Camera dei deputati - XV Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento affari comunitari
Titolo: La legge comunitaria 2005
Riferimenti:
L n. 29 del 25-GEN-06   AC n. 5767/XIV
Serie: Quaderni    Numero: 2
Data: 18/10/2006
Descrittori:
DIRITTO DELL' UNIONE EUROPEA     
Organi della Camera: XIV - Politiche dell'Unione europea

 


Camera dei deputati

XV LEGISLATURA

 

 

 

 

 

SERVIZIO STUDI

Quaderni

 

 

 

 

 

 

La legge comunitaria 2005

Legge 25 gennaio 2006, n. 29

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

n. 2

 

 

18 ottobre 2006


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il quaderno è stato realizzato dal Dipartimento Affari comunitari del Servizio Studi, con la collaborazione dell’Ufficio Rapporti con l’Unione europea.

L’Ufficio RUE, con il coordinamento di Antonio Esposito e Daniela Chiodi, ha curato le schede relative al contenzioso.

 

 

Dipartimento affari comunitari

 

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I dossier dei servizi e degli uffici della Camera sono destinati alle esigenze di documentazione interna per l'attività degli organi parlamentari e dei parlamentari. La Camera dei deputati declina ogni responsabilità per la loro eventuale utilizzazione o riproduzione per fini non consentiti dalla legge.

 

 

 

File: ID0004.doc


INDICE

Introduzione

La legge comunitaria 2005  3

La legge comunitaria annuale  23

La legge n. 11 del 2005  25

La legge n. 131 del 2003  29

Le leggi comunitarie regionali31

Parte I - L’articolato della legge

§      Art. 1 (Delega al Governo per l’attuazione di direttive comunitarie)37

§      Art. 2 (Modifica all’articolo 10 della legge 4 febbraio 2005, n. 11)41

§      Art. 3 (Principi e criteri direttivi generali della delega legislativa)43

§      Art. 4 (Delega al Governo per la disciplina sanzionatoria di violazioni a disposizioni in materia di Politica agricola comune e di Politica dello sviluppo rurale)49

§      Art. 5 (Delega al Governo per la disciplina sanzionatoria di violazioni di disposizioni comunitarie)51

§      Art. 6 (Oneri relativi a prestazioni e controlli)53

§      Art. 7 (Attuazione di direttive comunitarie con regolamento autorizzato)55

§      Art. 8 (Delega al Governo per il riordino normativo nelle materie interessate dalle direttive comunitarie)65

§      Art. 9 (Modifiche all’articolo 55 del Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza, di cui al R.D. 18 giugno 1931, n. 773, a parziale recepimento della direttiva 2004/57/CE del 23 aprile 2004 della Commissione)67

§      Art. 10 (Modifica all’articolo 5 della legge n. 110/1975)71

§      Art. 11 (Adempimenti in materia di rifiuti pericolosi)73

§      Art. 12 (Valutazione di titoli e certificazioni comunitarie)77

§      Art. 13 (Modifiche al testo unico di cui al decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297)83

§      Art. 14 (Modifiche al d.lgs. 9 maggio 2001, n. 269, recante attuazione della direttiva 1999/5/CE riguardante le apparecchiature radio, le apparecchiature terminali di telecomunicazioni ed il reciproco riconoscimento della loro conformità)87

§      Art. 15 (Attuazione della Decisione C (2004) 4746 del 14 dicembre 2004 della Commissione (aiuti alle imprese nel settore fieristico))91

§      Art. 16 (Modifiche all’articolo 1 della legge 18 aprile 2005, n. 62)95

§      Art. 17 (Modifiche all’articolo 38 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 23 aprile 2001, n. 290)101

§      Art. 18 (Introduzione dell'articolo 29-bis della legge 18 aprile 2005, n. 62 (enti pensionistici aziendali o professionali))105

§      Art. 19 (Modifica al decreto legislativo 13 gennaio 1999, n. 18)121

§      Art. 20 (Modifiche al testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di circolazione e soggiorno dei cittadini degli Stati membri dell’Unione europea, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 18 gennaio 2002, n. 54)125

§      Art. 21 (Modifiche al decreto legislativo 20 febbraio 2004, n. 56)139

§      Art. 22 (Attuazione della direttiva 2005/60/CE relativa alla prevenzione dell’uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo)143

§      Art. 23 (Modifica al decreto legislativo 29 luglio 2003, n. 267, recante attuazione della direttiva 1999/74/CE e della direttiva 2002/4/CE, per la protezione delle galline ovaiole e la registrazione dei relativi stabilimenti di allevamento)161

§      Art. 24 (Attuazione della decisione n. 2005/315/CE della Commissione, del 20 ottobre 2004, notificata con il numero C (2004) 3893)165

§      Art. 25 (Modifica al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, recante il nuovo codice della strada)171

§      Art. 26 (Modifica alla legge 20 ottobre 1999, n.380)175

Parte II – Le direttive contenute negli allegati

Allegato A

§      2004/10/CE (Riavvicinamento delle disposizioni relative all’applicazione dei principi di buona pratica di laboratorio e al controllo della loro applicazione)183

§      2004/23/CE (Norme per la donazione, l’approvvigionamento, il controllo, la lavorazione, la conservazione, lo stoccaggio e la distribuzione di tessuti e cellule umani)185

§      2004/41/CE (Abrogazione e modifica di alcune direttive in materia di igiene dei prodotti alimentari, polizia sanitaria)189

§      2004/68/CE (Norme di polizia sanitaria riguardanti gli ungulati vivi)191

§      2004/107/CE (Direttiva concernente l'arsenico, il cadmio, il mercurio, il nickel e gli idrocarburi policiclici aromatici nell'aria ambiente)193

§      2004/114/CE (Condizioni di ammissione dei cittadini di paesi terzi per motivi di studio, scambio di alunni, tirocinio non retribuito o volontariato)197

§      2004/117/CE (Modifica di direttive in materia di esami eseguiti sotto sorveglianza ufficiale e l’equivalenza delle sementi prodotte in paesi terzi)205

§      2005/1/CE (Istituzione di una nuova struttura organizzativa per i comitati del settore dei servizi finanziari)207

§      2005/29/CE (Pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori nel mercato interno)213

§      2005/50/CE (Riclassificazione delle protesi articolari dell'anca, del ginocchio e della spalla)217

Allegato B

§      1998/44/CE (Protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche)221

§      2000/60/CE (Istituzione di un quadro per l’azione comunitaria in materia di acque)225

§      2003/123/CE (Regime fiscale comune applicabile alle società madri e figlie di Stati membri diversi)227

§      2004/9/CE (Concernente l'ispezione e la verifica della buona pratica di laboratorio (BPL))231

§      2004/36/CE (Sulla sicurezza degli aeromobili di paesi terzi che  utilizzano aeroporti comunitari)235

§      2004/40/CE (Prescrizioni minime di sicurezza e di salute relative all’esposizione dei lavoratori ai rischi derivanti dagli agenti fisici (campi elettromagnetici))239

§      2004/49/CE, 2004/50/CE, 2004/51/CE (Sicurezza e sviluppo delle ferrovie comunitarie nonché all’interoperabilità del sistema transeuropeo ad alta velocità – secondo pacchetto ferroviario)249

§      2004/54/CE (Requisiti minimi di sicurezza per le gallerie della rete transeuropea)255

§      2004/80/CE (Indennizzo delle vittime di reato)259

§      2004/81/CE (Titolo di soggiorno per i cittadini di paesi terzi, vittime della tratta di esseri umani o coinvolti nel favoreggiamento dell’immigrazione illegale)263

§      2004/82/CE (Obbligo dei vettori di comunicare i dati relativi alle persone trasportate)269

§      2004/83/CE (Norme minime sull’attribuzione della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale)273

§      2004/108/CE (Ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative alla compatibilità elettromagnetica)279

§      2004/109/CE (Obblighi di trasparenza riguardanti le informazioni sugli emittenti i cui valori mobiliari sono ammessi alla negoziazione in un mercato regolamentato)283

§      2004/113/CE (Principio della parità di trattamento tra uomini e donne per quanto riguarda l’accesso a beni e servizi e la loro fornitura)291

§      2005/14/CE (Assicurazione della responsabilità civile risultante dalla circolazione di autoveicoli)299

§      2005/19/CE (Regime fiscale comune da applicare alle fusioni, alle scissioni, ai conferimenti d'attivo ed agli scambi d'azioni concernenti società di Stati membri diversi)303

§      2005/28/CE (Principi e linee guida per la buona pratica clinica relativa ai medicinali in fase di sperimentazione a uso umano)307

§      2005/36/CE (Riconoscimento delle qualifiche professionali)311

§      2005/60/CE (Prevenzione dell’uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio)319

Allegato C

§      2003/103/CE (Modifica della direttiva 2001/25/CE, concernente i requisiti minimi per la formazione della gente di mare)325

§      2005/23/CE (Modifica della direttiva 2001/25/CE, concernente i requisiti minimi di formazione per la gente di mare)329

Testo della legge 25 gennaio 2006, n. 29

§      L. 25 gennaio 2006, n. 29 Disposizioni per l'adempimento di obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle Comunità europee. Legge comunitaria 2005]333

 

 


Introduzione

 


La legge comunitaria 2005

La legge comunitaria per il 2005, legge 25 gennaio 2006, n. 29, è la prima legge comunitaria approvata dopo l’entrata in vigore della riforma della legge “La Pergola”, ossia della legge 4 febbraio 2005, n. 11, recante “Norme generali sulla partecipazione dell’Italia al processo normativo dell’Unione europea e sulle procedure di esecuzione degli obblighi comunitari”.

Quest’ultima ha sensibilmente ampliato i contenuti della legge comunitaria in modo da adeguarli alle nuove esigenze emerse, soprattutto a quelle derivanti dalla riforma del Titolo V della Costituzione. Tra le novità da segnalare, si ricorda, in particolare, la possibilità di dare attuazione, anche mediante il conferimento al Governo di delega legislativa, a decisioni-quadro e decisioni adottate nell’ambito della cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale, previste dall’articolo 34 del Trattato UE. La legge comunitaria dovrà, inoltre, contenere disposizioni occorrenti per dare esecuzione ai trattati internazionali conclusi nel quadro delle relazioni esterne dell’Unione europea nonché quelle che individuano i princìpi fondamentali, ai fini dell’esercizio della potestà legislativa concorrente da parte delle regioni e province autonome. Infine, si segnala l’introduzione della necessità di indicare le disposizioni emanate nell’esercizio del potere sostitutivo di cui all’articolo 117, quinto comma, della Costituzione. Altrettanto significativa è la nuova disciplina dell’attuazione delle direttive in via regolamentare ed amministrativa nonché dei poteri statali sostitutivi (per ulteriori approfondimenti sulle novità introdotte dalla legge n. 11, si rinvia ai paragrafi successivi).

In ogni caso, la legge comunitaria continua a conservare i caratteri che è andata via via assumendo nel corso degli anni. Si tratta, infatti, di una legge essenzialmente di organizzazione della futura normazione, con contenuti e formule fortemente tipizzati.

Anche la legge comunitaria per il 2005, nonostante contenga al suo interno significativi elementi di novità, non sfugge a tale constatazione. Essa, in particolare, si compone di 26 articoli e di tre allegati (A, B e C) con i quali si prevede il recepimento di 34 direttive (10 con l’allegato A,  22 con l’allegato B e 2 con l’Allegato C)[1].

 

Per quanto riguarda la struttura e il contenuto della legge comunitaria 2005, essi risultano parzialmente diversi sia rispetto al testo originario del ddl comunitaria 2005, sia rispetto alle precedenti leggi comunitarie. Sfugge in parte a tale considerazione l’articolo 1, che contiene - come di consueto - la delega per l’attuazione delle direttive contenute negli allegati A e B, il cui termine di esercizio è di 18 mesi.

Nel disegno di legge comunitaria 2006 (A.C. 1042-A – A.S. 1014) il termine di esercizio della delega è stato riportato a 12 mesi[2]; inoltre, si prevede che nel caso in cui sia già scaduto, o sia in scadenza nei sei mesi successivi, il termine di recepimento di alcune direttive, i relativi decreti legislativi di attuazione dovranno essere adottati entro sei mesi[3].

In relazione all’art. 1, si ricorda che la legge comunitaria 2005 (sia nel testo originario, sia come modificato nel corso dell’iter parlamentare) riprende alcune delle innovazioni introdotte dalla legge comunitaria per il 2004, tutte nel segno di un rafforzamento del ruolo del Parlamento:

·      Il comma 4[4] prevede la necessità della relazione tecnica, di cui all’articolo 11-ter, comma 2, della legge n. 468 del 1978, sugli schemi di decreti legislativi, recanti attuazione di determinate direttive, che comportino conseguenze finanziarie (si tratta di 14 direttive[5]). Su tali schemi si prevede che venga altresì acquisito il parere delle Commissioni parlamentari competenti per i profili finanziari; inoltre, si prevede un doppio parere parlamentare nel caso in cui il Governo non si conformi alle condizioni relative all’osservanza dell’articolo 81, IV comma, Cost.: in tal caso, infatti, l’esecutivo è tenuto a ritrasmettere i testi alle Camere – corredati dei necessari elementi integrativi – affinché le Commissioni competenti si esprimano definitivamente entro venti giorni[6].

Si ricorda che il comma 2 dell’art. 11-ter della legge n. 468, stabilisce che i disegni di legge, gli schemi di decreto legislativo (d’ora in avanti d.lgs.) e gli emendamenti di iniziativa governativa che comportino conseguenze finanziarie devono essere corredati da una relazione tecnica, predisposta dalle amministrazioni competenti e verificata dal Ministero del tesoro, sulla quantificazione delle entrate, degli oneri recati e delle relative coperture. Nella relazione devono essere indicati i dati e i metodi utilizzati per la quantificazione, le loro fonti e ogni elemento utile per la verifica tecnica in sede parlamentare secondo le norme da adottare con i regolamenti parlamentari.

·      Il doppio parere parlamentare (comma 9) è stato altresì introdotto per alcune ipotesi specifiche, ovvero quando il Governo non intenda conformarsi ai pareri parlamentari relativi a sanzioni penali contenute negli schemi di decreti legislativi recanti attuazione delle direttive comprese negli allegati A e B. In tali casi, il Governo è tenuto a ritrasmettere con le sue osservazioni ed eventuali modifiche i testi alle Camere per il parere definitivo, che deve essere espresso entro venti giorni (in mancanza di nuovo parere, il Governo adotta ugualmente il provvedimento).

In proposito, si segnala che il Comitato per la legislazione si è recentemente espresso favorevolmente all’introduzione del doppio parere ritenendolo “un meccanismo particolarmente idoneo a consentire un rafforzamento delle prerogative parlamentari ed il massimo coinvolgimento del Parlamento al procedimento di emanazione dei decreti legislativi di attuazione della delega”[7].

·      Il comma 8, inoltre, stabilisce che il Ministro per le politiche comunitarie è tenuto a trasmettere una relazione al Parlamento qualora una o più deleghe conferite dalla legge comunitaria non risulti esercitata trascorsi quattro mesi dal termine previsto dalla direttiva per la sua attuazione.

·      Il medesimo comma prevede altresì un’informativa periodica (quadrimestrale) da parte del Ministro per le politiche comunitarie alle Camere sullo stato di attuazione delle direttive da parte delle regioni e province autonome.

Si ricorda, inoltre, che il comma 9 dell’articolo 1 del testo originario del ddl comunitaria 2005 recava una disposizione, inserita già nelle tre precedenti leggi comunitarie, che prevede un intervento suppletivo anticipato e cedevole da parte dello Stato, in caso di inadempienza delle Regioni nell’attuazione delle direttive, nel rispetto dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dei princìpi fondamentali stabiliti dalla legislazione dello Stato. Peraltro, dal momento che tale norma risulta già contenuta a livello generale nella legge n. 11 del 2005 e, in particolare, negli articoli 11, comma 8, 13, comma 2, e 16, comma 3, la XIV Commissione della Camera ha approvato l’emendamento 1.9 del relatore[8] – volto a recepire un’osservazione contenuta nel parere della I Commissione – con il quale si sostituisce il citato comma con un semplice rinvio alle disposizioni di cui all’articolo 11, comma 8, della legge n. 11 del 2005. In proposito, si osserva che sarebbe stato opportuno integrare il richiamo, facendo riferimento anche a quanto previsto dagli articoli 13, comma 2, e 16, comma 3, della legge n. 11 del 2005.

Infine, si segnala che il comma 6 è volto ad introdurre la possibilità di adottare decreti integrativi e correttivi entro tre anni dalla data di entrata in vigore dei decreti di recepimento della direttiva 2004/109/CE al fine di tener conto delle eventuali disposizioni di attuazione adottate dalla Commissione europea[9]. In proposito, si osserva che tale norma non assume una valenza generale, come quelle di solito contenute nel Capo I del disegno di legge comunitaria, e sarebbe stata più opportunamente collocata al Capo II. Si ricorda altresì che analoga norma era stata inserita anche al comma 8 dell’art. 1 dell’A.C. 5767-A[10] ed era finalizzata a consentire la medesima possibilità per deleghe conferite dalla legge comunitaria per il 2004 (legge n. 62 del 2005), che veniva di conseguenza modificata. Nel corso dell’esame da parte dell’Assemblea della Camera, la norma è stata opportunamente riformulata come articolo a sé stante, collocato nel Capo II della legge (attuale articolo 16, recante “Modifica all’articolo 1 della legge 18 aprile 2005, n. 62”).

Nell’ambito del ddl comunitaria 2006 la possibilità prevista dalla norma in esame è stata estesa e generalizzata. Infatti, il comma 6 dell’articolo 1 del ddl comunitaria 2006 autorizza il Governo – entro tre anni dalla data di entrata in vigore dei decreti legislativi adottati per il recepimento di direttive per le quali la Commissione europea si sia riservata di adottare norme di attuazione – a recepire tali disposizioni attuative, allorché effettivamente adottate, con regolamenti governativi, ai sensi dell’articolo 17, comma 1, della legge n. 400 del 1988. La norma in esame, pertanto, risponde alle medesime esigenze emerse in relazione alla legge comunitaria per il 2005, fornendo però una risposta parzialmente differente, in quanto:

-    utilizza lo strumento del regolamento governativo al posto del decreto legislativo integrativo e correttivo;

-    generalizza tale possibilità, svincolandola da riferimenti specifici a singole direttive.

L’articolo 2 della legge – a differenza del solito (generalmente l’articolo 2 conteneva i principi e criteri direttivi delle deleghe) – reca una modifica all’articolo 10 della legge n. 11 del 2005 (in particolare, sostituisce il comma 4).

Tale norma era originariamente contenuta all’articolo 1, comma 5, del ddl comunitaria 2005. Essa è volta a disciplinare l’esercizio sia delle deleghe legislative già conferite e non ancora attuate, sia delle deleghe che in materia comunitaria saranno conferite da future leggi, diverse dalle leggi comunitarie, disponendo che, fatti salvi i princìpi e criteri direttivi stabiliti di volta in volta dalle leggi delega (in conformità al diritto comunitario), ed in aggiunta ai princìpi contenuti nelle direttive da attuare, tali decreti legislativi siano adottati:

§      nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi generali previsti dalla legge comunitaria per l’anno di riferimento;

§      su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri o del ministro per le politiche comunitarie e del ministro con competenza istituzionale prevalente per la materia, di concerto con i ministri degli affari esteri, della giustizia, dell’economia e delle finanze e con gli altri ministri interessati in relazione all’oggetto della direttiva.

Dal momento che il comma 5 dell’articolo 1, nella sua formulazione originaria, riproduceva sostanzialmente il comma 4 dell’articolo 10 della legge n. 11 del 2005[11], aggiungendo un ulteriore inciso[12], si è ritenuto opportuno modificare il testo novellando direttamente la legge n. 11 del 2005, come peraltro richiesto dal parere del Comitato della legislazione nella seduta del 25 maggio 2005.

I principi e criteri direttivi delle deleghe sono, invece, contenuti all’articolo 3, mentre l’articolo 4 contiene una delega al Governo per la disciplina sanzionatoria di violazioni a disposizioni in materia di Politica agricola comune e di Politica dello sviluppo rurale.

Si segnala che trattandosi di una disposizione di carattere specifico avrebbe trovato più opportuna collocazione nel Capo II della legge.

L’articolo 5 reca la consueta delega al Governo per la disciplina sanzionatoria della violazione di disposizioni comunitarie attuate in via regolamentare o amministrativa (nelle altre leggi comunitarie questa norma era generalmente contenuta all’articolo 3), mentre l’articolo 6 riguarda gli oneri per prestazioni e controlli. Al riguardo, si rileva come il principio in base al quale gli oneri per le prestazioni ed i controlli da eseguire da parte delle pubbliche amministrazioni in applicazione di normative comunitarie sono in generale a carico dei soggetti interessati sulla base di tariffe predeterminate, solitamente recato dal comma 1 dell’articolo 4 delle precedenti leggi comunitarie, non figura più nel testo in esame. Infatti, tale principio – essendo ora sancito in via generale dall’articolo 9, comma 2, della legge n. 11 del 2005 – viene semplicemente richiamato con un rinvio alla norma da ultimo citata. Il comma 2 dispone in merito alle entrate derivanti dalle tariffe di cui al comma 1, stabilendo che esse sono attribuite alle amministrazioni che effettuano prestazioni e controlli, tramite riassegnazione (ai sensi del D.P.R. n. 469 del 1999).

La medesima norma è stata riprodotta dall’articolo 4 del ddl comunitaria 2006 e che – in riferimento ad essa – il Comitato per la legislazione (nel parere espresso su tale ddl) ha formulato una specifica osservazione, con la quale si invitava a valutare l’opportunità di riformulare la disposizione “quale novella al comma 2 dell’articolo 9 della legge n. 11 del 2005, affinché possa assumere valenza generale in materia di recepimento di normative comunitarie, atteso che essa appare trascendere l’ambito di intervento del provvedimento in esame, come si desume anche dal fatto che la medesima disposizione era contenuta anche nell’articolo 6 della legge comunitaria 2005 (legge 25 gennaio 2006, n. 29)”.

Di particolare rilievo risulta poi l’introduzione della norma recante “attuazione di direttive comunitarie con regolamento autorizzato” (articolo 7), con la quale si autorizza il Governo a dare attuazione alle direttive comprese nell’elenco di cui all’allegato C con uno o più regolamenti di delegificazione (ex articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400), secondo quanto disposto dagli articoli 9 e 11 della legge 4 febbraio 2005, n. 11. Gli schemi di regolamento – corredati da apposite relazioni cui è allegato il parere del Consiglio di Stato – dovranno essere sottoposti al parere delle Commissioni parlamentari competenti, che si esprimono entro quaranta giorni dall’assegnazione. Decorso il predetto termine, i regolamenti sono emanati anche in mancanza dei pareri parlamentari. Parallelamente, è stato pertanto aggiunto l’Allegato C, all’interno del quale sono state inserite due direttive, da recepire – appunto – attraverso regolamenti di delegificazione.

La disciplina di tale modalità di recepimento delle direttive è stata reintrodotta dopo lungo tempo dalla legge comunitaria per il 2005.

L’inserimento di tale norma nel testo del ddl comunitaria 2005 era stato operato dalla 14^ Commissione del Senato, in ossequio a quanto disposto dagli articoli 9, comma 1, lett. d), e 11 della legge n. 11/2005.

E’ interessante, infatti, sottolineare che – nonostante la possibilità di procedere al recepimento degli atti comunitari anche attraverso i regolamenti governativi fosse già prevista dalla legge n. 86 del 1989 – tale modalità di attuazione delle direttive non è stata adottata nelle ultime leggi comunitarie (l’ultimo esempio di ricorso allo strumento regolamentare è rappresentato dalla legge comunitaria per il 1999, legge n. 526 del 1999).

Si ricorda, infatti, che a seguito della riforma del Titolo V della Costituzione erano emersi alcuni problemi applicativi, soprattutto in relazione all’art. 117, VI comma, che limita alle materie di potestà legislativa statale esclusiva l’ambito di intervento dei regolamenti. Pertanto, nelle leggi comunitarie successive alla riforma – in particolare, a partire dalla legge n. 39 del 2002 – non era stata più utilizzata tale modalità di recepimento.

La legge n. 11 del 2005 è tra l’altro intervenuta per adeguare al nuovo dettato costituzionale le modalità di attuazione delle direttive in via regolamentare, dettando una specifica disciplina agli articoli 9, comma 1, lett. d), e 11 (sui quali si veda la scheda di lettura relativa all’articolo 6).

Infine, l’articolo 8 è finalizzato a prevedere interventi di riordino normativo nelle materie interessate dalle direttive comunitarie (norma in genere contenuta all’articolo 5 delle precedenti leggi comunitarie).

L’articolo 5 del ddl comunitaria 2006 non ripropone una norma contenuta nelle precedenti leggi comunitarie, in base alla quale le disposizioni contenute nei testi unici non possono essere abrogate, derogate o sospese o comunque modificate se non in modo esplicito, mediante l’indicazione puntuale delle disposizioni da abrogare, derogare, sospendere o modificare.

In realtà, struttura e contenuti della legge in esame – nonostante le modifiche apportate nel corso dell’esame parlamentare – non sembrano ancora rispondere completamente a quanto stabilito dall’articolo 9 della legge n. 11 del 2005, All’interno del provvedimento non risultano, infatti, contenute le disposizioni:

o     occorrenti per dare esecuzione ai trattati internazionali conclusi nel quadro delle relazioni esterne dell’Unione europea;

o     che individuano i princìpi fondamentali per le regioni e le province autonome ai fini dell’attuazione di atti comunitari nelle materie di competenza concorrente;

o     che, nelle materie di competenza legislativa delle regioni e delle province autonome, delegano il Governo ad adottare decreti legislativi recanti sanzioni penali per la violazione delle disposizioni comunitarie recepite dalle regioni;

o     emanate nell’esercizio del potere sostitutivo di cui all’articolo 117, quinto comma, della Costituzione.

Il ddl comunitaria 2006 contiene, invece, uno specifico Capo, il Capo III, che ha dato per la prima volta attuazione all’articolo 9, comma 1, lett. f), della legge n. 11 del 2005, in base al quale la legge comunitaria deve individuare i princìpi fondamentali per le regioni e le province autonome. Infatti, l’articolo 8 del disegno di legge in esame (“individuazione di principi fondamentali in particolari materie di competenza concorrente”) è volto ad individuare i principi fondamentali nel rispetto dei quali regioni e province autonome possono attuare il diritto comunitario relativamente ai settori di:

-      tutela e sicurezza del lavoro;

-      tutela della salute.

Il Capo II (articoli da 9 a 26) contiene, come di consueto, disposizioni particolari di adempimento. Si segnala che l’articolo 22[13] reca principi e criteri direttivi specifici per l’attuazione della direttiva 2005/60/CE, sull’uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio, il cui recepimento è previsto nell’allegato B. Si tratta dell’unica norma contenente criteri di delega specifici. Inoltre, il testo in esame provvede a dare attuazione a decisioni della Commissione. In particolare, si tratta di:

§      articolo 15, recante attuazione della decisione C(2004)4746 della Commissione, del 14 dicembre 2004, in materia di aiuti a favore delle imprese che hanno sostenuto spese per la partecipazione espositiva di prodotti in fiere all’estero;

§      articolo 24, relativo all’attuazione della decisione n. 2005/315/CE della Commissione, del 20 ottobre 2004, in materia di aiuti a favore delle imprese che hanno realizzato investimenti nei comuni colpiti da eventi calamitosi nel 2002.

 

Anche nella legge comunitaria 2005, come nelle precedenti, sono contenute disposizioni dirette a dare esecuzione a sentenze o risolvere procedure di infrazione avviate a livello comunitario (articoli 11, 12, 17, 19, 20, 25 e 26). Peraltro, tale finalità è espressamente enunciata solo dagli articoli 20 e 25. In particolare:

§      L’articolo 11 interviene in materia di obblighi contabili per i produttori di rifiuti pericolosi, al fine di dare attuazione ad un’ordinanza della Corte di Giustizia del 28.9.2004 (Causa C-115/03); la norma introduce nell’ordinamento nazionale una disposizione normativa che stabilisce l’obbligo della tenuta del registro di carico e scarico per i produttori di rifiuti pericolosi non inquadrati inun’organizzazione di ente o d’impresa.

§      L’articolo 12 è finalizzato invece a coprire casi di non applicabilità delle direttive 89/48/CEE, 92/51/CEE e 99/42/CE sulla base dei principi contenuti nelle sentenze della Corte di Giustizia dell’8 luglio 1999, causa C-234/97 e del 13 novembre 2003, causa C-313/01. La norma riguarda la valutazione di titoli e certificazioni acquisiti in altri Stati membri o in Stati aderenti all’Accordo sullo Spazio economico europeo e nella Confederazione elvetica.

§      L’articolo 17 dispone l’abrogazione dei commi 1 e 2 dell’articolo 38 del DPR n. 290 del 2001, concernente l’immissione in commercio e l’etichettatura di taluni prodotti fitosanitari, in linea con quanto richiesto dalla procedura di infrazione 2001/4742.

§      L’articolo 19 abroga l’articolo 20 del d.lgs. n. 18/1999[14] (di attuazione della direttiva 96/67/CE), recante una norma transitoria volta a far salve sino alla scadenza dei relativi contratti, senza possibilità di proroga, ed in ogni caso per un periodo non superiore a sei anni[15], le situazioni contrattuali del personale dei servizi di assistenza a terra, in atto al 19 novembre 1998, che prevedono assetti organizzativi o contrattuali diversi da quelli connessi alla liberalizzazione introdotta dallo stesso d.lgs. n. 18/1999. La disposizione in esame appare finalizzata ad ottemperare alla sentenza della Corte di Giustizia europea del 9 dicembre 2004 in relazione alla causa C-460/02, con la quale è stato ritenuto in contrasto con la direttiva 96/67/CE il periodo transitorio previsto dal citato articolo 20 del d.lgs. n. 18/1999. Si osserva che non appare chiara, alla luce della sentenza della Corte di giustizia, la ratio dell’abrogazione disposta dall’articolo in esame, stante che il periodo transitorio previsto dalla norma da abrogare (“periodo comunque non superiore a sei anni dalla data di entrata in vigore del d.lgs. 18/1999) risulta ormai decorso.

Nell’ambito del ddl comunitaria 2006 (A.S. 1014) è stato introdotto, dall’Assemblea della Camera, l’art. 23, recante “Modifica dell’articolo 14 del decreto legislativo 13 gennaio 1999, n. 18, in materia di servizi di assistenza a terra negli aeroporti”, che sostituisce l’articolo 14 del decreto legislativo 13 gennaio 1999, n. 18, prevedendo che: «fatte salve le disposizioni normative e contrattuali di tutela, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, nel caso di trasferimento delle attività concernenti una o più categorie di servizi di assistenza a terra di cui agli allegati A e B, al fine di individuare gli strumenti utili a governare gli effetti sociali derivanti dal processo di liberalizzazione, il Ministro dei trasporti, di concerto con il Ministro del lavoro e della previdenza sociale, garantisce il coinvolgimento dei soggetti sociali, anche a mezzo di opportune forme di concertazione». Tale articolo è finalizzato a dare attuazione alla sentenza della Corte di Giustizia del 9 dicembre 2004, nella causa C-460/02, per la mancata attuazione della quale è stato anche inviato all’Italia un parere motivato da parte della Commissione.

§      L’articolo 20 modifica il D.P.R. n. 54 del 2002, recante il testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di circolazione e soggiorno dei cittadini degli Stati membri dell’UE, in linea con le indicazioni emerse nelle procedure di infrazione 2003/2134 e 2003/2166, avviate dalla Commissione europea.

§      L’articolo 23 abroga l’articolo 8, comma 5, del d.lgs. n. 267/2003, il quale consente, in deroga alla disciplina generale sulla protezione delle galline ovaiole negli allevamenti, che le gabbie non modificate possano essere costruite e messe in funzione se commissionate prima del 31 dicembre 2002.Si segnala che di recente è stato emanato il D.M. 20 aprile 2006 che ha modificato gli allegati al d.lgs. 29 luglio 2003, n. 267 in modo da renderli conformi alle disposizioni comunitarie.

§      L’articolo 25 modifica l’art. 134, comma 1-bis, del d.lgs. n. 285 del 1992, al fine di superare i rilievi mossi dalla Commissione europea nella procedura di infrazione 2001/5165 in riferimento alla disciplina sull’immatricolazione dei veicoli, contenuta nel nuovo codice della strada. In particolare, l’attuale normativa, in violazione dell'articolo 43 TCE, non permetterebbe alle persone giuridiche con sede in altri Stati membri, ma che in Italia svolgono attività su base permanente, di immatricolare autoveicoli in Italia.

§      L’articolo 26 trae origine dalla procedura d’infrazione (n. 1999/4239) con la quale la Commissione europea ha contestato al Governo italiano la non conformità con il principio comunitario di non discriminazione in base al sesso nell’accesso al lavoro del sistema di reclutamento del personale femminile nelle Forze armate per “aliquote” d’ingresso, definite annualmente. A tal fine, la norma novella l’articolo 1 della legge 20 ottobre 1999, n. 380, modificandone il comma 6, che demanda al Ministro della difesa il compito di definire annualmente le aliquote, i ruoli, i corpi, le categorie, le specialità e le specializzazioni di ciascuna Forza armata in cui avranno luogo i reclutamenti del personale femminile.

Si ricorda, infine, che:

§      l’articolo 9 contiene una norma di recepimento diretto, ma parziale, della direttiva 2004/57/CE, sull’identificazione di articoli pirotecnici e certe munizioni, ai fini della direttiva del Consiglio 93/15/CEE, relativa all’armonizzazione delle disposizioni relative all’immissione sul mercato ed al controllo degli esplosivi per uso civile. Viene a tal fine modificato l’articolo 55 del Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza, approvato con Regio Decreto 18 giugno 1931, n. 773;

§      l’articolo 18 modifica la legge comunitaria per il 2004 (legge n. 62/2005), inserendo l’articolo 29-bis, al fine di introdurre principi e criteri direttivi specifici per il recepimento della direttiva 2003/41/CE, in materia di enti pensionistici, aziendali e professionali, già contenuta nell’allegato B della medesima legge comunitaria.

Nel corso dell’esame da parte dell’Assemblea della Camera dell’A.C. 5767-B sono state soppresse due disposizioni inserite dal Senato. Si tratta di:

§      L’articolo 20 (dell’A.C. 5767-B), che modificava il decreto legislativo n. 178 del 2003, attuativo della direttiva 2000/36/CE, relativa ai prodotti di cacao e cioccolato, abrogando gli articoli 6 e 7, comma 8, in ottemperanza alle indicazioni emerse in relazione alla procedura di infrazione (2003/5258), avviata dalla Commissione europea nei confronti dell’Italia. In particolare, la questione riguarda l’etichettatura dei prodotti di cacao e cioccolato, dal momento che l’articolo 6 del d.lgs. prevede l’utilizzo della denominazione “cioccolato puro”, per il cioccolato lavorato esclusivamente con burro di cacao, mentre l’articolo 3 della direttiva 2000/36/CE non sembra consentire tale possibilità. La decisione di sopprimere tale disposizione deriva dalla volontà del legislatore italiano di mantenere la denominazione “cioccolato puro”, ritenuta una maggiore garanzia per i consumatori ed indice di una superiore qualità del prodotto.

In proposito si ricorda che il 5 luglio 2005 la Commissione ha inviato all’Italia un parere motivato (procedura di infrazione n. 2003/5258) in merito all’attuazione della direttiva 2000/36/CE sui prodotti di cacao e di cioccolato destinati all’alimentazione umana. Secondo la Commissione, le disposizioni della normativa nazionale (art. 28 della legge n. 38/2002 e art. 6 del decreto legislativo n. 178/2003) che consentono di completare con l’aggettivo “puro” o con la dicitura “cioccolato puro” l’etichettatura dei prodotti di cioccolato che non contengano grassi vegetali diversi dal burro di cacao, sarebbero incompatibili con la normativa comunitaria relativa al ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di etichettatura e presentazione dei prodotti alimentari. Si ricorda altresì che il 16 gennaio 2003, con sentenza emessa nella causa C-14/2000, la Corte di giustizia ha già condannato l’Italia (assieme alla Spagna) per aver vietato la commercializzazione, con la denominazione di cioccolato, di prodotti che contengano sostanze grasse vegetali diverse dal burro di cacao, in quanto tale divieto contravveniva agli obblighi imposti dall’art. 28 del TCE sopra richiamato.

§      L’articolo 28 (sempre dell’A.C. 5767-B), che abrogava talune disposizioni del d.lgs. n. 146 del 2001 che impongono, a decorrere dal 2013, modalità più rigorose di allevamento degli animali da pelliccia. La disposizione interviene sul d.lgs n.146 del 2001, con cui è stata data attuazione, attraverso una disciplina assai dettagliata, ad una direttiva comunitaria (direttiva 98/58/CE) che ha disciplinato, in modo generale e lasciando ampio spazio alle normative nazionali di adeguamento, la protezione degli animali negli allevamenti. Tale norma non sembrava presentare profili di rilievo comunitario - non essendo diretta a dare attuazione ad atti ovvero ad obblighi comunitari - e non rientrava quindi nell’ambito del contenuto proprio della legge comunitaria, così come definito dall’articolo 9 della legge n. 11 del 2005.

Per quanto riguarda invece gli allegati A e B, vengono conferite deleghe per il recepimento delle sottoindicate direttive[16].

In allegato A (senza parere parlamentare sugli schemi di decreto legislativo):

·      2004/10/CE , ravvicinamento delle disposizioni relative all’applicazione dei princìpi di buona pratica di laboratorio e al controllo della loro applicazione per le prove sulle sostanze chimiche[17];

·      2004/23/CE, norme di qualità e di sicurezza per la donazione, l'approvvigionamento, il controllo, la lavorazione, la conservazione, lo stoccaggio e la distribuzione di tessuti e cellule umani;

·      2004/41/CE , abrogazione di alcune direttive recanti norme sull’igiene dei prodotti alimentari e le disposizioni sanitarie per la produzione e la commercializzazione di determinati prodotti di origine animale destinati al consumo umano[18];

·      2004/68/CE, norme di polizia sanitaria per le importazioni e il transito nella Comunità di determinati ungulati vivi[19];

·      2004/107/CE, concernente l’arsenico, il cadmio, il mercurio, il nickel e gli idrocarburi policiclici aromatici nell’aria ambiente[20];

·      2004/114/CE, condizioni di ammissione dei cittadini di paesi terzi per motivi di studio, scambio di alunni, tirocinio non retribuito o volontariato;

·      2004/117/CE, modifica di alcune direttive per quanto riguarda gli esami eseguiti sotto sorveglianza ufficiale e l’equivalenza delle sementi prodotte in paesi terzi[21];

·      2005/1/CE , modifica di alcune direttive al fine di istituire una nuova struttura organizzativa per i comitati del settore dei servizi finanziari[22];

·      2005/29/CE, pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori nel mercato interno («direttiva sulle pratiche commerciali sleali»)[23];

·      2005/50/CE         , riclassificazione delle protesi articolari dell’anca, del ginocchio e della spalla[24].

 

In allegato B (con parere delle competenti Commissioni parlamentari):

-       1998/44/CE, protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche[25];

Si segnala che il recepimento di tale direttiva è avvenuto con il decreto legge 10 gennaio 2006, n. 3, conv. con modif. dalla legge 22 febbraio 2006, n. 78.

-       2000/60/CE, istituzione di un quadro per l’azione comunitaria in materia di acque[26];

Si segnala che nell’ambito del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 “Norme in materia ambientale” di riordino della materia ambientale ed attuativo della delega - legge 15 dicembre 2004, n. 308 -, la Parte Terza, recante “Norme in materia di difesa del suolo e lotta alla desertificazione, di tutela delle acque dall’inquinamento e di gestione delle risorse idriche”, ha recepito – fra l’altro – anche la direttiva 2000/60/CE.

-       2003/123/CE, regime fiscale comune applicabile alle società madri e figlie di Stati membri diversi[27];

Si ricorda che lo schema di decreto legislativo (atto n. 16), volto a dare attuazione alla direttiva in oggetto, è stato presentato al Parlamento per l’espressione del parere da parte delle Commissioni competenti.

-       2004/9/CE, ispezione e verifica della buona pratica di laboratorio (BPL)[28];

-       2004/36/CE, sicurezza degli aeromobili di paesi terzi che utilizzano aeroporti comunitari[29];

-       2004/40/CE, prescrizioni minime di sicurezza e di salute relative all'esposizione dei lavoratori ai rischi derivanti dagli agenti fisici (campi elettromagnetici);

-       2004/49/CE, relativa alla sicurezza delle ferrovie comunitarie e recante modifica della direttiva 95/18/CE del Consiglio relativa alle licenze delle imprese ferroviarie e della direttiva 2001/14/CE relativa alla ripartizione della capacità di infrastruttura ferroviaria, all’imposizione dei diritti per l’utilizzo dell’infrastruttura ferroviaria e alla certificazione di sicurezza (direttiva sulla sicurezza delle ferrovie)[30];

-       2004/50/CE, modifica della direttiva 96/48/CE del Consiglio relativa all’interoperabilità del sistema ferroviario transeuropeo ad alta velocità e della direttiva 2001/16/CE del Parlamento europeo e del Consiglio relativa all’interoperabilità del sistema ferroviario transeuropeo convenzionale[31];

-       2004/51/CE, modifica della direttiva 91/440/CEE relativa allo sviluppo delle ferrovie comunitarie[32];

-       2004/54/CE, requisiti minimi di sicurezza per le gallerie della rete transeuropea[33];

Si segnala che è in corso di pubblicazione in Gazzetta ufficiale il decreto legislativo recante attuazione della direttiva 2004/54/CE.

-       2004/80/CE, indennizzo delle vittime di reato;

-       2004/81/CE, titolo di soggiorno da rilasciare ai cittadini di paesi terzi vittime della tratta di esseri umani o coinvolti in un'azione di favoreggiamento dell'immigrazione illegale che cooperino con le autorità competenti[34];

-       2004/82/CE, obbligo dei vettori di comunicare i dati relativi alle persone trasportate[35];

-       2004/83/CE, norme minime sull'attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta;

-       2004/108/CE, ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative alla compatibilità elettromagnetica e che abroga la direttiva 89/336/CEE[36];

-       2004/109/CE, armonizzazione degli obblighi di trasparenza riguardanti le informazioni sugli emittenti i cui valori mobiliari sono ammessi alla negoziazione in un mercato regolamentato[37];

-       2004/113/CE, principio della parità di trattamento tra uomini e donne per quanto riguarda l'accesso a beni e servizi e la loro fornitura;

-       2005/14/CE, assicurazione della responsabilità civile risultante dalla circolazione di autoveicoli[38];

-       2005/19/CE, regime fiscale comune per fusioni, scissioni, conferimenti d’attivo e scambi d’azioni[39];

-       2005/28/CE, princìpi e linee guida per la buona pratica clinica relativa ai medicinali in fase di sperimentazione a uso umano nonché i requisiti per l’autorizzazione alla fabbricazione o importazione di tali medicinali[40];

-       2005/36/CE, riconoscimento delle qualifiche professionali[41];

-       2005/60/CE, prevenzione dell’uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo[42].

Per le suddette direttive, tranne che per la 2005/60/CE, non sono previsti specifici criteri di delega.

Per quanto riguarda l’allegato C, viene autorizzata l’adozione di regolamenti delegificanti per l’attuazione delle seguenti direttive:

-       2003/103/CE, modifica della direttiva 2001/25/CE concernente i requisiti minimi di formazione per la gente di mare[43];

-       2005/23/CE, modifica della direttiva 2001/25/CE concernente i requisiti minimi di formazione per la gente di mare[44].

 

I settori principalmente interessati dalla legge comunitaria per il 2005 sono i seguenti:

§        immigrazione e sicurezza (titolo di soggiorno per le vittime della tratta di esseri umani, ammissione di cittadini di paesi terzi per motivi di studio, identificazione di articoli pirotecnici e munizioni, protezione internazionale degli apolidi o rifugiati, circolazione e soggiorno dei cittadini dei Paesi membri);

§        giustizia (indennizzo vittime di reato, protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche);

§        sanità (additivi alimentari, etichettatura nutrizionale dei prodotti alimentari, controlli sugli alimenti per animali, prodotti alimentari destinati ad un’alimentazione particolare, igiene prodotti alimentari prodotti cosmetici, protesi articolari e dispositivi medici, buona pratica di laboratorio, buona pratica clinica per i medicinali in fase di sperimentazione);

§        tutela dell’ambiente (rifiuti pericolosi, compatibilità elettromagnetica, emissioni di biossido di carbonio e consumo di carburante dei veicoli, inquinamento dell’aria, azione comunitaria in materia di acque);

§        agricoltura (prodotti fitosanitari, antipassitari, indagini statistiche nel settore del latte, commercializzazione delle sementi, protezione da organismi nocivi, galline ovaiole);

§        istruzione (valutazione di titoli e certificazioni acquisiti in altri Stati membri, equipollenza di titoli di studio);

§        trasporti e comunicazioni (sicurezza degli aeromobili di paesi terzi, sicurezza delle reti transeuropee, sicurezza e sviluppo del sistema ferroviario comunitario e transeuropeo ad alta velocità, protezione dei pedoni, dati delle persone trasportate, dispositivi di limitazione della velocità, riscaldamento dei veicoli a motore, requisiti tecnici dei sistemi di evacuazione degli aerei, assistenza a terra negli aereoporti);

§        attività produttive (etichettatura acque minerali, etichettatura di prodotti alimentari, pratiche commerciali sleali, qualifiche professionali);

§        finanze (regime fiscale per le società madri e figlie, regime fiscale applicabile a scissioni, fusioni societarie e conferimenti d’attivo, obblighi di trasparenza per gli emittenti valori mobiliari; prevenzione riciclaggio, comitati di settore dei servizi finanziari, assicurazione per responsabilità civile derivante dalla circolazione di autoveicoli)

§        lavoro (sicurezza e salute dei lavoratori per esposizione a campi elettromagnetici, requisiti minimi di formazione della gente di mare, enti pensionistici aziendali o prefessionali).

 


La legge comunitaria annuale

La legge comunitaria annuale è uno strumento normativo volto ad assicurare il periodico adeguamento dell’ordinamento nazionale a quello comunitario. Tale specifica procedura di recepimento della normativa comunitaria - che prevede la presentazione al Parlamento entro il 31 gennaio di ogni anno, da parte del Ministro per le politiche comunitarie, di un disegno di legge annuale - è stata introdotta dalla  9 marzo 1989, n. 86 (legge “La Pergola"). Peraltro, è entrata in vigore il 2 marzo scorso la legge 4 febbraio 2005, n. 11, recante “Norme generali sulla partecipazione dell’Italia al processo normativo dell’Unione europea e sulle procedure di esecuzione degli obblighi comunitari”, che ha integralmente sostituito ed abrogato le legge “La Pergola”. Il nuovo disposto normativo ha inciso anche sui contenuti della legge comunitaria, che risultano ora ampliati rispetto alle previsioni della legge n. 86/1989.

Il contenuto proprio della legge comunitaria, in base all’articolo 9 della legge n. 11 del 2005, risulta quindi il seguente:

·      disposizioni modificative o abrogative di disposizioni statali vigenti in contrasto con gli obblighi di attuazione degli atti comunitari (Cfr. lett. a), comma 1, art. 3 legge n. 86);

·      disposizioni modificative o abrogative di disposizioni statali vigenti oggetto di procedure di infrazione (Cfr. lett. a-bis), comma 1, art. 3 legge n. 86);

·      disposizioni occorrenti per dare attuazione, anche mediante il conferimento al Governo di delega legislativa, a: ogni atto comunitario e dell’Unione europea che vincoli la Repubblica italiana ad adottare provvedimenti di attuazione; decisioni-quadro e decisioni adottate nell’ambito della cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale previste dall’articolo 34 del Trattato UE (Cfr. per i primi lett. b), comma 1, art. 3 legge n. 86);

·      disposizioni che autorizzano il Governo ad attuare in via regolamentare le direttive, sulla base di quanto previsto dall’articolo 11 (Cfr. lett. c), comma 1, art. 3 legge n. 86);

·      disposizioni occorrenti per dare esecuzione ai trattati internazionali conclusi nel quadro delle relazioni esterne dell’Unione europea;

·      disposizioni che individuano i princìpi fondamentali nel rispetto dei quali le regioni e le province autonome esercitano la propria competenza normativa per dare attuazione o assicurare l’applicazione di atti comunitari nelle materie di competenza concorrente;

·      disposizioni che, nelle materie di competenza legislativa delle regioni e delle province autonome, conferiscono delega al Governo per l’adozione di decreti legislativi recanti sanzioni penali per la violazione delle disposizioni comunitarie recepite dalle regioni e dalle province autonome;

·      disposizioni emanate nell’esercizio del potere sostitutivo di cui all’articolo 117, quinto comma, della Costituzione, in conformità ai princìpi e nel rispetto dei limiti di cui all’articolo 16, comma 3.

Si ricorda, invece, che secondo l’articolo 3 della legge n. 86/1989 la legge comunitaria conteneva:

·      disposizioni modificative o abrogative di norme vigenti, in contrasto con gli obblighi comunitari, finalizzate a dare attuazione diretta alle direttive comunitarie;

·      disposizioni di delega legislativa al Governo occorrenti per dare attuazione o assicurare l’applicazione di atti normativi del Consiglio o della Commissione dell’UE; le direttive da attuare con delega generalmente sono riportate in due distinti allegati – allegato A e allegato B il secondo dei quali contiene le direttive per le quali si richiede che lo schema di decreto legislativo di attuazione venga sottoposto al parere del Parlamento;

·      autorizzazione al Governo all’attuazione delle direttive o delle raccomandazioni (CECA) in via regolamentare. Viene così rimessa all'esercizio del potere regolamentare del Governo l'attuazione delle direttive (contenute in passato nell'allegato C), riguardanti materie già disciplinate con legge, ma non riservate alla legge;

Disposizioni modificative o abrogative anche di vigenti norme di attuazione di direttive comunitarie, qualora esse formino oggetto di procedure di infrazione avviate dalla Commissione europea nei confronti dell’Italia.

 


La legge n. 11 del 2005

La legge 4 febbraio 2005, recante “Norme generali sulla partecipazione dell’Italia al processo normativo dell’Unione europea e sulle procedure di esecuzione degli obblighi comunitari” è volta a modificare le procedure per la partecipazione dell’Italia al processo di formazione e di attuazione della normativa comunitaria previste dalla legge “La Pergola” (legge 9 marzo 1989, n. 86), che viene integralmente sostituita ed abrogata.

Le innovazioni attengono principalmente ai seguenti profili:

v     la partecipazione parlamentare e degli altri soggetti interessati alla cosiddetta fase “ascendente” della formazione del diritto comunitario;

v     l’introduzione della riserva di esame parlamentare sui progetti di atti comunitari, che il Governo può apporre in sede di Consiglio dei Ministri dell’UE;

v     la previsione di nuove modalità per il recepimento del diritto comunitario nella cosiddetta fase “discendente”;

v     la procedimentalizzazione della partecipazione delle regioni, degli enti locali e delle parti sociali a tutto il processo di integrazione del nostro ordinamento con quello dell’Unione europea, anche in relazione alle modifiche apportate al Titolo V della Costituzione dalla L. cost. n. 3/2001.

Il provvedimento intende rafforzare la partecipazione del nostro Paese al processoso normativo comunitario, sia nella fase di formazione che in quella di attuazione.

In merito alla fase ascendente, si ricorda – oltre alle novità già indicate – l’istituzione del Comitato interministeriale per gli affari comunitari europei (CIACE), nell’ambito del quale si concordano le linee politiche del Governo ai fini della formazione della posizione italiana nella fase di predisposizione degli atti comunitari e dell’Unione europea (articolo 2).

L’articolo 15 della legge modifica parzialmente anche il contenuto della relazione annuale al Parlamento. La novità più significativa è contenuta nella lettera d): la relazione governativa deve soffermarsi sulle osservazioni e sugli atti d’indirizzo del Parlamento e (limitatamente alle osservazioni) della Conferenza dei presidenti delle regioni e delle province autonome, della Conferenza  Stato-Regioni e dalla Conferenza dei presidenti delle Assemblee legislative regionali. Del pari innovativa, è la previsione di cui alla lettera e), in base alla quale il Governo deve fornire al Parlamento l’elenco delle  decisioni comunitarie che il Consiglio dei ministri ha deliberato di impugnare, indicandone i motivi. Le restanti previsioni ricalcano il disposto dell’art. 7 della legge n. 86.

In relazione alla fase discendente, oltre ad ampliare il contenuto proprio della legge comunitaria (su cui si veda il precedente paragrafo), la nuova legge prevede:

·      che il tempestivo adeguamento del nostro ordinamento al diritto comunitario possa essere assicurato anche attraverso l’attribuzione al Presidente del Consiglio o al Ministro per le politiche comunitarie della facoltà di proporre al Consiglio dei ministri l’adozione dei provvedimenti, anche urgenti, necessari al fine di dare attuazione ad atti normativi e sentenze degli organi comunitari, qualora la scadenza di essi risulti anteriore alla data di presunta entrata in vigore della legge comunitaria relativa all’anno in corso (art. 10);

·      la ridefinizione delle modalità di attuazione delle direttive in via regolamentare e amministrativa, circoscrivendo tale possibilità alle sole materie di potestà statale esclusiva (art. 11). I regolamenti sono adottati ai sensi dell’articolo 17, commi 1 e 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400 e devono conformarsi a specifici principi individuati al comma 3, tenendo comunque conto delle eventuali modificazioni della disciplina comunitaria intervenute sino al momento della loro adozione;

·      che le regioni (articolo 16), nelle materie di propria competenza, possono dare immediata attuazione alle direttive comunitarie;

·      la disciplina dei poteri sostitutivi statali (artt. 11, comma 8, 13, comma 2, e 16, comma 4), in modo analogo a quanto già contenuto all’art. 1, comma 5 (o 6), delle ultime leggi comunitarie. Infatti, si prevede che possono essere adottati atti normativi statali nelle materie di competenza legislativa delle regioni e delle province autonome al fine di porre rimedio all’eventuale inerzia di tali enti. In tale caso, gli atti normativi statali: si applicano esclusivamente nelle regioni e province autonome nelle quali non sia ancora in vigore una propria normativa di attuazione, a decorrere dalla scadenza del termine stabilito per l’attuazione della rispettiva normativa comunitaria; perdono comunque efficacia dalla data di entrata in vigore della normativa di attuazione di ciascuna regione e provincia autonoma; recano l’esplicita indicazione della natura sostitutiva del potere esercitato e del carattere cedevole delle disposizioni in essi contenute. Tale disciplina si pone in attuazione di quanto previsto dall’art. 117, quinto comma della Costituzione.

 

 

 


La legge n. 131 del 2003

Sui profili della partecipazione delle regioni all’ordinamento comunitario, è intervenuta anche la legge n. 131 del 2003, recante “Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3”.

In particolare, l’articolo 1, comma 2, della legge pone una clausola di cedevolezza – analogamente a quanto previsto dagli articoli 11, comma 8, 13, comma 2, e 16, comma 4, della legge n. 11 del 2005, il primo dei quali è richiamato della legge comunitaria in esame – in base alla quale la normativa statale vigente in materie rientranti nella competenza legislativa regionale si applica sino alla data di entrata in vigore delle specifiche disposizioni regionali in materia.

Inoltre, l’articolo 5 di tale provvedimento reca disposizioni per la partecipazione delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano alla formazione degli atti comunitari e dell’Unione europea (la c.d. “fase ascendente”). La norma prevede che la partecipazione si svolga nell’ambito delle delegazioni del Governo e, nelle materie di competenza residuale delle regioni ex art. 117, IV comma, Cost., il Capo delegazione possa anche essere un Presidente di Giunta regionale o di Provincia autonoma.

Si ricorda che a tale disposizione ha dato attuazione l'articolo 2 dell'Accordo generale di cooperazione Stato/Regioni per la partecipazione delle Regioni alla formazione degli atti comunitari[45], in base al quale le Regioni sono rappresentate dal Presidente della Regione o da un delegato da esso designato, mentre l'articolo 4 prevede che nelle materie ex articolo 117, IV comma, il capo delegazione sia il Governo, salva diversa determinazione assunta d'intesa in sede di Conferenza Stato-Regioni, su istanza delle Regioni o della pubblica amministrazione.

Il comma 2 dell’articolo 5 ha altresì introdotto la possibilità che il Governo - nelle materie di competenza legislativa delle Regioni e delle Province autonome - proponga ricorso dinanzi alla Corte di giustizia avverso atti normativi comunitari ritenuti illegittimi anche su richiesta di una delle Regioni (o delle Province autonome). Tale possibilità diviene obbligo, qualora la richiesta venga effettuata dalla Conferenza Stato-Regioni, a maggioranza assoluta delle Regioni e delle Province autonome.

Infine, l’articolo 8 disciplina l’esercizio dei poteri statali sostitutivi, in attuazione dell’art. 120, II comma, Cost., stabilendo che qualora essi siano necessari al fine di porre rimedio alla violazione della normativa comunitaria, gli atti ed i provvedimenti sostitutivi sono adottati su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri o del Ministro per le politiche comunitarie e del Ministro competente per materia. In particolare, la norma prevede l’assegnazione di un congruo termine all’ente interessato per provvedere, decorso il quale interviene l’adozione dell’atto sostitutivo, di natura anche normativa, da parte del Consiglio dei ministri, sentito l’organo interessato. Accanto a questa forma di sostituzione, l’articolo 8 ne disciplina un’altra, attivabile nei casi di assoluta urgenza (comma 4).


Le leggi comunitarie regionali

Negli ultimi anni si sta registrando una grande attenzione per la questione dell’introduzione di specifiche leggi comunitarie regionali, tanto è vero che diverse Regioni hanno iniziato a disciplinare la materia[46]: due (Emilia-Romagna e Friuli Venezia Giulia) hanno deciso di intervenire prima con leggi ordinarie e quindi con gli Statuti, dotandosi dello strumento della legge comunitaria (per il Friuli si tratta ancora di un progetto di Statuto, Cfr. infra); altre (Calabria, Lazio, Liguria, Piemonte, Puglia, Abruzzo e Toscana) si sono affidate agli Statuti, che in qualche caso rinviano a successive leggi regionali; in particolare, gli Statuti del Lazio e del Piemonte disciplinano la legge comunitaria regionale. Si occupano dell’argomento anche due proposte di legge costituzionale approvate – rispettivamente – dal Consiglio regionale del Friuli Venezia Giulia e dall’Assemblea regionale siciliana per la revisione dei rispettivi Statuti. Infine, la Valle d’Aosta ha dedicato un’apposita legge alla disciplina delle attività e relazioni europee ed internazionali.

Per quanto riguarda le prime Regioni, Emilia-Romagna e Friuli Venezia Giulia hanno previsto l’adozione di leggi comunitarie (annuali in Emilia-Romagna e periodiche in Friuli Venezia Giulia). Mentre la legge n. 10 del 2004 del Friuli è una legge organica, che reca disposizioni sulla partecipazione della Regione ai processi normativi dell’UE e sull’esecuzione degli obblighi comunitari, la legge n. 6 del 2004 dell’Emilia riforma in via generale il sistema amministrativo regionale, dettando specifiche disposizioni sui rapporti con l’Unione europea.

In particolare, la prima disciplina:

§      la partecipazione della Regione alla formazione degli atti comunitari;

§      la legge comunitaria regionale, contenente: disposizioni modificative o abrogative di norme legislative in contrasto con gli obblighi comunitari; disposizioni per dare attuazione ad atti comunitari; disposizioni che autorizzano la Giunta ad attuare le direttive in via regolamentare; elenco delle direttive da attuare in via amministrativa, regolamentare e di quelle che non necessitano di attuazione;

§      la relazione semestrale al Consiglio regionale sullo stato di attuazione della legge.

La legge n. 6 del 2004 dell’Emilia-Romagna prevede anch’essa forme di partecipazione della Regione alla fase ascendente nonché una legge comunitaria regionale, volta a recepire gli atti normativi dell’UE e le sentenze della Corte di Giustizia. Inoltre, essa reca disposizioni modificative o abrogative di norme legislative necessarie all’attuazione degli obblighi comunitari e le disposizioni per l’attuazione di programmi regionali cofinanziati dall’UE, individuando infine gli atti comunitari da attuare in via amministrativa.

Contenuti del tutto analoghi reca la legge n. 8 del 2006 della Valle d’Aosta, i cui articoli 9 e 10 introducono e disciplinano la legge comunitaria regionale[47]. In particolare, alla legge comunitaria sono altresì allegati l’elenco degli atti normativi comunitari che non necessitano di recepimento, in quanto l’ordinamento regionale risulta già conforme, nonché l’elenco degli atti normativi comunitari attuati in via amministrativa dalla Giunta (Cfr. la legge comunitaria del Friuli).

Le Regioni Lazio e Piemonte disciplinano nel proprio Statuto la legge comunitaria regionale: il Lazio prevede l’istituzione di una Commissione competente per gli affari comunitari ed entrambe stabiliscono che la legge comunitaria venga approvata in una apposita sessione.

Per quanto riguarda le altre Regioni, si segnala che:

§      la Calabria prevede l’istituzione di una Commissione preposta alla trattazione delle questioni relative ai rapporti con l’Unione europea e di quelle con le Regioni e i Paesi extra-europei del Mediterraneo, stabilendo altresì che la Regione partecipa all’attuazione del diritto comunitario (Statuto, articoli 28, 3 e 42);

§      la Regione Umbria prevede nell’ambito del proprio Statuto, all’articolo 25, che essa procede con legge al periodico recepimento delle direttive e degli altri atti normativi comunitari che richiedono un intervento legislativo: probabilmente sarà una futura legge regionale a disciplinare le concrete modalità di attuazione della normativa comunitaria;

§      lo Statuto della Toscana rinvia alla legge regionale la definizione dei modi di partecipazione di Giunta e Consiglio all’attuazione degli atti comunitari (articolo 70);

§      gli Statuti della Liguria, della Puglia e delle Marche dedicano specifici articoli ai rapporti con l’Unione europea, ponendo essenzialmente norme di principio. In particolare, l’art. 4 dello Statuto della Liguria afferma la partecipazione della Regione all’attuazione degli atti normativi comunitari, prevedendo altresì che essa realizzi forme di collegamento con gli organi dell’UE. Inoltre, l’art. 50 stabilisce che i regolamenti regionali di esecuzione di atti normativi comunitari sono approvati dalla Giunta, previo parere della Commissione consiliare competente. L’art. 9 dello Statuto della Puglia e l’art. 1 dello Statuto delle Marche dichiarano, invece, che la Regione opera nel quadro dei principi comunitari, cooperando con le Regioni d’Europa e sostenendo i processi d’integrazione. Infine, lo statuto delle Marche pone varie norme volte a disciplinare le attività degli organi regionali in relazione ai rapporti con l’Unione europea (specie artt. 21 e 35).

§      la Regione Sicilia propone di integrare il proprio Statuto con una sezione specificamente dedicata ai rapporti internazionali e con l’Unione europea e con una innovativa previsione, volta a consentire, ai soli fini dell’attuazione del diritto dell’Unione europea, che il Governo regionale possa essere delegato con legge, per materie determinate e con l’indicazione dei tempi, non superiori a sei mesi, e dei principi e criteri direttivi, ad adottare decreti con valore di legge regionale, previo parere vincolante della competente Commissione legislativa della Assemblea regionale siciliana.

 

Infine, si ricorda che la Regione Friuli si è rivelata particolarmente attiva ai fini dell’adempimento degli obblighi comunitari. Infatti, dopo l’approvazione della legge di carattere generale ed in sua attuazione, la Regione ha adottato due leggi comunitarie, quella per il 2004 e quella per il 2005. Si tratta delle leggi regionali 6 maggio 2005, n. 11, recante Disposizioni per l’adempimento degli obblighi della Regione Friuli Venezia Giulia derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee. Attuazione delle direttive 2001/42/CE, 2003/4/CE e 2003/78/CE (Legge comunitaria 2004) e 26 maggio 2006, n. 9, recante Disposizioni per l’adempimento degli obblighi della Regione Friuli Venezia Giulia derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee. Attuazione delle direttive 98/64/CE, 1999/27/CE, 1999/76/CE, 2000/45/CE, 2001/22/CE, 2003/126/CE, 2004/16/CE, 2005/4/CE, 2005/6/CE, 2005/10/CE.

 


 

Parte I - L’articolato della legge

 


Art. 1

 

(Delega al Governo per l’attuazione di direttive comunitarie)

 

 


1. Il Governo è delegato ad adottare, entro il termine di diciotto mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, i decreti legislativi recanti le norme occorrenti per dare attuazione alle direttive comprese negli elenchi di cui agli allegati A e B.

2. I decreti legislativi sono adottati, nel rispetto dell'articolo 14 della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri o del Ministro per le politiche comunitarie e del Ministro con competenza istituzionale prevalente per la materia, di concerto con i Ministri degli affari esteri, della giustizia, dell'economia e delle finanze e con gli altri Ministri interessati in relazione all'oggetto della direttiva.

3. Gli schemi dei decreti legislativi recanti attuazione delle direttive comprese nell'elenco di cui all'allegato B, nonché, qualora sia previsto il ricorso a sanzioni penali, quelli relativi all'attuazione delle direttive elencate nell'allegato A, sono trasmessi, dopo l'acquisizione degli altri pareri previsti dalla legge, alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica perché su di essi sia espresso il parere dei competenti organi parlamentari. Decorsi quaranta giorni dalla data di trasmissione, i decreti sono emanati anche in mancanza del parere. Qualora il termine per l'espressione del parere parlamentare di cui al presente comma, ovvero i diversi termini previsti dai commi 4 e 9, scadano nei trenta giorni che precedono la scadenza dei termini previsti ai commi 1 o 5 o successivamente, questi ultimi sono prorogati di novanta giorni.

4. Gli schemi dei decreti legislativi recanti attuazione della direttiva 2003/123/CE, della direttiva 2004/9/CE, della direttiva 2004/36/CE, della direttiva 2004/49/CE, della direttiva 2004/50/CE, della direttiva 2004/54/CE, della direttiva 2004/80/CE, della direttiva 2004/81/CE, della direttiva 2004/83/CE, della direttiva 2004/113/CE, della direttiva 2005/19/CE, della direttiva 2005/28/CE, della direttiva 2005/36/CE e della direttiva 2005/60/CE sono corredati dalla relazione tecnica di cui all'articolo 11-ter, comma 2, della legge 5 agosto 1978, n. 468, e successive modificazioni. Su di essi è richiesto anche il parere delle Commissioni parlamentari competenti per i profili finanziari. Il Governo, ove non intenda conformarsi alle condizioni formulate con riferimento all'esigenza di garantire il rispetto dell'articolo 81, quarto comma, della Costituzione, ritrasmette alle Camere i testi, corredati dei necessari elementi integrativi di informazione, per i pareri definitivi delle Commissioni competenti per i profili finanziari, che devono essere espressi entro venti giorni.

5. Entro diciotto mesi dalla data di entrata in vigore di ciascuno dei decreti legislativi di cui al comma 1, nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi fissati dalla presente legge, il Governo può emanare, con la procedura indicata nei commi 2, 3 e 4, disposizioni integrative e correttive dei decreti legislativi emanati ai sensi del comma 1, fatto salvo quanto previsto dal comma 6.

6. Entro tre anni dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo di cui al comma 1 adottato per l'attuazione della direttiva 2004/109/CE, di cui all'allegato B, il Governo, nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi di cui all'articolo 3 e con la procedura prevista dal presente articolo, può emanare disposizioni integrative e correttive al fine di tenere conto delle eventuali disposizioni di attuazione adottate dalla Commissione europea secondo la procedura di cui all'articolo 27, paragrafo 2, della medesima direttiva.

7. In relazione a quanto disposto dall'articolo 117, quinto comma, della Costituzione e dall'articolo 16, comma 3, della legge 4 febbraio 2005, n. 11, si applicano le disposizioni di cui all'articolo 11, comma 8, della medesima legge n. 11 del 2005.

8. Il Ministro per le politiche comunitarie, nel caso in cui una o più deleghe di cui al comma 1 non risulti ancora esercitata trascorsi quattro mesi dal termine previsto dalla direttiva per la sua attuazione, trasmette alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica una relazione che dia conto dei motivi addotti dai Ministri con competenza istituzionale prevalente per la materia a giustificazione del ritardo. Il Ministro per le politiche comunitarie ogni quattro mesi informa altresì la Camera dei deputati e il Senato della Repubblica sullo stato di attuazione delle direttive da parte delle regioni e delle province autonome nelle materie di loro competenza.

9. Il Governo, quando non intende conformarsi ai pareri parlamentari di cui al comma 3, relativi a sanzioni penali contenute negli schemi di decreti legislativi recanti attuazione delle direttive comprese negli allegati A e B, ritrasmette con le sue osservazioni e con eventuali modificazioni i testi alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica. Decorsi trenta giorni dalla data di ritrasmissione, i decreti sono emanati anche in mancanza di nuovo parere.


 

 

L’articolo 1 conferisce una delega al Governo per l’attuazione delle direttive comunitarie riportate in allegato alla legge e stabilisce i termini e le modalità di adozione dei decreti legislativi attuativi. Nel corso dell’esame al Senato sono state apportate alcune modifiche, limitatamente ai commi 3, 4 e 9 dell’articolo.

Il comma 1 fa richiamo ai due elenchi di direttive comprese negli allegati A e B alla legge comunitaria, alle quali dare attuazione entro diciotto mesi dalla data di entrata in vigore della legge, secondo la procedura di cui al comma 2, che richiama a sua volta l’art. 14 della legge n. 400/1988[48].

La distinzione tra i due allegati è nel fatto che (comma 3) il procedimento per l’attuazione delle direttive incluse nell’allegato B prevede l’espressione del parere da parte dei competenti organi parlamentari; entro quaranta giorni dalla data di trasmissione i decreti possono comunque essere emanati. Tale procedura – che riproduce quella già prevista nelle ultime leggi comunitarie – è estesa anche ai decreti di attuazione delle direttive di cui all’allegato A, qualora in essi sia previsto il ricorso a sanzioni penali.

È a tal proposito previsto che, qualora i termini fissati per l’espressione del parere parlamentare dal comma 3 e dai successivi commi 4 e 9 (sui quali si veda infra) vengano a spirare in un momento successivo al trentesimo giorno antecedente la scadenza del termine per l’esercizio della delega, quest’ultimo termine sia prorogato di novanta giorni. Tale previsione normativa si applica anche ai decreti legislativi integrativi o correttivi, previsti dal successivo comma 5 (vedi infra).

Il comma 4 reca una disposizione già contenuta nella legge comunitaria 2004 (art. 1, comma 4), prevedendo modalità specifiche per l’esame parlamentare in relazione al recepimento di alcune direttive espressamente indicate. Si tratta delle direttive 2003/123/CE, 2004/36/CE, 2004/9/CE, 2004/49/CE, 2004/50/CE, 2004/54/CE, 2004/80/CE, 2004/81/CE, 2004/83/CE, 2004/113/CE, 2005/19/CE, 2005/28/CE, 2005/36/CE e 2005/60/CE; per i relativi schemi di decreto legislativo che ne recano l’attuazione sono previste due ulteriori condizioni:

§      devono essere corredati della relazione tecnica prevista dalla legge 468/1978[49] (art. 11-ter, comma 2);

§      su di essi è richiesto il parere delle Commissioni competenti per i profili finanziari (oltre a quello delle Commissioni competenti per materia: si tratta infatti di direttive ricomprese nell’allegato B).

Per quanto riguarda la prima condizione, la previsione che gli schemi di decreto legislativo debbano essere corredati dalla relazione tecnica è già contemplata in via generale dalla legge n. 468/1978, richiamata dal testo in esame, che ne richiede la presentazione per tutti i provvedimenti di iniziativa governativa – oltre agli schemi di decreto legislativo, anche ai disegni di legge e agli emendamenti del Governo – comportanti conseguenze finanziarie.

Il comma prevede altresì che il Governo, ove non intenda conformarsi alle condizioni formulate al fine di garantire il rispetto dell'art. 81, quarto comma, Cost., deve sottoporre nuovamente i testi (corredati delle necessarie informazioni integrative) al parere delle Commissioni competenti per i profili finanziari, che si esprimono entro venti giorni. Viene così introdotto il cosiddetto “doppio parere”, limitatamente ai provvedimenti di recepimento delle direttive sopra indicate. Una misura analoga è prevista, come si vedrà, per gli schemi di decreto che prevedono sanzioni penali (comma 9).

Il comma 5 delega il Governo ad emanare, con la medesima procedura di cui ai commi 2, 3 e 4, entro diciotto mesi dall’entrata in vigore di ciascuno dei decreti legislativi, disposizioni integrative e correttive dei decreti medesimi, nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi fissati dalla legge.

Il comma 6 delega il Governo ad adottare, entro tre anni, disposizioni correttive e integrative del decreto legislativo recante l’attuazione della direttiva 2004/109/CE del 15 dicembre 2004 (inserita nell’allegato B della presente legge) relativa all'armonizzazione degli obblighi di trasparenza riguardanti le informazioni sugli emittenti i cui valori mobiliari sono ammessi alla negoziazione in un mercato regolamentato, che si dovessero rendere necessarie al fine di tener conto delle eventuali disposizioni di attuazione adottate dalla Commissione europea secondo la procedura di cui all'art. 27, par. 2, della medesima direttiva 2004/109/CE[50].

Il comma 7, tenendo conto dell’entrata in vigore delle modifiche apportate al Titolo V della Parte II della Costituzione dalla L. Cost. 3/2001[51], opera un rinvio all’art. 11, co. 8, della legge n. 11/2005, ove si prevede – in attuazione del nuovo quinto comma dell’art. 117 Cost. – un intervento suppletivo anticipato e cedevole da parte dello Stato, in caso di inadempienza delle Regioni nell’attuazione delle direttive nelle materie di loro competenza. Quest’ultima disposizione, inserita nelle precedenti leggi comunitarie[52], è stata recepita in via generale nella recente legge n. 11/2005: di qui la scelta di limitare la disposizione ad un mero rinvio all’art. 11, co. 8, della legge n. 11/2005.

Il comma 8 pone in capo al Ministro per le politiche comunitarie il duplice compito di comunicare alle Camere, con apposite relazioni, i motivi dell’eventuale mancata attuazione delle direttive comunitarie e lo stato di attuazione delle direttive da parte delle regioni.

Il comma 9 concerne i pareri parlamentari aventi ad oggetto le disposizioni penali introdotte negli schemi di decreti legislativi e prevede che, qualora il Governo non intenda conformarsi ai pareri, debba ritrasmettere alle Camere gli schemi con le sue osservazioni e con eventuali modificazioni. Le Commissioni competenti esprimono il parere definitivo entro trenta giorni (il Senato ha modificato in tal senso il termine di venti giorni previsto dal testo approvato dalla Camera), decorsi i quali i decreti sono comunque emanati.

 


Art. 2

 

(Modifica all’articolo 10 della legge 4 febbraio 2005, n. 11)

 

 

 


1. Il comma 4 dell'articolo 10 della legge 4 febbraio 2005, n. 11, è sostituito dal seguente:

«4. I decreti legislativi di attuazione di normative comunitarie o di modifica di disposizioni attuative delle medesime, la cui delega è contenuta in leggi diverse dalla legge comunitaria annuale, fatti salvi gli specifici princìpi e criteri direttivi stabiliti dalle disposizioni della legge di conferimento della delega, ove non in contrasto con il diritto comunitario, e in aggiunta a quelli contenuti nelle normative comunitarie da attuare, sono adottati nel rispetto degli altri princìpi e criteri direttivi generali previsti dalla stessa legge comunitaria per l'anno di riferimento, su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri o del Ministro per le politiche comunitarie e del Ministro con competenza istituzionale prevalente per la materia, di concerto con i Ministri degli affari esteri, della giustizia, dell'economia e delle finanze e con gli altri Ministri interessati in relazione all'oggetto della normativa».


 

 

L’articolo 2, inserito nel corso dell’iter parlamentare dalla Camera dei deputati, novella il comma 4 dell’articolo 10 della legge 11/2005[53], introducendo una disposizione la cui efficacia trascende l’ambito di intervento della legge comunitaria: essa si riferisce infatti, in via generale, ai decreti legislativi che diano attuazione a normative comunitarie, o che modifichino disposizioni attuative delle medesime, la cui delega sia contenuta in leggi diverse dalla legge comunitaria annuale.

Tale disposizione è infatti volta a disciplinare l’esercizio sia delle deleghe legislative già conferite e non ancora attuate, sia delle deleghe che in materia comunitaria saranno conferite da future leggi, diverse dalle leggi comunitarie, disponendo che, fatti salvi i princìpi e criteri direttivi stabiliti di volta in volta dalle leggi delega (in conformità al diritto comunitario), ed in aggiunta ai princìpi contenuti nelle direttive da attuare, tali decreti legislativi dovranno essere adottati:

§      nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi generali previsti dalla legge comunitaria per l’anno di riferimento;

§      su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri o del ministro per le politiche comunitarie e del ministro con competenza istituzionale prevalente per la materia, di concerto con i ministri degli affari esteri, della giustizia, dell’economia e delle finanze e con gli altri ministri interessati in relazione all’oggetto della direttiva.

Si ricorda che tale disposizione era precedentemente contenuta all’articolo 1, comma 5, della legge comunitaria. Dal momento che il comma 5, nella sua formulazione originaria, riproduceva sostanzialmente il comma 4 dell’articolo 10 della legge n. 11 del 2005 (in base al quale: “i decreti legislativi di attuazione di normative comunitarie o di modifica di disposizioni attuative delle medesime, la cui delega è contenuta in leggi diverse dalla legge comunitaria annuale, sono adottati nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi generali previsti dalla stessa legge per l'anno di riferimento, su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri o del Ministro per le politiche comunitarie e del Ministro con competenza istituzionale prevalente per la materia, di concerto con i Ministri degli affari esteri, della giustizia, dell'economia e delle finanze e con gli altri Ministri interessati”[54]), aggiungendo un ulteriore inciso (“fatti salvi gli specifici princìpi e criteri direttivi stabiliti dalle disposizioni della legge di conferimento della delega, ove non in contrasto con il diritto comunitario, e in aggiunta a quelli contenuti nelle direttive da attuare”)si è ritenuto opportuno modificare il testo novellando direttamente la legge n. 11 del 2005, come peraltro richiesto dal parere del Comitato della legislazione nella seduta del 25 maggio 2005.

La novella legislativa mira ad assicurare alle leggi comunitarie annuali una capacità di influenza generale sull'esercizio di tutte le deleghe di attuazione comunitaria, anche se non contemplate nelle leggi comunitarie stesse, e nel contempo a definire gli assetti endogovernativi nella fase preparatoria dei decreti legislativi.

 


Art. 3

 

(Principi e criteri direttivi generali della delega legislativa)

 

 


1. Salvi gli specifici princìpi e criteri direttivi stabiliti dalle disposizioni di cui al capo II e in aggiunta a quelli contenuti nelle direttive da attuare, i decreti legislativi di cui all'articolo 1 sono informati ai seguenti princìpi e criteri direttivi generali:

a) le amministrazioni direttamente interessate provvedono all'attuazione dei decreti legislativi con le ordinarie strutture amministrative;

b) ai fini di un migliore coordinamento con le discipline vigenti per i singoli settori interessati dalla normativa da attuare, sono introdotte le occorrenti modificazioni alle discipline stesse, fatte salve le materie oggetto di delegificazione ovvero i procedimenti oggetto di semplificazione amministrativa;

c) al di fuori dei casi previsti dalle norme penali vigenti, ove necessario per assicurare l'osservanza delle disposizioni contenute nei decreti legislativi, sono previste sanzioni amministrative e penali per le infrazioni alle disposizioni dei decreti stessi. Le sanzioni penali, nei limiti, rispettivamente, dell'ammenda fino a 150.000 euro e dell'arresto fino a tre anni, sono previste, in via alternativa o congiunta, solo nei casi in cui le infrazioni ledano o espongano a pericolo interessi costituzionalmente protetti. In tali casi sono previste: la pena dell'ammenda alternativa all'arresto per le infrazioni che espongano a pericolo o danneggino l'interesse protetto; la pena dell'arresto congiunta a quella dell'ammenda per le infrazioni che rechino un danno di particolare gravità. Nelle predette ipotesi, in luogo dell'arresto e dell'ammenda, possono essere previste anche le sanzioni alternative di cui agli articoli 53 e seguenti del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274, e la relativa competenza del giudice di pace. La sanzione amministrativa del pagamento di una somma non inferiore a 150 euro e non superiore a 150.000 euro è prevista per le infrazioni che ledano o espongano a pericolo interessi diversi da quelli sopra indicati. Nell'ambito dei limiti minimi e massimi previsti, le sanzioni sopra indicate sono determinate nella loro entità, tenendo conto della diversa potenzialità lesiva dell'interesse protetto che ciascuna infrazione presenta in astratto, di specifiche qualità personali del colpevole, comprese quelle che impongono particolari doveri di prevenzione, controllo o vigilanza, nonché del vantaggio patrimoniale che l'infrazione può recare al colpevole o alla persona o all'ente nel cui interesse egli agisce. Entro i limiti di pena sopra indicati sono previste sanzioni identiche a quelle eventualmente già comminate dalle leggi vigenti per le violazioni omogenee e di pari offensività rispetto alle infrazioni alle disposizioni dei decreti legislativi;

d) eventuali spese non contemplate da leggi vigenti e che non riguardano l'attività ordinaria delle amministrazioni statali o regionali possono essere previste nei decreti legislativi recanti le norme necessarie per dare attuazione alle direttive nei soli limiti occorrenti per l'adempimento degli obblighi di attuazione delle direttive stesse; alla relativa copertura, nonché alla copertura delle minori entrate eventualmente derivanti dall'attuazione delle direttive, in quanto non sia possibile fare fronte con i fondi già assegnati alle competenti amministrazioni, si provvede a carico del fondo di rotazione di cui all'articolo 5 della legge 16 aprile 1987, n. 183, per un ammontare complessivo non superiore a 50 milioni di euro;

e) all'attuazione di direttive che modificano precedenti direttive già attuate con legge o con decreto legislativo si procede, se la modificazione non comporta ampliamento della materia regolata, apportando le corrispondenti modificazioni alla legge o al decreto legislativo di attuazione della direttiva modificata;

f) i decreti legislativi assicurano in ogni caso che, nelle materie oggetto delle direttive da attuare, la disciplina sia pienamente conforme alle prescrizioni delle direttive medesime, tenuto anche conto delle eventuali modificazioni comunque intervenute fino al momento dell'esercizio della delega;

g) quando si verifichino sovrapposizioni di competenze fra amministrazioni diverse o comunque siano coinvolte le competenze di più amministrazioni statali, i decreti legislativi individuano, attraverso le più opportune forme di coordinamento, rispettando i princìpi di sussidiarietà, differenziazione, adeguatezza e leale collaborazione e le competenze delle regioni e degli altri enti territoriali, le procedure per salvaguardare l'unitarietà dei processi decisionali, la trasparenza, la celerità, l'efficacia e l'economicità nell'azione amministrativa e la chiara individuazione dei soggetti responsabili.


 

 

L’articolo 3 detta i princìpi e criteri direttivi di carattere generale per l’esercizio delle deleghe ai fini dell’attuazione delle direttive comunitarie; si tratta di princìpi e criteri in gran parte già contenuti nelle precedenti leggi comunitarie, normalmente all’articolo 2.

La disposizione, prima di elencare tali princìpi generali, richiama due ulteriori categorie di princìpi e criteri direttivi per l’esercizio delle deleghe:

§         si tratta, innanzitutto, dei criteri contenuti nelle singole direttive comunitarie da attuare, ai quali si aggiungono i princìpi generali oggetto dell’articolo in esame;

§         in secondo luogo, sono fatti salvi gli specifici criteri di delega previsti dal capo II della legge in esame, contenenti, appunto, le disposizioni particolari di adempimento e i criteri specifici di delega di alcune delle direttive da attuare.

 

Tra i criteri generali di delega, quello di cui alla lettera a) precisa che le amministrazioni direttamente interessate provvedono all'attuazione dei decreti legislativi con le ordinarie strutture amministrative.

 

Il criterio di cui alla lettera b) prevede l’introduzione delle modifiche necessarie per un migliore coordinamento con le discipline vigenti nei singoli settori interessati dall’attuazione delle direttive comunitarie.

Analogamente alla legge comunitaria per il 2003 (legge n. 306/2003) e alla legge comunitaria per il 2004 (legge n. 62/2005), la norma in esame fa salve “le materie oggetto di delegificazione ovvero i procedimenti oggetto di semplificazione amministrativa”.

 

Si ricorda che le leggi comunitarie precedenti specificavano espressamente che le modifiche, qualora incidessero su materie già oggetto di delegificazione o sui procedimenti amministrativi, dovessero essere introdotte con regolamento di delegificazione, al fine di evitare la rilegificazione di settori disciplinati da norme di rango sublegislativo.

Tale disposizione, già espunta dalla legge comunitaria 2001[55], è stata eliminata perché, in seguito alla riforma del Titolo V della Parte II della Costituzione (L. Cost. 3/2001), la potestà regolamentare è riservata alle Regioni nelle materie che non siano di competenza legislativa esclusiva dello Stato[56].

 

Il comma 1, lett. c), contiene norme specifiche per l’introduzione nei decreti legislativi di recepimento delle direttive comunitarie di sanzioni penali e amministrative, per il caso di violazioni delle disposizioni contenute nei decreti legislativi stessi. Tale norma è stata in parte modificata, rispetto alla formulazione delle precedenti leggi comunitarie, nel corso dell’esame da parte del Senato.

La scelta che il Governo è autorizzato ad operare, in sede di attuazione della delega, tra la configurazione delle citate violazioni come reati o come illeciti amministrativi, è ancorata ai seguenti princìpi e criteri direttivi:

-           previsione, fuori dei casi già previsti dalle vigente normativa penale, di nuove fattispecie di reati contravvenzionali, sanzionate – in via alternativa o congiunta – con la pena pecuniaria dell’ammenda fino a 150.000 euro e dell’arresto sino a 3 anni, nei casi in cui siano lesi o esposti a pericolo “interessi costituzionalmente protetti”[57].

In particolare, la pena dovrà essere prevista come alternativa per le infrazioni che espongano a pericolo o danneggino l’interesse protetto; diversamente, si applicherà la pena congiunta dell’ammenda e dell’arresto per le infrazioni che rechino un danno di particolare gravità.

In tali ipotesi, è prevista inoltre la possibilità, in capo al giudice di pace, di infliggere - in luogo delle indicate pene – le sanzioni alternative della permanenza domiciliare e del lavoro di pubblica utilità, contemplate dagli artt. 53 e 54 del D.Lgs n. 274/2000[58] (attuativo della competenza penale del giudice di pace).

 

La pena della permanenza domiciliare comporta l'obbligo di rimanere il sabato e la domenica presso la propria abitazione (o in altro luogo di privata dimora ovvero in un luogo di cura, assistenza o accoglienza); il giudice di pace, per esigenze di famiglia, di studio o di lavoro, può disporre che la pena venga eseguita in giorni diversi della settimana ovvero, a richiesta del condannato, continuativamente. La permanenza domiciliare può durare da un minimo di sei ad un massimo di 45 giorni.

Il giudice di pace - solo dietro sua richiesta - può condannare l’imputato al lavoro di pubblica utilità che consiste nella prestazione di attività non retribuita in favore della collettività da svolgere presso lo Stato, le regioni, le province, i comuni o presso enti o organizzazioni di assistenza sociale e di volontariato; la sua durata minima non può essere inferiore a 10 giorni né superiore a 6 mesi. L'attività è svolta nella provincia di residenza del condannato e comporta la prestazione di non più di sei ore di lavoro settimanale (salvo maggior richiesta oraria del condannato) da svolgere con modalità e tempi che non pregiudichino le esigenze di lavoro, di studio, di famiglia e di salute del condannato.

 

-      introduzione di nuove fattispecie di illeciti amministrativi puniti con la sanzione pecuniaria di importo non inferiore a 150 euro e non superiore a 150.000 euro, per le violazioni che ledano o espongano a pericolo beni giuridici diversi da quelli sopra indicati;

-      determinazione del minimo e del massimo della pena edittale nelle nuove fattispecie di reati e di illeciti amministrativi previsti dai decreti legislativi, da effettuare tenendo conto delle diverse potenzialità lesive dell’interesse protetto che le infrazioni presentano in astratto, di specifiche qualità personali del colpevole – con particolare riferimento a quelle che impongono particolari doveri di prevenzione, controllo o vigilanza – e del vantaggio patrimoniale che l’infrazione può recare al colpevole (o all’ente o alla persona nel cui interesse agisce);

-      negli indicati limiti edittali, è previsto che le sanzioni inflitte per le infrazioni stabilite dai decreti legislativi siano identiche a quelle eventualmente già comminate da leggi vigenti per violazioni omogenee e di pari offensività.

 

Il principio di delega di cui alla lettera d) fa riferimento alla copertura finanziaria delle norme delegate. Al riguardo si stabilisce che gli oneri derivanti dall’attuazione delle direttive debbano essere coperti con gli ordinari stanziamenti di bilancio. Nel caso in cui detti stanziamenti non risultassero sufficienti, si farà ricorso alle disponibilità sussistenti sul fondo di rotazione di cui all’art. 5 della legge 183/1987 (vedi infra) e, comunque, per un ammontare non superiore a 50 milioni di euro. Tale disposizione è contenuta già nella legge comunitaria 2002 (legge n. 14/2003) e nella legge comunitaria 2004.

La citata legge n. 183/1987[59]ha istituito, tra gli organi del coordinamento delle politiche comunitarie, il Fondo di rotazione per l’attuazione delle politiche comunitarie, con amministrazione autonoma e gestione fuori bilancio, quale strumento di gestione e informazione finanziaria per il coordinamento delle politiche comunitarie. Il Fondo si avvale di appositi conti infruttiferi aperti presso la Tesoreria centrale dello Stato. Ai sensi dell’art. 5 della legge, confluiscono nel Fondo le somme erogate dalle istituzioni comunitarie, quelle individuate annualmente in sede di legge finanziaria e altre somme determinate con la legge di bilancio (nonché altre somme specifiche). Le risorse presenti sul fondo vengono erogate, su richiesta e secondo limiti di quote determinate dal CIPE, alle amministrazioni pubbliche e ad altri operatori pubblici e privati per l’attuazione dei programmi di politica comunitaria.

Criteri legati all’armonizzazione delle deleghe legislative sono contenuti nelle lettere e) ed f). In particolare, si prevede che l’attuazione di direttive che modificano precedenti direttive già attuate avvenga per mezzo di modifiche apportate ai testi legislativi di attuazione di tali direttive; è in ogni caso prescritto che i decreti di attuazione assicurino la piena conformità della disciplina alle prescrizioni delle direttive medesime, tenuto anche conto delle eventuali modifiche che potranno intervenire fino al momento del concreto esercizio della delega.

Criteri connessi all’univocità dei processi decisionali quando i decreti legislativi investano trasversalmente diverse competenze ed amministrazioni sono contenuti nella lettera g), che si pone inoltre l’obiettivo di garantire, attraverso opportune forme di coordinamento, anche la trasparenza nell’azione amministrativa e la chiarezza nell’attribuzione di responsabilità. Sono espressamente richiamati il rispetto delle competenze delle regioni e degli altri enti territoriali, nonché il rispetto dei princìpi di sussidiarietà, differenziazione, adeguatezza e leale collaborazione.

Si ricorda che la terna di princìpi qui riprodotta (sussidiarietà, differenziazione, adeguatezza), già posta dalla leggen. 59/1997[60] a fondamento della ripartizione delle funzioni e dei compiti amministrativi tra i vari livelli di governo, ha assunto rilievo costituzionale in virtù della L.Cost. 3/2001, di riforma del Titolo V della Parte seconda della Costituzione. Quest’ultima, nel riscrivere l’art. 118 Cost., ha infatti posto i princìpi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza alla base della ripartizione delle funzioni amministrative tra comuni, province, città metropolitane, regioni e Stato. La leale collaborazione, pur non espressamente menzionata dall’art. 118 Cost., è tuttavia riconosciuta dalla giurisprudenza costituzionale quale principio essenziale nei rapporti tra Stato ed autonomie territoriali (v. per tutte la sent. C.Cost. 303/2003).

 

 


Art. 4

 

(Delega al Governo per la disciplina sanzionatoria di violazioni a disposizioni in materia di Politica agricola comune e di Politica dello sviluppo rurale)

 

 


1. Al fine di garantire la parità di trattamento tra agricoltori ed evitare distorsioni del mercato e della concorrenza, il Governo, fatte salve le norme penali vigenti, è delegato ad adottare, entro due anni dalla data di entrata in vigore della presente legge, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano e senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, uno o più decreti legislativi recanti sanzioni penali o amministrative, ivi comprese misure reintegratorie e interdittive, per le violazioni accertate a disposizioni dei regolamenti e delle decisioni emanati dalla Comunità europea in materia di Politica agricola comune e di Politica dello sviluppo rurale.

2. La delega di cui al comma 1 è esercitata con decreti legislativi adottati ai sensi dell'articolo 14 della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri o del Ministro per le politiche comunitarie e del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro delle politiche agricole e forestali. I decreti legislativi si informano ai seguenti princìpi e criteri direttivi:

a) le sanzioni amministrative sono dissuasive, nonché proporzionate alle somme indebitamente percepite, tenendo conto del vantaggio patrimoniale che l'infrazione può recare al beneficiario delle provvidenze;

b) le sanzioni reintegratorie o interdittive, determinate anche in funzione della gravità, portata, durata e frequenza dell'infrazione commessa, possono arrivare fino all'esclusione totale da uno o più regimi di aiuto ed essere irrogate per uno o più anni civili.

3. Per le sanzioni penali i decreti legislativi si uniformano ai princìpi e criteri direttivi indicati nell'articolo 3, comma 1, lettera c).

4. Gli schemi di decreto legislativo di cui al presente articolo sono trasmessi alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica per l'espressione del parere da parte delle competenti Commissioni parlamentari con le modalità e nei termini previsti dai commi 3 e 9 dell'articolo 1.


 

 

L’articolo 4, introdotto al Senato, conferisce al Governo una delega legislativa per la disciplina delle sanzioni penali o amministrative relative a violazioni di disposizioni dei regolamenti e delle decisioni emanati dalla Comunità europea in materia di politica agricola comune (PAC) e di politica dello sviluppo rurale.

I principi e criteri direttivi a cui il Governo deve attenersi sono:

§      la finalità dissuasiva delle sanzioni amministrative e la proporzionalità della loro misura alle somme indebitamente percepite;

§      la proporzionalità delle sanzioni reintegratorie e interdittive, fino all’esclusione totale da uno o più regimi di aiuto, anche per più anni;

§      la possibilità, in determinate circostanze, di sostituire sanzioni penali detentive con sanzioni penali non detentive, nonché di applicare sanzioni alternative a quelle penali di competenza del giudice di pace.

 

I decreti legislativi devono essere adottati previo parere della Conferenza permanente Stato-regioni e delle Commissioni parlamentari competenti[61] entro due anni dall’entrata in vigore della legge di delega.

