Camera dei deputati - XV Legislatura - Dossier di documentazione
(Versione per stampa)
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Autore: | Servizio Studi - Dipartimento istituzioni | ||
Altri Autori: | Servizio Commissioni , Ufficio Rapporti con l'Unione Europea | ||
Titolo: | Documentazione di inizio legislatura - Tematiche della legislazione 2001-2006 | ||
Serie: | Documentazione e ricerche Numero: 1 | ||
Data: | 21/04/2006 | ||
Descrittori: |
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Camera dei deputati
DOCUMENTAZIONE DI INIZIO LEGISLATURA
Servizio Studi
TEMATICHE DELLA LEGISLAZIONE
2001 – 2006
XV Legislatura
Il dossier, predisposto per l’accoglienza dei deputati della XV legislatura, propone una sintesi delle principali politiche legislative ed attività istituzionali svolte nella XIV legislatura.
La sintesi è articolata su 33 aree tematiche. Si è così inteso riaggregare intorno ai temi centrali per il dibattito politico i contenuti dell’attività svolta dal Parlamento nel corso della legislatura, distribuiti su una molteplicità di provvedimenti e strumenti di intervento. Si è utilizzata a questo scopo la classificazione per aree tematiche adottata nel sistema bibliografico TESEO.
A questa parte, che costituisce il nucleo centrale del dossier, sono premesse:
§ una sezione di dati statistici sull’attività degli organi parlamentari nella XIV legislatura;
§ una nota informativa sugli ambiti di competenza delle Commissioni parlamentari permanenti.
Il riferimento alle competenze delle Commissioni permette di ricollegare le questioni individuate nella trattazione per aree tematiche alle sedi nelle quali tali questioni sono prioritariamente istruite e trattate nel corso dei procedimenti parlamentari.
Si segnala inoltre che, in occasione della prima riunione delle Commissioni, verrà posto in distribuzione il Dossier di inizio legislatura di ciascuna Commissione, nel quale verrà più ampiamente trattata l’attività svolta da ogni Commissione nel corso della XIV legislatura.
Coordinamento: Servizio Studi – Dipartimento istituzioni
Hanno partecipato alla redazione del dossier l’Osservatorio sulla legislazione, il Servizio Commissioni e l’Ufficio Rapporti con l’Unione europea.
I dossier dei servizi e degli uffici della Camera sono destinati alle esigenze di documentazione interna per l’attività degli organi parlamentari e dei parlamentari. La Camera dei deputati declina ogni responsabilità per la loro eventuale utilizzazione o riproduzione per fini non consentiti dalla legge.
INDICE
§ Il capitolo Quadro statistico è stato curato dall’Osservatorio sulla legislazione.
§ Il capitolo Gli ambiti di competenza delle Commissioni permanenti è stato curato dal Servizio Commissioni.
§ Il capitolo Aree tematiche è stato curato dal Servizio Studi; i paragrafi Questioni all’esame delle istituzioni dell’Unione europea e Il Trattato costituzionale sono stati curati dall’Ufficio Rapporti con l’Unione europea.
L’attività legislativa dell’Assemblea e delle Commissioni
§ I decreti-legge e le leggi di conversione
La produzione normativa anno per anno nella XIV legislatura
Gli ambiti di competenza delle Commissioni permanenti27
Affari costituzionali e ordinamento della Repubblica
§ Dal nuovo Titolo V al progetto di “devoluzione”
§ La riforma dell’ordinamento della Repubblica
§ Le altre modifiche costituzionali
§ Gli interventi e le riforme in materia elettorale
§ L’immunità parlamentare e per le alte cariche dello Stato
§ La disciplina dei conflitti di interessi
§ Attività legislativa rilevante per la politica estera
§ La strategia internazionale per la lotta al terrorismo
§ Conflitto e post conflitto in Afghanistan
§ Conflitto e post conflitto in Iraq
§ Sviluppi dell’area balcanica
§ Il processo di pace in Medio Oriente
§ La non proliferazione delle armi di distruzione di massa
§ La cooperazione allo sviluppo
§ Interventi normativi relativi al Ministero degli affari esteri
§ Questioni all’esame delle istituzioni dell’Unione europea
§ La riforma della “legge La Pergola”
§ Le leggi comunitarie nella XIV legislatura
§ L’indagine conoscitiva sul futuro dell’UE
§ Caccia
§ Pesca
§ Questioni all’esame delle istituzioni dell’Unione europea
Ambiente, territorio e protezione civile
§ Legislazione in materia ambientale
§ Legislazione in materia di governo del territorio e tutela del paesaggio
§ Legislazione in materia di protezione civile
§ Questioni all’esame delle istituzioni dell’Unione europea
Assistenza, previdenza e assicurazioni
§ Questioni all’esame delle istituzioni dell’Unione europea
§ La riforma del processo comunitario di produzione normativa
§ La riforma della regolamentazione dell’adeguatezza patrimoniale nei lavori del Comitato di Basilea
§ Gli istituti di moneta elettronica (Imel)
§ Le modifiche alla disciplina delle fondazioni bancarie
§ La disciplina dei consorzi di garanzia collettiva dei fidi (Confidi)
§ Obbligazioni bancarie garantite
§ La legge di riforma della tutela del risparmio
§ Riforma delle banche popolari – Princìpi ex art. 117 Cost. in tema di banche regionali
§ Questioni all’esame delle istituzioni dell’Unione europea
§ Il decreto-legge c.d. “tagliaspese”
§ Le più recenti misure di controllo del bilancio dello Stato
§ Il SIOPE
§ Questioni all’esame delle istituzioni dell’Unione europea
§ Il Piano d’azione comunitario per i servizi finanziari
§ La riforma in materia di regolamentazione, vigilanza e stabilità finanziaria in Europa
§ Vendita a distanza di servizi finanziari
§ Contratti di garanzia finanziaria
§ Vigilanza sui conglomerati finanziari
§ Organismi di investimento collettivo del risparmio (OICR)
§ Valutazione contabile degli strumenti finanziari
§ Il recepimento delle direttive relative agli abusi di mercato
§ Le indagini conoscitive su questioni relative ai mercati finanziari
§ La legge di riforma della tutela del risparmio
§ Questioni all’esame delle istituzioni dell’Unione europea
§ Il coordinamento degli strumenti di intervento
§ La tutela del “made in Italy”
§ Questioni all’esame delle istituzioni dell’Unione europea
Commercio, servizi e tutela dei consumatori
§ Questioni all’esame delle istituzioni dell’Unione europea
Cultura, spettacolo, sport e turismo
§ Il riparto delle competenze costituzionalmente definite
§ Le fondazioni lirico sinfoniche
§ Sport
§ Turismo
§ Questioni all’esame delle istituzioni dell’Unione europea
§ La trasformazione dello strumento militare
§ Il riordino dell’organizzazione della Difesa
§ Il rilievo internazionale della politica della Difesa
§ Riordino delle carriere del personale militare
Diritti e libertà fondamentali
§ Immigrazione, asilo, cittadinanza
§ Pari opportunità e non discriminazione
§ Disciplina del Servizio civile nazionale
§ Questioni all’esame delle istituzioni dell’Unione europea
Diritto commerciale e delle società
§ La riforma del diritto societario
§ La riforma delle procedure concorsuali
§ L’introduzione dei princìpi contabili internazionali
§ Riforma dell’ordinamento giudiziario
§ Modifiche alla disciplina del processo penale
§ Interventi sull’esecuzione della pena e sull’ordinamento penitenziario
§ Modifiche alla disciplina del processo civile
§ Interventi di diritto penale
§ Criminalità e sicurezza dei cittadini
§ Misure incidenti sull’ordinamento civile
§ Questioni all’esame delle istituzioni dell’Unione europea
§ Sicurezza degli approvvigionamenti
§ Risparmio ed efficienza energetica
§ Il processo di liberalizzazione dei mercati
§ Il quadro delle competenze: la giurisprudenza costituzionale e la legge di riordino
§ Questioni all’esame delle istituzioni dell’Unione europea
§ Le principali misure di natura fiscale
§ Interventi nel campo della giustizia
§ Iniziative in campo socio sanitario
§ Interventi nel settore della scuola e della formazione
§ Mezzi di comunicazione e tutela dei minori
§ Tutela della maternità e paternità
§ Il nuovo articolo 119 della Costituzione: l’autonomia di entrata e di spesa degli enti territoriali
§ Il tentativo di attuazione del federalismo fiscale
§ Il controllo sulla finanza territoriale: il patto di stabilità interno
§ Gli strumenti per il monitoraggio sulla finanza territoriale
§ L’indebitamento degli enti territoriali
§ La delega per la riforma del sistema fiscale statale
§ La tassazione delle persone fisiche
§ La tassazione delle persone giuridiche e delle imprese
§ Imposte di fabbricazione e di consumo
§ Imposta regionale sulle attività produttive
§ Questioni all’esame delle istituzioni dell’Unione europea
§ Il consolidamento dei sistemi locali e la crescita dimensionale delle imprese
§ La semplificazione dei rapporti tra imprese e pubbliche amministrazioni
§ Il riordino degli strumenti di sostegno e incentivazione
§ Interventi a sostegno dell’innovazione tecnologica nelle piccole e medie imprese
§ La razionalizzazione del sistema di gestione delle crisi industriali
§ La nuova disciplina dell’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza
§ Questioni all’esame delle istituzioni dell’Unione europea
§ Il codice delle comunicazioni elettroniche
§ La “legge Gasparri” e il nuovo assetto della radiotelevisione
§ Le misure di sostegno all’editoria
§ Questioni all’esame delle istituzioni dell’Unione europea
Lavori pubblici, edilizia e politica abitativa
§ Legislazione in materia di lavori pubblici
§ Normativa in materia di edilizia
§ Legislazione in materia di politiche abitative
§ Gli incentivi di carattere valutativo
§ Gli incentivi di carattere automatico
§ Gli strumenti della programmazione negoziata
§ Il Fondo per le aree sottoutilizzate
§ Questioni all’esame delle istituzioni dell’Unione europea
Occupazione, lavoro e professioni
§ Questioni all’esame delle istituzioni dell’Unione europea
§ Vittime del terrorismo e della criminalità
§ Servizi di informazione e sicurezza
§ Sicurezza sussidiaria e polizia locale
§ Attività d’indagine e d’inchiesta delle Camere
Politica economica e privatizzazioni
§ La situazione europea e la riforma del Patto di stabilità e crescita
§ L’evoluzione della finanza pubblica in Italia
§ La procedura di disavanzo eccessivo
§ Le manovre correttive in corso d’anno
§ L’alienazione di beni pubblici
§ Questioni all’esame delle istituzioni dell’Unione europea
Pubblica amministrazione, pubblico impiego e servizi pubblici
§ L’ordinamento delle amministrazioni centrali
§ La disciplina generale dell’attività amministrativa
§ L’“amministrazione digitale”
§ La semplificazione e il riassetto normativo
§ La riforma dei servizi pubblici locali
§ Questioni all’esame delle istituzioni dell’Unione europea
§ Il nuovo Titolo V e la sua attuazione
§ Gli orientamenti della Corte costituzionale
§ Gli interventi per il contenimento e la razionalizzazione della spesa
§ La riforma del Ministero e delle strutture amministrative
§ La nuova disciplina in materia di procreazione medicalmente assistita
§ Provvedimenti in materia di personale
§ Gli interventi contro la tossicodipendenza
§ Misure di contrasto al fenomeno del tabagismo
§ Le attività trasfusionali e le vaccinazioni obbligatorie
§ Spesa in ricerca ed infrastrutture
§ Aspetti specifici della tutela della salute
§ Questioni all’esame delle istituzioni dell’Unione europea
§ Il riparto delle competenze costituzionalmente definite
§ Riordino dell’amministrazione e riassetto delle competenze
§ Istruzione: la “riforma Moratti”
§ Il reclutamento, la formazione e lo stato giuridico dei docenti
§ Le proposte di riforma di iniziativa parlamentare in materia di istruzione
§ L’alta formazione artistica e musicale
§ Questioni all’esame delle istituzioni dell’Unione europea
§ Questioni all’esame delle istituzioni dell’Unione europea
Tutela dei lavoratori, sindacati e sicurezza nel lavoro
§ Sicurezza e salute dei lavoratori
§ Tutela della dignità e dei diritti dei lavoratori
§ Sindacati e partecipazione dei lavoratori
Nel presente capitolo si presentano alcuni dati relativi all’attività della Camera nella XIV legislatura, con specifico riguardo all’attività legislativa.
L’Assemblea ha tenuto complessivamente 756 sedute, per un totale di 4.067 ore e 43 minuti.
All’attività legislativa, l’Assemblea ha dedicato 3.225 ore e 25 minuti, nel corso delle quali ha deliberato 927 progetti di legge.
Il tempo medio di esame dei progetti di legge deliberati dall’Assemblea è stato pari a 4 ore e 23 minuti.
Molto intensa è stata l’attività emendativa: su un totale di 27.072 votazioni qualificate mediante procedimento elettronico, 22.433 hanno riguardato emendamenti. Sono stati approvati, in tutto, 3.450 emendamenti, pari al 15,37 per cento degli emendamenti posti in votazione. Questi ultimi rappresentano il 34,81 per cento degli emendamenti complessivamente presentati (64.427).
All’attività emendativa si è affiancata una significativa attività di indirizzo in relazione ai progetti di legge deliberati dall’Assemblea, con la presentazione di 8.139 ordini del giorno, 2.497 dei quali posti in votazione.
L’attività dell’Assemblea si è svolta in ossequio all’ormai consolidato principio della programmazione dei lavori, in attuazione di 19 programmi e 51 calendari. Il tasso di attuazione di questi ultimi è stato pari all’80,73 per cento.
L’attività delle Commissioni è sintetizzata nella tabella che segue, nella quale si dà conto delle sedute formali e informali tenute nel corso della legislatura.
Commissione |
Sedute formali |
Durata |
Sedute informali |
Durata |
Totale sedute |
Totale durata |
Affari costituzionali |
1.171 |
615h 50m |
571 |
261h 30m |
1.742 |
877h 20m |
Giustizia |
828 |
476h 10m |
392 |
196h 35m |
1.220 |
672h 45m |
Affari esteri |
706 |
362h 20m |
229 |
114h 45m |
935 |
477h 05m |
Difesa |
675 |
251h 30m |
225 |
79h 20m |
900 |
330h 50m |
Bilancio |
1.319 |
723h 00m |
272 |
89h 30m |
1.591 |
812h 00m |
Finanze |
1.032 |
400h 05m |
314 |
156h 20m |
1.346 |
556h 25m |
Cultura |
950 |
481h 20m |
330 |
228h 40m |
1.280 |
710h 00m |
Ambiente |
1.071 |
403h 00m |
382 |
162h 30m |
1.453 |
565h 30m |
Trasporti |
853 |
408h 50m |
369 |
215h 20m |
1.222 |
624h 10m |
Attività produttive |
908 |
397h 50m |
337 |
139h 50m |
1.245 |
537h 40m |
Lavoro |
791 |
449h 40m |
311 |
189h 55m |
1.102 |
639h 35m |
Affari sociali |
937 |
524h 40m |
400 |
224h 35m |
1.337 |
749h 15m |
Agricoltura |
767 |
368h 10m |
381 |
157h 05m |
1.148 |
525h 15m |
Politiche Unione europea |
537 |
208h 50m |
217 |
48h 00m |
754 |
256h 50m |
Riunite |
1.051 |
1.295h 05m |
471 |
324h 05m |
1.522 |
1.619h 20m |
TOTALE |
13.596 |
7.365h 50m |
5.201 |
2.588h 00m |
18.797 |
9.953h 50m |
Nella tabella che segue, si dà conto delle leggi approvate in sede referente ed in sede legislativa per Commissione alla Camera.
Commissione |
Sede referente |
Sede legislativa |
TOTALE |
Affari costituzionali |
61 |
9 |
70 |
Giustizia |
41 |
18 |
59 |
Affari esteri |
239 |
8 |
247 |
Difesa |
6 |
9 |
15 |
Bilancio |
29 |
2 |
31 |
Finanze |
17 |
0 |
17 |
Cultura |
16 |
21 |
37 |
Ambiente |
25 |
4 |
29 |
Trasporti |
15 |
3 |
18 |
Attività produttive |
15 |
5 |
20 |
Lavoro |
14 |
8 |
22 |
Affari sociali |
19 |
6 |
25 |
Agricoltura |
18 |
3 |
21 |
Politiche Unione europea |
7 |
0 |
7 |
Riunite |
62 |
1 |
63 |
Commissione speciale per l’esame dei ddl di conversione |
6 |
0 |
6 |
TOTALE |
590 |
97 |
687 |
46 ulteriori progetti di legge risultano, al termine della legislatura, in stato di relazione (cioè deliberati dalle Commissioni) o all’esame dell’Assemblea, come risulta dal seguente prospetto:
Commissione |
Pdl all’esame dell’Assemblea |
Pdl in stato di relazione |
Totale pdl |
Affari costituzionali |
5 |
3 |
8 |
Giustizia |
3 |
10 |
13 |
Affari esteri |
0 |
5 (di cui 3 ratifiche) |
5 |
Difesa |
0 |
1 |
1 |
Bilancio |
0 |
1 |
1 |
Finanze |
1 |
3 |
4 |
Cultura |
1 |
1 |
2 |
Ambiente |
0 |
1 |
1 |
Trasporti |
1 |
1 |
2 |
Attività produttive |
0 |
0 |
0 |
Lavoro |
2 |
2 |
4 |
Affari sociali |
0 |
0 |
0 |
Agricoltura |
1 |
1 |
2 |
Politiche Un.europea |
0 |
0 |
0 |
Riunite |
2 |
1 |
3 |
Totale |
16 |
30 |
46 |
Il numero relativamente basso di progetti di legge deliberati dalle Commissioni e che non sono giunti all’approvazione da parte dell’Assemblea (46 su 697 provvedimenti complessivamente conclusi dalle Commissioni in sede referente) pone in luce l’efficienza del sistema della programmazione dei lavori, come risultante dalle modifiche regolamentari del 1997.
Infine, 44 progetti di legge risultano approvati dalla Camera e trasmessi al Senato e, specularmente, 24 progetti di legge sono stati approvati dal Senato e trasmessi alla Camera.
Tenendo conto dell’attività legislativa nel complesso, quindi, nella XIV legislatura sono state approvate 687 leggi;
44 progetti di legge deliberati dalla Camera risultano all’esame del Senato; 24 progetti di legge deliberati dal Senato risultano all’esame della Camera;
46 progetti di legge risultano in stato di relazione o all’esame dell’Assemblea.
1.321 sono gli atti normativi di rango primario o derivanti da processi di delegificazione[1] emanati nella XIV legislatura (dal 30 maggio 2001 al 15 aprile 2006);
La media mensile si attesta su 22,55 atti normativi.
Media mensile e ripartizione percentuale per tipologia di atto normativo[2]
![]() |
687 sono le leggi approvate definitivamente nella XIV legislatura (comprese tre leggi costituzionali, di cui 1 in attesa di pubblicazione[3])
La media mensile di approvazione delle leggi è pari a 11,73.
I dati illustrati comprendono il totale delle leggi approvate nella XIV legislatura ed evidenziano il peso rappresentato dalle leggi di ratifica (231) e dalle leggi di conversione (200).Le leggi di bilancio e collegate sono 29[4]; tutte le altre leggi (incluse le leggi costituzionali, le leggi comunitarie e le leggi di semplificazione) ammontano a 227.
Composizione della produzione legislativa
![]() |
Le leggi di iniziativa governativa sono 539; le leggi di iniziativa parlamentare sono 137; le leggi di iniziativa mista sono 11. Per iniziativa mista si intendono i provvedimenti derivanti dall’adozione di testi unificati di proposte di legge di iniziativa parlamentare e di disegni di legge governativi.
![]() |
Nella legislatura, sono state approvate 540 leggi con il normale procedimento in sede referente; 146 leggi sono state approvate in sede legislativa; 1 legge è stata approvata in sede redigente.
![]() |
Le leggi di conversione dei decreti-legge sono 200 e rappresentano il 29,1% della produzione legislativa.
216 sono i decreti-legge emanati nella XIV legislatura, mentre erano 9 i decreti-legge emanati nella precedente legislatura in vigore alla data del 30 maggio 2001 (inizio della XIV).
Esito dei decreti-legge
|
convertiti con modificazioni |
convertiti senza modificazioni |
non convertiti nei termini costituzionali |
respinti |
in vigore al 15 aprile 2006 |
Totale |
Emanati nella XIV legislatura |
176 |
16 |
21 |
1 |
2 |
216 |
trascinati dalla XIII |
4 |
4 |
1 |
0 |
0 |
9 |
Totale XIV
|
180
|
20
|
22
|
1
|
2
|
225
|
44 sono le leggi delega pubblicate nella XIV legislatura
0,75 è la media mensile delle leggi delega pubblicate
712 è il numero delle deleghe contenute in tali leggi
Le leggi delega nella XIV legislatura
Deleghe primarie
|
Deleghe integrative e correttive
|
|
Ordinarie |
Comunitarie |
|
129 |
256 |
327 |
La tipologia delle deleghe
![]() |
285 è il numero dei decreti legislativi pubblicati nella XIV legislatura
4,87 è la media mensile dei decreti legislativi pubblicati nella XIV legislatura
D.Lgs. primari
|
D.Lgs. integrativi e correttivi
|
|
Ordinari |
Comunitari |
|
84 |
148 |
53 |
Attuazione delle deleghe della legislatura
39 sono i provvedimenti di autorizzazione all’adozione di regolamenti di delegificazione pubblicati nella XIV legislatura; di questi provvedimenti 25 sono leggi e 14 sono decreti legislativi
60 è il numero di autorizzazioni alla delegificazione contenute in tali provvedimenti
133 è il numero di regolamenti delegificazione pubblicati nella XIV legislatura
2,27 è la media mensile dei regolamenti di delegificazione pubblicati nella XIV legislatura
I provvedimenti di autorizzazione alla delegificazione
nella XIV legislatura
legislatura |
Provvedimenti di delegificazione |
Autorizzazioni alla delegificazione |
Autorizzazioni alla delegificazione non attuate |
Regolamenti di delegificazione pubblicati al 15.4.2006[6] |
XIV |
39 |
60 |
54 |
7 |
I regolamenti di delegificazione nella XIV legislatura
legislatura |
Totale |
Attuativi di autorizz. ordinaria |
Attuativi di leggi comunitarie |
Modificativi di precedenti regolamenti |
XIV |
133 |
91 |
4 |
38 |
Nei primi mesi della XIV legislatura risultano emanati 30 regolamenti risalenti al Governo Amato II, in carica alla fine della legislatura precedente.
Dei 133 regolamenti emanati nella XIV legislatura: 7 regolamenti sono stati autorizzati da leggi approvate nel corso della XIV legislatura; 123 sono stati emanati sulla base di autorizzazioni recate in leggi approvate nella XIII legislatura; 2 regolamenti hanno la loro base giuridica in leggi della XI legislatura e 1 in una legge della X legislatura.
Tipologia dei regolamenti di delegificazione
![]() |
Nella presente sezione si mostra l’andamento della produzione normativa nel corso della legislatura, che allo scopo è stata sezionata in sei periodi: il periodo iniziale (dal 30 maggio al 31 dicembre 2001), gli anni centrali (2002, 2003, 2004 e 2005) ed il periodo finale. Il presente aggiornamento si arresta al 15 aprile 2006 (l’intero periodo avrà termine il 27 aprile 2006, visto che la prima riunione delle nuove Camere avrà luogo il 28 aprile).
L’andamento della produzione normativa registra una crescita costante fino al terzo anno, un calo nel quarto anno ed una ripresa lieve nel quinto anno e più impetuosa nell’ultimo periodo, che si colloca a livelli decisamente superiori rispetto a tutti gli altri periodi considerati.
La media mensile dei decreti-legge, fisiologicamente alta nel periodo iniziale, fa registrare un evidente calo nel 2002, una leggera crescita nel 2003, per poi calare negli anni successivi. I primi mesi del 2006 fanno registrare un nuovo aumento, ancora fisiologico.
L’andamento dei decreti legislativi è pressoché speculare all’andamento delle leggi, fatta eccezione per un lieve calo che si registra nel secondo anno della legislatura.
|
Leggi |
Media mensile |
D.L. |
Media mensile |
Decreti legislativi |
Media mensile |
Totale atti |
Media mensile |
dal 30/5 al 31/12/2001 |
56 |
7,92 |
32 |
4,53 |
23 |
3,25 |
111 |
15,70 |
2002 |
130 |
10,83 |
44 |
3,67 |
31 |
2,58 |
205 |
17,08 |
2003 |
171 |
14,25 |
48 |
4,00 |
70 |
5,83 |
289 |
24,08 |
2004 |
119 |
9,92 |
42 |
3,50 |
58 |
4,83 |
219 |
18,25 |
2005 |
128 |
10,67 |
37 |
3,08 |
74 |
6,17 |
239 |
19,92 |
2006 (al 15 aprile) |
83 |
23,71 |
13 |
3,71 |
29 |
8,29 |
125 |
35,71 |
Totale XIV legislatura |
687 |
11,73 |
216 |
3,69 |
285 |
4,87 |
1.188 |
20,28 |
Atti normativi per periodi della legislatura[7]
Le sedi di approvazione anno per anno
|
Totale leggi |
Referente |
% |
Legislativa |
% |
Redigente |
% |
dal 30/5 al 31/12/2001 |
56 |
47 |
83,9% |
9 |
16,1% |
0 |
0,0% |
2002 |
130 |
106 |
81,5% |
23 |
17,7% |
1 |
0,8% |
2003 |
171 |
135 |
78,9% |
36 |
21,1% |
0 |
0,0% |
2004 |
119 |
94 |
79,0% |
25 |
21,0% |
0 |
0,0% |
2005 |
128 |
98 |
76,6% |
30 |
23,4% |
0 |
0,0% |
2006 (al 15/4) |
83 |
60 |
72,3% |
23 |
27,7% |
0 |
0,0% |
Totale legislatura |
687 |
540 |
78,6% |
146 |
21,3% |
1 |
0,1% |
La decretazione d’urgenza
mesi |
D.L. |
media mensile per periodo |
media mensile dal 30/5/01-31/12/01 |
media mensile dal 30/5/01-31/12/02 |
media mensile dal 30/5/01-31/12/03 |
media mensile dal 30/5/01-31/12/04 |
media mensile dal 30/5/01-31/12/05 |
media mensile dal 30/5/01-15/4/06 |
|
dal 30/5 al 31/12/01 |
7,07 |
32 |
4,53 |
4,53 |
3,99 |
3,99 |
3,85 |
3,69 |
3,69 |
dall’1/1 al 31/12/02 |
12 |
44 |
3,67 |
|
|||||
dall’1/1 al 31/12/03 |
12 |
48 |
4,00 |
|
|
||||
dall’1/1 al 31/12/04 |
12 |
42 |
3,50 |
|
|
|
|||
dall’1/1 al 31/12/05 |
12 |
37 |
3,08 |
|
|
|
|
||
dall’1/1 al 15/4/06 |
3,50 |
13 |
3,71 |
|
|
|
|
|
|
Totale |
58,57 |
216 |
|
|
|
|
|
|
|
Le leggi delega nella XIV legislatura
|
leggi delega |
disposizioni di delega |
dal 30/5 al |
3 |
12 |
2002 |
5 |
167 |
2003 |
11 |
250 |
2004 |
10 |
50 |
2005 |
13 |
161 |
2006 (al 15/4) |
2 |
72 |
Totale legislatura |
44 |
712 |
|
disposizioni di delega |
deleghe
ordinarie |
deleghe
comunitarie |
deleghe
integrative e correttive |
dal 30/5 al |
12 |
8 |
-- |
4 |
2002 |
167 |
25 |
65 |
77 |
2003 |
250 |
45 |
93 |
112 |
2004 |
50 |
24 |
-- |
26 |
2005 |
161 |
33 |
55 |
73 |
2006 (al 15/4) |
72 |
1 |
36 |
35 |
Totale legislatura |
712 |
136 |
249 |
327 |
I decreti legislativi nella XIV legislatura
|
decreti legislativi |
decreti
legislativi primari |
decreti
legislativi correttivi |
dal 30/5 al |
23 |
20 |
3 |
2002 |
31 |
20 |
11 |
2003 |
70 |
57 |
13 |
2004 |
58 |
43 |
15 |
2005 |
74 |
65 |
9 |
2006 (al 15/4) |
29 |
27 |
2 |
Totale legislatura |
285 |
232 |
53 |
|
decreti
legislativi primari |
decreti
legislativi ordinari |
decreti
legislativi comunitari |
dal 30/5 al |
20 |
9 |
11 |
2002 |
20 |
8 |
12 |
2003 |
57 |
14 |
43 |
2004 |
43 |
14 |
29 |
2005 |
65 |
20 |
45 |
2006 (al 15/4) |
27 |
20 |
7 |
Totale legislatura |
232 |
85 |
147 |
|
decreti
legislativi correttivi |
decreti legislativi correttivi primari |
decreti
legislativi correttivi comunitari |
dal 30/5 al 31/12/2001 |
3 |
2 |
1 |
2002 |
11 |
8 |
3 |
2003 |
13 |
12 |
1 |
2004 |
15 |
11 |
4 |
2005 |
9 |
7 |
2 |
2006 (al 15/4) |
2 |
1 |
1 |
Totale legislatura |
53 |
41 |
12 |
I
provvedimenti di autorizzazione alla delegificazione
nella XIV legislatura
|
Provvedimenti di delegificazione |
Autorizzazioni alla delegificazione |
Autorizzazioni alla delegificazione non attuate |
Regolamenti di delegificazione pubblicati al 15.4.2006[8] |
2001 (dal 30/5) |
4 |
6 |
5 |
1 |
2002 |
8 |
12 |
9 |
3 |
2003 |
8 |
13 |
12 |
2 |
2004 |
7 |
11 |
10 |
1 |
2005 |
9 |
13 |
13 |
-- |
2006 (al 15/4) |
3 |
5 |
5 |
-- |
Totale legislatura |
39 |
60 |
54 |
7 |
I regolamenti di delegificazione nella XIV legislatura
|
Regolamenti |
Regolamenti ordinari |
Regolamenti modificativi |
Regolamenti attuativi legge comunitaria (c) |
2001 (dal 30/5) |
44 |
38 |
4 |
2 |
2002 |
34 |
22 |
11 |
1 |
2003 |
24 |
13 |
10 |
1 |
2004 |
17 |
7 |
10 |
-- |
2005 |
12 |
9 |
3 |
-- |
2006 (al 15/4) |
2 |
2 |
-- |
-- |
Totale legislatura |
133 |
91 |
38 |
4 |
Testi unici e codici nella XIV legislatura
|
Disposizioni che prevedono l’emanazione di testi unici, codici ed il riassetto normativo di settori dell’ordinamento |
2001 (dal 30/5) |
-- |
2002 |
6 |
2003 |
17 |
2004 |
12 |
2005 |
12 |
2006 (al 15/4) |
1 |
Totale legislatura |
48 |
|
Testi unici |
Testi unici misti |
Codici |
Disposizioni di riassetto normativo |
2001 (dal 30/5) |
-- |
2 |
-- |
-- |
2002 |
-- |
2 |
-- |
-- |
2003 |
-- |
1 |
2 |
-- |
2004 |
-- |
1 |
1 |
-- |
2005 |
1 |
-- |
5 |
-- |
2006 (al 15/4) |
-- |
-- |
-- |
3(*) |
Totale legislatura |
1 |
6 |
8 |
3 |
(*) Si tratta del D.Lgs. 21 novembre 2005, n. 286, “Disposizioni per il riassetto normativo in materia di liberalizzazione regolata dell’esercizio dell’attività di autotrasportatore” (adottato in base all’art. 1, co. 1, della Legge 1 marzo 2005, n. 32); D.Lgs. 8 marzo 2006, n. 139, “Riassetto delle disposizioni relative alle funzioni ed ai compiti del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, a norma dell’articolo 11 della legge 29 luglio 2003, n. 229“; D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, “Norme in materia ambientale” (adottato in base all’art. 1, co. 1, della Legge 15 dicembre 2004, n. 308).
Il Regolamento della Camera dei deputati prevede 14 Commissioni permanenti (articolo 22, comma 1), che sono chiamate ad esaminare, in sede referente o legislativa o redigente, tutti i progetti di legge e a svolgere le funzioni di indirizzo, ispettive e di controllo, nonché le attività conoscitive disciplinate dal Regolamento medesimo.
Gli ambiti di competenza delle Commissioni permanenti sono individuati per materia. Ogni progetto di legge e ogni schema di atto normativo del Governo, su cui è previsto il parere delle Commissioni parlamentari, viene, infatti, assegnato alla Commissione nel cui ambito di competenza è compresa la materia o le materie affrontate nell’atto stesso. L’individuazione delle competenze delle 14 Commissioni permanenti deve pertanto risultare idonea a “coprire” tutte le materie che possono essere oggetto di disciplina nell’ambito dell’ordinamento nazionale.
Accade peraltro di frequente che un medesimo atto intervenga su più materie o su più profili di un’unica materia che afferiscono agli ambiti di competenza di diverse Commissioni. In questi casi, ai fini dell’assegnazione, si individua la Commissione cui spetta una competenza prevalente. Nel caso dell’attività legislativa, le Commissioni il cui ambito di competenza è comunque investito, seppure non in misura prevalente, dalle disposizioni contenute nel progetto di legge, possono intervenire nel procedimento di esame attraverso l’espressione, in sede consultiva, di un parere destinato alla Commissione competente in via primaria. Se i contenuti del provvedimento incidono in misura rilevante sulle materie spettanti alla Commissione competente in sede consultiva, al parere di quest’ultima può essere attribuita una particolare efficacia procedurale (parere rinforzato): in questo caso, se la Commissione competente in via primaria, esaminando il provvedimento in sede legislativa, non si adegua al parere, il provvedimento è rimesso all’esame dell’Assemblea.
In modo analogo, quando si tratta di attività di controllo su schemi di atti normativi del Governo, l’intervento delle Commissioni comunque coinvolte ha luogo mediante l’espressione di rilievi trasmessi alla Commissione competente ad esprimere il parere al Governo.
In via residuale, se non è possibile individuare un’unica Commissione che abbia la competenza principale sulle materie dell’atto, si procede ad assegnare quest’ultimo a due, o anche più, Commissioni riunite.
La definizione dell’ambito di competenza di ciascuna Commissione permanente, oltre a presiedere all’assegnazione alle singole Commissione dei progetti di legge e degli schemi di atti normativi del Governo, individua anche le materie sulle quali ciascuna di esse può procedere all’adozione di atti di indirizzo (risoluzioni), allo svolgimento di atti di sindacato ispettivo (interrogazioni), all’espressione del parere su atti del Governo che non abbiano carattere normativo e all’effettuazione di attività conoscitive (audizioni e indagini conoscitive).
Il Regolamento della Camera definisce, per ciascuna Commissione permanente, in termini generali, il settore su cui la Commissione ha competenza. Si dedicano alle questioni relative all’area istituzionale la I Commissione (Affari Costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni) e la II Commissione (Giustizia). Hanno competenze riconducibili all’area dei rapporti internazionali e della difesa la III Commissione (Affari esteri e comunitari), la IV Commissione (Difesa) e la XIV Commissione (Politiche dell’Unione europea). Esaminano gli atti che intervengono nell’area economica, finanziaria e produttiva la V Commissione (Bilancio, tesoro e programmazione), la VI Commissione (Finanze), l’VIII Commissione (Ambiente, territorio e lavori pubblici), la IX Commissione (Trasporti, poste e telecomunicazioni), la X Commissione (Attività produttive, commercio e turismo) e la XIII Commissione (Agricoltura). Operano, infine, nell’area culturale e sociale la VII Commissione (Cultura, scienza e istruzione), l’XI Commissione (Lavoro pubblico e privato) e la XII Commissione (Affari sociali).
Il Regolamento, oltre ad individuare, nei termini sopra riportati, i grandi settori su cui le singole Commissioni permanenti sono competenti, demanda al Presidente della Camera il compito di specificare ulteriormente tali ambiti di competenza (articolo 22, comma 1-bis). La specificazione, che risponde proprio all’esigenza di fissare regole certe e precise per l’assegnazione dei progetti di legge e degli schemi di atti normativi del Governo, è stata effettuata con la circolare del Presidente della Camera del 16 ottobre 1996.
Sulla base della circolare richiamata risulta possibile definire in modo più organico e puntuale gli ambiti di competenza di ciascuna Commissione permanente.
La I Commissione (Affari costituzionali, della Presidenza del Consiglio e Interni) ha competenza, innanzitutto, in materia costituzionale. Sono pertanto assegnati alla I Commissione i progetti di legge costituzionale (leggi di revisione della Costituzione e leggi costituzionali).
In secondo luogo, la I Commissione è competente in materia di disciplina delle fonti del diritto (in particolare, le norme sulla legislazione) e in materia di disciplina generale della pubblica amministrazione. Quest’ultimo ambito comprende sia l’attività (disciplina del procedimento amministrativo) sia l’organizzazione dell’amministrazione pubblica, per quanto concerne il livello statale, il livello regionale e locale e gli altri enti pubblici.
Sono quindi competenza della Commissione i progetti di legge, gli schemi di atti del Governo e gli atti dei parlamentari in materia di organizzazione dell’amministrazione dello Stato, quando si tratti dell’istituzione o soppressione o vera e propria riforma di uno o più Ministeri (sono invece assegnati alle Commissioni competenti per materia, con il parere della I Commissione, gli atti relativi all’organizzazione e alle funzioni di singole strutture e settori di attività, nell’ambito di un determinato Ministero). Sono parimenti assegnati alla I Commissione gli atti concernenti l’ordinamento regionale e l’ordinamento degli enti locali. La I Commissione è altresì competente in materia di disciplina generale degli enti pubblici, istituzione e organizzazione delle autorità amministrative indipendenti, funzioni non giurisdizionali del Consiglio di Stato e funzioni della Corte dei conti.
In terzo luogo, sono attribuite alla I Commissione, per l’incidenza che rivestono rispetto all’ordinamento generale dell’amministrazione pubblica, le questioni relative allo stato giuridico ed economico dei dirigenti pubblici e del personale ad essi equiparato, compreso il trattamento economico dei docenti universitari, ma escluso quello giuridico ed economico dei giudici (di competenza della II Commissione Giustizia).
La I Commissione, infine, ha competenza su alcuni determinati settori dell’attività amministrativa, riconducibili alle funzioni della Presidenza del Consiglio dei ministri e del Ministero dell’interno. In particolare, sono compresi nell’ambito di competenza della I Commissione gli affari della Presidenza del Consiglio, con esclusione dell’editoria (spettante alla VII Commissione Cultura) e della protezione civile (spettante alla VIII Commissione Ambiente); la disciplina dei servizi di informazione e sicurezza; le materie relative a cittadinanza e immigrazione; l’ordine pubblico e la polizia di sicurezza; gli affari del culto. Nell’ambito delle competenze in materia di ordine pubblico è compreso anche l’ ordinamento delle forze di polizia e loro stato giuridico ed economico.
Alle competenze della I Commissione in materia di affari costituzionali si connette l’attribuzione del parere rinforzato su tutti i progetti di legge assegnati ad altre Commissioni permanenti in ordine agli aspetti di legittimità costituzionale e sotto il profilo delle competenze normative e della legislazione generale dello Stato. Con deliberazione assunta dalla Giunta per il Regolamento in data 16 ottobre 2001, in vista della entrata in vigore della legge costituzionale recante modifiche al Titolo V della parte seconda della Costituzione, la competenza in sede consultiva della I Commissione è stata specificamente indirizzata alla verifica circa la sussistenza della potestà legislativa dello Stato in relazione al contenuto delle iniziative legislative all’esame sia delle Commissioni permanenti sia dell’Assemblea.
La II Commissione (Giustizia) ha competenza su due grandi sfere, corrispondenti, rispettivamente, al sistema giudiziario e penitenziario e alle strutture fondamentali dell’ordinamento giuridico.
Le competenze relative al sistema giudiziario interessano l’organizzazione e il funzionamento della giustizia ordinaria, amministrativa e militare e del contenzioso tributario; l’ordinamento giudiziario; lo stato giuridico ed economico dei magistrati ordinari e amministrativi. La competenza relativa alla giustizia amministrativa comprende il Consiglio di Stato (per quanto concerne le funzioni giurisdizionali), i tribunali amministrativi regionali e la disciplina del processo amministrativo.
Alle competenze relative al sistema giudiziario si associano quelle in materia di criminalità e di sistema penitenziario, che includono l’organizzazione e il funzionamento della polizia giudiziaria e le misure di prevenzione.
In terzo luogo la II Commissione ha competenza sulle strutture fondamentali dell’ordinamento giuridico nazionale, vale a dire sulla normativa recata dai quattro codici (codice civile, di procedura civile, penale e di procedura penale) e sui progetti di legge in materia di ordinamento dello stato civile e di diritto della famiglia. In relazione alla competenza in materia di codice civile, sono attribuite alla II Commissione i progetti di legge in materia di disciplina dei contratti e di disciplina dei profili ordinamentali delle società commerciali.
Per quanto concerne le competenze della II Commissione in sede consultiva, la circolare del Presidente della Camera del 16 ottobre 1996 prevede l’assegnazione a tale Commissione del parere rinforzato sui progetti di legge che recano disposizioni sanzionatorie. La II Commissione esprime altresì parere rinforzato sui progetti di legge relativi ad ordini e collegi professionali che, in relazione all’attività professionale considerata, siano assegnati in via principale ad una diversa Commissione permanente.
Nell’area dei rapporti internazionali, opera in primo luogo la III Commissione (Affari esteri e comunitari), che è competente in materia di relazioni con gli altri Stati e con l’Unione europea. Sono pertanto assegnati alla III Commissione tutti i disegni di legge di ratifica di trattati internazionali, ivi compresi i trattati istitutivi delle Comunità e dell’Unione europea e le successive revisioni, i trattati di adesione o associazione di altri paesi e i trattati stipulati dalle Comunità e dagli Stati membri con soggetti terzi. Sono inoltre di competenza della III Commissione i rapporti con le organizzazioni internazionali. Se si è in presenza di ratifiche di trattati che intervengono su settori specifici, il disegno di legge può essere assegnato anche alla III Commissione e alla Commissione competente per materia in sede riunita.
Alla competenza della III Commissione in materia di affari esteri si associano quelle relative all’emigrazione e quelle relative alla vendita di armi all’estero. Sono altresì assegnati alla III Commissione i progetti di legge che riguardano il commercio internazionale, nel caso in cui siano prevalenti i profili di politica estera (in caso diverso, quando si tratti di progetti volti a disciplinare esclusivamente profili di carattere commerciale, la competenza spetta alla X Commissione Attività produttive).
