazionanti sul proprio territorio e di verificarne l’adempimento. La direttiva 84/5/CEE del 30 dicembre 1983[76] ha stabilito alcune prescrizioni minime comuni – fra cui i massimali obbligatori – relativamente al contenuto della garanzia assicurativa. La direttiva 90/232/CEE del 14 maggio 1990[77]” ha specificato alcune condizioni e garanzie che debbono essere contemplate nell’assicurazione obbligatoria. La direttiva 2000/26/CE del 16 maggio 2000[78] ha integrato le disposizioni in materia di liquidazione dei danni per i sinistri e ha previsto l’istituzione di centri d’informazione e di un organismo per l’indennizzo da parte degli Stati membri.
L’articolo 9 della legge comunitaria 2006
Il comma 1 dell’articolo 9 inserisce un nuovo articolo, il 26-bis, nella legge comunitaria 2005; tale articolo detta princìpi e criteri direttivi specifici per l’esercizio della delega legislativa, già a suo tempo conferita dall’articolo 1 della suddetta legge[79], relativamente all’attuazione della direttiva 2005/14/CE sull’assicurazione della responsabilità civile risultante dalla circolazione di autoveicoli. Tali princìpi e criteri direttivi riguardano la determinazione della misura minima della copertura assicurativa obbligatoria e la franchigia per il risarcimento da parte del Fondo di garanzia per le vittime della strada in caso di danni a cose prodotti da veicoli non identificati.
Il nuovo articolo 26-bis prescrive che il Governo, nella predisposizione del decreto legislativo di recepimento della direttiva 2005/14/CE, si attenga ai seguenti princìpi e criteri direttivi:
a)che l'assicurazione per la responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore sia obbligatoria almeno per i seguenti importi:
1) nel caso di danni alle persone, un importo minimo di copertura pari a euro 5.000.000 per sinistro, indipendentemente dal numero delle vittime;
2) nel caso di danni alle cose, euro 1.000.000 per sinistro, indipendentemente dal numero delle vittime;
La determinazione degli importi è conforme a quanto previsto dall’articolo 1 della direttiva 84/5/CEE, come sostituito dall’articolo 2 della direttiva 2005/14/CE.
In attesa dell’emanazione del decreto ministeriale previsto dall’articolo 128 del codice delle assicurazioni, i vigenti minimi di garanzia per l'assicurazione obbligatoria della responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti sono determinati dal D.P.R. 19 aprile 1993 (pubblicato nella Gazzetta ufficiale 2 luglio 1993, n. 153) nei seguenti importi:
- per i veicoli del settore I (autovetture in servizio privato, autovetture da noleggio con conducente) e del settore II (autotassametri): lire 1.500.000.000 (pari a 774.685,35 euro);
- per i veicoli del settore III (autobus): lire 5.000.000.000 (pari a 2.582.284,50 euro);
- per i veicoli del settore IV (veicoli per trasporto di cose): lire 1.500.000.000 (pari a 774.685,35 euro);
- per i veicoli del settore V (ciclomotori e motoveicoli ad uso privato): lire 1.500.000.000 (pari a 774.685,35 euro);
- per i veicoli del settore VI (macchine operatrici e carrelli): lire 1.500.000.000 (pari a 774.685,35 euro);
- per i veicoli del settore VII (macchine agricole): lire 1.500.000.000 (pari a 774.685,35 euro);
- per i natanti ad uso privato o adibiti alla navigazione da diporto: lire 1.500.000.000 (pari a 774.685,35 euro);
- per i natanti adibiti a servizio pubblico di trasporto di persone: lire 2.500.000.000 (pari a 1.291.142,25 euro);
- per le gare e competizioni sportive di veicoli a motore e di natanti: lire 5.000.000.000 (pari a 2.582.284,50 euro).
b)che venga previsto un periodo transitorio di cinque anni, decorrente dall'11 giugno 2007 (termine ultimo per l'attuazione della direttiva), per adeguare gli importi minimi di copertura obbligatoria per i danni alle cose e per i danni alle persone secondo quanto indicato alla lettera a);
La disposizione è conforme a quanto consentito dall’articolo 2 della direttiva cui viene dato recepimento. Si ricorda tuttavia che essa impone di aumentare i limiti minimi ad almeno la metà dei nuovi importi entro trenta mesi dal termine di recepimento (ossia entro l’11 dicembre 2009).
c)che, agli effetti del risarcimento da parte del Fondo di garanzia per le vittime della strada presso la Concessionaria servizi assicurativi pubblici - Consap Spa, in caso di danni alle cose causati da un veicolo non identificato, sia prevista una franchigia di importo pari a euro 500 a carico della vittima che ha subìto i danni alle cose, qualora nello stesso incidente il Fondo sia intervenuto per gravi danni alle persone.
La disposizione prescrive l’esercizio della facoltà concessa dall’articolo 2 della direttiva cui viene dato recepimento, nei limiti in esso previsti.
Attualmente, a norma dell’articolo 283, comma 2, primo periodo, del codice delle assicurazioni, il risarcimento per incidente causato da veicolo non identificato è previsto soltanto relativamente ai danni alla persona, nel limite dei minimi obbligatori di garanzia previsti per ogni persona danneggiata e per ogni sinistro relativamente alle autovetture per uso privato.
Il comma 2 dell’articolo 9 in commento, novellando l’articolo 1, comma 4, della citata legge n. 29 del 2006, aggiunge la direttiva 2005/14/CE all'elenco delle direttive per il cui recepimento devono essere adottate specifiche modalità procedurali (relazione tecnica governativa sullo schema di decreto legislativo e parere delle Commissioni parlamentari competenti per i profili finanziari) in considerazione delle possibili conseguenze finanziarie del recepimento stesso.
Procedure di contenzioso
Il 12 ottobre 2006 la Commissione ha deciso il deferimento dell’Italia alla Corte di giustizia delle Comunità europee[80] in merito alla legislazione italiana che impone, a tutte le imprese di assicurazione abilitate a fornire l’assicurazione di responsabilità civile auto (RC auto) in Italia, l’obbligo di offrire l'assicurazione per tutte le categorie di assicurati in tutte le regioni italiane (procedura d’infrazione 2004/4252).
In merito la Commissione ha ricevuto una serie di denunce di diverse compagnie assicurative.
In primo luogo la Commissione esamina l’obbligo per le imprese di assicurazione di calcolare le proprie tariffe per l’assicurazione RC auto conformemente alle basi tecniche utilizzate per la fissazione dei premi nel corso degli ultimi cinque esercizi.
A parere della Commissione, tale meccanismo è contrario al principio della libertà tariffaria di cui alla terza direttiva assicurazione non vita (92/49/CEE).
Inoltre, dal momento che la norma sul controllo delle tariffe si applica anche ad imprese aventi la propria sede principale in altri Stati membri, la Commissione ritiene che il regime sia anche contrario al principio fondamentale del Mercato interno del controllo dello Stato d’origine.
In secondo luogo, la Commissione ritiene che l’obbligo a contrarre sia in quanto tale una limitazione immotivata del principio della libertà di stabilimento di cui all’articolo 43 CE e del principio della libera prestazione di servizi di cui all'articolo 49 CE.
Nell’ottobre 2005 la Commissione aveva già trasmesso all’Italia un parere motivato. Nella loro risposta le autorità italiane avrebbero essenzialmente ribadito che le norme contestate sono necessarie affinché tutti i guidatori possano ottenere l’assicurazione in tutte le parti d'Italia.
Pur riconoscendo che i motivi di tutela dei consumatori e di ordine pubblico possono giustificare restrizioni alle libertà fondamentali, la Commissione considera le restrizioni previste dalla normativa italiana non proporzionate in quanto esisterebbero mezzi meno restrittivi per raggiungere tale obiettivo.
Art. 10
(Introduzione dell’articolo 9-bis della legge 18 aprile 2005, n. 62, e altre disposizioni per l’attuazione della direttiva 2004/39/CE, come modificata dalla direttiva 2006/31/CE, in materia di mercati degli strumenti finanziari)
1. Dopo l'articolo 9 della
legge 18 aprile 2005, n. 62, è inserito il seguente:
"Art. 9-bis. - (Attuazione
della direttiva 2004/39/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21
aprile 2004, relativa ai mercati degli strumenti finanziari, che modifica le
direttive 85/611/CEE e 93/6/CEE del Consiglio e la direttiva 2000/12/CE del
Parlamento europeo e del Consiglio e che abroga la direttiva 93/22/CEE del
Consiglio, nonché della direttiva 2006/31/CE del Parlamento europeo e del
Consiglio, del 5 aprile 2006, che modifica la direttiva 2004/39/CE). - 1.
Nella predisposizione del decreto legislativo per l'attuazione della direttiva
2004/39/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 aprile 2004, relativa
ai mercati degli strumenti finanziari, che modifica le direttive 85/611/CEE e
93/6/CEE del Consiglio e la direttiva 2000/12/CE del Parlamento europeo e del
Consiglio e che abroga la direttiva 93/22/CEE del Consiglio, nonché della
direttiva 2006/31/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 aprile 2006,
che modifica la direttiva 2004/39/CE, il Governo è tenuto a seguire, oltre ai
princìpi e criteri direttivi di cui all'articolo 2, anche i seguenti princìpi e
criteri direttivi:
a) apportare al testo unico
delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, di cui al decreto
legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, e successive modificazioni, le modifiche e
le integrazioni necessarie al corretto e integrale recepimento della direttiva
e delle relative misure di esecuzione nell'ordinamento nazionale attribuendo le
competenze rispettivamente alla Banca d'Italia e alla Commissione nazionale per
le società e la borsa (CONSOB) secondo i princìpi di cui agli articoli 5 e 6
del citato testo unico, e successive modificazioni, e confermando la disciplina
prevista per i mercati all'ingrosso di titoli di Stato;
b) recepire le nozioni di
servizi e attività di investimento, nonché di servizi accessori e strumenti
finanziari contenute nell'allegato I alla direttiva; attribuire alla CONSOB,
d'intesa con la Banca d'Italia, il potere di recepire le disposizioni adottate
dalla Commissione ai sensi dell'articolo 4, paragrafo 2, della direttiva;
c) prevedere che l'esercizio
nei confronti del pubblico, a titolo professionale, dei servizi e delle
attività di investimento sia riservato alle banche e ai soggetti abilitati
costituiti in forma di società per azioni nonché, limitatamente al servizio di
consulenza in materia di investimenti, alle persone fisiche in possesso dei
requisiti di professionalità, onorabilità, indipendenza e patrimoniali
stabiliti con regolamento adottato dal Ministro dell'economia e delle finanze,
sentite la Banca d'Italia e la CONSOB. Resta ferma l'abilitazione degli agenti
di cambio ad esercitare le attività previste dall'ordinamento nazionale;
d) prevedere che la gestione
di sistemi multilaterali di negoziazione sia consentita anche alle società di
gestione di mercati regolamentati previa verifica della sussistenza delle
condizioni indicate dalla direttiva;
e) individuare nella CONSOB,
in coordinamento con la Banca d'Italia, l'autorità unica competente per i fini
di collaborazione con le autorità competenti degli Stati membri stabiliti nella
direttiva e nelle relative misure di esecuzione adottate dalla Commissione
europea secondo la procedura di cui all'articolo 64, paragrafo 2, della
medesima direttiva;
f) stabilire i criteri
generali di condotta che devono essere osservati dai soggetti abilitati nella
prestazione dei servizi e delle attività di investimento e dei servizi
accessori, ispirati ai princìpi di cura dell'interesse del cliente, tenendo
conto dell'integrità del mercato e delle specificità di ciascuna categoria di
investitori, quali i clienti al dettaglio, i clienti professionali e le controparti
qualificate;
g) prevedere che siano
riconosciute come controparti qualificate, ai fini dell'applicazione delle
regole di condotta, le categorie di soggetti espressamente individuate come
tali dalla direttiva, nonché le corrispondenti categorie di soggetti di Paesi
terzi; attribuire alla CONSOB, sentita la Banca d'Italia, il potere di
disciplinare con regolamento, tenuto conto delle misure di esecuzione adottate
dalla Commissione europea secondo la procedura di cui all'articolo 64, paragrafo
2, della direttiva, i requisiti di altre categorie di soggetti che possono
essere riconosciuti come controparti qualificate;
h) attribuire alla CONSOB,
sentita la Banca d'Italia, il potere di disciplinare con regolamento, in
conformità alla direttiva e alle relative misure di esecuzione adottate dalla
Commissione europea, secondo la procedura di cui all'articolo 64, paragrafo 2,
della medesima direttiva, le seguenti materie relative al comportamento che i
soggetti abilitati devono tenere:
1)
le misure e gli strumenti per identificare, prevenire, gestire e rendere
trasparenti i conflitti di interesse, inclusi i princìpi che devono essere
seguiti dalle imprese nell'adottare misure organizzative e politiche di
gestione dei conflitti;
2)
gli obblighi di informazione, con particolare riferimento al grado di
rischiosità di ciascun tipo specifico di prodotti finanziari e delle gestioni
di portafogli di investimento offerti; a tale fine, la CONSOB può avvalersi
della collaborazione delle associazioni maggiormente rappresentative dei
soggetti abilitati e del Consiglio nazionale dei consumatori e degli utenti
previsto dall'articolo 136 del codice del consumo, di cui al decreto
legislativo 6 settembre 2005, n. 206;
3)
la valutazione dell'adeguatezza delle operazioni;
4)
l'affidamento a terzi, da parte dei soggetti abilitati, di funzioni operative;
5)
le misure da adottare per ottenere nell'esecuzione degli ordini il miglior
risultato possibile per i clienti, ivi incluse le modalità di registrazione e
conservazione degli ordini stessi;
i) disciplinare l'attività di
gestione dei sistemi multilaterali di negoziazione conferendo alla CONSOB il
potere di stabilire con proprio regolamento i criteri di funzionamento dei
sistemi stessi;
l) al fine di garantire
l'effettiva integrazione dei mercati azionari e il rafforzamento dell'efficacia
del processo di formazione dei prezzi, eliminando gli ostacoli che possono
impedire il consolidamento delle informazioni messe a disposizione del pubblico
nei diversi sistemi di negoziazione, attribuire alla CONSOB, sentita la Banca
d'Italia, per i mercati all'ingrosso di titoli obbligazionari privati e
pubblici, diversi dai titoli di Stato, nonché per gli scambi di strumenti
previsti dall'articolo 1, comma 2, lettera d), del testo unico di cui al
decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, e di strumenti finanziari derivati
su titoli pubblici, su tassi di interesse e su valute, e al Ministero
dell'economia e delle finanze, sentite la Banca d'Italia e la CONSOB, per i
mercati all'ingrosso dei titoli di Stato, il potere di:
1)
disciplinare il regime di trasparenza pre-negoziazione e post-negoziazione per
le operazioni riguardanti azioni ammesse alla negoziazione nei mercati
regolamentati, effettuate nei mercati medesimi, nei sistemi multilaterali di
negoziazione e dagli internalizzatori sistematici;
2)
estendere, in tutto o in parte, quando ciò sia necessario per la tutela degli
investitori, il regime di trasparenza delle operazioni aventi ad oggetto
strumenti finanziari diversi dalle azioni ammesse alle negoziazioni nei mercati
regolamentati;
m) conferire alla CONSOB il
potere di disciplinare con regolamento, in conformità alla direttiva e alle
misure di esecuzione adottate dalla Commissione europea, secondo la procedura
di cui all'articolo 64, paragrafo 2, della medesima direttiva, le seguenti
materie:
1)
il contenuto e le modalità di comunicazione alla CONSOB, da parte degli
intermediari, delle operazioni concluse riguardanti strumenti finanziari
ammessi alle negoziazioni nei mercati regolamentati prevedendo anche l'utilizzo
di sistemi di notifica approvati dalla CONSOB stessa;
2)
l'estensione degli obblighi di comunicazione alla CONSOB delle operazioni
concluse da parte degli intermediari anche agli strumenti finanziari non
ammessi alle negoziazioni sui mercati regolamentati quando ciò sia necessario
al fine di assicurare la tutela degli investitori;
3)
i requisiti di organizzazione delle società di gestione dei mercati
regolamentati;
n) prevedere che la CONSOB
possa individuare i criteri generali ai quali devono adeguarsi i regolamenti,
adottati ai sensi dell'articolo 62 del testo unico di cui al decreto
legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, e successive modificazioni, di gestione e
organizzazione dei mercati regolamentati in materia di ammissione, sospensione
e revoca degli strumenti finanziari dalle negoziazioni, di accesso degli
operatori e di regolamento delle operazioni concluse su tali mercati, in
conformità ai princìpi di trasparenza, imparzialità e correttezza stabiliti
dalla direttiva e dalle misure di esecuzione adottate dalla Commissione europea,
secondo la procedura di cui all'articolo 64, paragrafo 2, della medesima
direttiva;
o) conferire alla CONSOB,
d'intesa con la Banca d'Italia, il potere di disciplinare con regolamento, in
conformità alla direttiva e alle relative misure di esecuzione adottate dalla
Commissione europea, secondo la procedura di cui all'articolo 64, paragrafo 2,
della medesima direttiva, i criteri non discriminatori e trasparenti in base ai
quali subordinare la designazione e l'accesso alle controparti centrali o ai
sistemi di compensazione, garanzia e regolamento ai sensi degli articoli 34, 35
e 46 della direttiva;
p) conferire alla CONSOB il
potere di disporre la sospensione o la revoca di uno strumento finanziario
dalla negoziazione;
q) prevedere che la CONSOB
vigili affinché la prestazione in Italia di servizi di investimento da parte di
succursali di intermediari comunitari avvenga nel rispetto delle misure di
esecuzione degli articoli 19, 21, 22, 25, 27 e 28 della direttiva, ferme
restando le competenze delle altre autorità stabilite dalla legge;
r) prevedere la possibilità
per gli intermediari di avvalersi di promotori finanziari, secondo i princìpi
già previsti dal testo unico di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n.
58, e successive modificazioni;
s) attribuire alla Banca
d'Italia e alla CONSOB i poteri di vigilanza e di indagine previsti
dall'articolo 50 della direttiva, secondo i criteri e le modalità previsti
dall'articolo 187-octies del testo unico di cui al decreto legislativo
24 febbraio 1998, n. 58;
t) prevedere, fatte salve le
sanzioni penali già previste dal testo unico di cui al decreto legislativo 24
febbraio 1998, n. 58, e successive modificazioni, per le violazioni delle
regole dettate in attuazione della direttiva: l'applicazione di sanzioni
amministrative pecuniarie non inferiori nel minimo a euro 2.500 e non superiori
nel massimo a euro 250.000; la responsabilità amministrativa delle persone
giuridiche; l'esclusione della facoltà di pagamento in misura ridotta di cui
all'articolo 16 della legge 24 novembre 1981, n. 689, e successive
modificazioni; l'adeguamento alla complessità dei procedimenti sanzionatori dei
termini entro i quali procedere alle contestazioni; la pubblicità delle sanzioni,
salvo che la pubblicazione possa mettere gravemente a rischio i mercati
finanziari o arrecare un danno sproporzionato alle parti coinvolte;
u) estendere l'applicazione
del codice del consumo, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206,
alla tutela degli interessi collettivi dei consumatori nelle materie previste
dalla direttiva;
v) prevedere procedure per la
risoluzione stragiudiziale di controversie relative alla prestazione di servizi
e di attività di investimento e di servizi accessori da parte delle imprese di
investimento, che consentano anche misure di efficace collaborazione nella
composizione delle controversie transfrontaliere;
z) disciplinare i rapporti
con le autorità estere anche con riferimento ai poteri cautelari esercitabili
nelle materie previste dalla direttiva.
2. All'attuazione del presente
articolo si provvede nell'ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie
previste a legislazione vigente e senza nuovi o maggiori oneri a carico della
finanza pubblica".
2. Ai fini del recepimento della direttiva 2004/39/CE
del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 aprile 2004, come modificata
dalla direttiva 2006/31/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 aprile
2006, il termine per l'esercizio della delega previsto dall'articolo 1 della
legge 18 aprile 2005, n. 62, è prorogato fino al 31 gennaio 2007.
3. Dopo
il comma 1 dell'articolo 25 del testo unico delle disposizioni in materia di
intermediazione finanziaria, di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n.
58, è inserito il seguente:
"1-bis. Nei mercati
regolamentati di strumenti finanziari previsti dall'articolo 1, comma 2,
lettere f), g), h), i) e j), su merci e sui
relativi indici, limitatamente al settore dell'energia, le negoziazioni in
conto proprio possono essere effettuate da soggetti diversi da quelli di cui al
comma 1 del presente articolo".
4. All'articolo 78 del testo unico di cui al decreto
legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, è aggiunto, in fine, il seguente comma:
"3-bis. L'attività di
organizzazione e gestione dei sistemi di scambi organizzati di strumenti
finanziari è riservata ai soggetti abilitati alla prestazione di servizi di
investimento, alle società di gestione dei mercati regolamentati e,
limitatamente agli strumenti finanziari derivati su tassi di interesse e
valute, anche ai soggetti che organizzano e gestiscono scambi di fondi
interbancari".
5. La disposizione di cui al comma 4 entra in vigore
centottanta giorni dopo la data di pubblicazione della presente legge nella Gazzetta
Ufficiale.
6. Gli articoli 9, 10 e 14, comma 1, lettera a),
della legge 28 dicembre 2005, n. 262, sono abrogati.
L’articolo 10 conferisce una delega legislativa al Governo per l’attuazione della direttiva 2004/39/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, relativa ai mercati degli strumenti finanziari, stabilendo a quest’effetto princìpi e criteri direttivi specifici.
La delega viene inserita dal comma 1 quale nuovo articolo 9-bis nella legge 18 aprile 2005, n. 62 (legge comunitaria 2004), il cui allegato B già contemplava la direttiva 2004/39/CE senza tuttavia prevedere appositi princìpi, in aggiunta a quelli di carattere generale contenuti nell’articolo 2 della medesima legge.
Poiché il termine per l’esercizio delle deleghe legislative conferite dalla legge n. 62 del 2005 è scaduto il 12 novembre 2006, il comma 2 del presente articolo stabilisce un nuovo termine relativamente all’adozione del decreto legislativo di recepimento della suddetta direttiva, individuando la data del 31 gennaio 2007 già scaduta al momento di approvazione della legge comunitaria. Quindi, il disegno di legge A.C. n. 2600 (approvato definitivamente dalla Camera nella seduta del 13 giugno 2007), riapre i termini per l’esercizio della delega, prevedendo che il decreto legislativo per l’attuazione della direttiva 2004/39 venga adottato entro il 30 settembre 2007 ed eventuali disposizioni correttive ed integrative vengano adottate entro i successivi due anni.
La direttiva 2004/39/CE è volta alla costruzione di un mercato azionario europeo integrato, all’interno di un quadro regolamentare completo che regoli l'esecuzione delle transazioni degli investitori da parte non solo dei mercati regolamentati, ma anche di sistemi di negoziazione alternativi e degli intermediari che negoziano per conto proprio al di fuori degli uni e degli altri (internalizzatori sistematici).
Le principali innovazioni previste dalla direttiva 2004/39 riguardano l’ambito di applicabilità della normativa, la disciplina dell’offerta di servizi di negoziazione e il regime di trasparenza delle condizioni di mercato.
In relazione all’applicabilità della normativa, la direttiva estende la portata della regolamentazione, espandendo sia l'elenco dei servizi finanziari soggetti (con l'inclusione dell'attività di consulenza agli investimenti, ma mantenendo alla ricerca e all'analisi finanziaria la qualifica di servizi accessori), sia l'elenco degli strumenti finanziari che sono oggetto della prestazione di servizi di investimento (includendovi anche strumenti derivati su merci e su crediti liquidati per cassa).
Con riferimento alla disciplina dell’offerta di servizi di negoziazione, si introduce la distinzione tra mercati regolamentati, sistemi multilaterali di negoziazione (Multilateral Trading Facilities – MTF) e intermediari autorizzati, eventualmente operanti in qualità di "internalizzatori sistematici".
Le definizioni dei tre istituti sono le seguenti:
- mercato regolamentato è un "sistema multilaterale, amministrato e/o gestito dal gestore del mercato, che consente o facilita l'incontro - al suo interno e in base alle sue regole non discrezionali - di interessi multipli di acquisto e di vendita di terzi relativi a strumenti finanziari, in modo da dare luogo a contratti relativi a strumenti finanziari ammessi alla negoziazione conformemente alle sue regole e/o ai suoi sistemi, e che è autorizzato e funziona regolarmente";
- sistema multilaterale di negoziazione è un "sistema multilaterale gestito da un'impresa di investimento o da un gestore del mercato che consente l'incontro - al suo interno e in base a regole non discrezionali - di interessi multipli di acquisto e di vendita di terzi relativi a strumenti finanziari, in modo da dare luogo a contratti";
- internalizzatore sistematico è "un'impresa d’investimento che in modo organizzato, frequente e sistematico negozia per conto proprio eseguendo gli ordini del cliente al di fuori di un mercato regolamentato o di un sistema multilaterale di negoziazione".
La direttiva esclude che gli Stati membri possano imporre il vincolo (cosiddetto “obbligo di concentrazione”) che gli scambi su titoli quotati in un mercato regolamentato avvengano esclusivamente in mercati regolamentati[81].
È poi prescritta l’adozione di regole per assicurare che gli ordini della clientela siano eseguiti alle condizioni più favorevoli per il cliente, a meno di sue diverse istruzioni specifiche, e sono indicati requisiti di trasparenza per i diversi sistemi di negoziazione.
Tra i princìpi e criteri direttivi contenuti nel testo del presente articolo, si richiamano i seguenti, che dovranno essere attuati mediante modificazioni al testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria (TUF), emanato con d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58:
- riserva dell’esercizio nei confronti del pubblico, a titolo professionale, dei servizi e delle attività di investimento – secondo la nuova definizione risultante dalla direttiva – alle banche e ai soggetti abilitati costituiti in forma di società per azioni;
- sempre con riguardo alla previsione della riserva dell’esercizio dei servizi e delle attività di investimento nei confronti del pubblico, a titolo professionale, alle banche e ai soggetti abilitati costituiti in forma di società per azioni si prevede che il servizio di consulenza in materia di investimenti – che secondo la direttiva rientra nel novero delle attività soggette a riserva – potrà essere svolto, oltre che dai predetti soggetti, anche dalle persone fisiche in possesso dei requisiti di professionalità, onorabilità e indipendenza, nonché dei requisiti patrimoniali, stabiliti con regolamento adottato dal Ministro dell’economia e delle finanze, sentite la Banca d’Italia e la CONSOB. Con la presente disposizione, lo Stato italiano si avvale della facoltà concessa agli Stati membri dall’articolo 4, paragrafo 1, numero 1), della direttiva, che consente di includere tra le imprese di investimento anche persone fisiche aventi determinati requisiti.
A norma dell’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva, è «impresa d’investimento» qualsiasi persona giuridica la cui occupazione o attività abituale consiste nel prestare uno o più servizi di investimento a terzi e/o nell'effettuare una o più attività di investimento a titolo professionale. È consentito agli Stati di includere nella definizione di «impresa di investimento» le imprese che non sono persone giuridiche a condizione che:
a) il loro status giuridico garantisca ai terzi un livello di protezione dei loro interessi equivalente a quello offerto dalle persone giuridiche, e
b) siano oggetto di una vigilanza prudenziale equivalente adeguata al loro status giuridico.
Tuttavia, quando una persona fisica presta servizi che implicano la detenzione di fondi o di valori mobiliari di terzi, può essere considerata come un'impresa di investimento ai fini della presente direttiva soltanto se ricorrono ulteriori condizioni stabilite espressamente dalla direttiva.
Lo stesso articolo, al paragrafo 1, numero 4), definisce la «consulenza in materia di investimenti» come attività consistente nella prestazione di raccomandazioni personalizzate ad un cliente, dietro sua richiesta o per iniziativa dell'impresa di investimento, riguardo ad una o più operazioni relative a strumenti finanziari. In base all’allegato I, sezione A, numero 5, tale attività rientra nel novero dei servizi e delle attività d’investimento, ed è quindi riservata ai soggetti autorizzati. A norma dell’articolo 2, comma 1, lettera j), della direttiva, la riserva non si applica comunque alle persone che forniscono tale consulenza nell'esercizio di un'altra attività professionale non contemplata dalla presente direttiva, purché la consulenza medesima non sia specificamente rimunerata.
Rimane comunque ferma l’abilitazione degli agenti di cambio ad esercitare le attività previste dall’ordinamento nazionale [conformemente all’esenzione contemplata dall’articolo 2, comma 1, lettera n), della direttiva].
- disciplina dei sistemi multilaterali di negoziazione, che potranno essere gestiti, sussistendo i requisiti della direttiva, anche dalle società di gestione di mercati regolamentati;
- definizione dei criteri di condotta dei soggetti abilitati, a garanzia dell’interesse del cliente, secondo le specificità di ciascuna categoria di investitori, e dell’integrità del mercato;
- individuazione dell’autorità competente nella CONSOB, in coordinamento con la Banca d’Italia, e conseguente attribuzione dei poteri regolamentari, riguardanti fra l’altro la definizione delle “controparti qualificate”, dei requisiti di organizzazione delle società di gestione dei mercati regolamentati, delle regole di condotta degli intermediari e dei princìpi di trasparenza ante e post negoziazione nei diversi sistemi previsti, degli obblighi di comunicazione circa le operazioni da parte degli intermediari a fini di vigilanza e dei criteri per la designazione e l’accesso alle controparti centrali o ai sistemi di compensazione;
- attribuzione alla CONSOB del potere di sospensione e di revoca degli strumenti finanziari dalle negoziazioni;
- attribuzione di poteri regolamentari al Ministero dell’economia e delle finanze, sentite la Banca d’Italia e la CONSOB, relativamente ai mercati all’ingrosso dei titoli di Stato[82];
- attribuzione dei poteri di vigilanza e d’indagine alla Banca d’Italia ed alla CONSOB, secondo le rispettive competenze;
- previsione di specifiche sanzioni amministrative;
- applicazione del codice del consumo, emanato con il d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206, alla tutela degli interessi collettivi dei consumatori nella materia, e previsione di procedure per la risoluzione stragiudiziale delle controversie.
L’attuazione della nuova disciplina dev’essere assicurata mediante le dotazioni e le risorse esistenti, né da essa possono provenire nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.
I commi 3, 4 e 5 del presente articolo prevedono alcune misure di attuazione diretta della direttiva 2004/39/CE.
Il comma 6, infine, abroga alcune disposizioni della legge 28 dicembre 2005, n. 262[83].
In particolare vengono soppresse le disposizioni degli articoli 9 (delega legislativa per la disciplina dei conflitti d’interessi nella gestione dei patrimoni degli organismi d’investimento collettivo del risparmio), 10 (disposizioni per la separazione organizzativa nella prestazione dei servizi d’investimento) e 14, comma 1, lettera a) (classificazione del grado di rischiosità dei prodotti finanziari e delle gestioni di portafogli di investimento).
Art. 11
(Attuazione della direttiva 2005/71/CE del Consiglio, del 12 ottobre 2005, relativa a una procedura specificamente concepita per l’ammissione di cittadini di Paesi terzi
a fini di ricerca scientifica)
1. Nella predisposizione del decreto legislativo per l’attuazione della direttiva 2005/71/CE del Consiglio, del 12 ottobre 2005, relativa a una procedura specificamente concepita per l’ammissione di cittadini di paesi terzi a fini di ricerca scientifica, il Governo è tenuto a seguire, oltre ai princìpi e criteri direttivi di cui all’articolo 2, anche il seguente principio e criterio direttivo: prevedere che la domanda di ammissione possa essere accettata anche quando il cittadino del paese terzo si trova già regolarmente sul territorio dello Stato italiano.
L’articolo 11 introduce uno specifico principio direttivo, in aggiunta a quelli di carattere generale dettati dall’art. 2 della legge (vedi supra), cui il Governo dovrà attenersi in sede di predisposizione dello schema di decreto legislativo di attuazione della direttiva 2005/71/CE del Consiglio del 12 ottobre 2005, con cui si definisce una specifica procedura di ammissione per i cittadini di Paesi terzi che intendano realizzare un progetto di ricerca scientifica in uno degli Stati membri.
Il principio direttivo in questione stabilisce che la domanda di ammissione a fini di ricerca scientifica del cittadino del Paese terzo possa essere accettata anche quando l’interessato sia già presente nel territorio dello Stato italiano.
Si ricorda in proposito che la direttiva 2005/71/CE (art. 14, paragrafo 2) prevede che la domanda di permesso di soggiorno presentata dal ricercatore o dall'istituto di ricerca interessato è presa in considerazione ed esaminata quando il cittadino del Paese terzo soggiorna al di fuori del territorio dello Stato membro in cui chiede di essere ammesso.
Il paragrafo 3 dello stesso articolo, tuttavia, lascia ai singoli Stati membri un margine di discrezionalità nel recepimento di questo aspetto della direttiva, stabilendo che gli Stati membri possono accettare, conformemente alla legislazione nazionale, una domanda presentata quando il cittadino del Paese terzo si trova già sul loro territorio.
La normativa attualmente vigente in materia, recata dal decreto legislativo n. 286/1998[84], prevede “particolari modalità e termini” per il rilascio delle autorizzazioni al lavoro, dei visti di ingresso e dei permessi di soggiorno per lavoro a determinate categorie di lavoratori stranieri, fra le quali sono annoverati i professori universitari e i ricercatori destinati a svolgere in Italia un incarico accademico o un'attività retribuita di ricerca presso università, istituti di istruzione e di ricerca operanti in Italia (art. 27, co. 1, lett. c)).
In base al regolamento di attuazione (D.P.R. n. 394/1999[85], art. 40), ai professori universitari ed ai ricercatori il nullaosta al lavoro è rilasciato senza il preventivo espletamento degli adempimenti previsti dall'articolo 22, comma 4, del testo unico (ossia il previo ricorso del datore di lavoro allo sportello unico per l’immigrazione, al fine di ottenere la certificazione negativa del centro per l’impiego circa l’assenza di lavoratori nazionali o comunitari interessati) e al di fuori delle quote stabilite con il decreto di cui all'articolo 3, comma 4, del testo unico (cd. decreto-flussi). In particolare, per i professori ed i ricercatori, il nullaosta al lavoro è subordinato alla richiesta di assunzione anche a tempo indeterminato da parte delle università o degli istituti di istruzione superiore e di ricerca, pubblici o privati, che attesti il possesso dei requisiti professionali necessari per l'espletamento delle relative attività.
Si ricorda che il rilascio del nulla osta al lavoro è prodromico alla stipula del contratto di soggiorno per lavoro con lo straniero residente all’estero (art. 22 del testo unico); la stipula del contratto di soggiorno per lavoro, a sua volta, è condizione per il rilascio del permesso di soggiorno per lavoro (art. 5 del testo unico).
Si rileva peraltro che di recente è stata approvata la legge 28 maggio 2007, n. 68, Disciplina dei soggiorni di breve durata degli stranieri per visite, affari, turismo e studio.
Il provvedimento intende superare i problemi posti dalla Commissione europea con la procedura di infrazione n. 2006/2126 (cfr. infra), consentendo agli stranieri non comunitari, che intendono soggiornare in Italia per un periodo non superiore a tre mesi, di sostituire il permesso di soggiorno con una semplice dichiarazione di presenza qualora l’”ingresso” venga richiesto per visite, affari, turismo o studio.
Per la dichiarazione di presenza sono previste due differenti modalità:
§ nel caso di ingresso da una frontiera esterna all’area Schengen la dichiarazione è resa all’autorità di frontiera;
§ nel caso di provenienza da Paesi dell’area Schengen, la dichiarazione va presentata entro otto giorni al questore della provincia in cui ci si trova.
L’inosservanza della disposizione comporta l’espulsione dello straniero, sia in caso di ritardo nella presentazione della dichiarazione, sia in caso di trattenimento nel territorio dello Stato oltre il periodo consentito.
Procedure di contenzioso
Il 28 giugno 2006 la Commissione europea ha inviato una lettera di messa in mora (procedura d’infrazione n. 2006/2126), ai sensi dell’articolo 226[86] del Trattato CE, in relazione alla non conformità della normativa italiana con il diritto comunitario, in materia di soggiorno di breve durata dei cittadini dei Paesi terzi.
In particolare, la Commissione ritiene che l’obbligo di chiedere il rilascio del permesso di soggiorno, per soggiorni di durata non superiore a tre mesi, per i cittadini di paesi terzi con obbligo di visto, e per coloro che sono esenti da tale obbligo, così come previsto dall’art. 5, commi 1 e 2, del Testo Unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione delle straniero[87](TU), configuri la possibilità che l’Italia sia venuta meno agli obblighi cui è tenuta dalla convenzione d’applicazione dell’accordo di Schengen, in particolare dagli articoli 5, 19, 20, 22, che prevedono quanto segue:
· ai sensi dell'articolo 19, lo straniero soggetto a obbligo di visto, entrato regolarmente nel territorio di uno Stato membro, può circolare liberamente nel territorio di tutti gli Stati membri durante il periodo di validità del visto, se soddisfa determinate condizioni[88] per l'intero periodo di soggiorno;
· l'articolo 20 prevede a sua volta che uno straniero non soggetto a obbligo di visto possa circolare liberamente per una durata massima di tre mesi nell'arco di un semestre, purché soddisfi le medesime condizioni indicate sopra per l'intero periodo di soggiorno;
· l'articolo 21 consente al cittadino di Paesi terzi in possesso di un titolo di soggiorno rilasciato da uno Stato membro, in forza di tale titolo e di un documento di viaggio, di circolare liberamente per un periodo non superiore a tre mesi nel territorio degli altri Stati membri che applicano integralmente l'acquis di Schengen, purché soddisfi le medesime condizioni indicate sopra durante l'intero periodo di soggiorno e non figuri nell'elenco nazionale delle persone segnalate dello Stato membro interessato;
· conformemente all'articolo 22, il cittadino di Paesi terzi che si rechi in uno Stato membro é soggetto soltanto a conformarsi al semplice obbligo di dichiarare la propria presenza a norma della pertinente legislazione nazionale. L'articolo 22 precisa che la dichiarazione può essere sottoscritta sia all'ingresso, sia entro tre giorni lavorativi a decorrere dall'ingresso.
In riferimento ai familiari di un cittadino dell’Unione non aventi la cittadinanza di uno Stato membro, inoltre, l’imposizione degli obblighi di ottenere un permesso di soggiorno entro otto giorni dall’ingresso nel territorio e di dichiarare la propria presenza entro 48 ore, previsto dagli articoli del TU sopra citati, configurerebbe la possibilità che l’Italia sia venuta meno anche agli obblighi che le incombono a norma della direttiva 2004/38/CE[89] relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri (articolo 6, paragrafo 2, e articolo 5, paragrafo 5).
Il 13 dicembre 2005 la Commissione europea ha inviato un parere motivato (procedura d’infrazione n. 1998/2127), ai sensi dell’articolo 226 del Trattato CE (cfr. supra), in relazione alla non conformità con il diritto comunitario della normativa italiana in materia di distacco di lavoratori cittadini di Paesi terzi, nel quadro di una prestazione di servizi transfrontalieri.
La Commissione ritiene che la normativa italiana (norme derivanti dalle disposizioni degli articoli 20 e 25 della legge n. 40/1998[90] e dell’articolo 27 del già citato decreto legislativo n. 286/1998) che prevede l’obbligo di una autorizzazione al lavoro, in caso di trasferta di lavoratori cittadini di Paesi terzi, nel quadro di una prestazione transfrontaliera di servizi, sia incompatibile con il diritto comunitario (articoli 49 e seguenti del Trattato che istituisce le Comunità europee, relativi alla libera prestazione di servizi).
In particolare, secondo la Commissione, il fatto di subordinare la trasferta di lavoratori di cittadini di un Paese terzo, da parte di un prestatore di servizi stabilito in uno Stato membro, a prescrizioni, quali quella di ottenere per tali lavoratori un’autorizzazione al lavoro, costituisce un ostacolo con effetto discriminatorio nei confronti delle imprese stabilite in uno Stato membro diverso dall’Italia.
Inoltre, secondo la Commissione, la previsione (ai sensi dell’articolo 22, comma 6, del decreto legge n. 286/1998) che il lavoratore cittadino di un Paese terzo debba essere munito di un visto rilasciato dal consolato italiano presso lo Stato di origine o di stabile residenza del lavoratore, previa esibizione dell’autorizzazione al lavoro e del nulla osta provvisorio della questura competente, configura una restrizione ingiustificata e sproporzionata, incompatibile con gli obblighi imposti dall’articolo 49 del Trattato CE.
Il 4 aprile 2006 la Commissione europea ha inviato all’Italia una lettera di messa in mora (procedura d’infrazione n. 2006/2075), ai sensi dell’articolo 226 del Trattato CE (cfr. supra), in relazione alla mancata ottemperanza al disposto del regolamento (CE) n. 1030/2002 che istituisce un modello uniforme per i permessi di soggiorno rilasciati a cittadini di paesi terzi.
In particolare, la Commissione ritiene che l’Italia non abbia rispettato il termine del 14 agosto 2003, conseguente a quanto disposto all’articolo 9 del regolamento comunitario, in base al quale gli Stati membri rilasciano permessi di soggiorno, di modello uniforme, al più tardi entro un anno, a decorrere dall’adozione degli elementi e dei requisiti di sicurezza complementari. Tali elementi e requisiti di sicurezza sono stati stabiliti dalla Commissione con la decisione C/2002/3069 del 14 agosto 2002.
La Commissione rileva, inoltre, che conformemente all’articolo 2 della decisione C/2002/3069, gli Stati membri sono tenuti a fornire alla Commissione e agli altri Stati membri un fac-simile di tale permesso di soggiorno, non appena disponibile. Nel documento presentato dai rappresentanti italiani nei gruppi pertinenti del Consiglio (documento del Consiglio n. 5787/06), il Governo italiano ha dichiarato di non rilasciare ancora permessi di soggiorno conformi al modello uniforme e prevede di farlo unicamente al momento dell’introduzione dei dati biometrici.
Con l’approvazione dell’A.C. 2427 (cfr. infra) la procedura di contenzioso qui illustrata dovrebbe ritenersi superata.
Art. 12
(Attuazione della direttiva 2005/85/CE del Consiglio, del 1º dicembre 2005, recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato)
1. Nella predisposizione del decreto legislativo per l'attuazione della direttiva 2005/85/CE del Consiglio, del 1° dicembre 2005, recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato, il Governo è tenuto a seguire, oltre ai princìpi e criteri direttivi di cui all'articolo 2, anche il seguente: nel caso in cui il richiedente asilo sia cittadino di un Paese terzo sicuro, ovvero, se apolide, vi abbia in precedenza soggiornato abitualmente, ovvero provenga da un Paese di origine sicuro, prevedere che la domanda di asilo è dichiarata infondata, salvo che siano invocati gravi motivi per non ritenere sicuro quel Paese nelle circostanze specifiche in cui si trova il richiedente. Tra i gravi motivi possono essere comprese gravi discriminazioni e repressioni di comportamenti riferiti al richiedente e che risultano oggettivamente perseguiti nel Paese d'origine o di provenienza e non costituenti reato per l'ordinamento italiano.
L’articolo 12 introduce un principio e un criterio direttivo – ulteriore rispetto a quelli di carattere generale indicati nell’art. 2 del provvedimento in esame – che il Governo è tenuto a seguire per l’attuazione della direttiva 2005/85/CE recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato[91].
Il principio direttivo prevede che la domanda di asilo non possa essere dichiarata infondata solamente perché il richiedente asilo sia cittadino di, o provenga da, un paese “sicuro”, secondo l’elenco definito dal Consiglio. Bisognerà, infatti, verificare che non siano stati invocati gravi motivi per non ritenere sicuro quel Paese in relazione alle circostanze specifiche in cui si trova il richiedente. Si tratta, quest’ultima, di una disposizione contenuta nell’art. 31 della direttiva (vedi oltre).
Tra i motivi di cui sopra possono essere comprese gravi discriminazioni e repressioni di comportamenti che, nel Paese di provenienza, risultano oggettivamente perseguiti, mentre nel nostro Paese non costituiscono reati.
L’obiettivo della disposizione è di inserire, tra gli elementi di valutazione nella decisione di accoglimento o rifiuto delle domande di asilo, la considerazione che il richiedente, pur provenendo da un Paese sicuro, può essere perseguito (non necessariamente in base ad una norma penale, ma comunque in base a disposizioni o atti concludenti, oggettivamente individuabili) a causa di un fatto o comportamento che nel nostro ordinamento non è perseguibile (in quanto non costituisce reato). La norma non sembra però considerare tutti i fatti o i comportamenti perseguiti, bensì quelli la cui repressione lede diritti fondamentali (così potrebbe esser letta l’endiadi “gravi discriminazioni e repressioni di comportamenti […]”)[92].
Per quanto riguarda la definizione di Paese sicuro, la direttiva prevede che spetta al Consiglio, su proposta della Commissione e con il parere del Parlamento europeo, definire e aggiornare l’elenco dei “Paesi di origine sicuri” (art. 29 della direttiva) sulla base di alcuni criteri (rispetto dei diritti fondamentali, assenza di persecuzioni, di trattamenti disumani, di violenze legate a conflitti armati ecc.) indicato nell’allegato II della direttiva.
La predisposizione dell’elenco dei Paesi sicuri risponde all’esigenza di avere uno strumento che consenta di decidere in modo oggettivo in ordine all’ammissibilità delle domande. Infatti, se il richiedente proviene da un Paese di origine sicuro la domanda di asilo è giudicata infondata (art. 23, paragrafo 4, lett. c)). La portata di quest’ultima norma, che sembrerebbe a prima vista lasciare poco spazio al legislatore nazionale, è in parte attenuata da due disposizioni contenute nell’articolo 31 della direttiva. La prima di esse prevede che un Paese contenuto nell’elenco dei Paesi sicuri viene considerato effettivamente tale, in ordine ad una specifica domanda di asilo (e comunque previo esame individuale della domanda), solamente se il richiedente “non ha invocato gravi motivi per ritenere che quel Paese non sia un Paese di origine sicuro nelle circostanze specifiche in cui si trova il richiedente stesso e per quanto riguarda la sua qualità di rifugiato a norma della direttiva 2004/83/CE” (paragrafo 1). La seconda disposizione lascia agli Stati membri la facoltà di stabilire ulteriori norme e modalità inerenti all’applicazione del concetto di Paese di origine sicuro (paragrafo 3)[93].
L’art. 7 della direttiva 2005/85/CE prevede che coloro i quali presentano richiesta per il riconoscimento dello status di rifugiato possono risiedere nel Paese dove hanno presentato la domanda fino alla adozione della decisione finale, pur senza aver diritto a un titolo di soggiorno.
Procedure di contenzioso
Il 28 novembre 2006 la Commissione europea ha inviato una lettera di messa in mora (procedura d’infrazione n. 2006/878), ai sensi dell’articolo 226[94] del Trattato CE, per mancata attuazione della direttiva 2004/83/CE, recante norme minime sull’attribuzione, ai cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale. La direttiva era già presente anche nell’allegato B della legge comunitaria 2005.
Art. 13
(Modifiche alla legge 24 luglio 1985, n. 409. Attuazione della direttiva 2005/36/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 7 settembre 2005, in materia di diritti acquisiti per l’esercizio della professione di odontoiatra)
1. All’articolo 19, comma 1, della legge 24 luglio 1985, n. 409, e successive modificazioni, è aggiunta, in fine, la seguente lettera:
«b-bis) ai medici che hanno iniziato la loro formazione universitaria in medicina dopo il 31 dicembre 1984 e che sono in possesso di un diploma di specializzazione triennale in campo odontoiatrico il cui corso di studi ha avuto inizio entro il 31 dicembre 1994 e che si sono effettivamente e lecitamente dedicati, a titolo principale, all’attività di cui all’articolo 2 per tre anni consecutivi nel corso dei cinque anni che precedono il rilascio dell’attestato».
2. All’articolo 20, comma 1, della legge 24 luglio 1985, n. 409, e successive modificazioni, è aggiunta, in fine, la seguente lettera:
«b-bis) i medici che hanno iniziato la loro formazione universitaria in medicina dopo il 31 dicembre 1984 e che sono in possesso di un diploma di specializzazione triennale in campo odontoiatrico il cui corso di studi ha avuto inizio entro il 31 dicembre 1994».
L’articolo 13 è volto ad ampliare il numero dei laureati in medicina che possono esercitare la professione di odontoiatra, dando attuazione ad alcune disposizioni stabilite dall’articolo 37, paragrafo 2, della direttiva 2005/36/CE, concernente i “diritti acquisiti dei dentisti”.
Ladirettiva 2005/36/CE, relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali,consolida in un unico testo e semplifica:
· le direttive settoriali[95], relative a varie professioni (infermiere responsabile dell'assistenza generale, dentista, veterinario, ostetrica, architetto, farmacista e medico);
· le direttive relative al sistema generale di riconoscimento delle qualifiche professionali[96];
· la direttiva 1999/42/CE, che istituisce un meccanismo di riconoscimento delle qualifiche per talune attività professionali e che completa il sistema generale di riconoscimento delle qualifiche[97].
Si ricorda che, in materia di esercizio della professione odontoiatrica, ha avuto luogo un lungo contenzioso in sede comunitaria: in base alla legge n. 409/1985, infatti, l’ordinamento italiano consentiva l’accesso alla professione in esame anche ai laureati in medicina e chirurgia che avessero ottenuto una successiva specializzazione in odontoiatria, mentre la disciplina comunitaria distingue nettamente le due professioni, disponendo che la formazione odontoiatrica comprenda almeno cinque anni di studi teorici e pratici a tempo pieno.
In esecuzione di una sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee, la legge comunitaria per il 2002[98] aveva soppresso le disposizioni della legge n. 409/1985 sul doppio canale di accesso alla professione.
Con il decreto legislativo n. 277/2003[99], si è invece consentito l’esercizio della professione di odontoiatra, anche in altri paesi dell’Unione, ad un numero più ampio di laureati in medicina e chirurgia che già esercitano a titolo principale tale professione, per un periodo di tre anni consecutivi nel corso dei cinque anni che precedono il rilascio di un attestato del Ministero della salute; per tali soggetti è ammessa la doppia iscrizione all’albo professionale degli odontoiatri e a quello dei medici chirurghi. In particolare, è permesso l’esercizio della professione di odontoiatra:
§ a coloro che hanno iniziato la formazione universitaria in medicina prima del 28 gennaio 1980;
§ ai medici che abbiano iniziato la formazione universitaria in medicina tra il 29 gennaio 1980 e il 31 dicembre 1984, subordinatamente al superamento di una prova attitudinale.
L’articolo 13, nel ribadire i principi base della normativa comunitaria, consente:
- l’esercizio della professione di odontoiatra in altri Paesi dell'Unione europea, sempre previo rilascio del relativo attestato ministeriale, anche ai medici che abbiano iniziato la loro formazione universitaria in medicina dopo il 31 dicembre 1984 e che siano in possesso di un diploma di specializzazione triennale in campo odontoiatrico, il cui corso di studi abbia avuto inizio entro il 31 dicembre 1994, e che si siano effettivamente e lecitamente dedicati, a titolo principale, all’attività di odontoiatra per tre anni consecutivi nel corso dei cinque anni che precedono il rilascio dell’attestato (comma 1).
Conseguentemente è consentita l’iscrizione all’albo degli odontoiatri anche ai medici che abbiano iniziato la loro formazione universitaria (in medicina) dopo il 31 dicembre 1984 e che siano in possesso di un diploma di specializzazione triennale in campo odontoiatrico il cui corso di studi abbia avuto inizio entro il 31 dicembre 1994 (comma 2).
Art. 14
(Modifiche alla legge 8 luglio 1997, n. 213, recante classificazione delle carcasse bovine, in applicazione di regolamenti comunitari)
1. L’articolo 3 della legge 8 luglio 1997, n. 213, è sostituito dal seguente:
«Art. 3. - (Sanzioni per violazione delle disposizioni in materia di tecniche di classificazione non automatizzata). – 1. Salvo che il fatto costituisca reato, il titolare dello stabilimento, che vìola l’obbligo di identificazione e di classificazione di cui all’articolo 1, comma 1, è soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 3.000 a euro 18.000.
2. Il titolare dello stabilimento che utilizza una marchiatura o etichettatura difforme da quanto previsto dall’articolo 2 del regolamento di cui al decreto del Ministro per le politiche agricole 4 maggio 1998, n. 298, è soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 1.000 a euro 6.000.
3. Salvo che il fatto costituisca reato, il titolare dello stabilimento che vìola le disposizioni di cui all’articolo 1, comma 2, è soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 2.000 a euro 12.000.
4. Salvo che il fatto costituisca reato, il tecnico classificatore, quale definito all’articolo 1, comma 1, che effettua le operazioni di identificazione e classificazione delle carcasse bovine con modalità difformi da quelle stabilite da atti normativi nazionali o comunitari, è soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 500 a euro 3.000, se la difformità, rilevata al controllo su un numero di almeno 40 carcasse, ai sensi dell’articolo 3 del regolamento (CEE) n. 344/91 della Commissione, del 13 febbraio 1991, e successive modificazioni, supera la percentuale del 5 per cento.
5. Il decreto legislativo 24 febbraio 1997, n. 29, è abrogato».
2. Dopo l’articolo 3 della legge 8 luglio 1997, n. 213, come sostituito dal comma 1 del presente articolo, sono inseriti i seguenti:
«Art. 3-bis. - (Sanzioni per violazione delle disposizioni in materia di tecniche di classificazione automatizzata). – 1. Salvo che il fatto costituisca reato, il titolare dello stabilimento che, in assenza della licenza di cui all’articolo 3, paragrafo 1-bis, del regolamento (CEE) n. 344/91, della Commissione, del 13 febbraio 1991, utilizza tecniche di classificazione automatizzata è soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 6.000 a euro 36.000. Salvo che il fatto costituisca reato, alla medesima sanzione è soggetto il titolare dello stabilimento che modifica le specifiche delle tecniche di classificazione, in assenza dell’approvazione delle autorità competenti, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1-quater, del citato regolamento (CEE) n. 344/91.
2. Salvo che il fatto costituisca reato, il titolare dello stabilimento che vìola le disposizioni di cui all’articolo 1, paragrafi 2 e 2-bis, del citato regolamento (CEE) n. 344/91, e successive modificazioni, è soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 1.000 a euro 6.000.
3. Il titolare dello stabilimento che vìola le disposizioni sulla identificazione delle categorie delle carcasse, ovvero sulla redazione dei rapporti di controllo, di cui all’articolo 3, paragrafo 1-ter, del citato regolamento (CEE) n. 344/91, è soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 1.000 a euro 6.000.
4. Qualora nel corso dei controlli di cui all’articolo 3, paragrafo 2, del citato regolamento (CEE) n. 344/91, e successive modificazioni, venga rilevato che il livello di precisione della macchina classificatrice sia inferiore a quello ottenuto nel corso della prova di certificazione, il titolare dello stabilimento è soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 500 a euro 3.000.
Art. 3-ter. - (Disposizioni finali). – 1. Se nei cinque anni successivi alla commissione dell’illecito di cui all’articolo 3, comma 4, della presente legge, accertata con provvedimento esecutivo, il tecnico classificatore vìola nuovamente la medesima norma, l’organo competente al rilascio della licenza, ai sensi dell’articolo 2 del regolamento di cui al decreto del Ministro delle risorse agricole, alimentari e forestali 6 maggio 1996, n. 482, secondo la gravità della violazione, sospende o revoca l’abilitazione.
2. Se nei cinque anni successivi alla commissione dell’illecito di cui all’articolo 3-bis, comma 4, accertata con provvedimento esecutivo, il titolare dello stabilimento vìola nuovamente la medesima norma, l’organo competente al rilascio della licenza, di cui all’articolo 3 del regolamento (CEE) n. 344/91, della Commissione, del 13 febbraio 1991, e successive modificazioni, secondo la gravità della violazione, sospende per un tempo determinato ovvero revoca la licenza.
3. Fino all’individuazione dell’organo competente da parte delle singole regioni e province autonome, le sanzioni di cui agli articoli 3 e 3-bis sono irrogate dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali – Ispettorato centrale repressione frodi, ai sensi dell’articolo 11 del regolamento di cui al decreto del Ministro per le politiche agricole 4 maggio 1998, n. 298.
4. Ai fini degli accertamenti e delle procedure di cui al comma 3 e per quanto non previsto dalla presente legge, restano ferme le disposizioni della legge 24 novembre 1981, n. 689, e successive modificazioni».