 

La politica agricola comuna (PAC) è stata riformata con una serie di regolamenti comunitari adottati  nel 2003. In particolare, il regolamento 1782/2003 ha stabilito un nuovo regime di sostegno diretto, fondato sui principi del disaccoppiamento degli aiuti dalla produzione, della loro condizionalità ad alcuni parametri (rispetto dell’ambiente, sicurezza alimentare, salute e benessere degli animali) e della modulazione (ossia una riduzione dei pagamenti diretti alle grandi aziende, al fine di finanziare le misure supplementari relative allo sviluppo rurale).

Alla riforma comunitaria della PAC è stata data attuazione nell’ordinamento interno con il DM 5 agosto 2004.


Art. 5

 

(Delega al Governo per la disciplina sanzionatoria di violazioni di disposizioni comunitarie)

 

 

 


1. Al fine di assicurare la piena integrazione delle norme comunitarie nell'ordinamento nazionale, il Governo, fatte salve le norme penali vigenti, è delegato ad adottare, entro due anni dalla data di entrata in vigore della presente legge, disposizioni recanti sanzioni penali o amministrative per le violazioni di direttive comunitarie attuate in via regolamentare o amministrativa, ai sensi delle leggi comunitarie vigenti, e di regolamenti comunitari vigenti alla data di entrata in vigore della presente legge, per i quali non siano già previste sanzioni penali o amministrative.

2. La delega di cui al comma 1 è esercitata con decreti legislativi adottati ai sensi dell'articolo 14 della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri o del Ministro per le politiche comunitarie e del Ministro della giustizia, di concerto con i Ministri competenti per materia. I decreti legislativi si informano ai princìpi e criteri direttivi di cui all'articolo 3, comma 1, lettera c).

3. Gli schemi di decreto legislativo di cui al presente articolo sono trasmessi alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica per l'espressione del parere da parte dei competenti organi parlamentari con le modalità e nei termini previsti dai commi 3 e 9 dell'articolo 1.

 


 

 

L’articolo 5 prevede, in analogia con quanto disposto dalle ultime leggi comunitarie, l’introduzione di un trattamento sanzionatorio per le violazioni delle direttive attuate non in via legislativa ai sensi delle leggi comunitarie vigenti e per le violazioni di regolamenti comunitari già vigenti nel nostro ordinamento.

A tal fine, la norma contiene una delega al Governo per l’adozione, entro due anni dalla data di entrata in vigore della legge, di disposizioni recanti sanzioni penali o amministrative per la violazione di direttive comunitarie attuate in via regolamentare o amministrativa nonché di regolamenti comunitari vigenti alla data di entrata in vigore della legge comunitaria e per i quali non siano già previste sanzioni penali o amministrative (comma 1).

La necessità della norma si spiega con la circostanza che, sia nel caso dell’attuazione di direttive in via regolamentare o in via amministrativa, sia nel caso di vigenza nell’ordinamento italiano di regolamenti comunitari (che, come è noto, non necessitano di norme di recepimento, essendo direttamente applicabili all’interno dell’ordinamento), non vi è una fonte normativa di rango primario che possa introdurre norme sanzionatorie di natura penale.

La finalità di tali disposizioni è, pertanto, quella di consentire al Governo di individuare una serie di sanzioni dirette a punire le trasgressioni commesse in violazione dei precetti contenuti nelle disposizioni normative comunitarie, garantendo il rispetto degli atti regolamentari o amministrativi con cui tali disposizioni comunitarie vengono trasposte nell’ordinamento interno.

I decreti legislativi, da adottare su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri o del Ministro per le politiche europee (gia ministro per le politiche comunitarie) e del Ministro della giustizia, di concerto con i Ministri competenti per materia, potranno – fatte salve le norme penali vigenti – introdurre nuove sanzioni penali o sanzioni amministrative.

La tipologia e la scelta delle sanzioni dovrà essere effettuata (comma 2) secondo i medesimi princìpi e criteri che sovraintendono all’art. 3, comma 1, lettera c), della presente legge (vedi supra).

Infine, il comma 3 prevede l’acquisizione del parere delle competenti Commissioni parlamentari sugli schemi di decreto legislativo. I pareri sono espressi con le modalità previste dai commi 3 e 9 dell’articolo 1 (cui si rinvia). In particolare, il comma 9 dell’articolo 1 prevede, esclusivamente per gli schemi di decreto recanti sanzioni per violazione di direttive, un eventuale doppio parere delle Camere: il secondo parere interviene nel caso in cui il Governo non intenda conformarsi alle osservazioni espresse dalle Commissioni competenti in occasione del primo parere. In ogni caso, decorsi 30 giorni dalla ritrasmissione, i decreti possono essere emanati anche in mancanza del nuovo parere.


Art. 6

 

(Oneri relativi a prestazioni e controlli)

 

 


1. In relazione agli oneri per prestazioni e controlli si applicano le disposizioni di cui all'articolo 9, comma 2, della legge 4 febbraio 2005, n. 11.

2. Le entrate derivanti dalle tariffe determinate ai sensi del comma 1, qualora riferite all'attuazione delle direttive di cui agli allegati A e B, nonché di quelle da recepire con lo strumento regolamentare, sono attribuite alle amministrazioni che effettuano le prestazioni e i controlli, mediante riassegnazione ai sensi del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 10 novembre 1999, n. 469.


 

 

L’articolo 6, comma 1, prevede che, in relazione agli oneri derivanti dall’esecuzione di prestazioni e controlli da parte di uffici pubblici, in attuazione della normativa comunitaria, si applichi l'articolo 9, comma 2, della legge n. 11 del 2005.

La legge 4 febbraio 2005, n. 11, che reca “Norme generali sulla partecipazione dell’Italia al processo normativo dell’Unione europea e sulle procedure di esecuzione degli obblighi comunitari”, all’articolo 9 individua i contenuti della legge comunitaria e, in particolare, al comma 2, stabilisce che gli oneri relativi a prestazioni e controlli da eseguire da parte di uffici pubblici - ai fini dell'attuazione delle disposizioni comunitarie di cui alla legge comunitaria per l'anno di riferimento - sono posti a carico dei soggetti interessati, secondo tariffe determinate sulla base del costo effettivo del servizio. La disposizione precisa altresì che le tariffe di cui al precedente periodo sono predeterminate e pubbliche. E’ fatto comunque salvo il caso in cui la previsione di attribuire gli oneri delle prestazioni e dei controlli ai soggetti che ne sono gli specifici destinatari risulti in contrasto con la normativa comunitaria medesima.

 

Il comma 2 dell’articolo in esame stabilisce che le entrate derivanti dalle tariffe di cui al comma 1, qualora riferite all’attuazione delle direttive di cui agli allegati A e B della presente legge, nonché di quelle da recepire con lo strumento regolamentare, siano attribuite alle amministrazioni che effettuano le prestazioni ed i controlli, mediante riassegnazione ai sensi del D.P.R. 10 novembre 1999, n. 469.

 

Con il citato D.P.R. è stato emanato il Regolamento recante le norme di semplificazione del procedimento per il versamento di somme all'entrata e la riassegnazione alle unità previsionali di base per la spesa del bilancio dello Stato, con particolare riferimento ai finanziamenti dell'Unione europea.

Il particolare, l’articolo 2 del citato D.P.R. n. 469/1999 prevede che le riassegnazioni alle pertinenti unità previsionali di base di particolari entrate previste da specifiche disposizioni legislative, anche riguardanti finanziamenti dell'Unione europea, sono disposte con decreti del Ministro dell’economia e delle finanze, da registrarsi alla Corte dei conti.

Le amministrazioni interessate trasmettono al Ministero dell’economia e delle finanze le domande intese ad ottenere le riassegnazioni, corredate da una dichiarazione del responsabile del procedimento amministrativo che attesti, anche sulla base delle relative evidenze informatiche, l'avvenuto versamento all'entrata del bilancio e la riassegnabilità delle somme.


Art. 7

 

(Attuazione di direttive comunitarie con regolamento autorizzato)

 


1. Il Governo è autorizzato a dare attuazione alle direttive comprese nell'elenco di cui all'allegato C con uno o più regolamenti da adottare ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, secondo quanto disposto dagli articoli 9 e 11 della legge 4 febbraio 2005, n. 11, e con le procedure ivi previste, previo parere dei competenti organi parlamentari ai quali gli schemi di regolamento sono trasmessi con apposite relazioni cui è allegato il parere del Consiglio di Stato e che si esprimono entro quaranta giorni dall'assegnazione. Decorso il predetto termine, i regolamenti sono emanati anche in mancanza di detti pareri.

 

2. Dall'attuazione del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.


 

 

L’articolo in esame, introdotto dalla 14^ Commissione del Senato, è volto a prevedere l’attuazione di direttive comunitarie attraverso lo strumento regolamentare, in ossequio a quanto disposto dagli articoli 9, comma 1, lett. d), e 11 della legge 4 febbraio 2005, n. 11, recante “Norme generali sulla partecipazione dell'Italia al processo normativo dell'Unione europea e sulle procedure di esecuzione degli obblighi comunitari”.

E’ interessante sottolineare che – nonostante la possibilità di procedere al recepimento degli atti comunitari anche attraverso i regolamenti governativi fosse già prevista dalla legge n. 86 del 1989 – tale modalità di attuazione delle direttive non è stata adottata nelle ultime leggi comunitarie (l’ultimo esempio di ricorso allo strumento regolamentare è rappresentato dalla legge comunitaria per il 1999, legge n. 526 del 1999).

Si ricorda, infatti, che a seguito della riforma del Titolo V della Costituzione erano emersi alcuni problemi applicativi, soprattutto in relazione all’art. 117, VI comma, che limita alle materie di potestà legislativa statale esclusiva l’ambito di intervento dei regolamenti. Pertanto, nelle leggi comunitarie successive alla riforma – in particolare, a partire dalla legge n. 39 del 2002 – non era stata più utilizzata tale modalità di recepimento.

La legge n. 11 del 2005 è tra l’altro intervenuta per adeguare al nuovo dettato costituzionale le modalità di attuazione delle direttive in via regolamentare, dettando una specifica disciplina agli articoli 9, comma 1, lett. d), e 11 (sui quali si veda infra l’apposito paragrafo).

 

Contenuto dell’articolo

Il comma 1 dell’articolo 7, in particolare, autorizza il Governo a recepire le direttive comprese nell’allegato C (appositamente introdotto), attraverso  i regolamenti di delegificazione, di cui all’art. 17, comma 2, della legge n. 400 del 1988[62].

Si ricorda che l’art. 17, comma 2, della legge 400/1988 stabilisce che con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, sentito il Consiglio di Stato, sono emanati i regolamenti per la disciplina delle materie, non coperte da riserva assoluta di legge prevista dalla Costituzione, per le quali le leggi della Repubblica, autorizzando l'esercizio della potestà regolamentare del Governo, determinano le norme generali regolatrici della materia e dispongono l'abrogazione delle norme vigenti, con effetto dall'entrata in vigore delle norme regolamentari.

 

Tali regolamenti dovranno essere adottati:

-            nel rispetto di quanto previsto dagli articoli 9, comma 1, lett. d), e 11 della legge n. 11 e secondo le procedure da essi previste;

-            sentito il Consiglio di Stato;

-            previo parere dei competenti organi parlamentari, che si esprimono entro 40 giorni dalla data dell’assegnazione (decorso il quale i regolamenti sono comunque adottati); gli schemi di provvedimento devono essere trasmessi alle Camere con acclusa relazione, alla quale deve essere allegato il parere del Consiglio di Stato.

 

Si ricorda che le direttive da attuare con regolamento sono indicate all’allegato C della legge in esame. Si tratta, in particolare, delle seguenti direttive:

§      2003/103/CE, che modifica la direttiva 2001/25/CE concernente i requisiti minimi per la formazione della gente di mare;

§      2005/23/CE, che modifica nuovamente la succitata direttiva 2001/25/CE concernente i requisiti minimi per la formazione della gente di mare.

 

Infine, il comma 2 stabilisce che dall’attuazione dell’articolo in esame non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.

L’attuazione delle direttive in via regolamentare secondo la legge n. 11 del 2005

L’articolo 9, comma 1, lett. d), della legge n. 11 del 2005 annovera, fra i contenuti tipici della legge comunitaria, le disposizioni che autorizzano il Governo ad attuare in via regolamentare le direttive, mentre l’articolo 11 della medesima legge detta la disciplina di tale modalità di attuazione.

Innanzi tutto, l’art. 11 stabilisce che il recepimento in via regolamentare possa avvenire solo nelle materie di competenza statale esclusiva. In secondo luogo, la norma prevede una differente disciplina a seconda che l’attuazione venga effettuata attraverso:

·       regolamenti governativi (commi 1-4);

·       regolamenti ministeriali o interministeriali (comma 5).

Si ricorda che l’art. 4 della legge “La Pergola” prevedeva un'unica tipologia di intervento regolamentare nelle materie già disciplinate con legge, ma non riservate alla legge, da adottare ai sensi dell’art. 17 della legge n. 400 del 1988, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri, o del Ministro per il coordinamento delle politiche comunitarie da lui delegato, entro quattro mesi dalla data di entrata in vigore della legge comunitaria.

 

In merito alla prima tipologia, l’art. 11 pone dei requisiti stringenti, in quanto tali regolamenti possono essere adottati solo nelle materie:

-          già disciplinate con legge;

-          non coperte da riserva assoluta di legge.

In secondo luogo, si stabilisce che i regolamenti siano adottati ai sensi dell’articolo 17, commi 1 e 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri o del Ministro per le politiche comunitarie e del Ministro con competenza istituzionale prevalente per la materia di concerto con gli altri ministri interessati.

Si ricorda che l’art. 17, commi 1 e 2, della legge n. 400 del 1988 prevede che: “1. Con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, sentito il parere del Consiglio di Stato che deve pronunziarsi entro novanta giorni dalla richiesta, possono essere emanati regolamenti per disciplinare: a) l'esecuzione delle leggi e dei decreti legislativi, nonché dei regolamenti comunitari; b) l'attuazione e l'integrazione delle leggi e dei decreti legislativi recanti norme di principio, esclusi quelli relativi a materie riservate alla competenza regionale; c) le materie in cui manchi la disciplina da parte di leggi o di atti aventi forza di legge, sempre che non si tratti di materie comunque riservate alla legge; d) l'organizzazione ed il funzionamento delle amministrazioni pubbliche secondo le disposizioni dettate dalla legge; e) [l'organizzazione del lavoro ed i rapporti di lavoro dei pubblici dipendenti in base agli accordi sindacali].  2. Con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, sentito il Consiglio di Stato, sono emanati i regolamenti per la disciplina delle materie, non coperte da riserva assoluta di legge prevista dalla Costituzione, per le quali le leggi della Repubblica, autorizzando l'esercizio della potestà regolamentare del Governo, determinano le norme generali regolatrici della materia e dispongono l'abrogazione delle norme vigenti, con effetto dall'entrata in vigore delle norme regolamentari.”

Sugli schemi dei regolamenti devono essere acquisiti determinati pareri e in particolare:

-          sempre il parere del Consiglio di Stato, che deve esprimersi nei 45 giorni successivi alla richiesta.

-          il parere dei competenti organi parlamentari solo ove la legge comunitaria disponga in tal senso: in questo caso gli schemi dei regolamenti vengono trasmessi unitamente ad apposite relazioni cui è allegato il parere del Consiglio di Stato. Il parere parlamentare deve essere espresso nel termine di quaranta giorni dall’assegnazione

Per quanto attiene all’esame parlamentare degli schemi di atti normativi trasmessi dal Governo, si ricorda che il regolamento della Camera, a seguito delle modifiche apportate nel luglio del 1999, ha previsto la possibilità per le Commissioni di applicare all’esame di tali atti, in quanto compatibili, le disposizioni relative all’esame in sede referente dei progetti di legge, prevedendo altresì la possibilità di trasmetterli al Comitato per la legislazione (art. 96-ter).

Il decorso dei termini legittima il Governo ad adottare i regolamenti anche in mancanza dei citati pareri.

Anche l’articolo 4 della legge “La Pergola” subordinava l’espressione del parere parlamentare all’espressa previsione nell’ambito della legge comunitaria, ponendo il termine di quaranta giorni dalla comunicazione, decorso il quale i decreti potevano essere comunque adottati.

Si ricorda che la procedura appena descritta può essere utilizzata anche per recepire (ovviamente con fonte di rango regolamentare) le modifiche delle direttive attuate in via regolamentare ai sensi dell’articolo in esame, se così dispone la legge comunitaria (art. 12).

Analoga previsione era già contenuta nell’art. 5 della legge n. 86 del 1989.

I regolamenti in esame devono conformarsi a principi generali individuati al comma 3, nel rispetto dei principi e delle disposizioni posti dalle direttive da attuare, e tenendo comunque conto delle eventuali modificazioni della disciplina comunitaria intervenute sino al momento della loro adozione.

In particolare, le norme generali consistono in:

-          individuazione della responsabilità e delle funzioni attuative delle amministrazioni, nel rispetto del principio di sussidiarietà;

-          esercizio dei controlli da parte degli organismi già operanti nel settore e secondo modalità che assicurino efficacia, efficienza, sicurezza e celerità;

-          esercizio delle opzioni previste dalle direttive in conformità alle peculiarità socio-economiche nazionali e locali e alla normativa di settore;

-          fissazione di termini e procedure, nel rispetto dei princìpi di cui all’articolo 20, comma 5, della legge 15 marzo 1997, n. 59[63], e successive modificazioni (a tale proposito si segnala che i termini e le procedure cui riferirsi sono ora contenute nel comma 4, anziché nel comma 5 dell’art. 20 della legge n. 59/1997, a seguito della sostituzione dell’art. 20 stesso ad opera dell’art. 1 della legge 29 luglio 2003, n. 229).

Si osserva come la tipologia regolamentare delineata dalla legge n. 11 del 2005 si discosti parzialmente dal modello definito dalla legge n. 400 del 1988. Infatti, pur richiamando la procedura di adozione dei regolamenti prevista dalla legge n. 400, l’articolo 11 aggiunge l’ulteriore requisito del rispetto delle norme generali da esso poste da parte degli emanandi regolamenti governativi. In tal modo, si mira a guidare il futuro intervento del Governo ponendo dei principi generali, sulla falsariga di quanto avviene per la delega legislativa. Tale impostazione riflette la più generale tendenza emersa in materia di regolamenti di delegificazione, secondo la quale le relative disposizioni di autorizzazione anziché individuare le norme generali regolatrici della materia e le norme, che si intendono abrogate con effetto dalla data di entrata in vigore dei regolamenti, pongono dei principi e criteri direttivi cui dovrà attenersi il Governo ai fini della predisposizione dei regolamenti. La disciplina posta dalla norma in esame – richiedendo sia il rispetto dell’art. 17 della legge n. 400, sia delle norme generali espressamente individuate – sembra pertanto rappresentare un ibrido tra il modello tradizionale, delineato dall’articolo 17 della legge n. 400, e quello affermatosi nella legislazione successiva.

In ogni caso, è sempre necessario l’intervento della legge comunitaria (o di altra legge)[64]:

·       laddove le direttive lascino spazio alla discrezionalità del legislatore nazionale quanto alle modalità della attuazione, per l’individuazione di principi e criteri direttivi;

·       per l’adozione delle disposizioni atte a prevedere sanzioni penali od amministrative, nonché quelle necessarie per individuare le autorità pubbliche alle quali affidare le funzioni amministrative attinenti all’applicazione della nuova disciplina;

·       ove l’attuazione delle direttive comporti l’istituzione di nuovi organi o strutture amministrative;

·       ove l’attuazione delle direttive comporti la previsione di nuove spese o minori entrate.

Si osserva che la formulazione della norma è del tutto analoga a quella dell’articolo 4, commi 3 e 6, della legge n. 86 del 1989.

Si segnala poi che il comma 8 dell’art. 11 prevede che i regolamenti possono essere utilizzati anche per porre rimedio all’eventuale inerzia delle regioni nell’attuazione del diritto CE, disciplinando l’esercizio di poteri sostitutivi statali, in attuazione di quanto disposto dall’articolo 117, quinto comma, della Costituzione (sulla disciplina dei poteri sostitutivi si veda infra la relativa scheda).

Per quanto riguarda la seconda tipologia di regolamenti, invece, si sottolinea che la legge comunitaria in esame non si avvale di tale modalità di recepimento delle direttive.

In estrema sintesi, si ricorda comunque che il comma 5 dell’art. 11 pone ulteriori requisiti, in quanto i regolamenti ministeriali o interministeriali, nonché gli atti amministrativi generali possono intervenire nelle materie: non disciplinate dalla legge; non disciplinate dai regolamenti governativi; non coperte da riserva di legge. Tali regolamenti sono adottati ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge n. 400 del 1988[65]. Nelle stesse materie, la disciplina di attuazione può essere posta anche a mezzo di atto amministrativo generale adottato dal Ministro con competenza prevalente per materia, di concerto con gli altri Ministri interessati. Si ricorda, infine, che la possibilità di attuazione in via amministrativa delle direttive comunitarie è stata introdotta dall’articolo 11 della legge 16 aprile 1987, n. 183, cosiddetta “legge Fabbri”, prevedendo che il Governo o le regioni potessero dare attuazione alle raccomandazioni o alle direttive comunitarie mediante regolamenti o altri atti amministrativi generali, di competenza dei rispettivi organi, e con i procedimenti previsti per gli stessi, a condizione che la disciplina comunitaria non riguardasse materie già disciplinate con legge o coperte da riserva di legge. Inoltre, l’art. 4, comma 7, della legge “La Pergola” faceva salve le disposizioni di legge che consentivano, per materie particolari, il recepimento di direttive mediante atti amministrativi. Si ricorda che l’art. 11 della legge Fabbri, oltre all’intera legge n. 86 del 1989, sono stati abrogati dall’art. 22 della legge n. 11 del 2005.

I poteri statali sostitutivi

La disciplina dei poteri statali sostitutivi è contenuta – nell’ambito della legge n. 11 del 2005 – in vari articoli, che riprendono sostanzialmente quanto già previsto in materia nelle leggi comunitarie approvate dopo l’entrata in vigore della riforma del Titolo V della Costituzione.

Si ricorda, infatti, che a partire dalla legge n. 39 del 2002, all’articolo 1, comma 5 (o comma 6), era stata inserita una norma che prevede un intervento suppletivo anticipato e cedevole da parte dello Stato, in caso di inadempienza delle Regioni nell’attuazione delle direttive, nel rispetto dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dei princìpi fondamentali stabiliti dalla legislazione dello Stato. Il vincolo del rispetto dei princìpi fondamentali rileva con riguardo alle sole materie incluse nella competenza legislativa concorrente di Stato e regioni.

Si tratta, in particolare, degli articoli 11, comma 8, relativo all’attuazione in via regolamentare, 13, comma 2, relativo agli adeguamenti tecnici, e 16, comma 3, in materia di attuazione regionale.

La disciplina è sostanzialmente quella prevista dall’art. 11, comma 8 (poi richiamato dai successivi artt. 13, comma 2, e 16, comma 3), volto a dare attuazione all’art. 117, V comma, Cost.: in base ad esso spetta allo Stato, secondo modalità da stabilirsi con legge, un potere sostitutivo delle regioni e province autonome per i casi di loro inadempienza agli obblighi di attuazione degli atti normativi dell’Unione europea.

La norma prevede una duplice garanzia per le regioni e province autonome:

§      gli atti statali attuativi di direttive comunitarie, che intervengono su materie rimesse alla competenza legislativa – concorrente o residuale generale – delle regioni o delle province autonome, entrano in vigore solo alla data di scadenza del termine stabilito per l’attuazione della normativa comunitaria, per le regioni e le province autonome che non abbiano ancora adottato la propria normativa di attuazione;

§      gli atti statali perdono comunque efficacia dalla data di entrata in vigore della normativa regionale (o provinciale) di attuazione delle direttive comunitarie, adottata da ciascuna regione e provincia autonoma e devono recare l’esplicita indicazione della natura sostitutiva e cedevole del potere esercitato e delle disposizioni in essi contenute.

La norma in oggetto persegue la duplice finalità di rispettare, da un lato, il riparto di competenze legislative delineato dal nuovo art. 117 Cost. nonché le competenze in materia di attuazione degli atti comunitari attribuite alle regioni dal quinto comma dell’art. 117 medesimo; dall’altro, di garantire allo Stato – attraverso l’esercizio del potere sostitutivo previsto espressamente dal medesimo quinto comma – uno strumento per evitare l’insorgere di una responsabilità nei confronti dell’Unione europea a seguito dell’eventuale mancata attuazione delle direttive da parte delle regioni e conseguentemente del verificarsi di ritardi tali da esporre l’Italia a procedure di infrazione.

La natura cedevole delle norme statali – secondo uno schema normativo già noto prima della modifica della Costituzione – consente in ogni caso alle regioni di esercitare la propria potestà legislativa.

Tale meccanismo appare in linea con la pregressa giurisprudenza della Corte costituzionale, alla stregua della quale, in caso di inerzia delle regioni e province autonome nella attuazione delle direttive comunitarie “si fa necessariamente strada il potere-dovere dello Stato di assicurare l'adempimento degli obblighi comunitari, ciò di cui, unitariamente e per tutto il territorio nazionale, lo Stato stesso è responsabile. (…) Allo Stato, dunque, il compito di supplire all'eventuale inerzia con proprie norme, colmando la lacuna; alle Regioni e alle Province autonome il potere di far uso in qualunque momento delle proprie competenze, rendendo di conseguenza inapplicabile la normativa statale” (sentenza n. 425/1999).

Peraltro l’Adunanza Generale del Consiglio di Stato si è recentemente (dopo la riforma del titolo V) pronunciata sul punto, rilevando come all’attuazione delle direttive comunitarie nelle materie attribuite alle Regioni o alle Province autonome in via esclusiva o concorrente, siano competenti le Regioni e le Province autonome, ma se queste non dovessero provvedere, sussiste il potere dovere dello Stato di attuare, attraverso proprie fonti normative, tali direttive, al fine di rispettare i vincoli comunitari; le norme poste dallo Stato in via sostitutiva risultano applicabili solo nell’ambito dei territori delle Regioni e Province autonome che non abbiano provveduto e siano cedevoli. Ai fini dell’attuazione in via sostitutiva, è necessario sentire previamente la Conferenza Stato-Regioni nel rispetto del principio di leale collaborazione. Inoltre, dal momento che l’art. 117, V comma, Cost. prevede il potere sostitutivo in caso di inadempienza, la norma statale, se emanata anteriormente, avrà effetto soltanto dalla scadenza dell’obbligo comunitario di attuazione della direttiva nei confronti delle sole Regioni inadempienti. E’ necessario che l’atto normativo dello Stato in funzione sostitutiva contenga la clausola di cedevolezza, in virtù della natura esclusivamente collaborativa dell’intervento dello Stato in materie di competenza regionale. (Adunanza Generale 25 febbraio 2002).

Si ricorda peraltro che l’art. 117, VI comma, Cost. stabilisce che la potestà regolamentare spetta allo Stato solamente nelle materie di legislazione esclusiva. In ogni caso, la possibilità che regolamenti statali intervengano temporaneamente a disciplinare materie di competenza regionale rappresenta una deroga che trova una proprio fondamento costituzionale nell’art. 117, V comma, Cost., anche secondo quanto evidenziato dalla più recente dottrina (Anzon).

Si ricorda che l’esercizio di poteri statali sostitutivi nei confronti delle regioni e province autonome che non rispettassero gli obblighi comunitari era disciplinato dall’art. 11 della legge La Pergola, abrogato dall’art. 8 della legge n. 131 del 2003 (su cui si veda infra). In particolare, la norma stabiliva che in caso di inadempimento delle regioni (e province autonome) il Governo, ai sensi dell’art. 6, III comma, del d.p.r. n. 616, poteva prescrivere con deliberazione del Consiglio dei Ministri, su parere della Commissione parlamentare per le questioni regionali e sentita la regione interessata, un congruo termine per provvedere, decorso il quale era possibile adottare i provvedimenti necessari in sostituzione dell'amministrazione regionale. In particolare, il Consiglio dei Ministri disponeva l'intervento sostitutivo dello Stato, eventualmente attraverso il conferimento dei poteri necessari ad un’apposita commissione.

Si ricorda, infine, che la disciplina dei poteri sostitutivi, dettata dagli articoli in esame, si aggiunge a quanto previsto dall’art. 8 della legge n. 131 del 2003 (c.d. Legge La Loggia), che è volto a regolare l’esercizio del diverso potere sostitutivo previsto dall’articolo 120 della Costituzione (secondo il quale il Governo può sostituirsi ad organi di regioni ed enti locali, tra l’altro, in caso di mancato rispetto della normativa comunitaria)[66].

 


Art. 8

 

(Delega al Governo per il riordino normativo nelle materie interessate dalle direttive comunitarie)

 

 


1. Il Governo è delegato ad adottare, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, con le modalità di cui ai commi 2 e 3 dell'articolo 1, entro il termine di diciotto mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, testi unici delle disposizioni dettate in attuazione delle deleghe conferite per il recepimento di direttive comunitarie, al fine di coordinare le medesime con le norme legislative vigenti nelle stesse materie, apportando le sole modificazioni necessarie a garantire la semplificazione e la coerenza logica, sistematica e lessicale della normativa.

2. I testi unici di cui al comma 1 riguardano materie o settori omogenei. Fermo restando quanto disposto al comma 3, le disposizioni contenute nei testi unici non possono essere abrogate, derogate, sospese o comunque modificate, se non in modo esplicito mediante l'indicazione puntuale delle disposizioni da abrogare, derogare, sospendere o modificare.

3. Per le disposizioni adottate ai sensi del presente articolo si applica quanto previsto al comma 7 dell'articolo 1.


 

 

L’articolo 8 (già articolo 6 del disegno di legge approvato dalla Camera)conferisce, al comma 1, una delega al Governo, da esercitare entro diciotto mesi dalla data di entrata in vigore della legge, per l’adozione di testi unici delle disposizioni dettate in attuazione delle deleghe conferite per il recepimento di direttive comunitarie nell’ordinamento interno, al fine di coordinare le norme vigenti nelle stesse materie, apportandovi le integrazioni e modifiche necessarie a garantire la semplificazione e la coerenza logica, sistematica e lessicale della normativa.

Un’integrazione al testo apportata nel corso dell’esame al Senato precisa che l’esercizio della delega non deve comportare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

Il comma 2 stabilisce che i testi unici devono riguardare materie o settori omogenei e che le disposizioni in essi contenute non possono essere abrogate, derogate o sospese o comunque modificate se non in modo esplicito, mediante l’indicazione puntuale delle disposizioni da abrogare, derogare, sospendere o modificare.

Il comma 3 prevede l’applicazione ai testi unici in oggetto della clausola di salvaguardia delle competenze regionali, prevista dal comma 7 del precedente articolo 1 (vedi supra).

 


Art. 9

 

(Modifiche all’articolo 55 del Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza, di cui al R.D. 18 giugno 1931, n. 773, a parziale recepimento della direttiva 2004/57/CE del 23 aprile 2004 della Commissione)

 

 


1. All'articolo 55 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, di cui al regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) al terzo comma:

1) le parole: «di qualsiasi genere» sono sostituite dalle seguenti: «di Iª, IIª, IIIª, IVª e Vª categoria, gruppo A e gruppo B,»;

2) dopo le parole: «dal Questore» sono inserite le seguenti: «, nonché materie esplodenti di Vª categoria, gruppo C, a privati che non siano maggiorenni e che non esibiscano un documento di identità in corso di validità»;

b) dopo il quinto comma è inserito il seguente:

«Gli obblighi di registrazione delle operazioni giornaliere e di comunicazione mensile all'ufficio di polizia competente per territorio non si applicano alle materie esplodenti di Vª categoria, gruppo D e gruppo E».


 

 

L’articolo in esame modifica l’art. 55 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza (R.D. 773/1931[67]), concernente le restrizioni alla vendita di materie esplodenti e i correlati obblighi di registrazione e di comunicazione all’autorità di polizia. Finalità della disposizione è, secondo quanto si evince dalla relazione governativa al disegno di legge, quella di rendere possibile il successivo recepimento della direttiva 2004/57/CE, sull’identificazione di articoli pirotecnici e munizioni, a sua volta finalizzata alla piena applicazione della direttiva 93/15/CEE[68], relativa all’armonizzazione delle disposizioni in materia di esplosivi per uso civile.

 

L’art. 55 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza (T.U.L.P.S.) impone tra l’altro agli “esercenti fabbriche, depositi o rivendite di esplodenti di qualsiasi specie” la tenuta di un registro delle operazioni giornaliere, in cui sono indicate le generalità delle persone con le quali le operazioni sono compiute.

I rivenditori devono altresì comunicare mensilmente all’ufficio di polizia competente per territorio le generalità delle persone e delle ditte che hanno acquistato munizioni ed esplosivi, la specie, i contrassegni e la quantità delle munizioni e degli esplosivi venduti, nonché gli estremi dei titoli abilitativi all’acquisto esibiti dagli interessati.

L’articolo fa inoltre divieto di vendere o comunque cedere “materie esplodenti di qualsiasi genere” a privati che non siano muniti di permesso di porto d’armi, ovvero di nulla osta rilasciato dal Questore.

Va tuttavia ricordato che sin dal 1973 (ad opera del D.M. 4 aprile 1973, che modificò l’allegato A del regolamento di esecuzione del T.U.L.P.S.[69]), gli artifici pirotecnici sono stati esclusi dal novero dei prodotti esplodenti.

 

La direttiva 93/15/CEE ha introdotto disposizioni volte ad armonizzare la legislazione degli Stati membri concernenti l’immissione nel mercato e il controllo degli esplosivi.

La direttiva è stata recepita in Italia dal d.lgs. 2 gennaio 1997, n. 7, e dal suo regolamento di esecuzione, approvato con D.M. 19 settembre 2002, n. 272. Gli artt. 12 e 19 di tale regolamento, in particolare, hanno modificato l’art. 82 e sostituito l’allegato A al regolamento di esecuzione del T.U.L.P.S., ridefinendo in tal modo la classificazione delle materie e dei prodotti esplodenti ivi operata.

In sintesi, l’attuale classificazione contempla cinque categorie:

§           1ª: polveri e prodotti affini;

§           2ª: dinamiti e prodotti affini;

§           3ª: detonanti e prodotti affini;

§           4ª: artifici e prodotti affini;

§           5ª: munizioni di sicurezza e giocattoli pirici.

La quinta categoria si articola a sua volta in cinque gruppi:

§           i gruppi A e B comprendono le munizioni di sicurezza;

§           il gruppo C i giocattoli pirici;

§           il gruppo D i manufatti pirotecnici da segnalazione, quelli destinati ad attivare apparecchiature per l’estinzione di incendi e quelli da divertimento ad effetto di scoppio o luminoso;

§           il gruppo E le munizioni giocattolo, gli air bag e i pretensionatori per cinture di sicurezza, le cartucce a salve ad effetto sonoro ed altri manufatti a bassa o nulla offensività.

Ai sensi dell’art. 20 del D.M. 272/2002, un decreto del ministro dell’interno avrebbe dovuto predisporre la classificazione nella categoria 5ª, gruppo D o gruppo E, dei manufatti pirotecnici non classificati tra i prodotti esplodenti a seguito del D.M. 4 aprile 1973.

 

Formano oggetto della direttiva 93/15/CEE le materie e gli oggetti esplosivi considerati tali nelle Raccomandazioni delle Nazioni Unite relative al trasporto di merci pericolose e figuranti nella Classe 1 di tali raccomandazioni. Gli articoli pirotecnici sono invece espressamente esclusi dalla sfera di applicazione della direttiva.

Taluni tra i prodotti che rientrano nella Classe 1 delle raccomandazioni delle Nazioni Unite hanno tuttavia una duplice funzione, in quanto è possibile usarli sia come esplosivi che come articoli pirotecnici. Al fine di assicurare un’applicazione coerente e uniforme della direttiva 93/15/CEE, è dunque intervenuta la direttiva 2004/57/CE, finalizzata all’identificazione di tali prodotti come esplosivi o come articoli pirotecnici, secondo la loro caratteristica predominante.

Come rileva la relazione che accompagna il disegno di legge comunitaria, il recepimento di quest’ultima direttiva, per il quale è stato fissato il termine del 31 dicembre 2004, e la piena attuazione (in conseguenza) della direttiva 93/15/CEE possono avvenire in via amministrativa, mediante un decreto ministeriale che, in attuazione dell’art. 20 del d.lgs. 272/2002, riclassifichi i manufatti pirotecnici precisando nell’occasione le caratteristiche tecniche in relazione alle quali i prodotti “a duplice funzione” sopra menzionati debbano includersi tra gli esplosivi o tra gli articoli pirotecnici.

La riclassificazione di manufatti pirotecnici (già esclusi dal novero delle sostanze esplodenti ad opera del citato D.M. 4 aprile 1973) comporterebbe tuttavia – prosegue la relazione illustrativa – l’applicazione ad essi della rigida disciplina di vendita recata dal sopra illustrato art. 55 T.U.L.P.S.: il requisito del porto d’armi o del nulla osta per l’acquirente, così come gli obblighi di registrazione e comunicazione per il venditore, si estenderebbero dunque a manufatti – come ad es. i giocattoli pirici – di scarsa o nulla offensività.

Al fine di evitare tale esito, l’articolo in esame modifica, “propedeuticamente” (precisa la relazione) “al recepimento della direttiva 2004/57/CEE”, l’art. 55 del T.U.L.P.S., disponendo che:

§      il divieto di vendere materie esplodenti a privati che non siano titolari di porto d’armi o di nulla osta del questore non si applica ai manufatti compresi nei gruppi C (giocattoli pirici), D (manufatti pirotecnici da segnalazione o da divertimento, etc.) ed E (air bag, cartucce a salve etc.) della 5ª categoria;

§      le materie di cui alla 5ª categoria, gruppo C, non possono tuttavia essere vendute o cedute a privati che non dimostrino di essere maggiorenni esibendo un valido documento di identità;

§      gli obblighi di registrazione e di comunicazione all’ufficio di polizia, recati dal primo comma dell’art. 55, non si applicano alle materie di cui alla 5ª categoria, gruppi D ed E.

Si osserva che l’articolo in esame, novellando l’art. 55 del T.U.L.P.S., vi introduce riferimenti a talune materie esplodenti operati mediante esplicito richiamo alla loro classificazione in determinate categorie e gruppi. Tale classificazione non è peraltro contenuta nel testo unico, ma nel suo regolamento di attuazione (R.D. 635/1940, art. 82 ed Allegato A), che l’articolo in esame peraltro non menziona espressamente.

 


Art. 10

 

(Modifica all’articolo 5 della legge n. 110/1975)

 

 

 


1. All'articolo 5, primo comma, della legge 18 aprile 1975, n. 110, le parole: «e dei giocattoli pirici» sono soppresse.


 

 

L’articolo 10 reca una modifica all’art. 5, co. 1, della legge 18 aprile 1975, n. 110, Norme integrative della disciplina vigente per il controllo delle armi, delle munizioni e degli esplosivi.

La disposizione oggetto della proposta di modifica prevedeva, nel testo previgente, che la vendita al minuto di una serie di prodotti “esplodenti” fosse esentata dalla disciplina posta dall’art. 55 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza 18 giugno 1931, n. 773.

I prodotti per la vendita dei quali si stabiliva l’inapplicabilità di detta disciplina sono i seguenti:

§         cartucce da caccia a pallini e  relativi bossoli o inneschi;

§         pallini per le armi ad aria compressa;

§         giocattoli pirici.

L’art. 55 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza (T.U.L.P.S.) impone tra l’altro agli “esercenti fabbriche, depositi o rivendite di esplodenti di qualsiasi specie” la tenuta di un registro delle operazioni giornaliere, in cui sono indicate le generalità delle persone con le quali le operazioni sono compiute.

I rivenditori devono altresì comunicare mensilmente all’ufficio di polizia competente per territorio le generalità delle persone e delle ditte che hanno acquistato munizioni ed esplosivi, la specie, i contrassegni e la quantità delle munizioni e degli esplosivi venduti, nonché gli estremi dei titoli abilitativi all’acquisto esibiti dagli interessati.

L’articolo fa inoltre divieto di vendere o comunque cedere “materie esplodenti di qualsiasi genere” a privati che non siano muniti di permesso di porto d’armi, ovvero di nulla osta rilasciato dal Questore.

Va tuttavia ricordato che sin dal 1973 (ad opera del D.M. 4 aprile 1973, che modificò l’allegato A del regolamento di esecuzione del T.U.L.P.S.[70]), gli artifici pirotecnici sono stati esclusi dal novero dei prodotti esplodenti.

 

L’articolo in esame sopprime, nell’articolo art. 5, co.1, della legge 18 aprile 1975, n. 110, la locuzione “e dei giocattoli pirici”, con ciò riportando la vendita di questi ultimi sotto la disciplina dell’art. 55 del T.U.L.P.S. Tale modifica è però da leggere, in ottica sistematica, congiuntamente a quella recata dall’art. 9 (vedi supra) della legge in esame all’art. 55 del T.U.L.P.S., attraverso la quale:

§      il divieto di vendere materie esplodenti a privati che non siano titolari di porto d’armi o di nulla osta del questore non si applica ai manufatti compresi nei gruppi C (giocattoli pirici), D (manufatti pirotecnici da segnalazione o da divertimento, etc.) ed E (air bag, cartucce a salve etc.) della 5ª categoria;

§      le materie di cui alla 5ª categoria, gruppo C, non possono tuttavia essere vendute o cedute a privati che non dimostrino di essere maggiorenni esibendo un valido documento di identità;

§      gli obblighi di registrazione e di comunicazione all’ufficio di polizia, recati dal primo comma dell’art. 55, non si applicano alle materie di cui alla 5ª categoria, gruppi D ed E.

In sostanza, la vendita al minuto di giocattoli pirici, in base all’articolo in esame, non sarebbe più esentata dall’applicazione dell’art. 55 T.U.L.P.S.; tuttavia quest’ultimo, nel testo novellato, prevede direttamente che la vendita di giocattoli pirici sia possibile anche verso soggetti sprovvisti di porto d’armi o nulla osta del questore, purché questi ultimi dimostrino di essere maggiorenni (quanto agli obblighi di registrazione delle operazioni e di comunicazione alla polizia, essi sembrerebbero invece sussistere).


Art. 11

 

(Adempimenti in materia di rifiuti pericolosi)

 

 


1. I produttori di rifiuti pericolosi che non sono inquadrati in un'organizzazione di ente o di impresa adempiono all'obbligo della tenuta del registro di carico e scarico di cui all'articolo 12 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, e successive modificazioni, attraverso la conservazione, in ordine cronologico, delle copie del formulario proprie del detentore, di cui all'articolo 15 del citato decreto legislativo n. 22 del 1997.

2. I soggetti di cui al comma 1 non sono tenuti alla comunicazione annuale al Catasto, di cui all'articolo 11, comma 3, del citato decreto legislativo n. 22 del 1997, e successive modificazioni.

3. Le disposizioni di cui al presente articolo non si applicano ai rifiuti urbani.


 

 

I commi 1 e 2 dispongono una forma semplificata di registrazione delle attività di gestione dei rifiuti per i produttori di rifiuti pericolosi non inquadrati in un’organizzazione di ente o di impresa.

La finalità della disposizione – secondo quanto enunciato nella relazione illustrativa al disegno di legge - è quella di definire normativamente il regime applicabile ai professionisti non inquadrati in un’organizzazione di impresa e, in particolare, agli studi medici – dentistici, che producono e smaltiscono rifiuti sanitari. Più in generale lo scopo della norma consiste nel dare attuazione ad un’ordinanza della Corte di giustizia delle Comunità europee, riguardante gli obblighi di registrazione delle attività di gestione di rifiuti gravanti sui produttori di rifiuti pericolosi non inquadrati in un’organizzazione di ente o di impresa

Si ricorda, in proposito, che ai sensi dell’art. 189, comma 3 e 190 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 “Norme in materia ambientale” – che hanno sostituito le disposizioni recate dagli articoli 11, comma 3, e 12 del “decreto Ronchi” – hanno l’obbligo di tenere un registro di carico e scarico su cui annotare le informazioni sulle caratteristiche qualitative e quantitative dei rifiuti:

§         i soggetti che effettuano, a titolo professionale, attività di raccolta e di trasporto di rifiuti, compresi i commercianti e gli intermediari di rifiuti senza detenzione;

§         i soggetti che svolgono le operazioni di recupero e di smaltimento dei rifiuti;

§         le imprese e gli enti che producono rifiuti pericolosi ed i consorzi istituiti con le finalità di recuperare particolari tipologie di rifiuto;

§         i soggetti che producono rifiuti non pericolosi di cui all’art. 184, comma 3, lettere c), d), e g).

Per i soggetti elencati nei primi tre punti, ai sensi dell’art. 190, comma 1, primo periodo, le informazioni annotate sul registro devono essere utilizzate anche ai fini della comunicazione annuale al Catasto.

Si ricorda, inoltre, che con il DM 1.4.1998, n. 148, è stato adottato il Regolamento recante approvazione del modello dei registri di carico e scarico dei rifiuti ai sensi degli art. 12, 18, comma 2, lettera m), e 18, comma 4, del d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22. Tale regolamento costituisce ora la disciplina transitoria nelle more dell’emanazione del decreto ministeriale di attuazione previsto dall’art. 190, comma 7[71].

 

Le disposizioni relative alla tenuta del registro di carico e scarico costituiscono attuazione dell’articolo 14 della direttiva 75/442. Dalla loro analisi sembra evincersi che l’obbligo di tenuta del registro di carico e scarico non riguardi i produttori di rifiuti pericolosi che non sono ricompresi in imprese o enti, i quali sono però tenuti, in quanto detentori di rifiuti, a conservare le copie del formulario di identificazione dei rifiuti disciplinato dall’art. 193 del decreto legislativo n. 152 del 2006 - che ha sostituito l’art. 15 del decreto Ronchi - che accompagna le operazioni di trasporto degli stessi.

Si ricorda, in proposito, che l’art. 15dello stesso decreto, ora sostituito dall’art. 193 del decreto legislativo n. 152 del 2006, disciplina il formulario di identificazione dei rifiuti, che deve documentare (e accompagnare) ogni operazione di trasporto. Alla compilazione di tale formulario, in quattro copie, sono obbligati tutti gli enti o le imprese che trasportano rifiuti e i detentori di rifiuti, mentre il trasportatore deve apporre una controfirma. Le copie del formulario devono essere conservate per un periodo di 5 anni.

Si ricorda che con il DM 1 aprile 1998, n. 145 è stato adottato il Regolamento recante la definizione del modello e dei contenuti del formulario di accompagnamento dei rifiuti ai sensi degli articoli 15, 18, comma 2, lettera e), e comma 4, del d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, che continua a rappresentare la disciplina vigente nelle more dell’emanazione dei decreti attuativi previsti dall’art. 193, commi 5 e 6.

Si segnala, altresì, che l’art. 4 della direttiva 91/689/CEE dispone l’applicabilità dell’art. 14 della direttiva 75/442 – e quindi l’obbligo di tenuta del registro – a tutti i produttori di rifiuti pericolosi, mentre la circolare del Ministero dell’ambiente del 14 dicembre 1999 aveva chiarito che i medici non inquadrati in un ente o in un’impresa non sono soggetti all’obbligo della tenuta del registro di carico e scarico.

Sulla questione è intervenuta l’ordinanza della Corte di giustizia delle Comunità europee del 28 settembre 2004(C115/03), che ha fornito un’interpretazione dell’articolo 4 della direttiva 91/689/CEE, in base alla quale l’art. 14 della direttiva  75/442 si applica a tutti i produttori di rifiuti pericolosi, indipendentemente dal fatto che essi siano o meno inquadrati in un’organizzazione di ente o di impresa.

Le disposizioni in commento (commi 1 e 2) mirano quindi, in base a quanto si evince dalla relazione illustrativa, a rendere l’ordinamento italiano conforme a tale obbligo, ritenendo a tal fine sufficiente che i produttori di rifiuti pericolosi, non organizzati in imprese o enti, conservino le copie del formulario proprie del detentore, di cui all’art. 15 del decreto Ronchi. Conseguentemente non sussiste l’obbligo per tali produttori della comunicazione annuale al Catasto di cui all’art. 11, comma 3.

Nella relazione illustrativa al disegno di legge veniva esplicitato che l’adempimento dell’obbligo previsto dalla normativa comunitaria può avvenire attraverso il formulario, dato che nello stesso sono contenute anche le informazioni richieste dalla normativa comunitaria (art. 14 direttiva 75/442). Tuttavia il formulario contiene solo alcuni dei dati richiesti dall’art. 14 della direttiva 75/442. In particolare, nel formulario sono indicati quantità, natura e origine dei rifiuti, ma non sono indicati la frequenza della raccolta e il modo di trattamento di particolari tipologie di rifiuti, così come prevede la direttiva 75/442.

 

 

Il comma 3 esclude, peraltro, che i commi 1 e 2 si applichino ai rifiuti urbani.

 


Art. 12

 

(Valutazione di titoli e certificazioni comunitarie)

 

 


1. Fatta salva la normativa vigente in materia, in caso di procedimento nel quale è richiesto quale requisito il possesso di un titolo di studio, corso di perfezionamento, certificazione di esperienze professionali e ogni altro attestato che certifichi competenze acquisite dall'interessato, l'ente responsabile valuta la corrispondenza agli indicati requisiti dei titoli e delle certificazioni acquisiti in altri Stati membri dell'Unione europea o in Stati aderenti all'Accordo sullo Spazio economico europeo o nella Confederazione elvetica.

2. La valutazione dei titoli di studio è subordinata alla preventiva acquisizione sugli stessi del parere favorevole espresso dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca tenuto conto dell'oggetto del procedimento. Il parere deve essere comunque reso entro centottanta giorni dal ricevimento della documentazione completa.


 

 

L’articolo intende disciplinare alcuni casi di non applicabilità delle direttive comunitarie di carattere generale sul riconoscimento dei titoli e delle qualifiche professionali (89/48/CEE, 92/51/CEE e 99/42/CE - vedi infra), ricorrendo ai principi desumibili da due sentenze della Corte di giustizia europea (sentenza dell’8 luglio 1999, causa C-234/97; sentenza del 13 novembre 2003, causa C-313/01); si tratta, in particolare, dei casi in cui non sia in questione il riconoscimento di una formazione abilitante ai fini dell’esercizio di un’attività professionale (o professione regolamentata).

Le sentenze della Corte di Giustizia dell’8 luglio 1999 (causa C-234/97) e del 13 novembre 2003 (causa C-313/01)[72]  hanno sanzionato rispettivamente:

·         l’esclusione di una cittadina spagnola, in possesso di titolo di Master of Art, conseguito nel Regno Unito, da un concorso per restauratore (professione non regolamentata) bandito dal museo del Prado di Madrid (ente autonomo con personalità giuridica);

·         la mancata iscrizione di una cittadina francese titolare di “maîtrise en droit”, residente in Italia, nel registro nazionale dei praticanti avvocati per decisione del Consiglio dell'Ordine di Genova[73].

I principi ispiratori delle sentenze, per quanto qui rileva, sono riassumibili come segue.

·         Compete alle autorità dello Stato ospitante esaminare diplomi, certificati ed altri titoli che l'interessato haacquisito ai fini dell'esercizio della medesima professione in un altro Stato membro, procedendo al raffronto tra le competenze attestate da questi ultimi e le conoscenze e qualifiche richieste dalle norme nazionali; qualora non  vi sia una procedura generale di omologazione, spetta all'ente pubblico, che intende coprire un posto, verificare se il diploma conseguito dal candidato in altro Stato membro, corredato eventualmente di un'esperienza pratica, debba essere considerato equivalente al titolo richiesto (vedi punti 31, 34 e conclusioni della sentenza 234/97).

·         L'esercizio del diritto di stabilimento viene ostacolato se le norme nazionali fanno astrazione dalle conoscenze e dalle qualifiche già acquisite dall'interessato in un altro Stato membro; pertanto, le autorità nazionali competenti devono valutare se tali conoscenze siano valide ai fini dell'accertamento del possesso delle conoscenze mancanti. Contrasta con il diritto comunitario il rifiuto delle autorità di uno Stato membro di iscrivere, nel registro di coloro che effettuano il periodo di pratica necessario per essere ammessi alla professione di avvocato, il titolare di una laurea in giurisprudenza conseguita in un altro Stato membro per il solo motivo che non si tratta di una laurea in giurisprudenza conferita, confermata o riconosciuta come equivalente da un'università del primo Stato (vedi punto 62 e conclusioni della sentenza 313/2001).

Conseguentemente l’articolo in commento, fatta salva la normativa vigente (vedi infra), attribuisce all’ente promotore di qualunque tipo di procedimento cherichieda per l’accesso titoli di studio o lavorativi[74] (si fa riferimento ad un titolo di studio, un corso di perfezionamento, una certificazione di esperienze professionali o attestato relativo a competenze acquisite), l’onere di valutare la corrispondenza tra i titoli necessari e quelli acquisiti dagli interessati in altri Stati dell’Unione europea o in Stati aderenti all’Accordo sullo Spazio economico europeo o nella Confederazione elvetica[75].

La valutazione dei titoli di studio (indicati con formulazione generica presumibilmente per includere sia i titoli scolastici che quelli universitari) è subordinata al parere favorevole del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca (ora Ministero dell’università e della ricerca[76]) da rendersi entro 180 giorni dall’acquisizione della documentazione completa[77].

In relazione alla normativa fatta salva dall’articolo in esame si ricorda che la disciplina comunitaria per il riconoscimento della formazione dei cittadini comunitari ai fini dell’accesso alle professioni è contenuta in numerose direttive, recepite nel nostro Paese. Alcune di queste direttive riguardano settori specifici ( ad esempio il settore medico, paramedico, veterinario o la professione di architetto), altre hanno invece carattere generale e sono applicabili alle professioni regolamentate (cioè attività le cui modalità di esercizio siano direttamente o indirettamente indicate da norme di natura giuridica).

Si riepilogano di seguito le norme aventi valenza generale:

·       il d.lgs. 27 gennaio 1992, n. 115 (di recepimento della direttiva 89/48/CE) ha  disposto il riconoscimento dei diplomi di istruzione superiore che sanzionano formazioni professionali della durata minima di tre anni ai fini dell’esercizio di una professione regolamentata (come lavoratore autonomo o subordinato) da parte di un cittadino di uno Stato membro;

·       il d.lgs. 2 maggio 1994, n. 319 (di recepimento della direttiva 92/51/CE) ha integrato il precedente, prescrivendo il riconoscimento dei titoli professionali che implicano un iter di studio post-secondario inferiore a tre anni ma superiore ad uno;

·       il d.lgs. 20 settembre 2002, n. 229 (di recepimento della direttiva 1999/42/CE) ha previsto il riconoscimento delle qualifiche per le attività professionali acquisite presso uno Stato membro e non ancora coperte dal sistema generale.

La procedura di riconoscimento,nei casi sopra citati, si attiva sulla base di un’istanza dell’interessato, corredata dalla documentazione necessaria, e si conclude con decisione motivata dell’autorità competente del Paese membro ospitante; tale autorità è scelta in base al settore di attività, quindi di formazione, oggetto di direttiva; la conclusione del procedimento deve avvenite entro quattro mesi dalla presentazione della domanda ed è soggetta a ricorso giurisdizionale interno.

Le direttive citate (ed i relativi provvedimenti di recepimento) dispongono inoltre, sempre con riguardo al procedimento, che qualora tra due Stati esistano diversità in ordine alla formazione professionale relativa a specifici settori, lo Stato ospitante possa richiedere all’interessato la certificazione di un’esperienza professionale già maturata nel paese di provenienza oppure l’integrazione del percorso formativo effettuato nel proprio Paese tramite un tirocinio formativo o una prova attitudinale (le cosiddette “misure compensative”) offrendogli, in linea di massima, la possibilità di scelta tra le due alternative.

Giova ricordare che le direttive richiamate si ispirano al regime generale di liberalizzazione posto dal Trattato che istituisce la Comunità europea in materia di diritto di stabilimento e prestazione dei servizi; in particolare gli artt. 47 e 49 del Trattato CE stabiliscono, rispettivamente, il reciproco riconoscimento dei diplomi, certificati ed altri titoli professionali e la libera circolazione nel settore della prestazione di servizi. L’art. 47 del Trattato prevede tra l’altro proprio l’adozione di specifiche direttive, allo scopo di evitare agli interessati la ripetizione del percorso degli studi e della successiva formazione per esercitare professioni subordinate al possesso di titoli universitari o comunque post-secondari. Tale regime di liberalizzazione è ora confermato dal Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa (articolo III-141), ratificato dall’Italia con legge 57 del 2005[78].

Sempre nell’ambito della normativa vigente, fatta salva dall’articolo in commento, si ricorda l’art 38 del d.lgs. 165/2001[79], che prescrive e regolamenta l’accesso dei cittadini degli Stati membri della Unione europea ai posti di lavoro presso le amministrazioni pubbliche (purchè l’attività non implichi esercizio diretto o indiretto di pubblici poteri, ovvero non attenga alla tutela dell'interesse nazionale).

Il quadro normativo sopra delineato è comunque in corso di modifica a seguito dell’approvazione e del prossimo recepimento di una recente direttiva comunitaria sul riconoscimento dei titoli e delle qualifiche professionali: ladirettiva 2005/36/CE[80] del 7 settembre 2005 (si veda l’apposita scheda infra) ha infatti  consolidato in un unico testo e semplificato le direttive settoriali e quelle di carattere più generale richiamate sopra[81] disponendone l’abrogazione, a decorrere dal 20 ottobre 2007 (data indicata come termine per il recepimento da parte degli Stati membri). La direttiva citata è inclusa dalla legge comunitaria in commento(art. 1, commi 3 e 4) tra le direttive da recepire tramite decreto legislativo previo parere delle commissioni parlamentari competenti ai cittadini italiani residenti all’estero per motivi lavorativi o professionali.


Art. 13

 

(Modifiche al testo unico di cui al decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297)

 

 


1. Al testo unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione, relative alle scuole di ogni ordine e grado, di cui al decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) all'articolo 379, concernente la disciplina del riconoscimento dei titoli di studio conseguiti all'estero dai lavoratori italiani e loro congiunti emigrati:

1) le parole: «lavoratori italiani e loro congiunti emigrati», «lavoratori italiani e i loro congiunti emigrati» e «lavoratori italiani o loro congiunti emigrati», ovunque ricorrono, sono sostituite dalle seguenti: «cittadini di Stati membri dell'Unione europea, degli Stati aderenti all'Accordo sullo Spazio economico europeo e della Confederazione elvetica»;

2) le parole: «all'estero», ovunque ricorrono, sono sostituite dalle seguenti: «in uno Stato diverso dall'Italia»;

3) il comma 9 è abrogato;

b) l'articolo 380 è abrogato.

2. Dall'attuazione del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.


 

 

L’articolo disciplina il riconoscimento dei titoli di studio di istruzione di primo e di secondo grado conseguiti da cittadini comunitari o di Stati aderenti all’Accordo sullo Spazio economico europeo[82] o della Confederazione elvetica.

Si ricorda che in materia di diritto di stabilimento e prestazione dei servizi gli artt. 47 e 49 del Trattato che istituisce la Comunità europea stabiliscono, rispettivamente, il reciproco riconoscimento dei diplomi, certificati ed altri titoli professionali e la libera circolazione nel settore della prestazione di servizi. L’art. 47 prevede tra l’altro l’adozione di specifiche direttive, allo scopo di evitare agli interessati la ripetizione del percorso degli studi e della successiva formazione per esercitare professioni subordinate al possesso di titoli universitari o comunque post-secondari. Tale regime di liberalizzazione è ora confermato dal Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa (articolo III-141), ratificato dall’Italia con legge 57/2005[83]. In particolare, l’art III-141 conferma il principio di libertà di stabilimento edaffida alle leggi quadro europee (corrispondenti alleprecedenti direttive) la facilitazione dell'accesso alle attività autonome ed all'esercizio di queste attraverso il reciproco riconoscimento dei diplomi‚ certificati ed altri titoli nonché il coordinamento delle disposizioni, anche amministrative, degli Stati.

La disposizionein commento intende uniformare la normativa italiana al principio della libertà di circolazione e di stabilimentodei cittadini dell’U.E. o appartenenti al SEE o alla Confederazione elvetica.

A tal fine:

·         il comma 1 (lettera a) applica, con le necessarie modifiche,ai cittadini sopramenzionati la procedura dettata all’art. 379 del Testo unico in materia di istruzione (d.lgs. 297/1994)[84] per la dichiarazione dell’equipollenza dei titoli di studio dei cittadini italiani emigrati e i loro congiunti;

·         il comma 1 (lettera b) abroga l’art. 380 del medesimo T.U., recante norme per il riconoscimento di titoli di studio conseguiti all’estero da cittadini italiani residenti all’estero per motivi lavorativi o professionali.

 

L’art. 379 del T.U. attualmente prescrivequanto segue, con riferimentoai titoli di studio conseguiti all'estero dai lavoratori italiani e dai loro congiunti.

·         La dichiarazione di equipollenza di un titolo di studio conseguitonelle scuole straniere corrispondenti alle scuole italiane elementare e media[85] è subordinata al superamento di una prova integrativa di lingua e cultura generale italiana (disciplinata di concerto dai Ministri dell’istruzione, dell’università e della ricerca e degli affari esteri), salvo i casi in cui gli interessati siano in possesso di attestato di frequenza con profitto di apposite classi o corsi istituiti all'estero dal Ministero degli affari esteri (ai sensi dell'articolo 636, comma 1, lettere a) e b), dello stesso T.U.), ovverosiano in possesso di un titolo straniero che comprenda la lingua italiana tra le materie classificate. Il certificato di equipollenza viene rilasciato dai provveditorati agli studi (ora centri servizi amministrativi), sulla base di tabelle stabilite con decreto del Ministro della pubblica istruzione, sentito il Consiglio nazionale della pubblica istruzione, di concerto con il Ministro degli affari esteri.

·         La dichiarazione di equipollenza di un titolo finale conseguito nelle scuole straniere corrispondenti agli istituti italiani di istruzione secondaria superiore o di istruzione professionale con i titoli di studio finali italiani è subordinata al superamento di prove integrative, eventualmente ritenute necessarie da una apposita commissione nominata dal Ministro della pubblica istruzione, composta di 7 membri, uno dei quali designato dal Ministero degli affari esteri. Queste ultime si svolgono nella sede presso la quale è statapresentata la domanda secondo programmi e modalità stabiliti con provvedimento del Ministro della pubblica istruzione, sentito il Consiglio nazionale della pubblica istruzione, d'intesa con il Ministro degli affari esteri. Il documento comprovante l'equipollenza è rilasciato dal provveditore agli studi (ora dirigente dei centri servizi amministrativi)[86].

·         La validità in Italia di attestati di qualifica professionale acquisiti all'estero da lavoratori italiani o loro congiunti emigrati, diversi da quelli considerati nel terzo comma dell'articolo 4 della legge 3 marzo 1971, n. 153[87] (cioè corsi di preparazione tecnico-professionale) è riconosciuta sulla base di tabelle di equipollenza, approvate con provvedimento del Ministro del lavoro, emanato d'intesa con il Ministro degli affari esteri ed eventualmente anche con il Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca (ora ministro della Pubblica istruzione[88]). La competenza al rilascio del documento comprovante l'estensione della validità è rilasciato dall'ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione[89].

 

Nell’articolo 13 della legge comunitaria sopra sintetizzato viene sostituito, come già detto, il riferimento ai cittadini emigrati con la formulazione “cittadini comunitari o di paesi aderenti all’accordo SEE o della Confederazione elvetica”, vengono inoltre effettuate altre modifiche per adeguarlo all’attuale contesto dell’U.E.

 

Con riguardo all’art. 380 del TU dell’istruzione, abrogato dalla disposizione in commento, (comma 1 lettera b)) si ricorda che quest’ultimo estendeva ai cittadini italiani residenti all’estero per motivi lavorativi o professionali i benefici riconosciuti dall’art. 379 agli emigrati ed ai loro congiunti. La previsione risulta inattuale in relazione alla già menzionata libertà di circolazione e stabilimento che rientra nelle prerogative di tutti i cittadini dei paesi comunitari.

 

Il comma 2[90]al fine di garantire il rispetto dei principi costituzionali in materia di copertura finanziaria delle leggi - reca una clausola di neutralità finanziaria.

 


Art. 14

 

(Modifiche al d.lgs. 9 maggio 2001, n. 269, recante attuazione della direttiva 1999/5/CE riguardante le apparecchiature radio, le apparecchiature terminali di telecomunicazioni ed il reciproco riconoscimento della loro conformità)

 

 


1. All'articolo 1, comma 1, lettera c), del decreto legislativo 9 maggio 2001, n. 269, le parole: «l'emissione e» sono sostituite dalle seguenti: «l'emissione ovvero».

2. All'articolo 10 del decreto legislativo 9 maggio 2001, n. 269, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) il comma 1 è sostituito dal seguente:

«1. Chiunque immette sul mercato ovvero installa apparecchi non conformi ai requisiti essenziali di cui all'articolo 3 è assoggettato alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 4.131 a euro 24.789 e del pagamento di una somma da euro 20 a euro 123 per ciascun apparecchio. Alla stessa sanzione è assoggettato chiunque apporta modifiche agli apparecchi dotati della prescritta marcatura che comportano mancata conformità ai requisiti essenziali. In ogni caso la sanzione amministrativa non può superare la somma complessiva di euro 103.291»;

b) al comma 2, primo periodo, le parole: «da lire 4 milioni a lire 24 milioni» sono sostituite dalle seguenti: «da euro 1.032 a euro 12.394» e le parole: «da lire 20 mila a lire 120 mila» sono sostituite dalle seguenti: «da euro 10 a euro 61»; al secondo periodo, le parole: «lire 200 milioni» sono sostituite dalle seguenti: «euro 103.291»;

c) dopo il comma 2 è inserito il seguente:

«2-bis. Il fabbricante o chiunque immette sul mercato apparecchi conformi ai requisiti essenziali di cui all'articolo 3, ma privi delle informazioni sull'uso cui l'apparecchio è destinato, nonché delle indicazioni relative agli Stati membri dell'Unione europea o alla zona geografica all'interno di uno Stato membro dove l'apparecchiatura è destinata ad essere utilizzata, nonché delle informazioni relative ad eventuali restrizioni o richieste di autorizzazioni necessarie per l'uso delle apparecchiature radio in taluni Stati membri, è assoggettato alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 1.032 a euro 12.394 e del pagamento di una somma da euro 10 a euro 61 per ciascun apparecchio. In ogni caso la sanzione amministrativa non può superare la somma complessiva di euro 103.291»;

d) al comma 3, le parole: «da lire 2 milioni a lire 12 milioni» sono sostituite dalle seguenti: «da euro 1.032 a euro 6.197»;

e) al comma 4, le parole: «da lire 5 milioni a lire 30 milioni» sono sostituite dalle seguenti: «da euro 2.582 a euro 15.493»;

f) al comma 5, le parole: «da lire 500 mila a lire 3 milioni» sono sostituite dalle seguenti: «da euro 258 a euro 1.549»;

g) al comma 6, le parole: «da lire 10 milioni a lire 60 milioni» sono sostituite dalle seguenti: «da euro 5.164 a euro 30.987».


 

 

L'articolo 14 reca modifiche al decreto legislativo 9 maggio 2001, n. 269, recante attuazione della direttiva 1999/5/CE riguardante le apparecchiature radio, le apparecchiature terminali di telecomunicazione ed il reciproco riconoscimento della loro conformità.

 

Il comma 1 novella l'articolo 1, comma 1, lettera c), del citato decreto legislativo, recante la definizione di “apparecchiatura radio”. Mentre il testo originario qualificava le apparecchiature radio come un prodotto in grado di comunicare mediante l'emissione e la ricezione delle onde radio, a seguito della modifica introdotta l'apparecchiatura radio è un prodotto in grado di comunicare mediante l'emissione ovvero la ricezione di onde radio.

 

Il comma 2 novella l'articolo 10 del citato decreto legislativo n. 269/2001 che interviene in materia di sanzioni. In particolare, vengono modificati:

§      il comma 1: il nuovo testo stabilisce che chiunque immette sul mercato ovvero installa apparecchi non conformi ai requisiti essenziali di cui all'articolo 3 (protezione della salute e sicurezza dell'utente o di qualsiasi altra persona; protezione riguardo la compatibilità elettromagnetica) è assoggettato alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 4.131 a euro 24.789 e del pagamento di una somma da euro 20 a euro 123 per ciascun apparecchio. Alla stessa sanzione è assoggettato chiunque apporta modifiche agli apparecchi dotati della prescritta marcatura che comportano mancata conformità ai requisiti essenziali. In ogni caso la sanzione amministrativa non può superare la somma complessiva di euro 103.291;

§      il comma 2 relativo alle sanzioni per chi immette sul mercato apparecchi privi di marcatura CE o per colui che, dovendo detenere la documentazione tecnica, ne viene trovato completamente sfornito. La novella introdottaprevede, per la prima fattispecie, la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 1.032 a euro 12.394 (anzichè da lire 4 milioni a lire 24 milioni) e, per la seconda fattispecie, la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 10 a euro 61 (anzichè da lire 20 mila a lire 120 mila). A seguito della modifica introdotta, la sanzione amministrativa non può superare il tetto di euro 103.291 (anziché 200 milioni).

La novella ha poi introdotto un comma 2-bis al citato articolo 10 del decreto legislativo n. 269. Tale comma dispone che il fabbricante o chiunque immette sul mercato apparecchi conformi ai requisiti essenziali di cui all'articolo 3 del decreto legislativo (protezione della salute e della sicurezza dell'utente o di qualsiasi altra persona nonché protezione per quanto riguarda la compatibilità elettromagnetica), ma privi delle informazioni sull'uso cui l'apparecchio è destinato, nonché delle indicazioni relative agli Stati membri dell’Unione europea o alla zona geografica di uno Stato membro all'interno del quale l'apparecchio deve essere utilizzato, nonché delle informazioni relative ad eventuali restrizioni o richieste di autorizzazioni necessarie per l'uso delle apparecchiature radio in alcuni Stati membri, è assoggettato alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 1.032 a euro 12.394 e del pagamento di una somma da euro 10 a euro 61 per ciascun apparecchio. In ogni caso la sanzione non può superare la somma complessiva di euro 103.291;

§      i commi 3, 4, 5, 6 incidono sull'entità delle sanzioni amministrative in caso di violazione delle norme riguardanti le apparecchiature radio e le apparecchiature terminali di telecomunicazioni.

In particolare, al comma 3 si prevede per chi appone marchi che possono confondersi con la marcatura ovvero ne limitano la visibilità e la leggibilità la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da 1.032 a 6.197 euro (anziché da 2 e 12 milioni di lire).

Il comma 4, così come novellato, prevede, per colui che promuove pubblicità per apparecchi che non rispettano le prescrizioni del decreto legislativo, sanzioni da euro 2.582 a euro 15.493 (anziché da 5 a 30 milioni di lire).

Il comma 5 nel testo novellato prevede, per coloro che utilizzano apparecchi non correttamente installati, la sanzione amministrativa al pagamento di una somma da euro 258 a euro 1.549 (anziché da lire 500 mila a 3 milioni di lire). Infine, per coloro che non notificano al Ministero delle Comunicazioni la immissione sul mercato di apparecchiature radio con banda di frequenza non armonizzata con le disposizioni UE (comma 6), la novella prevede la sanzione amministrativa al pagamento di una somma da euro 5.164 a euro 30.987 (anziché da lire 10 milioni a lire 60 milioni).


Art. 15

 

(Attuazione della Decisione C (2004) 4746 del 14 dicembre 2004 della Commissione (aiuti alle imprese nel settore fieristico))

 

 


1. In attuazione della decisione C (2004) 4746 del 14 dicembre 2004 della Commissione, il regime di aiuti a favore delle imprese che hanno sostenuto, nel periodo d'imposta successivo a quello in corso alla data del 2 ottobre 2003, spese per la partecipazione espositiva di prodotti in fiere all'estero, ai sensi dell'articolo 1, comma 1, lettera b), del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, è interrotto a decorrere dal periodo d'imposta per il quale, alla data di entrata in vigore della presente legge, non è ancora scaduto il termine per la presentazione della relativa dichiarazione dei redditi.

2. Entro novanta giorni dalla data di emanazione del provvedimento del direttore dell'Agenzia delle entrate che determina le modalità applicative della presente disposizione, i soggetti che hanno beneficiato degli aiuti di cui al comma 1 presentano in via telematica all'Agenzia delle entrate una attestazione, ai sensi del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, con gli elementi necessari per l'individuazione dell'aiuto illegittimamente fruito sulla base delle disposizioni contenute nel citato provvedimento del direttore dell'Agenzia delle entrate da cui risulti comunque:

a) l'ammontare delle spese sostenute sulla base delle quali è stata calcolata l'agevolazione di cui al comma 1;

b) l'importo corrispondente all'eventuale imposta sul reddito non dovuta per effetto dell'agevolazione illegittimamente fruita.

3. Entro i sessanta giorni successivi al termine di cui al comma 2, i beneficiari del regime agevolativo di cui al comma 1 effettuano, a seguito di autoliquidazione, il versamento degli importi corrispondenti alle imposte non corrisposte per effetto del regime agevolativo medesimo relativamente ai periodi di imposta nei quali tale regime è stato fruito, nonché degli interessi calcolati sulla base delle disposizioni di cui al capo V del regolamento (CE) n. 794/2004 del 21 aprile 2004 della Commissione, maturati a decorrere dalla data in cui le imposte non versate sono state messe a disposizione dei beneficiari fino alla data del loro recupero effettivo.

4. L'Agenzia delle entrate provvede alle attività di liquidazione e controllo del corretto adempimento degli obblighi derivanti dal presente articolo e, in caso di mancato o insufficiente versamento, ai sensi del comma 3, si rendono applicabili le norme in materia di liquidazione, accertamento, riscossione e contenzioso nonché le sanzioni previste ai fini delle imposte sui redditi.

5. Le disposizioni del presente articolo non si applicano alle spese sostenute dalle piccole e medie imprese per la partecipazione espositiva di prodotti in fiere all'estero nel rispetto delle condizioni di cui all'articolo 5, lettera b), del regolamento (CE) n. 70/2001 del 12 gennaio 2001 della Commissione (2).

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(2) Con Provv. 6 aprile 2006 (Gazz. Uff. 12 aprile 2006, n. 86) sono state determinate le modalità applicative delle disposizioni previste dagli articoli 15 e 24 della presente legge, per il recupero delle agevolazioni fiscali fruite, da imprese che hanno sostenuto spese per la partecipazione espositiva di prodotti in fiere all'estero, di cui all'articolo 1, comma 1, lettera b), del D.L. n. 269 del 30 settembre 2003, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 326 del 24 novembre 2003, e da soggetti che hanno realizzato investimenti nei comuni colpiti da eventi calamitosi nel 2002, di cui all'articolo 5-sexies del D.L. n. 282 del 24 dicembre 2002, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 27 del 21 febbraio 2003.


L'articolo 15 è diretto a far cessare, in attuazione della decisione della Commissione europea C (2004) 4746, il regime di aiuti fiscali alle imprese che hanno sostenuto spese per la partecipazione ad eventi fieristici all'estero.

 

Il beneficio della detassazione per le spese di partecipazione di fiere all'estero è stato introdotto dall'articolo 1, comma 1, lettera b), del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, recante "Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell'andamento dei conti pubblici" (cosiddetto pacchetto "Tecno-Tremonti").

Tale articolo ha escluso dall’imposizione sul reddito d’impresa l’importo delle spese direttamente sostenute per la partecipazione espositiva di prodotti in fiere all’estero, escluse le spese per sponsorizzazioni. L'incentivo si applica esclusivamente alle spese sostenute nel primo periodo d'imposta successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore del D.L. n. 269 del 2003 (2 ottobre 2003)[91].

In relazione alla citata normativa, con lettera in data 18 marzo 2004 (pubblicata nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea C n. 221 del 3 settembre 2004), la Commissione delle Comunità europee ha informato l’Italia della propria decisione di avviare un procedimento di indagine per verificare l’eventuale concessione di aiuti di Stato non compatibili con il mercato comune. Al termine del procedimento, con la decisione 2005/919/CE del 14 dicembre 2004 (pubblicata nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea L n. 335 del 21 dicembre 2005 e notificata con il numero C (2004) 4746), la Commissione ha stabilito che la misura disposta dal regime in esame costituisce aiuto di Stato e che la stessa non è compatibile con il mercato comune. La Commissione ha invece lasciato impregiudicata la possibilità che vengano considerati compatibili con il mercato comune gli aiuti concessi ai sensi dell’articolo 5, lettera b), del regolamento (CE) n. 70/2001 del 12 gennaio 2001, relativo all'applicazione degli articoli 87 e 88 del trattato CE agli aiuti d'importanza minore (c.d. de minimis), il quale stabilisce l’ammissibilità degli aiuti per la prima partecipazione di una piccola o media impresa ad una determinata fiera o esposizione, se non superano il 50 per cento dei costi ammissibili (si vedano i “Considerando..” nn. 36 e 46 della decisione e il comma 5 del presente articolo 15). La decisione della Commissione impone all’Italia di prendere tutti i provvedimenti necessari per recuperare gli aiuti illegittimamente concessi, al più tardi entro la fine del primo esercizio fiscale successivo alla data di notifica della decisione stessa. Gli aiuti da recuperare sono produttivi di interessi, a decorrere dalla data in cui gli aiuti sono divenuti disponibili per i beneficiari, fino alla data dell’effettivo recupero.

 

In attuazione di quanto stabilito dalla decisione C (2004) 4746 della Commissione europea, il comma 1 dell'articolo 15 prevede l'interruzione del regime di aiuti a favore delle imprese che hanno sostenuto spese per la partecipazione a fiere all'estero. Quanto sopra disposto decorre dal periodo d'imposta per il quale, alla data del 23 febbraio 2006 (data di entrata in vigore della legge n. 29 del 2006, legge comunitaria per il 2005), non è ancora scaduto il termine per la presentazione della relativa dichiarazione dei redditi.

 

Il comma 2 demanda ad un provvedimento del Direttore dell'Agenzia delle entrate la determinazione delle relative modalità applicative. Ai soggetti che hanno beneficiato degli aiuti è fatto obbligo di presentare all'Agenzia delle entrate, entro novanta giorni dall'emanazione di tale provvedimento e sulla base delle disposizioni in esso contenute, un'attestazione recante gli elementi necessari ad individuare l'aiuto illegittimamente fruito. Dall’attestazione debbono in ogni caso risultare: l'ammontare delle spese sostenute [lettera a)] e la misura dell'imposta sul reddito eventualmente non dovuta per l'effetto dell'agevolazione illegittimamente fruita [lettera b)].

Il provvedimento è stato emanato in data 6 aprile 2006 e pubblicato nella Gazzetta ufficiale n. 86 del 12 aprile 2006[92]. Il termine di novanta giorni per la presentazione dell’attestazione è pertanto scaduto l’11 luglio 2006. Il citato provvedimento prescrive che l’attestazione sia presentata, esclusivamente in via telematica, dal soggetto che ha goduto del risparmio di imposta, anche se le spese e gli investimenti sono stati sostenuti da altri.

 

A norma del comma 3, i beneficiari degli aiuti erano tenuti a versare, in autoliquidazione, entro sessanta giorni dalla scadenza del termine stabilito dal precedente comma 2 (ossia entro il 9 settembre 2006), le imposte non corrisposte per i periodi in cui le aziende hanno usufruito degli aiuti, unitamente agli interessi maturati a decorrere dalla data in cui le imposte non versate sono state messe a disposizione dei beneficiari, fino alla data del loro recupero effettivo. Gli interessi devono essere calcolati sulla base di quanto stabilito dal regolamento (CE) n. 794/2004 Commissione del 21 aprile 2004.

 

Il capo V del citato regolamento (CE) n. 794/2004 reca disposizioni sui tassi d’interesse per il recupero di aiuti illegittimi. Il tasso d’interesse da utilizzare per il recupero degli aiuti di Stato è un tasso percentuale annuo, fissato per ogni anno civile, calcolato sulla base della media dei tassi swap interbancari a cinque anni per i mesi di settembre, ottobre e novembre dell'anno precedente, maggiorata di 75 punti base. In casi debitamente giustificati la Commissione può aumentare il tasso di più di 75 punti base per uno o più Stati membri. Il tasso d’interesse è fissato per ciascuno Stato membro separatamente o per due o più Stati membri insieme, ed è pubblicato nella Gazzetta ufficiale dell'Unione europea e, a scopo informativo, su internet. Da quanto risulta dalla Comunicazione della Commissione sui tassi di interesse per il recupero degli aiuti di Stato (GUCE C n. 88 del 12 aprile 2005), il tasso per l'Italia, dal 1° gennaio 2005, è pari a 4,08 punti.

 

Il comma 4 affida all'Agenzia delle entrate il controllo del corretto adempimento degli obblighi derivanti dal presente articolo. Sono applicabili le norme relative alla liquidazione, all’accertamento, alla riscossione e al contenzioso, nonché le relative sanzioni.

 

Il comma 5 esclude dal recupero le somme corrispondenti alle spese sostenute dalle piccole e medie imprese (PMI), nel rispetto delle condizioni dettate dall'articolo 5, lettera b), del regolamento 2001/70/(CE).

 

Come sopra indicato la decisione C (2004) 4746 non esclude "la possibilità che tutti o una parte degli aiuti concessi in casi individuali vengano considerati compatibili (…) ai sensi (…) del regolamento di esenzione per categoria relativo agli aiuti alle PMI” (“Considerando..” n. 46). Il regolamento (CE) n. 70/2001 (Regolamento della Commissione relativo all'applicazione degli articoli 87 e 88 del trattato CE agli aiuti di Stato a favore delle piccole e medie imprese), all'articolo 5, prevede che sono compatibili con il mercato comune ed esentati dall'obbligo di comunicazione gli aiuti alle PMI che partecipano a fiere ed esposizioni, a condizione che l'ammontare lordo dell'aiuto non superi il 50 per cento dei costi aggiuntivi sostenuti per la locazione, installazione e gestione dello stand. Tale esenzione si applica solo alla prima partecipazione di un'impresa ad una determinata fiera o esposizione.

Pur considerando tali elementi, la circolare dell'Agenzia delle entrate 10 maggio 2005, n. 20/E, aveva ritenuto che le agevolazioni previste nel pacchetto "Tecno-Tremonti" per la partecipazione a fiere non fossero automaticamente applicabili alle piccole e medie imprese. La circolare fondava tale interpretazione sull’insussistenza, nel testo del D.L. n. 269 del 2003, di qualsiasi riferimento espresso al citato regolamento (CE) n. 70/2001 e sulla diversa misura del beneficio riconosciuto dal decreto-legge (100 per cento delle spese), rispetto a quello contemplato dal regolamento (CE) (50 per cento delle spese).

 

Il presente comma, escludendo le piccole e medie imprese dalle procedure di recupero, nel rispetto di quanto previsto dall’articolo 5 del regolamento (CE) n. 70/2001, sembra superare quanto disposto dalla citata circolare n. 20/E del 2005.

 


Art. 16

 

(Modifiche all’articolo 1 della legge 18 aprile 2005, n. 62)

 

 

 


1. All'articolo 1 della legge 18 aprile 2005, n. 62, dopo il comma 5 è inserito il seguente:

«5-bis. Entro tre anni dalla data di entrata in vigore dei decreti legislativi di cui al comma 1, adottati per l'attuazione della direttiva 2004/39/CE, relativa ai mercati degli strumenti finanziari, e della direttiva 2004/25/CE, concernente le offerte pubbliche di acquisto, il Governo, nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi di cui all'articolo 2 e con la procedura prevista dal presente articolo, può emanare disposizioni integrative e correttive al fine di tenere conto delle eventuali disposizioni di attuazione adottate dalla Commissione europea secondo la procedura di cui, rispettivamente, all'articolo 64, paragrafo 2, della direttiva 2004/39/CE, e all'articolo 18, paragrafo 2, della direttiva 2004/25/CE».

2. All'articolo 1, comma 5, della legge 18 aprile 2005, n. 62, sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «, fatto salvo quanto previsto dal comma 5-bis».


 

 

L'articolo 16 interviene sull'articolo 1 della legge 18 aprile 2005, n. 62 (Legge comunitaria 2004), che delega il Governo a dare attuazione alle direttive comprese negli allegati A e B entro diciotto mesi dalla data della sua entrata in vigore, consentendo, al comma 5, l’adozione di disposizioni integrative e correttive entro diciotto mesi dalla data di entrata in vigore di ciascuno dei decreti legislativi delegati.

 

In particolare, il comma 1 inserisce nel predetto articolo 1 un nuovo comma 5-bis, che raddoppia il termine previsto per l’emanazione dei decreti integrativi e correttivi relativamente alle sole disposizioni di recepimento delle direttive in materia di offerte pubbliche di acquisto e di mercati degli strumenti finanziari.

La disposizione, infatti, consente al Governo di emanare disposizioni correttive e integrative entro tre anni, anziché entro diciotto mesi, dalla data di entrata in vigore dei decreti legislativi adottati per l'attuazione delle seguenti direttive:

- 2004/25/CE, relativa alle offerte pubbliche di acquisto;

- 2004/39/CE, relativa ai mercati degli strumenti finanziari.

 

La suddetta facoltà viene conferita affinché il Governo, nell’adozione dei decreti integrativi e correttivi, possa tenere conto delle disposizioni di attuazione eventualmente adottate dalla Commissione europea secondo la procedura prevista dall'articolo 64, paragrafo 2, della direttiva 2004/39/CE e dall'articolo 18, paragrafo 2, della direttiva 2004/25/CE[93].

 

Le disposizioni integrative e correttive dovranno essere adottate dal Governo con le modalità previste dallo stesso articolo 1 e nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi stabiliti dall’articolo 2 della stessa legge comunitaria 2004.

 

La procedura per l'adozione delle disposizioni integrative e correttive, disciplinata dall'articolo 1 della legge comunitaria 2004, prevede l'adozione di decreti legislativi, nel rispetto dell'articolo 14 della n. 400 del 1988, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri o del Ministro per le politiche comunitarie e del Ministro con competenza istituzionale prevalente per la materia, di concerto con i Ministri degli affari esteri, della giustizia, dell'economia e delle finanze e con gli altri Ministri interessati in relazione all'oggetto della direttiva.

Gli schemi dei decreti legislativi recanti attuazione delle direttive comprese nell'elenco di cui all'allegato B (tra cui le due direttive 2004/25/CE e 2004/39/CE), sono trasmessi, dopo l'acquisizione degli altri pareri previsti dalla legge, alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica perché su di essi sia espresso il parere dei competenti organi parlamentari. Decorsi quaranta giorni dalla data di trasmissione, i decreti sono emanati anche in mancanza del parere.

Sugli schemi dei decreti legislativi recanti attuazione, tra le altre, della direttiva 2004/25/CE e della direttiva 2004/39/CE, corredati della relazione tecnica sugli effetti finanziari a norma dell'articolo 11-ter, comma 2, della legge n. 468 del 1978, è richiesto anche il parere delle Commissioni parlamentari competenti per i profili finanziari. Il Governo, ove non intenda conformarsi alle condizioni formulate con riferimento all'esigenza di garantire il rispetto dell'articolo 81, quarto comma, della Costituzione, ritrasmette alle Camere i testi, corredati dei necessari elementi integrativi d’informazione, per i pareri definitivi delle Commissioni competenti per i profili finanziari, che devono essere espressi entro venti giorni.

 

Le due direttive comunitarie per le quali sarà possibile emanare disposizioni integrative e correttive entro un triennio dall'entrata in vigore dei relativi decreti (anziché entro diciotto mesi, come previsto in termini generali dal comma 5 dell'articolo 1) sono la direttiva 2004/25/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 aprile 2004, riguardante le offerte pubbliche di acquisto, e la direttiva 2004/39/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dello stesso 21 aprile 2004, in materia di mercati degli strumenti finanziari, che ha modificato le direttive 85/611/CEE e 93/6/CEE, nonché abrogato la direttiva 93/22/CEE.

 

La direttiva 2004/25/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 aprile 2004, in tema di offerte pubbliche di acquisto (OPA),costituisce un aspetto essenziale del Piano d'azione per i servizi finanziari. Il Consiglio europeo di Lisbona del marzo 2000 aveva annoverato tale atto fra le misure prioritarie da adottare per l'integrazione dei mercati finanziari europei entro il 2005.

La direttiva è volta a istituire linee direttrici minime per lo svolgimento di OPA laddove i titoli di società disciplinati dalle leggi degli Stati membri siano ammessi, parzialmente o interamente, alla negoziazione sul mercato regolamentato. Essa mira altresì a fornire un adeguato livello di protezione ai possessori di titoli in seno alla Comunità, istituendo un quadro di princìpi comuni e di requisiti generali che gli Stati membri devono attuare attraverso norme più dettagliate, conformemente ai rispettivi sistemi nazionali e contesti culturali.

Per quanto concerne il campo d'applicazione, la direttiva prevede misure di coordinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative, dei codici deontologici o di altre disposizioni degli Stati membri, comprese le disposizioni adottate da organizzazioni ufficialmente abilitate a regolamentare i mercati, concernenti le OPA su titoli di una società regolamentati dal diritto di uno Stato membro, qualora la totalità o una parte di tali titoli sia ammessa alla negoziazione su un mercato regolamentato ai sensi della direttiva 93/22/CEE in uno o più Stati membri.

La direttiva non si applica alle OPA su titoli emessi da società aventi quale fine l'investimento collettivo di capitali raccolti presso il pubblico, il cui funzionamento sia soggetto al principio della ripartizione dei rischi e le cui quote, su richiesta dei possessori, vengono riacquistate o rimborsate – direttamente o indirettamente – a carico degli attivi di tali società. Gli atti o le operazioni compiuti da queste società per garantire che il valore di borsa delle loro quote non vari in modo significativo rispetto al loro valore d'inventario netto sono considerati equivalenti a un tale riscatto o rimborso. Infine, la direttiva non si applica alle OPA su titoli emessi dalle banche centrali degli Stati membri.

Il termine per il recepimento della direttiva 2004/25/CEè fissato al 20 maggio 2006.

Una clausola di revisione prevede che la Commissione possa proporre una modifica del testo a cinque anni dalla data limite di trasposizione, e ciò alla luce dell'esperienza acquisita nel quadro della sua applicazione. In tale contesto, gli Stati membri forniscono ogni anno alla Commissione informazioni sulle OPA da essi lanciate relative a società i cui titoli sono ammessi alla negoziazione sui loro mercati regolamentati.

Il recepimento della direttiva 2004/25/CE nell’ordinamento italiano dovrebbe comportare modificazioni al testo unico delle leggi sull’intermediazione finanziaria, approvato con decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58.

 

La direttiva 2004/39/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 21 aprile 2004 interviene sulla disciplina dei mercati degli strumenti finanziari, recando modificazioni alle direttive 85/611/CEE e 93/6/CEE del Consiglio e alla direttiva 2000/12/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e abrogando la direttiva 93/22/CEE del Consiglio.

Le norme contenute nella direttiva 2004/39/CE costituiscono un passo importante verso la costruzione di un mercato azionario europeo integrato: le imprese d’investimento godranno effettivamente di un "passaporto unico" e gli investitori beneficeranno del medesimo livello di protezione in qualsiasi sistema europeo d’intermediazione mobiliare.

La direttiva 2004/39/CE, inoltre, mira a stabilire per la prima volta un quadro regolamentare completo che regoli l'esecuzione delle transazioni degli investitori da parte dei mercati regolamentati, dei sistemi di negoziazione alternativi e degli intermediari (imprese di investimento), che operano in qualità di internalizzatori.

L’abrogazione della direttiva 93/22/CEE del 10 maggio 1993 sui servizi d’investimento deriva dall'evoluzione del mercato finanziario europeo, che ha visto un aumento del numero degli investitori, della gamma di servizi e strumenti offerti, dei canali di offerta, delle tipologie di intermediari e mercati. Allo stesso tempo, i sistemi di esecuzione degli ordini, grazie anche agli sviluppi della tecnologia, hanno registrato una radicale evoluzione e un deciso ampliamento, che hanno reso la definizione di mercato regolamentato insufficiente per comprendere tutte le modalità (bilaterali e multilaterali) attraverso le quali avviene l'esecuzione.

Le principali innovazioni previste dalla direttiva 2004/39/CE riguardano tre diverse aree: l’ambito di applicazione della normativa, la disciplina dell’offerta di servizi di negoziazione e il regime di trasparenza delle condizioni di mercato.

In relazione all’applicabilità della normativa, la direttiva estende la portata della regolamentazione, espandendo sia l'elenco dei servizi finanziari soggetti (con l'inclusione dell'attività di consulenza agli investimenti, ma mantenendo alla ricerca e all'analisi finanziaria la qualifica di servizi accessori), sia l'elenco degli strumenti finanziari che sono oggetto della prestazione di servizi di investimento (includendovi anche strumenti derivati su merci e su crediti liquidati per cassa).

Con riferimento alla disciplina dell’offerta di servizi di negoziazione, si introduce la distinzione tra mercati regolamentati, sistemi multilaterali di negoziazione (Multilateral Trading Facilities – MTF) e intermediari autorizzati, eventualmente operanti in qualità di "internalizzatori sistematici".

Le definizioni dei tre istituti sono le seguenti:

- mercato regolamentato è un "sistema multilaterale, amministrato o gestito dal gestore del mercato, che consente o facilita l'incontro – al suo interno e in base alle sue regole non discrezionali – di interessi multipli di acquisto e di vendita di terzi relativi a strumenti finanziari, in modo da dare luogo a contratti relativi a strumenti finanziari ammessi alla negoziazione conformemente alle sue regole o ai suoi sistemi, e che è autorizzato e funziona regolarmente";

- sistema multilaterale di negoziazione è un "sistema multilaterale gestito da un'impresa di investimento o da un gestore del mercato che consente l'incontro – al suo interno e in base a regole non discrezionali – di interessi multipli di acquisto e di vendita di terzi relativi a strumenti finanziari, in modo da dare luogo a contratti";

- internalizzatore sistematico è "un'impresa di investimento che in modo organizzato, frequente e sistematico negozia per conto proprio eseguendo gli ordini del cliente al di fuori di un mercato regolamentato o di un sistema multilaterale di negoziazione".

I requisiti di trasparenza sono trattati negli articoli 27-30 e 44-45 della direttiva. Gli articoli 27 e 28 sono dedicati agli obblighi di trasparenza degli internalizzatori sistematici. Gli articoli 29 e 30 disciplinano gli obblighi di trasparenza ex ante e ex post dei sistemi multilaterali di negoziazione. Gli articoli 44 e 45 disciplinano invece gli obblighi di trasparenza ex ante e ex post dei mercati regolamentati, che devono rendere pubblici i prezzi correnti di acquisto e di vendita e la profondità del mercato a tali prezzi, a condizioni commerciali ragionevoli e in modo continuo durante il normale orario di contrattazione.

Il termine per il recepimento della direttiva è fissato al 30 aprile 2006 (24 mesi dalla data della sua entrata in vigore).

Il recepimento della direttiva 2004/25/CE nell’ordinamento italiano dovrebbe comportare modifiche al testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, emanato con decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58.

Si segnala che la direttiva 2004/39/CE è stata modificata dalla direttiva 2006/31/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 aprile 2006, per quanto riguarda talune scadenze.