Alla IV Commissione (Difesa) sono assegnati i progetti di legge, gli atti del Governo e gli atti parlamentari concernenti la difesa e le forze armate. Sono pertanto di competenza della IV Commissione tutti i provvedimenti che riguardano l’ordinamento delle forze armate; lo stato giuridico ed economico del personale militare; le dotazioni (di personale e strumentali) delle forze armate. In relazione alle questioni attinenti alla dotazione strumentale delle forze armate, la IV Commissione è competente anche in materia di politica degli armamenti (ma non in materia di vendita all’estero di armi, che, come detto, spetta alla III Commissione).
Accade peraltro di frequente che questioni di politica estera siano connesse con tematiche inerenti alla sicurezza nazionale e alla difesa o all’impiego delle forze armate anche al di fuori del territorio nazionale. La circolare del Presidente della Camera del 16 ottobre 1996 contempla espressamente questa ipotesi, prevedendo che la trattazione di tali questioni venga svolta da parte delle Commissioni riunite III e IV.
Sono invece assegnati alla IV Commissione (con il parere della I Commissione) i progetti di legge e gli altri atti relativi all’impiego delle forze armate in funzioni di tutela dell’ordine pubblico.
In ambito internazionale opera anche la XIV Commissione (Politiche dell’Unione europea). Mentre la Commissione III considera i rapporti tra lo Stato italiano e l’Unione europea o gli altri Stati membri in quanto soggetti distinti di diritto internazionale, alla XIV Commissione è affidato il compito di seguire l’evoluzione delle politiche dell’Unione europea. La XIV Commissione è pertanto incaricata di esaminare sia gli atti normativi adottati dalle istituzioni comunitarie (il cosiddetto diritto comunitario derivato) sia, per quanto riguarda l’ordinamento nazionale, i progetti di legge e gli schemi di atti del Governo relativi all’attuazione di norme comunitarie. Considerato, peraltro, che il diritto comunitario e il diritto nazionale concorrono a definire la disciplina di molti settori, in particolare dell’economica, la normativa comunitaria e la normativa nazionale di attuazione sono normalmente affidate all’esame sia della Commissione competente per materia, sia della XIV Commissione.
Sono pertanto assegnati alla Commissione competente per materia e alla XIV Commissione le proposte di atti normativi comunitari e gli atti normativi adottati dalle istituzioni comunitarie (Parlamento europeo, Consiglio dei ministri dell’Unione europea e Commissione europea). Nel caso di proposte di atti normativi, le Commissioni suddette possono svolgere un dibattito con l’intervento del Ministro competente, che può anche concludersi con l’adozione di un atto di indirizzo nei confronti del Governo. Nel caso di atti normativi comunitari, l’atto è assegnato alla Commissione competente per materia (che, in esito all’esame, può esprimere in un documento finale il proprio avviso sull’opportunità di ulteriori iniziative), con il parere della XIV Commissione.
Quanto alla normativa nazionale di attuazione dell’ordinamento comunitario, la XIV Commissione esamina, in sede referente, secondo le modalità previste dall’articolo 126-ter del Regolamento, il disegno di legge comunitaria e, contemporaneamente, la relazione annuale sulla partecipazione dell’Italia al processo normativo dell’Unione europea. Secondo una procedura sostanzialmente analoga a quella adottata per l’esame della citata relazione, la XIV Commissione esamina il Programma di lavoro della Commissione delle Comunità europee, il Programma operativo del Consiglio europeo, nonché il Programma strategico pluriennale.
In sede consultiva, la XIV Commissione esprime parere, rispettivamente, alla Commissione competente per materia e al Governo, sui progetti di legge e sugli schemi di atti normativi del Governo di attuazione della normativa comunitaria. Sempre in sede consultiva la Commissione XIV è chiamata, in generale, ad esaminare tutti i progetti di legge che presentino profili di compatibilità con la normativa comunitaria, esprimendo su di essi un parere rinforzato.
Passando all’area economica, le competenze della V Commissione (Bilancio, tesoro e programmazione) possono essere ricondotte a quattro ambiti fondamentali: politica economica e finanziaria e politica monetaria (per i profili che, dopo l’introduzione dell’euro, rimangono ancora di rilevanza nazionale); legislazione in materia di bilancio e contabilità di Stato; finanza regionale e locale; politiche di sviluppo del Mezzogiorno.
Per quanto concerne la politica economica e finanziaria, la V Commissione ogni anno, nel mese di luglio, esamina il documento di programmazione economico-finanziaria (DPEF), su cui presenta una relazione all’Assemblea, e, nella sessione di bilancio, esamina in sede referente, congiuntamente, il disegno di legge finanziaria e il disegno di legge di bilancio. Sono altresì assegnati alla V Commissione i provvedimenti collegati alla manovra di finanza pubblica, ovvero i disegni di legge presentati nel corso dell’esercizio (le cosiddette “manovre infrannuali”), che siano costituiti da interventi plurisettoriali rivolti alla finalità principale di conseguire determinati obiettivi di politica economica e finanziaria. Sono invece assegnati alle singole Commissioni competenti per materia i provvedimenti collegati esaminati al di fuori della sessione di bilancio, che riguardino esclusivamente specifici settori e rechino riforme di carattere ordinamentale. Il complesso dei disegni di legge di competenza della V Commissione concernenti la gestione annuale del bilancio dello Stato e della finanza pubblica è completato dal disegno di legge di approvazione del rendiconto relativo all’esercizio precedente e del disegno di legge di assestamento del bilancio per l’esercizio in corso.
Nell’ambito della determinazione degli indirizzi fondamentali di politica economica si colloca anche l’assegnazione alla V Commissione delle competenze in materia di aspetti generali della politica di privatizzazione e di determinazione dei relativi profili ordinamentali. Spetta invece alle Commissioni competenti per materia l’esame delle singole operazioni di privatizzazione.
In secondo luogo, la V Commissione è competente sui progetti di legge e sugli schemi di atti normativi del Governo relativi all’ordinamento contabile dello Stato (struttura del bilancio dello Stato, contenuti e funzione degli strumenti di programmazione economica e finanziaria e di decisione della manovra di finanza pubblica, procedimenti di gestione delle entrate e delle spese di spettanza dello Stato, tesoreria) e alla contabilità degli enti pubblici, con particolare riferimento ai profili di armonizzazione con la contabilità dello Stato.
Le competenze della V Commissione in materia di finanza regionale e locale riguardano l’ordinamento contabile degli enti locali, i trasferimenti statali alle regioni e agli enti locali e, più in generale, la regolazione dei rapporti finanziari tra lo Stato e gli altri enti territoriali. Sono invece di competenza della VI Commissione (Finanze) l’istituzione e la disciplina di tributi regionali e locali.
La V Commissione, infine, è competente in materia di politiche di sviluppo del Mezzogiorno: la competenza riguarda sia la gestione dei fondi strutturali destinati alle regioni in ritardo di sviluppo, sia gli strumenti della legislazione nazionale destinati in modo specifico a sostenere lo sviluppo economico di tali regioni.
Una parte molto rilevante dell’attività della V Commissione viene svolta peraltro in sede consultiva. Sono infatti assegnati alla V Commissione, ai fini dell’espressione del parere, tutti i progetti di legge, nonché gli emendamenti e gli articoli aggiuntivi, ai fini della valutazione delle loro conseguenze finanziarie. Il parere della V Commissione non ha soltanto gli effetti del parere rinforzato (in caso di mancato adeguamento, remissione all’Assemblea di un progetto di legge esaminato in sede legislativa). Il Regolamento della Camera prevede altresì che, se la Commissione competente in sede referente non si sia adeguata al parere contrario o alle condizioni formulate dalla V Commissioni ai fini del rispetto delle previsioni costituzionali in materia di copertura finanziaria delle disposizioni onerose, il parere della V Commissione si traduca, in fase di esame da parte dell’Assemblea, in corrispondenti emendamenti soppressivi o modificativi.
Analogamente la V Commissione esprime, sugli schemi di atti normativi del Governo che implichino entrate o spese, i propri rilievi sulle conseguenze di carattere finanziario, che sono trasmessi alla Commissione competente per materia e allegati al parere di quest’ultima.
Anche la VI Commissione (Finanze) ha un ambito di competenze assai ampio, che comprende settori differenziati: l’ordinamento tributario; il settore creditizio e finanziario; la disciplina dell’attività delle società commerciali; la normativa in materia di demanio e patrimonio dello Stato e degli enti territoriali.
Più precisamente, le competenze relative all’ordinamento tributario riguardano la disciplina dei vari tributi, compresa la disciplina delle verifiche tributarie e dei controlli fiscali e la disciplina statale in materia di tributi regionali e locali. Spetta tuttavia alla II Commissione (Giustizia) la disciplina della giustizia tributaria (Commissioni tributarie e disciplina procedurale dei ricorsi).
Come previsto dalla citata circolare del 16 ottobre 1996, la VI Commissione esprime in ogni caso parere rinforzato sulle disposizioni di carattere tributario recate da progetti di legge che, in base ai loro contenuti, siano stati assegnati a una diversa Commissione permanente.
Le competenze sul settore creditizio e finanziario riguardano la normativa in materia di banche e attività creditizie, quella relativa alla borsa e ai mercati finanziari, quella relativa alle assicurazioni. Di conseguenza, ricade nelle competenze della VI Commissione anche la disciplina delle funzioni e delle attività delle autorità di vigilanza sui settori creditizio, finanziario e assicurativo, tra cui la Banca d’Italia, considerata non come autorità di politica monetaria (su cui è competente la V Commissione), ma come autorità di vigilanza del settore creditizio.
Le competenze della VI Commissione in materia di diritto commerciale si riferiscono al profilo dell’attività delle società commerciali, mentre il profilo della loro disciplina ordinamentale spetta, come detto, alla II Commissione. Quando i due aspetti risultino strettamente connessi e non sia possibile effettuare una valutazione di prevalenza, il provvedimento è assegnato alle due Commissioni riunite (come, ad esempio, il disegno di legge delega di riforma del diritto societario e gli schemi dei decreti legislativi di attuazione).
L’assegnazione alla VI Commissione delle competenze sul demanio e patrimonio statale discende dal fatto che tali materie hanno tradizionalmente costituito, insieme con la disciplina dei tributi, l’ambito di competenza dell’amministrazione delle finanze (preposta, appunto, alla gestione delle entrate e del patrimonio). La VI Commissione è altresì competente per quanto concerne la disciplina del demanio e del patrimonio degli enti territoriali diversi dallo Stato.
Le competenze dell’VIII Commissione (Ambiente, territorio e lavori pubblici) sono riconducibili ad ambiti materiali assai ampi e differenziati. L’VIII Commissione è competente, infatti, in materia di ambiente, di territorio, di infrastrutture e di legislazione concernente gli appalti pubblici.
Le competenze in materia di ambiente riguardano, in particolare, le finalità, gli strumenti e gli interventi di protezione dell’ambiente e comprendono la normativa concernente parchi e riserve naturali, protezione dei boschi e delle foreste, tutela paesistica, salvaguardia degli elementi ambientali fondamentali, quali il suolo, l’aria, l’acqua.
Strettamente connesse alle competenze relative all’ambiente (e, non di rado, difficilmente distinguibili da queste ultime), sono le competenze attinenti al territorio, che possono essere ricondotte ai due ambiti principali della protezione civile e degli interventi conseguenti alle calamità naturali, da un lato, e del governo del territorio e dell’urbanistica, dall’altro. La competenza in materia urbanistica è correlata a quella in materia di contratti di locazione ad uso abitativo (mentre sui contratti di locazione ad uso diverso è competente la II Commissione Giustizia).
In terzo luogo, l’VIII Commissione ha competenza sulle disposizioni relative alla realizzazione di opere pubbliche e di infrastrutture, ad eccezione delle infrastrutture ferroviarie, aeree e navali, su cui è competente la IX Commissione Trasporti.
E’, infine, compresa nell’ambito di competenza dell’VIII Commissione la disciplina degli appalti pubblici, con riferimento non soltanto agli appalti di lavori pubblici, ma anche a quelli di forniture di beni e di servizi.
La X Commissione (Attività produttive, commercio e turismo) ha una competenza generale sulla disciplina relativa alle attività produttive e alla politica industriale. Sono pertanto assegnati alla Commissione i provvedimenti che investono in via prevalente questioni concernenti il sistema produttivo nazionale nel suo complesso ovvero gli indirizzi generali di politica industriale. La X Commissione esprime inoltre parere rinforzato sui progetti di legge in materia diversa, che tuttavia incidano sulla definizione di indirizzi di politica industriale.
Appartiene, in secondo luogo, all’ambito di competenza della X Commissione la normativa che riguarda in modo specifico i singoli settori del sistema produttivo, ad eccezione di quelli riconducibili ad altre Commissioni (il settore creditizio e finanziario, di competenza della VI Commissione; quello dei trasporti e delle comunicazioni, di competenza della IX Commissione; l’agricoltura, di competenza della XIII Commissione). La circolare del 16 ottobre 1996 enumera espressamente i settori dell’energia, del commercio, del turismo, dell’artigianato, delle cave e torbiere. A tali settori si aggiungono quello dell’industria bellica (da intendersi con riferimento alle strutture e attività destinate alla produzione di armi e da distinguersi sia dalla politica degli armamenti, di competenza della IV Commissione Difesa, sia dalla vendita di armi all’estero, di competenza della III Commissione Affari esteri) e quello del termalismo (salvo che il progetto di legge non presenti profili prevalenti di tutela della salute, di competenza della XII Commissione affari sociali).
Sono inoltre di competenza della X Commissione il commercio con l’estero – salvo che si tratti di questioni in cui la disciplina delle relazioni commerciali è subordinata al perseguimento di obiettivi di politica estera (nel qual caso, i relativi atti sono assegnati alla Commissione III) – nonché la cooperazione produttiva.
Le attività della X Commissione si estendono a due ulteriori ambiti di rilievo, connessi alle attività del sistema produttivo. Da un lato, la normativa in materia di ricerca applicati e di brevetti, marchi e proprietà industriale. Dall’altro, la tutela dei consumatori, a meno che il provvedimento non investa in misura prevalente aspetti di tutela della salute (su cui ha competenza la XII Commissione Affari sociali).
Il quadro delle Commissioni che hanno competenza nell’area economica, finanziaria e produttiva è completato da due Commissioni che esercitano competenze in specifici settori: i trasporti e le comunicazioni, da un lato, e l’agricoltura, dall’altro.
La IX Commissione (Trasporti, poste e telecomunicazioni) ha competenza, in primo luogo, sul sistema dei trasporti e delle comunicazioni. Sono inclusi in quest’ambito anche i provvedimenti concernenti la realizzazione di infrastrutture nel settore del trasporto ferroviario, aereo e navale (in deroga alla competenza generale sul settore delle infrastrutture della VIII Commissione) e quelli concernenti l’industria cantieristica (in deroga alla competenza generale sulle attività produttive della X Commissione).
Sul versante delle comunicazioni, le competenze della IX Commissione includono anche il sistema postale e le telecomunicazioni, ivi comprese quelle radiotelevisive. Riguardo a quest’ultima materia, la competenza della IX Commissione riguarda la disciplina del sistema delle telecomunicazioni, i soggetti in esso operanti, le modalità tecniche di esercizio, e, in generale, la disciplina dell’assetto del mercato radiotelevisivo e delle comunicazioni, mentre la disciplina concernente i contenuti (informativi, culturali, di intrattenimento) della comunicazione radiotelevisiva è attribuita alla competenza della VII Commissione Cultura. Anche in questo caso, ove non sia possibile determinare la prevalenza dell’uno o dell’altro profilo, si procede all’assegnazione del provvedimento alle due Commissioni riunite, come è accaduto nel corso della XIV legislatura nel caso di progetti di legge (riassetto del settore della radiotelevisione e relativa distribuzione delle frequenze, disciplina dei minori nella radiodiffusione) o atti del Governo (contributi alle emittenti locali, testo unico della radiotelevisione) che interessavano sia gli assetti di mercato sia i contenuti di informazione del settore radiotelevisivo.
La XIII Commissione (Agricoltura) ha competenza, oltre che sul settore dell’agricoltura, anche sulle materie zootecnia e fauna selvatica, pesca, caccia e risorse forestali. Fanno parte inoltre dell’ambito di competenza della Commissione agricoltura le attività industriale nel settore agroalimentare e l’agriturismo; sui provvedimenti relativi a quest’ultima materia la circolare del Presidente della Camera del 16 ottobre 1996 prevede peraltro il parere rinforzato della X Commissione Attività produttive. Quanto alla competenza della XIII Commissione in materia di risorse forestali, essa riguarda il profilo della gestione produttiva di tali risorse, mentre spetta alla VIII Commissione Ambiente la competenza relativa ai profili di carattere ambientale.
Nell’area culturale e sociale, la VII Commissione (Cultura, scienza e istruzione) è competente, innanzitutto, in materia di istruzione, scuola, università. La competenza comprende anche l’ordinamento dei docenti universitari (ad eccezione della definizione del trattamento economico, che è di competenza della I Commissione).
In secondo luogo, l’ambito di competenza della VII Commissione interessa la scienza e la ricerca scientifica (distinta dalla ricerca applicata, che è competenza della X Commissione Attività produttive); la cultura e la salvaguardia dei beni culturali; il diritto d’autore. Ricadono in tale ambito anche i provvedimenti in materia di restauro e conservazione di immobili che costituiscono beni culturali, salvo che non risultino prevalenti gli aspetti di carattere urbanistico (con conseguente competenza dell’VIII Commissione Ambiente).
In terzo luogo sono di competenza della VII Commissione l’editoria e l’informazione, compresa quella radiotelevisiva (la disciplina degli assetti del sistema radiotelevisivo è invece di competenza della IX Commissione Trasporti).
Sono infine inclusi nell’ambito di competenza della VII Commissione lo spettacolo e lo sport.
Le competenze della XI Commissione (Lavoro pubblico e privato) sono riconducibili a due ambiti principali: la disciplina dei rapporti di lavoro, sia nel settore pubblico che in quello privato, e la disciplina della previdenza. Per quanto riguarda il lavoro, sono esclusi dalle competenze della XI Commissione i rapporti di lavoro dei dirigenti pubblici e delle categorie equiparate (I Commissione), dei magistrati ordinari e amministrativi (II Commissione), delle forze di polizia (I Commissione) e delle forze armate (IV Commissione). La disciplina della previdenza spetta invece interamente alla competenza della XI Commissione, anche per le categorie sopra richiamate, per le quali la disciplina del rapporto di lavoro appartiene ad una diversa Commissione.
In sede consultiva, l’XI Commissione (analogamente alla II Commissione per quanto concerne le disposizioni sanzionatorie e alla VI Commissione riguardo alle disposizioni tributarie) esprime parere rinforzato in merito alle disposizioni attinenti al pubblico impiego, a quelle che possono intervenire su ambiti decisionali rimessi alla contrattazione e a quelle in materia previdenziale.
Alla materia di lavoro si connette anche quella della formazione professionale, per i profili che risultino di competenza della legislazione statale.
Sono infine di competenza dell’XI Commissione le materie concernenti gli interventi di sostegno al reddito (vale a dire tutti gli interventi, non soltanto quelli relativi a situazioni lavorative di difficoltà, effettuati mediante trasferimenti in denaro) e la cooperazione di servizi.
Anche per la XII Commissione (Affari sociali) si possono individuare due ambiti fondamentali di competenza: la sanità e le politiche sociali. Nel primo caso, la XII Commissione esamina gli atti che riguardano i profili di tutela della salute di competenza della legislazione statale; in quest’ambito sono inclusi anche la disciplina delle attività industriali in materia di settore farmaceutico e le questioni relative alle implicazioni sociali delle nuove tecnologie medico-biologiche.
Nel secondo caso, le materie di competenza della XII Commissione comprendono, oltre l’assistenza in senso stretto e i problemi socio-sanitari, anche tutto il complesso delle politiche sociali, in particolare le politiche di tutela della famiglia, dell’infanzia, degli anziani e le attività socialmente utili svolte da soggetti privati non a fini di lucro (sulle quali è comunque sempre previsto il parere della I Commissione).
Il tema delle riforme istituzionali ha attraversato e caratterizzato l’intero corso della XIV legislatura.
Sin dall’indomani dello svolgimento del referendum sulla legge di riforma del Titolo V della Parte II della Costituzione (L.Cost. 3/2001[9]), e dalla conseguente entrata in vigore di questa nel novembre 2001, il dibattito politico si concentrò, da un lato, sulle misure da adottare per assicurare l’attuazione della riforma e risolvere alcuni nodi interpretativi (sul punto, v. l’area tematica Regioni e autonomie locali); dall’altro, sugli interventi di rango costituzionale atti a correggere o integrare le linee della riforma in senso “federalista”, ovvero ad inserirla in un più ampio disegno di revisione dell’ordinamento costituzionale.
La prima, rilevante iniziativa al riguardo si è concretizzata nella proposta di riforma all’epoca indicata con il termine “devoluzione” (o, in inglese, “devolution”). Il disegno di legge governativo presentato al Senato il 26 febbraio 2002 (A.S. 1187) inseriva un nuovo quinto comma nell’articolo 117 della Costituzione, ai sensi del quale le Regioni “attivano la competenza legislativa esclusiva” nelle materie sanitaria (con riguardo all’assistenza e all’organizzazione), scolastica (quanto ai profili organizzativi, di gestione degli istituti e di definizione della parte dei programmi di interesse della Regione) e della polizia locale.
Nei mesi successivi il progetto di riforma formava oggetto di accesa e approfondita discussione presso i due rami del Parlamento e nel Paese, giungendo sino ad essere approvato in prima deliberazione, con limitate modifiche, sia dal Senato (5 dicembre 2002) sia dalla Camera (14 aprile 2003).
L’iter del progetto di riforma, tuttavia, non proseguiva ulteriormente, poiché gli orientamenti politici sul tema, anche all’interno delle forze di maggioranza, erano nel frattempo evoluti in direzione di riforme di più ampio respiro.
Interveniva in quel periodo un’ulteriore ipotesi di riforma, elaborata in ambito governativo e quasi interamente concentrata su una integrale riscrittura dell’art. 117 Cost., al dichiarato fine di correggere alcuni aspetti problematici della riforma varata alla fine della precedente legislatura. Il nuovo art. 117 proposto ridisegna il sistema delle competenze legislative rivedendo la collocazione di varie materie nell’ambito della potestà esclusiva dello Stato o della Regione (tra le materie di competenza esclusiva regionale sono ad ogni modo incluse quelle elencate nel progetto di “devoluzione”) e contestualmente sopprimendo la competenza legislativa “concorrente”, ritenuta responsabile di avere innescato un pesante contenzioso costituzionale. La potestà esclusiva delle Regioni è comunque subordinata al principio dell’“interesse nazionale”, esplicitamente reintrodotto nel testo costituzionale.
Lo schema del disegno di legge costituzionale, approvato dal Consiglio dei ministri nella riunione dell’11 aprile 2003, non è stato tuttavia mai trasmesso alle Camere, risultando ben presto superato da un terzo, ben più ampio e definitivo progetto di revisione dell’intera Parte II della Costituzione, concernente l’ordinamento della Repubblica.
Tale progetto, che ingloba la “devolution” e rinuncia ad alcuni degli aspetti più innovativi del secondo testo (come la scomparsa della competenza concorrente), va per altro verso ben al di là della ridefinizione dei rapporti tra Stato ed autonomie locali, affrontando temi quali il bicameralismo, la forma di Governo, le attribuzioni del Capo dello Stato, la composizione della Corte costituzionale etc..
Il Governo presenta al Senato il relativo disegno di legge costituzionale il 17 ottobre 2003 (A.S. 2544). Sia il Senato sia, successivamente, la Camera (A.C. 4862) vi apportano numerosi emendamenti, approvandolo quindi nel medesimo testo in prima deliberazione, rispettivamente, il 25 marzo e il 15 ottobre 2004, ed in seconda deliberazione, ai sensi dell’art. 138 Cost., il 20 ottobre (Camera) ed il 16 novembre 2005 (Senato). La legge costituzionale, pubblicata nella Gazzetta ufficiale n. 269 del 18 novembre 2005, non è tuttavia entrata in vigore, essendo stata richiesta la sottoposizione a referendum popolare, ai sensi del citato art. 138 Cost..
Nella formulazione finale risultante dall’esame parlamentare, la legge risulta composta da 57 articoli (a fronte dei 35 dell’originario progetto governativo), che sostituiscono o modificano 50 degli 80 articoli che compongono la Parte II della Costituzione, vi inseriscono 3 nuovi articoli e novellano altresì 4 articoli appartenenti ad altre leggi costituzionali.
Questi alcuni tra i principali elementi di novità introdotti dal progetto di revisione costituzionale.
Diminuisce il numero dei parlamentari: i senatori passano da 315 a 252 e i deputati da 630 a 500 (oltre a 18 deputati eletti all’estero e a tre deputati a vita nominati dal Presidente della Repubblica).
La Camera, eletta per cinque anni, può essere sciolta anticipatamente su richiesta del Primo ministro. Il Senato muta la sua denominazione in “Senato federale della Repubblica”: in tale organo si intende realizzare il raccordo, a livello nazionale, tra le potestà normative delle autonomie territoriali e quelle dello Stato. Il Senato federale non può essere sciolto; i senatori vengono eletti in ciascuna Regione contestualmente al rispettivo consiglio regionale. Se il consiglio regionale si scioglie decadono anche i senatori eletti in quella Regione.
Partecipano ai lavori del Senato federale, ma senza diritto di voto, rappresentanti delle Regioni e degli enti locali.
Vengono introdotte varie disposizioni a garanzia delle minoranze che, con riguardo alla Camera dei deputati, possono configurarsi come una forma di “statuto dell’opposizione”.
È superato l’attuale “bicameralismo perfetto”, in virtù del quale ciascun progetto di legge deve essere approvato, in eguale testo, da entrambi i rami del Parlamento.
La Camera dei deputati esamina i progetti di legge nelle materie (espressamente elencate nella Costituzione) sulle quali lo Stato ha competenza legislativa esclusiva, mentre il Senato federale quelli concernenti la determinazione dei princìpi fondamentali nelle materie (anche queste indicate dalla Costituzione) di competenza legislativa concorrente tra Stato e Regioni. L’altro ramo del Parlamento può proporre modifiche al progetto di legge, ma la decisione definitiva spetta alla Camera competente in via principale.
Per alcune materie di particolare rilievo resta ferma la procedura bicamerale, ma in caso di disaccordo la stesura del testo può essere affidata a una commissione composta da 30 deputati e 30 senatori, ferma restando la votazione finale da parte di entrambe le Camere.
Il potere del Presidente del Consiglio dei ministri, denominato “Primo ministro”, si accresce fortemente nei confronti sia dei ministri (che può nominare e revocare) sia della Camera (della quale può chiedere lo scioglimento). Non del Senato federale, invece, al quale non è più legato dal rapporto di fiducia.
Il Primo ministro è nominato dal Presidente della Repubblica in base ai risultati elettorali della Camera. Il candidato premier è infatti collegato ai candidati alla Camera, e viene in tal modo indirettamente designato dagli elettori unitamente alla sua maggioranza.
Non si prevede più, come oggi, che ciascuna Camera si esprima con un voto di fiducia su ogni nuovo Governo; in luogo di ciò, il Primo ministro illustra il programma di legislatura, che è sottoposto al voto della sola Camera dei deputati.
La Camera può votare la sfiducia al Governo, ma ciò comporta il suo scioglimento. Essa può sostituire il Primo ministro ricorrendo a una mozione di “sfiducia costruttiva”, che può essere tuttavia presentata e approvata solo dai deputati appartenenti alla maggioranza espressa dalle elezioni.
Il rigido collegamento tra Primo ministro e maggioranza espressa dalle elezioni emerge anche dalla disposizione che obbliga il Primo ministro alle dimissioni non solo nel caso in cui la mozione di sfiducia sia approvata, ma anche quando la sua reiezione si debba al voto determinante di deputati non appartenenti a tale maggioranza.
È prevista e disciplinata sia la “questione di fiducia” sia la possibilità per il Governo di chiedere, alla Camera dei deputati, il “voto bloccato” (sugli articoli e finale) su un provvedimento nel testo da esso proposto o fatto proprio.
I princìpi di “leale collaborazione” e di “sussidiarietà” sono espressamente posti alla base dell’esercizio di tutte le funzioni attribuite agli enti locali, alle Regioni e allo Stato. In quest’ottica, sono espressamente menzionati in Costituzione la Conferenza Stato-Regioni e il sistema delle Conferenze Stato-autonomie.
È recepita nel testo, come si è detto, la così detta “devoluzione”, cioè l’attribuzione alle Regioni della potestà legislativa esclusiva in alcune materie (organizzazione sanitaria, polizia amministrativa locale e, per taluni aspetti, istruzione) in aggiunta a quella su tutte le materie non espressamente riservate allo Stato o alla competenza concorrente Stato-Regioni. Sono altresì ridefinite e “riallocate”, spesso a favore dello Stato, alcune tra le materie previste dal vigente art. 117 Cost..
È reintrodotto, e attribuito al Parlamento in seduta comune, il potere di annullare le leggi regionali contrarie all’interesse nazionale, ed è prevista una “clausola di salvaguardia” che consente allo Stato di sostituirsi, in casi particolari, a Regioni ed enti locali nell’attività legislativa o amministrativa.
A Roma, capitale della Repubblica, sono attribuite forme e condizioni particolari di autonomia anche normativa, nelle materie di competenza regionale: queste ultime sono demandate allo statuto della Regione Lazio.
Gli enti locali potranno ricorrere alla Corte costituzionale avverso leggi, statali o regionali, lesive delle proprie competenze (come già ora possono fare le Regioni), nei casi e modi da definire con legge costituzionale.
Altre disposizioni riguardano alcuni profili della forma di governo regionale, il procedimento per l’istituzione di Città metropolitane e il procedimento di approvazione degli statuti delle Regioni ad autonomia speciale. Va inoltre ricordata, tra le disposizioni transitorie, la possibilità di formare, entro cinque anni dall’entrata in vigore della riforma, nuove Regioni con almeno un milione di abitanti, con legge costituzionale (è soppresso il parere dei Consigli regionali) e con la sola condizione di sentire le popolazioni interessate.
Sia le modalità di elezione sia le funzioni del Capo dello Stato sono sostanzialmente modificate. All’elezione provvede, in luogo del Parlamento in seduta comune integrato da tre delegati per ciascuna Regione, un nuovo organo, denominato Assemblea della Repubblica e composto dai membri delle due Camere e da un’ampia rappresentanza delle autonomie regionali. Il quorum per l’elezione è rafforzato e l’età minima per essere eletti si abbassa da cinquanta a quaranta anni. Tra i poteri attribuiti al Capo dello Stato, alcuni vengono meno (ad es., nomina dei ministri; autorizzazione alla presentazione dei disegni di legge governativi) o si affievoliscono (la nomina del Primo ministro è espressamente condizionata al risultato elettorale, ed è sostanzialmente trasferito al Primo ministro il potere di scioglimento della Camera); altri si aggiungono a quelli esistenti (ad es., nomina dei presidenti delle Autorità indipendenti, del presidente del CNEL e del vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura, etc.).
Tra le altre novità introdotte, le più rilevanti concernono la composizione della Corte costituzionale e del CSM, il riconoscimento costituzionale del ruolo delle Autorità amministrative indipendenti, il procedimento di revisione costituzionale (risultando sempre possibile il ricorso al referendum, indipendentemente dall’ampiezza della maggioranza parlamentare che abbia approvato la legge in seconda deliberazione).
Due altre leggi costituzionali sono state approvate nel corso della legislatura.
La prima (L.Cost. 1/2002[10]) ha disposto la cessazione degli effetti dei commi primo e secondo della XIII disposizione transitoria e finale della Costituzione, con ciò attribuendo l’elettorato attivo e passivo ai membri e discendenti di casa Savoia e determinando il venir meno del divieto di entrare e soggiornare nel territorio nazionale disposto per gli ex Re di Casa Savoia, le loro consorti e i loro discendenti maschi.
La seconda (L.Cost. 1/2003[11]) ha aggiunto un periodo all’art. 51, 1° co. Cost., che sancisce il pari diritto dei cittadini dell’uno e l’altro sesso nell’accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza. Il nuovo periodo stabilisce che “a tale fine la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini”.
Ulteriori iniziative volte a modificare, con riguardo ad aspetti puntuali, altre parti della Carta costituzionale non hanno invece concluso il loro iter parlamentare. Si ricordano, tra le altre, quelle incidenti:
§ sull’art. 9 Cost. con una disposizione esplicitamente rivolta alla tutela dell’ambiente e degli ecosistemi, alla protezione delle biodiversità e al rispetto degli animali (A.S. 553 ed abb.-B);
§ sull’art. 11 Cost. al fine di esplicitare i princìpi e le condizioni della partecipazione dell’Italia al processo di integrazione europea (A.C. 2218);
§ sull’art. 12 Cost. con due disposizioni, volte a riconoscere l’italiano quale lingua ufficiale della Repubblica ed a precisare che è compito della Repubblica valorizzare gli idiomi locali (A.C. 750 ed abb.);
§ sull’art. 27 Cost., al fine di espungere dal testo costituzionale la pur ipotetica possibilità di reintroduzione della pena di morte nei casi previsti dalle leggi militari di guerra;
§ sull’art. 48 Cost., aventi ad oggetto l’estensione del diritto di voto ai cittadini stranieri:
§ sugli artt. 66 e 134 Cost., per modificare la competenza attribuita alle Camere in ordine alla verifica dei poteri dei propri componenti;
§ sull’art. 68 Cost. in materia di immunità parlamentare (A.S. 1014 e abb.);
§ sull’art. 79 Cost., al fine di ridurre il quorum richiesto per l’approvazione delle leggi che concedono l’amnistia o l’indulto (A.C. 2750).
In materia elettorale, la legislatura si apre e si chiude con due importanti interventi normativi: la disciplina del voto degli italiani all’estero e la riforma del sistema elettorale per Camera e Senato.
Il primo, concretizzatosi nella L. 459/2001[12] e nel successivo regolamento approvato con D.P.R. 104/2003[13], ha dato attuazione alle due modifiche costituzionali (L.Cost. 1/2000 e 1/2001) che nella precedente legislatura avevano attribuito ai cittadini italiani residenti all’estero[14] il diritto di eleggere sei senatori e dodici deputati nell’ambito di una apposita circoscrizione Estero.
Questi i tratti essenziali della disciplina (applicabile anche ai referendum abrogativi e costituzionali):
§ la circoscrizione Estero è suddivisa in quattro ripartizioni; l’elettorato passivo è riservato ai cittadini che siano residenti ed elettori in una delle ripartizioni;
§ il voto si esercita normalmente per corrispondenza; in alternativa, l’elettore residente all’estero può tempestivamente optare per il voto in Italia, nella circoscrizione relativa alla sezione elettorale nazionale in cui è iscritto. L’elettore che vota nella circoscrizione Estero può esprimere voti di preferenza;
§ l’attribuzione dei seggi alle liste si effettua con il metodo proporzionale dei quozienti interi e dei più alti resti; sono proclamati eletti, in corrispondenza dei seggi attribuiti a ciascuna lista, i candidati della lista stessa secondo l’ordine dei voti di preferenza conseguiti.
Il secondo intervento legislativo di ampia portata – inserito in forma emendativa in un testo unificato (A.C. 2620 e abb.), all’esame della I Commissione della Camera, che recava in origine limitate modifiche al sistema vigente – è l’attuale L. 270/2005[15] che, novellando in più parti i testi unici per l’elezione di Camera e Senato, ha introdotto un nuovo sistema elettorale. In luogo del preesistente sistema misto a prevalenza maggioritaria (assegnazione, in ciascuna circoscrizione territoriale, di tre quarti dei seggi con criterio maggioritario in altrettanti collegi uninominali; assegnazione dei restanti seggi con metodo proporzionale), il nuovo sistema è orientato in senso interamente proporzionale, con premio di maggioranza e articolate soglie di sbarramento per liste e coalizioni.
Ai fini dell’elezione della Camera la legge prevede, in estrema sintesi, che:
§ i partiti politici che intendono presentare liste di candidati possono collegarsi tra loro in coalizioni; i partiti che si candidano a governare presentano il loro programma e indicano il nome del loro leader. I partiti collegati in coalizione depositano lo stesso programma e indicano il nome del capo della coalizione;
§ l’elettore esprime un solo voto per la lista di candidati prescelta; non è prevista l’espressione di preferenze;
§ i seggi sono ripartiti proporzionalmente in ambito nazionale[16], tra le coalizioni di liste e le liste che abbiano superato le soglie di sbarramento previste dalla legge. Sono previste soglie di sbarramento per le coalizioni nel loro complesso (10% del totale dei voti validi[17]), per le liste che non facciano parte di una coalizione ammessa alla ripartizione (4%), e per le liste che ne facciano parte, ai fini della ripartizione dei seggi già assegnati alla coalizione (2%[18]).
§ alla coalizione di liste (o alla lista non coalizzata) più votata, qualora non abbia già conseguito almeno 340 seggi, è attribuito un premio di maggioranza tale da farle raggiungere tale numero di seggi;
§ l’assegnazione dei seggi spettanti in ogni circoscrizione alle coalizioni e alle liste ha luogo secondo un complesso meccanismo ispirato anch’esso a criteri di proporzionalità e accompagnato da procedure di correzione.
La disciplina proposta per l’elezione del Senato è analoga a quella già descritta con riguardo alla Camera, ma presenta alcune differenze legate alla natura dell’organo, che è eletto “su base regionale” (art. 57, co. 1°, Cost.). Queste le principali:
§ i seggi sono ripartiti e assegnati in ambito regionale, e le soglie di sbarramento (più elevate[19]) sono anch’esse riferite al totale dei voti conseguiti nella Regione;
§ è assegnato Regione per Regione anche il premio alla coalizione o lista singola più votata, con l’attribuzione del 55% dei seggi spettanti alla Regione, qualora essa non abbia già conseguito tale risultato.
Mentre resta ferma la disciplina elettorale per gli italiani all’estero, alla quale si è sopra accennato, sono previste specifiche disposizioni per talune Regioni (Molise, Valle D’Aosta e Trentino-Alto Adige) caratterizzate da bassa popolazione o dalla presenza di consistenti minoranze linguistiche.
Altre norme della legge incidono sulla disciplina delle ineleggibilità, sulle modalità di presentazione delle candidature e sulla nomina degli scrutatori (per i quali viene meno il sistema del sorteggio).
La disciplina dell’elezione dei membri del Parlamento europeo spettanti all’Italia è stata modificata, in prossimità delle elezioni svoltesi nel 2004, da due leggi. La L. 78/2004[20] ha recepito le novità introdotte dalla decisione 2002/772/CE e tra queste, in primo luogo, l’incompatibilità tra la carica di parlamentare europeo e quella di deputato o di senatore. La L. 90/2004[21] ha individuato ulteriori incompatibilità tra il mandato europeo e alcune cariche elettive territoriali; ha introdotto, limitatamente alle prime due elezioni del Parlamento europeo successive all’entrata in vigore della legge, il principio dell’inammissibilità delle liste elettorali nelle quali non siano presenti candidati di entrambi i sessi e ha stabilito che nelle liste presentate, nessuno dei due sessi possa essere rappresentato in misura superiore ai due terzi dei candidati presenti nella lista; ha dettato disposizioni per consentire, nel 2004, lo svolgimento contemporaneo delle elezioni europee e di quelle amministrative e per effettuare un test sperimentale di conteggio informatizzato del voto[22].
Tra le numerose altre misure di carattere puntuale adottate in materia elettorale nel corso della legislatura, si possono ricordare:
§ la L. 62/2002[23] che ha reintrodotto, nelle elezioni politiche e amministrative e nelle consultazioni referendarie, la possibilità di votare in due giorni, estendendo le operazioni di voto anche alla giornata del lunedì;
§ la L. 313/2003, che ha modificato la L. 28/2000 (sulla c.d. “par condicio”) in materia di comunicazione politica e accesso ai mezzi di informazione durante le campagne elettorali, introducendo una distinta disciplina per le emittenti radiotelevisive locali;
§ la L. 61/2004[24], che ha sostanzialmente depenalizzato alcuni reati collegati alle operazioni elettorali;
§ la L. 47/2005, che mira a dare una soluzione alla questione, sorta dopo le elezioni politiche del 2001, della mancata assegnazione di alcuni seggi nella quota proporzionale a causa dell’insufficienza di candidature;
§ Il D.L. 1/2006[25] che ha, tra l’altro, consentito (art. 1) agli elettori con gravi patologie e in condizioni di intrasportabilità, di esprimere il voto presso l’abitazione in cui dimorano;
§ alcune disposizioni contenute nel D.L. 273/2005[26] e nel citato D.L. 1/2006, che hanno inciso sulla disciplina dei rimborsi per spese elettorali anche modificandone i limiti, e in materia di finanziamento dei partiti politici.
Con l’approvazione della L. 140/2003[27] trova un esito legislativo la questione concernente l’attuazione dell’art. 68 Cost. in materia di immunità parlamentare; questione sviluppatasi, nel corso delle precedenti legislature, dapprima attraverso una serie di decreti-legge reiterati e decaduti, quindi con l’esame – non concluso – di un progetto di legge nel corso della XIII legislatura. La legge approvata reca una normativa organica in materia, volta a regolare gli aspetti sostanziali e procedurali connessi all’applicazione dei princìpi sanciti dall’art. 68 Cost. nel testo modificato dalla L.Cost. 3/1993.
L’esame parlamentare della legge ha visto concorrere l’iniziativa e l’apporto di gruppi di maggioranza e di opposizione. Nel corso dell’esame al Senato, peraltro, nel relativo articolato veniva inserita una disposizione – fortemente contestata dall’opposizione – volta ad escludere le cinque più alte cariche dello Stato (il Presidente della Repubblica, i Presidenti delle due Camere, il Presidente del Consiglio dei ministri e il Presidente della Corte costituzionale) dalla sottoposizione a processo penale per qualsiasi reato, anche relativo a fatti antecedenti l’assunzione delle cariche, fino alla cessazione delle medesime.
Tale disposizione diveniva l’art. 1 della legge. Successivamente, peraltro, la sent. 24/2004 della Corte costituzionale ha sancito l’illegittimità costituzionale del menzionato art. 1 per violazione degli artt. 3 e 24 Cost., nei quali trovano fondamento il principio di parità di trattamento rispetto alla giurisdizione e il diritto alla difesa.