L’articolo 14 introduce un’articolata disciplina sanzionatoria per violazioni relative alla identificazione e classificazione delle carcasse bovine, con la finalità di rendere in tempi brevi le operazioni di marchiatura ed etichettatura conformi alla normativa comunitaria del settore.
La disciplina sulla classificazione delle carcasse bovine è stata introdotta dal Regolamento (CEE) n. 1208/1981[100], cui è allegata, relativamente ai soli bovini adulti, una apposita Tabella comunitaria, finalizzata unicamente al rilevamento dei prezzi di mercato e alle misure di intervento. Successivamente, con il Regolamento (CEE) n. 1186/90[101] la tabella comunitaria è stata estesa a tutte le carcasse e le mezzene immesse sul mercato, prevedendo che la classificazione potesse essere effettuata solo dai macelli riconosciuti[102]. Le modalità di applicazione di tale regolamento sono state definite con il Regolamento (CEE) n. 344/91[103], che ha previsto un meccanismo di identificazione “tradizionale” delle carcasse basato sulla marcatura[104] (o, in alternativa, a determinate condizioni, sull’etichettatura), effettuata da personale in possesso di idonea qualifica, sancita da una licenza o da una autorizzazione (i c.d. classificatori).
Le sanzioni per la violazione delle prescrizioni contenute nel Regolamento (CEE) n. 344/91 sono state stabilite, nell’ordinamento interno, con il decreto legislativo n. 29/1997[105], successivamente abrogato e sostituito dalla legge n. 213/1997[106]; a tale legge è stata data attuazione con il regolamento emanato con il D.M. 4 maggio 1998, n. 298,[107] che ha, in particolare, rimesso l’irrogazione delle sanzioni all’Ispettorato centrale repressione frodi[108].
Sulla materia è intervenuto, quindi, il Regolamento (CE) n. 1215/2003[109], che ha modificato il Regolamento (CEE) n. 344/91 dando facoltà agli Stati membri di autorizzare tecniche di classificazione automatizzate (ossia alternative alla valutazione visiva diretta della conformazione della carcassa e del tenore di grasso). Il Regolamento n. 1215, in particolare, ha previsto che: le tecniche di classificazione automatizzata possono essere autorizzate subordinatamente al rispetto di determinati requisiti e condizioni; deve essere definita una tolleranza massima per gli errori statistici; occorre verificare l’attendibilità delle classificazioni mediante controlli eseguiti da organismi pubblici o privati indipendenti dai macelli ispezionati, contemplando anche la possibilità di ritirare la licenza del responsabile degli stabilimenti nel caso di irregolarità.
La classificazione automatizzata è stata resa accessibile a livello nazionale con la circolare 22 marzo 2005 del Ministero delle politiche agricole e forestali, che ne ha disciplinato gli aspetti procedurali.
L’articolo 14 in commento interviene pertanto sulla legge n. 213/1997 non limitandosi, peraltro - con l’introduzione dell’articolo aggiuntivo 3-bis – ad introdurre le sanzioni per la violazione delle nuove disposizioni in materia di tecniche di classificazione automatizzata; la norma novella, infatti, anche la disciplina di cui all’art. 3 della legge 213/97 relativa agli obblighi di classificazione “tradizionale” delle carcasse bovine[110]. In linea generale, la norma agisce in una triplice direzione:
· distinguendo le fattispecie di illecito proprie del titolare dello stabilimento da quelle proprie del tecnico classificatore;
· introducendo un’autonoma fattispecie di illecito in capo al solo titolare dello stabilimento;
· rimodulando verso l’alto l’entità delle sanzioni amministrative pecuniarie.
Il comma 1 dell’articolo 14 provvede infatti ad una nuova formulazione dell’articolo 3 della legge n. 213/1997 che reca, nella versione novellata, esclusivamente le sanzioni in materia di classificazione non automatizzata di carcasse bovine.
L’art. 3 della legge n. 213/1997 prevedeva l’irrogazione di sanzioni amministrative pecuniarie (da 2.582 a 15.493 euro) nei confronti del tecnico classificatore o del titolare dello stabilimento, che violasse l'obbligo di identificazione e di classificazione delle carcasse e mezzene di bovini adulti macellati previsto dalla normativa comunitaria, ovvero effettuasse tali operazioni in maniera difforme dal vero o utilizzasse una marchiatura o etichettatura diversa da quella prevista dal regolamento ministeriale di attuazione.
Il nuovo articolo 3 della legge 213 prevede tre tipologie di illecito attribuibili ora al solo titolare dello stabilimento (commi da 1 a 3):
1) la prima conferma quella attualmente vigente, relativa alla violazione degli obblighi di identificazione e classificazione delle carcasse (la sanzione amministrativa è però incrementata, portandola ad una somma da 3.000 a 18.000 euro);
2) la seconda fattispecie, di nuova introduzione, consiste nell’utilizzo di una marchiatura o etichettatura non conforme alle previsioni del DM n. 298/1998 (punita con la sanzione amministrativa da 1.000 a 6.000 euro);
3) un terzo illecito, già previsto dal comma 2 dell’art. 3 della legge 213 (ovvero violazione delle disposizioni sulla rilevazione dei prezzi di mercato delle carcasse classificate), è ora precisato possa essere imputato al solo titolare dello stabilimento; anche in tal caso è incrementata la sanzione amministrativa pecuniaria (agli attuali limiti minimi e massimi di 1.549 e 9.296 euro sono sostituiti limiti pari a 2.000 e 12.000 euro).
Ancora, il nuovo articolo 3 (con il comma 4) definisce specificamente l’unico illecito contestabile al tecnico classificatore: la identificazione e classificazione delle carcasse bovine con modalità differenti da quelle stabilite da atti normativi nazionali o comunitari. La norma peraltro stabilisce dei limiti quantitativi certi che fanno scattare l’illecito: il controllo deve espletarsi su almeno 40 carcasse, e debbono essere rilevati casi difformi in una percentuale superiore al 5% (basta quindi che le modalità di identificazione e classificazione siano difformi su 3 carcasse)[111]. La relativa sanzione amministrativa pecuniaria consiste nel pagamento di una somma da 500 a 3.000 euro.
Le norme ultime richiamate ricalcano le disposizioni comunitarie di cui al Reg. n. 344/1991 che all’art. 3, par. 2, prevede che l'operato dei classificatori, che esercitano un'attività regolare in stabilimenti riconosciuti nei quali si procede settimanalmente alla macellazione di più di 75 bovini adulti in media annua, venga sottoposto una volta per trimestre a verifica improvvisa, sotto forma di accertamento individuale eseguito su 40 carcasse.
Infine, il comma 5 del nuovo articolo 3 riproduce l’espressa clausola abrogativa del d.lgs. 24 febbraio 1997, n. 29 (già contenuta nell’articolo 3, comma 3, non riprodotto nella novella).
Il comma 2 dell’articolo 14 inserisce nella legge n. 213/1997 l’articolo 3-bis che introduce nuove sanzioni per leviolazioni delle norme in materia di tecniche di classificazione automatizzata di carcasse bovine.
Sono previste le seguenti cinque tipologie di illeciti, tutte “proprie” del solo titolare dello stabilimento di macellazione dei bovini:
· utilizzo di tecniche di classificazione automatica delle carcasse in assenza della necessaria licenza (sanzione amministrativa da 6.000 a 36.000 euro);
· modifica delle specifiche delle tecniche di classificazione in assenza di autorizzazione delle autorità competenti (sanzione amministrativa da 6.000 a 36.000 euro);
· sostituzione abusiva della marcatura delle carcasse con un’etichettatura nonché violazione dei tempi massimi di classificazione ed identificazione dopo la macellazione (un’ora) in violazione, rispettivamente, delle disposizioni dell’art. 1, par. 2 e par. 2-bis del Reg. n. 344/1991 (sanzione amministrativa da 1.000 a 6.000 euro);
· violazione delle disposizioni sulla identificazione delle categorie delle carcasse o sulla redazione dei rapporti di controllo quotidiani sul funzionamento delle tecniche di classificazione automatizzata (art. 3, par. 1-ter, Reg. n. 344/1991) (sanzione amministrativa da 1.000 a 6.000 euro);
· rilevazione al controllo di un livello di precisione della macchina classificatrice inferiore a quello ottenuto nella prova certificata (sanzione amministrativa da 1.000 a 6.000 euro).
Lo stesso comma 2 dell’articolo 14 del provvedimento aggiunge un ulteriore art. 3-ter alla legge n. 213/1997 (Disposizioni finali), che prevede l’irrogazione di pene accessorie nei confronti del tecnico classificatore e del titolare dello stabilimento in caso di recidiva in specifiche violazioni in materia di classificazione (tradizionale e automatizzata).
Tali violazioni (che debbono consumarsi nei cinque anni successivi al primo illecito e risultare accertate con provvedimento esecutivo) consistono:
· per il tecnico classificatore, nell’adozione di modalità difformi da quelle stabilite dalla disciplina interna o comunitaria nell’effettuazione di operazioni di classificazione tradizionale delle carcasse, difformità che deve essere rilevata su più del 5% dei capi controllati (almeno 40 carcasse) (art. 3, comma 4, legge 213);
· per il titolare dello stabilimento, in caso di classificazione automatizzata, nella rilevazione al controllo di un livello di precisione della macchina classificatrice inferiore a quello certificato (art. 3-bis, comma 4, legge 213)
Le pene accessorie stabilite in tali casi di recidiva sono, rispettivamente - per il tecnico classificatore e per il titolare dello stabilimento - in base alla gravità della violazione, la sospensione o la revoca dell’abilitazione o della licenza da parte dell’autorità titolare del rilascio. Va aggiunto che in precedenza - e per violazioni del solo tecnico classificatore - non era prevista la irrogazione diretta delle pene bensì la sola segnalazione della commessa infrazione all’ordine professionale cui il tecnico era, eventualmente, iscritto; all’ordine competeva quindi l’irrogazione effettiva delle sanzioni.
Il comma 3 dell’art. 3-ter individua, in via transitoria (fino all’individuazione dell’autorità competente da parte delle regioni e province autonome), l’Ispettorato centrale repressione frodi del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali come organo competente ad irrogare le sanzioni amministrative pecuniarie per le violazioni in materia di classificazione tradizionale e automatizzata delle carcasse bovine.
Il comma 4 dell’art. 3-ter rinvia, infine, alla legge n. 689/1981[112] (cd. legge di depenalizzazione) per quanto riguarda le procedure di accertamento ed irrogazione delle sanzioni amministrative pecuniarie.
Art. 15
(Modifica all’articolo 7 del decreto legislativo 25 febbraio 2000, n. 174, recante attuazione della direttiva 98/8/CE, in materia di immissione sul mercato di biocidi)
1. Il comma 3 dell’articolo 7 del decreto legislativo 25 febbraio 2000, n. 174, è sostituito dal seguente:
«3. Non è consentito il rilascio dell’autorizzazione all’immissione sul mercato per l’impiego da parte del pubblico di un biocida classificato a norma del decreto legislativo 14 marzo 2003, n. 65, e successive modificazioni, come “tossico“ o “molto tossico“, “cancerogeno di categoria 1 o 2“, “mutageno di categoria 1 o 2“ o “tossico per la riproduzione di categoria 1 o 2“, fermo restando che per l’impiego professionale ed industriale l’autorizzazione all’immissione sul mercato può essere sottoposta ad eventuali restrizioni di uso».
L’articolo 15 modifica la disciplina nazionale di recepimento delle norme comunitarie sui biocidi (direttiva 98/8/CE) con specifico riferimento all’autorizzazione all’immissione sul mercato di tali sostanze (un tempo definite pesticidi non agricoli[113]), volta a garantire un elevato livello di tutela della salute umana e dell’ambiente.
Si ricorda che la direttiva 98/8/CE dispone che in caso di sostanza ad elevato livello di tossicità (biocida classificato come «tossico» o «molto tossico», «cancerogeno di categoria 1 o 2», «mutageno di categoria 1 o 2», o «tossico per la riproduzione di categoria 1 o 2») è vietata “l’autorizzazione per l’immissione sul mercato o l’uso da parte del pubblico” (art. 5, paragrafo 2).
Per “immissione sul mercato”, a norma della stessa direttiva, si intende “qualsiasi consegna a terzi, sia a titolo oneroso sia a titolo gratuito o successivo magazzinaggio, escluso il magazzinaggio e la successiva spedizione al di fuori del territorio doganale della Comunità o l'eliminazione. L'importazione di un biocida nel territorio doganale della Comunità è considerata immissione sul mercato ai fini della presente direttiva” (art. 2, lett. h). Nell’allegato VI della medesima direttiva[114] si afferma che l’uso del biocida con elevato livello di pericolosità “non deve essere autorizzato al pubblico” (cfr. punto 75).
La normativa italiana di recepimento (art. 7, comma 3, del d.lgs. n. 174 del 2000) dispone che per le sostanze classificate tossiche “ai sensi del d.lgs n. 285 del 1998” non sono consentiti il rilascio dell’autorizzazione “all’immissione sul mercato” e l’utilizzazione di un biocida.
Con il nuovo comma 3 dell’art. 7 del d.lgs. n. 174, di cui all’art. 15 della legge comunitaria, si afferma il divieto di autorizzazione “all’immissione sul mercato per l’impiego da parte del pubblico” per le sostanze classificate pericolose “ai sensi del d.lgs n. 65/2003”, aggiungendo la possibilità di sottoporre ad eventuali restrizioni d’uso l’immissione di tali sostanze in caso di “impiego professionale e industriale”.
La relazione illustrativa al ddl originario puntualizza che la modifica si rende necessaria al fine di “conformare il decreto legislativo alla disciplina comunitaria”, aggiornando contestualmente il riferimento normativo alla normativa interna (attraverso la sostituzione del riferimento al d.lgs. n. 285/1998, con quello al d.lgs. n. 65/2003, che all’art. 20 ha abrogato il primo).
Si ricorda che il d.lgs. n. 65/2003[115] disciplina la materia della classificazione, imballaggio ed etichettatura dei preparati pericolosi in attuazione delle direttive 1999/45/CE e 2001/60/CE. Il provvedimento reca la nuova disciplina della materia e provvede all’abrogazione del citato d.lgs. 285/98, di attuazione della direttiva 88/397/CEE (abrogata dalla direttiva 1999/45/CEE), che conteneva la disciplina di settore. Successivamente, con il d.lgs. n. 260/2004 sono state emanate diverse disposizioni correttive ed integrative del citato d.lgs. n. 65/2003.
Art. 16
(Modifiche al decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 194, recante attuazione della direttiva 91/414/CEE, in materia di immissione in commercio di prodotti fitosanitari)
1. Al decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 194, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) all’articolo 11, il comma 1 è sostituito dal seguente:
«1. Il Ministro della salute, sentita la Commissione di cui all’articolo 20, qualora vi siano motivi validi per ritenere che un prodotto fitosanitario da esso autorizzato o che è tenuto ad autorizzare ai sensi dell’articolo 10 costituisca un rischio per la salute umana e degli animali o per l’ambiente, provvede, con proprio decreto da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale, a limitarne o proibirne provvisoriamente l’uso e la vendita, notificando immediatamente il provvedimento agli altri Stati membri e alla Commissione europea»;
b) all’articolo 20, al comma 5 è premesso il seguente:
«4-bis. Il Ministro della salute può disporre che la Commissione consultiva si avvalga di esperti nelle discipline attinenti agli studi di cui agli allegati II e III, nel numero massimo di cinquanta, inclusi in un apposito elenco da adottare con decreto del Ministro della salute, sentiti i Ministri delle politiche agricole alimentari e forestali, dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare e dello sviluppo economico, sulla base delle esigenze relative alle attività di valutazione e consultive derivanti dall’applicazione del presente decreto. Le spese derivanti dall’attuazione del presente comma sono poste a carico degli interessati alle attività svolte dalla Commissione ai sensi del comma 5».
L’articolo 16 introduce modifiche al d.lgs. n. 194/1995, con cui è stata attuata la direttiva 91/414/CEE, e successive modificazioni, in materia di autorizzazione per l’immissione in commercio di prodotti fitosanitari.
La direttiva 91/414/CEE è fondamentalmente diretta a regolare la concessione, revisione, ritiro e reciproco riconoscimento delle autorizzazioni sui prodotti fitosanitari, al fine di accrescere la protezione della salute dell’uomo, degli animali e dell’ambiente; a tale scopo, essa reca anche disposizioni incidenti sulla classificazione dei prodotti, nonché sulla loro etichettatura ed imballaggio.
La prima modifica (comma 1, lettera a)), attraverso la riformulazione dell’art. 11, comma 1, del citato d.lgs. n. 194/1995, consente al Ministro della salute di limitare o proibire provvisoriamente l'uso e la vendita di un prodotto fitosanitario autorizzato dallo stesso Ministero o da un altro Stato membro (cosiddetta clausola di salvaguardia).
Si segnala che la norma vigente ammette tale intervento cautelativo solo con riferimento ai prodotti autorizzati da un altro Stato membro, mentre l'art. 11, paragrafo 1, della citata direttiva 91/414/CEE non reca tale limitazione.
La seconda modifica (comma 1, lett. b)) è volta ad aumentare da 20 a 50 il numero degli esperti di cui può avvalersi la commissione consultiva di controllo sull’immissione in commercio di prodotti fitosanitari, disponendo che i maggiori oneri siano coperti con le tariffe a carico dei soggetti interessati alle attività della commissione.
Si ricorda che il funzionamento e la composizione di tale Commissione sono stati disciplinati dall'art. 20 del decreto legislativo n. 194/1995; tale normativa è stata successivamente abrogata dall’art. 43 del regolamento di delegificazione di cui al D.P.R. n. 290/2001[116]; lo stesso regolamento, all’art. 39, aveva previsto, in via transitoria, che la Commissione continuasse ad esercitare le sue funzioni fino alla stipula di apposite convenzioni, da parte del Ministero della salute, con l’Istituto superiore di sanità e altri istituti specializzati, i quali avrebbero garantito lo svolgimento delle funzioni prima attribuite alla commissione consultiva. Tali convenzioni non sono state peraltro stipulate.
Successivamente, la legge comunitaria 2003[117] aveva autorizzato il Governo a modificare[118] l'articolo 39 del citato regolamento di cui al D.P.R. n. 290/2001, al fine di aumentare in via transitoria (cioè, fino alla stipula delle convenzioni summenzionate)[119] il numero degli esperti. Ma il regolamento non risulta essere stato modificato.
La relazione illustrativadel disegno di legge si limita a sottolineare che l’incremento del numero degli esperti è dovuto alla mole di lavoro derivante dall’attuazione della normativa comunitaria e che esso non comporta un aumento di spesa, perché l'onere è posto a carico degli interessati alle attività svolte dalla stessa Commissione[120].
Procedure di contenzioso
Il 12 ottobre 2005, la Commissione ha inviato all’Italia una lettera di messa in mora (procedura d’infrazione n. 2005/4063) ritenendo che il DM 17 dicembre 1998 che disciplina l’importazione parallela dei prodotti fitosanitari[121], come modificato dal DM 21 luglio 2000, conterrebbe ostacoli agli scambi intracomunitari.
Tali ostacoli discenderebbero dalle informazioni aggiuntive (rispetto a quanto stabilito dalla direttiva 91/414/CEE per la collocazione dei prodotti fitosanitari sul mercato), richieste dal DM in oggetto alle imprese importatrici (come la traduzione giurata in lingua italiana dell’etichetta del prodotto o il progetto di etichetta per il mercato italiano, comprese le illustrazioni e le informazioni necessarie per l’utilizzo del prodotto in Italia) e dal termine entro il quale le autorità italiane hanno facoltà di concedere la relativa autorizzazione all’importazione parallela.
Il 28 giugno 2006 la Commissione ha inviato all’Italia una lettera di messa in mora integrativa con la quale solleva una contestazione ulteriore, ritenendo che la formulazione del DM 17 dicembre 1998 si presti ad una interpretazione troppo restrittiva da parte delle amministrazioni italiane.
Queste ultime infatti imporrebbero norme eccessivamente rigorose, richiedendo che la nuova etichetta italiana del prodotto fitosanitario importato in parallelo riporti la stessa specificazione dell’uso autorizzato per determinati prodotti agricoli (ortaggi e altre piante) dell’etichetta straniera. Ciò renderebbe il prodotto meno attrattivo in quanto impedirebbe che l’etichetta venisse adeguata alle particolarità climatiche e territoriali dell’agricoltura italiana.
Nell’ambito della stessa procedura, la Commissione ha inviato all’Italia un parere motivato il 12 dicembre 2006.
Il 9 febbraio 2006, la Commissione ha presentato un ricorso alla Corte di giustizia contro l’Italia (causa 83-06[122]) per la mancata attuazione della direttiva 2004/103/CE concernente i controlli di identità e fitosanitari su vegetali, prodotti vegetali e altre voci elencate nell’allegato V, parte B, della direttiva 2000/29/CE del Consiglio, che possono essere svolti in un luogo diverso dal punto di entrata nella Comunità o in un luogo vicino. Il termine per l’attuazione di tale direttiva era il 31 dicembre 2004.
Art. 17
(Criteri direttivi per le modifiche al regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 23 aprile 2001, n. 290, in materia di immissione in commercio e vendita di prodotti fitosanitari)
1. Il Governo è autorizzato a modificare, entro diciotto mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, il comma 2 dell’articolo 11 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 23 aprile 2001, n. 290, in base ai seguenti criteri direttivi:
a) prevedere la possibilità di disporre la proroga dell’autorizzazione all’immissione in commercio qualora si tratti di un prodotto contenente una sostanza attiva oggetto dei regolamenti della Commissione europea, di cui all’articolo 8, paragrafo 2, secondo capoverso, della direttiva 91/414/CEE del Consiglio, del 15 luglio 1991, e fino all’iscrizione della sostanza attiva medesima nell’allegato I del decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 194, e successive modificazioni;
b) prevedere che la proroga di cui alla lettera a) sia disposta a condizione che non siano sopravvenuti dati scientifici tali da alterare gli elementi posti a base del provvedimento di autorizzazione.
2. Il Governo è altresì autorizzato a modificare, entro diciotto mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, l’articolo 38 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 23 aprile 2001, n. 290, e successive modificazioni, in base ai seguenti princìpi e criteri direttivi:
a) prevedere, nel rispetto della normativa comunitaria relativa all’immissione in commercio dei prodotti fitosanitari, nonché degli obblighi derivanti dall’osservanza del diritto comunitario, che il solfato di rame, gli zolfi grezzi o raffinati, sia moliti, sia ventilati, gli zolfi ramati e il solfato ferroso, i prodotti elencati nell’allegato II, parte B, del regolamento (CEE) n. 2092/91 del Consiglio, del 24 giugno 1991, e successive modificazioni, e i prodotti elencati nell’allegato 2 del citato regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 290 del 2001, siano soggetti a una procedura semplificata di autorizzazione, quando non siano venduti con denominazione di fantasia;
b) demandare a un decreto del Ministro della salute, di concerto con il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, l’individuazione delle modalità tecniche di attuazione della procedura semplificata di cui alla lettera a), in modo da garantire il rispetto dei requisiti di tutela della salute previsti dalla normativa comunitaria.
L’articolo 17 concerne la disciplina dell'immissione in commercio di alcuni prodotti fitosanitari.
In primo luogo, il Governo è autorizzato a modificare, entro diciotto mesi dall’entrata in vigore della legge, il comma 2 dell’art. 11 del regolamento di cui al D.P.R. n. 290/2001[123], al fine di adeguare la normativa italiana alla più recente disciplina comunitaria.
In particolare la lettera a) del nuovo comma 2 del citato articolo 11 del D.P.R. prevede una proroga dell’autorizzazione all’immissione in commercio qualora si tratti di un prodotto contenente una sostanza attiva oggetto dei regolamenti della Commissione europea[124]. La suddetta proroga è altresì disposta a condizione che non siano sopravvenuti dati scientifici tali da alterare gli elementi posti a base del provvedimento di autorizzazione (lettera b)).
Tale modifica è connessa al disposto della direttiva 91/414/CEE, la quale stabiliva (art. 8) che gli Stati membri potessero, per un periodo limitato di dodici anni, autorizzare la prosecuzione della commercializzazione di quei fitofarmaci già presenti sul mercato, ma contenenti sostanze al momento non autorizzate dagli organismi comunitari. Per tali prodotti in ogni caso la Commissione ha proceduto ad un esame progressivo delle sostanze attive, che ha preso avvio con il reg. n. 3600/92 ed è proseguito con l’approvazione del reg. n. 451/2000, che ha definito le modalità attuative della seconda e della terza fase del programma; nel 2002 poi sono stati approvati il reg. 1112/2002 ed il reg. n. 1490/2002, che ha modificato la terza fase del programma, ed infine nel 2004 è stato emanato il reg. 2229/2004, che ha definito la quarta fase del lavoro.
Il menzionato art. 11 del DPR n. 290 dispone che in fase di rinnovo dell’autorizzazione di cui s’è detto, l’amministrazione sia esonerata dall’obbligo di procedere alla consultazione dell’istituto per ciò convenzionato, qualora la sostanza per la quale si richiede l’autorizzazione sia inserita nel programma di revisione di cui ai soli regolamenti comunitari n. 451 e 3600.
Le norme in esame fanno riferimento in generale ai regolamenti di cui all’articolo 8, comma 2, par. II, della direttiva 91/414/CEE, in tal modo rendendo possibile il richiamo implicito ai regolamenti n. 1112 e 1490 del 2002 e 2229 del 2004, ed anche a quelli che potrebbero essere approvati in un prossimo futuro.
La relazione illustrativa del d.d.l. originario sottolinea l’impegno a livello comunitario per una progressiva revisione dei prodotti fitosanitari commercializzabili, al fine di tutelare consumatori ed operatori nonché limitare l’impatto ambientale di tali prodotti.
Come già segnalato la legge comunitaria 2003[125] aveva autorizzato il Governo a modificare l'articolo 11, comma 2 del citato D.P.R. n. 290/2001 nel senso sopra descritto; tuttavia, tale intervento non risulta essere stato esercitato nei sessanta giorni previsti dalla legge.
Con il comma 2 si autorizza il Governo a modificare, entro diciotto mesi dall’entrata in vigore della legge, l’art. 38 del regolamento di cui al D.P.R. n. 290/2001, e successive modificazioni, secondo i seguenti princìpi e criteri direttivi[126]:
- prevedere - nel rispetto della normativa comunitaria relativa all’immissione in commercio dei prodotti fitosanitari, nonché degli obblighi derivanti dall’osservanza del diritto comunitario - che per il solfato di rame, gli zolfi grezzi o raffinati, sia moliti sia ventilati, gli zolfi ramati ed il solfato ferroso, i prodotti elencati nell’allegato II, parte B, del regolamento (CEE) n. 2092/91 del Consiglio, del 24 giugno 1991, e successive modificazioni, e i prodotti elencati nell’allegato 2 del citato regolamento di cui al D.P.R. n. 290, si applichi una procedura semplificata di autorizzazione, quando non siano venduti con denominazione di fantasia (lett. a));
- demandare a un decreto del Ministro della salute, da emanarsi di concerto con il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, l’individuazione delle modalità tecniche di attuazione della procedura semplificata di cui alla lettera a), in modo da garantire il rispetto dei requisiti di tutela della salute previsti dalla normativa comunitaria (lett. b)).
Tale intervento normativo incide su una materia già oggetto della legge comunitaria 2005 (legge 25 gennaio 2006, n. 29), il cui articolo 17, a seguito della procedura d’infrazione n. 2001/4742 (cfr. ultra), ha disposto l’abrogazione dei commi 1 e 2 del suddetto art. 38 del D.P.R. n. 290.
Questi ultimi prevedevano che i prodotti summenzionati non fossero soggetti ad autorizzazione per l’immissione in commercio, semprechè venissero venduti senza "denominazione di fantasia". Si definivano, inoltre, i criteri sulla composizione qualitativa dei prodotti e le indicazioni da porre sulle relative etichette.
Il comma 2 è volto a prevedere, in luogo dell’esclusione dalla procedura di autorizzazione - esclusione, come detto, che era disposta dall’abrogato comma 1 dell’art. 38 - una procedura semplificata di autorizzazione per i prodotti summenzionati, definiti dalla rubrica del medesimo art. 38 come "prodotti naturali e particolari in agricoltura biologica".
Procedure di contenzioso
Il 13 dicembre 2005 la Commissione ha inviato all’Italia un parere motivato complementare (procedura d’infrazione n. 2001/4742) in merito al DPR 23 aprile 2001, n. 290, che disciplina i procedimenti di autorizzazione alla produzione, immissione in commercio e vendita di prodotti fitosanitari e relativi coadiuvanti.
Secondo la Commissione tale decreto sarebbe in contrasto con quanto disposto dalle direttive 91/414/CEE, che disciplina l’immissione sul mercato di prodotti fitosanitari, e 98/34/CE, relativa alle procedure di informazione nel settore delle norme e delle regolamentazioni tecniche. In particolare, la Commissione sostiene che il decreto in questione prevede, contrariamente alla richiamata normativa comunitaria, che i prodotti fitosanitari destinati all’agricoltura biologica possano essere immessi sul mercato senza alcuna autorizzazione preventiva. Inoltre, il decreto detterebbe una disciplina specifica per l’immissione sul mercato dei coadiuvanti utilizzati nei prodottti fitosanitari, stabilendo con ciò una norma tecnica che contraddice le procedure previste dalle direttive sopra indicate.
Art. 18
(Modifiche al decreto legislativo 9 maggio 2001, n. 269, recante attuazione della direttiva 1999/5/CE, riguardante le apparecchiature radio, le apparecchiature terminali di telecomunicazione ed il reciproco riconoscimento della loro conformità)
1. All’articolo 3 del decreto legislativo 9 maggio 2001, n. 269, il comma 2 è sostituito dal seguente:
«2. Le apparecchiature radio sono costruite in modo da utilizzare in maniera efficace lo spettro attribuito alle radiocomunicazioni di Terra e spaziali e le risorse orbitali, evitando interferenze dannose».
2. Il numero 3 dell’allegato VII annesso al decreto legislativo 9 maggio 2001, n. 269, è sostituito dal seguente:
«3. La marcatura CE è apposta sul prodotto o sulla placca di identificazione. La marcatura CE è apposta, inoltre, sull’imballaggio, se presente, e sulla documentazione che accompagna il prodotto».
L’articolo 18 interviene a modificare il d.lgs. n. 269/2001, recante attuazione della direttiva 1999/05/CEche provvede ad istituire un quadro normativo organico per l’immissione sul mercato, la libera circolazione e la messa in servizio nella Comunità sia delle apparecchiature radio, sia di quelle terminali di telecomunicazioni. La direttiva fu emanata al fine di disciplinare in maniera organica il settore delle apparecchiature radio, nonché di innovare la normativa comunitaria applicabile al settore delle apparecchiature terminali di telecomunicazione.
Il campo di applicazione della direttiva 1999/05/CE riguarda gli apparecchi radio riceventi e/o trasmittenti, ovvero apparecchi in grado di comunicare mediante l'emissione e/o la ricezione di onde radio impiegando lo spettro delle radiofrequenze (esempi: telefoni cellulari, componenti di sistemi d'allarme via radio, rivelatori a microonde) e gli apparecchi terminali di telecomunicazione (esempi: telefoni, modem, fax, combinatori telefonici; sono esclusi gli apparecchi per centrale di telecomunicazione). Lo scopo della direttiva è di garantire la libera circolazione dei prodotti sul mercato dell'Unione Europea (le licenze per l'uso delle frequenze sono escluse e rimangono di competenza nazionale).
I requisiti essenziali richiesti dalla direttiva concernono:
· la protezione della salute e della sicurezza dell'utente o di qualsiasi altra persona, compresi gli obiettivi di sicurezza della Direttiva BT (Bassa Tensione)[127], ma senza applicazione di limiti di tensione;
· i requisiti in materia di protezione per quanto riguarda la compatibilità elettromagnetica, previsti dalla Direttiva EMC (Compatibilità Elettromagnetica)[128].
Il comma 1 dell'articolo 18 novella il disposto dell'articolo 3, comma 2, del citato d.lgs. n. 269/2001 che concerne i requisiti essenziali delle apparecchiature radio[129], in particolare lo spettro di frequenze delle radiocomunicazioni da utilizzare.
Si ricorda che il comma 2 del d.lgs. n. 269/2001 stabilisce che le apparecchiature radio vengano costruite in modo da utilizzare in maniera efficace lo spettro attribuito alle radiocomunicazioni di terra e spaziali e le risorse orbitali, con l'obiettivo di evitare interferenze dannose, nel rispetto di quanto prevede il Piano nazionale di ripartizione delle frequenze[130].
Tale piano disciplina l'uso delle bande di frequenza in ambito nazionale e stabilisce l'attribuzione ai diversi servizi delle bande di frequenze, indica per ciascun servizio nell’ambito delle singole bande l’autorità governativa preposta alla gestione delle frequenze, nonché le principali utilizzazioni civili.
Nel testo novellato dal comma 1 viene meno il riferimento a quanto prevede il Piano nazionale di ripartizione delle frequenze ed il disposto si attiene ad un livello più generale, con la raccomandazione ad un utilizzo efficace dello spettro di frequenze.
Il comma 2 interviene sull'allegato VII, n. 3, annesso allo stesso d.lgs. n. 269/2001, e concerne l'apposizione della marcatura CE sulle apparecchiature radio. La presenza di tale marcatura, viene ribadito nella direttiva 1999/05/CE, contribuisce alla qualità ed è un valido strumento per accrescere la fiducia dei consumatori nei prodotti e nei servizi di telecomunicazione.
L'art. 13 del decreto n. 269/2001 stabilisce che l'apparecchio conforme ai requisiti essenziali (di cui all'articolo 3) è contraddistinto dalla marcatura CE di conformità, apposta sotto la responsabilità del fabbricante, del suo rappresentante autorizzato nell'Unione europea o della persona responsabile dell'immissione sul mercato dell'apparecchio. L'allegato VII annesso al decreto definisce la posizione della marcatura sull'apparecchio, prevedendo che essa venga apposta sul prodotto o sulla placca di identificazione, sulla documentazione che accompagna il prodotto ed infine sull'imballaggio. Il testo novellato dell'allegato VII introdotto dal comma 2 introduce un criterio oggettivo di apposizione della marcatura: nel caso tale imballaggio sia presente, su di esso la marcatura CE deve comparire.
Art. 19
(Introduzione dell'articolo 144-bis del codice di cui al decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, recante disposizioni per la tutela dei consumatori)
1. Dopo l’articolo 144 del codice del consumo, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, è inserito il seguente:
«Art. 144-bis. – (Cooperazione tra le autorità nazionali per la tutela dei consumatori). – 1. Il Ministero dello sviluppo economico svolge le funzioni di autorità pubblica nazionale, ai sensi dell’articolo 3, lettera c), del regolamento (CE) n. 2006/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 ottobre 2004, sulla cooperazione tra le autorità nazionali responsabili dell’esecuzione della normativa per la tutela dei consumatori.
2. In particolare, i compiti di cui al comma 1 riguardano la disciplina in materia di:
a) servizi turistici, di cui alla parte III, titolo IV, capo II;
b) clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, di cui alla parte III, titolo I;
c) garanzia nella vendita dei beni di consumo, di cui alla parte IV, titolo III, capo I;
d) credito al consumo, di cui alla parte III, titolo II, capo II, sezione I;
e) commercio elettronico, di cui alla parte III, titolo III, capo II.
3. Il Ministero dello sviluppo economico esercita le funzioni di cui al citato regolamento (CE) n. 2006/2004, nelle materie di cui al comma 1, anche con riferimento alle infrazioni lesive degli interessi collettivi dei consumatori in ambito nazionale.
4. Per lo svolgimento dei compiti di cui al comma 1, il Ministero dello sviluppo economico può avvalersi delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e può definire forme stabili di collaborazione con altre pubbliche amministrazioni. Limitatamente ai poteri di cui all’articolo 139, può avvalersi delle associazioni dei consumatori e degli utenti di cui all’articolo 137.
5. Con decreto del Ministro dello sviluppo economico adottato ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, sono disciplinati i procedimenti istruttori previsti dal presente articolo. In mancanza, i procedimenti sono regolati dalla legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni.
6. Il Ministero dello sviluppo economico designa l’ufficio unico di collegamento responsabile dell’applicazione del citato regolamento (CE) n. 2006/2004».
In attuazione di quanto previsto dal regolamento (CE) n. 2006/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 ottobre 2004[131], l’articolo 19 individua nel Ministero dello sviluppo economico[132] l’autorità pubblica nazionale competente per la cooperazione in materia di tutela dei consumatori[133]. A tal fine novella il d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206 recante il nuovo “Codice del consumo”, provvedendo ad inserire nella relativa parte VI un nuovo articolo, il 144-bische detta disposizioni in materia di “Cooperazione tra le autorità nazionali per la tutela dei consumatori”.
Si ricorda che con il decreto legislativo emanato in attuazione della delega contenuta nell’articolo 7 della legge 29 luglio 2003, n. 229[134], si è provveduto a riordinare e a raccogliere interamente in un Codice del consumo la normativa in materia di tutela dei consumatori. Il Codice, che si compone di 146 articoli in sostituzione di 30 tra leggi e provvedimenti previdenti, è intervenuto su di un tessuto normativo costituito da provvedimenti di recepimento di direttive comunitarie, da norme del Codice civile (artt. 1496-bis e seguenti, in tema di clausole abusive, e artt. 1519-bis e seguenti, in tema di vendita di beni mobili di consumo) e da numerosi atti di diverso rango legislativo, formalmente non coordinati con la principale legge di riferimento, la legge 30 luglio 1998, n. 281[135], con la quale si era provveduto all’introduzione di una disciplina generale dei principi che presiedono alla tutela dei consumatori, definendo una carta dei diritti dei consumatori e degli utenti[136].
Quanto al regolamento CE n. 2006/2004, cui la norma in esame dà attuazione, si ricorda che prevede l’istituzione di una rete di autorità competenti per il controllo dell'applicazione della normativa riguardante i consumatori, allo scopo di garantire l'osservanza della normativa ed il buon funzionamento del mercato interno. Il campo di applicazione delle disposizioni del regolamento è circoscritto unicamente alle infrazioni intracomunitarie .
Ai sensi dell’articolo 4 del regolamento, ogni Stato membro designa le autorità competenti, che sono dotate dei poteri di indagine ed esecutivi necessari ai fini dell'applicazione del regolamento stesso, nonché l'ufficio di collegamento, unico responsabile di detta applicazione. Le autorità designate, che esercitano i poteri loro conferiti in conformità alla legislazione nazionale, sono tenute ad intervenire tempestivamente in caso di constatazione di infrazioni al fine di porvi termine, utilizzando lo strumento giuridico appropriato. Nella maggior parte dei casi dovrà trattarsi di un'azione inibitoria in grado di consentire una rapida cessazione dell'azione illecita ovvero di vietarla.
Le disposizioni del capo II del regolamento (artt. 6-10) stabiliscono un quadro giuridico per l'assistenza reciproca, riguardante, in particolare lo scambio di informazioni, le richieste di misure esecutive, nonché il coordinamento delle attività di sorveglianza del mercato e di applicazione della normativa. Infatti ogni autorità competente a conoscenza di un'infrazione intracomunitaria è tenuta ad informarne non solo le autorità degli altri Stati membri ma anche la Commissione che, da parte sua, dovrà provvedere all’adozione delle misure necessarie per farla cessare o vietare.
La Commissione dovrà, altresì, essere informata dalle singole autorità competenti circa le infrazioni intercomunitarie, i provvedimenti adottati e i relativi effetti, nonché del coordinamento delle loro attività. Le informazioni fornite potranno essere utilizzate unicamente a garanzia del rispetto delle leggi che tutelano gli interessi dei consumatori.
La Commissione provvederà a registrare e a trattare in una base di dati elettronica le informazioni ricevute.
Il regolamento prevede, inoltre, la collaborazione con i paesi terzi e con le organizzazioni internazionali competenti, al fine di migliorare la protezione degli interessi economici dei consumatori.
L’esercizio da parte del Ministero dello sviluppo economico delle funzioni di autorità pubblica nazionale, ai sensi dell’art. 3, lett. c) del citato regolamento CE, concerne, in particolare, le seguenti materie:
§ servizi turistici (parte III, titolo IV, capo II, del codice del consumo).
Si segnala, in proposito, che le competenze statali in materia di turismo, in precedenza attribuita al Ministero delle attività produttive (ora Ministero dello sviluppo economico) dagli articoli 27 e 28 del d.lgs. 30 luglio 1999, n. 300, sono state dapprima assegnate al Ministero dei beni e delle attività culturali, ai sensi dell’art. 1, comma 9, primo periodo, del decreto legge n. 181/06, convertito nella legge n. 233 del 17 luglio 2006. Successivamente, l'art. 2, comma 98, del decreto legge n. 262 del 2006[137], recante disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria - mediante una modifica all’articolo 1, comma 19-bis del d.l. n. 181 del 2006 – ha incardinato presso la Presidenza del Consiglio il Dipartimento per lo sviluppo e la competitività del turismo, che subentra nelle funzioni alla Direzione generale del turismo contestualmente soppressa.
§ clausole abusive nei contratti (parte III, titolo I, del codice del consumo);
§ garanzie nella vendita di beni di consumo (parte IV, titolo III,capo I);
§ credito al consumo (parte III, titolo II, capo II, sezione I);
§ commercio elettronico (parte III, titolo III, capo II).
Come ricorda la relazione di accompagnamento al disegno di legge comunitaria 2006, si tratta di materie per le quali, in sede di recepimento delle direttive di riferimento e di elaborazione dello stesso codice di consumo, non sono state indicate le autorità di riferimento ossia le autorità competenti per l'esecuzione della normativa per la protezione degli dei consumatori.
In proposito la relazione richiama espressamente il d.lgs. 17 marzo 1995, n. 111, la legge 6 febbraio 1996, n. 52, e il d.lgs. 2 febbraio 2002, n. 24.
Per quanto concerne i servizi turistici, si ricorda che sono disciplinati dagli articoli dall’82 al 100 del Codice del consumo che riproducono sostanzialmente le corrispondenti disposizioni contenute nel d.lgs. 17 marzo 1995, n. 111[138], con il quale è stato ampliato l'ambito delle previsioni che garantiscono il consumatore-turista relativamente ai contratti aventi ad oggetto la prestazione dei c.d. pacchetti turistici. Il decreto legislativo ha, infatti, disposto l'obbligatorietà della forma scritta per il contratto, prescrivendo il contenuto minimo necessario del contratto stesso e ponendo a carico del venditore alcuni obblighi informativi. Ha inoltre limitato la revisione del prezzo e comunque la possibilità di modifica delle condizioni del contratto, ampliato i diritti del consumatore in caso di recesso o annullamento del servizio, quando questo non sia stato determinato per colpa del consumatore, e stabilito limiti minimi per la risarcibilità dei danni derivanti alle cose e alle persone.
Con riferimento alle clausole abusive,si ricorda che la parte III del Codice del consumo riguarda il rapporto di consumo, mentre il titolo I, cui espressamente rinvia la disposizione in commento (artt. 33-38), tratta dei contratti del consumatore in generale (clausole vessatorie, nullità delle stesse ed azione inibitoria). Quanto alla legge 6 febbraio 1996, n. 52 richiamata nella relazione, si ricorda che con tale provvedimento, novellato successivamente dalle leggi n. 526 del 1999 e n. 14 del 2003, è stata data attuazione alla direttiva 93/13/CEE, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori .
Le disposizioni concernenti le garanzie legali di conformità e commerciali per i beni di consumo sono contenute negli artt. 128-135 rientranti nella Parte IV del Codice (artt.102-135) in cui vengono raccolte e coordinate le disposizioni in materia di sicurezza e qualità dei prodotti. Quanto al d.lgs. 2 febbraio 2002, n. 24, citato nella relazione governativa, si ricorda che è stato predisposto in base alla delega conferita al Governo dall'art. 1 della legge 29 dicembre 2000, n. 422 (legge comunitaria 2000), per il recepimento della direttiva 1999/44/CE concernente taluni aspetti della vendita e delle garanzie dei beni di consumo. Tale direttiva, volta a garantire la protezione del consumatore e a potenziarne la fiducia negli acquisti transfrontalieri, stabilendo una base minima di regole comuni indipendenti dal luogo di vendita,rientra nel filone attinente alla tutela degli interessi economici e giuridici dei consumatori, con particolare riferimento alla disciplina contrattuale, e sotto questo aspetto presenta profili di continuità con la citata direttiva 93/13/CEE, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, recepita – come ricordato - dalla legge n. 52/1996 con l'inserimento nel codice civile degli articoli da 1469-bis a 1469-sexies, relativi alle clausole vessatorie nel contratto tra professionista e consumatore.
Le disposizioni del codice in materia di credito al consumo rientrano sempre nella parte III disciplinante “il rapporto di consumo”, e sono riportate nell’ambito delle regole disciplinanti l’esercizio dell’attività commerciale (artt. 40-43). Nel codice sono confluite le disposizioni del d.lgs. 25 febbraio 2000, n. 63,di recepimento della direttiva 87/102/CEE.
Infine, per quanto riguarda il commercio elettronico si segnala che l’art. 68 del codice del consumo reca una norma di coordinamento che rinvia alla specifica disciplina in materia di commercio elettronico, ossia al d.lgs. 9 aprile 2003, n. 70[139], che, in attuazione della delega al Governo contenuta nell’articolo 31 della legge 1° marzo 2002, n. 39 (legge comunitaria 2001), e nel rispetto dei principi e secondo le procedure definite dalla stessa legge comunitaria, ha provveduto a recepire nel nostro ordinamento la direttiva 2000/31/CE con l’obiettivo principale di eliminare gli ostacoli che limitano lo sviluppo del commercio elettronico, nonché la promozione della libera circolazione dei servizi legati alla società dell’informazione.
Ai sensi del comma 3 del nuovo articolo 144-bis l’operativita dei poteri del Ministero dello sviluppo economico, di cui al citato regolamento CE, viene estesa anche alle infrazioni nazionali lesive degli interessi collettivi dei consumatori.
Lo scopo, come si osserva nella relazione governativa di accompagnamento al disegno di legge comunitaria, è quello di “evitare un diverso e discriminatorio livello di tutela dei consumatori nelle medesime materie, in caso di infrazioni nazionali rispetto alle infrazioni infracomunitarie”.
Per l’esercizio delle funzioni assegnategli dal comma 1 dell’art. 144-bis il Ministero dello sviluppo economico – conformemente a quanto previsto dal reg. CE, art. 4, par. 2 - può avvalersi della collaborazione delle camere di commercio, nonché di altre pubbliche amministrazioni. Al Ministero è consentito, altresì, di avvalersi delle associazioni dei consumatori e degli utenti rappresentative a livello nazionale, iscritte all’elenco di cui all’articolo 137 del codice del consumo, limitatamente alle azioni inibitorie di cui all’articolo 139 dello stesso codice (comma 4).
L’elenco delle associazioni dei consumatori e degli utenti rappresentative a livello nazionale, di cui all’art. 137 del codice del consumo, istituito presso il Ministero delle attività produttive (ora Ministero dello sviluppo economico) che provvede al relativo aggiornamento annuale, è stato previsto e disciplinato dall’art. 5 della citata legge n. 281/98 che ha altresì fissato i requisiti richiesti per l’iscrizione.
Quanto alle azioni inibitorie di cui all’art. 139 del Codice, si ricorda che il riconoscimento della legittimazione delle associazioni di consumatori ad agire in giudizio per la tutela dei diritti collettivi dei consumatori e degli utenti, ivi prevista, costituisce una tra le disposizioni più innovative dalla stessa legge 281 (articolo 3). L'azione a tutela degli interessi collettivi è finalizzata all'emanazione dei provvedimenti inibitori. Infatti, le associazioni possono richiedere al giudice:
a) di inibire gli atti e i comportamenti lesivi degli interessi dei consumatori e degli utenti;
b) di adottare le misure idonee a correggere o eliminare gli effetti dannosi delle violazioni accertate;
c) di ordinare la pubblicazione del provvedimento su uno o più quotidiani a diffusione nazionale, nei casi in cui la pubblicità del provvedimento possa contribuire a correggere o eliminare gli effetti delle violazioni accertate (art. 140).
Il comma 5 dell’art. 144-bis in commento rinvia ad un successivo decreto dello stesso Ministro dello sviluppo economico la disciplina delle procedure istruttorie per l’esercizio dei poteri da parte dell’autorità competente.
Al riguardo, si osserva che nella relazione governativa di accompagnamento al disegno di legge comunitaria si sottolinea come alla disciplina dei provvedimenti istruttori si proceda sulla falsariga di quanto previsto per la pubblicità ingannevole e comparativa (articolo 26, comma 9, del Codice del consumo[140]).
Da ultimo il comma 6 demanda al Ministero dello sviluppo economico la designazione dell’Ufficio unico di collegamento cui è affidata la responsabilità dell’applicazione del regolamento (CE) n. 2004/2005, come previsto dall’art. 4, par. 1 dello stesso regolamento.
Si segnala infine che il disegno di legge A.C. 2272-bis-A, Misure per il cittadino consumatore e per agevolare le attività produttive e commerciali, approvato dall’Assemblea della Camera nella seduta del 13 giugno 2007, novella l’art. 144-bis del Codice dei consumatori, introdotto dall’articolo in esame.
Art. 20
(Comunicazioni periodiche all’AGEA in materia di produzione
di olio di oliva e di olive da tavola)
1. Al fine di adempiere agli obblighi di cui all’articolo 6 del regolamento (CE) n. 2153/2005 della Commissione, del 23 dicembre 2005, i frantoi e le imprese di trasformazione delle olive da tavola sono tenuti a comunicare mensilmente, anche attraverso le organizzazioni di categoria maggiormente rappresentative a livello nazionale o i centri autorizzati di assistenza fiscale (CAAF), all’Agenzia per le erogazioni in agricoltura (AGEA) gli elementi relativi alla produzione di olio di oliva e di olive da tavola.
2. Con decreto del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, sono definiti i dati, le modalità e la tempistica delle comunicazioni di cui al comma 1.
3. La violazione dell’obbligo di cui al comma 1 comporta l’applicazione della sanzione amministrativa da euro 500 a euro 10.000 in relazione alla gravità della violazione accertata. L’irrogazione delle sanzioni è disposta dall’AGEA, anche avvalendosi dell’Agenzia per i controlli e le azioni comunitarie nel quadro del regime di aiuto alla produzione dell’olio di oliva (Agecontrol Spa).
4. In relazione alla nuova disciplina dell’organizzazione comune di mercato dell’olio di oliva di cui al regolamento (CE) n. 865/2004 del Consiglio, del 29 aprile 2004, all’articolo 7, comma 3, della legge 27 gennaio 1968, n. 35, e successive modificazioni, dopo le parole: «quantità nominali unitarie seguenti espresse in litri:» sono inserite le seguenti: «0,05,».
I commi 1-3 dell’articolo 20 introducono l’obbligo, per i frantoi e le imprese di trasformazione delle olive da tavola, di comunicare all’AGEA i dati relativi alla produzione di olio d’oliva e di olive da tavola. Il comma 4 consente il confezionamento dell’olio d’oliva e dell’olio di semi anche nella quantità nominale unitaria di mezzo decilitro.
L’obbligo di trasmettere all’AGEA, con cadenza mensile, informazioni relative alla produzione rispettivamente di olio d’oliva e di olive da tavola viene imposto ai frantoi ed alle imprese di trasformazione delle olive da tavola al fine di adempiere a quanto previsto dall’articolo 6 del reg. (CE) n. 2153/2005[141]. A tal fine i destinatari dell'obbligo possono avvalersi delle organizzazioni di categoria maggiormente rappresentative a livello nazionale o dei centri autorizzati di assistenza fiscale (CAAF) (comma 1).
In particolare, il citato art. 6 del regolamento n. 2153 stabilisce l’obbligo per gli Stati membri di comunicare alla Commissione una serie di dati riguardanti sia i prezzi medi sia le stime della produzione di olio d’oliva e di olive da tavola, prevedendo che per ottenere tali dati i medesimi Stati membri possano attingere a varie fonti di informazione, inclusi i dati forniti dai frantoi e dalle imprese di trasformazione delle olive da tavola.
L'individuazione degli elementi da trasmettere, nonché le modalità ed i tempi di trasmissione, verranno definiti con un decreto del Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, previa consultazione della Conferenza Stato-regioni (comma 2).
Il comma 3 definisce l’entità della sanzione amministrativa per la violazione degli obblighi di cui al comma 1 (da 500 a 10.000 euro). Il soggetto deputato alla irrogazione della sanzione è l’Agea, che può anche avvalersi dell’Agecontrol.
Il comma 4 novella l’art. 7, comma 3, della legge 27 gennaio 1968, n. 35, al fine di consentire che l’olio d’oliva e quello di semi possano essere confezionati anche nella quantità nominale unitaria di mezzo decilitro. La modifica introdotta viene posta in relazione con la nuova disciplina dell’organizzazione comune di mercato dell’olio di oliva, introdotta con il regolamento (CE) n. 865/2004.
La complessa regolazione e gestione del settore dell’olio d’oliva era originariamente contenuta nel regolamento n. 136/66/CEE[142] che attuava una organizzazione comune nel settore dei grassi. Tuttavia, poiché il sostegno al reddito degli olivicoltori è stato successivamente disciplinato dal regolamento (CE) n. 1782/2003[143] che, stabilendo norme comuni sul sostegno a favore degli agricoltori, ha definito anche per gli olivicoltori modalità ed entità del pagamento unico per azienda e dell'aiuto per la cura degli oliveti, il regolamento n. 136/66/CEE è stato abrogato e sostituito dal regolamento (CE) n. 865/2004 a decorrere dal 1° novembre 2005.
Tale provvedimento invero non reca le norme per la commercializzazione dei prodotti inseriti nelle OCM, ma demanda con l’art. 5 ad altro provvedimento la definizione delle disposizioni riguardanti in particolare la classificazione per qualità, l’imballaggio, la presentazione del prodotto.
Le norme sulla commercializzazione dell’olio d’oliva sono state pertanto approvate con il regolamento (CE) n. 1019/2002[144] che, al fine di garantire l’autenticità del prodotto venduto, prevede nel commercio al dettaglio imballaggi di dimensioni ridotte, provvisti di un adeguato sistema di chiusura. L’articolo 2 consente quindi la vendita al consumatore finale di olio preimballato in imballaggi della capacità massima di cinque litri, che debbono essere provvisti di un sistema di chiusura che perde la sua integrità dopo la prima utilizzazione. Gli Stati membri possono tuttavia autorizzare una capacità superiore per gli imballaggi destinati alle collettività.
Quanto alle disposizioni nazionali, le “Norme per il controllo della pubblicità e del commercio dell’olio d’oliva e dell’olio di semi”, di cui alla legge 7 gennaio 1968, n. 35, prevedono che gli oli d’oliva commestibili, nonché quelli di semi, possano essere confezionati esclusivamente nelle seguenti quantità: un decilitro; un quarto di litro; mezzo litro; tre quarti di litro; un litro; due litri; 3 litri; 5 litri; 10 litri. Successivamente il D.M. 14 novembre 2003, che ha recato le modalità applicative nazionali del regolamento n. 1019, ha disposto che gli imballaggi degli oli commestibili possano raggiungere la capacità massima di 5 litri; se il prodotto è destinato al consumo di collettività (ristoranti, mense, ospedali) la capacità massima è innalzata a 25 litri.
Art. 21
(Modifiche all’articolo 29 della legge 29 dicembre 1990, n. 428, in materia di rimborso di tributi)
1. Al comma 2 dell’articolo 29 della legge 29 dicembre 1990, n. 428, sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «, circostanza che non può essere assunta dagli uffici tributari a mezzo di presunzioni».
L’articolo 21 apporta un’integrazione al comma 2 dell’articolo 29 della legge 29 dicembre 1990, n. 428[145] (legge comunitaria per il 1990), il quale disciplina il rimborso di imposte indirette indebitamente riscosse.
Il comma 2 dell’articolo 29 stabilisce che le imposte indirette ivi espressamente indicate (diritti doganali all’importazione, imposte di fabbricazione, imposte di consumo, sovrapprezzo dello zucchero e diritti erariali), se riscosse in applicazione di disposizioni nazionali incompatibili con il diritto comunitario, sono rimborsate, a condizione che i soggetti tenuti al loro pagamento non ne abbiano trasferito l’onere su altri soggetti.
La Corte di giustizia delle Comunità europee, con sentenza 9 dicembre 2003 (causa C-129/00), pur riconoscendo la compatibilità del testo della disposizione con il diritto comunitario, ha ritenuto contrastanti con lo stesso diritto l’interpretazione e l’applicazione della suddetta disposizione, operate dall’amministrazione finanziaria italiana e da parte significativa degli organi giurisdizionali, compresa la Corte di cassazione.