Il termine di recepimento della direttiva 2006/31/CE è fissato al 31 gennaio 2007.

 

Il comma 2 dell’articolo 16 è diretto a coordinare la formulazione del comma 5 dell'articolo 1 della medesima legge n. 62 del 2005 (che, come già ricordato, stabilisce in via generale il termine di diciotto mesi dall'entrata in vigore dei relativi decreti per l'emanazione delle relative disposizioni integrative e correttive) con la novella introdotta dal comma 1 testé illustrato.

A questo fine, nel suddetto comma 5 è inserito l’inciso: «fatto salvo quanto previsto dal comma 5-bis», che esclude dall’applicazione di questo termine i decreti integrativi e correttivi riguardanti le due citate direttive, per i quali vale il più ampio termine di tre anni stabilito dal comma 5-bis.

 

Si segnala che, con l’articolo aggiuntivo 8.0100 del Governo, approvato dalla Camera nella seduta del 20 settembre 2006, è stato introdotto nel disegno di legge comunitaria 2006 (A.C. 1042, attualmente all’esame del Senato - A.S. 1014 ) un articolo che, parimenti integrando la legge n. 62 del 2005, enunzia specifici princìpi e criteri direttivi per l’esercizio della delega legislativa volta al recepimento delle direttive 2004/39/CE e 2006/31/CE, in materia di mercati degli strumenti finanziari, prorogando di un anno il termine per il suo esercizio e stabilendo che le disposizioni correttive e integrative del decreto legislativo di recepimento possano venire emanate entro due anni dalla data della sua entrata in vigore, anche per tenere conto delle eventuali misure di esecuzione eventualmente adottate dalla Commissione europea.


Art. 17

 

(Modifiche all’articolo 38 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 23 aprile 2001, n. 290)

 

 


1. I commi 1 e 2 dell'articolo 38 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 23 aprile 2001, n. 290, sono abrogati.

 


 

 

L’articolo 17 dispone l’abrogazione dei commi 1 e 2 dell’articolo 38 del DPR n. 290 del 2001, concernente l’immissione in commercio e l’etichettatura di taluni prodotti fitosanitari.

 

La disposizione è volta ad ottemperare alla procedura d’infrazione n. 2001/4742 (v. oltre).

 

L’articolo 38 del decreto del Presidente della Repubblica n. 290 del 2001 (“Regolamento di semplificazione dei procedimenti di autorizzazione alla produzione, alla immissione in commercio e alla vendita di prodotti fitosanitari e relativi coadiuvanti”) detta, in attuazione della direttiva 91/414/CEE del Consiglio, del 15 luglio 1991, norme per l’uso di determinati prodotti in agricoltura biologica.

In particolare, il comma 1 prevede che il solfato di rame, gli zolfi grezzi o raffinati, sia moliti che ventilati, gli zolfi ramati ed il solfato ferroso, nonché altri prodotti elencati nell'allegato II B del Regolamento CEE n. 2092 del 24 giugno 1991 e nell'allegato 2 dello stesso regolamento n. 290/2001, non sono soggetti ad autorizzazione per l’immissione in commercio quando non siano venduti con “denominazione di fantasia”.

Il comma 2 prevede che per l’indicazione in etichetta della composizione qualitativa dei suddetti prodotti ci si attenga ai seguenti criteri:

a) per il solfato di rame: va dichiarato il titolo in solfato ramico idrato, che deve essere compreso e garantito fra i due limiti del 98 e 99 per cento con la dichiarazione «solfato di rame 98-99 per cento»;

b) per gli zolfi: va dichiarato il loro stato e cioè se trattasi di zolfo greggio semplicemente molito o di zolfo raffinato, molito o ventilato, nonché il grado di purezza, da indicarsi come compreso fra due limiti differenti tra loro non più di 3 gradi e quello di finezza, da indicarsi come compreso fra due limiti differenti tra loro non più di 5 gradi. Il minerale di zolfo non può essere messo in commercio come anticrittogamico quando contenga meno del 25 per cento di zolfo;

c) per gli zolfi ramati: va dichiarato il titolo in solfato ramico idrato nonché, per lo zolfo, i gradi di purezza e di finezza con i limiti previsti alla lettera b);

d) per il solfato ferroso non mescolato con sostanze inerti: va riportata la sola indicazione del nome chimico, senza indicazione del titolo in sostanza attiva.

Procedure di contenzioso

Il 13 dicembre 2005 la Commissione ha inviato all’Italia un parere motivato  complementare (procedura di infrazione n. 2001/4742) in merito al decreto del Presidente della Repubblica del 23 aprile 2001, n. 290, che disciplina i procedimenti di autorizzazione alla produzione, immissione in commercio e vendita di prodotti fitosanitari e relativi coadiuvanti.

La procedura risulta provvisoriamente archiviata, in relazione all’approvazione delle modifiche al D.P.R. 290 del 2001, di cui all’articolo 17 in esame.

Secondo la Commissione, il decreto di cui sopra, sarebbe in contrasto con quanto disposto dalle direttive 91/414/CEE, che disciplina l’immissione sul mercato di prodotti fitosanitari, e 98/34/CE relativa alle procedure di informazione nel settore delle norme e delle regolamentazioni tecniche. In particolare, la Commissione sostiene che il decreto in questione prevede, contrariamente alla normativa comunitaria, che i prodotti fitosanitari destinati all’agricoltura biologica possano essere immessi sul mercato senza alcuna autorizzazione preventiva; inoltre, il decreto detterebbe una disciplina specifica per l’immissione sul mercato dei coadiuvanti utilizzati nei prodotti fitosanitari, stabilendo con ciò una norma tecnica che contraddice le procedure previste a livello comunitario.

 

Il 2 marzo 2006 la Commissione ha inoltrato un ricorso dinanzi alla Corte di giustizia contro l’Italia (causa C-83/06)  per la mancata attuazione della direttiva 2004/103/CE concernente i controlli di identità e fitosanitari su vegetali, prodotti vegetali e altre voci elencati nell'allegato V, parte B, della direttiva 2000/29/CE del Consiglio, che possono essere svolti in un luogo diverso dal punto di entrata nella Comunità o in un luogo vicino (procedura d’infrazione 2005/145). Il termine per l’attuazione di tale direttiva era il 31 dicembre 2004.

 

Il 28 giugno 2006  la Commissione ha inviato all’Italia  una lettera di messa complementare (procedura di infrazione n. 2005/4063)  ritenendo che  il DM 17 dicembre 1998, che disciplina l’importazione parallela dei prodotti fitosanitari, come modificato dal DM 21 luglio 2000, conterrebbe ostacoli agli scambi intracomunitari per quanto concerne l’importazione parallela dei prodotti fitosanitari (vale a dire l’importazione da un altro Stato membro di prodotti fitosanitari già autorizzati sia in Italia che nello Stato membro di provenienza ma a nome di un diverso titolare). Tali ostacoli discenderebbero dalle informazioni aggiuntive (rispetto a quanto stabilito dalla direttiva 91/414/CEE per la  collocazione dei prodotti fitosanitari sul mercato), richieste alle imprese importatrici (come la traduzione giurata in lingua italiana dell’etichetta del prodotto, o il progetto di etichetta per il mercato italiano comprese illustrazioni e le informazioni necessarie per l’utilizzo del prodotto in Italia) e dal termine entro il quale le autorità italiane hanno facoltà di concedere la relativa autorizzazione all’importazione parallela.

 


Art. 18

 

(Introduzione dell'articolo 29-bis della legge 18 aprile 2005, n. 62 (enti pensionistici aziendali o professionali))

 

 


1. Alla legge 18 aprile 2005, n. 62, dopo l'articolo 29 è inserito il seguente:

«Art. 29-bis. (Attuazione della direttiva 2003/41/CE del 3 giugno 2003 del Parlamento europeo e del Consiglio, relativa alle attività e alla supervisione degli enti pensionistici aziendali o professionali). - 1. Il Governo, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze di concerto con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, acquisito il parere della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, è delegato ad adottare, entro diciotto mesi dalla data di entrata in vigore della presente disposizione, un decreto legislativo recante le norme per il recepimento della direttiva 2003/41/CE del 3 giugno 2003 del Parlamento europeo e del Consiglio, relativa alle attività e alla supervisione degli enti pensionistici aziendali o professionali.

2. Entro due anni dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo di cui al comma 1, il Governo, nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi previsti dal comma 3, e con la procedura stabilita per il decreto legislativo di cui al comma 1, può emanare disposizioni integrative e correttive del medesimo decreto legislativo.

3. L'attuazione della direttiva 2003/41/CE è informata ai princìpi in essa contenuti in merito all'ambito di applicazione della disciplina, alle condizioni per l'esercizio dell'attività e ai compiti di vigilanza, nonché ai seguenti princìpi e criteri direttivi specifici:

a) disciplinare, anche mediante l'attribuzione dei relativi poteri e competenze regolamentari e organizzative alla Commissione di vigilanza sui fondi pensione, di cui all'articolo 16, comma 2, del decreto legislativo 21 aprile 1993, n. 124, i seguenti aspetti:

1) l'integrazione delle attribuzioni di vigilanza, in particolare quelle che prevedono l'adozione delle misure dirette a conseguire la corretta gestione delle forme pensionistiche complementari e ad evitare o sanare eventuali irregolarità che possano ledere gli interessi degli aderenti e dei beneficiari, incluso il potere di inibire o limitare l'attività;

2) l'irrogazione di sanzioni amministrative di carattere pecuniario, da parte della Commissione di vigilanza sui fondi pensione, nel rispetto dei princìpi della legge 24 novembre 1981, n. 689, e successive modificazioni, nonché dei seguenti criteri direttivi: nell'ambito del limite minimo di 500 euro e massimo di 25.000 euro, le suindicate sanzioni sono determinate nella loro entità, tenendo conto della diversa potenzialità lesiva dell'interesse protetto che ciascuna infrazione presenta in astratto, di specifiche qualità personali del colpevole, comprese quelle che impongono particolari doveri di prevenzione, controllo o vigilanza, nonché del vantaggio patrimoniale che l'infrazione può recare al colpevole o alla persona o ente nel cui interesse egli agisce; deve essere sancita la responsabilità degli enti ai quali appartengono i responsabili delle violazioni, per il pagamento delle sanzioni, e regolato il diritto di regresso verso i predetti responsabili;

3) la costituzione e la connessa certificazione di riserve tecniche e di attività supplementari rispetto alle riserve tecniche da parte dei fondi pensione che direttamente coprono rischi biometrici o garantiscono un rendimento degli investimenti o un determinato livello di prestazioni;

4) la separazione giuridica tra il soggetto promotore e le forme pensionistiche complementari con riguardo alle forme interne a enti diversi dalle imprese bancarie e assicurative;

5) l'esclusione dell'applicazione della direttiva 2003/41/CE alle forme pensionistiche complementari che contano congiuntamente meno di cento aderenti in totale, fatta salva l'applicazione dell'articolo 19 della direttiva e delle misure di vigilanza che la Commissione di vigilanza sui fondi pensione ritenga necessarie e opportune nell'esercizio dei suoi poteri. In ogni caso deve prevedersi il diritto di applicare le disposizioni della direttiva su base volontaria, ferme le esclusioni poste dall'articolo 2, paragrafo 2, della stessa direttiva;

b) disciplinare, anche mediante l'attribuzione dei relativi poteri e competenze regolamentari alla Commissione di vigilanza sui fondi pensione, l'esercizio dell'attività transfrontaliera, da parte delle forme pensionistiche complementari aventi sede nel territorio italiano ovvero da parte delle forme pensionistiche complementari ivi operanti, in particolare individuando i poteri di autorizzazione, comunicazione, vigilanza, anche con riguardo alla vigente normativa in materia di diritto del lavoro e della sicurezza sociale, nonché in materia di informazione agli aderenti;

c) disciplinare le forme di collaborazione e lo scambio di informazioni tra la Commissione di vigilanza sui fondi pensione, le altre autorità di vigilanza, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali e il Ministero dell'economia e delle finanze, sia nella fase di costituzione che nella fase di esercizio delle forme pensionistiche complementari, regolando, in particolare, il divieto di opposizione reciproca del segreto d'ufficio fra le suddette istituzioni;

d) disciplinare le forme di collaborazione e lo scambio di informazioni fra le istituzioni nazionali, le istituzioni comunitarie e quelle degli altri Paesi membri, al fine di agevolare l'esercizio delle rispettive funzioni.

4. Il Governo, al fine di garantire un corretto ed integrale recepimento della direttiva 2003/41/CE, provvede al coordinamento delle disposizioni di attuazione della delega di cui al comma 1 con le norme previste dall'ordinamento interno, in particolare con le disposizioni del decreto legislativo 21 aprile 1993, n. 124, recante i princìpi fondamentali in materia di forme pensionistiche complementari, eventualmente adattando le norme vigenti in vista del perseguimento delle finalità della direttiva medesima.

5. Dall'attuazione del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

6. Si applica la procedura di cui all'articolo 1, comma 3».


 

 

L'articolo 18 inserisce nella legge 18 aprile 2005, n. 62 (legge comunitaria per il 2004) l’articolo 29-bis, il quale reca una delega al Governo per l'attuazione della direttiva 2003/41/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 3 giugno 2003, relativa alle attività e alla supervisione degli enti pensionistici aziendali o professionali, degli enti cioè che gestiscono forme pensionistiche complementari aziendali o professionali (Cfr. infra l’apposito paragrafo dedicato alla direttiva).

Ai sensi del comma 1, la delega deve essere esercitata entro 18 mesi dall'entrata in vigore della disposizione in esame[94], mentre il comma 2 prevede la possibilità di emanare decreti legislativi integrativi e correttivi possono nei due anni successivi all'entrata in vigore del primo decreto legislativo.

 

Si consideri, al riguardo, che la richiamata direttiva doveva essere attuata dagli Stati membri, secondo le disposizioni contenute nell’articolo 22 della direttiva stessa, entro il 23 settembre 2005.

Si ricorda, inoltre, che la legge 18 aprile 2005, n. 62 (legge comunitaria per il 2004), anche prima della novella in esame, già recava una delega relativa all’attuazione della direttiva considerata, seppur meno dettagliata di quella in esame. Difatti l’articolo 1 della medesima legge n. 62 delega il Governo a dare attuazione, entro diciotto mesi dalla sua entrata in vigore[95], alle direttive di cui all’allegato B, tra cui è ricompresa la direttiva 2003/41/CE.

Pertanto l’inserimento nella legge n. 62 del 2005 dell’articolo 29-bis, in primo luogo sembra finalizzata a dettare, tramite una disposizione ad hoc, specifici principi e criteri direttivi per il recepimento della direttiva 2003/41/CE (ulteriori rispetto a quelli già contenuti nella stessa direttiva) volti a rendere possibile un’attuazione quanto più conforme e coordinata all’ordinamento interno vigente. Inoltre l’articolo 29-bis prevede un termine più ampio per l’attuazione della delega. Difatti, come sopra già detto, mentre la delega precedentemente prevista dall’articolo 1 della legge n. 62/2005 (tramite rinvio all’allegato B) doveva essere attuata entro diciotto mesi dall’entrata in vigore della medesima legge n. 62 cioè entro il 12 novembre 2006, la nuova delega di cui all’articolo 29-bis deve essere attuata entro diciotto mesi dall’entrata in vigore della medesima disposizione cioè entro il 28 agosto 2007.

Il contenuto della delega

Il comma 3, fermo restando il rinvio alle norme e ai principi posti dalla direttiva 2003/41/CE in merito all’ambito di applicazione della disciplina, alle condizioni per l’esercizio dell’attività e ai compiti di vigilanza, prevede espressamente i seguenti specifici principi e criteri direttivi per l’attuazione della medesima direttiva:

 

o        disciplinare, anche mediante l'attribuzione dei relativi poteri e competenze regolamentari e organizzative alla COVIP, i seguenti aspetti (comma 3, lettera a)):

 

·         integrazione delle attribuzioni relative ai poteri di vigilanza, in particolare quelle che prevedono l'adozione delle misure dirette a perseguire la corretta gestione delle forme pensionistiche complementari e a prevenire o sanare eventuali irregolarità gestionali che possano danneggiare coloro che aderiscono alle stesse forme pensionistiche, ivi compresa la potestà di intervenire sull’attività anche mediante poteri inibitori (comma 3, lettera a), n. 1);

Si ricorda, al riguardo, che il d.lgs. 252 del 2005, che ha riformato la disciplina relativa alla previdenza complementare, attuando il principio di delega volto a perseguire l’unitarietà e l’omogeneità della vigilanza sulle forme pensionistiche complementari, ha accentrato nella COVIP i poteri volti a perseguire la corretta e trasparente amministrazione e la sana e prudente gestione di tutte le forme pensionistiche complementari. Tuttavia su tale impianto normativo ha parzialmente inciso l’articolo 25, comma 3, del d.lgs. 28 dicembre 2005, n. 262, recante disposizioni in materia di tutela del risparmio e disciplina dei mercati finanziari, che ha espressamente “restituito” all’ISVAP le competenze in materia di sana e prudente gestione delle imprese di assicurazione, incluse quelle relative ai prodotti assicurativi con finalità previdenziali (in sostanza, le forme pensionistiche individuali di cui all’art. 13 del d.lgs. 252: contratti di assicurazione sulla vita). Sulle disposizioni relative ai poteri di vigilanza della COVIP Cfr. amplius infra.

 

·         irrogazione di sanzioni amministrative pecuniarie, da parte della COVIP, nel rispetto della disciplina generale sugli illeciti amministrativi contenuta nella legge n. 689/1981, nonché dei seguenti criteri direttivi: l’entità delle medesime sanzioni, variabile da un minimo di 500 euro a un massimo di 25.000 euro, è determinata in concreto tenendo conto della pericolosità in astratto dell’infrazione commessa, di specifiche qualità personali del colpevole, nonché del vantaggio patrimoniale che il colpevole può conseguire con l'infrazione. Si prevede inoltre - discostandosi dai principi della legge n. 689/1981 basati sulla esclusiva responsabilità individuale della persona fisica che commette l’infrazione - che deve essere stabilita la responsabilità degli enti ai quali appartengono i responsabili per il pagamento delle sanzioni, nel contempo prevedendo il diritto di regresso degli stessi enti verso i responsabili; (comma 3, lettera a), n. 2);

Sembrerebbe che il principio di delega intenda prevedere una responsabilità oggettiva degli stessi enti, che quindi risponderebbero in maniera “automatica” delle infrazioni degli appartenenti.

Sembrerebbe inoltre che si intenda prevedere una responsabilità in solido del responsabile e dell’ente a cui lo stesso appartiene, fermo restando il diritto di regresso dell’ente che abbia pagato la sanzione pecuniaria.

 

·         costituzione di riserve tecniche e di attività supplementari rispetto alle riserve tecniche, da parte delle forme pensionistiche che direttamente coprono rischi biometrici o garantiscono un rendimento minimo degli investimenti, (comma 3, lettera a), n. 3);

 

·         separazione giuridica tra il soggetto promotore e le forme pensionistiche complementari (comma 3, lettera a), n. 4);

 

·         esclusione, sulla base dell’articolo 5 della direttiva 2003/41/CE, dell'applicazione della direttiva stessa alle forme pensionistiche complementari di entità limitata, che contano meno di cento aderenti in totale. Sono comunque fatte salve le disposizioni inerenti ai soggetti gestori e depositari (di cui all’articolo 19 della direttiva stessa) e le misure di vigilanza che la COVIP ritenga opportuno adottare. In ogni caso, comunque, si prevede il diritto di applicare le disposizioni della direttiva su base volontaria, ferme le esclusioni espressamente previste (comma 3, lettera a), n. 5);

 

o        disciplinare, anche mediante l'attribuzione dei relativi poteri alla COVIP, l'esercizio dell'attività transfrontaliera, da parte dei fondi pensione che hanno la sede o comunque operano nel territorio italiano, individuando i relativi poteri di autorizzazione, comunicazione, vigilanza, anche con riferimento alla vigente normativa in materia di diritto del lavoro e della previdenza sociale, nonché in materia di informazione ai soggetti aderenti (comma 3, lettera b));

 

o        disciplinare le forme di collaborazione e lo scambio di informazioni tra la COVIP, le altre autorità di vigilanza, il Ministero del lavoro e il Ministero dell'economia, con riferimento sia alla costituzione che alla gestione delle forme pensionistiche complementari. In particolare il legislatore delegato deve espressamente prevedere in quali casi le stesse istituzioni non possono far valere reciprocamente il segreto d'ufficio; (comma 3, lettera c)).

 

o        disciplinare inoltre le forme di collaborazione e lo scambio di informazioni fra le istituzioni nazionali, le istituzioni comunitarie e quelle degli altri Stati membri (comma 3, lettera d)).

Modalità per l’esercizio della delega

Secondo le disposizioni del comma 4, il Governo è tenuto, al fine di garantire un corretto ed integrale recepimento della direttiva 2003/41/CE, al coordinamento delle disposizioni di attuazione della delega in esame con le norme vigenti nell’ordinamento nazionale in materia di forme pensionistiche complementari e in particolare con quelle di cui al d.lgs. 124/1993, ove necessario anche modificando le norme vigenti.

 

Si evidenzia che il comma 4, con riferimento al coordinamento dell’attuazione della delega con le norme vigenti nell’ordinamento interno in materia di previdenza complementare, fa riferimento esclusivamente al d.lgs. 124/1993. Si osserva che invece sarebbe stato opportuno far riferimento espressamente anche al d.lgs. 252/2005, che come detto ha riformato la disciplina della previdenza complementare, dal momento che gli articoli 18 e 19 dello stesso d.lgs. 252, riguardanti proprio la vigilanza sulle forme pensionistiche complementari e i compiti della COVIP - materie su cui incide la direttiva 2003/41/CE -, sono già entrati in vigore dal 14 dicembre 2005.

 

Si ricorda che il d.lgs. 252/2005, recante “Disciplina delle forme pensionistiche complementari”, nell’attuare una riforma complessiva della normativa sulla previdenza complementare[96], ha introdotto disposizioni volte, in primo luogo, ad aumentare i flussi di finanziamento alla previdenza complementare, tramite una più favorevole tassazione delle prestazioni e un meccanismo di conferimento tacito del TFR, cercando nel contempo di rendere effettiva la competitività tra i vari fondi pensione, aumentando la trasparenza delle condizioni offerte e la trasferibilità della posizione previdenziale, in modo da far beneficiare i destinatari delle migliori condizioni del mercato. Contestualmente ha introdotto norme volte a rendere più affidabile ed efficiente la gestione dei fondi pensione da parte degli organi di amministrazione e controllo (articolo 5) ed a rafforzare la vigilanza della COVIP sulle forme pensionistiche complementari (articoli 18 e 19).

Gli articoli 18 e 19 definiscono l’attività di vigilanza sulle forme pensionistiche complementari, demandando alla COVIP il perseguimento della corretta e trasparente amministrazione e la sana e prudente gestione dei fondi di previdenza complementare, avendo come obiettivi la tutela degli iscritti e il buon funzionamento del sistema della previdenza complementare.

Si consideri tuttavia che sull’ambito della ripartizione di competenze tra varie autorità, per quanto riguarda la vigilanza sui fondi pensione, è intervenuto successivamente il comma 3 dell’art. 25 della legge 28 dicembre 2005, n. 262 già citata.

Tale disposizione prevede che le competenze in materia di trasparenza e di correttezza dei comportamenti sono esercitate dalla COVIP compatibilmente con le disposizioni per la sollecitazione del pubblico risparmio (su cui è invece competente la CONSOB).

Restano ferme le competenze in materia di tutela della concorrenza su tutte le forme pensionistiche complementari attribuite all'Autorità garante della concorrenza e del mercato dalla legge 10 ottobre 1990, n. 287.

Di particolare rilevanza, inoltre, l’attribuzione all’ISVAP delle competenze in materia di sana e prudente gestione delle imprese di assicurazione, incluse quelle relative ai prodotti assicurativi con finalità previdenziali. In sostanza, mentre la disposizione di cui all’art. 18, comma 2 del d.lgs. 252 attribuiva alla COVIP la vigilanza sulla trasparenza dei comportamenti e sulla sana e prudente gestione per tutte le forme pensionistiche complementari, il successivo art. 25, comma 3, della legge n. 262/2005 ha determinato una ripartizione di competenze, restituendo all’ISVAP la vigilanza sulla sana e prudente gestione delle imprese di assicurazione, anche con riferimento ai prodotti assicurativi con finalità previdenziali.

I compiti della COVIP vengono espressamente delineati nell’articolo 19, in attuazione del principio di delega di cui all’art. 1, comma 2, lettera h), n. 2) della legge 243 del 2004 che, rispetto all’ordinamento previgente, ha previsto l’attribuzione alla Commissione dei seguenti ulteriori compiti[97]:

§       impartire disposizioni volte a garantire la trasparenza delle condizioni contrattuali fra tutte le forme pensionistiche collettive ed individuali, incluse le forme pensionistiche individuali attuate mediante contratti di assicurazione sulla vita;

§       vigilare sulle modalità di offerta al pubblico di tutti i predetti strumenti previdenziali, al fine di tutelare l'adesione consapevole dei soggetti destinatari, compatibilmente con le disposizioni per la sollecitazione del pubblico risparmio, al fine di tutelare l’adesione consapevole dei soggetti destinatari.

 

Le previsioni di cui al comma 1 dell’art. 19, riproducendo quanto contenuto nell’articolo 17 del d.lgs. 124 del 1993, prevedono l’obbligo di iscrizione delle forme pensionistiche complementari in esame, comprese quelle preesistenti alla data del 15 novembre 1992 (entrata in vigore della legge 421 del 1992), nonché i fondi che assicurano ai dipendenti pubblici prestazioni complementari al trattamento di base e al TFR, ad eccezione delle forme istituite all'interno di enti pubblici, anche economici, che esercitano i controlli in materia di tutela del risparmio, in materia valutaria o in materia assicurativa, in un apposito albo, tenuto a cura della COVIP.

Il comma 2 dell’art. 19, amplia e ridefinisce le funzioni della Commissione in materia di vigilanza per quanto riguarda la trasparenza, la comparabilità dei costi e la portabilità delle forme pensionistiche complementari, da esercitarsi in conformità agli indirizzi generali del Ministero del lavoro, emanati di concerto con quello dell’economia, ferma restando la vigilanza sulla stabilità (ovvero sui requisiti patrimoniali) degli intermediari finanziari da parte delle autorità competenti (ISVAP, CONSOB, Banca d’Italia) in relazione alla natura degli stessi intermediari.

Per l'esercizio della vigilanza la COVIP può disporre di una serie di misure quali l'ottenimento dei verbali delle riunioni e degli accertamenti degli organi interni di controllo delle forme pensionistiche complementari e di ogni altro dato o documento richiesti. Ai fini dell’attuazione del potere di vigilanza, la COVIP ha diritto di ottenere notizie e informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni (comma 3 dell’art. 19).

La COVIP può inoltre procedere (comma 4 dell’art. 19) alla convocazione degli organi di amministrazione e di controllo delle forme pensionistiche obbligatorie e alla richiesta di convocazione degli organi di amministrazione delle forme pensionistiche con fissazione dell'ordine del giorno.

Inoltre (commi 5, 6 e 7 dell’articolo 19), nell’esercizio della vigilanza la COVIP: ha il diritto di ottenere notizie e informazioni da parte delle amministrazioni pubbliche: tali notizie sono tutelate dal segreto d’ufficio – anche nei riguardi delle pubbliche amministrazioni stesse – ad eccezione del Ministro del lavoro e delle politiche sociali e salvaguardando le disposizioni del codice di procedura penale su atti coperti dal segreto; pone in essere accordi di collaborazione con le autorità di vigilanza sui soggetti gestori e l’antitrust, al fine di favorire lo scambio di informazioni e accrescere l’effettività dell’azione di controllo; trasmette al Ministro del lavoro la relazione sull’attività svolta entro il 31 maggio di ogni anno; entro il 30 giugno successivo, inoltre, trasmette la richiamata relazione al Parlamento.

 

Il comma 5 prevede che dall'attuazione dell’articolo non debbano derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

 

Infine, il comma 6 prevede che all’esame degli schemi di decreto legislativo si applica la procedura di cui all’articolo 1, comma 3. Pertantosugli schemi di decreto, dopo l’acquisizione degli altri pareri previsti dalla legge, devono essere acquisiti i pareri delle competenti commissioni parlamentari. Inoltre, trascorsi quaranta giorni dalla data di trasmissione agli stessi organi parlamentari senza che gli stessi si siano espressi, i decreti di attuazione possono comunque essere emanati.

La direttiva 2003/41/CE

La direttiva 2003/41/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 3 giugno 2003, relativa alle attività e alla supervisione degli enti pensionistici aziendali o professionali (di seguito EPAP), fa seguito (“Considerando..” n. 3) alla comunicazione della Commissione dell’11 maggio 1999 sulle pensioni complementari e fa parte del piano d’azione per i servizi finanziari (PASF) di cui il Consiglio europeo di Lisbona del 23 e 24 marzo 2000 ha chiesto l’attuazione entro il 2005.

Si consideri che per ente pensionistico aziendale o professionale (articolo 6, lettera a)) si intende un ente (a prescindere dalla sua forma giuridica), operante secondo il principio di capitalizzazione, distinto da qualsiasi impresa promotrice o associazione di categoria, costituito al fine di erogare prestazioni pensionistiche in relazione a un'attività lavorativa sulla base di un accordo o di un contratto stipulato:

§      individualmente o collettivamente tra datore di lavoro e lavoratore (o i loro rispettivi rappresentanti), oppure

§      con lavoratori autonomi, conformemente alla legislazione dello Stato membro di origine e dello Stato membro ospitante.

 

La direttiva mira a istituire una vigilanza prudenziale (“Considerando..” n. 4) dei citati enti, al fine di tutelare i diritti dei futuri pensionati (“Considerando..” n. 7). Nell'ottica del mercato integrato dei capitali e dell'introduzione dell'euro, il testo mira inoltre ad eliminare gli ostacoli agli investimenti dei fondi pensione.

Nell’ottica di perseguire la sostenibilità dei regimi pubblici alla stregua dei loro crescenti costi, si è reso necessario, infatti, nell’affrontare il problema della ristrutturazione del sistema pensionistico pubblico, favorire lo sviluppo dei fondi pensione privati, soprattutto in quegli Stati membri, come l’Italia, in cui hanno prodotto modesti risultati, al fine di consentire ai lavoratori la possibilità di attenuare le conseguenze della riduzione dei trattamenti pensionistici del regime obbligatorio pubblico.

In particolare, la Commissione europea ha ritenuto che, pur considerando che né il sistema basato sulla capitalizzazione, né quello contributivo-redistributivo sono in grado di scongiurare del tutto le tensioni demografiche nei regimi pensionistici del futuro negli Stati membri dell’UE, con il sistema pensionistico a capitalizzazione è possibile, in un contesto globalizzato di capitali e investimenti, utilizzare in modo positivo gli effetti internazionali della crescita per le assicurazioni di vecchiaia individuali.

In relazione a ciò, la citata direttiva - avente lo scopo di stimolare lo sviluppo della previdenza complementare, atteso che i fondi pensione svolgono una funzione essenziale per la promozione della coesione sociale in molti Stati membri e per il finanziamento dell’economia europea - è stata predisposta allo scopo di conciliare nel miglior modo possibile la sicurezza ed il rendimento finanziario per salvaguardare le prestazioni dei pensionati.

In sintesi, gli obiettivi principali della direttiva sono i seguenti:

-        assicurare un’adeguata protezione degli aderenti e dei beneficiari delle prestazioni e la sicurezza ed efficienza degli investimenti;

-        consentire la libera scelta dei gestori e dei depositari all’interno dell’UE e assicurare la parità delle condizioni di concorrenza tra tutti gli enti che corrispondono prestazioni complementari;

-        promuovere le attività transfrontaliere e sviluppare un reale mercato unico delle pensioni integrative;

-        stimolare gli investimenti degli EPAP nel complesso dell’UE.

 

Pertanto (“Considerando..” n. 6), la direttiva rappresenta un “primo passo nella direzione di un mercato interno degli schemi pensionistici aziendali e professionali organizzato su scala europea”. Inoltre, sulla base di investimenti realizzati secondo il principio della “persona prudente” e permettendo l’operatività transfrontaliera degli enti, si incoraggia il “riorentamento del risparmio verso il settore degli schemi pensionistici aziendali e professionali contribuendo in tal modo al progresso economico e sociale”

Agli EPAP, in sostanza, viene attribuito un ruolo importante (“Considerando..” nn. 4 e 8) nei sistemi fondati sul principio della capitalizzazione, come completamento del regime pensionistico pubblico di base, in quanto “si tratta di una categoria importante di istituzioni finanziarie chiamate a svolgere un ruolo essenziale ai fini dell’integrazione, dell’efficienza e della liquidità dei mercati finanziari”; trattandosi infatti di investitori a lunghissimo termine, possono accrescere le prestazioni, integrando più efficacemente i regimi pubblici obbligatori, o ridurre i contributi necessari per ottenere un determinato ammontare di prestazioni, con il risultato di realizzare un effetto positivo sulle prestazioni.

 

Ambito soggettivo di applicazione

Ai sensi dell’articolo 2, comma 1, il campo di applicazione della direttiva in oggetto si riferisce a tutti gli EPAP, enti pensionistici che operano secondo il principio di capitalizzazione e non fanno capo al sistema previdenziale obbligatorio. La direttiva copre tutti i tipi di regimi gestiti dagli EPAP, tenendo altresì conto delle diversità nazionali in quanto gli EPAP funzionano in maniera molto diversa da uno Stato membro all'altro, operando sia come compagnie assicurative che come fondi di investimento.

Rimangono espressamente esclusi dall’applicazione della direttiva in oggetto (articolo 2, comma 2):

§      gli enti che gestiscono regimi di sicurezza sociale di cui ai regolamenti (CEE) n. 1408/71 e (CEE) n. 574/72;

§      gli enti rientranti nel campo di applicazione delle direttive 73/209/CEE (assicurazioni dirette diverse dall’assicurazione sulla vita), 85/611/CEE (organismi d’investimento collettivo in valori mobiliari), 93/22/CEE (servizi di investimento nel settore dei valori mobiliari), 2000/12/CE (accesso all’attività degli enti creditizi ed al suo esercizio), 2002/83/CE (assicurazioni sulla vita);

§      gli enti funzionanti secondo il principio della ripartizione;

§      gli enti in cui i dipendenti delle imprese promotrici non hanno legalmente diritto a prestazioni e in cui l'impresa promotrice può svincolare le attività in qualunque momento senza dover necessariamente far fronte ai propri obblighi di erogare prestazioni pensionistiche;

§      le società che utilizzano sistemi fondati sulla costituzione di riserve contabili per l'erogazione di prestazioni pensionistiche ai loro dipendenti.

 

E’ prevista un’applicazione facoltativa (articolo 4) di alcune disposizioni della direttiva in esame agli enti di cui alla citata direttiva 2002/83/CE, relativa all’assicurazione sulla vita.

E’ presente, inoltre, una clausola de minimis (“Considerando..” n. 15, articolo 5) che consente agli Stati membri di escludere dal campo di applicazione della direttiva i regimi pensionistici di ridotte dimensioni che non sono presumibilmente interessati a svolgere attività transfrontaliera.

Infine, si prevede (“Considerando..” n. 12) l’applicazione dei requisiti prudenziali minimi indicati nella direttiva in esame alle imprese di assicurazione sulla vita nel settore delle pensioni previdenziali ed assistenziali.

Tale previsione deriva dalla necessità di evitare effetti distorsivi nel mercato, in quanto tali imprese, che di regola dovrebbero essere escluse dal campo d’applicazione della direttiva in esame, potrebbero offrire prestazioni relative a pensioni aziendali o professionali.

Tra l’altro, lo stesso “Considerando..” afferma che la Commissione dovrebbe procedere al monitoraggio del mercato delle prestazioni pensionistiche, valutando altresì la possibilità di estendere l’applicazione facoltativa prevista al citato articolo 3 ad altre istituzioni finanziarie regolamentate.

 

Requisiti relativi all’attività e al funzionamento degli EPAP

Agli EPAP è richiesto l’obbligo di soddisfare requisiti prudenziali minimi per quanto concerne le loro attività e le condizioni per il funzionamento. (“Considerando..” n. 20) - in funzione della natura dell’EPAP e dei rischi coperti -,  attraverso:

§      la separazione giuridica tra imprese promotrici ed EPAP (articolo 8), affinché, in caso di fallimento dell’impresa promotrice, l’attivo dell’ente pensionistico sia salvaguardato. Si ricorda che per impresa promotrice, ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, lettera c), si intende un’impresa, o altro organismo, a prescindere dalla sua composizione, che versi contributi ad un EPAP. Tra l’altro, in determinati casi (“Considerando..” n. 30) potrebbe essere l’impresa promotrice e non l’EPAP a coprire i rischi biometrici o a garantire determinate prestazioni o un dato rendimento degli investimenti;

§      la prescrizione di determinate  condizioni per lo svolgimento dell’attività (articolo 9). Tali condizioni prevedono che:

-        l’ente sia registrato in un registro nazionale dalla competente attività di vigilanza o autorizzato;

-        l’ente sia effettivamente gestito da persone in possesso dei requisiti di onorabilità e dotate di qualifiche ed esperienze professionali adeguate;

-        siano applicate regole al funzionamento definite in maniera adeguate per ogni schema pensionistico (dove per schema pensionistico, ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, lettera b), si intende un contratto, un accordo un negozio fiduciario o un insieme di disposizioni che stabilisce le prestazioni pensionistiche erogabili nonché le condizioni per la loro erogazione);

-        le riserve tecniche siano correttamente calcolate;

-        l’impresa promotrice si impegni a finanziare regolarmente il pagamento delle prestazioni pensionistiche;

-        sia garantita un’adeguata informazione ai soggetti aderenti in relazione a determinate situazioni

-        per esercitare attività transfrontaliera un EPAP debba ottenere l’autorizzazione preventiva delle autorità di vigilanza competenti;

§      la redazione di conti annuali e di relazioni annuali (articolo 10) che tengano conto di ogni schema pensionistico gestito dall’ente;

§      la comunicazione di informazioni e della politica d’investimento agli aderenti e ai beneficiari, nonché alle autorità di vigilanza (rispettivamente articoli 11, 12 e 13).

La direttiva in esame, infatti, riconosce la necessità di una adeguata informazione (“Considerando..” n. 23) agli aderenti e ai beneficiari (cioè, rispettivamente, gli aventi diritto - a motivo delle loro attività lavorative - a percepire le prestazioni pensionistiche, e le persone che percepiscono effettivamente le prestazioni pensionistiche[98]).

In particolare, si richiede, tra gli altri, che gli aderenti e i beneficiari ricevano le informazioni rilevanti relative a modifiche delle regole dello schema pensionistico, oltre ai conti e relazioni annuali di cui all’articolo 10.

Inoltre, gli EPAP hanno l’obbligo di presentazione alle autorità di vigilanza (articolo 12, “Considerando..” n. 24), con periodicità triennale, e in ogni caso dopo eventuali modifiche significative della politica d’investimento, di un documento illustrante i principi alla base della loro politica d’investimento con riferimento alla natura ed alla durata degli impegni per prestazioni pensionistiche, con specifica descrizione dei metodi di misurazione del rischio e delle tecniche di gestione del rischio utilizzati;

§      le riserve tecniche e il loro finanziamento (articoli 15 e 16).

In particolare, lo Stato membro di origine ha l’obbligo di provvedere affinché gli EPAP gestori di schemi previdenziali che coprono rischi biometrici (cioè i rischi relativi a morte, invalidità e longevità[99]) e/o garantiscono o un rendimento degli investimenti o un determinato livello di prestazioni, costituiscano riserve tecniche sufficienti in relazione al complesso di schemi pensionistici gestiti.

Le riserve tecniche dovrebbero essere calcolate (“Considerando..” n. 26) utilizzando metodi attuariali riconosciuti e certificate da esperti qualificati, atteso che un calcolo prudente delle stesse è condizione essenziale per assicurare che l’ente possa far fronte alle sue obbligazioni di erogazione.

Inoltre, le riserve tecniche debbono essere in qualsiasi momento integralmente coperte da attività adeguate, prevedendo, peraltro, che gli Stati membri possano consentire agli enti, per un periodo limitato, di scostarsi dal principio della copertura integrale, fermo restando l’obbligo di un piano di ripristino della copertura che accompagni qualsiasi sospensione della copertura stessa.

Infine, atteso che i rischi coperti dagli enti in oggetto variano in maniera significativa da uno Stato membro all’altro, è prevista la facoltà, per gli Stati membri di origine, (“Considerando..” n. 27) di assoggettare il calcolo delle riserve tecniche a disposizioni supplementari più dettagliate rispetto a quelle contenute nella direttiva in esame;

§      i fondi propri obbligatori nel caso in cui gli EPAP assumano in proprio l’onere a copertura dei rischi biometrici (articolo 17) e le regole in materia di investimenti (articolo 18).

In particolare, lo Stato membro di origine ha l’obbligo di provvedere affinché gli EPAP gestori di schemi previdenziali in cui è l’ente stesso a coprire direttamente rischi biometrici e/o garantisce o un rendimento degli investimenti o un determinato livello di prestazioni a copertura, detengano, su base permanente, attività supplementari rispetto alle riserve tecniche gestite.

Inoltre, per quanto concerne le regole in materia di investimenti, la gestione dei portafogli d’investimento deve ispirarsi a criteri qualitativi (sicurezza, liquidità, qualità, rendimento, diversificazione) piuttosto che a criteri quantitativi uniformi, al fine di consentire ad ogni EPAP l’applicazione dei criteri indicati conformemente alla natura ed alla scadenza delle future pensionistiche previste.

 

Vigilanza

Ai sensi dell’articolo 14, le autorità di vigilanza hanno poteri sufficienti per esercitare le proprie funzioni e tutelare gli interessi degli aderenti e dei beneficiari, potendo svolgere anche accertamenti presso gli uffici degli EPAP e, se del caso, presso società esterne alle quali questi abbiano affidato delle funzioni.

Le autorità di vigilanza competenti hanno la facoltà di adottare, nei confronti di un ente pensionistico avente sede nel loro territorio o delle persone che lo gestiscono, le misure che ritengono adeguate e necessarie, incluse, se del caso, quelle di carattere amministrativo o pecuniario, per evitare o sanare eventuali irregolarità che possano ledere gli interessi degli aderenti e dei beneficiari (paragrafo 2). In particolare possono limitare o vietare la libera disponibilità dell’attivo dell’EPAP nel caso in cui l’ente stesso:

§      non abbia costituito riserve tecniche sufficienti in relazione all’attività complessiva;

§      non detenga fondi i fondi propri obbligatori.

 

Le autorità di vigilanza possono altresì trasferire (paragrafo 3), in tutto o in parte, i poteri attribuiti dalla legge dello Stato membro d’origine ai soggetti gestori dell’ente ad un rappresentante speciale, idoneo ad esercitare i poteri stessi.

 

Attività transfrontaliera

L’articolo 20 detta disposizioni per la rimozione degli ostacoli alla gestione transfrontaliera di regimi di pensione aziendali e professionali, armonizzando alcune norme prudenziali di base, prevedendo altresì il riconoscimento reciproco dei sistemi nazionali e proponendo un sistema di comunicazione e cooperazione tra le autorità competenti estabilendo, in particolare (paragrafo 1), che un ente che intenda gestire un regime pensionistico in un altro Stato membro debba applicare le peculiari disposizioni legislative in materia sociale e di diritto del lavoro dello Stato membro nel quale ha sede l’impresa promotrice (si tratta essenzialmente di norme che stabiliscono quali tipi di prestazioni devono essere erogate). Inoltre, “l’elevatissimo numero degli enti operanti in alcuni Stati membri rende necessaria una soluzione pragmatica per quanto riguarda il requisito della loro autorizzazione preventiva” (“Considerando..” n. 21): a tal fine, come accennato in precedenza (articolo 9, paragrafo 5), per svolgere attività su scala transfrontaliera un EPAP deve disporre di una autorizzazione rilasciata dall’autorità competente dello Stato membro di origine (paragrafo 2).

Ai fini dell’attività transfrontaliera è inoltre previsto:

§      che gli Stati membri possano esigere dall’EPAP con sede nel loro territorio ma con impresa promotrice in un altro Stato membro informazioni ulteriori rispetto alla citata notificazione. Tali informazioni sono successivamente comunicate alle autorità competenti dello stato membro ospitante (paragrafo 4);

§      che le autorità dello Stato membro ospitante comunichino alle autorità dello Stato membro dell’EPAP che abbia iniziato a gestire uno schema pensionistico le disposizioni legislative in materia sociale e di diritto del lavoro conformemente alle quali lo schema pensionistico – avente un’impresa promotrice in uno Stato membro ospitante - debba essere gestito;

§      che l’EPAP inizi la sua attività una volta ricevuta la comunicazione di cui al precedente punto;

§      che gli EPAP aventi impresa promotrice in altro Stato osservino i requisiti di informazione di cui all’articolo 11;

§      che le autorità di vigilanza dello Stato membro ospitante comunichino alle autorità dello Stato membro di origine eventuali modifiche significative delle disposizioni legislative in materia sociale e di diritto del lavoro;

§      che le autorità di vigilanza dello Stato membro ospitante informino le autorità dello Stato membro di origine nel caso in cui rilevino irregolarità nell’attività dell’EPAP in relazione alle disposizioni legislative in materia sociale e di diritto del lavoro o in materia di informazione, prendendo opportune misure nel caso in cui tali irregolarità non cessino.

 

Attuazione

Come già accennato in precedenza, l’articolo 22 dispone che la direttiva sia attuata entro il 23 settembre 2005.

Procedure di contenzioso

Il 4 giugno 2006 la Commissione ha inviato all’Italia un parere motivato (procedura di infrazione n. 2005/985) per mancata attuazione della direttiva 2003/41/CE relativa alle attività e alla supervisione degli enti pensionistici aziendali o professionali.

 

 


Art. 19

 

(Modifica al decreto legislativo 13 gennaio 1999, n. 18)

 

 


1. L'articolo 20 del decreto legislativo 13 gennaio 1999, n. 18, recante attuazione della direttiva 96/67/CE relativa al libero accesso al mercato dei servizi di assistenza a terra negli aeroporti della Comunità, è abrogato.


 

 

L’articolo 19 reca l’abrogazione dell’articolo 20 del d.lgs. 13 gennaio 1999, n. 18, emanato in attuazione della direttiva 96/67/CE relativa al libero accesso al mercato dei servizi di assistenza a terra negli aeroporti della Comunità, recante una norma transitoria ai sensi della quale restano salve le situazioni contrattuali del personale dei servizi di assistenza a terra, in atto al 19 novembre 1998, che prevedono diversi assetti organizzativi o contrattuali, sino alla scadenza dei relativi contratti, senza possibilità di proroga, ed in ogni caso per un periodo non superiore a sei anni.

 

La disposizione in esame appare finalizzata ad ottemperare alla sentenza della Corte di Giustizia europea del 9 dicembre 2004 in relazione alla causa C-460/02 (Commissione delle Comunità europee contro la Repubblica italiana), con la quale sono state ritenute in contrasto con la direttiva 96/67/CE le disposizioni di cui agli articoli 14 e 20 del richiamato d.lgs. n. 18/1999.

 

Il d.lgs. 13 gennaio 1999, n. 18, ha dato attuazione alla direttiva 96/67/CE del Consiglio del 15 ottobre 1996, relativa all’accesso al mercato dell’assistenza a terra negli aeroporti della Comunità.

Il decreto legislativo si applica - ai sensi dell’articolo 1 - ai seguenti servizi, elencati in apposito allegato:

▪      assistenza amministrativa a terra;

▪      assistenza passeggeri;

▪      assistenza bagagli;

▪      assistenza merci e posta;

▪      assistenza operazioni in pista;

▪      assistenza pulizia dell’aereo e servizi di scalo;

▪      assistenza carburante e olio;

▪      assistenza manutenzione dell’aereo;

▪      assistenza operazioni aeree e gestione equipaggi;

▪      assistenza trasporto a terra;

▪      assistenza catering.

L’ente di gestione assicura agli utenti la presenza in aeroporto dei necessari servizi di assistenza a terra, fornendoli direttamente o coordinando l’attività dei prestatori che forniscono i servizi a favore di terzi o in autoproduzione (art. 3).

Ai prestatori di servizi a terzi è riconosciuto, negli aeroporti che abbiano fatto registrare determinati volumi di traffico, il libero accesso al mercato, salva la facoltà dell’ENAC di limitare l’accesso, comunque a non meno di due prestatori per ciascuna categoria di servizio, per motivate ragioni di sicurezza, capacità dello scalo o spazio disponibile (art. 4, commi 1 e 2). Il principio del libero accesso si applica a condizione che l’aeroporto abbia un traffico annuale pari o superiore a 3 milioni di passeggeri o a 75 mila tonnellate di merci o abbia fatto registrare nei sei mesi antecedenti il 1° aprile e il 1° ottobre di ciascun anno, un traffico pari o superiore a 2 milioni di passeggeri o a 50 mila tonnellate di merci. I prestatori devono possedere un capitale sociale pari a un quarto del giro d’affari presumibilmente derivante dall’attività da svolgere e risorse strumentali e capacità organizzative idonee, e devono assicurare il rispetto della normativa sul lavoro e un’adeguata copertura assicurativa. A decorrere dal 1° gennaio 2001, almeno uno dei prestatori non deve essere controllato direttamente o indirettamente né dall’ente di gestione né da un vettore che abbia trasportato nell’anno precedente più del 25% dei passeggeri o delle merci registrati nell’aeroporto (art. 4, comma 3).

I servizi di assistenza a terra possono essere altresì effettuati, ai sensi dell’articolo 5 e in attuazione di quanto previsto dall’articolo 7 della direttiva, dagli stessi vettori (cd. autoassistenza). Il comma 2, analogamente a quanto previsto per i prestatori dei servizi a terzi, attribuisce all’ENAC, qualora ricorrano i medesimi motivi di sicurezza, capacità dello scalo o spazio disponibile, la facoltà di limitare l’effettuazione dell’autoassistenza, comunque a non meno di due vettori, mentre il comma 3 prevede la possibilità da parte dell’ENAC di escludere l’autoassistenza per determinati servizi negli aeroporti con un traffico annuale inferiore a un milione di passeggeri o a 25 mila tonnellate di merci.

L’articolo 9 del decreto, sulla base dell’articolo 8 della direttiva, prevede che la gestione delle infrastrutture centralizzate (ad es. smistamento e riconsegna bagagli, sghiacciamento aeromobili, gestione sistemi informatici e impianti di distribuzione carburanti) possa essere riservata dall’ENAC in via esclusiva al gestore aeroportuale, qualora lo richieda la complessità, il costo o l’impatto ambientale.

Il provvedimento pone inoltre a carico dell’ente di gestione, dei vettori e dei prestatori che forniscono l’assistenza a terra l’obbligo della separazione contabile tra tale attività e le altre che essi esercitano (art. 7), prevede la costituzione presso ciascun aeroporto del Comitato degli utenti con funzioni consultive (art. 8) e attribuisce all’ENAC un generale potere di vigilanza (art. 10).

 

Relativamente alla indicata sentenza della Corte di giustizia, si ricorda che, in seguito ad un esposto circostanziato dell’Associazione per i diritti degli utenti e consumatori del 29 marzo 1999, la Commissione aveva verificato l’esistenza di diverse infrazioni al diritto comunitario nelle disposizioni di cui al più volte richiamato d.lgs. 18 del 1999. In relazione a ciò, la Commissione, in data 3 maggio 2000, inviava al Governo italiano una lettera di messa in mora seguita -  non essendo stata ritenuta soddisfacente la risposta dal Governo italiano -  da un parere motivato, datato 24 luglio 2001. In seguito, il Governo italiano, tramite la propria Rappresentanza permanente, inviava alla Commissione diverse note, illustrando alcune proposte di modifica delle disposizioni del d.lgs. 18 del 1999.

Nella nota della Rappresentanza permanente datata 10 maggio 2002 si affermava che le autorità italiane si facevano riserva di comunicare gli ulteriori sviluppi della questione e attestavano la loro volontà di porre fine alle infrazioni sussistenti. In data 19 dicembre 2002 la Commissione, in base all’art. 226 del Trattato CE, ha proposto ricorso, nel cui atto introduttivo la Commissione formulava tre censure a carico dello Stato membro. Una delle censure concerneva la previsione, all’articolo 20 del d.lgs. 18/99, di alcune disposizioni transitorie non autorizzate dalla direttiva.

La Commissione ha ritenuto che le citate disposizioni “violino la direttiva, in quanto esse consentono ad imprese con «diversi assetti organizzativi» di operare nell’ambito dell’autoassistenza parallelamente ad utenti che effettuino la medesima selezionati conformemente alle disposizioni di questa direttiva”.

Secondo la Commissione, “la direttiva definisce con chiarezza le categorie di operatori di servizi di assistenza a terra che possono essere qualificate come categorie di prestatori di servizi di assistenza a terra e di operatori di autoassistenza. Gli enti che non soddisfino i criteri stabiliti dalla direttiva possono operare solo in qualità di prestatori di servizi a terzi. Infatti, la direttiva non prevede la possibilità per gli Stati membri di adottare misure transitorie per le imprese con «diversi assetti organizzativi». Istituendo siffatte misure transitorie, il DLgs. n. 18/99 ha introdotto disposizioni in contrasto con la lettera della direttiva”.

In base a ciò, il citato articolo 20 è stato ritenuto incompatibile con la direttiva.

Sulla base della riportata ricostruzione, la Corte di giustizia, con la richiamata sentenza del 9 dicembre 2004, ha dichiarato che “in quanto il decreto legislativo 13 gennaio 1999, n. 18, recante attuazione della direttiva 96/67/CE relativa all'accesso al mercato dei servizi di assistenza a terra negli aeroporti della Comunità, ha previsto, al suo art. 20, un regime a carattere transitorio non consentito da tale direttiva, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi che ad essa incombono in forza della detta direttiva”.

Si ricorda che nell’ambito del ddl comunitaria 2006 (A.C. 1042-A.S. 1014) è stato introdotto, dall’Assemblea della Camera, l’art. 23, recante “Modifica dell’articolo 14 del decreto legislativo 13 gennaio 1999, n. 18, in materia di servizi di assistenza a terra negli aeroporti”, che sostituisce l’articolo 14 del decreto legislativo 13 gennaio 1999, n. 18, prevedendo che: «fatte salve le disposizioni normative e contrattuali di tutela, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, nel caso di trasferimento delle attività concernenti una o più categorie di servizi di assistenza a terra di cui agli allegati A e B, al fine di individuare gli strumenti utili a governare gli effetti sociali derivanti dal processo di liberalizzazione, il Ministro dei trasporti, di concerto con il Ministro del lavoro e della previdenza sociale, garantisce il coinvolgimento dei soggetti sociali, anche a mezzo di opportune forme di concertazione». Tale articolo è finalizzato a dare attuazione alla citata sentenza della Corte di Giustizia del 9 dicembre 2004, nella causa C-460/02, per la mancata attuazione della quale è stato anche inviato all’Italia un parere motivato da parte della Commissione (su cui si veda il paragrafo successivo).

Procedure di contenzioso

Il 4 aprile 2006 la Commissione europea ha inviato all’Italia un parere motivato[100], in base all’articolo 228 del Trattato CE, per non aver adottato le misure volte a dare esecuzione ad una sentenza (causa C-460/02)della Corte di giustiziadel 9 dicembre 2004. Tale sentenza era volta a stabilire la non conformità alle disposizioni della citata direttiva 96/67/CE di alcune disposizioni del decreto legislativo 13 gennaio 1999, n. 18, attuativo della direttiva medesima.

I rilievi mossi dalla Commissione riguardano, tra l’altro, la norma transitoria di cui all’articolo 20 del citato decreto legislativo. Tale norma fa salve le situazioni contrattuali del personale dei servizi di assistenza a terra in atto al 19 novembre 1998 che prevedono diversi assetti organizzativi o contrattuali sino alla scadenza dei relativi contratti e in ogni caso per un periodo non superiore a sei anni. Secondo la Commissione tale norma viola l’art. 2, lettera f), l’art. 7, paragrafo 2, e l’art. 11 della direttiva che impongono procedure specifiche per la designazione dei soggetti incaricati della prestazione dei servizi di assistenza a terra e dei soggetti abilitati all’autoassistenza[101]: il legislatore nazionale non può legiferare sulla vigenza delle relazioni contrattuali come se esse fossero esonerate dagli obblighi imposti dalle norme comunitarie.

 

 


Art. 20

 

(Modifiche al testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di circolazione e soggiorno dei cittadini degli Stati membri dell’Unione europea, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 18 gennaio 2002, n. 54)

 


1. Al fine di interrompere le procedure di infrazione 2003/2134 e 2003/2166 avviate dalla Commissione europea nei confronti del Governo italiano, e in attesa del completo riordino della materia, da attuare mediante il recepimento della direttiva 2004/38/CE del 29 aprile 2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, al testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 18 gennaio 2002, n. 54, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) all'articolo 3 (L):

1) al comma 3, le parole: «ai figli di età minore» sono sostituite dalle seguenti: «ai figli di età inferiore ai ventuno anni»;

2) al comma 4, le parole: «Il diritto di soggiorno è inoltre riconosciuto ai familiari a carico del titolare del diritto di soggiorno, come individuati dall'articolo 29, comma 1, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, a condizione che:» sono sostituite dalle seguenti: «Il diritto di soggiorno è inoltre riconosciuto al coniuge non legalmente separato, ai figli di età inferiore agli anni ventuno e ai figli di età superiore agli anni ventuno, se a carico, nonché ai genitori del titolare del diritto di soggiorno e del coniuge, a condizione che:»;

b) all'articolo 5 (R):

1) al comma 3, la lettera b) è sostituita dalla seguente:

«b) per i lavoratori subordinati e per i lavoratori stagionali, un attestato di lavoro o una dichiarazione di assunzione del datore di lavoro; per i lavoratori stagionali l'attestato di lavoro o la dichiarazione di assunzione deve specificare la durata del rapporto di lavoro»;

2) al comma 3, lettera d), secondo periodo, dopo le parole: «Detta prova è fornita» sono inserite le seguenti: «, nel caso dei cittadini di cui all'articolo 3, comma 1, lettera e),»; dopo le parole: «con l'indicazione del relativo importo, ovvero» sono inserite le seguenti: «, nel caso dei cittadini di cui all'articolo 3, comma 1, lettera d),» e le parole: «comprovante la disponibilità del reddito medesimo» sono sostituite dalle seguenti: «attestante la disponibilità di risorse economiche tali da non costituire un onere per l'assistenza sociale»;

3) il comma 4 è sostituito dal seguente:

«4. Con la domanda, l'interessato può richiedere il rilascio della relativa carta di soggiorno anche per i familiari di cui all'articolo 3, commi 3 e 4, quale che sia la loro cittadinanza. Qualora questi ultimi abbiano la cittadinanza di un Paese non appartenente all'Unione europea, ad essi è rilasciato il titolo di soggiorno ai sensi dell'articolo 9 del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni»;

4) al comma 5, le parole: «, nonché, se si tratta di cittadini di uno Stato non appartenente all'Unione europea, della documentazione richiesta dall'articolo 16, commi 5 e 6, del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1999, n. 394» sono soppresse;

c) all'articolo 6 (R):

1) al comma 1, dopo le parole: «L'interessato può dimorare provvisoriamente sul territorio,» sono inserite le seguenti: «nonché svolgere le attività di cui all'articolo 3, comma 1,»;

2) al comma 5, le parole: «ai cittadini di cui all'articolo 3, comma 1, lettera a)» sono sostituite dalle seguenti: «ai cittadini di cui all'articolo 3, comma 1, lettere a) e b)».


 

 

L’articolo 20 novella in più punti[102] il testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di circolazione e soggiorno dei cittadini degli Stati membri dell’Unione europea (D.P.R. 54/2002[103]), con l’espresso fine (comma 1, alinea) di interrompere due procedure di infrazione avviate dalla Commissione europea nei confronti del Governo italiano (si tratta delle procedure 2003/2134 e 2003/2166, sulle quali vedi infra).

 

Il D.P.R. 54/2002 appartiene alla categoria dei cosiddetti “testi unici misti”, ossia riunisce in un unico corpus normativo le disposizioni – sia di rango legslativo, sia di rango regolamentare – che riguardano la materia della circolazione e soggiorno dei cittadini degli Stati membri della UE[104].

 

Le modifiche apportate al testo unico sono destinate ad operare “in attesa del completo riordino della materia”, che sarà attuato mediante il recepimento della direttiva 2004/38/CE.

 

La direttiva[105], che deve essere attuata entro il 30 aprile 2006, pone norme relative al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, raccogliendo in un unico testo il complesso corpus legislativo esistente sulla materia, già disciplinata da due regolamenti e nove direttive. Tale semplificazione è volta a facilitare l’esercizio di tali diritti non solo nell’ottica dei cittadini, ma anche in quella delle amministrazioni nazionali.

La direttiva è intesa in particolare a semplificare al massimo le formalità per l’esercizio del diritto di soggiorno da parte dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari. In sintesi, essa reca norme volte a disciplinare:

§           le modalità d’esercizio del diritto di libera circolazione e di soggiorno dei cittadini dell’UE e dei loro familiari;

§           il diritto di soggiorno permanente;

§           le restrizioni ai diritti sopra menzionati per motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza o di sanità pubblica.

La legge comunitaria 2004 (legge 18 aprile 2005, n. 62) include la direttiva 2004/38/CE tra quelle il cui recepimento forma oggetto della delega legislativa recata dall’art. 1. Più precisamente, la direttiva è inclusa nell’allegato B: il relativo schema di decreto legislativo dovrà pertanto essere sottoposto al parere delle competenti Commissioni parlamentari. Il termine per l’esercizio della delega (18 mesi dalla data di entrata in vigore della legge comunitaria 2004) scadrà il 12 novembre 2006.

 

La lettera a) del comma 1 dell’articolo in esame apporta due modifiche all’articolo 3 del testo unico.

La prima modifica, al comma 3 dell’art. 3, innalza a 21 anni l’età massima dei figli di cittadini di Stati membri ai quali deve essere riconosciuto il diritto di soggiorno ai sensi delle lettere a), b) e c) del co. 1 (il testo vigente si riferisce invece ai figli minori).

 

L’art. 3 del testo unico, al co. 1, lett. a), b) e c) individua, fra i cittadini di uno Stato membro titolari del diritto al soggiorno nel territorio della Repubblica, coloro che:

§           desiderino stabilirvisi per esercitarvi un’attività autonoma;

§           appartengano alla categoria dei lavoratori ai quali si applicano le disposizioni dei regolamenti adottati dal Consiglio dei ministri UE, in conformità agli artt. 39 e 40 del Trattato CE;

§           desiderino entrarvi per effettuare una prestazione di servizi o in qualità di destinatari di una prestazione di servizi.

Il successivo co. 3 stabilisce attualmente che, per tali categorie di soggetti, il soggiorno è altresì riconosciuto, quale che sia la loro cittadinanza, ai coniugi, ai figli di età minore e agli ascendenti e discendenti di tali cittadini e del proprio coniuge, che sono a loro carico, nonché in favore di ogni altro membro della famiglia che, nel Paese di provenienza, sia convivente o a carico del coniuge, degli ascendenti del lavoratore e degli ascendenti del suo coniuge.

La Commissione ha ritenuto l’art. 3 in contrasto col diritto comunitario, tra l’altro, nella parte in cui riconosce il diritto di soggiorno ai soli figli di età inferiore a 18 anni.

 

La seconda modifica, al comma 4 del medesimo art. 3, ridefinisce la legittimazione al soggiorno dei familiari dei soggetti che hanno diritto al soggiorno ai sensi delle lettere d) ed e) del co. 1.

 

L’art. 3 del testo unico, al co. 1, lett. d) ed e) individua, fra i cittadini di uno Stato membro titolari del diritto al soggiorno nel territorio della Repubblica, coloro che:

§           siano studenti, iscritti a un istituto riconosciuto per conseguirvi, a titolo principale, una formazione professionale, ovvero iscritti ad università o istituti universitari statali o istituti universitari liberi abilitati a rilasciare titoli aventi valore legale;

§           abbiano o meno svolto un’attività lavorativa in uno Stato membro.

Hanno diritto al soggiorno, in particolare: il coniuge non legalmente separato, i figli di età inferiore agli anni ventuno e i figli di età superiore agli anni ventuno, se a carico, nonché i genitori del titolare del diritto di soggiorno e del coniuge, a date condizioni (le stesse previste dal testo vigente[106]).

Il testo vigente riconosce invece il diritto al soggiorno ai “familiari a carico” dei predetti soggetti, come individuati dall’art. 29, co. 1, del testo unico sull’immigrazione (d.lgs. 286/1998)[107].

 

Il vigente art. 29, co. 1, elenca le seguenti categorie di familiari:

§           coniuge non legalmente separato;

§           figli minori a carico, anche del coniuge o nati fuori del matrimonio, non coniugati ovvero legalmente separati, a condizione che l'altro genitore, qualora esistente, abbia dato il suo consenso;

§           figli maggiorenni a carico, qualora non possano per ragioni oggettive provvedere al proprio sostentamento a causa del loro stato di salute che comporti invalidità totale;

§           genitori a carico qualora non abbiano altri figli nel Paese di origine o di provenienza ovvero genitori ultrasessantacinquenni qualora gli altri figli siano impossibilitati al loro sostentamento per documentati gravi motivi di salute.

Va tuttavia ricordato che sulla materia del diritto al ricongiungimento familiare è intervenuta la direttiva 2003/86/CE, attualmente in corso di recepimento. Lo schema di decreto legislativo (n. 18), a tal fine predisposto dal Governo ed attualmente sottoposto al parere parlamentare, reca il seguente elenco di familiari dei quali è possibile chiedere il ricongiungimento, elenco che presenta alcune differenze rispetto a quello vigente:

§           coniuge;

§           figli minori, anche del coniuge o nati fuori del matrimonio, non coniugati, a condizione che l’altro genitore, qualora esistente, abbia dato il suo consenso;

§           figli maggiorenni a carico, qualora permanentemente non possano provvedere alle proprie indispensabili esigenze di vita in ragione del loro stato di salute;

§           genitori a carico che non dispongano di un adeguato sostegno familiare nel Paese di origine o di provenienza.

 

La lettera b) del comma 1 dell’articolo in esame modifica in più punti l’articolo 5 del testo unico, che disciplina la richiesta di carta di soggiorno.

Si segnala che l’art. 5 novellato è norma di carattere regolamentare.

Innanzitutto è sostituita la lettera b) del comma 3, che indica la documentazione che deve essere prodotta dai lavoratori subordinati e dai lavoratori stagionali. In base al testo modificato, i richiedenti devono presentare un attestato di lavoro o una dichiarazione di assunzione del datore di lavoro; per i lavoratori stagionali l’attestato o la dichiarazione deve specificare la durata del rapporto di lavoro.

Ai sensi del testo vigente, i lavoratori subordinati devono produrre un attestato di lavoro o dichiarazione di assunzione del datore di lavoro; quelli stagionali copia del contratto di lavoro.

 

La Commissione ha ritenuto la disposizione vigente in contrasto col diritto comunitario, nella parte in cui obbliga i lavoratori stagionali ad esibire necessariamente un contratto di lavoro.

 

Nell’ambito dello stesso comma, sono apportate modifiche alla lettera d),che disciplina le ulteriori attestazioni o prove che devono essere fornite dai cittadini comunitari che non siano lavoratori subordinati o stagionali né lavoratori autonomi o prestatori/fruitori di servizi. Innanzitutto, i cittadini europei che abbiano o meno svolto un’attività lavorativa in uno Stato membro devono provare di disporre di mezzi sufficienti di sostentamento con documentazione idonea a dimostrare il reddito minimo richiesto; i cittadini europei che siano studenti devono invece rendere apposita dichiarazione con la quale attestano la disponibilità di risorse economiche tali da non costituire un onere per l’assistenza sociale, ovvero produrre altro documento che attesti che tale condizione è comunque soddisfatta.

Il testo vigente prevede le stesse modalità per la dimostrazione della disponibilità di sufficienti mezzi di sostentamento, ma senza differenziarle per categorie di richiedenti.

Viene modificato anche il comma 4, che inerisce alla possibilità per l’interessato di richiedere il rilascio della carta di soggiorno anche per i familiari, indipendentemente dalla cittadinanza di questi ultimi.

In base al nuovo testo, qualora i familiari dell’interessato abbiano la cittadinanza di un Paese non appartenente all’Unione europea, ad essi è rilasciato il titolo di soggiorno ai sensi dell’articolo 9 del testo unico sull’immigrazione.

 

L’art. 9 del citato d.lgs. 286/1998 stabilisce che lo straniero regolarmente soggiornante nel territorio dello Stato da almeno sei anni, titolare di un permesso di soggiorno per un motivo che consente un numero indeterminato di rinnovi, il quale dimostri di avere un reddito sufficiente per il sostentamento proprio e dei familiari, può richiedere al questore il rilascio della carta di soggiorno per sé, per il coniuge e per i figli minori conviventi. La carta di soggiorno è a tempo indeterminato. La carta di soggiorno può essere richiesta anche dallo straniero coniuge o figlio minore o genitore conviventi di un cittadino italiano o di cittadino di uno Stato dell’Unione europea residente in Italia.

Va ricordato al riguardo che la direttiva 2003/109/CE, attualmente in corso di recepimento, ha introdotto una nuova disciplina concernente lo status dei cittadini di paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo. Lo schema di decreto legislativo di recepimento della direttiva (n. 19), predisposto dal Governo ed attualmente sottoposto al parere parlamentare, riscrive tra l’altro integralmente l’art. 9 del testo unico, sostituendo la disciplina della carta di soggiorno ivi recata con quella del permesso di soggiorno CE per i soggiornanti di lungo periodo. Quest’ultimo, anch’esso a tempo indeterminato, è rilasciato, a date condizioni, allo straniero in possesso da almeno cinque anni di un permesso di soggiorno in corso di validità. Con riguardo ai diritti del soggiornante di lungo periodo, peraltro, il nuovo testo – pur adeguandosi nella formulazione al dettato della direttiva – non si discosta, nella sostanza, da quanto riconosciuto oggi al titolare della carta di soggiorno.

 

Il comma 5 è modificato nel senso di sopprimere la parte del testo che richiede, per i familiari dell’interessato che siano cittadini di uno Stato non appartenente all’Unione europea, la presentazione di documentazione ulteriore (quella richiesta dall’art. 16, co. 5 e 6, del regolamento di attuazione del testo unico sull’immigrazione[108]).

 

L’art. 16 del D.P.R. 394/1999, ai commi 5 e 6 stabilisce che, se la carta di soggiorno è richiesta nelle qualità di coniuge straniero o genitore straniero convivente con cittadino italiano o con cittadino di uno Stato dell’Unione europea residente in Italia (ipotesi prevista dall’art. 9, co. 2, del testo unico), il richiedente, oltre alle proprie generalità, deve indicare quelle dell’altro coniuge o del figlio con il quale convive; per lo straniero che sia figlio minore convivente la carta di soggiorno è richiesta da chi esercita la potestà sul minore. Nei casi suddetti la domanda deve essere corredata delle certificazioni comprovanti lo stato di coniuge o di figlio minore o di genitore di cittadino italiano o di uno Stato membro dell’Unione europea residente in Italia.

 

La lettera c) del comma 1 dell’articolo in esame modifica, infine, l’articolo 6 del testo unico, che disciplina il rilascio della carta di soggiorno.

Anche il citato art. 6 è norma di carattere regolamentare.

Al comma 1 di tale articolo è introdotta una norma in base alla quale l’interessato, nelle more della decisione sul rilascio della carta di soggiorno, può non solo dimorare provvisoriamente sul territorio (come previsto dal testo vigente), ma anche svolgervi le attività di cui al co. 1 dell’art. 3 (esercitare un’attività autonoma, lavorare, effettuare o fruire di una prestazione di servizi, studiare).

Al successivo comma 5 è apportata una modifica che estende anche ai lavoratori dipendenti la disciplina ivi prevista per i lavoratori autonomi. Secondo il testo vigente, la carta di soggiorno in corso di validità non può essere ritirata ai cittadini europei che si sono stabiliti nel territorio dello Stato al fine di esercitarvi un’attività autonoma, per il solo fatto che non esercitino più detta attività in seguito ad incapacità temporanea dovuta a malattia o infortunio.

Si rileva che con le lettere b) e c) sopra illustrate si apportano, con legge, modifiche a disposizioni di carattere regolamentare. Ciò determina la coesistenza, nello stesso articolo, di parti normative di diverso livello gerarchico.

 

Di seguito si mettono a raffronto gli articoli del testo unico nella formulazione vigente ed in quella che risulterebbe dall’approvazione dell’articolo in esame.

 

D.P.R. 54/2002
Testo vigente

D.P.R. 54/2002
Modificazioni proposte

[…]

[…]

Articolo 3. (L)
Diritto di soggiorno.

Articolo 3. (L)
Diritto di soggiorno.

1. Hanno diritto al soggiorno nel territorio della Repubblica i cittadini di uno Stato membro dell’Unione europea che:

a) desiderino stabilirsi nel medesimo per esercitarvi un’attività autonoma;

b) appartengano alla categoria dei lavoratori ai quali si applicano le disposizioni dei regolamenti adottati dal Consiglio dei Ministri dell’Unione europea, in conformità agli articoli 39 e 40 del Trattato istitutivo della Comunità europea;

c) desiderino entrare nel territorio della Repubblica per effettuarvi una prestazione di servizi o in qualità di destinatari di una prestazione di servizi;

d) siano studenti, iscritti a un istituto riconosciuto per conseguirvi, a titolo principale, una formazione professionale, ovvero iscritti ad università o istituti universitari statali o istituti universitari liberi abilitati a rilasciare titoli aventi valore legale;

e) abbiano o meno svolto un’attività lavorativa in uno Stato membro.

1. Identico.

2. Hanno diritto al soggiorno nel territorio della Repubblica senza che sia necessario il rilascio della carta di soggiorno di cui all’articolo 5:

a) i lavoratori che esercitano un’attività subordinata di durata non superiore a tre mesi; il documento in forza del quale gli interessati sono entrati nel territorio, corredato da una dichiarazione del datore di lavoro che indica il periodo previsto dell’impiego, costituisce titolo valido per il soggiorno;

b) i lavoratori stagionali quando siano titolari di un contratto di lavoro vistato dal rappresentante diplomatico o consolare o da una missione ufficiale di reclutamento di manodopera dello Stato membro sul cui territorio il lavoratore viene a svolgere la propria attività.

2. Identico.

3. Per i soggetti indicati alle lettere a), b) e c) del comma 1, il soggiorno è altresì riconosciuto, quale che sia la loro cittadinanza, ai coniugi, ai figli di età minore e agli ascendenti e discendenti di tali cittadini e del proprio coniuge, che sono a loro carico, nonché in favore di ogni altro membro della famiglia che, nel Paese di provenienza, sia convivente o a carico del coniuge, degli ascendenti del lavoratore e degli ascendenti del suo coniuge.

3. Per i soggetti indicati alle lettere a), b) e c) del comma 1, il soggiorno è altresì riconosciuto, quale che sia la loro cittadinanza, ai coniugi, ai figli di età inferiore ai ventuno anni e agli ascendenti e discendenti di tali cittadini e del proprio coniuge, che sono a loro carico, nonché in favore di ogni altro membro della famiglia che, nel Paese di provenienza, sia convivente o a carico del coniuge, degli ascendenti del lavoratore e degli ascendenti del suo coniuge.

4. Per i soggetti indicati alle lettere d) ed e) del comma 1, il soggiorno è riconosciuto a condizione che:

4. Identico.

a) siano iscritti al Servizio sanitario nazionale italiano o siano titolari di una polizza assicurativa sanitaria per malattia, infortunio e per maternità;

a) Identica.

b) i soggetti indicati alla lettera d) dispongano di risorse economiche tali da non costituire un onere per l’assistenza sociale in Italia, i soggetti indicati alla lettera e), dispongano di un reddito complessivo, che non sia inferiore all’assegno sociale di cui all’articolo 3, comma 6, della legge 8 agosto 1995, n. 335; tale reddito può essere comprensivo anche di pensione di invalidità da lavoro, di trattamento per pensionamento anticipato o di pensione di vecchiaia, ovvero di una rendita per infortunio sul lavoro o per malattia professionale.

b) Identica.

Il diritto di soggiorno è inoltre riconosciuto ai familiari a carico del titolare del diritto di soggiorno, come individuati dall’articolo 29, comma 1, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, a condizione che:

Il diritto di soggiorno è inoltre riconosciuto al coniuge non legalmente separato, ai figli di età inferiore agli anni ventuno e ai figli di età superiore agli anni ventuno, se a carico, nonché ai genitori del titolare del diritto di soggiorno e del coniuge, a condizione che:

1) siano iscritti al Servizio sanitario nazionale italiano o siano titolari di una polizza assicurativa sanitaria per malattia, infortunio e per maternità;

1). Identico.

2) il nucleo familiare di cui fanno parte abbia risorse tali da non costituire un onere per l’assistenza sociale in Italia, ovvero goda di un reddito annuo non inferiore a quello definito ai sensi dell’articolo 29, comma 3, lettera b), del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286.

2). Identico.

5. Per l’accesso alle attività lavorative dipendenti o autonome trovano applicazione, per i familiari di tutte le categorie dei titolari del diritto di soggiorno, le disposizioni vigenti in materia per i cittadini italiani, fatte salve quelle afferenti il pubblico impiego nei termini previsti dall’articolo 38 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165.

5. Identico.

6. Ai lavoratori frontalieri, che hanno la loro residenza in un altro Stato membro dell’Unione europea nel cui territorio di norma ritornano ogni giorno o almeno una volta la settimana, verrà rilasciata una carta speciale valida per cinque anni e rinnovabile automaticamente, conforme al modello stabilito con decreto del Ministro dell’interno.

6. Identico.

[…]

[…]

Articolo 5. (R)
Richiesta della carta di soggiorno.

Articolo 5. (R)
Richiesta della carta di soggiorno.

1. La domanda per il rilascio della carta di soggiorno per i cittadini di uno Stato membro dell’Unione europea deve essere presentata, entro tre mesi dall’ingresso nel territorio della Repubblica, alla questura competente per il luogo in cui l’interessato si trova, utilizzando una scheda conforme al modello predisposto dal Ministero dell’interno, nel quale siano riportati:

a) le complete generalità dell’interessato;

b) gli estremi del documento di riconoscimento in corso di validità;

c) la data d’ingresso nel territorio della Repubblica;

d) i motivi e la durata del soggiorno in relazione alle fattispecie di cui all’articolo 3, comma 1;

e) il domicilio eletto nel territorio della Repubblica;

f) l’eventuale indicazione dei familiari o altre persone a carico per le quali l’interessato ha diritto di richiedere un documento di soggiorno.

1. Identico.

2. La domanda deve essere corredata della fotografia dell’interessato, in formato tessera, in quattro esemplari; in luogo della fotografia in più esemplari, all’interessato può essere richiesto di farsi ritrarre da apposita apparecchiatura per il trattamento automatizzato dell’immagine, in dotazione all’ufficio.

2. Identico.

3. All’atto della presentazione della domanda il cittadino dell’Unione europea è tenuto ad esibire il passaporto o documento di identificazione valido, rilasciato dalla competente autorità nazionale, nonché:

3. Identico.

a) le autorizzazioni prescritte per lo svolgimento nel territorio della Repubblica delle attività che si intendono svolgere;

a) Identica.

b) per i lavoratori subordinati, un attestato di lavoro o dichiarazione di assunzione del datore di lavoro, ovvero, per i lavoratori stagionali, di copia del contratto di lavoro;

b) per i lavoratori subordinati e per i lavoratori stagionali, un attestato di lavoro o una dichiarazione di assunzione del datore di lavoro; per i lavoratori stagionali l’attestato di lavoro o la dichiarazione di assunzione deve specificare la durata del rapporto di lavoro;

c) negli altri casi di cui all’articolo 3, comma 1, lettere a) e c), la documentazione attestante che l’interessato rientri in una delle suddette categorie;

c) Identica.

d) per gli altri cittadini dell’Unione europea, non rientranti nei casi di cui alle lettere b) e c) del presente comma, l’attestazione dell’iscrizione al Servizio sanitario nazionale italiano o della titolarità di una polizza assicurativa sanitaria per malattia, infortunio e per maternità e la prova della sufficienza dei mezzi di sostentamento di cui all’articolo 3, comma 4, lettera b). Detta prova è fornita da documentazione comunque idonea a dimostrare la disponibilità del reddito stesso, con l’indicazione del relativo importo, ovvero di apposita dichiarazione, resa ai sensi dell’articolo 46, lettera o), del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, comprovante la disponibilità del reddito medesimo o da altro documento che attesti che tale condizione è comunque soddisfatta;

d) per gli altri cittadini dell’Unione europea, non rientranti nei casi di cui alle lettere b) e c) del presente comma, l’attestazione dell’iscrizione al Servizio sanitario nazionale italiano o della titolarità di una polizza assicurativa sanitaria per malattia, infortunio e per maternità e la prova della sufficienza dei mezzi di sostentamento di cui all’articolo 3, comma 4, lettera b). Detta prova è fornita, nel caso dei cittadini di cui all’articolo 3, comma 1, lettera e), da documentazione comunque idonea a dimostrare la disponibilità del reddito stesso, con l’indicazione del relativo importo, ovvero, nel caso dei cittadini di cui all’articolo 3, comma 1, lettera d), di apposita dichiarazione, resa ai sensi dell’articolo 46, lettera o), del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, attestante la disponibilità di risorse economiche tali da non costituire un onere per l’assistenza sociale o da altro documento che attesti che tale condizione è comunque soddisfatta;

e) per gli studenti di cui all’articolo 3, comma 1, lettera d), oltre alla documentazione indicata alla lettera d), il certificato d’iscrizione al corso di formazione professionale o corso di studi universitari e il certificato di durata del corso.

e) Identica.

4. Con la domanda, l’interessato può richiedere il rilascio della relativa carta di soggiorno anche per i familiari di cui all’articolo 3, commi 3 e 4, lettera b), quale che sia la loro cittadinanza:

a) il coniuge non legalmente separato ed i figli di età inferiore agli anni diciotto;

b) i figli di maggiore età a carico, gli ascendenti e discendenti delle persone di cui alla lettera a) e del coniuge che siano a loro carico.

4. Con la domanda, l’interessato può richiedere il rilascio della relativa carta di soggiorno anche per i familiari di cui all’articolo 3, commi 3 e 4, quale che sia la loro cittadinanza. Qualora questi ultimi abbiano la cittadinanza di un Paese non appartenente all’Unione europea, ad essi è rilasciato il titolo di soggiorno ai sensi dell’articolo 9 del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni.

5. Nei casi previsti dal comma 4, la domanda, contenente l’indicazione delle generalità complete, della nazionalità, e del rapporto di parentela o coniugio delle persone interessate, deve essere corredata delle relative fotografie e delle certificazioni attestanti le relazioni di parentela o coniugio e le altre condizioni di cui al comma 3, nonché, se si tratta di cittadini di uno Stato non appartenente all’Unione europea, della documentazione richiesta dall’articolo 16, commi 5 e 6, del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1999, n. 394. All’atto della domanda deve essere esibito, per ciascuna delle persone interessate, il documento di identificazione o, se si tratta di persone non appartenenti ad uno Stato membro dell’Unione europea, il passaporto o documento equipollente.

5. Nei casi previsti dal comma 4, la domanda, contenente l’indicazione delle generalità complete, della nazionalità, e del rapporto di parentela o coniugio delle persone interessate, deve essere corredata delle relative fotografie e delle certificazioni attestanti le relazioni di parentela o coniugio e le altre condizioni di cui al comma 3. All’atto della domanda deve essere esibito, per ciascuna delle persone interessate, il documento di identificazione o, se si tratta di persone non appartenenti ad uno Stato membro dell’Unione europea, il passaporto o documento equipollente.

6. L’addetto alla ricezione, esaminata la domanda e i documenti allegati o esibiti, di cui può trattenere copia, ed accertata l’identità dei richiedenti, rilascia un esemplare della scheda di cui al comma 1, munita di fotografia dell’interessato e del timbro datario dell’ufficio e della propria sigla, quale ricevuta, indicando il giorno in cui potranno essere ritirati la carta e gli altri documenti di soggiorno richiesti. Analogo esemplare è rilasciato alle persone di cui al comma 4 di età maggiore.

6. Identico.

7. I documenti di soggiorno, nonché i documenti ed i certificati necessari per il loro rilascio o rinnovo, vengono rilasciati e rinnovati gratuitamente.

7. Identico.

Articolo 6. (R)
Rilascio della carta di soggiorno.

Articolo 6. (R)
Rilascio della carta di soggiorno.

1. La carta di soggiorno per i cittadini di uno Stato membro dell’Unione europea è rilasciata su modello conforme a quello approvato con decreto del Ministro dell’interno, entro centoventi giorni dalla richiesta. L’interessato può dimorare provvisoriamente sul territorio, fino a quando non intervenga il rilascio ovvero il diniego della carta di soggiorno. Decorso un congruo periodo di studio e sperimentazione, si prevede il rilascio della carta mediante utilizzo di mezzi di tecnologia avanzata, sulla base delle indicazioni formulate dal Dipartimento per l’innovazione e le tecnologie della Presidenza del Consiglio dei Ministri.

1. La carta di soggiorno per i cittadini di uno Stato membro dell’Unione europea è rilasciata su modello conforme a quello approvato con decreto del Ministro dell’interno, entro centoventi giorni dalla richiesta. L’interessato può dimorare provvisoriamente sul territorio, nonché svolgere le attività di cui all’articolo 3, comma 1, fino a quando non intervenga il rilascio ovvero il diniego della carta di soggiorno. Decorso un congruo periodo di studio e sperimentazione, si prevede il rilascio della carta mediante utilizzo di mezzi di tecnologia avanzata, sulla base delle indicazioni formulate dal Dipartimento per l’innovazione e le tecnologie della Presidenza del Consiglio dei Ministri.

2. La carta di soggiorno di cui sopra è valida per tutto il territorio della Repubblica, ha una durata di cinque anni dalla data del rilascio ovvero, per i soggiorni inferiori all’anno, per la durata occorrente in relazione ai motivi del soggiorno. Per i soggiorni di cui all’articolo 3, comma 1, lettera d), la carta non può avere durata superiore alla durata del corso di studi, salvo rinnovo.

2. Identico.

3. La carta è rinnovabile:

a) per altri cinque anni, nel caso di carta rilasciata per lavoro frontaliero;

b) a tempo indeterminato, negli altri casi in cui è rilasciata per la durata di cinque anni;

c) per ciascun anno successivo alla durata del corso di studi, occorrente per completare le verifiche di profitto richieste;

d) alle condizioni e per la medesima durata prevista per il primo rilascio negli altri casi.

3. Identico.

4. La carta di soggiorno costituisce documento d’identificazione personale per non oltre cinque anni dalla data del rilascio o del rinnovo. Il rinnovo è effettuato a richiesta dell’interessato, con l’indicazione aggiornata del luogo di residenza, corredata di nuove fotografie.

4. Identico.

5. Fatte salve le disposizioni più favorevoli del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e del relativo regolamento di attuazione, le interruzioni del soggiorno non superiori a sei mesi consecutivi o le assenze dal territorio della Repubblica motivate dall’assolvimento di obblighi militari non infirmano la validità della carta di soggiorno. La carta di soggiorno in corso di validità non può essere ritirata ai cittadini di cui all’articolo 3, comma 1, lettera a), per il solo fatto che non esercitino più un’attività in seguito ad incapacità temporanea dovuta a malattia o infortunio.

5. Fatte salve le disposizioni più favorevoli del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e del relativo regolamento di attuazione, le interruzioni del soggiorno non superiori a sei mesi consecutivi o le assenze dal territorio della Repubblica motivate dall’assolvimento di obblighi militari non infirmano la validità della carta di soggiorno. La carta di soggiorno in corso di validità non può essere ritirata ai cittadini di cui all’articolo 3, comma 1, lettere a) e b), per il solo fatto che non esercitino più un’attività in seguito ad incapacità temporanea dovuta a malattia o infortunio.

[…]

[…]

Procedure di contenzioso

La Commissione aveva avviato due procedure di infrazione nei confronti dell’Italia in relazione al D.P.R. 18 gennaio 2002, n. 54, recante “Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di circolazione e soggiorno dei cittadini degli Stati membri dell'Unione europea” (procedura 2003/2134 e 2003/2166, quest’ultima definitivamente archiviata).

La procedura di infrazione 2003/2134, avviata con lettera di messa in mora del 30 marzo 2004, è stata provvisoriamente archiviata in seguito alle disposizioni introdotte dall’articolo in esame.

Con la procedura in questione, la Commissione riteneva che la normativa italiana fosse contraria all’articolo 1 della direttiva 93/96/CEE[109], in quanto vi si prevedeva come condizione della concessione del diritto al soggiorno degli studenti la presentazione di una prova di disponibilità di un importo determinato, a testimonianza del fatto di non costituire un onere per l’assistenza sociale italiana. Riteneva inoltre che la normativa italiana non recepisse pienamente l’articolo 1 delle direttive 90/364 CEE[110] e 90/365/CEE[111] relative al diritto di soggiorno in quanto:

·   si riconosce il diritto di soggiorno unicamente ai familiari definiti come figli minori a carico (mentre il diritto comunitario riconoscerebbe tale diritto ai figli a carico senza distinzione di età) e del congiunto a carico (mentre la normativa comunitaria non esigerebbe che il coniuge sia a carico del cittadino dell’Unione per poter beneficiare del diritto di soggiorno);

·   si esige dai familiari la presentazione di una documentazione relativa ai redditi del gruppo familiare distinta da quella presentata dal cittadino comunitario titolare del diritto di soggiorno.

 


Art. 21

 

(Modifiche al decreto legislativo 20 febbraio 2004, n. 56)

 

 


1. All'articolo 2, comma 1, del decreto legislativo 20 febbraio 2004, n. 56, recante attuazione della direttiva 2001/97/CE in materia di prevenzione dell'uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi da attività illecite, dopo la lettera s) è inserita la seguente:

«s-bis) a ogni altro soggetto che rende i servizi forniti da revisori contabili, periti, consulenti ed altri soggetti che svolgono attività in materia di amministrazione, contabilità e tributi;».

2. All'articolo 8, comma 4, del decreto legislativo 20 febbraio 2004, n. 56, le parole: «lettere s) e t)» sono sostituite dalle seguenti: «lettere p), s), s-bis) e t)».


 

 

L’articolo 21 interviene sull’articolo 2, comma 1, del decreto legislativo 20 febbraio 2004, n. 56[112], al fine di aggiungere un’ulteriore categoria all'elenco dei soggetti, ivi indicati, ai quali si applicano gli obblighi di identificazione e conservazione delle informazioni previsti per la prevenzione del riciclaggio dei proventi di attività illecite.

In particolare, il comma 1 inserisce nella citata norma una nuova lettera s-bis), prevedendo che gli obblighi di identificazione e conservazione delle informazioni imposti dall’articolo 3 del decreto legislativo n. 56 del 2004 si applicano anche a tutti coloro che rendono i servizi forniti da:

a)      revisori contabili;

b)      periti;

c)      consulenti;

d)      altri soggetti che svolgono attività in materia di amministrazione, contabilità e tributi.

 

Con il decreto legislativo n. 56 del 2004 è stata data attuazione alla direttiva 2001/97/CE in materia di prevenzione dell'uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi derivanti da attività illecite.

 

La suddetta direttiva, la quale costituisce una delle priorità del Piano d'azione sui servizi finanziari [Com(1999)232 def.] ai fini della creazione di un mercato integrato dei servizi finanziari entro il 2005, risponde alla necessità di aggiornare la direttiva 91/308/CEE, allo scopo di riflettere le migliori pratiche internazionali del settore, nonché di continuare a garantire un elevato livello nella protezione del settore finanziario e di altre attività a rischio dagli effetti dannosi del denaro proveniente da attività criminose.

A sua volta la direttiva 91/308/CEE costituisce il provvedimento fondamentale nella lotta contro il riciclaggio dei proventi di attività illecite. Tale direttiva, infatti, è considerata fra i maggiori strumenti internazionali esistenti in questo settore, unitamente alla Convenzione dell'ONU del 1988 (Convenzione di Vienna), alla Convenzione del Consiglio d'Europa del 1990 (Convenzione di Strasburgo) e alle quaranta raccomandazioni della Task force "Azione finanziaria" (FATF).

 

L’articolo 2 del decreto legislativo n. 56 del 2004 impone, da una parte, obblighi di identificazione e conservazione di informazioni a determinati soggetti (comma 1) e, dall’altra, obblighi di segnalazione di operazioni sospette a un più vasto novero di soggetti, tra i quali sono compresi tutti quelli indicati al comma 1 (comma 2).

 

Il comma 1 dell’articolo 2 indica, in particolare, i soggetti ai quali si applicano gli obblighi di identificazione e conservazione delle informazioni imposti dal successivo articolo 3 - obblighi che consistono nell’identificazione del soggetto che compie l’operazione e nella indicazione, da parte di quest’ultimo, delle complete generalità del soggetto per conto del quale eventualmente esegue l'operazione (articolo 13, comma 1, del D.L. n. 625 del 1979).

I soggetti a cui si applicano gli obblighi suddetti sono attualmente i seguenti:

a)    le banche;

b)    la società Poste Italiane S.p.a.;

c)    gli istituti di moneta elettronica;

d)    le società di intermediazione mobiliare (SIM);

e)    le società di gestione del risparmio (SGR);

f)     le società di investimento a capitale variabile (SICAV);

g)    le imprese di assicurazione;

h)    gli agenti di cambio;

i)     le società fiduciarie;

l)     le società che svolgono il servizio di riscossione dei tributi;

m)   gli intermediari finanziari iscritti nell'elenco speciale previsto dall'articolo 107 del testo unico bancario;

n)    gli intermediari finanziari iscritti nell'elenco generale previsto dall'articolo 106 del testo unico bancario;

o)    i soggetti operanti nel settore finanziario iscritti nelle sezioni dell'elenco generale previste dagli articoli 113 e 155, commi 4 e 5, del testo unico bancario;

p)    le società di revisione iscritte nell'albo speciale previsto dall'articolo 161 del testo unico dell'intermediazione finanziaria;

q)    i soggetti che esercitano, ai sensi dell'articolo 1, comma 1, del decreto legislativo 25 settembre 1999, n. 374, le attività ivi indicate (recupero di crediti, custodia e trasporto di denaro e di titoli o valori, mediazione immobiliare, commercio di cose antiche, esercizio di case d'asta o gallerie d'arte, commercio d’oro per finalità industriali o di investimento, fabbricazione, mediazione e commercio di oggetti preziosi, gestione di case da giuoco, fabbricazione artigianale di oggetti preziosi, mediazione creditizia, agenzia in attività finanziaria prevista dall'articolo 106 del testo unico bancario);

r)    le succursali italiane dei soggetti indicati alle lettere precedenti aventi sede legale in uno Stato estero nonché le succursali italiane delle società di gestione del risparmio armonizzate;

s)    i soggetti iscritti nell'albo dei ragionieri e dei periti commerciali, nel registro dei revisori contabili, nell'albo dei dottori commercialisti e nell'albo dei consulenti del lavoro;

t)    i notai e gli avvocati quando, in nome o per conto di propri clienti, compiono qualsiasi operazione di natura finanziaria o immobiliare e quando assistono i propri clienti nella progettazione o nella realizzazione di operazioni riguardanti:

-     il trasferimento a qualsiasi titolo di beni immobili o attività economiche;

-     la gestione di denaro, strumenti finanziari o altri beni;

-     l'apertura o la gestione di conti bancari, libretti di deposito e conti di titoli;

-     l'organizzazione degli apporti necessari alla costituzione, alla gestione o all'amministrazione di società;

-     la costituzione, la gestione o l'amministrazione di società, enti, trust o strutture analoghe.