La questione dei conflitti di interessi per i titolari di cariche di governo ai quali facciano capo, al contempo, attività economiche di rilevante portata, già affrontata nelle precedenti due legislature, ha trovato una definizione legislativa nella XIV legislatura, con la L. 215/2004[28]. In sintesi, la legge:
§ reca una disciplina delle incompatibilità, elencando le cariche, gli uffici e le attività la cui titolarità o il cui esercizio risulta incompatibile con la titolarità di cariche di Governo;
§ definisce il conflitto di interessi come la situazione che si determina quando il titolare di cariche di Governo partecipa all’adozione di un atto o omette un atto dovutotrovandosi in una situazione di incompatibilità, o se l’atto o l’omissione presentano un’“incidenza specifica e preferenziale” sul patrimonio del titolare, del coniuge o dei parenti entro il secondo grado, ovvero delle imprese o società da essi controllate, con danno per l’interesse pubblico;
§ ribadisce la validità delle norme generali poste a tutela della concorrenza, le cui violazioni sono sanzionate anche quando compiute dall’impresa facente capo al titolare di cariche di Governo avvalendosi di atti posti in essere da questo;
§ pone in capo a chi assume la titolarità di cariche di Governo specifici obblighi di comunicazione all’Autorità garante della concorrenza e del mercato o all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, e definisce le funzioni di controllo e vigilanza attribuite alle due Autorità. Queste riferiscono in merito, ogni sei mesi, al Parlamento, e lo informano degli accertamenti effettuati e delle eventuali sanzioni irrogate.
Nell’ambito del dibattito sul ricorso agli strumenti di clemenza previsti dall’ordinamento (grazia, amnistia e indulto) che ha interessato le forze politiche nel corso della legislatura, merita qui ricordare – oltre al menzionato tentativo di modifica dell’art. 79 Cost. – la proposta di legge A.C. 4237, presentata dall’on. Boato e sottoscritta da deputati appartenenti a quasi tutte le forze politiche, la quale ha mirato a ridefinire con legge ordinaria la procedura di concessione della grazia sciogliendo il nodo interpretativo concernente i rispettivi poteri del Capo dello Stato e del ministro della giustizia, nel senso di affidare esplicitamente al solo Presidente della Repubblica il potere di iniziativa e di decisione in materia. La proposta di legge ha avuto un iter travagliato, che si è concluso con il suo rigetto da parte dell’Assemblea della Camera.
È giunta invece ad approvazione, nella prima parte della legislatura, la L. 44/2002[29], che ha ridefinito la composizione (riducendone il numero) e modificato il sistema elettorale per i membri togati del CSM (sul punto, v. l’area tematica Diritto e giustizia).
Varie leggi, infine, hanno istituito nuove celebrazioni nazionali: la “Giornata della memoria dei marinai scomparsi in mare” (12 novembre, L. 186/2002[30]); il “Giorno del ricordo” in memoria delle vittime delle foibe (10 febbraio, L. 92/2004[31]); la “Giornata della pace, della fraternità e del dialogo tra appartenenti a culture e religioni diverse” (4 ottobre, L. 24/2005[32]); il “Giorno della libertà” (9 novembre, anniversario dell’abbattimento del Muro di Berlino, L. 61/2005[33]); la “Festa nazionale dei nonni” (2 ottobre, L. 159/2005[34]). L’art. 7-vicies del D.L. 7/2005[35] ha introdotto disposizioni sulla celebrazione del sessantennale della Resistenza e della Guerra di liberazione.
I provvedimenti legislativi di maggiore rilievo per la politica estera sono stati, come di consueto, le leggi di ratifica di trattati internazionali, esaminati in sede referente dalla Commissione affari esteri e comunitari. Nel corso della legislatura sono stati approvati 231 leggi di autorizzazione alla ratifica di trattati internazionale (nella XIII legislatura erano state 287), delle quali, 159 relative ad accordi bilaterali, 42 a trattati multilaterali e 30 ad accordi europei.
Di particolare interesse sono risultati i trattati multilaterali che hanno riguardato, per una parte cospicua, le problematiche dell’ambiente (19 trattati), la tutela dei dritti umani (4 trattati) e le organizzazioni internazionali (7 trattati). Tra questi ultimi si segnalano i Protocolli di adesione al Trattato Nord Atlantico di Bulgaria, Estonia, Lettonia, Lituania, Romania, Slovacchia e Slovenia. Di rilievo anche i 4 trattati in materia di giustizia, di cui due in materia di terrorismo.
Per quanto attiene ai trattati stipulati nell’ambito dell’Unione europea - oltre a quelli diretti alla modifica dei trattati istitutivi e concernenti il processo di allargamento (che sono esaminati nel capitolo “Affari europei”) – vanno segnalati i 15 accordi di cooperazione, associazione, partenariato o dialogo politico con Paesi terzi e le 4 convenzioni tra Stati membri per la cooperazione nel settore della giustizia e degli affari interni.
I trattati bilaterali sono riconducibili ad alcune grandi categorie da tempo note alle relazioni internazionali. Si segnalano, tra gli altri, i 27 accordi culturali, scientifico-tecnologici, i 24 accordi sulla promozione e protezione degli investimenti, i 20 accordi nel settore della difesa, i 16 accordi di cooperazione doganale, gli 11 accordi per evitare le doppie imposizioni, i 9 accordi di cooproduzione cinematografica e i 5 accordi sui trasporti internazionali. Quanto invece alla ripartizione per aree geografiche, la maggior parte degli accordi (60 su 159) risultano stipulati con Paesi europei con comunitari, 30 sono stati invece stipulati con i Paesi arabi e del Medio oriente, 19 con Paesi dell’Africa subsahariana, 15 con Paesi dell’Asia centrale e meridionale, 13 con paesi appartenenti all’Unione europea, 12 con paesi dell’America latina. Tale ripartizione appare riflettere piuttosto fedelmente le tradizionali priorità della politica estera nazionale.
Tra i provvedimenti legislativi diversi dalle leggi di ratifica – al contenuto dei quali si accenna in altri capitoli del presente fascicolo - vanno menzionati quelli volti a disciplinare e finanziare le missioni militari all’estero, esaminati in sede referente dalla Commissione esteri insieme alla commissione difesa, quelli in materia di terrorismo, esaminati dalla Commissione esteri insieme alla Commissione giustizia e quelli in materia di cooperazione internazionale volti, in particolare, a disciplinare la partecipazione italiana a banche e fondi di sviluppo nonché interventi di carattere umanitario.
In seguito agli attentati terroristici dell’11 settembre 2001 a New York e a Washington, la comunità internazionale ha adottato una nuova strategia per il contrasto della minaccia terroristica. Ad assumere per primo l’iniziativa è stato il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite con la risoluzione 1373 del 28 settembre 2001, che ha imposto agli Stati membri di adottare una serie di misure nei confronti delle organizzazioni terroristiche. Obiettivo della risoluzione era quello di sanzionare penalmente e di ostacolare il finanziamento del terrorismo internazionale, nonché di istituire un Comitato con il compito di monitorare l’attuazione delle misure assunte e di individuare, in collaborazione con gli Stati, i singoli e le entità sospettate di far capo all’organizzazione terroristica Al Qaeda, ritenuta responsabile degli attentati dell’11 settembre. Successive risoluzioni hanno ulteriormente definito il programma di azione contro il terrorismo.
Sempre nell’ambito delle Nazioni Unite, è stata da più parti sottolineata l’esigenza di pervenire alla stipula di una Convenzione generale sul terrorismo alla stesura della quale, a partire dal 1996, si dedica senza successo un apposito Comitato.
Per quanto riguarda l’Unione europea, vanno innanzitutto ricordate le misure volte a dare attuazione alle risoluzioni adottate dal Consiglio di sicurezza ed in particolare il regolamento CE n. 881/2002, che ha congelato i fondi e le risorse economiche delle organizzazioni terroristiche impedendo che vengano alimentati nonché recepito integralmente la lista delle organizzazioni terroristiche associate ad Al Qaida elaborata dal Comitato istituito dal Consiglio di sicurezza. Un’altra serie di provvedimenti è stata invece rivolta a rafforzare la cooperazione giudiziaria e di polizia tra gli Stati dell’Unione in materia di terrorismo. Inoltre, il 30 marzo 2004, all’indomani di gravi attentati terroristici a Madrid, è stata creata la figura del Coordinatore antiterrorismo ed adottata la Dichiarazione di solidarietà che impegna sul piano politico gli Stati membri a prestare il proprio aiuto a qualsiasi membro dell’Unione vittima di un attentato terroristico ricorrendo ad ogni strumento a sua disposizione. Da ultimo, il 6 aprile 2005, con la comunicazione della Commissione al Consiglio ed al parlamento europeo è stato istituito il Programma quadro “Sicurezza e tutela della libertà” per il periodo 2007-2013.
La strategia adottata a livello internazionale ed europeo ha avuto modo di essere recepita e sviluppata anche a livello nazionale attraverso l’adozione di una serie di provvedimenti legislativi. Due decreti legge, adottati tra il settembre ed novembre 2001, hanno avuto ad oggetto il finanziamento del terrorismo. Con un altro decreto-legge sono state introdotte nell’ordinamento giuridico nazionale norme di diritto penale, sostanziale e processuale, ed è stato in particolare disciplinato il reato di “Associazione con finalità di terrorismo anche internazionale e di eversione dell’ordine democratico” (cfr. il nuovo art. 270-bis c.p.). Sono state inoltre ratificate, con la legge 14 gennaio 2003, n. 7, la Convenzione internazionale per la repressione del finanziamento del terrorismo, e con la legge 14 febbraio 2003, n. 34, la Convenzione internazionale per la repressione degli attentati terroristici per mezzo di esplosivo.
Il conflitto afghano è stata una diretta e quasi immediata conseguenza degli attentati terroristici dell’11 settembre. Il 12 settembre il Consiglio di sicurezza ha adottato la risoluzione 1368 nel cui preambolo si riconosceva il diritto di legittima difesa individuale e collettiva degli Stati Uniti. Lo stesso giorno il Consiglio atlantico adottava una determinazione ove si affermava che, qualora fosse stata accertata l’origine esterna degli attacchi terroristici, avrebbe trovato attuazione l’art. 5 del Trattato di Washington, ai sensi del quale un attacco armato contro un membro dell’Alleanza deve essere considerato come un attacco contro tutti i membri dell’Alleanza stessa. Il 4 novembre successivo, sulla base delle prove fornite dall’ambasciatore statunitense, il Consiglio atlantico ha stabilito che vi erano le condizioni per l’applicazione dell’art. 5.
Le Camere sono state regolarmente informate dal Governo in ordine agli sviluppi della crisi afghana ed hanno assunto alcune fondamentali deliberazioni in merito. In particolare, dopo l’avvio dell’intervento armato ad opera della coalizione a guida statunitense, il 9 ottobre Camera e Senato, previe comunicazioni del Governo, hanno adottato alcune risoluzioni in merito. Il 23 ottobre le Camere hanno affrontato il tema della partecipazione delle forze armate nazionali all’Operazione Enduring Freedom in corso in Afghanistan con l’obiettivo di debellare le formazioni terroristiche ivi presenti e di determinare la capitolazione del regime talebano. Il 7 novembre, tramite l’approvazione di risoluzioni sia di maggioranza che di opposizione, le Camere hanno autorizzato l’invio di un contingente militare in Afghanistan.
Al termine del conflitto, sotto l’egida dell’ONU, è stato avviato un processo volto a promuovere la costituzione di un governo democratico ed il rilancio dell’economia del Paese. Le Nazioni Unite hanno tra l’altro organizzato una forza di intervento internazionale, International Security Assistence Force (ISAF), con il compito di garantire un ambiente sicuro nell’area di Kabul a tutela dell’Autorità provvisoria afghana guidata da Hamid Karzai. La presenza internazionale in Afghanistan ha favorito l’approvazione di una nuova costituzione - intervenuta il 4 gennaio 2004 ad opera della Loya Jirga (l’Assemblea tradizionale afghana) - lo svolgimento delle elezioni presidenziali (9 ottobre 2004) e delle elezioni del Parlamento (18 settembre 2005). Anche questa seconda fase della crisi afghana è stata oggetto di riunioni presso le due Camere con la presenza di rappresentanti del Governo. In particolare, il Ministro della difesa ha riferito in più occasioni alle Commissioni esteri e difesa in merito agli aspetti militari della partecipazione italiana alle missioni ISAF e Enduring freedom. Oggetto di dibattito parlamentare sono stati inoltre la detenzione di prigionieri talebani nella base statunitense di Guantanamo (Cuba) ed il rapimento in Afghanistan della volontaria italiana Clementina Cantoni.
A partire dall’estate del 2002, in ambito internazionale si è cominciato apertamente a discutere dell’ipotesi di un intervento militare in Iraq. Nell’ambito delle Nazioni Unite si è registrata in materia un’identità di vedute sino all’adozione della risoluzione 441 del novembre 2002, dove si affermava che l’Iraq continuava a violare gli obblighi derivanti dalla risoluzione 687 del 1991 e viene istituito un regime rafforzato di ispezioni. In seno al Consiglio di sicurezza si sono manifestate in seguito opinioni diverse in merito all’attività degli ispettori ed al possesso di armi di distruzione di massa da parte dell’Iraq. Il 17 febbraio il Consiglio europeo ha approvato un documento di compromesso dove si riaffermava la centralità delle Nazioni Unite ma, al contempo, non si escludeva il ricorso all’uso della forza.
Il 17 marzo 2003 Stati Uniti e Gran Bretagna, dopo aver tentato senza successo di sottoporre al Consiglio di sicurezza una nuova risoluzione volta ad autorizzare l’uso della forza, hanno avviato col supporto di altri Stati le operazioni militari contro l’Iraq. L’Italia non ha partecipato a tali operazioni militari, ma il Presidente del Consiglio dei ministri, in un dibattito parlamentare svoltosi il 20 marzo 2003 e conclusosi con l’approvazione di una risoluzione di maggioranza sia alla Camera che al Senato, ha sostenuto la piena legittimità, alla luce del diritto internazionale, dell’azione militare angloamericana.
Le Nazioni Unite, rimaste silenti durante il conflitto, hanno cominciato nuovamente ad interessarsi dell’Iraq una volta instaurato il regime di occupazione militare. Con tre diverse risoluzioni adottate tra il maggio del 2003 ed il giugno del 2004, il Consiglio di sicurezza ha regolato in termini via via più stringenti il regime di occupazione ed i suoi sbocchi, definendo un percorso volto ad assicurare la piena indipendenza, sovranità ed unità dell’Iraq. Il 15 aprile 2003, mediante l’approvazione di risoluzioni, le Camere, a seguito di un dibattito molto contrastato, hanno autorizzato il Governo italiano ad effettuare una missione militare in Iraq (denominata Antica Babilonia) con scopi di carattere umanitario.
Il percorso delineato dalle Nazioni Unite prevedeva una serie di scadenze istituzionali che - nonostante la guerriglia ed il terrorismo abbiano continuato a provocare un numero assai elevato di vittime - sono state rispettate. Il 30 gennaio 2005 si sono svolte le elezioni dell’assemblea nazionale provvisoria che ha designato il nuovo Presidente dell’Iraq . Il 15 ottobre 2005 è stata sottoposta con successo a referendum popolare una bozza di costituzione predisposta dal Governo provvisorio. Il 15 dicembre 2005 si sono svolte le prime elezioni del Parlamento sulla base della nuova costituzione. Il premier indicato dal partito vincitore delle elezioni (l’Alleanza sciita), Al Jaafari, non è tuttavia ancora riuscito a formare il governo soprattutto per la difficoltà di ottenere il consenso della componente sunnita.
Il 19 gennaio 2006, il Ministro della difesa, ha reso comunicazioni alle Commissioni esteri e difesa delle due Camere, illustrando un piano di ritiro delle forze militari italiane dall’Iraq destinato a completarsi entro il 2006.
Nel corso della XIV legislatura il Parlamento ha mantenuto una costante attenzione nei confronti dei Balcani.
Nel luglio del 2001 la Commissione affari esteri della Camera ha approvato una risoluzione volta ad impegnare il Governo al massimo sforzo nelle sedi internazionali per garantire la trasparenza e la correttezza del processo elettorale in corso in Albania. Nell’agosto del 2001 si è giunti ad una intesa di estrema importanza nella Repubblica di Macedonia tra le forze governative e la guerriglia di etnia albanese che ha reso possibile il dispiegamento di due missioni della NATO volte ad assicurare l’applicazione degli accordi di pace. Il Parlamento si è inoltre più volte occupato della situazione in Kosovo dove è in corso un processo di pace destinato a completarsi con la definizione dello status finale della regione. Nel marzo del 2004 il Governo riferiva alle Commissioni affari esteri e difesa della Camera in merito a gravi scontri tra gli abitanti di etnia albanese e appartenenti alla minoranza serba che avevano causato 31 morti coinvolgendo anche numerosi militari della missione NATO e nel successivo mese di aprile la Commissione affari esteri approvava una risoluzione sui casi di distruzione del patrimonio artistico e culturale cristiano-ortodosso verificatisi nel corso di tali scontri.
Un tema nei confronti del quale il Parlamento ha manifestato un notevole interesse è stato quello dell’integrazione dei Balcani nell’area euroatlantica. Questo spiega le missioni effettuate da due delegazioni delle Commissioni affari esteri di Camera e Senato nel 2002 in Slovenia in relazione all’adesione di Lubiana alla NATO ed all’Unione europea, poi concretizzatesi, rispettivamente, con effetto dal 29 marzo e dal 1° maggio 2004. Nell’ottobre del 2005 si sono svolte due sedute delle Commissioni riunite affari esteri e politiche dell’Unione dedicate entrambe dedicate all’adesione della Croazia alla UE, la prima con l’intervento di un rappresentante del Governo e la seconda con quello del Commissario europeo per l’allargamento. Nel giugno del 2004 la Commissione affari esteri ha approvato due distinte risoluzioni riguardanti l’adesione della Macedonia e dell’Albania alla UE ed alla NATO. Il Governo è stato tra l’altro impegnato a sostenere la candidatura macedone all’adesione e a dare impulso all’accordo di stabilizzazione ed associazione UE-Albania.
Il Parlamento segue tradizionalmente con assiduità gli sviluppi del processo di pace in Medio Oriente. Il 19 dicembre 2001 l’Assemblea della Camera ha approvato una mozione che impegnava il Governo a favorire il processo di pace anche attraverso la convocazione di una Conferenza di pace ad hoc, a sostenere la presenza di operatori internazionali nei territori palestinesi nonché ad elaborare un piano per lo sviluppo economico dei Territori. Nell’ottobre del 2002, inoltre, la Commissione affari esteri della Camera ha adottato una risoluzione volta a sottolineare la centralità della questione dello status di Gerusalemme nel processo di pace ed in particolare del “bacino sacro”.
Sul piano legislativo vanno segnalati alcuni provvedimenti volti a disciplinare la partecipazione di contingenti militari italiani alle seguenti missioni internazionali: TIPH II (Temporary International Presence in Hebron), basato su di un accordo israelo-palestinese del 1997, EU BAM Rafah (European Union Border Assistance Mission on the Gaza-Egypt Border-Crossing), nata da un’iniziativa europea a seguito del passaggio alla gestione palestinese del valico tra Gaza ed Egitto, dopo il disimpegno israeliano dalla striscia di Gaza nell’estate 2005 e Forza multinazionale e osservatori (MFO), istituita nel 1981 mediante un accordo tra Egitto, Israele, Stati Uniti, dopo il fallito tentativo di creare il contingente ONU in Sinai previsto dal Trattato di pace tra Egitto ed Israele.
Da menzionare infine la missione in Medio Oriente svolta da una delegazione della Commissione affari esteri della Camera nel febbraio 2005.
A partire dalla X legislatura, nell’ambito della Commissione affari esteri è stato sempre istituito un Comitato permanente per diritti umani preposto all’esame delle tematiche generali relative alla materia. Nella scorsa legislatura, il Comitato si è prevalentemente dedicato allo svolgimento di una vasta indagine conoscitiva sui diritti umani che si è protratta dal luglio del 2002 al settembre 2005. Le questioni oggetto dell’attività del Comitato sono state in particolare la pena di morte, le violazioni della libertà religiosa, la violazione del diritto di informazione e la violazione dei diritti delle donne.
Alcuni interventi normativi sono risultati in vario modo attinenti al tema dei diritti umani. La legge n. 74 del 2005 ha erogato un contributo volontario annuo pari a 120 mila euro al Fondo delle Nazioni Unite per le vittime della tortura. Con la legge n. 280 del 2005 è stato ratificato il Protocollo n. 14 alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, fatto a Strasburgo il 13 maggio 2004. Il Protocollo è finalizzato a modificare alcune procedure interne alla Corte europea per rendere più spedito l’esame dei ricorsi. Con la legge n. 77 del 2003 è stata infine ratificata la Convenzione europea sull’esercizio dei diritti dei fanciulli in vigore dal 1° luglio 2000. La Convenzione è volta a promuovere i diritti dei minori di diciotto anni e ad agevolare lo svolgimento dei procedimenti dinanzi all’autorità giudiziaria.
Il Parlamento, anche in questa legislatura, ha manifestato una grande attenzione per le vicende relative alle Nazioni Unite.
Per le Camere un’importante opportunità di approfondimento della realtà delle Nazioni Unite è rappresentata dalla partecipazione di una delegazione parlamentare alle sessioni dell’Assemblea generale che hanno luogo annualmente a New York nel mese di settembre. Nella scorsa legislatura la partecipazione all’Assemblea generale ha consentito ai parlamentari di approfondire temi cruciali per le relazioni internazionali: il conflitto in Afghanistan e quello in Iraq, la lotta al terrorismo internazionale, l’attuazione della Dichiarazione del millennio del 2000 incentrata sui temi dello sviluppo e della lotta alla povertà. Nell’Assemblea generale svoltasi nel 2003, il Segretario generale dell’ONU ha inoltre avviato un processo di riforma dell’Organizzazione con la nomina di un gruppo di esperti incaricati di redigere un progetto di riforma poi oggetto di consultazioni con gli Stati membri e base per l’elaborazione di un documento dello stesso Segretario generale. La 60° sessione dell’Assemblea generale (settembre 2005) ha quindi approvato una prima serie di riforme prevedendo tra l’altro l’istituzione di una Commissione per il peacebuilding e di un Consiglio per i diritti umani.
Il tema della riforma dell’ONU è stato oggetto di esame in ambito parlamentare. Dall’ottobre 2004 al settembre 2005 ha avuto luogo un’indagine conoscitiva sul tema nel corso della quale la Commissione affari esteri ha svolto sedici audizioni. Da ultimo, in vista della 60° sessione dell’Assemblea generale, il Ministro degli affari esteri ha reso comunicazioni presso le Commissioni affari esteri di Camera e Senato illustrando la posizione italiana in merito alla riforma con particolare riferimento al tema della modifica della composizione del Consiglio di sicurezza. Tale questione è da tempo oggetto di discussione nell’ambito delle Nazioni Unite senza che si sia ancora riusciti ad individuare una soluzione che riscuota i consensi necessari. L’Italia nella passata legislatura si è in particolare trovata a fronteggiare, insieme ad un nutrito numero di Paesi, l’offensiva diplomatica di Giappone, Germania, India e Brasile volta ad ottenere un seggio permanente nel Consiglio. La proposta sostenuta dall’Italia è stata invece incentrata sulla creazione di nuovi seggi non permanenti di durata maggiore rispetto a quella attualmente prevista.
Negli anni corrispondenti alla XIV legislatura la NATO è stata protagonista del più esteso round di adesioni della sua storia. Il 29 marzo 2004 sono entrati formalmente a far parte dell’Alleanza le Repubbliche di Bulgaria, Estonia, Lettonia, Lituania, Romania e Slovacchia, portando a 26 il numero dei Paesi membri. I Protocolli di adesione all’Alleanza dei Paesi ora menzionati sono stati ratificati dall’Italia con la legge n. 255 del 2003.
Nel periodo di tempo considerato è inoltre proseguito il processo di trasformazione dell’Alleanza avviato all’inizio degli anni ‘90. Nel maggio del 2002 il Consiglio atlantico ha deciso l’istituzione di un nuovo Consiglio a 20 (ora divenuto a 27) in sostituzione del Consiglio permanente congiunto tra Alleanza atlantica e Federazione russa. In tal modo NATO e Russia sono state poste in grado di lavorare alla pari in aree di comune interesse. La cerimonia inaugurale del nuovo Consiglio NATO – Russia si è svolta nel maggio 2002 a Pratica di mare (Roma) con l’incontro tra 20 Capi di Stato e di Governo. Il Vertice di Praga del novembre 2002 ha approvato una serie di misure, tra cui la creazione di una Forza di reazione rapida e l’Impegno sulle capacità di Praga, volte a fornire all’Alleanza nuove risorse equilibrate ed efficaci. Nell’aprile 2003 il Consiglio atlantico ha deciso di far assumere alla NATO il comando della missione ISAF in Afghanistan: la prima missione militare extraeuropea dell’Alleanza. Risalgono invece al Vertice di Istanbul del giugno 2004 la decisione di trasformare il Dialogo mediterraneo in un vero e proprio rapporto di partenariato e il lancio di nuove iniziative di cooperazione con alcuni Pesi del Medio Oriente. Nel luglio 2004, su richiesta del Governo iracheno, la NATO ha costituito una missione di assistenza e di addestramento delle Forze di sicurezza irachene.
L’evoluzione dell’Alleanza sono state al centro di comunicazioni del Governo al Parlamento. Ad esempio, nel settembre 2002 il Senato ha svolto un dibattito in seguito a comunicazioni del Presidente del Consiglio dei ministri sul Vertice di Pratica di mare e nel luglio 2004 il Ministro degli affari esteri ha reso comunicazioni alla Commissione esteri del Senato in merito al vertice di Istanbul.
L’offensiva terroristica avviata con gli attentati dell’11 settembre del 2001 ha contribuito a richiamare l’attenzione della comunità internazionale sulla questione della non proliferazione delle armi nucleari, biologiche e chimiche (NBC). Per quanto riguarda gli armamenti nucleari, il Trattato multilaterale di fondamentale importanza in materia è quello di non proliferazione risalente al 1968, che si pone l’obiettivo di prevenire la diffusione di armi e tecnologie nucleari stabilendo un sistema di salvaguardie sotto la responsabilità di un’apposita agenzia, l’AIEA. L’Italia, che è parte del Trattato dal 1975, ha ratificato con la legge n. 332 del 2003 il Protocollo aggiuntivo all’Accordo di verifica concluso tra AIEA, Euratom e tredici Stati della UE.
Il Paese su cui di recente si è concentrata l’attenzione è l’Iran che, pur essendo parte del Trattato di non proliferazione, non ha garantito il pieno accesso degli ispettori dell’AIEA ad alcune infrastrutture regolarmente denunciate, ed ha in primo tempo accolto, ma in seguito apertamente disatteso, l’invito della stessa AIEA a sospendere l’arricchimento dell’uranio. Anche un tentativo di negoziato, prima di Francia, Germania e Regno Unito, e poi dell’intera UE, non è andato a buon fine.
Il 29 marzo 2005 il Consiglio di sicurezza dell’ONU ha quindi espresso viva preoccupazione per il fatto che l’AIEA non sia stata messa nelle condizioni di dire una parola definitiva sul programma nucleare iraniano e ha chiesto all’Iran di sospendere le operazioni di arricchimento dell’uranio. Il Presidente iraniano Ahmadinejad ha tuttavia risposto che l’Iran è riuscito ad arricchire l’uranio per uso industriale e che continuerà nel suo programma fino alla produzione in massa di uranio arricchito, ma sempre sotto la supervisione dell’AIEA.
Il programma nucleare italiano e la posizione dell’Italia a riguardo sono state oggetto di diverse interrogazioni presentate e svolte nella Commissione affari esteri a partire dal 2004. Da segnalare è inoltre l’audizione svolta dal Ministro degli affari esteri, Franco Frattini, sul programma nucleare iraniano il 28 gennaio 2004.
Nella comunità internazionale suscita altresì preoccupazione il programma nucleare della Corea del Nord. L’AIEA ha osservato come le attività nucleari coreane, che continuano a collocarsi al di fuori dei controlli internazionali, costituiscano una seria minaccia al regime di non proliferazione.
Le tematiche connesse alla cooperazione allo sviluppo sono state oggetto di numerosi dibattiti parlamentari e di puntuali interventi normativi.
Nel luglio del 2001, in prossimità del Vertice G8 di Genova, la Camera ha approvato mozioni volte ad impegnare il Governo a porre al centro del Vertice i temi della lotta alla povertà e all’AIDS ed della cancellazione del debito dei Paesi più poveri. Tramite comunicazioni del Governo, la Camera è stata successivamente resa edotta dei risultati del Vertice. Nell’aprile e quindi nel giugno del 2002 la Camera ha approvato mozioni sul contributo italiano ai Paesi più poveri, dirette ad impegnare il Governo a sostenere il Piano di azione per l’Africa approvato al G 8 di Genova, a elaborare una riforma normativa del settore della cooperazione, a porre al centro del Vertice di Johannesburg sullo sviluppo sostenibile il nesso tra ambiente e povertà. Nel marzo 2002, in vista della Conferenza ONU di Monterrey sul finanziamento allo sviluppo, la Commissione affari esteri ha approvato una risoluzione nella quale si chiedeva tra l’altro al Governo di effettuare un significativo aumento di fondi nei confronti della cooperazione con l’impegno a perseguire l’obiettivo dello 0,7 del PIL concordato in ambito internazionale. Il Vertice di Johannesburg è stato oggetto di una mirata ed intensa attività parlamentare diretta a caratterizzare la partecipazione del Governo al Vertice stesso e quindi ad impegnare l’Esecutivo ad attuare le decisioni assunte in quella sede.
Nell’ambito della Commissione affari esteri è stato istituito un Comitato permanente sulla fame nel mondo che, dal luglio 2002 al febbraio 2005, ha svolto una indagine conoscitiva sulle politiche e sulle strutture internazionali dirette a combattere la fame nel mondo. Il Comitato ha svolto una serie di audizioni di rappresentanti delle istituzioni internazionali impegnate nella lotta alla fame, di esperti di vario genere e del sottosegretario agli affari esteri con delega nella materia, il sen. Alfredo Mantica. Le principali cause della povertà emerse dall’indagine sono l’esistenza di conflitti interstatuali e di guerre civili, la corruzione diffusa, il livello eccessivamente elevato delle tariffe doganali applicate all’agricoltura e la riduzione dei fondi destinati dagli Stati alle organizzazioni internazionali impegnate in favore dei paesi meno sviluppati.
Va inoltre ricordato come, nelle sedute del 21 novembre 2001 e del 13 giugno 2002, l’Assemblea della Camera abbia approvato alcune mozioni, sia di maggioranza che di opposizione, volte ad impegnare il Governo a perseguire gli obiettivi di riduzione della fame nel mondo e di impegno finanziario (lo 0,7 del PIL entro il 2015) nei confronti della povertà stabiliti a livello internazionale.
La Camera ha inoltre prestato una specifica attenzione al tema dell’acqua potabile e delle risorse idriche e a quello della lotta alla siccità ed alla desertificazione, entrambi al centro di alcuni documenti di indirizzo approvati dalla Commissioni affari esteri.
La dimensione europea della cooperazione allo sviluppo è stata invece ripetutamente trattata dal Presidente della Commissione affari esteri nel riferire in merito alle periodiche riunioni dei Presidenti delle Commissioni parlamentari dei Paesi UE competenti in materia di cooperazione allo sviluppo. Attinenti alle problematiche della cooperazione allo sviluppo sono risultate inoltre l’indagine conoscitiva sulle imposizioni sulle transazioni valutarie, condotta dalle Commissioni riunite esteri e finanze dal giugno 2003 all’aprile 2005, e l’indagine conoscitiva sulle istituzioni finanziarie internazionali, svolta dalle Commissioni affari esteri della Camera e del Senato dall’aprile 2002 al maggio 2005.
A livello normativo, di sicuro rilievo appare la legge n. 235 del 2002 di ratifica del nuovo Accordo di partenariato tra la comunità europea ed i Paesi ACP (Africa, Caraibi, Pacifico), concluso a Cotonou nel 2000, che ha sensibilmente innovato il quadro precedentemente definito dalla Convenzione di Lomé. Vanno inoltre menzionati gli interventi umanitari e di emergenza quali l’azione umanitaria dispiegata in Pakistan a margine della guerra in Afghanistan, le iniziative umanitarie effettuate in relazione agli effetti ella guerra in Iraq, l’intervento in favore del Sudan in seguito al conflitto interetnico nel Darfur e le attività svolte per fronteggiare l’emergenza generata dal devastante maremoto che ha colpito il Sud-est asiatico. Nei casi ricordati il Parlamento ha approvato provvedimenti di finanziamento o ha comunque assunto iniziative volte ad impegnare politicamente il Governo.
A riguardo va in primo luogo segnalata un’innovazione di carattere istituzionale: la creazione, nell’ambito della Presidenza del Consiglio dei ministri, di un Dipartimento per gli italiani del mondo, preceduta dalla nomina, in occasione della nascita del primo governo Berlusconi, di un Ministro per gli italiani nel mondo.
Il provvedimento legislativo fondamentale in materia è stata la legge n. 459 del 2001 che ha disciplinato la partecipazione alle consultazioni politiche dei cittadini italiani all’estero. Una serie di provvedimenti ha invece prorogato i termini per effettuare la rilevazione dei cittadini italiani all’estero nonché per effettuare il rinnovo di organismi di rappresentanza ed in primo luogo dei COMITES (Comitati degli italiani all’estero). Con la legge n. 286 del 2003 i COMITES sono stati inoltre oggetto di una legge di riforma che ha riferito il diritto di elettorato attivo per i Comitati ai medesimi cittadini residenti all’estero titolari del diritto di voto alle elezioni politiche nazionali ed ha previsto anche per i Comitati il voto per corrispondenza.
Il Parlamento ha infine seguito con attenzione le operazioni di integrazione tra i dati consolari e quelli anagrafici volti a realizzare l’anagrafe unificata dei cittadini residenti all’estero, come attesta in particolare la risoluzione approvata a riguardo dalla Commissione affari esteri nel febbraio del 2005.
L’organizzazione del Ministero degli affari esteri è stata interessata da provvedimenti di portata limitata. Il DPR n. 157 del 2002 ha soprattutto rafforzato il ruolo e ridefinito le funzioni del Segretario generale mentre con la legge n. 109 del 2003 si è provveduto ad incorporare, anche formalmente, l’istituto diplomatico e gli istituti di cultura nell’Amministrazione degli affari esteri. La medesima legge ha inoltre consentito di istituire sezioni distaccate delle rappresentanze diplomatiche sia in Stati diversi da quelli dove hanno sede le rappresentanze diplomatiche sia in sostituzione di queste ultime.
Con il decreto legge n. 35 del 2005 sono state introdotte norme di razionalizzazione e semplificazione amministrativa e contabile nella gestione degli uffici all’estero. Sempre in materia di gestione amministrativa e contabile degli uffici all’estero, è intervenuto l’art. 4 della legge n. 246 del 2005, che ha disposto una delega legislativa che verrà a scadenza nel novembre del 2006. L’art. 9 della medesima legge ha ampliato i casi in cui è possibile istituire delegazioni diplomatiche speciali nonché le tipologie di consulenti dei quali possono avvalersi le rappresentanze diplomatiche. Il decreto del Ministro degli affari esteri del 9 febbraio 2006 ha infine stabilito le articolazioni interne degli uffici dirigenziali.
Anche in materia di personale non si registrano che interventi volti ad affrontare problemi specifici. Ad esempio, la legge n. 442 del 2001 ha introdotto disposizioni integrative in materia di impiegati a contratto in servizio all’estero prevedendo la possibilità di effettuare 200 nuove assunzioni e la legge n. 145 del 2002 ha previsto l’istituzione di un elenco per l’iscrizione delle imprese private disposte a rendere disponibile proprio personale per ricoprire incarichi presso organizzazioni internazionali. La legge n. 109 del 2003 reca invece disposizioni in materia di formazione del personale, di equiparazione del servizio prestato in organizzazioni internazionali a quello svolto presso Stati esteri, di modifica dei requisiti per la nomina di funzionari della carriera diplomatica di vario livello, di indennità per lingue estere di difficile apprendimento e di aumento dell’indennità di servizio. Rilevante è la norma che prevede l’assunzione di personale a contratto da parte delle rappresentanze diplomatiche per complessive 2.277 unità. Il decreto-legge n. 136 del 2004 ha invece introdotto disposizioni in materia di avvicendamento di funzionari diplomatici nelle sedi estere, di informazione in ordine ai posti vacanti all’estero e di aumento di indennità di servizio all’estero per ragioni di famiglia. Nel 2005 e nel 2006 l’Amministrazione degli affari esteri (v. da ultimo l’art. 28 del decreto-legge n. 273 del 2005) è stata autorizzata ad assumere personale a tempo indeterminato per un totale di 73 unità. Infine, il DPR n. 89 del 2004 ha provveduto alla rideterminazione in aumento delle dotazioni organiche delle qualifiche dirigenziali, delle aree funzionali e delle posizioni economiche del Ministero (carriera diplomatica esclusa).
Grazie al processo di allargamento, che costituisce da sempre un elemento chiave del progetto europeo, l’Unione europea è passata dagli originali 6 membri (Belgio, Germania, Francia, Italia, Lussemburgo e Paesi bassi) agli attuali 25. L’ultimo allargamento risale al 1° maggio 2004, quando Cipro, Estonia, Lettonia, Lituania, Malta, Polonia, Repubblica ceca, Repubblica slovacca, Slovenia e Ungheria sono divenuti a pieno titolo Stati membri dell’Unione Europea.
Le fasi del processo di adesione - In base all’articolo 49 del Trattato sull’Unione europea, ogni paese europeo può presentare richiesta di adesione se rispetta i principi di libertà, democrazia, Stato di diritto, tutela dei diritti umani e delle libertà fondamentali, principi che sono comuni agli Stati membri. Il medesimo articolo stabilisce che sulla richiesta di adesione il Consiglio si esprime all’unanimità, previa consultazione della Commissione e previo parere conforme del Parlamento europeo. A conclusione di tale procedura, è il Consiglio europeo ad attribuire lo status di paese candidato.
L’apertura formale dei negoziati tra gli Stati membri e lo Stato candidato avviene sulla base di una decisione in tal senso del Consiglio europeo e dopo l’approvazione del mandato negoziale da parte del Consiglio.
Una volta che, a seguito dei negoziati, tutti i capitoli siano stati positivamente esaminati, il risultato dei negoziati confluisce nel testo del Trattato di adesione, che è concordato tra gli Stati membri e il paese candidato e successivamente sottoposto alla Commissione per il parere. Sul testo del Trattato di adesione è richiesto il parere conforme del Parlamento europeo. Dopo la firma, il Trattato di adesione è sottoposto alla ratifica da parte di tutti gli Stati membri, nonché del paese interessato, conformemente allo rispettive norme costituzionali.
L’adesione può essere conseguita soltanto se il paese soddisfa i cosiddetti criteri di Copenaghen, stabiliti dal Consiglio europeo di Copenaghen del giugno 1993 e rafforzati dal Consiglio europeo di Madrid del 1995:
§ criteri politici: istituzioni stabili in grado di garantire democrazia, Stato di diritto, diritti umani e protezione delle minoranze;
§ criteri economici: economia di mercato funzionante e capacità di far fronte alle pressioni concorrenziali e alle forze di mercato all’interno dell’Unione;
§ capacità di fare fronte agli obblighi derivanti dall’adesione, ivi compresi gli obiettivi dell’unione politica, economica e monetaria;
§ adozione dell’acquis comunitario e sua effettiva attuazione attraverso adeguate strutture amministrative e giudiziarie.
In aggiunta, come ribadito in particolare in occasione dell’apertura dei negoziati di adesione della Turchia, nei futuri allargamenti si terrà conto anche della capacità di assorbimento dell’Unione europea.
Nel corso del processo di adesione, l’Unione europea sostiene gli sforzi di ciascun paese attraverso una strategia di pre-adesione che si compone di diversi strumenti e meccanismi, tra i quali la partecipazione ai programmi, ai comitati e alle agenzie dell’UE, il dialogo politico, il programma nazionale di adozione dell’acquis comunitario, il cofinanziamento da parte di istituzioni internazionali, l’assistenza di preadesione, attraverso specifici strumenti finanziari. Inoltre, il livello di preparazione di ciascun paese è costantemente monitorato dalla Commissione europea. I risultati dell’attività di monitoraggio e lo stato di attuazione delle riforme vengono resi pubblici attraverso relazioni periodiche.
Le prospettive future
I paesi aderenti sono attualmente due, Bulgaria e Romania, la cuiadesione è prevista per il 1° gennaio 2007.
La Turchia e la Croazia hanno avviato formalmente, il 3 ottobre 2005, i negoziati per l’adesione.
La ex Repubblica iugoslava di Macedonia ha ottenutolo status di paese candidato nel dicembre 2005.
Bulgaria e Romania
Il processo di adesione della Bulgaria e della Romania è quasi concluso. Il Trattato di adesione è stato firmato il 25 aprile 2005, dopo l’espressione del parere da parte del Parlamento europeo, il 13 aprile 2005. Al momento, il trattato risulta ratificato, oltre che dall’Italia (legge n. 16 del 9 gennaio 2006), da quattordici paesi. Con la firma del Trattato, la Bulgaria e la Romania sono considerati paesi aderenti e partecipano come osservatori attivi a tutti i comitati e organi dell’UE.
Va segnalato che nel Trattato di adesione è stata inserita una clausola di salvaguardia addizionale che prevede che il Consiglio, su proposta della Commissione, possa decidere a maggioranza qualificata di rinviare l’adesione di un anno se non dovessero essere rispettati gli impegni assunti in materia di preparazione all’adesione, soprattutto per quanto riguarda i settori della giustizia e affari interni e della concorrenza.
Il 25 ottobre 2005 la Commissione ha pubblicato le relazione globali di verifica del grado di preparazione della Bulgaria e della Romania in vista dell’adesione all’Unione europea. Le relazioni segnalano che entrambi i paesi hanno compiuto buoni progressi e dovrebbero essere in grado di rispettare i criteri previsti dall’Unione europea per il 1° gennaio 2007, a condizione che concentrino tutti i loro sforzi sulle riforme, in particolare sulla loro reale attuazione. La prossima revisione del processo di preparazione di Bulgaria e Romania è prevista per il mese di maggio 2006.
Croazia
La Croazia, dichiarata paese candidato dal Consiglio europeo del 17 e 18 giugno 2004, ha avviato formalmente i negoziati per l’adesione il 3 ottobre 2005.
L’apertura dei negoziati di adesione con la Croazia era stata fissata dal Consiglio europeo di dicembre 2004 per il 17 marzo 2005, a condizione che il paese collaborasse pienamente con il Tribunale penale internazionale per la ex Iugoslavia. Solo il 3 ottobre 2005, una volta constatata la piena collaborazione del paese con il Tribunale penale internazionale per l’ex Iugoslavia, il Consiglio ha dato il via libera all’apertura dei negoziati.
In quanto paese candidato la Croazia usufruisce, a partire dal 1° gennaio 2005, degli attuali strumenti finanziari di preadesione.
Turchia
La Turchia ha ottenuto lo status di paese candidato dal Consiglio europeo di Helsinki del dicembre 1999.