Secondo la citata sentenza, l’amministrazione finanziaria e parte della giurisprudenza si sono fondate sulla presunzione che, salvo circostanze eccezionali, le imprese commerciali trasferiscono le imposte indirette sulla loro clientela. Così facendo si è realizzata un’inversione dell’onere della prova, ponendosi a carico dei contribuenti la dimostrazione della mancata traslazione dei tributi dei quali chiedono il rimborso.
In particolare, l’amministrazione finanziaria ha ritenuto che la mancata traslazione dei tributi possa essere provata dalle scritture contabili del contribuente, qualora nelle stesse i tributi in questione siano contabilizzati, a partire dall’anno del loro versamento, a titolo di anticipazioni all’erario per tributi non dovuti, come crediti all’attivo nel bilancio di impresa.
La Corte ha ritenuto che l’esistenza della citata presunzione abbia reso eccessivamente difficile per i contribuenti l’esercizio del diritto al rimborso dei tributi riscossi in violazione del diritto comunitario, e che ciò sia in contrasto con i princìpi elaborati dalla Corte stessa in materia di ripetizione dell’indebito. La citata sentenza del 9 dicembre 2003 ha pertanto dichiarato che la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa imposti dal Trattato CE.
L’articolo 21 in commento, ottemperando alla citata sentenza della Corte di giustizia, stabilisce che il trasferimento dell’onere dei tributi di cui al citato articolo 29, comma 2, della legge n. 428 del 1990, su altri soggetti non possa essere assunto dagli uffici tributari a mezzo di presunzioni.
Procedure di contenzioso
Il 28 giugno 2006 la Commissione europea ha inviato un parere motivato complementare (procedura d’infrazione n. 1995/2166), ai sensi dell’articolo 228[146] del Trattato, per la mancata attuazione della richiamata sentenza della Corte di giustizia europea del 9 dicembre 2003 (causa C-120/00), nel quale si sosteneva che l’Italia avrebbe dovuto adottare misure legislative che proibiscano efficacemente il ricorso a qualsiasi presunzione per dimostrare che l’onere della prova non è stato trasferito su un terzo.
La procedura risulta provvisoriamente archiviata.
Art. 22
(Abrogazione della legge 10 agosto 2000, n. 250, recante norme per l'utilizzazione dei traccianti di evidenziazione nel latte in polvere destinato ad uso zootecnico)
1. La legge 10 agosto 2000, n. 250, è abrogata.
L'articolo 22 dispone l'abrogazione della legge 10 agosto 2000, n. 250 allo scopo di dare seguito alla sentenza della Corte di Giustizia del 29 giugno 2006 (causa C-487/04). Con tale sentenza la Corte ha dichiarato infatti che il sistema per assicurare la rintracciabilità del latte scremato in polvere destinato ad uso zootecnico delineato dalla suddetta legge italiana è incompatibile con il diritto comunitario.
La legge n. 250/2000 prevede l'introduzione nel latte e nel latte scremato in polvere destinati ad usi zootecnici e nei loro derivati di traccianti colorati di origine naturale, innocui per la salute umana ed animale ed in grado di rendere tali prodotti stabilmente evidenziabili. L'operatività di tale disposizione è però subordinata all'emanazione di un decreto del Ministro delle politiche agricole e forestali, di concerto con il Ministro della sanità, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, per l'individuazione dei traccianti e la determinazione delle relative modalità di impiego. E' disposto il divieto di detenere latte e latte scremato in polvere destinati ad usi zootecnici negli stabilimenti o depositi nei quali si detiene o si lavora latte destinato al consumo alimentare diretto ovvero a produzioni casearie o assimilate.
Infine, la legge prevede che, a decorrere dal quindicesimo giorno successivo alla data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del decreto ministeriale, chiunque ponga in commercio ovvero utilizzi in processi produttivi latte o latte scremato in polvere, destinato ad usi zootecnici, privo dei traccianti è soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da lire 20 milioni a lire 150 milioni. È prevista inoltre la confisca dei prodotti detenuti, commercializzati od utilizzati in violazione delle disposizioni della legge n. 250/2000.
Tuttavia, il decreto ministeriale suddetto non è mai stato adottato per cui l'obbligo di utilizzo dei traccianti non è mai entrato in vigore.
La Commissione europea, nel ricorso proposto il 25 novembre 2004, rileva che l’obbligo di aggiungere traccianti ostacola gli scambi di latte scremato in polvere tra gli Stati membri. Poiché la destinazione di tale prodotto non è nota al momento della fabbricazione, le imprese che lo commercializzano sul mercato italiano si vedrebbero obbligate a procedere a complicate manipolazioni sui prodotti destinati a tale mercato, dovendo aprire le confezioni già pronte al fine di aggiungere i traccianti; ciò determinerebbe costi aggiuntivi, finendo con il disincentivare l’importazione in Italia di latte scremato in polvere destinato all’alimentazione degli animali proveniente dagli altri Stati membri. La Commissione ricorda inoltre che, in presenza di un regolamento recante organizzazione comune dei mercati in un settore determinato, gli Stati membri sono tenuti ad astenersi da ogni misura che possa derogarvi o recarvi pregiudizio. Al riguardo il regolamento CE del Consiglio 1255/1999 reca la disciplina dell'organizzazione comune dei mercati nei settori del latte e dei prodotti lattiero caseari mentre il regolamento CE della Commissione 2799/1999 ne reca le modalità di applicazione.
Inoltre, la Commissione europea ritiene che il fatto che la legge n. 250 non sia mai stata effettivamente applicata non fa venir meno l’infrazione.
La Corte, da parte sua, riconosce che la legge italiana contrasta con i regolamenti n. 1255/1999 e n. 2799/1999. Infatti essi non conferiscono agli Stati membri il diritto di stabilire condizioni supplementari che abbiano un’incidenza sulla composizione del latte scremato in polvere.
Quanto al secondo argomento, la Corte ricorda che, secondo un costante orientamento giurisprudenziale, il mantenere in vigore nella legislazione di uno Stato membro una disposizione incompatibile con una norma di diritto comunitario, malgrado quest’ultima sia direttamente efficace nell’ordinamento giuridico degli Stati membri, determina una situazione di fatto ambigua, lasciando gli amministrati in uno stato d’incertezza circa le possibilità di cui dispongono di valersi del diritto comunitario. Tale mantenimento in vigore costituisce quindi, da parte dello Stato membro interessato, un inadempimento degli obblighi che gli sono imposti dal Trattato CE.
Procedure di contenzioso
Il 29 giugno 2006 la Corte di giustizia ha condannato l’Italia per aver istituito unilateralmente un sistema di tracciabilità del latte in povere per determinati usi non previsto dal diritto comunitario applicabile a tale settore (regolamento (CE) n. 1255/1999 relativo all’organizzazione comune dei mercati nel settore del latte e dei prodotti lattieri e regolamento (CE) n. 2799/1999 relativo alle modalità applicative del regolamento (CE) n. 1255/1999).
Si ricorda che la Commissione aveva sollevato ricorso contro l’Italia, il 25 novembre 2004, ai sensi dell’art. 226 del Trattato CE (causa C-487/04) a seguito della procedura di infrazione n. 2000/4958.
Art. 23
(Modifica dell’articolo 14 del decreto legislativo 13 gennaio 1999, n. 18, in materia di servizi di assistenza a terra negli aeroporti)
1. L’articolo 14 del decreto legislativo 13 gennaio 1999, n. 18, è sostituito dal seguente:
«Art. 14. - (Protezione sociale). – 1. Fatte salve le disposizioni normative e contrattuali di tutela, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, nel caso di trasferimento delle attività concernenti una o più categorie di servizi di assistenza a terra di cui agli allegati A e B, al fine di individuare gli strumenti utili a governare gli effetti sociali derivanti dal processo di liberalizzazione, il Ministro dei trasporti, di concerto con il Ministro del lavoro e della previdenza sociale, garantisce il coinvolgimento dei soggetti sociali, anche a mezzo di opportune forme di concertazione».
L’articolo 23 novella l’articolo 14 del d.lgs. 13 gennaio 1999, n. 18 - emanato in attuazione della direttiva 96/67/CE, relativa al libero accesso al mercato dei servizi di assistenza a terra negli aeroporti - recante misure di protezione sociale nei confronti dei lavoratori nel caso di trasferimento delle attività concernenti uno o più servizi di assistenza a terra.
A seguito delle modifiche introdotte, la disposizione prevede che - in caso di trasferimento delle attività concernenti una o più categorie di servizi di assistenza a terra - non sia più l’ENAC ad assicurare l’applicazione delle misure di protezione sociale “privilegiando il reimpiego del personale in attività analoghe”, ma che il Ministro dei trasporti,di concerto con il Ministro del lavoro e della previdenza sociale, garantisca il coinvolgimento dei soggetti sociali, anche a mezzo di opportune forme di concertazione. La disposizione precisa che tale misura è disposta al fine di individuare gli strumenti utili a governare gli effetti sociali derivanti dal processo di liberalizzazione.
La modifica è volta a dare attuazione alla sentenza della Corte di giustizia del 9 dicembre 2004, nella causa C-460/02, che aveva ritenuto in contrasto con la direttiva 96/67/CE le disposizioni di cui agli artt. 14 e 20 del richiamato d.lgs. n. 18/1999. Successivamente, in data 21 marzo 2007, la procedura di infrazione è stata archiviata conseguentemente alle modifiche introdotte dall’articolo in esame.
Si segnala che una disposizione di identico contenuto era contenuta nel testo originario dell’articolo 3 del decreto legge 27 dicembre 2006, n. 297, poi soppresso dalla relativa legge di conversione del 23 febbraio 2007, n. 15. Nella relazione illustrativa di tale decreto legge si affermava che la disposizione veniva riproposta “in modo da consentirne l'immediata entrata in vigore e scongiurare il deferimento dello Stato italiano alla Corte di giustizia delle Comunità europee”.
Il d.lgs. 13 gennaio 1999, n. 18, ha dato attuazione alla direttiva 96/67/CE del Consiglio del 15 ottobre 1996, relativa all’accesso al mercato dell’assistenza a terra negli aeroporti della Comunità.
Il decreto legislativo si applica - ai sensi dell’articolo 1 - ai seguenti servizi, elencati in apposito allegato:
- assistenza amministrativa a terra;
- assistenza passeggeri;
- assistenza bagagli;
- assistenza merci e posta;
- assistenza operazioni in pista;
- assistenza pulizia dell’aereo e servizi di scalo;
- assistenza carburante e olio;
- assistenza manutenzione dell’aereo;
- assistenza operazioni aeree e gestione equipaggi;
- assistenza trasporto a terra;
- assistenza catering.
L’ente di gestione assicura agli utenti la presenza in aeroporto dei necessari servizi di assistenza a terra fornendoli direttamente o coordinando l’attività dei prestatori che forniscono i servizi a favore di terzi o in autoproduzione (art. 3).
Ai prestatori di servizi a terzi è riconosciuto, negli aeroporti che abbiano fatto registrare determinati volumi di traffico, il libero accesso al mercato, salva la facoltà dell’ENAC di limitare l’accesso, comunque a non meno di due prestatori per ciascuna categoria di servizio, per motivate ragioni di sicurezza, capacità dello scalo o spazio disponibile (art. 4, commi 1 e 2). Il principio del libero accesso si applica a condizione che l’aeroporto abbia un traffico annuale pari o superiore a 3 milioni di passeggeri o a 75 mila tonnellate di merci o abbia fatto registrare nei sei mesi antecedenti il 1° aprile e il 1° ottobre di ciascun anno un traffico pari o superiore a 2 milioni di passeggeri o a 50 mila tonnellate di merci. I prestatori devono possedere un capitale sociale pari a un quarto del giro d’affari presumibilmente derivante dall’attività da svolgere e risorse strumentali e capacità organizzative idonee e devono assicurare il rispetto della normativa sul lavoro e un’adeguata copertura assicurativa. A decorrere dal 1° gennaio 2001, almeno uno dei prestatori non deve essere controllato direttamente o indirettamente né dall’ente di gestione né da un vettore che abbia trasportato nell’anno precedente più del 25% dei passeggeri o delle merci registrati nell’aeroporto (art. 4, comma 3).
I servizi di assistenza a terra possono essere altresì effettuati, ai sensi dell’articolo 5 e in attuazione di quanto previsto dall’articolo 7 della direttiva, dagli stessi vettori (cd. autoassistenza). Il comma 2, analogamente a quanto previsto per i prestatori dei servizi a terzi, attribuisce all’ENAC, qualora ricorrano i medesimi motivi di sicurezza, capacità dello scalo o spazio disponibile, la facoltà di limitare l’effettuazione dell’autoassistenza, comunque a non meno di due vettori, mentre il comma 3 prevede la possibilità da parte dell’ENAC di escludere l’autoassistenza per determinati servizi negli aeroporti con un traffico annuale inferiore a un milione di passeggeri o a 25 mila tonnellate di merci.
L’articolo 9 del decreto, sulla base dell’articolo 8 della direttiva, prevede che la gestione delle infrastrutture centralizzate (ad es. smistamento e riconsegna bagagli, sghiacciamento aeromobili, gestione sistemi informatici e impianti di distribuzione carburanti) possa essere riservata dall’ENAC in via esclusiva al gestore aeroportuale, qualora lo richieda la complessità, il costo o l’impatto ambientale.
Il provvedimento pone inoltre a carico dell’ente di gestione, dei vettori e dei prestatori che forniscono l’assistenza a terra l’obbligo della separazione contabile tra tale attività e le altre che essi esercitano (art. 7), prevede la costituzione presso ciascun aeroporto del Comitato degli utenti con funzioni consultive (art. 8) e attribuisce all’ENAC un generale potere di vigilanza (art. 10).
Art. 14. Protezione sociale. Formulazione originaria |
Art. 14. Protezione sociale. Formulazione previgente |
Art. 14. Protezione sociale. Formulazione vigente |
1. Nel garantire il libero accesso al mercato dei servizi di assistenza a terra, nei trenta mesi successivi alla data di entrata in vigore del presente decreto si deve salvaguardare il mantenimento dei livelli di occupazione e della continuità del rapporto di lavoro del personale dipendente dal precedente gestore.
2. Salva restando l'ipotesi di trasferimento di ramo d'azienda, ogni trasferimento di attività concernente una o più categorie di servizi di assistenza a terra di cui agli allegati A e B comporta il passaggio del personale, individuato dai soggetti interessati d'intesa con le organizzazioni sindacali dei lavoratori, dal precedente gestore del servizio stesso al soggetto subentrante, in misura proporzionale alla quota di traffico o di attività acquisita da quest'ultimo. |
1. Salva restando l'applicazione di specifiche norme contrattuali di tutela, l'ENAC, in esecuzione delle direttive delle Amministrazioni competenti e nell'ambito delle vigenti disposizioni in materia, assicura, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, nel caso di trasferimento delle attività concernenti una o più categorie di servizi di assistenza a terra di cui agli allegati A e B, l'applicazione delle misure di protezione sociale previste dalla normativa vigente, privilegiando il reimpiego del personale in attività analoghe che richiedono il possesso di particolari requisiti professionali e di sicurezza da parte del personale addetto. |
1.Fatte salve le disposizioni normative e contrattuali di tutela, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, nel caso di trasferimento delle attività concernenti una o più categorie di servizi di assistenza a terra di cui agli allegati A e B, al fine di individuare gli strumenti utili a governare gli effetti sociali derivanti dal processo di liberalizzazione, il Ministro dei trasporti, di concerto con il Ministro del lavoro e della previdenza sociale, garantisce il coinvolgimento dei soggetti sociali, anche a mezzo di opportune forme di concertazione. |
Art. 24
(Modifiche all’articolo 21 del testo unico di cui al decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504, in materia di accise sugli oli minerali)
1. All’articolo 21 del testo unico delle disposizioni legislative concernenti le imposte sulla produzione e sui consumi e le relative sanzioni penali ed amministrative, di cui al decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) al comma 6-bis, lettera b), le parole: «lire 560.000 per 1.000 litri» sono sostituite dalle seguenti: «euro 298,92 per 1.000 litri»;
b) dopo il comma 6-ter è aggiunto il seguente:
«6-quater. Con cadenza semestrale dall’inizio del progetto sperimentale di cui al comma 6-bis, i Ministeri dello sviluppo economico e delle politiche agricole alimentari e forestali comunicano al Ministero dell’economia e delle finanze i costi industriali medi dei prodotti agevolati di cui al medesimo comma 6-bis, rilevati nei sei mesi immediatamente precedenti. Sulla base delle suddette rilevazioni, al fine di evitare la sovracompensazione dei costi addizionali legati alla produzione, con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico, con il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare e con il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, da emanare entro sessanta giorni dalla fine del semestre, è eventualmente rideterminata la misura dell’agevolazione di cui al medesimo comma 6-bis».
L'articolo 24, reca una modifica ed una integrazione all’articolo 21 (“Prodotti sottoposti ad accisa”) del d.lgs. 26 ottobre 1995, n. 504[147] .
Più precisamente, la lettera a) del comma 1 dell’articolo 24 corregge il comma 6-bis dell’articolo 21 del menzionato d.lgs. n. 504 del 1995.
Tale comma 6-bis, allo scopo di incrementare l’utilizzo di fonti energetiche che determinino un ridotto impatto ambientale, prevede, nell’ambito di un progetto sperimentale, un’accisa ridotta, secondo le aliquote ivi indicate ed applicabili su determinati prodotti impiegati come carburanti da soli od in miscela con oli minerali.
La novella in esame – correggendo la lettera b) del comma 6-bis – esprime in euro il valore dell’aliquota dell’accisa applicata al bioetanolo derivato da prodotti di origine agricola: pertanto, essa non è più da quantificarsi in 560 mila lire per mille litri, bensì in 298,92 euro per mille litri.
La lettera b) del comma 1 dell’articolo 24 aggiunge all’articolo 21 del d.lgs. n. 504/1992 il comma 6-quater, in cui si prevede che – una volta ogni sei mesi a decorrere dall’avvio del progetto sperimentale di cui al menzionato comma 6-bis – i Ministeri dello sviluppo economico e delle politiche agricole e forestali debbano comunicare al Ministero dell’economia e delle finanze l’entità dei costi industriali medi dei prodotti agevolati, di cui al medesimo comma 6-bis, rilevati nel semestre immediatamente precedente.
Si dispone inoltre che – sulla base delle rilevazioni suddette e al fine di evitare la sovracompensazione dei costi addizionali legati alla produzione – la misura dell’agevolazione di cui al comma 6-bis possa essere rideterminata con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico, con il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare e con il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. Tale decreto interministeriale deve essere emanato entro sessanta giorni dalla fine del semestre oggetto dell’ultima rilevazione.
Si ricorda che in materia di biocarburanti è intervenuta recentemente la legge finanziaria 2007 (legge n. 296/2006), il cui articolo unico, al comma 371 introduce nel testo unico delle accise un nuovo articolo 22-bis, recante “Disposizioni particolari in materia di biodiesel ed alcuni prodotti derivati dalla biomassa”. Il comma 5, in particolare, stabilisce che per l'anno 2007 continuano ad applicarsi le disposizioni relative al programma triennale di cui all'articolo 21, commi 6-bis e 6-ter, del testo unico delle accise nella formulazione in vigore al 31 dicembre 2006; inoltre, nell'ambito del predetto programma, a partire dal 1° gennaio 2007, l'aliquota di accisa ridotta relativa all'etere etilterbutilico (ETBE), derivato da alcole di origine agricola è rideterminata in euro 298,92 per 1.000 litri.
Inoltre, il successivo comma 372 stabilisce che, con effetto dal 1° gennaio 2008, nel testo unico delle accise all'articolo 22-bis sia sostituito il citato comma 5, prevedendosi che sia stabilita - allo scopo di incrementare l'utilizzo di fonti energetiche che determinino un ridotto impatto ambientale - nell'ambito di un programma triennale a decorrere dal 1° gennaio 2008, una accisa ridotta applicabile sui seguenti prodotti impiegati come carburanti da soli o in miscela con oli minerali:
a) bioetanolo derivato da prodotti di origine agricola: euro 289,22 per 1.000 litri;
b) etere etilterbutilico (ETBE), derivato da alcole di origine agricola: euro 298,92 per 1.000 litri;
c) additivi e riformulanti prodotti da biomasse:
1) per benzina senza piombo: euro 289,22 per 1.000 litri;
2) per gasolio, escluso il biodiesel: euro 245,32 per 1.000 litri»;
Si segnala infine che è stato di recente approvato il d.lgs. 2 febbraio 2007, n. 26, di attuazione della direttiva 2003/96/CE, che ristruttura il quadro comunitario per la tassazione dei prodotti energetici e dell’elettricità, il quale apporta numerose modifiche al Testo Unico delle accise.
Tale decreto, in base alle disposizioni dell’articolo 8, è entrato in vigore il 1° giugno 2007.
La principale novità della direttiva 2003/96/CE è costituita dal fatto che essa amplia l’insieme dei prodotti energetici che rientrano nel regime comunitario di accisa e che pertanto gli Stati membri devono obbligatoriamente sottoporre ad accisa. Con la direttiva 2003/96/CE il regime di accisa viene applicato ad un insieme più esteso di prodotti, costituito dai cosiddetti prodotti energetici in senso ampio, cui si aggiunge altresì l’elettricità (in precedenza tale insieme era formato da soli “oli minerali”).
Tra le numerose modifiche si segnala quella che riguarda l’elenco dei prodotti energetici sottoposti ad accisa; si prevede infatti la sostituzione integrale dell’articolo 21 del Testo unico delle accise. Inoltre, si introduce nel testo unico delle accise un nuovo articolo 21-bis, recante disposizioni particolari per le emulsioni.
Con tale disposizione si concede l’applicazione di un’aliquota d’accisa ridotta – a decorrere dal 1° gennaio 2008 e fino al 31 dicembre 2013 – per le emulsioni stabilizzate idonee all'impiego nella carburazione e nella combustione.
Le emulsioni sono miscele composte per il 15 per cento circa da acqua e per l'85 per cento da benzina o gasolio, che hanno un impatto ambientale minore rispetto ai combustibili tradizionali. L’agevolazione mira a promuovere l'impiego di prodotti emulsionati assicurandone la disponibilità ad un prezzo ragionevole. L'aiuto compensa pertanto la differenza di costi tra i combustibili tradizionali e le emulsioni. L’agevolazione è concessa, nell’ambito di un programma della durata di sei anni, per i seguenti prodotti e con le aliquote indicate:
Emulsione
stabilizzata di gasolio |
||
|
aliquota per mille litri in euro |
|
usata come carburante |
256,70 |
280,50 |
Il comma 2 del nuovo articolo 21-bis subordina peraltro l'efficacia dell’agevolazione alla preventiva approvazione da parte della Commissione europea, ai sensi dell'articolo 88, paragrafo 3, del Trattato istitutivo della Comunità europea. Si tratta infatti di un’agevolazione che può configurare un aiuto di Stato, ai sensi dell'articolo 87, paragrafo 1, del Trattato, poiché favorisce, mediante risorse statali, i produttori di emulsioni in Italia e può pertanto incidere sul commercio e sulla concorrenza comunitaria.
La direttiva 2003/96/CE permette infatti agli Stati membri di applicare esenzioni e riduzioni delle aliquote purché non pregiudichino il corretto funzionamento del mercato interno e non comportino distorsioni della concorrenza. Tali aliquote ridotte non possono comunque essere inferiori al livello minimo stabilito nella direttiva. Per quanto riguarda le miscele di carburanti, i livelli minimi sono applicabili ai prodotti finali e sono necessari per assicurare il corretto funzionamento del mercato interno e prevenire distorsioni di concorrenza.
Procedure di contenzioso
Il 4 aprile 2006 la Commissione ha inviato all’Italia una lettera di messa in mora[148] per violazione dell’articolo 90, comma 1, del Trattato che istituisce la Comunità europea da parte della normativa relativa alla tassazione degli oli lubrificanti di cui al decreto legislativo n. 504/1995.
In base all’articolo 62 del decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504 (Testo unico sulle accise), gli oli lubrificanti sono soggetti a un’imposta di consumo se destinati ad usi diversi dalla combustione o dalla carburazione. Inoltre gli oli lubrificanti e gli altri oli minerali ottenuti congiuntamente dalla rigenerazione di oli usati già immessi in commercio sono sottoposti ad una aliquota pari al 50% di quella normale prevista per gli oli di prima distillazione.
Una circolare dell’Agenzia delle dogane del 5 maggio 2004 ha precisato che il suddetto beneficio fiscale è limitato, dal 1° gennaio 2004, all’olio lubrificante rigenerato derivante da oli usati raccolti in Italia;pertanto, le imprese, anche comunitarie, che producono lubrificanti rigenerati, per poter beneficiare dell’aliquota ridotta di cui sopra, devono dimostrare, mediante adeguata documentazione, che l’olio usato utilizzato nel processo di produzione è stato raccolto in Italia.
La Commissione, al riguardo, ha osservato che per effetto della normativa in questione, la citata aliquota ridotta non si applica allo stesso modo agli oli rigenerati dello stesso tipo ottenuti a partire da oli raccolti sia in Italia che al di fuori del territorio italiano, come quello degli Stati membri. Pertanto, secondo la Commissione, l’applicazione di un diverso trattamento a prodotti analoghi, sulla base dell’origine della materia prima che entra nella loro composizione, avrebbe un effetto discriminatorio nei confronti di prodotti similari ottenuti da materie prime di altri Stati membri e la Repubblica italiana sarebbe venuta meno agli obblighi che le incombono in virtù dell’articolo 90, primo comma, del Trattato che istituisce la Comunità europea.
In base a tale articolo nessuno Stato membro applica direttamente o indirettamente ai prodotti degli altri Stati membri imposizioni interne, di qualsivoglia natura, superiori a quelle applicate direttamente o indirettamente ai prodotti nazionali similari.
Art. 25
(Attuazione delle decisioni dei rappresentanti dei Governi degli Stati membri dell’Unione europea relative a privilegi e immunità accordati ad agenzie e meccanismi istituiti nell’ambito della politica estera e di sicurezza comune e della politica europea di sicurezza e di difesa)
1. È data attuazione alle seguenti decisioni dei rappresentanti dei Governi degli Stati membri dell’Unione europea riuniti in sede di Consiglio, le quali sono obbligatorie e vincolanti a decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge:
a) decisione del 21 ottobre 2001, relativa a privilegi e immunità accordati all’Istituto per gli studi sulla sicurezza e al centro satellitare dell’Unione europea nonché ai loro organi e al loro personale;
b) decisione del 28 aprile 2004, relativa a privilegi e immunità accordati ad ATHENA;
c) decisione del 10 novembre 2004, relativa a privilegi e immunità accordati all’Agenzia europea per la difesa e ai membri del suo personale.
L'articolo 25 dispone in ordine all'attuazione delle decisioni del Consiglio dell'Unione europea che hanno definito il regime dei privilegi e delle immunità da accordare ad alcune Agenzie istituite per svolgere compiti di natura tecnica, scientifica e di gestione nell’ambito della politica estera e di sicurezza comune dell’Unione europea (PESC).
Gli organismi sono i seguenti: l'Istituto dell'Unione europea per gli studi sulla sicurezza (ISS) e il Centro satellitare dell'Unione europea (EUSC), entrambi contemplati dalla lettera a) del comma unico in esame; l'organismo, denominato ATHENA, che ha il compito di "amministrare il finanziamento dei costi comuni delle operazioni dell'Unione europea che hanno implicazioni nel settore militare o della difesa"[149] (lettera b); l'Agenzia europea per la difesa (EDA)(lettera c).
Istituto dell’Unione europea per gli studi sulla sicurezza (ISS). L’Istituto è stato istituito nel 2002 con un'azione comune del Consiglio del 20 luglio 2001.
Il suo obiettivo è creare una cultura comune della sicurezza europea e sostenere il dibattito strategico fungendo da migliore interfaccia possibile fra i responsabili europei e i diversi ambienti specialistici non ufficiali. Le attività dell’Istituto sono volte all’analisi dei dati e alle segnalazioni necessarie per la politica dell’Unione europea; l’Istituto contribuisce pertanto allo sviluppo della politica estera e di sicurezza comune dell'Unione europea (PESC) svolgendo diversi compiti, quali:
· organizzare ricerche e dibattiti in merito a temi connessi alla sicurezza e alla difesa, rilevanti per l'Unione europea;
· riunire accademici, funzionari, esperti e responsabili politici degli Stati membri dell’Unione europea, di altri paesi europei, degli Stati Uniti e del Canada, allo scopo di fornire un'analisi prospettica in merito alle questioni relative alla difesa per il Consiglio dei ministri dell'Unione europea e l'Alto Rappresentante per la politica estera e di sicurezza comune (PESC);
· promuovere un dialogo transatlantico in merito a tutti i problemi legati alla sicurezza fra i paesi europei, gli Stati Uniti e il Canada, al fine di valorizzare le relazioni reciproche e arricchire i rispettivi approcci ai problemi legati alla sicurezza;
· offrire borse di studio al fine di espandere la propria rete di contatti e sinergie ai gruppi di riflessione a livello nazionale.
L'Istituto, che ha sede a Parigi, è connotato nel senso di una forte autonomia rispetto ai Governi e agli interessi nazionali degli Stati membri dell'Unione. Le sue attività si concentrano, collettivamente e da un punto di vista “europeo”, su temi che vengono di regola trattati separatamente da ciascun Stato membro, tenendo conto anche degli indirizzi critici sull'attuale politica di sicurezza e difesa (PESD) dell’Unione europea.
Centro satellitare dell’Unione europea (EUSC).Il Centro satellitare dell’Unione europea è stato istituito nel 2002 con un’azione comune del Consiglio del 20 luglio 2001 ed è diventato operativo nel gennaio del 2002. Si tratta di un’agenzia del Consiglio dell’Unione europea che si dedica allo sfruttamento e all’elaborazione di informazioni ricavate dall’analisi di immagini satellitari della Terra. Obiettivo del centro è quello di sostenere il processo decisionale dell’Unione nel contesto della politica estera e di sicurezza comune (PESC).Per svolgere le sue funzioni, il Centro è dotato di una propria personalità giuridica e lavora sotto la supervisione politica del comitato politico e di sicurezza del Consiglio e sotto la direzione operativa del Segretario generale. La sede del centro si trova a Torrejón, nei pressi di Madrid (Spagna).
ATHENA. Il meccanismo così denominato, chiamato, come si è accennato in precedenza, ad amministrare il finanziamento dei costi comuni delle operazioni dell'Unione europea che hanno implicazioni nel settore militare o della difesa, trae origine dalle decisioni adottate dal Consiglio europeo di Helsinki del 10-11 dicembre 1999. In tale occasione, si convenne che, entro il 2003, gli Stati membri dovessero essere in grado, grazie ad una cooperazione volontaria alle operazioni dirette dall'Unione europea, di schierare nell'arco di 60 giorni e mantenere per almeno un anno forze militari fino a 50000-60000 uomini capaci di svolgere l'insieme dei compiti di Petersberg.
Il 22 settembre 2003 il Consiglio decise quindi che l'Unione europea dovesse acquisire la capacità flessibile di gestire il finanziamento dei costi comuni delle operazioni militari di qualsiasi dimensione, complessità o urgenza in particolare creando, entro il 1° marzo 2004, un meccanismo di finanziamento permanente, cui imputare il finanziamento dei costi comuni delle future operazioni militari dell'Unione europea.
In tale contesto, Athena fu istituita dalla decisione 2004/197/PESC del Consiglio del 23 febbraio 2004, poi modificata dalla decisione del Consiglio del 22 dicembre 2004 (2004/925/CE).
Agenzia europea per la difesa (EDA). L’Agenzia europea per la difesa è stata istituita nel quadro di un’azione comune del Consiglio dei Ministri, il 12 luglio 2004, al fine di:
· migliorare le capacità di difesa dell’UE nel settore della gestione delle crisi;
· promuovere la cooperazione europea in materia di armamenti;
· rafforzare la base industriale e tecnologica della difesa europea e creare un mercato europeo dei materiali di difesa che sia competitivo;
· promuovere le attività di ricerca al fine di rafforzare il potenziale industriale e tecnologico dell’Europa in questo settore.
L'Agenzia ha sede a Bruxelles.
Per ciascuno degli organismi in precedenza menzionati, il Consiglio dell'Unione europea ha adottato una specifica disciplina in tema di privilegi e immunità, secondo uno schema ricorrente nel diritto delle organizzazioni internazionali.
Le regolamentazioni in parola rispondono, da un lato, all'esigenza di assicurare alle strutture interessate speciali guarentigie a tutela del libero esercizio delle funzioni ad esse attribuite (ad esempio, mediante il riconoscimento dell'inviolabilità degli archivi e dell'immunità in materia di comunicazioni) e, dall'altro, a quella di fornire agevolazioni sul piano operativo (è il caso, in particolare, dell'attribuzione di un regime di esenzione degli acquisti dalle imposte indirette).
Per quanto riguarda l'Istituto dell’Unione europea per gli studi sulla sicurezza (ISS) e il Centro satellitare dell’Unione europea (EUSC), la decisione del Consiglio dell'Unione europea del 21 ottobre 2001 prevede all'articolo 1 l'immunità delle rispettive sedi e pertinenze da perquisizioni, sequestro, requisizione, confisca o "altra forma di violazione", mentre l'articolo 2 riconosce l'inviolabilità dei relativi archivi. L'articolo 3 dispone l'esenzione da imposte e dazi delle agenzie in questione, mentre l'articolo 4 prevede una serie di immunità in loro favore per ciò che attiene alle comunicazioni, in particolare assicurando la possibilità di avvalersi di corrieri o valigie sigillate aventi gli stessi privilegi e immunità di valigie e corrieri diplomatici. L'articolo 5 vincola gli Stati membri ad agevolare, ove necessario alla conduzione di affari ufficiali, l'ingresso, il soggiorno e la partenza dei membri degli organi e del personale delle agenzie in questione, mentre l'articolo 6 prevede una serie di privilegi e immunità a favore degli organi e del personale delle stesse (immunità dalla giurisdizione per dichiarazioni o scritti e atti compiuti nell'esercizio delle funzioni d'ufficio; inviolabilità di tutti i documenti ufficiali; esenzione dalle imposte sui redditi per i membri del personale per ciò che attiene agli stipendi percepiti dalle agenzie). L'articolo 7 deroga alla previsione generale di cui al precedente articolo in materia di immunità dalla giurisdizione per ciò che attiene all'azione civile di terzi per danno.
L'articolo 8 assoggetta i membri del personale a un'imposta sugli stipendi e gli emolumenti percepiti ad opera delle agenzie "a profitto di queste ultime", mentre l'articolo 9 vincola gli Stati membri ad adottare tutte le misure necessarie a garantire la necessaria sicurezza e protezione al personale delle agenzie in questione che si venga a trovare in condizioni di pericolo a motivo delle funzioni esercitate, quando ne facciano richiesta i rispettivi direttori.
L'articolo 10 prevede che i privilegi e le immunità testé richiamati siano sospesi ad opera dei direttori delle agenzie qualora essi "impediscano alla giustizia di fare il suo corso" e ciò sia possibile senza pregiudicare gli interessi delle agenzie stesse in base al principio, richiamato nell'articolo stesso, per il quale i privilegi e le immunità sono concessi non per beneficio delle persone interessate, ma nell'interesse delle agenzie.
L'articolo 11 deferisce al Consiglio dell'Unione europea la competenza per le controversie in ordine al rifiuto di sospendere un'immunità delle agenzie, mentre i successivi articoli recano disposizioni attinenti all'entrata in vigore della decisione (articolo 12), alla sua verifica al termine del primo biennio (articolo 13) e alla pubblicazione nella Gazzetta ufficiale dell'Unione europea.
Quanto al meccanismo denominato ATHENA, la decisione del Consiglio dell'Unione europea che ha istituito uno speciale regime sui privilegi e le immunità accordati all'organismo ad esso preposto e ai membri del suo personale è stata adottata il 28 aprile 2004.
Il testo riproduce, ai primi quattro articoli, lo schema dei privilegi e delle immunità previsti dagli articoli 1-4 della decisione precedentemente descritta: immunità della sede da perquisizioni, sequestri e altri provvedimenti restrittivi (art. 1); inviolabilità degli archivi (art. 2); esenzione delle entrate dalle imposte dirette e degli acquisti dalle imposte indirette (articolo 3); immunità in materia di comunicazioni (con assimilazione al regime dei corrieri e delle valigie diplomatiche) (articolo 4). L'articolo 5 prevede la possibilità per il comitato speciale di ATHENA di non far luogo in un caso specifico all'attribuzione dell'immunità o del privilegio, mentre l'articolo 6 dispone l'entrata in vigore della decisione a decorrere dal 1° novembre 2004. L'articolo 7, infine, dispone la pubblicazione della decisione nella Gazzetta ufficiale dell'Unione europea.
Ad analogo schema risponde infine il regime dei privilegi e delle immunità accordati all'Agenzia europea per la difesa (EDA) e ai membri del suo personale dalla decisione del Consiglio dell'Unione europea adottata il 10 novembre 2004.
Gli articoli 1, 2 e 3 si riferiscono, rispettivamente, all'immunità della sede e degli archivi dell'EDA e all'esenzione della stessa dalle imposte dirette, in termini analoghi a quelli precedentemente riportati nella parte della presente scheda che riguarda le altre agenzie (all'articolo 3, viene peraltro prefigurato, in materia di imposte indirette, soltanto un regime di abbuoni o rimborsi delle imposte versate).
Alla stregua dell'articolo 4, l'Agenzia è esente dai pagamenti e dai diritti imposti in via generale dagli Stati membri per quanto attiene al trasferimento tra Stati membri di beni destinati alla difesa, quando ciò inerisca all'adempimento della propria missione. L'articolo 5 contempla le medesime immunità delle comunicazioni che sono state descritte con riguardo alle altre agenzie, ivi compresa l'assimilazione dei corrieri e delle valigie sigillate delle quali può avvalersi l'EDA alle valigie e ai corrieri diplomatici.
L'articolo 6 vincola gli Stati membri ad agevolare, qualora necessario, l'ingresso, il soggiorno e la partenza del personale dell'agenzia impegnato nel perseguimento degli scopi ufficiali della stessa.
L'articolo 7 attribuisce i seguenti privilegi e immunità ai membri del personale dell'EDA: immunità giurisdizionale per scritti, dichiarazioni o atti compiuti nell'esercizio delle rispettive funzioni ufficiali; inviolabilità dei loro documenti e altro materiale ufficiale; esenzione, per sè, per il coniuge e per i familiari, dall'applicazione delle disposizioni che limitano l'immigrazione e dalle formalità di registrazione degli stranieri.
Alla stregua dell'articolo 8, l'immunità di cui all'articolo precedente non si estende all'azione civile di terzi per danni derivanti da incidente stradale, decesso o lesioni personali causati da membri del personale dell'Agenzia.
L'articolo 9 assoggetta il personale dell'EDA, a profitto della stessa agenzia, a un'imposta sugli stipendi e gli emolumenti da questa erogati, mentre l'articolo 10 vincola gli Stati membri ad adottare tutte le misure necessarie a garantire la necessaria sicurezza e protezione al personale dell'agenzia che si venga a trovare in condizioni di pericolo a motivo delle funzioni esercitate, quando ne faccia richiesta il direttore esecutivo.
L'articolo 11 prevede che i privilegi e le immunità testè richiamati siano sospesi ad opera del Capo dell'agenzia qualora essi "impediscano alla giustizia di fare il suo corso" e ciò sia possibile senza pregiudicare gli interessi delle agenzie stesse; ciò, in base al principio, richiamato nell'articolo stesso, per il quale i privilegi e le immunità sono concessi non per beneficio delle persone interessate, ma nell'interesse delle agenzie.
L'articolo 12 deferisce al Consiglio dell'Unione europea la competenza per le controversie in ordine al rifiuto di sospendere un'immunità delle agenzie, mentre l'articolo 13 attribuisce taluni dei privilegi e immunità spettanti al personale dell'agenzia agli esperti nazionali distaccati presso la stessa.
L'articolo 14 prevede che, ai fini dell'applicazione della decisione del Consiglio oggetto del presente commento, l'agenzia agisca d'intesa con le autorità responsabili degli Stati membri.
I successivi articoli recano disposizioni attinenti alla verifica della decisione relativa ai privilegi e alle immunità di cui al presente commento al termine del primo biennio (articolo 15), all'ambito di applicazione territoriale della stessa (che coincide con il territorio metropolitano degli Stati membri) (articolo 16), all'entrata in vigore (articolo 17) e alla pubblicazione nella Gazzetta ufficiale dell'Unione europea.
Art. 26
(Modifiche alla legge 16 aprile 1987, n. 183, concernenti organismi consultivi con competenze in materia di politiche comunitarie)
1. L’articolo 4 e i commi 2 e 3 dell’articolo 19 della legge 16 aprile 1987, n. 183, sono abrogati.
L’articolo 26 prevede l'abrogazione:
a) dell’articolo 4 della legge 16 aprile 1987, n. 183[150], riguardante il Comitato consultivo istituito presso la Presidenza del Consiglio;
b) dei commi 2 e 3 dell’articolo 19 della medesima legge, che regolavano il compenso attribuito ai componenti della Commissione istituita presso il Dipartimento per le politiche comunitarie.
Il Comitato consultivo, presieduto dal Presidente del Consiglio dei ministri o dal Ministro delegato per il coordinamento delle politiche comunitarie e composto da funzionari di qualifica non inferiore a dirigente generale, in rappresentanza delle rispettive amministrazioni, designati dal Presidente del Consiglio dei ministri e dai Ministri competenti, nonché dall'Avvocato generale dello Stato, dal Ragioniere generale dello Stato, o funzionari da essi delegati, nonché rappresentanti di altri Ministeri eventualmente interessati in relazione a specifici argomenti oggetto di esame, era stato istituito dall’art. 4 della citata legge n. 183 del 1987 con i seguenti compiti:
a) informazione e consulenza su questioni di carattere giuridico, amministrativo, economico e finanziario concernenti le attività comunitarie, le norme relative ed i loro riflessi nell'ordinamento, nelle iniziative e nei programmi interni di carattere economico e sociale;
b) studio e proposta delle misure da adottare per l'impiego compiuto e coordinato delle risorse comunitarie e di quelle nazionali ad esse complementari, nonché per la rapida attuazione delle norme comunitarie.
La segreteria permanente del Comitato, ai sensi del comma 3 dell'articolo 4 della legge n. 183 del 1987, era formata da personale della Presidenza del Consiglio dei ministri oppure con personale comandato dai Ministeri competenti, ovvero quelli aventi titolo a designare propri rappresentanti in seno al Comitato.
La soppressione[151] del Comitato si è resa opportuna in quanto le funzioni da esso svolte sono ora di competenza del Comitato interministeriale per gli affari comunitari europei (CIACE) e del Comitato tecnico permanente, della cui attività il CIACE si avvale, istituiti dall’art. 2 della legge n. 11/2005 presso la Presidenza del Consiglio dei ministri.
In particolare, l’articolo 2 della legge n. 11 prevede che il CIACE sia convocato e presieduto dal Presidente del Consiglio dei ministri o dal Ministro per le politiche comunitarie anche su richiesta del comitato tecnico. Ad esso partecipano il Ministro degli affari esteri, il Ministro per gli affari regionali e gli altri Ministri aventi competenza nelle materie oggetto dei provvedimenti e delle tematiche inseriti all’ordine del giorno. Alle riunioni del CIACE, quando si trattano questioni che interessano anche le regioni e le province autonome, possono chiedere di partecipare il Presidente della Conferenza delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano o un Presidente di regione o di provincia autonoma da lui delegato e, per gli ambiti di competenza degli enti locali, i Presidenti delle associazioni rappresentative degli enti locali.
La norma prevede, altresì, che il CIACE svolga i propri compiti nel rispetto delle competenze attribuite dalla Costituzione e dalla legge al Parlamento, al Consiglio dei Ministri e alla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano.
Il comma 4 dell’articolo 2 della legge n. 11 del 2005 stabilisce inoltre che per la preparazione delle proprie riunioni, il CIACE si avvalga di un Comitato tecnico permanente, istituito presso il Dipartimento per le politiche comunitarie. Il Comitato è coordinato e presieduto dal Ministro per le politiche comunitarie o da un suo delegato e di esso fanno parte direttori generali o alti funzionari con qualificata specializzazione in materia, designati da ognuna delle amministrazioni del Governo. Qualora si trattino questioni che interessano anche le regioni e le province autonome, il Comitato tecnico è integrato dagli assessori regionali competenti per le materie in trattazione o loro delegati. In tal caso il Comitato tecnico, presieduto dal Ministro per le politiche comunitarie, in accordo con il Ministro per gli affari regionali, è convocato presso la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano.
Il funzionamento del CIACE e del Comitato tecnico permanente sono disciplinati, rispettivamente, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri e con decreto del Ministro per le politiche comunitarie. In attuazione di tale disposizione, con DPCM 9 gennaio 2006 è stato adottato il Regolamento per il funzionamento del Comitato interministeriale per gli affari comunitari europei (CIACE) e con DM 9 gennaio 2006 è stato altresì adottato il Regolamento per il funzionamento del Comitato tecnico permanente.
Ilsecondo degli interventi abrogativi previsti dall’articolo 26 ha abolito il compenso attribuito ai componenti della Commissione istituita presso il Dipartimento per le politiche comunitarie dall’art. 19, comma 1, della legge n. 187 del 1983 al fine di favorire il sollecito recepimento delle normative comunitarie.
Ai membri della Commissione, formata da funzionari del Dipartimento stesso, delle Amministrazioni dello Stato interessate e da un magistrato del Consiglio di Stato, nominati con decreto del Ministro per il coordinamento delle politiche comunitarie, spettava un compenso da stabilirsi con apposito decreto ministeriale.
La soppressione del compenso in questione risponde, secondo l'avviso espresso dal Governo, ad esigenze di risparmio e razionalizzazione della spesa pubblica.
1. All’articolo 181, comma terzo, del Regio Decreto 30 marzo 1942, n. 327, le parole: "o consolari" sono soppresse».
L’articolo 27 modifica l’articolo 181 del regio decreto 30 marzo 1942, n. 327 (Codice della navigazione), nel senso di disporre la formale abrogazione di una disposizione normativa la cui applicazione è già da tempo caduta in disuso.
L’articolo 181 citato, in materia di rilascio delle spedizioni, stabilisce che la nave non possa partire senza che i permessi siano rilasciati, mediante l’apposizione del visto sulla dichiarazione integrativa di partenza, da parte del comandante del porto o dell’autorità consolare.
Il terzo comma del medesimo art. 181, poi, elenca le condizioni in assenza delle quali le spedizioni non possono essere rilasciate e, fra di esse, il mancato pagamento – da parte dell’armatore o del comandante della nave – dei diritti portuali o consolari.
La modifica in esame, che sopprime le parole “o consolari” dal terzo comma citato, risponde alla necessità di rimuovere da una fonte primaria dell’ordinamento italiano una disposizione che, anche se superata nei fatti, è in contrasto con il regolamento (CEE) del Consiglio, del 22 dicembre 1986, n. 4055, che applica il principio della libera prestazione dei servizi ai trasporti marittimi tra Stati membri e tra Stati membri e Paesi terzi.
In seguito all’adozione del regolamento 4055 del 1986, il Ministero degli esteri ha emanato il decreto interministeriale 22 dicembre 2001, n. 642, che ha reso gratuiti i diritti sulle spedizioni delle navi (determinati dal MAE e contenuti nella Sezione VI della Tabella dei diritti consolari). La Commissione europea, tuttavia, ha ritenuto tale decreto insufficiente ad eliminare l’incompatibilità venutasi a creare con il regolamento citato; la Corte di giustizia delle Comunità europee, infatti, ha da sempre ritenuto che, in caso di incompatibilità tra la normativa nazionale e quella comunitaria, fosse necessario un intervento che utilizzasse fonti interne dello stesso valore gerarchico di quelle (sempre interne) da modificare, anche se le disposizioni comunitarie in contrasto fossero contenute in atti per loro stessa natura (come nel caso del regolamento) direttamente applicabili. Solo con l’abrogazione esplicita di tale previsione, dunque, si potrà arrestare la procedura di infrazione già avviata per tale ragione dalla Commissione europea ai sensi dell’art. 226 del Trattato (2003/4349), su cui si veda infra.
Procedure di contenzioso
Il 12 ottobre 2005 la Commissione europea ha inviato all’Italia una lettera di messa in mora[152] per essere venuta meno agli obblighi imposti dal regolamento (CEE) n. 4055/86 che applica il principio della libera prestazione dei servizi ai trasporti marittimi tra Stati membri e tra Stati membri e paesi terzi, e a quelli derivanti dai princìpi comunitari in materia di restituzione dell’indebito, stabiliti dalla giurisprudenza consolidata della Corte di giustizia.
La Commissione contesta la compatibilità con l’ordinamento comunitario della disciplina italiana che prevede l’obbligo per le compagnie marittime esercenti navi battenti bandiera italiana di versare diritti consolari per alcune autorizzazioni amministrative (c.d. “spedizioni”) relative a trasporti in arrivo e in partenza da porti di altri Stati membri e di paesi terzi. Poiché per analoghi trasporti da e verso porti nazionali non è richiesto alcun diritto, la Commissione ritiene che ciò configurerebbe l’applicazione di un diverso regime per il rilascio delle “spedizioni” in funzione del tipo di trasporto, interno o internazionale.
La Commissione, in particolare, ha posto l’attenzione sull’incompatibilità tra il diritto comunitario e le disposizioni contenute nell’articolo 181 del Codice della navigazione[153]. Tali disposizioni prevedono, infatti, che le navi battenti bandiera italiana non possano partire da porti esteri o degli Stati membri se non hanno ottenuto alcune autorizzazioni amministrative (c.d. “spedizioni”) che, tra l’altro, non possono essere rilasciate qualora risulti che il comandante della nave o l’armatore non abbiano provveduto al pagamento dei diritti consolari, come previsto espressamente dal comma 3 del medesimo articolo.
I diritti in questione sono stabiliti, a norma dell’art. 56 del Codice della navigazione (così erroneamente richiamato nella lettera di messa in mora; il riferimento va invece operato al D.P.R. 5 gennaio 1967, n. 200 “Disposizioni sulle funzioni e sui poteri consolari”), in una “Tabella dei diritti da riscuotersi dagli uffici consolari e diplomatici” adeguata ogni due anni con decreto dei Ministri per gli Affari Esteri, il Tesoro e le Finanze. Tali diritti sono commisurati alla stazza della nave.
Alla Commissione risulta che le “spedizioni” di navi in arrivo e in partenza da scali interni alle acque territoriali italiane sono sempre state rilasciate gratuitamente dalle competenti autorità marittime. Pertanto, secondo la Commissione, tale onere pecuniario, oltre a non essere effettivamente correlato ai costi del servizio reso, configurerebbe l’applicazione di un diverso regime per il rilascio delle “spedizioni” in funzione del tipo di trasporto, interno o internazionale.
Sebbene con la modifica dell’art. 36 dell’allegato A del decreto del Ministro degli Affari Esteri, di concerto con il Ministro dell’Economia e delle Finanze, n. 642/5697 del 21 dicembre 2001, sia stata disposta la gratuità delle “spedizioni” di navi concernenti i trasporti marittimi verso e da porti esteri, la Commissione ritiene che le disposizioni legislative del Codice della navigazione relative all’obbligo di versamento dei diritti consolari per “spedizioni” di navi siano formalmente tuttora in vigore. Tale modifica è considerata dalla Commissione, infatti, una semplice sospensione della riscossione dei diritti consolari che non fornisce certezza giuridica circa la definitiva soppressione. Sul punto la Corte di giustizia ha già chiarito che l’incompatibilità di una normativa nazionale con le disposizioni comunitarie può essere definitivamente eliminata solo tramite disposizioni interne vincolanti che abbiano lo stesso valore giuridico di quelle da modificare[154].
La Commissione, inoltre, sempre richiamandosi alla giurisprudenza della Corte di giustizia, ritiene che le somme indebitamente percepite dall’Italia a titolo di diritti consolari, in violazione del diritto comunitario, andrebbero in linea di principio restituite alle compagnie che ne hanno fatto richiesta secondo le dovute modalità.
Alla data del 23 febbraio 2007 la procedura risultava provvisoriamente archiviata, in relazione all’adozione dell’articolo 27 della legge 6 febbraio 2007, n. 13 (legge comunitaria per il 2006) in esame che modifica il citato articolo 181, comma 3, del Codice della navigazione, sopprimendo le parole “o consolari” proprio al fine di tenere conto dei rilievi mossi dalla Commissione.
1. All’articolo 23 della legge 18 aprile 2005, n. 62, il comma 3 è soppresso.
L’articolo 28 prevede la soppressione del comma 3 dell’articolo 23 della legge n. 62 del 2005 (legge comunitaria 2004).
Tale comma, nel quadro di un insieme di disposizioni in materia di rinnovo dei contratti delle pubbliche amministrazioni per la fornitura di beni e servizi, prevedeva la possibilità di proroga dei contratti, in scadenza entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della medesima legge, aventi ad oggetto lo svolgimento di funzioni e servizi pubblici non ricadenti nell'ambito di applicazione dell'art. 113 del Testo unico degli enti locali (d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267), che disciplina i servizi pubblici locali di rilevanza economica.
La disposizione prevedeva la possibilità di proroga:
§ per una sola volta;
§ per un periodo di tempo non superiore alla metà della originaria durata contrattuale (e, in ogni caso, con un limite massimo di durata del 31 dicembre 2008);
§ a condizione di una riduzione del corrispettivo di almeno il 5 per cento.
Si premette che l’intera materia degli appalti pubblici è oggi disciplinata dal “codice dei contratti pubblici” (decreto legislativo n. 163 del 2006), il quale ha dato attuazione alla direttiva 2004/17/CE (che ha coordinato le procedure in materia di appalto degli enti erogatori di acqua ed energia, degli enti che forniscono servizi di trasporto e servizi postali) e alla direttiva 2004/18/CE (che ha coordinato le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, forniture e servizi). Il codice, che ha proceduto alla unificazione di tutte le norme adottate in attuazione delle direttive comunitarie in materia di appalti pubblici, ha espressamente previsto, tra gli altri, il principio generale dell’affidamento di lavori, servizi e forniture nel rispetto dei principi di libera concorrenza, parità di trattamento, non discriminazione, trasparenza, proporzionalità, nonché di pubblicità.
Per inquadrare la disposizione può essere inoltre preliminarmente utile richiamare i precedenti commi 1 e 2 del medesimo articolo 23.
Il comma 1, in particolare, dispone l’abrogazione dell’articolo 6, comma 2, della legge n. 537 del 1993, che prevedeva la possibilità di un rinnovo al medesimo contraente (senza ricorso a nuova procedura di gara) dei contratti di forniture e servizi delle pubbliche amministrazioni, purché tale rinnovo avvenisse entro tre mesi dalla scadenza dei contratti, e sempre che le amministrazioni accertassero la sussistenza di ragioni di convenienza e di pubblico interesse per il rinnovo dei contratti medesimi.
Il comma 2, invece, recava una norma di carattere transitorio applicabile ai soli contratti di forniture di beni e servizi già scaduti o in scadenza nei sei mesi successivi, finalizzata ad attenuare il rigore del divieto di rinnovo espresso, derivante dalla abrogazione disposta dal comma precedente. Tale disposizione, in particolare, attribuiva la facoltà di prorogare i detti contratti per il tempo necessario alla stipula dei nuovi contratti a seguito di espletamento di gare ad evidenza pubblica. La disposizione poneva inoltre il limite massimo per la proroga di sei mesi, nonché la condizione della pubblicazione dei bandi di gara per la stipula dei nuovi contratti entro i novanta giorni successivi alla data di entrata in vigore della legge stessa.
Ai fini dell’applicabilità della proroga la disposizione, come si è detto, specifica che i contratti debbano avere ad oggetto funzioni e servizi pubblici non ricadenti nell'ambito di applicazione dell'art. 113 del TUEL, ambito definito dai commi 1 e 1-bis del medesimo articolo.
Tali commi, in particolare, oltre ad esplicitare che le disposizioni successive concernono la tutela della concorrenza e sono inderogabili ed integrative delle discipline di settore afferenti ai servizi pubblici locali, specificano che le medesime:
§ si applicano ai servizi pubblici locali di rilevanza economica[155];
§ lasciano ferme le disposizioni previste per i singoli settori;
§ lasciano ferme le disposizioni necessarie all’attuazione di specifiche normative comunitarie in materia;
§ non si applicano ai settori dell’energia elettrica e del gas (disciplinati, rispettivamente, dal d.lgs. n. 79/1999[156] e dal d.lgs. n. 164/2000[157]).