 

Il comma 2 del presente articolo modifica altresì l’articolo 8, comma 4, del decreto legislativo n. 56 del 2004, il quale rimette al regolamento, emanato dal Ministro dell'economia e delle finanze, sentiti l'Ufficio italiano dei cambi (UIC) e le competenti amministrazioni, l’adozione delle norme per l'individuazione delle operazioni sottoposte ai predetti obblighi di identificazione e conservazione della documentazione da parte dei soggetti indicati nell'articolo 2, comma 1, lettere s) e t).

Con la presente modificazione vi è inserito anche il richiamo della lettera s-bis), introdotta dal comma 1; pertanto, con il suddetto regolamento ministeriale si provvederà anche all’individuazione delle operazioni relativamente alle quali sono tenuti all’adempimento di tali obblighi i soggetti ivi menzionati (revisori contabili, i periti, i consulenti e gli altri soggetti che svolgono attività in materia di amministrazione, contabilità e tributi).

 

 

 

 


Art. 22

 

(Attuazione della direttiva 2005/60/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 ottobre 2005 relativa alla prevenzione dell’uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo e previsione di modalità operative per eseguire le misure di congelamento di fondi e risorse economiche stabilite dalle risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, dai regolamenti (CE) n. 2580/2001 e n. 881/2002 nonché dai regolamenti comunitari emanati ai sensi degli articoli 60 e 301 del Trattato istitutivo della Comunità europea per il contrasto del finanziamento del terrorismo e dell’attività di paesi che minacciano la pace e la sicurezza internazionale)

 

 


1. Il Governo è delegato ad adottare, entro il termine e con le modalità di cui all'articolo 1, uno o più decreti legislativi al fine di dare organica attuazione alla direttiva 2005/60/CE del 26 ottobre 2005 del Parlamento europeo e del Consiglio, al fine di prevedere modalità operative per eseguire le misure di congelamento di fondi e risorse economiche stabilite dalle risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, dal regolamento (CE) n. 2580/2001 del 27 dicembre 2001 del Consiglio, e dal regolamento (CE) n. 881/2002 del 27 maggio 2002 del Consiglio, nonché dai regolamenti comunitari emanati ai sensi degli articoli 60 e 301 del Trattato istitutivo della Comunità europea per il contrasto del finanziamento del terrorismo e dell'attività di Paesi che minacciano la pace e la sicurezza internazionale e al fine di coordinare le disposizioni vigenti in materia di prevenzione e contrasto del riciclaggio di denaro e del finanziamento del terrorismo, nel rispetto dei seguenti princìpi e criteri direttivi:

a) recepire la direttiva tenendo conto della giurisprudenza comunitaria in materia nonché dei criteri tecnici che possono essere stabiliti dalla Commissione europea ai sensi dell'articolo 40 della direttiva;

b) assicurare la possibilità di adeguare le misure nazionali di attuazione della direttiva ai criteri tecnici che possono essere stabiliti e successivamente aggiornati dalla Commissione europea ai sensi dell'articolo 40 della direttiva;

c) estendere le misure di prevenzione contro il riciclaggio di denaro al contrasto del finanziamento del terrorismo e prevedere idonee misure per attuare il congelamento dei fondi e delle risorse economiche, inclusa la possibilità di affidare l'amministrazione e la gestione delle risorse economiche congelate ad un'autorità pubblica;

d) prevedere procedure e criteri per individuare quali persone giuridiche e fisiche che esercitano un'attività finanziaria in modo occasionale o su scala limitata, e quando i rischi di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo sono scarsi, non sono incluse nelle categorie di «ente creditizio» o di «ente finanziario» come definite nell'articolo 3, punti 1) e 2), della direttiva;

e) estendere, in tutto o in parte, le disposizioni della direttiva ai soggetti ricompresi nella vigente normativa italiana antiriciclaggio nonché alle attività professionali e categorie di imprese diverse dagli enti e dalle persone di cui all'articolo 2, paragrafo 1, della direttiva stessa, le quali svolgono attività particolarmente suscettibili di essere utilizzate a fini di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo, tra le quali internet casinò e società fiduciarie;

f) mantenere le disposizioni italiane più rigorose vigenti per impedire il riciclaggio e il finanziamento del terrorismo, tra cui la limitazione dell'uso del contante e dei titoli al portatore prevista dall'articolo 1 del decreto-legge 3 maggio 1991, n. 143, convertito, con modificazioni, dalla legge 5 luglio 1991, n. 197, e successive modificazioni; riordinare ed integrare la disciplina relativa ai titoli al portatore ed ai nuovi mezzi di pagamento, al fine di adottare le misure eventualmente necessarie per impedirne l'utilizzo per scopi di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo;

g) graduare gli obblighi di adeguata verifica della clientela in funzione del rischio associato al tipo di cliente, rapporto di affari, prodotto o transazione;

h) adeguare l'applicazione dettagliata delle disposizioni alle peculiarità delle varie professioni e alle differenze in scala e dimensione degli enti e delle persone soggetti alla direttiva;

i) prevedere procedure e criteri per stabilire quali Paesi terzi impongono obblighi equivalenti a quelli previsti dalla direttiva e prevedono il controllo del rispetto di tali obblighi, al fine di poter applicare all'ente creditizio o finanziario situato in un Paese terzo gli obblighi semplificati di adeguata verifica della clientela;

l) prevedere procedure e criteri per individuare:

1) i casi nei quali gli enti e le persone soggetti alla direttiva devono identificare il titolare effettivo ed adottare misure adeguate e commisurate al rischio per verificarne l'identità;

2) i casi nei quali gli enti e le persone soggetti alla direttiva possono calibrare gli obblighi di adeguata verifica della clientela in funzione del rischio associato al tipo di cliente, rapporto di affari, prodotto o transazione di cui trattasi;

3) i casi nei quali gli enti e le persone soggetti alla direttiva sono autorizzati, in deroga agli articoli 7, lettere a), b) e d), 8 e 9, paragrafo 1, della direttiva, a non applicare gli obblighi di adeguata verifica della clientela in relazione a clienti, rapporti di affari, prodotti o transazioni che presentino per loro natura uno scarso rischio di riciclaggio di denaro o di finanziamento del terrorismo, tenuto conto dei criteri tecnici per la valutazione del rischio che la Commissione europea può adottare ai sensi dell'articolo 40, paragrafo 1, lettera b), della direttiva;

4) le situazioni, oltre a quelle stabilite dall'articolo 13, paragrafi 2, 3, 4, 5 e 6, della direttiva, nelle quali gli enti e le persone soggetti alla direttiva sono tenuti ad applicare, oltre agli obblighi di cui agli articoli 7, 8 e 9, paragrafo 6, della direttiva medesima, obblighi rafforzati di adeguata verifica della clientela, sulla base della valutazione del rischio esistente, in relazione a clienti, rapporti di affari, prodotti o transazioni che presentino per loro natura un elevato rischio di riciclaggio di denaro o di finanziamento del terrorismo, tenuto conto dei criteri tecnici per la valutazione del rischio che la Commissione europea può adottare ai sensi dell'articolo 40, paragrafo 1, lettera c), della direttiva;

m) evitare, per quanto possibile, il ripetersi delle procedure di identificazione del cliente, prevedendo in quali casi gli enti e le persone soggetti alla direttiva possono ricorrere a terzi per l'assolvimento degli obblighi di adeguata verifica della clientela;

n) assicurare che, ogni qualvolta ciò sia praticabile, sia fornito agli enti e alle persone che effettuano segnalazioni di operazioni sospette un riscontro sull'utilità delle segnalazioni fatte e sul seguito loro dato, anche tramite la tenuta e l'aggiornamento di statistiche;

o) garantire la riservatezza e la protezione degli enti e delle persone che effettuano le segnalazioni di operazioni sospette;

p) ferme restando le competenze esistenti delle diverse autorità, riordinare la disciplina della vigilanza e dei controlli nei confronti dei soggetti obbligati in materia di prevenzione contro il riciclaggio di denaro e il finanziamento del terrorismo, assicurando che gli stessi siano svolti in base al principio dell'adeguata valutazione del rischio di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo ed affidandoli, ove possibile, alle autorità di vigilanza di settore prevedendo opportune forme di coordinamento nelle materie coperte dalla direttiva;

q) estendere i doveri del collegio sindacale, previsti dalla normativa vigente in materia, alle figure dei revisori contabili, delle società di revisione, del consiglio di sorveglianza, del comitato di controllo di gestione ed a tutti i soggetti incaricati del controllo contabile o di gestione, comunque denominati;

r) uniformare la disciplina dell'articolo 10 del decreto-legge 3 maggio 1991, n. 143, convertito, con modificazioni, dalla legge 5 luglio 1991, n. 197, e successive modificazioni, e dell'articolo 7 del decreto legislativo 25 settembre 1999, n. 374, modificando i doveri del collegio sindacale e dei soggetti indicati alla lettera q), rendendoli più coerenti con il sistema di prevenzione, ed evidenziando sia gli obblighi di segnalazione delle operazioni sospette sia gli obblighi di comunicazione o di informazione delle altre violazioni normative;

s) riformulare la sanzione penale di cui all'articolo 10 del citato decreto-legge 3 maggio 1991, n. 143, al fine di estendere la sanzione penale ai soggetti indicati alla lettera q);

t) depenalizzare il reato di cui all'articolo 5, comma 4, del citato decreto-legge 3 maggio 1991, n. 143, prevedendo sanzioni amministrative pecuniarie ed accessorie effettive, dissuasive e proporzionate;

u) garantire l'economicità, l'efficienza e l'efficacia del procedimento sanzionatorio e riordinare il regime sanzionatorio secondo i princìpi della semplificazione e della coerenza logica e sistematica, prevedendo sanzioni amministrative pecuniarie ed accessorie effettive, dissuasive e proporzionate;

v) prevedere sanzioni amministrative a carico dei soggetti giuridici per violazione delle norme della direttiva e delle norme nazionali vigenti in materia, qualora la persona fisica, autrice della violazione, non sia stata identificata o non sia imputabile;

z) prevedere sanzioni amministrative a carico dei soggetti giuridici per l'omessa od insufficiente istituzione di misure di controllo interno, per la mancata previsione di adeguata formazione di dipendenti o collaboratori, nonché per tutte le carenze organizzative rilevanti ai fini della corretta applicazione della normativa in materia di prevenzione dell'uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo, attribuendo i relativi poteri di vigilanza, controllo, ispezione, verifica, richiesta di informazioni, dati e documenti e i poteri sanzionatori alle autorità di vigilanza di settore ed alle amministrazioni interessate, laddove esigenze logiche e sistematiche lo suggeriscano;

aa) introdurre nel decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, i reati di cui agli articoli 648, 648-bis e 648-ter del codice penale tra i reati per i quali è prevista la responsabilità amministrativa degli enti;

bb) prevedere una disciplina organica di sanzioni amministrative per le violazioni delle misure di congelamento di fondi e risorse economiche disposte dalle risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, dai citati regolamenti (CE) n. 2580/2001 e n. 881/2002 nonché dai regolamenti comunitari emanati ai sensi degli articoli 60 e 301 del Trattato istitutivo della Comunità europea per il contrasto del finanziamento del terrorismo e dell'attività di Paesi che minacciano la pace e la sicurezza internazionale.

2. Ai fini dell'attuazione del comma 1, lettera c), è autorizzata la spesa di 250.000 euro per ciascuno degli anni 2006 e 2007 e di 1 milione di euro a decorrere dall'anno 2008. Al relativo onere si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2006-2008, nell'ambito dell'unità previsionale di base di parte corrente «Fondo speciale» dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2006, allo scopo utilizzando l'accantonamento relativo al Ministero degli affari esteri.

3. Dall'attuazione delle restanti lettere del comma 1 non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.


 

 

La direttiva 2005/60/CE e le misure di congelamento di fondi e risorse economiche per il contrasto del finanziamento del terrorismo

L’articolo 22, al comma 1, delega il Governo ad adottare, entro il termine e con le modalità indicati all’articolo 1, uno o più decreti legislativi per i seguenti fini:

a) dare organica attuazione nell’ordinamento internoalla direttiva 2005/60/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 ottobre 2005, riguardante la prevenzione dell’uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo;

 

Con riguardo alla legislazione antiriciclaggio, si ricorda che la direttiva 91/308/CEE costituisce il provvedimento fondamentale nella lotta contro il riciclaggio dei proventi di attività illecite. Tale direttiva, infatti, è considerata fra i maggiori strumenti internazionali esistenti in questo settore, unitamente alla Convenzione dell'ONU del 1988 (Convenzione di Vienna), alla Convenzione del Consiglio d'Europa del 1990 (Convenzione di Strasburgo) e alle quaranta raccomandazioni della Task force "Azione finanziaria" (FATF).

La direttiva 2001/97/CE, la quale costituisce una delle priorità del Piano d'azione sui servizi finanziari [Com(1999)232 def.] per la creazione di un mercato integrato dei servizi finanziari entro il 2005, ha risposto successivamente alla necessità di aggiornare la direttiva 91/308/CEE, allo scopo di riflettere le migliori pratiche internazionali del settore, nonché di continuare a garantire un elevato livello nella protezione del settore finanziario e di altre attività a rischio dagli effetti dannosi del denaro proveniente da attività criminose.

La direttiva 2005/60/CE, per la cui trasposizione nell’ordinamento interno sono qui stabiliti i princìpi di delega, tende a recepire, fra l’altro, le esigenze di lotta al finanziamento del terrorismo e le indicazioni contenute nelle ultime revisioni delle cosiddette “quaranta raccomandazioni” della Task force "Azione finanziaria" (FATF).

Il termine di recepimento della direttiva è fissato al 15 dicembre 2007.

 

Per l’esposizione del contenuto della direttiva e delle raccomandazioni alle quali si fa riferimento si rinvia alla scheda ad essa riferita, che si trova nella parte II del presente dossier (direttive contenute nell’allegato B).

 

b) prevedere modalità operative per eseguire le misure di congelamento di fondi e risorse economiche stabilite dalle risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite, dai regolamenti (CE) n. 2580/2001 del Consiglio, del 27 dicembre 2001, e n. 881/2002 del Consiglio, del 27 maggio 2002, nonché dai regolamenti comunitari emanati, ai sensi degli articoli 60 e 301 del Trattato istitutivo della Comunità europea, per il contrasto del finanziamento del terrorismo e dell’attività di paesi che minacciano la pace e la sicurezza internazionale;

 

Il richiamato regolamento (CE) n. 2580/2001 del Consiglio, del 27 dicembre 2001, reca misure restrittive specifiche contro determinate persone e entità, destinate a combattere il terrorismo.

L’articolo 2, in particolare, ha disposto il blocco di tutti i capitali, delle altre attività finanziarie e delle risorse economiche di cui una persona fisica o giuridica, gruppo o entità ricompresi nell'elenco previsto dal successivo paragrafo 3 detenga la proprietà o il possesso. È vietato mettere, direttamente o indirettamente, capitali, altre attività finanziarie e risorse economiche a disposizione delle persone fisiche o giuridiche, gruppi o entità ricompresi nell'elenco di cui al paragrafo 3, ed è altresì vietata la prestazione di servizi finanziari destinati alle persone fisiche o giuridiche, gruppi o entità ricompresi nell'elenco di cui al paragrafo 3.

Il menzionato paragrafo 3 stabilisce che il Consiglio, deliberando all'unanimità, elabora, riesamina e modifica l'elenco di persone, gruppi o entità ai quali si applica il presente regolamento in conformità alle disposizioni dell'articolo I, paragrafi 4, 5 e 6 della posizione comune 2001/931/PESC.

Tale elenco include:

i) persone che commettono o tentano di commettere atti terroristici, che partecipano alla loro esecuzione o che la facilitano;

ii) persone giuridiche, gruppi o entità che commettono o tentano di commettere atti terroristici, che partecipano alla loro esecuzione o che la facilitano;

iii) persone giuridiche, gruppi o entità di proprietà o sotto il controllo di una o più delle persone fisiche o giuridiche, dei gruppi e delle entità di cui ai punti i) e ii);

iv) persone fisiche o giuridiche, gruppi o entità che agiscano per conto o su incarico di una o più persone fisiche o giuridiche, gruppi o entità di cui ai punti i) e ii).

L’articolo 4 stabilisce che, fatte salve le regole applicabili in materia di rendicontazione, riservatezza e segreto professionale, le banche, le altre istituzioni finanziarie, le società di assicurazioni, gli altri organismi e le altre persone:

- forniscono immediatamente tutte le informazioni atte ad agevolare l'osservanza del presente regolamento, quali i conti e gli importi congelati in conformità dell'articolo 2 e le operazioni eseguite a norma degli articoli 5 e 6, alle autorità competenti dello Stato membro in cui risiedono o sono situati, elencate nell'allegato e alla Commissione tramite dette autorità competenti;

- collaborano con le autorità competenti elencate nell'allegato per verificare le informazioni fornite.

 

Il richiamato regolamento (CE) n. 881/2002 del Consiglio, del 27 maggio 2002, impone specifiche misure restrittive nei confronti di determinate persone ed entità associate a Osama bin Laden, alla rete Al-Qaeda e ai Talibani, e abroga il regolamento (CE) n. 467/2001, che vietava l'esportazione di talune merci e servizi in Afghanistan, inasprisce il divieto dei voli ed estende il congelamento dei capitali e delle altre risorse finanziarie nei confronti dei Talibani dell'Afghanistan.

L’articolo 2 prevede, in particolare, il blocco di tutti i fondi e le risorse economiche appartenenti a, o in possesso di, una persona fisica o giuridica, gruppo o entità designato dal comitato per le sanzioni ed elencati nell'allegato I al regolamento.

È vietato mettere direttamente o indirettamente fondi a disposizione di una persona fisica o giuridica, di un gruppo o di un'entità designati dal comitato per le sanzioni ed elencati nell'allegato I, o stanziarli a loro vantaggio.

È vietato mettere direttamente o indirettamente risorse economiche a disposizione di una persona fisica o giuridica, ad un gruppo o ad un'entità designati dal comitato per le sanzioni ed elencati nell'allegato I o destinarle a loro vantaggio, per impedire così facendo che la persona, il gruppo o l'entità in questione possa ottenere fondi, beni o servizi.

L’articolo 2-bis specifica che l'articolo 2 dello stesso regolamento non si applica ai capitali o alle risorse economiche quando:

a) una qualsiasi delle autorità competenti degli Stati membri, elencate nell'allegato II, ha deciso, su richiesta della persona fisica o giuridica interessata, che i capitali o le risorse economiche in questione sono:

i) necessari per coprire le spese di base, compresi i pagamenti relativi a generi alimentari, affitti o ipoteche, medicinali e cure mediche, imposte, premi assicurativi e servizi pubblici;

ii) destinati esclusivamente al pagamento di onorari ragionevoli e al rimborso delle spese sostenute per le prestazioni legali;

iii) destinati esclusivamente al pagamento di diritti o di spese bancarie connessi alla normale gestione dei fondi o delle risorse economiche congelati;

iv) necessari per coprire spese straordinarie; e

b) tale decisione è stata notificata al comitato per le sanzioni; e

c) i) per le decisioni di cui alla lettera a), punti i), ii) o iii), il comitato per le sanzioni non ha sollevato obiezioni al riguardo entro 48 ore dalla notifica; oppure

ii) per le decisioni di cui al norma della lettera a), punto iv), esse sono state approvate dal comitato per le sanzioni.

Ai sensi dell’articolo 3, fatte salve le competenze degli Stati membri nell'esercizio della rispettiva pubblica autorità, è vietato concedere, vendere, fornire o trasferire, direttamente o indirettamente, consulenze tecniche, assistenza o formazione connesse ad attività militari, comprese in particolare la formazione e l'assistenza connesse alla produzione, alla manutenzione e all'impiego di armi e materiale connesso di qualsiasi tipo, a qualsiasi persona fisica o giuridica, gruppo o entità indicati dal comitato per le sanzioni ed elencati nell'allegato I.

L’articolo 4 fa divieto di partecipare, consapevolmente e deliberatamente, ad attività aventi l'obiettivo o il risultato, diretto o indiretto, di aggirare l'articolo 2 o di promuovere le operazioni di cui all'articolo 3.

L’articolo 5 prevede che, fatte salve le norme applicabili in materia di relazioni, riservatezza e segreto professionale e le disposizioni dell'articolo 284 del Trattato, le persone fisiche e giuridiche, le entità e gli organismi sono tenuti a:

a) fornire immediatamente alle autorità competenti degli Stati membri, elencate nell'allegato II, in cui risiedono o sono situati, e alla Commissione, direttamente o attraverso dette autorità, qualsiasi informazione possa facilitare il rispetto del regolamento, quali i dati relativi ai conti e agli importi congelati a norma dell'articolo 2.

In particolare, si devono fornire le informazioni disponibili su fondi, beni finanziari o risorse economiche posseduti o controllati dalle persone indicate dal comitato per le sanzioni ed elencate nell'allegato I nei sei mesi precedenti l'entrata in vigore del regolamento;

b) collaborare con le autorità competenti elencate nell'allegato II per qualsiasi verifica di tali informazioni.

Tutte le informazioni fornite o ricevute sono usate unicamente per i fini per i quali sono state fornite o ricevute. Tutte le informazioni supplementari ricevute direttamente dalla Commissione sono messe a disposizione delle autorità competenti degli Stati membri interessati.

c) coordinare le disposizioni vigenti in materia di prevenzione e contrasto del riciclaggio di denaro e del finanziamento del terrorismo.

I princìpi e criteri direttivi indicati per l’esercizio della delega

Il comma 1 dell’articolo 22 detta una serie di princìpi e criteri direttivi per l’esercizio della delega conferita al Governo per il recepimento della direttiva 2005/60/CE nell’ordinamento interno, nonché per la previsione di modalità operative per eseguire le misure di congelamento di fondi e risorse economiche stabilite dalle risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite, dai regolamenti (CE) n. 2580/2001e n. 881/2002 nonché dai regolamenti comunitari emanati ai sensi degli articoli 60 e 301 del Trattato CE per il contrasto del finanziamento del terrorismo e dell’attività di paesi che minacciano la pace e la sicurezza internazionale.

In particolare, la lettera a) prevede l’obbligo di recepire la direttiva tenendo conto della giurisprudenza comunitaria in materia nonché dei criteri tecnici che possono essere stabiliti dalla Commissione europea ai sensi dell’articolo 40 della direttiva.

 

Il richiamato articolo 40 della direttiva prevede, al paragrafo 1, che, per tenere conto degli sviluppi tecnici nel settore della lotta contro il riciclaggio e il finanziamento del terrorismo e per garantire l'applicazione uniforme della presente direttiva, la Commissione può adottare, secondo la procedura stabilita all'articolo 41, paragrafo 2, le seguenti misure di attuazione:

a) chiarimento degli aspetti tecnici delle definizioni di cui all'articolo 3, paragrafo 2, lettere a) e d), e paragrafi 6,7, 8, 9 e 10;

b) adozione di criteri tecnici per valutare se determinate situazioni presentino un basso rischio di riciclaggio o finanziamento del terrorismo di cui all'articolo 11, paragrafi 2 e 5;

c) adozione di criteri tecnici per valutare se determinate situazioni presentino un elevato rischio di riciclaggio o finanziamento del terrorismo di cui all'articolo 13;

d) fissazione di criteri tecnici per valutare se, a norma dell'articolo 2, paragrafo 2, sia giustificato non applicare la presente direttiva a determinate persone fisiche o giuridiche che esercitano un'attività finanziaria in modo occasionale o su scala molto limitata.

Il paragrafo 2 stabilisce che, in ogni caso, la Commissione adotta le prime misure di attuazione per dare effetto al paragrafo 1, lettere b) e d), entro il 15 giugno 2006.

 

Le misure di esecuzione previste dall’articolo 40, paragrafo 2, lettera d) sono contenute nella direttiva 2006/70/CE della Commissione, recante misure di esecuzione della direttiva 2005/60/CE del Parlamento europeo e del Consiglio per quanto riguarda la definizione di “persone politicamente esposte” e i criteri tecnici per le procedure semplificate di adeguata verifica della clientela e per l’esenzione nel caso di un’attività finanziaria esercitata in modo occasionale o su scala molto limitata, pubblicata nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea del 4 agosto 2006, n. L 214.

 

Ai sensi del paragrafo 3, la Commissione, secondo la procedura prevista dall'articolo 41, paragrafo 2, adegua gli importi indicati all'articolo 2, paragrafo 1, punto 3), lettera e), all'articolo 7, lettera b), all'articolo 10, paragrafo 1, e all'articolo 11, paragrafo 5, lettere a) e d), tenendo conto della normativa comunitaria, degli sviluppi economici e delle modifiche dei parametri internazionali.

Secondo il paragrafo 4, qualora la Commissione rilevi che un paese terzo non soddisfa le condizioni prescritte dall'articolo 11, paragrafi 1 o 2, dall'articolo 28, paragrafi 3, 4 o 5, o alle misure definite a norma del paragrafo 1, lettera b), del presente articolo o dell'articolo 16, paragrafo 1, lettera b), o che la legislazione di tale paese terzo non consente l'applicazione delle misure richieste all'articolo 31, paragrafo 1, primo comma, essa adotta una decisione di accertamento di tale situazione, secondo la procedura indicata all'articolo 41, paragrafo 2.

 

La lettera b) prevede che debba essere assicurata la possibilità di adeguare le misure nazionali di attuazione della direttiva ai criteri tecnici che possono essere stabiliti e successivamente aggiornati dalla Commissione europea ai sensi del ricordato articolo 40 della direttiva.

 

La lettera c) richiede l’estensione delle misure di prevenzione contro il riciclaggio di denaro al contrasto del finanziamento del terrorismo e impone di prevedere idonee misure per attuare il congelamento dei fondi e delle risorse economiche, inclusa la possibilità di affidare ad un’autorità pubblica l’amministrazione e la gestione delle risorse economiche congelate.

 

La lettera d) delega il Governo a prevedere procedure e criteri per individuare quali persone giuridiche e fisiche, che esercitano un’attività finanziaria in modo occasionale o su scala limitata, e quando i rischi di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo sono scarsi, non sono incluse nelle categorie di "ente creditizio" o di "ente finanziario" come definite nell’articolo 3, punti 1) e 2), della direttiva.

 

Ai sensi del richiamato articolo 3, punto 1), della presente direttiva, s’intende per «ente creditizio» un ente definito a norma dell'articolo 1, punto 1), primo paragrafo della direttiva 2000/12/CE, del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 marzo 2000, relativa all'accesso all'attività degli enti creditizi ed al suo esercizio, nonché una succursale, quale definita all'articolo 1, punto 3) della direttiva suddetta, situata nella Comunità di un ente creditizio avente la sede amministrativa principale all'interno o al di fuori della Comunità.

Ai sensi del richiamato articolo 3, punto 2), della direttiva si intende per «ente finanziario»:

a) un'impresa diversa da un ente creditizio, la cui attività principale consista nell'effettuare una o più operazioni menzionate ai punti da 2 a 12 e al punto 14 dell'allegato I della direttiva 2000/12/CE, incluse le attività degli uffici dei cambiavalute («bureaux de change») e delle società di trasferimento di fondi;

b) un'impresa di assicurazione debitamente autorizzata a norma della direttiva 2002/83/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 novembre 2002, relativa all'assicurazione sulla vita, nella misura in cui svolga attività che rientrano nell'ambito di applicazione di detta direttiva;

c) un'impresa di investimento, quale definita nell'articolo 4, paragrafo 1, punto 1) della direttiva 2004/39/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 aprile 2004, relativa ai mercati degli strumenti finanziari;

d) un organismo di investimento collettivo che commercializzi le sue quote o azioni;

e) un intermediario assicurativo, quale definito nell'articolo 2, punto 5) della direttiva 2002/92/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 dicembre 2002, sulla intermediazione assicurativa, fatta eccezione per gli intermediari di cui all'articolo 2, punto 7) di detta direttiva, quando si occupano di assicurazione vita e di altri servizi legati ad investimenti;

f) le succursali, situate nella Comunità, degli enti finanziari di cui alle lettere da a) a e) che hanno la sede amministrativa principale all'interno o al di fuori della Comunità.

 

La lettera e) consente di estendere, in tutto o in parte, le disposizioni della direttiva ai soggetti ricompresi nella normativa italiana antiriciclaggio vigente nonché alle attività professionali e categorie di imprese diverse dagli enti e dalle persone di cui all’articolo 2, paragrafo 1, della direttiva stessa, le quali svolgono attività particolarmente suscettibili di essere utilizzate a fini di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo, tra le quali le case da giuoco virtuali (internet casinò) e le società fiduciarie.

 

La lettera f) prescrive di mantenere le disposizioni italiane più rigorose vigenti per impedire il riciclaggio e il finanziamento del terrorismo (tra cui la limitazione dell’uso del contante e dei titoli al portatore prevista dall’articolo 1 del decreto-legge 3 maggio 1991, n. 143, convertito, con modificazioni, dalla legge 5 luglio 1991, n. 197) e a riordinare e integrare la disciplina relativa ai titoli al portatore e ai nuovi mezzi di pagamento, al fine di adottare le misure eventualmente necessarie per impedirne l’utilizzo per scopi di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo.

 

L’articolo 1 del decreto-legge n. 143 del 1991 vieta il trasferimento di denaro contante o di libretti di deposito bancari o postali al portatore o di titoli al portatore in euro o in valuta estera, effettuato a qualsiasi titolo tra soggetti diversi, quando il valore da trasferire sia complessivamente superiore a 12.500 euro. Il trasferimento può essere eseguito per il tramite degli intermediari abilitati.

Prescrive altresì che i vaglia postali e cambiari e gli assegni postali, bancari e circolari per importi superiori a 12.500 euro rechino l'indicazione del nome o della ragione sociale del beneficiario e la clausola di non trasferibilità. Il Ministro dell’economia e delle finanze può stabilire limiti per l'utilizzo di altri mezzi di pagamento ritenuti idonei ad essere utilizzati a scopo di riciclaggio.

Vieta infine che il saldo dei libretti al portatore superi euro 12.500, prescrivendo l’estinzione dei libretti con saldo superiore a tale importo entro il 31 gennaio 2005.

 

La lettera g) impone di graduare gli obblighi di adeguata verifica della clientela in funzione del rischio associato al tipo di cliente e al rapporto d’affari, prodotto o transazione.

 

La lettera h) stabilisce che l’applicazione dettagliata delle disposizioni sia adeguata alle peculiarità delle varie professioni e alle differenze, in scala e dimensione, degli enti e delle persone soggetti alla direttiva.

 

La lettera i) impone di prevedere procedure e criteri per stabilire quali paesi terzi impongono obblighi equivalenti a quelli previsti dalla direttiva e prevedono il controllo del rispetto di tali obblighi, al fine di poter applicare all’ente creditizio o finanziario situato in un paese terzo gli obblighi semplificati di adeguata verifica della clientela.

 

La lettera l) impone di prevedere procedure e criteri per individuare:

1) i casi nei quali gli enti e le persone soggetti alla direttiva devono identificare il titolare effettivo e adottare misure adeguate e commisurate al rischio per verificarne l’identità;

2) i casi nei quali gli enti e le persone soggetti alla direttiva possono calibrare gli obblighi di adeguata verifica della clientela in funzione del rischio associato al tipo di cliente, rapporto di affari, prodotto o transazione di cui trattasi;

3) i casi nei quali gli enti e le persone soggetti alla direttiva sono autorizzati – in deroga agli articoli 7, lettere a), b) e d), 8, e 9, paragrafo 1, della direttiva – a non applicare gli obblighi di adeguata verifica della clientela in relazione a clienti, rapporti di affari, prodotti o transazioni che presentino per loro natura uno scarso rischio di riciclaggio di denaro o di finanziamento del terrorismo, tenuto conto dei criteri tecnici per la valutazione del rischio che la Commissione europea può adottare ai sensi dell’articolo 40, paragrafo 1, lettera b), della direttiva;

 

Ai sensi dell’articolo 7 della direttiva, gli enti e le persone ad essa soggetti applicano gli obblighi di adeguata verifica della clientela nei casi seguenti:

a) quando instaurano rapporti d'affari;

b) quando eseguono transazioni occasionali il cui importo sia pari o superiore a 15.000 euro, indipendentemente dal fatto che siano effettuate con un'operazione unica o con diverse operazioni che appaiono collegate;

c) quando vi è sospetto di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo, indipendentemente da qualsiasi deroga, esenzione o soglia applicabile;

d) quando vi sono dubbi sulla veridicità o sull'adeguatezza dei dati precedentemente ottenuti ai fini dell'identificazione di un cliente.

Ai sensi dell’articolo 8, par. 1, della direttiva, gli obblighi di adeguata verifica della clientela comprendono le attività seguenti:

a) identificare il cliente e verificarne l'identità sulla base di documenti, dati o informazioni ottenuti da una fonte affidabile e indipendente;

b) se necessario, identificare il titolare effettivo e adottare misure adeguate e commisurate al rischio per verificarne l'identità, in modo tale che l'ente o la persona soggetti alla presente direttiva siano certi di conoscere chi sia il titolare effettivo, il che implica per le persone giuridiche, i trust ed istituti giuridici simili adottare misure adeguate e commisurate alla situazione di rischio per comprendere la struttura di proprietà e di controllo del cliente;

c) ottenere informazioni sullo scopo e sulla natura prevista del rapporto d'affari;

d) svolgere un controllo costante nel rapporto d'affari, in particolare esercitando un controllo sulle transazioni concluse durante tutta la durata di tale rapporto in modo da assicurare che tali transazioni siano compatibili con la conoscenza che l'ente o la persona in questione hanno del proprio cliente, delle sue attività commerciali e del suo profilo di rischio, avendo riguardo, se necessario, all'origine dei fondi e tenendo aggiornati i documenti, i dati o le informazioni detenute.

Ai sensi del par. 2, gli enti e le persone soggetti alla direttiva applicano tutti gli obblighi di adeguata verifica della clientela, ma possono calibrare tali obblighi in funzione del rischio associato al tipo di cliente, rapporto d'affari, prodotto o transazione di cui trattasi. Gli enti e le persone soggetti alla direttiva devono essere in grado di dimostrare alle autorità competenti di cui all'articolo 37, compresi gli organismi di autoregolamentazione, che la portata delle misure è adeguata all'entità del rischio di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo.

Ai sensi dell’articolo 9, par. 1, della direttiva, gli Stati membri impongono che la verifica dell'identità del cliente e del titolare effettivo avvenga prima dell'instaurazione del rapporto d'affari o dell'esecuzione della transazione.

 

4) le situazioni, oltre a quelle stabilite dall’articolo 13, paragrafi 2, 3, 4, 5 e 6, della direttiva, nelle quali gli enti e le persone soggetti alla direttiva sono tenuti ad applicare, oltre agli obblighi di cui agli articoli 7, 8 e 9, paragrafo 6, della direttiva medesima, obblighi rafforzati di adeguata verifica della clientela, sulla base della valutazione del rischio esistente, in relazione a clienti, rapporti di affari, prodotti o transazioni che presentino per loro natura un elevato rischio di riciclaggio di denaro o di finanziamento del terrorismo, tenuto conto dei criteri tecnici per la valutazione del rischio che la Commissione europea può adottare ai sensi dell’articolo 40, paragrafo 1, lettera c), della direttiva.

 

L’articolo 13, par. 2, della direttiva prevede che quando il cliente non è fisicamente presente a fini di identificazione, gli Stati membri impongono a tali enti e persone di adottare misure specifiche e adeguate per compensare il rischio più elevato, ad esempio applicando una o più fra le misure in appresso indicate:

a) garantire l'accertamento dell'identità del cliente tramite documenti, dati o informazioni supplementari;

b) adottare misure supplementari per la verifica o la certificazione dei documenti forniti o richiedere di una certificazione di conferma di un ente creditizio o finanziario soggetto alla presente direttiva;

c) garantire che il primo pagamento relativo all'operazione sia effettuato tramite un conto intestato al cliente presso un ente creditizio.

Il par. 3 prevede che in caso di conti di corrispondenza con enti corrispondenti di paesi terzi, gli Stati membri impongono ai loro enti creditizi:

a) di raccogliere sull'ente corrispondente informazioni sufficienti per comprendere pienamente la natura delle sue attività e per determinare, sulla base delle informazioni disponibili al pubblico, la sua reputazione e la qualità della vigilanza cui è soggetto;

b) di valutare i controlli in materia di lotta al riciclaggio e al finanziamento del terrorismo applicati dall'ente corrispondente;

c) di ottenere l'autorizzazione dei massimi dirigenti prima di aprire nuovi conti di corrispondenza;

d) di precisare per iscritto le rispettive responsabilità di ogni ente;

e) per quanto riguarda i conti di passaggio («payable-through accounts»), di assicurarsi che l'ente di credito corrispondente abbia verificato l'identità dei clienti aventi un accesso diretto a tali conti e abbia costantemente assolto gli obblighi di adeguata verifica della clientela e che, su richiesta, possa fornire i dati ottenuti a seguito dell'assolvimento di tali obblighi all'ente controparte.

Il par. 4 prevede che, per quanto riguarda le operazioni o i rapporti d'affari con persone politicamente esposte residenti in un altro Stato membro o in un paese terzo, gli Stati membri impongano agli enti e alle persone soggetti alla presente direttiva:

a) di disporre di adeguate procedure basate sul rischio per determinare se il cliente sia una persona politicamente esposta;

b) di ottenere l'autorizzazione dei massimi dirigenti prima di avviare un rapporto d'affari con tali clienti;

c) di adottare ogni misura adeguata per stabilire l'origine del patrimonio e dei fondi impiegati nel rapporto d'affari o nell'operazione;

d) di assicurare un controllo continuo e rafforzato del rapporto d'affari.

Il par. 5 prevede che gli Stati membri vietino agli enti creditizi di aprire o mantenere conti di corrispondenza con una banca di comodo e richiedano agli enti creditizi di adottare misure atte a garantire che non vengano aperti o mantenuti conti di corrispondenza con una banca che consenta notoriamente ad una banca di comodo di utilizzare i propri conti.

Il par. 6 prevede che gli Stati membri assicurino che gli enti e le persone soggetti alla presente direttiva prestino un'attenzione particolare a qualsiasi rischio di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo connesso a prodotti o transazioni atti a favorire l'anonimato e che essi adottino le misure eventualmente necessarie per impedirne l'utilizzo per scopi di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo.

L’articolo 9, par. 6, prevede che gli Stati membri impongano agli enti e alle persone soggetti alla direttiva di applicare gli obblighi di adeguata verifica della clientela non soltanto a tutti i nuovi clienti, ma anche, al momento opportuno, alla clientela esistente, sulla base della valutazione del rischio presente.

 

La lettera m) impone di evitare, per quanto possibile, la reiterazione delle procedure di identificazione del cliente, determinando in quali casi gli enti e le persone soggetti alla direttiva possono ricorrere a terzi per l’assolvimento degli obblighi di adeguata verifica della clientela.

 

La lettera n) prescrive di assicurare che, ogniqualvolta ciò sia praticabile, sia fornito agli enti e alle persone che effettuano segnalazioni di operazioni sospette un riscontro sull’utilità e sul seguito delle segnalazioni da essi eseguite, anche tramite la tenuta e l’aggiornamento di statistiche.

 

La lettera o) impone di garantire la riservatezza e la protezione degli enti e delle persone che segnalano operazioni sospette.

 

La lettera p) delega il Governo, ferme restando le competenze esistenti delle diverse autorità, a riordinare la disciplina della vigilanza e dei controlli nei confronti dei soggetti obbligati, in materia di prevenzione contro il riciclaggio di denaro e il finanziamento del terrorismo, assicurando che gli stessi siano svolti in base al principio dell’adeguata valutazione del rischio di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo e affidandoli, ove possibile, alle autorità di vigilanza di settore, prevedendo opportune forme di coordinamento nelle materie coperte dalla direttiva.

 

La lettera q) impone di estendere ai revisori contabili, alle società di revisione, al consiglio di sorveglianza, al comitato per il controllo sulla gestione e a tutti i soggetti incaricati del controllo contabile o di gestione, comunque denominati, i doveri previsti dalla normativa vigente in materia a carico del collegio sindacale.

 

La lettera r) delega il Governo ad uniformare la disciplina dell'articolo 10 del decreto-legge 3 maggio 1991, n. 143, convertito, con modificazioni, dalla legge 5 luglio 1991, n. 197, e dell'articolo 7 del decreto legislativo 25 settembre 1999, n. 374, modificando i doveri del collegio sindacale e dei soggetti indicati alla lettera q), rendendoli più coerenti con il sistema di prevenzione, ed evidenziando sia gli obblighi di segnalazione delle operazioni sospette sia gli obblighi di comunicazione o di informazione delle altre violazioni normative.

 

Il richiamato articolo 10 del decreto-legge 3 maggio 1991, n. 143, prevede che, ferme le disposizioni del codice civile e delle leggi speciali, i sindaci degli intermediari vigilino sull'osservanza delle norme contenute nel medesimo decreto. Gli accertamenti e le contestazioni del collegio sindacale concernenti violazioni delle norme del capo I del decreto-legge sono trasmessi in copia entro dieci giorni al Ministro del tesoro. L'omessa trasmissione è punita con la reclusione fino a un anno e con la multa da lire duecentomila a lire due milioni

L'articolo 7 del decreto legislativo 25 settembre 1999, n. 374, prevede, al comma 1, che il collegio sindacale dei soggetti indicati all'articolo 1 dello stesso decreto verifichi il rispetto delle disposizioni contenute nel decreto legislativo medesimo e nei provvedimenti emanati ai sensi di esso. Il collegio sindacale informa senza indugio l'Ufficio italiano dei cambi (UIC) di tutti gli atti o fatti, di cui venga a conoscenza nell'esercizio dei propri compiti, che costituiscono una violazione delle disposizioni medesime. L'UIC, d'intesa con le autorità competenti, stabilisce modalità e termini per la trasmissione delle informazioni.

Ai sensi del comma 2, ai promotori finanziari previsti dall'articolo 31 del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, e agli agenti di assicurazione iscritti nell'albo previsto dalla legge 7 febbraio 1979, n. 48, si applica l'obbligo di segnalazione previsto dall'articolo 3 della legge n. 197 del 1991 (recte: del decreto-legge n. 143 del 1991). Le segnalazioni di operazioni sospette vanno trasmesse all'intermediario per il quale il segnalante agisce.

Il comma 3 stabilisce che i regolamenti ministeriali previsti dallo stesso decreto sono adottati ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400.

 

La lettera s) impone di riformulare la sanzione penale prevista dal citato articolo 10 del decreto-legge n. 143 del 1991, al fine di estenderne l’applicazione ai soggetti indicati alla lettera q).

La lettera t) dispone che sia depenalizzato il reato di omessa istituzione dell'archivio utilizzato per fini di segnalazioni antiriciclaggio, previsto dall’articolo 5, comma 4, del citato decreto-legge 3 maggio 1991, n. 143, e che in luogo della sanzione penale siano stabilite sanzioni amministrative pecuniarie e accessorie effettive, dissuasive e proporzionate.

 

L’articolo 5, comma 4, del citato decreto-legge 3 maggio 1991, n. 143 prevede che l'omessa istituzione dell'archivio utilizzato per fini di segnalazioni antiriciclaggio di cui all'articolo 2, comma 1, dello stesso decreto è punita con l'arresto da sei mesi ad un anno e con l'ammenda da lire dieci milioni a lire cinquanta milioni.

 

La lettera u) stabilisce che la nuova disciplina dovrà garantire l’economicità, l’efficienza e l’efficacia del procedimento sanzionatorio e riordinare il regime sanzionatorio secondo i princìpi della semplificazione e della coerenza logica e sistematica, prevedendo sanzioni amministrative pecuniarie e accessorie effettive, dissuasive e proporzionate.

 

La lettera v) impone di prevedere sanzioni amministrative a carico dei soggetti giuridici per violazione delle norme della direttiva e delle norme nazionali vigenti in materia, qualora la persona fisica, autrice della violazione, non sia stata identificata o non sia imputabile.

 

La responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica, e il conseguente sistema sanzionatorio sono disciplinati dal decreto legislativo 6 giugno 2001, n. 231.

 

La lettera z) delega il Governo a prevedere sanzioni amministrative a carico dei soggetti giuridici per l’omessa o insufficiente istituzione di misure di controllo interno, per la mancata previsione di adeguata formazione di dipendenti o collaboratori, nonché per tutte le carenze organizzative rilevanti ai fini della corretta applicazione della normativa in materia di prevenzione dell’uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo, attribuendo i relativi poteri di vigilanza, controllo, ispezione, verifica, richiesta informazioni, dati e documenti e i poteri sanzionatorî alle autorità di vigilanza di settore e alle amministrazioni interessate, laddove esigenze logiche e sistematiche lo suggeriscano.

 

La lettera aa) delega il Governo ad introdurre nel decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, i reati di cui agli articoli 648 (ricettazione), 648-bis (riciclaggio) e 648-ter (impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita) del codice penale tra le fattispecie per i quali è prevista la responsabilità amministrativa degli enti.

 

Il richiamato decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, come detto, reca la disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica, a norma dell'articolo 11 della legge 29 settembre 2000, n. 300.

L’articolo 648 del codice penale, prevedendo il reato di ricettazione,stabilisce che, fuori dei casi di concorso nel reato, chi, al fine di procurare a sé o ad altri un profitto, acquista, riceve od occulta denaro o cose provenienti da un qualsiasi delitto, o comunque si intromette nel farle acquistare, ricevere od occultare, è punito con la reclusione da due ad otto anni e con la multa da lire un milione a venti milioni. La pena è della reclusione sino a sei anni e della multa sino a lire un milione, se il fatto è di particolare tenuità. Le disposizioni si applicano anche quando l'autore del delitto da cui il denaro o le cose provengono non è imputabile o non è punibile ovvero quando manchi una condizione di procedibilità riferita a tale delitto. 

L’articolo 648-bis del codice penale, prevedendo il reato di riciclaggio, stabilisce che fuori dei casi di concorso nel reato, chiunque sostituisce o trasferisce denaro, beni o altre utilità provenienti da delitto non colposo, ovvero compie in relazione ad essi altre operazioni, in modo da ostacolare l'identificazione della loro provenienza delittuosa, è punito con la reclusione da quattro a dodici anni e con la multa da lire due milioni a lire trenta milioni. La pena è aumentata quando il fatto è commesso nell'esercizio di un'attività professionale. La pena è diminuita se il denaro, i beni o le altre utilità provengono da delitto per il quale è stabilita le pena della reclusione inferiore nel massimo a cinque anni. Si applica l'ultimo comma dell'articolo 648.

L’articolo 648-ter del codice penale, prevedendo il reato di impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita, stabilisce che chiunque, fuori dei casi di concorso nel reato e dei casi previsti dagli articoli 648 e 648-bis, impiega in attività economiche o finanziarie denaro, beni o altre utilità provenienti da delitto, è punito con la reclusione da quattro a dodici anni e con la multa da lire due milioni a lire trenta milioni. La pena è aumentata quando il fatto è commesso nell'esercizio di un'attività professionale. La pena è diminuita nell'ipotesi di cui al secondo comma dell'articolo 648. Si applica l'ultimo comma dell'articolo 648.

 

La lettera bb) delega il Governo a prevedere una disciplina organica di sanzioni amministrative per le violazioni delle misure di congelamento di fondi e risorse economiche disposte dalle risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite, dai citati regolamenti (CE) n. 2580/2001 e n. 881/2002 nonché dai regolamenti comunitari emanati ai sensi degli articoli 60 e 301 del Trattato CE per il contrasto del finanziamento del terrorismo e dell’attività di paesi che minacciano la pace e la sicurezza internazionale.

 

Il comma 2 del presente articolo 22 stabilisce che, ai fini dell’attuazione del comma 1, lettera c), è autorizzata la spesa di 250.000 euro per ciascuno degli anni 2006 e 2007 e di 1 milione di euro a decorrere dall’anno 2008.

 

La richiamata lettera c) del comma 1 prevede, fra l’altro, la possibilità di affidare ad un’autorità pubblica l’amministrazione e la gestione delle risorse economiche congelate.

 

È stabilito, al riguardo, che al relativo onere si provveda mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2006-2008, nell’ambito dell’unità previsionale di base di parte corrente "Fondo speciale" dello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze per l’anno 2006, allo scopo utilizzando l’accantonamento relativo al Ministero degli affari esteri.

Il comma 3 dell’articolo 22 precisa infine che dall’attuazione delle restanti lettere del comma 1 del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.

 


Art. 23

(Modifica al decreto legislativo 29 luglio 2003, n. 267, recante attuazione della direttiva 1999/74/CE e della direttiva 2002/4/CE, per la protezione delle galline ovaiole e la registrazione dei relativi stabilimenti di allevamento)

 

 


1. Il comma 5 dell'articolo 8 del decreto legislativo 29 luglio 2003, n. 267, è abrogato.


 

 

L’articolo 23 abroga l’articolo 8, comma 5, del d.lgs. n. 267/2003, il quale consente, in deroga alla disciplina generale sulla protezione delle galline ovaiole negli allevamenti, che le gabbie non modificate possano essere costruite e messe in funzione se commissionate prima del 31 dicembre 2002.

Il d.lgs. 29 luglio 2003, n. 267 ha dato attuazione interna sia alla direttiva 1999/74/CE, che ha stabilito le norme minime che debbono essere rispettate negli allevamenti con più di 350 galline ovaiole (ossia produttrici di uova non destinate alla cova, e non riproduttrici), sia alla direttiva 2002/4/CE, che ha definito le modalità di registrazione dei relativi stabilimenti di allevamento.

Il decreto legislativo n. 267 del 2003 si affianca al d.lgs. n. 146/2001 (con cui è stata data attuazione alla direttiva 98/58/CE) che ha definito alcuni principi generali sulla protezione di tutti gli animali negli allevamenti.

Ai sensi del d.lgs. n. 267 del 2003, in particolare, gli impianti nuovi o ristrutturati, o messi per la prima volta in funzione, sono tenuti a soddisfare specifici requisiti (di cui all’allegato B).

Quanto ai parametri stabiliti per le gabbie, intervengono l’allegato C e l’allegato D.

L’allegato C definisce quali siano le caratteristiche che debbono possedere le gabbie non modificate, di cui viene vietata sia la costruzione che la messa in funzione (art. 3, co. 1, lett.a), ma viene consentito l’uso fino al 1° gennaio 2012 (art. 3, co. 1, lett.b)). Ai sensi dell’articolo 8, comma 5, in deroga a tali previsioni la costruzione e la messa in funzione di dette gabbie è tuttavia ammessa per le gabbie commissionate prima del 31/12/2002 (art. 8, co. 5).

In tutti gli altri casi le gabbie debbono corrispondere ai requisiti di cui all’allegato D (gabbie modificate).

 

La disposizione è volta a sopprimere una disposizione del d.lgs. n. 267/2003 che non trova rispondenza nella direttiva 1999/74/CE, la quale si limita a prevedere che la costruzione o la messa in funzione per la prima volta di gabbie non modificate è vietata a decorrere dal 1° gennaio 2003, senza alcun riferimento alla data in cui sono state commissionate (art.5, co.2).

 

Va segnalato che, successivamente all’approvazione della legge in commento, è stato adottato il D.M. 20 aprile 2006 (G.U. n. 111/2006), che ha modificato gli allegati al d.lgs. 29 luglio 2003, n. 267 in modo da renderli conformi alle disposizioni comunitarie, tenuto conto dei rilievi sollevati dalla Commissione (procedura di infrazione n. 2004/4171).

·       La sostituzione dell’allegato B, che si applica ai sistemi di allevamento alternativi a quello a “batteria”, ha esclusivamente modificato la lettera c) del paragrafo 1, autorizzando fino al 31 dicembre 2011 un coefficiente di densità di 12 galline ovaiole per metro quadro di zona utilizzabile, per i soli allevamenti che già applicavano questo sistema al 3 agosto 1999 (in precedenza agosto 2003).

·       In conseguenza della sostituzione dell’allegato C, che si applica ai vecchi sistemi di allevamento a “batteria”, tutte le gabbie debbono essere provviste di appropriati dispositivi per accorciare le unghie (in precedenza la lettera f) introduceva condizioni supplementari); inoltre, nel calcolo della superficie della gabbia di cui ogni gallina deve disporre va esclusa la bandina salvauova (nuova lettera a).

·       L’Allegato D definisce i requisiti che debbono essere rispettati nella costruzione delle nuove gabbie. A seguito della sostituzione operata dal decreto, nella superficie che deve essere a disposizione di ogni ovaiola non vanno conteggiati né la bandina salvauova (primo paragrafo, lettera a), né il nido (paragrafo 2). Anche in questo caso inoltre deve essere in ogni caso presente un dispositivo per accorciare le unghie (paragrafo 4, lettera e).

Procedure di contenzioso

Il 5 luglio 2005 la Commissione ha inviato all’Italia una lettera di messa in mora (procedura di infrazione n. 2004/4171) in merito al recepimento della direttiva 99/74/CE relativa alle norme minime per la protezione delle galline ovaiole. Secondo la Commissione, il decreto legislativo n. 267 del 29 luglio 2003, col quale l’Italia ha recepito la direttiva, presenterebbe alcuni elementi di problematicità sui quali il Governo è stato invitato a fornire chiarimenti:

·         secondo la direttiva, gli Stati membri possono autorizzare fino al 31 dicembre 2011 un coefficiente di densità di 12 galline ovaiole per metro quadro di zona utilizzabile per gli allevamenti che già applicavano questo sistema al 3 agosto 1999, data della pubblicazione della direttiva stessa. Il decreto legislativo n. 267 autorizza l’utilizzo dello stesso coefficiente di densità per gli allevamenti che applicavano detto sistema nell’agosto 2003, ritardando così di quattro anni l’attuazione dell’obbligo previsto dalla direttiva. Secondo la Commissione, ciò consentirebbe agli allevatori italiani di beneficiare di condizioni più favorevoli, rispetto a quelli degli altri Stati membri, che alterano le condizioni della concorrenza.

·         l’art. 5.1 della direttiva citata impone, a partire dal 1 gennaio 2003,  requisiti minimi per le gabbie non modificate, fra cui appropriati dispositivi per accorciare le unghie. Il decreto legislativo n. 267 subordina l’esecuzione di tale obbligo alla disponibilità sul mercato dei dispositivi in questione, nonché alla loro approvazione da parte di organismi comunitari, introducendo così nella legislazione nazionale condizioni supplementari rispetto alla norma comunitaria;

·         la direttiva prevede il divieto categorico e incondizionato, a partire dal 1° gennaio 2003, di costruire o di mettere per la prima volta in funzione gabbie non modificate. Il decreto legislativo n. 267 contempla il medesimo divieto ma concede una deroga (non prevista nella norma comunitaria) relativa alla possibilità, a tempo indeterminato, di costruire e mettere in funzione gabbie non modificate purché commissionate prima del 31 dicembre 2002.

 

In considerazione dell’adozione delle disposizioni di cui all’articolo in esame, la procedura risulta provvisoriamente archiviata.

 


Art. 24

(Attuazione della decisione n. 2005/315/CE
della Commissione, del 20 ottobre 2004,
notificata con il numero C (2004) 3893)

 

 


1. In attuazione della decisione 2005/315/CE del 20 ottobre 2004 della Commissione, il regime di aiuti a favore delle imprese che hanno realizzato investimenti nei comuni colpiti da eventi calamitosi nel 2002, di cui all'articolo 5-sexies del decreto-legge 24 dicembre 2002, n. 282, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 2003, n. 27, è interrotto a decorrere dal periodo d'imposta per il quale, alla data di entrata in vigore della presente legge, non è ancora scaduto il termine per la presentazione della relativa dichiarazione dei redditi, nella misura in cui gli aiuti fruiti eccedano quelli spettanti calcolati con esclusivo riferimento al volume degli investimenti eseguiti per effettivi danni subiti di cui al comma 2, lettera b), del presente articolo.

2. Entro novanta giorni dalla data di emanazione del provvedimento del direttore dell'Agenzia delle entrate che determina le modalità applicative della disposizione di cui al presente comma, i soggetti che hanno beneficiato degli aiuti di cui al comma 1 presentano in via telematica all'Agenzia delle entrate una attestazione, ai sensi dell'articolo 47 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, con gli elementi necessari per l'individuazione dell'aiuto illegittimamente fruito sulla base delle disposizioni contenute nel citato provvedimento del direttore dell'Agenzia delle entrate da cui risulti, comunque:

a) il totale degli investimenti sulla base dei quali è stata calcolata l'agevolazione di cui al comma 1;

b) l'ammontare degli investimenti agevolabili effettuati a fronte degli effettivi danni subiti in conseguenza degli eventi di cui al comma 1, calcolati al netto di eventuali importi ricevuti a titolo di risarcimento assicurativo o in forza di altri provvedimenti;

c) l'importo corrispondente all'eventuale imposta sul reddito non dovuta per effetto dell'agevolazione illegittimamente fruita.

3. Entro i sessanta giorni successivi al termine di cui al comma 2, i beneficiari del regime agevolativo di cui al comma 1 effettuano, a seguito di autoliquidazione, il versamento degli importi corrispondenti alle imposte non corrisposte per effetto del regime agevolativo medesimo relativamente ai periodi di imposta nei quali tale regime è stato fruito, nonché degli interessi calcolati sulla base delle disposizioni di cui al capo V del regolamento (CE) n. 794/2004 del 21 aprile 2004 della Commissione, maturati a partire dalla data in cui le imposte non versate sono state messe a disposizione dei beneficiari fino alla data del loro recupero effettivo. L'attestazione prevista al comma 2 è presentata anche nel caso di autoliquidazione negativa.

4. L'Agenzia delle entrate provvede alle attività di liquidazione e controllo del corretto adempimento degli obblighi derivanti dal presente articolo; in caso di mancato o insufficiente versamento, ai sensi del comma 3, si rendono applicabili le norme in materia di liquidazione, accertamento, riscossione e contenzioso, le sanzioni previste ai fini delle imposte sui redditi, nonché l'articolo 41-bis del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e successive modificazioni.

5. Nel caso in cui l'attestazione di cui al comma 2 non risulti presentata, l'Agenzia delle entrate provvede al recupero dell'importo dell'agevolazione dichiarata e dei relativi interessi.

6. Sono fatti salvi gli effetti derivanti dalle agevolazioni fruite in relazione agli investimenti il cui importo non superi il valore netto dei danni effettivamente subiti da ciascuno dei beneficiari a causa degli eventi calamitosi di cui all'articolo 5-sexies del decreto-legge 24 dicembre 2002, n. 282, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 2003, n. 27, tenuto conto degli importi ricevuti a titolo di assicurazione o in forza di altri provvedimenti (3).


 

 

L'articolo 24 dà attuazione alla decisione n. 2005/315/CE della Commissione, del 20 ottobre 2004, relativa al regime di aiuti cui l'Italia ha dato esecuzione a favore delle imprese che hanno realizzato investimenti nei comuni colpiti da eventi calamitosi nel 2002.

Gli aiuti ai quali si riferisce la decisione sono stati concessi ai sensi dell’articolo 5-sexies del D.L. 24 dicembre 2002, n. 282, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 2003, n. 27.

 

Il citato articolo 5-sexies ha prorogato i benefici fiscali previsti dall'articolo 4, comma 1, della legge 18 ottobre 2001, n. 383 (c.d. Tremonti-bis)[113], nei confronti delle imprese che abbiano realizzato investimenti in sedi operative ubicate nei comuni colpiti da eventi calamitosi nel 2002, fino al secondo periodo d’imposta successivo a quello in corso alla data del 25 ottobre 2001 (data di entrata in vigore della legge n. 383 del 2001). La proroga disposta dal citato articolo 5-sexies è limitata agli investimenti realizzati fino al 31 luglio 2003. Per gli investimenti immobiliari, invece, la proroga riguarda quelli realizzati fino al terzo periodo d’imposta successivo alla suddetta data del 25 ottobre 2001 e comunque entro il 31 luglio 2004. Il beneficio consiste nella possibilità di detrarre, ai fini dell'imposizione dei redditi delle imprese e dei lavoratori autonomi, il 50 per cento del volume degli investimenti in beni strumentali realizzati, a partire dal 1° luglio 2001, in eccedenza rispetto alla media degli investimenti realizzati nei cinque anni precedenti. Dal calcolo della media possono essere esclusi gli investimenti dell'anno in cui l'ammontare è stato maggiore.

La misura in questione è entrata in vigore il 23 febbraio 2003 ed è stata oggetto di chiarimenti da parte dell’Agenzia delle entrate con risoluzione n. 67/E del 20 marzo 2003 e circolare n. 43/E del 31 luglio 2003.

I comuni interessati dalla norma, per i quali sono state emanate ordinanze sindacali di sgombero ovvero ordinanze di interdizione al traffico delle principali vie di accesso al territorio comunale, sono quelli situati nelle zone individuate mediante:

§       il D.P.C.M. 29 ottobre 2002, che reca disposizioni relative alla dichiarazione dello stato di emergenza in ordine ai gravi fenomeni eruttivi connessi all'attività vulcanica dell'Etna e agli eventi sismici nel territorio della provincia di Catania;

§       il D.P.C.M. 31 ottobre 2002, che reca disposizioni relative alla dichiarazione dello stato di emergenza in ordine ai gravi eventi sismici verificatisi il 31 ottobre 2002 nel territorio della provincia di Campobasso;

§       il D.P.C.M. 8 novembre 2002, che reca disposizioni relative alla dichiarazione dello stato di emergenza in ordine ai gravi eventi sismici verificatisi il 31 ottobre 2002 nel territorio della provincia di Foggia;

§       il D.P.C.M. 29 novembre 2002, che reca disposizioni relative alle dichiarazioni dello stato di emergenza a seguito di eccezionali eventi meteorologici (inondazioni e frane) verificatisi nelle regioni Liguria, Lombardia, Piemonte, Veneto, Friuli-Venezia Giulia ed Emilia-Romagna. L’elenco dei comuni colpiti nelle suddette regioni è contenuto nell’ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri del 28 maggio 2003.

 

In relazione alla sopra illustrata normativa, con lettera in data 17 settembre 2003, la Commissione delle Comunità europee ha informato l’Italia della propria decisione di avviare un procedimento di indagine per verificare l’eventuale concessione di aiuti di Stato non compatibili con il mercato comune. Al termine del procedimento, con la decisione 2005/315/CE del 20 ottobre 2004, la Commissione ha stabilito che le misure disposte dal regime in esame costituiscono aiuti di Stato e che le stesse non sono compatibili con il mercato comune. In particolare, la Commissione ha ritenuto che il regime in questione non possa beneficiare delle deroghe stabilite dal trattato per gli aiuti destinati ad ovviare ai danni causati da calamità naturali. Affinché sia applicabile la ricordata deroga, deve esistere infatti un nesso chiaro e diretto tra il fatto che ha provocato il danno e l’aiuto di Stato destinato a risarcirlo. Il nesso deve essere stabilito a livello di ogni singola impresa e non a livello macroeconomico. Nel caso di specie, la Commissione non ha ritenuto esistente tale nesso, poiché l’aiuto è stato concesso indipendentemente dalla dimostrazione, da parte del beneficiario, di aver subìto un danno e in misura non dipendente dall’entità del danno stesso.

L’articolo 2 della citata decisione 2005/315/CE impone all’Italia di sopprimere il regime di aiuti sopra illustrato. Il successivo articolo 3 prevede che sono compatibili con il mercato comune i singoli aiuti concessi ai sensi dell’articolo 5-sexies del D.L. n. 282 del 2002, nella misura in cui non superino il valore netto dei danni subìti da ciascun beneficiario, tenuto conto degli importi ricevuti a titolo di assicurazione o in forza di altri provvedimenti. Gli aiuti che non soddisfano tali condizioni sono incompatibili con il mercato comune (articolo 4) e devono essere recuperati, con la maggiorazione dei relativi interessi, entro due mesi dalla data di notifica della decisione stessa (articolo 5).

 

Il comma 1 dell'articolo 24 qui illustrato dispone l'interruzione del regime di aiuti in questione, a decorrere dal periodo d'imposta per il quale, al momento dell'entrata in vigore della presente legge, non è ancora scaduto il termine per la presentazione della dichiarazione dei redditi. L'interruzione fa riferimento esclusivamente agli aiuti fruiti in eccedenza rispetto agli aiuti spettanti, laddove per il calcolo degli aiuti spettanti si considera esclusivamente il volume degli investimenti eseguiti per effettivi danni subìti, al netto di importi eventualmente ricevuti a titolo di risarcimento assicurativo o in forza di altri provvedimenti.

 

I commi 2 e 3 determinano le modalità per il recupero degli aiuti illegittimamente erogati, nei riguardi dei soggetti beneficiari. In particolare, il comma 2 impone ai suddetti beneficiari di presentare all'Agenzia delle entrate un'attestazione telematica entro il termine di novanta giorni dalla data di emanazione di un provvedimento del direttore dell'Agenzia che determina le modalità applicative.

Tale attestazione dovrà essere presentata ai sensi e nelle forme prescritte dall'articolo 47 del D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445, recante il testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa[114], e fornire gli elementi necessari a individuare l'aiuto illegittimamente fruito, indicando in ogni caso:

a)      il totale degli investimenti sulla base dei quali è stato calcolato il credito d'imposta di cui all’articolo 5-sexies del D.L. n. 282 del 2002;

b)      l'ammontare degli investimenti agevolabili effettuati a fronte degli effettivi danni subìti in conseguenza degli eventi calamitosi nel 2002, al netto di eventuali importi ricevuti a titolo di risarcimento assicurativo o in forza di altri provvedimenti;

c)      l'importo corrispondente all'eventuale imposta sul reddito non dovuta per effetto dell'agevolazione illegittimamente fruita.

 

Il comma 3 prescrive che, entro i successivi sessanta giorni, decorrenti dalla scadenza del termine di novanta giorni previsto dal comma 2 per la presentazione dell'attestazione, i soggetti beneficiari provvedano a versare, a seguito di autoliquidazione, gli importi corrispondenti alle imposte non versate con riguardo ai periodi d’imposta nei quali hanno fruito del regime agevolativo, comprensivi degli interessi calcolati in base alle disposizioni di cui al capo V del regolamento (CE) n. 794/2004, maturati dalla data in cui le imposte non versate sono state messe a disposizione dei beneficiari fino alla data del loro recupero. L'obbligo di presentare l'attestazione prevista dal comma 2 da parte dei soggetti beneficiari sussiste anche in caso di autoliquidazione negativa.

Il capo V del regolamento (CE) n. 794/2004 del 21 aprile 2004 determina il metodo di fissazione dei tassi d’interesse per il recupero di aiuti illegittimi. Esso stabilisce che tale tasso d’interesse è rappresentato da un tasso percentuale annuo, fissato per ogni anno civile e calcolato sulla base della media dei tassi swap interbancari a cinque anni per i mesi di settembre, ottobre e novembre dell'anno precedente, maggiorata di 75 punti base. In presenza di determinate circostanze, il capo V prevede diverse modalità di calcolo.

 

Il comma 4 affida all'Agenzia delle entrate l'incarico di provvedere alle attività di liquidazione e di controllo del corretto adempimento di quanto prescritto dal presente articolo. Per il caso in cui il versamento delle imposte di cui al comma precedente non venga effettuato o risulti insufficiente, il presente comma stabilisce l'applicabilità dell'insieme delle disposizioni normative in materia di liquidazione, accertamento, riscossione e contenzioso, delle sanzioni previste ai fini delle imposte sui redditi, nonché dell'articolo 41-bis del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, che reca disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi.

L'articolo 41-bis del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, prevede che, in caso venga accertata l'esistenza di un reddito non dichiarato o il maggiore ammontare di un reddito parziale dichiarato che avrebbe dovuto concorrere a formare il reddito imponibile, o l'esistenza di deduzioni, esenzioni e agevolazioni in tutto o in parte non spettanti, nonché l'esistenza di imposte o di maggiori imposte non versate, i competenti uffici dell'Agenzia delle entrate possano limitarsi ad accertare, in base agli elementi predetti, il reddito o il maggior reddito imponibili, ovvero la maggiore imposta da versare.

 

Il comma 5 disciplina l'ipotesi di mancata presentazione dell'attestazione da parte dei beneficiari, al riguardo prevedendo che l'Agenzia delle entrate provveda direttamente al recupero dell'importo dell'agevolazione dichiarata e dei relativi interessi.

 

Infine, il comma 6 fa salvi gli effetti derivanti dalle agevolazioni fruite per gli investimenti il cui importo non ecceda il valore netto dei danni effettivamente subìti da ciascuno dei beneficiari a causa degli eventi calamitosi, al netto degli importi ricevuti a titolo di assicurazione o in forza di altri provvedimenti. Tali agevolazioni costituiscono, infatti, aiuti compatibili con il mercato comune, conformemente a quanto stabilito dalla decisione della Commissione.


Art. 25

(Modifica al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, recante il nuovo codice della strada)

 

 


1. Al fine di definire la procedura di infrazione 2001/5165 e superare i rilievi mossi dalla Commissione europea nei confronti del Governo italiano, al comma 1-bis dell'articolo 134 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, dopo le parole: «cittadini comunitari» sono inserite le seguenti: «o persone giuridiche costituite in uno dei Paesi dell'Unione europea».


 

 

L’articolo 25 reca la modifica del comma 1-bis dell’articolo 134 del codice della strada[115], relativo alla circolazione dei veicoli appartenenti a cittadini italiani residenti all’estero o a cittadini stranieri.

 

In particolare, il testo previgente del comma 1-bis prevede che i veicoli immatricolati in uno Stato estero o acquistati in Italia ed appartenenti a cittadini italiani, residenti all'estero ed iscritti all'Anagrafe italiani residenti all'estero (A.I.R.E.), e i veicoli immatricolati in uno Stato dell'Unione europea o acquistati in Italia ed appartenenti a cittadini comunitari che abbiano, comunque, un rapporto stabile con il territorio italiano, siano immatricolati[116], a richiesta, a condizione che al momento dell'immatricolazione l'intestatario dichiari un domicilio legale presso una persona fisica residente in Italia o presso una delle imprese abilitate all’esercizio dell'attività di consulenza per la circolazione dei mezzi di trasporto.

Nel caso di autoveicoli, motoveicoli e rimorchi importati temporaneamente o nuovi di fabbrica acquistati per l'esportazione che appartengano a cittadini italiani residenti all'estero o a stranieri che sono di passaggio, sono rilasciate una carta di circolazione della durata massima di un anno, salvo eventuale proroga, e una speciale targa di riconoscimento.

 

La modifica recata dall’articolo in esame prevede che possano essere immatricolati a richiesta anche gli autoveicoli, motoveicoli e rimorchi immatricolati in uno Stato dell'Unione europea o acquistati in Italia ed appartenenti a persone giuridiche costituite in uno dei Paesi membri dell’Unione europea, che abbiano, comunque, un rapporto stabile con il territorio italiano.

La modifica è volta a definire la procedura di infrazione 2001/5165 e superare i rilievi mossi dalla Commissione europea nei confronti del Governo italiano (sulla procedura d’infrazione si veda il paragrafo successivo).

 

 

134. Circolazione di autoveicoli e motoveicoli appartenenti a cittadini italiani residenti all'estero o a stranieri.

134. Circolazione di autoveicoli e motoveicoli appartenenti a cittadini italiani residenti all'estero o a stranieri.

1-bis. Al di fuori dei casi previsti dal comma 1, gli autoveicoli, motoveicoli e rimorchi immatricolati in uno Stato estero o acquistati in Italia ed appartenenti a cittadini italiani residenti all'estero ed iscritti all'Anagrafe italiani residenti all'estero (A.I.R.E.) e gli autoveicoli, motoveicoli e rimorchi immatricolati in uno Stato dell'Unione europea o acquistati in Italia ed appartenenti a cittadini comunitari che abbiano, comunque, un rapporto stabile con il territorio italiano, sono immatricolati, a richiesta, secondo le norme previste dall'articolo 93, a condizione che al momento dell'immatricolazione l'intestatario dichiari un domicilio legale presso una persona fisica residente in Italia o presso uno dei soggetti di cui alla legge 8 agosto 1991, n. 264.

1-bis. Al di fuori dei casi previsti dal comma 1, gli autoveicoli, motoveicoli e rimorchi immatricolati in uno Stato estero o acquistati in Italia ed appartenenti a cittadini italiani residenti all'estero ed iscritti all'Anagrafe italiani residenti all'estero (A.I.R.E.) e gli autoveicoli, motoveicoli e rimorchi immatricolati in uno Stato dell'Unione europea o acquistati in Italia ed appartenenti a cittadini comunitari o persone giuridiche costituite in uno dei Paesi membri dell’Unione europea che abbiano, comunque, un rapporto stabile con il territorio italiano, sono immatricolati, a richiesta, secondo le norme previste dall'articolo 93, a condizione che al momento dell'immatricolazione l'intestatario dichiari un domicilio legale presso una persona fisica residente in Italia o presso uno dei soggetti di cui alla legge 8 agosto 1991, n. 264.

 

 

Procedure di contenzioso

Si segnala che, in seguito all’adozione dell’articolo in esame, la Commissione ha proceduto all’archiviazione definitiva (4 giugno 2006) della procedura di infrazione n. 2001/5165.

Il 5 luglio 2005 la Commissione europea aveva emesso un parere motivato contro l’Italia per violazione dell’articolo 43[117] del Trattato CE, relativo alla libertà di stabilimento, da parte di alcune disposizioni dell’ordinamento giuridico italiano riguardanti l’immatricolazione dei veicoli.

La Commissione contestava, in particolare, il fatto che sulla base dell’articolo 25della legge 31 maggio 1995, n. 218 e degli articoli 7 e 9 del D.P.R. n. 581 del 7 dicembre 1995, così come applicati dalle amministrazioni italiane, fosse vietata l’immatricolazione di veicoli in Italia da parte di persone giuridiche stabilite a titolo principale in un altro Stato membro e che esercitano in Italia un’attività economica in maniera permanente attraverso un’unità locale senza disporvi di una sede secondaria.

 


Art. 26

 

(Modifica alla legge 20 ottobre 1999, n. 380)

 

 


1. All'articolo 1 della legge 20 ottobre 1999, n. 380, il comma 6 è sostituito dal seguente:

«6. Ferme restando le consistenze organiche complessive, il Ministro della difesa può prevedere limitazioni all'arruolamento del personale militare femminile soltanto in presenza di motivate esigenze connesse alla funzionalità di specifici ruoli, corpi, categorie, specialità e specializzazioni di ciascuna Forza armata, qualora in ragione della natura o delle condizioni per l'esercizio di specifiche attività il sesso rappresenti un requisito essenziale. Il relativo decreto è adottato su proposta del Capo di stato maggiore della difesa, acquisito il parere della Commissione per le pari opportunità tra uomo e donna, d'intesa con i Ministri delle infrastrutture e dei trasporti e per le pari opportunità».


 

 

L’articolo 26 novella l’articolo 1 della legge 20 ottobre 1999, n. 380, modificandone il comma 6.

La legge n. 380/1999, recante “Delega al Governo per l’istituzione del servizio militare volontario femminile”, ha attribuito alle cittadine italiane la facoltà di partecipare, su base volontaria, ai concorsi per il reclutamento di ufficiali, sottufficiali e militari di truppa nei ruoli delle tre Forze armate e del Corpo della Guardia di finanza. A tal fine ha conferito al Governo la delega legislativa per provvedere a disciplinare reclutamento, stato giuridico ed avanzamento del personale femminile. Tale delega è stata poi esercitata con l’emanazione del d.lgs. 31 gennaio 2000, n. 24.

In particolare, il comma 6 dell’articolo 1 della legge n.380/1999 prevede che il Ministro della difesa, acquisito il parere della Commissione nazionale per la parità, d’intesa con i Ministri dei trasporti e della navigazione, delle finanze e per le pari opportunità, definisca annualmente, su proposta del Capo di stato maggiore della difesa, le aliquote, i ruoli, i corpi, le categorie, le specialità e le specializzazioni di ciascuna Forza armata in cui avranno luogo i reclutamenti del personale femminile, a decorrere dall’anno successivo all'entrata in vigore della legge e nel rispetto delle consistenze organiche complessive.

Il D.M. 27 maggio 2005, emanato in attuazione della norma ora commentata, ha disposto che il reclutamento del personale militare femminile dell'Esercito, della Marina, dell'Aeronautica e dell'Arma dei Carabinieri sia effettuato, per l'anno 2006, in tutti i ruoli, corpi, categorie, specialità e specializzazioni senza alcuna limitazione percentuale. 

Con la novella in esame si intende circoscrivere la possibilità di restringere l’accesso delle donne alle Forze armate, stabilendo che il Ministro della difesa possa prevedere limitazioni all’arruolamento del personale militare femminile soltanto in presenza di motivate esigenze connesse alla funzionalità di specifici ruoli, corpi, categorie, specialità e specializzazioni di ciascuna Forza armata, qualora in ragione della natura o delle condizioni per l’esercizio di specifiche attività il sesso rappresenti un requisito essenziale. Si segnala, inoltre, che nel procedimento di emanazione del decreto, non è più prevista l’intesa con il Ministro delle finanze.

La novella appena descritta trae origine dalla procedura d’infrazione, attivata ai sensi dell’articolo 223 del Trattato (n. 1999/4239), con la quale la Commissione europea ha contestato, in un primo tempo, al Governo italiano la non conformità con il principio comunitario di non discriminazione in base al sesso nell’accesso al lavoro del sistema di reclutamento del personale femminile nelle Forze armate per “aliquote” d’ingresso, definite annualmente nei singoli ruoli, corpi, categorie di ciascuna Forza armata, adottato in seguito all’apertura alle donne dell’ordinamento militare. In particolare, la Commissione ha rilevato che i limiti entro i quali il diritto comunitario ammette le limitazioni in base al sesso sono più rigorosi di quelli praticati dall’Italia nelle Forze armate. In seguito la Commissione europea ha cambiato l’oggetto della contestazione, passando dall’attuazione pratica del “sistema aliquote” alla stessa normativa primaria di riferimento, appunto l’articolo 1, comma 6, della legge n. 380/1999, e sollecitando il Governo italiano, sempre nell’ambito della procedura d’infrazione, ad intervenire a livello normativo, abrogando la disposizione di legge appena citata.

Procedure di contenzioso

Il 16 maggio 2005 la Commissione ha inviato all’Italia un parere motivato (Procedura 2000/5088) nel quale ritiene che le diverse regolamentazioni nazionali che fissano una riserva di posti nell’amministrazione pubblica a favore dei militari[118] violano la direttiva 76/207/CEE.

La Commissione ha contestato che tale riserva di posti, prima dell’entrata in vigore della legge italiana n. 380 del 20 ottobre 2000 recante l’istituzione del servizio militare femminile, potesse giovare solo agli uomini. Ha ricordato inoltre che la legislazione italiana stabilisce che, per il personale militare volontario interessato dalla riserva di posti nell’amministrazione pubblica, la percentuale di personale femminile fissato in data 4 luglio 2002 è del 30%: la Commissione pertanto ha rilevato che tale  disposizione limitando l’accesso delle donne militari volontarie alle riserve di posti, opera una discriminazione diretta nei confronti delle donne, in violazione della direttiva 76/207/CEE.

La procedura risulta provvisoriamente archiviata, essendo la direttiva inserita nell’allegato B della legge.

 


Parte II – Le direttive contenute negli allegati

 


Allegato A

 


Direttiva 2004/10/CE

 

(Riavvicinamento delle disposizioni relative all’applicazione dei principi di buona pratica di laboratorio e al controllo della loro applicazione)

 

 

La direttiva in esame sostituisce la direttiva 87/18/CEE[119], concernente l’armonizzazione delle disposizioni sull'applicazione dei principi di buona pratica di laboratorio (BPL) ed il controllo della loro applicazione per le prove sulle sostanze chimiche.

 

Tale direttiva, entrata in vigore l’11 marzo 2004, è composta di 8 articoli e 3 allegati.

Essa mira alla realizzazione di una codificazione della materia in esame, al fine di istituire una procedura che consenta il rapido adeguamento ai principi di BPL per gli esami di laboratorio previsti da varie direttive comunitarie in modo che i risultati delle prove siano adeguati dal punto di vista qualitativo e comparabili tra essi, anche al fine di evitare la ripetizione delle prove già eseguite presso uno Stato membro.

In particolare:

·         l’art. 1 disponel’applicazione di BPL (specificati nell’allegato 1 e successivamente modificabili, ai sensi dell’art. 4[120]) per i laboratori chimici, che operano conformemente alla direttiva 67/548/CEE[121], anche al fine di garantire la sicurezza dell'uomo e/o dell'ambiente;

·         l’art. 2 prevede un apposita certificazione della conformità ai BPL delle prove svolte; 

·         l’art. 3 prevede la creazione di un’autorità nazionale per ogni Stato membro al fine di effettuare le necessarie misure di controllo;

·         l’art. 5 vieta in via generale agli Stati membri di limitare od ostacolare l’immissione sul mercato di prodotti chimici di un laboratorio che ha applicato i principi BPL; tuttavia, nel caso di sostanze chimiche ritenute pericolose per l’uomo o per l’ambiente, un Paese membro può avviare una procedura di contestazione, in merito alla quale la Commissione adotta le misure del caso, fino al possibile adeguamento tecnico della presente direttiva;

·         l’art. 6 abroga la precedente direttiva 87/18/CEE;

·         l’allegato I alla direttiva riproduce i “principi dell’OCSE relativi alla BPL” per le sperimentazioni e gli studi non clinici[122] . L’allegato è suddiviso in due sezioni, di cui la prima concerne il campo di applicazione dei principi di buona pratica di laboratorio[123] e le definizioni usate; la seconda riguarda l’organizzazione dei laboratori, l’uso delle sostanze, le procedure da applicare etc.

 

La direttiva in esame non indica termini di recepimento in quanto costituisce una codifica della disciplina introdotta dalle direttive comunitarie in materia.

 

Si segnala che la direttiva 2004/9/CE, anch’essa contenuta nell’allegato A della legge comunitaria per il 2005, è volta alla creazione di un sistema armonizzato di verifica delle ricerche e di ispezione dei laboratori; per tale direttiva si rinvia alla scheda di lettura contenuta nel presente dossier.

 


Direttiva 2004/23/CE

 

(Norme per la donazione, l’approvvigionamento, il controllo, la lavorazione, la conservazione, lo stoccaggio e la distribuzione di tessuti e cellule umani)

 

 

La direttiva in esame mira alla definizione di un sistema elevato di qualità e sicurezza per i tessuti e le cellule di origine umana destinati all’uso terapeutico. La società contemporanea risulta infatti caratterizzata da un elevatissimo livello di scambi, ciò che rende necessaria una normativa in grado di tutelare la salute di tutti i pazienti che si sottopongono a tali trattamenti.

L’ambito di applicazione della direttiva comprende la donazione, l’approvvigionamento, il controllo, la lavorazione, la conservazione, lo stoccaggio e la distribuzione di tessuti e cellule umani destinati ad applicazioni sull’uomo, nonché a prodotti fabbricati derivati da tessuti e cellule umani, destinati ad applicazioni sull’uomo.

Come precisato nei “Considerando..” iniziali (punto 7), la direttiva si applica ai tessuti e alle cellule, tra cui le cellule staminali ematopoietiche del sangue periferico, del sangue del cordone ombelicale e del midollo osseo, alle cellule riproduttive (ovuli e sperma), ai tessuti e alle cellule fetali nonchè alle cellule staminali adulte ed embrionali.

 

Rimangono invece esclusi dall’applicazione della presente direttiva (art. 2):

-          il sangue ed i suoi componenti, gli organi umani e gli organi, tessuti e cellule di origine animale [124];

-          i tessuti oggetto di un auto trapianto durante uno stesso intervento chirurgico, organi o parte di organi, qualora la loro funzione sia quella di essere utilizzati per lo stesso scopo dell’organo intero nel corpo umano.

Come precisato nei “Considerando..” iniziali (punti 11 e 12), la direttiva non concerne la ricerca che utilizza tessuti e cellule umani, ad esempio, per fini diversi dall’applicazione sull’uomo; la direttiva inoltre, pur non interferendo con le scelte dei singoli Stati in ordine al possibile utilizzo di particolari cellule (come le cellule staminali dell’embrione), troverebbe comunque applicazione ai fini della tutela della salute pubblica.

 

Le definizioni dei termini tecnici recati dalla direttiva sono elencate dall’art. 3.

La direttiva non impedisce che gli Stati membri adottino misure di protezione più rigorose, purché conformi alle disposizioni del Trattato e, in particolare, non pregiudica le decisioni degli Stati membri che limitino l’importazione di tessuti e cellule per garantire maggiormente la salute pubblica ovvero in ordine all’uso o non uso di particolari tipi di cellule umane (art. 4).

Gli Stati membri devono poter garantire che l’approvvigionamento e l’analisi dei tessuti siano effettuati da personale con adeguata formazione ed esperienza (art. 5).

Lo svolgimento delle attività, da parte gli Istituti dei tessuti [125], é subordinato alla approvazione, autorizzazione e designazione degli Istituti medesimi, da parte dell’autorità competente indicata dallo Stato membro (art. 6).

Le autorità competenti organizzano ispezioni e controlli presso gli Istituti di tessuti con frequenza minima biennale (art. 7).

Gli Stati membri devono garantire che tutti i tessuti e le cellule ottenuti, trattati, stoccati o distribuiti siano rintracciabili nel percorso dal donatore al ricevente e viceversa; a tal fine sono previste disposizioni specifiche per la realizzazione di un sistema di identificazione dei donatori (art. 8).

Ulteriori disposizioni riguardano: l’importazione e l’esportazione di tessuti e di cellule umane, provenienti da o dirette ai Paesi terzi; la tenuta di un registro degli Istituti dei tessuti, in cui siano descritte le attività per le quali ciascun istituto è stato accreditato; la realizzazione di un sistema in grado di consentire la notifica, la registrazione e la diffusione di informazioni sugli eventuali incidenti verificatisi (artt. 9, 10, e 11).

Gli Stati membri incoraggiano le donazioni volontarie e gratuite di tessuti e cellule; i donatori possono comunque ricevere un indennizzo finalizzato alla copertura delle spese di donazione. Le attività di promozione e pubblicità della donazione non possono essere effettuate allo scopo di offrire o ricercare un vantaggio pecuniario (art. 12).

Sono dettate norme sull’obbligo del consenso dei donatori, dei congiunti o delle persone che forniscono le autorizzazioni per conto dei donatori, nonché le misure riguardanti la protezione dei dati e la riservatezza. L’identità del donatore non è di norma divulgata al donatore e viceversa (artt. 13 e 14).

Presso ogni istituto di tessuti deve essere istituito un sistema di controllo di qualità basato sulla buona pratica, che deve comprendere una specifica documentazione di cui si elencano gli elementi di base (art. 16).

Presso ciascun istituto è designato un responsabile con specifici requisiti, con il compito di verificare il rispetto delle procedure descritte dalla direttiva e dallo Stato membro (art. 17).

Gli Istituti devono garantire che tutte le donazioni siano sottoposte a specifici controlli, in grado di verificare la conformità delle stesse alle disposizioni recate dalla direttiva, con particolare riferimento alle disposizioni recate dall’articolo 28. Sono descritte le metodologie per garantire la sicurezza, da parte degli Istituti, nelle fasi della lavorazione, stoccaggio, etichettatura e trasporto dei tessuti e delle cellule (artt. 19, 20, 21, 22 e 23).

Sono disciplinati i rapporti tra Istituti dei tessuti e terzi per i casi in cui un intervento esterno influisca sui sistemi di qualità e sicurezza (art. 24).

Gli Stati membri istituiscono un sistema di identificazione dei tessuti e delle cellule umane allo scopo di garantirne la completa tracciabilità. La Commissione elabora, con la cooperazione degli Istituti, un unico sistema europeo di codificazione (art. 25).

Anteriormente al 7 aprile 2009, e successivamente ogni tre anni, gli Stati membri inviano alla Commissione una relazione sulle attività svolte, facendo riferimento alle disposizioni della presente direttiva (art. 26).

Gli Stati membri determinano il regime sanzionatorio applicabile alle violazioni delle disposizioni nazionali; le sanzioni sono comunicate alla Commissione entro il giorno di entrata in vigore della presente direttiva (art. 27).

Sono descritti i requisiti tecnici e la procedura per il loro adeguamento al progresso scientifico e tecnico (artt. 28, 29 e 30).

Si segnala al riguardo che è stata emanata la direttiva 2006/17/CE che detta prescrizioni tecniche per la donazione, l’approvvigionamento ed il controllo di tessuti e cellule umani[126].

 

Il termine ultimo per il recepimento della direttiva è fissato al 7 aprile 2006 (art. 31).

 


Direttiva 2004/41/CE

 

(Abrogazione e modifica di alcune direttive in materia di igiene dei prodotti alimentari, polizia sanitaria)

 

 

La direttiva in esame[127] è volta ad assicurare un carattere organico alla normativa comunitaria in materia di polizia sanitaria, di igiene dei prodotti alimentari e di produzione e commercializzazione di prodotti di origine animale destinati al consumo da parte dell'uomo.

A tal fine si dispone l’abrogazione o la modifica di direttive comunitarie in materia, in linea di continuità con quanto disposto da alcuni Regolamenti[128] e dalla direttiva 2002/99/CE[129], che concernono appunto l’igiene dei prodotti alimentari e i controlli per i prodotti di origine animale destinati al consumo umano.

 

La direttiva 2002/99/CE, attuata con il Decreto legislativo n. 117 del 2005, ha rafforzato le misure, già previste dalla normativa comunitaria[130], volte ad impedire l’introduzione o la diffusione sul territorio comunitario di malattie animali attraverso prodotti di origine animale destinati al consumo umano. A tale scopo detta norme comuni di polizia sanitaria incidenti su tutte le fasi di esistenza dei prodotti in questione (dalla produzione primaria alla fornitura al consumatore) nonché norme per accertare che i Paesi terzi esportatori verso la Comunità adottino misure di polizia sanitaria equivalenti.

In particolare, gli Stati membri:

-         accertano che in nessuna fase di lavorazione gli operatori del settore alimentare compiano atti idonei a propagare eventuali malattie animali. In particolare, i prodotti non devono provenire da animali di aziende o aree contaminate (art. 3); produzioni in deroga a questo principio possono essere autorizzate solo a determinate condizioni di garanzia (art. 4);

-         svolgono controlli ufficiali e ispezioni senza preavviso e provvedono in caso di infrazione, adottando le misure di salvaguardia necessarie in caso di rischio per la salute animale (art. 6);

-         assicurano che i prodotti provenienti da Paesi terzi siano introdotti solo se offrono analoghe garanzie per la salute degli animali (art. 7); a tal fine, con provvedimento di esecuzione della Commissione, si redigono elenchi pubblici dei Paesi terzi dai quali sono autorizzate le importazioni e si definiscono condizioni specifiche di importazione per singoli paesi (art. 8).

 

 

La direttiva in esame,entrata in vigore il 30 aprile 2004, è costituita da 10 articoli. In particolare:

-               l’art. 2 elenca le sedici direttive abrogate a decorrere dalla data di applicazione dei regolamenti sopra citati (e cioè dal 1° gennaio 2006).  Peraltro, l’art. 4, commi 2 e 3, dispone che alcune norme di attuazione rimangano in vigore in attesa dell'adozione delle misure richieste dal nuovo quadro giuridico. L’art. 5 dispone altresì che la direttiva 72/462/CEE[131] continuerà ad applicarsi solo per l’importazione degli animali vivi, a decorrere dal 1° gennaio 2005;

Si segnala che l’art. 19 della direttiva 2004/68/CE del 26 aprile 2004, anch’essa ricompresa nell’allegato A della presente legge comunitaria, abroga la medesima direttiva 72/462/CEE, senza disporre una sua applicazione parziale per l’importazione degli animali vivi (vedi la relativa scheda di lettura);

-               l’art. 6 modifica la direttiva 89/662/CEE, relativa ai controlli veterinari negli scambi intracomunitari, sostituendo in particolare l’allegato A sui provvedimenti comunitari che disciplinano i controlli veterinari;

-               l’art. 8 prevede il termine di recepimento della direttiva in esame (1° gennaio 2006).

 

 


Direttiva 2004/68/CE

 

(Norme di polizia sanitaria riguardanti gli ungulati vivi)

 

 

La direttiva 2004/68/CE[132], entrata in vigore il 20 maggio 2004, stabilisce le norme di polizia sanitaria applicabili all'importazione e al transito nella Comunità di ungulati vivi, elencati nell’Allegato I.

 

La direttiva in esame è composta di 22 articoli e 5 allegati. In particolare:

·         gli artt. 3, 4, 5, 6, 7 e 14 indicano i criteri e la procedura per individuare i Paesi terzi dai quali l’importazione è autorizzata, in ragione delle garanzie offerte in ordine alla situazione sanitaria;

·         l’art. 11 prescrive un certificato veterinario che attesti lo stato di salute dell’animale;

·         l’art. 15 modifica la direttiva 90/426/CEE, relativa alle condizioni di polizia sanitaria che disciplinano i movimenti di equidi e le importazioni di equidi in provenienza dai paesi terzi;

·         l’art. 16 modifica la direttiva 92/65/CEE che stabilisce norme sanitarie per gli scambi e le importazioni nella Comunità di animali, sperma, ovuli e embrioni non soggetti, per quanto riguarda le condizioni di polizia sanitaria, alle normative comunitarie specifiche di cui all'allegato A, sezione I, della direttiva 90/425/CEE;

·         l’art. 19 abroga la direttiva 72/462/CEE, relativa a problemi sanitari e di polizia sanitaria all'importazione di animali della specie bovina, suina, ovina e caprina, di carni fresche o di prodotti a base di carne in provenienza dai paesi terzi; l’art. 20 stabilisce che le modalità di applicazione stabilite nelle decisioni adottate, a norma della direttiva 72/462/CEE, per l'importazione di animali vivi, carni e prodotti a base di carne elencate nell'allegato V della presente direttiva, rimangono in vigore fino a quando non sono sostituite dalle misure adottate nel nuovo quadro giuridico;

Si segnala al riguardo che l’art. 5 della direttiva 2004/41/CE del 21 aprile 2004, anch’essa ricompresa nell’allegato A della presente legge comunitaria, dispone l’applicazione della medesima direttiva 72/462/CEE solo per l’importazione degli animali vivi (vedi la relativa scheda di lettura), a decorrere dal 1° gennaio 2005.

 

Con riferimento agli allegati alla direttiva si segnala quanto segue:

·         l’allegato 1 elenca le specie animali interessate;

·         l’allegato 2 indicale malattie previste e le condizioni generali alle quali un territorio può essere considerato indenne di malattia;

·         l’allegato 3 elenca i requisiti applicabili ai certificati veterinari;

·         l’allegato 5 elenca le decisioni per l'importazione di animali vivi, carni e prodotti a base di carne.