Sulla base della relazione periodica e della raccomandazione presentate dalla Commissione il 6 ottobre 2004, il Consiglio europeo del 16 e 17 dicembre 2004 ha deciso che la Turchia soddisfa sufficientemente i criteri politici di Copenaghen, fissando per il 3 ottobre 2005 la data di avvio dei negoziati di adesione, a condizione che entrassero in vigore alcuni specifici atti legislativi (legge sulle associazioni; nuovo codice penale; giurisdizione d’appello; codice di procedura penale; istituzione della polizia giudiziaria; esecuzione delle pene). Tale condizione è stata soddisfatta dalla Turchia il 1° giugno 2005.
Determinante per la decisione favorevole del Consiglio europeo di dicembre 2004 è stata la disponibilità manifestata dal Governo turco a firmare, prima dell’avvio dei negoziati, il protocollo che estende ai dieci nuovi Stati membri, compresa la Repubblica di Cipro, l’Accordo di associazione stipulato nel 1963 con la Comunità europea (cosiddetto Accordo di Ankara).
Il 3 ottobre 2005 il Consiglio ha approvato il quadro negoziale con la Turchia, consentendo l’apertura formale dei negoziati per l’adesione del paese all’Unione europea, nella data stabilita dal Consiglio europeo del dicembre 2004.
Alla decisione del Consiglio si è arrivati dopo una lunga e delicata trattativa. Il principale ostacolo è stato rappresentato dalla richiesta austriaca di prevedere, quale sbocco alternativo dei negoziati con la Turchia, l’ipotesi di un partenariato privilegiato che questa non era disposta ad accettare. L’approvazione del quadro negoziale è stata resa possibile dalla rinuncia dell’Austria a tale ipotesi, a fronte di un rafforzamento nel testo dell’importanza della capacità di assorbimento dell’UE quale criterio di valutazione per le future adesioni.
Anche in considerazione delle diffuse preoccupazioni manifestate in alcuni Stati membri rispetto all’adesione della Turchia all’Unione europea nonché dell’esperienza acquisita nel corso dei precedenti allargamenti, il quadro negoziale approvato per la Turchia è per alcuni aspetti più stringente rispetto al passato.
Facendo seguito alle conclusioni del Consiglio europeo di Helsinki del 1999, l’8 marzo 2001 il Consiglio ha adottato un Partenariato per l’adesione della Turchia, aggiornato da ultimo il 23 gennaio 2006, che riunisce in un unico strumento-quadro le priorità per la preparazione all’adesione e le risorse finanziarie disponibili.
Ex Repubblica iugoslava di Macedonia
La ex Repubblica iugoslava di Macedonia, che ha avanzato domanda di adesione all’Unione europea il 22 marzo 2004, ha ottenuto lo status di paese candidato dal Consiglio europeo del 15 e 16 dicembre 2005. Sulla base del parere favorevole espresso dalla Commissione, il Consiglio europeo ha tenuto conto in particolare dei progressi compiuti dal paese nell’attuazione dell’accordo di stabilizzazione ed associazione, entrato in vigore il 1° aprile 2004. Il Consiglio europeo ha precisato che ulteriori misure dovranno tenere conto delle discussioni sulla strategia per l’allargamento, del rispetto dei criteri e dei requisiti richiesti per l’adesione da parte dell’ex Repubblica iugoslava di Macedonia nonché della capacità di assorbimento dell’Unione europea.
Al momento non è prevista l’apertura dei negoziati di adesione.
La strategia della Commissione
Il 9 novembre 2005, congiuntamente alle relazioni sullo stato di preparazione dei singoli paesi, la Commissione ha presentato il documento di strategia 2005 sull’ampliamento (COM (2005) 561), in cui ha esposto i tre principi su cui si basa la strategia futura della Commissione in materia di allargamento:
§ consolidamento degli impegni che i Capi di Stato e di governo dell’Unione europea hanno assunto nei confronti della Turchia e dei Balcani, tenendo in considerazione la capacità di assorbimento dell’UE e salvaguardando il buon funzionamento delle proprie istituzioni;
§ rispetto delle condizioni per l’adesione, manifestando rigore nell’esigere dai paesi il rispetto dei criteri richiesti ed equità nel riconoscere e ricompensare i progressi compiuti;
§ miglioramento della comunicazione per fugare le preoccupazioni e rendere più chiari i vantaggi dei futuri allargamenti, inaugurando un reale dialogo con i cittadini.
Il 16 marzo 2006, il Parlamento europeo ha adottato a larga maggioranza una risoluzione (397 voti a favore, 95 contrari e 37 astensioni) sul documento di strategia della Commissione.
Rapporti tra l’Unione europea e i Balcani occidentali
Come ribadito in più occasioni dalle istituzioni europee, la prossima fase del processo di allargamento riguarderà i paesi dei Balcani occidentali (Albania, Bosnia-Erzegovina, Serbia-Montenegro e Kosovo) che, già in occasione del Consiglio europeo tenutosi a Feira il 19 e 20 giugno 2000, sono stati definiti “candidati potenziali all’adesione all’Unione europea”. Tale approccio è stato ribadito da ultimo il 10 e 11 marzo 2006, nel corso del Consiglio affari esteri informale che si è tenuto a Salisburgo e al quale hanno partecipato anche i paesi candidati e potenziali candidati dei Balcani occidentali.
L’impegno dell’Unione europea nei confronti dei Balcani è confermato anche nella citata strategia per l’allargamento presentata il 9 novembre 2005, in cui la Commissione segnala l’importanza di una prospettiva europea convincente per il proseguimento del processo di riforma in atto in questi paesi.
Peraltro, nell’ambito delle riforma dell’assistenza esterna, proposta dalla Commissione nel quadro delle nuove prospettive finanziarie 2007-2013, è previsto che i Balcani occidentali beneficino dei finanziamenti dell’UE attraverso lo strumento dedicato all’assistenza preadesione.
Il Processo di stabilizzazione ed associazione
Attualmente le relazioni tra l’Unione europea e i cinque paesi dei Balcani occidentali si svolgono prevalentemente nel quadro del Processo di stabilizzazione ed associazione (PSA), istituito nel 1999.
Su proposta della Commissione (COM (1999) 235), il PSA è stato approvato dal Consiglio il 21 giugno 1999. Gli strumenti che compongono il PSA, formalizzati al Vertice UE-Balcani di Zagabria del 2000, sono stati arricchiti da elementi ispirati al processo di allargamento nel giugno 2003, con l’approvazione da parte del Consiglio europeo della cosiddetta “Agenda di Salonicco”.
Il processo è la cornice entro cui diversi strumenti sostengono gli sforzi compiuti da questi paesi nella fase di transizione verso democrazie ed economie di mercato stabili; come già anticipato, nel lungo periodo la prospettiva è quella della piena integrazione nell’Unione europea, sulla base delle previsioni del Trattato sull’Unione europea e dei criteri di Copenaghen.
Lo stato di avanzamento del processo viene costantemente seguito dalla Commissione che, attraverso la pubblicazione di una relazione annuale, fornisce indicazioni sui progressi realizzati dai paesi dei Balcani occidentali rispetto alla situazione dell’anno precedente. Tale relazione rappresenta l’indicatore principale per valutare se ciascun paese sia pronto per una relazione più stretta con l’UE.
Le componenti principali del PSA sono quattro: accordi di stabilizzazione ed associazione, elevato livello di assistenza finanziaria, misure commerciali e dimensione regionale.
La strategia futura
Il 27 gennaio 2006, la Commissione ha adottato la comunicazione “I Balcani occidentali sulla strada verso l’UE: consolidare la stabilità e rafforzare la prosperità” (COM (2006) 27), in cui propone di promuovere commercio, sviluppo economico, movimento di persone, istruzione e ricerca, cooperazione regionale e dialogo con la società civile nel Balcani occidentali come parte della strategia europea di integrazione dei popoli della regione. La comunicazione definisce misure concrete per rafforzare la politica dell’UE e gli strumenti a sua disposizione. L’obiettivo è quello di aiutare questi paesi a rafforzare la prospettiva europea, che rappresentaun forte incentivo ad attuare riforme politiche ed economiche e ha favorito la riconciliazione tra i popoli della regione. Nella comunicazione la Commissione sottolinea infatti i progressi compiuti dai paesi della regione negli ultimi tre anni, in particolare in termini di stabilizzazione e riconciliazione, riforma interna e cooperazione regionale.
La “politica europea di vicinato” (PEV) si rivolge ai nuovi Stati indipendenti (Bielorussia, Moldova, Ucraina), ai paesi del Mediterraneo meridionale (Algeria, Autorità palestinese, Egitto, Giordania, Israele, Libano, Libia, Marocco, Siria, Tunisia) e agli Stati del Caucaso (Armenia, Azerbaigian e Georgia). L’obiettivo è quello di prevenire l’emergere di nuove linee di divisione tra l’Unione europea allargata e i suoi vicini, condividendo con questi ultimi i benefici dell’allargamento e consentendo loro di partecipare alle diverse attività dell’UE, attraverso una cooperazione politica, economica e culturale rafforzata.
La politica europea di vicinato, nettamente distinta dalla questione della potenziale adesione all’UE, propone un nuovo approccio nei confronti dei paesi interessati: in cambio dei progressi concreti compiuti in termini di riconoscimento dei valori comuni e di attuazione effettiva di riforme politiche, economiche e istituzionali, si riconosce loro una partecipazione al mercato interno dell’UE, nonché un’ulteriore integrazione e liberalizzazione per favorire la libera circolazione di persone, merci, servizi e capitali.
Tra le azioni concrete che l’UE intende mettere in campo per realizzare la politica di vicinato, si segnalano in particolare:
§ l’istituzione, per il periodo 2004-2006, di programmi di vicinato volti a garantire la sicurezza delle frontiere esterne, a rafforzare la cooperazione transfrontaliera su temi comuni (ambiente, salute pubblica, lotta alla criminalità organizzata) e a favorire l’integrazione nello spazio europeo della ricerca e nei settori delle reti di trasporto, delle telecomunicazioni e dell’energia. Tali programmi saranno finanziati con un importo globale di 955 milioni di euro, nell’ambito degli strumenti finanziari esistenti;
§ a partire dal 2007, nel quadro delle prospettive finanziarie 2007-2013, l’istituzione di un unico strumento finanziario (Strumento europeo di vicinato e partenariato);
§ la pubblicazione di country reports che danno conto dei progressi compiuti da ciascun paese nell’attuazione degli accordi bilaterali e delle relative riforme;
§ la predisposizione di piani d’azione per ciascuno dei paesi interessati. Si tratta di strumenti considerati cruciali dalla Commissione nel processo di avvicinamento all’Unione, che non sostituiscono gli accordi di associazione o di cooperazione vigenti ma si avvalgono dell’esperienza acquisita nella loro attuazione. I piani d’azione saranno differenziati, per riflettere lo stato delle relazioni di ciascun paese con l’UE, le sue necessità e capacità, nonché gli interessi comuni, e definiranno il percorso da seguire nei prossimi 3-5 anni. I primi sette piani d’azione (Autorità palestinese, Giordania, Israele, Marocco, Moldova, Tunisia e Ucraina), presentati dalla Commissione il 9 dicembre 2004, sono stati approvati dal Consiglio nella riunione del 13 e 14 dicembre 2004. Per quanto riguarda gli altri paesi (Egitto, Libano, Armenia, Azerbaigian e Georgia), il 25 aprile 2005 il Consiglio, su proposta della Commissione, ha deciso di intensificare le relazioni reciproche. Per Egitto e Libano si tratta di predisporre al più presto i piani d’azione (la decisione di negoziare i piani d’azione è stata già presa dal Consiglio nel dicembre 2004); per i paesi del Caucaso meridionale il Consiglio ha invitato la Commissione ad avviare i lavori congiunti per allestire i piani d’azione.
Il 29 settembre 2004, nel quadro delle prospettive finanziarie 2007-2013, la Commissione ha presentato proposte volte a sostituire l’attuale insieme di strumenti finanziari destinati all’erogazione dell’aiuto ai Paesi terzi (“assistenza esterna”) con un quadro più semplice ed efficace. La Commissione propone:
§ uno strumento per l’assistenza preadesione (anche detto IPA) dedicato ai paesi candidati (Turchia e Croazia) e ai paesi candidati potenziali (Balcani occidentali), che dovrebbe sostituire gli strumenti esistenti PHARE, ISPA, SAPARD, CARDS, come pure una serie di specifici regolamenti (COM (2004) 627);
§ uno strumento europeo di vicinato e partenariato (anche detto ENPI) dedicato ai Paesi terzi che partecipano alla politica europea di vicinato, (vedi infra) (COM (2004) 628). Dovrebbe sostituire il programma MEDA e, in parte, il programma TACIS. Lo strumento fornirà sostegno anche al partenariato strategico dell’Unione europea con la Russia. Una componente specifica e innovativa di questo strumento consiste nella cooperazione transfrontaliera, la quale interesserà regioni degli Stati membri e dei paesi vicini che condividono una frontiera comune;
§ uno strumento per la cooperazione allo sviluppo e la cooperazione economica dedicato a tutti quei paesi, territori e regioni che non possono beneficiare dell’assistenza erogata dai due precedenti strumenti (COM (2004) 629);
§ uno strumento per la stabilità,finalizzato a reagire alle situazioni di crisi e di instabilità nei paesi terzi e ad affrontare i problemi di carattere transfrontaliero, con particolare riguardo alla sicurezza e alla non proliferazione nucleare nonché alla lotta contro i traffici illegali, la criminalità organizzata e il terrorismo (COM (2004) 630).
Le proposte avanzate dalla Commissione sono in attesa di essere esaminate dal Consiglio e dal Parlamento europeo, ad eccezione di quella relativa allo strumento di cooperazione allo sviluppo e cooperazione economica, che è stata respinta dal Parlamento europeo in prima lettura e ritirata dalla Commissione il 15 marzo 2006.
Nel quadro della riforma dell’assistenza esterna proposta dalla Commissione, i nuovi strumenti forniranno gli atti giuridici di base per le spese comunitarie a sostegno dei programmi di cooperazione esterna, compresi i programmi tematici, vale a dire i programmi di natura orizzontale, specializzati per tema. In questo contesto, il 25 gennaio 2006 la Commissione ha adottato sette nuovi programmi tematici (diritti umani e democratizzazione; investire nelle persone; ambiente e gestione sostenibile delle risorse naturali, compresa l’energia; sicurezza alimentare; organizzazioni non governative e autorità locali; migrazione e asilo; cooperazione con i paesi industrializzati), destinati a sostituire i 15 attualmente esistenti. Tali programmi si propongono di corrispondere ad obiettivi politici che non sono geograficamente delimitati e che non possono essere raggiunti attraverso programmi a carattere nazionale e regionale.
Nel periodo di riferimento della XIV legislatura, diversi sono stati gli eventi di rilievo relativi agli affari comunitari e dell’Unione europea, sia sul piano europeo che interno.
Per quanto riguarda il primo profilo, si ricorda l’adozione di vari Trattati che hanno, in particolare, adeguato le strutture ed i metodi decisionali delle Istituzioni europee al processo di allargamento dell’UE, attualmente in corso. In proposito, si segnalano il Trattato di Nizza (del 2000, ma ratificato in Italia nel maggio 2002), il Trattato di adesione di dieci nuovi Stati membri (2003), nonché il Trattato di adesione di Romania e Bulgaria (2005).
In tale contesto, un ruolo di primo piano svolge il Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa (2004), che riunisce tutte le disposizioni contenute nei differenti Trattati e protocolli vigenti in un unico testo, riorganizzando completamente la struttura comunitaria. Tra le principali novità, si ricordano, infatti, l’eliminazione dell’articolazione in pilastri, la semplificazione e la riorganizzazione delle fonti normative, l’inserimento della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea come parte integrante del Trattato.
Tali fondamentali sviluppi sono stati in parte seguiti sul versante interno – e veniamo così al secondo profilo – dall’indagine conoscitiva sul futuro dell’Unione europea, avviata dalle Commissioni affari esteri e comunitari e politiche dell’Unione europea della Camera nonché dalla Commissione affari esteri, emigrazione e dalla Giunta per gli affari europei del Senato.
In merito al profilo interno, particolarmente significativa appare poi la riforma della legge n. 86 del 1989, c.d. legge La Pergola: la legge n. 11 del 2005, infatti, ha interamente sostituito ed abrogato la legge n. 86, al fine di adeguarne i contenuti al mutato quadro costituzionale. Inoltre, è proseguita, nella XIV legislatura, la tendenza ad un’approvazione tempestiva, con cadenza annuale, delle leggi comunitarie.
Il Trattato di Nizza, firmato il 26 febbraio 2001, è stato ratificato dall’Italia con la legge 11 maggio 2002, n. 10, ed è entrato in vigore il 1° febbraio 2003. Scopo fondamentale del Trattato era quello di preparare l’Unione all’imminente allargamento (previsto originariamente per 27 Paesi, inclusi Bulgaria e Romania) introducendo gli opportuni adeguamenti istituzionali. Si voleva in sostanza evitare che l’aumento del numero degli Stati membri indebolisse la capacità decisionale ed il livello di integrazione dell’Unione.
In merito alla composizione della Commissione, è previsto che, a partire dalla Commissione nominata dopo il 1° gennaio 2005 e fino a quando gli Stati membri non raggiungeranno il numero di 27, la Commissione sia composta di un solo cittadino per ogni Stato membro. Con l’Unione a 27 membri, i commissari saranno scelti secondo un criterio di rotazione ed il loro numero sarà inferiore a quello degli Stati membri. Il Presidente, i cui poteri sono stati rafforzati, è designato dal Consiglio europeo a maggioranza qualificata (in precedenza all’unanimità) mentre viene confermata l’approvazione della designazione da parte del Parlamento europeo, che in un secondo momento approva la designazione della Commissione nel suo complesso.
Per quanto riguarda il Parlamento europeo, il numero massimo dei membri è stato elevato a 723 e, nella prospettiva di un’Unione a 27, è stato stabilito il numero di parlamentari spettanti a ciascuno Stato. L’Italia, come Francia e Regno Unito, è passata da 87 a 72 seggi.
Significative modifiche sono state apportate alla struttura ed alla competenza degli organi giurisdizionali dell’Unione. La Corte di giustizia e il Tribunale di primo grado sono composti di un giudice per ogni Stato membro. Anche per la Corte dei conti è stato confermato il criterio di un componente per ogni Stato membro ed è stata altresì modificata la procedura di nomina[36].
Modifiche estremamente delicate e controverse sono state quelle attinenti al processo decisionale dell’Unione. Per quanto riguarda le deliberazioni a maggioranza qualificata, per le quali vige un sistema di ponderazione dei voti basato sulla popolazione dei singoli Stati, è stato deciso, a partire dal 1° gennaio 2005, l’aumento del numero dei voti attribuiti a ciascuno Stato membro e la ridefinizione della soglia della maggioranza qualificata.
Quando gli Stati membri diverranno 27, tale soglia sarà del 74,78% dei voti (pari a 258 voti su 345) mentre quella attuale è del 71,26% (62 voti su 87). Una Dichiarazione allegata al Trattato prevede tuttavia un diverso meccanismo, di carattere graduale, che eleva la soglia attuale ad un massimo del 73,4%, destinato a trovare applicazione sino a quando il numero degli Stati membri sia inferiore a 27. Per la validità delle votazioni è prevista come seconda condizione che le decisioni raccolgano i voti della maggioranza degli Stati membri. E’ infine previsto un meccanismo di verifica della validità delle deliberazioni: ogni membro del Consiglio può chiedere che si accerti che la maggioranza qualificata rappresenti almeno il 62% della popolazione dell’Unione.
E’ prevista un’estensione del voto a maggioranza qualificata: 27 disposizioni passano integralmente o parzialmente dall’unanimità alla maggioranza qualificata[37] e risulta estesa anche la procedura di codecisione[38].
Significative modifiche sono state inoltre apportate alla disciplina delle cooperazioni rafforzate, tra cui si ricordano: la riduzione del numero di Stati che possono avviarle (ora fissato ad 8); la soppressione della possibilità di opporsi ad esse attraverso il c.d. veto; la previsione in alcuni casi del parere del Parlamento europeo[39]; la possibilità di instaurare cooperazioni rafforzate anche nel settore della politica estera e di sicurezza comune per la realizzazione di un’azione comune o di una posizione comune.
In materia di diritti fondamentali, viene previsto un dispositivo di tipo preventivo: su proposta di un terzo degli Stati membri, del Parlamento o della Commissione, il Consiglio, a maggioranza dei quattro quinti dei componenti e previo parere conforme del Parlamento, può constatare che esiste un rischio di violazione grave dei diritti fondamentali da parte di uno Stato membro e rivolgergli adeguate raccomandazioni. Va ricordato come a Nizza, il 7 dicembre 2000, sia stata firmata dai tre Presidenti delle istituzioni dell’Unione la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea proclamata congiuntamente dal Consiglio, dal parlamento e dalla Commissione. La Carta non è stata tuttavia integrata nei Trattati (ma vedi sul punto il nuovo Trattato costituzionale).
Il Trattato di adesione all’Unione europea di Cipro, Estonia, Lettonia, Lituania, Malta, Polonia, Repubblica ceca, Repubblica slovacca, Slovenia e Ungheria è stato firmato ad Atene il 16 aprile 2003 ed è entrato in vigore il 1° maggio 2004, a seguito del deposito, avvenuto entro il 30 aprile 2004 (come prescritto dall’articolo 2 del Trattato), presso il governo italiano di tutti gli strumenti di ratifica.
L’Italia ha ratificato il Trattato con la legge 24 dicembre 2003, n. 380[40].
II Trattato è composto dal Trattato di adesione propriamente detto, i cui tre articoli riguardano le questioni attinenti la ratifica da parte degli Stati aderenti, e dall’Atto di adesione, firmato contemporaneamente al Trattato 16 aprile 2003, che forma - con i suoi allegati - parte integrante di esso e reca le condizioni di ammissione ed i conseguenti adattamenti dei Trattati sui quali è fondata l’Unione, in base a quanto previsto dall’articolo 49 del Trattato UE. Infine, è stato adottato un Atto finale, che contiene - tra l’altro - una serie di dichiarazioni, alcune comuni (su “un’unica Europa” e sulla Corte di giustizia delle Comunità europee), altre degli Stati membri attuali o dei nuovi Paesi aderenti.
La disciplina sostanziale delle modalità di adesione è, pertanto, contenuta nell’Atto di adesione, che si compone di 62 articoli, e sostanzialmente reca le norme necessarie ad adattare le disposizioni istituzionali del Trattato di Nizza alla nuova dinamica del processo di allargamento (10, anziché 12, nuovi Stati), rimodulando tra l’altro le disposizioni previste nel Trattato di Nizza per adeguarle al numero inferiore di Stati aderenti.
A quest’ultimo proposito, particolare rilievo assumono le disposizioni istituzionali, contenute agli articoli 24-42, che recano disposizioni transitorie sugli aspetti istituzionali e le clausole di salvaguardia e, in particolare, l’articolo 24 rinvia ad un allegato per ciascuno Stato aderente (all. V-XIV) in cui sono indicati gli atti comunitari e le relative condizioni di applicazione.
Per quanto riguarda le modifiche relative alla composizione del Parlamento europeo, l’Atto di adesione prevede che, per le elezioni relative alla legislatura 2004-2009, a tutti gli Stati membri sia assegnato il numero dei seggi previsto dal Trattato di Nizza, aumentato del numero dei seggi non attribuiti a Bulgaria e Romania, distribuiti proporzionalmente fra tutti gli Stati membri. Rispetto alla Dichiarazione sull’allargamento, ad Ungheria e Repubblica ceca sono attribuiti due seggi in più[41].
Con l’ingresso nell’Unione europea di Bulgaria e Romania a tali Stati verrebbe attribuito il numero dei seggi loro riservati dalla Dichiarazione sull’allargamento allegata al Trattato di Nizza. Gli altri Stati membri (quelli attualmente membri dell’Unione e gli Stati aderenti) conserverebbero fino alla scadenza della legislatura 2004-2009 i seggi previsti dall’Atto di adesione. Pertanto, nel complesso della legislatura, il numero dei seggi del Parlamento europeo potrebbe risultare superiore al tetto di 732 fissato a Nizza.
A partire dalla legislatura 2009-2013 tutti gli Stati dovrebbero avere un numero di seggi corrispondente alla ripartizione prevista dalla Dichiarazione relativa all’allargamento dell’Unione europea allegata al Trattato di Nizza, con la sola correzione, già indicata, di due seggi in più per Ungheria e Repubblica Ceca, per un totale di 736 seggi[42].
In merito alla ponderazioni dei voti in sede di Consiglio dei Ministri dell’Unione europea, a partire dal 1° novembre 2004 l’Atto di adesione prevede l’entrata in vigore della nuova ponderazione dei voti prevista dal Trattato di Nizza. Il ritardato ingresso di Bulgaria e Romania comporta ovviamente una diminuzione del numero dei voti necessari per conseguire la maggioranza qualificata: rispetto alla soglia prevista a Nizza (258 voti su un totale di 345 disponibili), l’Atto di adesione fissa la maggioranza qualificata a 232 voti (su un totale di 321). Per l’adozione di un atto da parte del Consiglio saranno quindi necessari almeno 232 voti se la deliberazione è su proposta della Commissione, e 232 voti espressi da almeno due terzi degli Stati membri, negli altri casi[43].
Per quanto riguarda la composizione della Commissione europea, l’Atto di adesione conferma quanto previsto dal Trattato di Nizza[44].
Infine, l’Atto di adesione prevede l’integrazione della composizione della Corte di Giustizia, del Tribunale di primo grado e della Corte dei conti con dieci giudici ciascuno, mentre per la composizione del Comitato economico e sociale e del Comitato delle regioni, se ne prevede l’integrazione con i membri attribuiti agli Stati aderenti secondo lo schema previsto dalla Dichiarazione sull’allargamento allegata al Trattato di Nizza. Gli attuali Stati membri conservano il numero dei membri loro attribuito e la composizione dei due Comitati passa da 222 a 317 membri.
Successivamente, il 25 aprile 2005 è stato firmato il Trattato di adesione di Bulgaria e Romania, il cui ingresso nell’Unione europea è previsto per il 1° gennaio 2007. Con la firma del Trattato, la Bulgaria e la Romania sono considerati Paesi aderenti e partecipano come osservatori attivi a tutti i comitati e organi dell’UE (vedi paragrafo Questioni all’esame delle istituzioni dell’Unione europea nell’area tematica “Affari esteri”).
Nel quadro dell’assistenza finanziaria di preadesione, per il periodo 2004-2006 l’UE ha previsto in favore di Bulgaria e Romania un importo totale di circa 4,5 miliardi di euro, con un considerevole incremento rispetto agli anni precedenti. Per quanto riguarda in particolare il 2006, l’importo dell’assistenza di pre-adesione sarà di 545 milioni di euro per la Bulgaria e di 1.155 milioni di euro per la Romania.
Il Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa, firmato a Roma il 29 ottobre 2004, riunisce tutte le disposizioni contenute nei differenti Trattati e protocolli vigenti in un unico testo composto da:
§ Preambolo;
§ Parte I, che contiene le norme propriamente costituzionali, nonché le disposizioni generali per la politica estera, di sicurezza e di difesa e per lo spazio di libertà, sicurezza e giustizia;
§ Parte II, che contiene la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea;
§ Parte III, relativa alle politiche dell’Unione;
§ Parte IV, recante le disposizioni generali e finali,
§ Protocolli e dichiarazioni allegati al Trattato.
Il Trattato è stato fino ad ora ratificato da 14 Stati membri: Austria, Belgio, Cipro, Germania, Grecia, Italia, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Malta, Slovacchia, Slovenia, Spagna ed Ungheria.
A seguito dell’esito negativo dei referendum sulla ratifica del Trattato costituzionale in Francia e nei Paesi Bassi, i Capi di Stato e di governo hanno adottato, al Consiglio europeo del 16 e 17 giugno 2005, una dichiarazione che prende atto dei risultati dei referendum in Francia e nei Paesi Bassi e, pur sottolineando che tali risultati non rimettono in discussione l’interesse dei cittadini per la costruzione dell’Europa, riconosce la necessità di svolgere una riflessione comune. Si invita a promuovere in questo periodo di riflessione un ampio dibattito che coinvolga cittadini, parti sociali, Parlamenti nazionali e partiti politici.
La dichiarazione ribadisce la validità della prosecuzione dei processi di ratifica, prevedendo altresì un eventuale adeguamento del loro calendario in relazione agli sviluppi nei vari Stati membri; alcuni di questi hanno però sospeso il procedimento di ratifica. Il Consiglio europeo del 15 e 16 giugno 2006 dovrebbe procedere ad una valutazione globale dei dibattiti nazionali e decidere sul seguito del processo.
Tra le novità introdotte dal Trattato si segnala in particolare:
§ l’inserimento della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000, nel testo del Trattato come sua Parte II;
§ il conferimento della personalità giuridica all’Unione europea e l’eliminazione della struttura a “pilastri” (Comunità europea; politica estera e di sicurezza comune; cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale) in cui si articola attualmente l’Unione;
§ la generalizzazione della procedura legislativa ordinaria, modellata sull’attuale procedura di codecisione di Parlamento europeo e Consiglio;
§ l’elezione di un Presidente del Consiglio europeo con un mandato di due anni e mezzo rinnovabile, con il compito in particolare di assicurare la rappresentanza esterna dell’Unione;
§ la modifica (a partire dal 2014) del numero dei membri della Commissione europea, fissato ai due terzi degli Stati membri;
§ l’istituzione del Ministro per gli affari esteri dell’Unione, con il compito diguidare la politica estera e di sicurezza comune dell’Unione;
§ il superamento (a partire dal 2009) dell’attuale sistema di voto ponderato, con un sistema che si fonda sul principio della doppia maggioranza del 55% degli Stati membri dell’Unione – con un minimo di 15 - che rappresentino almeno il 65% della popolazione;
§ la ripartizione delle competenze tra Unione europea e Stati membri in competenze esclusive, per le quali l’Unione è l’unica a poter legiferare e adottare atti giuridicamente obbligatori; competenze concorrenti, per le quali sia l’Unione, sia gli Stati membri hanno la facoltà di legiferare; e azioni di sostegno, di coordinamento o di completamento, per le quali l’Unione può condurre azioni che completano l’azione degli Stati membri;
§ la semplificazione (da quindici a sei) degli atti giuridici dell’Unione, con una distinzione tra atti legislativi, atti non legislativi ed atti esecutivi e l’introduzione del nuovo strumento dei regolamenti delegati;
§ il rafforzamento del ruolo dei Parlamenti nazionali, in particolare attraverso la possibilità per ciascun Parlamento nazionale di sollevare obiezioni sulla corretta applicazione del principio di sussidiarietà in relazione alle proposte legislative della Commissione;
§ l’introduzione dell’iniziativa legislativa popolare: un milione di cittadini europei, provenienti da un rilevante numero di Stati membri possono invitare la Commissione a presentare una proposta legislativa.
STATO MEMBRO |
PROCEDURA DI RATIFICA |
DATA DI SVOLGIMENTO DELL’EVENTUALE REFERENDUM |
Austria |
Il Trattato è stato approvato dal Nationalrat l’11 maggio 2005 e dal Bundesrat il 25 maggio 2005. |
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Belgio |
Il Trattato è stato ratificato sia dal Parlamento nazionale sia dalle sette Assemblee regionali. La procedura si è conclusa con la pronuncia della Comunità fiamminga l’8 febbraio 2006. |
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Cipro |
Il Parlamento della Repubblica di Cipro ha ratificato il Trattato il 30 giugno 2005. |
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Danimarca |
La ratifica è prevista con referendum popolare giuridicamente vincolante. Il Governo danese e i partiti favorevoli alla Costituzione europea hanno deciso il 23 giugno 2005 la sospensione del processo di ratifica, rinviando a data da definire il referendum. |
Il referendum è stato sospeso |
Estonia |
La ratifica avverrà per via parlamentare. L’esame è stato avviato ai primi di febbraio 2006. |
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Finlandia |
La ratifica dovrebbe avvenire per via parlamentare. E’ richiesta la maggioranza semplice del Parlamento monocamerale, o la maggioranza di 2/3 qualora si ritenga che il Trattato implica modifiche alla Costituzione (tale valutazione non risulta ancora effettuata). Il Governo ha deciso di sospendere il processo di ratifica. |
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Francia |
La ratifica del Trattato costituzionale è stata sottoposta referendum popolare il 29 maggio 2005. Su un totale di partecipanti pari al 69,34% degli aventi diritto al voto, il 54,68% ha votato no ed il 45,32% ha votato sì. |
29 maggio 2005 |
Germania |
Il disegno di legge di ratifica è stato approvato dal Bundestag il 12 maggio 2005. Il 27 maggio 2005 è stato approvato dal Bundesrat. |
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Grecia |
Il Parlamento greco ha ratificato il Trattato il 19 aprile 2005 |
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Irlanda |
La Costituzione prevede due fasi: il referendum popolare e, a seguire, la ratifica parlamentare. Il Governo ha deciso di sospendere il processo di ratifica. |
Il referendum è stato sospeso |
Italia |
La Camera dei deputati ha approvato il disegno di legge di ratifica del Trattato il 25 gennaio 2005 (436 voti favorevoli, 28 voti contrari e 5 astensioni). Il Senato della Repubblica ha approvato definitivamente il disegno di legge di ratifica il 6 aprile 2005 (217 voti favorevoli, 16 contrari e nessun astenuto). |
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Lettonia |
Il Parlamento lettone ha ratificato il Trattato il 2 giugno 2005. |
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Paesi che hanno ratificato il Trattato
Paesi che non hanno ancora ratificato il Trattato
Paesi che hanno respinto la ratifica del Trattato
STATO MEMBRO |
PROCEDURA DI RATIFICA |
DATA DI SVOLGIMENTO DELL’EVENTUALE REFERENDUM |
Lituania |
Il Parlamento ha ratificato il Trattato l’11 novembre 2004. |
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Lussemburgo |
Il Parlamento ha ratificato il Trattato in prima lettura il 29 giugno 2005 e in seconda il 25 ottobre 2005. Il 10 luglio 2005 si è svolto un referendum popolare consultivo. I voti favorevoli sono stati il 56,52%, i voti contrari il 43,48%. L’affluenza è stata pari all’87,7% degli aventi diritto. |
10 luglio 2005 |
Malta |
Il Parlamento di Malta ha ratificato il Trattato il 6 luglio 2005 . |
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Paesi Bassi |
La ratifica del Trattato costituzionale è stata sottoposta a referendum popolare il 1° giugno 2005. Su un totale di partecipanti pari al 69% degli aventi diritto al voto, il 61,70% ha votato no ed il 38,30% ha votato sì. |
1° giugno 2005 |
Polonia |
Il Governo polacco era inizialmente orientato a procedere alla ratifica del Trattato costituzionale attraverso una consultazione referendaria (l’alternativa è l’approvazione da parte delle due Camere a maggioranza di 2/3). Il 21 giugno 2005 il Presidente Kwasniewski ha annunciato la sospensione del referendum sul Trattato costituzionale. |
Il referendum è stato sospeso |
Portogallo |
Il Governo ha rinviato il referendum sulla Costituzione europea, precedentemente previsto nell’autunno 2005. |
Il referendum è stato rinviato |
Regno Unito |
Era prevista una procedura di ratifica a doppio livello, con il voto popolare a conferma e completamento del processo parlamentare di ratifica. Il progetto di legge di ratifica è stato approvato in seconda lettura dalla House of Commons il 9 febbraio 2005. L’iter parlamentare del disegno di legge sul referendum di ratifica è stato sospeso il 6 giugno 2005. |
La decisione sullo svolgimento del referendum è stata sospesa |
Repubblica Ceca |
Il Primo Ministro ha annunciato l’intenzione di modificare la Costituzione al fine di sottoporre la ratifica del Trattato a referendum. Tale modifica richiede la maggioranza di 3/5 dei componenti di ciascuna delle due Camere. |
Il referendum è stato rinviato alla fine del 2006 |
Slovacchia |
Il Parlamento ha ratificato il Trattato l’11 maggio 2005. |
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Slovenia |
Il Parlamento ha ratificato il Trattato il 1° febbraio 2005. |
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Spagna |
Il Trattato è stato sottoposto a referendum consultivo il 20 febbraio 2005: i voti favorevoli sono stati il 76%, i voti contrari il 17% e le schede bianche sono state il 6%. Il Trattato è stato poi ratificato dalla Camera dei deputati il 28 aprile e dal Senato il 18 maggio 2005. |
20 febbraio 2005 |
Svezia |
Il Governo ha dichiarato che non intende indire un referendum sul Trattato costituzionale. Il processo di ratifica parlamentare è al momento sospeso. |
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Ungheria |
Il Parlamento ha ratificato il Trattato il 20 dicembre 2004. |
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Nel corso della legislatura è stata approvata la legge 4 febbraio 2005, n. 11, recante “Norme generali sulla partecipazione dell’Italia al processo normativo dell’Unione europea e sulle procedure di esecuzione degli obblighi comunitari”, che ha integralmente sostituito ed abrogato la c.d. legge “La Pergola” (legge 9 marzo 1989, n. 86). La nuova normativa ha, infatti, provveduto ad adeguare la previgente disciplina alle novità derivanti dalla riforma del Titolo V della Costituzione in ordine ai rapporti tra ordinamento interno ed ordinamento comunitario. In particolare, il provvedimento intende rafforzare la partecipazione del nostro Paese al processo normativo comunitario, sia nella fase di formazione che in quella di attuazione.
Le innovazioni attengono principalmente ai seguenti profili:
§ la partecipazione parlamentare e di Regioni, Enti locali, parti sociali alla cosiddetta fase “ascendente” della formazione del diritto comunitario;
§ l’introduzione della riserva di esame parlamentare sui progetti di atti comunitari, che il Governo può apporre in sede di Consiglio dei Ministri dell’UE;
§ la previsione di nuove modalità per il recepimento del diritto comunitario nella cosiddetta fase “discendente”.
In merito alla fase ascendente, si ricorda – oltre alle novità già indicate – l’istituzione del Comitato interministeriale per gli affari comunitari europei (CIACE), nell’ambito del quale si concordano le linee politiche del Governo per la formazione della posizione italiana nella fase di predisposizione degli atti comunitari e dell’Unione europea (articolo 2), nonché l’ampliamento del contenuto della relazione annuale sulla partecipazione dell’ Italia all’UE al Parlamento (articolo 15).
In relazione alla fase discendente, la nuova legge prevede:
· l’ampliamento del contenuto proprio della legge comunitaria;
L’articolo 9 della legge n. 11 ha confermato l’impianto delineato dalla legge La Pergola, inserendo peraltro delle novità, tra cui si segnalano: attuazione, anche mediante il conferimento al Governo di delega legislativa, di decisioni-quadro e decisioni previste dall’articolo 34 del TUE[45]; disposizioni occorrenti per dare esecuzione ai trattati internazionali conclusi nel quadro delle relazioni esterne dell’Unione europea; disposizioni che individuano i princìpi fondamentali nel rispetto dei quali le regioni esercitano la propria competenza normativa concorrente di attuazione di atti comunitari; disposizioni emanate nell’esercizio del potere sostitutivo di cui all’articolo 117, quinto comma, della Costituzione.
· l’attribuzione al Presidente del Consiglio o al Ministro per le politiche comunitarie della facoltà di proporre al Consiglio dei ministri l’adozione dei provvedimenti, anche urgenti, necessari al fine di dare attuazione ad atti normativi e sentenze degli organi comunitari (art. 10).
· la ridefinizione delle modalità di attuazione delle direttive in via regolamentare e amministrativa, circoscrivendo tale possibilità alle sole materie di potestà statale esclusiva (art. 11).
· la competenza delle regioni (articolo 16), nelle materie di propria competenza, a dare immediata attuazione alle direttive comunitarie;
· la disciplina dei poteri sostitutivi statali (artt. 11, comma 8, 13, comma 2, e 16, comma 4), in modo analogo a quanto già contenuto all’art. 1, comma 5 (o 6), delle ultime leggi comunitarie.
La legge comunitaria annuale è uno strumento normativo - introdotto per la prima volta nel 1989 con la legge “La Pergola” - volto ad assicurare il periodico adeguamento dell’ordinamento nazionale a quello comunitario. Il contenuto proprio della legge comunitaria è stato recentemente ampliato dalla legge n. 11 del 2005 – che ha interamente sostituito ed abrogato la legge n. 86 del 1989.
Nel corso della legislatura, si è andata progressivamente confermando l’evoluzione della legge comunitaria in legge di organizzazione della futura legislazione, che articola i processi di recepimento del diritto comunitario attraverso una rete di atti normativi “a cascata”, imperniati sullo strumento della delega, cui fanno seguito decreti legislativi attuativi, decreti legislativi integrativi e correttivi nonchè atti regolamentari ed amministrativi che il Governo dovrà adottare. Si ricorda, inoltre, che le leggi comunitarie più recenti hanno contenuti standardizzati, con formulazioni pressoché identiche dei primi articoli e presentano un numero minore di norme sostanziali e di principi e criteri direttivi specifici.
Si è altresì confermata, nel corso della XIV legislatura, la tendenza ad una tempestiva approvazione della legge comunitaria, anche se essa non è riuscita a collocarsi nell’anno di riferimento e solo la legge comunitaria per il 2003 è stata approvata nel corso dell’anno di riferimento.
Nella XIV legislatura sono state approvate le seguenti 5 leggi comunitarie:
§ Legge comunitaria 2001: legge 1 marzo 2002, n. 39;
§ Legge comunitaria 2002: legge 3 febbraio 2003, n. 14;
§ Legge comunitaria 2003: legge 31 ottobre 2003, n. 306;
§ Legge comunitaria 2004: legge 18 aprile 2005, n. 62;
§ Legge comunitaria 2005: legge 25 gennaio 2006, n. 29.
Le direttive di cui è stato disposto il recepimento all’interno delle leggi comunitarie approvate nella XIV legislatura[46] sono complessivamente 442, di cui 227 da recepire con decreto legislativo e 213 in via amministrativa.
Quanto alla tipologia delle fonti normative utilizzate per il recepimento nell’ordinamento italiano della normativa comunitaria, i dati mostrano:
§ un ricorso considerevole allo strumento della delega legislativa;
§ la tendenza a dare sempre più attuazione in via amministrativa;
Il numero delle direttive da recepire in via amministrativa ha spesso superato quello delle direttive da recepire con delega legislativa;
§ il ricorso molto limitato all’attuazione delle direttive in via regolamentare: l’autorizzazione all’adozione di regolamenti di delegificazione (o comunque il ricorso ad altri regolamenti governativi), abbastanza elevata nella XII legislatura, si è ridotta sempre più fino a scomparire definitivamente dal 2001 al 2004, anche a seguito della riforma del Titolo V della Costituzione[47]. La legge n. 11 del 2005 ha ridisciplinato tale modalità di recepimento in conformità con il dettato costituzionale ed infatti nella legge comunitaria per il 2005 si è previsto nuovamente il ricorso allo strumento regolamentare;
§ a partire dalla legge comunitaria 2000 si è registrato un aumento percentuale delle direttive il cui recepimento è previsto in Allegato B, quindi con decreto legislativo da sottoporre al parere parlamentare, rispetto a quelle da recepire sempre con decreto legislativo ma senza essere sottoposte al parere parlamentare (con l’esclusione dell’anno 2002). Il rafforzamento di tale canale è perseguito inoltre con l’introduzione, a partire dalla legge comunitaria per il 2004, dell’istituto del c.d. doppio parere parlamentare.