§ non si applicano al settore del trasporto pubblico locale. Quest’ultimo è stato escluso espressamente dal regime generale dei servizi pubblici locali (co. 1-bis, introdotto dall’art. 1, comma 48, della legge n. 308/2004[158], che ha sottratto al regime generale – cfr. comma 2-bis – anche gli impianti di trasporti a fune nelle località turistiche montane).
Per quanto riguarda la gestione dei servizi rientranti nell’ambito di applicazione dell’articolo 113, si ricorda che il co. 5 della medesima disposizione prevede che il conferimento della titolarità del servizio, nel rispetto delle normative di settore e dell’Unione europea, possa avvenire a favore di:
§ società di capitali individuate attraverso l'espletamento di gare con procedure ad evidenza pubblica;
§ società a capitale misto pubblico-privato nelle quali il socio privato venga scelto attraverso l'espletamento di gare con procedure ad evidenza pubblica che abbiano dato garanzia di rispetto delle norme interne e comunitarie in materia di concorrenza secondo le linee di indirizzo emanate dalle autorità competenti attraverso provvedimenti o circolari specifiche;
§ società a capitale interamente pubblico a condizione che l'ente o gli enti pubblici titolari del capitale sociale esercitino sulla società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e che la società realizzi la parte più importante della propria attività con l'ente o gli enti pubblici che la controllano (cd. affidamento in house).
La disposizione abrogata dall’articolo in esame ha quindi consentito la proroga, senza procedere ad un nuovo affidamento mediante gara, sia di contratti in scadenza aventi ad oggetto funzioni e servizi pubblici diversi da quelli locali, sia di gran parte delle attività di erogazione dei medesimi servizi pubblici locali (tra le quali, per la loro rilevanza, si segnalano l’elettricità, il gas e il trasporto pubblico locale), esclusi dall’ambito di applicazione dell’art. 113 del TUEL e, pertanto, anche dall’applicazione delle modalità di gestione di cui al comma 5 dell’art. 113 medesimo.
Si segnala, infine, che il d.d.l. S. n. 772-A, licenziato per l’Assemblea dalla Commissione Affari costituzionali il 30 maggio 2007, reca una delega al Governo per il complessivo riordino dei servizi pubblici locali.
Direttiva 2005/68/CE
(Attività riassicurative da parte delle imprese di riassicurazione specializzate)
La direttiva 2005/68/CE regola l’esercizio delle attività riassicurative da parte delle imprese di riassicurazione specializzate, che in precedenza – diversamente da quelle svolte dalle imprese di assicurazione – non erano oggetto di disciplina comunitaria. Pur essendo state da tempo eliminate le restrizioni alla libertà di stabilimento ed alla libera prestazione dei servizi, fondate sulla nazionalità o sulla residenza del riassicuratore, permangono quindi diverse discipline nazionali sulla regolamentazione prudenziale della riassicurazione e differenti livelli di vigilanza. La nuova direttiva è stata adottata per armonizzare questi aspetti, allo scopo di completare il mercato interno dei servizi finanziari e di integrare la disciplina relativa alla vigilanza. Essa è volta a consentire il reciproco riconoscimento delle autorizzazioni e dei sistemi di controllo prudenziale e a permettere il rilascio di un'autorizzazione unica valida in tutta la Comunità, con applicazione del principio della vigilanza da parte dello Stato membro d'origine.
La direttiva riguarda le imprese di riassicurazione che esercitano esclusivamente l'attività riassicurativa e non praticano operazioni di assicurazione diretta; vi sono comprese le cosiddette imprese di riassicurazione «captive», create o possedute da un'impresa finanziaria non assicurativa o da una o più imprese non finanziarie allo scopo di riassicurare esclusivamente le esposizioni ai rischi delle imprese cui appartengono (esclusi in ogni caso i rischi assunti nell’esercizio dell’attività assicurativa). Per garantire la solidità finanziaria delle imprese di assicurazione esercenti anche la riassicurazione, ancorché soggette al regime di vigilanza per esse previsto, si applicano ad esse le disposizioni riguardanti il margine di solvibilità richiesto per le imprese di riassicurazione, laddove il volume delle attività riassicurative rappresenti una parte significativa del volume globale delle loro attività.
Secondo le disposizioni contenute nel titolo II (articoli da 3 a 14), l’accesso all'attività riassicurativa e il suo esercizio sono sottoposti ad autorizzazione amministrativa, rilasciata – alle condizioni previste nella direttiva – dalle autorità competenti dello Stato membro in cui l'impresa di riassicurazione ha la sede; su questa base, essa può operare nella Comunità, sia in regime di libero stabilimento, sia in regime di libera prestazione di servizi.
L’impresa di riassicurazione può esercitare soltanto attività di riassicurazione e operazioni connesse (elaborazione di analisi statistiche o attuariali dei rischi o di ricerca per i suoi clienti). È ammesso anche l’esercizio di funzioni di società holding e di attività nel settore finanziario, restando escluso comunque lo svolgimento di attività bancarie e finanziarie indipendenti.
La direttiva, nei titoli III (articoli da 15 a 44) e V (articoli 47 e 48), disciplina le competenze relative alla vigilanza, spettanti all’autorità dello Stato membro d’origine, i poteri e i mezzi di cui questa dispone - con particolare riferimento all’acquisizione e alla cessione di partecipazioni nell’impresa, alla solvibilità, alla costituzione di riserve tecniche sufficienti e riserve di compensazione, nonché alla loro copertura mediante attivi di qualità -, le misure di salvaguardia e liquidazione e le sanzioni che essa può adottare. Non può essere imposta la preventiva approvazione o la comunicazione sistematica delle condizioni generali e speciali delle polizze, delle tariffe e dei formulari e altri stampati che l'impresa di riassicurazione intenda utilizzare nelle proprie relazioni con le imprese cessionarie o retrocessionarie.
Sono previsti lo scambio d’informazioni e la collaborazione fra le autorità di vigilanza competenti e le altre autorità od organismi che, per la funzione che svolgono, concorrono alla stabilità del sistema finanziario, sotto le necessarie garanzie in materia di segreto d’ufficio.
Sono altresì contemplati gli obblighi d’informazione del revisore dell’impresa di riassicurazione nei riguardi dell’autorità di vigilanza.
A garanzia della solvibilità, l'ammontare delle riserve tecniche è determinato in base alla direttiva 91/674/CEE, relativa ai conti annuali e ai conti consolidati delle imprese di assicurazione; è previsto altresì che lo Stato membro d'origine, per le attività riassicurative vita, possa stabilire norme più specifiche in base alla direttiva 2002/83/CE, relativa all'assicurazione sulla vita. E’ prevista inoltre la costituzione di un margine di solvibilità, calcolato in base alle norme vigenti in materia di assicurazione diretta, rappresentato dal patrimonio libero e, con l'accordo delle autorità competenti, da elementi impliciti del patrimonio, e destinato ad ammortizzare gli effetti di eventuali variazioni economiche sfavorevoli, nonché la possibilità di richiedere riserve di compensazione non rientranti nel margine stesso.
Norme speciali (titolo IV: articoli 45 e 46) riguardano l'esercizio delle attività di riassicurazione “finite”, nonché le società veicolo che assumono rischi dalle imprese di assicurazione e riassicurazione e la rilevanza di tali rapporti agli effetti della determinazione delle riserve.
A norma dei titoli VI e VII (articoli da 49 a 52), alle imprese di riassicurazione aventi sede fuori della Comunità non dev’essere concesso un trattamento più favorevole di quello riservato alle imprese di riassicurazione comunitarie. Tuttavia, è contemplata la conclusione di accordi internazionali con i paesi terzi, per determinare le modalità della vigilanza tenendo conto della dimensione internazionale dell’attività e prevedendo una procedura flessibile che consenta di valutare l'equivalenza prudenziale con i paesi terzi su una base comunitaria, in modo da favorire la liberalizzazione dei servizi riassicurativi nei paesi terzi attraverso lo stabilimento o la prestazione transfrontaliera di servizi.
Le direttive 73/239/CEE, 92/49/CEE e 2002/83/CE vengono modificate (titolo IX: articoli da 57 a 60): eliminando il potere di «vigilanza indiretta» sulle imprese di riassicurazione da parte delle autorità competenti per le imprese di assicurazione diretta riassicurate presso di esse; abolendo le disposizioni che, in caso di riassicurazione, autorizzano comunque gli Stati membri ad esigere attivi a garanzia delle riserve tecniche dell'impresa di assicurazione riassicurata; sottoponendo alla disciplina della presente direttiva il margine di solvibilità richiesto alle imprese di assicurazione esercenti la riassicurazione, quando le operazioni di riassicurazione rappresentano una parte significativa del volume totale delle loro attività. Con modificazione alla direttiva 98/78/CE si provvede a che le imprese di riassicurazione appartenenti a un gruppo assicurativo o riassicurativo siano soggette a vigilanza supplementare al pari delle imprese di assicurazione facenti attualmente parte di un gruppo assicurativo.
L’articolo 56 autorizza la Commissione ad adottare misure di esecuzione.
L’articolo 61 determina i diritti acquisiti delle imprese di riassicurazione autorizzate o abilitate prima del 10 dicembre 2005.
L’articolo 63 consente agli Stati membri di differire fino al 10 dicembre 2008 l’applicazione delle disposizioni che vietano di imporre, per la costituzione di riserve tecniche, un sistema di accantonamenti lordi con impegno di attivi a garanzia delle riserve premi e per sinistri ancora da pagare alla chiusura dell'esercizio a carico del riassicuratore che sia un'impresa di riassicurazione o di assicurazione autorizzata.
Il termine per il recepimento è stabilito dall’articolo 64 al 10 dicembre 2007.
Il recepimento potrà comportare la modificazione del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209, recante il codice delle assicurazioni private, i cui titoli V (articoli da 57 a 61) e VI (articoli da 62 a 67) riguardano rispettivamente l’accesso all’attività di riassicurazione e il suo esercizio.
Direttiva 2005/32/CE
(Progettazione ecocompatibile
dei prodotti che consumano energia)
La direttiva 2005/32/CE del 6 luglio 2005, adottata dal Parlamento europeo e dal Consiglio dell’UE, su proposta della Commissione, fissa un quadro per l’elaborazione di specifiche comunitarie per la progettazione ecocompatibile dei prodotti che consumano energia, nell’intento di garantire la libera circolazione di tali prodotti nel mercato interno.
La direttiva, in particolare, è stata adottata per superare – attraverso un’opera di armonizzazione – le disparità esistenti tra le normative e le disposizioni amministrative previste dai singoli Stati membri in tale ambito e tenendo presente che tali disparità possono creare ostacoli al commercio e distorcere la concorrenza nella Comunità.
Come si legge nel secondo considerandum della direttiva, per la maggior parte delle categorie di prodotti che consumano energia presenti sul mercato si riscontrano livelli di impatto ambientale diversi anche in presenza di prestazioni funzionali simili. Pertanto, nell’interesse dello sviluppo sostenibile, si ritiene opportuno incoraggiare il continuo alleggerimento dell’impatto ambientale complessivo, identificando le principali fonti di impatto ambientale negativo. Si sottolinea (considerandum 3), in particolare, come la progettazione ecologica dei prodotti rappresenti un fattore essenziale nell’ambito della strategia comunitaria sulla politica integrata dei prodotti e come il miglioramento dell’efficienza energetica costituisca, altresì, un contributo essenziale al raggiungimento degli obiettivi di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra nella Comunità (considerandum 4).
In considerazione delle citate valutazioni, la direttiva 2005/32/CE definisce i principi, le condizioni e i criteri per fissare i requisiti di ecocompatibilità dei prodotti che consumano energia che saranno successivamente stabiliti dalla Commissione attraverso la predisposizione di apposite “misure di esecuzione”, adottate in forza della presente direttiva, previa consultazione delle parti interessate e della valutazione dell’impatto ambientale.
Spetta agli Stati membri adottare tutte le opportune disposizioni per garantire che i prodotti che consumano energia, oggetto delle citate misure di esecuzione, siano immessi sul mercato soltanto se conformi a tali misure.
A questo proposito si segnala che lo Stato membro che ritenga necessario mantenere disposizioni nazionali in ragione di esigenze rilevanti in termini di protezione dell'ambiente, ovvero introdurre nuove disposizioni basate su nuove prove scientifiche collegate alla protezione dell'ambiente in ragione di un problema specifico dello Stato stesso, sorto dopo l'adozione della misura di esecuzione applicabile, può farlo nel rispetto delle condizioni stabilite all'articolo 95, paragrafi 4, 5 e 6, del trattato, che prevede la notifica preliminare alla Commissione e l'approvazione da parte di quest'ultima.
Spetta, inoltre, agli Stati membri, individuare, ove lo ritengano opportuno, le autorità responsabili della sorveglianza del mercato e definire i relativi poteri, nonché adottare le misure necessarie atte ad incoraggiare la collaborazione amministrativa e lo scambio di informazioni tra le autorità responsabili dell’applicazione della direttiva e tra queste e la Commissione.
Per quanto riguarda il contenuto specifico della direttiva, l'ambito di applicazione è esteso a tutte le apparecchiature e a tutti i prodotti commercializzati nell'ambito UE o importati che consumano energia, da quella elettrica a quella fossile, con la sola esclusione dei mezzi di trasporto, in quanto soggetti ad altre direttive europee.
In particolare, la direttiva prevede che prima di immettere sul mercato e/o mettere in servizio un prodotto che consuma energia, oggetto delle misure di esecuzione, il fabbricante o, in sua assenza, l'importatore, accertano la conformità di tale prodotto a tutte le pertinenti prescrizioni della misura di esecuzione applicabile.
Le procedure di dichiarazione di conformità saranno indicate dalle misure di esecuzione adottate in forza della direttiva.
Per i prodotti progettati da un'organizzazione registrata conformemente al regolamento (CE) n. 761/2001 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 marzo 2001, sull'adesione volontaria delle organizzazioni a un sistema comunitario di ecogestione e di audit (Emas), qualora la funzione di progettazione sia inclusa nell'ambito di tale registrazione, si presume che il sistema di gestione di tale organizzazione ottemperi alle prescrizioni dell'allegato V della direttiva (sistema di gestione di valutazione delle conformità).
Ai sensi dell'articolo 6 della direttiva, entro il 6 luglio 2007 la Commissione è chiamata a predisporre un piano di lavoro destinato a fissare per i tre anni successivi un elenco indicativo di gruppi di prodotti da considerare prioritari per l’adozione delle misure di esecuzione. In via transitoria, alla Commissione è consentita l’introduzione di misure di esecuzione partendo dai seguenti prodotti identificati dal Programma per il cambiamento climatico (ECCP)[159]:
§ Apparecchiature per il riscaldamento e per il riscaldamento dell’acqua
§ Motori elettrici
§ Illuminazione nel settore domestico e terziario
§ Apparecchi domestici
§ Apparecchiature d’ufficio nel settore domestico e terziario
§ Elettronica di consumo
§ Apparecchiature per la ventilazione e il condizionamento.
La direttiva provvede, infine, ad integrare e a modificare precedenti provvedimenti adottati in materia di rendimento ed efficienza energetica con riferimento a specifici apparecchi che consumano energia. Le direttive interessate sono:
§ la direttiva 92/42/CEE del Consiglio, del 21 maggio 1992, concernente i requisiti di rendimento per le nuove caldaie ad acqua calda alimentate con combustibili liquidi o gassosi;
§ la direttiva 96/57/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 3 settembre 1996, sui requisiti di rendimento energetico di frigoriferi, congelatori e loro combinazioni di uso domestico;
§ la direttiva 2000/55/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 18 settembre 2000, sui requisiti di efficienza energetica degli alimentatori per le lampade fluorescenti.
Per il recepimento delle disposizioni della direttiva in esame è fissato il termine ultimo dell’11 agosto 2007.
Direttiva 2005/33/CE
(Tenore di zolfo dei combustibili per uso marittimo)
La direttiva 2005/33/CE del 6 luglio 2005 reca alcune modifiche alla precedente direttiva 1999/32/CE, volte ad introdurre nuovi limiti al tenore di zolfo nei combustibili per uso marittimo.
La direttiva del 1999[160] aveva stabilito il tenore massimo di zolfo consentito per l’olio combustibile pesante e per il gasolio - compreso quello per uso marittimo - utilizzati nella Comunità; essa imponeva inoltre alla Commissione di esaminare le possibili misure per ridurre il contributo all’acidificazione della combustione di combustibili per uso marittimo diversi dai gasoli. Ciò in considerazione del fatto che le emissioni derivanti dall’utilizzo di combustibili per uso marittimo ad alto tenore di zolfo sono responsabili dell’inquinamento atmosferico sotto forma di emissioni di anidride solforosa e articolato e contribuiscono all’acidificazione.
Si segnala, inoltre, ai fini di una maggiore conoscenza della problematica dell’inquinamento prodotto dalla percentuale di zolfo presente nei combustibili per uso marittimo, che il “gasolio marino” contiene sostanze fortemente inquinanti in quanto rappresenta uno degli ultimi residui di scarto della lavorazione petrolifera. A ciò si aggiunge che la flotta in circolazione nei mari comunitari è spesso carente di adeguati sistemi di filtraggio.
La Commissione europea, sulla base delle informazioni contenute in uno studio elaborato dall’Entec nel 2002 che aveva denunciato il contributo crescente delle emissioni delle navi all’inquinamento atmosferico[161], ha elaborato una strategia comunitaria per ridurre le emissioni atmosferiche delle navi marittime con riferimento ai combustibili a basso tenore di zolfo destinata in particolare ad introdurre nuovi limiti al tenore di zolfo dei combustibili per uso marittimo. Tale strategia ha portato anche alla revisione della direttiva 1999/32/CE, le cui previsioni relative ai limiti applicabili al gasolio per uso marittimo erano giudicate non più adeguate, se comparate con i limiti stabiliti per altri combustibili[162].
Pertanto, con la direttiva 2005/33/CE si è provveduto ad indicare separatamente per i combustibili per uso marittimo il tenore massimo di zolfo, mentre la direttiva del 1999 includeva tale combustibile all’interno del gasolio (art. 4).
L’articolo 1 della direttiva 2005/33/CE in particolare introduce nella direttiva 1999/33/CE:
§ l’articolo 4-ter, che pone il limite dello 0,1% in massa per il tenore massimo di zolfo nei combustibili per uso marittimo utilizzati dalle navi adibite alla navigazione interna e dalle navi all’ormeggio nei porti comunitari. Tale limite opera dal 1o gennaio 2010 (anziché, come nel testo originario della direttiva del 1999, dal 1o gennaio 2008) al fine di consentire all’industria marittima di avere un tempo sufficiente per adeguarsi a livello tecnico a tale limite (13o considerandum della direttiva). Gli Stati membri garantiscono, a partire dalla stessa data, che non siano immessi sul mercato gasoli per uso marittimo con un tenore di zolfo superiore a tale percentuale;
§ l’articolo 4-bis, che prevede il maggior limite dell’1,5% in massa per i combustibili marittimi utilizzati dalle navi passeggeri che effettuano servizi di linea da o verso i porti della Comunità europea nelle zone di controllo delle emissioni di SO[163];
§ l’articolo 4-quater che reca disposizioni specifiche volte a consentire agli Stati membri di mettere a punto nuove tecnologie di riduzione delle emissioni da navi sulle navi battenti la loro bandiera o in zone marittime sotto la loro giurisdizione. Tale articolo prevede in particolare che, nel corso di tali esperimenti, non sia obbligatorio l’uso dei combustibili per uso marittimo conformi ai requisiti previsti dalla direttiva stessa, a condizione tuttavia che vengano rispettati alcuni obblighi di informazione verso la Commissione e adottate le misure di tutela ambientale indicate nella medesima norma.
L’articolo 2 della direttiva prevede, infine, che gli Stati membri si adeguino alle relative prescrizioni entro l’11 agosto 2006.
Procedure di contenzioso
Il 13 ottobre 2006 la Commissione ha inviato all’Italia una lettera di messa in mora (proc. N. 2006/0788) per mancata attuazione della direttiva 2005/33/CE che modifica la direttiva 1999/32/CE in relazione al tenore di zolfo dei combustibili per uso marino. Il termine di attuazione è infatti scaduto, come accennato, l’11 agosto 2006.
Direttiva 2005/35/CE
(Inquinamento provocato dalle navi)
La direttiva 2005/35/CE ha come obiettivo l’introduzione nel diritto comunitario delle norme internazionali relative all’inquinamento provocato dalle navi e l’applicazione alle persone responsabili di scarichi illegali di adeguate sanzioni, che possono essere di natura penale o amministrativa. La misura e la modalità di applicazione delle sanzioni sono lasciate agli Stati membri, che tuttavia devono garantire che tali sanzioni siano efficaci, proporzionali e dissuasive.
Come emerge dai consideranda della direttiva, le norme pratiche degli Stati membri per gli scarichi di sostanze inquinanti effettuati dalle navi si basano sulla convenzione Marpol 73/78[164], ma sono quotidianamente ignorate da un numero molto elevato di navi che solcano le acque comunitarie, senza che alcuna azione correttiva sia intrapresa; inoltre la convenzione Marpol viene attuata in maniera diversa nei vari Stati membri e, in particolare, le pratiche degli Stati membri in materia di sanzioni applicabili allo scarico di sostanze inquinanti effettuato dalle navi presentano notevoli divergenze.
La direttiva si applica agli scarichi di sostanze inquinanti di tutte le navi, a prescindere dalla bandiera, che avvengono:
a) nelle acque interne, compresi i porti, di uno Stato membro, nella misura in cui è applicabile il regime Marpol;
b) nelle acque territoriali di uno Stato membro;
c) negli stretti utilizzati per la navigazione internazionale e soggetti al regime di passaggio di transito, nella misura in cui uno Stato membro abbia giurisdizione su tali stretti;
d) nella zona economica esclusiva o in una zona equivalente di uno Stato membro, istituita ai sensi del diritto internazionale;
e) in alto mare.
Sono escluse dall’ambito di applicazione della direttiva le navi militari da guerra o ausiliarie o le altre navi possedute o gestite da uno Stato e impiegate, al momento, solo per servizi statali a fini non commerciali.
Gli Stati membri sono tenuti a provvedere - ai sensi dell’articolo 4 - affinché gli scarichi di sostanze inquinanti, effettuati dalle navi in una delle aree incluse nell’ambito di applicazione della direttiva, siano considerati violazioni se effettuati intenzionalmente, temerariamente o per negligenza grave. Tali violazioni sono considerate reati dalla decisione quadro 2005/667/GAI che completa la direttiva, e in presenza delle circostanze previste da tale decisione.
La decisione quadro[165] 2005/667/GAI del 12 luglio 2005, che integra la direttiva 2005/35/CE in esame, ha come obiettivo il rafforzamento della cornice penale per la repressione dell'inquinamento provocato dalle navi.
La decisione prevede, quindi, che ciascuno Stato membro adotti le misure necessarie affinché un'infrazione ai sensi degli articoli 4 e 5 della direttiva 2005/35/CE sia considerata un reato penale e affinché risultino punibili con sanzioni penali anche il favoreggiamento, la complicità o l'istigazione nella commissione del reato. Le sanzioni adottate dagli Stati membri – che possono essere comminate sia ad una persona fisica che giuridica - devono essere effettive, proporzionate e dissuasive, e comprendere, almeno per i casi gravi, sanzioni penali privative della libertà di durata massima compresa tra almeno uno e tre anni. Le sanzioni penali possono essere corredate di altre sanzioni o misure: in particolare, sanzioni pecuniarie o misure quali, nel caso di persona fisica, il divieto di esercitare un'attività che richiede un'autorizzazione o approvazione ufficiale o il divieto di fondare, gestire o dirigere una società o una fondazione, allorché i fatti che hanno condotto alla condanna inducano a temere che possa essere nuovamente intrapresa un'iniziativa criminale analoga. Le sanzioni comminate dagli Stati possono essere di natura diversa, qualora l’atto commesso non produca danni alla qualità dell’acqua.
Nel caso in cui il reato sia commesso deliberatamente, lo Stato membro provvede affinché sia punibile con una pena detentiva della durata massima compresa tra almeno cinque e dieci anni - qualora il reato abbia causato danni significativi ed estesi alla qualità delle acque, a specie animali o vegetali o a parti di queste e la morte o lesioni gravi a persone - o della durata massima compresa tra almeno due e cinque anni nei seguenti casi:
a) il reato ha causato danni significativi ed estesi alla qualità delle acque, a specie animali o vegetali o a parti di queste;
oppure
b) il reato è stato commesso nell'ambito delle attività di un'organizzazione criminale.
Nel caso di un reato commesso per grave negligenza, lo Stato membro provvede affinché sia punibile con una pena detentiva della durata massima compresa tra almeno due e cinque anni, qualora il reato abbia causato danni significativi ed estesi alla qualità delle acque, a specie animali o vegetali o a parti di queste e la morte o lesioni gravi a persone. La pena detentiva si riduce (da uno a tre anni) nel caso in cui il reato, commesso per grave negligenza, sia punibile con una pena detentiva della durata massima compresa tra almeno uno e tre anni, qualora il reato abbia causato soltanto danni significativi ed estesi alla qualità delle acque, a specie animali o vegetali o a parti di queste.
Nel caso in cui uno Stato membro sia a conoscenza di un reato che provoca o potrebbe provocare un inquinamento imminente, è tenuto ad informarne immediatamente gli altri Stati membri che potrebbero essere esposti ai danni di tale inquinamento, nonché la Commissione.
Il termine per gli Stati membri di conformarsi alla decisione è fissato al 12 gennaio 2007.
Lo scarico di sostanze inquinanti in una delle aree indicate quale ambito di applicazione della direttiva non è considerato una violazione, se soddisfa le condizioni derogatorie previste dalla convenzione Marpol.
In particolare, si ricorda che l'allegato I della convenzione Marpol 73/78, nella parte in cui disciplina gli idrocarburi, prevede in via generale il divieto di scarichi inquinanti, ma ammette una serie di deroghe nel caso in cui le navi soddisfino contemporaneamente una serie di condizioni, sia relative alla zona in cui si trova la nave, sia relative alla quantità di idrocarburi versati in mare, sia se operate con determinate modalità.
Nel caso di scarico di sostanze inquinanti negli stretti utilizzati per la navigazione internazionale e soggetti al regime di passaggio di transito, ovvero nella zona economica esclusiva o in una zona equivalente di uno Stato membro o ancora in alto mare le uniche eccezioni possibili sono quelle di avaria della nave o del suo equipaggiamento.
La direttiva prevede, inoltre, misure di controllo sia per le navi che si trovano nei porti sia per le navi in transito.
Nel primo caso, lo Stato membro può procedere ad un’ispezione, qualora eventuali irregolarità o informazioni facessero nascere sospetti sul fatto che una nave che si trova volontariamente all'interno di un porto o in un terminale off-shore abbia proceduto o stia procedendo allo scarico di sostanze inquinanti. Nel caso l’ispezione evidenzi elementi che potrebbero far pensare a una violazione, devono essere informate le autorità competenti dello Stato membro in questione e dello Stato di bandiera.
Nel secondo caso, se il successivo porto di approdo della nave è situato in un altro Stato membro, gli Stati membri interessati collaborano strettamente tra di loro nell'ispezione e per decidere i provvedimenti da adottare riguardo allo scarico; se invece il successivo porto di approdo della nave è situato in uno Stato terzo, lo Stato membro interessato adotta tutti i provvedimenti necessari per garantire che il successivo porto di approdo della nave venga informato del presunto scarico e invita lo Stato in cui è situato tale porto ad adottare le iniziative adeguate rispetto allo scarico in questione.
Nel caso in cui la nave abbia effettuato uno scarico che provoca o minaccia di provocare un grave danno al litorale o agli interessi collegati di uno Stato membro, questi può sottoporre la questione alle autorità competenti per avviare un procedimento, compreso il procedimento per il fermo della nave, e deve informare le autorità dello Stato di bandiera.
Gli Stati membri devono applicare le disposizioni della direttiva senza discriminazioni formali o discriminazioni di fatto nei confronti delle navi straniere e devono agire nel rispetto del diritto internazionale applicabile, compresa la sezione 7, parte XII, della Convenzione delle Nazioni Unite del 1982 sul diritto del mare; inoltre devono notificare tempestivamente allo Stato di bandiera dell'imbarcazione e a qualsiasi altro Stato interessato i provvedimenti adottati a norma della direttiva.
La Convenzione sul diritto del mare firmata a Montego Bay nel 1982 è divisa in parti che a loro volta sono ripartite in sezioni.
La parte XII della Convenzione è relativa alla protezione e preservazione dell’ambiente marino; la sezione 7 reca la disciplina delle garanzie, prevedendo in particolare che siano attuate da parte degli Stati membri misure atte a facilitare lo svolgimento di procedimenti, con l’obbligo di evitare discriminazioni ai danni di navi straniere e disciplinando la procedura di indagine su queste. Nell’ambito della sezione, l’articolo 230 prevede che possano essere inflitte solo pene pecuniarie in caso di violazioni delle leggi e dei regolamenti nazionali o delle pertinenti regole e norme internazionali intese a prevenire, ridurre e tenere sotto controllo l’inquinamento dell’ambiente marino, commesse da navi straniere al di là del mare territoriale. Nel mare territoriale, per il medesimo reato, possono essere in via generale inflitte solo pene pecuniarie a meno che non si tratti di un atto volontario e grave di inquinamento.
Agli Stati membri è inoltre chiesto di collaborare con la Commissione, se del caso in collaborazione con l'Agenzia europea per la sicurezza marittima[166] e tenendo conto del programma di azione inteso a far fronte all'inquinamento marino dovuto a cause accidentali o intenzionali, istituito dalla decisione n. 2850/2000/CE[167], e, se del caso, dell'applicazione della direttiva 2000/59/CE[168], al fine di predisporre i sistemi di informazione richiesti per attuare la direttiva e istituire prassi e orientamenti comuni.
La direttiva attribuisce, poi, all’Agenzia europea per la sicurezza marittima, il compito di cooperare con gli Stati membri nello sviluppo di soluzioni tecniche e nella prestazione di assistenza tecnica, in azioni quali l'individuazione degli scarichi per mezzo del monitoraggio e della sorveglianza satellitari, nonché il compito di assistere la Commissione nell'attuazione della presente direttiva, anche, se del caso, mediante visite negli Stati membri.
Gli Stati membri inviano ogni tre anni alla Commissione una relazione sull'applicazione della direttiva: sulla base delle relazioni pervenute, la Commissione presenta una relazione al Parlamento europeo e al Consiglio, in cui deve essere valutata l'opportunità di rivedere o estendere l'ambito di applicazione della direttiva.
Il termine di recepimento della direttiva è fissato al 1° aprile 2007.
La legislazione nazionale
Nell’ordinamento nazionale esistono una serie di norme volte alla riduzione dell’inquinamento marittimo da idrocarburi.
Il tema della tutela della sicurezza nel trasporto marittimoè infatti stato oggetto di particolare attenzione a livello normativo, anche in virtù dell’impulso della normativa europea, in particolare al fine di prevenire incidenti con possibili conseguenze dal punto di vista ambientale. Tra le principali disposizioni in materia si ricordano:
§ la legge 7 marzo 2001, n. 51[169], che ha inteso favorire ed accelerare l’eliminazione delle petroliere a singolo scafo non conformi ai più avanzati standard in materia di sicurezza della navigazione (applicabili alle navi a doppio scafo);
§ il d.lgs. 27 maggio 2005, n. 119[170], che stabilisce, tra l’altro, che i richiami agli strumenti internazionali (contenuti nei provvedimenti normativi e amministrativi di recepimento nell'ordinamento interno delle direttive comunitarie concernenti la legislazione marittima comunitaria) si intendono effettuati anche a successivi eventuali emendamenti, modifiche ed integrazioni intervenuti, dal momento in cui questi entrano in vigore;
§ la legge 9 gennaio 2006, n. 13[171], che ha previsto una serie di disposizioni volte ad incrementare la sicurezza marittima e la salvaguardia della vita umana, tra le quali il rinnovo del naviglio vetusto e l’ammodernamento della flotta, attraverso l’uso di navi cisterna ad alto livello di protezione, dotate dei più elevati standard di sicurezza della navigazione, anche a fini di tutela ambientale.
Si ricorda in ultimo che con D.M. 18 aprile 2003 è stato disposto il divieto – per le navi cisterna a scafo singolo di qualsiasi nazionalità, non dotate di tecnologie equivalenti al doppio scafo, di età superiore ai quindici anni e di portata lorda superiore alle 5.000 tonnellate, che trasportano prodotti petroliferi pesanti - di accedere ai porti, ai terminali off-shore ed alle zone di ancoraggio nazionali. La disposizione ha validità fino all'entrata in vigore di norme dell'Unione europea di analogo effetto.
Direttiva 2005/47/CE
(Lavoratori mobili dei servizi di interoperabilità transfrontaliera nel settore ferroviario)
La direttiva 2005/47/CEdel Consiglio, del 18 luglio 2005, dà attuazione all’Accordo siglato in data 27 gennaio 2004 tra la Comunità delle ferrovie europee (CER) e la Federazione europea dei lavoratori dei trasporti (ETF) in merito a taluni aspetti delle condizioni di lavoro dei lavoratori mobili che effettuano servizi di interoperabilità transfrontaliera svolti da imprese ferroviarie.
L’Accordo intende garantire un’adeguata protezione della salute e della sicurezza dei lavoratori mobili che effettuano servizi di interoperabilità transfrontaliera nel settore ferroviario, senza per questo pregiudicare la necessaria flessibilità nella gestione delle imprese di trasporti ferroviari, nella prospettiva di uno spazio ferroviario europeo integrato. In particolare, i consideranda evidenziano che la fissazione in ambito comunitario di regole comuni relative alle tutele minime da assicurare al personale mobile in questione si rende necessaria al fine sia di proteggere la salute dei lavoratori sia di garantire un traffico transfrontaliero sicuro, evitando una concorrenza che faccia leva sulla differenza delle condizioni lavorative.
Pertanto, l’Accordo è improntato sostanzialmente al principio che, di norma, debbano essere assicurati ai lavoratori in questione periodi di riposo e di pausa superiori alle prescrizioni minime della disciplina generale in materia di orario di lavoro (di cui alle direttive 93/104/CE e 2000/34/CE: cfr. infra).
L’Accordo introduce in primo luogo due nuove definizioni in relazione alla specificità ed ai bisogni del settore: la nozione di tempo di guida e quella di lavoratore mobile che effettua servizi di interoperabilità transfrontaliera.
Il riposo giornaliero “in residenza” del personale mobile dovrà avere una durata minima di 12 ore consecutive, anziché di 11 ore; il riposo giornaliero “fuori residenza”, che comunque deve essere seguito da un riposo giornaliero in residenza, dovrà avere una durata minima di 8 ore consecutive.
Per i macchinisti la pausa dovrà essere di almeno 45 minuti se la durata dell’orario di lavoro supera le 8 ore giornaliere, altrimenti sarà di 30 minuti; in ogni caso, “la collocazione temporale e la durata della pausa dovranno consentire l’effettivo recupero da parte del lavoratore”. Per il personale di accompagnamento deve essere garantita una pausa di 30 minuti.
Al lavoratore mobile è assicurato inoltre un periodo minimo di riposo settimanale ininterrotto di 24 ore.
La durata del “tempo di guida”, cioè del periodo durante il quale il macchinista è responsabile della guida di un veicolo ferroviario, non può superare le 9 ore per una prestazione diurna e le 8 ore per una prestazione notturna; è stabilito, inoltre, un tempo massimo di guida di 80 ore ogni 2 settimane.
Infine, per consentire di verificare il rispetto di tali prescrizioni, deve essere predisposta una scheda di servizio che riporti le ore di lavoro e i periodi di riposo dei lavoratori mobili. Tale scheda deve essere conservata dall’impresa per almeno un anno.
Si consideri che, come viene specificato dal Considerandum (9) della direttiva in esame, anche ai lavoratori mobili che effettuano servizi di interoperabilità transfrontaliera svolti da imprese ferroviarie si applica la disciplina generale sull’orario di lavoro contenuta nella direttiva 2003/88/CE (che provvede a codificare la direttiva 93/104/CE, recepita nell’ordinamento nazionale con il D.Lgs. 66/2003: cfr. infra); vengono comunque fatte salve le disposizioni più specifiche contenute nella direttiva in esame e nell’accordo allegato[172].
Peraltro le disposizioni della direttiva in esame prevedono esclusivamente requisiti minimi di protezione dei lavoratori, lasciando agli Stati membri la facoltà di adottare misure più favorevoli. Inoltre, l’attuazione della direttiva non può assolutamente giustificare una riduzione del livello di protezione già assicurato ai lavoratori dello specifico settore (art. 2).
L’art. 3 prevede una relazione della Commissione al Consiglio ed al Parlamento europeo sull’attuazione della direttiva, in considerazione dell’evoluzione del settore ferroviario europeo, da presentarsi entro i tre anni successivi al termine per il recepimento delle disposizioni nell’ordinamento degli Stati membri.
La direttiva in esame impone ai medesimi Stati la previsione di sanzioni efficaci, proporzionali e dissuasive in caso di violazione delle norme adottate (art. 4).
I successivi articoli (artt. 5-7) recano le consuete disposizioni relative al recepimento della direttiva nel diritto nazionale degli Stati membri.
Il termine di recepimento della direttiva 2005/47/CE è stabilito al 27 luglio 2008.
Nell’ordinamento nazionale si è giunti ad un complessivo riordino della disciplina generale dell’orario di lavoro, da più parti auspicato e reso opportuno dalla necessità di recepire la disciplina comunitaria adottata in materia, con il d.lgs. 8 aprile 2003, n. 66[173], recante Attuazione della direttiva 93/104/CE e della direttiva 2000/34/CE, concernenti taluni aspetti dell’orario di lavoro.
Si rileva che in origine erano esclusi dal campo di applicazione della direttiva 93/104/CE, oltre ai medici in formazione, i lavoratori dei seguenti settori: trasporti stradali, aerei, ferroviari e marittimi, navigazione interna, pesca marittima, altre attività in mare. Successivamente, la direttiva 2000/34/CE, del 22 giugno 2000, modificando la precedente direttiva 93/104/CE, ha ricompreso nell’ambito di applicazione della disciplina comunitaria sull’orario di lavoro i settori e le attività precedentemente esclusi (quindi anche i lavoratori mobili che effettuano servizi di interoperabilità transfrontaliera nel settore ferroviario)[174].
Con il d.lgs. 27 maggio 2005, n. 108[175] ed il d.lgs. 19 agosto 2005, n. 185[176] si è poi provveduto al recepimento, rispettivamente, della direttiva n. 1999/63/CE, in materia di orario di lavoro della gente di mare, e della direttiva n. 2000/79/CE, in materia di orario di lavoro del personale di volo.
Direttiva 2005/56/CE
(Fusioni transfrontaliere delle società di capitali)
La direttiva 2005/56/CE, recante disciplina delle fusioni transfrontaliere tra le società di capitali, nel corso dell’esame parlamentare alla Camera dei deputati è stata trasferita dall’Allegato A all’Allegato B .
Il preambolo della direttiva (Punto 1 dei Consideranda), richiamata la necessità di cooperazione e di raggruppamento tra società di capitali di Stati membri diversi, rileva che, al fine di garantire il completamento e il funzionamento del mercato unico, risulta necessario adottare disposizioni comunitarie volte a facilitare la realizzazione di fusioni transfrontaliere tra diversi tipi di società di capitali soggette alle legislazioni di Stati membri diversi.
L’articolo 1, nel definire l’ambito di applicazione della direttiva, chiarisce che per fusioni transfrontaliere s’intendono le “fusioni tra società di capitali costituite in conformità della legislazione di uno Stato membro e aventi la sede sociale, l’amministrazione centrale o il centro di attività principale nella Comunità, a condizione che almeno due di esse siano soggette alla legislazione di Stati membri diversi”.
L’articolo 2 definisce la fusione come l’operazione mediante la quale due o più società, a causa e all’atto dello scioglimento senza liquidazione, trasferiscono la totalità del loro patrimonio attivo e passivo ad altra società preesistente (“società incorporante”), ovvero ad una società da loro costituita (“nuova società”) mediante l’assegnazione ai loro soci di titoli o quote della società incorporante (ovvero della nuova società) ed eventualmente di un conguaglio in contanti non superiore al 10 per cento del valore nominale di tali titoli o di tali quote.
Con riferimento a tale aspetto, l’articolo 3, paragrafo 1, precisa che rientrano nell’ambito di applicazione della direttiva anche le operazioni di fusione transfrontaliera nelle quali l’eventuale conguaglio in contanti superi il 10 per cento del valore nominale, qualora ciò sia consentito dalla legislazione di almeno uno degli Stati membri interessati.
Nell’ordinamento italiano l’articolo 2501-ter, secondo comma, del codice civile precisa che, per le fusioni tra società di capitali, il conguaglio in denaro non può essere superiore al 10 per cento del valore nominale delle azioni o delle quote assegnate.
In base al medesimo articolo 2 viene definita fusione, e quindi individuata come oggetto della direttiva, anche l’operazione mediante la quale una società trasferisce, a causa e all’atto dello scioglimento senza liquidazione, la totalità del proprio patrimonio attivo e passivo alla società che detiene la totalità delle quote o dei titoli rappresentativi del suo capitale sociale.
L’articolo 3 prevede, al paragrafo 3, che la direttiva non si applichi alle fusioni transfrontaliere a cui partecipa una società avente per oggetto l’investimento collettivo di capitali raccolti presso il pubblico, che opera secondo il principio della ripartizione del rischio e le cui quote, a richiesta dei possessori, sono riscattate o rimborsate, direttamente o indirettamente, attingendo alle attività di detta società.
Il paragrafo 2 del medesimo articolo consente inoltre agli Stati membri di non applicare la direttiva alle fusioni transfrontaliere a cui partecipa una società cooperativa, anche nei casi in cui quest’ultima rientrerebbe nella definizione di società di capitali enunciata nell’articolo 2, paragrafo 1.
L’articolo 4 rimette alle legislazioni nazionali degli Stati membri l’individuazione delle fattispecie di fusione ammissibili e quindi assoggettate alla direttiva. Si prevede infatti che le fusioni transfrontaliere siano possibili solo tra tipi di società a cui la legislazione nazionale degli Stati membri interessati consente di fondersi. Inoltre, se la legislazione di uno Stato membro consente alle autorità nazionali di opporsi, per motivi d’interesse pubblico, ad una fusione a livello nazionale, tale legislazione si applica anche a una fusione transfrontaliera, nella quale ad almeno una delle società coinvolte sia applicabile tale legislazione. Ciò vale in particolare per quel che concerne il processo decisionale relativo alla fusione e la protezione dei creditori delle società che partecipano alla fusione, degli obbligazionisti e dei possessori di titoli e quote, nonché dei lavoratori per gli aspetti che non sono già disciplinati dalla direttiva.
Vengono comunque fatte salve le previsioni dell’articolo 21 del regolamento (CE) n. 139 del 20 gennaio 2004 in materia di controllo delle concentrazioni tra imprese, che definisce l’ambito di applicazione della disciplina comunitaria in materia.
La direttiva prende quindi in esame i seguenti aspetti:
a) forme di pubblicità della fusione e informazione dei soci (articoli da 5 a 8)
b) procedura della fusione e controllo di legittimità (articoli da 9 a 13)
c) effetti della fusione (articoli 14 e 15)
d) tutela delle forme di partecipazione dei lavoratori (articolo 16).
Forme di pubblicità
L’articolo 5 prevede che l’organo di direzione o di amministrazione di ogni società che partecipa ad una fusione prepara il progetto comune di fusione transfrontaliera. In tale progetto devono, tra le altre cose, essere indicati:
a) la forma, la denominazione e la sede statutaria delle società che partecipano alla fusione e quelle previste per la società derivante dalla fusione;
b) il rapporto di cambio dei titoli o delle quote rappresentativi del capitale sociale;
c) l’atto costitutivo e lo statuto della società derivante dalla fusione.
L’articolo 6 prevede che il progetto comune di fusione transfrontaliera sia pubblicato, per ciascuna delle società che partecipano alla fusione, secondo le modalità previste dalla legislazione nazionale di ciascuno Stato membro, al più tardi un mese prima dell’assemblea generale che deve decidere al riguardo.
L’articolo 7 prevede che l’organo di direzione o di amministrazione di ciascuna delle società partecipanti alla fusione rediga una relazione destinata ai soci, nella quale illustra e giustifica gli aspetti giuridici ed economici della fusione transfrontaliera e spiega le conseguenze della fusione per soci, creditori e lavoratori. A tale relazione viene allegato, qualora pervenga in tempo utile, il parere espresso dai rappresentanti dei lavoratori della società, secondo quanto previsto dalla legge nazionale.
L’articolo 8 richiede una relazione di esperti indipendenti, la quale deve in particolare indicare, sulla base di parametri che devono essere resi noti, se il rapporto di cambio tra i titoli o le quote del capitale delle società risulti congruo, come previsto per le fusioni tra società per azioni dall’articolo 10, paragrafo 2, della direttiva 78/855/CEE del Consiglio.
Procedura della fusione e controllo di legittimità
L’articolo 9 affida la decisione sull’approvazione del progetto comune di fusione transfrontaliera all’assemblea generale di ciascuna delle società che partecipano alla fusione. L’assemblea può subordinare la realizzazione della fusione alla propria espressa approvazione delle modalità per la partecipazione dei lavoratori nella società derivante dalla fusione.
L’articolo 10 prevede che ogni Stato membro designi l’autorità competente per controllare la legittimità della fusione, con specifico riferimento all’adempimento delle procedure previste da ciascuna della società coinvolta. Tali autorità devono rilasciare a ciascuna delle società che partecipano alla fusione un certificato attestante a titolo definitivo l’adempimento regolare degli atti e delle formalità preliminari alla fusione. Il successivo articolo 11 prevede invece che ogni Stato membro designi l’autorità competente per quel che concerne la realizzazione della fusione. Tale autorità deve in particolare controllare che le società che partecipano alla fusione abbiano approvato il progetto comune di fusione negli stessi termini.
L’articolo 12 precisa che la legislazione dello Stato membro cui è soggetta la società derivante dalla fusione transfrontaliera determina la data a partire dalla quale la fusione ha efficacia.
L’articolo 13 rimette alla legislazione di ciascuno degli Stati membri cui sono soggette le società partecipanti alla fusione la determinazione delle modalità di pubblicità della realizzazione della fusione transfrontaliera, mediante il registro centrale o il registro di commercio o il registro delle imprese previsto dall’articolo 3 della già richiamata direttiva 1968/151/CEE, come modificata dalla direttiva 2003/58/CE (che contempla anche la registrazione per via elettronica dal 1° gennaio 2007).
Effetti della fusione
L’articolo 14 regola gli effetti della fusione transfrontaliera, con riferimento specifico alle diverse fattispecie di fusione. In particolare, si prevede il trasferimento dell’intero patrimonio attivo e passivo delle società incorporate (ovvero di quelle che partecipano alla fusione) alla società incorporante (ovvero alla nuova società); i soci delle società incorporate o partecipanti diventano soci della società incorporante ovvero della nuova società; le società incorporate (o partecipanti) si estinguono.
Partecipazione dei lavoratori
L’articolo 16 prevede che, in materia di partecipazione dei lavoratori, la società derivante della fusione sia, in linea generale, soggetta alle disposizioni vigenti nello Stato membro in cui è situata la sua sede sociale.
Sono tuttavia previsti dei casi in cui gli Stati membri dovranno disciplinare la partecipazione dei lavoratori sulla base dei princìpi individuati dalla direttiva 2001/86/CE del Consiglio dell’8 ottobre 2001, che completa lo statuto della società europea di cui al regolamento (CE) n. 2157 del 2001 per quanto riguarda il coinvolgimento dei lavoratori.
La società europea (Societas Europaea o SE)è una società azionaria dotata di personalità giuridica caratterizzata dalla limitazione della responsabilità del socio al capitale sottoscritto. È altresì una società transnazionale in quanto prende origine dall’intento di raggruppare due o più imprese costituite secondo la legge di almeno due Stati membri differenti ovvero deriva dalla trasformazione di una preesistente società azionaria già dotata di struttura transnazionale. Nel disegno del regolamento (CE) n. 2157/2001 la società attinge la sua disciplina, oltre che dalla normativa di fonte comunitaria, anche dalla normativa nazionale dello Stato in cui la società europea colloca la sua sede, cui il regolamento stesso fa per alcuni aspetti rinvio. La società europea deve avere un capitale minimo di 120.000 euro e la sua sede deve essere posta, all’interno dell’Unione europea nello stesso Stato in cui si trova l’amministrazione centrale.
In particolare, tali norme dovranno essere applicate quando una delle società coinvolte nella fusione, con un numero di dipendenti medio, nei sei mesi precedenti la pubblicazione del progetto di fusione transfrontaliera, superiore a cinquecento, sia gestita in regime di partecipazione dei lavoratori come definito dall’articolo 2, lettera k), della direttiva 2001/86/CE (vale a dire sia prevista l’elezione o la designazione di alcuni dei membri dell’organo di vigilanza o di amministrazione della società da parte dei lavoratori o dei loro rappresentanti, ovvero, ai lavoratori o ai loro rappresentanti sia riconosciuto il potere di raccomandare o di opporsi alla designazione di alcuni o di tutti i membri dell’organo di vigilanza o di amministrazione della società).
Le disposizioni della direttiva 2001/86/CE sopra richiamate dovranno essere osservate anche quando la legislazione nazionale applicabile alla società derivante dalla fusione non preveda un livello di partecipazione almeno identico a quello attuato nelle società che partecipano alla fusione (misurato, ad esempio, con riferimento alla quota di rappresentanti dei lavoratori tra i membri dell’organo di amministrazione o dell’organo di vigilanza) ovvero non contempli, per i lavoratori di stabilimenti della società derivante dalla fusione, un diritto ad esercitare diritti di partecipazione identico a quello di cui godono i lavoratori impiegati nello Stato membro in cui è situata la sede sociale della società derivante dalla fusione.
Si prevede in particolare l’applicazione delle disposizioni della direttiva 2001/86/CE che:
a) prescrivono, all’atto della costituzione della società europea, la negoziazione con i rappresentanti dei lavoratori sulle modalità di coinvolgimento dei lavoratori nella società europea e le modalità con cui deve avvenire tale negoziazione (articolo 3, paragrafi 1, 2 e 3, paragrafo 4, primo comma, primo trattino, e secondo comma, e paragrafi 5 e 7; articolo 4, paragrafo 1, paragrafo 2, lettere a), g) e h), e paragrafo 3; articoli 5 e 6);
b) stabiliscono che gli Stati membri individuino le disposizioni di riferimento al fine di realizzare gli obiettivi di coinvolgimento dei lavoratori indicati nell’allegato alla direttiva (articolo 7);
c) tutelano la riservatezza delle informazioni acquisite nel corso della negoziazione tra società e rappresentanze dei lavoratori (articolo 8);
d) garantiscono ai rappresentanti dei lavoratori le stesse protezioni previste per i rappresentanti dei lavoratori dalla legge o dalle prassi vigenti nello Stato in cui sono impiegati (articolo 10);
e) impongono agli Stati membri di garantire l’osservanza della direttiva (articolo 12);
f) individuano, tra le disposizioni di riferimento, l’elezione ovvero la designazione o la raccomandazione di un numero di membri dell’organo di amministrazione o di vigilanza della società europea pari alla più alta quota applicabile nelle società partecipanti prima dell’iscrizione della società europea (allegato, parte terza, lettera b).
Lo stesso, al paragrafo 6, prevede altresì che la società derivante dalla fusione assuma una forma giuridica che preveda un regime di partecipazione dei lavoratori, se almeno una delle società che partecipano alla fusione sia gestita in tale regime ai sensi del paragrafo 2 del medesimo articolo 16.
Il recepimento della direttiva comporterà pertanto l’introduzione nell’ordinamento italiano, con riferimento alle specifiche fattispecie previste dall’articolo 16 della direttiva, di forme di partecipazione dei lavoratori alla gestione delle società, attualmente previste soltanto per la società europea. Merita peraltro ricordare, a questo proposito, che proprio la presenza di norme, attualmente non previste nell’ordinamento italiano, sulla partecipazione dei lavoratori alla gestione delle società, avevano indotto l’Italia, nel Consiglio competitività del 25 novembre 2004, ad esprimere un voto contrario su un primo progetto di direttiva. Del voto contrario dà conto la relazione sulla partecipazione dell’Italia all’Unione europea per l’anno 2004[177].
Il termine per il recepimento della direttiva, a norma dell’articolo 19, è fissato al 15 dicembre 2007.
Le disposizioni della direttiva, una volta recepite nell’ordinamento italiano, costituiranno una disciplina speciale per le fusioni transfrontaliere tra società di capitali, rispetto a quanto previsto, con riferimento alle fusioni tra società, dal capo X del titolo V del libro V del codice civile (articoli 2501 e seguenti), introdotto dal decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 6.
Direttiva 2005/61 e 2005/62/CE
(Sicurezza del sangue umano e dei componenti del sangue)
Le due direttive in esame costituiscono un’integrazione ed un completamento della disciplina comunitaria di base in materia di sicurezza del sangue umano e dei componenti del sangue, di cui alla direttiva 2002/98/CE[178], recepita nel nostro ordinamento con il decreto legislativo n. 191 del 2005, volta a garantire un livello elevato e comparabile di qualità e di sicurezza delle procedure di trasfusione in tutti gli Stati membri, nel presupposto che l’autosufficienza ed un’adeguata sicurezza possono essere conseguiti solo a livello comunitario. A questo fine sono dettate regole su raccolta, controllo, lavorazione, conservazione e distribuzione del sangue umano e dei suoi componenti e sono definiti i requisiti essenziali dei test di controllo, obbligatori, sul sangue importato da Stati terzi.
La direttiva 2002/98/CE reca definizioni sia tecniche che generali (“sangue”, “componente del sangue”, “trasfusione autologa”, “centro ematologico”, “banca del sangue di un ospedale “, “incidente grave”, reazione indesiderata grave”, “emovigilanza”, “ispezione” ecc.) (art. 3).
Gli Stati membri designano l’autorità o le autorità responsabili per l’applicazione della disciplina introdotta dalla direttiva e restano comunque liberi di adottare misure di protezione più severe (art. 4).
La raccolta e il controllo possono essere effettuati unicamente da centri ematologici che abbiano ottenuto una designazione, un’autorizzazione, un accreditamento o una licenza da parte delle autorità competenti nei rispettivi Paesi. A tal fine, i centri ematologici forniscono alle autorità competenti una serie di informazioni dettagliatamente elencate nell’allegato I della direttiva. Le autorità competenti possono sospendere o revocare le autorizzazioni qualora le ispezioni o le misure di controllo (appositamente disposte dalle autorità competenti con frequenza non superiore a due anni) dimostrino che il centro non soddisfa i requisiti posti dalla direttiva (artt. 5-8)
I centri, inoltre, sono tenuti a designare un responsabile per il quale la direttiva stabilisce condizioni minime di qualificazione (laurea e almeno due anni di esperienza nel settore con il compito di espletare specifiche funzioni compiti in possesso di laurea ed esperienza nel settore). Il personale che interviene in tutte le fasi dell’attività trasfusionale deve possedere una qualificazione adeguata e deve essere periodicamente aggiornato (artt. 9 e 10).
Il percorso seguito dal sangue e suoi componenti deve essere rintracciabile (dal donatore al ricevente e viceversa); pertanto ciascuna singola donazione deve essere identificata. Incidente gravi o gravi reazioni indesiderate vanno notificati alle autorità nazionali e comunitarie. Sono inoltre dettate regole per la segretezza dei dati personali (artt. 14-24).
E’ previsto un costante scambio di informazioni tra gli Stati membri e un monitoraggio dell’attività svolta. Spetta agli Stati membri la determinazione delle sanzioni (artt. 25-27).
In particolare, la direttiva 2002/98/CE attribuisce alla Commissione, assistita da Comitati scientifici (artt. 28-30), la definizione e l’aggiornamento della disciplina di dettaglio su aspetti di rilievo quali:
a) requisiti in materia di rintracciabilità del percorso;
b) informazioni da fornire ai donatori;
c) informazioni da richiedere ai donatori;
d) requisiti relativi all’idoneità dei donatori di sangue e di plasma;
e) requisiti per la conservazione, il trasporto e la distribuzione;
f) requisiti di qualità e sicurezza del sangue e dei suoi componenti;
g) norme specifiche comunitarie relative ad un sistema di qualità per i centri ematologici;
h) procedura comunitaria di notifica di gravi incidenti o reazioni indesiderate gravi.