 

Si ricorda che l’art. 18 stabilisce il termine di recepimento della direttiva al 20 novembre 2005.

 


Direttiva 2004/107/CE

 

(Direttiva concernente l'arsenico, il cadmio, il mercurio, il nickel e gli idrocarburi policiclici aromatici nell'aria ambiente)

 

 

La direttiva 2004/107/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 dicembre 2004, concernente l'arsenico, il cadmio, il mercurio, il nickel e gli idrocarburi policiclici aromatici nell'aria ambiente, costituisce l'ultima fase del processo di riordino della normativa europea relativa alla valutazione ed alla gestione della qualità dell'aria ambiente, avviato con l'approvazione della direttiva quadro n. 96/62/CE[133].

Si ricorda che la direttiva quadro 96/62/CE in materia di valutazione e di gestione della qualità dell'aria ambiente definisce i principi base affinché gli Stati membri fissino gli obiettivi concernenti la qualità dell'aria ambiente (aria esterna della troposfera), i metodi e sistemi comuni di valutazione dell'aria e acquisiscano e diffondano informazioni sulla qualità dell'aria. In base alla stessa direttiva 96/62/CE Parlamento europeo e Consiglio Ue fissano i valori limite e soglie di allarme per: anidride solforosa; diossido di azoto ed ossidi di azoto; particelle e piombo; benzene e monossido di carbonio; ozono; idrocarburi policiclici aromatici (Pah), il cadmio, l'arsenico, il nickel ed il mercurio.

La nuova direttiva 2004/107/CE rafforza, pertanto, la disciplina antinquinamento dettata dalla direttiva 96/62/CE che su tali inquinanti impone solo un regime di sorveglianza.

Le misure previste dalla direttiva 2004/107/CE si inquadrano, inoltre, nell’ambito del Sesto programma comunitario di azione in materia di ambiente, adottato con decisione n. 1600/2002/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, che sancisce la necessità di ridurre l'inquinamento dell'aria ad un livello tale da ridurre al minimo gli effetti nocivi per la salute umana.

Nel terzo “Considerando..” della direttiva si legge che “Dai dati scientifici disponibili risulta che l'arsenico, il cadmio, il nickel e alcuni idrocarburi policiclici aromatici sono agenti cancerogeni umani genotossici e che non esiste una soglia identificabile al di sotto della quale queste sostanze non comportano un rischio per salute umana. L'impatto sulla salute umana e sull'ambiente è dovuto alle concentrazioni nell'aria ambiente e alla deposizione….

Pertanto, dato che le sostanze in oggetto sono agenti cancerogeni umani per i quali non può essere individuata alcuna soglia riguardo agli effetti dannosi sulla salute umana, la direttiva è finalizzata ad applicare il principio secondo il quale l'esposizione a tali inquinanti debba essere al livello più basso che si possa ragionevolmente raggiungere.

L’art. 1 della direttiva si pone quindi tra gli obiettivi da raggiungere, anche quello di fissare un valore obiettivo[134] per la concentrazione di arsenico, cadmio, nickel e benzo(a) pirene nell'aria ambiente, al fine di evitare, prevenire o ridurre gli effetti nocivi di tali inuinanti sulla salute umana e sull'ambiente nel suo complesso. Conseguentemente, il termine ultimo per la predisposizione delle misure necessarie per assicurare l'abbassamento delle concentrazione di tali inquinanti entro il valore obiettivo indicato all’allegato I, è fissato dall’art. 3 della direttiva, al 31 dicembre 2012.

 

Allegato I

 

Direttiva 2004/107/CE e inquinanti dell'aria, i nuovi valori obiettivo da raggiungere entro il 31 dicembre 2012

Inquinante

Valore obiettivo (1)

Arsenico

6 ng/m3

Cadmio

5 ng/m3

Nickel

20 ng/m3

Benzo(a)pirene

1 ng/m3

 

(1)Per il tenore totale della frazione Pm10 calcolata in media su un anno di calendario.

 

Sempre riguardo ai valori obiettivo, l’art. 3 prevede, inoltre, che gli Stati membri compilino un elenco delle zone in cui i livelli di inquinanti sono al di sotto di essi ed uno di quelle in cui tali valori (Allegato I) sono invece superati. Del superamento dei valori e delle fonti che lo provocano, gli Stati membri dovranno rendere conto, dimostrando che sono state prese comunque tutte le misure necessarie alla riduzione delle emissioni.

Ai sensi del successivo art. 4, il campionamento degli inquinanti è obbligatorio nelle zone e negli agglomerati dove questi superino la soglia di valutazione superiore, nonché dove tale valore sia intermedio alle soglie di valutazione superiore e inferiore. Tali soglie sono fissate nella sezione I dell'Allegato II. I criteri per il campionamento sono, invece, descritti nelle sezioni I e II dell'Allegato III, mentre i metodi di riferimento e l'analisi sono indicati nell'Allegato V. E' inoltre disposto che vi sia un numero minimo di punti di rilevamento per la misurazione di ciascun inquinante (sezione IV dell'Allegato III).

Sempre ai sensi dell’art. 4, per la valutazione del contributo del benzo(a)pirene nell'aria ambiente ogni Stato dovrà procedere al monitoraggio di altri idrocarburi policiclici aromatici significativi in un numero limitato di punti di rilevamento (par. 8). Viene, inoltre, disposto che - prescindendo dai livelli di concentrazione di tali inquinanti - ciascuno Stato provveda al loro monitoraggio minimo "di fondo" ogni 100.000 Km² e viene raccomandato il rilevamento del valore del mercurio bivalente particolato e gassoso. Le informazioni su tali rilevamenti dovranno essere trasmesse, annualmente, entro il 30 settembre dell'anno successivo e per la prima volta entro il 15 febbraio 2007 (par. 14).

Con le stesse cadenze temporali, ai sensi del successivo art. 5, gli Stati membri dovranno trasmettere alla Commissione UE (ed a partire dal 2007) tutte le informazioni relative a:

§         elenchi delle zone e degli agglomerati in questione;

§         aree di superamento;

§         valori di concentrazione valutati;

§         motivi del superamento, in particolare le fonti che vi contribuiscono;

§         popolazione esposta a tale superamento;

 

Vengono, quindi, previste adeguate forme di pubblicità (internet, stampa ed altri mezzi di informazione facilmente accessibili) sia dei dati trasmessi da parte della Commissione (art. 5, par. 3), sia dei dati sugli inquinanti, dando anche specificazione dei motivi dell'eventuale superamento dei valori obiettivo, da parte dei singoli Stati membri nei confronti della popolazione e delle organizzazioni interessate (art. 7).

Al fine di agevolare la revisione della direttiva stessa con i risultati più recenti della ricerca sugli effetti di tali agenti nocivi sulla salute umana e sull’ambiente, la Commissione UE, dovrà presentare al Parlamento europeo ed al Consiglio, entro il 31 dicembre 2010, una relazione che renda conto dell'esperienza acquisita nell'applicazione della direttiva stessa (art. 8).

E’ lasciata alla discrezionalità dei singoli Stati membri (art. 9) stabilire le sanzioni – che devono comunque essere efficaci, proporzionate e dissuasive - applicabili in caso di violazione delle disposizioni nazionali emanate in attuazione della direttiva e adottare le misure necessarie per garantirne l'applicazione.

La data ultima per il recepimento della direttiva è fissata al 15 febbraio 2007 (art. 10).

 

La direttiva contiene i seguenti allegati tecnici:

Allegato I: Valori obiettivo per l'arsenico, il cadmio, il nickel e il benzo(a)pirene;

Allegato II: Determinazione dei requisiti per la valutazione delle concentrazioni di arsenico, cadmio, nickel e benzo(a)pirene nell'aria ambiente in una zona o in un agglomerato;

Allegato III: Ubicazione e numero minimo dei punti di campionamento per la misura delle concentrazioni nell'aria ambiente e dei tassi di deposizione;

Allegato IV: Obiettivi di qualità dei dati e requisiti riguardanti i modelli di qualità dell'aria.


 

Direttiva 2004/114/CE

 

(Condizioni di ammissione dei cittadini di paesi terzi per motivi di studio, scambio di alunni, tirocinio non retribuito o volontariato)

La direttiva 2004/114/CE del 13 dicembre 2004[135] riguarda le condizioni e le procedure per l’ingresso e il soggiorno dei cittadini dei Paesi terzi, che si recano nel territorio degli Stati membri, per un periodo superiore ai tre mesi, per motivi di studio, scambio di alunni, tirocinio non retribuito o volontariato (art. 1).

Più precisamente la direttiva si applica a coloro che intendono fare ingresso in un Paese dell’Unione per motivi di studio, mentre è facoltà dei singoli Stati l’applicazione anche alle altre categorie contemplate nella direttiva, quali alunni, tirocinanti e volontari (art. 3).

Le categorie disciplinate dalla direttiva (art. 2) sono le seguenti:

§        studenti universitari, che entrano negli Stati membri per compiere studi superiori o professionali, compresi i corsi post-laurea;

§        alunni: studenti delle scuole superiori che sono stati ammessi a partecipare a programmi di scambi tra scuole;

§        tirocinanti non retribuiti: si tratta dei cittadini ammessi ad effettuare un periodo di formazione non retribuita;

§        volontari, che partecipano ad iniziative di tipo solidaristico, non retribuite, nell’ambito di un programma promosso da organizzazioni di volontariato senza fini di lucro.

Sono esplicitamente esclusi dall’ambito di applicazione della direttiva i richiedenti asilo, coloro che sono tutelati da forme di protezione sussidiaria e i residenti di lungo periodo.

 

La direttiva (art. 6) individua una serie di requisiti comuni a tutte le categorie sopra elencate, il cui possesso è necessario per l’ammissione in uno Stato membro, quali:

§         il possesso di un titolo di viaggio valido (è facoltà degli Stati membri di prescrivere un periodo di validità del viaggio almeno pari alla durata del soggiorno previsto);

§         l’autorizzazione dei genitori per i minorenni;

§         un’assicurazione per malattia;

§         una prova del pagamento delle tasse dovute per l’esame della domanda (facoltativo).

Un’ulteriore condizione consiste nel non essere considerato una minaccia per l’ordine e la sicurezza pubblica, o per la sanità pubblica.

Il punto 14 dei “Considerando.:” chiarisce che il rifiuto della domanda di ammissione deve essere debitamente giustificato. Per quanto riguarda, in particolare, il rifiuto opposto per motivi di sicurezza, esso deve basarsi “su una valutazione fattuale”. I motivi del rifiuto possono riguardare, per esempio, una condanna per aver commesso un grave reato, oppure la partecipazione ad una organizzazione che sostiene il terrorismo, ovvero l’aver “nutrito aspirazioni estremistiche”.

 

Oltre alle condizioni generali sopra indicate, la direttiva individua una serie di requisiti specifici per ciascuna categoria.

Per gli studenti universitari è richiesta l’accettazione da parte di un istituto di studi superiori per seguire un programma di studi (art. 7), quale, ad esempio, una lettera o un certificato di iscrizione (punto 12 dei “Considerando..”).

Il possesso di risorse sufficienti per il proprio sostentamento è una condizione richiesta sia per gli studenti, sia per i tirocinanti e i volontari. Per le medesime categorie, ciascun Paese membro potrà richiedere una conoscenza sufficiente della lingua (artt. 7, 10 e 11).

I tirocinanti devono aver stipulato una convenzione di formazione con una impresa pubblica o privata, o presso un istituto di formazione professionale riconosciuto (art. 10).

Anche i volontari sono ammessi sulla base di convenzioni stipulate con una organizzazione promotrice del programma di volontariato (art. 11).

 

Anche se lo scopo della direttiva è di agevolare l’ingresso di cittadini non comunitari esclusivamente per motivi di studio e riguarda migrazioni temporanee e indipendenti dalle condizioni del mercato del lavoro (punto 7 dei “Considerando..”), tuttavia è prevista la possibilità che gli studenti contribuiscano al proprio mantenimento, consentendo loro di accedere al mercato di lavoro (punto 18). Vengono, però, fissati limiti rigorosi al lavoro degli studenti, al fine di prevenire eventuali forme di abuso.

Viene, pertanto, sancito (art. 17) il diritto degli studenti di esercitare una attività economica, sia come lavoratore subordinato, sia autonomo. Tali attività devono essere esercitate al di fuori delle ore dedicate al programma di studi e con un limite temporale minimo di 10 ore la settima e un limite massimo (espresso in ore, giorni o mesi per anno), fissato da ciascun Paese.

Ogni Stato, inoltre, ha la facoltà di introdurre un’autorizzazione preventiva agli studenti e ai datori di lavoro se previsto dalla legislazione nazionale e di limitare l’accesso al lavoro nel primo anno di soggiorno.

La violazione dei limiti all’accesso al lavoro può comportare la revoca del permesso di soggiorno (art. 12).

 

Il possesso dei requisiti necessari per l’ammissione comporta il rilascio da parte delle autorità competenti di un permesso di soggiorno.

Per gli studenti il permesso di soggiorno deve essere della durata almeno pari ad un anno ed è rinnovabile (art. 12).

Per le altre categorie il permesso di soggiorno è rilasciato per una durata massima di un anno.

Le autorità nazionali possono revocare il permesso di soggiorno se esso è stato ottenuto illegalmente; se il titolare non risulta in possesso dei requisiti necessari; se emergono motivi di sicurezza o di ordine pubblico (art. 16).

Il limite temporale generalmente fissato ad un anno e la sottoposizione al rinnovo sono volte a favorire l’esercizio di un controllo rigoroso da parte degli Stati membri , anche al fine di prevenire una minaccia all’ordine pubblico.

Sono previste, d’altra parte, norme volte a tutelare l’interessato nella procedura di definizione della richiesta di ammissione. Prima fra tutte la possibilità di impugnare legalmente la decisione di rifiuto della domanda o di revoca del permesso di soggiorno (art. 18).

 

Il termine di recepimento della direttiva è il 12 gennaio 2007 (art. 22).

La disciplina comunitaria

L’accoglienza degli studenti stranieri presenta profili di interesse per le politiche comunitarie almeno sotto tre aspetti: immigrazione, politica estera e istruzione[136].

In primo luogo, la definizione di criteri comuni per l’ingresso e il soggiorno degli stranieri in generale è uno degli obiettivi della politica dell’immigrazione dell’Unione europea che prende le mosse dal Consiglio straordinario di Tampere dell’ottobre 1999.

L’articolo 63 del Trattato della Comunità europea (art. III-267 art. del Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa[137]) affida all’Unione il compito di stabilire misure comuni in materia di ingresso e soggiorno nonchè norme sul rilascio da parte degli Stati membri di visti e di titoli di soggiorno di lunga durata.

L’attuazione pratica di tale compito è stata conferita alla Commissione dal Consiglio europeo di Tampere (punto 20 delle Conclusioni) che “riconosce la necessità di un riavvicinamento delle legislazioni nazionali relative alle condizioni di ammissione e soggiorno dei cittadini dei paesi terzi”.

La Commissione ha sostanzialmente adempiuto a questo compito con la presentazione di un pacchetto di tre iniziative, che comprende la direttiva in esame. Le altre iniziative riguardano l’ingresso e soggiorno per motivi di lavoro subordinato e autonomo (ancora a livello di proposta[138]) e il ricongiungimento familiare (definitivamente approvata nel 2003[139]).

In secondo luogo, la politica estera dell’Unione europea è caratterizzata a un numero crescente di programmi di cooperazione con i Paesi in via di sviluppo. Tra questi, il programma Erasmus World che promuove la qualità dell’istruzione universitaria e la cooperazione con i Paesi terzi, con l’obiettivo di porre le basi per le relazioni future con i Paesi di provenienza degli studenti. L’Unione e gli Stati membri, pertanto, debbono favorire la mobilità ed accogliere gli studenti extraeuropei.

Inoltre, il riavvicinamento delle legislazioni nazionali in materia di ingresso e soggiorno degli studenti stranieri tende a favorire la mobilità di questi verso la comunità. Ciò è un elemento chiave della strategia volta a promuovere l’immagine dell’Europa quale centro mondiale di eccellenza per gli studi e la formazione professionale (cosidetta “strategia di Lisbona”).

 

Il Consiglio europeo di Lisbona del marzo 2000 ha definito una serie di azioni volte a far sì che entro il 2010 l’Unione europea consegua l’obiettivo di diventare l’economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo, in grado di realizzare una crescita economica sostenibile con nuovi e migliori posti di lavoro e una maggiore coesione sociale.

Gli obiettivi della strategia - rilanciati nella revisione intermedia della primavera 2005, che ha riorientato le priorità verso la crescita e l’occupazione - consistono in:

·         migliorare le politiche in materia di società dell’informazione e di ricerca e sviluppo tecnologico;

·         modernizzare il modello sociale europeo;

·         promuovere un contesto economico sano e prospettive di crescita favorevoli applicando un’adeguata combinazione di politiche macroeconomiche;

·         integrare pienamente la dimensione ambientale nelle politiche per lo sviluppo.

Il Consiglio europeo di Lisbona, inoltre, ha previsto che il Consiglio europeo si riunisca ogniprimavera,sulla base di una relazione annuale della Commissione, per valutare lo stato di attuazione della strategia.

La legislazione nazionale

I princìpi generali per l’accesso degli studenti stranieri ai corsi delle università italiane sono disciplinati dall’articolo 39 del testo unico approvato con d.lgs. 286/1998[140].

Viene sancita in via generale la parità di trattamento degli stranieri con i cittadini italiani per quanto riguarda l'accesso all'istruzione universitaria ed il diritto allo studio.

L'accesso alle università italiane degli studenti stranieri residenti all’estero viene, come del resto già accadeva prima dell’entrata in vigore del testo unico, contingentato nei limiti del numero massimo di visti d'ingresso e permessi di soggiorno determinato annualmente, sulla base delle disponibilità comunicate dalle università, con decreto del ministro degli affari esteri, di concerto con il ministro dell'università (oggi dell’istruzione, dell’università e della ricerca) e con il ministro dell’interno; sul relativo schema le competenti Commissioni parlamentari esprimono il proprio parere.

L’ultimo decreto di determinazione del contingente di studenti stranieri risulta adottato il 19 dicembre 2001[141] e fissa in 22.019 il numero massimo dei visti di ingresso per l’anno accademico 2001-2002.

Dopo alcuni anni (il 26 luglio 2005), il ministro degli affari esteri ha presentato alle Camere, per il prescritto parere, uno schema di decreto per l’anno accademico 2005-2006 che ha stabilito il numero di 40.268 visti; l’aumento considerevole della quota è da ricondurre probabilmente alla mancata emanazione dei decreti ministeriali annuali nei tre anni precedenti.[142].

Recentemente, il 25 luglio 2006, la Commissione affari costituzionali della Camera ha esaminato, esprimendosi favorevolmente, lo schema di decreto ministeriale relativo all’anno accademico 2006-2007[143], che porta a 41.351 unità la quota di visti di ingresso e di permessi di soggiorno che le ambasciate e i consolati italiani all’estero possono rilasciare a cittadini stranieri residenti all’estero per l’accesso ai corsi universitari presso le Università statali e non statali e fissa una quota di 5.777 visti e permessi di soggiorno per l’accesso alle istituzioni di alta formazione artistica, musicale e coreutica nazionali statali e non statali.

 

È in ogni caso consentito l'accesso ai corsi universitari a parità di condizioni con gli studenti italiani (e nei limiti delle disponibilità dei singoli atenei), agli stranieri regolarmente residenti[144]. Sono, inoltre, ammessi gli stranieri titolari di diplomi conseguiti nelle scuole italiane all’estero o nelle scuole oggetto di intese bilaterali.

Le università – nella loro autonomia e nei limiti delle loro disponibilità finanziarie – promuovono l'accesso degli stranieri ai corsi universitari, stipulando apposite intese con gli atenei stranieri per la mobilità studentesca ed organizzando attività di orientamento e di accoglienza e tenendo conto degli orientamenti comunitari in materia, con particolare riguardo all’inserimento di una quota di studenti universitari stranieri.

 

L’art. 46 del regolamento di attuazione del testo unico (approvato con il D.P.R. 31 agosto 1999, n. 394 e recentemente modificato con il D.P.R. 18 ottobre 2004, n. 334) stabilisce più dettagliatamente le modalità per la determinazione annuale del numero dei posti da destinare alla immatricolazione degli studenti stranieri ai corsi di studio universitari per l’anno successivo e per l’emanazione del decreto sui relativi visti di ingresso e permessi di soggiorno.

In particolare:

·         in applicazione della disciplina generale sull’accesso all’istruzione universitaria[145] e tenendo conto degli orientamenti comunitari in materia, i singoli atenei fissano, entro il 31 dicembre di ogni anno, il numero di posti che possono essere assegnati agli studenti stranieri nell’anno seguente;

·         sulla base dei dati forniti dalle università, il ministro degli esteri, di concerto con i ministri dell’università e dell’interno, emana il decreto con cui viene stabilito il numero massimo di visti d'ingresso e permessi di soggiorno per motivi di studio;

·         con un provvedimento successivo sono definiti gli adempimenti richiesti agli stranieri per il rilascio del visto di ingresso e del permesso di soggiorno per motivi di studio, anche con riferimento alla dimostrazione di disponibilità di mezzi sufficienti di sostentamento da parte dello studente straniero (per la determinazione di questi ultimi, sono considerati, oltre alle prestazioni di garanzia di copertura economica da parte di enti o cittadini italiani o stranieri regolarmente soggiornanti nel territorio dello Stato – per le quali si fa rinvio all’articolo 34 del regolamento – anche i mezzi dei quali lo studente straniero può fruire in quanto tale: borse di studio, prestiti d’onore, servizi abitativi, etc.).

I visti e i permessi di soggiorno per motivi di studio possono essere rinnovati subordinatamente al superamento di almeno un esame nel primo anno di corso e di almeno due nei successivi. Essi non possono essere comunque rilasciati per più di tre anni oltre la durata del corso di studio. In occasione del rinnovo gli interessati dovranno dimostrare di essere in possesso dei mezzi di sostentamento sufficienti. Ulteriori rinnovi del permesso di soggiorno sono concessi per la frequenza a corsi di specializzazione e dottorati di ricerca.

 

Le procedure per l’immatricolazione degli studenti stranieri ai corsi universitari sono definite periodicamente dal Ministro dell’università e della ricerca scientifica e tecnologica[146].

 

Oltre che per motivi di studio universitario, è consentito l’ingresso in Italia per coloro che intendano seguire corsi superiori tecnico-professionali e di studio di istruzione secondaria, per gli assegnatari di borse di studio, per gli scienziati, per chi intende seguire corsi di formazione professionale o svolgere tirocini formativi. (art. 44-bis del regolamento di attuazione aggiunto dal D.P.R. 334/2004).

Il Ministro del lavoro con proprio decreto fissa il contingente annuale di stranieri ammessi a frequentare corsi di formazione o periodi di tirocinio formativo.

 

Il permesso di soggiorno è rilasciato per i motivi e la durata indicati nel visto di ingresso (art. 11 del regolamento).

Il permesso di soggiorno per motivi di studio o formazione consente l’esercizio di un’attività lavorativa di tipo subordinato per un tempo non superiore a 20 ore a settimana, anche cumulabili, entro il limite di 1.040 ore annuali (art. 14, comma 4 del regolamento).

È consentita la conversione del permesso di soggiorno per motivi di studio o formazione, prima della scadenza, in permesso per motivi di lavoro, nei limiti delle quote annuali sui flussi, disciplinate dall’art. 3 del d.lgs. 286/1998 (art. 14, comma 5, del regolamento).

Con DM 12 luglio 2000 il Ministero degli affari esteri ha definito le tipologie dei visti d'ingresso e i requisiti per il loro rilascio. Il punto n. 16 dell’allegato del decreto disciplina i “visti per motivi di studio”. Tale visto è concesso, ai fini di un soggiorno di breve o lunga durata (rispettivamente inferiore o superiore a novanta giorni), ma a tempo determinato, agli stranieri che giungano in Italia per seguire corsi universitari o corsi di studio o di formazione professionale presso istituti riconosciuti o comunque qualificati, ovvero agli stranieri che siano stati chiamati a svolgere attività culturali e di ricerca. Il visto per studio è inoltre rilasciato, per il periodo necessario, agli stranieri, in possesso di diploma di laurea conseguito in una università italiana, per sostenere gli esami di abilitazione all’esercizio professionale.

I requisiti e le condizioni per l'ottenimento del visto sono:

§         documentate garanzie circa il corso di studio, formazione professionale o attività culturale da svolgere;

§         adeguate garanzie circa i mezzi di sostentamento, non inferiori all'importo richiesti in via generale per gli stranieri che intendono fare ingresso nel territorio nazionale[147];

§         polizza assicurativa per cure mediche e ricoveri ospedalieri, qualora lo straniero non abbia diritto all'assistenza sanitaria in Italia in virtù di accordi o convenzioni in vigore con il suo Paese;

§         età maggiore di anni 14.

 

Si ricorda infine che il decreto legge 14 marzo 2005, n. 35, Disposizioni urgenti nell’ambito del Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale[148], (art. 6, comma 12) stabilisce la costituzione del CIPE in Comitato per l'attrazione delle risorse in Italia, finalizzato al coordinamento e sviluppo delle iniziative per accrescere l'attrazione di investimenti e persone di alta qualifica in Italia. Con i commi seguenti si prevede che all'attuazione delle strategie e obiettivi generali provveda la società Sviluppo Italia[149].

 


Direttiva 2004/117/CE

 

(Modifica di direttive in materia di esami eseguiti sotto sorveglianza ufficiale e l’equivalenza delle sementi prodotte in paesi terzi)

 

 

La direttiva 2004/117/CE modifica cinque direttive in materia di commercializzazione e certificazione delle sementi (sementi di piante foraggere, di cereali, di barbabietole, di ortaggi, di piante oleaginose e da fibra). La direttiva, in particolare, interviene in materia di certificazione ufficiale del materiale, che era in precedenza ritenuta valida solo se la verifica del possesso dei requisiti richiesti era svolta in “sede di controlli ufficiali”. Le nuove disposizioni, prendendo atto dei positivi risultati conseguiti dall’applicazione di procedure semplificate in via sperimentale, ammettono che i controlli si svolgano “sotto sorveglianza ufficiale”.

A norma della direttiva 66/401/CE sulle piante foraggere, della direttiva 66/402/CE sui cereali, della direttiva 2002/54/CE sulle barbabietole, della direttiva 2002/55/CE sugli ortaggi e della direttiva 2002/57/CE sulle piante oleaginose e da fibra, la certificazione delle sementi presume l’espletamento di controlli da parte dell’autorità ufficiale, effettuati su campioni di sementi prelevati ufficialmente ai fini dei controlli medesimi.

Nel periodo 1998-2003, sulla base della decisione 98/320/CE[150], è stato effettuato un esperimento temporaneo sul campionamento e il controllo delle sementi sulla base della normativa comunitaria in materia di commercializzazione delle sementi. Diversi Stati membri hanno partecipato all’esperimento, il cui scopo era valutare se il campionamento e il controllo delle sementi eseguiti sotto sorveglianza ufficiale potessero costituire migliori alternative rispetto alle procedure per la certificazione ufficiale delle sementi, senza che ne derivasse un calo significativo della qualità delle sementi stesse. Dai risultati è emerso che:

·       a determinate condizioni, era possibile semplificare le procedure relative alla certificazione ufficiale delle sementi senza avere un calo significativo della qualità delle sementi stesse rispetto a quella ottenuta nell’ambito del sistema di campionamento e di controllo ufficiale delle sementi;

·       era possibile estendere le ispezioni in campo sotto sorveglianza ufficiale a tutte le colture destinate alla produzione di sementi certificate;

·       era possibile ridurre la parte delle superfici da sottoporre al controllo e all’ispezione degli ispettori ufficiali.

La direttiva 2004/117/CE in esame - secondo una valutazione dettagliata delle procedure di certificazione relative alle ispezioni in campo sotto sorveglianza ufficiale introdotte dalla direttiva 98/96/CE del 14 dicembre 1998 - prende atto che le ispezioni in campo sotto sorveglianza ufficiale devono essere estese a tutte le colture destinate alla produzione di sementi certificate e che la parte delle superfici da sottoporre al controllo e all’ispezione degli ispettori ufficiali può essere ridotta.

Prima dell'adozione della suddetta direttiva 2004/117 il campo d’applicazione della “equivalenza” delle sementi dell’UE rispetto alle sementi raccolte in paesi terzi era limitato ad alcune categorie di sementi. Considerato che nel frattempo sono state adottate norme applicabili alle sementi destinate al commercio internazionale, il regime di equivalenza è stato esteso a tutti i diversi tipi di sementi conformi alle caratteristiche e ai requisiti in materia di esame stabiliti nelle varie direttive della Commissione sulla commercializzazione delle sementi (66/401/CEE, 66/402/CEE, 200/54/CE, 2002/55/CE e 2002/57/CE).

Scopo della direttiva quindi è apportare le modifiche alle direttive su citate in modo da adeguarle tenendo conto delle conclusioni tratte dai risultati della sperimentazione suddetta, in particolare prevedendo:

·       l’introduzione dell’esame sotto sorveglianza ufficiale per le varie categorie di sementi;

·       la definizione dell’esame sotto sorveglianza ufficiale (ispezione in campo o controllo eseguito in un laboratorio di controllo autorizzato dall’organismo nazionale responsabile in materia di certificazione delle sementi);

·       che il prelevamento dei campioni per la certificazione possa essere effettuato ufficialmente o sotto sorveglianza ufficiale. Vengono specificate le modalità di campionamento sotto controllo ufficiale (qualifiche dei campionatori, controllo delle pratiche di campionamento e norme in materia di sanzioni);

·       l'estensione del principio dell’equivalenza delle sementi comunitarie rispetto a quelle dei paesi terzi a tutti i tipi di sementi in essi raccolti, purché conformi alle caratteristiche, ai requisiti in materia di esame e alle condizioni di cui alle direttive.

 

Il termine previsto dalla direttiva per conformarsi alle disposizioni in essa contenute era il 1° ottobre 2005.

 


Direttiva 2005/1/CE

 

(Istituzione di una nuova struttura organizzativa per i comitati del settore dei servizi finanziari)

 

 

La direttiva n. 2005/1/CE, allo scopo di organizzare una nuova struttura per i comitati del settore dei servizi finanziari, apporta modifiche ad alcune precedenti direttive[151] adottate in materia per la realizzazione e il completamento di un mercato finanziario unico europeo.

Le direttive richiamate erano già state emendate dalla direttiva 2002/87/CE (recepita nel nostro ordinamento con il d.lgs. 30 maggio 2005, n. 142), relativa alla vigilanza supplementare sugli enti creditizi, sulle imprese di assicurazione e sulle imprese di investimento appartenenti ad un conglomerato finanziario.

La direttiva 2005/1/CE, invece, modifica la struttura organizzativa dei comitati mantenendo fermi i poteri ad essi già attribuiti.

Nelle riunioni del Consiglio europeo di Lisbona, nel marzo 2000, e di Stoccolma, nel marzo 2001, i capi di Stato e di governo europei avevano sollecitato l'attuazione integrale del piano d'azione entro il 2005, accogliendo favorevolmente la relazione del comitato dei saggi.

La direttiva 2005/1/CE, quindi, fa parte di un complesso di misure adottate dalla Commissione per dare attuazione alla raccomandazione del Consiglio sulla regolamentazione, la vigilanza e la stabilità finanziarie, volte ad estendere la cosiddetta "procedura Lamfalussy" per la regolamentazione finanziaria dal settore dei valori mobiliari ai settori bancario, assicurativo, delle pensioni aziendali e professionali e dei fondi di investimento (OICVM). Tale riforma prevede un sistema regolamentare articolato su quattro livelli[152], in osservanza del quale la Commissione, con decisione 2001/527/CE del 6 giugno 2001, ha istituito il Comitato delle autorità europee di regolamentazione dei valori mobiliari (CESR) e, con decisione 2001/528/CE del 6 giugno 2001, ha istituito il Comitato europeo dei valori mobiliari (ESC).

La direttiva qui illustrata istituisce due nuovi comitati di secondo livello e precisamente il Comitato bancario europeo (EBC) e il Comitato europeo delle assicurazioni e delle pensioni aziendali o professionali (EIOPC), che esercitano, nei riguardi della Commissione – così come l'ESC nel settore dei valori mobiliari e il FCC per le questioni relative ai conglomerati finanziari –, funzioni consultive sulle questioni politiche e sulle proposte della stessa Commissione nei settori bancario e assicurativo. La direttiva, inoltre, trasferisce al Comitato europeo dei valori mobiliari le attuali responsabilità del comitato di contatto OICVM per i lavori del terzo livello; il Comitato bancario europeo assume la maggior parte delle funzioni del comitato consultivo bancario.

 

Il Capo I della direttiva reca modifiche alle direttive 93/6/CEE, 94/19/CE e 2000/12/CE, relative al settore bancario.

 

Gli articoli 1 e 2 modificano le direttive 93/6/CEE (adeguatezza patrimoniale) e 94/19/CE (sistemi di garanzia di depositi), eliminando la doppia notifica e sostituendo i riferimenti al "comitato consultivo bancario" con i riferimenti al "Comitato bancario europeo".

L'articolo 3 modifica gli articoli 2 (par. 4 e 5), 4, 22 (par. 9 e 10), 23 (par. 1), 24 (par. 2), 25 (par. 3), 49 (par. 2), 52 (par. 9, 56, 60), 64 (par. 2 e 6) della direttiva 2000/12/CE e ne abroga il titolo VI.

Viene introdotta una procedura per modificare l'elenco degli enti creditizi permanentemente esclusi dal campo di applicazione delle direttiva, nonché una procedura per riesaminare le norme applicabili agli enti creditizi esclusi in considerazione del loro collegamento con un organismo centrale.

È inoltre eliminato l'obbligo, a carico della Commissione, di presentare ogni due anni un rapporto al comitato consultivo bancario sui casi di revoca delle autorizzazioni da parte delle autorità competenti degli Stati membri, nonché l'obbligo di presentare ogni due anni una relazione al comitato bancario sul rifiuto di autorizzazione da parte delle autorità competenti degli Stati membri d'origine.

Vengono soppressi i riferimenti al comitato consultivo bancario nelle disposizioni che riguardano la comunicazione alla Commissione circa le autorizzazioni rilasciate dagli Stati membri relativamente all’inizio dell’attività degli enti creditizi e allo stabilimento o all’acquisizione di partecipazioni da parte di enti creditizi extracomunitari (articolo 4 e 23, par. 1).

Negli articoli 24, par. 2, e 49, par.2, le parole: "comitato consultivo bancario" sono sostituite da: "comitato bancario europeo": pertanto le autorità competenti notificano alla Comunità e al comitato bancario europeo le autorizzazioni per succursali accordate agli enti creditizi, aventi la sede sociale fuori della Comunità, e gli Stati membri informano la Commissione e il comitato bancario europeo delle misure o procedure per la concessione dei fidi.

La modifica apportata all'articolo 25, par. 3, stabilisce che la Commissione è assistita dal comitato bancario europeo nell’esame del risultato dei negoziati circa le modalità di applicazione della vigilanza con base consolidata agli enti creditizi.

La modifica all'articolo 52, par. 9,elimina, invece, l'obbligo di notificare la delega delle responsabilità di vigilanza di talune imprese figlie al comitato bancario europeo, stabilendo che l'autorità competente interessata notifichi l'informazione alle autorità competenti degli altri Stati membri.

Infine, con la modificazione apportata al secondo comma dell'articolo 56-bis[153], in relazione agli enti creditizi la cui impresa madre sia un ente creditizio, si stabilisce che l’emanazione di indicazioni generali riguardo ai regimi di vigilanza da parte del Comitato bancario avvenga su richiesta della Commissione.

Viene infine abrogato il titolo VIdella direttiva 2000/12/CE, i cui articoli da 57 a 59 stabilivano l'istituzione del comitato consultivo bancario assegnando ad esso funzioni consultive, ora attribuite al Comitato bancario europeo.

 

Si ricorda che il comitato bancario europeo è stato istituito con decisione 2004/10/CE della Commissione quale organo consultivo incaricato di assistere la Commissione nell'elaborazione della legislazione bancaria comunitaria.

 

Il Comitato bancario europeo adotta il proprio regolamento interno.

 

Il Capo II reca modifiche alle direttive 73/239/CEE, 91/675/CEE, 92/49/CEE e 2002/83/CE, relative alle assicurazioni e alle pensioni aziendali o professionali.

 

L'articolo 4 sostituisce gli articoli 29-bis (par. 1) e 29-ter (par. 4) della direttiva 73/239/CEE. Tali articoli erano stati inseriti dalla direttiva 90/618/CEE e riguardano le norme applicabili alle imprese di assicurazione comunitarie figlie di imprese madri soggette alla legislazione di un paese terzo e alle acquisizioni di partecipazioni da parte di siffatte imprese madri: è previsto che le autorità competenti degli Stati membri informino la Commissione e le autorità competenti degli altri Stati membri delle relative autorizzazioni e acquisizioni. Qualora la Commissione constati che in un paese terzo le imprese di assicurazione comunitarie non fruiscono del trattamento nazionale atto a offrire loro le stesse possibilità di concorrenza, può decidere, oltre l'avvio dei negoziati, che le autorità competenti degli Stati membri limitino o sospendano le loro decisioni nei confronti delle domande di autorizzazione o di acquisizione di partecipazioni. Il testo riformulato espunge i riferimenti al comitato per le assicurazioni.

L'articolo 5 interviene sulla direttiva 91/675/CEE sostituendo, nel titolo, le parole: "comitato delle assicurazioni" con: "comitato europeo delle assicurazioni e delle pensioni aziendali o professionali", apportando modifiche agli articoli 1 e 2 e abrogando gli articoli 3 e 4 (riguardanti i compiti e l’entrata in funzione del comitato delle assicurazioni). Le modifiche riguardano la disciplina e il funzionamento del Comitato europeo delle assicurazioni e delle pensioni aziendali o professionali (EIOPC), istituito dalla decisione 2004/9/CE con compiti consultivi nei riguardi della Commissione; si prevede fra l’altro che partecipi alle riunioni di esso in qualità di osservatore il presidente del Comitato delle autorità europee di vigilanza delle assicurazioni e delle pensioni aziendali o professionali (CEIOPS), istituito dalla decisione 2004/8/CE della Commissione, al fine di garantire un collegamento efficace tra i due comitati.

Inoltre il Comitato europeo delle assicurazioni e delle pensioni aziendali o professionali assiste la Commissione nell'esercizio delle sue competenze di esecuzione in materia di assicurazione e di pensioni aziendali e professionali; per l'esercizio di tali competenze esecutive si applicano le modalità previste dagli articoli 5 e 7 della decisione 1999/468/CE.

Il Comitato adotta il proprio regolamento interno; i compiti di segreteria sono svolti dai servizi della Commissione.

L'articolo 6 apporta modifiche all'articolo 40, par. 10, della direttiva 92/49/CEE, prevedendo la sostituzione dell'obbligo, a carico della Commissione, di presentare una relazione con quello di informare il Comitato europeo delle assicurazioni e delle pensioni aziendali o professionali del numero e del tipo dei casi di diniego di autorizzazione o di misure sanzionatorie nei riguardi di imprese operanti in regime di stabilimento o di libera prestazione dei servizi.

L'articolo 7 modifica gli articoli 10-bis, par. 3, e 11, par. 5, della direttiva 98/78/CE, sostituendo, nel primo caso, ed eliminando, nel secondo, il riferimento al comitato delle assicurazioni.

L'articolo 8 si riferisce alla direttiva 2002/83/CE, modificandone gli articoli 46, par. 9, 58 e 65, par. 1. Sostituisce l'obbligo, a carico della Commissione, di presentare una relazione con quello di informare il Comitato europeo delle assicurazioni e delle pensioni aziendali o professionali del numero e del tipo dei casi di diniego di autorizzazione o di misure sanzionatorie nei riguardi di imprese operanti in regime di stabilimento o di libera prestazione dei servizi. Sostituisce, inoltre, l'articolo relativo alle informazioni che devono essere fornite relativamente ad ogni autorizzazione concessa a un’impresa figlia, diretta o indiretta, di una o più imprese madri disciplinate dal diritto di un paese terzo e ad ogni acquisizione, da parte di siffatta impresa madre, di una partecipazione in un'impresa di assicurazione della Comunità atta a rendere quest'ultima sua impresa figlia. Si prevede che tali informazioni debbano essere fornite dagli Stati membri, oltre che alla Commissione, alle autorità competenti degli altri Stati membri; viene invece soppresso l’obbligo di comunicazione di tali informazioni al comitato delle assicurazioni da parte della Commissione.

Con la modificazione recata all’articolo 65, il compito di assistere la Commissione è trasferito al Comitato europeo delle assicurazioni e delle pensioni aziendali, istituito dalla decisione 2004/9/CE della Commissione.

 

Il Capo III reca modifiche alle direttive 85/611/CEE e 2001/34/CE, in tema di valori mobiliari.

L'articolo 9 apporta diverse modifiche tecniche agli articoli 6-quater, 14 (par. 6), 21 (par. 4), 53, 53-bis e 53-ter della direttiva 85/611/CE per allinearla alle norme istituzionali.

Questa direttiva del Consiglio, concernente il coordinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative in materia di taluni organismi d'investimento collettivo in valori mobiliari (OICVM), aveva istituito il comitato di contatto OICVM che esercitava, dapprima, funzioni consultive e, successivamente, incarichi di collaborazione con la Commissione nell'esercizio delle competenze di esecuzione conferitele dalla direttiva 2001/108/CE, che apportava modifiche nel settore degli investimenti OICVM.

L’articolo qui illustrato, inoltre, sostituisce il titolo della sezione X per precisare che il comitato competente in queste materie è il Comitato europeo dei valori mobiliari, istituito dalla decisione 2001/528/CE, che viene designato come nuovo "comitato" competente in materia di OICVM. Questa disposizione prevede altresì che le funzioni del comitato per l’assistenza della Commissione nell'esercizio delle sue competenze di esecuzione nel settore degli OICVM saranno esercitate secondo la procedura prevista dagli articoli 5 e 7 della decisione 1999/468/CE.

L'articolo 10 interviene sulla direttiva 2001/34/CE abrogandone l'articolo 108, che regolava la composizione, le competenze e il funzionamento del comitato di contatto, e stabilendo, con l'articolo 109 modificato, che il progetto di misure da adottare per adeguare l’importo minimo per la prevedibile capitalizzazione di borsa, sia sottoposto dalla Commissione al Comitato europeo dei valori mobiliari.

 

Il Capo IV modifica la direttiva 2002/87/CE, recante norme in tema di vigilanza sui conglomerati finanziari.

 

L'articolo 11, novellando il paragrafo 2 della citata direttiva, stabilisce che, nell’esaminare il risultato della negoziazione di accordi con paesi terzi circa le modalità di esercizio della vigilanza supplementare sulle imprese regolamentate appartenenti ad un conglomerato finanziario e la situazione che ne deriva, la Commissione sia assistita dal Comitato bancario europeo, dal Comitato europeo delle assicurazioni e delle pensioni aziendali o professionali e dal Comitato per i conglomerati finanziari.

 

Fra le disposizioni finali del Capo V si segnala che il termine per il recepimento della direttiva da parte degli Stati membri è stabilito nel 13 maggio 2005.


Direttiva 2005/29/CE

 

(Pratiche commerciali sleali tra imprese e

consumatori nel mercato interno)

 

 

La direttiva 2005/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio dell’11 maggio 2005, relativa alle pratiche commerciali sleali delle imprese nei confronti dei consumatori nel mercato interno, è stata adottata sulla base dell’articolo 153, paragrafi 1 e 3, lettera a), del Trattato UE, che include tra i compiti fondamentali della Comunità il conseguimento di un livello elevato di protezione dei consumatori. Il provvedimento è inteso ad introdurre un regime di norme armonizzate che vietino le suddette pratiche, uniformando le differenti legislazioni e gli indirizzi giurisprudenziali nazionali, che attualmente disciplinano la materia nei singoli ordinamenti, e contribuendo, in tal modo, anche al corretto funzionamento del mercato interno.

Una prima forma di tutela per i consumatori era stata già approntata dal legislatore europeo con la direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, con cui aveva inteso contribuire alla instaurazione progressiva del mercato unico senza frontiere interne. Tuttavia, detta normativa, in considerazione delle notevoli differenze esistenti nelle legislazioni degli Stati membri, si proponeva di realizzare soltanto un livello minimale di tutela.

Con la direttiva 2005/29/CE il legislatore comunitario non si è limitato ad un’armonizzazione minima, ma ha operato, invece, sul diverso piano del ravvicinamento delle legislazioni per ottenere un’armonizzazione completa delle normative nazionali, facendo in modo che dall’elevata convergenza conseguita mediante il ravvicinamento derivi un elevato livello di tutela dei consumatori.

La direttiva è volta pertanto al ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri sulle pratiche commerciali sleali, compresa la pubblicità, che ledono direttamente gli interessi economici dei consumatori e indirettamente gli interessi economici dei concorrenti legittimi.

 

Campo d'applicazione

Rientrano nel campo di applicazione della direttiva tutte le pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori, come stabilite nel successivo articolo 5, poste in essere prima, durante e dopo un’operazione commerciale relativa ad un prodotto.

La direttiva non pregiudica l’applicazione del diritto contrattuale, e in particolare delle norme sulla formazione, validità o efficacia di un contratto (articolo 1, paragrafi 1 e 2). Inoltre, in coerenza con il più generale principio di specialità, in caso di contrasto tra le disposizioni della direttiva e altre norme comunitarie che disciplinano aspetti specifici delle pratiche commerciali sleali, prevalgono queste ultime (articolo 1, paragrafo 4).

 

Criteri generali

La direttiva, volta ad armonizzare interamente la normativa vigente in questo settore, sancisce, a tal fine, un divieto di ordine generale delle pratiche commerciali sleali, cui si accompagna la definizione dei criteri generali per determinare se una pratica commerciale sia sleale, al fine di stabilire un ventaglio limitato di pratiche disoneste vietate in tutta l'UE.

Secondo il meccanismo introdotto dall’articolo 5 della direttiva, una pratica commerciale può essere qualificata come “sleale” nel caso di concorrenza di due differenti circostanze:

§         contrarietà della pratica alle norme di diligenza professionale;

§         falsità o idoneità della pratica a falsare sostanzialmente il comportamento del consumatore medio o del membro medio di un gruppo, qualora la pratica sia diretta ad un gruppo i consumatori.

Al fine di valutare l’idoneità delle pratiche commerciali in questione ad operare il condizionamento del consumatore, occorre aver riguardo alla nozione di consumatore medio, che è normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto, tenendo conto di fattori sociali, culturali e linguistici, secondo l’interpretazione della Corte di giustizia (“Considerando..” n. 18).

In riferimento ai gruppi di consumatori che, per le loro caratteristiche, quali età, infermità fisica o mentale o ingenuità, risultano particolarmente vulnerabili alle pratiche commerciali sleali o al prodotto cui queste si riferiscono (cosiddetti gruppi sensibili), si dovrà fare riferimento all’ottica del membro medio del gruppo (articolo 5, paragrafo 3).

 

Pratiche ingannevoli e pratiche aggressive

Al fine di assicurare una maggiore certezza del diritto, la direttiva definisce dettagliatamente due categorie fondamentali di pratiche commerciali sleali:

a) pratiche ingannevoli, di cui agli articoli 6 e 7;

b) pratiche aggressive, di cui agli articoli 8 e 9.

Viene considerata “ingannevole” una pratica commerciale contenente informazioni falsee che, pertanto, non sia veritiera o che in qualsiasi modo, anche nella sua presentazione complessiva, inganni o possa ingannare il consumatore medio - anche se l’informazione è di fatto corretta - riguardo a uno o più degli elementi rilevanti indicati (esistenza, natura o caratteristiche del prodotto, prezzo, diritti del consumatore, ecc.) e che in ogni caso lo induca, o sia idonea a indurlo, ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso.

Sono inoltre vietate le “omissioni ingannevoli”, che ricorrono nel caso in cui si omettano informazioni rilevanti di cui il consumatore medio ha bisogno in tale contesto per prendere una decisione consapevole di natura commerciale, inducendo in tal modo il consumatore medio ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso (art. 7).

Sono definite “aggressive” (art. 8) le pratiche commerciali che, nella fattispecie concreta, tenuto conto di tutte le caratteristiche e circostanze del caso, mediante molestie, coercizione, compreso il ricorso alla forza fisica, o indebito condizionamento, limitino o siano idonee a limitare considerevolmente la libertà di scelta o di comportamento del consumatore medio in relazione al prodotto e, pertanto, lo inducano, o siano idonee ad indurlo, ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso.

L’articolo 9 indica gli elementi indiziari volti a verificare se una pratica commerciale comporti molestie, coercizione, compreso il ricorso alla forza fisica, o un indebito condizionamento.

 

Controlli e sanzioni

La direttiva prevede la possibilità di ricorso ad organismi di controllo delle pratiche commerciali sleali, ricorso che, comunque, non è mai considerato equivalente alla rinuncia agli strumenti di ricorso giudiziario o amministrativo previsti dall'articolo 11.

Ai sensi dell’articolo 13 della direttiva gli Stati membri sono tenuti a determinare le sanzioni da irrogare in caso di violazione delle disposizioni nazionali adottate in applicazione della direttiva medesima e ad adottare tutti i provvedimenti necessari per garantirne l’applicazione. Le sanzioni, in particolare, devono essere effettive, proporzionate e dissuasive.

 

Modifiche di norme comunitarie

Allo scopo di garantire un rapporto coerente con il diritto comunitario esistente, la direttiva 2005/29/CE modifica la direttiva 84/450/CEE, in materia di pubblicità ingannevole e comparativa, la direttiva 97/7/CE, riguardante la protezione dei consumatori in materia di contratti a distanza, la direttiva 98/27/CE, relativa a provvedimenti inibitori a tutela degli interessi dei consumatori, la direttiva 2002/65/CE, in materia di commercializzazione a distanza di servizi finanziari ai consumatori, e il regolamento (CE) n. 2006/2004, relativo alla cooperazione tra autorità nazionali per la tutela dei consumatori.

 

Allegato I

Nell'Allegato Idella direttiva è riportato l'elenco completo dei comportamenti commerciali sleali vietati in tutta l'UE in ogni circostanza; una sorta di « lista nera » delle pratiche commerciali sleali.

A titolo di esempio, sono considerate in ogni caso pratiche commerciali ingannevoli quelle che consistono: nell’affermazione, da parte di un professionista, di essere firmatario di un codice di condotta, ove egli non lo sia; nell’affermare o generare comunque l’impressione che la vendita del prodotto è lecita, ove non lo sia; nel descrivere un prodotto come gratuito, senza oneri o simili, se il consumatore deve pagare un sovrappiù rispetto all’inevitabile costo di rispondere alla pratica commerciale e ritirare o farsi recapitare l’articolo. Allo stesso modo, a titolo di esempio, sono considerate in ogni caso pratiche commerciali aggressive quelle che consistono: nel creare l’impressione che il consumatore non possa lasciare i locali commerciali fino alla conclusione del contratto; nell’informare esplicitamente il consumatore che se non acquista il prodotto o servizio sarà in pericolo il lavoro o la sussistenza del professionista; nel dare la falsa impressione che il consumatore abbia già vinto, o vincerà, compiendo una determinata azione, un premio o una vincita equivalente, mentre in effetti: a) non esiste alcun premio né vincita equivalente, oppure b) qualsiasi azione volta a reclamare il premio o altra vincita equivalente è subordinata al versamento di denaro o al sostenimento di costi da parte del consumatore.

 

Tra le pratiche commerciali considerate in ogni caso sleali e dunque vietate rientra l’avvio, la gestione o la promozione di un sistema promozionale a carattere piramidale nel quale il consumatore “fornisce un contributo a fronte dell’opportunità di ricevere un corrispettivo derivante principalmente dall’entrata di altri consumatori nel sistema  piuttosto che dalla vendita o dal consumo di prodotti” (punto 14).

 

 

Entrata in vigore e recepimento

La data di entrata in vigore della direttiva è fissata al 12 giugno 2005.

Gli Stati membri dovranno conformarsi alla direttiva 2005/29/CE entro il 12 giugno 2007 e dovranno applicare le disposizioni entro il 12 dicembre 2007.

 


Direttiva 2005/50/CE

 

(Riclassificazione delle protesi articolari dell'anca, del ginocchio e della spalla)

 

 

La direttiva 2005/50/CE determina una riclassificazione delle protesi articolari dell'anca, del ginocchio e della spalla, in deroga a quanto stabilito dalla direttiva 93/42/CEE, recepita nel nostro ordinamento con il d.lgs. n. 46 del 1997 [154].

Si ricorda che la presente direttiva trae origine da una richiesta avanzata da Francia e Regno Unito volta a garantire un’accurata valutazione di tali protesi prima della loro immissione in commercio.

 

La direttiva, entrata in vigore il 1° settembre 2005, è costituita da 6 articoli. In particolare:

-            l’art. 1 dispone la riclassificazione di tali protesi nella classe III[155]

-            l’art. 2 precisa le caratteristiche necessarie per individuare le citate protesi[156];

-            l’art. 3 reca disposizioni dettagliate riguardo a modalità e tempi a cui i fabbricanti di protesi debbono attenersi per effettuare le  procedure relative alla dichiarazione di conformità CE (sistema di garanzia della qualità) al fine di ottenere la certificazione idonea al commercio delle stesse protesi, secondo quanto stabilito dalla direttiva 93/42/CEE; è prevista inoltre una fase transitoria entro cui gli Stati membri sono tenuti ad accettare l'immissione in commercio delle protesi variamente classificate;

-            l’art. 4 dispone che gli Stati membri recepiscano la direttiva entro il 1° marzo 2007 ai fini di una loro applicazione a decorrere dal 1° settembre 2007.


Allegato B

 


Direttiva 1998/44/CE

 

(Protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche)

 

 

La direttiva 98/44/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 6 luglio 1998 istituisce una cornice normativa che ha per principale obiettivo quello di distinguere ciò che è brevettabile da ciò che non lo è; in particolare, viene sancito che le scoperte, come pure il corpo umano nelle varie fasi di costituzione e di sviluppo, non possono essere considerati invenzioni brevettabili, come non possono essere considerati tali i procedimenti di clonazione dell'essere umano e quelli che modificano l'identità genetica germinale dell'uomo e l'utilizzazione di embrioni umani a fini industriali o commerciali.

Gli Stati membri devono vigilare a che la loro legislazione brevettuale sia conforme alle disposizioni della direttiva, che stabilisce chiaramente la brevettabilità del materiale biologico, definisce il campo d'applicazione della protezione delle invenzioni biotecnologiche brevettate, tratta delle licenze obbligatorie dipendenti, in materia di diritti su novità vegetali e brevetti di invenzioni biotecnologiche, e disciplina il deposito, l'accesso e il nuovo deposito del materiale biologico, che non può essere descritto in una domanda di brevetto.

Sono brevettabili le nuove invenzioni che implicano un'attività inventiva e suscettibili di applicazione industriale, anche se contengono o hanno come oggetto un prodotto consistente in materiale biologico (intendendosi per tale il materiale contenente informazioni genetiche che possa autoriprodursi o sia riproducibile in un sistema biologico). Può essere oggetto di invenzione anche un materiale biologico isolato dal proprio ambiente naturale o prodotto tramite un procedimento tecnico.

Non sono per contro brevettabili le varietà vegetali e le razze animali, i procedimenti essenzialmente biologici miranti alla produzione di vegetali o di animali, come l'incrocio o la selezione.

Non sono invenzioni brevettabili né il corpo umano, né la mera scoperta di uno dei suoi elementi (compresa la sequenza o la sequenza parziale di un gene). Per contro, un elemento isolato dal corpo umano o diversamente prodotto a mezzo procedimento tecnico, compresa la sequenza o la sequenza parziale di un gene, può costituire invenzione brevettabile.

Sono escluse dalla brevettabilità le invenzioni il cui sfruttamento commerciale è contrario all'ordine pubblico o al buon costume, e in particolare:

·         i procedimenti di clonazione di esseri umani;

·         i procedimenti di modificazione dell'entità genetica germinale dell'essere umano;

·         le utilizzazioni di embrioni umani a fini industriali o commerciali;

·         i procedimenti di modificazione delle entità genetiche degli animali atti a provocare su di loro sofferenze senza utilità medica sostanziale per l'uomo o per l'animale, nonché gli animali risultanti da tali procedimenti.

Per la valutazione di tutti gli aspetti etici connessi alla biotecnologia è competente il Gruppo europeo per l'etica delle scienze e delle nuove tecnologie della Commissione.

La protezione attribuita da un brevetto relativo ad un materiale biologico dotato, in seguito all'invenzione, di determinate proprietà si estende a tutti i materiali biologici da esso derivati mediante riproduzione o moltiplicazione in forma identica o differenziata e dotati delle stesse proprietà.

La protezione brevettuale di un prodotto contenente o consistente in un'informazione genetica si estende a qualsiasi materiale nel quale il prodotto è incorporato.

La protezione di cui ai punti 8 e 9 (articoli 8 e 9 della direttiva) non si estende:

·         al materiale biologico ottenuto mediante riproduzione o moltiplicazione di materiale biologico commercializzato nel territorio di uno Stato membro dal titolare del brevetto o con il suo consenso, purché il materiale ottenuto non venga utilizzato successivamente per altre riproduzioni o moltiplicazioni;

·         al materiale di riproduzione vegetale o agli animali di allevamento venduti, dal titolare del brevetto o col suo consenso, ad un agricoltore a condizione che quest'ultimo utilizzi gli animali o del materiale vegetale per l'esercizio della propria attività agricola.

La direttiva stabilisce anche le modalità per il rilascio di licenze obbligatorie per dipendenza tra la privativa su un ritrovato vegetale ed un precedente brevetto, e fissa le modalità del deposito delle invenzioni biotecnologiche.

La trasparenza nel monitoraggio della direttiva è garantita dall'obbligo che incombe alla Commissione di trasmettere al Parlamento europeo ed al Consiglio le seguenti relazioni periodiche:

·         ogni cinque anni, a decorrere dalla data fissata per l'attuazione della direttiva nell'ordinamento degli Stati membri [30 luglio 2000], una relazione sugli eventuali problemi sollevati dalla direttiva in relazione ad accordi internazionali sulla tutela dei diritti dell'uomo cui gli Stati membri abbiano aderito;

·         ogni due anni a decorrere dall'entrata in vigore della direttiva, una relazione intesa a valutare le incidenze che la mancata pubblicazione o la pubblicazione tardiva di documenti brevettabili potrebbero avere nel campo della ricerca di base di ingegneria genetica;

·         ogni anno, a decorrere dalla data fissata per l'attuazione della direttiva nell'ordinamento degli Stati membri, una relazione sugli sviluppi e sulle implicazioni del diritto dei brevetti nel campo della biotecnologia e dell'ingegneria genetica.

 

La direttiva è stata recepitanell'ordinamento interno con il decreto legge 10 gennaio 2006, n. 3, recante “Attuazione della direttiva 98/44/CE in materia di protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche“, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 febbraio 2006, n. 78[157].

Il provvedimento d’urgenza si è reso necessario in esecuzione degli obblighi derivanti da una sentenza di condanna della Corte di Giustizia dell'Unione europea emessa nei confronti dello Stato italiano ai sensi dell'art. 226 CE (causa C-456/03), che in data 16 giugno 2005 ha accertato l'inadempimento dello Stato italiano per la mancata attuazione della citata direttiva, il cui termine per il recepimento della direttiva era scaduto il 30 luglio 2000.


Direttiva 2000/60/CE

 

(Istituzione di un quadro per l’azione comunitaria in materia di acque)

 

La direttiva 2000/60/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 ottobre 2000, si propone di fissare un quadro comunitario per la protezione delle acque superficiali interne, delle acque di transizione, delle acque costiere e sotterranee, al fine di raggiungere i seguenti obiettivi:

-                assicurare la prevenzione e la riduzione dell'inquinamento;

-                agevolare l'utilizzo idrico sostenibile;

-                proteggere l'ambiente;

-                migliorare le condizioni degli ecosistemi acquatici;

-                mitigare gli effetti delle inondazioni e della siccità.

La direttiva, entrata in vigore il 22 dicembre 2000, è stata modificata dalla decisione n. 2445/2001/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 novembre 2001, relativa all’istituzione di un elenco di sostanze inquinanti prioritarie in materia di acque che fissa norme qualitative e misure di riduzione delle emissioni, diventata l’allegato X della direttiva quadro.

 

Preliminarmente si segnala che nel d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 “Norme in materia ambientale” di riordino della materia ambientale ed attuativo della delega - legge 15 dicembre 2004, n. 308 -, la Parte Terza, recante “Norme in materia di difesa del suolo e lotta alla desertificazione, di tutela delle acque dall’inquinamento e di gestione delle risorse idriche”, ha recepito – fra l’altro - anche la direttiva europea 2000/60/CE, innovando profondamente l’assetto amministrativo disegnato dalla legge n. 183 del 1989 sui bacini idrografici, e in particolare su tre differenti livelli di bacini (nazionali, interregionale e regionali), e riportando invece tale assetto differenziato ad uniformità (bacini di distretto)[158].

Nella Relazione che ha accompagnato lo schema di decreto legislativo, si è fatto presente che “Con l'introduzione dell'unità logica di distretto idrografico si supera la frammentazione territoriale esistente, recependo appieno la logica di distretto voluta dalla direttiva[159]. Conformemente alla rinnovata delimitazione territoriale, si introduce una pianificazione a scala di distretto, facente capo alle Autorità di bacino distrettuali, le quali, assumendo il ruolo e le funzioni delle Autorità di bacino preesistenti, consentono una analoga razionalizzazione in termini operativo-pianificatori”.

La direttiva impone agli Stati membri l’individuazione dei bacini idrografici presenti nel loro territorio e la loro assegnazione a distretti idrografici, per i quali è prevista la designazione di un'autorità competente entro il 22 dicembre 2003. Viene previsto, inoltre, che gli Stati membri provvedano, entro quattro anni dall’entrata in vigore della direttiva, ad effettuare un’analisi approfondita di ciascun distretto idrografico[160].

Inoltre, entro nove anni dall'entrata in vigore della direttiva, per ciascun distretto idrografico devono essere predisposti un piano di gestione e un programma operativo che tenga conto dei risultati delle analisi effettuate.

Le misure previste nel piano di gestione del distretto idrografico sono finalizzate al raggiungimento, entro quindici anni dall'entrata in vigore della direttiva, dei seguenti obiettivi:

-          prevenire il deterioramento, migliorare e ripristinare le condizioni delle acque superficiali, ottenere un buono stato chimico ed ecologico di esse e ridurre l'inquinamento dovuto agli scarichi e alle emissioni di sostanze pericolose;

-          proteggere, migliorare e ripristinare le condizioni delle acque sotterranee, prevenirne l'inquinamento e il deterioramento e garantire l'equilibrio fra l'estrazione e il rinnovo;

-          preservare le zone protette.

Gli Stati membri devono provvedere, altresì, con decorrenza 2010, affinché le politiche dei prezzi dell'acqua tendano a incentivare gli utenti a usare le risorse idriche in modo efficiente e affinché i vari comparti dell'economia diano un adeguato contributo al recupero dei costi dei servizi idrici, compresi i costi per l'ambiente e le risorse.

La direttiva, inoltre, prevede che gli Stati membri stabiliscano sanzioni efficaci, proporzionate e dissuasive in caso di infrazione alle disposizioni di essa.

Il termine ultimo per l'attuazione della normativa comunitaria negli Stati membri è scaduto il 22 dicembre 2003.

 

Si ricorda che il recepimento della direttiva era già stato previsto dalla legge 31 ottobre 2003, n. 306 (legge comunitaria 2003), tra le direttive inserite nell’Allegato B.

 


Direttiva 2003/123/CE

 

(Regime fiscale comune applicabile alle società madri e figlie di Stati membri diversi)

 

 

La direttiva n. 2003/123/CE del Consiglio, del 22 dicembre 2003, modifica la direttiva 90/435/CEE, concernente il regime fiscale comune applicabile alle società madri e figlie di Stati membri diversi[161].

 

L’articolo 1 modifica gli articoli 1, 2, 3, 4 e 5 della direttiva 90/435/CEE, la quale ha introdotto, in relazione ai pagamenti dei dividendi e ad altre distribuzioni di utili, norme comuni che intendono essere neutre sotto il profilo della concorrenza, esentando dalle ritenute alla fonte i dividendi e le altre distribuzioni di utili pagati dalle società figlie alle proprie società madri ed eliminando la doppia imposizione su tali redditi a livello di società madre.

Le modifiche apportate dalla direttiva 2003/123/CE sono di seguito evidenziate.

 

All’articolo 1 della direttiva 90/453/CEE, circa l’ambito di applicazione, ove è contemplata la distribuzione degli utili percepita da società di uno Stato membro e provenienti dalle loro filiali di altri Stati membri, nonché la distribuzione degli utili effettuata da società di uno stato a società di altri Stati membri di cui esse sono filiali, la direttiva 2003/123/CE aggiunge le ipotesi relative alla distribuzione degli utili percepiti da stabili organizzazioni di società di altri Stati membri situate in uno Stato membro e provenienti dalle loro società figlie di uno Stato membro diverso da quello in cui è situata la stabile organizzazione, nonché alla distribuzione degli utili effettuata da società di uno Stato a stabili organizzazioni, situate in un altro Stato membro, di società del medesimo Stato membro di cui sono società figlie.

La finalità della disposizione è individuata nell’intento di sottoporre al medesimo trattamento dei rapporti fra società madre e figlia il pagamento di utili a una stabile organizzazione della società madre e il ricevimento di utili da essa. Viene peraltro riconosciuta nel preambolo la necessità che siano determinati le condizioni e gli strumenti giuridici atti a tutelare il gettito tributario nazionale e ad evitare l’elusione delle norme di diritto interno.

 

L’articolo 2 della direttiva 90/435/CEE definisce la nozione di società, rilevante al riguardo, sulla base:

- della forma giuridica (per la quale si rinvia all’allegato);

- del domicilio fiscale in uno Stato membro, nel caso in cui non sia considerata domiciliata fuori dell’Unione, ai sensi di una convenzione in materia di doppia imposizione conclusa con uno Stato terzo;

- dell’assoggettamento, senza possibilità di opzione o di esenzione, all’imposta sul reddito delle persone giuridiche (per l’Italia).

La direttiva 2003/123/CE aggiunge la definizione di "stabile organizzazione", qualificando come tale una sede fissa di affari situata in uno Stato membro, attraverso la quale una società di un altro Stato membro esercita in tutto o in parte la sua attività, per quanto gli utili di quella sede di affari siano soggetti ad imposta nello Stato membro nel quale essa è situata.

 

L’articolo 3 della direttiva 90/435/CEE definisce le nozioni di “società madre” e di “società figlia”, consentendo alcune facoltà di deroga agli ordinamenti degli Stati membri.

Allo scopo di estendere i vantaggi dell’applicazione delle disposizioni, la direttiva 2003/123/CE qualifica come “società madre” la società di uno Stato membro che detenga una partecipazione minima del 20 per cento nel capitale di una società di un altro Stato membro ovvero nel capitale di una società dello stesso Stato membro, parzialmente o totalmente attraverso una stabile organizzazione della prima società situata in un altro Stato membro. La percentuale di partecipazione minima sarà del 15 per cento a decorrere dal 1° gennaio 2007, e del 10 per cento a decorrere dal 1° gennaio 2009.

S’intende per "società figlia" la società nel cui capitale è detenuta la suddetta partecipazione.

 

L’articolo 4 della direttiva 90/435/CEE disciplina l’imposizione tributaria sugli utili che una società madre o la sua stabile organizzazione, in virtù del rapporto di partecipazione, riceve dalla società figlia in occasione diversa dalla liquidazione.

L’eliminazione della doppia imposizione nel caso di gruppi societari organizzati in catene di società attraverso le quali passa la distribuzione degli utili viene perseguita mediante l’esenzione o il credito d'imposta (consentendo alla società madre di dedurre le imposte pagate da qualsiasi società affiliata della catena, a condizione che siano rispettati i requisiti).

La direttiva 2003/123/CE prevede quindi che lo Stato della società madre e lo Stato della sua stabile organizzazione si astengano dal sottoporre tali utili ad imposizione, oppure, se li sottopongono ad imposizione, autorizzino la società madre o la sua stabile organizzazione a dedurre dalla propria imposta – entro i limiti dell'ammontare dell'imposta corrispondente dovuta – la frazione dell'imposta societaria, relativa ai suddetti utili, pagata dalla società figlia e da ogni sua sub-affiliata, a condizione che queste ultime, a ciascun livello, soddisfino i requisiti di cui agli articoli 2 e 3.

 

Allo scopo di far sì che gli Stati membri che trattano le società non residenti come trasparenti ai fini dell'imposizione concedano gli sgravi tributari appropriati per quanto attiene agli utili che costituiscono parte della base imponibile della società madre, viene inoltre precisato che lo Stato della società madre può comunque considerare una società figlia trasparente ai fini fiscali, in base alla valutazione delle sue caratteristiche giuridiche derivanti dalla legislazione in base alla quale la stessa è costituita, e sottoporre pertanto ad imposizione la quota degli utili della società figlia spettante alla società madre, se e quando tali utili sussistono. In questo caso lo Stato della società madre non può sottoporre ad imposizione gli utili distribuiti della società figlia. Quando verifica la quota degli utili della società figlia detenuta dalla società madre, lo Stato della società madre esenta detti utili oppure autorizza la società madre a dedurre dalla propria imposta – entro i limiti dell'ammontare dell'imposta corrispondente dovuta – la frazione dell'imposta societaria relativa alla quota degli utili detenuta dalla società madre e pagata dalla propria società figlia o da una sua sub-affiliata, a condizione che queste, a ciascun livello, soddisfino i requisiti indicati agli articoli 2 e 3.

 

Resta ferma per gli Stati membri la facoltà di prevedere che oneri relativi alla partecipazione e minusvalenze risultanti dalla distribuzione degli utili della società figlia non siano deducibili dall'utile imponibile della società madre. In tal caso, qualora le spese di gestione relative alla partecipazione siano fissate forfetariamente, l'importo forfetario non può essere superiore al 5 per cento degli utili distribuiti dalla società figlia.

Si prevede infine che le suddette disposizioni cessino di applicarsi dalla data dell'effettiva entrata in vigore di un sistema comune d'imposta sulle società.

 

L’articolo 5 della direttiva 90/435/CEE viene poi modificato dalla direttiva 2003/123/CE prevedendosi che gli utili distribuiti da una società figlia alla sua società madre siano esenti dalla ritenuta alla fonte[162].

Vengono abrogate le disposizioni transitorie di deroga, essendone oramai esaurito l’effetto.

 

L’allegato alla direttiva 90/435/CEE elenca le forme societarie rilevanti per l’applicazione della direttiva medesima.

La direttiva 2003/123/CE, allo scopo di estenderne l’applicazione ad entità che possono svolgere attività transfrontaliere nella Comunità e che soddisfano tutti i requisiti stabiliti dalla direttiva, vi aggiunge le società costituite nelle forme statutarie della società europea e della società cooperativa europea.

Inoltre, tra le società di diritto italiano, risultano comprese le società per azioni, le società in accomandita per azioni, le società a responsabilità limitata, le società cooperative, le società di mutua assicurazione, nonché gli enti pubblici e privati la cui attività è totalmente o principalmente commerciale.

 

L’articolo 2 stabilisce nel 1° gennaio 2005 il termine per l’adozione delle disposizioni di recepimento da parte degli Stati membri, prescrivendone, come consueto, la comunicazione alla Commissione.

 

Si segnala che è attualmente all’esame delle competenti Commissioni parlamentari lo schema di decreto legislativo (atto n. 16), volto a dare attuazione alla direttiva in oggetto.


Direttiva 2004/9/CE

 

(Concernente l'ispezione e la verifica della buona

pratica di laboratorio (BPL))

 

 

La direttiva in esame è volta alla creazione di un sistema armonizzato di verifica delle ricerche e di ispezione dei laboratori affinché i dati sperimentali prodotti dai laboratori in uno Stato membro siano pure riconosciuti dagli altri Stati membri.

Come si evince dai “Considerando..”iniziali (punto 4)”nell'esecuzione delle prove sui prodotti chimici è opportuno evitare lo spreco di risorse in termini di manodopera specializzata e di attività dei laboratori sperimentali, data la necessità di ripetere le prove a causa delle differenze tra le prassi di laboratorio seguite nei vari Stati membri. Ciò vale in particolare per la protezione degli animali, che richiede la limitazione degli esperimenti effettuati sui medesimi riconosciuti e normalizzati costituisce una condizione essenziale per ridurre il numero degli esperimenti in tale settore”.

Si ricorda che la buona pratica di laboratorio (B.P.L.) definisce i principi con cui le ricerche di laboratorio sono programmate e condotte, allo scopo di ottenere dati sperimentali di elevata qualità; a tale riguardo, si rinvia alla scheda di lettura sulla direttiva 2004/10/CE, anch’essa contenuta nell’allegato A della legge comunitaria.

 

Nel dettaglio, la direttiva in esame si applica all'ispezione ed alla verifica delle procedure organizzative e delle condizioni alle quali sono programmate, svolte, registrate e comunicate le ricerche di laboratorio per le prove non cliniche effettuate per valutare gli effetti sull'uomo, sugli animali e sull'ambiente di tutti i prodotti chimici (quali ad esempio cosmetici, prodotti chimici per l'industria, prodotti medicinali, additivi alimentari, additivi per la mangimistica, antiparassitari). La direttiva esclude dal proprio ambito l'interpretazione e la valutazione dei risultati sperimentali (art. 1).

Gli Stati membri designano le autorità incaricate delle ispezioni e delle verifiche dei laboratori situati nel loro territorio al fine di verificare il rispetto, da parte degli stessi, della conformità alla B.P.L. secondo le indicazioni fornite dall’allegato I (artt. 2 e 3).

Gli Stati membri redigono annualmente una relazione relativa all’applicazione della B.P.L. nel loro territorio, con l’indicazione dei laboratori ispezionati (art. 4).

Ai sensi dell’art. 5, i risultati delle ispezioni dei laboratori e delle verifiche, eseguite da uno Stato membro, sono vincolanti anche per gli altri Paesi. Se uno Stato membro ritiene che un laboratorio situato nel proprio territorio non rispetta la BPL, ne informa immediatamente la Commissione che, a sua volta, ne informa gli altri Stati membri (art. 5, paragrafo 2).

Qualora uno Stato membro abbia motivi sufficienti per ritenere che un laboratorio in un altro Stato membro non abbia svolto una prova conformemente a detta BPL, può chiedere ulteriori informazioni e, in particolare, una verifica della ricerca, eventualmente associata ad una nuova ispezione (art. 6, paragrafo 1).

Un comitato coadiuverà la Commissione ai fini dell’applicazione tecnica della direttiva, cooperando altresì per incoraggiare la libera circolazione delle merci grazie al reciproco riconoscimento, da parte degli Stati membri, delle procedure per il controllo del rispetto della BPL (artt. 7 e 8).

E’ abrogata la direttiva 88/320/CEE (concernente l'ispezione e la verifica della buona pratica di laboratorio) fatti salvi gli obblighi degli Stati membri relativi ai termini di recepimento delle direttive di cui all'allegato II, parte B (art. 9)[163].

 

Nell’allegato 1 sono contenute le disposizioni per l'ispezione e la revisione di BPL.

La parte A di tale allegato riguarda gli orientamenti sulle procedure di controllo della conformità alla buona prassi di laboratorio[164] e fornisce orientamenti pratici e dettagliati agli Stati membri sulla struttura, i meccanismi e le procedure da adottare per definire i programmi nazionali di controllo della conformità alla BPL, affinché possano essere riconosciuti a livello internazionale. All’interno della parte A si trovano, quindi, alcune definizioni riguardanti i termini tecnici utilizzati nella direttiva, principi inerenti l’amministrazione, la riservatezza[165], ilpersonale e la formazione, i Programmi (nazionali) di conformità alla BPL e le procedure di ricorso.

La parte B di tale allegato riguarda gli orientamenti per lo svolgimento di ispezioni nei centri di saggio e revisioni di studi[166].L'obiettivo della presente parte dell'allegato è fornire orientamenti sull'esecuzione di ispezioni nei centri di saggio e di revisioni di studi, affinché possano essere reciprocamente riconosciute da tutti gli Stati membri dell'OCSE. La presente parte dell'allegato tratta sostanzialmente delle ispezioni dei centri di saggio, che rappresentano la principale attività degli ispettori in materia di BPL.All’interno della parte B si trovano, pertanto, orientamenti con riguardo alle procedure di ispezione, la riunione introduttiva, l’organizzazione e il personale, il programma di assicurazione della qualità, gli impianti, l’adeguatezza delle apparecchiature ausiliarie, le condizioni di cura, alloggio e custodia e le procedure operative standard.

Nell’allegato 2, parte A, vengono citate la direttiva abrogata e le relative modificazioni, mentre nella parte B si fa riferimento ai termini di recepimento nel diritto nazionale delle precedenti direttive in materia[167].

Nell’allegato 3 si trova la tavola di concordanza tra la direttiva 88/320/CEE e la presente direttiva.

 

La direttiva in esame non indica termini di recepimento in quanto costituisce una codifica della disciplina introdotta dalla direttiva 88/320/CEE e successive modificazioni.

 


Direttiva 2004/36/CE

 

(Sulla sicurezza degli aeromobili di paesi terzi che

utilizzano aeroporti comunitari)

 

 

La direttiva 2004/36/CE reca disposizioni in materia di sicurezza degli aeromobili di Paesi terzi che utilizzano aeroporti comunitari.

 

La direttiva è finalizzata ad accrescere la sicurezza del trasporto aereo civile, introducendo un sistema armonizzato di norme e procedure per le ispezioni di aeromobili di Paesi terzi che atterrano in aeroporti situati negli Stati membri dell’Unione Europea.

Il fenomeno del trasporto aereo effettuato da compagnie di paesi extracomunitari negli ultimi anni si è sviluppato, specialmente in connessione con l’aumento di flussi turistici. Il tema della sicurezza degli aeromobili impiegati per tali servizi è stato affrontato dalla Comunità Europea a partire dal 1996, anno in cui si verificò una sciagura al largo delle coste della Repubblica Dominicana, nella quale perirono 176 passeggeri europei. All’indomani di tale episodio, purtroppo seguito da altri analoghi, il 15 febbraio 1996 il Parlamento europeo adottò una risoluzione[168], dalla quale prese l’avvio una serie di iniziative della Commissione europea, delle quali la direttiva 2004/36 rappresenta lo sbocco.

L’articolo 1 indica l’obiettivo di una efficace applicazione delle norme internazionali di sicurezza armonizzando le disposizioni e le procedure di ispezioni a terra di aeromobili di paesi terzi. La direttiva non pregiudica il diritto degli Stati membri di effettuare ispezioni non contemplate dalla direttiva stessa o di procedere a fermi o stabilire divieti o imporre condizioni su qualsiasi aeromobile. Sono esclusi dal campo di applicazione della direttiva gli aeromobili di Stato e quelli con peso massimo al decollo inferiore a 5.700 chilogrammi e che non effettuino trasporti aerei di natura commerciale. La direttiva lascia poi impregiudicata la posizione giuridica del Regno di Spagna e del Regno Unito  in merito alla disputa circa la sovranità sul territorio nel quale è situato l’aeroporto di Gibilterra.

Ai sensi del successivo articolo 2, sono norme di sicurezza internazionali le norme contenute nella convenzione di Chicago sull’aviazione civile e nei suoi Annessi (allegati di carattere tecnico).

 

Gli articoli 3, 5 e 6 della direttiva prevedono l’istituzione di un articolato sistema di raccolta delle informazioni e del loro scambio tra gli Stati membri. In particolare, l’articolo 3 individua le informazioni utili ai fini dell’obiettivo della direttiva (informazioni in materia di sicurezza, sulle azioni intraprese in seguito ad un’ispezione a terra, informazioni complementari sull’operatore) e stabilisce che esse siano registrate su appositi formulari-tipo di cui allo Allegato I della direttiva.

L’articolo 5 dispone che siano oggetto di trasmissione tra Stati membri anche informazioni concernenti gli aeroporti che sono aperti al traffico internazionale e le loro attività. Tutti i rapporti di cui all'articolo 3 e quelli di ispezioni di terra di cui all'articolo 4 (vedi oltre) sono trasmessi alla Commissione e, se richiesto, alle autorità competenti degli Stati membri e all'Agenzia europea della sicurezza aerea (E.A.S.A.). Qualunque rapporto che indichi l'esistenza di una potenziale minaccia per la sicurezza è immediatamente comunicato alle Autorità competenti di tutti gli Stati membri e alla Commissione.

L’articolo 6 prevede un’adeguata tutela della riservatezza delle informazioni ottenute. A tal fine, si prevede che la fonte delle informazioni pervenute (ai fini della relazione che la Commissione deve pubblicare annualmente, e ai fini delle comunicazioni volontariamente rese agli ispettori) non sia menzionata e che la diffusione delle informazioni debba essere limitata “a quanto strettamente necessario per i fini degli utenti”.

 

L’articolo 4 disciplina le ispezioni a terra sugli aeromobili. Il comma 1 individua i casi in presenza dei quali si raccomanda di intervenire “con particolare sollecitudine”. Il comma 2  attribuisce agli Stati membri la facoltà di prevedere ispezioni anche quando non sussistano particolari sospetti, purchè sia garantita la conformità al diritto comunitario e internazionale e la procedura sia messa in atto in modo non discriminatorio. Il comma 3 prevede che gli Stati membri garantiscano che siano realizzate effettivamente le opportune ispezioni a terra. Il comma 4 stabilisce che le ispezioni vengano effettuate conformemente alla procedura di cui allo Allegato II alla direttiva. Al termine dell’ispezione, è prevista la stesura di un rapporto.

Le autorità competenti cercano in ogni modo di limitare entro margini ragionevoli eventuali ritardi cui sarebbero soggetti i successivi voli degli aeromobili ispezionati.

 

L’articolo 7 prevede che l’autorità competente disponga il fermo dell’aeromobile qualora si riscontrino carenze, e non vi sia certezza che azioni correttive anteriori al decollo possano bastare ad eliminare ogni rischio.

 

L’articolo 8 riconosce alla Commissione il potere di adottare decisioni sulle opportune modalità di svolgimento delle ispezioni a terra e su altre misure di sorveglianza. La Commissione può adottare tutte le misure necessarie per cooperare con Paesi terzi, allo scopo di aiutarli a migliorare le capacità di controllo della sicurezza dell’aviazione.

 

L’articolo 9 - abrogato dall’art. 16 del Regolamento (CE) n. 2111/2005[169] - disciplinava l’ipotesi in cui uno Stato membro poteva vietare l’uso dei propri aeroporti ad uno o più operatori, oppure lo vincolava a determinate condizioni, almeno temporaneamente.

 

L’articolo 10 prevede che la Commissione sia assistita dal Comitato istituito ai sensi del regolamento CEE n. 3922/91 che concerne l’armonizzazione di requisiti tecnici e di procedure amministrative nel settore dell’aviazione civile.

L’articolo 12 del regolamento 3922/91 stabilisce che la Commissione venga assistita da un Comitato ai fini dell’introduzione di disposizioni in materia di sicurezza. Il comma 2 dell’articolo 12 del regolamento 3922/91, in particolare, prevede che la Commissione sottoponga al Comitato i progetti relativi alle misure che intende adottare, e che il Comitato formuli il proprio parere in proposito, deliberando a maggioranza.

L’articolo 11 fissa al 30 aprile 2006 il termine di recepimento della direttiva da parte degli Stati membri.

 

L’articolo 12 prevede la possibilità di modificare gli allegati alla direttiva in conformità con le procedure indicate.

 

L’articolo 13 stabilisce che la Commissione presenti entro il 30 aprile 2008 una relazione al Parlamento europeo ed al Consiglio sull’applicazione della direttiva.

 


Direttiva 2004/40/CE

 

(Prescrizioni minime di sicurezza e di salute relative all’esposizione dei lavoratori ai rischi derivanti dagli agenti fisici (campi elettromagnetici))

 

 

La direttiva 2004/40/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 29 aprile 2004, sulle prescrizioni minime di sicurezza e di salute relative all'esposizione dei lavoratori ai rischi derivanti dagli agenti fisici - campi elettromagnetici - (diciottesima direttiva particolare ai sensi dell'articolo 16, paragrafo 1, della direttiva 89/391/CEE), specifica i criteri di protezione dei lavoratori dall’esposizione ai campi elettromagnetici, con frequenze fino a 300 GHz, a cui gli stessi sono soggetti durante il lavoro.

Quadro normativo

Come sottolineato dal Consiglio europeo di Lisbona del marzo del 2000, l'Europa si trova in una fase di transizione verso l'economia della conoscenza, caratterizzata da profondi mutamenti relativi alla composizione della popolazione attiva, alle forme di occupazione e ai rischi sul luogo di lavoro. Tali mutamenti comportano la necessità di affrontare tre diverse problematiche in tema di salute e sicurezza sul lavoro:

§      la dimensione di genere nell'ambito della sicurezza e nella salute sul lavoro. Questo principio è stato introdotto dalla Strategia comunitaria 2002-2006, in cui figura come uno degli obiettivi da raggiungere nel periodo considerato: migliore progettazione dei luoghi e dei posti di lavoro, organizzazione del lavoro e adattamento delle attrezzature di lavoro;

§      l'anticipazione dei rischi nuovi ed emergenti, che si tratti di quelli legati alle innovazioni tecniche o di quelli dovuti alle evoluzioni sociali. Al riguardo, la richiamata strategia comunitaria per il periodo 2002-2006 prevede nuove disposizioni legislative, compreso l'ampliamento del campo di applicazione della direttiva sulla tutela dagli agenti cancerogeni[170]. Vanno inoltre considerate altre importanti tematiche, quali l'analisi delle esigenze legate all'ergonomia dei posti di lavoro, la necessità di tenere conto dei disturbi del sistema muscolo-scheletrico e il trattamento specifico dei rischi emergenti (quali mobbing e violenza sul posto di lavoro);

§      le esigenze specifiche delle PMI, delle micro-imprese e dei lavoratori autonomi[171].

 

In questo contesto, la strategia comunitaria per la salute e la sicurezza sul luogo di lavoro 2002-2006[172] mira ad agevolare l'applicazione della legislazione esistente in materia di salute e sicurezza sul lavoro e a dare nuovi impulsi nel periodo considerato. In estrema sintesi,la Commissione europea ha richiamato tre specifiche esigenze da soddisfare, al fine di garantire un ambiente di lavoro sicuro e sano, e precisamente:

§         il consolidamento della cultura della prevenzione dei rischi;

§         la migliore applicazione del diritto esistente;

§         l'impostazione globale “del benessere sul lavoro”.

 

Al fine di soddisfare tali condizioni, sono state proposte tre direttrici principali: adeguamento del quadro giuridico, incoraggiamento della “spinta al progresso” (elaborazione di pratiche migliori, dialogo sociale, responsabilità sociale delle imprese), integrazione della problematica della sicurezza e della salute sul luogo di lavoro in altre politiche comunitarie.

 

Attualmente la normativa comunitaria relativa a salute e sicurezza sul lavoro si suddivide in due gruppi:

§         la direttiva quadro 89/391/CEE del Consiglio, del 12 giugno 1989, che contiene disposizioni di base relative all'organizzazione sanitaria e alla sicurezza sul luogo di lavoro, alle responsabilità dei datori di lavoro e dei lavoratori, completata da 18 direttive particolari concernenti:

o        alcuni luoghi di lavoro specifici (quali cantieri[173], industrie estrattive, navi da pesca[174]);

o        alcuni pericolosi agenti fisici (rumore[175], vibrazioni[176], campi elettromagnetici, chimici, biologici[177] e cancerogeni[178]);

o        l'utilizzo di attrezzature di lavoro;

o        alcune categorie di lavoratori (lavoratrici gestanti o in periodo di allattamento[179]);

§      provvedimenti previsti da direttive contenenti disposizioni precise e complete, non collegate a direttive quadro, in merito ad attività professionali (assistenza medica a bordo delle navi[180]) o a determinate categorie di persone vulnerabili (lavoratori temporanei[181] o giovani lavoratori[182]).

 

La direttiva 89/391/CEE

La direttiva 89/391/CEE, sulla base delle disposizioni contenute nell'articolo 138 del Trattato, che prevede prescrizioni minime (“Considerando..” n. 1) per promuovere il miglioramento dell'ambiente di lavoro e per garantire un più elevato livello di protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori, provvede ad individuare forme minime di tutela per i lavoratori, rilevando come (“Considerando..” n. 9) negli Stati membri i sistemi legislativi in materia di sicurezza e di salute sul luogo di lavoro siano molto differenti e meritino di essere migliorati. Allo stesso tempo, si rileva come le disposizioni nazionali, spesso integrate da disposizioni tecniche e/o da norme volontarie, possono consentire vari livelli di protezione della sicurezza e della salute e dar luogo ad una concorrenza a scapito della sicurezza e della salute.

A tal fine, la richiamata direttiva attua alcune misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori durante il lavoro. In particolare, si stabiliscono (articolo 1) alcuni principi generali relativi alla prevenzione dei rischi professionali e alla protezione della sicurezza e della salute, nonché all'eliminazione dei fattori di rischio e di incidente, all'informazione, alla consultazione, alla partecipazione equilibrata conformemente alle legislazioni e/o prassi nazionali, alla formazione dei lavoratori e dei loro rappresentanti, nonché direttive generali per l'attuazione dei principi generali precitati.

Si ricorda, ai sensi del successivo articolo 2, che la direttiva si applica a tutti i settori d'attività privati o pubblici tranne che ad alcune attività specifiche della pubblica amministrazione, quali le forze armate o la polizia, e ai servizi della protezione civile.

In sintesi, i datori di lavoro sono obbligati a (articoli 5-12):

§        garantire la sicurezza e la salute dei lavoratori sotto tutti gli aspetti connessi al lavoro, segnatamente sulla base di principi generali di prevenzione enumerati, senza oneri finanziari per i lavoratori;

§        valutare i rischi professionali, anche nella scelta degli impianti e nell'allestimento dei luoghi di lavoro, nonché organizzare i servizi di protezione e di prevenzione;

§        redigere un elenco e delle relazioni sugli infortuni sul lavoro;

§        organizzare il pronto soccorso, la lotta antincendio, l'evacuazione dei lavoratori e adottare i provvedimenti necessari in caso di pericolo grave e immediato;

§        informare i lavoratori, consultarli e permettere la loro partecipazione nel quadro di tutte le questioni attinenti alla sicurezza e alla sanità sul luogo di lavoro;

§        assicurare che ogni lavoratore riceva una sufficiente e adeguata informazione in ordine alla sicurezza e alla salute durante l'orario di lavoro.

 

Sono invece considerati obblighi dei lavoratori (articolo 13):

§        utilizzare correttamente le macchine e gli altri strumenti, l'attrezzatura di protezione individuale, nonché i dispositivi di sicurezza;

§        segnalare ogni situazione di lavoro che comporti un pericolo grave ed immediato, nonché ogni difetto dei sistemi di protezione;

§        partecipare all'adempimento delle esigenze imposte in materia di protezione sanitaria per permettere al datore di lavoro di garantire che l'ambiente e le condizioni di lavoro risultino sicuri e senza rischi.

 

Si ricorda, infine, che l’articolo 3, comma 1, della legge 29 luglio 2003, n. 229 (legge di semplificazione per il 2001), aveva delegato il Governo ad adottare, entro il 30 giugno 2005[183], uno o più decreti legislativi per il riassetto delle disposizioni vigenti in materia di sicurezza e tutela della salute dei lavoratori. Tuttavia il Governo ha prima presentato al Parlamento e poi ritirato uno schema di decreto legislativo recante il testo unico in questione, facendo così decadere la delega stessa rimasta pertanto inattuata.

 

La direttiva 2004/40/CE

Come accennato in precedenza, il Consiglio ha adottato direttive particolari alle quali si applicano pienamente le disposizioni della direttiva 89/391/CEE, senza pregiudizio per le disposizioni più vincolanti e/o specifiche che esse contengono.

Al riguardo, le 18 direttive particolari adottate a seguito della direttiva quadro costituiscono un corpus legislativo completo.

La direttiva 2004/40/CE, diciottesima direttiva particolare, integra le direttive europee sulla sicurezza e salute dei lavoratori, e dovrà essere recepita nel nostro Paese entro il 30 aprile 2008, ai sensi dell’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva stessa.

Secondo quanto evidenziato nel “Considerando..” n. 3, l’emanazione della direttiva in esame è essenziale, in quanto si ritiene necessario introdurre misure di protezione dei lavoratori “contro i rischi associati ai campi elettromagnetici, a causa dei loro effetti sulla salute e sulla sicurezza dei lavoratori”, tenuto conto che (“Considerando..” n. 1) in base al Trattato il Consiglio può adottare, mediante direttive, prescrizioni minime per promuovere il miglioramento, in particolare, dell'ambiente di lavoro, al fine di garantire un più elevato livello di protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori, e che (“Considerando..” n. 2) sono state già adottate prescrizioni minime di sicurezza per i lavoratori concernenti i rischi derivanti dall’esposizione ad agenti fisici (vibrazioni[184] e rumore[185]).

Lo stesso “Considerando..” n. 3”, tuttavia, precisa che la direttiva in esame “non riguarda gli effetti a lungo termine, inclusi eventuali effetti cancerogeni dell'esposizione ai campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici variabili nel tempo, per cui mancano dati scientifici conclusivi che comprovino un nesso di causalità”, ma ha lo scopo, oltre ad assicurare la salute e la sicurezza del lavoratore, di creare per i lavoratori comunitari una piattaforma minima di protezione che eviti possibili distorsioni di concorrenza, prescrivendo requisiti minimi (“Considerando..” n. 4) e lasciando agli Stati membri la possibilità di adottare disposizioni più favorevoli.

Come accennato in precedenza, la direttiva 2004/40/CE prevede, ai sensi dell’articolo 1, la tutela dei lavoratori contro i rischi per la loro salute e la loro sicurezza che derivano, o possono derivare, dall'esposizione ai campi elettromagnetici (da 0 Hz a 300 GHz) durante il lavoro.

La presente direttiva riguarda, come accennato in precedenza, i rischi per la salute e la sicurezza dei lavoratori dovuti agli effetti nocivi a breve termine (articolo 1, paragrafo 2) conosciuti nel corpo umano derivanti dalla circolazione di correnti indotte e dall'assorbimento di energia, nonché da correnti di contatto, e non riguarda ipotizzati effetti a lungo termine (articolo 1, paragrafo 3) e i rischi risultanti dal contatto con i conduttori in tensione (articolo 1, paragrafo 4).

Il successivo articolo 2 riporta alcune definizioni.