La Commissione affari esteri e comunitari e la Commissione politiche dell’Unione europea della Camera e la Commissione affari esteri, emigrazione e la Giunta per gli affari europei del Senato hanno svolto congiuntamente un’indagine conoscitiva avente ad oggetto il futuro dell’Unione europea che si è protratta dal settembre 2001 al luglio 2004, per concludersi alla vigilia della firma del nuovo Trattato costituzionale europeo.
Il rilievo dell’iniziativa è stato innanzitutto di carattere metodologico, poiché ha consentito al Parlamento di svolgere un attento monitoraggio dei lavori della Convenzione e della Conferenza governativa che hanno concorso a diverso titolo alla predisposizione del Trattato.
Nel corso dei lavori sono stati ascoltati esponenti delle istituzioni e della società civile, membri del Governo, i rappresentanti italiani e del Parlamento europeo alla Convenzione, esperti e studiosi della materia, esponenti del mondo imprenditoriale e rappresentanti istituzionali delle regioni. L’indagine ha consentito di approfondire temi istituzionali quali la ripartizione delle competenze tra Unione e Stati membri, la semplificazione e la riorganizzazione dei Trattati, lo status della Carta dei diritti fondamentali, il ruolo dei parlamenti nazionali nell’architettura istituzionale europea, ma anche le politiche dell’Unione e, quindi, i temi della competitività e dello sviluppo e della coesione economica e sociale, le politiche ambientali, le politiche del lavoro e del welfare, il patto di stabilità e di crescita, il ruolo dell’Unione europea del mondo, la politica estera e di sicurezza (PESC) e la politica di sicurezza e difesa (PESD).
Il documento conclusivo approvato al termine dell’indagine contiene alcune osservazioni in merito al nuovo Trattato costituzionale ed al futuro dell’Unione europea. Il punto di partenza dell’analisi è il processo di allargamento ad est che ha riunificato politicamente l’Europa, ma il documento sottolinea altresì il ruolo che i Parlamenti nazionali ed il Parlamento europeo possono svolgere nel superare il deficit democratico dell’Unione e come l’incorporazione integrale della Carta dei diritti nel nuovo Trattato sia idonea a rafforzare l’identità dell’Unione ponendone in luce i principi ed i valori. Del Trattato vengono apprezzati il rafforzamento del ruolo dei Parlamenti nazionali, posti in rapporto diretto con la Commissione e chiamati a valutare il rispetto del principio di sussidiarietà, e la valorizzazione del Parlamento europeo realizzata, in particolare, attraverso l’introduzione di una procedura legislativa uniforme Positivamente sono stati più in generale valutati la semplificazione delle procedure decisionali, gli interventi volti a razionalizzare il sistema delle fonti, la semplificazione del sistema dei Trattati, con la soppressione della struttura a pilastri, e la maggiore stabilità conferita al Consiglio europeo attraverso una diversa disciplina della relativa presidenza.
Per quanto riguarda la PESC e la PESD, le Commissioni hanno sottolineato come la previsione di un Ministro degli esteri europeo rappresenti la premessa istituzionale per la definizione di una politica estera comune. Di rilievo sono stati inoltre ritenuti l’impegno di difesa reciproco e l’introduzione della clausola di solidarietà nell’eventualità di un attacco terroristico.
Le Commissioni non hanno tuttavia mancato di evidenziare taluni limiti del nuovo Trattato. In particolare, la ridotta estensione del voto a maggioranza qualificata soprattutto nell’ambito della politica estera e di sicurezza, l’adozione di una formula eccessivamente complessa per il calcolo della maggioranza qualificata (una maggioranza inoltre assai ampia), la mancata menzione nel preambolo delle radici cristiane. I risultati raggiunti sono stati comunque ritenuti soddisfacenti alla luce delle condizioni politiche dell’Unione, mentre sono state espresse talune preoccupazioni in ordine all’esito dei procedimenti nazionali di ratifica del nuovo Trattato.
L’andamento delle politiche agricole nel corso della XIV legislatura ha ampiamente risentito, nelle sue linee evolutive di fondo, dei mutamenti intervenuti in ambito internazionale e comunitario, che hanno fortemente inciso sul quadro generale di riferimento dell’intero settore primario.
Sul versante internazionale, la crescente globalizzazione dei mercati, l’emersione di nuovi competitors a livello mondiale, la sempre più diffusa consapevolezza dell’importanza di nuove regole, più eque e condivise, sul commercio dei prodotti agricoli quale strumento per favorire lo sviluppo dei Paesi più poveri, rappresentano i fattori che hanno contributo a delineare il nuovo sfondo delle trattative dell’Organizzazione mondiale del commercio (OMC), ove, nell’ambito di una dialettica crescente tra USA, UE e Paesi in via di sviluppo (PVS), le tematiche agricole (in particolare la tutela dei marchi e delle denominazioni di origine, i sussidi agricoli e gli OGM) sono state quasi sempre al centro dei dibattiti. Nel mutato contesto internazionale si inserisce la riforma di medio-termine (mid-term review) della Politica agricola comune (PAC), attraverso la quale l’Europa ha cercato di far fronte, oltre che alle sollecitazioni derivanti dai negoziati sul commercio internazionale, anche alle esigenze discendenti dal processo di allargamento dell’Unione, che nel maggio del 2004 ha visto l’ingresso di 10 nuovi Paesi membri. La riforma, approvata il 26 giugno 2003 dai Ministri europei dell’agricoltura e trasfusa nel regolamento comunitario n. 1782/2003 del 29 settembre 2003, trasforma radicalmente l’intervento dell’Unione europea a sostegno del settore agricolo, secondo un approccio teso a valorizzare la libertà delle scelte produttive (“disaccoppiamento” degli aiuti), promuovere la salvaguardia ambientale e la sicurezza alimentare (“condizionalità”), potenziare le politiche di sviluppo rurale.
Sul versante nazionale, il momento di maggiore rilievo dell’azione normativa nel settore primario è rappresentato dall’approvazione della legge 7 marzo 2003, n. 38 (c.d. “collegato agricolo”), con cui il Parlamento ha conferito al Governo una delega legislativa assai ampia e articolata, al fine di “completare il processo di modernizzazione dei settori agricolo, della pesca, dell’acquacoltura, agroalimentare, dell’alimentazione e delle foreste”. In attuazione di tale delega il Governo è intervenuto con sette decreti legislativi (alcuni dei quali parzialmente correttivi dei precedenti), adottati tra il marzo 2004 e il maggio 2005 (ciò che è stato reso possibile dalla proroga del termine per il suo esercizio), che hanno investito aspetti di grande rilievo dei settori dell’agricoltura e della pesca, proseguendo l’opera di modernizzazione avviata, nella precedente legislatura, con i decreti legislativi nn. 226 e 228 del 2001. Nella definizione del contenuto dei decreti la Commissione agricoltura ha svolto un ruolo di grande rilievo, attraverso l’espressione di pareri articolati e puntuali, dei quali il Governo ha ampiamente tenuto conto nella stesura definitiva delle norme.
I decreti legislativi adottati in attuazione della legge n. 38 del 2003 sono:
§ il decreto legislativo 29 marzo 2004, n. 99, che ha introdotto la nuova figura dell’imprenditore agricolo professionale (IAP), ha ridefinito i requisiti delle società agricole e delle organizzazioni di produttori (OP), ha previsto nuove misure per favorire l’integrità fondiaria e ha introdotto nuove norme per la semplificazione amministrativa;
§ il decreto legislativo 29 marzo 2004, n. 102, con cui è stato rivisto il funzionamento del Fondo di solidarietà nazionale per le calamità naturali (FSN), al fine di orientare maggiormente l’azione pubblica per la gestione dei rischi in agricoltura verso l’incentivo alla stipula di polizze assicurative;
§ i decreti legislativi 26 maggio 2004, nn. 153 e 154, che hanno introdotto nuove norme sull’esercizio dell’attività di pesca marittima e per la modernizzazione dell’intero settore della pesca e dell’acquacoltura;
§ il decreto legislativo 27 maggio 2005, n. 100 (in parte “correttivo” del decreto legislativo n. 154 del 2004) che ha esteso al settore della pesca i meccanismi di incentivazione della copertura assicurativa privata e introdotto nuove norme per il sostegno delle filiere ittiche;
§ il decreto legislativo 27 maggio 2005, n. 101, che ha modificato in più parti i precedenti decreti legislativi n. 99 e 102 del 2004, per quanto attiene alla qualifica di imprenditore agricolo professionale (IAP), alle società agricole, alla conservazione dell’integrità fondiaria, alla semplificazione amministrativa e alla capitalizzazione delle imprese, rafforzando il ruolo creditizio dell’Istituto di servizi per il mercato agroalimentare (ISMEA);
§ il decreto legislativo 27 maggio 2005, n. 102, che ha introdotto nuove norme sulla regolazione dei mercati nel settore primario e sui soggetti economici collettivi in essi operanti (organizzazioni di produttori, unioni di produttori, organizzazioni interprofessionali), per il rafforzamento delle filiere agro-alimentari e per far fronte alle crisi di mercato.
Nel settore della sicurezza e della qualità alimentare le politiche nazionali hanno riflettuto, in buona misura, i mutamenti intervenuti a livello comunitario, ove il processo di riforma della normativa di settore a seguito delle emergenze sanitarie registrate nel recente passato è stato sostanzialmente completato. Le politiche comunitarie hanno avuto lo scopo di innalzare gli standard igienici e sanitari al fine di recuperare, attraverso un controllo globale della catena alimentare (dai “campi alla tavola”) la fiducia dei consumatori. I concetti-chiave della nuova politica di sicurezza alimentare sono il controllo di filiera, la rintracciabilità degli alimenti e di tutti gli ingredienti utilizzati, la responsabilità del produttore, la capacità di attivare rapide misure di salvaguardia in caso di emergenze, l’istituzione dell’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA, assegnata a Parma) e l’informazione nei confronti del consumatore (etichettatura).
Nel corso della legislatura è proseguita, inoltre, l’opera di difesa e tutela dei prodotti tipici del nostro Paese, sia nelle sedi internazionali, sia a livello nazionale. Sul versante internazionale l’Italia si è impegnata per il raggiungimento a livello comunitario di una posizione chiara e unitaria, nell’ambito dei negoziati in seno all’Organizzazione mondiale del commercio (OMC), sulla difesa del sistema delle attestazioni di specificità europee e per il sostegno alla richiesta di introdurre una regolamentazione che conduca alla istituzione di un registro internazionale obbligatorio delle denominazioni di origine. Nonostante il fallimento del vertice di Cancun, uno dei principali obiettivi raggiunti in questo ambito è stato il riconoscimento, da parte degli organi arbitrali dell’OMC (attivati su ricorso di Australia e USA), della conformità del sistema europeo di protezione delle DOP e delle IGP (nel frattempo aperto a registrazioni di prodotti extra-UE con il Regolamento n. 892/2003) alle regole dell’OMC e alle esigenze dell’accordo TRIP’s. Sul versante nazionale, è stata sviluppata una ampia politica volta a tutelare e promuovere il “made in Italy” agroalimentare nel suo complesso (ad esempio con il rafforzamento delle “concertazioni” tra il Ministero delle politiche agricole e forestali e gli enti rappresentativi delle categorie interessate e l’istituzione della società Buonitalia Spa), alla quale si sono accompagnati anche provvedimenti riguardanti specifici prodotti.
Tra i provvedimenti più significativi assunti a livello nazionale nel settore della qualità e della tipicità alimentare si segnala il decreto-legge n. 157 del 2004, che ha recato disposizioni sull’etichettatura dell’olio di oliva (in base alle quali deve essere indicato il luogo di coltivazione e molitura delle olive) e sull’uso delle denominazioni di vendita “latte fresco pastorizzato” (esclusa per latti prodotti con trattamenti ulteriori alla pastorizzazione come, ad esempio, il “microfiltrato”) e “passata di pomodoro” (riservata al prodotto ottenuto esclusivamente dalla spremitura diretta del pomodoro fresco, con la conseguenza di escludere i prodotti di importazione, in particolare cinesi). Merita ricordare, inoltre, la vicenda del cioccolato e, in particolare, il decreto legislativo n. 178 del 2003 (di attuazione alla direttiva 2000/36/CE relativa ai prodotti di cacao e di cioccolato), ove è stato consentito, in aperta polemica con le istituzioni comunitarie (le quali hanno avviato una procedura di infrazione), l’utilizzo della denominazione “cioccolato puro” per il cioccolato lavorato esclusivamente con burro di cacao (in contrasto con la direttiva comunitaria che non contempla tale denominazione aggiuntiva).
Nel settore degli OGM il più importante provvedimento adottato nel corso della legislatura è stato il decreto-legge n. 279 del 2004, che ha introdotto una organica disciplina sulla coesistenza tra l’agricoltura transgenica, convenzionale e biologica. Il decreto, convertito in legge a conclusione di un confronto parlamentare assai serrato, introduceva una sostanziale moratoria all’utilizzo di OGM in agricoltura nel nostro Paese, destinata ad essere rimossa solo quando tutte le regioni avessero adottato, nel rispetto delle norme-quadro definite con decreto del Ministro delle politiche agricole e forestali, i Piani di coesistenza, ossia le regole tecniche volte ad evitare ogni forma di commistione e ad assicurare la separazione delle filiere. Con la sentenza n. 116 del 2006 la Corte costituzionale ha peraltro dichiarato l’illegittimità di numerose disposizioni del decreto-legge n. 279 del 2004, il cui impianto normativo, pertanto, appare ora significativamente compromesso. La Corte, nel ritenere il decreto lesivo delle competenze legislative regionali, ha annullato tutte le disposizioni funzionali all’adozione dei Piani di coesistenza regionali, riconoscendo alle regioni (molte delle quali, peraltro, avevano già adottato provvedimenti fortemente limitatativi all’uso di OGM) la piena ed immediata disponibilità legislativa della materia. Sempre in materia di OGM sono intervenuti, poi, vari decreti legislativi (adottati previo parere della Commissione agricoltura) volti a recepire le innovazioni introdotte a livello comunitario (principio di precauzione, etichettatura, tracciabilità), ove è stato completato il quadro giuridico per la tutela e la sicurezza dei consumatori.
Per quanto concerne i singoli settori produttivi, tra gli interventi di maggiore rilievo vanno ricordati la legge n. 96 del 2006 sull’agriturismo, volta a configurare l’agriturismo come peculiare espressione di un’agricoltura multifunzionale, legata alla preservazione dell’ambiente, alla gestione del territorio e alla valorizzazione delle risorse naturali, storiche e gastronomiche dei territori; il decreto-legge n.49 del 2003, che ha introdotto una riforma organica della normativa sull’applicazione del prelievo supplementare nel settore lattiero caseario, consentendo di avviare a soluzione l’annoso problema degli “splafonamenti” della quota produttiva assegnata al nostro Paese e di sbloccare l’enorme contenzioso accumulato nelle sedi giudiziarie; la legge n. 82 del 2006, relativa alla produzione e alla commercializzazione dei prodotti vitivinicoli; la legge n. 313 del 2004 (approvata in sede legislativa da entrambi i rami del Parlamento con l’ampio consenso di tutte le forze politiche), che ha introdotto una disciplina organica dell’apicoltura, definendo un nuovo sistema di programmazione nazionale degli interventi a favore del settore e colmando lacune normative relative a specifici profili, nel quadro di un ampio coinvolgimento delle autonomie regionali.
Vanno ricordati, inoltre, gli interventi nel settore agroenergetico, volti a promuovere la produzione e il consumo di biomasse e biocarburanri di origine agricola. In particolare, sul finire della legislatura il decreto-legge n. 2 del 2006 (articolo 2-quater), nel quadro degli obiettivi indicativi nazionali stabiliti sulla base della normativa comunitaria, ha introdotto l’obbligo per i produttori di carburanti diesel e di benzina, a decorrere dal 1° luglio 2006, di immettere al consumo biocarburanti di origine agricola, nell’ambito di un’intesa di filiera, di un contratto quadro o di un contratto di programma agroenergetico (la cui disciplina è rimessa al CIPE), in una misura, crescente di un punto percentuale annuo fino al 2010, pari all’1% dei carburanti immessi al consumo nell’anno precedente. Inoltre, l’attività di produzione e di cessione di energia da fonti rinnovabili agroforestali è stata considerata attività connessa a quella agricola, con i conseguenti vantaggi fiscali.
Sul versante istituzionale, infine, si segnalano il D.P.R. n. 79 del 2005, di riassetto della struttura organizzativa del Ministero delle politiche agricole e forestali; la legge n. 36 del 2004, che ha delineato un nuovo profilo istituzionale e ordinamentale del Corpo forestale dello Stato, fissandone in modo puntuale compiti e funzioni nel quadro di un nuovo rapporto tra Stato e regioni; l’ampliamento delle funzioni dell’ISMEA, che ha acquisito da Sviluppo Italia Spa funzioni e risorse relative agli interventi ex-Ribs e all’imprenditoria giovanile in agricoltura (legge n. 350 del 2003, articolo 4, commi 42-45) e rafforzato (con l’incorporazione della Sezione speciale del Fondo interbancario di garanzia e la gestione dei relativi interventi) la funzione di strumento finanziario ad ampio raggio del settore agricolo (decreto legislativo n. 102 del 2004, articolo 17 e legge n. 311 del 2004, articolo 1, comma 512); l’ampliamento della sfera di competenza e delle dotazioni umane e materiali dell’Ispettorato centrale repressione frodi (ICRF).
Nel settore della caccia l’unico provvedimento di rilievo approvato nel corso della legislatura è stata la legge n. 224 del 2002, che ha disciplinato l’esercizio da parte delle regioni delle deroghe di cui all’articolo 9 della direttiva n. 79/409/CEE sulla protezione degli uccelli selvatici (ove si prevede che gli Stati membri possono derogare ai divieti di caccia stabiliti dalla direttiva medesima in casi particolari, tassativamente stabiliti, e nel rispetto di specifiche condizioni, volte a garantire che la caccia avvenga entro limiti precisi e in presenza di adeguati controlli). La mancata attuazione di tale disposizione con la legge n. 157 del 1992 (legge sulla caccia, tuttora in vigore) ha dato vita ad una lunga serie di conflitti tra lo Stato e le regioni in merito alla titolarità del potere di disciplina delle deroghe e ad un contenzioso con la Comunità europea in merito alla mancata applicazione della norma comunitaria. Il conflitto è stato definitivamente risolto dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 169 del 1999, la quale ha sancito che la direttiva comunitaria richiede, per la sua concreta attuazione nell’ordinamento interno, una legge nazionale che valuti e ponderi i vari interessi che vengono in rilievo. A colmare il vuoto legislativo è intervenuta, pertanto, la legge n. 224 del 2002, che ha introdotto l’articolo 19-bis della legge n. 157 del 1992. Nel rimettere alle regioni la disciplina delle deroghe previste dall’articolo 9 della direttiva, la disposizione prevede in particolare che le deroghe, in assenza di altre soluzioni soddisfacenti, devono menzionare le specie che ne formano oggetto, i mezzi, gli impianti e i metodi di prelievo autorizzati, le condizioni di rischio, le circostanze di tempo e di luogo del prelievo, il numero dei capi giornalmente e complessivamente prelevabili nel periodo, i controlli e le forme di vigilanza cui il prelievo è soggetto e gli organi incaricati della stessa. I soggetti abilitati al prelievo in deroga vengono individuati dalle regioni, d’intesa con gli ambiti territoriali di caccia (ATC) ed i comprensori alpini. Le deroghe sono applicate per periodi determinati, sentito l’Istituto nazionale per la fauna selvatica (INFS), o gli istituti riconosciuti a livello regionale, e non possono avere comunque ad oggetto specie la cui consistenza numerica sia in grave diminuzione.
Merita segnalare, inoltre, che la Commissione agricoltura della Camera, a conclusione di un lungo ed elaborato esame (che ha visto anche lo svolgimento, tra marzo e settembre 2003, di una indagine conoscitiva), ha approvato in sede referente un testo normativo (frutto dell’abbinamento di ben 13 proposte di legge, tutte di iniziativa parlamentare) di riforma della legge n. 157 del 1992 sulla caccia. Il testo trasmesso all’Assemblea era volto, nell’intenzione dei proponenti, ad “aggiornare” la normativa vigente, al fine di tenere conto dell’evoluzione normativa a livello comunitario, del ruolo assunto dalle regioni a seguito della modifica del Titolo V della Costituzione e delle nuove dimensioni del fenomeno della caccia nel nostro Paese (che si è assai ridotto nell’ultimo decennio). Anche a causa della forte opposizione di numerosi gruppi di minoranza, le cui critiche hanno riguardato, in particolare, l’allungamento dei calendari venatori e l’inserimento di nuove specie cacciabili, l’Assemblea della Camera si è limitata ad avviare l’esame del provvedimento, senza giungere ad approvarlo entro la fine della legislatura.
Le politiche nazionali nel settore della pesca si sono sviluppate lungo due linee direttrici fondamentali.
Da un lato, lo stato allarmante di molti stock ittici, per i quali si è accertato il superamento del limite di sicurezza biologica, nonché la capacità di pesca delle flotte di vari Stati europei, di gran lunga superiore a quella necessaria a sfruttare in modo sostenibile le risorse alieutiche disponibili, hanno indotto una progressiva evoluzione della normativa comunitaria nel senso del miglioramento della gestione delle risorse e della riduzione e ammodernamento delle flotte. A livello nazionale tale tendenza, assecondata in sede attuativa degli obblighi comunitari, si è caratterizzata, tuttavia, per il tentativo di accompagnare i necessari processi ristrutturazione del settore con misure di sostegno per gli operatori. A tale riguardo si segnalano, in particolare, gli interventi della legge finanziaria per il 2002 (legge n. 448 del 2001, articolo 65) che prevede misure a favore delle imprese armatrici (contributi per investimenti finalizzati all’adeguamento delle navi alle nuove prescrizioni di sicurezza) e a tutela dell’occupazione del personale marittimo, nonché varie misure di accompagnamento sociale e di sostegno, in collegamento con l’interruzione temporanea dell’attività di pesca, le limitazioni all’utilizzo di determinati strumenti di pesca e gli interventi di conservazione delle risorse ittiche (legge n. 448 del 2001, articolo 52, commi 81 e 82; decreto-legge n. 342 del 2001, articolo 1; decreto-legge n. 85 del 2002, articolo 2; decreto-legge n. 16 del 2004, articolo 3, legge n. 331 del 2004, articolo 1, commi 245 e 257).
Dall’altro lato, con i decreti legislativi n. 154 e 155 del 2004, nonché con il decreto legislativo n. 100 del 2005, adottati in attuazione della delega conferita dalla legge n. 38 del 2003 (c.d. “collegato agricolo”), si è realizzata una vasta opera di ammodernamento del settore, che passa attraverso un nuovo sistema di programmazione e gestione, la riforma degli organi collegiali di governo del comparto, il rafforzamento del ruolo regionale e l’introduzione di una nuova disciplina della pesca marittima. In particolare, è stato istituito il Tavolo azzurro quale organo permanente di concertazione per la definizione della politica nazionale della pesca e dell’acquacoltura, è stata rimessa alle regioni l’istituzione delle Commissioni consultive locali per la pesca e l’acquacoltura, sono state riviste composizione e funzioni della Commissione consultiva centrale per la pesca e l’acquacoltura e del Comitato per la ricerca scientifica e tecnologica applicata alla pesca e all’acquacoltura (con il rafforzamento, in entrambi i casi, della componente regionale), è stato istituito presso il Ministero delle politiche agricole e forestali il Reparto pesca marittima del Corpo delle Capitanerie di porto (al fine di migliorare l’attività di vigilanza e controllo della pesca marittima), sono state ridefinite la figura giuridica dell’imprenditore ittico (equiparato all’imprenditore agricolo) e le attività connesse a quella di pesca (includendovi, in particolare, il pescaturismo e l’ittiturismo), sono state introdotte nuove norme di promozione della cooperazione e dell’associazionismo, è stato esteso al settore ittico il regime di aiuti e le misure di sostegno della filiera agricola previsti dall’articolo 66 della legge n. 289 del 2002, è stato modificato il funzionamento del Fondo centrale per il credito peschereccio (chiamato a finanziare anche interventi regionali) e, mutuando le corrispondenti norme introdotte nel settore agricolo dal decreto legislativo n. 102 del 2004, è stato ampliato l’ambito di intervento del Fondo di solidarietà nazionale (che, oltre a interventi compensativi, potrà finanziare anche interventi preventivi, mediante la partecipazione dello Stato alle spese per la stipula di polizze assicurative).
Sul finire della legislatura, infine, è stato approvato il decreto-legge n. 2 del 2006, che prevede importanti misure a favore del settore della pesca. Il provvedimento, in particolare, estende (sebbene in via sperimentale e limitatamente al 2006) agli imprenditori ittici esercenti attività di pesca marittima il regime forfetario per l’assolvimento dell’IVA previsto per gli imprenditori agricoli, introduce una serie di misure di semplificazione per la gestione delle imprese di pesca, estende al settore della pesca la disciplina in materia di distretti produttivi (introdotta dalla legge finanziaria per il 2006, legge n. 266 del 2005, articolo 1, commi 366-372) e costituisce un Fondo per la corresponsione di indennizzi a favore degli eredi dei pescatori deceduti in mare.
Il 19 ottobre 2005 la Commissione europea ha presentato una comunicazione dal titolo “Semplificare e meglio legiferare nel quadro della politica agricola comune” (COM(2005)509), con la quale presenta sia nuove misure “orizzontali” (volte ad armonizzare i meccanismi di gestione ed a sopprimere atti giuridici considerati obsoleti), sia nuove misure “politiche” come il riesame del settore dell’agricoltura biologica, degli ortofrutticoli ed entro il 2006 dell’organizzazione comune dei mercati (OMC) del settore vitivinicolo. Il dibattito sulla comunicazione, con i suggerimenti degli Stati membri, sarà utilizzato dalla Commissione per la messa a punto di un piano d’azione per la PAC che verrà presentato nel corso del 2006.
Sulla comunicazione della Commissione, che deve ancora essere esaminata dal Parlamento europeo, il Consiglio agricoltura ha approvato conclusioni il 20 dicembre 2005 in cui, in particolare, sottolinea la necessità che la semplificazione tecnica riduca gli oneri amministrativi connessi alla normativa (e non solo il volume di questa).
Il 2 dicembre 2005 il Governo britannico ha presentato il documento “A vision for the Common Agricultural Policy”, con il quale presenta le sue riflessioni sul futuro della politica agricola europea. Sulla base di un giudizio fortemente negativo sui costi elevati che l’attuale PAC impone a consumatori e contribuenti, vengono prospettate una serie di linee di riforma da attuare nell’arco del prossimo quindicennio.
Nella riunione del Consiglio agricoltura del 20 marzo 2006, dodici paesi dell’UE (Italia, Francia, Grecia, Spagna, Irlanda, Cipro, Lituania, Lussemburgo, Ungheria, Polonia, Portogallo, e Slovenia) hanno presentato un “Memorandum sull’applicazione e il futuro della politica agricola comune (PAC) riformata” con il quale precisano la loro posizione su alcuni elementi del dibattito in corso sul futuro dell’agricoltura europea.
L’8 febbraio 2006 la Commissione ha presentato un progetto di regolamento della Commissione, finalizzato ad un riordino del vigente regolamento sull’esenzione degli aiuti di Stato a favore delle piccole e medie imprese agricole. Scopo della proposta è di semplificare la normativa sugli aiuti di Stato all’agricoltura e di agevolare gli aiuti di emergenza.
Il 14 luglio 2004, la Commissione ha presentato una proposta di regolamento sul nuovo Fondo europeo per la pesca (FEP) (COM(2004)497). In base alla proposta, il FEP non farà più parte dei fondi strutturali, diversamente dall’attuale strumento finanziario di orientamento della pesca (SFOP); conseguentemente la base giuridica del nuovo Fondo sarà costituita dall’art. 37 del Trattato CE e non più dalle disposizioni del Trattato in materia di politica di coesione economica e sociale. Il FEP dunque sostituirà lo SFOP dal 1° gennaio 2007 e coprirà il nuovo periodo di programmazione finanziaria 2007-2013.
Il 6 luglio 2005, la proposta è stata esaminata, nell’ambito della procedura di consultazione, dal Parlamento europeo che l’ha approvata con emendamenti. La proposta dovrebbe essere approvata dal Consiglio, presumibilmente il 20 aprile 2006.
Il 9 marzo 2006 la Commissione ha presentato una comunicazione sulle strategie volte a migliorare la situazione economica del settore della pesca (COM(2006)103), segnato attualmente da una crisi aggravata dai recenti aumenti del prezzo del carburante. Le misure proposte, relative a interventi sia a breve che a più lungo termine, comprendono anche aiuti al salvataggio e alla ristrutturazione dei pescherecci.
La comunicazione è in attesa di essere esaminata dal Consiglio e dal Parlamento europeo.
La Commissione europea ha presentato nel 2003 una proposta di regolamento relativa alle misure di gestione per lo sfruttamento sostenibile delle risorse della pesca nel Mar Mediterraneo (COM(2003)589).
Il 9 giugno 2005 il Parlamento europeo ha esaminato la proposta, nell’ambito della procedura di consultazione, approvandola con emendamenti. Il Consiglio dovrebbe esaminarla presumibilmente il 25 aprile 2006.
Il 23 gennaio 2006, la Commissione europea ha presentato una comunicazione su un programma d’azione comunitario per la protezione ed il benessere degli animali 2006-2010 (COM(2006)13) nella quale vengono individuate le principali aree di intervento in cui concentrare le iniziative.
Sulla comunicazione, che è in attesa di essere esaminata dal Parlamento europeo, il Consiglio ha svolto una prima discussione il 20 febbraio 2006.
Il 30 maggio 2005 la Commissione ha presentato una proposta di direttiva che stabilisce norme minime per la protezione dei polli allevati per la produzione di carne e le misure relative ad un eventuale regime comunitario in materia di etichettatura della carne di pollo.
Il 14 febbraio 2006 il Parlamento europeo ha esaminato la proposta, nell’ambito della procedura di consultazione, approvandola con emendamenti.
Il 29 marzo 2006 la Commissione ha presentato una proposta di regolamento che amplia le misure di sostegno del mercato nel settore delle uova e del pollame. Per contrastare la grave crisi del settore connessa al timore dell’influenza aviaria da parte dell’opinione pubblica, la Commissione propone di cofinanziare al 50%, mediante fondi del bilancio dell’Unione europea, le spese di sostegno del mercato connesse al crollo dei consumi e dei prezzi.
La proposta è in attesa di essere esaminata dal Parlamento europeo e dal Consiglio. La Commissione ne ha auspicato l’adozione entro la fine di aprile 2006.
Durante la XIV Legislatura sono stati approvati alcuni atti di rango legislativo in materia ambientale che hanno avuto un significativo impatto sull’ordinamento vigente. Tuttavia, più che una ricostruzione cronologica dei vari interventi normativi (iniziati con l’approvazione del “collegato ambientale” alla finanziaria 2002, legge 31 luglio 2002, n. 179) appare opportuno dare un particolare rilievo, sin dall’inizio di questa sintesi, all’intervento più consistente e riassuntivo, rappresentato dall’insieme normativo legge di delega-decreto legislativo di riordino della materia ambientale (rispettivamente, legge 15 dicembre 2004, n. 308 e decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, recante Norme in materia ambientale).
Il primo dato da registrare è la durata particolarmente lunga dell’iter parlamentare della legge di delega (AC 1798), iniziato alla Camera nel novembre 2001 e definitivamente approvata, in terza lettura alla Camera e dopo cinque passaggi parlamentari, il 24 novembre del 2004.
Insieme a questi tempi di approvazione non consueti, occorre segnalare anche l’ampiezza delle modifiche apportate dai due rami del Parlamento, rispetto al disegno di legge originario che, in quattro articoli, si limitava a definire oggetto e criteri della delega e a istituire una commissione di ventiquattro esperti per la consulenza al Ministro dell’ambiente ai fini dell’esercizio della delega. La legge n. 308 del 2004, durante il cui iter per tre volte è stata posta la questione di fiducia, al contrario è risultata composta da un unico articolo, ma suddiviso in 54 commi, dei quali solo i primi 19 attinenti alla delega, mentre i rimanenti 35 hanno introdotto una lunga serie di norme di dettaglio, di diretta applicazione.
Infine, il terzo elemento rilevante di questa vicenda legislativa è rappresentato dal perimetro della delega, esteso – se non a tutto – a gran parte di quello che viene comunemente considerato il diritto ambientale. La legge n. 308 infatti articola l’oggetto della delega in 7 grandi ambiti materiali:
a) gestione dei rifiuti e bonifica dei siti contaminati;
b) tutela delle acque dall’inquinamento e gestione delle risorse idriche;
c) difesa del suolo e lotta alla desertificazione;
d) gestione delle aree protette, conservazione e utilizzo sostenibile degli esemplari di specie protette di flora e di fauna;
e) tutela risarcitoria contro i danni all’ambiente;
f) procedure per la valutazione di impatto ambientale (VIA), per la valutazione ambientale strategica (VAS) e per l’autorizzazione ambientale integrata IPPC;
g) tutela dell’aria e riduzione delle emissioni in atmosfera.
Pur rimanendo fuori alcuni ambiti (quali ad esempio: l’inquinamento acustico, l’inquinamento elettromagnetico, le energie rinnovabili, l’eco-certificazione) e pur non avendo trovato attuazione l’oggetto della delega di cui alla lettera d) del precedente elenco (aree protette), tuttavia il riordino operato con il decreto delegato (decreto legislativo n. 152 del 2006) ha investito quasi l’intera legislazione ambientale.
Venendo quest’ultimo ad offrire, in un testo di 318 articoli e 45 allegati, una sorta di testo unico, si è scelto, nella ricostruzione della attività legislativa in materia ambientale svolta nella XIV Legislatura, di partire proprio dall’atto normativo approvato più di recente, facendo riferimento solo incidentalmente ad interventi precedenti.
Con il decreto legislativo n. 152 del 2006 si è operato un intervento complesso, di cui non è facile dar conto in termini sintetici, anche in considerazione della contrapposizione politica che si è creata fra i due schieramenti nel corso del doppio esame parlamentare[48] dello schema di decreto. Sulla base dell’articolazione degli ambiti di materia all’interno del testo, si possono così richiamare appena le principali novità:
♦ VIA, VAS, IPPC. Viene unificata ed elevata al rango legislativo la normativa in materia di valutazione di impatto ambientale, con una modifica sostanziale del criterio di attribuzione della responsabilità amministrativa in merito alla procedura di VIA: secondo le norme previgenti era attribuita allo Stato la competenza sulle opere di maggiore impatto (secondo un elenco corrispondente a quello per le quali le norme europee prevedono l’obbligatorietà della procedura di VIA) e alle regioni la competenza su un elenco di tipologia di opere di minore impatto.
Con le nuove norme si afferma invece il criterio della corrispondenza fra competenza in materia di VIA e competenza al rilascio dell’autorizzazione alla costruzione (o all’esercizio) dell’opera (o dell’impianto).
♦ Difesa del suolo, tutela delle acque e gestione delle risorse idriche. Viene modificato il modello amministrativo di governo dei bacini idrografici istituito nel 1989 dalla legge quadro in materia di difesa del suolo (legge n. 183/89); la novità principale consiste nella soppressione delle vecchie autorità di bacino (che secondo la legge potevano essere di livello nazionale, interregionale e regionale, a seconda delle caratteristiche geografiche dei bacini) e vengono invece istituiti 8 distretti idrografici che coprono l’intero territorio nazionale, governati secondo un modello amministrativo unico (artt. 63 e 64).
Un’altra innovazione rispetto alla normativa vigente (questa volta in materia di servizi pubblici locali) è introdotta in merito alle procedure di affidamento del servizio idrico integrato (art. 150): l’affidamento a società miste viene ammesso solo a condizione che il socio privato sia stato scelto prima dell’affidamento. Tale limitazione non è prevista, in via generale, dall’art. 113 del testo unico enti locali, come modificato più volte durante la XIV legislatura (sul punto, si fa rinvio all’area tematica Pubblica amministrazione, pubblico impiego e servizi pubblici).
♦ Gestione dei rifiuti e bonifica dei siti inquinati. Si tratta probabilmente della parte del decreto che ha introdotto il maggior numero di innovazioni e sicuramente di quella attorno a cui si è verificata la maggiore contrapposizione nel corso dell’ (e intorno all’) esame parlamentare.
In linea generale, si può affermare che numerose disposizioni introdotte mirano, da un lato, a semplificare le procedure amministrative finalizzate al controllo della gestione dei rifiuti (si veda, in particolare, l’art. 206, relativo agli accordi di programma), dall’altro, ad escludere dall’ambito di applicazione di questa normativa alcune tipologie di rifiuti suscettibili di essere reimpiegati come materie prime all’interno di cicli produttivi (es. terre e rocce da scavo, rottami ferrosi).
Altre finalità generali riscontrabili nelle norme del decreto legislativo n. 152 relative ai rifiuti sono l’incentivazione della termovalorizzazione e l’introduzione del principio di concorrenzialità nell’attività dei consorzi obbligatori previsti per determinate categorie di rifiuti. Particolare menzione deve essere fatta all’introduzione di una norma (art. 200) che obbliga le regioni a costituire, entro 6 mesi dall’entrata in vigore del decreto, autorità d’ambito per la gestione integrata dei rifiuti urbani. Tali autorità dovranno aggiudicare il servizio esclusivamente attraverso gara e secondo modalità e criteri che dovranno essere definiti con un apposito decreto ministeriale. E’ opportuno ricordare che l’esclusività dell’affidamento con gara rappresenta un’ulteriore deroga alle norme generali in materia di servizi pubblici locali recate dall’art. 113 del testo unico enti locali.
Da ricordare, infine, l’istituzione di un’Autorità nazionale di vigilanza sulle risorse idriche e i rifiuti (art. 207) con funzioni, fra l’altro, di regolazione del mercato e di tutela della concorrenza, e le innovazioni normative in materia di bonifica dei siti contaminati, con l’introduzione delle procedure di analisi del rischio e di determinazione delle concentrazioni soglia di contaminazione (CSC) e delle concentrazioni soglia di rischio (CSR).
♦ La parte quinta del decreto legislativo ha riordinato, con un tasso di innovatività inferiore alle altre parti, le norme in materia di tutela dell’aria e di riduzione delle emissioni atmosferiche, raccogliendo e coordinando in un corpo normativo unitario tutte le norme in oggetto (precedentemente raccolte in una moltitudine di atti normativi di diverso rango) e definendo il campo di applicazione di alcune disposizioni, le nozioni e gli adempimenti da porre in essere. Una delle principali innovazioni consiste nell’introduzione (art. 269) di una procedura - ai fini del rilascio dell’autorizzazione alle emissioni in atmosfera - volta a garantire semplificazione amministrativa, tempi certi e partecipazione di tutti gli enti locali (ad esempio coinvolgendo le province, sinora non considerate).
Un’altra innovazione è consistita nell’introduzione di una durata fissa (15 anni) per le autorizzazioni - mentre la normativa previgente non disponeva un termine - e la fissazione di soglie di potenza, stabilite in funzione del combustibile utilizzato, al fine di rendere più agevole l’individuazione della disciplina applicabile agli impianti termici civili.
♦ Infine, l’ultima parte del decreto – parte sesta – è dedicata alla disciplina del danno ambientale e delle relative azioni risarcitorie. La nuova disciplina attribuisce al Ministero dell’ambiente il compito di promuovere l’azione risarcitoria e dispone che il risarcimento debba avvenire preferibilmente in forma specifica, cioè con il ripristino della situazione precedente. Solo ove il ripristino risulti anche parzialmente impossibile oppure eccessivamente oneroso, il Ministro dell’ambiente può richiedere che il risarcimento avvenga per equivalente patrimoniale.
Lo strumento attraverso cui si esercita questa competenza del Ministro dell’ambiente è quello di una specifica ordinanza-ingiunzione immediatamente esecutiva, i cui termini sono definiti dall’art. 313, con la quale si procede – in via amministrativa, e non in sede giurisdizionale, come nel sistema finora vigente – anche alla quantificazione del danno. Si osserva che le nuove norme sono interamente sostitutive della disciplina dell’azione risarcitoria che era stata vigente nel diritto italiano a partire dalla legge n. 349 del 1986 (istitutiva del Ministero dell’ambiente) e che era basata prevalentemente sulla ricostruzione giurisprudenziale dei principi recati dall’articolo 18 di quella legge (ora abrogato dal decreto legislativo n. 152).
Ad integrazione della breve sintesi dei contenuti di questo complesso decreto legislativo, occorre almeno accennare alle forti polemiche sorte in merito alle procedure seguite per la sua emanazione. La legislazione ambientale ha infatti notevole incidenza su ambiti amministrativi e sociali che coinvolgono una pluralità di soggetti, sia istituzionali che portatori di interessi: enti locali, regioni, associazioni di imprese, consumatori, gruppi ambientalisti, sindacati dei lavoratori. Dai dibattiti parlamentari relativi all’esame dello schema di decreto[49] e dai pareri approvati nel corso di questo iter emerge – a prescindere dai contenuti del decreto – un’insoddisfazione per le modalità con le quali tali soggetti sono stati chiamati a partecipare alla fase preparatoria del decreto. Questa insoddisfazione riveste peraltro carattere non strettamente politico e può estendersi fino a toccare profili di legittimità allorché si consideri il riparto di competenze legislative fra Stato e regioni in materie connesse alla tutela dell’ambiente. Si ricorda che il Presidente della Repubblica ha richiesto al Governo chiarimenti in merito al Codice, che successivamente è stato pubblicato sulla G.U. in data 14 aprile 2006.
Come si è già accennato, il decreto legislativo n. 152 rappresenta il più ampio intervento normativo in materia ambientale della XIV legislatura, ma non l’unico. Pur limitando tale sintesi ai soli provvedimenti principali, è necessario ricordare:
♦ il collegato ambientale alla finanziaria 2002 (legge 31 luglio 2002, n. 179) nel quale sono confluite numerose, distinte misure riferite a vari settori del diritto ambientale: aree protette, tutela delle fasce costiere, rifiuti, telerilevamento delle aree a rischio idrogeologico, istituzione degli osservatori ambientali per la verifica del rispetto delle prescrizioni della valutazione di impatto ambientale sulle grandi opere;
♦ la ratifica del Protocollo di Kyoto (legge 1° giugno 2002, n. 120) con cui l’Italia è entrata a far parte del nucleo di paesi che hanno deciso di vincolarsi al raggiungimento degli obiettivi internazionali di riduzione delle emissioni dei sei gas cosiddetti “ad effetto serra”, nel periodo 2008-2012.