In base al decreto legislativo n. 191 del 2005, la disciplina di dettaglio è definita con decreti del Ministro della salute, d’intesa con la Conferenza Stato-regioni (art. 26).
In attuazione di tale disposizione con il D.M. 3 marzo 2005[179] è stata recepita la direttiva 2004/33/CE che, oltre a determinare con precisione le diverse definizioni in materia, stabilisce in dettaglio i requisiti tecnici di cui alle lettere b), c), d), e), f).
Con le due direttive in esame si provvede a disciplinare altri aspetti della disciplina di dettaglio sopra indicati[180].
In particolare, la direttiva 2005/61/CE[181]riguardaspecificamente i profili di cui alle lettere a), h) ed i). A tale riguardo, si prevede:
- l’obbligo degli Stati membri di garantire la tracciabilità del sangue e degli emocomponenti attraverso un sistema di identificazione del donatore, del sangue prelevato, di ogni componente preparato, e delle strutture impegnate nelle diverse operazioni; i dati puntualmente indicati nell’allegato I devono essere conservati per almeno 30 anni (artt. 2, 3 e 4);
- un efficiente sistema di comunicazione degli effetti indesiderati gravi e degli incidenti gravi, fondato sulla notifica rapida dei presunti effetti indesiderati gravi, cui deve far seguito una relazione alla fine degli accertamenti ed un rapporto annuale generale. Gli allegati II e III alla direttiva indicano in modo dettagliato i dati oggetto delle procedure di notifica (artt. da 5 a 9).
Per quanto concerne, invece, la direttiva 2005/62/CE[182],essariguardaspecificamente i profili di cui alla lettera g) (sistema di qualità per i centri ematologici). A tale riguardo, l’allegato alla direttiva detta disposizioni dettagliate in ordine al personale, ai locali, alle attrezzature, alle modalità di raccolta, analisi, lavorazione, conservazione e distribuzione del sangue.
Il termine di recepimento di entrambe le direttive2005/61 e 2005/62 è stabilito al 31 agosto 2006[183].
Procedure di contenzioso
Il 13 ottobre 2006 la Commissione ha inviato all’Italia una lettera di messa in mora per mancata attuazione delle direttive 2005/61/CE (procedura n. 2006/0789) e 2005/62/CE (procedura n. 2006/0790).
Direttiva 2005/64/CE
(Omologazione dei veicoli a motore)
La direttiva 2005/64/CE è finalizzata a ridurre al minimo l’impatto sull’ambiente dei veicoli fuori uso e reca le disposizioni amministrative e tecniche per l’omologazione di alcune tipologie di veicoli - categorie M1 ed N1[184] - affinché i loro componenti e materiali possano essere riutilizzati, riciclati e recuperati (artt. 1 e 2). L’allegato I precisa le percentuali minime dell’85% della loro massa nei casi di riutilizzo e/o riciclo, e del 95% della loro massa, nei casi, invece, di riutilizzo e/o recupero.
Sono escluse dall’ambito di applicazione della direttiva alcune tipologie di veicoli a causa delle intrinseche difficoltà nel calcolo delle quote di riciclabilità e ricuperabilità dei loro componenti (art. 3).
Gli standard tecnici da rispettare in base alla nuova direttiva sono quelli di recupero e riciclo dettati dalla direttiva 2000/53/CE sulla gestione dei veicoli a fine vita (art. 4).
Si ricorda che la direttiva 2000/53/CE, relativa ai veicoli fuori uso, è stata trasposta nell’ordinamento nazionale con il decreto legislativo 24 giugno 2003, n. 209, che ha provveduto ad introdurre una nuova disciplina in materia di gestione di rifiuti costituiti da veicoli fuori uso, dai loro componenti e materiali e dai pezzi di ricambio.
In proposito, si segnala che tale decreto ha costituito oggetto di una procedura di infrazione da parte della Commissione europea (n. 2003/2204) per il recepimento non corretto delle disposizioni contenute nella direttiva 2000/53/CE. Con l’art. 1, comma 5, della legge 17 agosto 2005, n. 168, di conversione, con modificazioni, del decreto legge 30 giugno 2005, n. 115, al fine di recepire i rilievi formulati nel parere motivato complementare inviato dalla Commissione europea allo Stato italiano nell’ambito della procedura d’infrazione, il Governo è stato delegato ad adottare disposizioni integrative e correttive del decreto n. 209.
Tali disposizioni sono state quindi adottate con il decreto legislativo 23 febbraio 2006, n. 149. Il disposto normativo del decreto n. 209/2003, così come modificato dal decreto n. 149/2006, ha individuato, pertanto, disciplinandole organicamente, le fasi della raccolta, del trattamento, del reimpiego e recupero dei veicoli fuori uso e dei suoi componenti e materiali.
La direttiva in esame incide sul principale provvedimento in materia di omologazione dei veicoli, ossia sulla direttiva 70/156/CEE. In base all’articolo 5, in particolare, i costruttori sono tenuti a fornire nuovi dati in merito all’omologazione riguardanti la natura dei materiali usati nella costruzione del veicolo e dei suoi componenti. L’allegato VI (al quale rinvia l’articolo 8) reca inoltre espresse modifiche agli allegati della direttiva del 1970.
Si ricorda che la direttiva 70/156/CEE stabilisce la procedura di omologazione di tutti i veicoli a motore muniti di un motore a combustione interna e dei loro rimorchi fabbricati in una o in più fasi, nonché all'omologazione dei sistemi, componenti ed entità tecniche destinati ai suddetti veicoli e ai loro rimorchi.
La direttiva in esame prevede, inoltre, che nessuna omologazione possa essere rilasciata in mancanza di un previo accertamento della corretta gestione degli aspetti di riutilizzabilità, riciclabilità e recuperabilità da parte del costruttore, al quale verrà rilasciato un certificato di conformità (allegato IV), valido per almeno due anni a decorrere dalla data del rilascio, prima che vengano effettuati nuovi controlli (art. 6).
Per quanto riguarda le scadenze temporali per l’entrata in vigore dell'omologazione, l’articolo 10 prevede che:
§ a partire dal 15 dicembre 2006, gli Stati membri non possano rifiutare il rilascio dell'omologazione CE o nazionale nei confronti dei veicoli che soddisfano i parametri di riciclabilità dei propri componenti stabiliti dalla direttiva, e proibire l'immatricolazione, la vendita o l'entrata in funzione di nuovi veicoli;
§ con effetto dal 15 dicembre 2008, gli Stati membri rifiutino l’omologazione CE o nazionale dei veicoli che non soddisfano i requisiti della direttiva;
§ a partire dal 15 luglio 2010, gli Stati membri rifiutino l'immatricolazione, la vendita o l’entrata in funzione di nuovi veicoli che non rispettano i parametri di riciclabilità dei propri componenti stabiliti dalla direttiva e considerino non più validi i certificati di idoneità che accompagnano i nuovi veicoli.
In base all’articolo 11, infine, gli Stati membri hanno l’obbligo di conformarsi alle disposizioni recate dalla direttiva entro il 15 dicembre 2006.
Procedure di contenzioso
Il 31 gennaio 2007 la Commissione ha inviato all’Italia una lettera di messa in mora (proc. N. 2007/0083) per mancata attuazione della direttiva 2005/64/CEsull’omologazione dei veicoli a motore per quanto riguarda la loro riutilizzabilità, riciclabilità e recuperabilità e che modifica la direttiva 70/156/CEE. Il termine di attuazione è scaduto il 15 dicembre 2006.
Direttiva 2005/65/CE
(Miglioramento della sicurezza dei porti)
La direttiva in esame reca disposizioni tese al raggiungimento di un livello omogeneo di sicurezza in tutti i porti europei e all’integrazione delle misure previste dal regolamento (CE) n. 725/2004, relative al miglioramento della sicurezza delle navi e degli impianti portuali[185].
Nel terzo considerandum della direttiva si precisa che le misure di sicurezza marittima imposte dal regolamento 725/2004 “rappresentano solo una parte delle misure necessarie per garantire un livello di sicurezza adeguato in tutta la catena di trasporto di ambito marittimo e il regolamento citato si limita a misure di sicurezza a bordo delle navi e nell'immediata interfaccia nave/porto”. Il quarto considerandum chiarisce che “per raggiungere il massimo grado possibile di protezione per le industrie marittime e portuali occorrerebbe introdurre misure di sicurezza nei porti che coprano ciascun porto situato entro i confini stabiliti dallo Stato membro interessato e che garantiscano che le misure di sicurezza adottate in applicazione del regolamento (CE) n. 725/2004 beneficino del miglioramento della sicurezza nelle zone di attività portuale. Queste misure dovrebbero applicarsi a tutti i porti in cui sono situati uno o più impianti portuali coperti dal regolamento (CE) n. 725/2004”.
Le misure previste dalla direttiva in esame e quelle disposte dal citato regolamento comunitario sono così finalizzate a creare un sistema di protezione dell’intera catena del trasporto marittimo (dalla nave al porto attraverso l’interfaccia nave/porto[186] e l’intera area portuale) contro i rischi di un attacco terroristico nel territorio della Comunità.
La direttiva reca, quindi, misure volte a migliorare la sicurezza dei porti di fronte al pericolo costituito da incidenti di sicurezza. Si tratta delle seguenti misure:
a) norme comuni fondamentali sulle misure di sicurezza nei porti;
b) un meccanismo attuativo per tali norme;
c) meccanismi appropriati di controllo di adempienza.
Le misure disposte dalla direttiva si applicano a tutte le aree portuali situate nel territorio di uno Stato membro che contengono uno o più impianti portuali contemplati da un piano di sicurezza dell'impianto portuale.
Gli Stati membri provvedono a:
· designare un'autorità di sicurezza del porto per ciascuna area portuale; tale autorità ha la responsabilità di predisporre e applicare piani di sicurezza del porto in base alle conclusioni delle valutazioni di sicurezza del porto (vedi infra); gli Stati possono designare, quale autorità di sicurezza del porto, l’autorità competente per la sicurezza marittima prevista dal regolamento (CE) n. 725/2004[187];
· far effettuare valutazioni di sicurezza dei porti, che devono essere riviste, ove opportuno, e, in ogni caso, almeno una volta ogni cinque anni;
· elaborare, mantenere e aggiornare, in base alla conclusioni della valutazione di sicurezza, un piano di sicurezza del porto, in cui siano individuate le procedure da seguire, le misure da attuare e le azioni da intraprendere; anche per il piano di sicurezza è previsto un riesame almeno ogni cinque anni;
· monitorare l'attuazione dei piani di sicurezza dei porti;
· istituire un sistema di livelli di sicurezza per ogni porto o parte del porto sulla base di quelli definiti dal regolamento n. 725/2004, che prevede:
- un «Livello di sicurezza 1», per cui vanno costantemente mantenute misure di sicurezza minime adeguate,
- un «Livello di sicurezza 2», per cui vanno mantenute adeguate misure di sicurezza supplementari per un determinato periodo, in conseguenza di un incremento del rischio che si verifichi un problema di sicurezza,
- un «Livello di sicurezza 3», per cui vanno mantenute adeguate misure di sicurezza specifiche, per il periodo limitato in cui un problema di sicurezza è probabile ed imminente, anche quando non sia possibile individuare l'obiettivo specifico;
· individuare un agente di sicurezza del porto, per quanto possibile distinto da quello degli altri porti, che funge da punto di contatto[188] per le questioni attinenti alla sicurezza portuale, e, in quanto tale, comunica alla Commissione l’elenco dei porti interessati dalla direttiva e le eventuali modifiche dell’elenco. Gli Stati membri possono designare per gli aspetti di sicurezza portuale il punto di contatto nominato a norma del regolamento (CE) n. 725/2004.
Gli Stati membri istituiscono, poi, un sistema che garantisca una supervisione adeguata e periodica dei piani di sicurezza dei porti e della loro applicazione.
È compito degli Stati membri predisporre sanzioni effettive, proporzionate e dissuasive per le ipotesi di violazione delle disposizioni nazionali di attuazione della direttiva.
Il termine di recepimento della direttiva è fissato al 15 giugno 2007.
Direttiva 2005/71/CE
(Ammissione di cittadini di Paesi terzi a fini di ricerca scientifica)
Finalità e contenuto della direttiva
Le disposizioni recate dalla direttiva 2005/71/CE del Consiglio del 12 ottobre 2005 sono volte a favorire l’ammissione e la mobilità dei ricercatori di paesi terzi nel territorio dell’Unione.
La direttiva si colloca nel quadro delle decisioni assunte nel marzo 2000 dal Consiglio europeo di Lisbona, che, con l’obiettivo di rilanciare la competitività dell’economia europea, ha approvato, tra l’altro, la realizzazione di uno Spazio europeo della ricerca.
Per quanto riguarda le finalità della direttiva, nei consideranda si rileva che la globalizzazione dell’economia richiede una maggiore mobilità dei ricercatori, come ha riconosciuto anche il sesto programma quadro della Comunità europea[189], ed una crescente apertura dei programmi di ricerca nazionali ed europei a ricercatori e gruppi di ricerca di Paesi terzi.
La direttiva intende contribuire alla realizzazione di tali obiettivi favorendo l’ammissione e la mobilità dei cittadini di Paesi terzi a fini di ricerca, con lo scopo di porre l’Unione nella condizione di esercitare un maggiore richiamo nei confronti dei ricercatori di tutto il mondo e di migliorare le sue capacità di polo di ricerca a livello internazionale. Si sottolinea tra l’altro che, per conseguire entro il 2010 l’obiettivo fissato dal Consiglio europeo di Barcellona (marzo 2002) di investire il 3% del PIL nella ricerca, sono necessari 700.000 ricercatori, anche provenienti da Paesi terzi; ci si propone pertanto (punto 11 delle Considerazioni) di agevolare l’ammissione di questi ultimi, non richiedendo più, ove previsto, il rilascio di un permesso di lavoro oltre a quello di soggiorno.
La direttiva definisce una specifica procedura di ammissione per i cittadini di Paesi terzi che intendano realizzare un progetto di ricerca scientifica in uno degli Stati membri e che a tal fine necessitino di un periodo di soggiorno di durata superiore a tre mesi.
Più specificamente, la direttiva si applica ai ricercatori dei Paesi terzi selezionati da un istituto di ricerca per svolgere un progetto di ricerca (art. 2).
Sono espressamente esclusi dall’ambito di applicazione della direttiva (art. 3):
§ i richiedenti asilo.
Presupposto per l’applicazione del diritto di asilo è la nozione di rifugiato internazionale, cioè di colui che, direttamente (mediante provvedimento di espulsione o impedimento al rientro in patria) o indirettamente (per l’effettivo o ragionevolmente temuto impedimento dell’esercizio di uno o più diritti o libertà fondamentali), sia stato costretto dal Governo del proprio Paese ad abbandonare la propria terra e a “rifugiarsi” in un altro Paese, chiedendovi asilo. Questa nozione risulta ulteriormente specificata dall’art. 1 della Convenzione di Ginevra (ratificata dalla L. 24 luglio 1954, n. 722), che indica i seguenti motivi per i quali si ha diritto allo status di rifugiato: discriminazioni fondate sulla razza, sulla nazionalità (cittadinanza o gruppo etnico) sull’appartenenza ad un determinato gruppo sociale; limitazioni al principio della libertà di culto; persecuzione per le opinioni politiche;
§ coloro che sono tutelati da forme di protezione temporanea sussidiaria.
Si tratta dei profughi che lasciano il proprio Paese non a causa di misure di discriminazione individuale cui siano stati sottoposti (come i richiedenti asilo), bensì al verificarsi di gravi eventi (guerra civile, violenze generalizzate, aggressioni esterne, catastrofi naturali etc.);
§ i cittadini di Paesi terzi che chiedono di soggiornare in uno Stato membro come studenti ai sensi della direttiva 2004/114/CE per svolgere attività di ricerca per il conseguimento di un dottorato, per i quali sono mantenuti autonomi canali di ammissione.
La direttiva 2004/114/CE del 13 dicembre 2004, contenuta nella legge comunitaria 2005 (legge n. 29/2006; allegato A), ma non ancora recepita nel nostro ordinamento, stabilisce le condizioni e le procedure per l’ingresso e il soggiorno dei cittadini dei Paesi terzi, che si rechino nel territorio degli Stati membri, per un periodo superiore ai tre mesi, per motivi di studio, scambio di alunni, tirocinio non retribuito o volontariato. Il possesso dei requisiti necessari per l’ammissione comporta il rilascio da parte delle autorità competenti di un permesso di soggiorno. Per gli studenti il permesso di soggiorno deve essere di durata pari ad un anno ed è rinnovabile;
§ i cittadini di Paesi terzi la cui espulsione sia stata sospesa per motivi di fatto o di diritto;
§ i ricercatori che siano stati assegnati da un istituto di ricerca ad altro istituto di ricerca in un altro Stato membro.
La specifica procedura di ammissione prevista dalla direttiva si articola nelle seguenti fasi:
§ gli istituti di ricerca che intendano accogliere ricercatori secondo la procedura di ammissione stabilita dalla direttiva devono ottenere dalle autorità dello Stato membro interessato un’autorizzazione preventiva, della durata minima di cinque anni, che certifichi, tra l’altro, che tali istituti svolgono attività di ricerca (art. 5);
§ l’istituto di ricerca sottoscrive quindi con il ricercatore una convenzione di accoglienza, che impegna il ricercatore alla realizzazione del progetto e l’istituto ad accoglierlo a tal fine.
La direttiva individua le condizioni (art. 6) la cui compresenza è richiesta per la firma della convenzione di accoglienza. L’istituto di ricerca può sottoscrivere la convenzione soltanto se:
§ il progetto di ricerca è stato accettato dagli organi di istituto previa verifica della sua validità e durata, delle disponibilità finanziarie per la realizzazione, della congruità dei titoli del ricercatore rispetto all’oggetto della ricerca;
§ il ricercatore dispone durante il soggiorno di adeguate risorse finanziarie mensili “per far fronte alle necessità” e alle spese per il viaggio di ritorno e di un’assicurazione per malattia;
§ nella convenzione sono specificati il rapporto giuridico e le condizioni di lavoro dei ricercatori.
Sono inoltre precisati (art. 7) i requisiti dei ricercatori per l’ammissione in uno Stato membro, che sono:
§ il possesso di un titolo di viaggio valido;
§ la sottoscrizione con un istituto di ricerca della citata convenzione di accoglienza;
§ il non essere considerato una minaccia per l’ordine, la sicurezza o la sanità pubblica.
All’accertamento del possesso dei requisiti necessari per l’ammissione consegue il rilascio da parte delle autorità nazionali competenti di un permesso di soggiorno della durata minima di un anno (o eventualmente più breve in relazione ai tempi di svolgimento del progetto di ricerca); tale permesso è rinnovabile se permangono le condizioni necessarie per il suo rilascio, ferma restando la possibilità di revoca o di rifiuto di rinnovo (art. 10) al venir meno dei requisiti o per motivi di sicurezza o di ordine pubblico o di sanità pubblica.
La decisione in merito al soggetto (ricercatore o istituto) tenuto a richiedere il permesso di soggiorno viene rimessa ai singoli Stati membri (art. 14).
Sono previste inoltre norme volte a tutelare l’unità familiare (art. 9): ai membri della famiglia del ricercatore è rilasciato un permesso di soggiorno di durata pari a quella del permesso concesso al ricercatore.
La direttiva prevede specifiche garanzie procedurali a favore dei ricercatori (art. 15): le autorità dei Paesi membri sono tenute ad esaminare tempestivamente le richieste di permesso di soggiorno ed a notificare agli interessati le decisioni di reiezione con l’ indicazione degli eventuali strumenti di ricorso e dei termini per proporre l’azione.
La direttiva riconosce una serie di diritti ai ricercatori ammessi (art. 12); essi possono insegnare, nel rispetto delle norme vigenti a livello nazionale e nei limiti fissati dagli Stati membri e hanno diritto alla parità di trattamento con i cittadini dello Stato membro ospitante per quanto riguarda:
§ il riconoscimento dei diplomi, dei certificati e degli altri titoli professionali, conformemente alle procedure nazionali in materia;
§ le condizioni di lavoro, comprese le condizioni di retribuzione e di licenziamento;
§ l’applicazione del regime di sicurezza sociale a se stessi e ai loro familiari;
§ le agevolazioni fiscali;
§ l’accesso ai beni e ai servizi e l’offerta di beni e servizi destinati al pubblico.
Specifiche disposizioni (art. 13) garantiscono la mobilità dei ricercatori all’interno dei Paesi comunitari, snellendo gli adempimenti relativi a soggiorni necessari per lo svolgimento del progetto di ricerca.
Il termine di recepimento della direttiva è fissato al 12 ottobre 2007.
La legislazione nazionale
La normativa italiana in materia di immigrazione prevede già procedure semplificate per l’ammissione dei ricercatori stranieri non comunitari[190].
L’art. 27 del testo unico sull’immigrazione (d.lgs. n. 286/1998[191]) stabilisce che lavoratori non comunitari appartenenti a specifiche categorie, in possesso di determinati requisiti, possono entrare in Italia indipendentemente dalle quote stabilite ogni anno dai decreti sui flussi (cosiddetti ingressi fuori quota).
L’immigrazione dei cittadini stranieri non appartenenti all’Unione europea è infatti regolata secondo il sistema delle quote programmatiche di ingresso.
Ogni anno il Governo, sulla base della necessità di manodopera interna, stabilisce nell’ambito del decreto di programmazione dei flussi il numero di stranieri che possono entrare nel nostro Paese. Le quote sono suddivise per lavoro subordinato (stagionale e non) e autonomo.
Tra le categorie che possono usufruire degli ingressi fuori quota, espressamente indicate dall’art. 27, comma 1, del testo unico, sono compresi i professori universitari e i ricercatori destinati a svolgere in Italia un incarico accademico o un’attività retribuita di ricerca presso università, istituti di istruzione e di ricerca operanti in Italia.
Per entrare in Italia i ricercatori non comunitari devono, come tutti i cittadini stranieri, essere in possesso di un visto di ingresso rilasciato da una rappresentanza diplomatica o consolare italiana.
Si ricorda tuttavia che non sempre è necessario il visto d’ingresso: il Ministero degli affari esteri redige l’elenco dei Paesi i cui cittadini sono soggetti ad obbligo di visto, anche in attuazione di specifici accordi internazionali e definisce le diverse tipologie dei visti d’ingresso. Il rilascio del visto di ingresso è subordinato alla presenza di una serie di condizioni: lo straniero deve possedere requisiti idonei a confermare lo scopo e le condizioni del soggiorno.
Il datore di lavoro che intenda assumere uno straniero presenta una richiesta nominativa di nulla osta al lavoro allo Sportello unico per l’immigrazione istituito presso la prefettura[192].
Per i procedimenti di rilascio di nulla osta al lavoro relativi agli ingressi fuori quota (tra i quali rientrano, come già detto, quelli concernenti i ricercatori), non è richiesta la preventiva verifica, da parte della competente Direzione provinciale del lavoro, della sussistenza di eventuali richieste presentate da parte di un lavoratore nazionale o comunitario per il medesimo impiego (art. 40, comma 1, del D.P.R. n. 394/1999[193], regolamento di attuazione del testo unico).
Per i professori universitari e i ricercatori stranieri il rilascio del nulla osta al lavoro è però subordinato ad una richiesta di assunzione – anche a tempo indeterminato – da parte dell’università o dell’ente di ricerca (pubblici o privati che siano), attestante tra l’altro il possesso dei requisiti professionali necessari per l’espletamento delle relative attività (art. 40, comma 6, del D.P.R. n. 394/1999).
Si ricorda peraltro che professori universitari e ricercatori stranieri possono entrare in Italia anche per effettuare prestazioni di lavoro autonomo (art. 40, comma 22, del D.P.R. n. 394/1999). Anche in questo caso, i corrispondenti ingressi per lavoro autonomo sono al di fuori delle quote stabilite dal decreto annuale sui flussi.
Lo Sportello per l’immigrazione, compiute le verifiche previste, notifica l’autorizzazione al lavoro al datore di lavoro e contestualmente la invia alla rappresentanza diplomatica o consolare italiana nel Paese di residenza dell’interessato per consentire a quest’ultimo di richiedere il visto di ingresso.
Una volta entrato nel territorio nazionale, ogni straniero deve fare richiesta[194] del permesso di soggiorno entro otto giorni al questore della provincia in cui si trova; il permesso è rilasciato per le attività previste dal visto di ingresso.
Come sopra illustrato, l’ingresso di ricercatori stranieri nel nostro Paese è disciplinato dalla normativa sull’immigrazione, con disposizioni di maggior favore; va segnalato inoltre che l’ordinamento degli enti pubblici di ricerca consente l’eventuale impiego di studiosi stranieri a tempo determinato ed a particolari condizioni.
In particolare (ai sensi degli artt. 20, comma 3, e 23, comma 8, del d.lgs. n. 127/2003[195]), gli enti compresi nel comparto delle istituzioni e degli enti di ricerca e sperimentazione, vigilati dal Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca[196] nonché gli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico possono assumere con chiamata diretta per lo svolgimento di specifici progetti (e comunque per un periodo non superiore a cinque anni) ricercatori o tecnologi italiani o stranieri, nel limite del 10 per cento dell’organico e tenendo conto delle disponibilità di bilancio; tale disposizione, ai sensi dell’art. 23, comma 8, del citato d.lgs. n. 127/2003, si applica a tutti gli enti.
Si segnala, comunque, per completezza di informazione, che gli enti di ricerca sopra citati possono avvalersi di studiosi anche stranieri reclutati per chiamata diretta a tempo indeterminato nei limiti del 3 per cento dell’organico (artt. 20, comma 2, ed art. 23, comma 8, del d.lgs. n. 127/2003).
Direttiva 2005/81/CE
(Trasparenza delle relazioni finanziarie fra gli Stati membri e le loro imprese pubbliche nonché fra determinate imprese)
La direttiva 2005/81/CE modifica la direttiva 80/723/CEE, concernente la trasparenza delle relazioni finanziarie fra gli Stati membri e le loro imprese pubbliche nonché fra determinate imprese.
In particolare, viene modificato l’articolo 2, paragrafo 1, lettera d), della direttiva 80/723/CEE, relativamente all’individuazione delle imprese soggette all’obbligo di tenere una contabilità separata.
Nel corso dell’esame parlamentare presso la Commissione XIV alla Camera dei deputati, la direttiva 2005/81/CE è stata stralciata dall’Allegato A ed inserita nell’Allegato B.
La direttiva 80/723/CEE prescrive agli Stati membri di assicurare la trasparenza delle relazioni finanziarie tra i poteri pubblici e le imprese pubbliche, nonché all'interno di talune imprese. Le imprese soggette all'obbligo di tenere una contabilità separata sono le imprese che fruiscono di diritti speciali o esclusivi riconosciuti da uno Stato membro, a norma dell'articolo 86, paragrafo 1, del trattato, ovvero le imprese incaricate della gestione di servizi d’interesse economico generale, a norma dell'articolo 86, paragrafo 2, del Trattato, le quali, in relazione a tali servizi, ricevano aiuti di Stato in qualsiasi forma e che esercitino anche altre attività.
Gli Stati membri hanno la possibilità di concedere compensazioni alle imprese incaricate della prestazione di servizi d'interesse economico generale per coprire i costi specifici di tali servizi. Tuttavia queste compensazioni non devono superare quanto necessario per il funzionamento dei servizi in questione e non devono essere utilizzate per il finanziamento di attività che esulino dal servizio d'interesse economico generale.
In base alla direttiva 80/723/CEE, nel testo originario, la tenuta di contabilità separate è necessaria soltanto quando le imprese incaricate della fornitura di servizi d'interesse economico generale ricevano aiuti di Stato.
Con la sentenza del 24 luglio 2003, relativa alla causa C-280/00 Altmark Trans GmbH, la Corte di giustizia delle Comunità europee ha ritenuto che, a determinate condizioni, le compensazioni degli obblighi di servizio pubblico non costituiscono aiuti di Stato ai sensi dell'articolo 87, paragrafo 1, del trattato.
In particolare la Corte di giustizia ha precisato che le compensazioni non costituiscono aiuti di Stato se sono rispettate le seguenti condizioni:
· l'impresa beneficiaria deve essere effettivamente incaricata dell'assolvimento di obblighi di servizio pubblico e detti obblighi devono essere definiti in modo chiaro;
· i parametri sulla base dei quali viene calcolata la compensazione devono essere previamente definiti in modo obiettivo e trasparente, al fine di evitare che essa comporti un vantaggio economico atto a favorire l'impresa beneficiaria rispetto a imprese concorrenti;
· la compensazione non può eccedere quanto necessario per coprire tutti o parte dei costi originati dall'adempimento degli obblighi di servizio pubblico, tenendo conto degli introiti relativi agli stessi nonché di un margine di utile ragionevole per l'adempimento di tali obblighi;
· il livello della necessaria compensazione deve essere determinato sulla base di un'analisi dei costi in cui un'impresa media, gestita in modo efficiente e adeguatamente dotata di mezzi di trasporto al fine di poter soddisfare le esigenze di servizio pubblico richieste, sarebbe incorsa per adempiere tali obblighi, tenendo conto degli introiti ad essi attinenti nonché di un margine di utile ragionevole per l'adempimento di detti obblighi.
La Commissione ha, tuttavia, rilevato che, indipendentemente dalla qualificazione giuridica delle compensazioni degli obblighi di servizio pubblico alla luce dell'articolo 87, paragrafo 1, del trattato, l'obbligo di tenere contabilità separate deve incombere a tutte le imprese beneficiarie di dette compensazioni, le quali svolgano anche attività che esulano dal servizio d'interesse economico generale. Soltanto la tenuta di una contabilità separata permette, infatti, di identificare i costi imputabili al servizio d'interesse economico generale e di calcolare l'importo corretto della compensazione. La direttiva in esame provvede ad affermare questo principio.
La direttiva 2005/81/CE modifica la seconda parte della richiamata lettera d) dell’articolo 2, paragrafo 1, recante la definizione delle imprese soggette all’obbligo di tenere una contabilità separata. Vengono così sottoposte a tale obbligo le imprese che, fruendo di diritti speciali o esclusivi riconosciuti dallo Stato o essendo incaricate della gestione di servizi d’interesse economico generale, ricevano “compensazioni in qualsiasi forma per prestazioni di servizio pubblico in relazione ai servizi”, esercitando contemporaneamente anche altre attività; il testo precedente faceva invece riferimento alle imprese che in relazione a tali servizi ricevano “aiuti di Stato in qualsiasi forma, in particolare contributi, sussidi o indennizzi”.
Il termine per il recepimento, a norma dell’articolo 2, è fissato al 19 dicembre 2006.
La direttiva 80/723/CEE, modificata da ultimo dalla direttiva 2000/52/CE, è stata attuata nell’ordinamento italiano con il decreto legislativo 11 novembre 2003, n. 333[197].
Il recepimento della presente direttiva comporterà la modifica dell’articolo 2, comma 1, lettera d), del richiamato decreto legislativo n. 333 del 2003.
Si segnala che è stata recentemente emanata la direttiva 2006/111/CEdella Commissione, del 16 novembre 2006, relativa alla trasparenza delle relazioni finanziarie tra gli Stati membri e le loro imprese pubbliche e alla trasparenza finanziaria all'interno di talune imprese, recante una versione codificata delle direttive suddette. Tale direttiva è entrata in vigore il 20 dicembre 2006.
Direttiva 2005/85/CE
(Riconoscimento e revoca dello status di rifugiato)
Finalità e contenuto della direttiva
La direttiva 2005/85/CE del Consiglio, del 1° dicembre 2005, definisce un quadro minimo di norme, valide per tutti i Paesi dell’Unione europea, relative a due aspetti della disciplina in materia di asilo: il riconoscimento e la revoca dello status di rifugiato.
Gli obiettivi della direttiva sono sostanzialmente quelli di limitare il fenomeno degli spostamenti di richiedenti asilo tra Paesi membri dovuti ai diversi sistemi normativi in essi vigenti in materia (punto 6 dei consideranda) e di favorire l’adozione di procedure efficienti e rapide per il riconoscimento e la revoca dello status di rifugiato.
La direttiva si articola in sei capi relativi a:
§ Disposizioni generali (Capo I);
§ Principi fondamentali e garanzie (Capo II);
§ Procedure di primo grado (Capo III);
§ Procedure di revoca dello status di rifugiato (Capo IV);
§ Procedure di impugnazione (Capo V);
§ Disposizioni generali e finali (Capo VI).
Il Capo I reca le disposizioni generali della direttiva. In particolare, viene definito l’oggetto (art. 1) e il campo di applicazione della direttiva (art. 3). La direttiva si applica alle domande di asilo presentate nel territorio (o alla frontiera) degli Stati membri (ma non presso le rappresentanze diplomatiche). Le domande di asilo la cui procedura di esame rientra nella presente direttiva sono quelle presentate a norma della Convezione di Ginevra e quelle previste all’art. 15 della direttiva 2004/83/CE.
La Convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951 ratificata dall’Italia con la legge n. 722/1954[198] indica (art. 1) i motivi per i quali si ha diritto allo status di rifugiato:
§ discriminazioni fondate sulla razza;
§ discriminazioni fondate sulla nazionalità (cittadinanza o gruppo etnico);
§ discriminazioni fondate sull’appartenenza ad un determinato gruppo sociale;
§ limitazioni al principio della libertà di culto;
§ persecuzione per le opinioni politiche.
Accanto a queste situazioni, l’art. 15 della direttiva 2004/83/CE[199] individua altre fattispecie meritevoli di protezione definita “sussidiaria”: si tratta di eventi gravi, quali la condanna a morte o all’esecuzione, la tortura o altra forma di pena o trattamento inumano o degradante ai danni del richiedente nel suo paese di origine ovvero la minaccia grave e individuale alla vita o alla persona di un civile, derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale.
La direttiva, inoltre, prevede la designazione da parte di ciascun Paese membro di una autorità competente per l’esame delle domande di asilo (art. 4) e riconosce agli Stati membri la possibilità di introdurre o mantenere in vigore disposizioni più favorevoli sulle procedure di riconoscimento e revoca dello status di rifugiato, se compatibili con la direttiva (art. 5).
Il Capo II contiene una serie di disposizioni relative alla tutela dei diritti dei richiedenti asilo.
Vengono, innanzitutto, disciplinate dettagliatamente le modalità di accesso alla procedura (art. 6) prevedendo due possibilità: gli Stati membri possono esigere che le domande siano presentate personalmente dall’interessato, oppure anche da parte di un richiedente a nome delle persone a suo carico.
Coloro che presentano richiesta per il riconoscimento dello status di rifugiato possono risiedere, pur senza aver diritto a un titolo di soggiorno, nel Paese dove hanno presentato la domanda fino alla adozione della decisione finale (art. 7).
Di particolare rilievo la disposizione che vieta di respingere o non considerare le domande che non sono state presentate tempestivamente (art. 8).
Un gruppo di disposizioni del Capo II attiene alla disciplina della comunicazione e informazione nei confronti del richiedente asilo.
Innanzitutto, le decisioni sulle domande devono essere comunicate per iscritto e, nel caso in cui la domanda sia respinta, la decisione deve essere motivata (art. 9).
Inoltre, il richiedente ha diritto, se ne fa richiesta, di sostenere un colloquio personale sulla sua domanda di asilo, in condizioni di riservatezza adeguate, sul quale deve essere redatto un verbale (artt. 12, 13 e 14).
Più in generale, il richiedente asilo ha il diritto di essere informato in una lingua a lui comprensibile della procedura da seguire e di ricevere, se necessario, l’assistenza di un interprete (art. 10).
In materia di assistenza legale sono previste garanzie in ogni fase del procedimento, quali la possibilità di consultare un avvocato o consulente legale. Le spese legali sono gratuite nel caso di decisione negativa (art. 15).
Sono previste ulteriori garanzie per i minori non accompagnati (art. 17).
Il Capo III attiene alle procedure di primo grado relative all’esame delle domande di asilo.
Da segnalare la possibilità per gli Stati membri di istituire due tipi di procedure: una ordinaria per la generalità dei casi e una accelerata per una serie tassativamente individuata di situazioni specifiche (art. 23).
La procedura accelerata è destinata a due categorie distinte di domande di asilo: si tratta, da un lato, delle domande verosimilmente fondate o quelle presentate da persone con particolari bisogni, dall’altro, delle domande che presentano una serie di irregolarità o le cui circostanze di presentazione destano sospetti sulla loro fondatezza.
In questa categoria rientrano tra le altre le domande contenenti dati falsi o incompleti, o reiterate in assenza di nuovi elementi. Vi fanno, inoltre, parte le domande presentate da soggetti entrati illegalmente, o destinatari di una decisione di espulsione, oppure da un richiedente che costituisca un pericolo per la sicurezza nazionale.
Sono considerate infondate le domande di asilo presentate da coloro che provengono da un Paese di origine ritenuto “sicuro” (art. 23, paragrafo 4, lettera c), salvo che il richiedente invochi “gravi motivi” per ritenere che esso non sia tale nelle specifiche circostanze che lo riguardano (art. 31, paragrafo 1). Spetta al Consiglio, su proposta della Commissione e con il parere del Parlamento europeo, definire l’elenco dei “Paesi di origine sicuri” (art. 29).
Viene, inoltre, prevista la possibilità di non esaminare le domande, cosiddette irricevibili, che, per diversi motivi, rendono superfluo l’avvio della procedura di esame (art. 25); si tratta per esempio di richiedenti asilo cui è già stato riconosciuto lo status di rifugiato, oppure che godono di un trattamento equivalente.
Gli Stati membri possono prevedere procedure specifiche per le domande reiterate e per quelle presentate ed esaminate nei posti di frontiera (art. 24).
In particolare, per quanto riguarda le procedure di frontiera, la direttiva da facoltà agli Stati membri di adottare procedure speciali per decidere direttamente alla frontiera sulle richieste di asilo, senza permettere l’ingresso dei richiedenti, ma garantendo loro le forme di tutela previste dal Capo II (art. 35, paragrafo 1).
Tuttavia, gli Stati membri possono mantenere in vigore disposizioni vigenti, anche in deroga a tali garanzie, a patto di mantenere un sistema minimo di diritti, quali, ad esempio, il diritto all’informazione e all’assistenza legale (art. 35, paragrafo 2).
In ogni caso, il procedimento deve concludersi entro quattro settimane, trascorse le quali il richiedente deve essere ammesso nel territorio dello Stato e la sua domanda deve essere esaminata secondo la procedura prevista in generale dalla direttiva.
Il procedimento per la revoca dello status di rifugiato è oggetto del Capo IV. L’inizio del procedimento di revoca ha inizio in qualsiasi momento, qualora emergano fatti nuovi che possono giustificare il riesame del caso (art. 37).
Anche nel corso del procedimento di riesame all’interessato sono garantiti i diritti spettanti al richiedente (diritto ad essere informato, ad essere sentito personalmente, ecc.).
Tutti i richiedenti asilo, ai sensi del Capo V, devono poter presentare ricorso contro qualsiasi decisione, compresi i casi di domande considerate irricevibili e di quelle per le quali si è deciso di non proseguire l’esame.
Tuttavia, la presentazione del ricorso non consente automaticamente all’interessato di rimanere nel territorio del Paese dove ha presentato la domanda. Spetta, infatti, a ciascuno Stato membro stabilire se l’atto di impugnazione comporti o meno un effetto sospensivo sulla decisione di allontanamento conseguente al rigetto della domanda di asilo (art. 39).
Il Capo VI contiene le disposizioni generali e finali, tra cui i termini per il recepimento (art. 43). La direttiva prevede due fasi di attuazione: entro il 1° dicembre 2007 ciascun Paese membro dovrà adottare le misure legislative e amministrative per il recepimento di larga parte delle disposizioni della direttiva. Un altro anno di tempo è concesso per l’attuazione delle norme relative al diritto all’assistenza legale di cui all’art. 15 della direttiva (entro il 1° dicembre 2008).
Inoltre, le disposizioni di recepimento si applicheranno solamente alle domande di asilo presentate dopo il 1° dicembre 2007 e non anche a quelle pendenti a tale data (art. 44).
Il quadro comunitario
La direttiva 2005/85 in esame costituisce l’atto conclusivo della prima fase del processo inaugurato a Tampere nel 1999.
Nel Consiglio europeo di Tampere, in Finlandia, dell’ottobre 1999 è stata definita una politica comune dell’Unione europea in materia di immigrazione e di asilo come politica di carattere globale che abbraccia le questioni della politica, dei diritti umani e dello sviluppo dei Paesi d’origine dei flussi migratori.
La politica comune dell’Unione in materia di asilo e migrazione fissata a Tampere prevede quattro direttrici d’azione. Una di esse riguarda un regime europeo comune in materia di asilo, secondo la quale l’Unione e gli Stati membri riconoscono l’importanza del rispetto assoluto del diritto di chiedere asilo. Per questo occorre provvedere nel breve periodo all’armonizzazione delle disposizioni nazionali in materia di asilo per permettere di determinare con chiarezza e praticità lo Stato competente per l’esame delle domande di asilo, per prevedere una procedura di asilo equa ed efficace e condizioni comuni minime per l’accoglienza dei richiedenti asilo nonché il ravvicinamento delle normative relative al riconoscimento e agli elementi sostanziali dello status di rifugiato.
Nel lungo periodo, le norme comunitarie dovrebbero indirizzarsi verso una procedura comune in materia di asilo e uno status uniforme per coloro che hanno ottenuto l’asilo, valido in tutta l’Unione.
In attuazione delle decisioni del Consiglio europeo di Tampere sono state emanate varie direttive, oltre quella in esame:
§ la direttiva 2001/55 del 20 luglio 2001, recante norme minime per la concessione della protezione temporanea (recepita nell’ordinamento interno con il d.lgs. 7 aprile 2003, n. 85);
§ la direttiva 2003/9 del 27 gennaio 2003, che introduce alcune norme minime comuni in relazione all'accoglienza dei richiedenti asilo (d.lgs. 30 maggio 2005, n. 140);
§ la direttiva 2004/83 del 29 aprile 2004, recante norme minime sull’attribuzione a cittadini di Paesi terzi la qualifica di rifugiato (non ancora recepita[200]).
Il Consiglio europeo di Bruxelles del 5 novembre 2004 ha introdotto la seconda fase della politica comunitaria relativa all’asilo, che dovrebbe portare entro il 2010 alla creazione di una vera e propria procedura comune di asilo e di uno status uniforme dei rifugiati.
Il Consiglio di Bruxelles ha adottato un nuovo programma pluriennale, il cosiddetto programma dell’Aja, che indica una serie di iniziative pratiche per la cooperazione in materia di asilo.
La legislazione nazionale
Il diritto di asilo è tra i diritti fondamentali dell’uomo riconosciuti dalla nostra Costituzione. L’articolo 10, terzo comma, della Costituzione prevede infatti che lo straniero, al quale sia impedito nel suo Paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, abbia diritto di asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge.
Il dettato costituzionale sul diritto di asilo non è stato attuato, mancando ancora una legge organica che ne stabilisca le condizioni di esercizio, anche se la giurisprudenza ha stabilito la possibilità di riconoscere il diritto di asilo allo straniero anche in assenza di una disciplina apposita[201].
Il riconoscimento del rifugiato è, invece, entrato nel nostro ordinamento con l’adesione alla Convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951[202], che definisce lo status di rifugiato, e alla Convenzione di Dublino del 15 giugno 1990, sulla determinazione dello Stato competente per l’esame di una domanda di asilo presentata in uno degli Stati membri della Comunità europea[203].
Sul piano del diritto interno rileva il decreto-legge n. 416 del 1989[204] (la cosiddetta “legge Martelli”) che disciplina le modalità per il riconoscimento dello status di rifugiato (ma non anche del diritto di asilo).
La legge Martelli è stata modificata nel corso della XIV legislatura dalla L. 189/2002[205] (c.d. “legge Bossi-Fini”).
Si tratta di un intervento di carattere transitorio adottato in attesa di una disciplina organica dell’intera materia. Infatti, l’obiettivo della legge è soprattutto quello di risolvere il problema dell’abuso delle richieste di asilo, presentate per aggirare le norme sull’immigrazione.
Al momento della approvazione della legge, era ancora in corso il procedimento di approvazione della direttiva in esame, alcuni dei contenuti – come l’introduzione di una procedura semplificata – sono stati comunque recepiti.
Le finalità sopra indicate sono perseguite in primo luogo attraverso il decentramento della procedura di esame delle domande di riconoscimento, al fine di accelerarne i tempi, con la costituzione di Commissioni territoriali ad hoc a cui sono trasferiti gran parte dei compiti della commissione centrale disciplinata dalla legge Martelli.
Inoltre, sempre con l’obiettivo di accelerare i tempi di esame, viene introdotta una procedura semplificata nei casi di istanze di asilo che, per le circostanze di presentazione, destino dubbi sulle reali motivazioni.
L’attuazione di queste disposizioni era subordinata all’adozione di un apposito regolamento, adottato successivamente con il D.P.R. n. 303/2004[206] che affianca e integra il regolamento di attuazione delle legge Martelli.
Secondo la disciplina risultante da tale legge e dalle modifiche apportate dalla legge n. 189/2002, lo straniero cui venga riconosciuta la condizione di rifugiato politico ha diritto all’ingresso e al soggiorno nel nostro Paese.
Lo straniero che intenda entrare nel territorio nazionale per essere riconosciuto rifugiato deve rivolgere istanza motivata all’ufficio di polizia di frontiera. Sino alla definizione della procedura di riconoscimento, allo straniero viene rilasciato un permesso di soggiorno temporaneo (art. 1, comma 5, d.l. n. 416/1989).
L’accesso alla procedura di asilo rimane disciplinata dalle disposizioni previste dall’art. 1 del d.l. n. 416/1989: non è consentito l’ingresso in Italia agli stranieri che intendano chiedere il riconoscimento della condizione di rifugiato qualora l’interessato:
§ sia stato già riconosciuto rifugiato in altro Paese;
§ provenga da altro Paese, diverso da quello di appartenenza, che abbia aderito alla convenzione di Ginevra, nel quale abbia trascorso un periodo di soggiorno, non considerandosi tale il tempo necessario per il transito nel relativo territorio sino alla frontiera italiana;
§ abbia commesso crimini di guerra o altri gravi delitti nel proprio Paese;
§ sia stato condannato in Italia per uno dei delitti previsti dall’articolo 380 c.p.p.[207];
§ risulti pericoloso per la sicurezza dello Stato o appartenente ad associazioni di tipo mafioso o terroristiche o dedite al traffico di stupefacenti.
In tali casi lo straniero viene respinto alla frontiera.
La legge n. 189/2002 ha introdotto la previsione del trattenimento in appositi centri del richiedente asilo (art. 1-bis del d.l. n. 416/1990, introdotto dalla legge). Il trattenimento è disposto dal questore, per il tempo strettamente necessario alla definizione delle autorizzazioni alla permanenza nel territorio dello Stato. Il provvedimento di trattenimento è facoltativo nei seguenti casi:
§ per verificare la nazionalità o identità, qualora egli non sia in possesso dei documenti di viaggio o d’identità;
§ per verificare gli elementi su cui si basa la domanda di asilo;
§ in dipendenza del procedimento concernente il riconoscimento del diritto ad essere ammesso nel territorio dello Stato.
Il trattenimento è, invece, disposto in via obbligatoria:
§ a seguito della presentazione di una domanda di asilo presentata dallo straniero fermato per avere eluso o tentato di eludere il controllo di frontiera o subito dopo, o, comunque, in condizioni di soggiorno irregolare;
§ a seguito della presentazione di una domanda di asilo da parte di uno straniero già destinatario di un provvedimento di espulsione o respingimento.
In quest’ultimo caso lo straniero viene trattenuto nei centri di permanenza temporanea e assistenza. Si tratta di strutture già previste dal testo unico sull’immigrazione e destinate all’accoglienza degli immigrati extracomunitari in attesa di espulsione (art. 14). In tutti gli altri casi, il trattenimento viene attuato in appositi centri di identificazione, istituiti dalla legge n. 189/2002.
Nei casi di trattenimento non viene rilasciato il permesso di soggiorno temporaneo.
Competenti alla valutazione delle domande dei richiedenti asilo sono le commissioni territoriali per il riconoscimento dello status di rifugiato operanti presso le prefetture-uffici territoriali del Governo. Esse sono state introdotte dalla legge n. 189/2002 “per ridurre i tempi di esame delle istanze di asilo sostituendo ad un unico organi centrale competente una articolazione di organi a livello provinciale”[208].
In precedenza, l’organo competente era la Commissione centrale per il riconoscimento dello status di rifugiato, disciplinata dal D.P.R. n. 136/1990, ora trasformata dalla legge n. 189/2002 in Commissione nazionale per il diritto di asilo, alla quale sono affidati compiti di indirizzo e coordinamento delle commissioni territoriali, di formazione e aggiornamento dei componenti delle medesime commissioni, di raccolta di dati statistici oltre che poteri decisionali in tema di revoche e cessazione dello status concessi (art. 1-quinquies, d.l. n. 416/1989, introdotto dalla legge 189).
Il procedimento relativo all’esame delle domande di asilo, disciplinato in precedenza principalmente dal regolamento di attuazione delle legge Martelli, il più volte citato D.P.R. n. 136/1990, è stato riformulato ad opera della legge n. 189/2002. L’innovazione principale consiste nella distinzione tra una procedura ordinaria, destinata alla generalità dei casi, e una procedura semplificata da attivare per l’esame delle domande di asilo presentate dagli stranieri fermati in condizioni irregolari, per esempio per aver eluso i controlli di frontiera, e da coloro che sono già destinatari di un provvedimento di espulsione o di respingimento. Si tratta delle stesse categorie per i quali è disposto il trattenimento obbligatorio nei centri di identificazione (per gli irregolari) o nei centri temporanei di permanenza (per coloro che devono essere espulsi o respinti).
La procedura ordinaria (art. 1-quater, d.l. n. 416/1989) prevede che le commissioni, una volta ricevuta dal questore la documentazione necessaria per il riconoscimento dello status di rifugiato (da trasmettere entro due giorni), provvedano entro trenta giorni all’audizione del richiedente, adottando la decisione nei successivi tre giorni. Nel corso dell’audizione è prevista la possibilità di ricorrere all’ausilio di interpreti e del colloquio viene redatto un verbale. Le decisioni devono essere motivate e comunicate all’interessato con l’indicazione delle modalità di impugnazione.
In attesa della conclusione del procedimento il questore rilascia un permesso di soggiorno valido per tre mesi, eventualmente rinnovabile (art. 2, comma 4, D.P.R. n. 303/2004).
Le decisioni delle commissioni territoriali possono essere impugnate davanti al il tribunale in composizione monocratica.
Nel caso della procedura semplificata (art. 1-ter del d.l. n. 416/1989) sono dimezzati i tempi a disposizione della commissione territoriale per l’esame dell’istanza: quindici giorni in luogo di trenta. Inoltre, per coloro che sono destinatari di un provvedimento di espulsione e sono già trattenuti in un centro di permanenza temporanea, il trattenimento è prolungato di trenta giorni, su decisione dell’autorità giudiziaria e dietro richiesta del questore.
L’allontanamento non autorizzato dai centri di identificazione equivale alla rinuncia della domanda.
Anche la procedura semplificata prevede la possibilità di impugnare la decisione della commissione territoriale: in primo luogo è possibile chiederne il riesame davanti alla stessa commissione territoriale che si è espressa in prima istanza, integrata da un componente della commissione nazionale. Inoltre, è possibile presentare ricorso presso il tribunale in composizione monocratica. Il ricorso – che può essere presentato anche all’estero tramite le rappresentanze diplomatiche – non sospende il provvedimento di allontanamento. Però il prefetto può concedere all’interessato l’autorizzazione a rimanere sul territorio nazionale fino all’esito del ricorso.
Le nuove procedure sopra descritte sono diventate operative solamente con l’entrata in vigore del citato regolamento di attuazione previsto dalla legge n. 189/2002, adottato con il D.P.R. n. 303/2004.
Direttiva 2005/89/CE
(Sicurezza dell’approvvigionamento di elettricità)
La direttiva 2005/89 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 18 gennaio 2006, detta un quadro di regolevolte a garantire il buon funzionamento del mercato dell’elettricità all'interno dell'Unione europea, tutelando la sicurezza degli approvvigionamenti e assicurando, altresì, un livello adeguato di concorrenza all'interno dell'Unione europea.
Nel primo considerandum, richiama espressamente la fondamentale direttiva 2003/54/CE sul mercato interno dell’energia elettrica, dove si ribadisce espressamente che il conseguimento di un elevato livello di sicurezza negli approvvigionamenti di energia è presupposto essenziale per la realizzazione di un mercato comune ed efficiente dell'energia in Europa. A tal fine la citata direttiva 2003/54/CE prevede la possibilità per gli Stati membri di imporre specifici obblighi alle imprese che operano nel settore elettricità al fine di evitare sprechi nella capacità di generazione.
Nel terzo considerandum si osserva, quindi, che un mercato unico concorrenziale dell'elettricità nell'UE richiede politiche di sicurezza degli approvvigionamento di energia elettrica e la fissazione di regole trasparenti, nondiscriminatorie e compatibili con le esigenze di un simile mercato.
Pertanto, la direttiva in commento affida agli Stati membri la definizione, in materia di sicurezza degli approvvigionamenti, di tali politiche, nonché la definizione dei ruoli e delle responsabilità delle autorità competenti, degli stessi Stati membri e di tutti gli attori del mercato, allo scopo di garantire la sicurezza dell'approvvigionamento di energia elettrica e il buon funzionamento del mercato interno, evitando nel contempo la creazione di ostacoli all'ingresso di nuovi operatori nel mercato dell'elettricità.
Nell’applicare le citate misure gli Stati membri devono tener conto della necessità di:
§ assicurare la continuità delle forniture elettriche;
§ definire un quadro regolamentare trasparente e stabile;
§ studiare il mercato interno e le possibili forme di cooperazione transfrontraliera in materia di sicurezza degli approvvigionamenti di elettricità;
§ diversificare la produzione di elettricità per assicurare un ragionevole equilibrio tra i diversi combustibili;
§ effettuare manutenzioni regolari e rinnovare costantemente le reti di trasporto e distribuzione allo scopo di mantenerle efficaci;
§ garantire sufficienti capacità di trasmissione e generazione di riserva, incoraggiando la creazione di mercati all’ingrosso liquidi;
§ ridurre il tasso di crescita tendenziale della domanda di elettricità, allo scopo di rispettare gli impegni in campo ambientale;
§ promuovere l'adozione di nuove tecnologie.
Gli Stati membri devono, altresì, garantire che nessuna misura adottata ai sensi della direttiva sia discriminatoria o costituisca un onere eccessivo per gli operatori del mercato, compresi i nuovi entranti e le imprese con una quota di mercato ridotta. Inoltre, prima di adottarle devono valutare l'impatto delle misure sul costo dell'elettricità per i clienti finali.
Con riferimento alla sicurezza operativa della rete, gli Stati membri o le autorità competenti garantiscono che i gestori dei sistemi di trasmissione stabiliscano norme e obblighi operativi minimi di sicurezza della rete stessa, previa consultazione degli attori interessati i con i quali esistono delle interconnessioni.
La direttiva prevede, altresì, misure specifiche necessarie al mantenimento dell’equilibrio tra offerta e domanda al fine di evitare che gli Stati membri adottino misure di intervento incompatibili con la concorrenza.
Gli Stati membri devono assicurare, inoltre, un quadro regolamentare di sostegno adeguato e stabile che consenta ai gestori dei sistemi di trasmissione di investire, mantenere e rinnovare le reti e garantire, nel contempo, che questi forniscano informazioni circa le loro intenzioni di investimento. Gli Stati membri possono altresì chiedere ai gestori informazioni sugli investimenti attinenti alla costruzione di linee interne che incidono materialmente sulla predisposizione di interconnessioni transfrontaliere.
La direttiva è entrata in vigore il 24 febbraio 2006.
Il termine di recepimento è fissato al 24 febbraio 2008.
Direttiva 2005/94/CE
(Influenza aviaria)
La direttiva 2005/94/CE detta una nuova disciplina, sostitutiva della direttiva 92/40/CEE[209](della quale viene disposta l’abrogazione con decorrenza1° luglio 2007[210]), che aveva stabilito misure comunitarie per eliminare e prevenire la diffusione dell’influenza aviaria negli allevamenti di pollame in cui si potrebbe sviluppare un’epidemia virale.
La direttiva abrogata conteneva la prescrizione delle misure da adottare nei casi riguardanti sia la sospetta diffusione del virus aviario negli allevamenti di pollame sia la presenza confermata dello stesso virus.