In particolare, l’articolo in esame precisa che:

§        per campi elettromagnetici si intendono campi magnetici statici e campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici variabili nel tempo di frequenza inferiore o pari a 300 GHz;

§        per valori limite di esposizione si intendono i limiti all'esposizione a campi elettromagnetici che sono basati direttamente sugli effetti sulla salute accertati e su considerazioni biologiche. Il rispetto di questi limiti garantisce che i lavoratori esposti ai campi elettromagnetici sono protetti contro tutti gli effetti nocivi per la salute conosciuti;

§      per valori di azione si intende l'entità dei parametri direttamente misurabili, espressi in termini di intensità di campo elettrico (E), intensità di campo magnetico (H), induzione magnetica (B) e densità di potenza (S), che determina l'obbligo di adottare una o più delle misure specificate nella presente direttiva. Il rispetto di questi valori assicura il rispetto dei pertinenti valori limite di esposizione.

 

In altri termini, ai fini della tutela della sicurezza e salute dei lavoratori, il datore di lavoro deve condurre un’attenta valutazione dei rischi legati all’esposizione ai campi elettromagnetici. Ciò comporta la determinazione, attraverso misure e/o calcoli, dei livelli di campo elettromagnetico ai quali sono esposti i lavoratori e l’eventuale attuazione di misure tecniche e/o organizzative intese a prevenire esposizioni superiori ai valori limite di esposizione.

Al riguardo, i valori limite di esposizione e i valori di azione sono riportati nell’allegato, rispettivamente alla tabella 1 e alla tabella 2, ai sensi dell’articolo 3, paragrafi 1 e 2.

Tali calcoli e misurazioni dell'esposizione dei lavoratori ai campi elettromagnetici, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 3 - finché norme europee standardizzate del Comitato europeo di normalizzazione elettrotecnica (CENELEC) non avranno contemplato tutte le situazioni di pertinenza per quanto concerne la valutazione, la misurazione e il calcolo - possono essere condotti dagli Stati membri sulla base di altre norme o linee guida scientificamente fondate.

Si ricorda, al riguardo, che il D.P.C.M. 8 luglio 2003 ha fissato i limiti di esposizione, dei valori di attenzione e degli obiettivi di qualità per la protezione della popolazione dalle esposizioni ai campi elettrici e magnetici alla frequenza di rete (50 Hz), generati dagli elettrodotti.

Per quanto attiene alle linee guida scientificamente fondate, si ricorda l’attività dell’ICNIRP (International Commission on Non-Ionizing Radiation Protection, Commissione Internazionale per la Protezione dalle Radiazioni Non Ionizzanti).

Finalità primaria della Commissione è fornire ai governi nazionali consulenza e indirizzo scientifico per lo sviluppo di normative e di altre misure protezionistiche nei confronti di campi elettromagnetici, radiazione ottica, radiazione laser ed ultrasuoni. A questo fine, la Commissione elabora ed aggiorna, in base alle nuove conoscenze, delle linee guida che costituiscono il riferimento fondamentale per la maggior parte dei Paesi.

Al riguardo, le linee guida per la limitazione dell’esposizione a campi elettrici e magnetici variabili nel tempo ed a campi elettromagnetici (fino a 300 ghz) dell’ICNIRP sono state pubblicate nel 1998[186].

 

Obblighi dei datori di lavoro

La sezione II della direttiva in esame (articoli 4-7) disciplinano gli obblighi dei datori di lavoro.

Tra tali obblighi rientrano:

§         il calcolo e la misurazione dei livelli dei campi elettromagnetici ai quali sono esposti i lavoratori, sulla base delle richiamate linee guida individuate, al fine della verifica del superamento di tali limiti (articolo 4). Particolare attenzione viene posta (articolo 4, paragrafo 5) a specifici elementi quali, tra gli altri, livello, spettro di frequenza, durata e tipo dell’esposizione, gli effetti (sia diretti sia indiretti) sulla salute e sicurezza dei lavoratori particolarmente a rischio, nonché l’esistenza di attrezzature di lavoro alternative progettate per ridurre i livelli di esposizione ai campi elettromagnetici;

§         l’eliminazione alla fonte dei rischi o la loro riduzione al minimo (articolo 5, paragrafo 1). Sulla base delle valutazioni effettuate, nel caso in cui i limiti siano superati, il datore di lavoro deve definire ed attuare (articolo 5, paragrafo 2) un programma d’azione tecnico-organizzativo volto a prevenire esposizioni superiori ai valori limite. Tale programma d’azione deve tener conto, in particolare:

§         la garanzia di un’adeguata informazione ai lavoratori e ai loro rappresentanti dei risultati della valutazione di rischio, nonché un’appropriata formazione degli stessi (articolo 6). La consultazione e la partecipazione dei lavoratori e/o dei loro rappresentanti avviene attraverso la procedura di cui all’articolo 11 della direttiva 89/391/CEE (articolo 7)[187].

 

Ulteriori disposizioni

La direttiva in esame prevede inoltre:

§         un sistema di sorveglianza sanitaria ai fini della prevenzione e della diagnosi precoce degli effetti negativi per la salute, imputabili all’esposizione a campi elettromagnetici, con sottoposizione a controllo medico qualora si rilevai un’esposizione superiore al valore limite. Al riguardo, il datore di lavoro deve adottare le misure appropriate per garantire che il medico e/o l'autorità medica responsabile della sorveglianza sanitaria possa avere accesso ai risultati della valutazione dei rischi (articolo 8);

§        un sistema sanzionatorio, il quale demanda agli Stati membri l’individuazione delle sanzioni stesse, che devono essere “effettive, proporzionate e dissuasive” (articolo 9);

§        l’adozione di modifiche tecniche ai limiti di esposizione individuate dall’allegato alla direttiva in esame, adottate dal Parlamento europeo e dal Consiglio (articolo 10). Tali modifiche, di carattere strettamente tecnico, sono adottate secondo la procedura di regolamentazione di cui al successivo articolo 11, paragrafo 2 e devono essere conformi:

Al riguardo, l’articolo 11 della direttiva in esame precisa che la Commissione europea è assistita da un comitato ai fini degli adeguamenti di natura strettamente tecnica delle direttive particolari in precedenza richiamate in funzione:

-   dell'adozione di direttive in materia di armonizzazione tecnica e di normalizzazione, e/o

-   del progresso tecnico, dell'evoluzione dei regolamenti o delle specifiche internazionali e delle conoscenze.

A tali fini, trova applicazione la disciplina di cui agli articoli 5 e 7 della decisione 1999/468/CE, tenendo conto delle disposizioni dell’articolo 8 della stessa direttiva.

 

La Decisione 28 giugno 1999, n. 1999/468/CE, del Consiglio, reca modalità per l'esercizio delle competenze di esecuzione conferite alla Commissione europea. In particolare, l’articolo 5 in materia di procedure di regolamentazione, stabilisce che la Commissione è assistita da un comitato di regolamentazione composto dei rappresentanti degli Stati membri e presieduto dal rappresentante della Commissione. La Commissione adotta, fatto salvo l'articolo 8[188], le misure previste qualora siano conformi al parere del comitato. Nel caso in cui le misure previste non siano conformi al parere del comitato, o in assenza di parere, la Commissione sottopone al Consiglio una proposta in merito alle misure da prendere e ne informa il Parlamento europeo. Se il Parlamento europeo ritiene che una proposta presentata dalla Commissione in virtù di un atto di base adottato secondo la procedura di cui all'articolo 251 del trattato eccede le competenze di esecuzione previste da tale atto di base, esso informa il Consiglio circa la sua posizione. In tal caso, il Consiglio può deliberare sulla proposta a maggioranza qualificata entro un termine che non può in nessun caso superare tre mesi a decorrere dalla data in cui gli è stata presentata la proposta. Il successivo articolo 7 dispone che ogni comitato adotta il proprio regolamento interno su proposta del presidente, basandosi su un regolamento di procedura tipo che sarà pubblicato nella Gazzetta ufficiale delle Comunità europee.

 

§         l’elaborazione, ogni 5 anni, da parte degli Stati membri, di una relazione alla Commissione europea sull’applicazione pratica della direttiva in esame (articolo 12). A sua volta la Commissione europea informa il Parlamento il Consiglio, il Comitato economico e sociale europeo nonché il comitato per la sicurezza e la salute sul luogo di lavoro del contenuto delle richiamate relazioni.


Direttive 2004/49/CE, 2004/50/CE, 2004/51/CE

 

(Sicurezza e sviluppo delle ferrovie comunitarie nonché interoperabilità del sistema transeuropeo ad alta velocità – secondo pacchetto ferroviario)

 

 

Le direttive in esame costituiscono quello che, nell’ambito del processo di liberalizzazione dei servizi ferroviari, si definisce il secondo pacchetto ferroviario[189], all’interno del quale sono previste specifiche modifiche alle direttive sull'interoperabilità, 96/48/CE e 2001/16/CE. Si tratta di modifiche finalizzate ad una coerenza con le altre misure del pacchetto, in particolare quelle sulla sicurezza e sulla costituzione dell'Agenzia ferroviaria europea, nonché al fine di rispondere all'esigenza di realizzare l'interoperabilità sull'intera rete in coincidenza con l'ulteriore apertura del mercato alla concorrenza.

 

Si ricorda che il pacchetto è composto da:

§       regolamento (CE) n. 881/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio del 29 aprile 2004 che istituisce un'Agenzia ferroviaria europea (Regolamento sull'agenzia);

§       direttiva 2004/49/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 29 aprile 2004, relativa alla sicurezza delle ferrovie comunitarie e recante modifica della direttiva 95/18/CE del Consiglio, relativa alle licenze delle imprese ferroviarie, e della direttiva 2001/14/CE, relativa alla ripartizione della capacità di infrastruttura ferroviaria, all’imposizione dei diritti per l’utilizzo dell’infrastruttura ferroviaria e alla certificazione di sicurezza ("direttiva sulla sicurezza delle ferrovie");

§       direttiva 2004/50/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 29 aprile 2004, che modifica la direttiva 96/48/CE del Consiglio, relativa all'interoperabilità del sistema ferroviario transeuropeo ad alta velocità, e la direttiva 2001/16/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, relativa all'interoperabilità del sistema ferroviario transeuropeo convenzionale;

§       direttiva 2004/51/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 29 aprile 2004, che modifica la direttiva 91/440/CEE, relativa allo sviluppo delle ferrovie comunitarie.

 

La direttiva 2004/49/CE (cosiddetta direttiva sulla “sicurezza delle ferrovie”) prevede un complesso di misure per accrescere il livello di sicurezza delle ferrovie comunitarie, in considerazione dello sviluppo dell’interoperabilità delle reti. Gli obiettivi perseguiti dalla direttiva (art. 2) sono:

§         armonizzare la struttura normativa negli Stati membri;

§         ripartire le responsabilità tra i soggetti interessati;

§         sviluppare obiettivi e metodi comuni di sicurezza per armonizzare le norme nazionali;

§         istituire, in ogni Stato membro, un’autorità preposta alla sicurezza e un organismo responsabile delle indagini in caso di incidenti e inconvenienti;

§         definire principi comuni per la gestione, la regolamentazione e la supervisione della sicurezza ferroviaria.

La responsabilità del funzionamento sicuro del sistema ferroviario e del controllo dei rischi che ne derivano incombe sui gestori dell'infrastruttura e sulle imprese ferroviarie, che devono mettere in atto le necessarie misure di controllo del rischio e devono istituire i sistemi di gestione della sicurezza. Ciascun gestore dell'infrastruttura e ciascuna impresa ferroviaria sono responsabili della propria parte di sistema e del relativo funzionamento sicuro, compresa la fornitura di materiale e l'appalto di servizi, nei confronti di utenti, clienti, lavoratori interessati e terzi (art. 4). I gestori delle infrastrutture e le imprese ferroviarie stabiliscono quindi il proprio sistema di gestione della sicurezza in modo tale da consentire al sistema ferroviario di conformarsi alle prescrizioni di sicurezza previste nelle specifiche tecniche di interoperabilità (STI).

Al fine di rendere omogeneo il livello di sicurezza delle ferrovie in tutto il territorio comunitario, la direttiva prevede:

·         obiettivi comuni di sicurezza (CST), redatti dall’Agenzia per la sicurezza e adottati dalla Commissione, che definiscono in particolare i livelli minimi di sicurezza che devono almeno essere raggiunti dalle diverse parti del sistema ferroviario e dal sistema nel suo insieme (art. 7);

·         indicatori comuni di sicurezza (relativi ad incidenti, inconvenienti, conseguenze di incidenti, relativi alla sicurezza tecnica dell'infrastruttura e della sua realizzazione, e relativi alla gestione della sicurezza) (art. 5);

·         metodi comuni di sicurezza, ossia metodi che descrivono come sono valutati il livello di sicurezza, la realizzazione degli obiettivi di sicurezza e la conformità con gli altri requisiti in materia di sicurezza (metodi di valutazione del rischio, metodi per valutare la conformità ai requisiti dei certificati di sicurezza e delle autorizzazioni di sicurezza, metodi atti a verificare che i sottosistemi strutturali dei sistemi ferroviari transeuropei convenzionale e ad alta velocità siano gestiti e mantenuti conformemente ai requisiti essenziali loro applicabili) (art. 6).

Quanto all’accesso all’infrastruttura, la direttiva prevede che, per avere tale accesso, un'impresa ferroviaria deve essere titolare di un certificato di sicurezza, che può valere per l'intera rete ferroviaria di uno Stato membro o soltanto per una parte delimitata. Scopo del certificato di sicurezza è fornire la prova che l'impresa ferroviaria ha elaborato un proprio sistema di gestione della sicurezza ed è pertanto in grado di soddisfare i requisiti delle STI, ai fini del controllo dei rischi e del funzionamento sicuro sulla rete. Il certificato è rinnovato a richiesta dell'impresa ferroviaria ad intervalli non superiori a cinque anni e deve essere aggiornato parzialmente o integralmente, ogniqualvolta il tipo o la portata delle attività cambi in modo sostanziale (art. 10).

Per poter gestire e far funzionare un'infrastruttura ferroviaria, il gestore dell'infrastruttura deve ottenere un'autorizzazione di sicurezza dall'autorità preposta alla sicurezza. Anche l'autorizzazione di sicurezza è rinnovata a richiesta del gestore dell'infrastruttura ad intervalli non superiori a cinque anni e deve essere aggiornata parzialmente o integralmente ogniqualvolta siano apportate modifiche sostanziali all'infrastruttura, al segnalamento o alla fornitura di energia ovvero ai principi che ne disciplinano il funzionamento e la manutenzione (art. 11).

E’ previsto che ciascuno Stato membro istituisca un'autorità preposta alla sicurezza, che può essere il Ministero responsabile dei trasporti; caratteristica dell’autorità è quella di essere indipendente sul piano organizzativo, giuridico e decisionale da qualsiasi impresa ferroviaria, dal gestore dell'infrastruttura, dal soggetto richiedente la certificazione e dall’ente appaltante (art. 16).

All’autorità incombono i seguenti compiti:

·         autorizzare la messa in servizio dei sottosistemi di natura strutturale costitutivi del sistema ferroviario transeuropeo convenzionale e ad alta velocità e controllarne il funzionamento e la manutenzione conformemente ai pertinenti requisiti essenziali;

·         verificare che i componenti di interoperabilità siano conformi con i requisiti essenziali;

·         autorizzare la messa in servizio di materiale rotabile nuovo o sostanzialmente modificato, non ancora oggetto di una STI;

·         rilasciare, rinnovare, modificare e revocare i pertinenti elementi che compongono i certificati di sicurezza e le autorizzazioni di sicurezza emessi controllando che ne siano soddisfatti le condizioni e i requisiti e che i gestori dell'infrastruttura e le imprese ferroviarie operino conformemente ai requisiti del diritto comunitario o nazionale;

·         controllare, promuovere e, se del caso, imporre ed elaborare un quadro normativo in materia di sicurezza, compreso il sistema di disposizioni nazionali in materia di sicurezza;

·         verificare che il materiale rotabile sia debitamente immatricolato e che le informazioni in materia di sicurezza contenute nel registro nazionale siano precise ed aggiornate.

Infine la direttiva prevede che ciascuno Stato membro provveda affinché, sugli incidenti gravi occorsi nel sistema ferroviario, siano svolte da un organismo permanente indagini finalizzate al miglioramento della sicurezza ferroviaria e alla prevenzione di incidenti; tale organismo deve comprendere almeno un investigatore in grado di assolvere la funzione di investigatore incaricato in caso di incidente o di inconveniente.

La direttiva - entrata in vigore il 30 aprile 2004 - prevede, come termine per l’adozione delle misure di attuazione da parte degli Stati membri, il 30 aprile 2006.

 

La direttiva 2004/50/CE reca modifiche alla direttiva 96/48/CE, relativa all’interoperabilità del sistema ferroviario transeuropeo ad alta velocità, nonchè alla direttiva 2001/16/CE,relativa all’interoperabilità del sistema ferroviario transeuropeo convenzionale,in particolare in considerazione dell’istituzione dell’Agenzia ferroviaria europea, disposta con il regolamento n. 881/2004/CE[190]. In particolare, si prevede che, una volta istituita l’Agenzia, sarà quest’ultima ad elaborare, su mandato della Commissione, qualsiasi progetto di adozione o revisione delle STI. E’ inoltre prevista l’estensione dell’ambito di applicazione geografico della direttiva 2001/16/CE, al fine di realizzare l’interoperabilità dell’intera rete, nonché l’estensione della base giuridica della direttiva, in correlazione con quanto previsto dalle direttive 2001/12/CE, 2001/13/CE, 2001/14/CE, costituenti il cd. “pacchetto infrastruttura”[191], già recepite nel nostro ordinamento con il d.lgs. 8 luglio 2003, n. 188.

Al fine di chiarire meglio le ultime modifiche si ricorda che, in base alla direttiva 2001/16/CE, che ha introdotto, così come la precedente direttiva 96/48/CE, procedure comunitarie per l'elaborazione e l'adozione delle STI e regole comuni per la valutazione di conformità a tali STI, il mandato per l'elaborazione del primo gruppo di STI è stato conferito all'AEIF[192]. Inoltre l’adozione del pacchetto infrastruttura ha inciso sulla realizzazione dell'interoperabilità, in quanto l'estensione dei diritti di accesso deve procedere parallelamente alla realizzazione delle necessarie misurein materia di armonizzazione dell’infrastruttura.

Tra le principali modifiche introdotte dalla direttiva 2004/50/CE si segnalano:

§      l’estensione - a decorrere dalla data di entrata in vigore delle STI corrispondenti, da elaborarsi entro il 1° gennaio 2009 - dell’ambito di applicazione della normativa sull’interoperabilità a tutto il sistema ferroviario convenzionale, inclusi i raccordi ferroviari di accesso ai principali servizi nei terminali e nei porti ad eccezione delle infrastrutture e del materiale rotabile destinati ad un uso strettamente locale, storico o turistico o delle infrastrutture che sono isolate dal punto di vista funzionale dal resto del sistema ferroviario;

§      la sostituzione dell'Agenzia sulla sicurezza all’organismo comune rappresentativo come soggetto responsabile dell’elaborazione delle STI e dei progetti di STI e della loro revisione e aggiornamento;

§      la possibilità che le STI facciano esplicito riferimento a norme o specifiche europee qualora ciò sia strettamente necessario (in tal caso, le norme o specifiche europee si considerano allegate alla STI e diventano obbligatorie) ovvero, in mancanza di norme o specifiche europee ed in attesa della loro elaborazione, il riferimento ad altri documenti normativi chiaramente identificati, facilmente accessibili e di dominio pubblico;

§      la responsabilità dello Stato membro di garantire che ai veicoli appartenenti al materiale rotabile, al momento dell’autorizzazione alla messa in sevizio, sia assegnato un codice di identificazione alfanumerico, che figuri in un registro di immatricolazione nazionale aggiornato e accessibile alle autorità preposte alla sicurezza di tutti gli Stati membri;

§      l’istituzione da parte della Commissione di un gruppo di coordinamento degli organismi notificati al fine di discutere di qualsiasi questione relativa all'applicazione delle procedure di valutazione di conformità o di idoneità all'impiego e della procedura di verifica di conformità, o all'applicazione delle STI pertinenti;

§      l’organismo ed il personale responsabili delle verifiche devono essere indipendenti dalle autorità designate per rilasciare l’autorizzazione di messa in servizio.

La direttiva - entrata in vigore il 30 aprile 2004 - prevede, come termine per l’adozione delle misure di attuazione da parte degli Stati membri, il 30 aprile 2006.

 

La direttiva 2004/51/CE reca modifiche alla direttiva 91/440/CE, relativa allo sviluppo delle ferrovie comunitarie (direttiva già modificata dalla già ricordata direttiva 2001/12/CE, e che rappresenta la direttiva “base” dell’avvio del processo di liberalizzazione del settore del trasporto ferroviario), prevedendo un ampliamento della concorrenza per quanto concerne il trasporto nazionale merci.

La direttiva in esame mira, infatti, ad accelerare l’apertura del mercato integrato dei servizi di trasporto merci e ad assicurare elevati standard di sicurezza ferroviaria.

La direttiva 91/440/CE, a seguito delle modifiche introdotte dalla direttiva 2001/12/CE, stabilisce il diritto di accesso per le imprese ferroviarie alla rete ferroviaria transeuropea per il trasporto merci e, entro il 2008, all’intera rete per i servizi di trasporto ferroviario internazionale di merci.

La direttiva 2004/51/CE modifica ulteriormente la direttiva 91/440/CE, anticipando tale scadenza al 1° gennaio 2006 e prevedendo, a decorrere dal 1° gennaio 2007, l’estensione dei diritti di accesso a tutti i tipi di servizi di trasporto ferroviario di merci negli Stati membri, conformemente al principio della libera prestazione dei servizi. Inoltre, si prevede che, entro il 1° gennaio 2006, la Commissione presenti al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo, al Comitato delle regioni e al Consiglio, una relazione sullo stato di attuazione delle disposizioni contenute nella direttiva, che comprenda anche informazioni relative allo sviluppo del mercato, all’impatto sul settore dei trasporti, alla sicurezza negli Stati membri, e alle condizioni di lavoro nel settore.

Infine, è disposta l’abrogazione delle disposizioni della direttiva 91/440/CE riguardanti la sicurezza, a seguito dell’entrata in vigore della direttiva 2004/49/CE (direttiva sulla sicurezza delle ferrovie).

Il termine di recepimento per l’attuazione della direttiva è fissato al 31 dicembre 2005.

 


Direttiva 2004/54/CE

 

(Requisiti minimi di sicurezza per le gallerie della rete transeuropea)

 

 

Le disposizioni recate dalla direttiva 2004/54/CE del 29 aprile 2004 hanno lo scopo di garantire un livello minimo di sicurezza agli utenti delle gallerie della rete stradale transeuropea, mediante la prevenzione di situazioni di rischio nonché mediante la protezione in caso di incidente.

Esse si applicano a tutte le gallerie di lunghezza superiore a 500 metri (siano esse in esercizio, in fase di costruzione o allo stato di progetto), che fanno parte della «rete stradale transeuropea», come definita nella decisione n. 1692/96/CE, concernente orientamenti delle azioni previste per realizzare la rete transeuropea dei trasporti[193].

Si illustrano brevemente di seguito i principali aspetti disciplinati dalla direttiva.

Ø    Per quanto riguarda le misure di sicurezza, la direttiva, all’allegato I, contempla requisiti minimi cui devono rispondere tutte le gallerie site nel territorio dello Stato membro; l’articolo 3 prevede la possibilità di realizzare misure di riduzione dei rischi, come soluzioni alternative agli interventi necessari all’adeguamento della galleria ai requisiti minimi, qualora tali interventi risultino troppo onerosi; l’articolo 14 prevede che l’autorità amministrativa possa concederederoghe ai requisiti prescritti, su richiesta del gestore, allo scopo di consentire l'installazione e l'uso di equipaggiamenti o l'utilizzo di procedure di sicurezza innovativi per garantire una protezione equivalente o maggiore rispetto alle tecnologie prescritte dalla direttiva.

Ø    L’articolo 4 prevede l’individuazione da parte dello Stato membro, per ciascuna galleria, di una o più autorità amministrative, cui spetta la responsabilità del rispetto delle misure di sicurezza e dell’osservanza della medesima direttiva.

Ø    L’articolo 5 attribuisce al gestore della galleria (che può essere organismo pubblico o privato) la responsabilità della gestione della galleria nella fase di progettazione, di costruzione o funzionamento, nonché il compito di redigere un “rapporto di inconvenienti” per tutti gli incidenti o eventi significativi che si verifichino in una galleria.

Ø    L’articolo 6 disciplina la figura del responsabile della sicurezza che,designato dal gestore della galleria (e accettato dall’autorità amministrativa), coordina tutte le misure di prevenzione e di salvaguardia dirette a garantire la sicurezza degli utenti e del personale di esercizio; ha piena autonomia per tutte le questioni attinenti alla sicurezza nelle gallerie stradali e, relativamente a tali questioni, non riceve alcuna istruzione da un datore di lavoro;

Ø    Gli articoli 7 e 12 prevedono enti per le ispezioni, ovvero enti funzionalmente indipendenti dal gestore, incaricati di svolgere le ispezioni, le valutazioni e i collaudi. Tali compiti possono essere svolti dall’autorità amministrativa. Ispezioni periodiche devono essere effettuate ad una distanza temporale non superiore a 6 anni;

Ø    Per quanto riguarda l’ambito di applicazione della direttiva, sulla base degli articoli 9, 10 e 11, esso comprende:

§      le gallerie il cui progetto non sia stato ancora approvato dall'autorità responsabile entro il 1° maggio 2006;

§      le gallerie il cui progetto è già stato approvato ma che non sono state aperte al traffico entro il 1° maggio 2006; in tal caso l'autorità amministrativa ne valuta la conformità con i requisiti prescritti dalla direttiva, con riferimento in particolare alla documentazione di sicurezza di cui all’allegato II;

§      le gallerie già aperte al traffico alla data del 30 aprile 2006; in questo caso l'autorità amministrativa ha tempo fino al 30 ottobre 2006 per valutare la conformità della galleria ai requisiti della presente direttiva, con riferimento in particolare all'allegato II. Entro il 30 aprile 2007 gli Stati membri presentano una relazione alla Commissione che descrive come essi prevedono di conformarsi ai requisiti della direttiva, le misure in progetto, e, se del caso, le conseguenze dell'apertura o della chiusura delle principali strade di accesso alle gallerie. I lavori di riadeguamento delle gallerie sono realizzati entro il 30 aprile 2014 (con possibilità – qualora sussistano le condizioni indicate nella norma – di prolungare di cinque anni tale periodo);

Ø    L’articolo 13 disciplina la procedura di analisi dei rischi, prevedendo che essa sia effettuata da un organismo funzionalmente indipendente dal gestore della galleria, utilizzando una metodologia analitica e definita, di cui gli Stati membri informano la Commissione. Il contenuto e i risultati delle analisi dei rischi sono inseriti nella documentazione di sicurezza trasmessa all'autorità amministrativa. Entro il 30 aprile 2009 la Commissione pubblica una relazione sulle pratiche seguite negli Stati membri;

Ø    L’articolo 15 prevede, che lo Stato membro compili, ogni 2 anni, una relazione sugli incendi scoppiati nelle gallerie nonché sugli incidenti che ne mettono a rischio la sicurezza;

Ø    Gli articoli 16 e 17 riguardanol’adeguamento al progresso tecnico in riferimento al contenuto degli Allegati, prevedendo che, a tal fine, la Commissione possa avvalersi dell’assistenza di un Comitato.

La direttiva contiene infine i seguenti allegati tecnici:

§         Allegato I,che definisce i requisiti minimi di sicurezza cui rinvia l’articolo 3.

§         Allegato II, che in particolare definisce la procedura per la messa in esercizio della galleria.

§         Allegato III, relativo alla segnaletica per le gallerie.

L’articolo 18 della direttiva fissava per il recepimento il termine del 30 aprile 2006.

 

È in corso di pubblicazione in Gazzetta ufficiale il decreto legislativo recante attuazione della direttiva 2004/54/CE.

 

Sullo schema di decreto legislativo, l’VIII Commissione del Senato e della Camera, rispettivamente nelle sedute dell’11 luglio e del 12 luglio 2006, hanno espresso il parere di loro competenza.

 


Direttiva 2004/80/CE

 

(Indennizzo delle vittime di reato)

 

 

La direttiva del Consiglio 2004/80/CE, del 29 aprile 2004, relativa all’indennizzo delle vittime di reato, mira, nell’ambito della cooperazione giudiziaria in materia penale, a tutelare i diritti delle vittime della criminalità nell'Unione e a facilitare il loro accesso alla giustizia.

 

L’elaborazione di norme minime sulla tutela delle vittime della criminalità era stata sollecitata già nel Consiglio europeo di Tampere del 15 e 16 ottobre 1999[194], cui era seguita la decisione quadro del Consiglio, del 15 marzo 2001, relativa alla posizione della vittima del procedimento penale. In particolare, la decisione quadro mira a garantire alle vittime una migliore tutela giuridica e una migliore difesa dei loro interessi, indipendentemente dallo Stato membro in cui si trovino. Inoltre, la decisione quadro prevede disposizioni volte a fornire assistenza alle vittime prima e dopo il procedimento penale al fine di attenuare le conseguenze del reato.

 

La direttiva in commento – la cui adozione è stata sollecitata dal Consiglio europeo nel 25 e 26 marzo 2004, anche in seguito all’attentato terroristico di Madrid dell'11 marzo 2004 – si propone di garantire alle vittime dei reati un risarcimento equo ed adeguato per i danni subiti a prescindere dal luogo, all'interno dell'Unione europea, in cui simili eventi si siano verificati. La direttiva contiene disposizioni relative all'accesso al risarcimento in casi transfrontalieri, nonché una disposizione volta a garantire che gli Stati membri introducano le pertinenti disposizioni nazionali per assicurare un risarcimento appropriato alle vittime di reati intenzionali violenti commessi nei rispettivi territori.

In particolare, gli articoli da 1 a 3 della direttiva dispongono che la vittima del reato possa presentare domanda di indennizzo nello Stato di residenza, anche se il reato è stato commesso in un diverso Stato membro; spetterà comunque allo Stato ove il reato si è consumato corrispondere l’indennizzo. A tal fine, gli Stati, limitando allo stretto necessario le formalità amministrative, dovranno designare le autorità competenti per ricevere le domande - c.d. autorità di assistenza - e deciderne l’esito - c.d. autorità di decisione.

L’autorità di assistenza ha il compito di informare gli interessati della possibilità di richiedere un indennizzo, di ricevere le domande e trasmetterle all’autorità di decisione (artt. 4-6), che può disporre l’audizione del richiedente (art. 9) al fine di pervenire alla decisione (art. 10).

L’indennizzo verrà quindi corrisposto in base alle normative nazionali. A tal fine, l’articolo 12 della direttiva impegna gli Stati membri a porre in essere – laddove non l’abbiano già fatto – sistemi di indennizzo delle vittime di reati internazionali violenti commessi nei rispettivi territori, mentre l’articolo 17 fa salve le normative nazionali già vigenti, che assicurino disposizioni più favorevoli a vantaggio delle vittime di reato.

 

La legislazione italiana in materia di provvidenze a favore delle vittime del terrorismo risulta oggi strettamente intrecciata con quella concernente gli appartenenti alle forze dell’ordine colpiti nell’adempimento del dovere e, più in generale, le vittime di azioni criminose.

Basata inizialmente su una disposizione del R.D.L. 261/1921, che riguardava solo il “corpo degli agenti di investigazione” (e cioè il corpo di polizia), la vigente disciplina di ordine generale fa principalmente capo alle leggi n. 466/1980, n. 302/1990, n. 407/1998 ed all’art. 82 della legge finanziaria 2001 (L 2000/388). Tale disciplina ha subìto nel tempo numerose integrazioni e modifiche dirette soprattutto a:

-            adeguare la misura dell’elargizione una tantum che, almeno inizialmente, costituiva la principale provvidenza;

-            estendere le categorie ammesse a fruire dei benefici previsti dalla legge;

-            diversificare i tipi di provvidenze, affiancando alla elargizione una tantum la concessione di pensioni privilegiate, l’attribuzione del diritto all’assunzione obbligatoria e l’esenzione dal pagamento dei ticket sanitari;

-            ampliare le condizioni per la concessione dei benefici, sia per ciò che riguarda gli eventi considerati (morte, invalidità permanente) sia per ciò che riguarda le circostanze in cui l’evento si verifica.

Più recentemente, per consentire l’accesso ai benefici previsti dalla normativa a tutela delle vittime del terrorismo, anche ai militari ed ai civili colpiti da attentati terroristici all’estero, sono intervenuti il decreto legge 28 novembre 2003, n. 337 (convertito dalla legge n. 369 del 2003) e il decreto legge 20 gennaio 2004, n. 9 (convertito dalla legge n. 68 del 2004).

Da ultimo, è stata approvata la legge 3 agosto 2004, n. 206 (Nuove norme in favore delle vittime del terrorismo e delle stragi di tale matrice), le cui disposizioni si applicano a tutte le vittime degli atti di terrorismo e delle stragi di tale matrice, compiuti sul territorio nazionale o extranazionale, se coinvolgenti cittadini italiani, nonché ai loro familiari superstiti, con ciò estendendo la portata della normativa agli atti subiti dalle vittime del terrorismo anche al di fuori del territorio nazionale. La legge, oltre ad aggiornare la misura della elargizione già prevista in precedenza per le vittime degli atti terroristici, interviene per rimodellare il regime delle invalidità e delle conseguenti indennità nonché per accelerare le procedure risarcitorie.

Si ricorda infine che, ai sensi dell’articolo 3 della legge 28 novembre 2005, n. 246 (Semplificazione e riassetto normativo per l’anno 2005), il Governo è delegato ad adottare, entro il 16 dicembre 2008, uno o più decreti legislativi per il riassetto delle disposizioni vigenti in materia di benefìci a favore delle vittime del dovere, del servizio, del terrorismo, della criminalità organizzata e di ordigni bellici in tempo di pace.

 

Gli articoli da 13 a 16 della direttiva in commento contengono disposizioni di attuazione, relative ai dati da comunicare alla Commissione, ai formulari per l’elaborazione delle domande di indennizzo ed alle strutture di coordinamento centrali.

Ai sensi dell’articolo 18, gli Stati membri avrebbero dovuto recepire la direttiva entro il 1º gennaio 2006.

 


Direttiva 2004/81/CE

 

(Titolo di soggiorno per i cittadini di paesi terzi, vittime della tratta di esseri umani o coinvolti nel favoreggiamento dell’immigrazione illegale)

 

 

La direttiva 2004/81/CE del Consiglio europeo definisce le condizioni per il rilascio di titoli di soggiorno alle vittime della tratta di esseri umani[195], provenienti da Paesi terzi, che collaborino nella lotta contro i trafficanti o contro il favoreggiamento dell’immigrazione illegale. La direttiva, affrontando i problemi relativi al recupero delle vittime e al loro reinserimento sociale, stabilisce inoltre il trattamento da assicurare a tali soggetti prima del rilascio del titolo di soggiorno e successivamente ad esso.

La direttiva risponde all'esigenza di rafforzare la lotta contro le attività illecite connesse allo sfruttamento degli esseri umani, introducendo disposizioni per la tutela delle vittime che presentano denuncia o che forniscono informazioni alla polizia o alla magistratura utili per contrastare le reti di trafficanti.

Essa si inserisce nel quadro delle misure per la lotta contro l’immigrazione clandestina adottate a livello comunitario; tali iniziative, unitamente a quelle tendenti alla definizione delle condizioni d'ingresso e di soggiorno degli stranieri, costituiscono gli elementi fondamentali della politica europea comune dell'immigrazione.

 

Si ricorda che con il Trattato di Amsterdam si è verificato un cambiamento radicale: l’asilo e l’immigrazione e la cooperazione giudiziaria in materia civile, (cioè le materie attinenti la libera circolazione delle persone), sono state comunitarizzate attraverso l’introduzione, nel TCE, del Titolo IV (artt. 61 - 69), nel quale esse sono state inserite.

Per attuare le disposizioni del Trattato di Amsterdam relative alla creazione di uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia nell’Unione europea è stato convocato un vertice straordinario a Tampere dell’ottobre 1999, nel quale il Consiglio europeo ha dichiarato la propria volontà di combattere in modo radicale l'immigrazione illegale, in particolare contrastando i criminali dediti al traffico di esseri umani e allo sfruttamento economico dei migranti; il Consiglio ha raccomandato agli Stati membri di impegnarsi nell’eliminazione delle organizzazioni criminali e di provvedere al tempo stesso a garantire i diritti delle vittime.

Dopo la riunione del Consiglio europeo di Tampere, nel corso della quale fu concordato un programma che ha gettato le basi per conseguire importanti risultati nello spazio di libertà, sicurezza e giustizia, il Consiglio europeo di Bruxelles del novembre 2004 ha adottato un nuovo programma pluriennale con cui sono stati fissati gli obiettivi per i prossimi cinque anni, noto come il Programma dell’Aja, allegato alle conclusioni del Consiglio. In esso viene ribadita la necessità di un approccio comune più efficace a problemi quali l’immigrazione clandestina, la tratta di esseri umani, il terrorismo e la criminalità organizzata nonché la prevenzione di questi fenomeni. Tenendo conto di questo Programma, il Consiglio europeo ha invitato la Commissione a presentare al Consiglio, nel 2005, un piano d’azione che concretizzi gli obiettivi e le priorità del Programma.

Come ricordato nei “Considerando..”iniziali (punto 3), il fenomeno della tratta di esseri umani ha assunto dimensioni sempre più allarmanti a livello internazionale; la Comunità e gli Stati membri hanno firmato nel 2000 una Convenzione contro la criminalità organizzata transnazionale[196], corredata da un protocollo per prevenire, reprimere e punire la tratta di persone, in particolare di donne e bambini, e da un protocollo per controllare il traffico di migranti. Tali documenti sono stati adottati in precedenza dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite.

A livello europeo (“Considerando..”, punto 8), con l’intento di rafforzare la prevenzione e la lotta contro tali reati, sono state adottate:

§      la direttiva 2002/90/CE del Consiglio, del 28 novembre 2002, che ha inteso definire precisamente le tipologie di comportamento illecito volte al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, nell’ottica, sia di reprimere l’attraversamento illegale delle frontiere in senso stretto, sia di combattere la cd. tratta di esseri umani a scopo di sfruttamento; la direttiva prevede l’adozione, da parte degli Stati membri, di sanzioni effettive, appropriate e dissuasive nei confronti di chiunque aiuti uno straniero extracomunitario ad entrare, transitare o soggiornare nel territorio di uno Stato dell’Unione in violazione della relativa legislazione di tale Stato. La direttiva prevede poi una possibile esimente alla sanzionabilità del favoreggiamento dell’ingresso e del transito clandestini in presenza di interventi finalizzati all’assistenza umanitaria. La direttiva, il cui termine di recepimento è scaduto il 5 dicembre 2004, stata inserita nella legge comunitaria 2003 (legge n. 306/2003, allegato B);

§      la decisione quadro 2002/629/GAI del Consiglio, del 19 luglio 2002, sulla lotta alla tratta degli esseri umani.

 

Il Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa, ratificato dall’Italia con legge 7 aprile 2005, n. 57, disciplina le politiche relative ai controlli alle frontiere, all’asilo e all’immigrazione negli articoli da 265 a 268 della parte III. In via generale, il Trattato costituzionale affida comunque al Consiglio europeo il compito di definire gli orientamenti strategici della programmazione legislativa e operativa nelle materie attinenti lo spazio comune di libertà sicurezza e giustizia (art. III-258). Per quanto riguarda, in particolare, i controlli alle frontiere (art. III-265), la gestione delle frontiere esterne viene considerato un problema comune in quanto si prevede l’instaurazione progressiva di un sistema integrato di gestione. I Paesi, come il nostro, le cui frontiere nazionali coincidono in larga parte con quelle dell’Unione potranno, dunque, contare su un approccio comunitario della loro gestione. Tale criterio è sotteso a tutte le questioni legate all’immigrazione ed è esplicitato dall’art. III-268, che introduce il principio di solidarietà e di equa ripartizione delle responsabilità, anche finanziarie, tra gli Stati nella regolamentazione delle politiche dell’Unione in materia di immigrazione.

Per quanto riguarda il diritto di asilo, esso è annoverato tra i diritti fondamentali indicati nella parte II del Trattato e l’Unione si impegna a garantirne il rispetto (art. II-78). Di particolare rilievo il passaggio dalla semplice individuazione di norme minime in materia di asilo indicate nel TCE (art. 63) ad una vera e propria politica europea comune in materia di asilo i cui princìpi si ispirano alla Convezione di Ginevra del 28 luglio 1951 e agli altri trattati internazionali sui rifugiati (art. III-266).

Alle politiche dell’immigrazione il Trattato costituzionale dedica una disposizione ad hoc (art. III-267). In particolare, tra le misure da adottare con legge o legge quadro europee viene inserita la lotta contro la tratta degli esseri umani, in particolare delle donne e dei minori.

A seguito dell’esito negativo dei referendum sulla ratifica del Trattato costituzionale in Francia e nei Paesi Bassi, si è aperto un periodo di riflessione sulla prosecuzione del processo aperto con il Trattato.

Ambito di applicazione

La direttiva 2004/81/CE riguarda (art. 3) i cittadini maggiorenni non aventi la cittadinanza dell’Unione che sono o sono stati vittime di reati collegati alla tratta di esseri umani, anche se sono entrati illegalmente nel territorio degli Stati membri. Agli Stati membri è riconosciuta la facoltà di ampliare il campo di applicazione della direttiva a coloro che:

§         sono stati coinvolti in un'azione di favoreggiamento dell'immigrazione illegale;

§         non hanno raggiunto la maggiore età fissata nell'ordinamento giuridico dello Stato membro interessato.

Non è comunque preclusa agli Stati membri (art. 4) la possibilità di adottare o di mantenere disposizioni più favorevoli per i soggetti cui si applica la direttiva.

Il diritto al soggiorno è subordinato al rispetto di determinate condizioni (vedi infra); l’autorizzazione a risiedere nel territorio dello Stato membro ha carattere provvisorio, con validità di almeno sei mesi, ed è rinnovabile.

I soggetti vittime della tratta di esseri umani devono essere informati circa la possibilità di ottenere il titolo di soggiorno (art. 5).

Ad essi deve inoltre essere concesso un periodo di riflessione, per sottrarsi all’influenza dei criminali e per poter decidere con consapevolezza, valutando i rischi, in merito alla loro cooperazione con le autorità di polizia e giudiziarie (art. 6). Durante il periodo di riflessione, e nell'attesa della decisione delle autorità competenti, non può essere eseguita alcuna misura di allontanamento nei loro confronti. Il periodo di riflessione non conferisce un diritto di soggiorno. Lo Stato membro può interrompere in qualsiasi momento al periodo di riflessione nel caso in cui le autorità competenti accertino che l'interessato ha attivamente, volontariamente e di propria iniziativa, ristabilito un legame con gli autori dei reati di tratta degli esseri umani e di favoreggiamento dell’immigrazione illegale, oppure per motivi attinenti alla pubblica sicurezza e alla salvaguardia della sicurezza nazionale.

Prima del rilascio del titolo di soggiorno (art. 7), gli Stati membri assicurano ai soggetti in questione, privi di risorse sufficienti, un livello di vita tale da permettere loro la sussistenza e l'accesso a cure mediche urgenti, tenendo conto delle esigenze specifiche delle persone più vulnerabili, assicurando, se necessaria, l'assistenza linguistica e prestando l'assistenza legale gratuita, ove sia prevista e alle condizioni stabilite dall'ordinamento giuridico nazionale.

Il rilascio del titolo di soggiorno è subordinato all’accertamento da parte dello Stato membro delle seguenti condizioni(art. 8):

§      opportunità del prolungamento del soggiorno dell’interessato nel territorio nazionale ai fini delle indagini o del procedimento giudiziario;

§      sussistenza di una chiara volontà di cooperazione da parte dello stesso;

§      rottura di ogni legame con i presunti autori dei fatti criminosi.

Misure specifiche sono previste per i minori(art. 10): il procedimento che li riguarda deve essere adeguato tenendo conto dell’età e del grado di maturità degli stessi; viene garantito loro l'accesso al sistema scolastico; ai minori non accompagnati è assicurata una particolare tutela.

Ai beneficiari del titolo di soggiorno è consentito l’accesso al mercato del lavoro, alla formazione professionale e all'istruzione, limitatamente alla durata del titolo di soggiorno e conformemente alla legislazione nazionale (art. 11). Parimenti, i soggetti in questione possono partecipare a programmi di reinserimento sociale, compresi corsi intesi a migliorare la loro capacità professionale, oppure la preparazione al ritorno assistito nel Paese di origine, predisposti dallo Stato membro o da organizzazioni non governative.

Il rilascio o il rinnovo del titolo di soggiorno possono essere vincolati alla partecipazione a tali programmi.

Il termine di recepimento della direttiva è fissato al 6 agosto 2006 (articolo 17, paragrafo 1).

La legislazione nazionale

Già a partire dal 1998 sono state introdotte nell’ordinamento italiano norme per la protezione e l’integrazione degli stranieri vittime di violenze e dello sfruttamento da parte della criminalità.

L'art. 18 del Testo unico sull’immigrazione[197] stabilisce che possa essere concesso uno speciale permesso di soggiorno per motivi umanitari nel caso in cui siano accertate, nel corso di operazioni di polizia, di indagini o di un procedimento per i reati di induzione, sfruttamento e favoreggiamento della prostituzione o di quelli previsti dall'articolo 380 del codice di procedura penale[198], ovvero nel corso di interventi assistenziali dei servizi sociali degli enti locali, situazioni di violenza o di grave sfruttamento nei confronti di uno straniero ed emergano concreti pericoli per la sua incolumità.

La norma dispone dunque che si possa ottenere il permesso di soggiorno sia a seguito della collaborazione con la magistratura, sia in assenza di denuncia, su proposta dei servizi sociali degli enti locali o dei soggetti privati convenzionati con gli enti locali che attuano programmi di assistenza e di integrazione sociale, purché venga intrapreso, da parte delle vittime, un percorso di protezione per sfuggire ai trafficanti.

Tale misura risponde all’esigenza di consentire allo straniero di sottrarsi alla violenza e ai condizionamenti dell'organizzazione criminale e di partecipare ad un programma di assistenza e di reinserimento nella società.

Il permesso di soggiorno per motivi umanitari ha la durata di sei mesi e può essere rinnovato per un anno, o per il maggior periodo occorrente per motivi di giustizia. Esso è revocato in caso di interruzione del programma o di condotta incompatibile con le finalità dello stesso, ovvero quando vengono meno le altre condizioni che ne hanno giustificato il rilascio. Il permesso consente l'accesso ai servizi assistenziali e allo studio, l'iscrizione nelle liste di collocamento e lo svolgimento di lavoro subordinato e può essere convertito in permesso di soggiorno per lavoro.

Gli artt. 25-27 del regolamento di attuazione[199] del Testo unico sull’immigrazione integrano la disposizione illustrata prevedendo in particolare la costituzione presso il Dipartimento per le pari opportunità della Presidenza del Consiglio di una Commissione interministeriale per l’attuazione dell’art. 18 del Testo unico sull’immigrazione, composta da rappresentanti dei Ministri per le pari opportunità, dell'interno e della giustizia, con compiti di indirizzo, di controllo e di programmazione delle risorse relative ai programmi di assistenza ed integrazione sociale previsti dal citato art. 18.

Più recentemente, la legge n. 228 del 2003[200] ha introdotto nuove disposizioni penali allo scopo di contrastare il fenomeno della riduzione in schiavitù derivante dal traffico di esseri umani.

I tratti salienti della legge riguardano:

§      la riformulazione, con aumenti di pena, degli articoli 600, 601 e 602 del codice penale, relativi rispettivamente alla riduzione o mantenimento in schiavitù o in servitù, alla tratta di persone, all’alienazione e all’acquisto di persone in condizione di schiavitù o servitù;

§      la previsione di una nuova ipotesi di associazione per delinquere (art. 416 c.p.) diretta a commettere uno dei delitti di cui ai citati articoli 600, 601 e 602;

§      l'istituzione, presso la Presidenza del Consiglio, del Fondo per le misure anti-tratta, destinato al finanziamento di programmi di assistenza e integrazione sociale in favore delle vittime dei reati nonché delle altre finalità di protezione sociale di cui all’art. 18 del Testo unico sull’immigrazione;

§      l'istituzione di uno speciale programma di assistenza per le vittime dei reati di riduzione o mantenimento in schiavitù o in servitù (art. 600 c.p.) e di tratta di persone (art. 601), allo scopo di assicurare, in via transitoria, adeguate condizioni di alloggio, di vitto e di assistenza sanitaria, salva comunque l’applicabilità delle disposizioni di carattere umanitario di cui all’art. 18 del Testo unico sull’immigrazione, qualora la vittima del reato sia una persona straniera.


Direttiva 2004/82/CE

 

(Obbligo dei vettori di comunicare i dati relativi

alle persone trasportate)

 

 

La direttiva 2004/82/CE reca disposizioni in materia di obbligo dei vettori di comunicare i dati relativi alle persone trasportate.

 

L’obiettivo dichiarato della direttiva (articolo 1) è quello di migliorare i controlli alle frontiere e combattere l’immigrazione illegale attraverso la trasmissione anticipata, da parte dei vettori, dei dati relativi alle persone trasportate alle competenti autorità nazionali.

A tal fine gli Stati membri adottano disposizioni per istituire l’obbligo per i vettori di comunicare – entro il termine delle procedure di accettazione -  una serie di informazioni sulle persone trasportate a un valico di frontiera autorizzato attraverso il quale esse entreranno nel territorio di uno Stato membro. In particolare, all’articolo 3 viene specificato che tali informazioni comprendono: cittadinanza e generalità di ciascun passeggero, valico di frontiera di ingresso nel territorio degli Stati membri, primo punto di imbarco, numero complessivo delle persone trasportate nonché informazioni relative al trasporto (numero del trasporto, ora di partenza e di arrivo del mezzo di trasporto)

Le informazioni sono trasmesse su richiesta delle autorità incaricate di effettuare i controlli delle persone alle frontiere.

I nuovi obblighi imposti ai vettori sono complementari a quelli già stabiliti dall’articolo 26 della Convenzione di applicazione dell’accordo di Schengen (ratificato dalla legge 30 settembre 1998, n. 338),integrata dalla direttiva 2001/51/CE, concernente le misure di accompagnamento dello straniero.

Si ricorda che l’articolo 26 della Convenzione dispone l’obbligo per il vettore di prendere in carico il passeggero straniero il cui ingresso è stato rifiutato dallo Stato che aderisce all’Accordo e, su richiesta delle autorità addette alla sorveglianza delle frontiere, riaccompagnarlo nel Paese terzo di provenienza. I vettori hanno altresì l’obbligo di accertare che lo straniero trasportato sia in possesso  dei documenti di viaggio necessari per l’ingresso nei Paesi contraenti.

La direttiva 2001/51/CE, che integra le disposizioni dell’articolo 26, detta norme  concernenti le sanzioni e l’eventuale contenzioso nei confronti dei vettori che non rispettino gli obblighi della Convenzione[201].

 

Gli Stati membri adottano le misure necessarie per imporre sanzioni ai vettori che non trasmettano i dati, o trasmettano dati incompleti o falsi (art. 4), nonché misure necessarie ad assicurare che le sanzioni siano, tra l’altro, dissuasive, effettive e proporzionate.

L’articolo 5 della direttiva stabilisce che gli Stati membri assicurano che le loro disposizioni legislative, regolamentari e amministrative prevedano che i vettori, nei confronti dei quali siano state avviate procedure per l’applicazione di sanzioni, abbiano diritti di difesa e di impugnazione effettivi.

L’articolo 6 della direttiva concerne il trattamento dei dati trasmessi. I dati sono trasmessi dai vettori per via elettronica alle autorità incaricate di effettuare i controlli alla frontiera, i quali sono tenuti a salvare i dati in un file provvisorio. Dopo l’ingresso dei passeggeri, i dati devono essere eliminati entro 24 ore dalla loro trasmissione, a meno che non siano necessari successivamente alle autorità di frontiera “per l’esercizio delle loro funzioni regolamentari”. Sono comunque fatte salve le disposizioni recate dalla direttiva 95/46/CE in materia di protezione dei dati personali[202].

I vettori sono, invece, obbligati ad eliminare i dati entro 24 dall’arrivo del mezzo di trasporto. Essi sono inoltre obbligati ad informare i passeggeri conformemente alle disposizioni della direttiva 95/46/CE, in particolare agli articoli 10 (“Informazione in caso di raccolta dei dati presso la persona interessata”) e 11 (“Informazione in caso di dati non raccolti presso la persona interessata”).

 

Ai sensi dell’articolo 10, gli Stati membri dispongono che il responsabile del trattamento, o il suo rappresentante, debba fornire alla persona presso la quale effettua la raccolta dei dati che la riguardano almeno le informazioni elencate qui di seguito, a meno che tale persona ne sia già informata:

a) l'identità del responsabile del trattamento ed eventualmente del suo rappresentante;

b) le finalità del trattamento cui sono destinati i dati;

c) ulteriori informazioni riguardanti quanto segue:

-   i destinatari o le categorie di destinatari dei dati,

-   se rispondere alle domande è obbligatorio o volontario, nonché le possibili conseguenze di una mancata risposta,

-   se esistono diritti di accesso ai dati e di rettifica in merito ai dati che la riguardano nella misura in cui, in considerazione delle specifiche circostanze in cui i dati vengono raccolti, tali informazioni siano necessarie per effettuare un trattamento leale nei confronto della persona interessata.

 

Ai sensi dell’articolo 11, in caso di dati non raccolti presso la persona interessata, gli Stati membri dispongono che, al momento della registrazione dei dati o qualora sia prevista una comunicazione dei dati a un terzo, al più tardi all'atto della prima comunicazione dei medesimi, il responsabile del trattamento o il suo rappresentante debba fornire alla persona interessata almeno le informazioni elencate qui di seguito, a meno che tale persona ne sia già informata:

a) l'identità del responsabile del trattamento ed eventualmente del suo rappresentante,

b) le finalità del trattamento,

c) ulteriori informazioni riguardanti quanto segue:

-   le categorie di dati interessate,

-   i destinatari o le categorie di destinatari dei dati,

-   se esiste un diritto di accesso ai dati e di rettifica in merito ai dati che la riguardano,

nella misura in cui, in considerazione delle specifiche circostanze in cui i dati vengono raccolti, tali informazioni siano necessarie per effettuare un trattamento leale nei confronti della persona interessata.

Tali disposizioni non si applicano quando, in particolare nel trattamento di dati a scopi statistici, o di ricerca storica o scientifica, l'informazione della persona interessata si rivela impossibile o richiede sforzi sproporzionati o la registrazione o la comunicazione è prescritta per legge. In questi casi gli Stati membri prevedono garanzie appropriate.

 

L’articolo 7 fissa alla data del 5 settembre 2006 il termine di recepimento della direttivaper gli Stati membri

 

 


Direttiva 2004/83/CE

 

(Norme minime sull’attribuzione della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale)

 

 

La direttiva 2004/83/CE reca norme minime sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta.

Tale direttiva, che ha come scopo principale quello di ”assicurare che gli Stati membri applichino criteri comuni per identificare le persone che hanno effettivamente bisogno di protezione internazionale e, dall’altra, di assicurare che un livello minimo di prestazioni sia disponibile per tali persone in tutti gli Stati membri”, si articola in nove capi relativi a:

§         Disposizioni generali (Capo I);

§         Valutazione delle domande di protezione internazionale (Capo II);

§         Requisiti per essere considerato rifugiato (Capo III);

§         Status di rifugiato (Capo IV);

§         Requisiti per poter beneficiare della protezione sussidiaria (Capo V);

§         Status di protezione sussidiaria (Capo VI);

§         Contenuto della protezione internazionale (Capo VII);

§         Cooperazione amministrativa (Capo VIII);

§         Disposizioni finali (Capo IX).

 

Il Capo I reca le disposizioni generali della direttiva. In particolare, dopo aver definito l’oggetto e il campo di applicazione della direttiva (art. 1), nonché dopo aver specificato il contenuto di diverse definizioni (protezione internazionale, rifugiato, status di protezione sussidiaria ecc.) contenute nella stessa (art. 2), si riconosce agli Stati membri la possibilità di introdurre o mantenere in vigore disposizioni più favorevoli sulla determinazione dei soggetti che possono essere considerati rifugiati o persone ammissibili alla protezione sussidiaria nonché in ordine alla definizione degli elementi sostanziali della protezione internazionale (art. 3).

 

Il Capo II disciplina la valutazione delle domande di protezione internazionale. In particolare:

§      l’esame della domanda di protezione internazionale deve essere effettuato su base individuale (art. 4);

§      il timore fondato di esser perseguitato o il rischio effettivo di subire un danno grave può esser basato su avvenimenti verificatisi dopo la partenza del richiedente dal suo paese di origine (art. 5);

§      i responsabili della persecuzione o del danno grave possono essere: lo Stato, i partiti o le organizzazioni, che controllano lo Stato o una parte consistente del suo territorio; i soggetti non statuali, se può essere dimostrato che i soggetti precedenti non possono o non vogliono fornire protezione contro persecuzioni o danni gravi (art. 6);

§      la protezione può essere fornita dallo Stato, dai partiti o organizzazioni, comprese le organizzazioni internazionali, che controllano lo Stato o una parte consistente del suo territorio (art. 7);

§      gli Stati membri possono stabilire che il richiedente non necessiti di protezione internazionale, se in una parte del territorio del paese di origine egli non abbia fondati motivi di temere di esser perseguitato o non corra rischi effettivi di subire danni gravi e se è ragionevole attendere dal richiedente che si stabilisca in quella parte del Paese (art. 8).

 

Il Capo III disciplina i requisiti per essere considerato rifugiato. In particolare:

§      gli atti di persecuzione devono essere sufficientemente gravi da comportare una violazione grave dei diritti umani fondamentali e devono costituire la somma di diverse misure, tra cui violazioni di diritti umani, il cui impatto sia sufficientemente grave (art. 9);

§      nel valutare i motivi di persecuzione, gli Stati membri tengono conto degli elementi della razza, della religione, della nazionalità, del gruppo sociale, dell’opinione politica (art. 10);

§      la cessazione della qualifica di rifugiato si verifica alternativamente quando (art. 11):

-       il cittadino di un paese terzo o un apolide si sia volontariamente avvalso di nuovo della protezione del paese di cui ha la cittadinanza;

-       avendo persa la cittadinanza, l’abbia volontariamente riacquistata;

-       abbia acquistata una nuova cittadinanza e goda della protezione del Paese di cui ha acquistato la cittadinanza;

-       si sia volontariamente ristabilito nel paese che ha lasciato o in cui non ha fatto ritorno per timore di essere perseguitato;

-       non possa più rinunciare alla protezione del paese di cui ha la cittadinanza, perché sono venute meno le circostanze che hanno determinato il riconoscimento dello status di rifugiato;

-       se trattasi di apolide, sia in grado di tornare nel paese nel quale aveva la dimora abituale, perché sono venute meno le circostanze che hanno determinato il riconoscimento dello status di rifugiato;

§         l’esclusione dallo status di rifugiato subentra alternativamente se (art. 12):

-       il cittadino di un paese terzo o un apolide siano soggetti alla protezione ed all’assistenza di un organo o di un’agenzia delle Nazioni unite, diversi dall’Alto Commissario delle Nazioni unite per i rifugiati;

-       se le autorità competenti del paese nel quale ha stabilito la sua residenza gli riconoscono i diritti e gli obblighi connessi al possesso della cittadinanza del paese stesso o diritti e obblighi equivalenti, nonché se sussistono fondati motivi per ritenere che abbia commesso reati di particolare gravità, quali un crimine contro la pace o un crimine contro l’umanità, come definiti dagli strumenti internazionali.

 

Il Capo IV disciplina lo status di rifugiato (art. 13), in particolare la revoca, la cessazione o il rifiuto di tale status, che subentrano se la persona avrebbe dovuto essere esclusa o è esclusa dallo status di rifugiato o se il fatto di aver presentato i fatti in modo erroneo o di averli omessi ha costituito un fattore determinante per l’ottenimento dello status, nonchè se vi sono fondati motivi per ritenere che la persona costituisca un pericolo per la sicurezza dello Stato membro o se la persona costituisce un pericolo per la comunità di tale Stato membro (art. 14).

 

Il Capo V individua i requisiti per poter beneficiare della protezione sussidiaria: si tratta di danni gravi, quali la condanna a morte o all’esecuzione, la tortura o altra forma di pena o trattamento inumano o degradante ai danni del richiedente nel suo paese di origine ovvero la minaccia grave e individuale alla vita o alla persona di un civile, derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale (art. 15).

La cessazione dal beneficio della protezione sussidiaria subentra quando sono venute meno le circostanze, che hanno portato alla concessione dello status di protezione sussidiaria (art. 16).

Diversamente, l’esclusione dal beneficio della protezione sussidiaria  consegue alla commissione di un crimine contro la pace, di un crimine di guerra o di un crimine contro l’umanità, quali definiti dagli strumenti internazionali relativi a tali crimini, alla commissione di un reato grave, alla colpevolezza per atti contrari alle finalità e ai principi delle Nazioni Unite, al fatto che il soggetto in questione rappresenti un pericolo per la comunità o la sicurezza dello stato in cui si trova (art. 17).

 

Il Capo VI disciplina lo status di protezione sussidiaria che viene riconosciuto ai cittadini di paesi terzi o a apolidi, ammessi a beneficiare della stessa protezione sussidiaria secondo quanto previsto dal precedente capo (art. 18).

La revoca, cessazione o rifiuto del rinnovo dello status di protezione sussidiaria subentra se il cittadino di un paese terzo o un apolide avrebbe dovuto essere escluso o è escluso dalla qualifica di persona ammissibile a beneficiare della protezione sussidiaria o nel caso in cui la presentazione di fatti in modo erroneo o l’omissione degli stessi, compreso il ricorso a documenti falsi, abbia costituito un fattore determinante per l’ottenimento dello status di protezione sussidiaria (art. 19).

 

Il Capo VII precisa il contenuto della protezione internazionale che si sostanzia in :

§      protezione dal respingimento (art. 21);

§      accesso ai diritti e obblighi previsti dallo status di protezione in lingua comprensibile al soggetto interessato (art. 22);

§      mantenimento dell’unità familiare (art. 23);

§      permesso di soggiorno, salvo che non vi ostino motivi di sicurezza nazionale o di ordine pubblico (art. 24);

§      rilascio di documenti di viaggio al di fuori del territorio degli Stati che riconoscono lo status (art. 25);

§      accesso all’occupazione (art. 26);

§      accesso all’istruzione (art. 27);

§      accesso ad adeguata assistenza sociale (art. 28);

§      accesso all’assistenza sanitaria (art. 29);

§      tutela dei minori non accompagnati (art. 30);

§      accesso ad un alloggio (art. 31);

§      libertà di circolazione nel territorio dello Stato membro (art. 32);

§      accesso agli strumenti di integrazione (art. 33);

§      assistenza per il rimpatrio (art. 34).

 

Il Capo VIII, relativo alla cooperazione amministrativa, prevede che ciascuno Stato membro designi un punto nazionale di contatto, trasmettendone l’indirizzo alla Commissione, che a sua volta lo comunica a tutti gli Stati membri (art. 35).

 

Il Capo IX reca le disposizioni finali. In particolare, si prevede:

§      la relazione della Commissione al Parlamento europeo ed al Consiglio - entro il 10 aprile 2008 – sull’applicazione della direttiva negli Stati membri, proponendone le necessarie modifiche che devono riguardare in via prioritaria la definizione di danno grave, la normativa sull’accesso all’occupazione e quella sull’accesso agli strumenti di integrazione (art. 37);

§      il termine per il recepimento della direttiva, fissato al 10 ottobre 2006 (art. 38);

§      l’entrata in vigore della direttiva il ventesimo giorno successivo alla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea (art. 39);

§      i destinatari della direttiva che sono gli Stati membri (art. 40).

 

Si ricorda che il Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa, ratificato dall’Italia con legge 7 aprile 2005, n. 57, disciplina le politiche relative ai controlli alle frontiere, all’asilo e all’immigrazione negli articoli da 265 a 268 della parte III. Per quanto riguarda il diritto di asilo, esso è annoverato tra i diritti fondamentali indicati nella parte II del Trattato e l’Unione si impegna a garantirne il rispetto (art. II-78). Di particolare rilievo il passaggio dalla semplice individuazione di norme minime in materia di asilo indicate nel TCE (art. 63) ad una vera e propria politica europea comune in materia di asilo i cui princìpi si ispirano alla Convezione di Ginevra del 28 luglio 1951 e agli altri trattati internazionali sui rifugiati (art. III-266).

Alle politiche dell’immigrazione il Trattato costituzionale dedica una disposizione ad hoc (art. III-267). In particolare, tra le misure da adottare con legge o legge quadro europee viene inserita la lotta contro la tratta degli esseri umani, in particolare delle donne e dei minori.

A seguito dell’esito negativo dei referendum sulla ratifica del Trattato costituzionale in Francia e nei Paesi Bassi, si è aperto un periodo di riflessione sulla prosecuzione del processo aperto con il Trattato.

Legislazione nazionale

Il diritto di asilo è tra i diritti fondamentali dell’uomo, riconosciuti dalla nostra Costituzione. L’articolo 10, terzo comma, della Costituzione prevede, infatti, che lo straniero, al quale sia impedito nel suo Paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto di asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge.

In base a tale principio l’Italia ha aderito alla Convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951[203], che definisce lo status di rifugiato, e alla Convenzione di Dublino del 15 giugno 1990, sulla determinazione dello Stato competente per l’esame di una domanda di asilo presentata in uno degli Stati membri della Comunità europea[204].

La modalità per il riconoscimento dello status di rifugiato sono contenute nel decreto-legge n. 416 del 1989[205] (la cosiddetta “legge Martelli”), che ha pienamente recepito i princìpi propri della Convenzione di Ginevra, in particolare facendo venire meno la "riserva geografica" inizialmente posta dall’Italia al momento di aderire alla Convenzione, in base alla quale l’Italia si impegnava all’osservanza dell’atto solo nei confronti degli stranieri provenienti da determinati Paesi. Attualmente pertanto il riconoscimento dello status di rifugiato interessa gli stranieri provenienti da qualsiasi Paese estero.

Circa il diritto di asilo, la Corte di Cassazione (sentenza 26 maggio 1997, n. 4674) ha stabilito che la Costituzione attribuisce direttamente allo straniero, che si trovi nella situazione descritta dalla norma, un vero e proprio diritto soggettivo all'ottenimento dell'asilo, anche in mancanza di una legge che, del diritto stesso, specifichi le condizioni di esercizio e le modalità di godimento.

La Corte ha inoltre escluso l'applicazione al diritto di asilo politico della disciplina contenuta nella legge Martelli in materia di riconoscimento dello status di rifugiato, in quanto non vi è coincidenza tra la categoria degli aventi diritto all'asilo e quella dei rifugiati politici, essendo quest'ultima meno ampia rispetto alla prima. In secondo luogo, la Cassazione ha chiarito che la Convenzione di Ginevra, i cui princìpi sono recepiti dalla legge Martelli, non prevede un vero e proprio diritto di asilo dei rifugiati politici.

 

Nel corso della XIV legislatura hanno formato oggetto di esame parlamentare varie proposte di legge volte a definire una disciplina organica del diritto di asilo. Nel testo giunto all’esame dell’Assemblea della Camera (A.C. 1238-A) la riforma definiva la composizione e i compiti delle Commissioni territoriali e della Commissione centrale per il riconoscimento del diritto di asilo; individuava in dettaglio le modalità per la presentazione e l’esame delle domande di asilo; stabiliva misure di assistenza e di integrazione.

 

Si ricorda infine che il disegno di legge comunitaria 2006, approvato dalla Camera e attualmente all’esame del Senato, contiene tra l’altro disposizioni di delega relative al recepimento della direttiva 2005/85/CE, del Consiglio, recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato.

 


Direttiva 2004/108/CE

 

(Ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative alla compatibilità elettromagnetica)

 

 

Con l’approvazione della nuova direttiva 2004/108/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 15 dicembre 2004 è stato completato il processo di revisione della direttiva europea 89/336/CE sulla compatibilità elettromagnetica (cd. direttiva CEM) che era durato ben sette anni.

Benché la precedente direttiva 89/336/CE avesse avuto un impatto positivo sulla progettazione e realizzazione degli apparecchi e sistemi elettrici ed elettronici circolanti nell’ambito dell’Unione Europea, tuttavia la vastità del suo campo di applicazione[206], non sufficientemente definito e dettagliato, l’obbligatorietà, per tutti i prodotti, delle prove secondo le norme armonizzate o del ricorso all’organismo competente, ha portato, da un lato, a difficoltà di interpretazione, specialmente per i componenti e gli impianti, e dall’altro, ad oneri economici ingiustificati per la verifica della conformità di prodotti per i quali potevano ragionevolmente essere applicate procedure semplificate. Per tali ragioni, sin dal 1997, la Commissione ha deciso di intraprendere un lavoro di revisione della direttiva, solo recentemente completato, con l’emanazione della nuova direttiva 2004/108/CE.

Si ricorda brevemente che la direttiva 89/336/CEE (cd. direttiva CEM) ha l'obiettivo di garantire la libera circolazione delle apparecchiature elettriche ed elettroniche e di creare un ambiente elettromagnetico accettabile nell'UE. Essa mira quindi a far sì che le perturbazioni elettromagnetiche provocate da apparecchiature elettriche non impediscano il corretto funzionamento di altre apparecchiature e delle reti di telecomunicazione e di erogazione dell'energia elettrica e che tali apparecchiature abbiano un adeguato livello di immunità contro le perturbazioni elettromagnetiche, che permetta loro di funzionare in modo conforme alla loro destinazione. Dal 1° gennaio 1996 tutti gli apparecchi elettrici ed elettronici interessati devono essere conformi alle prescrizioni della direttiva CEM prima di essere immessi sul mercato della Comunità europea. Nel nostro ordinamento la direttiva è stata recepita con il d.lgs. 12 novembre 1996 n. 615. Con successivo decreto del Ministero dell’industria, del commercio e dell’artigianato del 18 maggio 1999[207] è stato approvato l'elenco delle norme nazionali che traspongono le corrispondenti norme armonizzate europee in materia di compatibilità elettromagnetica, ai sensi dell'art. 6, comma a), del d.lgs. n. 615/1996. Infine, con decreto del Ministero delle comunicazioni del 27 settembre 1999 sono stati individuati gli organismi competenti in materia di compatibilità elettromagnetica, ai sensi dell'art. 1, comma 1, lettera e), sempre del citato decreto legislativo n. 615.

La direttiva 2004/108/CEE ha quindi precisato meglio il campo di applicazione, includendo alcuni chiarimenti prima contenuti solo nella Guida di applicazione della direttiva 89/336/CEE e ribadendo esplicitamente che gli impianti fissi rientrano nel suo campo di applicazione. Quattro gli aspetti principali della nuova direttiva 2004/108/CE:

§        semplificazione delle procedure di attestazione della conformità (art. 7). La direttiva CEM contemplava tre differenti procedure per la valutazione di conformità, in funzione del tipo di apparecchiature in questione e della presenza o meno di norme armonizzate. Delle tre procedure previste, due richiedevano l'intervento obbligatorio di un organismo indipendente di ispezione e verifica. La direttiva 2004/108/CE prevede invece che l’intervento dell’organismo indipendente di ispezione e verifica sia solo eventuale e venga attivato sulla base della valutazione discrezionale del fabbricante o del suo mandatario. La nuova direttiva prevede quindi uno snellimento della procedura con conseguenti diminuzioni dei costi;

§        requisiti più severi in materia di informazioni e documentazione di prodotto (art. 9). La direttiva prevede che siano i fabbricanti a fornire agli organismi ispettivi ulteriori strumenti di controllo che permettano di identificare in maniera più precisa il prodotto (tipo, numero seriale, etc.), indicando altresì il nominativo e l’indirizzo del fabbricante stesso o del suo agente o, se necessario, dell'importatore stabilito sul territorio dell'Unione. Si tratta di semplici ma efficaci accorgimenti per migliorare la tracciabilità del prodotto e per agevolare il compito di sorveglianza sul mercato da parte delle autorità competenti;

§        regime speciale per gli impianti fissi (art. 13). Il campo d'applicazione della direttiva è definito in riferimento al concetto centrale di "apparecchiatura", in cui si distinguono due sottoinsiemi: gli "apparecchi" e gli "impianti fissi". Una delle principali ragioni di una revisione della direttiva CEM è stata la necessità di prevedere regimi normativi distinti per gli apparecchi e per gli impianti fissi. Gli impianti fissi sono assemblaggi di vari apparecchi ed altri dispositivi installati e destinati ad essere utilizzati in modo permanente in un luogo predeterminato[208], mentre gli apparecchi sono costituiti da ogni dispositivo finito, o combinazione di dispositivi finiti, commercializzato come unità funzionale indipendente, destinato all’utente finale e che può generare perturbazioni elettromagnetiche, o il cui funzionamento può subire gli effetti di tali perturbazioni (art. 2). La necessità di un regime diverso è stata giustificata dal fatto che gli impianti fissi possono essere oggetto di continue modifiche, nonché dalle difficoltà riscontrate nell'applicazione a tali impianti di una procedura formale di valutazione della conformità a causa della loro dimensione, della loro complessità, di condizioni di CEM esterne non definite e variabili, di esigenze di funzionamento, ecc. La nuova direttiva prevede, quindi, la non obbligatorietà della procedura di certificazione per gli impianti fissi, che dovranno comunque rispettare quelli che sono i limiti di emissione di radiodisturbi tali da non disturbare le aree circostanti all'installazione, ferma restando la possibilità per lo Stato membro di adottare le misure di salvaguardia di cui all’art. 10 nel caso in cui un impianto fisso non sia conforme alle disposizioni della direttiva. Nei casi di non conformità rilevate e/o reclami riguardanti perturbazioni prodotte dall'impiant, le autorità preposte possono chiedere evidenza delle verifiche fatte per dichiarare la conformità; inoltre identificano la persona o le persone responsabili della messa in conformità dell'impianto e possono imporre le misure necessarie per rendere gli impianti conformi (art. 13).

§        conformità con i principi generali delle norme armonizzate (art. 6). Otto anni di applicazione della direttiva CEM hanno evidenziato l'efficacia dei principi delle norme armonizzate nel settore della compatibilità elettromagnetica. Viene confermato dunque lo schema di base secondo cui i requisiti essenziali di sicurezza sanciti dalla direttiva trovano nelle norme europee armonizzate[209] la via maestra - ancorché non obbligatoria - per produrre nel rispetto della disciplina. Viene peraltro specificato allo stesso art. 6che per “norma armonizzata” si intende una specificazione tecnica adottata da un organismo di normazione europeo riconosciuto su mandato della Commissione, secondo le procedura  fissate nella direttiva 98/34/CE per stabilire un requisito europeo.

La nuova direttiva, entrata in vigore il 20 gennaio 2005, prevede un periodo transitorio fino al 20 luglio 2009,durante il quale è consentita l'immissione sul mercato o la messa in servizio di apparati e sistemi conformi alla precedente direttiva 89/336/CE (art. 15). Infine, gli Stati sono tenuti a conformarsi alle disposizioni della direttiva entro il 20 gennaio 2007 e ad applicare le disposizioni della direttiva a decorrere dal 20 luglio 2007 (art. 16).

 

 


Direttiva 2004/109/CE

 

(Obblighi di trasparenza riguardanti le informazioni

sugli emittenti i cui valori mobiliari sono ammessi

alla negoziazione in un mercato regolamentato)

 

 

La direttiva 2004/109/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 dicembre 2004, stabilisce obblighi riguardanti la comunicazione di informazioni periodiche e continue sugli emittenti i cui valori mobiliari sono già ammessi alla negoziazione in un mercato regolamentato che sia situato o operante all'interno di uno Stato membro e modifica la direttiva 2001/34/CE del 28 maggio 2001, riguardante l'ammissione di valori mobiliari alla quotazione ufficiale e l'informazione da pubblicare su detti valori.

La direttiva 2004/109/CE intende migliorare la tutela degli investitori e l’efficienza del mercato. Il miglioramento della trasparenza finanziaria e contabile delle società che raccolgono il risparmio nei mercati regolamentati è infatti considerato un elemento essenziale perché vi sia fiducia nel funzionamento di tali mercati.

 

La direttiva 2004/109/CE si inserisce nel quadro del Piano di azione per i servizi finanziari (PASF), approvato dai capi di Stato e di governo in occasione del Consiglio europeo di Lisbona del marzo 2000, finalizzato a migliorare la trasparenza delle società i cui valori mobiliari sono negoziati in mercati regolamentati e la qualità delle informazioni finanziarie e contabili da loro fornite. Oltre alla direttiva in esame fanno parte del Piano:

- il regolamento (CE) n. 1606/2002 del 19 luglio 2002, che impone alle società quotate di applicare, a decorrere dal 1° gennaio 2005, i princìpi contabili internazionali IAS/IFRS[210];

- la direttiva 2003/6/CE del 28 gennaio 2003 sugli abusi di mercato[211], che introduce regole più severe per quanto concerne la pubblicazione di informazioni privilegiate e affronta il problema delle manipolazioni dei prezzi;

- la direttiva 2003/71/CE del 4 novembre 2003 sul prospetto da pubblicare per l'offerta pubblica o l'ammissione alla negoziazione di strumenti finanziari[212], che istituisce un passaporto europeo e al contempo rafforza gli obblighi di informazione in caso di emissione o di offerta pubblica di valori mobiliari o di richiesta di ammissione alla negoziazione di valori mobiliari in un mercato regolamentato.

 

Gli obblighi introdotti dalla direttiva 2004/109/CE si applicano, come detto, agli emittenti i cui valori mobiliari sono già ammessi alla negoziazione in un mercato regolamentato situato o operante all’interno di uno Stato membro  La direttiva non si applica invece né alle quote emesse dagli organismi di investimento collettivo diversi da quelli di tipo chiuso, né alle quote acquisite o cedute in tali organismi (articolo 1).

L’articolo 2 contiene definizioni delle espressioni utilizzate nella direttiva.

Fra l’altro:

·         per valori mobiliari si rinvia alla definizione contenuta nella direttiva 2004/39/CE, la quale intende come tali i valori – esclusi gli strumenti di pagamento e gli strumenti del mercato monetario[213] – che possono essere negoziati nel mercato dei capitali (ad esempio le azioni di società e altri titoli equivalenti; le obbligazioni e gli altri titoli di credito, nonché qualsiasi altro valore mobiliare che permetta di acquisire o di vendere tali valori mobiliari o che comporti un regolamento a pronti determinato con riferimento a valori mobiliari, valute, tassi di interesse o rendimenti, merci o altri indici o misure);

·         gli emittenti sono le persone giuridiche di diritto privato o pubblico, compresi gli Stati, i cui valori mobiliari sono ammessi alla negoziazione in un mercato regolamentato;

·         i mercati regolamentati sono quelli definiti dalla direttiva 2004/39/CE,cioè sono sistemi multilaterali, amministrati e/o gestiti dal gestore del mercato, che consentono o facilitano l'incontro – al suo interno e in base alle sue regole non discrezionali – di interessi multipli di acquisto e di vendita di terzi relativi a strumenti finanziari, in modo da dare luogo a contratti relativi a strumenti finanziari ammessi alla negoziazione conformemente alle loro regole e ai loro sistemi, e che sono autorizzati e funzionano regolarmente e ai sensi delle disposizioni del titolo III della direttiva 2004/39/CE.

 

Gli articoli del capo II impongono obblighi di informazione periodica nei confronti degli emittenti, ferma restando per gli Stati membri, ai sensi dell’articolo 3, la possibilità di imporre obblighi più severi.

Gli emittenti ai quali si applica la direttiva 2004/109/CE devono pubblicare una relazione finanziaria annuale entro quattro mesi dalla fine di ciascun esercizio finanziario. Tale relazione, che comprende il bilancio sottoposto a revisione, la relazione sulla gestione e un’attestazione delle persone responsabili sull’attendibilità del bilancio e della relazione, deve rimanere a disposizione del pubblico per almeno cinque anni (articolo 4).

Gli emittenti di azioni e di titoli di debito devono inoltre pubblicare, entro due mesi dalla fine del semestre, una relazione finanziaria semestrale riguardante esclusivamente i primi sei mesi dell'esercizio finanziario. Tale relazione comprende un bilancio abbreviato, una relazione intermedia sulla gestione e un’attestazione delle persone responsabili sull’attendibilità del bilancio abbreviato e della relazione intermedia. Anche la relazione finanziaria semestrale deve restare a disposizione del pubblico per almeno cinque anni (articolo 5).

Il successivo articolo 6 prevede che gli emittenti, le cui azioni sono ammesse alla negoziazione in un mercato regolamentato, devono pubblicare anche un resoconto semestrale della direzione in ciascuno dei due semestri  dell'esercizio finanziario. Il suddetto resoconto fornisce, con riferimento all’emittente e alle imprese da questo controllate, una spiegazione degli eventi rilevanti e delle operazioni che hanno avuto luogo nel periodo e la loro incidenza sulla situazione patrimoniale e una descrizione generale della situazione patrimoniale e dell'andamento economico dell’emittente e delle sue imprese controllate nel periodo. Non sono soggetti a quest’obbligo gli emittenti che, ai sensi della legislazione nazionale, delle norme che disciplinano il mercato regolamentato o di loro iniziativa, pubblicano relazioni finanziarie trimestrali.

In base all’articolo 7 della direttiva, gli Stati membri devono assicurare che la responsabilità per le informazioni da redigere e rendere pubbliche, conformemente agli articoli 4, 5, 6 e 16 della direttiva, competa almeno all'emittente o ai suoi organi di amministrazione, di direzione o di controllo. Gli Stati assicurano inoltre che le loro disposizioni legislative, regolamentari e amministrative in materia di responsabilità si applichino agli emittenti, agli organi suddetti o alle persone che sono responsabili presso gli emittenti stessi.

L’articolo 8 esonera alcuni soggetti, indicati dall’articolo stesso, dall’obbligo di pubblicare le relazioni e i resoconti di cui agli articoli 4-6; ulteriori esoneri possono essere disposti, nei casi espressamente previsti, dagli Stati membri.

 

Il capo III regola gli obblighi di informazione da adempiere al verificarsi di determinati eventi. In particolare la sezione I del capo III riguarda l’informazione sulle partecipazioni rilevanti.

L’articolo 9 prevede che lo Stato membro d’origine assicuri che l’azionista notifichi all’emittente la percentuale di diritti di voto dell’emittente stesso da esso detenuta, qualora questa raggiunga, superi o scenda al di sotto di una delle seguenti soglie[214]: 5%, 10%, 15%, 20%, 25%, 30%, 50% e 75%.

La notifica include informazioni riguardanti la situazione, in termini di diritti di voto, risultante dall'operazione; l’eventuale catena di imprese controllate mediante le quali i diritti di voto sono effettivamente detenuti; la data alla quale è stata raggiunta o superata la soglia; l'identità dell'azionista e dell’eventuale persona fisica o giuridica avente il diritto di esercitare i diritti di voto per conto dell'azionista (articolo 12).

L’emittente è a sua volta obbligato a rendere pubbliche, entro tre giorni di negoziazione dal ricevimento, le informazioni contenute nella notifica (articolo 12, paragrafo 6).

L’articolo 13 estende il sopra illustrato obbligo di notifica ai detentori (persone fisiche o giuridiche) di strumenti finanziari che attribuiscono il diritto di acquisire, su iniziativa esclusiva del possessore, in virtù di un accordo formale, azioni già emesse che conferiscono diritti di voto di un emittente le cui azioni sono ammesse alla negoziazione in un mercato regolamentato.

L’articolo 14 impone agli emittenti di azioni ammesse alla negoziazione in un mercato regolamentato l’obbligo di rendere pubblica la percentuale di azioni proprie possedute nel caso in cui tali emittenti acquisiscano o cedano azioni proprie, direttamente o tramite terzi, e, in conseguenza di tale atto, la percentuale dei diritti di voto raggiunga, superi o scenda al di sotto delle soglie del 5% o del 10%.

Gli emittenti sono inoltre obbligati a rendere pubbliche informazioni supplementari, al verificarsi di determinati eventi[215], espressamente indicati nell’articolo 16.

 

La sezione II del capo III disciplina le informazioni che gli emittenti sono tenuti a fornire ai possessori di valori mobiliari ammessi alla negoziazione in un mercato regolamentato.

L'emittente di azioni ammesse alla negoziazione in un mercato regolamentato deve garantire parità di trattamento per tutti i possessori di azioni che si trovano in condizioni identiche e la disponibilità di tutti gli strumenti e informazioni necessari per consentire ai possessori di azioni di esercitare i loro diritti, anche tramite delega. Gli Stati membri possono consentire che le informazioni siano fornite con mezzi elettronici (articolo 17).

Obblighi analoghi sono previsti dal successivo articolo 18 per gli emittenti di titoli di debito ammessi alla negoziazione in un mercato regolamentato.

 

Il capo IV disciplina gli obblighi generali degli emittenti. L’articolo 19 prevede che le informazioni comunicate in occasione dell'ammissione di valori mobiliari alla negoziazione in un mercato regolamentato devono essere nel contempo depositate presso l’autorità competente dello Stato membro di origine dell’emittente, la quale può pubblicare tali informazioni tramite internet. L’emittente è tenuto inoltre a comunicare alla suddetta autorità competente i progetti di modifica del proprio atto costitutivo o del proprio statuto.

La direttiva definisce inoltre (articolo 20) i criteri per l’individuazione delle lingue nelle quali devono essere comunicate le prescritte informazioni e (articolo 23) gli obblighi ai quali sono soggetti gli emittenti aventi sede legale in un Paese terzo, i cui valori mobiliari sono ammessi alla negoziazione in un mercato regolamentato di uno Stato membro.

Gli Stati membri devono assicurare che le prescritte informazioni siano comunicate in modo tale da garantire l'accesso rapido e su base non discriminatoria alle stesse. Lo Stato membro d'origine deve inoltre garantire che ci sia almeno un meccanismo ufficialmente stabilito per l’archiviazione centrale delle informazioni previste dalla regolamentazione. Tali meccanismi devono soddisfare norme minime di qualità quanto a sicurezza, certezza delle fonti d'informazione, registrazione dell'ora e della data e accesso agevole per gli utenti finali. I costi per la comunicazione delle informazioni non devono gravare sugli investitori (articolo 21).

Per facilitare ulteriormente l'accesso del pubblico alle informazioni da comunicare a norma della direttiva 2003/6/CE (relativa all’abuso di informazioni privilegiate e alla manipolazione del mercato), della direttiva 2003/71/CE (relativa al prospetto da pubblicare per l'offerta pubblica o l'ammissione alla negoziazione di strumenti finanziari) e della presente direttiva, le autorità competenti degli Stati membri elaborano orientamenti appropriati, con l’obiettivo di creare: una rete elettronica da istituire a livello nazionale e un'unica rete elettronica, o una piattaforma di reti elettroniche, tra gli Stati membri (articolo 22).

 

Il capo V riguarda l’individuazione e i poteri delle autorità competenti designate dagli Stati membri.

L’autorità competente deve essere designata da ciascuno Stato membro secondo le indicazioni contenute nell’articolo 24 della direttiva. A tale autorità spetta di adempiere i compiti previsti dalla direttiva e di assicurare l'applicazione delle disposizioni adottate a norma della medesima. Gli Stati membri possono autorizzare la loro autorità centrale competente a delegare alcuni compiti. Il paragrafo 4 del citato articolo 24 elenca i poteri che devono essere necessariamente attribuiti all’autorità in questione per l’adempimento delle proprie funzioni.

Tutte le persone che lavorano o hanno lavorato per l'autorità competente o per gli enti cui le autorità competenti abbiano eventualmente delegato i propri compiti sono vincolate al segreto d'ufficio. Le autorità competenti degli Stati membri cooperano tra di loro ogniqualvolta ciò si renda necessario per l'espletamento dei loro compiti e per l'esercizio dei loro poteri (articolo 25).

L’articolo 26 disciplina i provvedimenti cautelari che possono essere adottati dall’autorità competente di uno Stato membro ospitante per tutelare gli investitori, qualora l’emittente, il possessore di azioni o di altri strumenti finanziari o colui che ha diritto di acquisire, cedere o esercitare i relativi diritti di voto, abbia commesso irregolarità o violato i propri obblighi, mentre il successivo articolo 28 si riferisce alle sanzioni penali, civili o amministrative da comminare alle persone che si rendono responsabili di una violazione delle disposizioni di attuazione della presente direttiva.

 

La direttiva 2004/109/CE apporta infine (articolo 32) alcune modifiche alla direttiva 2001/34/CE del 28 maggio 2001, riguardante l'ammissione di valori mobiliari alla quotazione ufficiale e l'informazione da pubblicare su detti valori, allo scopo di riunire in un unico atto normativo gli obblighi di trasparenza gravanti sugli emittenti i cui valori sono ammessi alla negoziazione in un mercato regolamentato.

Si tratta della direttiva che ha provveduto alla codificazione delle seguenti direttive:

-         79/279/CEEdel 5 marzo 1979, concernente il coordinamento delle condizioni per l'ammissione di valori mobiliari alla quotazione ufficiale di una borsa valori, e 80/390/CEEdel 17 marzo 1980, relativa al coordinamento delle condizioni di redazione, controllo e diffusione del prospetto da pubblicare per l'ammissione di valori mobiliari alla quotazione ufficiale di una borsa valori, entrambe recepite con la legge 4 giugno 1985, n. 281, e con il d.lgs. 27 gennaio 1992, n. 89;

-         82/121/CEEdel 15 febbraio 1982, relativa alle informazioni periodiche che devono essere pubblicate dalle società le cui azioni sono ammesse alla quotazione ufficiale di una borsa valori, recepita con la citata legge 4 giugno 1985, n. 281;

-         88/627/CEEdel 12 dicembre 1988, relativa alle informazioni da pubblicare al momento dell'acquisto e della cessione di una partecipazione importante in una società quotata in borsa, recepita con il d.lgs. 27 gennaio 1992, n. 90.

Trattandosi di una codificazione, la direttiva 2001/34/CE non è stata recepita formalmente nell’ordinamento italiano, in quanto le disposizioni in essa raccolte erano già state attuate.

 

In generale, le modifiche apportate dall’articolo 32 alla direttiva 2001/34/CE concernono la soppressione di una serie di disposizioni riguardanti, fra l’altro, il trattamento degli azionisti, la modifica dell’atto costitutivo e dello statuto, la pubblicità dei bilanci annui e della relazione sulla gestione, il principio di equivalenza delle informazioni (secondo il quale la società le cui azioni sono ammesse alla quotazione ufficiale di più borse valori, situate od operanti in Stati membri diversi, deve fornire al mercato di ciascuna di tali borse informazioni equivalenti), le informazioni da pubblicare periodicamente, la pubblicazione e il contenuto della relazione semestrale, l’indicazione degli obblighi dell'emittente le cui obbligazioni sono ammesse alla quotazione ufficiale, gli obblighi d'informazione al momento dell'acquisto e della cessione di una partecipazione importante in una società quotata in borsa, le comunicazioni dovute alle autorità competenti in caso di acquisto o cessione di una partecipazione cosiddetta “importante”, la pubblicazione e comunicazione di informazioni dopo la quotazione.

Di conseguenza, i riferimenti alle disposizioni soppresse s’intendono come riferimenti alle disposizioni della direttiva 2004/109/CE.

 

L’articolo 31 stabilisce il termine per il recepimento della direttiva nel 20 gennaio 2007.

 


Direttiva 2004/113/CE

 

(Principio della parità di trattamento tra uomini e donne per quanto riguarda l’accesso a beni e servizi e la loro fornitura)

 

 

La direttiva 2004/113/CE stabilisce il divieto di discriminazione basata sul sesso nell’accesso ai beni e ai servizi e nella loro fornitura con l’obiettivo di rendere effettivo, anche con riferimento a tale ambito, il principio della parità di trattamento tra donne e uomini negli Stati membri dell’Unione europea.

La parità tra uomini e donne, infatti, costituisce un principio fondamentale all’interno dell’Unione e ciò ai sensi delle seguenti disposizioni:

§      art. 2 del Trattato che istituisce la Comunità Europea (TCE), che inserisce tale principio tra i compiti della Comunità;

§      art. 3, co. 2, TCE, che finalizza l’azione della Comunità anche alla promozione della parità tra i sessi in ogni campo d’azione;

§      artt. 21 e 23 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea[216], che vietano ogni discriminazione fondata sul sesso e prescrivono che il principio di parità sia garantito in tutti i settori.

Si ricorda, a tal riguardo, che le disposizioni appena menzionate sono recentemente confluite nel Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa, ratificato dall’Italia con la legge 7 aprile 2005, n. 57.

L’intervento si inscrive nel contesto della più generale strategia-quadro comunitaria in materia di parità tra donne e uomini, adottata dalla Commissione europea nel giugno del 2000, per lottare contro le disuguaglianze tra i sessi nella vita economica, politica, civile e sociale. Un programma d’azione comunitario per le pari opportunità[217] accompagna tale strategia globale con il sostegno di campagne di sensibilizzazione, raccolta di dati e con la realizzazione di progetti transnazionali.

Ogni anno la Commissione presenta una relazione[218] per il Consiglio europeo di primavera sui progressi compiuti nella promozione della parità fra uomini e donne in vari settori strategici, proponendo orientamenti per inserire la dimensione della parità dei sessi nelle diverse politiche comunitarie.

In tale ambito di portata generale, la Comunità ha già adottato alcuni strumenti giuridici, quali, da ultimo, la direttiva 2002/73/CE[219], principalmente volti a combattere specificamente la discriminazione basata sul sesso nel mercato del lavoro.

Contenuto della direttiva

La direttiva 2004/113/CE in commento costituisce, quindi, un ulteriore completamento di tale quadro normativo, poiché promuove il principio della parità tra uomini e donne in un settore diverso da quello dell’occupazione e dell’attività professionale, ovvero quello dell’accesso ai beni e servizi, nel quale si sono palesate azioni discriminatorie tra donne e uomini.

Dai “Considerando..” della direttiva si evince che per «beni» si dovrebbero intendere quelli disciplinati dalle disposizioni del TCE riguardanti la libera circolazione delle merci, mentre il termine «servizi» si riferisce a quelle prestazioni, disciplinate dall’art. 50 TCE, fornite normalmente dietro remunerazione e comprendenti attività di carattere industriale, commerciale, artigianale e libere professioni.

La direttiva non si applica al contenuto dei mezzi di comunicazione e della pubblicità né all’istruzione pubblica o privata, né infine a questioni riguardanti l’impiego, l’occupazione e il lavoro autonomo (art. 3, par. 3 e 4).

Sotto il profilo soggettivo, la direttiva si applica a coloro che forniscono al pubblico beni e servizi nel settore pubblico e privato, al di fuori comunque dall’area della vita privata e familiare e delle transazioni effettuate in questo ambito. Resta impregiudicato il principio della libertà contrattuale, inteso come libertà di scegliere il contraente per una transazione, nella misura in cui tale scelta non si basa sul sesso della persona (art. 3, par. 1 e 2).

L’affermazione del principio di parità nel settore dell’accesso ai beni e servizi comporta il divieto di ogni discriminazione diretta tra donne e uomini e particolarmente di ogni trattamento svantaggioso collegabile alla gravidanza e alla maternità, così come di ogni discriminazione indiretta. Le molestie, le molestie sessuali e l’incitamento alla discriminazione sono considerati alla stregua delle discriminazioni basate sul sesso e sono quindi del pari vietati (artt. 2 e 4).