Contestualmente alla ratifica è stato adottato un insieme di misure volte al miglioramento dell’efficienza energetica del sistema economico nazionale, al maggiore utilizzo delle fonti di energia rinnovabili e all’aumento degli assorbimenti di gas serra (forestazione, cambi d’uso del suolo), contenute nel Piano nazionale per la riduzione delle emissioni di gas responsabili dell’effetto serra: 2003-2010[50].
Sempre in connessione con la ratifica del Protocollo di Kyoto, con il decreto-legge 12 novembre 2004, n. 273, il Governo ha dettato una serie di norme per consentire l’attuazione della direttiva europea che istituisce un sistema continentale per lo scambio di quote di emissione dei gas ad effetto serra (direttiva 2003/87/CE), nelle more del suo recepimento. Si ricorda, in proposito, che lo schema di decreto legislativo che recepirà le norme comunitarie è stato già esaminato dalle Camere (Atto del Governo n. 597) ed è in attesa di pubblicazione in Gazzetta Ufficiale. Successivamente, in data 23 febbraio 2006, il Ministero dell’ambiente ha emanato il decreto DEC/RAS/074/2006, recante l’assegnazione e il rilascio delle quote di CO2 per il periodo 2005-2007 sulla base della Decisione di assegnazione (allegata al medesimo decreto) che rappresenta la versione definitiva e revisionata del Piano nazionale di assegnazione delle quote di emissione (come risultante a seguito delle integrazioni e delle prescrizioni dettate dalla Commissione europea) che individua il numero di quote complessivo, a livello di settore e di impianto, da assegnare per l’attuazione della direttiva;
♦ l’istituzione - anche nella XIV legislatura e in continuità con l’analoga esperienza della XIII legislatura – di una Commissione bicamerale d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti (vedi la pagina del sito web della Camera dedicata alla Commissione[51]). La Commissione, che ha operato con i poteri di cui all’art. 82 della Costituzione, ha indagato anche sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti ed ha prodotto un complesso rilevante di documenti, scaricabili dal sito web della Camera dei deputati.
Si possono, inoltre, ricordare le proposte di legge (di iniziativa parlamentare) in materia di tutela dell’architettura rurale (legge 24 dicembre 2003, n. 378) e di lotta all’inquinamento luminoso (che non è pervenuto all’approvazione definitiva) e i numerosi decreti legislativi di recepimento di direttive comunitarie, fra i quali: il decreto legislativo 13 gennaio 2003, n. 36, attuativo della direttiva 1999/31/CE, in materia di discariche di rifiuti; il decreto legislativo 24 giugno 2003, n. 209, attuativo della direttiva 2000/53/CE, in materia di veicoli fuori uso; il decreto legislativo 24 giugno 2003, n. 182, attuativo della direttiva 2000/59/CE, in materia di rifiuti prodotti dalle navi e residui di carico; il decreto legislativo 21 maggio 2004, n. 171, attuativo della direttiva 2001/81/CE, in materia di limiti nazionali di emissione di alcuni inquinanti atmosferici; il decreto legislativo 21 maggio 2004, n. 183, attuativo della direttiva 2002/3/CE, in materia di limiti al livello di ozono nell’aria; il decreto legislativo 21 marzo 2005, n. 66, attuativo della direttiva 2003/17/CE, in materia di qualità della benzina e del combustibile diesel; il decreto legislativo 25 luglio 2005, n. 151, attuativo delle direttive 2002/95/CE, 2002/96/CE e 2003/108/CE, in materia di rifiuti elettrici ed elettronici; il decreto legislativo 11 maggio 2005, n. 133, attuativo della direttiva 2000/76/CE, in materia di incenerimento di rifiuti; il decreto legislativo 18 febbraio 2005, n. 59, attuativo della direttiva 96/61/CEE, in materia di prevenzione e riduzione integrate dell’inquinamento (IPPC) (si ricorda che un parziale recepimento di tale direttiva era stato operato con il decreto legislativo n. 372 del 1999 che però aveva limitato il proprio ambito di applicazione ai soli impianti già esistenti alla data della sua entrata in vigore); il decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 194, attuativo della direttiva 2002/49/CE in materia di gestione del rumore ambientale; il decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 195, attuativo della direttiva 2003/4/CE, in materia di accesso del pubblico all’informazione ambientale.
Infine, fra le numerose disposizioni relative alla materia ambientale presenti in leggi finanziarie o in decreti-legge, si deve almeno accennare a due vicende legislative di un certo rilievo: la prima è quella relativa alla revisione della definizione di rifiuto, recata dall’art. 14 del decreto-legge 8 luglio 2002, n. 138. La nuova definizione, introdotta in forma di interpretazione autentica dell’art. 6, comma 1, lettera a), del decreto legislativo n. 22 del 1997 (cd. decreto Ronchi) è stata oggetto di una procedura comunitaria di infrazione (n. 2002/2213). Tali norme sono state riportate – successivamente – nel decreto n. 152 del 2006 (art. 183).
La seconda vicenda legislativa a cui si deve fare riferimento in questa sintesi è quella relativa alla realizzazione di un deposito nazionale dei rifiuti radioattivi. A seguito della approvazione, il 13 marzo 2003, del documento conclusivo di una indagine conoscitiva svolta dalla VIII Commissione della Camera dei deputati sul tema “Sicurezza ambientale dei siti e degli impianti ad elevata concentrazione inquinante di rifiuti pericolosi e radioattivi”, è stato emanato il decreto-legge 14 novembre 2003, n. 314, che prevedeva la realizzazione del deposito nazionale, individuando anche, in un’area compresa nel territorio comunale di Scanzano Jonico in provincia di Matera, la localizzazione del deposito. A seguito delle manifestazioni popolari seguite alla pubblicazione del decreto, le disposizioni che indicavano il sito sono state espunte dal testo in sede di conversione (legge 24 dicembre 2003, n. 368). Successivamente, tali disposizioni sono state ulteriormente modificate dalla legge 23 agosto 2004, n. 239 di riordino del settore energetico.
Nel corso della XIV legislatura sono da registrare – in tali settori – almeno quattro significativi interventi legislativi, di cui tre pervenuti all’approvazione definitiva, mentre il quarto è giunto solo all’approvazione di uno dei due rami del Parlamento. Tali interventi hanno riguardato:
§ la revisione delle norme statali in materia di tutela del paesaggio (codice dei beni culturali e del paesaggio);
§ la tentata riforma urbanistica;
§ la ricognizione delle norme di principio in materia di governo del territorio.
La revisione delle norme in materia di tutela del paesaggio è avvenuta in due fasi). Un primo intervento normativo di carattere generale è stato apportato dal decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della L. 6 luglio 2002, n. 137 (cd “codice Urbani”) la cui Parte terza è stata interamente dedicata ai Beni paesaggistici.
Le principali linee innovative (rispetto al previgente decreto legislativo n. 490 del 1999 che recava il Testo unico dei beni culturali e paesaggistici) sono state determinate dalla riforma del titolo V della Costituzione e, soprattutto, dalla firma – avvenuta a Firenze il 20 ottobre 2000 - della Convenzione europea del paesaggio –ratificata da parte dell’Italia con legge 9 gennaio 2006, n. 14 - e dell’Accordo tra il Ministro per i beni e le attività culturali e le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano sull’esercizio dei poteri in materia di paesaggio, concluso il 19 aprile 2001. Le novità hanno riguardato numerosi aspetti della normativa statale: dalle modalità di individuazione dei beni paesaggistici, alla disciplina procedurale (artt. 137-141), alla pianificazione paesaggistica (in relazione alla quale sono state introdotte norme di coordinamento con gli altri strumenti di pianificazione previsti dalle leggi vigenti), alle funzioni di vigilanza.
Successivamente, con l’Atto del Governo n. 595 - esaminato nel febbraio 2006 dalla VIII Commissione, approvato dal Governo in via definitiva in data 2 marzo 2006, ma non ancora pubblicato in Gazzetta Ufficiale - sono state proposte dal Governo norme integrative e correttive del decreto legislativo n. 42 del 2004.
Le principali modifiche inserite nello schema di decreto legislativo hanno riguardato le definizioni (in particolare, la stessa definizione di paesaggio recata dall’art. 131 del codice) e la disciplina della pianificazione paesaggistica, non più riservata esclusivamente alle regioni, ma attribuita alle regioni “anche in collaborazione con lo Stato” (art. 135). Conseguentemente a questa modifica (su cui la Conferenza Stato-Regioni ha espresso parere contrario), l’art. 143 ha disciplinato le forme di collaborazione, disponendo in merito alla elaborazione congiunta del piano da parte delle regioni e dei due Ministeri interessati (beni culturali ed ambiente). Altre modifiche hanno riguardato le norme relative al complesso procedimento teso ad individuare i beni e le aree sottoposti a tutela in ragione del loro notevole interesse pubblico, e che termina con la dichiarazione di notevole interesse pubblico, emanata dalla regione (artt. 137-141). Le modifiche sono finalizzate a disporre termini certi per il procedimento di vincolo. Inoltre, sono state riviste sia la disciplina dell’autorizzazione paesaggistica (art. 146), sia la disciplina sanzionatoria (art. 167).
Ancora in materia di paesaggio, appare opportuno ricordare (anche per gli intrecci con le norme integrative e correttive del codice, appena esposte) che la legge n. 308 del 2004 (la già ricordata “delega ambientale”) recava – fra le norme di diretta applicazione (e in particolare ai commi 36-39 dell’articolo unico di cui è composta) - alcune disposizioni incidenti sulla disciplina della tutela del paesaggio. Tali disposizioni possono essere distinte in due categorie. Nella prima sono comprese le norme (comma 36) che hanno recato modifiche alla Parte Quarta (Sanzioni) del “codice Urbani”. Tra queste modifiche la più rilevante è stata una sorta di sanatoria penale a regime per alcuni reati paesistici di impatto ambientale minore, specificamente indicati, qualora l’autorità amministrativa competente alla tutela del vincolo accerti la compatibilità paesaggistica dell’abuso commesso. La seconda tipologia di norme - commi 37-39 dell’art. 1, della legge n. 308 del 2004 – recano una disciplina condonistica penale, ma limitatamente ad interventi eseguiti entro e non oltre il 30 settembre 2004 senza la prescritta autorizzazione o in difformità da essa, sempre previo accertamento di compatibilità paesaggistica.
Al fine di coordinare le norme del “codice Urbani” con le suddette norme, nonché al fine di superare incertezze interpretative, l’Atto del Governo n. 595, integrativo e correttivo del codice stesso, ha disposto che l’accertamento di compatibilità paesaggistica comporti sempre ed in ogni caso effetti sia sul piano penale (esclusione del reato), sia sul piano amministrativo (esclusione della sanzione demolitoria, logicamente incompatibile con l’intervenuto accertamento di compatibilità paesaggistica).
In materia di legislazione sul governo del territorio, occorre ricordare che, nella XIV Legislatura, è stata iniziata e portata a termine, ma alla sola Camera dei deputati, una iniziativa di riforma della legge urbanistica[52].
Le otto proposte di legge concorrenti (AA.C. 153, 442, 677, 1065, 3627, 3810, 3860 e 4707), presentate da tutti i gruppi - di maggioranza e di opposizione - erano tutte riconducibili al medesimo fine di riordino e di unificazione della normativa italiana in materia di urbanistica, ovvero – secondo un’accezione più ampia – di governo del territorio. E’ noto, infatti, che la legge che oggi reca la disciplina più organica della materia urbanistica non solo risale al 1942 (legge n. 1150 del 17 agosto), ma presenta almeno due gravi limiti:
- non ha mai ricevuto effettiva e completa attuazione (a partire dall’indispensabile regolamento di esecuzione, mai emanato),
- è caratterizzata da un impianto centralizzatore e quindi in forte disarmonia con l’evoluzione dell’intero sistema delle autonomie regionali, come prefigurato dalla Costituzione e attuato a partire dal 1970, e soprattutto come modificato dalla riforma del Titolo V.
Ciò non ha storicamente impedito che numerose delle disposizioni recate dalla legge n. 1150 trovassero diretta applicazione. Né ha impedito che la stessa legge costituisse la principale fonte di riferimento per l’individuazione dei principi fondamentali della materia, principi ai quali ha dovuto comunque uniformarsi la legislazione regionale di dettaglio sorta a partire dal 1970, sulla base della competenza concorrente riconosciuta in materia urbanistica dall’articolo 117 della Costituzione[53]. Questo stato delle fonti in materia urbanistica è da tempo oggetto di critiche: la legislazione regionale ha dovuto infatti svilupparsi senza poter fare riferimento ad un quadro di principi, coerente – a sua volta – con il dettato costituzionale.
Tutte le proposte di legge esaminate alla Camera avevano pertanto l’obiettivo comune di dotare l’ordinamento di norme di riferimento unitarie ed organiche in materia di governo del territorio, valide per l’intero territorio nazionale. Quanto ai contenuti si potevano riscontrare, fra le citate proposte concorrenti, sia elementi di differenziazione, sia elementi comuni, fra i quali - ad esempio - la necessità di realizzare forme di raccordo fra la pianificazione urbanistica e le altre forme di pianificazione previste da normative di settore, o il superamento della rigida struttura del piano tradizionale recante prescrizioni conformative della proprietà e allo stesso tempo privo di una scadenza temporale, o ancora, la necessità di trovare una soluzione al problema della sperequazione nel regime dei suoli disponendo meccanismi di perequazione.
Il testo approvato dalla Camera nella seduta del 28 giugno 2005, in 13 articoli – l’ultimo dei quali recante abrogazioni espresse di numerose norme vigenti – è stato trasmesso al Senato (AS 3519), ma l’esame in sede referente da parte della 13a Commissione non è mai iniziato.
Sempre in materia di governo del territorio, è stato invece adottato il decreto legislativo recante ricognizione dei princìpi fondamentali in materia di governo del territorio (Atto del Governo n. 610)[54], in attuazione della disposizione di cui all’articolo 1, comma 4, della legge 5 giugno 2003, n. 131 (cd “legge La Loggia”). Tale disposizione infatti prevedeva che - per orientare l’iniziativa legislativa dello Stato e delle Regioni nelle materie di legislazione concorrente - fino all’entrata in vigore delle leggi con le quali il Parlamento definirà i nuovi principi fondamentali, il Governo adottasse uno o più decreti legislativi meramente ricognitivi dei principi fondamentali che si traggono dalle leggi vigenti, nelle materie previste dall’articolo 117, terzo comma, della Costituzione. Il decreto – avendo natura meramente ricognitiva – non ha comunque innovato l’ordinamento.
A parte gli atti intervenuti in occasione di calamità naturali – fra i quali si ricorda, in particolare il decreto-legge 4 novembre 2002, n. 245, recante una serie di misure volte a fronteggiare l’emergenza determinata dagli eventi sismici nelle regioni Molise (Campobasso) e Puglia (Foggia)[55], e in alcune zone della Sicilia (Catania), si ricorda il principale intervento ordinamentale, recato dal decreto-legge 7 settembre 2001, n. 343[56], approvato all’inizio della XIV legislatura, con il quale si è intervenuti sull’assetto istituzionale delle strutture della protezione civile, modificando gli indirizzi che erano stati affermati nel contesto del riordino dell’organizzazione del Governo con i decreti legislativi n. 300 e n. 303 del 1999.
Secondo la riforma del 1999, le strutture operanti in tale settore venivano accorpate nell’Agenzia di protezione civile, di nuova istituzione, alla quale erano trasferite tutte le funzioni di carattere tecnico e operativo precedentemente ripartite fra Presidenza del Consiglio e Ministero dell’interno[57]. Il D.L. 343/2001 opera un’inversione di tendenza, sopprimendo l’Agenzia di protezione civile e riconducendo in capo al Presidente del Consiglio dei ministri, ovvero al Ministro dell’interno da lui delegato, le competenze in materia di coordinamento della protezione civile. Il D.L. attribuisce inoltre una competenza di carattere generale al Ministero dell’interno in materia di politiche di protezione civile e prevenzione incendi, e ha integralmente ricondotto il Corpo dei vigili del fuoco alla sua dipendenza funzionale.
Quanto al rispetto delle competenze regionali e locali, oltre a far salve le competenze amministrative attribuite del D.Lgs. 112/1998, il D.L. 343/201 istituisce un Comitato paritetico Stato-regioni-enti locali, a sostegno delle attività di coordinamento.
Il decreto individua inoltre dettagliatamente i compiti del Dipartimento della protezione civile presso la Presidenza del Consiglio dei ministri (la cui organizzazione è rimessa a un successivo D.P.C.M.) e degli altri organismi operanti nel settore.
Nel corso della legislatura è stata, inoltre, approvata una serie di provvedimenti, tra i quali il decreto-legge 31 marzo 2005, n. 90[58] e il decreto-legge 30 novembre 2005, n. 245[59], con i quali è stato completato il quadro normativo adottato con il decreto-legge n. 343 del 2001, soprattutto attraverso il rafforzamento della funzione di guida delle politiche di protezione civile assegnata al Presidente del Consiglio dei ministri. E’ stato altresì previsto (art. 4 del decreto-legge n. 90) un potenziamento delle attività del Dipartimento della protezione civile anche per gli interventi all’estero.
Sempre in materia di ordinamento delle strutture di protezione civile, si ricorda che la legge di delega 252/2004[60] e il successivo D.Lgs. 217/2005[61] hanno sostanzialmente ridisegnato il rapporto di impiego del personale appartenente al Corpo nazionale dei vigili del fuoco, stabilendo per esso il passaggio dal regime privatistico ad un’autonoma disciplina di diritto pubblico, al pari di quanto già previsto per le forze di polizia e gli altri Corpi dello Stato chiamati alla difesa dei valori fondamentali della Repubblica. La strutturazione dei ruoli, delle qualifiche e dei meccanismi retributivi introdotta dal D.Lgs. 217/2005 appare infatti analoga, nelle linee generali, a quella prevista per le Forze dell’ordine.
Il Governo ha successivamente proceduto, in attuazione di una delega contenuta nella legge di semplificazione per il 2001 (L. 229/2003[62]), al riassetto delle disposizioni relative alle funzioni e ai compiti del Corpo dei vigili del fuoco. Il D.Lgs. 139/2006[63] raccoglie le disposizioni di carattere generale concernenti le funzioni istituzionali del Corpo, gli aspetti organizzativi e strutturali, l’ordinamento del personale volontario (rinviando per il restante personale al citato D.Lgs. 217/2005), le attività di prevenzione incendi e di soccorso pubblico, l’amministrazione e contabilità.
Una serie di interventi legislativi di carattere puntuale, concernenti prevalentemente l’assegnazione di risorse e l’incremento delle dotazioni organiche, è stata infine disposta nel corso della legislatura da norme contenute in alcune leggi finanziarie, al dichiarato fine di porre il Corpo in condizioni di far fronte non solo alle funzioni tradizionalmente assolte, ma anche ai nuovi compiti correlati agli attuali scenari mondiali, con potenziale riguardo ai possibili rischi derivanti dall’uso di armi non convenzionali (nucleari, batteriologiche o chimiche) da parte del terrorismo internazionale.
Il 7 dicembre 2005, la Commissione ha presentato una comunicazione relativa ad un piano d’azione per la biomassa (COM(2005)628), con la quale vengono illustrate alcune misure volte a: intensificare lo sviluppo di energia dalla biomassa ricavata dal legno, dai rifiuti e dalle colture agricole, comprese le barbabietole, al fine di promuovere i biocarburanti nell’UE; avviare i preparativi per un uso su vasta scala dei biocarburanti; sostenere i paesi in via di sviluppo in cui la produzione di biocarburanti potrebbe promuovere una crescita economica sostenibile.
Il 23 gennaio 2006 il Consiglio agricoltura ha svolto un primo dibattito sulla comunicazione nel corso del quale la maggior parte delle delegazioni ha sottolineato l’impatto positivo dell’utilizzo dei biocarburanti soprattutto dal punto di vista della dipendenza dell’UE dalle energie fossili. Alcune delegazioni hanno suggerito di incrementare il livello del premio per le colture energetiche. Il 23 marzo 2006 il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione con la quale appoggia la promozione dello sfruttamento di colture per scopi energetici.
A completamento del piano d’azione per la biomassa, l’ 8 febbraio 2006 la Commissione ha presentato una comunicazione sulla strategia comunitaria per la promozione dei biocarburanti (COM(2006)34), volta ad incentivare la produzione di combustibili da materie prime agricole. Nel documento vengono stabilite le direttrici principali delle misure che la Commissione intende adottare per promuovere i biocarburanti: incentivare la domanda di biocarburanti, sfruttare i benefici ambientali, sviluppare la produzione e la distribuzione dei biocarburanti, ampliare la fornitura di materie prime, potenziare le opportunità commerciali, sostenere i paesi in via di sviluppo, sostenere la ricerca nel settore.
Sulla comunicazione, che è in attesa di essere esaminata dal Parlamento europeo, il Consiglio ha iniziato una prima discussione il 20 febbraio 2006.
Il 24 ottobre 2005 la Commissione ha avviato la seconda fase del programma europeo per il cambiamento climatico (ECCPII), volto a definire la politica comunitaria in materia per il periodo successivo al 2012.
Nell’ambito del programma, strumento principale della strategia europea per l’attuazione del Protocollo di Kyoto, la Commissione intende valutare la possibilità di intraprendere nuove azioni per sfruttare le soluzioni economicamente efficaci disponibili per l’abbattimento delle emissioni, in sinergia con la strategia di Lisbona: in questo contesto l’attenzione è rivolta all’efficienza energetica, alle fonti rinnovabili, ai trasporti e alla cattura e stoccaggio del carbonio.
In merito al cambiamento climatico il Consiglio ambiente del 9 marzo 2006, nelle sue conclusioni, ha tra l’altro sottolineato l’esigenza di garantire coerenza tra le questioni relative all’energia e quelle relative al clima, sfruttando le sinergie tra promozione della sicurezza energetica, offerta di energia sostenibile, innovazione e riduzione delle emissioni di gas a effetto serra.
Scambio di quote di emissione
La Commissione ha preannunciato la presentazione di una proposta di modifica della direttiva 2003/87/CE, che definisce il sistema europeo di scambio di quote di emissione dei gas ad effetto serra. L’obiettivo della proposta è di estendere il campo di applicazione della direttiva anche al trasporto aereo.
Al riguardo, si ricorda che la Commissione ha presentato, il 27 settembre 2005, la comunicazione “Ridurre l’impatto del trasporto aereo sui cambiamenti climatici”, nella quale delinea una strategia volta ad impedire che il traffico aereo comprometta il raggiungimento dell’obiettivo generale di limitare l’aumento della temperatura della superficie terrestre (COM (2005) 459). Tale strategia si prefigge, tra l’altro, di: sviluppare la ricerca per un trasporto aereo più pulito; migliorare la gestione del traffico aereo, per diminuire il consumo di carburante; applicare più coerentemente la fiscalità energetica, attraverso la tassazione generalizzata del carburante utilizzato per il trasporto aereo commerciale.
Nel corso della legislatura si registrano numerosi interventi sulla disciplina del Fondo nazionale per le politiche sociali, anche al fine di adeguare la legislazione alle novità introdotte con la riforma del titolo V della Costituzione ed ai poteri attribuiti alle Regioni nel campo della assistenza sociale.
In particolare, la legge n. 289 del 2002 (art. 46) ha soppresso, almeno tendenzialmente, il “vincolo di destinazione” delle risorse progressivamente confluite nel Fondo nel corso degli anni. La norma, peraltro, fa espressa eccezione per gli stanziamenti destinati a soddisfare diritti soggettivi, la cui gestione è affidata all’INPS (assegni ai nuclei familiari; assegni di maternità; agevolazioni per portatori di handicap etc). Inoltre, la legge destina almeno il 10 per cento delle risorse “a sostegno delle politiche della famiglia di nuova costituzione” attraverso, in particolare, misure volte a favorire l’acquisto della prima casa e la natalità.
La legge n. 289 del 2002 prevede inoltre la determinazione con DPCM dei livelli essenziali delle prestazioni sociali, attraverso i quali garantire, in modo uniforme su tutto il territorio nazionale, le prestazioni nel campo sociale, con una procedura analoga al modello definito con i livelli essenziali di assistenza nel comparto sanitario (LEA). Tale disposizione, peraltro, non ha poi trovato attuazione.
Negli anni successivi, nell’ambito delle manovre di bilancio sono reintrodotti vincoli per una parte delle risorse del Fondo, da destinate prevalentemente per interventi a favore di famiglie, anziani e portatori di handicap (legge n. 350 del 2003). Inoltre sono istituiti dei Fondi a destinazione settoriale per la promozione di asili nido e micro nidi. La Corte costituzionale ha peraltro giudicato lesivi dell’autonomia delle regioni sia i vincoli di destinazione al Fondo per le politiche sociali sia dei Fondi per gli asili nido (su questi temi e sul Fondo per la famiglia cfr. la scheda sull’area tematica Famiglia e minori).
Si registrano diversi interventi legislativi volti a razionalizzare i procedimenti relativi alle minorazioni civili, all’handicap ed alla disabilità. Da ultimo, il decreto-legge n. 203 del 2005 (art. 10) ha attribuito ad unico soggetto (l’INPS) le competenze residuate allo Stato, già appartenenti al Ministero dell’economia e delle finanze, in modo da favorire una più efficace presenza in giudizio dello Stato, facendo leva sulle capacità professionali accumulate dall’INPS .
Un problema specifico riguarda l’esenzione dei disabili gravi dalle visite mediche di controllo, al fine di evitare i fortissimi disagi che il ripetersi delle visite determina per le persone affette da patologie irreversibili di elevata gravità e per le loro famiglie. Da ultimo, il decreto legge n. 4 del 2006 (art. 6) dispone che i portatori di “menomazioni o patologie stabilizzate o ingravescenti, ivi inclusi i soggetti affetti da sindrome da talidomide” siano esonerati da ogni visita medica successiva volta a verificare la sussistenza della patologia.
Non è stato invece portato a termine il riordino degli emolumenti derivanti da invalidità civile, cecità e sordomutismo, pur previsto da norme di delega al Governo.
Sempre con riguardo ai soggetti portatori di handicap, la legge n. 67 del 2006, è volta ad assicurare la tutela giudiziaria delle persone con disabilità vittime di discriminazioni, al fine di consentire loro il pieno godimento dei loro diritti civili, politici, economici e sociali.
Con diversi provvedimenti sono stati previsti contributi diretti ad enti e associazioni che operano nel campo dell’assistenza ai soggetti disabili (leggi n. 248 e 278 del 2005).
Nel settore del volontariato, la legge n. 155 del 2003 è volto a facilitare le attività di assistenza agli indigenti svolte da associazioni senza finalità di lucro, con specifico riferimento all’attività di distribuzione gratuita di prodotti alimentari.
Infine, la legge n. 266 del 2005 ha disposto per l’anno finanziario 2006, a titolo sperimentale, la destinazione a scelta del contribuente di una quota pari al 5 per mille dell’imposta sul reddito delle persone fisiche a diverse finalità, tra le quali il sostegno del volontariato, delle organizzazioni non lucrative di utilità sociale e delle associazioni di promozione sociale.
Nel settore previdenziale l’attività parlamentare si è incentrata sulla riforma del sistema pensionistico approvata con la legge 23 agosto 2004, n. 243, il cui iter alla Camera ha avuto inizio alla fine del 2001 come provvedimento collegato alla manovra di finanza pubblica per il 2002.
La riforma, tramite l’innalzamento dei requisiti anagrafici per la pensione di anzianità, si pone l’obiettivo di garantire nel medio-lungo periodo la sostenibilità finanziaria ed economica in relazione all’invecchiamento della popolazione ed alle conseguenze che ciò provoca sulla finanza pubblica.
Il legislatore ha lasciato immutati i requisiti per il pensionamento fino alla fine del 2007, per cui la riforma sostanzialmente interviene sui pensionamenti che decorreranno dal 1° gennaio 2008. A partire da tale momento i lavoratori dipendenti a cui si applica il sistema retributivo o misto, per conseguire il diritto alla pensione di anzianità, dovranno possedere almeno 35 anni di contributi e 60 anni di età anagrafica (rispetto ai 57 richiesti precedentemente), con incremento di età di un anno nel 2010 e poi ancora di uno nel 2014, salvo verifica degli effetti finanziari. Rimane salva la possibilità di conseguire il diritto al pensionamento in presenza di una anzianità contributiva non inferiore a 40 anni., indipendentemente dall’età anagrafica. La riforma invece non interviene sul sistema di calcolo delle pensioni, nel senso che non viene intaccata la posizione di quei lavoratori che erano stati “privilegiati” dalla “riforma Dini” del 1995, mantenendo integralmente il diritto all’applicazione del sistema di calcolo retributivo. A decorrere dal 1° gennaio 2008, viene modificata in senso restrittivo anche la disciplina della decorrenza del pensionamento (cd. finestre).
Si è quindi adottata la scelta di lasciare immutato il sistema fino al 2008 per quanto attiene ai requisiti di accesso al pensionamento, per evitare un troppo brusco impatto della riforma con conseguenze negative sull’”affidamento” dei lavoratori e sul piano della “accettabilità” sociale della stessa. Inoltre per evitare il fenomeno della “fuga” in massa verso il pensionamento da parte di coloro che maturano i requisiti per la pensione entro la fine del 2007, è stato previsto il meccanismo della “certificazione” dei diritti pensionistici acquisiti: ai medesimi soggetti viene garantita la certezza di potersi avvalere (anche dopo il 31 dicembre 2007) della normativa più favorevole vigente anteriormente all’entrata in vigore della riforma, anche per quanto riguarda le regole di calcolo della pensione, potendo accedere alla prestazione pensionistica anche successivamente alla maturazione dei requisiti indipendentemente dalle modifiche della normativa.
Il legislatore, per differire l’uscita dei lavoratori dal mondo del lavoro nel periodo precedente all’applicazione dei nuovi requisiti, prolungando così l’età media di pensionamento, ha deciso di introdurre un incentivo a differire volontariamente il momento del pensionamento. A tal fine si è previsto il meccanismo del cd. bonus previdenziale, in base al quale, per il periodo 2004-2007, i lavoratori dipendenti del solo settore privato, che abbiano maturato i requisiti per ottenere la pensione di anzianità e che decidano di rinviare il pensionamento, hanno facoltà di rinunciare agli accrediti dei contributi previdenziali per percepire direttamente ed integralmente in busta paga la somma corrispondente a detti accrediti. Naturalmente i lavoratori potranno optare alternativamente per mantenere l’accreditamento della contribuzione, che garantirà loro una pensione di importo maggiore in futuro.
L’attività normativa è poi proseguita, nell’ultimo scorcio della legislatura, con l’attuazione di alcune delle deleghe conferite dalla stessa legge 243/2004 di riforma della previdenza, in particolare con i decreti legislativi in materia di previdenza complementare e di totalizzazione dei periodi assicurativi.
Per quanto riguarda la previdenza complementare, la riforma, attuata dal D.Lgs. 5 dicembre 2005, n. 252 recante “Disciplina delle forme pensionistiche complementari”, tramite una più favorevole tassazione delle prestazioni, un meccanismo di conferimento tacito del TFR e una più trasparente concorrenza tra i fondi, mira a favorire un effettivo decollo della previdenza complementare volto a compensare la riduzione delle future prestazioni pensionistiche pubbliche.
Al fine di favorire la libera scelta degli iscritti sulla destinazione delle risorse conferite, si introducono disposizioni volte ad ampliare la “portabilità” della posizione pensionistica, prevedendo che il lavoratore possa scegliere liberamente la forma di previdenza complementare a cui destinare la contribuzione, anche nel caso in cui i contratti o accordi collettivi abbiano istituito fondi negoziali.
Per incentivare l’adesione alla previdenza complementare, si modificano le modalità di tassazione dei fondi pensione e soprattutto delle prestazioni, rendendole più favorevole per gli iscritti. In particolare si prevede l’applicazione di una ritenuta a titolo d’imposta sulle prestazioni erogate in forma di capitale o di rendita, con una aliquota variabile, in base all’anzianità di partecipazione ai fondi, dal 9 al 15 per cento.
Inoltre, per incrementare i flussi di finanziamento a forme pensionistiche complementari, si è introdotto un meccanismo di silenzio-assenso con riferimento al conferimento del trattamento di fine rapporto (TFR) maturando ai fondi pensione, prevedendosi espressamente che in tal caso il TFR sia investito nella linea a contenuto più prudenziale. Per compensare il venir meno dell’autofinanziamento garantito dall’accantonamento del TFR, si prevedono misure di carattere fiscale e contributivo e di agevolazione creditizia in favore delle imprese.
Nell’approvare il testo definitivo del decreto il Governo, nel cui ambito erano emerse diversità di vedute relativamente ad alcuni punti cardine della riforma, ha deciso di differirne l’entrata in vigore al 2008.
Con la nuova disciplina della totalizzazione, di cui al D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 42, recante “Disposizioni in materia di totalizzazione dei periodi assicurativi”, si è invece ampliata la possibilità di cumulare quote di pensione maturate presso diverse gestioni previdenziali, estendendola anche alle pensioni di anzianità (con almeno 40 anni di contributi) e, soprattutto, anche alle ipotesi in cui si raggiungano i requisiti minimi per il diritto alla pensione in uno dei fondi presso cui sono accreditati i contributi, purché non si sia già titolari di trattamento pensionistico autonomo.
Comunque va evidenziato che la riforma, con delle scelte dettate prevalentemente da motivi di carattere finanziario, ha introdotto anche delle disposizioni meno favorevoli rispetto alla disciplina precedente. In primo luogo, si è previsto che sono cumulabili esclusivamente i periodi assicurativi di durata non inferiore a sei anni, mentre la disciplina precedente non poneva alcun limite alla durata dei periodi contributivi che potevano essere cumulati. Si dispone inoltre una disciplina meno favorevole per quanto riguarda le modalità di calcolo per la liquidazione della pensione totalizzata, prevedendo in sostanza, a prescindere delle modalità di calcolo presso la gestione di riferimento, l’applicazione del metodo contributivo. Viene tuttavia introdotta una “clausola di salvaguardia”, per coloro che abbiano maturato, nella gestione pensionistica, un requisito contributivo uguale o superiore a quello minimo richiesto ai fini della pensione di vecchiaia, prevedendosi in tal caso l’applicazione del sistema di calcolo della pensione previsto in generale dall’ente previdenziale di appartenenza.
Si ricorda, infine, che non sono state attuate le numerose altre deleghe previste dalla legge n. 243/2004, tra cui si ricorda la delega per la liberalizzazione dell’età pensionabile e quella in materia di cumulo tra pensioni e reddito.
Con la legge n. 448/2001 (legge finanziaria per il 2002) si è disposto – con decorrenza 1° gennaio 2002 - l’incremento, fino al conseguimento di un reddito proprio complessivo pari a 516,46 euro mensili (un milione di lire) per tredici mensilità, delle maggiorazioni relative alle pensioni sociali per le persone di età pari o superiore a 70 anni in condizioni disagiate. Successivamente, la legge n. 289/2002 (legge finanziaria per il 2003) ha garantito anche ai cittadini italiani residenti all’estero l’incremento della maggiorazione sociale.
Nello scorcio finale della legislatura sono state previste, con il decreto legge 10 gennaio 2006, n. 2[64], una serie di misure relative alla previdenza nel settore agricolo, in primo luogo disponendo la sospensione temporanea, fino al 31 luglio 2006, dei giudizi pendenti e delle procedure di riscossione relativi ai crediti contributivi degli enti previdenziali risultanti alla data del 30 giugno 2005[65]. Si prevedono inoltre agevolazioni contributive, per il triennio 2006-2008, tramite la sospensione degli aumenti di aliquota contributiva a carico dei datori di lavoro agricoli già previsti dalla vigente normativa e un considerevole aumento delle agevolazioni contributive previste per i datori di lavoro agricoli di zone svantaggiate o particolarmente svantaggiate.
Inoltre, dal 1° gennaio 2006, si è provveduto ad unificare il regime di calcolo dei contributi previdenziali e delle prestazioni temporanee per tutte le categorie dei lavoratori agricoli, facendo venir meno la disciplina precedente che disponeva un differente regime per gli operai a tempo determinato.
E’ da evidenziare inoltre che sono state introdotte misure volte a razionalizzare la gestione dell’accertamento e della riscossione contributiva in agricoltura.
Infine, nella parte finale della legislatura, la legge n. 44/2006 ha riconosciuto ai grandi invalidi di guerra e per servizio affetti da gravi menomazioni, che usufruiscono dell’assegno sostitutivo dell’accompagnatore in base all’articolo 1 della L. n. 288 del 2002, un adeguamento dell’importo dello stesso assegno per gli anni 2006 e 2007.
La disciplina che regola la materia assicurativa è stata ordinata e riorganizzata nel nuovo Codice delle assicurazioni private.
L’articolo 4 della legge 29 luglio 2003, n. 229 (Interventi in materia di qualità della regolazione, riassetto normativo e codificazione - Legge di semplificazione 2001) ha conferito delega legislativa al Governo per il riassetto delle disposizioni in materia di assicurazioni. La delega prevedeva la codificazione della normativa primaria, con la semplificazione della disciplina e la revisione delle funzioni amministrative, avendo riguardo alla tutela dei consumatori e, in generale, dei contraenti più deboli, sia sotto il profilo della trasparenza, sia nelle attività di liquidazione del danno, e alla salvaguardia della concorrenza; l’armonizzazione della disciplina delle diverse figure di intermediari assicurativi; la riformulazione dell’apparato sanzionatorio e il riassetto della disciplina dei rapporti fra l’autorità di vigilanza di settore e il Governo, in ordine alle procedure di crisi. Era inoltre prescritto l’adeguamento alle disposizioni comunitarie, per altro già eseguito con il recepimento dei numerosi atti normativi adottati nel tempo dall’Unione europea relativamente all’organizzazione e all’attività delle imprese di assicurazione nonché alla vigilanza pubblica su di esse.
Alla delega è stata data attuazione con il decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209 (Codice delle assicurazioni private), nel quale sono state raccolte le disposizioni concernenti sia la disciplina dei contratti, sia la tutela dei contraenti, sia – soprattutto – i requisiti, l’organizzazione e la solvibilità delle imprese di assicurazione e le connesse funzioni pubbliche di vigilanza, già contenuti in una legislazione speciale complessa e spesso disorganica nella successione degli interventi normativi. Per le sue implicazioni sistematiche, la disciplina del contratto di assicurazione è stata mantenuta nel codice civile (articoli da 1882 a 1932). Talune disposizioni innovative sono state mutuate dall’esperienza oramai consolidata dei testi unici bancario e dell’intermediazione finanziaria. In particolare, si è esteso l’ambito della regolamentazione secondaria attribuita alla potestà normativa dell’autorità indipendente di settore, l’Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni private e di interesse collettivo (ISVAP).
Con lo stesso provvedimento è stata inoltre recepita la direttiva 2002/92/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 dicembre 2002, sull’intermediazione assicurativa, in base alla delega prevista dall’allegato B alla legge 31 ottobre 2003, n. 306 (Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee. Legge comunitaria 2003).
Il decreto legislativo è articolato in diciannove titoli. Sono individuati dapprima i soggetti competenti e i princìpi riguardanti la vigilanza ed è raccolta la disciplina relativa all’accesso all’attività assicurativa e al suo esercizio, comprese le regole sulle riserve tecniche, il margine di solvibilità disponibile e la quota di garanzia, con le disposizioni specifiche relative alle mutue assicuratrici (non soggette alle direttive europee) e alle attività di riassicurazione.
Seguono le disposizioni sugli assetti proprietari e sui gruppi assicurativi, quelle relative alla redazione dei bilanci e delle scritture contabili nonché alla revisione contabile. Si ricorda a questo proposito che a norma del decreto legislativo 28 febbraio 2005, n. 38 [Esercizio delle opzioni previste dall’articolo 5 del regolamento (CE) n. 1606/2002 in materia di princìpi contabili internazionali], a partire dall’esercizio chiuso o in corso al 31 dicembre 2005, le società di assicurazione e riassicurazione debbono redigere il bilancio consolidato in conformità ai principi contabili internazionali. Le stesse società, ove non debbano redigere il bilancio consolidato, sono tenute a impiegare i medesimi princìpi contabili per il bilancio d’esercizio, dall’esercizio chiuso o in corso al 31 dicembre 2006, qualora emettano strumenti finanziari ammessi alla negoziazione in mercati regolamentati di qualsiasi Stato membro dell’Unione europea.
Sono altresì riunite in appositi titoli le disposizioni riguardanti l’accesso all’attività di intermediazione d’assicurazione e di riassicurazione, il suo esercizio e le regole di comportamento da osservarsi, nonché le norme in materia di assicurazione obbligatoria per i veicoli a motore e i natanti, e quelle – integrative del codice civile – riguardanti la disciplina dei contratti. Sono inoltre enunziate le regole di trasparenza a tutela dei contraenti e degli assicurati e vengono disciplinati i poteri di vigilanza sulle imprese e sugli intermediari (compresa la vigilanza supplementare sulle imprese appartenenti a gruppi assicurativi), le misure di salvaguardia, risanamento e liquidazione, i sistemi d’indennizzo operanti negli àmbiti coperti da assicurazione obbligatoria. Vengono infine stabilite le sanzioni penali e amministrative per le violazioni, le disposizioni tributarie speciali riguardanti l’attività assicurativa e la disciplina relativa ai contributi di vigilanza.
Tra le disposizioni innovative rispetto all’ordinamento previgente si segnalano:
- l’attribuzione di competenze normative già spettanti alla legge (determinazione del capitale o fondo di garanzia minimo, degli attivi ammessi a copertura delle riserve tecniche, degli schemi di bilancio, metodi di calcolo per la verifica della solvibilità corretta) alla regolamentazione secondaria dell’autorità di vigilanza;
- alcune semplificazioni di carattere procedimentale (diminuzione del termine per il procedimento di autorizzazione all’esercizio dell’attività);
- l’introduzione della disciplina per la vigilanza sui gruppi assicurativi e di alcune disposizioni in materia di amministrazione straordinaria e di liquidazione coatta amministrativa;
- l’integrazione delle disposizioni in materia di assicurazione obbligatoria per i veicoli (risarcimento del terzo trasportato; introduzione di una procedura di risarcimento diretto);
- l’introduzione di misure a tutela dei contraenti (possibilità di proporre reclami all’ISVAP nei confronti di imprese, intermediari e periti; inversione dell’onere della prova in favore del contraente di un contratto di assicurazione sulla vita), nonché di regole di trasparenza delle operazioni e di protezione dell’assicurato (regole di comportamento delle imprese e degli intermediari, attribuzione all’ISVAP del potere di disciplinare i contenuti della nota informativa, previsione di misure cautelari e interdittive nei casi di violazione).