Tale normativa prevedeva, altresì, il coordinamento tra autorità comunitarie e nazionali per il monitoraggio dell’influenza aviaria, l’assistenza e l’individuazione delle possibili sorgenti di diffusione della malattia e la preparazione di esperti della materia. In particolare, gli Stati membri avevano il compito di individuare i loro centri di referenza per la diagnostica e la sperimentazione di vaccini antinfluenzali per cooperare con il laboratorio comunitario di riferimento per l'influenza aviaria.
Gli Stati membri dovevano preparare un piano di emergenza di contrasto alla diffusione della malattia, specificando gli interventi previsti in caso di scoppio epidemico.
La direttiva 2005/94/CE aggiorna le misure che i singoli Stati membri devono adottare per la prevenzione e l’eliminazione dei rischi di diffusione della malattia, al fine di garantire la massima adeguatezza delle misure adottate in rapporto al livello di pericolosità di ciascuna manifestazione infettiva e limitare, al tempo stesso, le probabili ricadute economiche e sociali dei provvedimenti adottati sul comparto agricolo e sugli altri settori interessati[211].
Le nuove misure si fondano sulle più recenti acquisizioni scientifiche, sull’esperienza maturata nella lotta all’influenza aviaria e sui pareri espressi al riguardo dagli organismi scientifici comunitari (in particolare, dall’Autorità europea per la sicurezza alimentare e dal Comitato scientifico della salute e del benessere degli animali).
L’oggetto delle misure contenute risulta ampliato rispetto alla normativa precedente; in particolare, esse riguardano non solo il pollame ma anche altri volatili in cattività e viene estesa l'individuazione precoce di una possibile trasmissione dei virus dell'influenza aviaria ai mammiferi; sono altresì previste misure sussidiarie volte ad impedire la diffusione di virus influenzali aviari ad altre specie.
Le novità più rilevanti riguardano l’ampliamento del raggio d’azione delle misure, in particolare, nel campo dell’analisi degli agenti patogeni minori di influenza aviaria che potrebbero mutare geneticamente (e perciò divenire altamente pericolosi) e nell’introduzione di maggiore flessibilità nelle provviste nazionali di vaccini.
Un’ulteriore innovazione riguarda la nascita di una banca comunitaria dove conservare le riserve di vaccini, cui gli Stati membri possono accedere a richiesta, e di banche nazionali dei vaccini utilizzate allo stesso scopo.
Per quanto riguarda i piani di emergenza per la lotta contro l'influenza aviaria, approvati in forza della direttiva 92/40/CEE e in vigore al 1° luglio 2007, restano applicabili ai fini della presente direttiva. Entro il 30 settembre 2007 gli Stati membri presentano in ogni caso alla Commissione modifiche dei suddetti piani di emergenza, al fine di renderli conformi alla presente direttiva.
Il termine di recepimento della direttiva 2005/94/CE è stabilito per il 1° luglio 2007.
Il quadro normativo nazionale
Per quanto riguarda i principali provvedimenti nazionali di carattere legislativo ed amministrativo per la lotta all’influenza aviaria, si ricordano i seguenti interventi.
Il decreto legge 1° ottobre 2005, n. 202, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 novembre 2005, n. 244, prevede:
§ l’istituzione del Centro nazionale di lotta ed emergenza contro le malattie animali;
§ la creazione presso il Ministero della salute di un nuovo Dipartimento per la sanità pubblica veterinaria, la nutrizione e la sicurezza degli alimenti, con l’incremento di tre unità della dotazione organica di dirigente di prima fascia;
§ la stipula da parte del Ministero della salute di contratti a tempo determinato per alcune figure professionali operanti nel campo della prevenzione e controllo sanitario;
§ l’attribuzione al Ministro della sanità di sospendere la caccia, con propria ordinanza, per un periodo massimo di sei mesi;
§ la costituzione di scorte di vaccini antivirali;
§ il potenziamento degli organici del Nucleo antisofisticazioni dei Carabinieri;
§ l’acquisto di carni congelate da parte dell’Agenzia per le erogazioni in agricoltura al fine di sostenere il mercato avicolo.
La legge finanziaria per il 2006[212] consente al Ministero della salute una deroga ai limiti all’impiego di personale, disposti dalla legge finanziaria medesima, al fine di fronteggiare le emergenze sanitarie, con particolare riferimento a quanto previsto dai provvedimenti per contrastare l'encefalopatia spongiforme bovina (BSE) e la diffusione dell’influenza aviaria.
Per quanto concerne i provvedimenti ministeriali, le Ordinanze del 26 agosto 2005 e del 10 ottobre 2005 del Ministero della salute contengono misure di polizia veterinaria in materia di malattie infettive e diffusive dei volatili da cortile. Con successive ordinanze dell’11, 20 e 28 febbraio 2006 sono state adottate misure urgenti di protezione per i casi di influenza aviaria ad alta patogenicità negli uccelli selvatici. Da ultimo, l’ordinanza del 19 aprile 2006 prevede, in particolare, misure ulteriori di polizia veterinaria contro l'influenza aviaria.
Procedure di contenzioso
Il 4 luglio 2006 la Commissione ha deciso l’avvio di un procedimento di indagine sulle misure adottate in Italia per far fronte alla crisi dell’influenza aviaria. In questa fase gli aiuti concessi a tale titolo sembrano alla Commissione difficilmente giustificabili alla luce delle regole comunitarie sugli aiuti di Stato.
Direttiva 2006/7/CE
(Qualità delle acque di balneazione)
La direttiva 2006/7/CE opera una revisione della direttiva 76/160/CEE che recava norme per la sorveglianza, la valutazione e la gestione della qualità delle acque di balneazione, al fine di garantirne la coerenza con il VI programma d'azione per l'ambiente, con la strategia a favore dello sviluppo sostenibile e con la direttiva quadro sulle acque 2000/60/CE.
Essa si ripropone di semplificare le procedure relative ai parametri di analisi - in considerazione degli sviluppi scientifici - e di migliorare i processi partecipativi delle parti interessate, nonché l'informazione fornita al pubblico.
La direttiva 2006/7/CE si applica alle acque di superficie nelle quali l'autorità competente prevede che un congruo numero di persone pratichi la balneazione, ad eccezione delle piscine e delle terme, delle acque confinate soggette a trattamento o utilizzate a fini terapeutici nonché delle acque confinate separate artificialmente dalle acque superficiali o sotterranee.
Vengono fissati due parametri di analisi (enterococchi intestinali ed escherischiacoli) al posto dei 19 della direttiva precedente, al fine di sorvegliare e valutare la qualità delle acque di balneazione identificate, nonché per classificarle in base alla qualità. Possono essere eventualmente presi in considerazione altri parametri, come la presenza di cianobatteri o di microalghe.
Gli Stati membri devono garantire la sorveglianza delle acque di balneazione, fissando annualmente la durata della stagione balneare e stabilendo un calendario di sorveglianza delle acque, il quale deve prevedere il prelievo di almeno quattro campioni per stagione (tranne in caso di stagione molto breve o di particolari impedimenti di tipo geografico). L'intervallo tra ciascun prelievo non deve essere superiore a un mese.
Gli Stati membri devono inoltre effettuare una valutazione delle acque di balneazione alla fine di ogni stagione, in linea di massima in base alle informazioni raccolte nel corso della stagione stessa e nelle tre precedenti. La valutazione può riguardare una durata più breve in alcuni casi, in particolare se le acque di balneazione sono di nuova individuazione o se, recentemente, si sono verificate modifiche tali da poter modificare la qualità dell'acqua.
In seguito a tale valutazione, le acque sono classificate, conformemente ad alcuni criteri specifici, in quattro livelli di qualità: scarsa, sufficiente, buona o eccellente.
La categoria «sufficiente» è la soglia minima di qualità alla quale devono giungere tutti gli Stati membri entro la fine della stagione 2015.
Nel caso in cui l'acqua venga classificata «scarsa», gli Stati membri devono adottare alcune misure di gestione (in particolare il divieto di balneazione o un avviso che la sconsiglia), devono informare il pubblico e prendere le misure correttive adeguate.
Gli Stati membri sono tenuti, inoltre, a stabilire il profilo delle acque di balneazione, indicando in particolare una descrizione della zona interessata, le eventuali cause di inquinamento e l'ubicazione dei punti di monitoraggio delle acque. Il profilo deve essere predisposto, per la prima volta, entro l'inizio del 2011 e può essere riesaminato in caso di modifica in grado di influire sulle acque.
Si dispone poi un’adeguata procedura di informazione del pubblico in relazione alla classificazione, descrizione delle acque di balneazione e al loro eventuale inquinamento.
Infine, si prevedono una serie di adempimenti di carattere informativo a carico della Commissione europea, nonché un riesame della direttiva nel 2020.
Dal momento del suo recepimento (previsto entro il 24 marzo 2008), la direttiva 2006/7/CE sostituirà la precedente direttiva 76/160/CEE[213] (abrogata con effetto a decorrere dal 31 dicembre 2014).
Si segnala che è attualmente all’esame delle competenti Commissioni parlamentari[214] lo schema di decreto legislativo recante recepimento della direttiva 2006/7/CE, relativa alla gestione della qualità delle acque di balneazione e che abroga la direttiva 76/160/CE (atto n. 93).
Procedure di contenzioso
Il 4 aprile 2006 la Commissione europea ha inviato una lettera di messa in mora[215] all’Italia, e ad altri dieci Stati membri, per avere ripetutamente soppresso zone di balneazione dagli elenchi ufficiali, evitando così di applicare le norme comunitarie a tutela della qualità delle acque, di cui alla direttiva 76/160/CEE.
Secondo la Commissione, esaminando le relazioni annuali sulle acque di balneazione che gli Stati membri hanno presentato nel corso degli anni a norma della citata direttiva 76/160/CEE, risulta che, tra l’inizio degli anni novanta e il 2004, l’Italia ha eliminato dall’elenco delle zone di balneazione controllate, senza alcuna spiegazione, un totale di 1258 siti, tra acque interne e costiere, per una percentuale di soppressioni pari al 18 per cento dei siti totali. La Commissione ha inoltre sollevato obiezioni in merito al mancato monitoraggio da parte dell’Italia della qualità delle acque in 244 siti.
Direttiva 2006/21/CE
(Gestione dei rifiuti delle industrie estrattive)
La direttiva prescrive che gli Stati membri adottino misure per gestire i rifiuti di estrazione al fine di prevenire o ridurre il più possibile eventuali effetti negativi per l'ambiente, in particolare per l'acqua, l'aria, il suolo, la fauna, la flora e il paesaggio, nonché eventuali rischi per la salute umana.
I rifiuti oggetto della direttiva sono quelli provenienti dalle industrie estrattive on shore, vale a dire i rifiuti derivanti dalle attività di prospezione, estrazione (compresa la fase di sviluppo di pre-produzione) trattamento e ammasso di risorse minerali e dallo sfruttamento delle cave (art. 2).
È richiesta la redazione di un piano di gestione dei rifiuti di estrazione per la loro riduzione, trattamento, recupero e smaltimento, nel rispetto del principio dello sviluppo sostenibile (art. 5).
Gli Stati membri dovranno garantire che vengano individuati i rischi di incidenti rilevanti. A tal fine, ciascun operatore di una struttura di deposito dei rifiuti di categoria A[216] dovrà adottare e applicare una politica di prevenzione degli incidenti rilevanti in materia di gestione dei rifiuti di estrazione.
Tale politica dovrebbe comportare la messa in atto di un sistema di gestione della sicurezza, la presentazione di piani di emergenza in caso di incidente e la divulgazione delle informazioni in materia di sicurezza alle persone che possono essere colpite da un incidente rilevante. In caso di incidente, gli operatori dovrebbero essere tenuti a fornire alle autorità competenti tutte le informazioni necessarie per attenuare i danni ambientali effettivi o potenziali (art. 6).
Vista la particolare natura della gestione dei rifiuti derivanti dalle industrie estrattive, è prevista un’autorizzazione speciale per le strutture di depositocui vengono conferiti tali rifiuti, che dovrà essere rilasciata dietro possesso di determinati requisiti e riesaminata periodicamente e aggiornata, ove necessario, dalle autorità competenti (art. 7).
Si prevede, inoltre, un’ampia partecipazione del pubblico ai processi decisionali, attraverso l’informazione sulle domande di autorizzazione per la gestione dei rifiuti e la consultazione prima del rilascio dell'autorizzazione per la gestione dei rifiuti stessi (art. 8).
La direttiva disciplina anche l’utilizzo dei rifiuti per il riempimento dei vuoti di miniera (art. 10) e fornisce indicazioni sulla costruzione e gestione delle strutture di deposito dei rifiuti e sulle procedure per la chiusura di tali strutture e per la fase successiva alla chiusura stessa (artt. 11 e 12).
Viene anche previsto che l’operatore di una struttura per il deposito dei rifiuti delle industrie estrattive presti una garanzia finanziaria o uno strumento equivalente, secondo le procedure che saranno decise dagli Stati membri, per far sì che vengano rispettati tutti gli obblighi risultanti dall'autorizzazione, compresi quelli riguardanti la chiusura della struttura di deposito dei rifiuti e la fase successiva alla chiusura (art. 14).
Gli Stati membri dovranno quindi provvedere affinché le autorità competenti organizzino un sistema efficace di ispezioni o di misure di controllo equivalenti per le strutture di deposito dei rifiuti provenienti dalle industrie estrattive (art. 17), nonché fissare le norme in materia di sanzioni applicabili in caso di violazione delle disposizioni della direttiva, garantendone l'applicazione (art. 19).
In relazione al principio «chi inquina paga», la direttiva inserisce la gestione dei rifiuti delle industrie estrattive tra le attività professionali elencate nell'allegato III della direttiva 2004/35/CE sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale (art. 15)
Gli Stati membri sono tenuti a conformarsi alle disposizioni della direttiva in esame entro il 10 maggio 2008 (art. 25).
Direttiva 2006/23/CE
(Licenza comunitaria dei controllori del traffico aereo)
La direttiva 2006/23 è finalizzata ad aumentare i livelli di sicurezza e migliorare il funzionamento del sistema di controllo del traffico aereo nella Comunità tramite il rilascio di una licenza comunitaria di controllore del traffico aereo.
La direttiva si applica agli allievi controllori del traffico aereo[217] ed ai controllori del traffico aereo, che esercitano la loro attività sotto la responsabilità di fornitori di servizi di navigazione aerea che offrono i loro servizi prevalentemente a movimenti di aeromobili del traffico aereo generale[218] (art. 1, comma 1).
Gli Stati membri istituiscono uno o più organismi, che assumono il ruolo di autorità nazionali di vigilanza. Tali autorità devono essere indipendenti dai fornitori di servizi di navigazione aerea e dalle organizzazioni di addestramento e devono esercitare le proprie competenze in modo imparziale e trasparente (art. 3, commi 1 e 2).
I compiti esercitati dalle autorità nazionali di vigilanza sono:
a) il rilascio e la revoca delle licenze, delle abilitazioni e delle specializzazioni per le quali sono stati completati l'addestramento e la valutazione appropriati;
b) il mantenimento e la sospensione delle abilitazioni e delle specializzazioni;
c) la certificazione delle organizzazioni di addestramento;
d) l'approvazione dei corsi di addestramento, dei programmi di addestramento all'interno dell'unità e dei programmi di competenza di unità;
e) l'autorizzazione degli esaminatori o dei valutatori delle competenze;
f) il controllo e la verifica dei sistemi di addestramento;
g) la predisposizione di adeguati meccanismi di ricorso e di notificazione (art. 14, comma 1).
I servizi di controllo del traffico aereo sono prestati esclusivamente dai titolari di una licenza personale[219] che può essere sospesa - quando sia in dubbio la competenza del controllore del traffico aereo o in caso di negligenza professionale - o revocata in caso di negligenza grave e di abuso (art. 4, commi 1 e 3).
Quanto ai requisiti richiesti ai fini della licenza (art. 5), la direttiva prevede:
Ø per la licenza di allievo controllore del traffico aereo:
· l’età minima di 18 anni;
· la titolarità almeno di un diploma di istruzione secondaria o di un titolo di studio che consenta l'accesso all'università o di un titolo di studio equivalente[220];
· il completamento con esito positivo di un addestramento iniziale approvato[221], pertinente per l'abilitazione e la specializzazione di abilitazione;
· il possesso di un certificato medico in corso di validità[222];
· il possesso di un livello adeguato di competenze linguistiche[223].
Ø per la licenza dei controllori del traffico aereo:
· l’età minima di 21 anni, salvo deroghe in casi debitamente giustificati;
· la titolarità di una licenza di allievo controllore;
· il completamento di un programma approvato di addestramento di unità[224] e il superamento con esito positivo degli opportuni esami;
· il possesso di un certificato medico in corso di validità;
· il possesso di un livello adeguato di competenze linguistiche.
Ø per la specializzazione di istruttore[225] :
· la titolarità di una licenza di controllore del traffico aereo;
· lo svolgimento di servizi di controllo del traffico aereo nell'anno immediatamente precedente o per un periodo di durata superiore stabilita dall'autorità nazionale di vigilanza in considerazione delle abilitazioni e delle specializzazioni per le quali è impartita un'istruzione;
· il completamento con esito positivo di un corso approvato per istruttori addetti all'addestramento operativo durante il quale le necessarie conoscenze e capacità pedagogiche sono state valutate tramite esami adeguati.
Le licenze contengono una o più abilitazioni, in modo da indicare il tipo di servizi che il titolare può fornire[226]. Ogni abilitazione contiene almeno una specializzazione (artt. 6-7).
La specializzazione di unità - valida per un periodo iniziale di 12 mesi, prorogabile per i successivi 12 mesi, nel caso di specifici requisiti del candidato constatati dal fornitore di servizi di navigazione aerea - indica che il titolare della licenza è idoneo a fornire servizi di controllo del traffico aereo per un particolare settore, gruppo di settori o posizioni operative sotto la responsabilità di un'unità di servizi di traffico aereo[227] (art. 10 e art. 11, comma 1).
Ciascuno Stato membro riconosce le licenze, le abilitazioni e le specializzazioni di abilitazione rilasciate dall'autorità nazionale di vigilanza di un altro Stato membro in conformità delle disposizioni della direttiva, nonché le competenze linguistiche ad esse associate e il certificato medico che le accompagna (art. 15, comma 1).
La direttiva prevede che – in considerazione del progresso tecnico e scientifico - la Commissione può adottare modifiche relative alle abilitazioni, alle specializzazioni di abilitazione, alle disposizioni sui certificati medici (articolo 16).
Gli Stati membri stabiliscono le norme relative alle sanzioni - effettive, proporzionate e dissuasive - applicabili in caso di violazione delle disposizioni nazionali adottate a norma della direttiva e prendono tutti i provvedimenti necessari per garantirne l'attuazione (articolo 18).
Il termine di recepimento della direttiva è fissato alla data del 17 maggio 2008, fatta eccezione per le disposizioni relative alle competenze linguistiche, per le quali l’attuazione a livello nazionale deve intervenire entro il 17 maggio 2010 (articolo 20).
Direttiva 2006/24/CE
(Conservazione di dati nella fornitura di servizi di comunicazione elettronica accessibili al pubblico)
La direttiva 2006/24/CE mira ad armonizzare le disposizioni nazionali degli Stati membri riguardo l’obbligo, da parte dei fornitori di servizi di comunicazione elettronica accessibili al pubblico e di reti pubbliche di comunicazione, di conservare alcuni dati da questi generati o trattati, al fine di renderli disponibili in caso di indagine, accertamento e perseguimento di reati gravi, quali definiti dalle norme nazionali di ciascuno Stato.
In deroga alle disposizioni della direttiva 2002/58/CE[228], relative alla riservatezza dei dati, la direttiva 2006/24/CE reca infatti l’obbligo di conservare alcuni dati, di cui specifica espressamente la tipologia. Tali dati sono quelli che consentono di determinare:
§ la fonte e la destinazione di una comunicazione (sia per la telefonia fissa o mobile che per la telefonia via Internet e la posta elettronica);
§ la data e la durata della comunicazione;
§ il tipo di comunicazione (servizio telefonico o servizio Internet utilizzato);
§ il tipo di attrezzatura utilizzata;
§ l’ubicazione delle apparecchiature (in caso di apparecchiature di comunicazione mobile).
Sono inclusi inoltre i dati generati da tentativi di chiamata non riusciti, ossia chiamate collegate con successo ma che non hanno ricevuto risposta.
Non potranno invece essere conservati i dati relativi ai contenuti delle comunicazioni stesse.
Gli Stati membri dovranno inoltre garantire che l’accesso a tali dati sia consentito alle sole autorità nazionali competenti in casi specifici e in conformità con le rispettive norme nazionali.
La direttiva stabilisce inoltre che i suddetti dati debbano essere conservati per un periodo non inferiore a sei mesi e non superiore ai due anni dalla data di comunicazione. Tale termine massimo può essere prorogato qualora uno Stato membro debba fronteggiare particolari circostanze che giustifichino l’adozione delle necessarie misure di proroga.
Gli Stati membri dovranno garantire la sicurezza e la protezione dei dati conservati (evitando ad esempio distruzione accidentale e alterazione degli stessi), designando a tal fine una o più autorità di controllo.
Essi dovranno inoltre provvedere affinché si applichino alla presente direttiva le norme nazionali di attuazione della direttiva 95/46/CE[229], riguardanti i ricorsi giurisdizionali, le responsabilità e le sanzioni. Per quanto concerne queste ultime, dovranno assicurare che qualsiasi accesso ai dati o trasferimento degli stessi non autorizzati siano passibili di sanzioni, amministrative o penali.
La presente direttiva sarà riesaminata dalla Commissione europea entro il 15 settembre 2010, sulla base anche delle statistiche trasmesse dagli Stati membri.
Il termine per il recepimento della direttiva è il 15 settembre 2007, con possibilità di proroga fino al 15 marzo 2009, per quanto concerne la conservazione dei dati riguardanti l’accesso a Internet, la telefonia via Internet e la posta elettronica.
Direttiva 2006/25/CE
(Esposizione dei lavoratori ai rischi derivanti dalle radiazioni ottiche artificiali)
La direttiva 2006/25/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 aprile 2006, reca le prescrizioni minime di sicurezza e di salute relative all’esposizione dei lavoratori ai rischi derivanti dagli agenti fisici (radiazioni ottiche artificiali).
Nel considerandum 4 si legge che la direttiva è volta ad introdurre misure di protezione contro i rischi da radiazioni ottiche, in particolare per gli occhi e la cute. Le misure sono dirette, oltre che a tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori, anche a creare una disciplina di protezione uniforme per evitare fenomeni di dumping sociale.
E’ opportuno evidenziare, inoltre, che la direttiva (considerandum 6) provvede a stabilire i soli requisiti minimi, lasciando agli Stati membri la facoltà di mantenere o di introdurre disposizioni più rigide per la protezione dei lavoratori, in particolare prevedendo valori limite di esposizione inferiori.
Ai sensi dell’articolo 14, gli Stati membri devono conformarsi alla richiamata direttiva anteriormente al 27 aprile 2010.
La direttiva 2006/25/CE è la diciannovesima direttiva particolare emanata ai sensi dell’articolo 16, paragrafo 1, della direttiva 89/391/CEE del Consiglio, del 12 giugno 1989, concernente l'attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori durante il lavoro (cd. “direttiva madre”).
Più in dettaglio, la direttiva 2006/25/CE si inserisce in un ampio filone normativo comunitario dedicato alla salute e sicurezza dei lavoratori, che si è articolato in due gruppi di direttive, ciascuno costituito da una direttiva di carattere generale, cosiddetta “direttiva-madre”, e da altre direttive, da questa derivate, di carattere più specifico.
Il primo gruppo origina dalla direttiva 80/1107/CEE del 22 novembre 1980, in materia di protezione dagli agenti chimici, fisici e biologici; da tale direttiva sono discese altre relative alla protezione dei lavoratori, rispettivamente, dal piombo metallico, dall’amianto e dai rumori. Tutte queste direttive sono state recepite nell’ordinamento italiano con il decreto legislativo 15 agosto 1991, n. 277[230].
Il secondo gruppo origina dalla direttiva 89/391/CEE del 12 giugno 1989, di ampia portata, che definisce il quadro delle condizioni minime necessarie per garantire l’adeguato livello di sicurezza e di tutela della salute dei lavoratori. Tale direttiva, insieme a 7 delle “direttive particolari”, è stata recepita nell’ordinamento italiano con il decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, poi più volte aggiornato, anche in relazione ad aspetti specifici[231].
Pertanto, il quadro normativo nazionale in materia di salute e sicurezza dei lavoratori è caratterizzato da un'integrazione tra previgente diritto interno e disciplina di origine comunitaria in un nuovo assetto che, definito nelle sue linee essenziali nella prima parte degli anni Novanta, ha conosciuto nel corso degli anni successivi un progressivo completamento.
L'impatto della disciplina comunitaria, con particolare forza a seguito dell'introduzione nel Trattato dell'Unione europea dell'articolo 118-A[232] (attuale articolo 137), ha portato ad una profonda trasformazione della normativa applicabile alle diverse attività produttive e della sua ispirazione di fondo, con l'emergere in primo piano di una logica basata sulla prevenzione degli infortuni (piuttosto che sulla tutela risarcitoria del lavoratore), che si esplica attraverso un'attività informativa e formativa cui i lavoratori e gli imprenditori sono chiamati a partecipare e collaborare attivamente.
La direttiva in esame è rivolta soprattutto ai rischi per la salute e la sicurezza dei lavoratori dovuti agli effetti nocivi sugli occhi e sulla cute derivanti appunto dall'esposizione alle radiazioni ottiche artificiali (articolo 1, paragrafo 2).
Per “radiazioni ottiche” si intendono, ai sensi dell’articolo 2, paragrafo unico, lettera a), tutte le radiazioni elettromagnetiche nella gamma di lunghezze d'onda comprese tra 100 nm e 1 mm. Lo spettro delle radiazioni ottiche si suddivide ulteriormente in radiazioni ultraviolette, radiazioni visibili e radiazioni infrarosse (tecnicamente definite nello stesso articolo).
Per “radiazioni laser” invece si intendono, ai sensi dell’articolo 2, paragrafo unico, lettera b), le radiazioni emesse da un “laser” (amplificazione di luce mediante emissione stimolata di radiazione), cioè da qualsiasi dispositivo al quale si possano far produrre o amplificare le radiazioni elettromagnetiche nella gamma di lunghezze d'onda delle radiazioni ottiche, soprattutto mediante il processo di emissione stimolata controllata.
In relazione a ciò, vengono fissati specifici valori limite di esposizione alle radiazioni emesse da sorgenti naturali, riportati nell’allegato I, nonché i nuovi valori limite di esposizione alle radiazioni laser riportati nell’allegato II (articolo 3).
La direttiva, inoltre, come consuetudine nelle “direttive particolari” della direttiva 89/391/CEE, dispone una serie di adempimenti a carico dei datori di lavoro, comprendenti:
§ l’identificazione dell’esposizione e la valutazione dei rischi. Il datore di lavoro, nell’assolvere agli obblighi relativi alla valutazione dei rischi e all’adozione delle opportune iniziative di prevenzione, deve specificamente introdurre le misure necessarie per ridurre l’esposizione alle radiazioni ottiche entro i limiti previsti (articolo 4);
§ gli obblighi relativi all’eliminazione o alla riduzione dei rischi medesimi, basate in primo luogo sui principi generali di prevenzione di cui alla “direttiva madre”. Se la valutazione dei rischi evidenzia che possono essere superati i valori limite di esposizione, il datore di lavoro deve adottare apposte misure tecniche e organizzative per evitare il superamento dei valori limite. E’ necessario inoltre predisporre un’apposita segnaletica per indicare i luoghi dove i lavoratori potrebbero essere esposti in misura superiore ai limiti (articolo 5);
§ obblighi in merito all’informazione e formazione dei lavoratori in relazione al risultato della valutazione dei rischi (articolo 6), nonché alla consultazione e partecipazione dei lavoratori e/o dei loro rappresentanti, secondo le modalità di cui all’articolo 11 della “direttiva madre”, sui rischi considerati dalla direttiva in esame (articolo 7).
E’ inoltre prevista la realizzazione di un’adeguata sorveglianza sanitaria (articolo 8) per prevenire rischi a lungo termine sulla salute derivanti dall’esposizione a radiazioni ottiche. La sorveglianza sanitaria deve essere effettuata da un medico, da uno specialista di medicina del lavoro o da altra autorità medica; per ogni lavoratore deve essere tenuta un’apposita documentazione sanitaria contenente i risultati della sorveglianza. Sono inoltre previste garanzie per il lavoratore nel caso sia scoperta una esposizione superiore ai limiti, tra cui l’effettuazione di una visita medica ad hoc.
Ai fini dell’effettività della tutela dei lavoratori, è previsto che gli Stati membri predispongano un congruo apparato sanzionatorio (articolo 9).
Infine, si prevede la possibilità in ambito comunitario di modificare i valori limite di esposizione (articolo 10), in caso di adozione di nuove direttive in materia di attrezzature e luoghi di lavoro o in caso di progresso tecnico.
Direttiva 2006/32/CE
(Usi finali dell’energia e dei servizi energetici)
La direttiva 2006/32/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 5 aprile 2006, è volta ad accrescere l'uso efficiente ed efficace dell'energia nell'Unione europea, nonché a favorire misure per l'efficienza energetica e a promuovere il mercato dei servizi energetici, fissando un quadro di riferimento composto da definizioni, strumenti, obiettivi metodologici e obblighi comuni, sia per il settore pubblico che per quello privato.
Come si osserva nel secondo considerandum della direttiva, più del 78% delle emissioni di gas ad effetto sera della Comunità europea derivano da attività umane svolte nel settore energetico; il miglioramento dell’efficienza degli usi finali dell'energia, il controllo della domanda e la promozione della produzione di energia rinnovabile potranno contribuire anche alla riduzione del consumo di energia primaria, alla riduzione delle emissioni di CO2 e di altri gas ad effetto serra e quindi alla prevenzione di un pericoloso cambiamento climatico.
In particolare, la direttiva 2006/32/CE si prefigge lo scopo di rafforzare il miglioramento dell’efficienza energetica:
§ fornendo gli obiettivi indicativi, i meccanismi, gli incentivi e il quadro istituzionale, finanziario e giuridico necessario ad eliminare le barriere e le imperfezioni esistenti sul mercato che ostacolano un efficiente uso finale dell'energia;
§ creando le condizioni per lo sviluppo e la promozione di un mercato dei servizi energetici e la fornitura di altre misure di miglioramento dell'efficienza energetica agli utenti finali.
Nel campo di applicazione della direttiva rientrano:
§ i fornitori di misure volte ad assicurare il miglioramento dell’efficienza energetica, distributori di energia, gestori di sistemi di distribuzione e società di vendita al dettaglio (possono essere esclusi, a discrezione dei singoli Stati, i soggetti più piccoli tra quelli suindicati);
§ i clienti finali;
§ le forze armate (solo se l’applicazione della direttiva non contrasta con gli obiettivi primari della loro attività).
La direttiva fissa per i Singoli stati membri un obiettivo nazionale indicativo globale di risparmio energetico pari al 9% per il nono anno di applicazione della direttiva stessa, da conseguire tramite servizi energetici ed altre misure di miglioramento dell'efficienza energetica.
Per il conseguimento di tale obiettivo gli Stati membri dovranno adottare “misure efficaci sotto il profilo costi-benefici, praticabili e ragionevoli”.
Il metodo di definizione e di calcolo degli obiettivi nazionali di risparmio è indicato negli allegati della direttiva che riporta anche alcuni esempi di misure di miglioramento dell'efficienza energetica.
Il risparmio energetico nazionale a fronte dell'obiettivo nazionale indicativo “è misurato a partire dal 2008”.
Agli Stati membri è demandata, altresì, l’adozione di piani pluriennali in materia di efficienza energetica (PAEE) volti ad indicare chiaramente gli obiettivi intermedi e la strategia per realizzarli. Gli obiettivi intermedi dovranno essere realistici e coerenti con l'obiettivo nazionale indicativo globale di risparmio energetico e saranno valutati dalla Commissione, che potrà suggerire nuove misure se i progressi saranno ritenuti insufficienti.
Un primo PAEE dovrà essere presentato entro il 30 giugno 2007, il secondo entro il 30 giugno 2011, il terzo entro il 30 giugno 2014.
La direttiva prevede, inoltre, l’istituzione di autorità o agenzie incaricate di verificare il risparmio energetico risultante dai servizi energetici e dalle misure di miglioramento dell’efficienza energetica.
A tal fine, gli Stati membri dovranno assicurare che nell’ambito di tale settore siano adottate misure di miglioramento dell'efficienza energetica, privilegiando quelle efficaci sotto il profilo costi-benefici «che generano il maggior risparmio energetico nel minor lasso di tempo». Tali misure saranno adottate a livello nazionale, regionale e/o locale, sotto forma di iniziative legislative e/o accordi volontari o altri strumenti di effetto equivalente.
Con riferimento all’attività dei distributori di energia, dei gestori del sistema di distribuzione e delle società di vendita di energia al dettaglio gli Stati membri sono tenuti a:
§ selezionare alcuni obblighi da porre in capo ai suddetti soggetti come, ad esempio, garantire al cliente servizi energetici competitivi sotto il profilo dei prezzi, ovvero garantire la disponibilità e la promozione per il cliente finale di diagnosi energetiche, ovvero prevedere fondi e meccanismi di finanziamento previsti dalla direttiva;
§ assicurare l’esistenza e conclusione di accordi volontari e/o altri strumenti orientati al mercato (es. certificati bianchi).
Da parte degli Stati membri dovranno essere, altresì, previsti condizioni e incentivi adeguati affinché gli operatori del mercato forniscano agli utenti finali informazioni e consulenza sull'efficienza degli usi finali dell'energia.
La Commissione, inoltre, dovrà garantire che le informazioni sulle migliori prassi in materia di risparmio energetico negli Stati membri siano scambiate e ampiamente diffuse.
Tra le ulteriori disposizioni contenute nella direttiva si segnalano quelle relative:
§ alla disponibilità di sistemi di qualificazione, accreditamento e certificazione;
§ ai fondi ed ai meccanismi di finanziamento per sovvenzionare la fornitura di programmi di miglioramento dell’efficienza energetica e per promuovere lo sviluppo di mercato di dette misure;
§ alla questione della diagnosi energetica. A tale proposito gli Stati membri assicurano la disponibilità di sistemi di diagnosi energetica efficaci e di alta qualità destinati a individuare eventuali misure di miglioramento dell'efficienza energetica applicate in modo indipendente a tutti i consumatori finali, compresi i clienti di piccole dimensioni nel settore civile, commerciale e le piccole e medie imprese;
§ alla misurazione e fatturazione informativa del consumo energetico. Gli Stati dovranno provvedere per quanto possibile affinché i clienti finali di energia elettrica, gas naturale, teleriscaldamento e/o raffreddamento e acqua calda per uso domestico ricevano a prezzi concorrenziali contatori individuali che riflettano con precisione il loro consumo effettivo e forniscano informazioni sul tempo effettivo d'uso.
Entro due anni dall'entrata in vigore della direttiva, la Commissione pubblicherà una valutazione d'impatto sui costi/benefici «al fine di esaminare i nessi esistenti tra le norme, le regole e le politiche dell'UE e le misure in materia di efficienza degli usi finali di energia».
La direttiva è entrata in vigore il 17 maggio 2006.
Gli Stati membri dovranno recepire la direttiva entro il 17 maggio 2008, ad eccezione delle disposizioni dell’art. 14 relativo alla trasmissione dei PAEE, che dovevano essere attuate entro il 17 maggio 2006.
Direttiva 2006/38/CE
(Tassazione a carico di autoveicoli pesanti)
La direttiva 2006/38 modifica la direttiva 1999/62/CE relativa alla tassazione a carico di autoveicoli pesanti adibiti al trasporto di merci su strada per l’uso di alcune infrastrutture.
In particolare, la direttiva inserisce quali elementi della determinazione dei pedaggi i “costi di costruzione”[233] e i “costi di finanziamento”[234].
Con riferimento ai pedaggi[235] e ai diritti di utenza[236], la direttiva in esame modifica l’articolo 7 della direttiva 1999/62/CE. A seguito della modifica:
Ø i pedaggi e i diritti di utenza si applicano a tutti gli autoveicoli a partire dal 2012;
Ø gli Stati membri possono conservare o introdurre pedaggi e/o diritti di utenza sulla rete stradale transeuropea o su parte di essa solo alle condizioni indicate dalla direttiva. Resta comunque impregiudicato il diritto degli Stati membri, nel rispetto del Trattato, di applicare pedaggi e/o diritti di utenza a strade che non fanno parte della rete stradale transeuropea, anche a strade parallele sulle quali possa essere deviato il traffico dalla rete stradale transeuropea e/o che sono in concorrenza diretta con alcune parti di tale rete o ad altri tipi di veicoli a motore che non rientrano nella definizione di "autoveicolo" sulla rete stradale transeuropea, a condizione che l'imposizione di pedaggi e/o diritti di utenza su tali strade non risulti discriminatoria nei confronti del traffico internazionale e non provochi distorsioni della concorrenza tra operatori;
Ø qualora uno Stato membro decida di mantenere o introdurre pedaggi e/o diritti d'utenza soltanto su alcuni tratti della rete stradale transeuropea, e non su altri, le esenzioni che ne derivano per le altre parti (per ragioni quali il loro isolamento o i bassi livelli di congestione o di inquinamento, oppure qualora siano essenziali per l'introduzione di nuovi sistemi di pedaggio) non comportano alcuna discriminazione nei confronti del traffico internazionale;
Ø i pedaggi e i diritti d'utenza sono applicati senza alcuna discriminazione diretta o indiretta, fondata sulla cittadinanza del trasportatore, sul paese o luogo di stabilimento del trasportatore o di immatricolazione dell'autoveicolo, oppure sull'origine o la destinazione dell'operazione di trasporto;
Ø gli sconti o riduzioni sul pedaggio per utenti abituali non devono comunque causare distorsioni di concorrenza nel mercato interno e non devono comportare costi aggiuntivi trasferiti ad altri utenti sotto forma di pedaggi più elevati;
Ø i pedaggi si fondano sul principio del recupero dei soli costi d'infrastruttura. In particolare i pedaggi medi ponderati[237] sono in funzione dei costi di costruzione, nonché dei costi di esercizio, manutenzione e sviluppo della rete di infrastrutture di cui trattasi, e possono comprendere anche la remunerazione del capitale o un margine di profitto in base alle condizioni di mercato;
Ø fatti salvi i pedaggi medi ponderati, gli Stati membri hanno la facoltà di differenziare le aliquote dei pedaggi riscossi, al fine, fra l'altro, di lottare contro i danni ambientali e la congestione, ridurre al minimo i danni alle infrastrutture, ottimizzare l'uso dell'infrastruttura interessata o promuovere la sicurezza stradale, a condizione che la differenziazione:
- sia proporzionale all'obiettivo perseguito,
- sia trasparente e non discriminatoria;
- non sia finalizzata a generare ulteriori introiti da pedaggio (tali da comportare pedaggi medi ponderati non conformi);
- rispetti le soglie di massima flessibilità;
Ø in casi eccezionali, riguardanti infrastrutture situate in regioni montane e previa comunicazione alla Commissione, è possibile applicare una maggiorazione ai pedaggi per specifici tratti stradali:
a) che soffrono di un'acuta congestione che ostacola la libera circolazione degli autoveicoli; o
b) il cui utilizzo da parte degli autoveicoli causa significativi danni ambientali.
La direttiva 2006/38/CE inserisce nella direttiva 1999/62/CE l’articolo 7-bis ai sensi del quale, per garantire un'applicazione coerente e armonizzata del sistema di tariffazione delle infrastrutture, i nuovi sistemi di pedaggio devono calcolare i costi sulla base della serie di principi fondamentali di cui all'allegato, o collocarsi su livelli non superiori a quelli che risulterebbero dall'applicazione di siffatti principi. Tali requisiti non si applicano a sistemi esistenti alla data del 10 giugno 2008 a meno che questi non siano modificati in maniera sostanziale in futuro. Per garantire la trasparenza senza creare ostacoli al funzionamento dell'economia di mercato nonché ai partenariati pubblici-privati, gli Stati membri comunicano alla Commissione, per consentirle di formulare un parere, i valori unitari e gli altri parametri che prevedono di applicare per il calcolo dei vari elementi del costo dei pedaggi oppure, nel caso di contratti in concessione, il contratto pertinente e lo scenario di base. I pareri adottati dalla Commissione prima dell'introduzione di nuovi sistemi di pedaggio negli Stati membri lasciano del tutto impregiudicato – come precisato nelle premesse della direttiva in esame – l'obbligo della Commissione, sancito dal trattato, di garantire l'applicazione del diritto comunitario.
Ai sensi del nuovo articolo 8-bis, due o più Stati membri possono cooperare ai fini dell'introduzione di un sistema comune di diritti d'utenza applicabile all'insieme dei loro territori. Tali Stati membri associano strettamente la Commissione alla preparazione di detto sistema, nonché al suo successivo funzionamento e alle sue eventuali modifiche.
La direttiva prevede, inoltre, che:
§ gli Stati membri pongano in essere gli adeguati controlli e determinino le sanzioni – che devono essere effettive, proporzionate e dissuasive - applicabili alle violazioni delle disposizioni nazionali adottate in applicazione della presente direttiva e adottino tutte le misure necessarie per garantirne l'attuazione (art. 9-bis);
§ la Commissione favorisca il dialogo e lo scambio di knowhow tecnico tra gli Stati membri con riguardo all'attuazione della direttiva (art. 9-ter);
§ la Commissione sia assistita da un comitato (art. 9-quater);
§ la Commissione presenti al Parlamento europeo e al Consiglio una relazione sull'attuazione e sugli effetti della direttiva, entro il 10 giugno 2011, tenendo conto degli sviluppi in campo tecnologico e dell'evoluzione della densità della circolazione, compreso l'uso di autoveicoli di più di 3,5 e di meno di 12 tonnellate, e valutando il relativo impatto sul mercato interno, anche nelle regioni insulari, prive di sbocchi al mare e periferiche della Comunità, i livelli di investimento nel settore e il contributo al raggiungimento degli obiettivi di una politica dei trasporti sostenibile[238].
Il termine per il recepimento della direttiva è fissato al 1° giugno 2008.
Direttiva 2006/42/CE
(Nuova direttiva macchine)
La Direttiva 2006/42/CE del Parlamento e del Consiglio, del 17 maggio 2006, già ridenominata "nuova direttiva macchine",è volta alla determinazione dei requisiti essenziali di sicurezza e di tutela della salute che devono essere rispettati nella progettazione e nella fabbricazione delle macchine immesse sul mercato, al fine di migliorarne il livello di sicurezza.
La direttiva in esame sostituisce la direttiva 98/37CE, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative alle macchine – che viene pertanto abrogata – ed, inoltre, modifica la direttiva 95/16/CE relativa agli ascensori da cantieri per il trasporto di persone o cose.
La necessità di una nuova direttiva in materia è dovuta, innanzitutto, a motivi di chiarezza in quanto il settore delle macchine costituisce una parte importante del settore della meccanica ed è uno dei pilastri industriali dell’economia comunitaria. Il costo sociale dovuto all’alto numero di infortuni provocati direttamente dall’ utilizzazione delle macchine può essere ridotto integrando la sicurezza nella progettazione e nella costruzione stessa delle macchine nonché effettuando una corretta installazione e manutenzione.
Nel campo di applicazione della direttiva 2006/42/CE rientrano:
§ macchine;
§ attrezzature intercambiabili;
§ componenti di sicurezza;
§ accessori di sollevamento;
§ catene, funi e cinghie;
§ dispositivi amovibili di trasmissione meccanica;
§ quasi-macchine (il concetto di quasi-macchina costituisce una delle novità della direttiva).
Ai requisiti essenziali di sicurezza e di tutela della persona di portata generale definiti dalla direttiva si aggiungono ulteriori requisiti più specifici per talune categorie di macchine.
Gli Stati membri devono assumersi la responsabilità di assicurare sul loro territorio un’applicazione efficace della nuova “direttiva macchine” e garantire un’effettiva sorveglianza del mercato, tenendo conto degli orientamenti elaborati dalla Commissione europea, ai fini di un’applicazione corretta e uniforme della direttiva. Ad essi spetta anche la nomina e l’istituzione di autorità competenti per il controllo della conformità delle macchine.
Ai fabbricanti è lasciata la responsabilità di attestare la conformità delle macchine alla direttiva, ai fini della loro immissione sul mercato o in servizio. A loro compete, altresì, l’apposizione della marcatura CE riconosciuta come l’unica che garantisca la conformità della macchina ai requisiti fissati dalla direttiva, cui si accompagna la dichiarazione CE di conformità.
Le macchine provviste di marcatura CE devono rispettare le prescrizioni della Direttiva 2006/42/CE e non possono essere oggetto di limitazioni od ostacoli alla loro libera circolazione sul mercato europeo, ferma restando la clausola di salvaguardia in base alla quale uno Stato che constati la pericolosità di una macchina - seppure provvista di marcatura CE - può inibirne l'utilizzo.
E’ prevista anche una procedura di contestazione di una norma armonizzata che si ritenga non soddisfi i requisiti di sicurezza e tutela della salute cui fa riferimento.
Spetta agli Stati stabilire le sanzioni in caso di violazione delle disposizioni.
La direttiva è entrata in vigore il 29 giugno 2006.
Gli Stati membri dovranno recepire la direttiva nel proprio ordinamento prima del 29 giugno 2008, attraverso proprie disposizioni legislative, regolamentari e amministrative. Tali disposizioni entreranno in vigore il 29 dicembre 2009.
Direttiva 2006/48/CE
(Attività degli enti creditizi)
La direttiva 2006/48/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 giugno 2006, concerne l’accesso all’attività degli enti creditizi e il suo esercizio.
La direttiva costituisce rifusione della direttiva 2000/12/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 marzo 2000, concernente la medesima materia, che era stata modificata e integrata da successivi interventi del legislatore comunitario (la direttiva 2000/28/CE, la direttiva 2002/28/CE, la direttiva 2004/39/CE e, da ultimo, la direttiva 2005/1/CE).
Nelle premesse della direttiva (considerandum 37) è richiamato l’accordo quadro raggiunto dal Comitato di Basilea per la vigilanza bancaria il 26 giugno 2004 sulla convergenza internazionale della misurazione del capitale e dei requisiti patrimoniali. Si precisa, in proposito, che le disposizioni della direttiva riguardanti i requisiti patrimoniali minimi degli enti creditizi costituiscono l’equivalente delle disposizioni dell’accordo quadro del Comitato di Basilea.
Come si vedrà meglio di seguito, le principali innovazioni introdotte dalla direttiva concernono proprio la materia della definizione dei fondi propri delle banche, in conseguenza del citato accordo di Basilea 2.
Il Comitato di Basilea per la vigilanza bancaria[239] ha negli ultimi anni affrontato il tema della regolamentazione dell’adeguatezza patrimoniale degli enti creditizi, proseguendo i lavori sulla revisione dell’Accordo sul capitale delle banche che costituisce, per le autorità, la base per la modifica delle normative nazionali e, per gli intermediari, il riferimento per adeguare processi e strutture aziendali.
In quest’ambito, nel giugno 2004, è stato raggiunto il nuovo Accordo sul capitale. L’11 ottobre 2005 è stata approvata la corrispondente proposta di direttiva europea, la quale stabilisce che a partire dal 2007 le nuove regole si applicheranno alle banche e alle imprese di investimento che operano nei Paesi dell’Unione. Entro la fine del 2006, gli Stati membri sono tenuti a introdurre la regolamentazione nazionale necessaria per dare applicazione alla nuova normativa.
La nuova disciplina prevede modalità di calcolo dei requisiti patrimoniali a fronte del rischio di credito secondo il metodo fondato sui rating interni.
L’applicazione della disciplina presuppone un elevato grado di convergenza dei criteri operativi e di cooperazione tra autorità, posto che le regole sui requisiti minimi di capitale (primo pilastro) e sul processo di controllo prudenziale (secondo pilastro) dovranno essere applicate sia su base consolidata, sia alle filiazioni presenti in ciascun paese; sarà inoltre necessario un più stretto coordinamento riguardo all’informazione al pubblico da richiedere alle banche (terzo pilastro).
Per quanto concerne, in particolare, il primo pilastro, l’accordo interviene sul metodo standardizzato per il calcolo dei requisiti patrimoniali minimi a fronte del rischio di credito; sul metodo dei rating interni per il calcolo dei requisiti patrimoniali minimi a fronte del rischio di credito; sul trattamento prudenziale delle tecniche per la riduzione del rischio di credito e delle cartolarizzazioni; sul calcolo dei requisiti patrimoniali minimi a fronte del rischio operativo.
Viene richiamato inoltre (consideranda 64 e 65) il ruolo che nella regolamentazione del settore spetta alla c.d. procedura Lamfalussy, e in particolare, al Comitato per i servizi finanziari istituito nel 2002.
Sulla base del mandato ricevuto dal Consiglio Ecofin nel maggio 2002, il Comitato economico e finanziario[240] ha redatto un rapporto che propone modifiche in materia di regolamentazione, vigilanza e stabilità finanziaria nell’Unione europea (c.d. procedura Lamfalussy); il rapporto è stato approvato dal Consiglio Ecofin del 3 dicembre 2002.
Lo schema di regolamentazione si articola in quattro diversi livelli.
Il primo livello riguarda l’elaborazione della legislazione primaria. Come previsto dal Trattato CE, la Commissione elabora le proposte di regolamento e di direttiva, che si limitano a stabilire i principi generali della regolamentazione.
Al secondo livello è demandata la predisposizione della normativa secondaria per l’attuazione delle disposizioni di primo livello. Al riguardo, è previsto un più ampio ricorso alla “procedura di comitologia”, che trova il suo fondamento nell’articolo 202 del Trattato CE, secondo la quale la Commissione elabora la regolamentazione secondaria con l’assistenza di comitati distinti per i settori bancario, mobiliare e assicurativo, formati da rappresentanti dei Ministeri dell’economia e delle finanze.
Il terzo livello vede l’intervento di comitati tecnici, ai quali spetta, da un lato, una funzione di consulenza nei confronti della Commissione per l’elaborazione delle proposte legislative e regolamentari in materia di servizi finanziari; dall’altro, una funzione di coordinamento delle autorità nazionali ai fini del recepimento nei rispettivi ordinamenti della disciplina comunitaria e per l’esercizio della vigilanza.
L’attività di quarto livello è dedicata alla verifica dell’attuazione della regolamentazione comunitaria. Vengono rafforzati i poteri della Commissione, che controlla l’osservanza della normativa da parte degli Stati membri e promuove l’azione legale nei confronti di quelli inadempienti.
Il Consiglio Ecofin ha infine istituito il Comitato per i servizi finanziari, composto da rappresentanti dei Ministri dell’economia e delle finanze, con il compito di assistere il Consiglio nella definizione della strategia di lungo termine per il settore dei servizi finanziari in Europa, nell’analisi dei rischi immediati per i mercati finanziari (come il finanziamento del terrorismo) e nel controllo sull’attuazione della strategia stessa, senza tuttavia interferire con il processo legislativo.
La direttiva riproduce in gran parte la disciplina preesistente. Tra le principali innovazioni si segnalano:
§ all’articolo 4, l’inserimento della definizione di alcune fattispecie (tra queste: “ente creditizio impresa madre in uno Stato membro”; “società di partecipazione finanziaria madre in uno Stato membro”; “ente creditizio impresa madre nell’UE”; “società di partecipazione finanziaria madre nell’UE”; “enti del settore pubblico”; “banche centrali”; “rischio di diluizione”; “probabilità di inadempimento”; “cartolarizzazione”, “segmento”; “società veicolo di cartolarizzazione”);
§ all’articolo 22, la più precisa definizione dei requisiti di governo interno che le autorità nazionali competenti devono esigere per gli enti creditizi (chiara struttura organizzativa con linee di responsabilità ben definite, trasparenti e coerenti; processi efficaci per l’identificazione, la gestione, la sorveglianza e la segnalazione dei rischi; adeguati meccanismi di controllo interno);
§ all’articolo 25, paragrafo 3, la previsione della comunicazione all’autorità competente dello Stato membro ospitante, da parte dell’autorità competente dello Stato membro d’origine, dell’ammontare dei fondi propri dell’ente finanziario, filiazione di uno o più enti creditizi, che stabilisca una succursale od operi in regime di libera prestazione di servizi in altro Stato dell’Unione, nonché dell’importo dei fondi propri consolidati e dei requisiti patrimoniali consolidati dell’ente creditizio che ne costituisce l’impresa madre;
§ all’articolo 41, la previsione di un futuro ulteriore coordinamento in materia di vigilanza prudenziale sulla liquidità della succursale dell’ente creditizio;
§ all’articolo 57, un’ulteriore definizione degli elementi che costituiscono fondi propri non consolidati di un ente creditizio;
§ all’articolo 62, l’inserimento della previsione di una relazione da trasmettere alla Commissione sui progressi realizzati nella convergenza verso una definizione comune di fondi propri. Si prevede altresì che, entro il 1° gennaio 2009, la Commissione presenti, se del caso, al Parlamento europeo e al Consiglio una proposta di modifica della presente sezione;
§ all’articolo 63, paragrafo 3, l’esclusione di determinate tipologie di rettifiche di valore e di accantonamenti dai fondi propri;
§ all’articolo 64, paragrafo 4, l’esclusione dai fondi propri delle riserve di valore equo relative ai profitti e alle perdite generati dalla copertura dei flussi finanziari degli strumenti finanziari valutati al costo ammortizzato, nonché dei profitti e delle perdite sulle loro passività valutati al valore equo dovuti all’evoluzione del loro proprio merito di credito;
La direttiva 2001/65/CE ha introdotto nella disciplina dei bilanci societari la nozione di valore equo (fair value) per la valutazione degli strumenti finanziari, che comporta la loro iscrizione al “valore di mercato” invece che sulla base del costo storico, ritenuto più adatto a esprimere continuità ma meno efficace nel segnalare, esercizio per esercizio, la reale consistenza dell’impresa e i suoi risultati. La direttiva è stata recepita nell’ordinamento italiano con il decreto legislativo 30 dicembre 2003, n. 394.
§ all’articolo 74, la previsione della valutazione delle attività e delle voci fuori bilancio conformemente al regolamento CE n. 1606 del 2002;
§ all’articolo 75, la previsione dell’obbligo che i fondi propri siano in ogni momento pari o superiori alla somma di determinati requisiti patrimoniali;
§ all’articolo 78, la determinazione di un metodo standardizzato per la determinazione del valore dell’esposizione di una voce fuori bilancio;
§ la facoltà, concessa dall’articolo 84 alle autorità competenti di uno Stato membro, di autorizzare gli enti creditizi a calcolare gli importi delle esposizioni ponderati per il rischio utilizzando il metodo basato sui rating interni;
§ l’integrazione delle disposizioni in materia di grandi fidi bancari di cui agli articoli 106-118;
§ all’articolo 119, la previsione della presentazione di una relazione, da parte della Commissione al Parlamento europeo, sul funzionamento delle disposizioni in materia di grandi fidi.
Il termine per il recepimento della direttiva è fissato al 31 dicembre 2006; è previsto però che l’applicazione delle disposizioni di attuazione riferite a specifiche previsioni della direttiva in materia di possibilità concessa agli enti creditizi di utilizzare stime interne delle perdite (articolo 87, paragrafo 9) e metodi avanzati di misurazione basati su propri sistemi di misurazione (articolo 105) avvenga a partire dal 1° gennaio 2008.
La direttiva 2006/48/CE (così come la direttiva 2006/49/CE, cfr. ultra) è già stata recepita nell’ordinamento interno con il decreto legge 27 dicembre 2006, n. 297[241], convertito, con modificazioni, dalla legge 23 febbraio 2007, n. 15, che ha modificato i testi unici bancario e dell’intermediazione finanziaria emanati, rispettivamente, con i decreti legislativi 1° settembre 1993, n. 385, e 24 febbraio 1998, n. 58, demandando i compiti di attuazione alla regolamentazione secondaria emanata dalle competenti autorità di vigilanza.
L’articolo 1 del decreto legge modifica il citato testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia (TUB) con particolare riguardo all’esercizio delle funzioni di vigilanza sulle banche, sugli istituti di moneta elettronica e sui gruppi bancari, nonché all’attuazione delle misure derivanti dall’accordo di Basilea sulla convergenza internazionale della misurazione del capitale e dei requisiti patrimoniali per la vigilanza bancaria (cosiddetto accordo di Basilea II).