 

 

 

 

La direttiva include specifiche definizioni di tali concetti:

 


Definizioni ex art. 2 della direttiva

Discriminazione diretta:

situazione nella quale una persona viene trattata, in ragione del suo sesso, in maniera meno favorevole rispetto ad un’altra che così non viene trattata, non è stata trattata o non sarebbe trattata in una situazione analoga

Discriminazione indiretta:

situazione nella quale una disposizione, un criterio o una prassi apparentemente neutri possono comportare uno svantaggio particolare per persone di un sesso rispetto a quelle dell’altro sesso, a meno che non siano oggettivamente giustificati da un obiettivo legittimo e i mezzi per realizzare tale obiettivo non siano appropriati e necessari

Molestie:

situazione nella quale si manifesta un comportamento indesiderato collegato al sesso di una persona, comportamento avente per oggetto o per effetto la lesione della dignità di una persona e la creazione di un ambiente intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo

Molestie sessuali:

situazione nella quale si manifesta un comportamento indesiderato con connotazioni sessuali, che si esprime fisicamente, verbalmente o non verbalmente, e ha per oggetto o per effetto la lesione della dignità di una persona e di creare un ambiente intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo

 

La direttiva non si applica qualora uomini e donne non si trovino in una situazione comparabile, ad esempio in caso di differenze relative a beni o servizi destinati esclusivamente o essenzialmente agli appartenenti ad un solo sesso. Non sono quindi a priori precluse differenze di trattamento, ma esse devono essere giustificate da finalità legittime perseguite con mezzi appropriati e necessari (art. 4, par. 5).

 

Specifiche disposizioni definiscono l’applicazione della direttiva al settore delle assicurazioni e dei servizi finanziari.

In particolare, si vieta di tener conto del sesso come criterio nel calcolo dei premi e delle prestazioni per fini assicurativi e per altri servizi finanziari, in quanto ciò è contrario alla parità di trattamento tra donne e uomini (art. 5). È ritenuto infatti discriminatorio che nella fornitura dei suddetti servizi si utilizzino comunemente fattori attuariali diversi a seconda del sesso e che da ciò discendano differenze nelle tariffe e nelle prestazioni individuali.

Tuttavia, al fine di evitare una reazione brusca del mercato, si dispone l’applicazione di tale disposizione solo ai nuovi contratti stipulati dopo il 21 dicembre 2007, data di entrata in vigore della direttiva (art. 5, par. 1).

Gli Stati membri disporranno di una possibilità di deroga al nuovo regime delle tariffe “unisex”: si prevede, infatti, che anteriormente al 21 dicembre 2007 gli Stati possano decidere di consentire differenze proporzionate nei premi e nelle prestazioni individuali qualora il sesso risulti come fattore determinante nella valutazione dei rischi in base alle risultanze di accurati dati attuariali e statistici (art. 5, par. 2).

Gli Stati che sceglieranno di beneficiare di questa possibilità, ne dovranno informare la Commissione e dovranno elaborare, pubblicare ed aggiornare tabelle dettagliate sulla speranza di vita degli uomini e delle donne, affinché il mercato risulti sufficientemente trasparente per il consumatore.

In ogni caso, gli Stati sono tenuti a riesaminare la motivazione delle loro decisioni derogatorie cinque anni dopo il 21 dicembre 2007, tenendo conto della relazione predisposta dalla Commissione entro il 21 dicembre 2010, sulla base delle informazioni trasmesse dagli Stati entro l’anno precedente (e, successivamente, ogni 5 anni; art. 16).

Un trattamento meno favorevole delle donne in ragione della gravidanza e della maternità è ritenuto discriminatorio ed è pertanto vietato nel settore assicurativo e dei servizi finanziari, anche se agli Stati è consentito rinviare l’attuazione di tale disposizione al più tardi fino a due anni dopo la data di attuazione della direttiva (21 dicembre 2007), informandone la Commissione (art. 5, par. 3).

 

In base alla direttiva, il principio di parità di trattamento non esclude l’adozione di azioni specifiche volte a prevenire o a compensare ineguaglianze collegate al sesso nel settore dei beni e servizi (c.d. azioni positive, art. 6); inoltre si esplicita che la direttiva fornisce un livello minimo di tutela e che gli Stati membri possono mantenere o adottare disposizioni più favorevoli a quelle previste dalla direttiva senza però poter ridurre il livello di protezione da essa garantito (art. 7).

Ogni Stato membro dovrà affidare ad uno o più organismi la promozione a livello nazionale della parità di trattamento tra donne e uomini nel settore regolamentato dalla direttiva. Tali organismi, eventualmente anche già esistenti ed operanti nell’attuazione del principio della parità di trattamento, saranno competenti per condurre inchieste indipendenti in materia di discriminazione, per predisporre relazioni, formulare raccomandazioni e fornire un’assistenza concreta alle vittime delle discriminazioni (art. 12).

La direttiva fa poi obbligo agli Stati membri di provvedere perché le vittime delle discriminazioni abbiano la possibilità di ricorrere in difesa dei loro diritti a una procedura giudiziaria e/o amministrativa e di ottenere un indennizzo adeguato (art. 8). Le sanzioni che saranno previste dovranno presentare un carattere efficace, proporzionale e dissuasivo (art. 14). Si stabilisce che dal momento in cui il ricorrente denuncia fatti che consentono di presumere l’esistenza di una discriminazione nei loro confronti, l’onere della prova grava sulla parte convenuta (tale disposizione non si applica alle procedure penali, art. 9). Viene del pari sancita la protezione contro i rischi di rappresaglie per le vittime ed i testimoni di una discriminazione basata sul sesso (art. 10).

Le procedure giudiziarie e/o amministrative possono essere avviate, per conto o a sostegno della parte lesa, anche da persone giuridiche (es. associazioni) aventi un interesse legittimo a garantire che le disposizioni della direttiva siano rispettate (art. 8, par. 3).

 

La direttiva dovrà essere recepita dagli Stati membri entro il 21 dicembre 2007.

La normativa nazionale

L’ordinamento italiano non prevede disposizioni volte a contrastare il fenomeno delle discriminazioni basate sul sesso nell’ambito specifico dell’accesso a beni e servizi; vi è tuttavia da considerare che il principio della parità fra i sessi è solennemente proclamato nell’art. 3, primo comma, della Costituzione, che sancisce la pari dignità sociale e l’uguaglianza di tutti i cittadini senza distinzioni di sesso, oltre che di razza, lingua, religione, di opinioni politiche e di condizioni sociali ed economiche.

Una specificazione di tale principio generale si ritrova nell’art. 51, primo comma, Cost., che stabilisce la parità dei sessi nell’accesso agli uffici pubblici e alle cariche elettive. La legge costituzionale n. 1 del 2003 ha integrato tale disposizione prevedendo l’adozione di appositi provvedimenti per la promozione delle pari opportunità tra donne e uomini.

È inoltre da segnalare che nell’ambito dell’attività del Governo, operano una pluralità di figure e organismi specificamente istituiti per la promozione ed il soddisfacimento del principio della parità fra uomo e donna.

Tra di essi si segnalano i seguenti.

 

Il Ministro senza portafoglio per le pari opportunità: istituito per la prima volta nel 1996, ad esso sono conferiti compiti di proposta, coordinamento e attuazione delle politiche in materia.

Anche nel Governo attualmente in carica, le competenze della Presidenza del Consiglio dei ministri in materia di diritti e pari opportunità sono state delegate al ministro senza portafoglio, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri in data 15 giugno 2006[220]. La delega ha ad oggetto le “funzioni di programmazione, indirizzo e coordinamento di tutte le iniziative, anche normative, nonché ogni altra funzione attribuita dalle vigenti disposizioni al Presidente del Consiglio dei Ministri nelle materie concernenti la promozione dei diritti della persona e delle pari opportunità, nonché la prevenzione e rimozione di ogni forma e causa di discriminazione tra gli individui”.

Il ministro esercita altresì le funzioni di competenza statale in materia di pari opportunità nei rapporti di lavoro e di azioni positive per l'imprenditoria femminile disciplinate da vari articoli del Codice delle pari opportunità tra uomo e donna, approvato con d.lgs. 198/2006[221], e dalla legge 215/1992[222]. Tali competenze, in precedenza rispettivamente attribuite al ministro del lavoro e delle politiche sociali e al ministro delle attività produttive, sono state trasferite al Presidente del Consiglio dei ministri dall’art. 1, co. 19, lett. f) e g), del recente D.L. 181/2006[223].

 

Il Dipartimento per le pari opportunità, istituito nel 1997 nell’ambito della Presidenza del Consiglio come struttura di supporto per l’attività del Ministro.

il Dipartimento opera nell'area funzionale concernente la promozione e il coordinamento delle politiche di pari opportunità e delle azioni di Governo volte a prevenire e rimuovere le discriminazioni. Il Dipartimento si articola in tre Uffici competenti rispettivamente: per gli interventi in campo economico e sociale; per gli interventi in materia di parità e di pari opportunità; in materia di antidiscriminazione. Nell’articolazione organizzativa del Dipartimento è inserito anche un nucleo di valutazione che ha il compito di vagliare, al fine di assicurare il rispetto del principio di pari opportunità, gli investimenti pubblici, promossi e attuati a livello nazionale e regionale, finanziati con risorse nazionali e comunitarie.

Presso il Dipartimento opera la segreteria della Commissione per le pari opportunità fra uomo e donna, organo consultivo e di proposta del Presidente del Consiglio dei ministri con compiti di elaborazione e promozione di iniziative, anche di tipo legislativo, per assicurare l’uguaglianza tra i sessi. Operante fin dal 1984, in forza di un decreto del Presidente del Consiglio, è stata disciplinata con legge nel 1990. Recentemente è stata oggetto di una riforma complessiva ad opera del d.lgs. n. 226 del 2003, che ne ha mutato, tra l’altro, la denominazione (in origine era Commissione nazionale per la parità e le pari opportunità fra uomo e donna). La disciplina della Commissione è stata da ultimo trasfusa nel già citato Codice delle pari opportunità tra uomo e donna.

 


Direttiva 2005/14/CE

 

(Assicurazione della responsabilità civile risultante dalla circolazione di autoveicoli)

 

 

La direttiva 2005/14/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 maggio 2005, modifica le direttive del Consiglio 72/166/CEE, 84/5/CEE, 88/357/CEE e 90/232/CEE e la direttiva 2000/26/CE del Parlamento europeo e del Consiglio sull’assicurazione della responsabilità civile risultante dalla circolazione di autoveicoli.

 

Il settore dell’assicurazione della responsabilità civile risultante dalla circolazione degli autoveicoli è da lungo tempo oggetto di particolare attenzione da parte del legislatore comunitario, stante l’importanza che esso riveste nella realizzazione dei princìpi di libera circolazione di persone e veicoli e nella prestazione dei servizi assicurativi.

Numerosi sono stati fino ad oggi gli interventi che hanno interessato la materia: la direttiva 72/166/CEE del Consiglio, del 24 aprile 1972, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di assicurazione della responsabilità civile risultante dalla circolazione di autoveicoli e di controllo dell’obbligo di assicurare tale responsabilità; la direttiva 84/5/CEE del Consiglio, del 30 dicembre 1983, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di assicurazione della responsabilità civile risultante dalla circolazione di autoveicoli (seconda direttiva); la direttiva 90/232/CEE del Consiglio, del 14 maggio 1990, relativa al ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di assicurazione della responsabilità civile risultante dalla circolazione di autoveicoli (terza direttiva), e, infine, la direttiva 2000/26/CE del Parlamento e del Consiglio, del 16 maggio 2000, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di assicurazione della responsabilità civile risultante dalla circolazione di autoveicoli (quarta direttiva sull’assicurazione degli autoveicoli).

La Corte di giustizia, in una recente pronunzia, ha affermato princìpi volti a garantire in quest’ambito la piena copertura assicurativa[224].

Con la direttiva 2005/14/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 maggio 2005, sull’assicurazione della responsabilità civile risultante dalla circolazione di autoveicoli (“quinta direttiva” sull’assicurazione obbligatoria degli autoveicoli), il legislatore comunitario, modificando le citate quattro direttive, intende aggiornare e migliorare il sistema comunitario dell’assicurazione, in modo da ampliarne l’ambito oggettivo e soggettivo di applicazione. La direttiva 2005/14/CE non contiene quindi un testo omogeneo, bensì integrazioni e modificazioni alla disciplina attualmente in vigore.

Tali modifiche riguardano principalmente cinque punti:

1)     l’identificazione dell’organo preposto a risarcire il danno (articolo 1, che modifica la direttiva 72/166/CEE);

2)     l’innalzamento del massimale (articolo 2, che modifica l’articolo 1 della direttiva 84/5/CEE);

3)     l’incidente provocato da veicoli non identificati (articolo 2, paragrafo 4);

4)     la liquidazione accelerata (articolo 4, che modifica la direttiva 90/232/CEE);

5)     il danno subìto in altro paese dell’Unione (articolo 5).

 

Per ciò che attiene all’identificazione dell’organo preposto al risarcimento, la nuova disciplina (articolo 1) contiene un’importante innovazione relativamente al collegamento a uno Stato membro nel caso di veicolo privo di targa di immatricolazione, ovvero con targa non corrispondente al veicolo. Nella specie, secondo quanto stabilito dalla quinta direttiva, il criterio per il collegamento di detti veicoli privi di targa sarà quello dello “Stato in cui si è verificato l’incidente”.

L’articolo 2 modifica la disciplina relativa all’ambito della copertura assicurativa.

Con riguardo al massimale minimo obbligatorio per legge per assicurare la responsabilità civile dei veicoli, tale limite, una volta applicata la direttiva a livello transnazionale, dovrà obbligatoriamente essere innalzato a euro 1.000.000 per ogni vittima in caso di danni alle persone, oppure a euro 5.000.000 per sinistro indipendentemente dal numero delle vittime. In caso di danni a cose, il massimale obbligatorio dovrà invece essere fissato a euro 1.000.000 per sinistro, indipendentemente dal numero delle vittime (articolo 2, paragrafo 2).

In caso di incidente provocato da veicoli non identificati, è previsto il risarcimento a carico del fondo di garanzia anche per i danni alle cose, salvo che gli Stati membri non si avvalgano della facoltà di limitarlo o escluderlo a determinate condizioni.

L’articolo 3 modifica la disciplina relativa al rappresentante dell’impresa assicuratrice operante in altro Stato in regime di libera prestazione di servizi, abrogando la disposizione che precludeva a tale persona di occuparsi di assicurazione diretta per conto della stessa impresa.

L’articolo 4 stabilisce altresì l’inefficacia di clausole contrattuali o disposizioni di legge che limitino la garanzia assicurativa a favore di trasportati i quali conoscessero o dovessero conoscere lo stato di alterazione mentale del conducente, per effetto di alcol o sostanze stupefacenti.

L'assicurazione deve inoltre coprire i danni alle persone e i danni alle cose subìti da pedoni, ciclisti e altri utenti non motorizzati della strada che, in conseguenza di un incidente nel quale sia stato coinvolto un veicolo a motore, hanno diritto alla riparazione del danno conformemente alla legislazione civile nazionale.

La procedura accelerata prevista dall’articolo 4, paragrafo 6, della direttiva 2000/26/CE viene inoltre estesa a tutte le vittime di incidenti automobilistici[225].

L’articolo 5, intervenendo sulla disciplina approntata dalla quarta direttiva (direttiva 2000/26/CE), introduce un sistema per il quale la parte lesa può citare in giudizio l’assicuratore della responsabilità civile nello Stato membro in cui essa è domiciliata, ai sensi del combinato disposto dell’articolo 11, paragrafo 2, e dell’articolo 9, paragrafo 1, lettera b), del regolamento (CE) n. 44/2001, concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale.

L’articolo 6 stabilisce nell’11 giugno 2007 il termine ultimo per il recepimento della direttiva. È altresì previsto che gli Stati membri possono, conformemente al Trattato, mantenere o mettere in vigore disposizioni più favorevoli alla persona lesa rispetto a quelle necessarie per conformarsi alla direttiva.

 


Direttiva 2005/19/CE

 

(Regime fiscale comune da applicare alle fusioni, alle scissioni, ai conferimenti d'attivo ed agli scambi d'azioni concernenti società di Stati membri diversi)

 

 

La direttiva 2005/19/CE modifica la direttiva 90/434/CEE ampliando l’ambito oggettivo e soggettivo della sua applicazione e disciplinando il trasferimento della sede sociale di una Società europea (SE) e di una Società cooperativa europea (SCE) nel territorio dell’Unione.

 

La direttiva 90/434/CEE del Consiglio, del 23 luglio 1990, è stata il primo importante intervento comunitario nel settore della fiscalità diretta e, segnatamente, in quello dell’imposizione sui redditi di impresa. Oggetto dell’intervento è stato il regime fiscale da applicare alle cosiddette operazioni di riorganizzazione, ossia alle fusioni, scissioni, conferimenti d’attivo e scambi d’azioni, con la principale finalità di favorire la circolazione delle imprese all'interno dell'Unione europea[226].

Essa individua tre tipi di fusione, riprendendo sul punto le indicazioni contenute nella direttiva 78/855/CEE del 9 ottobre 1978, relativa alle fusioni delle società per azioni (cd. Terza direttiva), ovvero fusione propria, fusione per incorporazione con concambio e fusione per incorporazione con annullamento. Comune alle tre ipotesi è la vicenda del trasferimento, a causa e all’atto dello scioglimento senza liquidazione, della totalità del patrimonio attivo e passivo di una società cosiddetta conferente (definita dall’articolo 2 della direttiva come “la società che trasferisce il suo patrimonio, attivamente e passivamente, o che conferisce la totalità o uno o più rami della sua attività”) ad un’altra società cosiddetta beneficiaria(“la società che riceve il patrimonio, attivamente e passivamente, o la totalità o uno o più rami di attività della società conferente”); il trasferimento, a seconda dei casi, può avvenire mediante annullamento di partecipazioni ovvero mediante assegnazione di azioni o titoli della società beneficiaria ai soci della società conferente. In quest’ultimo caso, la direttiva ammette la possibilità che sia corrisposto altresì un saldo in contanti, purché di ammontare non superiore al 10 per cento del valore nominale o, in mancanza di valore nominale, della parità contabile dei titoli.

Per quanto riguarda le operazioni mediante scissione, è adottata la definizione introdotta con la sesta direttiva 82/891/CEE del 17 dicembre 1982 (la cui adozione, però, non è obbligatoria, come per la direttiva fusioni), relativa alle scissioni delle società per azioni. Due sono i tipi di operazione previsti: la scissione mediante costituzione di nuove società e quella mediante incorporazione. Tuttavia, conformemente alla sesta direttiva, la direttiva fusioni considera soltanto la scissione totale, ovvero quella che prevede il trasferimento della totalità del patrimonio, attivamente e passivamente: restano pertanto escluse dalla direttiva 90/434/CEE le scissioni parziali, riconosciute invece dalla disciplina nazionale di taluni Stati.

Il conferimento di attivo si sostanzia, secondo la definizione recata dall’articolo 2, nell’apporto, ad opera di una società (conferente), della totalità o di uno o più rami della propria attività in un’altra società, a fronte della consegna di titoli rappresentativi del capitale di quest’ultima (beneficiaria).

Quarta e ultima operazione individuata dalla direttiva è lo scambio di azioni. Rientrano nell’ambito della disciplina le sole operazioni che consentono alla società acquirente di conseguire la maggioranza dei diritti di voto nella società acquisita.

 

Le novità principali contenute nella direttiva 2005/19/CE – che dovranno essere adottate dagli Stati membri per la maggior parte entro il 1° gennaio 2007 – sono le seguenti:

 

1) l'estensione del regime di neutralità fiscale alle diffuse operazioni di scissione parziale, nelle quali la società scissa non si scioglie, ma prosegue l'attività con un patrimonio ridotto, nonché alle operazioni effettuate dai soggetti costituiti nelle nuove forme di "società europea" (SE) e di "società cooperativa europea" (SCE). Per queste ultime, il termine di recepimento nelle leggi interne è ridotto di un anno.

Sinora la direttiva 90/434/CEE riguardava, quanto alle scissioni, solo quelle "totali" mediante le quali una società trasferisce, al momento del suo scioglimento senza liquidazione, l'intero patrimonio a due o più società, preesistenti o nuove, domiciliate in Stati membri diversi da quello della società scissa. Restavano escluse le operazioni, assai diffuse, di cessione di uno o più rami aziendali (spin off). L’articolo 2, come modificato dalla direttiva 2005/19/CE, disciplina ora anche le scissioni di quest'ultimo tipo, attraverso cui, cioè, la società scissa trasferisce uno o più rami della propria attività a una o più società beneficiarie, senza sciogliersi e mantenendo presso di sé almeno un ramo d'impresa. Occorre però, come già nelle operazioni totali, che l'assegnazione delle nuove partecipazioni ai soci della scissa sia proporzionale e che l'eventuale conguaglio in denaro non superi il 10 per cento della partecipazione ricevuta.

 

2) l’applicazione del regime di neutralità fiscale anche alle società costituite nelle forme della società europea (SE) e della società cooperativa europea (SCE).

 

Lo Statuto della Società europea nasce con il regolamento (CE) 2157/2001 del Consiglio, completato successivamente con la direttiva 2001/86/CE. Creare una società europea dotata di un proprio statuto giuridico permette a società di Stati membri differenti di compiere talune operazioni senza dover sottostare ai vincoli giuridici e pratici derivanti dall’assoggettamento a ordinamenti diversi. Lo statuto prevede quattro modi di costituzione di una SE: fusione, costituzione di una holding, costituzione di un'affiliata comune e trasformazione di una società per azioni di diritto nazionale. La fusione è limitata alle società per azioni di Stati membri differenti. La costituzione di una società europea holding è consentita alle società per azioni e società a responsabilità limitata che hanno una sede stabile nella Comunità, ossia sedi in Stati membri differenti o affiliate o succursali in paesi diversi da quello della sede. La costituzione di una SE sotto forma di affiliata comune è accessibile a qualsiasi soggetto di diritto pubblico o privato alle stesse condizioni.

Considerazioni analoghe valgono per la società cooperativa europea (SCE), prevista dal regolamento 1435/2003. La SCE è definita come una società avente personalità giuridica e il cui capitale sottoscritto è diviso in quote. La sede della SCE, fissata dallo statuto, dev’essere situata all'interno della comunità e coincidere con il luogo in cui è stabilita l'amministrazione centrale. La SCE dispone della personalità giuridica a partire dalla sua iscrizione nello Stato in cui ha la sede. Essa ha per oggetto principale il soddisfacimento dei bisogni e/o la promozione delle attività economiche e sociali dei propri soci, in particolare mediante la conclusione di accordi con questi ultimi per la fornitura di beni o servizi o l'esecuzione di lavori nel quadro dell'attività che la SCE esercita o fa esercitare.

 

Per questi soggetti valgono regole particolari (contenute nel nuovo articolo 10-ter della direttiva), con riguardo all'eventuale trasferimento di sede da uno ad altro Stato membro, con corrispondente modifica della residenza fiscale e mantenimento di attività e passività presso una stabile organizzazione nel Paese originario. Quest’operazione non dà luogo a imposizione sulle plusvalenze latenti (differenza tra valore reale e valore fiscale delle attività e delle passività), a condizione che la società calcoli i nuovi ammortamenti rilevanti per il reddito della stabile organizzazione come se il trasferimento di sede non fosse mai avvenuto.

 

3) l’integrazione della disciplina sugli scambi di azioni. L'attuale definizione di scambio di azioni non precisa se in essa siano comprese le ulteriori acquisizioni che conferiscano più della maggioranza semplice dei diritti di voto. Viene pertanto chiarito che la neutralità fiscale della direttiva riguarda anche le operazioni di scambio di azioni in cui la società, che già dispone della maggioranza di un'altra società, acquisisce un’ulteriore partecipazione in cambio dell'assegnazione di azioni rappresentative del proprio capitale ai soci della società acquisita.

 

4) l'adeguamento alla riforma dell’imposizione sui redditi delle società. Un'ultima modifica di tipo formale, concernente espressamente l'Italia, riguarda la sostituzione della menzione dell’Irpeg con la nuova imposta sui redditi delle società (IRES) nell'elenco dei tributi cui si estende il regime di neutralità della direttiva. Parimenti con riguardo all'Italia, è introdotta una correzione nell'elenco dei soggetti ammessi: oltre alle società di capitali, il regime riguarda ora gli enti pubblici o privati che esercitano attività "unicamente o parzialmente" commerciali.

 


Direttiva 2005/28/CE

 

(Principi e linee guida per la buona pratica clinica relativa ai medicinali in fase di sperimentazione a uso umano)

 

 

La direttiva 2005/28/CE detta disposizioni relative ai medicinali in fase di sperimentazione per uso umano, in attuazione di quanto stabilito dalla direttiva 2001/20/CE, concernente l'applicazione della buona pratica clinica nell'esecuzione di tale sperimentazione.

 

La disciplina nazionale su cui interviene la normativa in esame è sostanzialmente recata dal d.lgs. 24 giugno 2003, n. 211, che fissa disposizioni riguardanti lo svolgimento della sperimentazione clinica, inclusa la sperimentazione multicentrica effettuata a livello umano e relativa ai medicinali. Ai sensi del decreto legislativo citato, la buona pratica clinica è un insieme di requisiti in materia di qualità in campo etico e scientifico, riconosciuti a livello internazionale, che devono essere osservati ai fini del disegno, della conduzione, della registrazione e della comunicazione degli esiti della sperimentazione clinica con la partecipazione di esseri umani. Il rispetto della buona pratica garantisce la tutela dei diritti, della sicurezza e del benessere dei soggetti e assicura la credibilità dei dati concernenti la sperimentazione clinica stessa.

 

Il campo di applicazione della direttiva in esame, delineato nell’art. 1, comprende:

§         principi e linee guida per la progettazione, la conduzione e la comunicazione degli esiti di sperimentazioni cliniche sull’uomo dei medicinali;

§         requisiti per l’autorizzazione alla fabbricazione o all’importazione di tali medicinali;

§         indicazioni dettagliate sulla documentazione relativa alla sperimentazione clinica, all’archiviazione, alle idoneità degli ispettori e alle procedure di ispezione.

Nell'attuazione di quanto indicato, gli Stati membri devono tener conto delle indicazioni contenute nella guida pubblicata dalla Commissione nelle Norme sui medicinali nell’Unione europea. Norme specifiche possono essere adottate dagli Stati membri per sperimentazioni cliniche di carattere non commerciale realizzate dai ricercatori senza la partecipazione dell’industria farmaceutica.

 

La Sezione 1 del Capo 2 (artt. 2-5) delinea i principali aspetti della buona pratica clinica.

Si afferma, in particolare, il principio della prevalenza dei diritti, del benessere e della sicurezza dei soggetti della sperimentazione rispetto agli interessi della scienza e della società. In tale prospettiva occorre assicurare che i partecipanti alla sperimentazione siano qualificati e che le sperimentazioni siano scientificamente valide e condotte nel rispetto dei principi etici, secondo procedure tese ad assicurarne la qualità.

Le informazioni relative alla sperimentazione devono essere registrate e devono poter essere comunicate, verificate e interpretate, nel rispetto della riservatezza dei dati relativi ai soggetti.

Le sperimentazioni sono realizzate in conformità con la Dichiarazione di Helsinki sui principi etici per le sperimentazioni mediche sugli esseri umani, adottata all’Assemblea generale dell’Associazione medica mondiale nel 1996. Viene fatto inoltre riferimento alla direttiva 2001/20/CE per la definizione dell'inclusione ed esclusione dei soggetti della sperimentazione, del monitoraggio e della politica di pubblicazione.

La Sezione 2 (art. 6) stabilisce che i Comitati etici, introdotti dalla direttiva 2001/20/CE, adottano le norme procedurali per l'applicazione dei requisiti richiesti relativamente alla sperimentazione. È fatto obbligo ai Comitati di conservare per almeno tre anni la documentazione relativa alle sperimentazioni effettuate.

La Sezione 3 (art. 7) reca disposizioni sullo sponsor, cioè la persona, società, istituzione oppure organismo che si assume la responsabilità di avviare, gestire e/o finanziare una sperimentazione clinica. Si stabilisce, tra l'altro, che lo sperimentatore e lo sponsor possono essere la stessa persona.

La Sezione 4 (art. 8) delinea alcune caratteristiche del "manuale dello sperimentatore", da intendersi quale raccolta di dati clinici e non clinici sul medicinale o sui medicinali in fase di sperimentazione, funzionale alla valutazione dell’adeguatezza degli esperimenti.

 

Il Capo 3 (artt. 9-15) riguarda l'autorizzazione alla fabbricazione e importazione. L'autorizzazione è richiesta per la fabbricazione totale o parziale dei medicinali in fase di sperimentazione e per le operazioni di divisione, confezionamento o presentazione. Essa è necessaria anche nei casi in cui i prodotti fabbricati sono destinati all’esportazione. L’autorizzazione è richiesta anche per l’importazione da Paesi terzi.

Vengono, quindi, enumerati gli elementi necessari per la domanda di autorizzazione, la cui esattezza deve essere verificata dall'Autorità competente prima della concessione dell'autorizzazione stessa. Sono indicati i requisiti e gli obblighi a carico dei titolari dell'autorizzazione.

 

Il Capo 4 (artt. 16-20) riguarda il fascicolo permanente della sperimentazione, quale raccolta delle indicazioni dettagliate sulla documentazione relativa alla sperimentazione clinica. Viene fatto obbligo alla Commissione di pubblicare una guida supplementare per specificare il contenuto di tali documenti. Lo sponsor e lo sperimentatore devono conservare i documenti essenziali relativi alla sperimentazione clinica per almeno 5 anni dal completamento della medesima. È fatto obbligo allo sponsor di nominare un responsabile dell'archivio.

 

Il Capo 5 (artt. 21-22) fissa i requisiti degli ispettori chiamati a verificare il rispetto delle buone pratiche cliniche.

 

Il Capo 6 (artt. 26-30) stabilisce le regole per le ispezioni che possono avvenire in una delle seguenti occasioni:

a)  prima, durante o dopo la realizzazione delle sperimentazioni cliniche;

b)  nell’ambito della verifica delle domande di autorizzazione alla commercializzazione;

c)  nell’ambito del monitoraggio successivo delle autorizzazioni alla commercializzazione.

 

Gli Stati membri sono chiamati a conformarsi alla presente direttiva entro il 29 gennaio 2006 (art. 31).

 


Direttiva 2005/36/CE

 

(Riconoscimento delle qualifiche professionali)

 

 

La direttiva 2005/36/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 7 settembre 2005, relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali, riforma l’attuale regime al fine di contribuire alla flessibilità dei mercati del lavoro, di realizzare una maggior liberalizzazione delle prestazioni di servizi, di favorire un maggiore automatismo nel riconoscimento delle qualifiche, nonché di semplificare le procedure amministrative.

In questa prospettiva, la direttiva in oggetto, che consolida in un unico testo molteplici direttive adottate nel corso degli ultimi decenni, pur mantenendo le garanzie inerenti ad ogni sistema di riconoscimento esistente, istituisce un quadro giuridico unico e coerente, che poggia su una liberalizzazione più estesa della prestazione di servizi, una maggiore automaticità nel riconoscimento delle qualifiche e una maggiore flessibilità delle procedure di aggiornamento della direttiva medesima.

Ilregime di riconoscimento delle qualifiche professionale maggiormente uniforme, trasparente e flessibile introdotto dalla direttiva - come auspicato dal Consiglio europeo di Stoccolma del 2001 - è volto a conferire, a coloro che  hanno acquisito una qualifica professionale in uno Stato membro, la garanzia di accedere alla stessa professione e di poterla esercitare in un altro Stato membro alle stesse condizioni dei cittadini di quest’ultimo.

Tuttavia, come si precisa nel “Considerando..” n. 3, la suddetta garanzia non esonera il professionista migrante dal rispetto di eventuali condizioni di esercizio che potrebbero essere imposte dallo Stato ospitante, purché siano giustificate, proporzionate e non risultino discriminatorie.

 

Con ladirettiva 2005/36/CEsi provvedeal consolidamento in un unico testo, e alla sostituzione, di 15 direttive adottate nel corso degli ultimi quarant'anni e con le quali si era provveduto all’istituzione di differenti regimi di riconoscimento delle qualifiche professionali.

Le direttive in questione, di cui si dispone l’abrogazione a decorrere dal 20 ottobre 2007, sono le seguenti: direttive settoriali 77/452/CEE, 77/453/CEE, 78/686/CEE, 78/687/CEE, 78/1026/CEE, 78/1027/CEE, 80/154/CEE, 80/155/CEE, 85/384/CEE, 85/432/CEE, 85/433/CEE e 93/16/CEE concernenti le professioni di infermiere responsabile dell'assistenza generale, dentista, veterinario, ostetrica, architetto, farmacista e medico; direttive 89/48/CEE e 92/51/CEE relative al sistema generale di riconoscimento delle qualifiche professionali, e direttiva 1999/42/CE che ha istituito un meccanismo di riconoscimento delle qualifiche per le attività professionali disciplinate dalle direttive di liberalizzazione e dalle direttive recanti misure transitorie e che ha completato il sistema generale di riconoscimento delle qualifiche.

 

 

Campo di applicazione

La disciplina in esame si applica a tutti i cittadini di uno Stato membro che vogliano esercitare, come lavoratori subordinati o autonomi - compresi i liberi professionisti -una professione regolamentata in uno Stato membro diverso da quello in cui hanno acquisito le loro qualifiche professionali.

La direttiva, peraltro, non esclude la possibilità per gli Stati membri di consentire sul proprio territorio, secondo la propria regolamentazione, l’esercizio di una professione regolamentata ai cittadini di uno Stato membro le cui qualifiche professionali siano state acquisite in un paese terzo, al di fuori del territorio dell'Unione europea.

La direttiva definisce “professione regolamentata”’ l’attività o l’insieme di attività professionali l’accesso alle quali e il cui esercizio sono subordinati - in forza di norme legislative, regolamentari o amministrative - al possesso di determinate qualifiche professionali. Alle professioni regolamentate sono assimilate le professioni esercitate da membri di associazioni o di organismi elencati nella allegato I del provvedimento, cui viene riconosciuta la finalità di promuovere e di mantenere un elevato livello professionale. A tal fine dette associazioni e organismi sono oggetto di riconoscimento da parte dei singoli Stati che rilasciano ai loro membri un titolo di formazione, esigendo da parte di costoro il rispetto delle regole di condotta professionale prescritte dalle associazioni, e conferiscono ai medesimi il diritto di usare un titolo o un'abbreviazione o di beneficiare di uno status corrispondente a tale titolo di formazione. Del riconoscimento di una associazione o di un organismo da parte di uno Stato membro deve essere informata la Commissione, che pubblica un'adeguata comunicazione nella Gazzetta ufficiale dell'Unione europea.

 

 

Libera prestazione di servizi (titolo II)

La direttiva, data la diversità dei regimi previsti, distingue tra “libera prestazione di servizi” e “libertà di stabilimento”.

Con riferimento alla libera prestazione di servizi, che riveste un carattere temporaneo ed occasionale (valutato caso per caso), la direttiva stabilisce che gli Stati membri non possono sottoporla a restrizioni, per motivi inerenti alle qualifiche professionali, nelle seguenti situazioni:

§         quando il beneficiario sia legalmente stabilito in un altro Stato membro per esercitarvi la stessa professione;

§         in caso di spostamento del prestatore, qualora costui abbia esercitato la professione nello Stato membro di stabilimento per due anni, nel corso dei dieci che precedono la prestazione di servizi, se detta professione non è ivi regolamentata. Tale condizione non si applica in caso di professione regolamentata.

In caso di spostamento, il prestatore di servizi è soggetto a norme - di carattere professionale, legale o amministrativo -  direttamente connesse alle qualifiche professionali (definizione della professione, uso dei titoli e gravi errori professionali connessi direttamente e specificamente alla tutela e sicurezza dei consumatori, disposizioni disciplinari applicabili ai professionisti che esercitano la stessa professione nello Stato ospitante).

Per i prestatori di servizi stabiliti in un altro Stato membro è, tuttavia, prevista la dispensa da requisiti imposti ai professionisti stabiliti sul territorio dello Stato ospitante e riguardanti: a) l'autorizzazione, l'iscrizione o l'adesione a un'organizzazione o a un organismo professionale (gli Stati membri possono prevedere un'iscrizione temporanea e automatica o un'adesione pro forma); b) l'iscrizione a un ente di previdenza sociale di diritto pubblico, per regolare con un ente assicuratore i conti relativi alle attività esercitate a profitto degli assicurati.

 

Agli Stati è riconosciuta la facoltà di esigere una dichiarazione preventiva contenente informazioni sulla copertura assicurativa o analoghi mezzi di protezione personale o collettiva per la responsabilità professionale, quando il prestatore si sposta per la prima volta. Gli Stati membri possono richiedere, altresì che la dichiarazione sia corredata da documenti comprovanti: a) la nazionalità del prestatore; b) lo stabilimento legale in uno Stato membro per  l’esercizio delle attività in questione, non vietato al momento del rilascio dell'attestato; c) i titoli di qualifiche professionali; d) l’esercizio dell’attività in questione per almeno due anni nei precedenti dieci anni in caso di professioni non regolamentate nello Stato di stabilimento; e) l’assenza di condanne penali per le professioni nel settore della sicurezza, qualora lo Stato membro lo richieda per i propri cittadini.

La direttiva richiede che la prestazione di servizio sia effettuata con il titolo professionale dello Stato membro di stabilimento - qualora un siffatto titolo regolamentato esista in tale Stato per l'attività professionale in questione - indicato nella lingua ufficiale o in una delle lingue ufficiali del suddetto Stato.

In caso contrario il prestatore indica il suo titolo di formazione nella lingua ufficiale o in una delle lingue ufficiali dello Stato di stabilimento.

In via eccezionale la prestazione viene effettuata con il titolo professionale dello Stato membro ospitante per i casi di cui al titolo III, capo III (riconoscimento automatico).

Ai fini di garantire l’agevolazione della prestazione di servizi nel contesto della stretta osservanza della salute e della sicurezza pubblica nonché della tutela dei consumatori, la direttiva prevede disposizioni specifiche per le professioni regolamentate aventi implicazioni in materia di pubblica sicurezza e di sanità pubblica, quali la verifica preliminare della professionalità per chi non beneficia del riconoscimento automatico dei titoli di formazione, da parte  dell’autorità competente dello Stato ospitante.

Secondo la definizione contenuta nella stessa direttiva (art. 3) con l’espressione “autorità competente”, si indica l’autorità o l’organismo investito di autorità dagli Stati membri, abilitato in particolare a rilasciare o ricevere titoli di formazione e altri documenti o informazioni e domande, ed autorizzato ad adottare le decisioni.

In caso di differenze sostanziali tra le qualifiche professionali del prestatore e la formazione richiesta nello Stato membro ospitante, tale da nuocere alla pubblica sicurezza o alla sanità pubblica, lo Stato membro ospitante è tenuto a sottoporre il prestatore ad una prova attitudinale volta a dimostrare l’acquisizione da parte di questi delle conoscenze o delle competenze mancanti.

In questo caso la prestazione di servizi è effettuata con il titolo professionale dello Stato ospitante che, ai sensi dell’art. 9, può richiedere al prestatore ulteriori informazioni (eventuale iscrizione in un registro commerciale, sottoposizione ad un regime autorizzatorio dell’attività nello Stato di stabilimento, iscrizione ad un ordine professionale, titolo professionale, eventuale assoggettamento all’IVA dell’attività ed eventuale copertura assicurativa). Dette informazioni possono essere richieste anche in caso di svolgimento dell’attività da parte del prestatore con il titolo di formazione.

Con riferimento al prestatore di servizi è previsto, infine, uno scambio di informazioni e cooperazione a livello amministrativo tra gli Stati membri in merito alla legalità dello stabilimento, la buona condotta, l’assenza di sanzioni disciplinari o penali di carattere  professionale.

 

 

Libertà di stabilimento (Titolo III)

Ci si trova nel quadro della “libertà di stabilimento” quando un professionista  beneficia della libertà di stabilirsi in uno Stato membro per svolgervi un’attività professionale in modo stabile.

 

In tale ambito, la direttiva  conferma i tre regimi di riconoscimento esistenti:

§         un regime generale di riconoscimento reciproco: se in uno Stato membro ospitante l’accesso a una professione regolamentata o il suo esercizio è subordinato al possesso di determinate qualifiche professionali, l’autorità competente di tale Stato membro dà accesso alla professione e ne consente l’esercizio - alle stesse condizioni dei propri cittadini - ai richiedenti che siano in possesso dell’attestato di competenza o del titolo di formazione richiesto, rilasciato da un altro Stato membro per accedere alla stessa professione o esercitarla sul suo territorio. L’accesso alla professione e al suo esercizio è consentito a coloro che abbiano esercitato a tempo pieno la professione per due anni nel corso dei precedenti dieci anni in uno Stato membro che non regolamenti tale professione o che abbia uno o più attestati di competenza o titoli di formazione. Sono previsti alcuni meccanismi di compensazione (tirocinio di adattamento non superiore a tre anni o test attitudinale) in mancanza di un'armonizzazione delle condizioni minime di formazione per accedere alle professioni disciplinate dal regime generale (capo I);

§         il riconoscimento automatico delle qualifiche comprovate dall'esperienza professionale per una serie di attività industriali, artigiane e commerciali elencate nell’allegato IV (capo II);

§         il riconoscimento automatico dei titoli di formazione - sulla base di un coordinamento delle condizioni minime di formazione - per medici, infermieri responsabili delle cure generali, odontoiatri, veterinari, ostetriche, farmacisti e architetti (capo III).

 

Regime generale di riconoscimento dei titoli di formazione (capo I)

Con riferimento al regime generale di riconoscimento dei titoli di formazione, applicabile a tutte le professioni non coperte dai capi II e III (relativi al riconoscimento dell’esperienza professionale e al riconoscimento automatico di alcune professioni), la direttiva, allo scopo di definirne il meccanismo, raggruppa i vari regimi nazionali di istruzione e formazione in diversi livelli che, come si precisa nel “Considerando..” n. 11, “sono stabiliti soltanto ai fini del funzionamento del regime generale, non hanno effetti sulle strutture nazionali di istruzione e di formazione, né sulle competenze degli Stati membri in questo ambito”.

I livelli individuati sono cinque; in essi sono raggruppate le qualifiche professionali che corrispondono ai livelli minimi di cultura essenziali per esercitare le varie professioni: a) diplomi di primo accesso, b) diploma di scuola media superiore, c) diploma attestante formazione a livello di insegnamento  post-secondario di almeno un anno; d) diploma attestanti formazione a livello di insegnamento post-secondario fino a quattro anni; e) diploma attestante formazione a livello di insegnamento post-secondario da quattro anni in su. A seconda delle varie professioni si aggiunge la formazione iniziale e l'obbligo della formazione continua (articolo 11).

Costituiscono titoli di formazione assimilati quelli rilasciati da un'autorità competente in uno Stato membro che sanciscano una formazione acquisita nella Comunità, e che siano riconosciuti da tale Stato membro come di livello equivalente e conferiscano gli stessi diritti d'accesso o di esercizio di una professione. È altresì assimilata ad un titolo di formazione ogni qualifica professionale che, pur non rispondendo ai requisiti delle norme legislative, regolamentari o amministrative dello Stato membro d'origine per l'accesso a una professione o il suo esercizio, conferisca al suo titolare diritti acquisiti in virtù di tali disposizioni. Ciò avviene, quando, ad esempio, lo Stato di origine innalza il livello di formazione richiesto per l’ammissione ad una professione (art. 12).

Gli attestati di competenza o i titoli di formazione richiesti per l’acceso alla professione e il relativo esercizio  devono soddisfano le seguenti condizioni:

a) rilascio da parte di un'autorità competente in uno Stato membro, designata ai sensi delle disposizioni legislative, regolamentari o amministrative di tale Stato;

b) attestazione di un livello di qualifica professionale almeno equivalente al livello immediatamente anteriore a quello richiesto nello Stato membro ospitante, come descritto all'articolo 11;

c) attestazione della preparazione del titolare all'esercizio della professione interessata (quest’ultimo requisito vale solo per chi accede alla professione a seguito dell’esercizio a tempo pieno della medesima in un altro Stato per due anni, nel corso dei precedenti dieci) (art. 13).

Come anticipato, in mancanza di un'armonizzazione delle condizioni minime di formazione per accedere alle professioni disciplinate dal regime generale, allo Stato membro ospitante è consentita la possibilità di imporre misure compensatrici proporzionate, tenendo conto dell'esperienza professionale del richiedente al quale è lasciata la scelta tra una prova attitudinale o un tirocinio d'adattamento (art. 14).

Lo Stato può dispensare dall’applicazione dei provvedimenti di compensazione sulla base di  piattaforme comuni -consistenti in una serie di criteri che permettono di colmare la più ampia gamma di differenze sostanziali che sono state individuate tra i requisiti di formazione esistenti nei vari Stati membri per una determinata professione -  proposte a livello europeo da Stati membri, o da associazioni e organismi professionali che le  possono sottoporre al parere della Commissione. Questa, qualora le ritenga in grado di facilitare il riconoscimento reciproco delle qualifiche professionali, può presentare un progetto di provvedimenti, in vista della loro adozione (art. 15).

 

Riconoscimento dell’esperienza professionale (capo II)

Ai fini del riconoscimento - quale prova del possesso di conoscenze e competenze generali - dell’esercizio di attività commerciali o professionali  indicate nell’Allegato IV della direttiva e raggruppate in tre distinti elenchi, gli articoli 17, 18 e 19 della direttiva stabiliscono in dettaglio le condizioni che l’esperienza professionale deve soddisfare e che si differenziano in relazione all’appartenenza delle attività ad uno dei diversi raggruppamenti di cui al citato allegato IV.

Riconoscimento in base al coordinamento delle condizioni minime di formazione (capo III)

In base al principio di riconoscimento automatico, ogni Stato membro riconosce i titoli di formazione di medico, che danno accesso alle attività professionali di medico con formazione di base e di medico specialista, di infermiere responsabile dell'assistenza generale, di dentista, di dentista specialista, di veterinario, di farmacista e di architetto, nonché i titoli di formazione di ostetrica.

Negli Stati membri l'accesso alle suddette attività professioni e il relativo esercizio sono quindi subordinati al possesso di un determinato titolo di formazione, il che garantisce che l'interessato ha seguito una formazione che soddisfa i requisiti minimi stabiliti.  Il rilascio dei titoli spetta ai  competenti organismi degli Stati membri e può essere eventualmente accompagnato da certificati individuati nell'allegato V della direttiva.

Agli Stati membri è riconosciuta la facoltà di autorizzare una formazione a tempo parziale - non inferiore per durata, livello e qualità, alla formazione continua a tempo pieno – secondo condizioni stabilite dalle autorità competenti. Sulla base di specifiche procedure stabilite degli Stati membri la formazione e l’istruzione permanente garantiscono - a chi abbia completato i propri studi - l’adeguamento ai progressi professionali.

Tale regime è completato da una serie di diritti acquisiti di cui i professionisti qualificati beneficiano a determinate condizioni.

Oltre a disposizioni di carattere comuni, il capo III reca la disciplina inerente la formazione, l’esercizio della professione e i diritti acquisiti con riferimento a ciascuna delle professioni per le quali è previsto il riconoscimento automatico dei  titoli di formazione.

 

 

Disposizioni comuni in materia di stabilimento (capo IV)

La direttiva individua la documentazione che può essere richiesta da uno Stato membro ospitante per poter deliberare in merito a richieste di autorizzazione all’esercizio di professioni regolamentate (quali la conferma dell’autenticità degli attestati e dei titoli di formazione rilasciati da parte di un altro Stato membro in caso di dubbio fondato) ed, inoltre, definisce eventuali formalità da seguire in determinate occasioni. Stabilisce, altresì, procedure uniformi per il riconoscimento delle qualifiche e l’uso del titolo professionale.

 

 

 

 

 

Titoli IV e V

I titoli IV e V della direttiva recano disposizioni riguardanti, rispettivamente, le modalità d'esercizio della professione e la cooperazione amministrativa e le competenze esecutive dei singoli Stati membri.

Tra le prime si segnala l’obbligo, a carico dei beneficiari del riconoscimento, delle conoscenze linguistiche necessarie all’esercizio  della professione nello Stato ospitante.

Per quanto concerne la cooperazione e le competenze esecutive, la direttiva  chiama le autorità competenti dei singoli Stati membri – che devono essere designate entro il 20 ottobre 2007 - ad una assistenza reciproca e allo scambio di informazioni concernenti azioni disciplinari o sanzioni penali  adottate o altre circostanze gravi che possono avere ripercussioni sull’esercizio dell’attività.

Inoltre, per assicurare la trasparenza del sistema di riconoscimento, la direttiva prevede la realizzazione di una rete di punti di contatto incaricati d’informare e di assistere i cittadini degli Stati membri. Tali punti di contatto comunicheranno ai cittadini che lo richiedono e alla Commissione tutte le informazioni e gli indirizzi utili per la procedura di riconoscimento.

Infine, per rendere efficace la gestione dei diversi regimi di riconoscimento stabiliti dalle direttive settoriali e dal regime generale, la direttiva prevede che la Commissione sia assistita da un Comitato per il riconoscimento delle qualifiche professionali, composto dai rappresentanti degli Stati membri e presieduto da un rappresentante della Commissione. Il Comitato è tenuto a  consultare gli esperti delle categorie professionali interessate.

Da ultimo, il Titolo VI prevede che, a partire dal 20 ottobre 2007, gli Stati membri trasmettano alla Commissione, con cadenza biennale, una relazione sull’applicazione del sistema.

 

Gli Stati membri dovranno conformarsi alla direttiva 2005/36/CE entro il 20 ottobre 2007.

 


Direttiva 2005/60/CE

 

(Prevenzione dell’uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio)

 

 

La direttiva 2005/60/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 ottobre 2005, riguarda la prevenzione dell’uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo.

 

Il provvedimento fondamentale nella lotta contro il riciclaggio dei proventi di attività illecite è costituito dalla direttiva 91/308/CEE. Essa è considerata fra i maggiori strumenti internazionali esistenti in questo settore, unitamente alla Convenzione dell'ONU del 1988 (Convenzione di Vienna), alla Convenzione del Consiglio d'Europa del 1990 (Convenzione di Strasburgo) e alle quaranta raccomandazioni della Task-force "Azione finanziaria" (FATF).

La direttiva 2001/97/CE, la quale costituisce una delle priorità del Piano d'azione sui servizi finanziari [Com(1999)232 def.] per la creazione di un mercato integrato dei servizi finanziari entro il 2005, ha risposto alla necessità di aggiornare la direttiva 91/308/CEE, allo scopo di riflettere le migliori pratiche internazionali del settore, nonché di continuare a garantire un elevato livello nella protezione del settore finanziario e di altre attività a rischio dagli effetti dannosi del denaro proveniente da attività criminose.

 

La direttiva 2005/60/CE tende a recepire, fra l’altro, le esigenze di lotta al finanziamento del terrorismo e le indicazioni espresse nelle ultime revisioni delle cosiddette “quaranta raccomandazioni” della Task force "Azione finanziaria" (FATF).

 

Le nuove quaranta raccomandazioni sono state formulate dall'assemblea plenaria del Gruppo di azione finanziaria internazionale sul riciclaggio dei capitali (GAFI), alla conclusione della procedura di consultazione avviata nel 2001. A seguito dell'ampliamento del mandato del Gruppo e dell’emanazione di otto raccomandazioni speciali antiterrorismo, le nuove Raccomandazioni si applicano anche per la verifica dei rispettivi sistemi normativi degli Stati aderenti per il contrasto del finanziamento al terrorismo internazionale.

La revisione ha portato ad una sostanziale modifica delle quaranta raccomandazioni sia nel contenuto che nella portata applicativa. In particolare rilevano l'estensione degli obblighi a tutti i soggetti che svolgono attività finanziaria (criterio funzionale, cioè in ragione dell'attività effettivamente svolta, anziché nominalistico); l'ampliamento della categoria dei reati presupposto del riciclaggio, includendovi – è l'aspetto più rilevante – il finanziamento al terrorismo; il rafforzamento delle previsioni in materia di trasparenza nell'ambito delle strutture societarie e dell’identificazione dei partecipanti alle stesse.

In concreto, sono stati introdotti (Raccomandazione 1) tre criteri alternativi per l'individuazione dei reati presupposto del riciclaggio che i Paesi aderenti (attualmente 130) possono adottare: a) un approccio integralista, che considera qualsiasi reato quale possibile presupposto per il riciclaggio; b) un approccio per soglie, in base al quale il reato di riciclaggio acquista rilevanza in relazione a particolari categorie di reati o all'entità della sanzione comminabile; c) un approccio nominalistico, che individua specificamente i reati presupposto.

In tema di identificazione della clientela (cosiddetta “Customer due diligence”), in accordo con quanto definito dal Comitato di Basilea, è stato adottato un approccio risk based: i controlli sono modulabili in relazione al livello di rischio del soggetto, della relazione finanziaria o del tipo di operazione (Raccomandazioni da 5 a 8), con procedure semplificate per clienti che presentino una bassa rischiosità (ad esempio, intermediari finanziari o figure professionali e no, soggette ad obblighi di antiriciclaggio, amministrazioni e imprese pubbliche, società sottoposte a controlli prudenziali e ad obblighi di trasparenza) e obblighi più stringenti verso soggetti ritenuti più rischiosi (ad esempio, rapporti e transazioni a distanza).

È consentito delegare a terzi l'adempimento degli obblighi di identificazione purché la documentazione relativa sia disponibile immediatamente a richiesta dell'intermediario e il soggetto delegante si accerti che il soggetto delegato sia sottoposto a forme di controllo e sia in grado di rispettare le raccomandazioni in tema di identificazione.

Gli obblighi in materia di identificazione e registrazione della clientela sono stati estesi a specifiche figure professionali (agenti immobiliari, commercianti in pietre e metalli preziosi, revisori, avvocati, notai e altri liberi professionisti che forniscano servizî ad imprese, fondazioni, etc.) qualora svolgano per conto dei propri clienti determinate attività connesse con operazioni di natura finanziaria (Raccomandazioni 12 e 16). Viene richiesta maggiore trasparenza degli assetti proprietari delle persone giuridiche (in particolare delle strutture complesse quali i trust) al fine di individuare l'effettivo soggetto economico di riferimento (Raccomandazioni 33 e 34).

 

La direttiva 2005/60/CE è fondata sulla considerazione preliminare che flussi ingenti di denaro provenienti da attività criminose possono danneggiare la stabilità e la reputazione del settore finanziario e minacciare il mercato unico, e che il terrorismo dev’essere combattuto mediante il contrasto delle fonti di finanziamento illecito.

Da queste considerazioni deriva che il problema non può essere affrontato solo con gli strumenti del diritto penale, ma che si dovrebbero ottenere risultati soprattutto con un impegno di prevenzione all’interno del sistema finanziario. L'integrità, la stabilità degli enti creditizi e finanziari, nonché la fiducia nel sistema finanziario nel suo complesso, potrebbero essere gravemente compromesse dagli sforzi compiuti dai criminali e dai loro complici per mascherare l'origine dei proventi di attività criminose o per incanalare fondi a scopo di finanziamento del terrorismo.

Le predette considerazioni preliminari permettono l'individuazione di una prima rilevante differenza tra l'attuale normativa comunitaria antiriciclaggio e quella in divenire: l'attenzione è rivolta non solo ai soggetti che riciclano denaro, ma anche ai soggetti che finanziano il terrorismo.

Ne consegue l'importanza di nuovi obblighi per l'identificazione, diversi e più complessi di quelli previsti dalla direttiva 91/308/CEE, che impongono anche l'adeguata verifica dell'identità del cliente e del titolare effettivo sulla base di documenti, dati o informazioni ottenuti da una fonte affidabile e indipendente unitamente a informazioni sullo scopo e sulla prevista natura del rapporto d'affari.

Gli obblighi di verifica possono essere calibrati in funzione del rischio associato al tipo di cliente, al rapporto d'affari, al prodotto, allatransazione effettuata.

L'obbligo di adeguata verifica della clientela è rafforzato sulla base della valutazione del rischio esistente nelle situazioni che per la loro natura possono presentare un rischio più elevato di riciclaggio o finanziamento del terrorismo (concetto di gradualità delle misure).

Sussiste inoltre per gli enti creditizi e finanziari la necessità di disporre di sistemi efficaci, anche elettronici, proporzionati alla dimensione e alla natura degli affari, per poter rispondere pienamente e rapidamente alle richieste di informazioni riguardanti gli eventuali rapporti di affari intrattenuti con determinate persone e al connesso obbligo di conservare i dati, i documenti e le informazioni per un determinato periodo decorrente dalla fine del rapporto di affari o, in taluni casi, dall'esecuzione dell'operazione.

Innovativa è anche l'attenzione che deve essere posta nell’adempimento degli obblighi di segnalazione con riguardo ad ogni attività sospettata di connessione con il riciclaggio o con il finanziamento del terrorismo. In particolare, dovranno essere osservate le operazioni complesse o di importo insolitamente elevato, nonché tutti gli schemi insoliti di operazioni che non hanno un fine economico evidente o uno scopo chiaramente lecito.

Tra le misure di esecuzione, oltre alle verifiche dellaclientela e alla segnalazione di casi sospetti, sono previste procedure di controllo interno, di valutazione e gestione del rischio e di garanzia dell'osservanza di tutte le disposizioni da parte del personale dipendente dagli enti su cui ricadono gli obblighi di identificazione e di segnalazione. In tale ambito il personale interessato dev’essere posto a conoscenza delle disposizioni adottate anche attraverso l'obbligo di frequentare specifici programmi di formazione, onde essere in grado di riconoscere le attività che potrebbero essere connesse a tali reati.

Nella nuova disciplina si rileva, quindi, la nuova finalità di contrasto del finanziamento del terrorismo, evidenziandosi, a livello organizzativo, una più stretta interrelazione tra la fase di analisi dei rischi e la fase delle verifiche e dei controlli di esecuzione.

Con riguardo al contenuto puntuale della nuova direttiva, che abroga e sostituisce la precedente direttiva 91/308/CEE, il Capo I riguarda l’oggetto, l’ambito di applicazione e le definizioni.

Il Capo II prevede gli obblighi di adeguata verifica della clientela, stabilendo obblighi di verifica rafforzati ove si presentino situazioni di più elevato rischio di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo.

Il Capo III detta norme in tema di obblighi di segnalazione delle informazioni rilevanti, prevedendo che l’unità di informazione finanziaria (UIF) sia individuata quale autorità nazionale centrale per combattere efficacemente il riciclaggio e il finanziamento del terrorismo.

Il Capo IV riguarda la tenuta delle registrazioni e il regime dei dati statistici, mentre il Capo V e il Capo VI attengono, rispettivamente, alle misure di esecuzione e alle misure di attuazione.

Il Capo VII detta le disposizioni finali, individuando nella data del 15 dicembre 2007 il termine entro il quale gli Stati membri dovranno conformarsi alle disposizioni recate dalla direttiva.

 

Si segnala infine che, con la direttiva 2006/70/CE della Commissione, del 4 agosto 2006, sono state dettate misure di esecuzione dell’esposta direttiva 2005/60/CE, per quanto riguarda la definizione di «persone politicamente esposte» (articolo 3 della direttiva 2005/60/CE) e i criteri tecnici per le procedure semplificate di adeguata verifica della clientela (articolo 11 della direttiva 2005/60/CE), nonché per l'esenzione nel caso di un'attività finanziaria esercitata in modo occasionale o su scala molto limitata (articolo 2 della direttiva 2005/60/CE). Come la direttiva 2005/60/CE, anche la direttiva 2006/70/CE dovrà essere recepita entro il 15 dicembre 2007.


 

Allegato C

 


Direttiva 2003/103/CE

 

(Modifica della direttiva 2001/25/CE, concernente i requisiti minimi per la formazione della gente di mare)

 

 

La direttiva 2003/103/CE del 17 novembre 2003 reca modifiche alla precedente direttiva 2001/25/CE, nella quale si stabilivano i requisiti minimi di formazione, certificazione e servizi di guardia per i marittimi a bordo di navi battenti bandiera di uno Stato membro.

La normativa relativa a tale argomento si fonda sugli standards definiti dalla Convenzione dell'Organizzazione marittima internazionale (IMO) del 1978, recante le norme relative alla formazione della gente di mare (in prosieguo denominata «Convenzione STCW»).

Le modifiche alla direttiva 2001/25/CE sono dettate dall’esperienza maturata nell’applicazione pratica della precedente disciplina e sono volte, in primo luogo, a fare in modo che i marittimi titolari di certificati rilasciati da paesi terzi che prestano servizio a bordo di navi battenti bandiera di uno Stato membro possiedano un livello di perizia equivalente a quello richiesto dalla Convenzione STCW.

 

L’articolo 1 della direttiva 2003/103/CE reca pertanto le seguenti modifiche alla direttiva 2001/25/CE:

·       all’articolo 5, paragrafi 3 e 5: viene inserita la previsione che il rilascio e la convalida dei certificati attestanti l’idoneità fisica per comandanti ufficiali e radiooperatori siano conformi alle indicazioni della Convenzione STCW;

·       all’articolo 17, lettera e):si precisa che le comunicazioni tra la nave e le autorità di terra debbano svolgersi in conformità alle previsioni della Convenzione SOLAS;

·       all’articolo 18, paragrafo 3, e nuovo articolo 18-bis: con la modifica del paragrafo 3 dell’articolo 18 e l’introduzione del nuovo articolo 18-bis nella direttiva 2001/25/CE, viene regolamentato il riconoscimento dei certificati rilasciati da paesi terzi. In particolare, viene stabilito che sia regolarmente oggetto di riesame il fatto che un paese terzo riconosciuto continui a soddisfare pienamente i requisiti della Convenzione STCW, in modo che il riconoscimento di tali paesi possa essere prorogato o revocato, a seconda che essi osservino o meno le previsioni della Convenzione. Il monitoraggio continuo della conformità dei paesi terzi riconosciuti è affidato alla Commissione, con l’ausilio dell’Agenzia europea per la sicurezza marittima, che assiste la Commissione in tutti i suoi compiti in materia di formazione, rilascio di certificati e servizi di guardia degli equipaggi delle navi, nonché nei compiti legati alla concessione, alla proroga e alla revoca del riconoscimento di Paesi terzi. Alla Commissione è affidato anche il compito di valutare la conformità dei sistemi di formazione e di abilitazione dei paesi terzi alle disposizioni della Convenzione STCW, e se siano state adottate le misure necessarie a prevenire eventuali frodi concernenti il rilascio di tali certificati. A tal fine, l’articolo 18-bis prevede, nel caso in cui uno Stato membro ritenga che un paese terzo riconosciuto non soddisfi più i requisiti indicati dalla citata Convenzione, che il medesimo Stato informi la Commissione che, a sua volta, dovrà procedere al riesame del riconoscimento di detto paese, con la facoltà di revocare il riconoscimento dei certificati entro due mesi, fatta salva l'adozione di misure per assicurare il rispetto di tutte le prescrizioni della Convenzione STCW.

·       nuovo articolo 18-ter: viene prevista una rivalutazione quinquennale, da parte della Commissione, con l’assistenza dell’Agenzia europea per la sicurezza marittima, dei paesi terzi riconosciuti per verificare la sussistenza dei requisiti di conformità alla Convenzione STCW. Al riguardo, la Commissione dovrà presentare una relazione agli Stati membri sui risultati della valutazione.

·       all’articolo 22, paragrafo 1:vengono indicate le modalità di modifica della direttiva 2001/25/CE, anche al fine di rendere applicabili eventuali pertinenti modifiche della legislazione comunitaria.

·       Allegato II: viene modificato l’Allegato II alla direttiva 2001/25/CE, relativo ai criteri per il riconoscimento di paesi terzi che hanno rilasciato un certificato o sotto la cui autorità è stato rilasciato un certificato. Tale allegato prevede ora che, ai fini del riconoscimento, il paese terzo debba essere parte della Convenzione STCW ed aver pienamente adempiuto alle prescrizioni della stessa, oltre ad aver superato il controllo, svolto dalla Commissione assistita dall’Agenzia, sul rispetto dei requisiti relativi al livello di competenza.

 

L’articolo 2 della direttiva 2003/103/CE indica poi, quale termine ultimo per gli Stati membri per conformarsi alle disposizioni della direttiva, la data del 14 maggio 2005 e sancisce l’obbligo della Commissione di presentare, entro il 14 dicembre 2008, al Parlamento europeo e al Consiglio, una relazione sulle disposizioni della Convenzione IMO, sulla loro applicazione e sulle conoscenze acquisite per quanto concerne la relazione tra la sicurezza e il livello di formazione degli equipaggi delle navi.

 

Si ricorda infine che il disegno di legge A.S.1014 (legge comunitaria 2006), approvato dalla Camera il 21 settembre 2006, prevede il recepimento della direttiva 2005/45/CE[227] del Parlamento europeo e del Consiglio, del 7 settembre 2005, riguardante il reciproco riconoscimento dei certificati rilasciati dagli Stati membri alla gente di mare e recante modificazione della direttiva 2001/25/CE. La direttiva 2005/45/CE nasce prevalentemente dall’esigenza di agevolare gli Stati membri nel riconoscimento ai marittimi che abbiano ottenuto, in un altro Stato membro, un certificato di abilitazione che soddisfi i requisiti previsti dalla direttiva 2001/25, di intraprendere o proseguire la professione marittima per la quale hanno conseguito l'abilitazione, senza ulteriori condizioni rispetto a quelle previste per i propri cittadini. Conseguentemente il riconoscimento reciproco tra gli Stati membri dei certificati rilasciati a marittimi aventi la cittadinanza degli Stati membri o di paesi terzi non è più essere soggetto alle direttive 89/48/CEE e 92/51/CEE, bensì è disciplinato dalla direttiva in esame.La direttiva si applica ai marittimi che siano cittadini degli Stati membri o cittadini di Paesi terzi titolari di un certificato rilasciato da uno Stato membro.


Direttiva 2005/23/CE

 

(Modifica della direttiva 2001/25/CE, concernente i requisiti minimi di formazione per la gente di mare)

 

 

La direttiva 2005/23/CE reca modifiche alla direttiva 2001/25/CE concernente i requisiti minimi di formazione per la gente di mare.

 

Tali requisiti si basano su norme contenute nella Convenzione STCW e nel Codice STCW[228]; le recenti modifiche di tali atti[229] hanno reso necessario – come si legge nelle premesse della direttiva in esame – l’adeguamento alle stesse della direttiva 2001/25/CE.

 

L’articolo 1 modifica l’allegato I della direttiva 2001/25/CE; in particolare:

§      viene modificato il paragrafo 3 della regola V/2; in virtù di tale modifica gli appartenenti alla gente di mare che sono tenuti a seguire i corsi di formazione devono, a intervalli non superiori a cinque anni, frequentare appositi corsi di aggiornamento o devono dimostrare di aver raggiunto standard di competenza previsti nei cinque anni precedenti;

§      è inserita la regola V/3 che stabilisce i requisiti minimi obbligatori in materia di formazione e qualifiche di comandanti, ufficiali, marinai e altro personale di navi da passeggeri diverse da quelle ro-ro.

In base a tale nuova regola, la gente di mare, prima di essere assegnata a qualsiasi funzione di servizio a bordo di navi da passeggeri, deve aver frequentato i corsi di formazione e, ad intervalli non superiori a cinque anni, deve frequentare appositi corsi di aggiornamento o dimostrare di aver raggiunto gli standard di competenza previsti nei cinque anni precedenti. Inoltre, il personale indicato sul ruolo di bordo per assistere i passeggeri in situazioni di emergenza a bordo di navi da passeggeri deve aver frequentato con esito positivo i corsi di formazione in materia di gestione delle operazioni di soccorso della folla; i comandanti, gli ufficiali e coloro che hanno responsabilità specifiche a bordo ed ogni altro soggetto cui è riservata una determinata competenza a bordo o nelle operazioni di imbarco, deve aver frequentato con esito positivo lo specifico corso relativo alle proprie attribuzioni.

 

L’articolo 2 indica, quale termine di recepimento della direttiva, la data del 29 settembre 2005.


Testo della legge 25 gennaio 2006, n. 29

 


L. 25 gennaio 2006, n. 29
Disposizioni per l'adempimento di obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle Comunità europee. Legge comunitaria 2005.

 

(1)

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(1) Pubblicata nella Gazz. Uff. 8 febbraio 2006, n. 32, S.O.

 

 

Capo I

Disposizioni generali sui procedimenti per l'adempimento degli obblighi comunitari

 

Art. 1.

Delega al Governo per l'attuazione di direttive comunitarie.

 

1. Il Governo è delegato ad adottare, entro il termine di diciotto mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, i decreti legislativi recanti le norme occorrenti per dare attuazione alle direttive comprese negli elenchi di cui agli allegati A e B.

 

2. I decreti legislativi sono adottati, nel rispetto dell'articolo 14 della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri o del Ministro per le politiche comunitarie e del Ministro con competenza istituzionale prevalente per la materia, di concerto con i Ministri degli affari esteri, della giustizia, dell'economia e delle finanze e con gli altri Ministri interessati in relazione all'oggetto della direttiva.

 

3. Gli schemi dei decreti legislativi recanti attuazione delle direttive comprese nell'elenco di cui all'allegato B, nonché, qualora sia previsto il ricorso a sanzioni penali, quelli relativi all'attuazione delle direttive elencate nell'allegato A, sono trasmessi, dopo l'acquisizione degli altri pareri previsti dalla legge, alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica perché su di essi sia espresso il parere dei competenti organi parlamentari. Decorsi quaranta giorni dalla data di trasmissione, i decreti sono emanati anche in mancanza del parere. Qualora il termine per l'espressione del parere parlamentare di cui al presente comma, ovvero i diversi termini previsti dai commi 4 e 9, scadano nei trenta giorni che precedono la scadenza dei termini previsti ai commi 1 o 5 o successivamente, questi ultimi sono prorogati di novanta giorni.

 

4. Gli schemi dei decreti legislativi recanti attuazione della direttiva 2003/123/CE, della direttiva 2004/9/CE, della direttiva 2004/36/CE, della direttiva 2004/49/CE, della direttiva 2004/50/CE, della direttiva 2004/54/CE, della direttiva 2004/80/CE, della direttiva 2004/81/CE, della direttiva 2004/83/CE, della direttiva 2004/113/CE, della direttiva 2005/19/CE, della direttiva 2005/28/CE, della direttiva 2005/36/CE e della direttiva 2005/60/CE sono corredati dalla relazione tecnica di cui all'articolo 11-ter, comma 2, della legge 5 agosto 1978, n. 468, e successive modificazioni. Su di essi è richiesto anche il parere delle Commissioni parlamentari competenti per i profili finanziari. Il Governo, ove non intenda conformarsi alle condizioni formulate con riferimento all'esigenza di garantire il rispetto dell'articolo 81, quarto comma, della Costituzione, ritrasmette alle Camere i testi, corredati dei necessari elementi integrativi di informazione, per i pareri definitivi delle Commissioni competenti per i profili finanziari, che devono essere espressi entro venti giorni.

 

5. Entro diciotto mesi dalla data di entrata in vigore di ciascuno dei decreti legislativi di cui al comma 1, nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi fissati dalla presente legge, il Governo può emanare, con la procedura indicata nei commi 2, 3 e 4, disposizioni integrative e correttive dei decreti legislativi emanati ai sensi del comma 1, fatto salvo quanto previsto dal comma 6.

 

6. Entro tre anni dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo di cui al comma 1 adottato per l'attuazione della direttiva 2004/109/CE, di cui all'allegato B, il Governo, nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi di cui all'articolo 3 e con la procedura prevista dal presente articolo, può emanare disposizioni integrative e correttive al fine di tenere conto delle eventuali disposizioni di attuazione adottate dalla Commissione europea secondo la procedura di cui all'articolo 27, paragrafo 2, della medesima direttiva.

 

7. In relazione a quanto disposto dall'articolo 117, quinto comma, della Costituzione e dall'articolo 16, comma 3, della legge 4 febbraio 2005, n. 11, si applicano le disposizioni di cui all'articolo 11, comma 8, della medesima legge n. 11 del 2005.

 

8. Il Ministro per le politiche comunitarie, nel caso in cui una o più deleghe di cui al comma 1 non risulti ancora esercitata trascorsi quattro mesi dal termine previsto dalla direttiva per la sua attuazione, trasmette alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica una relazione che dia conto dei motivi addotti dai Ministri con competenza istituzionale prevalente per la materia a giustificazione del ritardo. Il Ministro per le politiche comunitarie ogni quattro mesi informa altresì la Camera dei deputati e il Senato della Repubblica sullo stato di attuazione delle direttive da parte delle regioni e delle province autonome nelle materie di loro competenza.

 

9. Il Governo, quando non intende conformarsi ai pareri parlamentari di cui al comma 3, relativi a sanzioni penali contenute negli schemi di decreti legislativi recanti attuazione delle direttive comprese negli allegati A e B, ritrasmette con le sue osservazioni e con eventuali modificazioni i testi alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica. Decorsi trenta giorni dalla data di ritrasmissione, i decreti sono emanati anche in mancanza di nuovo parere.

 

 

Art. 2.

Modifica all'articolo 10 della legge 4 febbraio 2005, n. 11.

 

1. Il comma 4 dell'articolo 10 della legge 4 febbraio 2005, n. 11, è sostituito dal seguente:

 

«4. I decreti legislativi di attuazione di normative comunitarie o di modifica di disposizioni attuative delle medesime, la cui delega è contenuta in leggi diverse dalla legge comunitaria annuale, fatti salvi gli specifici princìpi e criteri direttivi stabiliti dalle disposizioni della legge di conferimento della delega, ove non in contrasto con il diritto comunitario, e in aggiunta a quelli contenuti nelle normative comunitarie da attuare, sono adottati nel rispetto degli altri princìpi e criteri direttivi generali previsti dalla stessa legge comunitaria per l'anno di riferimento, su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri o del Ministro per le politiche comunitarie e del Ministro con competenza istituzionale prevalente per la materia, di concerto con i Ministri degli affari esteri, della giustizia, dell'economia e delle finanze e con gli altri Ministri interessati in relazione all'oggetto della normativa».

Art. 3.

Princìpi e criteri direttivi generali della delega legislativa.

 

1. Salvi gli specifici princìpi e criteri direttivi stabiliti dalle disposizioni di cui al capo II e in aggiunta a quelli contenuti nelle direttive da attuare, i decreti legislativi di cui all'articolo 1 sono informati ai seguenti princìpi e criteri direttivi generali:

 

a) le amministrazioni direttamente interessate provvedono all'attuazione dei decreti legislativi con le ordinarie strutture amministrative;

 

b) ai fini di un migliore coordinamento con le discipline vigenti per i singoli settori interessati dalla normativa da attuare, sono introdotte le occorrenti modificazioni alle discipline stesse, fatte salve le materie oggetto di delegificazione ovvero i procedimenti oggetto di semplificazione amministrativa;

 

c) al di fuori dei casi previsti dalle norme penali vigenti, ove necessario per assicurare l'osservanza delle disposizioni contenute nei decreti legislativi, sono previste sanzioni amministrative e penali per le infrazioni alle disposizioni dei decreti stessi. Le sanzioni penali, nei limiti, rispettivamente, dell'ammenda fino a 150.000 euro e dell'arresto fino a tre anni, sono previste, in via alternativa o congiunta, solo nei casi in cui le infrazioni ledano o espongano a pericolo interessi costituzionalmente protetti. In tali casi sono previste: la pena dell'ammenda alternativa all'arresto per le infrazioni che espongano a pericolo o danneggino l'interesse protetto; la pena dell'arresto congiunta a quella dell'ammenda per le infrazioni che rechino un danno di particolare gravità. Nelle predette ipotesi, in luogo dell'arresto e dell'ammenda, possono essere previste anche le sanzioni alternative di cui agli articoli 53 e seguenti del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274, e la relativa competenza del giudice di pace. La sanzione amministrativa del pagamento di una somma non inferiore a 150 euro e non superiore a 150.000 euro è prevista per le infrazioni che ledano o espongano a pericolo interessi diversi da quelli sopra indicati. Nell'ambito dei limiti minimi e massimi previsti, le sanzioni sopra indicate sono determinate nella loro entità, tenendo conto della diversa potenzialità lesiva dell'interesse protetto che ciascuna infrazione presenta in astratto, di specifiche qualità personali del colpevole, comprese quelle che impongono particolari doveri di prevenzione, controllo o vigilanza, nonché del vantaggio patrimoniale che l'infrazione può recare al colpevole o alla persona o all'ente nel cui interesse egli agisce. Entro i limiti di pena sopra indicati sono previste sanzioni identiche a quelle eventualmente già comminate dalle leggi vigenti per le violazioni omogenee e di pari offensività rispetto alle infrazioni alle disposizioni dei decreti legislativi;

 

d) eventuali spese non contemplate da leggi vigenti e che non riguardano l'attività ordinaria delle amministrazioni statali o regionali possono essere previste nei decreti legislativi recanti le norme necessarie per dare attuazione alle direttive nei soli limiti occorrenti per l'adempimento degli obblighi di attuazione delle direttive stesse; alla relativa copertura, nonché alla copertura delle minori entrate eventualmente derivanti dall'attuazione delle direttive, in quanto non sia possibile fare fronte con i fondi già assegnati alle competenti amministrazioni, si provvede a carico del fondo di rotazione di cui all'articolo 5 della legge 16 aprile 1987, n. 183, per un ammontare complessivo non superiore a 50 milioni di euro;

 

e) all'attuazione di direttive che modificano precedenti direttive già attuate con legge o con decreto legislativo si procede, se la modificazione non comporta ampliamento della materia regolata, apportando le corrispondenti modificazioni alla legge o al decreto legislativo di attuazione della direttiva modificata;

 

f) i decreti legislativi assicurano in ogni caso che, nelle materie oggetto delle direttive da attuare, la disciplina sia pienamente conforme alle prescrizioni delle direttive medesime, tenuto anche conto delle eventuali modificazioni comunque intervenute fino al momento dell'esercizio della delega;

 

g) quando si verifichino sovrapposizioni di competenze fra amministrazioni diverse o comunque siano coinvolte le competenze di più amministrazioni statali, i decreti legislativi individuano, attraverso le più opportune forme di coordinamento, rispettando i princìpi di sussidiarietà, differenziazione, adeguatezza e leale collaborazione e le competenze delle regioni e degli altri enti territoriali, le procedure per salvaguardare l'unitarietà dei processi decisionali, la trasparenza, la celerità, l'efficacia e l'economicità nell'azione amministrativa e la chiara individuazione dei soggetti responsabili.

 

 

Art. 4.

Delega al Governo per la disciplina sanzionatoria di violazioni a disposizioni in materia di Politica agricola comune e di Politica dello sviluppo rurale.

 

1. Al fine di garantire la parità di trattamento tra agricoltori ed evitare distorsioni del mercato e della concorrenza, il Governo, fatte salve le norme penali vigenti, è delegato ad adottare, entro due anni dalla data di entrata in vigore della presente legge, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano e senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, uno o più decreti legislativi recanti sanzioni penali o amministrative, ivi comprese misure reintegratorie e interdittive, per le violazioni accertate a disposizioni dei regolamenti e delle decisioni emanati dalla Comunità europea in materia di Politica agricola comune e di Politica dello sviluppo rurale.

 

2. La delega di cui al comma 1 è esercitata con decreti legislativi adottati ai sensi dell'articolo 14 della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri o del Ministro per le politiche comunitarie e del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro delle politiche agricole e forestali. I decreti legislativi si informano ai seguenti princìpi e criteri direttivi:

 

a) le sanzioni amministrative sono dissuasive, nonché proporzionate alle somme indebitamente percepite, tenendo conto del vantaggio patrimoniale che l'infrazione può recare al beneficiario delle provvidenze;

 

b) le sanzioni reintegratorie o interdittive, determinate anche in funzione della gravità, portata, durata e frequenza dell'infrazione commessa, possono arrivare fino all'esclusione totale da uno o più regimi di aiuto ed essere irrogate per uno o più anni civili.

 

3. Per le sanzioni penali i decreti legislativi si uniformano ai princìpi e criteri direttivi indicati nell'articolo 3, comma 1, lettera c).

 

4. Gli schemi di decreto legislativo di cui al presente articolo sono trasmessi alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica per l'espressione del parere da parte delle competenti Commissioni parlamentari con le modalità e nei termini previsti dai commi 3 e 9 dell'articolo 1.

 

 

Art. 5.

Delega al Governo per la disciplina sanzionatoria di violazioni di disposizioni comunitarie.

 

1. Al fine di assicurare la piena integrazione delle norme comunitarie nell'ordinamento nazionale, il Governo, fatte salve le norme penali vigenti, è delegato ad adottare, entro due anni dalla data di entrata in vigore della presente legge, disposizioni recanti sanzioni penali o amministrative per le violazioni di direttive comunitarie attuate in via regolamentare o amministrativa, ai sensi delle leggi comunitarie vigenti, e di regolamenti comunitari vigenti alla data di entrata in vigore della presente legge, per i quali non siano già previste sanzioni penali o amministrative.

 

2. La delega di cui al comma 1 è esercitata con decreti legislativi adottati ai sensi dell'articolo 14 della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri o del Ministro per le politiche comunitarie e del Ministro della giustizia, di concerto con i Ministri competenti per materia. I decreti legislativi si informano ai princìpi e criteri direttivi di cui all'articolo 3, comma 1, lettera c).

 

3. Gli schemi di decreto legislativo di cui al presente articolo sono trasmessi alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica per l'espressione del parere da parte dei competenti organi parlamentari con le modalità e nei termini previsti dai commi 3 e 9 dell'articolo 1.

 

 

Art. 6.

Oneri relativi a prestazioni e controlli.

 

1. In relazione agli oneri per prestazioni e controlli si applicano le disposizioni di cui all'articolo 9, comma 2, della legge 4 febbraio 2005, n. 11.

 

2. Le entrate derivanti dalle tariffe determinate ai sensi del comma 1, qualora riferite all'attuazione delle direttive di cui agli allegati A e B, nonché di quelle da recepire con lo strumento regolamentare, sono attribuite alle amministrazioni che effettuano le prestazioni e i controlli, mediante riassegnazione ai sensi del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 10 novembre 1999, n. 469.

 

 

Art. 7.

Attuazione di direttive comunitarie con regolamento autorizzato.

 

1. Il Governo è autorizzato a dare attuazione alle direttive comprese nell'elenco di cui all'allegato C con uno o più regolamenti da adottare ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, secondo quanto disposto dagli articoli 9 e 11 della legge 4 febbraio 2005, n. 11, e con le procedure ivi previste, previo parere dei competenti organi parlamentari ai quali gli schemi di regolamento sono trasmessi con apposite relazioni cui è allegato il parere del Consiglio di Stato e che si esprimono entro quaranta giorni dall'assegnazione. Decorso il predetto termine, i regolamenti sono emanati anche in mancanza di detti pareri.

 

2. Dall'attuazione del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.

 

 

Art. 8.

Delega al Governo per il riordino normativo nelle materie interessate dalle direttive comunitarie.

 

1. Il Governo è delegato ad adottare, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, con le modalità di cui ai commi 2 e 3 dell'articolo 1, entro il termine di diciotto mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, testi unici delle disposizioni dettate in attuazione delle deleghe conferite per il recepimento di direttive comunitarie, al fine di coordinare le medesime con le norme legislative vigenti nelle stesse materie, apportando le sole modificazioni necessarie a garantire la semplificazione e la coerenza logica, sistematica e lessicale della normativa.

 

2. I testi unici di cui al comma 1 riguardano materie o settori omogenei. Fermo restando quanto disposto al comma 3, le disposizioni contenute nei testi unici non possono essere abrogate, derogate, sospese o comunque modificate, se non in modo esplicito mediante l'indicazione puntuale delle disposizioni da abrogare, derogare, sospendere o modificare.

 

3. Per le disposizioni adottate ai sensi del presente articolo si applica quanto previsto al comma 7 dell'articolo 1.

 

 

Capo II

 

Disposizioni particolari di adempimento, criteri specifici di delega legislativa

 

Art. 9.

Modifiche all'articolo 55 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, di cui al R.D. 18 giugno 1931, n. 773, a parziale recepimento della direttiva 2004/57/CE del 23 aprile 2004 della Commissione.

 

1. All'articolo 55 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, di cui al regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni:

 

a) al terzo comma:

 

1) le parole: «di qualsiasi genere» sono sostituite dalle seguenti: «di Iª, IIª, IIIª, IVª e Vª categoria, gruppo A e gruppo B,»;

 

2) dopo le parole: «dal Questore» sono inserite le seguenti: «, nonché materie esplodenti di Vª categoria, gruppo C, a privati che non siano maggiorenni e che non esibiscano un documento di identità in corso di validità»;

 

b) dopo il quinto comma è inserito il seguente:

 

«Gli obblighi di registrazione delle operazioni giornaliere e di comunicazione mensile all'ufficio di polizia competente per territorio non si applicano alle materie esplodenti di Vª categoria, gruppo D e gruppo E».

 

 

Art. 10.

Modifica all'articolo 5 della legge 18 aprile 1975, n. 110.

 

1. All'articolo 5, primo comma, della legge 18 aprile 1975, n. 110, le parole: «e dei giocattoli pirici» sono soppresse.

 

 

Art. 11.

Adempimenti in materia di rifiuti pericolosi.

 

1. I produttori di rifiuti pericolosi che non sono inquadrati in un'organizzazione di ente o di impresa adempiono all'obbligo della tenuta del registro di carico e scarico di cui all'articolo 12 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, e successive modificazioni, attraverso la conservazione, in ordine cronologico, delle copie del formulario proprie del detentore, di cui all'articolo 15 del citato decreto legislativo n. 22 del 1997.

 

2. I soggetti di cui al comma 1 non sono tenuti alla comunicazione annuale al Catasto, di cui all'articolo 11, comma 3, del citato decreto legislativo n. 22 del 1997, e successive modificazioni.

 

3. Le disposizioni di cui al presente articolo non si applicano ai rifiuti urbani.

 

 

Art. 12.

Valutazione di titoli e certificazioni comunitarie.

 

1. Fatta salva la normativa vigente in materia, in caso di procedimento nel quale è richiesto quale requisito il possesso di un titolo di studio, corso di perfezionamento, certificazione di esperienze professionali e ogni altro attestato che certifichi competenze acquisite dall'interessato, l'ente responsabile valuta la corrispondenza agli indicati requisiti dei titoli e delle certificazioni acquisiti in altri Stati membri dell'Unione europea o in Stati aderenti all'Accordo sullo Spazio economico europeo o nella Confederazione elvetica.

 

2. La valutazione dei titoli di studio è subordinata alla preventiva acquisizione sugli stessi del parere favorevole espresso dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca tenuto conto dell'oggetto del procedimento. Il parere deve essere comunque reso entro centottanta giorni dal ricevimento della documentazione completa.

 

 

Art. 13.

Modifiche al testo unico di cui al decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297.

 

1. Al testo unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione, relative alle scuole di ogni ordine e grado, di cui al decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni:

 

a) all'articolo 379, concernente la disciplina del riconoscimento dei titoli di studio conseguiti all'estero dai lavoratori italiani e loro congiunti emigrati:

 

1) le parole: «lavoratori italiani e loro congiunti emigrati», «lavoratori italiani e i loro congiunti emigrati» e «lavoratori italiani o loro congiunti emigrati», ovunque ricorrono, sono sostituite dalle seguenti: «cittadini di Stati membri dell'Unione europea, degli Stati aderenti all'Accordo sullo Spazio economico europeo e della Confederazione elvetica»;

 

2) le parole: «all'estero», ovunque ricorrono, sono sostituite dalle seguenti: «in uno Stato diverso dall'Italia»;

 

3) il comma 9 è abrogato;

 

b) l'articolo 380 è abrogato.

 

2. Dall'attuazione del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.

 

 

Art. 14.

Modifiche al decreto legislativo 9 maggio 2001, n. 269, recante attuazione della direttiva 1999/5/CE riguardante le apparecchiature radio, le apparecchiature terminali di telecomunicazione ed il reciproco riconoscimento della loro conformità.

 

1. All'articolo 1, comma 1, lettera c), del decreto legislativo 9 maggio 2001, n. 269, le parole: «l'emissione e» sono sostituite dalle seguenti: «l'emissione ovvero».

 

2. All'articolo 10 del decreto legislativo 9 maggio 2001, n. 269, sono apportate le seguenti modificazioni:

 

a) il comma 1 è sostituito dal seguente:

 

«1. Chiunque immette sul mercato ovvero installa apparecchi non conformi ai requisiti essenziali di cui all'articolo 3 è assoggettato alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 4.131 a euro 24.789 e del pagamento di una somma da euro 20 a euro 123 per ciascun apparecchio. Alla stessa sanzione è assoggettato chiunque apporta modifiche agli apparecchi dotati della prescritta marcatura che comportano mancata conformità ai requisiti essenziali. In ogni caso la sanzione amministrativa non può superare la somma complessiva di euro 103.291»;

 

b) al comma 2, primo periodo, le parole: «da lire 4 milioni a lire 24 milioni» sono sostituite dalle seguenti: «da euro 1.032 a euro 12.394» e le parole: «da lire 20 mila a lire 120 mila» sono sostituite dalle seguenti: «da euro 10 a euro 61»; al secondo periodo, le parole: «lire 200 milioni» sono sostituite dalle seguenti: «euro 103.291»;

 

c) dopo il comma 2 è inserito il seguente:

 

«2-bis. Il fabbricante o chiunque immette sul mercato apparecchi conformi ai requisiti essenziali di cui all'articolo 3, ma privi delle informazioni sull'uso cui l'apparecchio è destinato, nonché delle indicazioni relative agli Stati membri dell'Unione europea o alla zona geografica all'interno di uno Stato membro dove l'apparecchiatura è destinata ad essere utilizzata, nonché delle informazioni relative ad eventuali restrizioni o richieste di autorizzazioni necessarie per l'uso delle apparecchiature radio in taluni Stati membri, è assoggettato alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 1.032 a euro 12.394 e del pagamento di una somma da euro 10 a euro 61 per ciascun apparecchio. In ogni caso la sanzione amministrativa non può superare la somma complessiva di euro 103.291»;

 

d) al comma 3, le parole: «da lire 2 milioni a lire 12 milioni» sono sostituite dalle seguenti: «da euro 1.032 a euro 6.197»;

 

e) al comma 4, le parole: «da lire 5 milioni a lire 30 milioni» sono sostituite dalle seguenti: «da euro 2.582 a euro 15.493»;

 

f) al comma 5, le parole: «da lire 500 mila a lire 3 milioni» sono sostituite dalle seguenti: «da euro 258 a euro 1.549»;

 

g) al comma 6, le parole: «da lire 10 milioni a lire 60 milioni» sono sostituite dalle seguenti: «da euro 5.164 a euro 30.987».

 

 

Art. 15.

Attuazione della decisione C (2004) 4746 del 14 dicembre 2004 della Commissione.

 

1. In attuazione della decisione C (2004) 4746 del 14 dicembre 2004 della Commissione, il regime di aiuti a favore delle imprese che hanno sostenuto, nel periodo d'imposta successivo a quello in corso alla data del 2 ottobre 2003, spese per la partecipazione espositiva di prodotti in fiere all'estero, ai sensi dell'articolo 1, comma 1, lettera b), del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, è interrotto a decorrere dal periodo d'imposta per il quale, alla data di entrata in vigore della presente legge, non è ancora scaduto il termine per la presentazione della relativa dichiarazione dei redditi.

 

2. Entro novanta giorni dalla data di emanazione del provvedimento del direttore dell'Agenzia delle entrate che determina le modalità applicative della presente disposizione, i soggetti che hanno beneficiato degli aiuti di cui al comma 1 presentano in via telematica all'Agenzia delle entrate una attestazione, ai sensi del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, con gli elementi necessari per l'individuazione dell'aiuto illegittimamente fruito sulla base delle disposizioni contenute nel citato provvedimento del direttore dell'Agenzia delle entrate da cui risulti comunque:

 

a) l'ammontare delle spese sostenute sulla base delle quali è stata calcolata l'agevolazione di cui al comma 1;

 

b) l'importo corrispondente all'eventuale imposta sul reddito non dovuta per effetto dell'agevolazione illegittimamente fruita.

 

3. Entro i sessanta giorni successivi al termine di cui al comma 2, i beneficiari del regime agevolativo di cui al comma 1 effettuano, a seguito di autoliquidazione, il versamento degli importi corrispondenti alle imposte non corrisposte per effetto del regime agevolativo medesimo relativamente ai periodi di imposta nei quali tale regime è stato fruito, nonché degli interessi calcolati sulla base delle disposizioni di cui al capo V del regolamento (CE) n. 794/2004 del 21 aprile 2004 della Commissione, maturati a decorrere dalla data in cui le imposte non versate sono state messe a disposizione dei beneficiari fino alla data del loro recupero effettivo.

 

4. L'Agenzia delle entrate provvede alle attività di liquidazione e controllo del corretto adempimento degli obblighi derivanti dal presente articolo e, in caso di mancato o insufficiente versamento, ai sensi del comma 3, si rendono applicabili le norme in materia di liquidazione, accertamento, riscossione e contenzioso nonché le sanzioni previste ai fini delle imposte sui redditi.

 

5. Le disposizioni del presente articolo non si applicano alle spese sostenute dalle piccole e medie imprese per la partecipazione espositiva di prodotti in fiere all'estero nel rispetto delle condizioni di cui all'articolo 5, lettera b), del regolamento (CE) n. 70/2001 del 12 gennaio 2001 della Commissione (2).

 

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(2)  Con Provv. 6 aprile 2006 (Gazz. Uff. 12 aprile 2006, n. 86) sono state determinate le modalità applicative delle disposizioni previste dagli articoli 15 e 24 della presente legge, per il recupero delle agevolazioni fiscali fruite, da imprese che hanno sostenuto spese per la partecipazione espositiva di prodotti in fiere all'estero, di cui all'articolo 1, comma 1, lettera b), del D.L. n. 269 del 30 settembre 2003, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 326 del 24 novembre 2003, e da soggetti che hanno realizzato investimenti nei comuni colpiti da eventi calamitosi nel 2002, di cui all'articolo 5-sexies del D.L. n. 282 del 24 dicembre 2002, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 27 del 21 febbraio 2003.

 

 

Art. 16.

Modifiche all'articolo 1 della legge 18 aprile 2005, n. 62.

 

1. All'articolo 1 della legge 18 aprile 2005, n. 62, dopo il comma 5 è inserito il seguente:

 

«5-bis. Entro tre anni dalla data di entrata in vigore dei decreti legislativi di cui al comma 1, adottati per l'attuazione della direttiva 2004/39/CE, relativa ai mercati degli strumenti finanziari, e della direttiva 2004/25/CE, concernente le offerte pubbliche di acquisto, il Governo, nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi di cui all'articolo 2 e con la procedura prevista dal presente articolo, può emanare disposizioni integrative e correttive al fine di tenere conto delle eventuali disposizioni di attuazione adottate dalla Commissione europea secondo la procedura di cui, rispettivamente, all'articolo 64, paragrafo 2, della direttiva 2004/39/CE, e all'articolo 18, paragrafo 2, della direttiva 2004/25/CE».