Il sistema sanzionatorio è interamente riorganizzato, riservandosi la sanzione penale alle fattispecie più gravi (abusivo esercizio dell’attività assicurativa; impedimento all’esercizio delle funzioni di vigilanza). Per le altre fattispecie sono previste sanzioni amministrative pecuniarie ovvero sanzioni disciplinari. Sono destinatari delle sanzioni amministrative pecuniarie le imprese e gli intermediari, ad eccezione delle sanzioni nominatamente irrogate a persone fisiche per violazione dei doveri nei confronti dell’autorità di vigilanza, e salvo che l’impresa non dimostri che il responsabile ha violato i doveri d’ufficio per trarne personale vantaggio.
In materia assicurativa, la Commissione VI (Finanze) ha esaminato anche la proposta di legge Lettieri ed altri n. 3632, concernente modifiche alla legge 24 dicembre 1969, n. 990, e altre disposizioni in materia di responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti.
Sulla disciplina della vigilanza assicurativa sono intervenute altresì talune disposizioni della legge 28 dicembre 2005, n. 262 (Disposizioni per la tutela del risparmio e la disciplina dei mercati finanziari). Questa ha previsto, fra l’altro:
- forme di coordinamento e collaborazione fra le autorità di vigilanza operanti nel settore finanziario, tra cui l’ISVAP (articoli 20 e 21);
- l’intesa tra l’ISVAP e la CONSOB per la determinazione delle informazioni supplementari che debbono essere fornite dalle imprese ai contraenti nel caso di assicurazioni connesse a quote di organismi d’investimento collettivo del risparmio, fondi interni, ìndici o altri valori di riferimento (articolo 25, comma 2);
- l’incremento delle sanzioni penali e amministrative (articolo 39);
- la delega legislativa per la disciplina dei conflitti d’interessi nella gestione dei patrimoni di prodotti assicurativi (articolo 9).
Nel corso dell’esame del provvedimento, anche sulla base di talune osservazioni formulate durante l’indagine conoscitiva sui rapporti tra il sistema delle imprese, i mercati finanziari e la tutela del risparmio, svolta dalle Commissioni riunite VI (Finanze) e X (Attività produttive) della Camera, congiuntamente con le omologhe Commissioni del Senato, era stata considerata l’ipotesi di una complessiva riorganizzazione del sistema delle autorità, in base al principio della vigilanza per funzioni.
Il 20 ottobre 2005 la Commissione europea ha presentato una proposta di direttiva relativa al miglioramento delle condizioni di trasferibilità dei diritti alla pensione complementare (COM(2005) 507). La proposta mira ad agevolare la mobilità dei lavoratori eliminando gli ostacoli derivanti dai differenti ordinamenti nazionali in materia di regimi pensionistici complementari.
La proposta sarà esaminata dal Consiglio e dal Parlamento europeo secondo la procedura di codecisione.
Nel corso della XIV legislatura il settore bancario è stato interessato da alcuni interventi legislativi di notevole rilievo, che hanno inciso sia sulle disciplina degli intermediari creditizi, sia sull’assetto e sui poteri delle autorità pubbliche di vigilanza.
Nella produzione della normativa secondaria e nello sviluppo della convergenza delle prassi internazionali di vigilanza, un ruolo rilevante è stato svolto dai Comitati previsti dalla cosiddetta “riforma Lamfalussy”, che vede impegnati le Istituzioni comunitarie e gli Stati membri (cfr. la scheda Borsa e attività finanziarie). La direttiva 2005/1/CE ha completato il quadro istituzionale della riforma, istituendo il comitato bancario di secondo livello, denominato Comitato bancario europeo (European Banking Committee - EBC), che dovrà assistere la Commissione nell’emanazione della regolamentazione secondaria sostituendo il Comitato consultivo bancario.
Con riguardo alla regolamentazione dell’adeguatezza patrimoniale degli enti creditizi, il Comitato di Basilea ha proseguito i lavori sulla revisione dell’Accordo sul capitale delle banche che costituisce, per le autorità, la base per la modifica delle normative nazionali e, per gli intermediari, il riferimento per adeguare processi e strutture aziendali. La nuova disciplina è basata su modalità di calcolo dei requisiti patrimoniali a fronte del rischio di credito secondo il metodo basato sui rating interni.
L’applicazione della disciplina presuppone un elevato grado di convergenza dei criteri operativi e di cooperazione tra autorità, posto che le regole sui requisiti minimi di capitale (primo pilastro) e sul processo di controllo prudenziale (secondo pilastro) dovranno essere applicate sia su base consolidata, sia alle filiazioni presenti in ciascun paese; sarà inoltre necessario un più stretto coordinamento riguardo all’informazione al pubblico da richiedere alle banche (terzo pilastro).
La legge 3 febbraio 2003, n. 14, ha delegato il Governo ad adottare decreti legislativi per il recepimento della direttiva in materia di risanamento e liquidazione degli enti creditizi (direttiva 2001/24/CE), che disciplina le crisi di banche con succursali in più Stati membri. Nell’ambito dei criteri di delega è stato previsto il coordinamento tra la disciplina delle crisi contenuta nei testi unici bancario (TUB) e della finanza (TUF) e le disposizioni sulla responsabilità amministrativa delle persone giuridiche recate dal D.Lgs. n. 231 del 2001. Con il D.Lgs. 9 luglio 2004, n. 197, la direttiva è stata recepita nell’ordinamento interno. La nuova disciplina è diretta ad assicurare l’unità e l’universalità delle procedure attraverso il principio del riconoscimento reciproco dei provvedimenti di risanamento e liquidazione adottati dall’autorità dello Stato d’origine della banca e l’applicazione della relativa disciplina. Sono previste specifiche eccezioni (ad esempio, in materia di rapporti di lavoro, diritti su beni e strumenti finanziari, accordi di novazione e compensazione).
A tali fini, il decreto introduce nel TUB apposite previsioni dedicate alle procedure di risanamento e liquidazione delle banche operanti in ambito comunitario, agli obblighi informativi tra autorità di vigilanza degli Stati comunitari, al regime di pubblicità degli atti e di informazione dei terzi. Sono state introdotte inoltre specifiche forme di raccordo tra l’autorità giudiziaria e la Banca d’Italia, cui è attribuito il compito di dare esecuzione alla sentenza irrevocabile del giudice penale che applichi a una banca una delle sanzioni interdittive di maggiore gravità previste dal D.Lgs. n. 231 del 2001, attraverso le misure previste dal titolo IV del TUB.
La legge 1º marzo 2002, n. 39 (legge comunitaria 2001), comprende (articolo 55) la disciplina di attuazione delle direttive 2000/28/CE e 2000/46/CE in materia di istituti di moneta elettronica (Imel). Gli Imel sono imprese non bancarie che svolgono, in via esclusiva, l’attività di emissione di moneta elettronica[66]; possono altresì svolgere attività connesse e strumentali e offrire servizi di pagamento; è loro preclusa l’attività di concessione di credito in qualunque forma. Per la configurazione del sistema dei controlli, la normativa richiama le disposizioni del TUB in materia di vigilanza regolamentare, informativa e ispettiva nonché la disciplina delle crisi (eccetto quella relativa ai sistemi di garanzia dei depositanti).
Il D.Lgs. 6 febbraio 2004, n. 37, oltre a modifiche ai decreti legislativi nn. 5 e 6 del 17 gennaio 2003, recanti la riforma del diritto societario, ha operato alcuni interventi di coordinamento della stessa con i testi unici bancario e della finanza. L’impostazione seguìta risponde all’esigenza di consentire anche agli intermediari bancari e finanziari di utilizzare le opportunità offerte dal nuovo diritto societario, introducendo nel contempo taluni adattamenti volti a preservare le finalità di vigilanza e la sana e prudente gestione degli intermediari.
I principali interventi sui due testi unici riguardano: la raccolta del risparmio da parte dei soggetti non bancari; gli assetti proprietari delle banche e degli intermediari finanziari e in valori mobiliari; i modelli di amministrazione e controllo.
La normativa sugli assetti proprietari delle banche e degli altri intermediari è stata modificata per preservare l’efficacia dei controlli nel nuovo contesto civilistico, caratterizzato da una più ampia autonomia delle società sia nella configurazione di speciali categorie di azioni, sia nell’assegnazione di strumenti finanziari che danno diritto di partecipare alla gestione aziendale, a fronte di conferimenti non imputabili al capitale.
Con riferimento al governo societario, le modifiche mirano a salvaguardare l’efficacia dei controlli su profili essenziali per la sana e prudente gestione. È stato previsto che, anche nel caso di adozione dei nuovi modelli dualistico e monistico, l’organo di controllo svolga la medesima funzione di raccordo con l’autorità di vigilanza attribuita nel modello tradizionale al collegio sindacale, incentrata sulla segnalazione delle irregolarità e delle violazioni normative rilevate.
Ulteriori interventi hanno riguardato i requisiti di indipendenza degli esponenti aziendali, il controllo contabile, le banche di credito cooperativo, le procedure di crisi e le sanzioni. In particolare, per le banche di credito cooperativo, si è precisato che, agli effetti fiscali, la qualificazione di cooperativa a mutualità prevalente ricorre quando i relativi statuti contengano le clausole mutualistiche richieste dall’art. 2514 del codice civile (limiti alla distribuzione di utili e alla remunerazione degli strumenti finanziari, divieto di distribuire le riserve) e siano rispettati i criteri di operatività prevalente con soci.
Il D.Lgs. 28 dicembre 2004, n. 310, recante interventi correttivi della riforma societaria, ha apportato ulteriori modificazioni e integrazioni al TUB per completare il coordinamento della riforma stessa con la legislazione bancaria. Il provvedimento ha apportato al TUB integrazioni volte ad adeguare la definizione di gruppo bancario e la disciplina concernente gli assetti proprietari delle banche alle nuove previsioni civilistiche in materia di direzione e coordinamento di società. Ha inoltre reso applicabile alle banche cooperative la nuova disciplina societaria, purché non incompatibile con aspetti sostanziali della relativa disciplina speciale. Rimane confermata la distinzione tra i due modelli di banca cooperativa, incentrata sulla presenza in diversa misura del requisito mutualistico. Le banche di credito cooperativo sono ricondotte alla categoria civilistica delle cooperative “a mutualità prevalente”, in quanto tenute ad adottare le clausole statutarie che incidono sulla possibilità di distribuire utili e riserve ai soci e di remunerare gli strumenti finanziari offerti in sottoscrizione ai soci stessi, nonché a osservare i criteri di operatività prevalente con i soci, definiti dalla Banca d’Italia ai sensi dell’articolo 35 del TUB. Relativamente alle banche popolari, invece, è stata espressamente esclusa l’applicabilità delle disposizioni che fanno riferimento alla condizione di prevalenza mutualistica, conformemente alle peculiari caratteristiche di tale modello di banca.
L’articolo 11 della legge n. 448 del 2001 ha apportato alcune modifiche al decreto legislativo 17 maggio 1999, n. 153, concernente la disciplina delle fondazioni bancarie. L’intervento investe il regime delle partecipazioni delle fondazioni nel capitale delle banche: il divieto di detenzione di interessenze di controllo è esteso ai casi in cui il controllo sia esercitato congiuntamente da più fondazioni; il termine per la dismissione della partecipazione nelle banche conferitarie (originariamente stabilito nel giugno 2003 o – con perdita dei benefìci fiscali – nel giugno 2005) è stato differito al giugno 2006, a condizione che la partecipazione sia affidata a una società di gestione del risparmio (SGR) che la gestisce in nome proprio. Altre modifiche riguardano i settori di attività, gli organi e il patrimonio delle fondazioni bancarie. Successivamente, con il D.L. 24 giugno 2003, n. 143, convertito dalla legge n. 212 del 2003, le fondazioni di origine bancaria con patrimonio netto contabile inferiore a 200 milioni di euro e quelle aventi sedi operative prevalentemente in regioni a statuto speciale sono state esonerate dall’obbligo di dismissione delle partecipazioni di controllo nelle società bancarie conferitarie; per le rimanenti fondazioni il termine per la dismissione è stato ulteriormente rinviato al 31 dicembre 2005.
La disciplina delle fondazioni bancarie ha formato oggetto di pronunzie della Corte costituzionale (sentenze 24-29 settembre 2003, n. 300 e 24-29 settembre 2003, n. 301). Le conclusioni di maggiore rilievo della sentenza n. 301 riguardano l’incostituzionalità della norma che richiede una prevalente rappresentanza degli enti territoriali nell’organo di indirizzo delle fondazioni e il riconoscimento della legittimità costituzionale della disposizione in materia di controllo congiunto delle fondazioni sulle banche solo nell’ipotesi in cui esso sia esercitato da una pluralità di fondazioni tra loro legate da appositi accordi.
Il regolamento emanato con il D.M. 18 maggio 2004, n. 150, ha previsto che l’organo d’indirizzo deve essere composto, in via prevalente, da rappresentanti di enti espressione delle realtà locali; per coloro che svolgono funzioni di amministrazione, direzione, indirizzo e controllo presso la fondazione sono stabilite incompatibilità per gli incarichi presso la società bancaria conferitaria o le società da questa controllate o partecipate. La nozione di controllo congiunto su una banca viene circoscritta ai casi in cui più fondazioni, mediante accordi da provare in forma scritta, realizzino una delle situazioni rilevanti ai fini del controllo individuale.
Da ultimo, l’articolo 7 della legge n. 262 del 2005 ha stabilito che dal 1° gennaio 2006 la fondazione non può esercitare il diritto di voto nelle assemblee ordinarie e straordinarie delle società bancarie conferitarie e in quelle diverse partecipate per le azioni eccedenti il 30 per cento del capitale rappresentato da azioni aventi diritto di voto nelle medesime assemblee. Restano escluse dall’applicazione di tale disposizione le fondazioni con patrimonio netto contabile risultante dall’ultimo bilancio approvato non superiore a 200 milioni di euro, nonché quelle con sedi operative prevalentemente in regioni a statuto speciale.
L’articolo 13 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 326 del 2003, disciplina l’attività di garanzia collettiva dei fidi, con la finalità di favorire l’accesso al credito da parte delle piccole e medie imprese attraverso il rafforzamento patrimoniale e la crescita dimensionale dei consorzi a questo fine costituiti (Confidi). Le nuove norme definiscono le attività esercitabili e il funzionamento dei confidi, consentendo ad essi di assumere anche la forma di intermediari vigilati; riorganizzano il fondo di garanzia costituito presso il Mediocredito centrale, conferendolo a una società per azioni a prevalente partecipazione pubblica; disciplinano i fondi di garanzia interconsortile, costituiti dai confidi.
Il comma 368, lettera c), numero 5), dell’articolo 1 della legge n. 266 del 2005, al fine di favorire l’accesso al credito e il finanziamento dei distretti e delle imprese che ne fanno parte, ha poi previsto che, mediante decreto ministeriale, siano adottate misure per assicurare il riconoscimento della garanzia prestata dai confidi quale strumento di attenuazione del rischio di credito ai fini del calcolo dei requisiti patrimoniali degli enti creditizi, in vista del recepimento del nuovo Accordo di Basilea nonché per favorire il rafforzamento patrimoniale dei confidi e la loro operatività.
Il comma 4-ter dell’articolo 2 del D.L. 14 marzo 2005, n. 35 (Disposizioni urgenti nell’àmbito del Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale), convertito, con modificazioni, dalla L. 14 maggio 2005, n. 80, ha introdotto lo strumento dell’obbligazione bancaria garantita (covered bond), titolo obbligazionario emesso da una banca e connotato dalla presenza di una garanzia su specifiche categorie di attività della banca emittente. Questi titoli, considerati atti a favorire lo sviluppo del mercato interno e l’apertura verso quelli internazionali, presentano fra l’altro il vantaggio di poter essere utilizzati nelle operazioni di rifinanziamento presso la Banca centrale europea.
Secondo lo schema operativo ideato, che s’innesta sulla disciplina delle cartolarizzazioni prevista dalla legge n. 130 del 1999, le banche emetterebbero tali strumenti a seguito della cessione di attivi di elevata qualità creditizia ad una società veicolo, che rilascerebbe apposita garanzia a favore dei portatori dei titoli stessi.
A seguito dei dissesti finanziari delle società Cirio e Parmalat, le Commissioni VI (Finanze) e X (Attività produttive) della Camera dei deputati e 6a (Finanze) e 10a (Industria) del Senato della Repubblica hanno svolto congiuntamente un’indagine conoscitiva sui rapporti tra il sistema delle imprese, i mercati finanziari e la tutela del risparmio. Sono stati presi fra l’altro in considerazione gli strumenti e i canali di finanziamento delle imprese, il ruolo delle banche a questo riguardo, le forme di partecipazione delle imprese alla gestione delle banche e la loro influenza sulle scelte relative al merito di credito, nonché l’incidenza delle banche medesime sulla gestione delle imprese, con i conseguenti conflitti d’interessi. Con riguardo particolare alla vigilanza pubblica sul settore, si è inteso verificare l’efficienza dell’attuale riparto di competenze.
Con riferimento ai rapporti tra banca e impresa, nel corso dell’indagine si è osservato che la convergenza di convenienze che si verifica fra le imprese e l’alta dirigenza delle banche può determinare situazioni in cui la presenza di esponenti di imprese debitrici nei consigli di amministrazione delle società bancarie produce palesi conflitti d’interessi. Il rimedio individuato è stato quello di promuovere o imporre la trasparenza dei rapporti di partecipazione al capitale bancario e dei rapporti di finanziamento che legano reciprocamente le banche e le imprese loro azioniste.
Con riguardo alla riforma delle funzioni di vigilanza pubblica, si è ritenuto necessario un intervento sull’attuale assetto delle funzioni di vigilanza. Ciò deriverebbe, ad avviso delle Commissioni, da un processo di convergenza delle funzioni di vigilanza in atto a livello europeo; dalla marcata integrazione fra le diverse attività di credito che connota la struttura finanziaria del mercato, con conseguente despecializzazione degli intermediari, e da una nuova composizione dell’offerta di prodotti finanziari; un terzo fattore si ricondurrebbe alla nuova composizione dei portafogli dei nuclei familiari, in cui è drasticamente diminuito il peso dei depositi bancari e dei titoli di Stato ed è nettamente aumentata l’incidenza di attività finanziarie di mercato. Da tali elementi di valutazione è stata fatta derivare l’esigenza di sviluppare il modello di vigilanza per finalità, caratterizzato dalla presenza di più autorità, ciascuna competente per uno degli obiettivi generali della regolamentazione, con una ripartizione chiara ed efficiente delle funzioni fra le autorità, anche valutando l’opportunità di ridurre il numero delle stesse, al fine di limitare la frammentazione delle competenze, semplificare i controlli ed agevolare l’individuazione dell’ambito delle relative responsabilità.
In linea di principio, si è pertanto auspicato di mantenere alla Banca d’Italia la competenza in materia di stabilità macroeconomica, ossia relativa alla prevenzione di crisi bancarie di portata sistemica, e di stabilità microeconomica, ossia relativa alla conservazione di condizioni di equilibrio economico e patrimoniale a livello dei singoli intermediari finanziari. La CONSOB dovrebbe invece ritrovare un potenziato ruolo di protezione degli investitori, da realizzarsi garantendo sia la trasparenza delle informazioni sia la correttezza dei comportamenti degli intermediari, mediante un sensibile rafforzamento dei poteri di tale istituzione. Si è ritenuto, inoltre, che un coerente recepimento del modello di vigilanza per finalità richiederebbe l’estensione delle competenze dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato al settore bancario, onde tenere conto del potenziale conflitto tra la funzione di tutela della stabilità e quella di tutela della concorrenza nell’ambito del settore creditizio.
Da ultimo, nell’àmbito delle audizioni dell’indagine è stata affrontata anche la questione relativa alla definizione di sistemi di tutela dei risparmiatori possessori di titoli obbligazionari o di altri strumenti finanziari soggetti ad insolvenza.
Per affrontare e prevenire dissesti finanziari del tipo di quelli che sono stati oggetto della citata Indagine conoscitiva, nella seconda metà della XIV legislatura sono stati presentati numerosi progetti di legge, d’iniziativa parlamentare e governativa. Dopo un lungo iter legislativo, che ha visto l’unificazione di tali proposte, è stata approvata la legge 28 dicembre 2005, n. 262, recante disposizioni per la tutela del risparmio e la disciplina dei mercati finanziari, che, riprendendo e svolgendo i temi dell’indagine si è proposta l’obiettivo di raggiungere un grado di tutela dei risparmiatori e degli investitori più elevato.
Fra le disposizioni che incidono sull’operatività delle banche possono ricordarsi:
- la previsione della determinazione di condizioni da parte della Banca d’Italia per l’assunzione di attività di rischio da parte delle banche nei confronti di propri esponenti, soggetti che detengono in esse partecipazioni rilevanti o altri soggetti che siano in grado di influire sulla loro amministrazione;
- l’estensione dell’ambito di applicazione della disciplina sull’autorizzazione per l’assunzione di obbligazioni da parte degli esponenti bancari nei riguardi della banca stessa;
- l’abolizione dell’esenzione dagli obblighi informativi e dal prospetto per i prodotti finanziari non azionari emessi da banche e per i prodotti assicurativi.
In materia di assetto e poteri delle autorità pubbliche di vigilanza, la legge sembra perseguire il modello di vigilanza per finalità, che si basa sulla distinzione fra obiettivi di stabilità del sistema bancario e finanziario e obiettivi di trasparenza e di correttezza dei comportamenti degli intermediari.
Non è stata tuttavia adottata la soluzione, sollecitata da talune parti durante il dibattito parlamentare, di unificare in tre sole autorità le funzioni di vigilanza, comprendendovi anche quelle riferite a particolari settori (assicurazioni, fondi di previdenza).
Sotto tale profilo, la novità più rilevante consiste nel riassetto delle competenze in materia di concorrenza nel settore bancario fra Banca d’Italia e Autorità garante della concorrenza e del mercato.
In particolare, si stabilisce che per le operazioni di acquisizione di cui all’articolo 19 del TUB e per le concentrazioni ai sensi della legge sulla concorrenza, che riguardano banche, sono necessarie sia l’autorizzazione della Banca d’Italia sia quella dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato. I provvedimenti di autorizzazione devono essere emanati con un unico atto.
Rilevante è anche la riforma della struttura e dell’organizzazione di vertice della Banca d’Italia. Confermandone la natura di istituto di diritto pubblico, la legge prevede che essa riferisca semestralmente al Parlamento e al Governo; stabilisce regole di trasparenza nell’adozione degli atti; definisce nuove modalità di formazione della volontà dell’ente, imperniate essenzialmente sul principio di collegialità esercitato nell’ambito del direttorio; stabilisce che il Governatore rimanga in carica per sei anni, con la possibilità di un solo rinnovo; ordina l’adeguamento dello Statuto della Banca d’Italia entro due mesi; demanda a un regolamento governativo la ridefinizione dell’assetto proprietario e la disciplina delle modalità di trasferimento, entro tre anni, delle quote di partecipazione al capitale dell’Istituto in possesso di soggetti diversi dallo Stato o da altri enti pubblici.
La legge interviene anche sulla disciplina generale dei poteri delle autorità di vigilanza, prevedendo fra l’altro forme di coordinamento e di collaborazione fra esse, l’impiego della Guardia di finanza e princìpi sull’emanazione e la motivazione degli atti regolamentari e generali e dei provvedimenti individuali.
È prevista l’intesa con la CONSOB per l’esercizio delle competenze della Banca d’Italia in materia di trasparenza delle condizioni contrattuali bancarie e le competenze dell’ISVAP in materia di trasparenza relativamente ad alcune forme di assicurazione sulla vita. La COVIP mantiene le competenze in materia di trasparenza sulle forme di previdenza complementare esercitandole compatibilmente con le disposizioni in materia di sollecitazione del pubblico risparmio. Sono infine trasferiti alle autorità di vigilanza alcune funzioni e i poteri sanzionatori attualmente spettanti ai competenti Ministeri.
È conferita al Governo delega legislativa per l’introduzione di procedure di conciliazione e di un conseguente sistema d’indennizzo per le controversie fra risparmiatori e investitori e le banche o gli altri intermediari finanziari circa l’adempimento degli obblighi d’informazione, correttezza e trasparenza, nonché per l’istituzione di un fondo di garanzia per l’indennizzo dei danni patrimoniali cagionati a investitori e risparmiatori dalla violazione, accertata con sentenza definitiva, delle norme sull’intermediazione finanziaria. È prescritta l’adozione di un sistema di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari.
Nel corso della XIV legislatura sono stati presentati diversi progetti di legge tendenti ad operare una riforma della disciplina delle banche popolari e delle banche di credito cooperativo. Fra i temi discussi si segnalano la limitazione dei diritti dei soci (voto capitario e clausola di gradimento), l’esigenza di favorire la confluenza di una maggiore quota di risparmio “popolare” e “istituzionale” nel capitale di queste banche, mediante il più attivo coinvolgimento di investitori istituzionali e compagnie d’assicurazione. Alcuni progetti di legge prevedevano la quotazione obbligatoria degli istituti di credito in borsa o la rideterminazione del limite massimo della partecipazione detenibile da ciascun socio (attualmente limitata allo 0,5% del capitale). I progetti sono stati esaminati dalla Commissione VI (Finanze) della Camera, che ha svolto altresì un’indagine conoscitiva sul settore e ha approvato un testo, tuttavia non esaminato dall’Assemblea.
In tema di banche regionali, è stato approvato dal Consiglio dei ministri lo schema di decreto legislativo mirante a enucleare i princìpi fondamentali che dovranno essere rispettati dalle Regioni nell’esercizio della potestà legislativa concorrente in materia di banche a carattere regionale, prevista (con riferimento a “casse di risparmio; casse rurali; aziende di credito a carattere regionale; enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale”) dall’articolo 117, terzo comma, della Costituzione, secondo il quale la potestà legislativa spetta alle regioni, salvo che per la determinazione dei princìpi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato.
Con riguardo alla prevenzione delle frodi su mezzi di pagamento, la legge 17 agosto 2005, n. 166, ha istituito un sistema di prevenzione delle frodi sulle carte di pagamento, prevedendo la creazione e la consultazione di un “archivio informatizzato”, in cui siano registrati i dati relativi all’uso fraudolento delle carte di credito e di debito circolanti. L’archivio viene gestito dall’Ufficio Centrale Antifrode dei Mezzi di Pagamento (UCAMP), istituito presso il Ministero dell’Economia e delle Finanze (Dipartimento del Tesoro - Direzione III), che nell’ambito del sistema comunitario posto a protezione dell’euro dalle falsificazioni, istituito con il Regolamento (CE) 1338/2001, funge da Ufficio centrale italiano per la raccolta e lo scambio dei dati tecnici e statistici delle falsificazioni individuate nel territorio nazionale.
Con riguardo alla prevenzione dell’uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio, nel dicembre del 2001 è stata approvata la direttiva 2001/97/CE, che modifica la precedente direttiva 91/208/CEE. La disciplina amplia il novero dei reati ritenuti presupposto del riciclaggio, introduce misure volte ad assicurare l’identificazione della clientela nelle operazioni a distanza, estende gli obblighi di identificazione e di registrazione dei dati nei confronti di soggetti che, pur non svolgendo attività di natura finanziaria, sono ritenuti esposti a un eventuale coinvolgimento in fatti di riciclaggio.
In attuazione della delega conferita dalla legge 3 febbraio 2003, n. 14 (legge comunitaria per il 2002), con il D.Lgs. 20 febbraio 2004, n. 56, è stata recepita la citata direttiva. Il provvedimento estende l’applicazione della disciplina alle società di revisione e ad alcune categorie di liberi professionisti (ragionieri, revisori contabili, dottori commercialisti, notai e avvocati); aggiorna l’indicazione degli intermediari finanziari tenuti agli adempimenti antiriciclaggio per ricomprendervi gli istituti di moneta elettronica e i consorzi di garanzia collettiva dei fidi; specifica gli obblighi relativi alla pubblica amministrazione e alle società di gestione accentrata di strumenti finanziari, di gestione dei mercati e di gestione dei servizi di liquidazione e dei sistemi di compensazione e garanzia.
Si veda il paragrafo Servizi finanziari riportato nell’area tematica Borsa e attività finanziarie.
L’adesione all’Unione e economica e monetaria ha inciso profondamente sulle politiche economiche degli Stati membri.
Dato il rilievo che assume a livello europeo il saldo dell’indebitamento netto, il controllo del legislatore statale si è progressivamente ampliato, coinvolgendo non solo le amministrazioni statali, ma l’intero comparto delle amministrazioni inserite del conto consolidato.
Il controllo si estende così a tutti i grandi settori della spesa pubblica: bilancio dello Stato e degli enti pubblici non territoriali, enti territoriali, pubblico impiego, spesa sanitaria.
Saranno analizzati brevemente i principali interventi attuati per il controllo del bilancio dello Stato.
Per le considerazioni generali in materia di politica economica, si rinvia alla relativa scheda.
Il controllo dell’Unione europea sui conti pubblici si esercita a consuntivo; ciò ha imposto l’introduzione di strumenti volti, da una parte, ad assicurare il rispetto delle previsioni di spesa contenute nelle leggi di autorizzazione alla spesa, dall’altra a consentire un intervento nella concreta fase di gestione del bilancio al fine di garantire il conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica.
Un compiuto tentativo in questo senso è stato realizzato con il c.d. “decreto-legge tagliaspese” (D.L. 6 settembre 2002, n. 194, convertito, con modificazioni, dalla legge 31 ottobre 2002, n. 246)
Il decreto-legge “tagliaspese” ha inteso in primo luogo rendere più cogente la disposizione di cui all’articolo 81, quarto comma, della Costituzione, che impone l’obbligo di copertura finanziaria delle leggi recanti nuove o maggiori spese.
A tal fine è stata modificata la legge di contabilità generale dello Stato (legge n. 468/1978: art. 11-ter), prevedendo che ciascuna disposizione di legge che comporti nuove o maggiori spese deve:
a) indicare espressamente, per ciascun anno e per ogni intervento da essa previsto, la spesa autorizzata, che si intende come limite massimo di spesa;
b) ovvero in alternativa, indicare le relative previsioni di spesa definendo però una specifica clausola di salvaguardia per la compensazione degli effetti finanziari che eventualmente eccedano le previsioni medesime.
In sostanza, il decreto-legge n. 194/2002 ha operato una distinzione tra le spese che, per loro natura, non possono essere subordinate ad un limite finanziario - in particolare quelle corrispondenti a diritti soggettivi - e le altre tipologie di spese, su cui può invece operare un principio di vincolo finanziario come limite massimo di spesa.
La legge di contabilità, come modificata dal decreto-legge "tagliaspese", prescrive una sequenza di atti qualora nel corso dell’attuazione delle leggi si verifichino o siano in procinto di verificarsi scostamenti rispetto alle previsioni di bilancio[67].
Nel caso in cui sia definito un limite massimo di spesa, il decreto ha introdotto il principio che le leggi di spesa producono effetti nei limiti degli oneri finanziari previsti nei relativi provvedimenti legislativi. Il raggiungimento dei predetti limiti viene accertato con decreto dirigenziale del Ministero dell’economia e delle finanze, da pubblicare nella Gazzetta ufficiale, la cui adozione è rimessa alla competenza della Ragioneria generale dello Stato.
Qualora pertanto, in fase di attuazione di una legge, si vengano a determinare oneri finanziari superiori al limite di spesa autorizzata, è disposta la cessazione dell’efficacia delle disposizioni onerose, in conseguenza della pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del decreto dirigenziale della Ragioneria dello Stato con il quale si accerta l’esaurimento delle disponibilità corrispondenti all’autorizzazione di spesa.
Nella ipotesi in cui non venga fissato un tetto massimo di spesa ma venga indicata una previsione di spesa, il decreto-legge ha definito una specifica procedura da attivare qualora, nel corso dell’attuazione delle leggi, si verifichino o siano in procinto di verificarsi scostamenti rispetto alle previsioni di bilancio.
La procedura prevista impegna i Ministri di settore ad informare tempestivamente il Ministro dell’economia e delle finanze. Il Ministro dell’economia è quindi tenuto a riferire al Parlamento,con una propria relazione, e ad assumere le conseguenti iniziative legislative (le quali possono tradursi, a titolo di esempio, nell’integrazione delle risorse stanziate a titolo di copertura delle disposizioni onerose in oggetto ovvero nella modifica della legislazione sostanziale al fine di far venire meno o di rideterminarne l’onere).
La relazione del Ministro dell’economia deve inoltre indicare le cause che hanno determinato gli scostamenti, anche ai fini della revisione dei dati e dei metodi utilizzati per la quantificazione degli oneri autorizzati dalle predette leggi.
Il Ministro dell’economia e delle finanze è tenuto a riferire al Parlamento con proprie relazioni sugli eventuali scostamenti anche in assenza di segnalazione da parte del Ministro di settore.
Le misure correttive degli effetti finanziari di disposizioni, dalla cui attuazione siano derivati oneri maggiori a quelli previsti, possono essere inserite anche nella legge finanziaria (legge n. 468/1978: art. 11, comma 3, lettera i-quater), introdotta dall’articolo 1, comma 01, lett. a) del D.L. n. 194/2002)
In secondo luogo, il decreto-legge “tagliaspese” ha delineato una procedura, da adottarsi qualora, in fase di gestione del bilancio, si rilevi uno scostamento degli andamenti degli aggregati di finanza pubblica rispetto agli obiettivi fissati dal Governo.
La procedura - definita dall’art. 1, comma 3 - prevede che, in presenza di “uno scostamento rilevante dagli obiettivi indicati per l’anno considerato dal DPEF e da eventuali aggiornamenti”, come approvati dalle relative risoluzioni parlamentari, il Ministro dell’economia e delle finanze sia tenuto a riferire al Consiglio dei ministri. Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri può essereadottato un atto di indirizzo per la definizione di criteri di carattere generale ai fini del coordinamento dell’azione amministrativadel Governo finalizzati al controllo e al monitoraggio degli andamenti di finanza pubblica. L’atto di indirizzo deve essere trasmesso al Parlamento per l’espressione del parere delle competenti Commissioni parlamentari.
Sulla base dell’atto di indirizzo, il Ministro dell’economia e delle finanze può disporre, con proprio decreto:
- l’adozione di limitazioni all’assunzione degli impegni di spesa e all’emissione di titoli di pagamento a carico del bilancio dello Stato, nonché
- riduzioni delle spese di funzionamento di enti ed organismi pubblici non territoriali, con l’esclusione degli organi costituzionali.
Sono comunque esclusi dalla limitazione gli stanziamenti relativi a: spese discendenti da un obbligo giuridico, determinato da previsione legislativa ovvero assunto in via contrattuale dall’amministrazione (spese relative a stipendi, assegni, pensioni e altre spese fisse o aventi natura obbligatoria, interessi, rate di ammortamento mutui); spese relative ad accordi internazionali e ad obblighi derivanti dalla normativa comunitaria; spese la cui obbligatorietà è connessa alla loro natura contabile (poste correttive e compensative delle entrate, regolazioni contabili, annualità relative a limiti di impegno decorrenti da esercizi precedenti).
E’ inoltre attribuita al Ministro dell’economia e delle finanze la facoltà di escludere dalla limitazione altre spese, anche non obbligatorie.
Il sistema delineato dal decreto-legge “tagliaspese” ha trovato peraltro un’attuazione solo parziale.
Per quanto riguarda le misure volte a garantire il rispetto delle autorizzazioni legislative di spesa, la procedura per l’accertamento del raggiungimento dei limiti di spesa, nel caso di previsioni legislative formulate in termini di limiti massimi, ha trovato attuazione solo nel 2003, con l’emanazione di due decreti dirigenziali[68].
La procedura volta a definire un intervento legislativo specifico in caso di scostamenti dalle autorizzazioni di spesa formulate in termini di previsioni, con l’intervento del Ministro dell’economia in Parlamento, non ha mai trovato concreta applicazione.
A partire dalla legge finanziaria per il 2004, l’attuazione del decreto-legge “tagliaspese” si è risolta nell’inserimento, fra gli allegati della legge finanziaria, della tabella delle ccdd. “eccedenze di spesa”, con la quale, a valere sul complesso delle risorse reperite dalla legge finanziaria medesima, sono stabiliti gli stanziamenti necessari per far fronte ai maggiori oneri determinatisi rispetto a specifiche autorizzazioni di spesa, senza distinguere tra autorizzazioni formulate in termini di limiti massimi ed autorizzazioni formulate in termini di previsioni.
Per quanto riguarda invece le misure di intervento in fase di gestione del bilancio, solo nel 2002 la procedura prevista ha trovato piena attuazione: in presenza di una serie di criticità nell’evoluzione della finanza pubblica, è stato emanato dapprima l’atto di indirizzo generale per il controllo degli andamenti di finanza pubblica (D.P.C.M. 29 novembre 2002), e poi il decreto del Ministro dell’economia (D.M. 29 novembre 2002), di limitazione degli impegni e dell’emissione dei titoli di pagamento.
Nel 2003, invece, all’emanazione dell’atto di indirizzo (D.P.C.M. 18 aprile 2003) non ha fatto seguito l’adozione del decreto ministeriale di limitazione.
Nel 2004, l’adozione dell’atto di indirizzo è stata di fatto bloccata dalla decisione di intervenire direttamente in via legislativa, disponendo l’immediata riduzione di stanziamenti del bilancio dello Stato e delle spese degli enti pubblici non territoriali.
Con il decreto-legge 12 luglio 2004, n. 168[69] veniva infatti realizzata una manovra di finanza pubblica, che faceva leva in buona parte su riduzioni di carattere trasversale di stanziamenti di spesa del bilancio dello Stato.
La decisione di seguire la via legislativa per interventi sugli stanziamenti di bilancio, al fine di attuare un controllo della spesa pubblica, ha trovato compiuta attuazione con l’introduzione della cd. regola del 2 per cento, operata dalla legge finanziaria per il 2005.
La “regola del 2 per cento” è una regola di evoluzione della spesa complessiva delle amministrazioni pubbliche quale strumento di controllo delle dinamiche di spesa. In particolare, la legge finanziaria per il 2005 (legge 30 dicembre 2004, n. 311: art. 1, comma 5) ha fissato, per ciascun anno del triennio 2005-2007, un limite di incremento del 2 per cento alla spesa delle amministrazioni pubbliche rispetto alle corrispondenti previsioni aggiornate dell’anno precedente.
Dall’applicazione del limite del 2 per cento sono state comunque escluse le spese relative a: interessi sui titoli di Stato; prestazioni sociali in denaro connesse a diritti soggettivi; trasferimenti all’Unione europea a titolo di risorse proprie; spese per gli organi costituzionali e per il Consiglio superiore della magistratura.
La regola del 2 per cento, che si applica alle amministrazioni pubbliche nel loro complesso, si concretizza in regole applicabili alle singole amministrazioni o a specifici comparti di spesa (bilancio dello Stato; regioni ed enti locali, attraverso la disciplina del patto di stabilità interno; enti pubblici non territoriali; spesa sanitaria).
Con particolare riferimento al bilancio dello Stato, è fissato un limite di incremento del 2 per cento agli stanziamenti iniziali di competenza e di cassa del bilancio di previsione dello Stato per il triennio 2005-2007. Il limite viene calcolato assumendo come base di riferimento le previsioni iniziali dell’esercizio 2004, ridotte per effetto di quanto disposto dal decreto-legge n. 168/2004.
Sono esclusi espressamente gli stanziamenti relativi ad alcune tipologie di spesa (oltre alle spese alle quali non si applica in generale la “regola del 2 per cento”, sono escluse le spese connesse ad accordi internazionali già ratificati, i limiti di impegno già attivati e rate di ammortamento mutui, nonché le spese per il personale, i cui stanziamenti sono determinati in corrispondenza degli andamenti tendenziali risultanti dalla contrattazione).
In un elenco allegato alla legge finanziaria sono individuate le riduzioni delle dotazioni di competenza del bilancio dello Stato: l’applicazione del limite del 2 per cento assume come riferimento le categorie economiche e comporta una riduzione degli stanziamenti discrezionali, non aventi natura obbligatoria, riconducibili alle categorie dei consumi intermedi e degli investimenti fissi lordi.
Per quanto riguarda gli enti pubblici non territoriali, la legge finanziaria per il 2005 (art. 1, comma 57) ha fissato per il 2005 un limite all’incremento della spesa, al netto delle spese di personale, del 4,5 per cento rispetto all’ammontare delle spese effettuate nell’anno 2003; per gli anni 2006 e 2007, il limite all’incremento della spesa è stato fissato al 2 per cento rispetto al livello della spesa programmato per l’anno precedente, sempre al netto delle spese per il personale.
La legge finanziaria per il 2006 (legge 23 dicembre 2005, n. 266) ha proseguito nella strada dei tagli agli stanziamenti di bilancio, disponendo riduzioni orizzontali degli stanziamenti discrezionali relativi al consumi intermedi ed investimenti fissi lordi, riduzioni dei trasferimenti correnti alle imprese e di autorizzazioni di spesa direttamente regolate per legge (art. 1, commi 6, 13, 15, 16 e 20).
Per ciò che attiene alla fase di gestione di bilancio, la legge finanziaria per il 2006 (art. 1, commi 7 e 8) ha introdotto il divieto per le amministrazioni dello Stato di assumere mensilmente impegni per importi superiori ad un dodicesimo della spesa prevista da ciascuna unità previsionale di base. Sono esclusi dall’ambito di applicazione della norma il comparto della sicurezza pubblica e del soccorso ed alcune tipologie di spese (spese per stipendi, retribuzioni, pensioni e altre spese fisse o aventi natura obbligatoria ovvero non frazionabili in dodicesimi; spese per interessi; spese relative alle poste correttive e compensative delle entrate; spese relative ad accordi internazionali e ad obblighi derivanti dalla normativa comunitaria; spese riferite alle annualità relative ai limiti di impegno e alle rate di ammortamento mutui).
E’ stato inoltre introdotto il potere per ogni Ministro di disporre con proprio decreto, anche in via temporanea, la sospensione dell’assunzione di impegni di spesa o dell’emissione di titoli di pagamento a carico di uno o più capitoli di bilancio:
a) qualora nel corso dell’esercizio l’ufficio centrale di bilancio segnali che l’andamento della spesa, riferita al complesso dello stato di previsione del Ministero ovvero a singoli capitoli, sia tale da non assicurare il rispetto delle previsioni originarie;
oppure:
b) qualora, su segnalazione del servizio di controllo interno, la prosecuzione dell’attività non risponda a criteri di efficienza e di efficacia.