L’articolo 2 del d.l. n. 297/2006 novella il testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria (TUF) inserendo fra le materie soggette alla disciplina regolamentare emanata dalla Banca d’Italia, d’intesa con la Commissione nazionale per le società e la borsa (CONSOB), l'informativa da rendere al pubblico sull’adeguatezza patrimoniale dell’intermediario finanziario, sul contenimento del rischio, sulle partecipazioni da esso detenute e sulla sua organizzazione interna. Inoltre viene stabiliito che, con le stesse disposizioni regolamentari, debba essere prevista per i soggetti abilitati la possibilità di adottare sistemi interni di misurazione dei rischi per la determinazione dei requisiti patrimoniali, subordinati alla previa autorizzazione della Banca d'Italia, nonché di utilizzare valutazioni del rischio di credito rilasciate da società o enti esterni.
Per quanto concerne i poteri d’intervento delle autorità di vigilanza sui soggetti abilitati viene aggiunta la previsione secondo cui la Banca d’Italia può adottare, ove la situazione lo richieda, provvedimenti restrittivi o limitativi concernenti i servizi, le attività, le operazioni e la struttura territoriale, nonché vietare la distribuzione di utili o di altri elementi del patrimonio.
Direttiva 2006/49/CE
(Adeguatezza patrimoniale delle imprese di investimento e degli enti creditizi)
La direttiva 2004/39/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 aprile 2004, relativa ai mercati degli strumenti finanziari (per il cui recepimento è stata conferita delega legislativa al Governo dalla legge 18 aprile 2005, n. 62), tende a permettere alle imprese d’investimento[242], autorizzate e vigilate dallo Stato membro d’origine, di esercitare il diritto di stabilimento e di libera prestazione di servizi negli altri Stati membri dell’Unione europea. Poiché tuttavia essa non disciplina aspetti rilevanti della vigilanza regolamentare su queste imprese, con la direttiva 2006/49/CE, qui illustrata, si è inteso provvedere a questo fine, contestualmente rifondendo in un testo coordinato la direttiva 93/6/CEE, relativa all'adeguatezza patrimoniale delle imprese di investimento e degli enti creditizi, e le sue successive modificazioni. Pertanto, la presente direttiva contiene disposizioni nuove insieme con le norme precedentemente comprese nella direttiva 93/6/CEE e già vigenti.
In particolare, vengono adottate misure di coordinamento per quanto riguarda la definizione e il livello minimo dei fondi propri delle imprese di investimento, la fissazione dell'entità del loro capitale iniziale e la determinazione di un quadro comune per l'osservazione dei rischi di mercato cui sono soggette. La direttiva regola altresì i controlli sul patrimonio di negoziazione e stabilisce norme comuni per la vigilanza sui rischi di mercato.
Relativamente ai negoziatori di derivati su merci per conto proprio, attualmente esenti dall’applicazione della direttiva sui mercati degli strumenti finanziari, è disposto il riesame dei requisiti patrimoniali nell’ambito della revisione di tale esenzione. Contestualmente dovrà essere valutata la possibilità di stabilire apposita disciplina per le imprese d'investimento la cui attività principale sia esclusivamente la fornitura di servizi d'investimento od operazioni collegate agli strumenti finanziari relativi a forniture energetiche (inclusi elettricità, carbone, gas naturale e petrolio).
A garanzia della solvibilità degli enti creditizi e delle imprese d’investimento facenti parte di un gruppo, è prevista l’applicazione dei requisiti patrimoniali minimi ai singoli enti sulla base della situazione finanziaria consolidata del gruppo. In tale contesto, sono anche determinate le deroghe che le competenti autorità di vigilanza possono autorizzare. Viene inoltre disciplinata la vigilanza su base consolidata delle imprese d’investimento appartenenti a gruppi che non comprendono enti creditizi.
Agli enti creditizi e alle imprese d’investimento è prescritto di adottare strategie e processi per valutare e mantenere l'adeguatezza del capitale interno e di rendere appropriata informativa al pubblico circa il controllo dei rischi e l’organizzazione interna.
Relativamente ai fondi propri di enti creditizi e imprese d’investimento, la valutazione dell’adeguatezza dev’essere eseguita dalle autorità competenti avendo riguardo ai rischi cui tali enti sono esposti.
In generale, si richiede il rafforzamento della cooperazione fra le autorità di vigilanza e del ruolo dell’autorità responsabile della vigilanza consolidata.
Il procedimento per l’adozione di misure di attuazione da parte della Commissione dell’Unione europea è disciplinato con la previsione dell’esame da parte del Parlamento europeo, che può richiedere la pronunzia del Consiglio; è inoltre integrato dell’elenco delle materie rimesse alla competenza attuativa della Commissione, assistita dal Comitato bancario europeo.
La direttiva è integrata con un complesso di disposizioni transitorie per il passaggio al nuovo regime di vigilanza e di calcolo dei requisiti di adeguatezza patrimoniale.
Gli allegati tecnici recano ulteriori disposizioni relative, in particolare, al trattamento dei derivati su crediti e delle quote di organismi d’investimento collettivo. Un nuovo allegato VII contiene le regole in materia di negoziazione, i relativi controlli e la determinazione e gestione del portafoglio di negoziazione.
Il termine per l’adozione delle norme di recepimento delle nuove disposizioni (secondo quanto indicato nell’articolo 49 della direttiva) da parte degli Stati membri è stabilito nel 31 dicembre 2006; dette norme sono comunicate alla Commissione ed entrano in vigore dal 1° gennaio 2007.
Si rileva che la direttiva 2006/49/CE (così come la direttiva 2006/48/CE, cfr.infra) è già stata recepita nell’ordinamento interno con il decreto legge 27 dicembre 2006, n. 297, convertito, con modificazioni dalla legge 23 febbraio 2007, n. 15,che è intervenuto a modificare i testi unici bancario e dell’intermediazione finanziaria emanati, rispettivamente, con i decreti legislativi 1° settembre 1993, n. 385, e 24 febbraio 1998, n. 58.
Per una sintetica illustrazione delle modifiche intervenute si rinvia alla scheda riguardante la direttiva 2006/48/CE.
Direttiva 2006/54/CE
(Pari opportunità in materia di occupazione ed impiego)
La direttiva 2006/54/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 luglio 2006, è volta a riordinare in un unico testo le vigenti disposizioni comunitarie riguardanti le pari opportunità e la parità di trattamento tra sessi in materia di occupazione e lavoro. La direttiva in esame quindi attua la rifusione in un unico testo delle sette direttive che disciplinano questa materia[243], per esigenze di chiarezza e di facilità di consultazione delle norme, provvedendo a coordinare tali direttive anche sulla base delle pronunce della Corte di giustizia delle Comunità europee.
Le disposizioni contenute nella direttiva in esame disciplinano la parità di trattamento in materia di remunerazione, di regimi professionali di sicurezza sociale, di accesso al lavoro, alla promozione e alla formazione professionale e di condizioni di lavoro. La direttiva, inoltre, si occupa delle misure di tutela sia sul piano giudiziale sia per quanto riguarda la promozione della parità di trattamento.
In materia di parità retributiva (Titolo II, Capo I), la direttiva richiama le disposizioni della direttiva 75/117/CEE. Viene sancita in primo luogo la necessità di eliminare ogni discriminazione tra sessi, diretta o indiretta, nella remunerazione di uno stesso lavoro o di un lavoro al quale è attribuito un valore uguale. Inoltre, quando le retribuzioni sono determinate sulla base di un sistema di classificazione professionale, occorre garantire che vengano applicati gli stessi criteri sia per i lavoratori di sesso maschile che di sesso femminile.
Per quanto concerne la parità di trattamento nel settore dei regimi professionali di sicurezza sociale (Titolo II, Capo II), la direttiva riprende le principali disposizioni della direttiva 86/378/CEE, modificata dalla direttiva 96/97/CE. E’ vietata ogni discriminazione fondata sul sesso per quanto concerne l’accesso ai regimi professionali di sicurezza sociale, ossia quei regimi che assicurano protezione contro rischi derivanti da malattia, invalidità, vecchiaia, infortunio sul lavoro o malattia professionale e disoccupazione. Sono inclusi inoltre i regimi pensionistici dei dipendenti pubblici. In tutti i suddetti regimi è vietata qualsiasi discriminazione anche per quanto riguarda l’obbligo di versamento e il calcolo dei contributi, nonché il calcolo, la durata e il mantenimento delle prestazioni. Tali disposizioni si applicano a tutta la popolazione attiva, compresi i lavoratori autonomi - salvo alcuni casi elencati nella direttiva -, ai lavoratori che hanno interrotto la loro attività per malattia, maternità, infortunio, disoccupazione involontaria, ai pensionati e ai lavoratori invalidi.
Relativamente alla parità di trattamento per quanto riguarda l’accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionale e alle condizioni di lavoro (Titolo II, Capo III), la direttiva riprende le disposizioni della direttiva 76/207/CEE, modificata dalla direttiva 2002/73/CE. Sono vietate discriminazioni basate sul sesso per quanto concerne, ad esempio: i criteri di selezione per l’accesso ad un impiego, pubblico o privato; le condizioni di assunzione; la formazione professionale; le condizioni di lavoro, di licenziamento e la retribuzione, come previsto anche dall’articolo 141 del Trattato CE[244]. Agli Stati membri è lasciata la possibilità di derogare al principio di parità di trattamento nei casi in cui un dato lavoro, per la particolare natura e le caratteristiche, possa essere espletato meglio da un lavoratore di un dato sesso. Sono poi tutelati i diritti delle lavoratrici in congedo per maternità[245], nonché dei genitori in congedo parentale e/o di adozione (laddove gli Stati membri riconoscono tali regimi).
La direttiva prevede poi una serie di disposizioni orizzontali (Titolo III) che riguardano la scelta, da parte degli Stati membri, di misure che garantiscano la tutela del diritto di parità di trattamento, prevedendo il ricorso a procedure giurisdizionali in caso di violazione, nonché forme di risarcimento o riparazione dei danni che devono essere dissuasive e proporzionate al danno subito. In tale ambito viene ripreso il principio di onere della prova previsto dalla direttiva 97/80/CE e dalla direttiva 98/52/CE, in base al quale la parte convenuta dovrà provare l’insussistenza della violazione laddove la parte lesa avrà prodotto elementi sufficienti a far ritenere che si sia verificata una forma di discriminazione. Al fine di promuovere il principio di parità di trattamento, gli Stati membri dovranno poi designare uno o più organismi, incaricati, tra l’altro, di prestare assistenza alle vittime delle violazioni e di svolgere opportune inchieste. Dovranno inoltre adottare misure a favore del dialogo tra le parti sociali e con le organizzazioni non governative, nonché misure atte a proteggere i lavoratori da ogni trattamento sfavorevole da parte dei datori di lavoro aditi per mancato rispetto del principio di parità di trattamento. Agli Stati membri è inoltre lasciata la scelta del regime sanzionatorio in caso di mancata osservanza delle norme di attuazione della direttiva.
Il termine per il recepimento è il 15 agosto 2008, con la possibilità di proroga di un ulteriore anno.
Si dispone l’abrogazione dal 15 agosto 2009 delle direttive oggetto della rifusione, fatti salvi, fino a tale data, gli obblighi degli Stati membri concernenti i termini per l'attuazione e l'applicazione delle diverse direttive.
Si ricorda che in data 11 aprile 2006 è stato emanato il Codice delle pari opportunità tra uomo e donna[246], recante il riordino delle disposizioni nazionali in materia di lotta alla discriminazione e attuazione del principio di uguaglianza tra i sessi. Esso contiene misure volte alla promozione delle pari opportunità tra sessi, sia a livello generale che nell’ambito di rapporti etico-sociali, economici, civili e politici.
Nell’ambito delle disposizioni relative alle pari opportunità tra uomo e donna nei rapporti economici, il provvedimento tra l’altro provvede al riassetto della disciplina relativa alle pari opportunità nel lavoro (con riferimento anche alla relativa tutela giurisdizionale) e alle azioni positive per la realizzazione della parità uomo-donna nel lavoro.
Direttiva 2005/45/CE
(Riconoscimento dei certificati rilasciati dagli Stati membri alla gente di mare)
La direttiva in esame reca disposizioni relative al reciproco riconoscimento dei certificati rilasciati dagli Stati membri alla gente di mare: conseguentemente, vengono introdotte modifiche alla direttiva 2001/25/CE, concernete i requisiti minimi di formazione per la gente di mare[247].
Nei Consideranda della direttiva si sottolinea come il Consiglio dell’Unione europea del 5 luglio 2003, sul miglioramento dell’immagine del trasporto marittimo comunitario e sull’avvicinamento dei giovani alla professione, abbia evidenziato la necessità di promuovere la mobilità professionale dei marittimi all'interno dell'Unione europea, ponendo in particolare l'accento sulle procedure di riconoscimento dei certificati di abilitazione e sull'esigenza di garantire nel contempo la stretta osservanza dei requisiti previsti dalla convenzione sulle norme relative alla formazione della gente di mare, al rilascio di brevetti e ai servizi di guardia («convenzione STCW»), nella sua versione aggiornata adottata dall'Organizzazione marittima internazionale (OMI) nel 1978.
Considerato che il trasporto marittimo è un settore in forte e rapida evoluzione, che presenta caratteristiche specificamente internazionali, la direttiva chiarisce che è indispensabile ampliare l'ambito della politica comune dei trasporti nel settore marittimo per facilitare la circolazione dei marittimi all'interno della Comunità, data la crescente carenza di marittimi comunitari.
La direttiva 2001/25/CE - stabilendo i requisiti minimi in materia di istruzione, formazione e certificazione dei lavoratori marittimi - recepisce nell'ordinamento comunitario le norme internazionali in materia di formazione, rilascio di certificati e servizi di guardia stabilite dalla convenzione STCW.
In base alla direttiva 2001/25/CE, ciascun marittimo deve essere in possesso di un certificato di abilitazione rilasciato e convalidato dall'autorità competente di uno Stato membro a norma della direttiva; tale certificato legittima il titolare a prestare servizio a bordo di una nave con le qualifiche, le funzioni ed i livelli di responsabilità specificati nel certificato medesimo.
A norma della direttiva 2001/25/CE, il riconoscimento reciproco tra gli Stati membri dei certificati rilasciati a marittimi cittadini degli Stati membri o di Paesi terzi è soggetto alle disposizioni delle direttive 89/48/CEE e 92/51/CEE che stabiliscono, rispettivamente, un primo ed un secondo sistema generale per il riconoscimento dell'istruzione e della formazione professionale. Tali direttive non prevedono il riconoscimento automatico dei titoli di formazione dei marittimi, in quanto stabiliscono che nei confronti degli stessi possono essere applicate misure di compensazione.
La direttiva in esame nasce dall’esigenza di agevolare gli Stati membri nel riconoscimento ai marittimi che abbiano ottenuto, in un altro Stato membro, un certificato di abilitazione che soddisfi i requisiti previsti dalla direttiva 2001/25, di intraprendere o proseguire la professione marittima per la quale hanno conseguito l'abilitazione, senza ulteriori condizioni rispetto a quelle previste per i propri cittadini.
Conseguentemente, il riconoscimento reciproco tra gli Stati membri dei certificati rilasciati a marittimi aventi la cittadinanza degli Stati membri o di paesi terzi non è più soggetto alle direttive 89/48/CEE e 92/51/CEE, bensì è disciplinato dalla direttiva in esame.
La direttiva si applica ai marittimi[248] che siano cittadini degli Stati membri o cittadini di Paesi terzi titolari di un certificato rilasciato da uno Stato membro.
Ciascuno Stato membro riconosce:
§ i certificati adeguati, ossia il certificato – di cui all’articolo 1, punto 27, della direttiva 2001/25 - rilasciato e convalidato conformemente alla direttiva 2001/25 che legittima il titolare a prestare servizio nella qualifica e a svolgere le funzioni corrispondenti al livello di responsabilità menzionato sul certificato su una nave del tipo e dalle caratteristiche di tonnellaggio, potenza e propulsione considerati e nel particolare viaggio cui essa è adibita. Il riconoscimento dei certificati adeguati è limitato alle qualifiche, alle funzioni ed ai livelli di competenza ivi specificati ed è corredato da una convalida che attesti tale riconoscimento;
§ altri certificati rilasciati da uno Stato membro in conformità alla direttiva 2001/25.
L’articolo 4 della direttiva 2001/25 – come modificato dall’articolo 4 della direttiva in esame – qualifica come “certificato” qualsiasi documento valido a prescindere dalla denominazione con la quale sia noto, rilasciato dall'autorità competente di uno Stato membro o con l'autorizzazione di quest'ultima.
Gli Stati membri assicurano il diritto di ricorso contro qualsiasi rifiuto di convalida di un certificato valido o l'assenza di qualsiasi risposta, in conformità alla legislazione e alle procedure nazionali.
Fatto salvo il diritto di ricorso, le autorità competenti di uno Stato membro ospitante[249] possono imporre ulteriori limitazioni alle capacità, funzioni e livelli di competenza relativi ai viaggi costieri[250] o certificati alternativi rilasciati in virtù dell'allegato I, regolamento VII/1, della direttiva 2001/25/CE.
Per il riconoscimento di certificati per le mansioni a livello manageriale, gli Stati membri ospitanti garantiscono che i marittimi posseggano un'appropriata conoscenza della legislazione marittima dello Stato membro, riguardante le mansioni che sono autorizzati a svolgere.
La direttiva in esame reca, poi, novelle puntuali alla direttiva 2001/25; in particolare:
§ viene introdotto l’articolo 7-bis relativo alla prevenzione delle frodi e delle prassi illegali.
Nei Consideranda della direttiva si sottolinea come il proliferare di certificati di abilitazione dei marittimi ottenuti in maniera fraudolenta comporti un serio pericolo per la sicurezza in mare e la tutela dell'ambiente marino. Nella maggior parte dei casi i titolari di certificati di abilitazione ottenuti con la frode non posseggono i requisiti minimi di certificazione stabiliti dalla convenzione STCW. Tali marittimi potrebbero facilmente essere coinvolti in incidenti marittimi. Pertanto, gli Stati membri dovrebbero adottare e far applicare specifiche misure volte a prevenire e sanzionare i comportamenti fraudolenti connessi ai certificati di abilitazione nonché proseguire i loro sforzi nell'ambito dell'OMI per raggiungere accordi rigorosi e applicabili per la lotta contro tali prassi su scala mondiale. Il Comitato per la sicurezza marittima e la prevenzione dell'inquinamento provocato dalle navi (COSS) è al riguardo un forum adeguato per lo scambio di informazioni, di esperienze e di migliori prassi.
Ai sensi del nuovo articolo, gli Stati membri adottano e fanno applicare le misure adeguate per prevenire le frodi ed altre prassi illegali riguardanti la procedura di certificazione o i certificati rilasciati e convalidati dalle loro autorità competenti e fanno sì che le sanzioni siano efficaci, proporzionate e dissuasive.
A tal fine, gli Stati membri designano le autorità nazionali competenti ad individuare e lottare contro le pratiche fraudolente e scambiano informazioni con le autorità competenti degli altri Stati membri e di Paesi terzi in materia di certificazione dei marittimi: di tale designazione è data comunicazione agli altri Stati membri e alla Commissione, nonché a qualsiasi Paese terzo con il quale sia stato concluso un accordo conformemente alla convenzione STCW.
Su richiesta dello Stato membro ospitante, le autorità competenti di un altro Stato membro forniscono la conferma o il rifiuto per iscritto dell'autenticità dei certificati dei marittimi, le relative convalide o qualsiasi altro titolo di formazione da questo rilasciato;
§ vengono soppressi i paragrafi 1 e 2 dell’articolo 18 della direttiva 2001/25, a norma dei quali il riconoscimento reciproco tra gli Stati membri dei certificati appartenenti alla gente di mare che non è cittadina degli Stati membri o alla gente di mare cittadina di Stati membri, è soggetto alle disposizioni delle direttive 89/48/CEE e 92/51/CEE (vedi supra);
§ vengono inseriti gli articoli 21-bis e 21-ter, a norma dei quali la Commissione, verifica regolarmente ed almeno ogni cinque anni, con l'assistenza dell'Agenzia europea per la sicurezza marittima, istituita con regolamento (CE) n. 1406/2002[251], che gli Stati membri adempiano alle norme minime stabilite dalla direttiva, e, entro il 20 ottobre 2010, presenta al Parlamento europeo e al Consiglio una relazione di valutazione elaborata in base alle informazioni ottenute. Nella relazione, la Commissione analizza lo stato di adempimento degli Stati membri alla direttiva e, qualora necessario, presenta proposte per misure supplementari.
Il termine di recepimento della direttiva è fissato alla data del 20 ottobre 2007.
Direttive 2004/13, 14, e 19/CE - 2005/31 e 79/CE
(Sostanze destinate a venire in contatto con i prodotti alimentari)
Le direttive in esame intervengono sulla disciplina relativa a sostanze e materiali destinati a venire in contatto con i prodotti alimentari:
- la Dir. 2004/13/CEE[252] riguarda l’uso di derivati epossidici;
- la Dir. 2004/14/CEE[253] concerne i materiali e gli oggetti di pellicola di cellulosa rigenerata;
- la Dir. 2004/19/CE[254] e la Dir. 2005/79/CE[255]sonorelative ai materiali ed agli oggetti di materia plastica;
- la Dir. 2005/31/CE[256]disciplina i metodi di analisi per gli oggetti di ceramica.
In particolare, la Direttiva 2004/13/CEE modifica la Direttiva 2002/16/CE, che stabilisce norme applicabili all'uso ed alla presenza di 2,2-bis (4-idrossifenil) propano bis (2,3-epossipropil) etere («BADGE»), di bis (-idrossifenil) metano bis (2,3-epossipropil) eteri («BFDGE»), di glicidil eteri del Novolac («NOGE») e di alcuni loro derivati in materiali e oggetti destinati a venire a contatto con i prodotti alimentari.
La direttiva 2002/16/CE prevedeva che l'uso e la presenza di BADGE nella fabbricazione di tali materiali e oggetti possano continuare ad essere ammessi soltanto fino al 31 dicembre 2004.
Il Comitato scientifico per l'alimentazione umana ha posto in evidenza i risultati negativi sulla cancerogenicità potenziale dei derivati clorurati di BADGE e il basso livello di esposizione del consumatore europeo al BADGE, quale conseguenza della notevole riduzione del contenuto del BADGE riscontrato negli alimenti inscatolati nel corso delle ultime indagini svolte dagli Stati membri e dal Centro comune di ricerca della Commissione europea.
In tale ottica, la direttiva 2004/13/CE in esame dispone la proroga per un anno (31 dicembre 2005) dell'autorizzazione temporanea per il BADGE, in attesa di nuovi dati tossicologici da sottoporre alla valutazione dell'Autorità europea per la sicurezza alimentare.
Procedure di contenzioso
Come già segnalato, delle 5 direttive in esame, tre sono state recepite con decreti ministeriali emanati nel corso del 2006. Per le due restanti direttive, si è attivata la Commissione europea, che:
- il 12 dicembre 2006 ha inviato un parere motivato all’Italia per la mancata attuazione della direttiva 2005/31/CE in oggetto (procedura d’infrazione n. 2006/630);
- il 31 gennaio 2007 ha inviato una lettera di messa in mora all’Italia per la mancata attuazione della direttiva 2005/79/CE in oggetto (procedura d’infrazione n. 2007/85).
Direttiva 2004/26/CE
(Emissione di inquinanti gassosi prodotti dai motori a combustione interna)
La direttiva 2004/26/CE estende i limiti di emissioni degli inquinanti atmosferici prodotti da motori ad accensione spontanea, già stabiliti dalla direttiva 97/68/CE, alle locomotive ed alle navi della navigazione interna.
Viene inoltre previsto un rafforzamento delle norme volte a migliorare la qualità dell’aria, in particolare per quanto riguarda la formazione di ozono e le emissioni di particolato, fissando nuovi valori limite per le emissioni inquinanti. Il pacchetto proposto verrà attuato in due fasi: la prima fase ha avuto inizio nel 2006, e sarà soggetta ad un riesame tecnico entro il 31 dicembre 2007, mentre la seconda comincerà nel 2010 ed entrerà completamente in vigore nel 2014: per tale data i valori limite dovranno essere allineati – per quanto possibile – con quelli applicati negli Stati Uniti, in modo da garantire universalmente gli stessi modelli di motore.
La direttiva consente poi ai costruttori, che si adegueranno ai valori limite prima delle date indicate, di apporre speciali marchi e contrassegni ai motori in regola con la normativa comunitaria prima delle date ufficialmente previste.
Negli Allegati della direttiva vengono poi stabiliti i requisiti tecnici necessari ai fini del rilascio dell’omologazione dei motori.
Procedure di contenzioso
Il 19 luglio 2006 la Commissione europea ha presentato ricorso alla Corte di Giustizia contro l’Italia[257] per mancata attuazione della direttiva 2004/26/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 aprile 2004, che modifica la direttiva 97/68/CE concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative ai provvedimenti da adottare contro l’emissione di inquinanti gassosi e particolato inquinante prodotti dai motori a combustione interna destinati all’installazione su macchine mobili non stradali.
Il termine di attuazione della direttiva è scaduto il 20 maggio 2005.
Direttive 2005/8, 86 e 87/CE
(Sostanze indesiderabili nell’alimentazione degli animali)
Le tre direttive in esame intervengono sulla normativa relativa alle sostanze indesiderabili nell’alimentazione degli animali:
- la dir. 2005/8/CE interviene sulla disciplina generale;
- la dir. 2005/86/CE[258] riguarda le sostanze indesiderabili nell’alimentazione degli animali per quanto riguarda il canfene clorurato;
- la dir. 2005/87/CE[259] concerne le sostanze indesiderabili per quanto riguarda il piombo, il fluoro e il cadmio.
In particolare, la direttiva 2005/8/CEE modifica la direttiva 2002/32/CE[260] che impone il divieto di utilizzare prodotti destinati all'alimentazione degli animali che presentino un contenuto di sostanze indesiderabili superiore ai livelli massimi contemplati nell'allegato I della medesima.
Sulla base delle considerazioni del comitato scientifico dell'alimentazione animale (SCAN), che ha confermato che il mercurio in forma inorganica è notevolmente meno tossico del mercurio organico (soprattutto il mercurio di metile), la direttiva 2005/8/CEE dispone la modifica del livello massimo di alcune sostanze nei mangimi (mercurio e fluoro).
Il termine di recepimento della direttiva in esame è scaduto il 18 febbraio 2006.
Procedure di contenzioso
Il 31 gennaio 2007 la Commissione europea ha inviato una lettera di messa in mora[261] all’Italia per la mancata attuazione delle direttive 2005/86/CE e 2005/87/CE in oggetto (procedure d’infrazione n. 2007/86 e n. 2007/87).
Direttive 2005/16, 18 e 77/CE
(Protezione dagli organismi nocivi)
Sia la direttiva 2005/16/CE che la direttiva 2005/77/CE, delle quali deve essere disposto il recepimento, intervengono a modifica della direttiva base 2000/29/CE che ha definito le misure volte a preservare il territorio della Comunità dalla introduzione o diffusione di organismi nocivi al patrimonio vegetale, regolando quindi sia l’importazione che la circolazione interna di vegetali e prodotti vegetali.
La direttiva 2000/29/CE, pur intendendo garantire in linea di massima a tutte le parti della Comunità lo stesso livello di protezione contro gli organismi nocivi, reca disposizioni che hanno tenuto conto delle varie condizioni ecologiche esistenti nell’area comunitaria e della diversa diffusione di determinati organismi nocivi. Pertanto, si è proceduto alla definizione di "zone protette" esposte nel campo fitosanitario a rischi particolari ed è stata accordata loro una protezione speciale a condizioni compatibili con la realizzazione del mercato interno.
In particolare nell'allegato I, parte A, sono elencati gli organismi nocivi la cui introduzione nel proprio territorio deve essere vietata da parte dei singoli Stati membri. Analogo elenco è recato nell'allegato II, parte A, a proposito di vegetali e prodotti vegetali se sono contaminati dagli organismi menzionati nel medesimo allegato.
Gli stessi allegati I e II recano, nella parte B, gli elenchi dei divieti validi per le zone protette.
L’allegato III della direttiva reca nella parte A l’elenco dei vegetali, prodotti vegetali o delle altre voci che costituiscono un rischio in campo fitosanitario per tutte le parti della Comunità, e nella parte B sono elencati i vegetali, prodotti vegetali e le altre voci che costituiscono un rischio in campo fitosanitario soltanto per le zone protette, che sono ivi specificate.
Nell’allegato IV, parte A, sono indicati i vegetali, i prodotti vegetali o le altre voci che non possono essere introdotti nel territorio comunitario almeno che non siano rispettati taluni requisiti particolari, nella parte B sono menzionati quelli che possono essere introdotti o spostati all'interno delle zone protette solo quando siano state osservate le disposizioni particolari dettate nei loro riguardi in questa parte dell'allegato.
Nell'allegato V, parte A, sezione I, sono indicati i prodotti che non possono essere spostati all'interno della Comunità se non sono accompagnati da un passaporto delle piante valido per il territorio di cui trattasi.
Nella sezione II sono elencati i prodotti che necessitano del passaporto per essere introdotti o spostati in una determinata zona protetta.
Le modifiche apportate dalla direttiva 2005/16/CE sono conseguenti alla variazione cui è stato sottoposto l’elenco delle zone cui è accordato il riconoscimento di zona protetta nei confronti di taluni rischi specifici, e pertanto non più meritevoli di una particolare tutela. Sono conseguentemente modificati tutti gli allegati della direttiva 2000/23/CE.
Il termine per il recepimento delle disposizioni scadeva il 14 maggio 2005.
La medesima direttiva 2000/29/CE consente il trasferimento di numerosi vegetali e di prodotti vegetali in un paese diverso da quello di produzione solo in presenza di una etichetta, che attesti che sono state rispettate le condizioni produttive stabilite dalle norme fitosanitarie e che sono stati espletati i previsti controlli. Tale documento, il cosiddetto “passaporto per le piante”, è la prova che i vegetali o i prodotti vegetali hanno superato i controlli comunitari e deve necessariamente accompagnare gli spostamenti dei prodotti
La direttiva 2005/77/CE estende la richiesta del passaporto a taluni altri semi.
Relativamente all’adeguamento delle legislazioni nazionali l’articolo 2 richiedeva che gli Stati membri adottassero e pubblicassero, entro il 30 aprile 2006, le necessarie disposizioni legislative, regolamentari e amministrative. Il medesimo art. 2 imponeva anche la trasmissione immediata alla Commissione del testo delle disposizioni di adeguamento unitamente ad una tavola di concordanza tra queste ultime e la direttiva 2005/77. Le nuove disposizioni, infine, vanno applicate a decorrere dal 1° maggio 2006.
Quanto infine alla concreta individuazione delle zone protette, è intervenuta la direttiva 2001/32/CE che è stata modificata dalla direttiva 2005/18/CE, che si intende recepire. La revisione delle norme è stato conseguente all’evoluzione della situazione fitosanitaria di talune zone, che richiede un aggiornamento nell’elenco delle zone di protezione.
Il termine per il recepimento è scaduto il 14 maggio 2005.
Direttiva 2005/17/CE
(Passaporto delle piante)
La direttiva 2005/17/CE da recepire interviene in tema di passaporti per le piante, modificando la direttiva 92/105/CEE a suo tempo approvata allo scopo di pervenire ad una imitata uniformazione dei passaporti da utilizzare per il trasporto di determinati vegetali, prodotti vegetali od altre voci all'interno della Comunità.
In base alla menzionata direttiva i passaporti dovevano peraltro recare la dicitura “Passaporto delle piante CEE”. A seguito dell’adozione del trattato sull’Unione europea la CEE è diventata “Comunità europea”, corrispondentemente la dicitura dovrà essere “Passaporto delle piante CE”.
Il termine di recepimento scadeva il 14 maggio 2005.
Direttive 2005/42, 52 e 80/CE
(Prodotti cosmetici)
Le direttive indicate intervengono sulla normativa relativa ai prodotti cosmetici, modificando gli allegati tecnici della direttiva 76/768/CEE e successive modificazioni[262], al fine di adeguarli al progresso tecnico:
- la dir. 2005/42/CE[263]interviene sugli allegati II, IV, e VI;
- la dir. 2005/52/CE[264]interviene sugli allegati III;
- la dir 2005/80/CE[265]interviene sugli allegati II e III.
In particolare, per effetto di valutazioni del comitato scientifico per i prodotti cosmetici e i prodotti non alimentari destinati ai consumatori e in conformità al parere del comitato permanente per i prodotti cosmetici sono modificati:
- l’allegato IIper le sostanze che non possono entrare nella composizione dei prodotti cosmetici;
- l’allegato IIIper le sostanze il cui uso è vietato nei prodotti cosmetici, salvo in determinati limiti e condizioni, e per quelle autorizzate provvisoriamente;
- l’allegato IV per i coloranti che possono essere contenuti nei prodotti cosmetici e per quelli provvisoriamente autorizzati;
- l’allegato VI, concernente i conservanti che possono essere contenuti nei prodotti cosmetici e quelli provvisoriamente autorizzati.
Direttiva 2005/43/CE
(Commercializzazione materiale di moltiplicazione della vite)
La direttiva 2005/43/CE modifica la direttiva base 68/193/CEE allo scopo di adeguarla ai nuovi metodi di produzione dei materiali di moltiplicazione vegetativa.
La direttiva 68/193/CEE disciplina la commercializzazione dei materiali di moltiplicazione vegetativa della vite enumerando le condizioni da rispettare in materia di coltura, materiali di moltiplicazione, imballaggio ed etichettatura (allegati da I a IV).
Poiché una migliore tecnologia di moltiplicazione delle piante consente di commercializzare le piante prodotte non solo nei tradizionali fasci, ma anche in vasi, casse o cartoni, si è reso necessario modificare le condizioni stabilite negli allegati.
Per l’adeguamento delle legislazioni nazionali l’articolo 2 impone agli Stati membri di adottare e pubblicare, entro il 31 luglio 2006, le necessarie disposizioni legislative, regolamentari e amministrative. Il medesimo art. 2 richiede anche la trasmissione immediata alla Commissione del testo delle disposizioni di adeguamento unitamente ad una tavola di concordanza tra queste ultime e la direttiva 2005/43. Le nuove disposizioni, infine, vanno applicate a decorrere dal 1° agosto 2006.
In merito all’adeguamento nazionale è intervenuto il D.M. 7 luglio 2006[266], che ha interamente sostituito gli allegati da I a IV del DM 8 febbraio 2005[267], dando appunto attuazione alla direttiva in oggetto.
Direttiva 2005/51/CE
(Appalti pubblici)
La direttiva 2005/51/CE del 7 settembre 2005 modifica l'allegato XX della direttiva 2004/17/CE e l'allegato VIII della direttiva 2004/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio in materia di appalti pubblici, incidendo soltanto sulla forma della trasmissione degli avvisi che devono essere trasmessi dagli enti aggiudicatori all'Ufficio delle pubblicazioni ufficiali delle Comunità europee relativi alle procedure di aggiudicazione degli appalti previsti dalle due direttive.
Si ricorda, infatti, che la direttiva 2004/17/CE prevede forme di pubblicità (e in particolare la pubblicazione nella Gazzetta ufficiale dell'Unione europea) per le procedure di affidamento degli appalti da essa disciplinati. I bandi e gli avvisi di pubblicazione devono contenere le informazioni stabilite in particolare negli allegati XIII, XIV, XV A, XV B, XVI, XVIII e XIX di tale direttiva. Analoghe forme di pubblicità sono previste dalla direttiva 2004/18/CE. I bandi e gli avvisi di pubblicazione devono contenere le informazioni stabilite da tale ultima direttiva, in particolare nell'allegato VII.
Il termine di recepimento della direttiva 2005/51/CE è fissato entro e non oltre il 31 gennaio 2006.
Si segnala, infine, che a seguito dell’approvazione del regolamento CE n. 1564/2005, sono stati stabiliti i nuovi modelli di formulari per la pubblicazione di bandi e avvisi relativi alle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici, che tengono conto delle informazioni richieste dalle due direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE. L’impiego di tali formulari è obbligatorio dal 1° febbraio 2006.
I precedenti formulari allegati alla direttiva 2001/78/CE, (cd. “direttiva sull'impiego di modelli di formulari nella pubblicazione degli avvisi di gare d'appalto pubbliche”), che è stata recepita con d.lgs. n. 67/2003, non tenevano, infatti, interamente conto delle informazioni richieste a norma delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE.
Direttiva 2005/78/CE
(Emissione di inquinanti gassosi prodotti dai motori ad accensione spontanea)
La direttiva 2005/78/CE modifica alcune misure ed allegati tecnici della direttiva 2005/55/CE in conseguenza del rapido progresso tecnologico registrato nel settore riguardante l’omologazione dei veicoli pesanti a motore e dei loro rimorchi.
Vengono pertanto introdotte nuove prescrizioni riguardanti i sistemi diagnostici di bordo, la durabilità e la conformità dei veicoli in circolazione, nonché disposizioni volte a favorire l’uso corretto dei veicoli pesanti dotati di un motore con sistema di post-trattamento degli scarichi che richiede l’uso di un reagente consumabile per ridure il livello degli inquinanti regolamentati.
Procedure di contenzioso
Il 31 gennaio 2007 la Commissione ha inviato all’Italia una lettera di messa in mora (proc. N. 2007/0084) per mancata attuazione della direttiva 2005/78/CE in materiadi emissione di inquinanti gassosi e di particolato prodotti dai motori ad accensione spontanea destinati alla propulsione di veicoli e di emissione di inquinanti gassosi prodotti dai motori ad accensione comandata alimentati con gas naturale o con gas di petrolio liquefatto destinati alla propulsione di veicoli. Il termine di attuazione è scaduto il 9 novembre 2006.
Direttiva 2005/84/CE
(Sostanze pericolose nei giocattoli)
La direttiva 2005/84/CE del 14 dicembre 2005 del Parlamento europeo e del Consiglio modifica per la ventiduesima volta la direttiva 76/769/CEE provvedendo ad una ulteriore riduzione dell’impiego e della commercializzazione di alcune sostanze e preparati pericolosi, con particolare riferimento agli ftalati utilizzati come plastificanti del PVC, ossia per ammorbidire la gomma utilizzata per la produzione di articoli per l’infanzia: giocattoli, succhiotti, prodotti per favorire la dentizione, ecc.
Ai sensi della direttiva 2005/84/CE,le cui disposizioni si applicano a decorrere dal 16 gennaio 2007 gli ftalati ivi elencati - che vanno ad aggiungersi all’allegato I della direttiva 76/769/CEE - non possono, infatti, essere utilizzati come sostanze o costituenti di preparati a concentrazioni superiori allo 0,1% della massa del materiale plastificato nei giocattoli e negli articoli di puericultura i quali, pertanto, non possono essere immessi sul mercato se contenenti tali ftalati in concentrazione superiore ai limiti fissati dalla direttiva stessa.
La presenza di certi ftalati comporta, infatti, rischi effettivi o potenziali per la salute dei bambini per cui è opportuno evitare -ove possibile- l´esposizione dei più piccoli a qualsiasi fonte di emissione contenente tali e sostanze, specialmente in articoli che i bambini introducono in bocca.
Si ricorda che la Direttiva 76/769/CEE del Consiglio, concernente il ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati membri relative alle restrizioni in materia di immissione sul mercato e di uso di talune sostanze e preparati pericolosi, è stata adottata allo scopo ditutelare la popolazione e l'ambiente nei confronti di alcune sostanze e preparati pericolosi e garantire il buon funzionamento del mercato comune, armonizzando le disposizioni legislative esistenti in materia negli Stati membri, concernenti l'immissione sul mercato e l'uso di tali sostanze.
Sono esclusi dal campo di applicazione della direttiva:
§ il trasporto delle sostanze e dei preparati pericolosi per ferrovia, su strada, per via fluviale, marittima o aerea;
§ le sostanze e i preparati pericolosi esportati verso paesi terzi;
§ le sostanze e i preparati in transito sottoposti a controllo doganale, purché non siano oggetto di nessuna trasformazione.
Le limitazioni stabilite dalla direttiva non si applicano all'immissione sul mercato o all'uso a fini di ricerca, di sviluppo e di analisi.
In allegato alla direttiva sono elencati i prodotti disciplinati dalla direttiva stessa e le condizioni previste per la loro immissione nel mercato. Le successive direttive di modifica alla direttiva 76/769/CEE hanno aggiunto ulteriori sostanze e preparati.
All’attuazione nel nostro ordinamento della direttiva CEE n. 76/769 si è provveduto con il DPR 10 settembre 1982, n. 904, contenente la disciplina generale della materia, regolando le restrizioni all’immissione sul mercato e all’uso sul territorio nazionale delle sostanze e dei preparati pericolosi elencati in allegato al decreto. L'art. 27 della legge 22 febbraio 1994, n. 146 (legge comunitaria 1993), ha aggiunto un articolo (art. 1-bis) al DPR n. 904, con cui si prevede che l’allegato in cui sono elencate le sostanze pericolose possa essere modificato con decreto del Ministro della sanità, per assicurarne la conformità alle direttive comunitarie. Ulteriori modifiche e integrazioni all’elenco delle sostanze pericolose sono state introdotte dalle direttive 2003/34/CE, 2003/36/CE e 2003/53/CE.
Con riferimento alla direttiva 2005/84 si segnala la pubblicazione di un Addendum (GU dell’Unione Europea L 68 dell’8 marzo 2006) con il quale, da parte della Commissione, si dichiara l’intenzione di predisporre un documento di orientamento che faciliti l’attuazione della direttiva, fornendo le disposizioni in materia di restrizioni applicate a determinate sostanze presenti in giocattoli e articoli di puericultura destinati ai bambini di età inferiore ai tre anni e che possono essere messi in bocca ed, inoltre, di affrontare la questione degli aromi nei giocattoli,nell’ambito della revisione della direttiva 88/378/CEE del Consiglio concernente la loro sicurezza.
[1] Nella presente introduzione si dà conto delle disposizioni contenute nella legge finanziaria 2007 e in due recenti decreti legge. Nella scheda relativa all’articolo 10 si dà conto di un altro disegno di legge ordinaria approvato definitivamente il 13 giugno 2007.
[2] Nel 2005 erano 54 le direttive da attuare in via amministrativa, indicate nella relazione al ddl comunitaria 2005 (A.C. 5767), mentre nel 2004 erano 53, indicate nella relazione al ddl comunitaria 2004 (AS 2742).
[3] Nella precedente legge comunitaria, il termine era stato portato a 18 mesi.
[4] Le direttive evidenziate in nero sono quelle già presenti nel testo originario del ddl; quelle evidenziate in marrone sono quelle presenti nel testo originario del ddl ma in un diverso allegato; infine, quelle evidenziate in blu sono state introdotte nel corso dell’esame parlamentare.
[5] Spostata dall’Allegato A dalla XIV Commissione della Camera.
[6] Spostata dall’Allegato A dalla XIV Commissione della Camera.
[7] Spostata dall’Allegato A dalla XIV Commissione della Camera.
[8] Spostata dall’Allegato A dalla XIV Commissione della Camera.
[9] Spostata dall’Allegato A dalla XIV Commissione della Camera.
[10] Spostata dall’Allegato A dalla XIV Commissione della Camera.
[11] Spostata dall’Allegato A dalla XIV Commissione della Camera.
[12] Introdotta dalla XIV Commissione della Camera.
[13] Spostata dall’Allegato A dalla XIV Commissione della Camera.
[14] Introdotta dalla XIV Commissione della Camera nell’Allegato A e poi spostata nell’Allegato B dalla 14° Commissione del Senato.
[15] Introdotta dalla XIV Commissione della Camera.
[16] Introdotta dalla XIV Commissione della Camera.
[17] Introdotta dall’Assemblea della Camera.
[18] Introdotta dalla XIV Commissione della Camera.
[19] Introdotta dalla XIV Commissione della Camera.
[20] Introdotta dalla XIV Commissione della Camera.
[21] Introdotta dalla XIV Commissione della Camera.
[22] Introdotta dalla XIV Commissione della Camera.
[23] Introdotta dalla XIV Commissione della Camera.
[24] Introdotta dall’Assemblea della Camera.
[25] Sancito il 16 marzo 2006, in base al disposto dell'art. 5 della legge n. 131, e pubblicato nella Gazzetta ufficiale n. 75 del 30 marzo 2003.
[26] Legge 27 dicembre 2006, n. 296
[27] Disposizioni urgenti per il recepimento delle direttive comunitarie 2006/48/CE e 2006/49/CE e per l’adeguamento a decisioni in ambito comunitario relative all’assistenza a terra negli aeroporti, all’Agenzia nazionale per i giovani e al prelievo venatorio.
[28] Disposizioni volte a dare attuazione ad obblighi comunitari ed internazionali.
[29] In questa sede si darà conto esclusivamente degli interventi legislativi regionali effettuati dopo la riforma del Titolo V. Prima della riforma erano state approvate altre leggi di procedura che però non facevano riferimento a leggi comunitarie regionali. Si tratta delle leggi delle Regioni Toscana (n. 37 del 1994), Liguria (n. 44 del 1995), Veneto (n. 30 del 1996) e Sardegna (n. 20 del 1998).
[30] L’art. 10, comma 1, stabilisce che la legge comunitaria deve contenere disposizioni per l’attuazione degli atti normativi europei, delle sentenze della Corte di Giustizia nonché degli atti della Commissione europea, che comportino obbligo di adeguamento, disposizioni modificative o abrogative di norme regionali, per l’attuazione degli atti comunitari, nonché disposizioni per l’attuazione di programmi regionali cofinanziati dall’Unione europea, individuando gli atti normativi comunitari da attuare in via amministrativa da parte della Giunta.
[31] Per quanto riguarda le Marche, l’articolo 2, nell’ambito del Titolo I dello Statuto, che reca i principi fondamentali, afferma che “La Regione opera nel quadro dei principi fondamentali e delle norme dell’Unione europea perseguendo la valorizzazione delle politiche comunitarie e la collaborazione con le altre Regioni d’Europa, garantendo altresì la propria partecipazione alla vita dell’Unione e al processo di integrazione della stessa, nel rispetto delle diverse culture”. Gli articoli 21 e 35 recano varie norme volte a disciplinare le attività degli organi regionali in relazione ai rapporti con l’Unione europea.
Analogamente, nello Statuto della Regione Calabria, l’articolo 3, ai commi 2 e 3, afferma che “la Regione, nel rispetto delle norme di procedura stabilite con legge dello Stato, concorre alla determinazione delle politiche dell’Unione Europea, partecipa alle decisioni dirette alla formazione degli atti normativi comunitari e provvede all’attuazione ed esecuzione degli accordi internazionali e comunitari. La Regione realizza, altresì, forme di collegamento con gli organi dell’Unione Europea per l'esercizio delle proprie funzioni relative all'applicazione delle normative comunitarie e per l'adeguamento dei propri atti alle fonti comunitarie”. L’articolo 28 prevede l’istituzione di una Commissione preposta alla trattazione delle questioni relative ai rapporti con l’Unione Europea e di quelle con le regioni e i paesi extra-europei del Mediterraneo. L’articolo 42 recita: “1.La Regione, nelle materie di sua competenza, partecipa alla definizione degli indirizzi assunti in sede comunitaria dall’Italia nonché alla formazione degli atti normativi comunitari e alla loro attuazione ed esecuzione, nel rispetto delle norme di procedura stabilite dalla legge dello Stato.
2. La legge regionale, nel rispetto del potere di rappresentanza del Presidente della Giunta e del diritto del Consiglio ad una informazione preventiva e successiva sugli affari comunitari, determina le modalità del concorso dello stesso Consiglio allo svolgimento delle attività di cui al comma 1”.
[32] Nel testo si fa riferimento alla disciplina vigente nelle Marche rispetto alla quale quella calabrese si differenzia per due elementi: la previsione di due sessioni comunitarie, una della Giunta e l’altra del Consiglio: quella della Giunta è convocata almeno ogni sei mesi, quella del Consiglio entro il 30 settembre di ogni anno; il rapporto viene denominato, in analogia con la denominazione utilizzata a livello statale, relazione concernente la partecipazione della Regione alla attuazione delle politiche comunitarie.
[33] Legge 9 marzo 1989, n. 86, Norme generali sulla partecipazione dell’Italia al processo normativo comunitario e sulle procedure di esecuzione degli obblighi comunitari.
[34] Legge 4 febbraio 2005, n. 11, Norme generali sulla partecipazione dell’Italia al processo normativo dell’Unione europea e sulle procedure di esecuzione degli obblighi comunitari.
[35] Legge 23 agosto 1988, n. 400, Disciplina dell’attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei ministri.
[36] Legge 5 agosto 1978, n. 468, Riforma di alcune norme di contabilità generale dello Stato in materia di bilancio.
[37] Come risultante dalla revisione operata con legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione.
[38] A partire dalla legge n. 39/2002, all’articolo 1, comma 5 (o comma 6), è stata inserita una norma che prevede un intervento suppletivo anticipato e cedevole da parte dello Stato, in caso di inadempienza delle Regioni nell’attuazione delle direttive, nel rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dei princìpi fondamentali stabiliti dalla legislazione dello Stato. Il vincolo del rispetto dei princìpi fondamentali rileva con riguardo alle sole materie incluse nella competenza legislativa concorrente di Stato e regioni. La norma contiene inoltre la previsione della necessaria indicazione espressa della natura sostitutiva e cedevole da parte dei provvedimenti statali suppletivi.
[39] Nelle leggi comunitarie per il 2004 e per il 2005 tale termine era di 20 giorni.
[40] Legge 1 marzo 2002, n. 39, Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee. Legge comunitaria 2001.
[41] Si veda in particolare il nuovo art. 117, sesto comma, Cost..
[42] Al riguardo si ricorda che la Corte costituzionale, con la sentenza 53/1997, confermata dalla successiva sentenza 456/1998, ha avuto modo di pronunciarsi criticamente sulla scarsa precisione dei princìpi e criteri direttivi relativi alle sanzioni penali per le infrazioni alle disposizioni dei decreti legislativi delegati. La Corte ha infatti affermato, in relazione alla disposizione dell’art. 2, lett. d), della legge n. 146/1994 – legge comunitaria per il 1993 – analoga a quella contenuta nella lett. c) in esame, che la disposizione, che stabilisce i criteri e princìpi direttivi della delega conferita al Governo, in ordine alle sanzioni per le infrazioni alle norme delegate “non appare certo perspicua. […] La Corte esprime dunque l’auspicio che il legislatore, ove conferisca deleghe ampie di questo tipo, adotti, per quanto riguarda il ricorso alla sanzione penale, al cui proposito è opportuno il massimo di chiarezza e certezza, criteri configurati in modo più preciso”.
[43] Le infrazioni lesive di determinati interessi generali dell’ordinamento interno, in quanto ritenuti meritevoli di tutela penale, erano state escluse dalla depenalizzazione effettuata dalla legge n. 689/1981 e, da ultimo, dalla ulteriore depenalizzazione prevista dalla legge 25 giugno 1999, n. 205, e dal d.lgs. 30 dicembre 1999, n. 507, emanato in base alla delega ivi prevista.
[44] D.lgs. 28 agosto 2000, n. 274, Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, a norma dell'articolo 14 della legge . 24 novembre 1999, n. 468.
[45] Legge 16 aprile 1987, n. 183, Coordinamento delle politiche riguardanti l’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee ed adeguamento dell’ordinamento interno agli atti normativi comunitari.
[46] Legge 15 marzo 1997, n. 59, Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e per la semplificazione amministrativa.
[47] Legge 23 agosto 1988, n. 400, Disciplina dell'attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri.
[48] Legge 4 febbraio 2005, n. 11, Norme generali sulla partecipazione dell'Italia al processo normativo dell'Unione europea e sulle procedure di esecuzione degli obblighi comunitari.
[49] Regolamento recante le norme di semplificazione del procedimento per il versamento di somme all'entrata e la riassegnazione alle unità previsionali di base per la spesa del bilancio dello Stato, con particolare riferimento ai finanziamenti dell'Unione europea.
[50] Le somme versate dopo il 31 ottobre di ciascun anno e comunque entro la chiusura dell'esercizio possono essere riassegnate alle corrispondenti unità previsionali di base dell'anno successivo con decreti del Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, da registrarsi alla Corte dei conti. Le domande di riassegnazione prodotte dalle amministrazioni interessate devono essere inoltrate al Ministero dell’economia e finanze - Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato, per il tramite del competente Ufficio centrale del bilancio.
[51] La limitazione non si applica alle riassegnazioni per le quali l'iscrizione della spesa non ha impatto sul conto economico consolidato delle pubbliche amministrazioni, nonché a quelle riguardanti l'attuazione di interventi cofinanziati dall'Unione europea.
[52] Legge 22 febbraio 1994, n. 146, art. 8.
[53] Legge 6 febbraio 1996, n. 52, art. 8.
[54] Legge 8 marzo 1999, n. 50, Delegificazione e testi unici di norme concernenti procedimenti amministrativi – Legge di semplificazione 1998.
[55] Legge 29 luglio 2003, n. 229, Interventi in materia di qualità della regolazione, riassetto normativo e codificazione. Legge di semplificazione 2001.
[56] Come si legge nella relazione illustrativa del disegno di legge governativo, “il nuovo scopo che si vuole raggiungere con il riassetto, e con il suo prodotto finale, il codice, è quello di dar luogo in singole materie ad un complesso di norme stabili ed armonizzate, espressione di un assestamento della materia […]. Del resto, per pervenire a tali risultati non può essere considerato sufficiente lo strumento del testo unico, come mera raccolta e coordinamento di norme esistenti, ma è necessario uno strumento cui l’ordinamento attribuisca potere innovativo”.
[57] Disciplina dell'attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri.
Si ricorda che l’art. 17, comma 2, della legge 400/1988 stabilisce che con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, sentito il Consiglio di Stato, sono emanati i regolamenti per la disciplina delle materie, non coperte da riserva assoluta di legge prevista dalla Costituzione, per le quali le leggi della Repubblica, autorizzando l'esercizio della potestà regolamentare del Governo, determinano le norme generali regolatrici della materia e dispongono l'abrogazione delle norme vigenti, con effetto dall'entrata in vigore delle norme regolamentari.
[58] L’articolo 11 della legge n. 11/2005 rimanda al comma 5. In realtà, sembra evidente che il riferimento debba intendersi al comma 4 dell’articolo 20 della legge n. 59/1997, che tratta delle disposizioni di rango regolamentare, mentre il comma 5 concerne le disposizioni di delega.
[59] In realtà, è richiesta esclusivamente la legge comunitaria per gli ultimi due punti, mentre per il primo la legge comunitaria o altra legge statale e per il secondo una qualsiasi legge statale.
[60] Si ricorda che quest’ultima norma prevede che con decreto ministeriale possano essere adottati regolamenti nelle materie di competenza del ministro o di autorità sottordinate al ministro, quando la legge espressamente conferisca tale potere. Tali regolamenti, per materie di competenza di più ministri, possono essere adottati con decreti interministeriali, ferma restando la necessità di apposita autorizzazione da parte della legge. I regolamenti ministeriali ed interministeriali non possono dettare norme contrarie a quelle dei regolamenti emanati dal Governo. Essi debbono essere comunicati al Presidente del Consiglio dei ministri prima della loro emanazione.
[61] Legge 4 febbraio 2005, n. 11, Norme generali sulla partecipazione dell'Italia al processo normativo dell'Unione europea e sulle procedure di esecuzione degli obblighi comunitari.
[62] D.L. 23 settembre 1994, n. 547, Interventi urgenti a sostegno dell'economia, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 novembre 1994, n. 644.
[63] Il Fondo di rotazione per l’attuazione delle politiche comunitarie, istituito ai sensi dell’art. 5 della legge n. 183/1987, per l’espletamento della propria attività si avvale di due conti correnti infruttiferi, aperti presso la tesoreria centrale dello Stato: l’uno, destinato a recepire i movimenti, di entrata e di uscita, che fanno capo ai versamenti comunitari; l’altro, invece, a registrare le analoghe operazioni a carico dei finanziamenti nazionali.
Di tale attività, peraltro, il Fondo di rotazione presenta annualmente il proprio rendiconto alla Corte dei Conti, corredandolo di dettagliata documentazione contabile.
[64] http://www.rgs.mef.gov.it/VERSIONE-I/RGS-E-EURO/PUBBLICAZI /Situazione/index.asp.
[65] Legge 5 giugno 2003, n. 131, Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3.
[66] Compresa l'emanazione di regolamenti, ai sensi del sesto comma dell’articolo 117 della Costituzione.
[67] Cfr. la sentenza n. 384/2005.
[68] Sentenza n. 50/2005. Il principio della prevalenza è stato applicato anche nella sentenza n. 370/2003.