 

2. All'articolo 1, comma 5, della legge 18 aprile 2005, n. 62, sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «, fatto salvo quanto previsto dal comma 5-bis».

 

 

Art. 17.

Modifiche all'articolo 38 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 23 aprile 2001, n. 290.

 

1. I commi 1 e 2 dell'articolo 38 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 23 aprile 2001, n. 290, sono abrogati.

 

 

Art. 18.

Introduzione dell'articolo 29-bis della legge 18 aprile 2005, n. 62.

 

1. Alla legge 18 aprile 2005, n. 62, dopo l'articolo 29 è inserito il seguente:

 

«Art. 29-bis. (Attuazione della direttiva 2003/41/CE del 3 giugno 2003 del Parlamento europeo e del Consiglio, relativa alle attività e alla supervisione degli enti pensionistici aziendali o professionali). - 1. Il Governo, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze di concerto con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, acquisito il parere della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, è delegato ad adottare, entro diciotto mesi dalla data di entrata in vigore della presente disposizione, un decreto legislativo recante le norme per il recepimento della direttiva 2003/41/CE del 3 giugno 2003 del Parlamento europeo e del Consiglio, relativa alle attività e alla supervisione degli enti pensionistici aziendali o professionali.

 

2. Entro due anni dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo di cui al comma 1, il Governo, nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi previsti dal comma 3, e con la procedura stabilita per il decreto legislativo di cui al comma 1, può emanare disposizioni integrative e correttive del medesimo decreto legislativo.

 

3. L'attuazione della direttiva 2003/41/CE è informata ai princìpi in essa contenuti in merito all'ambito di applicazione della disciplina, alle condizioni per l'esercizio dell'attività e ai compiti di vigilanza, nonché ai seguenti princìpi e criteri direttivi specifici:

 

a) disciplinare, anche mediante l'attribuzione dei relativi poteri e competenze regolamentari e organizzative alla Commissione di vigilanza sui fondi pensione, di cui all'articolo 16, comma 2, del decreto legislativo 21 aprile 1993, n. 124, i seguenti aspetti:

 

1) l'integrazione delle attribuzioni di vigilanza, in particolare quelle che prevedono l'adozione delle misure dirette a conseguire la corretta gestione delle forme pensionistiche complementari e ad evitare o sanare eventuali irregolarità che possano ledere gli interessi degli aderenti e dei beneficiari, incluso il potere di inibire o limitare l'attività;

 

2) l'irrogazione di sanzioni amministrative di carattere pecuniario, da parte della Commissione di vigilanza sui fondi pensione, nel rispetto dei princìpi della legge 24 novembre 1981, n. 689, e successive modificazioni, nonché dei seguenti criteri direttivi: nell'ambito del limite minimo di 500 euro e massimo di 25.000 euro, le suindicate sanzioni sono determinate nella loro entità, tenendo conto della diversa potenzialità lesiva dell'interesse protetto che ciascuna infrazione presenta in astratto, di specifiche qualità personali del colpevole, comprese quelle che impongono particolari doveri di prevenzione, controllo o vigilanza, nonché del vantaggio patrimoniale che l'infrazione può recare al colpevole o alla persona o ente nel cui interesse egli agisce; deve essere sancita la responsabilità degli enti ai quali appartengono i responsabili delle violazioni, per il pagamento delle sanzioni, e regolato il diritto di regresso verso i predetti responsabili;

 

3) la costituzione e la connessa certificazione di riserve tecniche e di attività supplementari rispetto alle riserve tecniche da parte dei fondi pensione che direttamente coprono rischi biometrici o garantiscono un rendimento degli investimenti o un determinato livello di prestazioni;

 

4) la separazione giuridica tra il soggetto promotore e le forme pensionistiche complementari con riguardo alle forme interne a enti diversi dalle imprese bancarie e assicurative;

 

5) l'esclusione dell'applicazione della direttiva 2003/41/CE alle forme pensionistiche complementari che contano congiuntamente meno di cento aderenti in totale, fatta salva l'applicazione dell'articolo 19 della direttiva e delle misure di vigilanza che la Commissione di vigilanza sui fondi pensione ritenga necessarie e opportune nell'esercizio dei suoi poteri. In ogni caso deve prevedersi il diritto di applicare le disposizioni della direttiva su base volontaria, ferme le esclusioni poste dall'articolo 2, paragrafo 2, della stessa direttiva;

 

b) disciplinare, anche mediante l'attribuzione dei relativi poteri e competenze regolamentari alla Commissione di vigilanza sui fondi pensione, l'esercizio dell'attività transfrontaliera, da parte delle forme pensionistiche complementari aventi sede nel territorio italiano ovvero da parte delle forme pensionistiche complementari ivi operanti, in particolare individuando i poteri di autorizzazione, comunicazione, vigilanza, anche con riguardo alla vigente normativa in materia di diritto del lavoro e della sicurezza sociale, nonché in materia di informazione agli aderenti;

 

c) disciplinare le forme di collaborazione e lo scambio di informazioni tra la Commissione di vigilanza sui fondi pensione, le altre autorità di vigilanza, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali e il Ministero dell'economia e delle finanze, sia nella fase di costituzione che nella fase di esercizio delle forme pensionistiche complementari, regolando, in particolare, il divieto di opposizione reciproca del segreto d'ufficio fra le suddette istituzioni;

 

d) disciplinare le forme di collaborazione e lo scambio di informazioni fra le istituzioni nazionali, le istituzioni comunitarie e quelle degli altri Paesi membri, al fine di agevolare l'esercizio delle rispettive funzioni.

 

4. Il Governo, al fine di garantire un corretto ed integrale recepimento della direttiva 2003/41/CE, provvede al coordinamento delle disposizioni di attuazione della delega di cui al comma 1 con le norme previste dall'ordinamento interno, in particolare con le disposizioni del decreto legislativo 21 aprile 1993, n. 124, recante i princìpi fondamentali in materia di forme pensionistiche complementari, eventualmente adattando le norme vigenti in vista del perseguimento delle finalità della direttiva medesima.

 

5. Dall'attuazione del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

 

6. Si applica la procedura di cui all'articolo 1, comma 3».

 

 

Art. 19.

Modifica al decreto legislativo 13 gennaio 1999, n. 18.

 

1. L'articolo 20 del decreto legislativo 13 gennaio 1999, n. 18, recante attuazione della direttiva 96/67/CE relativa al libero accesso al mercato dei servizi di assistenza a terra negli aeroporti della Comunità, è abrogato.

 

 

Art. 20.

Modifiche al testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di circolazione e soggiorno dei cittadini degli Stati membri dell'Unione europea, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 18 gennaio 2002, n. 54.

 

1. Al fine di interrompere le procedure di infrazione 2003/2134 e 2003/2166 avviate dalla Commissione europea nei confronti del Governo italiano, e in attesa del completo riordino della materia, da attuare mediante il recepimento della direttiva 2004/38/CE del 29 aprile 2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, al testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 18 gennaio 2002, n. 54, sono apportate le seguenti modificazioni:

 

a) all'articolo 3 (L):

 

1) al comma 3, le parole: «ai figli di età minore» sono sostituite dalle seguenti: «ai figli di età inferiore ai ventuno anni»;

 

2) al comma 4, le parole: «Il diritto di soggiorno è inoltre riconosciuto ai familiari a carico del titolare del diritto di soggiorno, come individuati dall'articolo 29, comma 1, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, a condizione che:» sono sostituite dalle seguenti: «Il diritto di soggiorno è inoltre riconosciuto al coniuge non legalmente separato, ai figli di età inferiore agli anni ventuno e ai figli di età superiore agli anni ventuno, se a carico, nonché ai genitori del titolare del diritto di soggiorno e del coniuge, a condizione che:»;

 

b) all'articolo 5 (R):

 

1) al comma 3, la lettera b) è sostituita dalla seguente:

 

«b) per i lavoratori subordinati e per i lavoratori stagionali, un attestato di lavoro o una dichiarazione di assunzione del datore di lavoro; per i lavoratori stagionali l'attestato di lavoro o la dichiarazione di assunzione deve specificare la durata del rapporto di lavoro»;

 

2) al comma 3, lettera d), secondo periodo, dopo le parole: «Detta prova è fornita» sono inserite le seguenti: «, nel caso dei cittadini di cui all'articolo 3, comma 1, lettera e),»; dopo le parole: «con l'indicazione del relativo importo, ovvero» sono inserite le seguenti: «, nel caso dei cittadini di cui all'articolo 3, comma 1, lettera d),» e le parole: «comprovante la disponibilità del reddito medesimo» sono sostituite dalle seguenti: «attestante la disponibilità di risorse economiche tali da non costituire un onere per l'assistenza sociale»;

 

3) il comma 4 è sostituito dal seguente:

 

«4. Con la domanda, l'interessato può richiedere il rilascio della relativa carta di soggiorno anche per i familiari di cui all'articolo 3, commi 3 e 4, quale che sia la loro cittadinanza. Qualora questi ultimi abbiano la cittadinanza di un Paese non appartenente all'Unione europea, ad essi è rilasciato il titolo di soggiorno ai sensi dell'articolo 9 del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni»;

 

4) al comma 5, le parole: «, nonché, se si tratta di cittadini di uno Stato non appartenente all'Unione europea, della documentazione richiesta dall'articolo 16, commi 5 e 6, del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1999, n. 394» sono soppresse;

 

c) all'articolo 6 (R):

 

1) al comma 1, dopo le parole: «L'interessato può dimorare provvisoriamente sul territorio,» sono inserite le seguenti: «nonché svolgere le attività di cui all'articolo 3, comma 1,»;

 

2) al comma 5, le parole: «ai cittadini di cui all'articolo 3, comma 1, lettera a)» sono sostituite dalle seguenti: «ai cittadini di cui all'articolo 3, comma 1, lettere a) e b)».

 

 

Art. 21.

Modifiche al decreto legislativo 20 febbraio 2004, n. 56.

 

1. All'articolo 2, comma 1, del decreto legislativo 20 febbraio 2004, n. 56, recante attuazione della direttiva 2001/97/CE in materia di prevenzione dell'uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi da attività illecite, dopo la lettera s) è inserita la seguente:

 

«s-bis) a ogni altro soggetto che rende i servizi forniti da revisori contabili, periti, consulenti ed altri soggetti che svolgono attività in materia di amministrazione, contabilità e tributi;».

 

2. All'articolo 8, comma 4, del decreto legislativo 20 febbraio 2004, n. 56, le parole: «lettere s) e t)» sono sostituite dalle seguenti: «lettere p), s), s-bis) e t)».

 

 

Art. 22.

Attuazione della direttiva 2005/60/CE del 26 ottobre 2005 del Parlamento europeo e del Consiglio, relativa alla prevenzione dell'uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo, e previsione di modalità operative per eseguire le misure di congelamento di fondi e risorse economiche stabilite dalle risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, dal regolamento (CE) n. 2580/2001 e dal regolamento (CE) n. 881/2002 nonché dai regolamenti comunitari emanati ai sensi degli articoli 60 e 301 del Trattato istitutivo della Comunità europea per il contrasto del finanziamento del terrorismo e dell'attività di Paesi che minacciano la pace e la sicurezza internazionale.

 

1. Il Governo è delegato ad adottare, entro il termine e con le modalità di cui all'articolo 1, uno o più decreti legislativi al fine di dare organica attuazione alla direttiva 2005/60/CE del 26 ottobre 2005 del Parlamento europeo e del Consiglio, al fine di prevedere modalità operative per eseguire le misure di congelamento di fondi e risorse economiche stabilite dalle risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, dal regolamento (CE) n. 2580/2001 del 27 dicembre 2001 del Consiglio, e dal regolamento (CE) n. 881/2002 del 27 maggio 2002 del Consiglio, nonché dai regolamenti comunitari emanati ai sensi degli articoli 60 e 301 del Trattato istitutivo della Comunità europea per il contrasto del finanziamento del terrorismo e dell'attività di Paesi che minacciano la pace e la sicurezza internazionale e al fine di coordinare le disposizioni vigenti in materia di prevenzione e contrasto del riciclaggio di denaro e del finanziamento del terrorismo, nel rispetto dei seguenti princìpi e criteri direttivi:

 

a) recepire la direttiva tenendo conto della giurisprudenza comunitaria in materia nonché dei criteri tecnici che possono essere stabiliti dalla Commissione europea ai sensi dell'articolo 40 della direttiva;

 

b) assicurare la possibilità di adeguare le misure nazionali di attuazione della direttiva ai criteri tecnici che possono essere stabiliti e successivamente aggiornati dalla Commissione europea ai sensi dell'articolo 40 della direttiva;

 

c) estendere le misure di prevenzione contro il riciclaggio di denaro al contrasto del finanziamento del terrorismo e prevedere idonee misure per attuare il congelamento dei fondi e delle risorse economiche, inclusa la possibilità di affidare l'amministrazione e la gestione delle risorse economiche congelate ad un'autorità pubblica;

 

d) prevedere procedure e criteri per individuare quali persone giuridiche e fisiche che esercitano un'attività finanziaria in modo occasionale o su scala limitata, e quando i rischi di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo sono scarsi, non sono incluse nelle categorie di «ente creditizio» o di «ente finanziario» come definite nell'articolo 3, punti 1) e 2), della direttiva;

 

e) estendere, in tutto o in parte, le disposizioni della direttiva ai soggetti ricompresi nella vigente normativa italiana antiriciclaggio nonché alle attività professionali e categorie di imprese diverse dagli enti e dalle persone di cui all'articolo 2, paragrafo 1, della direttiva stessa, le quali svolgono attività particolarmente suscettibili di essere utilizzate a fini di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo, tra le quali internet casinò e società fiduciarie;

 

f) mantenere le disposizioni italiane più rigorose vigenti per impedire il riciclaggio e il finanziamento del terrorismo, tra cui la limitazione dell'uso del contante e dei titoli al portatore prevista dall'articolo 1 del decreto-legge 3 maggio 1991, n. 143, convertito, con modificazioni, dalla legge 5 luglio 1991, n. 197, e successive modificazioni; riordinare ed integrare la disciplina relativa ai titoli al portatore ed ai nuovi mezzi di pagamento, al fine di adottare le misure eventualmente necessarie per impedirne l'utilizzo per scopi di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo;

 

g) graduare gli obblighi di adeguata verifica della clientela in funzione del rischio associato al tipo di cliente, rapporto di affari, prodotto o transazione;

 

h) adeguare l'applicazione dettagliata delle disposizioni alle peculiarità delle varie professioni e alle differenze in scala e dimensione degli enti e delle persone soggetti alla direttiva;

 

i) prevedere procedure e criteri per stabilire quali Paesi terzi impongono obblighi equivalenti a quelli previsti dalla direttiva e prevedono il controllo del rispetto di tali obblighi, al fine di poter applicare all'ente creditizio o finanziario situato in un Paese terzo gli obblighi semplificati di adeguata verifica della clientela;

 

l) prevedere procedure e criteri per individuare:

 

1) i casi nei quali gli enti e le persone soggetti alla direttiva devono identificare il titolare effettivo ed adottare misure adeguate e commisurate al rischio per verificarne l'identità;

 

2) i casi nei quali gli enti e le persone soggetti alla direttiva possono calibrare gli obblighi di adeguata verifica della clientela in funzione del rischio associato al tipo di cliente, rapporto di affari, prodotto o transazione di cui trattasi;

 

3) i casi nei quali gli enti e le persone soggetti alla direttiva sono autorizzati, in deroga agli articoli 7, lettere a), b) e d), 8 e 9, paragrafo 1, della direttiva, a non applicare gli obblighi di adeguata verifica della clientela in relazione a clienti, rapporti di affari, prodotti o transazioni che presentino per loro natura uno scarso rischio di riciclaggio di denaro o di finanziamento del terrorismo, tenuto conto dei criteri tecnici per la valutazione del rischio che la Commissione europea può adottare ai sensi dell'articolo 40, paragrafo 1, lettera b), della direttiva;

 

4) le situazioni, oltre a quelle stabilite dall'articolo 13, paragrafi 2, 3, 4, 5 e 6, della direttiva, nelle quali gli enti e le persone soggetti alla direttiva sono tenuti ad applicare, oltre agli obblighi di cui agli articoli 7, 8 e 9, paragrafo 6, della direttiva medesima, obblighi rafforzati di adeguata verifica della clientela, sulla base della valutazione del rischio esistente, in relazione a clienti, rapporti di affari, prodotti o transazioni che presentino per loro natura un elevato rischio di riciclaggio di denaro o di finanziamento del terrorismo, tenuto conto dei criteri tecnici per la valutazione del rischio che la Commissione europea può adottare ai sensi dell'articolo 40, paragrafo 1, lettera c), della direttiva;

 

m) evitare, per quanto possibile, il ripetersi delle procedure di identificazione del cliente, prevedendo in quali casi gli enti e le persone soggetti alla direttiva possono ricorrere a terzi per l'assolvimento degli obblighi di adeguata verifica della clientela;

 

n) assicurare che, ogni qualvolta ciò sia praticabile, sia fornito agli enti e alle persone che effettuano segnalazioni di operazioni sospette un riscontro sull'utilità delle segnalazioni fatte e sul seguito loro dato, anche tramite la tenuta e l'aggiornamento di statistiche;

 

o) garantire la riservatezza e la protezione degli enti e delle persone che effettuano le segnalazioni di operazioni sospette;

 

p) ferme restando le competenze esistenti delle diverse autorità, riordinare la disciplina della vigilanza e dei controlli nei confronti dei soggetti obbligati in materia di prevenzione contro il riciclaggio di denaro e il finanziamento del terrorismo, assicurando che gli stessi siano svolti in base al principio dell'adeguata valutazione del rischio di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo ed affidandoli, ove possibile, alle autorità di vigilanza di settore prevedendo opportune forme di coordinamento nelle materie coperte dalla direttiva;

 

q) estendere i doveri del collegio sindacale, previsti dalla normativa vigente in materia, alle figure dei revisori contabili, delle società di revisione, del consiglio di sorveglianza, del comitato di controllo di gestione ed a tutti i soggetti incaricati del controllo contabile o di gestione, comunque denominati;

 

r) uniformare la disciplina dell'articolo 10 del decreto-legge 3 maggio 1991, n. 143, convertito, con modificazioni, dalla legge 5 luglio 1991, n. 197, e successive modificazioni, e dell'articolo 7 del decreto legislativo 25 settembre 1999, n. 374, modificando i doveri del collegio sindacale e dei soggetti indicati alla lettera q), rendendoli più coerenti con il sistema di prevenzione, ed evidenziando sia gli obblighi di segnalazione delle operazioni sospette sia gli obblighi di comunicazione o di informazione delle altre violazioni normative;

 

s) riformulare la sanzione penale di cui all'articolo 10 del citato decreto-legge 3 maggio 1991, n. 143, al fine di estendere la sanzione penale ai soggetti indicati alla lettera q);

 

t) depenalizzare il reato di cui all'articolo 5, comma 4, del citato decreto-legge 3 maggio 1991, n. 143, prevedendo sanzioni amministrative pecuniarie ed accessorie effettive, dissuasive e proporzionate;

 

u) garantire l'economicità, l'efficienza e l'efficacia del procedimento sanzionatorio e riordinare il regime sanzionatorio secondo i princìpi della semplificazione e della coerenza logica e sistematica, prevedendo sanzioni amministrative pecuniarie ed accessorie effettive, dissuasive e proporzionate;

 

v) prevedere sanzioni amministrative a carico dei soggetti giuridici per violazione delle norme della direttiva e delle norme nazionali vigenti in materia, qualora la persona fisica, autrice della violazione, non sia stata identificata o non sia imputabile;

 

z) prevedere sanzioni amministrative a carico dei soggetti giuridici per l'omessa od insufficiente istituzione di misure di controllo interno, per la mancata previsione di adeguata formazione di dipendenti o collaboratori, nonché per tutte le carenze organizzative rilevanti ai fini della corretta applicazione della normativa in materia di prevenzione dell'uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo, attribuendo i relativi poteri di vigilanza, controllo, ispezione, verifica, richiesta di informazioni, dati e documenti e i poteri sanzionatori alle autorità di vigilanza di settore ed alle amministrazioni interessate, laddove esigenze logiche e sistematiche lo suggeriscano;

 

aa) introdurre nel decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, i reati di cui agli articoli 648, 648-bis e 648-ter del codice penale tra i reati per i quali è prevista la responsabilità amministrativa degli enti;

 

bb) prevedere una disciplina organica di sanzioni amministrative per le violazioni delle misure di congelamento di fondi e risorse economiche disposte dalle risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, dai citati regolamenti (CE) n. 2580/2001 e n. 881/2002 nonché dai regolamenti comunitari emanati ai sensi degli articoli 60 e 301 del Trattato istitutivo della Comunità europea per il contrasto del finanziamento del terrorismo e dell'attività di Paesi che minacciano la pace e la sicurezza internazionale.

 

2. Ai fini dell'attuazione del comma 1, lettera c), è autorizzata la spesa di 250.000 euro per ciascuno degli anni 2006 e 2007 e di 1 milione di euro a decorrere dall'anno 2008. Al relativo onere si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2006-2008, nell'ambito dell'unità previsionale di base di parte corrente «Fondo speciale» dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2006, allo scopo utilizzando l'accantonamento relativo al Ministero degli affari esteri.

 

3. Dall'attuazione delle restanti lettere del comma 1 non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.

 

 

Art. 23.

Modifica al decreto legislativo 29 luglio 2003, n. 267, recante attuazione della direttiva 1999/74/CE e della direttiva 2002/4/CE, per la protezione delle galline ovaiole e la registrazione dei relativi stabilimenti di allevamento.

 

1. Il comma 5 dell'articolo 8 del decreto legislativo 29 luglio 2003, n. 267, è abrogato.

 

Art. 24.

Attuazione della decisione 2005/315/CE del 20 ottobre 2004 della Commissione, notificata con il numero C (2004) 3893.

 

1. In attuazione della decisione 2005/315/CE del 20 ottobre 2004 della Commissione, il regime di aiuti a favore delle imprese che hanno realizzato investimenti nei comuni colpiti da eventi calamitosi nel 2002, di cui all'articolo 5-sexies del decreto-legge 24 dicembre 2002, n. 282, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 2003, n. 27, è interrotto a decorrere dal periodo d'imposta per il quale, alla data di entrata in vigore della presente legge, non è ancora scaduto il termine per la presentazione della relativa dichiarazione dei redditi, nella misura in cui gli aiuti fruiti eccedano quelli spettanti calcolati con esclusivo riferimento al volume degli investimenti eseguiti per effettivi danni subiti di cui al comma 2, lettera b), del presente articolo.

 

2. Entro novanta giorni dalla data di emanazione del provvedimento del direttore dell'Agenzia delle entrate che determina le modalità applicative della disposizione di cui al presente comma, i soggetti che hanno beneficiato degli aiuti di cui al comma 1 presentano in via telematica all'Agenzia delle entrate una attestazione, ai sensi dell'articolo 47 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, con gli elementi necessari per l'individuazione dell'aiuto illegittimamente fruito sulla base delle disposizioni contenute nel citato provvedimento del direttore dell'Agenzia delle entrate da cui risulti, comunque:

 

a) il totale degli investimenti sulla base dei quali è stata calcolata l'agevolazione di cui al comma 1;

 

b) l'ammontare degli investimenti agevolabili effettuati a fronte degli effettivi danni subiti in conseguenza degli eventi di cui al comma 1, calcolati al netto di eventuali importi ricevuti a titolo di risarcimento assicurativo o in forza di altri provvedimenti;

 

c) l'importo corrispondente all'eventuale imposta sul reddito non dovuta per effetto dell'agevolazione illegittimamente fruita.

 

3. Entro i sessanta giorni successivi al termine di cui al comma 2, i beneficiari del regime agevolativo di cui al comma 1 effettuano, a seguito di autoliquidazione, il versamento degli importi corrispondenti alle imposte non corrisposte per effetto del regime agevolativo medesimo relativamente ai periodi di imposta nei quali tale regime è stato fruito, nonché degli interessi calcolati sulla base delle disposizioni di cui al capo V del regolamento (CE) n. 794/2004 del 21 aprile 2004 della Commissione, maturati a partire dalla data in cui le imposte non versate sono state messe a disposizione dei beneficiari fino alla data del loro recupero effettivo. L'attestazione prevista al comma 2 è presentata anche nel caso di autoliquidazione negativa.

 

4. L'Agenzia delle entrate provvede alle attività di liquidazione e controllo del corretto adempimento degli obblighi derivanti dal presente articolo; in caso di mancato o insufficiente versamento, ai sensi del comma 3, si rendono applicabili le norme in materia di liquidazione, accertamento, riscossione e contenzioso, le sanzioni previste ai fini delle imposte sui redditi, nonché l'articolo 41-bis del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e successive modificazioni.

 

5. Nel caso in cui l'attestazione di cui al comma 2 non risulti presentata, l'Agenzia delle entrate provvede al recupero dell'importo dell'agevolazione dichiarata e dei relativi interessi.

 

6. Sono fatti salvi gli effetti derivanti dalle agevolazioni fruite in relazione agli investimenti il cui importo non superi il valore netto dei danni effettivamente subiti da ciascuno dei beneficiari a causa degli eventi calamitosi di cui all'articolo 5-sexies del decreto-legge 24 dicembre 2002, n. 282, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 2003, n. 27, tenuto conto degli importi ricevuti a titolo di assicurazione o in forza di altri provvedimenti (3).

 

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(3)  Con Provv. 6 aprile 2006 (Gazz. Uff. 12 aprile 2006, n. 86) sono state determinate le modalità applicative delle disposizioni previste dagli articoli 15 e 24 della presente legge, per il recupero delle agevolazioni fiscali fruite, da imprese che hanno sostenuto spese per la partecipazione espositiva di prodotti in fiere all'estero, di cui all'articolo 1, comma 1, lettera b), del D.L. n. 269 del 30 settembre 2003, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 326 del 24 novembre 2003, e da soggetti che hanno realizzato investimenti nei comuni colpiti da eventi calamitosi nel 2002, di cui all'articolo 5-sexies del D.L. n. 282 del 24 dicembre 2002, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 27 del 21 febbraio 2003.

 

 

Art. 25.

Modifica al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, recante il nuovo codice della strada.

 

1. Al fine di definire la procedura di infrazione 2001/5165 e superare i rilievi mossi dalla Commissione europea nei confronti del Governo italiano, al comma 1-bis dell'articolo 134 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, dopo le parole: «cittadini comunitari» sono inserite le seguenti: «o persone giuridiche costituite in uno dei Paesi dell'Unione europea».

 

 

Art. 26.

Modifica alla legge 20 ottobre 1999, n. 380.

 

1. All'articolo 1 della legge 20 ottobre 1999, n. 380, il comma 6 è sostituito dal seguente:

 

«6. Ferme restando le consistenze organiche complessive, il Ministro della difesa può prevedere limitazioni all'arruolamento del personale militare femminile soltanto in presenza di motivate esigenze connesse alla funzionalità di specifici ruoli, corpi, categorie, specialità e specializzazioni di ciascuna Forza armata, qualora in ragione della natura o delle condizioni per l'esercizio di specifiche attività il sesso rappresenti un requisito essenziale. Il relativo decreto è adottato su proposta del Capo di stato maggiore della difesa, acquisito il parere della Commissione per le pari opportunità tra uomo e donna, d'intesa con i Ministri delle infrastrutture e dei trasporti e per le pari opportunità».

 

 

Allegato A

 

(Articolo 1, commi 1 e 3)

 

 

2004/10/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'11 febbraio 2004, concernente il ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative relative all'applicazione dei princìpi di buona pratica di laboratorio e al controllo della loro applicazione per le prove sulle sostanze chimiche.

 

2004/23/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 31 marzo 2004, sulla definizione di norme di qualità e di sicurezza per la donazione, l'approvvigionamento, il controllo, la lavorazione, la conservazione, lo stoccaggio e la distribuzione di tessuti e cellule umani.

 

2004/41/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 aprile 2004, che abroga alcune direttive recanti norme sull'igiene dei prodotti alimentari e le disposizioni sanitarie per la produzione e la commercializzazione di determinati prodotti di origine animale destinati al consumo umano e che modifica la direttiva 89/662/CEE e la direttiva 92/118/CEE del Consiglio e la decisione 95/408/CE del Consiglio.

 

2004/68/CE del Consiglio, del 26 aprile 2004, che stabilisce norme di polizia sanitaria per le importazioni e il transito nella Comunità di determinati ungulati vivi, che modifica la direttiva 90/426/CEE e la direttiva 92/65/CEE e che abroga la direttiva 72/462/CEE.

 

2004/107/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 dicembre 2004, concernente l'arsenico, il cadmio, il mercurio, il nickel e gli idrocarburi policiclici aromatici nell'aria ambiente.

 

2004/114/CE del Consiglio, del 13 dicembre 2004, relativa alle condizioni di ammissione dei cittadini di paesi terzi per motivi di studio, scambio di alunni, tirocinio non retribuito o volontariato.

 

2004/117/CE del Consiglio, del 22 dicembre 2004, che modifica la direttiva 66/401/CEE, la direttiva 66/402/CEE, la direttiva 2002/54/CE, la direttiva 2002/55/CE e la direttiva 2002/57/CE per quanto riguarda gli esami eseguiti sotto sorveglianza ufficiale e l'equivalenza delle sementi prodotte in paesi terzi.

 

2005/1/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 marzo 2005, che modifica la direttiva 73/239/CEE, la direttiva 85/611/CEE, la direttiva 91/675/CEE, la direttiva 92/49/CEE e la direttiva 93/6/CEE del Consiglio e la direttiva 94/19/CE, la direttiva 98/78/CE, la direttiva 2000/12/CE, la direttiva 2001/34/CE, la direttiva 2002/83/CE e la direttiva 2002/87/CE al fine di istituire una nuova struttura organizzativa per i comitati del settore dei servizi finanziari.

 

2005/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'11 maggio 2005, relativa alle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori nel mercato interno e che modifica la direttiva 84/450/CEE del Consiglio e le direttive 97/7/CE, 98/27/CE e 2002/65/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e il regolamento (CE) n. 2006/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio («direttiva sulle pratiche commerciali sleali»).

 

2005/50/CE della Commissione, dell'11 agosto 2005, relativa alla riclassificazione delle protesi articolari dell'anca, del ginocchio e della spalla nel quadro della direttiva 93/42/CEE concernente i dispositivi medici.

 

 

 

 

 

Allegato B

 

(Articolo 1, commi 1 e 3)

 

 

98/44/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 6 luglio 1998, sulla protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche.

 

2000/60/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 ottobre 2000, che istituisce un quadro per l'azione comunitaria in materia di acque.

 

2003/123/CE del Consiglio, del 22 dicembre 2003, che modifica la direttiva 90/435/CEE concernente il regime fiscale comune applicabile alle società madri e figlie di Stati membri diversi.

 

2004/9/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'11 febbraio 2004, concernente l'ispezione e la verifica della buona pratica di laboratorio (BPL).

 

2004/36/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 aprile 2004, sulla sicurezza degli aeromobili di paesi terzi che utilizzano aeroporti comunitari.

 

2004/40/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, sulle prescrizioni minime di sicurezza e di salute relative all'esposizione dei lavoratori ai rischi derivanti dagli agenti fisici (campi elettromagnetici) (diciottesima direttiva particolare ai sensi dell'articolo 16, paragrafo 1, della direttiva 89/391/CEE).

 

2004/49/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa alla sicurezza delle ferrovie comunitarie e recante modifica della direttiva 95/18/CE del Consiglio relativa alle licenze delle imprese ferroviarie e della direttiva 2001/14/CE relativa alla ripartizione della capacità di infrastruttura ferroviaria, all'imposizione dei diritti per l'utilizzo dell'infrastruttura ferroviaria e alla certificazione di sicurezza (direttiva sulla sicurezza delle ferrovie).

 

2004/50/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, che modifica la direttiva 96/48/CE del Consiglio relativa all'interoperabilità del sistema ferroviario transeuropeo ad alta velocità e la direttiva 2001/16/CE del Parlamento europeo e del Consiglio relativa all'interoperabilità del sistema ferroviario transeuropeo convenzionale.

 

2004/51/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, che modifica la direttiva 91/440/CEE relativa allo sviluppo delle ferrovie comunitarie.

 

2004/54/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa ai requisiti minimi di sicurezza per le gallerie della rete stradale transeuropea.

 

2004/80/CE del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa all'indennizzo delle vittime di reato.

 

2004/81/CE del Consiglio, del 29 aprile 2004, riguardante il titolo di soggiorno da rilasciare ai cittadini di paesi terzi vittime della tratta di esseri umani o coinvolti in un'azione di favoreggiamento dell'immigrazione illegale che cooperino con le autorità competenti.

 

2004/82/CE del Consiglio, del 29 aprile 2004, concernente l'obbligo dei vettori di comunicare i dati relativi alle persone trasportate.

 

2004/83/CE del Consiglio, del 29 aprile 2004, recante norme minime sull'attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta.

 

2004/108/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 dicembre 2004, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative alla compatibilità elettromagnetica e che abroga la direttiva 89/336/CEE.

 

2004/109/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 dicembre 2004, sull'armonizzazione degli obblighi di trasparenza riguardanti le informazioni sugli emittenti i cui valori mobiliari sono ammessi alla negoziazione in un mercato regolamentato e che modifica la direttiva 2001/34/CE.

 

2004/113/CE del Consiglio, del 13 dicembre 2004, che attua il principio della parità di trattamento tra uomini e donne per quanto riguarda l'accesso a beni e servizi e la loro fornitura.

 

2005/14/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'11 maggio 2005, che modifica la direttiva 72/166/CEE, la direttiva 84/5/CEE, la direttiva 88/357/CEE e la direttiva 90/232/CEE tutte del Consiglio e la direttiva 2000/26/CE del Parlamento europeo e del Consiglio sull'assicurazione della responsabilità civile risultante dalla circolazione di autoveicoli.

 

2005/19/CE del Consiglio, del 17 febbraio 2005, che modifica la direttiva 90/434/CEE relativa al regime fiscale comune da applicare alle fusioni, alle scissioni, ai conferimenti d'attivo ed agli scambi d'azioni concernenti società di Stati membri diversi.

 

2005/28/CE della Commissione, dell'8 aprile 2005, che stabilisce i princìpi e le linee guida dettagliate per la buona pratica clinica relativa ai medicinali in fase di sperimentazione a uso umano nonché i requisiti per l'autorizzazione alla fabbricazione o importazione di tali medicinali.

 

2005/36/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 7 settembre 2005, relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali.

 

2005/60/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 ottobre 2005, relativa alla prevenzione dell'uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo.

 

 

Allegato C

 

(Articolo 7, comma 1)

 

 

2003/103/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 novembre 2003, che modifica la direttiva 2001/25/CE concernente i requisiti minimi di formazione per la gente di mare (4).

 

2005/23/CE della Commissione, dell'8 marzo 2005, che modifica la direttiva 2001/25/CE del Parlamento europeo e del Consiglio concernente i requisiti minimi di formazione per la gente di mare (5).

 

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(4) All'attuazione della presente direttiva si è provveduto con D.P.R. 2 maggio 2006, n. 246 (Gazz. Uff. 10 agosto 2006, n. 185).

(5) All'attuazione della presente direttiva si è provveduto con D.P.R. 2 maggio 2006, n. 246 (Gazz. Uff. 10 agosto 2006, n. 185).

 



[1]   Nella relazione governativa al disegno di legge originario erano, inoltre, indicate 54 direttive da recepire in via amministrativa.

[2]    A seguito dell’approvazione dell’emendamento del Governo 1.1 presso la XIV Commissione della Camera.

[3]   Cfr. emendamento del Governo 1.2.

[4]   Come modificato dalla XIV Commissione della Camera al fine di recepire una condizione contenuta nel parere della V Commissione: si tratta dell’emendamento 1.10 del relatore, approvato nella seduta del 30 maggio 2005, mentre il parere della V Commissione è del 17 maggio 2005.

[5]   In particolare: 2003/123/CE, 2004/36/CE, 2004/9/CE,2004/49/CE, 2004/50/CE, 2004/54/CE, 2004/80/CE, 2004/81/CE, 2004/83/CE, 2004/113/CE, 2005/19/CE,2005/28/CE, 2005/36/CE e 2005/60/CE.

[6]   Si ricorda che una norma analoga era stata introdotta anche nel ddl comunitaria 2004, ora legge n. 62 del 2005.

[7]    Parere del 14 luglio 2004, ai sensi dell’articolo 16-bis, del Regolamento, sul disegno di legge A.C. 3297-B Riordino del settore energetico, nonché delega al Governo per il riassetto delle disposizioni vigenti in materia di energia (legge 23 agosto 2004, n. 239).

[8]        L’emendamento è stato approvato nella seduta del 30 maggio 2005, mentre il parere della I Commissione è stato reso il 12 maggio 2005.

[9]    Tale comma è stato introdotto a seguito dell’approvazione da parte della XIV Commissione della Camera di un emendamento della VI Commissione (emendamento 1.4 approvato nella seduta del 30 maggio 2005).

[10]   Emendamento 1.5, approvato dalla XIV Commissione sempre nella seduta del 30 maggio 2005.

[11]   I decreti legislativi di attuazione di normative comunitarie o di modifica di disposizioni attuative delle medesime, la cui delega è contenuta in leggi diverse dalla legge comunitaria annuale, sono adottati nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi generali previsti dalla stessa legge per l'anno di riferimento, su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri o del Ministro per le politiche comunitarie e del Ministro con competenza istituzionale prevalente per la materia, di concerto con i Ministri degli affari esteri, della giustizia, dell'economia e delle finanze e con gli altri Ministri interessati.

[12]   Fatti salvi gli specifici princìpi e criteri direttivi stabiliti dalle disposizioni della legge di conferimento della delega, ove non in contrasto con il diritto comunitario, e in aggiunta a quelli contenuti nelle direttive da attuare.

[13]   Introdotto dall’Assemblea del Senato (emendamento del Governo 23.0.500).

[14]  D.lgs. 13 gennaio 1999, n. 18 Attuazione della direttiva 96/67/CE relativa al libero accesso al mercato dei servizi di assistenza a terra negli aeroporti della Comunità.

[15]  A tale proposito, si fa presente che il termine di sei anni dalla data di entrata in vigore del d.lgs. n. 18/1999 risulta scaduto nel febbraio 2005.

[16]  Le direttive evidenziate in nero sono quelle già presenti nel testo originario del ddl; quelle evidenziate in marrone sono quelle presenti nel testo originario del ddl ma in un diverso allegato; infine quelle evidenziate in blu sono state introdotte nel corso dell’esame parlamentare. 

[17]  Introdotta dalla 14° Commissione del Senato.

[18]  Introdotta dalla 14° Commissione del Senato.

[19]  Introdotta dalla 14° Commissione del Senato.

[20]  Introdotta dalla 14° Commissione del Senato.

[21]  Introdotta dalla 14° Commissione del Senato.

[22]  Introdotta dalla 14° Commissione del Senato.

[23]  Introdotta dalla 14° Commissione del Senato.

[24]  Introdotta dalla 14° Commissione del Senato.

[25]  Introdotta dalla 14° Commissione del Senato.

[26]  Introdotta dalla 14° Commissione del Senato.

[27]   Spostata dall’Allegato A dalla XIV Commissione della Camera.

[28]  Introdotta dalla 14° Commissione del Senato.

[29]  Introdotta dall’Assemblea della Camera.

[30]  Introdotta dalla 14° Commissione del Senato.

[31]  Introdotta dalla 14° Commissione del Senato.

[32]  Introdotta dalla 14° Commissione del Senato.

[33]  Spostata dall’Allegato A dalla XIV Commissione della Camera.

[34]   Spostata dall’Allegato A dalla XIV Commissione della Camera.

[35]   Spostata dall’Allegato A dalla XIV Commissione della Camera.

[36]   Spostata dall’Allegato A dalla XIV Commissione della Camera.

[37]   Introdotta dalla XIV Commissione della Camera.

[38]   Introdotta dalla 14° Commissione del Senato.

[39]   Introdotta dalla XIV Commissione della Camera.

[40]   Introdotta dalla 14° Commissione del Senato.

[41]   Introdotta dall’Assemblea del Senato.

[42]   Introdotta dall’Assemblea del Senato.

[43]   Introdotta dalla 14° Commissione del Senato.

[44]   Introdotta dalla 14° Commissione del Senato.

[45]   Sancito il 16 marzo 2006, in base al disposto dell'art. 5 della legge n. 131, e pubblicato nella Gazzetta ufficiale n. 75 del 30 marzo 2003.

[46]   In questa sede si darà conto esclusivamente degli interventi legislativi regionali effettuati dopo la riforma del Titolo V. Prima della riforma erano state approvate altre leggi di procedura che però non facevano riferimento a leggi comunitarie regionali. Si tratta delle leggi delle Regioni Toscana (n. 37 del 1994), Liguria (n. 44 del 1995), Veneto (n. 30 del 1996) e Sardegna (n. 20 del 1998).

[47]   Infatti, l’art. 10, comma 1, stabilisce che la legge comunitaria deve contenere disposizioni per l’attuazione degli atti normativi europei, delle sentenze della Corte di Giustizia nonchè degli atti della Commissione europea, che comportino obbligo di adeguamento, disposizioni modificative o abrogative di norme regionali, per l’attuazione degli atti comunitari, nonché disposizioni per l’attuazione di programmi regionali cofinanziati dall’Unione europea, individuando gli atti normativi comunitari da attuare in via amministrativa da parte della Giunta.

[48]    Legge 23 agosto 1988, n. 400, Disciplina dell’attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei ministri.

[49]    Legge 5 agosto 1978 n. 468, Riforma di alcune norme di contabilità generale dello Stato in materia di bilancio.

[50]    Per l’illustrazione del contenuto della richiamata direttiva 2004/109/CE si rinvia alla relativa scheda di lettura.

[51]    Legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione.

[52]    A partire dalla legge n. 39/2002, all’articolo 1, comma 5 (o comma 6), è stata inserita una norma che prevede un intervento suppletivo anticipato e cedevole da parte dello Stato, in caso di inadempienza delle Regioni nell’attuazione delle direttive, nel rispetto dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dei princìpi fondamentali stabiliti dalla legislazione dello Stato. Il vincolo del rispetto dei princìpi fondamentali rileva con riguardo alle sole materie incluse nella competenza legislativa concorrente di Stato e regioni. La norma contiene inoltre la previsione della necessaria indicazione espressa della natura sostitutiva e cedevole da parte dei provvedimenti statali suppletivi.

[53]    Norme generali sulla partecipazione dell’Italia al processo normativo dell’Unione europea e sulle procedure di esecuzione degli obblighi comunitari

[54]   Il successivo comma 5 prevede poi che quanto disciplinato al comma 4 si applica, altresì, all'emanazione di testi unici per il riordino e 1'armonizzazione di normative di settore nel rispetto delle competenze delle regioni e delle province autonome.

[55]    Legge 1 marzo 2002, n. 39, Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee. Legge comunitaria 2001.

[56]    Si veda in particolare il nuovo art. 117, sesto comma, Cost..

[57]   Quest’ultima formula è stata per la prima volta introdotta nella legge comunitaria 2002 (legge n. 14/2003). Le leggi comunitarie precedenti facevano, invece, riferimento a “interessi generali dell’ordinamento interno, compreso l’ecosistema”.

[58]   D.lgs. 28 agosto 2000, n. 274, Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, a norma dell’articolo 14 della legge 24 novembre 1999, n. 468.

[59]    Legge 16 aprile 1987, n. 183, Coordinamento delle politiche riguardanti l’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee ed adeguamento dell’ordinamento interno agli atti normativi comunitari.

[60]    Legge 15 marzo 1997, n. 59, Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e per la semplificazione amministrativa.

[61]    La disposizione rinvia, per l’espressione del parere parlamentare, all’articolo 1, commi 3 e 9, del provvedimento, ove si prevede che i decreti legislativi possano essere adottati anche in difetto  dell’espressione del parere parlamentare una volta che sia decorso infruttosamente il termine di quaranta giorni dalla data di trasmissione; quando i pareri siano stati invece espressi,  nel caso in cui il Governo voglia introdurre norme in difformità alle indicazioni in essi contenute deve ritrasmettere alle Camere i testi adottati con le proprie osservazioni, ai fini dell’espressione di un secondo parere, fermo restando che una volta trascorsi trenta giorni dalla data della ritrasmissione il decreto può essere adottato anche in mancanza di nuovo parere parlamentare.

 

[62]    Tale legge reca la “Disciplina dell'attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri”.

[63]   Così dispone la norma richiamata, come modificata dalla legge 29 luglio 2003, n. 229: “…i regolamenti di cui al comma 2, emanati sulla base della legge di semplificazione e riassetto normativo annuale, per quanto concerne le funzioni amministrative mantenute, si attengono ai seguenti princìpi: a) semplificazione dei procedimenti amministrativi, e di quelli che agli stessi risultano strettamente connessi o strumentali, in modo da ridurre il numero delle fasi procedimentali e delle amministrazioni intervenienti, anche riordinando le competenze degli uffici, accorpando le funzioni per settori omogenei, sopprimendo gli organi che risultino superflui e costituendo centri interservizi dove ricollocare il personale degli organi soppressi e raggruppare competenze diverse ma confluenti in un'unica procedura, nel rispetto dei princìpi generali indicati ai sensi del comma 3, lettera c), e delle competenze riservate alle regioni; b) riduzione dei termini per la conclusione dei procedimenti e uniformazione dei tempi di conclusione previsti per procedimenti tra loro analoghi; c) regolazione uniforme dei procedimenti dello stesso tipo che si svolgono presso diverse amministrazioni o presso diversi uffici della medesima amministrazione; d) riduzione del numero di procedimenti amministrativi e accorpamento dei procedimenti che si riferiscono alla medesima attività; e) semplificazione e accelerazione delle procedure di spesa e contabili, anche mediante l'adozione di disposizioni che prevedano termini perentori, prorogabili per una sola volta, per le fasi di integrazione dell'efficacia e di controllo degli atti, decorsi i quali i provvedimenti si intendono adottati; f) adeguamento delle procedure alle nuove tecnologie informatiche.

[64]    In realtà, è richiesta esclusivamente la legge comunitaria per gli ultimi due punti, mentre per il primo la legge comunitaria o altra legge statale e per il secondo una qualsiasi legge statale.

[65]    Si ricorda che quest’ultima norma prevede che: “Con decreto ministeriale possono essere adottati regolamenti nelle materie di competenza del ministro o di autorità sottordinate al ministro, quando la legge espressamente conferisca tale potere. Tali regolamenti, per materie di competenza di più ministri, possono essere adottati con decreti interministeriali, ferma restando la necessità di apposita autorizzazione da parte della legge. I regolamenti ministeriali ed interministeriali non possono dettare norme contrarie a quelle dei regolamenti emanati dal Governo. Essi debbono essere comunicati al Presidente del Consiglio dei ministri prima della loro emanazione”.

[66]    Per un approfondimento circa i rapporti tra i due diversi tipi di intervento sostitutivo, si rinvia al dossier progetti di legge n. 750 “Legge 4 febbraio 2005, n. 11 - Modifiche alla legge La Pergola”.

[67]    Regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, Approvazione del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza.

[68]    Direttiva 93/15/CEE, del Consiglio, del 5 aprile 1993, relativa all’armonizzazione delle disposizioni relative all’immissione sul mercato e al controllo degli esplosivi per uso civile.

[69]    Approvato con R.D. 6 maggio 1940, n. 635.

[70]    Approvato con R.D. 6 maggio 1940, n. 635.

[71]    Si ricorda che in data 2 maggio 2006 il Ministero dell’ambiente ha provveduto ad emanare apposito decreto, che tuttavia è stato sospeso dallo stesso dicastero, con un comunicato pubblicato sulla G.U. del 26 giugno 2006, n. 146. Con tale comunicato il Ministero ha dichiarato che il citato decreto non può considerarsi giuridicamente produttivo di effetti, non essendo stato sottoposto al necessario controllo della Corte dei conti.

[72]   Le due sentenze sono state esplicitamente richiamate nella relazione governativa al disegno di legge comunitaria.

[73]    Come è argomentato dalla sentenza, nel caso di specie risulta inapplicabile la direttiva 89/48 CE, in particolare perché l'attività di praticante-patrocinante non può essere qualificata come «professione regolamentata» ai sensi della medesima direttiva 89/48, separabile da quella di avvocato.

[74]   L’articolo fa riferimento al possesso di titoli di studio, corsi di perfezionamento, certificazioni relative ad esperienze professionali o attestati relativi a competenze acquisite.

[75]    L’Accordo sullo Spazio economico europeo (SEE) fu firmato il 3 maggio 1992 dagli allora 12 Stati membri della Comunità europea e da 6 degli Stati allora membri dell’EFTA-European Free Trade Association – Associazione europea di libero scambio- e cioè Austria, Finlandia, Islanda, Norvegia, Svezia e Svizzera. La Svizzera successivamente, a seguito di un referendum, ritirò la sua adesione.

L’Accordo, ratificato dall’Italia con legge 28 luglio 1993 ed entrato in vigore il 1° gennaio 1994, istituisce una zona europea in cui è assicurata la libera circolazione di beni, persone, servizi e capitali; a tal fine, per quanto qui interessa, l’art. 30 prevede che le parti contraenti adottino misure per il riconoscimento reciproco di diplomi, certificati ed altri titoli di formazione nonché per il coordinamento delle disposizioni legislative amministrative e regolamentari riguardanti l’accesso e l’esercizio di attività professionali da parte di lavoratori subordinati o autonomi.

L’accordo si applicava originariamente ai 15 Stati membri dell’UE nonché ad Islanda, Liechtenstein e Norvegia. Un successivo accordo fatto a Lussemburgo il 14 ottobre 2003 ha disposto l’allargamento del SEE a 10 Paesi nuovi membri dell’Unione dal 1° maggio 2004; esso è stato ratificato dall’Italia con legge 1 giugno 2005, n. 114.

[76]   Recentemente l’art. 1, co. 7-8 del D.L. 18 maggio 2006, n. 181 convertito con modif. dalla legge 17 luglio 2006, n. 233 (recante Riordino della Presidenza del Consiglio dei Ministri e dei Ministeri) ha ripartito le funzioni in materia di istruzione, università e ricerca attribuite al Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca, tra il Ministero della pubblica istruzione e il Ministero dell'università e della ricerca (modificando in tal senso gli artt. 2 e seguenti del d.lgs. 300/1999).

[77]   L’indicazione di un termine per l’emissione del parere si deve ad un emendamento del Governo approvato al Senato.

[78]    Il Trattato, firmato a Roma il 29 ottobre 2004, è stato ratificato da 15 Stati membri tra cui l’Italia. A seguito dell’esito negativo dei referendum sulla ratifica del Trattato costituzionale in Francia e nei Paesi Bassi, nell’ambito del Consiglio europeo di Bruxelles del 16 e 17 giugno 2005 è stata adottata una dichiarazione sulla ratifica del Trattato, che pur sottolineando che tali risultati non rimettono in discussione l’interesse dei cittadini per la costruzione dell’Europa, riconosce la necessità di svolgere una riflessione comune. Peraltro, Il Parlamento europeo ha adottato, il 14 giugno 2006, una risoluzione nella quale, in particolare, chiede al Consiglio europeo di: passare da una fase di riflessione ad una fase di analisi che si estenderà fino alla metà del 2007; avviare un dialogo con i governi degli Stati membri che hanno votato contro il Trattato per verificare se e a quali condizioni sarebbe possibile riprendere le procedure di ratifica e chiede alla Commissione europea di sostenere questo processo presentando una road map. Il Consiglio europeo del 15 e 16 giugno 2006 ha, quindi, auspicato che il processo di ratifica prosegua, concordando, tra l’altro, un percorso in base al quale la Presidenza tedesca dell’Unione europea presenterà, nel primo semestre del 2007, una relazione al Consiglio europeo, sulla cui base, il Consiglio europeo (presumibilmente nel giugno 2007) prenderà una decisione sulle modalità per proseguire il processo di riforma, fermo restando che le iniziative necessarie a tal fine dovranno essere prese al più tardi nel secondo semestre del 2008.

[79]    d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165 Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche.

[80]    direttiva 2005/36/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 7 settembre 2005pubblicata nella Gazzetta Ufficiale delle Comunità Europee del 30 settembre 2005.

[81]   Direttive 89/48/CEE; 92/51/CEE e 1999/42/CE.

[82]    L’Accordo sullo Spazio economico europeo (SEE) fu firmato il 3 maggio 1992 dagli allora 12 Stati membri della Comunità europea e da 6 degli Stati allora membri dell’EFTA-European Free Trade Association – Associazione europea di libero scambio e cioè Austria, Finlandia, Islanda, Norvegia, Svezia e Svizzera. La Svizzera successivamente, a seguito di un referendum, ritirò la sua adesione.

      L’Accordo, ratificato dall’Italia con legge 28 luglio 1993 ed entrato in vigore il 1° gennaio 1994, istituisce una zona europea in cui è assicurata la libera circolazione di beni, persone, servizie capitali; a tal fine, per quanto qui interessa, l’art. 30 prevede che le parti contraenti adottino misure per il riconoscimento reciproco di diplomi, certificati ed altri titoli di formazione nonché per il coordinamento delle disposizioni legislative amministrative e regolamentari riguardanti l’accesso e l’esercizio di attività professionali da parte di lavoratori subordinati o autonomi.L’accordo si applicava originariamente ai 15 Stati membri dell’UE nonché ad Islanda, Liechtenstein e Norvegia. Un successivo accordo fatto a Lussemburgo il 14 ottobre 2003 ha disposto l’allargamento del SEE a 10 Paesi nuovi membri dell’Unione dal 1° maggio 2004; esso è stato ratificato dall’Italia con legge 1 giugno 2005, n. 114, ed è entrato in vigore il 6.12.2005.

[83]    Il Trattato, firmato a Roma il 29 ottobre 2004, è stato ratificato da 15 Stati membri tra cui l’Italia. A seguito dell’esito negativo dei referendum sulla ratifica del Trattato costituzionale in Francia e nei Paesi Bassi, nell’ambito del Consiglio europeo di Bruxelles del 16 e 17 giugno 2005 è stata adottata una dichiarazione sulla ratifica del Trattato, che pur sottolineando che tali risultati non rimettono in discussione l’interesse dei cittadini per la costruzione dell’Europa, riconosce la necessità di svolgere una riflessione comune. Peraltro, Il Parlamento europeo ha adottato, il 14 giugno 2006, una risoluzione nella quale, in particolare, chiede al Consiglio europeo di: passare da una fase di riflessione ad una fase di analisi che si estenderà fino alla metà del 2007; avviare un dialogo con i governi degli Stati membri che hanno votato contro il Trattato per verificare se e a quali condizioni sarebbe possibile riprendere le procedure di ratifica e chiede alla Commissione europea di sostenere questo processo presentando una road map. Il Consiglio europeo del 15 e 16 giugno 2006 ha, quindi, auspicato che il processo di ratifica prosegua, concordando, tra l’altro, un percorso in base al quale la Presidenza tedesca dell’Unione europea presenterà, nel primo semestre del 2007, una relazione al Consiglio europeo, sulla cui base, il Consiglio europeo (presumibilmente nel giugno 2007) prenderà una decisione sulle modalità per proseguire il processo di riforma, fermo restando che le iniziative necessarie a tal fine dovranno essere prese al più tardi nel secondo semestre del 2008.

[84]   d.lgs. 16 aprile 1994, n. 297, Approvazione del testo unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione, relative alle scuole di ogni ordine e grado.

[85]   Queste ultime sono attualmente denominate scuola primaria e scuola secondaria di primo grado secondo le definizioni di cui alla legge n. 53/2003 (cosidetta legge Moratti) recante delega al Governo per la definizione delle norme generali sull’istruzione e dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e formazione professionale e dal successivo decreto legislativo di attuazione (d.lgs. 19 febbraio 2004 è stato emanato n. 59 recante Definizione delle norme generali relative alla scuola dell'infanzia e al primo ciclo dell'istruzione, a norma dell'articolo 1 della L. 28 marzo 2003, n. 53)

[86]   Si ricorda che il riconoscimento degli studi compiuti all’estero ai fini della loro prosecuzione nelle scuole italiane compete ora alle singole istituzioni scolastiche, ai sensi dell’art. 14, comma 2, del D.P.R. 8 marzo 1999, n. 275, Regolamento recante norme in materia di autonomia delle istituzioni scolastiche, ai sensi dell'art. 21 della L. 15 marzo 1997, n. 59.

[87]   Legge 3 marzo 1997, n.153, Iniziative scolastiche, di assistenza scolastica e di formazione e perfezionamento professionali da attuare all’estero a favore dei lavoratori italiani e dei loro congiunti.

[88]   Recentemente l’art. 1, co. 7-8, del D.L. 18 maggio 2006, n. 181 convertito con modif. dalla legge 17 luglio 2006, n. 233 (recante Riordino della Presidenza del Consiglio dei Ministri e dei Ministeri) ha ripartito le funzioni in materia di istruzione, università e ricerca, attribuite al Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca, tra il Ministero della pubblica istruzione e il Ministero dell'università e della ricerca.

[89]   Da informazioni raccolte presso il MIUR risulta tuttavia che i provvedimenti applicativi citati dall’art. 379 non sono stati emanati; alla validazione del titolo di studio si provvede pertanto di volta in volta valutando i casi singoli.

[90]   Introdotto nel corso dell’esame parlamentare alla Camera dei deputati.

[91]    Per le imprese il cui ciclo di attività coincide con l’anno solare, l’incentivo si applica al reddito relativo al 2004.

[92]    Il provvedimento si riferisce, oltre che al recupero degli aiuti di cui al presente articolo 15, anche agli aiuti di cui all’articolo 24 della presente legge (detassazione degli investimenti effettuati in comuni colpiti da eventi calamitosi).

[93]   L'articolo 64, paragrafo 2, della direttiva 2004/39/CE e l'articolo 18, paragrafo 2, della direttiva 2004/25/CE disciplinano l’adozione di misure di esecuzione delle direttive medesime da parte della Commissione europea, con l’assistenza del comitato europeo dei valori mobiliari, richiamando a quest’effetto gli articoli 5, 7 e 8 della decisione del Consiglio n. 1999/468/CE del 28 giugno 1999, recante modalità per l'esercizio delle competenze di esecuzione conferite alla Commissione.

L’articolo 5 di quest’ultima decisione disciplina la procedura per l’adozione degli atti di regolamentazione, da parte della Commissione, con l’assistenza di un comitato di regolamentazione composto dei rappresentanti degli Stati membri e presieduto dal rappresentante della Commissione. L’articolo 7 disciplina i lavori dei comitati e la pubblicità dei loro lavori. L’articolo 8 disciplina le conseguenze delle risoluzioni con cui il Parlamento europeo indichi che un progetto di misure d'esecuzione eccederebbe le competenze esecutive attribuite alla Commissione.

[94]    Poiché la legge n. 29/2006 è stata pubblicata l’8 febbraio 2006, la disposizione in esame (contenuta nella medesima legge) è entrata in vigore il 28 febbraio 2006; pertanto il termine per l’esercizio della delega scade il 28 agosto 2007.

[95]    Cioè entro il 12 novembre 2006.

[96]    Si consideri che l’entrata in vigore del d.lgs. 252/2005 è stabilita al 1° gennaio 2008, eccetto che per alcune limitate disposizioni che invece sono già entrate in vigore il giorno successivo alla pubblicazione (cioè il 14 dicembre 2005), tra cui come detto figurano le disposizioni in materia di vigilanza della COVIP e compiti della medesima di cui agli articoli 18 e 19.

[97]    Si consideri, tuttavia, che sulle previsioni dell’articolo 19, come già detto, è intervenuto l’art. 25, comma 3, della legge n. 262 del 2005, che restituisce all’ISVAP la vigilanza sulla sana e prudente gestione delle imprese di assicurazione, anche con riferimento ai prodotti assicurativi con finalità previdenziali.

[98]    Rispettivamente, articolo 6, paragrafo 1, lettere e) ed f).

[99]    Ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, lettera h).

[100]Procedura di infrazione 1999/4472.

[101]Ai sensi dell'art. 2, lettera f), della direttiva 96/67/CE per "autoassistenza a terra" si intende la prestazione di una o più categorie di servizi di assistenza da parte di un utente direttamente a se stesso senza stipulazione di contratti con terzi aventi per oggetto la prestazione di questi sevizi. Non sono considerati terzi fra loro gli utenti di cui uno detiene una partecipazione maggioritaria nell'altro o la cui partecipazione in ciascuno degli altri è detenuta a titolo maggioritario dallo stesso ente.

[102]  Per una comparazione fra disposizioni vigenti e disposizioni modificate si veda il testo a fronte in calce alla presente scheda.

[103]  D.P.R. 18 gennaio 2002, n. 54, Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di circolazione e soggiorno dei cittadini degli Stati membri dell’Unione europea (Testo A).

[104]  Il provvedimento raccoglie le disposizioni, rispettivamente legislative e regolamentari, contenute nel d.lgs. 18 gennaio 2002, n. 52 e nel D.P.R. 18 gennaio 2002, n. 53. Tali disposizioni sono contrassegnate nel testo, rispettivamente, con le lettere “L” ed “R”.

[105]  Direttiva 2004/38/CE del 29 aprile 2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE.

[106]  Essere iscritti al Servizio sanitario nazionale italiano o titolari di una polizza assicurativa sanitaria per malattia, infortunio e per maternità; essere parte di un nucleo familiare che abbia risorse tali da non costituire un onere per l’assistenza sociale in Italia, ovvero goda di certo un reddito annuo minimo.

[107]  d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero.

[108]  D.P.R. 31 agosto 1999, n. 394, Regolamento recante norme di attuazione del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, a norma dell'articolo 1, comma 6, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286.

[109]  Direttiva relativa al diritto di soggiorno degli studenti.

[110]  Direttiva relativa al diritto di soggiorno.

[111]  Direttiva relativa al diritto di soggiorno dei lavoratori salariati e non salariati che hanno cessato  la propria attività professionale.

[112]Attuazione della direttiva 2001/97/CE in materia di prevenzione dell'uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi da attività illecite.

[113]  Il citato articolo 4 esclude dall'imposizione del reddito di impresa e di lavoro autonomo il 50 per cento del volume degli investimenti in beni strumentali realizzati nel periodo d'imposta in corso alla data del 25 ottobre 2001, successivamente al 30 giugno 2001, e nell'intero periodo d’imposta successivo, in eccedenza rispetto alla media degli investimenti realizzati nei cinque periodi di imposta precedenti, con facoltà di escludere dal calcolo della media il periodo in cui l'investimento è stato maggiore.

[114]  L'articolo 47 del D.P.R. n. 445 del 2000 disciplina le dichiarazioni sostitutive dell'atto di notorietà, stabilendo che la dichiarazione resa e sottoscritta dall'interessato con l'osservanza delle modalità previste dall'articolo 38 del decreto stesso sostituisce l'atto di notorietà concernente stati, qualità personali o fatti a diretta conoscenza dell'interessato.

      Il citato articolo 38 a sua volta introduce la possibilità di presentare le dichiarazioni sostitutive mediante fax e via telematica. Riguardo a quest'ultima modalità, si prescrive che la dichiarazione sia sottoscritta mediante firma digitale o che l'autore sia identificato dal sistema informatico con l'uso della carta d'identità elettronica o della carta nazionale dei servizi e che sia sottoscritta dall'interessato in presenza del dipendente addetto ovvero sottoscritta e presentata unitamente a copia fotostatica non autenticata di un documento d’identità del sottoscrittore.

[115]Decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 recante Codice della strada

[116]L’articolo 93 del Codice della strada detta norme in materia di immatricolazione dei veicoli, prevedendo che autoveicoli, motoveicoli e rimorchi, per circolare, debbano essere muniti di una carta di circolazione, da intestarsi a chi si dichiara proprietario del veicolo, e immatricolati presso il Dipartimento per i trasporti terrestri. Per i veicoli soggetti ad iscrizione nel P.R.A., oltre la carta di circolazione, è previsto il certificato di proprietà, rilasciato dallo stesso ufficio.

[117]  Il citato articolo 43 vieta le restrizioni alla libertà di stabilimento dei cittadini di uno Stato membro nel territorio di un altro Stato membro. Questo divieto riguarda anche le restrizioni relative all’apertura di agenzie, succursali o filiali, da parte di cittadini di uno Stato membro stabiliti sul territorio di un altro Stato membro.

[118]  La lettera di messa in mora ricorda che la legge n. 958/86 (art. 19) prevedeva a favore dei militari una riserva del 5% degli impegni annui per personale impiegatizio e del 10% di impegni per personale operaio a disposizione delle amministrazioni pubbliche. Questa riserva è stata portata a 20% con il decreto legge n. 196 del 12 maggio 1995 e, successivamente, al 30% con decreto legge n. 215 dell’8 maggio 2001.

 

[119]La disciplina è regolata nel nostro ordinamento dal d.lgs. 27 gennaio 1992, n. 120 e successive modificazioni.

[120]Con le procedure previste dall’art. 29 della direttiva 67/548/CEE.

[121]Direttiva del Consiglio concernente il ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative relative alla classificazione, all'imballaggio e all'etichettatura delle sostanze pericolose.

[122]Cfr. Allegato 1, sez. 1, Il campo di applicazione.

[123]Tali sperimentazioni sono destinate ad appurare la sicurezza per la salute umana e/o l'ambiente. di sostanze contenute in prodotti farmaceutici, cosmetici, antiparassitari, medicinali veterinari, additivi alimentari e per mangimi e prodotti chimici industriali.

[124]Si applicano al riguardo le direttive 2001/83, 2000/70, 2002/98 e la raccomandazione 98/463.

[125]Si tratta di una banca dei tessuti o un’unità di un ospedale o di un organismo in cui si effettuano attività di lavorazione, conservazione, stoccaggio o distribuzione di tessuti e cellule umani.

[126]Il termine per il recepimento di quest’ultima direttiva è il 1° novembre 2006.

[127]Il testo rettificato della direttiva è pubblicato nella Gazzetta ufficiale dell'Unione europea 2 giugno 2004, n. L 195.

[128]Cfr. i Regolamenti del Parlamento europeo e del Consiglio n. 852/2004 (sull'igiene dei prodotti alimentari), n. 853/2004 (che stabilisce norme specifiche in materia di igiene per gli alimenti di origine animale) e n. 854/2004 (che stabilisce norme specifiche per l'organizzazione di controlli ufficiali sui prodotti di origine animale destinati al consumo umano). Tali Regolamenti dovranno essere applicati a decorrere dal 1° gennaio 2006.

[129]  La direttiva stabilisce norme di polizia sanitaria per la produzione, la trasformazione, la distribuzione e l’introduzione di prodotti di origine animale destinati al consumo umano.

[130]  Cfr. gli allegati I e V della direttiva.

[131]Tale direttiva concerne l’importazione da paesi terzi di animali della specie bovina e suina e di carni fresche.

[132]Il testo rettificato è pubblicato nella G.U.U.E. 25 giugno 2004, n. L 226.

[133]  Recepita nel nostro ordinamento con il d.lgs. 4 agosto 1999, n. 351.

[134]  Ai sensi del successivo art. 2 della direttiva per “valore obiettivo” deve intendersi la “concentrazione nell'aria ambiente fissata onde evitare, prevenire o ridurre gli effetti nocivi per la salute umana e l'ambiente nel suo complesso che dovrà essere raggiunta per quanto possibile nel corso di un dato periodo”.

[135]  Direttiva 2004/114/CE del Consiglio del 13 dicembre 2004 relativa alle condizioni di ammissione dei cittadini di paesi terzi per motivi di studio, scambio di alunni, tirocinio non retribuito o volontariato (pubblicata nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea 23 dicembre 2004, n. L375).

[136]  Si veda in proposito la relazione illustrativa alla Proposta di direttiva relativa alle condizioni d'ingresso e di soggiorno dei cittadini di paesi terzi per motivi di studio, formazione professionale o volontariato del 7 ottobre 2002 COM(2002) 548 def.. Utile anche il Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla "Proposta di direttiva del Consiglio relativa alle condizioni d'ingresso e di soggiorno dei cittadini di paesi terzi per motivi di studio, formazione professionale o volontariato" (COM(2002) 548 def.

[137]Il Trattato, firmato a Roma il 29 ottobre 2004, e stato ratificato da 14 Stati membri tra cui l’Italia (legge n. 57 del 7 aprile 2005, recante Ratifica ed esecuzione del Trattato che adotta una Costituzione per l' Europa e alcuni atti connessi, con atto finale, protocolli e dichiarazioni, fatto a Roma il 29 ottobre 2004).

[138]  Proposta di direttiva del Consiglio relativa alle condizioni d’ingresso e di soggiorno dei cittadini di Paesi terzi che intendono svolgere attività di lavoro subordinato o autonomo (COM(2001) 386).

[139]  Direttiva 2003/86/CE del Consiglio, del 22 settembre 2003, relativa al diritto al ricongiungimento familiare (pubblicata nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea,3 ottobre 2003, L 251).

[140]  D.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero.

[141]  DM 19 dicembre 2001, Fissazione del numero massimo di visti di ingresso per l’accesso all’istruzione universitaria degli studenti stranieri. Anno accademico 2001-2002 (pubblicato nella Gazzetta ufficiale 16 aprile 2002, n. 89).

[142]  Così l’interpretazione da parte del relatore della I Commissione (Affari costituzionali) della Camera nel corso dell’esame dello schema (seduta del 4 ottobre 2005). La I Commissione (Affari costituzionali) della Camera ha esaminato lo schema il 4 e il 12 ottobre 2005, esprimendo parere favorevole, mentre non è stato reso il parere della Commissione competente del Senato. Il decreto non risulta essere stato, a tutt’oggi, pubblicato nella Gazzetta ufficiale.

[143]  Anche la 7° Commissione Istruzione del Senato si è espressa favorevolmente, il 26 luglio 2006, sullo stesso schema di decreto. Al 17 ottobre 2006 il decreto non risulta ancora pubblicato.

[144]  In particolare, agli stranieri titolari di carta di soggiorno, ovvero di permesso di soggiorno per lavoro subordinato o autonomo, per motivi familiari, per asilo politico, per asilo umanitario o per motivi religiosi, nonché per gli stranieri regolarmente soggiornanti da almeno un anno in possesso di titolo di studio superiore conseguito in Italia.

[145]  La disciplinata è recata dalla legge 2 agosto 1999, n. 264, e dal regolamento emanato con D.M. 21 luglio 1997, n. 245.

[146]  Si vedano da ultimo le Disposizioni valide per il triennio 2005-2007 emanate il 21 marzo 2005 (prot. 658).

[147]Il ministro dell'interno, con direttiva 1° marzo 2000, ha provveduto alla definizione dei criteri per quantificare i mezzi di sussistenza che gli stranieri extracomunitari devono dimostrare di possedere, nell'ambito delle condizioni per l'ingresso nel territorio nazionale e per il rilascio del isto.

[148]Convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, legge 14 maggio 2005, n. 80.

[149]La relazione illustrativa del relativo disegno di legge di conversione  specificava che la norma mira ad “attrarre non solo capitali per investimenti in produzione, servizi e ricerca, ma anche capitale umano di alto profilo professionale e culturale come, ad esempio, studenti, ricercatori e studiosi, professionalità in grado di apportare particolare valore al Paese

[150]Relativa all'organizzazione di un esperimento temporaneo di campionamento e di controllo delle sementi in base alle direttive del Consiglio n.66/400/CEE, n.66/402/CEE e n.69/208/CEE.

[151]Le direttive modificate sono: 73/219/CEE del Consiglio, del 24 luglio 1973, recante coordinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative in materia di accesso e di esercizio dell'assicurazione sulla vita; 85/611/CEE del Consiglio, del 20 dicembre 1985, concernente il coordinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative in materia di taluni organismi d'investimento collettivo, in valori mobiliari (OICVM); 91/675/CEE del Consiglio, del 19 dicembre 1991, che istituisce un comitato delle assicurazioni; 92/49/CEE del Consiglio, del 18 giugno 1992, che coordina le disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative riguardanti l'assicurazione diretta diversa dall'assicurazione della vita (terzo direttiva assicurazione non vita); 93/6/CEE del Consiglio, del 15 marzo 1993, relativa all'adeguatezza patrimoniale delle imprese di investimento e degli enti creditizi; 94/19/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 30 maggio 1994, relativa ai sistemi di garanzia del depositi; 98/78/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 ottobre 1998, relativa alla vigilanza supplementare sulle imprese di assicurazione appartenenti ad un gruppo assicurativo; 2000/12/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 marzo 2000, relativa all'accesso all'attività degli enti creditizi ed al suo esercizio; 2001/34/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 28 maggio 2001, riguardante l'ammissione dei valori mobiliari alla quotazione ufficiale e l'informazione da pubblicare su detti valori; 2002/83/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 novembre 2002, relativa all'assicurazione sulla vita, e 2002/87/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2002, relativa alla vigilanza supplementare sugli enti creditizi, sulle imprese di assicurazioni e sulle imprese di investimento appartenenti ad un conglomerato finanziario.

[152]Al primo livello appartengono gli atti legislativi che sono adottati dal Parlamento europeo e dal Consiglio mediante la procedura di codecisione. Il livello 2 riguarda la legislazione adottata dalla Commissione con il supporto dei cosiddetti "comitati di secondo livello", composti dai rappresentanti degli Stati membri. Le misure tecniche di esecuzione sono predisposte sulla base dei lavori dei cosiddetti "comitati di terzo livello che hanno, inoltre, il ruolo di far convergere le prassi di vigilanza. Infine, al quarto livello, si trovano le misure adottate dalla Commissione e dagli Stati membri affinché la legislazione comunitaria venga applicata.

[153]Articolo inserito dall'articolo 29 della direttiva 2002/87/CE.

[154]L'allegato IX stabilisce regole estremamente dettagliate per la classificazione dei dispositivi medici in quattro classi (I, IIA, IIB e III).

[155]Le regole dell’allegato IX della direttiva 93/42/CEE inseriva tali dispositivi nella classe IIB.

[156]Per protesi si intende “un componente impiantabile di un sistema di protesi articolare totale, destinato a svolgere una funzione simile ad un’articolazione naturale”.

[157]Gazzetta Ufficiale 10 marzo 2006, n. 58.

[158]  Tali norme sono inserite in particolare nella Sezione Prima “Norme in materia di difesa del suolo e lotta alla desertificazione” (artt. 53-72).

[159]  Direttiva 2000/60/CE.

[160]  L’analisi dovrà esaminare le caratteristiche del distretto, l'impatto delle attività umane sulle acque e fornire una valutazione economica dell'utilizzo idrico. Si ricorda, inoltre, che la direttiva prevede anche la compilazione di un registro delle aree alle quali è stata attribuita una protezione speciale nonché l’individuazione dell’ubicazione dei punti del corpo idrico sotterraneo usati per l'estrazione di acque destinate al consumo umano che forniscono più di 10 m3 al giorno o servono più di 50 persone.

[161]La direttiva 90/435/CEE è stata recepita con il d.lgs. 6 marzo 1993, n. 136, che ha modificato il testo unico delle imposte sui redditi, approvato con D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, e il D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, recante disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi.

[162]Rimane fermo il disposto dell’articolo 6, secondo cui lo Stato membro da cui dipende la società madre non può riscuotere ritenute alla fonte sugli utili che questa società riceve dalla sua società figlia. L’articolo 7 precisa che non è compreso nella nozione di “ritenuta alla fonte” il pagamento anticipato o preliminare (ritenuta) dell'imposta sulle società allo Stato membro in cui ha sede la società figlia, effettuato in concomitanza con la distribuzione degli utili alla società madre.

[163]Per quanto riguardai riferimenti alla direttiva abrogata si intendono fatti allapresente direttiva e si leggono secondo la tavola di concordanzadi cui all'allegato III.

[164]  Tale disposizione è identica a quella contenuta nell’allegato 1della decisione-raccomandazione del consiglio dell'OCSE [C(89)87(Final)] del 2 ottobre 1989, come modificata dalla decisione del consiglio dell'OCSE che modifica gli allegati alla decisione-raccomandazione sulla conformità alla buona prassi di laboratorio [C(95)8(Final)] del 9 marzo 1995.

[165]  Gli organismi (nazionali) di controllo della BPL hanno accesso ad informazioni commercialmente utili; gli Stati dovrebbero quindi, prendere disposizioni per salvaguardare la riservatezza delle informazioni, non soltanto da parte degli ispettori, ma anche di qualsiasi altra persona avente accesso ad informazioni riservate in conseguenza delle attività di controllo.

[166]  Tale disposizione è identica a quella contenuta nell’allegato 1 della decisione-raccomandazione del consiglio dell'OCSE [C(89)87(Final)] del 2 ottobre 1989, come modificata dalla decisione del consiglio dell'OCSE che modifica gli allegati alla decisione-raccomandazione sulla conformità alla buona prassi di laboratorio [C(95)8(Final)] del 9 marzo 1995.

 

[167]Si segnala al riguardo che le direttive 88/320/CEE e 90/18/CEE sono state recepite nel nostro ordinamento con il d.lgs. 27 gennaio 1992, n. 120, mentre la direttiva 1999/12/CE è stata recepita con il D.M. 5 agosto 1999.

[168]Risoluzione B4-0150/96.

[169]Reg. (CE) n. 2111/2005, recante Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo all'istituzione di un elenco comunitario di vettori aerei soggetti a un divieto operativo all'interno della Comunità e alle informazioni da fornire ai passeggeri del trasporto aereo sull'identità del vettore aereo effettivo e che abroga l'articolo 9 della direttiva 2004/36/CE.

 

[170]  Direttiva 90/394/CEE del Consiglio del 28 giugno 1990.

[171]  Raccomandazione 2003/134/CE del Consiglio del 18 febbraio 2003.

[172]  Tale strategia fa seguito al programma comunitario 1996-2000, adottato dalla Commissione il 12 luglio 1995 dopo l'attuazione della parte più significativa del corpus legislativo in tema di salute e sicurezza sul lavoro. Tale programma ribadiva essenzialmente la necessità di garantire l'attuazione e l'applicazione della normativa vigente.

[173]  Direttiva 92/57/CEE del Consiglio del 24 giugno 1992.

[174]  Direttiva 93/103/CEE del Consiglio del 23 novembre 1993.

[175]  Direttiva 2003/10/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 6 febbraio 2003.

[176]  Direttiva 2002/44/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 25 giugno 2002.

[177]  Direttiva 90/679/CEE del Consiglio del 26 novembre 1990.

[178]  Direttiva 90/394/CEE del Consiglio del 28 giugno 1990.

[179]  Direttiva 92/85/CEE del Consiglio del 19 ottobre 1992.

[180]  Direttiva 92/29/CEE del Consiglio del 31 marzo 1992.

[181]  Direttiva 91/383/CEE del Consiglio del 25 giugno 1991.

[182]  Direttiva 94/33/CEE del Consiglio del 22 giugno 1994.

[183]  Termine da ultimo così prorogato dall’articolo 6 del decreto legge n. 266 del 2004, convertito dalla legge n. 306 del 2004.

[184]  Direttiva 2002/44/CE, sedicesima direttiva particolare ai sensi dell’articolo 16, paragrafo 1, della direttiva 89/391/CEE. Tale direttiva è stata recepita nell’ordinamento interno con il d.lgs. 19 agosto 2005, n. 187, in attuazione della delega di cui all’art. 1, comma 3, della legge n. 306/2003 (legge comunitaria 2003).

[185]  Direttiva 2003/10/CE, diciassettesima direttiva particolare ai sensi dell’articolo 16, paragrafo 1, della direttiva 89/391/CEE. Tale direttiva è stata recepita nell’ordinamento interno con il d.lgs. 10 aprile 2006, n. 195, in attuazione della delega di cui all’art. 1, commi 3 e 4, della legge n. 62/2005 (legge comunitaria 2004).

 

[186]  Guidelines for Limiting Exposure to Time-varying Electric, Magnetic, and Electromagnetic Fields (up to 300 GHz). Health Physics 74: 494-522 (1998)

[187]  Ai sensi del richiamato articolo 11, i datori di lavoro hanno l’obbligo di consultare i lavoratori e/o i loro rappresentanti e permettono la partecipazione dei lavoratori e/o dei loro rappresentanti in tutte le questioni che riguardano la sicurezza e la protezione della salute durante il lavoro.

      Inoltre, i lavoratori o i rappresentanti dei lavoratori i quali hanno una funzione specifica in materia di protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori partecipano in modo equilibrato, conformemente alle legislazioni e/o prassi nazionali, o sono consultati preventivamente e tempestivamente dal datore di lavoro in merito a determinate situazioni, quali, tra le altre, su qualunque azione che possa avere effetti rilevanti sulla sicurezza e sulla salute; sull'eventuale ricorso a competenze (persone o servizi) esterne all'impresa e/o allo stabilimento; sulla concezione e organizzazione della formazione

      Infine, i rappresentanti dei lavoratori i quali hanno una funzione specifica in materia di protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori hanno il diritto di chiedere al datore di lavoro di prendere misure adeguate e di presentargli proposte in tal senso, per ridurre qualsiasi rischio per i lavoratori e/o eliminare le cause di pericolo.

[188]  Tale articolo stabilisce che qualora il Parlamento europeo indichi, con risoluzione motivata, che un progetto di misure d'esecuzione, di cui è prevista l'adozione e che è stato sottoposto ad un comitato in virtù di un atto di base adottato secondo la procedura di cui all'articolo 251 del trattato, eccederebbe le competenze di esecuzione previste in detto atto di base, la Commissione riesamina il progetto. La Commissione, tenuto conto della citata risoluzione, può presentare al comitato, rispettando i termini del procedimento in corso, un nuovo progetto di misure, continuare il procedimento ovvero presentare al Parlamento europeo ed al Consiglio una proposta in base al trattato. La Commissione informa il Parlamento europeo e il comitato, motivando la sua decisione, del seguito che intende dare alla risoluzione del Parlamento europeo.

[189]Le direttive 2001/12/CE, 2001/13/CE, 2001/14/CE, hanno costituito il primo “pacchetto infrastruttura” , recepito nel nostro ordinamento con il d.lgs. 8 luglio 2003, n. 188.

[190]Il citato regolamento prevede che l’Agenzia diventi operativa entro 24 mesi dalla data di entrata in vigore del regolamento, coincidente con il 30 aprile 2004.

[191]Tali direttive disciplinano in particolare le condizioni di accesso all’infrastruttura, i compiti del gestore dell’infrastruttura e la certificazioni di sicurezza delle imprese ferroviarie.

[192]  L'Associazione europea per l'interoperabilità ferroviaria (AEIF), è stata designata quale organismo comune rappresentativo ai sensi della direttiva 96/48/CE e ha elaborato progetti di specifiche tecniche di interoperabilità (STI) adottati dalla Commissione europea il 30 maggio 2002.

[193]  Decisione n. 1692/96/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 luglio 1996.

[194]  Nelle conclusioni del Consiglio europeo di Tampere del 15 e 16 ottobre 1999, in particolare il punto 32, è indicato che dovrebbero essere elaborate norme minime sulla tutela delle vittime della criminalità, in particolare sull'accesso delle vittime alla giustizia e sui loro diritti al risarcimento dei danni, comprese le spese legali. Dovrebbero inoltre essere creati programmi nazionali di finanziamento delle iniziative, sia statali sia non governative, per l'assistenza alle vittime e la loro tutela.

[195]  La riduzione in schiavitù derivante dal traffico di esseri umani coinvolge soprattutto donne e bambini provenienti dalle aree più povere del mondo i quali, spinti da reti di trafficanti o dalla piccola criminalità ad immigrare illegalmente nei Paesi occidentali con la speranza di una diversa prospettiva di vita, sono poi costretti alla prostituzione, al lavoro forzato e all’accattonaggio.

[196]  Nel corso della Conferenza di Palermo del 12 dicembre 2000.

[197]D.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero.

[198]In particolare, si vedano i casi previsti dall’art. 380, comma 2, lettera d): delitto di riduzione in schiavitù previsto dall'articolo 600, delitto di prostituzione minorile previsto dall'articolo 600-bis, primo comma, delitto di pornografia minorile previsto dall'articolo 600-ter, commi primo e secondo, e delitto di iniziative turistiche volte allo sfruttamento della prostituzione minorile previsto dall'articolo 600-quinquies del codice penale.

[199]D.P.R. 31 agosto 1999, n. 394, Regolamento recante norme di attuazione del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, a norma dell'art. 1, comma 6, del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286.

[200]Legge 11 agosto 2003, n. 228, Misure contro la tratta di persone.

[201]Si ricorda che la direttiva sopra citata è stata recepita dal d.lgs. 7 aprile 2003, n. 87.

[202]  La direttiva 95/46/CE costituisce il testo di riferimento, a livello europeo, in materia di protezione dei dati personali. Essa fissa limiti precisi per la raccolta e l'utilizzazione dei dati personali e chiede a ciascuno Stato membro di istituire un organismo nazionale indipendente incaricato della protezione di tali dati. Si ricorda a tale proposito che la normativa nazionale è ora riordinata nel d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196 - Codice in materia di protezione dei dati personali.

[203]  La Convenzione di Ginevra è stata ratificata dall’Italia con la legge 24 luglio 1954, n. 722, Ratifica ed esecuzione della Convenzione relativa allo statuto dei rifugiati, firmata a Ginevra il 28 luglio 1951. Anche le modifiche apportate alla Convenzione dal Protocollo di New York sono state recepite nel nostro ordinamento con la legge 14 febbraio 1970, n. 95.

[204]  La Convenzione è stata ratificata con la legge 23 dicembre 1992, n. 523, Ratifica ed esecuzione della convenzione sulla determinazione dello Stato competente per l’esame di una domanda di asilo presentata in uno degli Stati membri delle Comunità europee, con processo verbale, fatta a Dublino il 15 giugno 1990.

[205]  Decreto legge 30 dicembre 1989, n. 416 (convertito in legge, con modificazioni, con legge 28 febbraio 1990, n. 39), Norme urgenti in materia di asilo politico, di ingresso e soggiorno dei cittadini extracomunitari e di regolarizzazione dei cittadini extracomunitari ed apolidi già presenti nel territorio dello Stato. Si tratta della prima legge organica in materia di immigrazione e di asilo, successivamente abrogata dalla legge n. 40 del 1998 (ora confluita nel testo unico in materia di immigrazione), ad eccezione dell’articolo 1, tuttora vigente, recante la disciplina dell’esercizio del diritto di asilo.

[206]  Le apparecchiature elettriche ed elettroniche soggette all’applicazione della direttiva comprendono dall’apparecchio di illuminazione, all’elettrodomestico, alla scheda elettronica al personal computer o al PLC (Programmable Logic Controller) per applicazioni industriali. Tutte queste apparecchiature devono rispettare le prescrizioni della direttiva e recare la marcatura CE quale dichiarazione palese di conformità. Si ricorda, inoltre, che i componenti elementari (resistori, fusibili, transitori, circuiti integrati, ecc.) non sono soggetti alla marcatura ai fini della direttiva sulla compatibilità elettromagnetica, a meno che essi non vengano immessi sul mercato come unità a sé stante. Anche gli apparecchi che per loro natura non sono causa di disturbi (es. apparecchi di illuminazione con lampade ad incandescenza alimentate a frequenza di rete) devono presentare la marcatura CE; in questo caso però la conformità ai requisiti non richiede l'esecuzione di alcuna prova.

[207]  G. U. 4 giugno 1999. n. 129

[208] Ad esempio le reti di distribuzione dell'energia elettrica, i grandi macchinari e complessi di macchinari in siti industriali.

[209]  Il Comitato europeo di Normalizzazione Elettrotecnica (CENELEC) è l’organismo competente ad adottare le norme armonizzate conformemente agli orientamenti generali per la cooperazione tra la Commissione e il Comitato europeo di Normalizzazione (CEN) e il CENELEC, sottoscritti il 13 novembre 1984. In particolare, le norme per la compatibilità elettromagnetica si classificano in norme di prodotto, norme di base e norme generiche ambientali. Le norme di base definiscono metodi, configurazioni e strumenti di prova. Le norme generiche stabiliscono i requisiti essenziali destinati ad un determinato ambiente, ad esempio domestico o industriale e ne definiscono le relative prove secondo le norme di base. Le norme di prodotto, infine, individuano i requisiti specifici per un determinato tipo, famiglia o categoria di prodotti.

[210]  Le opzioni relative alle modalità di applicazione del suddetto regolamento nel nostro ordinamento sono state esercitate con il d.lgs. 28 febbraio 2005, n. 38.

[211]  La direttiva 2003/6/CE è stata recepita nel nostro ordinamento dall’articolo 9 della legge 18 aprile 2005, n. 62 (legge comunitaria per il 2004).

[212]  La delega al Governo per il recepimento della direttiva 2003/71/CE è contenuta nell’articolo 12 della legge 28 dicembre 2005, n. 262, recante disposizioni per tutela del risparmio e la disciplina dei mercati finanziari.

[213]  Si tratta di strumenti normalmente negoziati nel mercato monetario, come, ad esempio i buoni del tesoro e i certificati di deposito.

[214]  Il successivo articolo 10 estende l’obbligo di notifica ad una serie di ipotesi nelle quali una persona fisica o giuridica, pur non essendo proprietaria delle azioni, ha diritto di acquisire, cedere o esercitare i relativi diritti di voto (ad esempio: usufrutto di azioni). L’articolo 11 esclude invece il suddetto obbligo di notifica in determinate circostanze.

[215]  Si tratta di:

§                   modifiche nei diritti inerenti alle varie categorie di azioni;

§                   modifiche nei diritti dei possessori di valori mobiliari diversi dalle azioni;

§                   nuove emissioni di prestiti, con particolare riferimento alle garanzie personali e reali di cui saranno corredate.

[216]  Si ricorda che la Carta dei diritti ora costituisce la Parte II del Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa.

[217]  Da ultimo, con la decisione 2001/51/CE del Consiglio, del 20 dicembre 2000, è stato adottato il quinto programma d’azione comunitario in materia di parità fra le donne e gli uomini (2001-2005), strumento necessario per l’attuazione della strategia-quadro globale.

[218]  Si segnala, da ultimo, la Relazione sull’uguaglianza tra le donne e gli uomini 2004, COM(2004) 115, presentata dalla Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale e al Comitato delle regioni il 19 febbraio 2004.

[219]  La legge comunitaria per il 2003 (legge 31 ottobre 2003, n. 306) ha conferito una delega al Governo per il recepimento della direttiva, il cui termine di adeguamento per gli ordinamenti nazionali è fissato al 5 ottobre 2005. Lo schema di decreto legislativo è stato presentato in Parlamento ad aprile 2005 (Atto n. 478).

[220]  Pubblicato nella Gazzetta ufficialen. 167 del 20 luglio 2006.

[221]  D.lgs. 11 aprile 2006, n. 198, Codice delle pari opportunità tra uomo e donna, a norma dell'articolo 6 della legge 28 novembre 2005, n. 246. L’art. 2 del codice riassume le competenze del Presidente del Consiglio dei ministri in materia di pari opportunità.

[222]  Legge 25 febbraio 1992, n. 215, Azioni positive per l'imprenditoria femminile.

[223]  Decreto legge 18 maggio 2006, n. 181, Disposizioni urgenti in materia di riordino delle attribuzioni della Presidenza del Consiglio dei Ministri e dei Ministeri, conv. con mod. dalla legge 17 luglio 2006, n. 233.

[224]Corte di giustizia dell’Unione europea, sentenza del 30 giugno 2005 (Causa C-537/03). La Corte ha rilevato, anzitutto, che le direttive in materia di assicurazione della responsabilità civile non mirano ad armonizzare i regimi di responsabilità civile negli Stati membri. Questi ultimi, pertanto, restano liberi di stabilire il regime della responsabilità civile applicabile ai sinistri derivanti dalla circolazione degli autoveicoli. Tuttavia, detta facoltà deve in ogni caso essere esercitata nel rispetto del diritto comunitario e, segnatamente delle direttive, il cui obiettivo consiste nel garantire che l’assicurazione obbligatoria per gli autoveicoli consenta a tutti i passeggeri vittime di un incidente causato dal veicolo di essere risarciti dei danni dai medesimi subiti. La Corte ha ritenuto che solo al verificarsi di circostanze eccezionali, debitamente accertate dal competente giudice nazionale, in base ad una valutazione caso per caso, l’entità del risarcimento della vittima potrebbe essere limitata. In base alle esposte considerazioni, ha quindi ritenuto illegittima una normativa nazionale che neghi o limiti in misura sproporzionata il risarcimento del passeggero corresponsabile nella produzione del danno, anche nell’ipotesi in cui tale passeggero sia il proprietario del veicolo medesimo.

[225]Secondo tale procedura, gli Stati membri devono disporre che entro tre mesi, decorrenti dal momento in cui il soggetto leso ha presentato la sua richiesta d’indennizzo direttamente all’impresa di assicurazione del responsabile del sinistro o al mandatario per la liquidazione dei sinistri: a) l’impresa di assicurazione del responsabile del sinistro o il suo mandatario presenti un’offerta d’indennizzo motivata nel caso in cui la responsabilità non sia contestata e il danno sia quantificato, oppure b) l’impresa di assicurazione a cui è stata indirizzata la richiesta d’indennizzo o il suo mandatario fornisca una risposta motivata sugli elementi dedotti nella domanda, qualora la responsabilità sia negata o non sia stata chiaramente accertata o il danno non sia stato interamente quantificato. È opportuno ricordare che la nostra disciplina interna, in particolare l’articolo 5 della legge 20 marzo 2001, n. 57 (ora articolo 148 del codice delle assicurazioni, emanato con decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209) già prevede che entro sessanta giorni dalla ricezione della documentazione allegata dal danneggiato, l’assicuratore formula a quest’ultimo congrua offerta per il risarcimento ovvero comunica i motivi per i quali non ritiene di fare offerta. L’obbligo di proporre al danneggiato congrua offerta per il risarcimento del danno, ovvero di comunicare i motivi per cui non si ritiene di fare offerta, sussiste anche per i sinistri che abbiano causato lesioni personali o il decesso.

[226]La direttiva è stata recepita nell’ordinamento italiano con il d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 544, che ha attuato la delega contenuta nella legge 19 febbraio 1992, n. 142 (art. 34). La materia è regolata dagli articoli 178, 179, 180 e 181 del testo unico delle imposte sui redditi (TUIR), approvato con D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, recentemente modificato dal d.lgs. n. 344 del 2003.

[227]  La direttiva in questione è inserita nell’Allegato C del disegno di legge A.S.1014, relativo alle direttive da recepire con regolamento di delegificazione.

[228]La Convenzione STCW è la convenzione internazionale sulle norme relative alla formazione della gente di mare, al rilascio di brevetti e ai servizi di guardia; il Codice STCW è il codice sulla formazione della gente di mare, sul rilascio dei brevetti e sui servizi di guardia.

[229]La convenzione STCW e il codice STCW sono stati modificati dalle risoluzioni MSC.66(68) e MSC.67(68) del comitato per la sicurezza marittima dell'Organizzazione marittima internazionale, entrate in vigore il 1° gennaio 1999, dalla risoluzione MSC.78(70), entrata in vigore il 1° gennaio 2003 e dalle circolari STCW.6/Circ.3 e STCW.6/Circ. 5, con validità decorrente rispettivamente dal 20 maggio 1998 e dal 26 maggio 2000.