[69] Cfr. sentenze n. 60/1993, n. 28/1996, n. 361/2003, n. 12/2004 e, da ultimo, n. 384/2005. In particolare, la Corte costituzionale, con la sentenza n. 384/2005, si è pronunciata sui ricorsi presentati da alcune Regioni sul d.lgs. n. 124/2004, che, in attuazione dell’art. 8 della legge n. 30/2003, ha provveduto a riformare la disciplina relativa alla vigilanza ed alle ispezioni in materia di previdenza sociale e di lavoro.
[70] Cfr. infra le schede relative alle citate direttive.
[71] Il provvedimento citato, adottato in attuazione della delega contenuta nell’articolo 1, comma 4, della legge 5 giugno 2003, n. 131, Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, individua i princìpi fondamentali che si desumono dalle leggi vigenti in materia di professioni regolamentate.
[72] Si tratta delle direttive:
§ 72/166/CEE del 24 aprile 1972,
§ 84/5/CEE del 30 dicembre 1983,
§ 88/357/CEE del 22 giugno 1988,
§ 90/232/CEE del 14 maggio 1990,
§ 2000/26/CE del 16 maggio 2000.
[73] A norma dell’articolo 2054, primo comma, del codice civile, il conducente di un veicolo senza guida di rotaie è obbligato a risarcire il danno prodotto a persone o a cose dalla circolazione del veicolo, se non prova di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno. Il terzo comma dispone che il proprietario del veicolo o, in sua vece, l'usufruttuario o l'acquirente con patto di riservato dominio, è responsabile in solido col conducente, se non prova che la circolazione del veicolo è avvenuta contro la sua volontà. In ogni caso, ai sensi del quarto comma, le persone sopra indicate sono responsabili dei danni derivati da vizi di costruzione o da difetto di manutenzione del veicolo.
[74] L’articolo 91, comma 2, del nuovo codice della strada, emanato con d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285, dispone che ai fini del risarcimento dei danni prodotti a persone o cose dalla circolazione dei veicoli, il locatario è responsabile in solido con il conducente ai sensi dell'articolo 2054, comma terzo, del codice civile.
[75] Direttiva del Consiglio concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di assicurazione della responsabilità civile risultante dalla circolazione di autoveicoli e di controllo dell'obbligo di assicurare tale responsabilità. Si vedano anche le direttive 72/430/CEE del 19 dicembre 1972 (Direttiva del Consiglio che modifica la direttiva 72/166/CEE del Consiglio, del 24 aprile 1972, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di assicurazione della responsabilità civile risultante dalla circolazione di autoveicoli, e di controllo dell'obbligo di assicurare tale responsabilità) e 90/618/CEE dell’8 novembre 1990 (Direttiva del Consiglio che modifica, in particolare, per quanto riguarda l'assicurazione della responsabilità civile risultante dalla circolazione di autoveicoli, la direttiva 73/239/CEE e la direttiva 88/357/CEE che coordinano le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative riguardanti l'assicurazione diretta diversa dell'assicurazione sulla vita).
[76] Seconda direttiva del Consiglio concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di assicurazione della responsabilità civile risultante dalla circolazione di autoveicoli.
[77] Terza direttiva del Consiglio relativa al ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di assicurazione della responsabilità civile risultante dalla circolazione di autoveicoli.
[78] Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di assicurazione della responsabilità civile risultante dalla circolazione di autoveicoli e che modifica le direttive 73/239/CEE e 88/357/CEE del Consiglio. Quarta direttiva assicurazione autoveicoli.
[79] La direttiva 2005/14/CE viene inserita nell’allegato B della legge comunitaria 2005. Per l’emanazione del relativo decreto legislativo di recepimento è pertanto necessaria la trasmissione alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica affinché venga espresso il parere da parte dei competenti organi parlamentari.
[80] Causa C-518/06.
[81] In Italia l’obbligo di concentrazione è previsto dall’articolo 7 del regolamento recante norme di attuazione del d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, e del d.lgs. 24 giugno 1998, n. 213, in materia di mercati, adottato dalla CONSOB con delibera n. 11768 del 23 dicembre 1998, con le eccezioni indicate nei successivi articoli 8 e 9. In particolare, le negoziazioni di strumenti finanziari possono essere eseguite o fatte eseguire dagli intermediari autorizzati al di fuori dei mercati regolamentati a condizione che: a) il cliente abbia preventivamente autorizzato l’intermediario ad eseguire o a far eseguire le negoziazioni al di fuori dei mercati regolamentati; b) l’esecuzione delle negoziazioni al di fuori dei mercati regolamentati consenta di realizzare un miglior prezzo per il cliente. In ogni caso, fuori dell’orario di operatività dei mercati regolamentati, le negoziazioni possono essere eseguite o fatte eseguire nei sistemi di scambi organizzati. Da ultimo, con deliberazione 8 agosto 2006, n. 15539, la CONSOB ha stabilito che queste condizioni non si applicano alle operazioni aventi ad oggetto azioni già negoziate in altri mercati regolamentati comunitari e in virtù di ciò ammesse alla negoziazione su un mercato regolamentato italiano ai sensi dell’articolo 57, comma 1, lettera h), del “regolamento emittenti”.
Inoltre, l’obbligo di esecuzione delle negoziazioni di strumenti finanziari esclusivamente nei mercati regolamentati non si applica: a) alle negoziazioni disposte da investitori non residenti o non aventi sede in Italia; b) alle negoziazioni aventi ad oggetto titoli di Stato o garantiti dallo Stato, italiani ed esteri, nonché titoli emessi da organismi internazionali partecipati da Stati; c) alle negoziazioni aventi ad oggetto «blocchi» di strumenti finanziari; d) alle negoziazioni aventi ad oggetto «spezzature» salvo che il regolamento del mercato ne consenta la negoziazione.
[82] A norma dell’articolo 2, paragrafo 1, lettera g), della direttiva, essa non si applica ai membri del Sistema europeo di banche centrali e ad altri organismi nazionali che svolgono funzioni analoghe e ad altri organismi pubblici incaricati della gestione del debito pubblico o che intervengono nella medesima. La lettera a) del comma 1 dell’articolo 10, qui illustrato, stabilisce che sia confermata la disciplina vigente per i mercati all’ingrosso di titoli di Stato.
[83] Tutela del risparmio e disciplina dei mercati finanziari.
[84] D.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero.
[85] D.P.R. 31 agosto 1999, n. 394, Regolamento recante norme di attuazione del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, a norma dell'art. 1, comma 6, del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286.
[88] Si tratta delle condizioni di ingresso di cui all'articolo 5, paragrafo 1, lettere a), c), d) ed e), ovvero essere in possesso di documenti validi, di documenti che giustifichino lo scopo del soggiorno previsto e disporre di mezzi di sussistenza sufficienti, non essere segnalato ai fini della non ammissione e non essere considerato pericoloso per l’ordine pubblico, la sicurezza nazionale o le relazioni internazionali di una delle parti contraenti.
[89] In riferimento alla direttiva 2004/38/CE, si segnala che, in data 12 dicembre 2006, la Commissione ha inviato all’Italia un parere motivato (procedura n. 2006/0461) per mancata attuazione. La direttiva era presente nell’allegato B della legge comunitaria 2004.
[90] Disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero.
[91] L’articolo in esame, non presente nel testo originario del disegno di legge presentato dal Governo (A.C. 1042) è stato introdotto con l’approvazione, da parte della Commissione Politiche dell’Unione europea della Camera, dell’articolo aggiuntivo 8.02 proposto dalla Commissione Affari costituzionali (art. 8-ter dell’A.C. 1042-A, successivamente modificato dall’Assemblea). Il testo approvato dalla Camera prevedeva un altro principio direttivo, soppresso dal Senato, che impegnava al Governo a privilegiare, nel predisporre lo schema di decreto legislativo di recepimento della direttiva, le opzioni più aderenti all’articolo 10 della Costituzione tra quelle previste dalla direttiva. Come sembra desumersi dai lavori parlamentari, la decisione di sopprimere il riferimento al dettato costituzionale è stata presa in considerazione del carattere ritenuto pleonastico e generico di tale disposizione (si vedano in particolare le sedute della 14ª Commissione del Senato del 24 e del 26 ottobre 2006, nel corso della quale sono stati discussi e approvati gli identici emendamenti 12.5 e 12.6, soppressivi della lett. a) dell’art. 12, nonché le sedute della 1ª Commissione del Senato in sede consultiva del 18 e del 19 ottobre 2006).
[92] L’esplicitazione che tra i gravi motivi debbano essere compresi le discriminazioni e repressioni di comportamenti è stata aggiunta nel corso dell’esame del Senato dopo una lunga discussione, sia in sede referente, sia in Assemblea. In origine l’emendamento (Em. 12.14 del sen Silvestri) includeva tra i gravi motivi suscettibili di portare all’accoglienza della domanda di asilo la discriminazione e la repressione di orientamenti e di pratiche sessuali. Alla riformulazione definitiva del testo si è giunti principalmente a seguito della considerazione che il testo originario poteva essere giudicato incostituzionale, in quanto privilegiante una tipologia di comportamenti (e di discriminazioni) rispetto ad altre.
[93] In relazione al tema oggetto dell’articolo in esame, si segnala, infine, l’accoglimento da parte dell’esecutivo dell’ordine del giorno presentato al Senato (G12.100, testo 2 del sen. Malan) che impegna il Governo a porre in atto le misure necessarie ad impedire che l’esercizio del diritto di cui all’art. 7 della direttiva sia strumentalmente usato come mezzo per evitare l’espulsione.
[95] Direttive 77/452/CEE, 77/453/CEE, 78/686/CEE, 78/687/CEE, 78/1026/CEE, 78/1027/CEE, 80/154/CEE, 80/155/CEE, 85/384/CEE, 85/432/CEE, 85/433/CEE e 93/16/CEE.
[96] Direttive 89/48/CEE e 92/51/CEE.
[97] Si ricorda che tale direttiva ha avuto origine dalla proposta di direttiva (COM(1996)22), presentata il 9 febbraio 1996 dalla Commissione europea.
[98] Legge n. 14/2003, art. 13.
[99] Attuazione della direttiva 2001/19/CE che modifica le direttive del Consiglio relative al sistema generale di riconoscimento delle qualifiche professionali e le direttive del Consiglio concernenti le professioni di infermiere professionale, dentista, veterinario, ostetrica, architetto, farmacista e medico.
[100] Regolamento del Consiglio che stabilisce la tabella comunitaria di classificazione delle carcasse di bovini adulti.
[101] Regolamento del Consiglio che estende il campo di applicazione della tabella comunitaria di classificazione delle carcasse di bovini adulti.
[102] Il riconoscimento dei macelli è disciplinato dalla direttiva 64/433/CEE del Consiglio che prevede, in particolare, che i macelli riconosciuti sono i soli soggetti autorizzati alla commercializzazione sul territorio comunitario delle carcasse bovine.
[103] Regolamento della Commissione che stabilisce le modalità di attuazione del regolamento (CEE) n. 1186/90 del Consiglio che estende il campo d'applicazione della tabella comunitaria di classificazione delle carcasse di bovini adulti.
[104] La marcatura avviene mediante stampigliatura sull’esterno della carcassa di un marchio indicante la categoria, le classi di conformazione e lo stato di ingrassamento del bovino.
[105] Sanzioni in materia di classificazione delle carcasse bovine, in attuazione dei regolamenti CEE 1186/90 del Consiglio del 7 maggio 1990 e CEE 344/91 della Commissione del 13 febbraio 1991.
[106] Classificazione delle carcasse bovine in applicazione di regolamenti comunitari.
[107] Regolamento recante disposizioni per la classificazione delle carcasse bovine in applicazione dei regolamenti comunitari e delle leggi nazionali.
[108] L’Ispettorato Centrale repressione frodi (ICRF), istituito con l’art. 10 del d.l. n. 282/86, si qualifica come l’organo tecnico dello Stato, sottoposto alla vigilanza del Ministero delle politiche agricole e forestali, preposto alla prevenzione e repressione delle infrazioni nella preparazione e nel commercio dei prodotti agroalimentari e delle sostanze di uso agrario e forestale. L’istituto opera in concorso con altri organi di controllo che agiscono sul territorio nazionale, quali il Comando Carabinieri per la Sanità (NAS), i Nuclei di polizia tributaria della Guardia di Finanza, il Corpo Forestale dello Stato, la Polizia di Stato e l’Arma dei Carabinieri, il Comando Carabinieri Politiche Agricole Nella sua attività di controllo, che comporta lo svolgimento di funzioni di polizia giudiziaria, l’Ispettorato svolge verifiche e accertamenti diretti a salvaguardare la qualità merceologica e la genuinità delle produzioni
[109] Regolamento della Commissione recante modifica del regolamento (CEE) n. 344/91, il quale stabilisce le modalità di attuazione del regolamento (CEE) n. 1186/90 del Consiglio che estende il campo d'applicazione della tabella comunitaria di classificazione delle carcasse di bovini adulti.
[110] Secondo la relazione governativa al provvedimento, l’intervento si è reso necessario per la difficile sanzionabilità della violazioni in questione “in quanto i soggetti coinvolti (titolare dello stabilimento e tecnico classificatore) sono stati solo con la recente modifica regolamentare meglio identificati in base alle rispettive competenze”.
[111] Si rileva che l’art. 14 del ddl comunitaria 2007 (AS 1448) prevede l’innalzamento di tale percentuale dal 5 al 10%.
[112] Legge 24 novembre 1981, n. 689, Modifiche al sistema penale.
[113] In base alla disciplina comunitaria si intendono per biocidi i principi attivi e i preparati contenenti uno o più principi attivi, presentati nella forma in cui sono consegnati all'utilizzatore, destinati a distruggere, eliminare, rendere innocui, impedire l'azione o esercitare altro effetto di controllo su qualsiasi organismo nocivo con mezzi chimici o biologici.
[114] Principi comuni per la valutazione dei fascicoli sui biocidi.
[115] Si segnala che indicazioni esplicative sull’applicazione del d.lgs n. 65/2003 sono state emanate in una circolare del Ministero della salute del 7 gennaio 2004.
[116] Il D.P.R. n. 290/2001 ha regolamentato la semplificazione dei procedimenti di autorizzazione alla produzione, alla immissione in commercio e alla vendita di prodotti fitosanitari e relativi coadiuvanti, come previsto dalla legge n. 59/1997.
[117] Art. 10, comma 2, della legge n. 306/2003.
[118] Entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge.
[119] Il testo all’esame non fa invece esplicito riferimento ad una fase transitoria.
[120] Per gli oneri di funzionamento della commissione era già previsto l’utilizzo delle risorse derivanti dalle tariffe a carico degli utenti interessati all’attività amministrativa in questione: cfr. l’art. 20, comma 5, del d.lgs n. 194/1995. Con il D.M. n. 248/1999 sono state determinate le tariffe relative all'immissione in commercio di prodotti fitosanitari a copertura delle prestazioni rese a richiesta.
[121] Si tratta dell’importazione da un altro Stato membro di prodotti fitosanitari già autorizzati sia in Italia che nello Stato membro di provenienza ma a nome di un diverso titolare.
[122] Procedura d’infrazione n. 2005/145.
[123] Il D.P.R. n. 290/2001 ha semplificato i procedimenti di autorizzazione alla produzione, immissione in commercio e vendita di prodotti fitosanitari e relativi coadiuvanti, come previsto dalla legge n. 59/1997 (Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e per la semplificazione amministrativa).
[124] La proroga viene prevista fino all’iscrizione della sostanza attiva nell’allegato I (Elenco delle sostanze attive autorizzate ad essere utilizzate nei prodotti fitosanitari) del d.lgs. n. 194/1995, e successive modificazioni, attuativo della direttiva 91/414/CEE in materia di immissione in commercio di prodotti fitosanitari.
[125] Cfr. l’art. 10, comma 1, della legge n. 306/2003.
[126]La formula “principi e criteri direttivi”, ai sensi dell’articolo 76 della Costituzione, si utilizza in caso di delega al Governo; quando ci si trova in presenza di una delegificazione, come nel caso di specie, si dovrebbe fare riferimento alle “norme generali regolatrici della materia” ai sensi dell’articolo 17, comma 2, della legge n. 400 del 1988.
[127] Direttiva del Consiglio 73/23/CEE del 19 febbraio 1973 concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al materiale elettrico destinato ad essere adoperato entro taluni limiti di tensione.
[128] Direttiva del Consiglio 89/336/CEE del 3 maggio 1989 concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative alla compatibilità elettromagnetica.
[129] Per apparecchiatura radio si intende "un prodotto, o un suo componente essenziale, in grado di comunicare mediante l'emissione ovvero la ricezione di onde radio impiegando lo spettro attribuito alle radiocomunicazioni di Terra e spaziali", come specificato nelle definizioni all'art. 1 del d.lgs. n. 269/2001.
[130] Cfr. D.M. del Ministero delle Poste e delle Telecomunicazioni 31 gennaio 1983, Approvazione del piano nazionale di ripartizione delle radiofrequenze e successive modifiche (in ultimo D.M. del Ministro delle Comunicazioni del 20 luglio 2002, Approvazione del piano nazionale di ripartizione delle frequenze; Decreto 1° aprile 2004, Modifiche del piano nazionale di ripartizione delle frequenze; Decreto 16 novembre 2005, Modifica della nota 1 del Piano nazionale di ripartizione delle frequenze.
[131] Regolamento (CE) n. 2006/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 ottobre 2004 sulla cooperazione tra le autorità nazionali responsabili dell’esecuzione della normativa che tutela i consumatori (Regolamento sulla cooperazione per la tutela dei consumatori).
[132] Così è stato ridenominato il Ministero delle attività produttive ai sensi dell’art. 1, comma 12, del d.l. n. 181/06, Disposizioni urgenti in materia di riordino delle attribuzioni della Presidenza del Consiglio dei Ministri e dei Ministeri,convertito, con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2006, n. 233. Ricordiamo che il Ministero dello sviluppo economico non eredita la competenza sul commercio con l'estero, che è assegnata al Ministero del commercio internazionale, né la competenza in materia di turismo, attribuita infine al Dipartimento per lo sviluppo e la competitività del turismo presso la Presidenza del Consiglio.
[133] L’art. 3 del regolamento (CE) n. 2006/2004, recante “definizioni”, per autorità competente intende qualsiasi autorità pubblica a livello nazionale, regionale o locale, con responsabilità specifiche per l’esecuzione della normativa sulla protezione degli interessi dei consumatori.
[134] Interventi in materia di qualità della regolazione, riassetto normativo e semplificazione – Legge di semplificazione 2001.
[135] Disciplina dei diritti dei consumatori e degli utenti.
[136] Per un approfondimento sul contenuto del nuovo codice si rinvia al dossier predisposto dal Servizio studi in occasione dell’espressione del parere sul relativo schema di decreto legislativo (“Pareri al Governo” n. 308 del 1° febbraio 2005), nonché al dossier di inizio della XV legislatura predisposto per la Commissione attività produttive (“Documentazione e ricerche” n. 2/10, maggio 2006).
[137] Il d.l. n. 262/06 è stato convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2006 n. 286.
[138] Attuazione della direttiva n. 90/314/CEE concernente i viaggi, le vacanze ed i circuiti tutto compreso.
[139] Attuazione della direttiva 2000/31/CE, relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell'informazione nel mercato interno, in particolare riferimento al commercio elettronico.
[140] Ai sensi del comma 9, art. 26 del Codice del consumo, la procedura istruttoria per l’adozione di provvedimenti da parte dell’Autorità Antitrust nei confronti di messaggi pubblicitari ritenuti illeciti e' stabilita, con regolamento emanato ai sensi dell'articolo 17, comma 1, della legge 23 agosto 1988, n. 400, in modo da garantire il contraddittorio, la piena cognizione degli atti e la verbalizzazione. Il citato art. 17 al comma 1 prevede la possibilità di emanazione di regolamenti mediante DPR, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, sentito il parere del Consiglio di Stato che deve pronunziarsi entro novanta giorni dalla richiesta, al fine di disciplinare:
a) l'esecuzione delle leggi e dei decreti legislativi, nonché dei regolamenti comunitari;
b) l'attuazione e l'integrazione delle leggi e dei decreti legislativi recanti norme di principio, esclusi quelli relativi a materie riservate alla competenza regionale;
c) le materie in cui manchi la disciplina da parte di leggi o di atti aventi forza di legge, sempre che non si tratti di materie comunque riservate alla legge;
d) l'organizzazione ed il funzionamento delle amministrazioni pubbliche secondo le disposizioni dettate dalla legge.
[141] Regolamento della Commissione relativo al regime di aiuto all’ammasso privato di olio d’oliva.
[142] Regolamento del Consiglio relativo all'attuazione di un'organizzazione comune dei mercati nel settore dei grassi.
[143] Regolamento del Consiglio che stabilisce norme comuni relative ai regimi di sostegno diretto nell'ambito della politica agricola comune e istituisce taluni regimi di sostegno a favore degli agricoltori e che modifica i regolamenti (CEE) n. 2019/93, (CE) n. 1452/2001, (CE) n. 1453/2001, (CE) n. 1454/2001, (CE) n. 1868/94, (CE) n. 1251/1999, (CE) n. 1254/1999, (CE) n. 1673/2000, (CEE) n. 2358/71 e (CE) n. 2529/2001.
[144] Regolamento della Commissione relativo alle norme di commercializzazione dell'olio d'oliva.
[145] Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee.
“1. Quando la Corte di giustizia riconosca che uno Stato membro ha mancato ad uno degli obblighi ad esso incombenti in virtù del presente trattato, tale Stato è tenuto a prendere i provvedimenti che l'esecuzione della sentenza della Corte di giustizia comporta.
Se ritiene che lo Stato membro in questione non abbia preso detti provvedimenti, la Commissione, dopo aver dato a tale Stato la possibilità di presentare le sue osservazioni, formula un parere motivato che precisa i punti sui quali lo Stato membro in questione non si è conformato alla sentenza della Corte di giustizia.
Qualora lo Stato membro in questione non abbia preso entro il termine fissato dalla Commissione i provvedimenti che l'esecuzione della sentenza della Corte comporta, la Commissione può adire la Corte di giustizia. In questa azione essa precisa l'importo della somma forfetaria o della penalità, da versare da parte dello Stato membro in questione, che consideri adeguato alle circostanze.
La Corte di giustizia, qualora riconosca che lo Stato membro in questione non si è conformato alla sentenza da essa pronunciata, può comminargli il pagamento di una somma forfettaria o di una penalità.
Questa procedura lascia impregiudicate le disposizioni dell'articolo 227.
[147] Testo unico delle disposizioni legislative concernenti le imposte sulla produzione e sui consumi e relative sanzioni penali e amministrative.
[148] Procedura d’infrazione n. 2004/2190.
[149] Così la decisione 2004/197/PESC del Consiglio dell'Unione europea del 23 febbraio 2004 che ha istituito il meccanismo in questione.
[150] Coordinamento delle politiche riguardanti l'appartenenza dell'Italia alle Comunità europee ed adeguamento dell'ordinamento interno agli atti normativi comunitari.
[151] Cfr. la relazione illustrativa presentata dalla XIV Commissione permanente della Camera dei deputati all'Assemblea in esito all'esame in prima lettura del disegno di legge comunitaria 2006 (A.C. 1042-A).
[152] Procedura di infrazione n. 2003/4349.
[153] Regio decreto 30 marzo 1942, n. 327.
[154] Causa C-207/96, sentenza del 4 dicembre 1997.
[155] La disciplina della gestione dei servizi pubblici locali privi di rilevanza economica è contenuta nell’articolo 113-bis: quest’ultimo articolo è stato peraltro dichiarato costituzionalmente illegittimo ad opera della sentenza della Corte costituzionale n. 272 del 2004.
[156] Attuazione della direttiva 96/92/CE recante norme comuni per il mercato interno dell’energia elettrica.
[157] Attuazione della direttiva n. 98/30/CE recante norme comuni per il mercato interno del gas naturale, a norma dell’articolo 41 della legge 17 maggio 1999, n. 144.
[158] Delega al Governo per il riordino, il coordinamento e l’integrazione della legislazione in materia ambientale e misure di diretta applicazione.
[159]Il Programma europeo sul cambiamento climatico considera prioritari gli ambiti di intervento elencati, in quanto consentono la riduzione delle emissioni di gas a effetto serra ottimizzando il rapporto costi/efficacia, presentando un vantaggio per i consumatori.
[160] La direttiva del 1999 è stata recepita nell’ordinamento nazionale con il DPCM 7 settembre 2001, n. 395. La previsione di recepire la direttiva del 2005, modificativa della precedente, con lo strumento della delega legislativa potrebbe comportare un intarsio tra le norme di rango secondario del DPCM citato e le norme di rango primario dell’adottando decreto legislativo.
[161] L’Entec (Environmental and Engineering Consultancy), che rappresenta uno dei maggiori istituti di ricerca del Regno Unito in materia ambientale, ha elaborato lo studio Quantification of emissions from ships associated with ship movements between ports in the European Community. Da tale studio è emerso che l'inquinamento atmosferico e le piogge acide in Europa sono provocate in misura crescente dalle emissioni di biossido di azoto e di anidride solforosa provenienti dai combustibili dei motori navali e che oltre la metà dell'inquinamento è provocato dalle navi che navigano nelle acque dell'UE o che partono da porti dell'UE. L’ENTEC ha registrato un aumento dell’incidenza della navigazione marittima sull'inquinamento atmosferico europeo (il 4% di SOX nel 1990 destinato a raggiungere il 30-68% nel 2010; il 9% di NOX nel 1990 destinato a raggiungere il 40-55% nel 2010), nonostante il minore impiego di energia per unità di carico rispetto al trasporto stradale o aereo.
[162] Per quanto riguarda, invece, le emissioni di ossidi di azoto (NOX), l'obiettivo prioritario della Commissione è l'innalzamento degli standard di emissione dei motori a livello internazionale, nel quadro dell'Organizzazione marittima internazionale (IMO), anche attraverso soluzioni (compreso il ricorso a strumenti di mercato) finalizzate a promuovere il trasporto marittimo a basso livello di emissioni nelle acque comunitarie.
Sul punto, cfr. la risposta della Commissione all’interrogazione parlamentare UE E-2630/02, pubblicata in GUUE 17 aprile 2003, n. C92E.
[163] Ai sensi dell’art. 1 della direttiva 2005/33/CE, sono “zone di controllo delle emissioni di SOx” le zone marittime definite dall’Organizzazione marittima internazionale (IMO) ai sensi dell’allegato VI della convenzione internazionale MARPOL del 1973 per la prevenzione dell’inquinamento da parte delle navi. Tale allegato, aggiunto con un protocollo del 1997, ha introdotto norme per la prevenzione dell’inquinamento atmosferico causato da navi ed è entrato in vigore il 19 maggio 2005.
[164] Convenzione internazionale del 1973 per la prevenzione dell'inquinamento causato da navi.
[165] Si ricorda - che ai sensi dell’articolo 34 del Trattato sull’Unione europea - le decisioni quadro sono vincolanti per gli Stati membri quanto al risultato da ottenere, salva restando la competenza delle autorità nazionali in merito alla forma e ai mezzi; al pari delle direttive, non hanno efficacia diretta.
[166] L'Agenzia per la sicurezza marittima, istituita con Regolamento (CE) n. 1406/2002 del 27 giugno 2002, è incaricata di sostenere la Commissione e gli Stati membri nell'applicazione e nel controllo della legislazione comunitaria, nonché nella valutazione dell'efficacia delle misure in vigore. Al pari dell’Agenzia per la sicurezza aerea, essa ha il compito di fornire un'assistenza tecnica (modifica della legislazione comunitaria), di assistere gli Stati, di organizzare azioni di formazione, di raccogliere informazioni e gestire banche dati sulla sicurezza marittima, di svolgere missioni di sorveglianza della navigazione, di effettuare ispezioni presso le società di classificazione, di procedere ad ispezioni in loco e di partecipare alle indagini successive a un incidente marittimo.
[167] La decisione n. 2850/2000/CE del 20 dicembre 2000 ha istituito un quadro comunitario di cooperazione nel settore dell'inquinamento marino dovuto a cause accidentali o intenzionali per il periodo compreso tra il 1° gennaio 2000 e il 31 dicembre 2006.
[168] Relativa agli impianti portuali di raccolta per i rifiuti prodotti dalle navi e i residui del carico e attuata nell’ordinamento nazionale con d.lgs. 24 giugno 2003, n.182.
[169] Disposizioni per la prevenzione dell'inquinamento derivante dal trasporto marittimo di idrocarburi e per il controllo del traffico marittimo.
[170] Attuazione della direttiva 2002/84/CE in materia di sicurezza marittima e di prevenzione dell'inquinamento provocato da navi.
[171]Disposizioni per la sicurezza della navigazione, per favorire l’uso di navi a doppio scafo e per l’ammodernamento della flotta.
[172] Si ricorda in proposito che l’art. 14 della Direttiva 2003/88/CE prevede che altri atti normativi comunitari possano contenere prescrizioni più specifiche in materia di organizzazione del lavoro per determinate occupazioni o categorie professionali. Inoltre l’art. 17, par. 3, lettera e) della citata direttiva prevede che si possa derogare, in determinate condizioni, alle disposizioni di cui agli artt. 3, 4, 5, 8 e 16 - in materia di riposi giornalieri e settimanali, di pause di lavoro e di durata del lavoro notturno -, nel caso di lavoratori del settore dei trasporti ferroviari: cfr. infra.
[173] Adottato in base alla delega contenuta negli articoli 1, commi 1 e 3, e 22 della legge 1° marzo 2002, n. 39 (legge comunitaria 2001).
[174] Rimangono comunque esclusi dall’applicazione della direttiva 93/104/CE (e quindi del decreto legislativo n. 66/2003) la gente di mare, il personale di volo e i lavoratori mobili del settore dell’autotrasporto, per cui, anche a livello comunitario, vige una disciplina particolare e specifica (cfr. infra). In particolare, la disciplina dell’orario di lavoro per i lavoratori mobili dell’autotrasporto è contenuta nella direttiva n. 2002/15/CE.
[175] Adottato sulla base della delega contenuta negli articoli 1 e 2 e nell’allegato B della legge comunitaria 2003 (legge 31 ottobre 2003, n. 306). Il termine per l’attuazione era fissato al 30 giugno 2002. La Corte di Giustizia europea, con sentenza del 16 dicembre 2004 (causa C-313/03) aveva accertato l’inadempimento dell’Italia alla direttiva.
[176] Adottato sulla base della delega contenuta negli articoli 1 e 2 e nell’allegato B della legge comunitaria 2003 (legge 31 ottobre 2003, n. 306). Si evidenzia che la direttiva doveva essere recepita entro il 1° dicembre 2003 e che, in considerazione della scadenza del termine, l’Italia è stata sottoposta a procedura d’infrazione.
[177] Doc. LXXXVII, n. 5, pag. 50.
[178] Norme di qualità e di sicurezza per la raccolta, il controllo, la trasformazione, lo stoccaggio e la distribuzione del sangue umano e dei componenti del sangue, che modifica la direttiva 2001/83/CE.
[179] Caratteristiche e modalità per la donazione del sangue e di emocomponenti.
[180] Si segnala in proposito che mentre la direttiva 2004/33/CE è stata recepita, ai sensi del decreto legislativo n. 191 del 2005, con decreto ministeriale, le due ulteriori direttive di dettaglio 2005/61 e 2005/62 verranno recepite attraverso lo strumento della delega legislativa, quindi con norme di rango primario, in difformità da quanto disposto dall’articolo 26 del citato decreto legislativo n. 191.
[181] Composta da 12 articoli e da 3 allegati.
[182] Composta da 5 articoli e da un allegato.
[183] Cfr. l’art. 10 della direttiva 2001/61/CE e l’art. 3 della direttiva 2001/61/CE.
[184] Appartengono alla categoria M1, ai sensi dell’allegato II della direttiva 70/156/CEE, i veicoli progettati e costruiti per il trasporto di persone, aventi al massimo otto posti a sedere oltre al sedile del conducente ed alla categoria N1 i veicoli progettati e costruiti per il trasporto di merci, aventi massa massima non superiore a 3,5 t.
[185] E’ «impianto portuale» il luogo in cui avviene l'interfaccia nave/porto; esso comprende aree quali le zone di ancoraggio, di ormeggio e di accosto dal mare, secondo i casi.
[186] L’interfaccia nave/porto è definita dall’articolo 3 della direttiva come “le interazioni che hanno luogo quando una nave è direttamente ed immediatamente interessata da attività che comportano il movimento di persone o di merci o la fornitura di servizi portuali verso la nave o dalla nave”.
[187] Ai sensi dell’articolo 2 del regolamento comunitario, è «autorità competente per la sicurezza marittima» un'autorità nominata da uno Stato membro per coordinare, attuare e controllare l'applicazione delle misure di sicurezza definite dal presente regolamento in relazione alle navi e/o ad uno o più impianti portuali. Le competenze di tale autorità possono essere diverse a seconda delle mansioni assegnatele.
[188] Ai sensi dell’articolo 3 della direttiva il «punto di contatto per la sicurezza del porto» è l'organismo nominato da ogni Stato membro per fungere da punto di contatto per la Commissione e gli altri Stati membri per l'attuazione, il controllo e l'informazione sull'applicazione delle misure di sicurezza dei porti di cui alla presente direttiva.
[189] Il 6º programma quadro di ricerca rappresenta il principale strumento dell’UE per finanziare la ricerca in Europa nel periodo 2003-2006. Possono partecipare a questo programma, approvato dal Parlamento e dal Consiglio dei ministri dell’Unione europea il 3 giugno 2002, tutti gli istituti di ricerca privati e pubblici.
[190] La recente legge 28 maggio 2007, n. 68, ha disciplinato, tra l’altro, la concessione di permessi di soggiorno di breve durata per motivi di studio.
[191] Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero.
[192] Una circolare congiunta dei Ministeri dell’interno e del lavoro del 24 febbraio 2005 (Prot. 23/910) ha chiarito che, fin quando non verranno attuati gli adempimenti preliminari previsti dalla legge per l’operatività dello Sportello unico per l’immigrazione, l’istruttoria delle pratiche sarà avviata per quanto di propria competenza dalle singole amministrazioni interessate, fermo restando che le domande e le comunicazioni dovranno essere presentate alla Prefettura e che il provvedimento finale sarà adottato dallo Sportello unico.
[193] Regolamento recante norme di attuazione del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, a norma dell’art. 1, comma 6, del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286.
[194] La richiesta del permesso di soggiorno è obbligatoria per tutti gli stranieri per i quali è necessario il visto di ingresso.
[195] Riordino del Consiglio nazionale delle ricerche (CNR).
[196] Si tratta in particolare del Consorzio per l’area di ricerca scientifica e tecnologica di Trieste; dell’Istituto nazionale di fisica nucleare (INFN); dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (INGV); dell’Istituto nazionale per la ricerca scientifica e tecnologica sulla montagna (INMR); dell’Istituto nazionale di alta matematica “F. Severi”; dell’Istituto nazionale di oceanografia e di geofisica sperimentale (OGS); del Museo storico della fisica e centro studi e ricerche “E. Fermi”; della Stazione zoologica “A. Dohrn” di Napoli. Analoghe disposizioni in materia di chiamata diretta a tempo determinato sono previste dall’art. 14, co. 5, del d.lgs. n. 138/2003, recante riordino dell’Istituto nazionale di astrofisica.
[197] In base alla delega legislativa conferita dalla legge 30 luglio 2002, n. 180, Delega al Governo per il recepimento delle direttive comunitarie 1999/45/CE, 1999/74/CE, 1999/105/CE, 2000/52/CE, 2001/109/CE, 2002/4/CE e 2002/25/CE.
[198] Ratifica ed esecuzione della Convenzione relativa allo statuto dei rifugiati, firmata a Ginevra il 28 luglio 1951.
[199] Direttiva 2004/81/CE del Consiglio, del 29 aprile 2004, riguardante il titolo di soggiorno da rilasciare ai cittadini di paesi terzi vittime della tratta di esseri umani o coinvolti in un'azione di favoreggiamento dell'immigrazione illegale che cooperino con le autorità competenti.
[200] La legge comunitaria per il 2005 (L. 25 gennaio 2006, n. 29) reca l’autorizzazione al recepimento della direttiva, il cui termine di attuazione è fissato al 10 ottobre 2006.
[201] Corte di Cassazione, Sez. unite civili, sentenza 26 maggio 1997, n. 4674.
[202] La Convenzione di Ginevra è stata ratificata dall’Italia con la legge 24 luglio 1954, n. 722, Ratifica ed esecuzione della Convenzione relativa allo statuto dei rifugiati, firmata a Ginevra il 28 luglio 1951. Anche le modifiche apportate alla Convenzione dal Protocollo di New York sono state recepite nel nostro ordinamento con la legge 14 febbraio 1970, n. 95.
[203] La Convenzione è stata ratificata con la L. 23 dicembre 1992, n. 523, Ratifica ed esecuzione della convenzione sulla determinazione dello Stato competente per l’esame di una domanda di asilo presentata in uno degli Stati membri delle Comunità europee, con processo verbale, fatta a Dublino il 15 giugno 1990.
[204] D.L. 30 dicembre 1989, n. 416 (conv. con mod. in L. 28 febbraio 1990, n. 39), Norme urgenti in materia di asilo politico, di ingresso e soggiorno dei cittadini extracomunitari e di regolarizzazione dei cittadini extracomunitari ed apolidi già presenti nel territorio dello Stato. Si tratta della prima legge organica in materia di immigrazione e di asilo, successivamente abrogata dalla legge n. 40/1998 (ora confluita nel testo unico in materia di immigrazione), ad eccezione dell’art. 1, tuttora vigente, recante la disciplina dell’esercizio del diritto di asilo. Fino al 1998, dunque, sia la disciplina dell’immigrazione, sia quella relativa al diritto di asilo erano contenute in un unico provvedimento normativo; a partire da quella data la normativa in materia di immigrazione si è consolidata nel testo unico, mentre il diritto di asilo ha continuato a trovare il suo fondamento normativo in un provvedimento d’urgenza come il d.l. n. 416/1989.
[205] Modifica alla normativa in materia di immigrazione e di asilo.
[206] Regolamento relativo alle procedure per il riconoscimento dello status di rifugiato.
[207] Si tratta dei delitti per i quali il codice prevede l’arresto obbligatorio in flagranza: i delitti per i quali è stabilita la pena dell’ergastolo o della reclusione non inferiore nel minimo a cinque anni e nel massimo a venti anni, delitti contro la personalità dello Stato, rapina, estorsione, illegale fabbricazione, vendita e detenzione di armi, delitti per finalità di terrorismo o di eversione ecc.
[208] D.P.R. 13 maggio 2005, Approvazione del documento programmatico relativo alla politica dell’immigrazione e degli stranieri nel territorio dello Stato, per il triennio 2004-2006.
[209] Si segnala che mentre la direttiva 92/40/CEE è stata recepita nel nostro ordinamento dalregolamento di cui al D.P.R. n. 656 del 1996, che stabilisce le norme di polizia veterinaria da applicare in caso di comparsa dell'influenza aviaria nei soli allevamenti di volatili da cortile, la nuova direttiva 2005/94/CE verrà recepita con decreto legislativo, cioè con una fonte normativa di rango primario.
[210] Cfr. art. 65.
[211] Proprio nella volontà di prevedere misure rigorose ma al tempo stesso flessibili, trovano la loro ragione le deroghe disposte per le singole fattispecie alla normativa generale sui divieti.
[212] Art. 1, commi 401-403.
[213] Direttiva 76/160/CEE del Consiglio, dell'8 dicembre 1975, concernente la qualità delle acque di balneazione. La direttiva 76/160/CEE è abrogata dalla direttiva 2006/07/CE con effetto a decorrere dal 31 dicembre 2014.
[214] La Commissione Politiche dell’Unione europea della Camera ha espresso parere favorevole nella seduta del 7 giugno 2007.
[215] Procedura di infrazione 2006/2017.
[216]Ai sensi dell’ Allegato III della direttiva in esame, recante Criteri per la classificazione delle strutture di deposito dei rifiuti, una struttura di deposito dei rifiuti è classificata nella categoria A se ricorre una delle seguenti condizioni:
§ il guasto o cattivo funzionamento, quale il crollo di un cumulo o di una diga, potrebbe causare un incidente rilevante sulla base della valutazione dei rischi alla luce di fattori quali la dimensione presente o futura, l'ubicazione e l'impatto ambientale della struttura;
§ contiene rifiuti classificati come pericolosi ai sensi della direttiva 91/689/CEE oltre un determinato limite;
§ contiene sostanze o preparati classificati come pericolosi ai sensi delle direttive 67/548/CEE o 1999/45/CE oltre un determinato limite.
[217] La licenza di allievo controllore del traffico aereo autorizza il titolare a fornire servizi di controllo del traffico aereo sotto la sorveglianza di un istruttore abilitato all'addestramento operativo (articolo 4, comma 5).
[218] Per “traffico aereo generale” s’intende – ai sensi dell’articolo 2 della direttiva - l'insieme dei movimenti di aeromobili civili, nonché l'insieme dei movimenti di aeromobili di Stato (compresi gli aeromobili militari, dei servizi doganali e della polizia), quando questi movimenti sono svolti secondo le procedure dell'ICAO.
[219] Il richiedente la licenza fornisce la prova di essere competente per svolgere l’attività di controllore del traffico aereo o di allievo controllore del traffico aereo. Le prove relative alla competenza riguardano le conoscenze, l’esperienza, le capacità e le competenze linguistiche (articolo 4, comma 2).
[220] Gli Stati membri possono disporre che l'autorità nazionale di vigilanza valuti il livello di istruzione dei candidati che non soddisfano i requisiti di istruzione sopra indicati.
[221] L'addestramento dei controllori del traffico aereo, inclusa la relativa procedura di valutazione, è soggetto a certificazione da parte delle autorità nazionali di vigilanza.
[222] I certificati medici sono rilasciati da un organismo sanitario competente dell'autorità nazionale di vigilanza o da medici esaminatori autorizzati dall'autorità nazionale di vigilanza (articolo 12, comma 1).
[223] Gli Stati membri provvedono affinché i controllori del traffico aereo comprovino la capacità di comprendere e parlare l'inglese a un livello soddisfacente: la competenza linguistica è attestata da un certificato rilasciato in seguito a una valutazione obiettiva e trasparente approvata dall'autorità nazionale di vigilanza. Le competenze linguistiche del candidato sono valutate ufficialmente a intervalli regolari, tranne nel caso dei candidati che abbiano dimostrato di possedere le competenze corrispondenti al livello 6: l'intervallo non è superiore a tre anni per i candidati che dimostrano di possedere competenze linguistiche corrispondenti al livello 4 e a sei anni per i candidati che dimostrano di possedere competenze linguistiche corrispondenti al livello 5 (articolo 8 e articolo 11, comma 4).
[224] Ai sensi dell’articolo 2, per «programma di addestramento di unità» s’intende il programma approvato che specifica i processi e i tempi necessari per consentire l'applicazione delle procedure dell'unità all'area locale sotto la sorveglianza di un istruttore abilitato all'addestramento operativo.
[225] La specializzazione di istruttore indica che il titolare della licenza è idoneo a fornire servizi di addestramento e di supervisione per posizioni operative per le aree contemplate da un'abilitazione valida (articolo 9). La specializzazione di istruttore è valida per un periodo rinnovabile di 36 mesi come prevede l’articolo 11, comma 5.
[226] La direttiva indica espressamente le diverse tipologie e specializzazioni dell’abilitazione. Le tipologie di abilitazione sono le seguenti: «Controllo di aeroporto a vista» (ADV); «Controllo di aeroporto strumentale» (ADI); «Controllo avvicinamento procedurale» (APP); «Controllo avvicinamento sorveglianza» (APS); «Controllo di area procedurale» (ACP); «Controllo di area sorveglianza» (ACS). Il titolare di un'abilitazione o specializzazione di abilitazione che, nel corso di un periodo di quattro anni consecutivi, non ha fornito i servizi di controllo del traffico aereo associati a tale abilitazione o specializzazione può cominciare, all'interno dell'unità, un addestramento per tale abilitazione o specializzazione solo dopo che è stato opportunamente accertato che lo stesso continua a soddisfare le condizioni ad esse associate e previo soddisfacimento degli eventuali requisiti in materia di addestramento risultanti dall'accertamento.
[227] Gli Stati membri hanno la facoltà di prevedere, qualora lo ritengano necessario per motivi di sicurezza, che le attribuzioni di una specializzazione di unità siano esercitate unicamente da titolari di licenze al di sotto di una determinata età.
[228] Relativa al trattamento dei dati personali e alla tutela della vita privata nel settore delle comunicazioni elettroniche. Tale direttiva sancisce l’obbligo della cancellazione dei dati sul traffico quando questi ultimi non sono più utili ai fini della comunicazione. Tuttavia, all’articolo 15, prevede la possibilità, da parte degli Stati membri di derogare a tale disposizione per permettere indagini criminali o per motivi di sicurezza nazionale. Tale misura può essere adottata solo quando costituisce una “misura necessaria, opportuna e proporzionata all’interno di una società democratica”.
[229] Relativa alla tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati.
[230] Con il d.lgs. n. 257 del 2006 – in attuazione della delega di cui alla legge comunitaria 2004 (legge n. 62/2005) - si è provveduto a recepire nell’ordinamento interno la direttiva 2003/18/CE, che modifica la direttiva 83/477/CEE sulla protezione dei lavoratori contro i rischi connessi con un'esposizione all'amianto durante il lavoro. Il d.lgs. n. 257/2006 ha attuato tale recepimento integrando il d.lgs. 626/1994 e disponendo contestualmente l’abrogazione del Capo III del citato d.lgs. 277/1991.
[231] In seguito sono state recepite, tramite novella del d.lgs. n. 626/1994, altre 3 direttive particolari (98/24/CE, 99/92/CE e 2003/10/CE).
[232] L’articolo 118-A del Trattato ha introdotto espressamente l'obiettivo di migliorare l'ambiente di lavoro ai fini della tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori, senza peraltro che ciò possa giustificare un abbassamento dei livelli di protezione già raggiunti a livello nazionale.
[233] Si tratta di costi legati alla costruzione, compresi, se del caso, i costi di finanziamento di infrastrutture nuove o miglioramenti di infrastrutture nuove (comprese consistenti riparazioni strutturali), o infrastrutture o miglioramenti delle infrastrutture (comprese consistenti riparazioni strutturali) ultimati non più di 30 anni prima del 10 giugno 2008, laddove siano già istituiti sistemi di pedaggio al 10 giugno 2008, o ultimati non più di 30 anni prima dell'istituzione di un nuovo sistema di pedaggio introdotto dopo il 10 giugno 2008; possono essere presi in considerazione come costi di costruzione anche i costi concernenti infrastrutture o miglioramenti di infrastrutture ultimati anteriormente a tali termini.
[234] Tra tali costi figurano gli interessi sui prestiti e/o la remunerazione dell’eventuale capitale apportato dagli azionisti.
[235] Per "pedaggio" s’intende – ai sensi dell’articolo 2 della direttiva 1999/62/CE come modificato dalla direttiva in esame - il pagamento di una somma determinata per un autoveicolo che effettua un tragitto ben definito su una determinata infrastruttura (rete stradale transeuropea o parte di essa), basata sulla distanza percorsa e sul tipo di autoveicolo
[236] Per "diritti di utenza" s’intende – ai sensi dell’articolo 2 della direttiva 1999/62/CE come modificato dalla direttiva in esame - il pagamento di una somma determinata che dà il diritto all'utilizzo da parte di un autoveicolo, per una durata determinata, di determinate infrastrutture (rete stradale transeuropea o parte di essa).
[237] Per "pedaggio medio ponderato" si intendono gli importi totali percepiti attraverso i pedaggi in un determinato periodo divisi per i chilometri per autoveicolo in una determinata rete oggetto del pedaggio durante tale periodo, dove gli importi percepiti e i chilometri per autoveicolo sono calcolati per gli autoveicoli ai quali si applicano i pedaggi.
[238] Gli Stati membri trasmettono le informazioni necessarie per la relazione alla Commissione entro il 10 dicembre 2010.
Entro il 10 giugno 2008, la Commissione, dopo avere esaminato tutte le opzioni, compresi i costi legati all'ambiente, al rumore, alla congestione e alla salute, presenta un modello generalmente applicabile, trasparente e comprensibile per la valutazione di tutti i costi esterni che serva da base per i calcoli futuri della tassazione sulle infrastrutture. Tale modello è accompagnato da un'analisi dell'impatto sull'internalizzazione dei costi esterni per tutti i modi di trasporto e da una strategia di applicazione graduale di tale modello a tutti i modi di trasporto. La relazione e il modello sono accompagnati, se del caso, da proposte al Parlamento europeo e al Consiglio per un'ulteriore revisione della presente direttiva.
[239] Il Comitato di Basilea, costituito nel 1974, è formato dai rappresentanti delle banche centrali e delle autorità di vigilanza bancaria di numerosi Stati (Belgio, Canada, Francia, Germania, Italia, Giappone, Lussemburgo, Paesi Bassi, Spagna, Svezia, Confederazione elvetica, Gran Bretagna e Stati Uniti), e costituisce una sede di cooperazione internazionale per le materie attinenti alla vigilanza sull’attività delle banche. Le funzioni di segreteria sono svolte dalla Banca per i regolamenti internazionali con sede in Basilea. Il Comitato non adotta provvedimenti aventi valore giuridico, ma formula criteri generali, regole di condotta e princìpi volti a realizzare le più efficaci prassi di vigilanza, che le singole autorità nazionali sono invitate ad adottare, con gli adattamenti necessari, secondo i rispettivi ordinamenti. In tal modo il Comitato promuove la convergenza nelle pratiche di vigilanza attraverso l’utilizzazione di princìpi comuni.
Il primo Accordo di Basilea, elaborato nel 1988, consiste in un sistema comune di valutazione del capitale e del rischio di credito, adottato a fini di vigilanza bancaria non solo dagli Stati partecipanti al Comitato, ma sostanzialmente in quasi tutti gli Stati in cui esistono banche operanti sui mercati internazionali. Il testo della formulazione riveduta dell’Accordo (detta Basilea II), adottata nel 2004, si può rinvenire, anche in traduzione italiana, nel sito internet della Banca dei regolamenti internazionali (www.bis.org).
[240] Il Comitato economico e finanziario è l’organismo comunitario chiamato a seguire la situazione economica e finanziaria degli Stati membri della Comunità e a riferirne regolarmente all’Ecofin e alla Commissione. Il Comitato deve inoltre contribuire alla formulazione delle decisioni richieste dalla procedura di deficit eccessivo.
[241] Disposizioni urgenti per il recepimento delle direttive comunitarie 2006/48/CE e 2006/49/CE.
[242] Sono imprese d’investimento le imprese la cui occupazione o attività abituale consiste nel prestare servizi d’investimento a terzi o nell'effettuare una o più attività d’investimento a titolo professionale.
[243] Si tratta delle direttive 75/117/CEE, 86/378/CEE, 96/97/CE, 76/207/CE, 2002/73/CE, 97/80/CE, 98/52/CE. Si consideri che: la direttiva 2002/73/CE modifica la direttiva 76/207/CEE; la direttiva 96/97/CE modifica la direttiva 86/378/CEE; la direttiva 98/52/CE ha esteso la direttiva 97/80/CE al Regno Unito e all’Irlanda del Nord.
[244] Tale articolo sancisce la parità di retribuzione tra uomini e donne.
[245] Per quanto riguarda i diritti della donna, in particolare per la gravidanza e la maternità, la direttiva in esame non pregiudica le altre disposizioni comunitarie (direttive 96/34/CE e 92/85/CEE).
[246] D.lgs. 11 aprile 2006, n. 198 (GU n. 125 del 31 maggio 2006, S.O. n. 133), in vigore dal 15 giugno 2006.
[247] Tale direttiva è stata recepita nell’ordinamento nazionale con il D.P.R. 9 maggio 2001, n. 324, recante Regolamento di attuazione delle direttive 94/58/CE e 98/35/CE relative ai requisiti minimi di formazione per la gente di mare. Si ricorda che modifiche alla direttiva 2001/25 sono state introdotte dalle direttive 2003/103/CE e 2005/23/CE: in funzione del recepimento di tale direttive era stato predisposto uno schema di regolamento recante modifiche al D.P.R. 324/2001, sottoposto al parere della IX Commissione (Trasporti, poste e telecomunicazioni) della Camera (Atto n. 627), che si è pronunciata in data 29 marzo 2006. Allo stato, non risulta alcuna pubblicazione di tale regolamento recante modifiche al D.P.R. 324/2001.
[248] Ai sensi dell’articolo 2 della direttiva, il “marittimo“ è la persona che abbia ricevuto una formazione e sia in possesso di un certificato rilasciato da uno Stato membro in conformità ai requisiti riportati nell'allegato I della direttiva 2001/25.
[249] Ai sensi dell’articolo 2 della direttiva lo «Stato membro ospitante» è lo Stato membro in cui un marittimo chiede il riconoscimento del suo certificato adeguato (dei suoi certificati adeguati) o di un altro certificato (o di altri certificati).
[250] Ai sensi dell’articolo 7 della direttiva 2001/25, all'atto della definizione dei viaggi costieri gli Stati membri non possono prescrivere per la gente di mare che presta servizio a bordo di navi battenti bandiera di un altro Stato membro o di un'altra parte della convenzione STCW adibite a tali viaggi, requisiti di formazione, di esperienza o di abilitazione tali da risultare più gravosi di quelli prescritti per la gente di mare che presta servizio a bordo di navi battenti le loro bandiere. Gli Stati membri non possono in alcun caso prescrivere per la gente di mare che presta servizio a bordo di navi battenti bandiera di un altro Stato membro o di un'altra parte della convenzione STCW requisiti più gravosi di quelli previsti dalla presente direttiva per le navi adibite a viaggi non costieri.
[251] Il regolamento (CE) n. 1406/2002 ha istituito un'Agenzia europea per la sicurezza marittima, al fine di assicurare un elevato, efficace ed uniforme livello di sicurezza marittima e di prevenzione dell'inquinamento causato dalle navi. Uno dei compiti dell'Agenzia consiste nell'assistere la Commissione nello svolgimento delle funzioni ad essa attribuite dalla normativa comunitaria in materia di formazione, certificazione e servizi di guardia degli equipaggi delle navi.
[252] Direttiva recepita con D.M. 4 maggio 2006, n. 227.
[253] Direttiva recepita con D.M. 10 maggio 2006, n. 230.
[254] Direttiva recepita con D.M. 4 maggio 2006, n. 227.
[255] Termine di recepimento: 19 novembre 2006.
[256] Termine di recepimento: 20 maggio 2006.
[257] Procedura di infrazione 2005/643. Causa C-313/06.
[258] Termine di recepimento: 26 dicembre 2006.
[259] Termine di recepimento: 26 dicembre 2006.
[260] Tale direttiva è stata recepita nel nostro ordinamento dal d.lgs. 10 maggio 2004, n. 149, Attuazione della direttiva 2001/102/CE, della direttiva 2002/32/CE, della direttiva 2003/57/CE e della direttiva 2003/100/CE, relative alle sostanze ed ai prodotti indesiderabili nell'alimentazione degli animali.
[261] La lettera di costituzione in mora rappresenta la prima fase della procedura d’infrazione e mette uno Stato in condizioni di presentare le sue osservazioni, qualora la Commissione reputi che esso abbia mancato a uno degli obblighi a lui incombenti in virtù del trattato che istituisce la Comunità europea. Qualora la Commissione non ritenga esaurienti tali osservazioni, essa emette un parere motivato, seconda e ultima fase della procedura d’infrazione, prima che la Commissione europea proceda al deferimento formale dello Stato membro davanti alla Corte di giustizia, affinché accerti la sussistenza di una violazione del diritto comunitario, secondo quanto previsto dall’art. 226 del Trattato.
[262] Per la sua attuazione nell’ordinamento italiano cfr. D.M. 27 gennaio 1979, D.M. 10 dicembre 1979, D.M. 15 febbraio 1980, D.M. 6 giugno 1980, legge 11 ottobre 1986, n. 713 e circolare 18 ottobre 1990 n. 27.
[263] Direttiva recepita con D.M. 9 marzo 2006.
[264] Direttiva recepita con D.M. 9 marzo 2006.
[265] Termine di recepimento previsto: 22 maggio 2006.
[266] Recepimento della direttiva n. 2005/43/CE della Commissione del 23 giugno 2005, che modifica gli allegati della direttiva n. 68/193/CEE Consiglio, relativa alla commercializzazione dei materiali di moltiplicazione vegetativa della vite, pubblicato nella G.U. dell’11 settembre 2006, n. 211.
[267] Norme di commercializzazione dei materiali di moltiplicazione vegetativa della vite.