Anche in tal caso comunque esclusi i capitoli riferibili ad alcune tipologie di spesa, per lo più corrispondenti a quelle escluse dal divieto di assunzione di impegni in misura superiore ad un dodicesimo della spesa prevista.
Tra le principali misure cui si è fatto ricorso ai fini di un contenimento della spesa si ricordano inoltre:
- l’introduzione di limitazioni all’effettuazione di pagamenti: la legge finanziaria per il 2005 (articolo 1, comma 15) prevedeva una limitazione dei pagamenti da parte del Fondo per le aree sottoutilizzate e del Fondo investimenti-incentivi alle imprese del Ministero delle attività produttive, nonché dei pagamenti relativi agli interventi finanziati dalla legge-obiettivo; la legge finanziaria per il 2006 ha previsto limitazioni ai pagamenti alle spese per investimenti fissi lordi dei ministeri, alle spese di investimento dell’ANAS e alle erogazioni del Fondo per l’innovazione tecnologica (articolo 1, commi 32-34).
- l’introduzione di limitazioni alle spese delle pubbliche amministrazioni per incarichi di consulenza e di studio, a spese di rappresentanza, a spese per auto di servizio, a spese per missioni e viaggi all’estero.
Particolareattenzione è stata infine dedicata agli strumenti per il monitoraggio dei conti pubblici, monitoraggio necessario per garantire la rispondenza ai parametri europei in materia di disavanzo e debito pubblico.
Fra di essi si segnala, l’introduzione, prevista dalla legge finanziaria per il 2003 (legge 27 dicembre 20002, n. 289),del SIOPE (Sistema informativo sulle operazioni degli enti pubblici), un sistema di codificazione uniforme, applicabile a tutte le amministrazioni inserite nel conto consolidato, per tutte le operazioni di incasso e pagamento, nonché per i dati di competenza. Tale sistema consente di superare, attraverso una codifica uniforme per tipologia di enti, le differenze tra i sistemi contabili attualmente adottati dai vari comparti delle amministrazioni pubbliche, senza incidere sulla struttura dei bilanci degli enti in questione.
Il SIOPE è attualmente in fase di sperimentazione per ciò che attiene alla rilevazione degli incassi e dei pagamenti.
Le prospettive finanziarie stabiliscono, in relazione alle priorità politiche da esse individuate, il quadro delle grandi categorie di spesa del bilancio dell’Unione europea, indicando il massimale e la composizione delle spese prevedibili per ogni categoria nell’intero periodo di riferimento e in ciascuno degli anni in esso ricompresi. L’adozione delle prospettive finanziarie, che non è espressamente prevista dal Trattato CE, è operata - a partire dal 1988 - mediante la conclusione di un accordo interistituzionale tra Parlamento europeo, Consiglio e Commissione.
Le risorse proprie sono i mezzi di finanziamento dell’Unione. Il Consiglio, deliberando all’unanimità su proposta della Commissione e previa consultazione del Parlamento europeo, stabilisce le disposizioni relative al sistema delle risorse proprie della Comunità di cui raccomanda l’adozione da parte degli Stati membri, in conformità delle loro rispettive norme costituzionali.
Le prospettive finanziarie in vigore sono state adottate per il periodo 2000-2006 e scadono il 31 dicembre 2006.
Il 4 aprile 2006 Parlamento europeo, Consiglio dell’UE e Commissione europea hanno raggiunto un accordo sulle prospettive finanziarie e sulle risorse proprie 2007-2013, al termine di un negoziato complesso, caratterizzato da forti divergenze tra istituzioni europee e soprattutto tra Stati membri in merito al volume complessivo del bilancio dell’UE, nonché alle priorità politiche e ai relativi stanziamenti. L’intesa dovrà ora essere trasfusa in un accordo interistituzionale approvato formalmente dalle tre istituzioni.
L’accordo prevede un massimale complessivo di spesa pari a 864,316 miliardi di euro in stanziamenti di impegno (rispetto agli 862,4 concordati dal Consiglio europeo del 15-16 dicembre 2005, ai 1025 proposti originariamente dalla Commissione e ai 974,8 richiesti dal Parlamento europeo).
Si prevede inoltre una verifica intermedia, alla fine del 2009, del funzionamento delle prospettive finanziarie da parte della Commissione europea, cui dovrà essere associato il Parlamento europeo.
La Camera dei deputati ha seguito attivamente e costantemente il negoziato sulle prospettive finanziarie 2007-2013, attraverso diversi strumenti e procedure.
In particolare, le Commissioni V e XIV hanno svolto a partire da marzo 2004 un’indagine conoscitiva sulle prospettive finanziarie e sulla politica di coesione.
Specifici impegni al Governo in merito al negoziato sulle prospettive finanziarie sono inoltre contenuti nelle risoluzioni approvate dalla Camera a in esito all’esame delle relazioni sulla partecipazione dell’Italia all’Unione europea per l’anno 2003 e per l’anno 2004, nonché nella risoluzione approvata a conclusione dell’esame del programma di lavoro per il 2005 della Commissione europea e del programma operativo annuale per il 2005 del Consiglio.
Le questioni relative alle prospettive finanziarie 2007-2013 hanno inoltre costituito oggetto di approfondimento nell’ambito di riunioni ed incontri interparlamentari cui hanno partecipato delegazioni della Camera dei deputati.
Si veda il paragrafo La strategia di Lisbona riportato nell’area tematica Politica economica e privatizzazioni.
Nel corso della XIV legislatura, la normazione in tema di borsa e attività finanziarie è stata in larga parte informata all’esigenza di realizzare, nell’ordinamento interno, le previsioni del Piano d’azione per i servizi finanziari, avviato nel 1999 dalla Commissione dell’Unione europea per conseguire in maniera organica il mercato unico dei servizi finanziari. Al Consiglio europeo di Lisbona del 2000 è stato stabilito che il Piano avrebbe dovuto essere completato entro la fine del 2005. Entro tale termine sono state in effetti emanate 39 delle 42 misure legislative programmate.
Nel secondo semestre del 2003 la Presidenza di turno dell’Unione europea, assunta dall’Italia, ha lavorato per accelerare il completamento delle iniziative legislative in corso; con particolare impegno sono stati perseguiti in seno al Consiglio accordi sulla proposta di revisione della direttiva in materia di servizi d’investimento e quella sulle offerte pubbliche d’acquisto (OPA).
In tale contesto, oltre alle misure già recepite nell’ordinamento interno, di cui si dirà infra, nel corso del 2003 è stata approvata la direttiva 2003/71/CE, relativa al prospetto da pubblicare per l’offerta pubblica o l’ammissione alla negoziazione di strumenti finanziari. Nell’aprile del 2004 il Consiglio e il Parlamento europeo hanno approvato la direttiva 2004/39/CE sulla revisione della disciplina in materia di servizi d’investimento nel settore dei valori mobiliari.
Questa normativa mira a definire i presìdi necessari per meglio tutelare gli investitori e assicurare la corretta formazione dei prezzi dei titoli dopo la soppressione dell’obbligo di concentrazione degli scambi nei mercati regolamentati. È ora riconosciuta la possibilità di effettuare gli scambi anche attraverso la compensazione degli ordini di acquisto e di vendita da parte degli intermediari al loro interno (cosiddetta internalizzazione). In questo caso, le banche e le imprese d’investimento che si avvalgono di tale possibilità sono obbligate a comunicare al mercato i prezzi ai quali sono disposte a negoziare i titoli quando trattino ordini di controvalore non superiore ai tagli medi di mercato.
È stata poi approvata la direttiva 2004/25/CE, in materia di offerta pubblica di acquisto (OPA), che disciplina condizioni e procedure delle OPA obbligatorie e volontarie e rappresenta un passo importante per lo sviluppo di un mercato europeo del controllo societario. I punti salienti della direttiva riguardano: i) la disciplina dell’OPA obbligatoria e del prezzo al quale essa deve essere promossa; ii) il divieto, per l’organo amministrativo della società bersaglio, di adottare qualsiasi misura difensiva senza il consenso degli azionisti; iii) l’inefficacia, durante l’offerta o successivamente, di alcune misure che possono ostacolare l’assunzione e l’esercizio del controllo da parte dell’offerente; iv) la possibilità per gli Stati membri di non applicare le disposizioni sub ii) e iii), consentendo tuttavia alle società di assoggettarvisi volontariamente; v) la previsione di diritti e obblighi di acquisto quando, a seguito di un’OPA, l’offerente detenga una partecipazione quasi totalitaria.
Nel corso del 2004 è stata anche approvata la direttiva 2004/109/CE sull’armonizzazione degli obblighi di trasparenza ai quali sono tenuti gli emittenti di valori mobiliari ammessi alla negoziazione in un mercato regolamentato.
Sulla base del mandato ricevuto dal Consiglio Ecofin nel maggio 2002, il Comitato economico e finanziario ha redatto un rapporto che propone modifiche in materia di regolamentazione, vigilanza e stabilità finanziaria nell’Unione europea; il rapporto è stato approvato dal Consiglio Ecofin del 3 dicembre 2002.
Lo schema di regolamentazione si articola in quattro diversi livelli.
Il primo livello riguarda l’elaborazione della legislazione primaria: la Commissione elabora le proposte di regolamento e di direttiva, che si limitano a stabilire i princìpi generali della regolamentazione.
Al secondo livello è demandata la predisposizione della normativa secondaria per l’attuazione delle disposizioni di primo livello. Al riguardo, è previsto un più ampio ricorso alla “procedura di comitologia”, secondo la quale la Commissione elabora la regolamentazione secondaria con l’assistenza di comitati distinti per i settori bancario, mobiliare e assicurativo, formati da rappresentanti dei Ministeri dell’economia e delle finanze.
Il terzo livello vede l’intervento di comitati tecnici, ai quali spettano funzioni di consulenza nei confronti della Commissione per l’elaborazione delle proposte legislative e regolamentari in materia di servizi finanziari, e di coordinamento fra le autorità nazionali per il recepimento della disciplina comunitaria e per l’esercizio della vigilanza.
L’attività di quarto livello è dedicata alla verifica dell’attuazione della regolamentazione comunitaria. Vengono rafforzati i poteri della Commissione, che controlla l’osservanza della normativa da parte degli Stati membri e promuove l’azione legale nei confronti di quelli inadempienti.
Il Consiglio Ecofin ha infine istituito il Comitato per i servizi finanziari, composto da rappresentanti dei Ministri dell’economia e delle finanze, che assiste il Consiglio nella definizione della strategia di lungo termine per il settore dei servizi finanziari in Europa, nell’analisi dei rischi immediati per i mercati finanziari (come il finanziamento del terrorismo) e nel controllo sull’attuazione della strategia stessa, senza tuttavia interferire con il processo legislativo.
La direttiva 2002/65/CE, in tema di commercializzazione a distanza di servizi finanziari ai consumatori, disciplina sostanzialmente le informazioni preliminari e il diritto di recesso del consumatore, quali regole che si applicano anche alle vendite realizzate attraverso internet, per le quali una normativa di carattere generale è stata dettata dalla direttiva 2000/31/CE sul commercio elettronico. L’insieme delle informazioni da fornire al cliente prima della conclusione di un contratto a distanza integra quelle richieste dalle altre direttive comunitarie e dalle norme nazionali che disciplinano la prestazione di servizi finanziari.
La legge 31 ottobre 2003, n. 306, ha delegato il Governo a emanare decreti legislativi per il recepimento della direttiva, che è stata attuata nell’ordinamento interno dal D.Lgs. 19 agosto 2005, n. 190. Fra le novità introdotte per quanto concerne le vendite al dettaglio di servizi bancari, d’investimento o assicurativi, realizzate per mezzo di strumenti a distanza (quali telefono, fax, internet, etc.) figura il diritto del consumatore di recedere dal contratto, senza penali e senza dover indicare il motivo, entro quattordici giorni dalla sua stipulazione. Il fornitore che contravviene alle norme previste dal decreto, ovvero che ostacola l’esercizio del diritto di recesso da parte del consumatore o non rimborsa a questo le somme eventualmente pagate è punito con sanzione amministrativa pecuniaria.
La direttiva 2002/47/CE, in materia di contratti di garanzia finanziaria, tende ad assicurare regimi semplici ed efficaci per la conclusione di contratti di garanzia finanziaria, nonché certezza e rapidità nel realizzo delle garanzie in caso di inadempimento o di sottoposizione del debitore a una procedura di insolvenza. A tali fini, si vieta agli Stati membri di subordinare la validità dei contratti di garanzia al rispetto di requisiti formali e si prevedono alcune rilevanti deroghe ai princìpi delle procedure nazionali di realizzo delle garanzie, ordinarie e concorsuali. I contratti considerati dalla direttiva sono quelli che prevedono una garanzia sul contante o su strumenti finanziari mediante costituzione di pegno o trasferimento della proprietà. La disciplina rafforza ed estende sostanzialmente a tutte le transazioni la protezione dei contratti di garanzia finanziaria già prevista dalla direttiva 1998/26/CE (cosiddetta settlement finality), il cui regime di tutela si applica esclusivamente alle garanzie prestate nell’ambito dei sistemi di pagamento e di liquidazione dei titoli e in favore delle banche centrali del Sistema europeo di banche centrali.
La legge 3 febbraio 2003, n. 14, ha delegato il Governo ad adottare decreti legislativi per il recepimento della direttiva. Il D.Lgs. 21 maggio 2004, n. 170, ha attuato la direttiva introducendo una autonoma disciplina dei contratti di garanzia finanziaria, che si aggiunge al regime generale delle garanzie previsto nel codice civile. La nuova disciplina delinea regimi semplificati per la conclusione di tali contratti nonché meccanismi che assicurano certezza e rapidità nell’escussione delle garanzie. L’ambito di applicazione della normativa si riferisce ai contratti di pegno e di cessione di credito o di trasferimento della proprietà con funzione di garanzia, compreso il contratto di pronti contro termine, di cui siano parte autorità pubbliche, banche centrali, soggetti finanziari o, a condizione che la controparte rientri in una di dette categorie, anche soggetti non finanziari diversi dalle persone fisiche.
La direttiva 2002/87/CE, in materia di vigilanza sui conglomerati finanziari, ha l’obiettivo di rafforzare l’efficienza complessiva dei controlli sulle varie imprese finanziarie del conglomerato, già sottoposte a vigilanza settoriale. La direttiva specifica i criteri quantitativi utili per definire il perimetro del conglomerato; le regole prudenziali applicabili in materia di adeguatezza patrimoniale, di concentrazione dei rischi e di operazioni infragruppo; le modalità di coordinamento fra le autorità che vigilano sulle diverse componenti del conglomerato. La legge 31 ottobre 2003, n. 306, ha delegato il Governo a emanare decreti legislativi per il recepimento. Il D.Lgs. 30 maggio 2005, n. 142, ha dato attuazione nell’ordinamento interno alla direttiva, configurando un sistema di vigilanza supplementare sugli enti creditizi, sulle imprese di assicurazione e sulle imprese di investimento appartenenti ad un conglomerato finanziario.
Nel dicembre del 2001 sono stati approvati due provvedimenti di modifica della direttiva 85/611/CEE in materia di organismi d’investimento collettivo in valori mobiliari (OICVM): la direttiva 2002/107/CE (c.d. “direttiva gestore”), che detta una compiuta disciplina delle società di gestione e regola il prospetto semplificato, e la direttiva 2002/108/CE (c.d. “direttiva prodotto”), che amplia le possibilità d’investimento dei fondi liberamente commerciabili all’interno dell’Unione.
La “direttiva gestore” subordina il rilascio dell’autorizzazione alle società di gestione a condizioni analoghe a quelle previste nel settore dei servizi d’investimento (capitale minimo, requisiti di esponenti aziendali e soci, adeguatezza organizzativa); prevede un coefficiente patrimoniale commisurato alla dimensione dei patrimoni gestiti; riconosce alle società la possibilità di prestare, in aggiunta al servizio di gestione collettiva del risparmio, quello di gestione su base individuale e taluni servizi accessori (consulenza in materia di investimenti, custodia e amministrazione di parti di OICVM).
La “direttiva prodotto” abbandona il criterio dell’armonizzazione di singole tipologie di fondi e riconosce la possibilità di creare organismi di investimento collettivo del risparmio che possono investire in molteplici attività finanziarie (valori mobiliari, quote di altri OICVM aperti, depositi bancari, strumenti del mercato monetario, prodotti derivati).
La legge 3 febbraio 2003, n. 14, ha, tra l’altro, delegato il Governo ad adeguare la disciplina nazionale a tali direttive, che sono state attuate nell’ordinamento interno con il D.Lgs. 1° agosto 2003, n. 274.
Il decreto modifica alcune disposizioni del testo unico della finanza (TUF) per adeguarlo alla nuova disciplina comunitaria. Alle società di gestione del risparmio (SGR) è fra l’altro riconosciuta una più ampia facoltà di delegare proprie funzioni a soggetti terzi, secondo modalità che evitino tuttavia lo svuotamento della società e ferma restando la responsabilità per l’operato dei delegati; le società di gestione autorizzate in un paese membro dell’Unione europea possono operare in altri paesi comunitari in regime di mutuo riconoscimento; sono individuati i servizi accessori (consulenza in materia di investimenti in strumenti finanziari, custodia e amministrazione di quote di fondi comuni di propria istituzione) esercitabili dalle SGR insieme con l’attività di gestione individuale di patrimoni; norme specifiche riguardano le società d’investimento a capitale variabile (SICAV) che rimettono la gestione del proprio patrimonio a una società di gestione.
Ulteriori modifiche sono state introdotte in materia di gestione collettiva del risparmio al fine di accrescere la flessibilità operativa riconosciuta alle SGR e di abbreviare i tempi di accesso al mercato. I termini per l’approvazione dei regolamenti di gestione dei fondi sono stati ridotti da quattro a tre mesi; la Banca d’Italia, in base all’oggetto dell’investimento, alla categoria di investitori o alle regole di funzionamento del fondo, individua le ipotesi in cui i regolamenti di gestione si intendono approvati in via generale; alla banca depositaria può essere attribuito il compito di calcolare il valore della quota dei fondi comuni.
Un ulteriore intervento sulla disciplina dei fondi d’investimento è stato eseguito dal D.L. 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326. Oltre a modificare in senso più favorevole il regime tributario dei fondi immobiliari e dei fondi comuni che investono in società quotate di piccola e media capitalizzazione, esso ha istituito l’assemblea dei partecipanti dei fondi chiusi, disciplinandone compiti e funzionamento: le nuove disposizioni stabiliscono i quorum e le materie sulle quali essa può deliberare (sostituzione della società di gestione, richiesta di quotazione delle quote del fondo, modifica delle politiche di gestione, altre materie individuate con regolamento dal Ministro dell’economia e delle finanze).
La direttiva 65/2001/CE, modificando le norme europee in materia di bilanci individuali e consolidati (direttive 78/660/CEE; 83/349/CEE; 86/635/CEE), ha reso applicabile nell’Unione – a partire dai bilanci riferiti al 2004 – il principio contabile internazionale n. 39 (Financial Instruments: Recognition and Measurement). Esso impone che tutti gli strumenti finanziari, con l’eccezione dei titoli detenuti fino a scadenza (held-to-maturity investments), i crediti erogati direttamente dall’impresa che redige il bilancio (originated loans), le partecipazioni in società controllate in modo esclusivo o congiunto e in quelle collegate e le passività diverse da quelle di trading siano valutati secondo il valore equo (“fair value”). Il fair value corrisponde, nel caso di strumenti quotati, al valore di mercato; negli altri casi occorre fare riferimento al valore di mercato di strumenti analoghi, ove esistenti, o ad un valore stimato in base ai modelli generalmente utilizzati sul mercato.
Con il D.Lgs. 28 febbraio 2005, n. 38, sono state esercitate talune opzioni consentite agli Stati membri dell’UE dal regolamento (CE) n. 1606/2002, relativo all’introduzione dei princìpi contabili internazionali (IAS) (sul quale si veda il capitolo: Diritto commerciale e delle società). In particolare, le banche, le società finanziarie capogruppo, gli intermediari finanziari iscritti nell’elenco speciale di cui all’articolo 107 del testo unico bancario, gli istituti di moneta elettronica (Imel), le SIM e le SGR debbono redigere in conformità degli IAS il bilancio consolidato, dall’esercizio 2005, e quello individuale, dall’esercizio 2006 con facoltà di anticipare tale adempimento all’esercizio 2005.
La direttiva 2003/6/CE sull’abuso di informazioni privilegiate e le manipolazioni del mercato amplia il novero dei soggetti sottoposti agli obblighi previsti dalla direttiva 89/592/CEE sull’insider trading, nonché le fattispecie che configurano ipotesi di abuso. La nuova disciplina rafforza i poteri di verifica e di sanzione da parte delle autorità di controllo e la cooperazione tra gli Stati membri.
La legge 18 aprile 2005, n. 62, ha recepito nell’ordinamento interno la direttiva con norme volte a rafforzare l’azione di contrasto dei comportamenti distorsivi del corretto funzionamento dei mercati finanziari[70]. La disciplina introduce, in apposito titolo del TUF, due fattispecie di illecito amministrativo e penale: l’abuso di informazioni privilegiate, che sostituisce la preesistente fattispecie, e la manipolazione del mercato, che costituisce una nuova fattispecie di aggiotaggio; le nuove condotte vietate rilevano anche ai fini della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche.
Gli aspetti salienti della legge concernono la riformulazione delle disposizioni relative agli obblighi di comunicazione al pubblico, da parte degli emittenti quotati e dei soggetti che li controllano, delle informazioni privilegiate che li riguardano; l’obbligo dei soggetti che producono o diffondono ricerche e valutazioni di presentare le informazioni in modo corretto e di rendere nota l’esistenza di conflitti di interesse; l’istituzione del registro delle persone che hanno accesso a informazioni privilegiate; l’introduzione del reato di ostacolo alle nuove funzioni attribuite alla CONSOB che, quale Autorità nazionale competente per l’attuazione della nuova disciplina, viene dotata di appositi poteri normativi, ispettivi e sanzionatori.
Con l’indagine conoscitiva sull’attuazione del testo unico della finanza, il cui documento conclusivo è stato approvato nella seduta del 7 aprile 2004, la Commissione VI (Finanze) della Camera, a quattro anni dall’adozione del D.Lgs. n. 58 del 1998, ha inteso valutare l’assetto della normativa italiana alla luce dei numerosi e importanti mutamenti intervenuti nella struttura dei mercati finanziari e del processo d’integrazione europea.
In ragione dei problemi che avrebbero incontrato o incontrerebbero molte imprese di medie e piccole dimensioni a causa dell’utilizzazione, per il loro finanziamento, di strumenti finanziari derivati, di struttura spesso molto complessa, la medesima Commissione Finanze ha poi ritenuto opportuno svolgere un’indagine conoscitiva sulla diffusione dell’impiego degli strumenti finanziari derivati nel finanziamento delle imprese e degli enti pubblici, locali e regionali, registratasi con maggiore evidenza negli ultimi anni.
A seguito dei dissesti finanziari delle società Cirio e Parmalat, le Commissioni VI (Finanze) e X (Attività produttive) della Camera dei deputati e 6a (Finanze) e 10a (Industria) del Senato della Repubblica hanno svolto congiuntamente un’indagine conoscitiva sui rapporti tra il sistema delle imprese, i mercati finanziari e la tutela del risparmio.
Nel corso dell’indagine sono stati presi in particolare considerazione i problemi attinenti alla disciplina dei mercati finanziari e alla vigilanza pubblica sul settore, anche sotto l’aspetto della tutela dei risparmiatori: a questo proposito si rinvia a quanto è esposto nel capitolo Banche, credito e moneta.
Onde affrontare e prevenire dissesti finanziari del tipo di quelli che sono stati oggetto dell’Indagine conoscitiva da ultimo citata, nella seconda metà della XIV legislatura sono stati presentati numerosi progetti di legge d’iniziativa parlamentare e governativa.
Dopo un lungo iter legislativo, che ha visto l’unificazione di tali proposte, è stata approvata la legge 28 dicembre 2005, n. 262, recante disposizioni per la tutela del risparmio e la disciplina dei mercati finanziari, che, riprendendo e svolgendo i temi dell’indagine, si è proposta l’obiettivo di raggiungere un più elevato grado di tutela dei risparmiatori e degli investitori.
Fra le disposizioni che incidono sull’operatività dei mercati finanziari possono ricordarsi:
§ l’abolizione dell’esenzione dagli obblighi informativi e di prospetto per i prodotti finanziari non azionari emessi da banche e per i prodotti assicurativi;
§ le disposizioni volte ad assicurare la conoscibilità dei rapporti fra le società italiane quotate o ad azionariato diffuso e le società estere controllate, controllanti o collegate, aventi sede in Stati che non garantiscono la trasparenza societaria;
§ il conferimento al Governo di una delega legislativa per l’emanazione di una disciplina volta a prevenire i conflitti d’interessi nella gestione dei patrimoni di organismi d’investimento collettivo del risparmio (OICR), prodotti assicurativi e di previdenza complementare, nonché nella gestione di portafogli su base individuale per conto di terzi;
§ la prescrizione dell’adozione di una disciplina per la separazione delle strutture organizzative deputate alla prestazione dei diversi servizi d’investimento presso le banche e gli altri intermediari finanziari, con determinazione di apposite sanzioni;
§ l’intervento sulla disciplina della circolazione dei prodotti finanziari, prevedendosi fra l’altro che, in caso di successiva cessione di prodotti finanziari, destinati originariamente a soli investitori professionali, ad acquirenti che non siano investitori professionali, l’investitore professionale cedente debba garantire la solvenza dell’emittente per un anno dalla data dell’emissione, tranne che nell’ipotesi in cui l’intermediario abbia consegnato all’acquirente un documento recante le informazioni stabilite dalla CONSOB;
§ il conferimento di delega legislativa per il recepimento della direttiva 2003/71/CE relativa al prospetto per l’offerta pubblica o l’ammissione alla negoziazione di strumenti finanziari;
§ le modificazioni al testo unico della finanza, realizzate intervenendo sui seguenti aspetti: adeguatezza dei prodotti finanziari collocati rispetto al profilo del cliente; disciplina dell’albo dei promotori finanziari; quotazione di prodotti finanziari emessi dalla società di gestione di un mercato regolamentato; regole e limiti per la quotazione di prodotti emessi da determinati tipi di società; procedimento per le decisioni di ammissione, esclusione e sospensione di strumenti e operatori dalle negoziazioni in mercati regolamentati; poteri informativi e cautelari della CONSOB; obbligo di dichiarazione dei conflitti d’interessi da parte dei produttori e diffusori di ricerche; vigilanza sulle informazioni relative all’adesione a codici di comportamento; disciplina della finanza etica; individuazione e poteri del dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili societari;
§ la disciplina degli obblighi d’informazione al mercato cui devono sottostare le società con azioni quotate che deliberino piani di attribuzione di azioni a esponenti societari o dipendenti (stock options);
§ il raddoppio delle sanzioni penali previste dal testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, dalla legge n. 576 del 1982 e dal decreto legislativo n. 124 del 1993, rispettivamente riguardanti la vigilanza sulle assicurazioni e sui fondi pensione, nonché da taluni articoli del codice civile limitatamente alle violazioni riguardanti società con titoli quotati o diffusi fra il pubblico in misura rilevante, nonché la quintuplicazione delle sanzioni amministrative pecuniarie previste nei medesimi testi unici e leggi;
§ il conferimento di delega legislativa per l’introduzione di una disciplina riguardante le sanzioni accessorie per le violazioni sanzionate a norma del testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, della legge n. 576 del 1982 e del decreto legislativo n. 124 del 1993;
§ il conferimento di delega legislativa per l’introduzione di procedure di conciliazione e di un conseguente sistema d’indennizzo per le controversie fra risparmiatori e investitori e le banche o gli altri intermediari finanziari circa l’adempimento degli obblighi d’informazione, correttezza e trasparenza, nonché per l’istituzione di un fondo di garanzia per l’indennizzo dei danni patrimoniali cagionati a investitori e risparmiatori dalla violazione, accertata con sentenza definitiva, delle norme sull’intermediazione finanziaria.
Ispirandosi al modello di vigilanza per finalità, fondato sulla distinzione fra obiettivi di stabilità del sistema bancario e finanziario e obiettivi di trasparenza e di correttezza dei comportamenti degli intermediari, la medesima legge ha inoltre previsto il riassetto di alcune competenze delle autorità pubbliche di vigilanza (si veda il capitolo: Banche, credito e moneta).
Il 1° dicembre 2005 la Commissione europea ha presentato il Libro bianco sulla politica comunitaria nel settore dei servizi finanziari 2005-2010 (COM(2005)629).
Il Libro bianco è in attesa di esame da parte del Parlamento europeo e del Consiglio.
All’area tematica commercio con l’estero fanno capo una serie di attività, svolte da una pluralità di soggetti istituzionali, tra le quali rientrano: l’azione di politica estera volta a promuovere la presenza delle imprese nazionali all’estero ovvero l’incremento delle esportazioni; l’assistenza e la consulenza alle imprese svolta all’estero; il sostegno ad iniziative di penetrazione commerciale; la concessione di crediti agevolati per l’esportazione e l’assicurazione degli stessi crediti; i finanziamenti diretti e la partecipazione, da parte di organismi societari sottoposti al controllo pubblico, in società finanziarie; il finanziamento di società miste all’estero, etc.
Il quadro delle competenze istituzionalirelative a tali attività è caratterizzato da un processo di trasferimento di competenze alle regioni, avviato già con il decreto legislativo n. 112 del 1998. Con la riforma del titolo V della Costituzione tale tendenza si è rafforzata, con l’inserimento tra le materie di legislazione concorrente del “commercio con l’estero” oltre ai “rapporti internazionali e con l’Unione europea delle Regioni”(art. 117, c.3). Il conferimento di queste due funzioni alle Regioni ha determinato l’assunzione da parte di tali enti di un ruolo centrale nell’ambito del processo di internazionalizzazione della realtà politica, economica, sociale e culturale del territorio nazionale, anche con la costituzione di uffici di rappresentanza all’estero. Per quanto concerne la funzione del commercio con l’estero, le Regioni hanno elaborato una serie di “accordi di programma” con il Ministero delle attività produttive, tramite i quali l’azione delle Regioni, essenzialmente di programmazione, di indirizzo e coordinamento, è stata raccordata con l’azione statale, al fine di rendere massima la loro sinergia. Sugli accordi di programma si sono poi innestate una serie di intese operative aperte alla partecipazione di altri enti istituzionali operanti con finalità di assistenza e promozione del sistema imprenditoriale nel processo di internazionalizzazione (Istituto per il Commercio estero -ICE- , Camere di commercio ed associazioni di categoria), attraverso le quali si è prevista l’attuazione delle iniziative programmate.
Gli interventi legislativi della XIV legislatura si sono proposti quindi da un lato il coordinamento degli interventi di competenza dei diversi soggetti istituzionali, dall’altro l’adozione di specifiche iniziative per la tutela sui mercati mondiali dei prodotti tipici del “made in Italy”.
La legge 29 luglio 2003, n. 229 “Interventi in materia di qualità della regolazione, riassetto normativo e codificazione - Legge di semplificazione 2001", delegando (art.9) il Governo ad adottare uno o più decreti legislativi per il riassetto della normativa in materia di internazionalizzazione delle imprese, ha così previsto tra i criteri di delega il coordinamento delle misure di intervento di competenza dello Stato con quelle delle regioni e degli altri soggetti operanti nel settore. Il termine per l’adozione delle disposizioni di riassetto del settore, più volte differito da successive disposizioni di legge, è peraltro scaduto il 9 marzo 2006. In pari data è scaduto altresì il termine per l’attuazione dell’ulteriore delega prevista dalla legge 31 marzo 2005, n. 56, recante "Misure per l’internazionalizzazione delle imprese, nonché delega al Governo per il riordino degli enti operanti nel medesimo settore”, e avente ad oggetto la ridefinizione, il riordino e la razionalizzazione degli enti operanti nel settore dell’internazionalizzazione delle imprese.
Tra le disposizioni recate dalla legge n. 56/2005 assume particolare rilievo la costituzione di sportelli unici all’estero (c.d. "Sportelli Italia"). La costituzione degli sportelli unici è volta al sostegno della internazionalizzazione del sistema produttivo italiano, per la tutela del Made in Italy e per la promozione degli interessi italiani all’estero, con riguardo anche alle iniziative culturali e di valorizzazione delle comunità d’affari di origine italiana. Nell’ottica di un rafforzamento della diplomazia economica l’istituzione degli sportelli unici mira a consentire una più efficace azione dei soggetti pubblici e privati operanti nel comparto e garantire una maggior coerenza delle attività di promozione e di sostegno all’internazionalizzazione con gli obiettivi di politica internazionale del Governo. La promozione diinvestimenti per la loro costituzione è affidataai Ministri delle attività produttive e degli affari esteri, di concertocon i Ministri dell’economia e delle finanze, e per l’innovazione e le tecnologie. La legge prevede che alla realizzazione degli sportelli unici si provveda, innanzitutto, attraverso l’individuazione sia dei paesi che per l’Italia rivestono un maggior interesse sotto il profilo economico, commerciale e imprenditoriale, anche allo scopo di razionalizzare gli strumenti già esistenti, sia dei paesi in cui non esistono strutture pubbliche idonee ad assicurare l’attività promozionale e di sostegno alle imprese italiane. Si dovrà poi tener conto, in via prioritaria, delle aree di libero scambio e di integrazione economica e delle macroaree di interesse economico commerciale nelle quali va garantita una presenza continuativa ed una gestione coordinata. In coerenza con le linee di indirizzo dell’attività promozionale definite dal Ministro delle attività produttive e sulla base di indicazioni formulate d’intesa con il Ministro degli affari esteri, gli sportelli unici esercitano funzioni di orientamento, assistenza e consulenza alle imprese e agli operatori, sia italiani che esteri, con riguardo anche ad attività di attrazione degli investimenti esteri in Italia, nonché di promozione effettuate in loco da enti pubblici e privati. Agli sportelli sono inoltre assegnate funzioni di assistenza legale alle imprese, di tutela dei diritti di proprietà industriale e intellettuale, nonché di lotta alla contraffazione, da svolgere in stretto collegamento con le strutture del Ministero delle attività produttive preposte a tale compito. Gli Sportelli Italia opereranno in raccordo funzionale ed operativo con le rappresentanze diplomatiche e gli uffici e in coordinamento con la rete degli sportelli unici regionali per l’internazionalizzazione in Italia, nonché con le sedi regionali dell’ICE.
Mentre stava per concludersi l’iter di approvazione della legge n. 56/2005, ulteriori disposizioni volte al “rafforzamento del sistema doganale, alla lotta alla contraffazione e al sostegno all’internazionalizzazione del sistema produttivo” sono state introdotte dal D.L. n. 35/2005[71], che ha in particolare potenziato l’attività di rilascio di garanzie e di coperture assicurative da parte di SACE Spa equella di sostegno agli investimenti all’estero daparte della Simest.
La tutela sui mercati mondialidei prodotti tipici del “made in Italy” è statapiù volteindicata tra le linee di azione prioritarie previste nei documenti di programmazione economico-finanziaria approvati nel corso della legislatura (si vedano in particolare il DPEF 2003-2006 ed il DPEF 2005-2008).
L’obiettivo è stato perseguito dapprima sul versante della promozione e della riconoscibilità sui mercati esteri della produzione italiana, con un pacchetto di misure che sono state inserite nella legge finanziaria per il 2004; successivamente gli interventi si sono concentrati sul profilo della lotta alla contraffazione dei prodotti.
Nella legge n. 350 del 2003 (legge finanziaria 2004) all’art. 4 (commi da 49 a 84), sono state inserite apposite norme finalizzate a promuovere la produzione italiana (Made in Italy)e a tutelare i diritti di proprietà industriale e intellettuale delle imprese italiane sui mercati esteri, prevedendo, a tutela delle merci prodotte integralmente in Italia o considerate prodotto italiano ai sensi della normativa europea in materia di origine, la regolamentazione dell’etichettatura Made in Italy, oltre che la possibilità di adottare un apposito marchio, ed istituendo un Fondo per l’assistenza legale internazionale alle imprese.
La successiva legge finanziaria per il 2005 (legge n. 311/2004)è nuovamente intervenuta in merito alle risorse del Fondo Made in Italy (articolo 1, commi 230 e 232),riconducendo sotto un unico fondo il finanziamento e la gestione dei vari interventi previsti ed aumentando l’autorizzazione di spesa inizialmente prevista.
Si segnalano inoltre le disposizioni dell’art. 33 del D.L. 273/05 (“Definizione e proroga di termini, nonché conseguenti disposizioni urgenti. Proroga di termini relativi all’esercizio di deleghe legislative”)[72] relative al patrimonio della Fondazione, costituita appositamente dal Ministro dell’attività produttive per la gestione dell’”Esposizione permanente del design italiano e del made in Italy.”
Per quanto concerne la difesa dei prodotti italiani e la lotta alla contraffazione si ricordano inoltre le disposizioni introdotte dai commi 7-11 dell’articolo 1 del decreto legge n. 35/05[73], che hanno destinato alla lotta alla contraffazione le somme derivanti dalle sanzioni pecuniarie amministrative (fino a euro 10.000), previste dal comma 7 del medesimo articolo a carico degli acquirenti di prodotti che inducano a ritenere siano state violate le norme in materia di origine e provenienza dei prodotti ed in materia di proprietà intellettuale. Tra le condotte punibili viene fatta rientrare anche la commercializzazione di prodotti recanti indicazioni di origine false o fallaci (comma 9), mentre viene innalzata fino a 20.000 euro la multa prevista per la vendita di prodotti con segni mendaci (comma 10).
L’articolo 1-quaterdel D.L. 35/05 reca poi disposizioni relative all’istituzione e al funzionamento di un nuovo organo al quale sono stati affidati compiti di coordinamento e di monitoraggio nell’ambito della lotta alla contraffazione.
A tale organo, denominato Alto Commissario per la lotta alla contraffazione[74] spetta, in particolare, di:
a) coordinare le funzioni di sorveglianzasulle violazioni dei diritti di proprietà industriale e intellettuale;
b) monitorare le attività preventive e repressive dei fenomeni di contraffazione.
In merito all’attività dell’Alto Commissario è poi intervenuta la legge finanziaria 2006 (L. n. 266/05) che all’art. 1, comma 235,prevede che esso, per l’espletamento delle sue funzioni, si avvalga di due vicari, la cui nomina spetta al Ministro delle attività produttive.
Lo stesso comma, ai fini del funzionamento e del potenziamento delle relative strutture di supporto autorizza la spesa di 1 milione di euro per il 2006, mentre il D.L. n. 35/05 escludeva nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica inerenti all’avvio operativo della nuova struttura.
Da ultimo, disposizioni inerenti l’attività e il funzionamento dell’Alto Commissario per la lotta alla contraffazione, volte al rafforzamento della struttura di recente istituzione, attraverso l’istituzione di un Comitato tecnico di supporto, l’inserimento di nuovo personale e la previsione di un finanziamento a regime a partire dal 2006 sono state introdotte dall’ articolo 4-bis del D.L. 10 gennaio 2006, n. 2 “Interventi urgenti per i settori dell’agricoltura, dell’agroindustria, della pesca, nonché in materia di fiscalità d’impresa”, come convertito con modificazioni dalla L. 11 marzo 2006, n. 81.
Nell’ambito del negoziato in corso presso l’Organizzazione mondiale del commercio (OMC), l’Unione europea ha presentato, il 28 ottobre 2005, la sua nuova posizione negoziale relativa ai vari capitoli in discussione.
La IV Conferenza Ministeriale dell’OMC svoltasi a Doha (Quatar) nel 2001 ha aperto un negoziato commerciale diretto a consentire una maggiore apertura dei mercati e a stabilire un rinnovato sistema di regole multilaterali per sostenere e rilanciare gli scambi mondiali. Il programma di lavoro delineato nella Dichiarazione finale – comunemente indicato come Agenda di Doha per lo sviluppo – ha enumerato 21 questioni, o capitoli, oggetto di negoziato e stabilito un calendario per ciascun settore (tale iter negoziale è comunemente denominato Doha Round). La V Conferenza ministeriale (Cancun 2003), che avrebbe dovuto procedere ad un bilancio generale dei progressi raggiunti, si è conclusa senza il raggiungimento di un accordo. Tuttavia, il 1° agosto 2004 il Consiglio generale dell’OMC ha formalmente adottato l’accordo quadro raggiunto il giorno prima a Ginevra dall’Assemblea OMC sulla definizione dei parametri delle future trattative nei cinque settori chiave: agricoltura, prodotti industriali, sviluppo, facilitazioni commerciali e servizi.
La posizione negoziale dell’Unione europea, presentata in vista della riunione di Hong Kong nel dicembre 2005, per quanto riguarda il settore agricolo prospetta una serie di soluzioni alla questione delle riduzioni tariffarie, dei prodotti sensibili, delle sovvenzioni agricole aventi un effetto distorsivo sugli scambi commerciali, delle sovvenzioni alle esportazioni e del trattamento preferenziale per i paesi in via di sviluppo. L’offerta UE nel settore agricolo è subordinata ai progressi realizzati in altri settori: beni industriali; servizi; istituzione di un registro internazionale di protezione delle indicazioni geografiche in tutti i paesi membri dell’OMC; discipline più stringenti sugli ostacoli al commercio internazionale; misure per lo sviluppo.
La Conferenza ministeriale OMC tenutasi ad Hong Kong dal 13 al 18 dicembre 2005 si è conclusa con l’approvazione di un testo di compromesso. Tra gli elementi più significativi della Dichiarazione finale, su cui è stato raggiunto un accordo di massima (da perfezionare nelle successive tornate negoziali), si segnala:
§ per quanto riguardal’agricoltura, l’eliminazione parallela sia di tutte le forme di sovvenzione all’esportazione, sia delle eventuali disposizioni nazionali relative a misure aventi un effetto equivalente a tali sovvenzioni; l’eliminazione dovrà essere realizzata entro la fine del 2013;
§ l’adozione di un insieme di misure specifiche in favore dei paesi meno avanzati, denominato “pacchetto sviluppo”, in base al quale i paesi industrializzati e i paesi in via di sviluppo in grado di farlo dovranno permettere un accesso sui loro mercati ai prodotti originari di tutti i paesi meno avanzati (PMA) senza dazi doganali e senza contingenti prestabiliti;
§ l’eliminazione nel 2006 delle sovvenzioni all’esportazione di cotone versate dai paesi ricchi (USA) e, nel 2008, l’accesso al mercato, per il cotone africano, senza dazi doganali né quote.
§ a proposito della riduzione tariffaria sui beni industriali (NAMA), è stata adottata la “formula svizzera”, con “coefficienti che permetteranno di ridurre o di eliminare i dazi doganali elevati, i tetti tariffari e la progressività dei dazi”, in particolare per i prodotti la cui esportazione presenta un interesse per i paesi in via di sviluppo.
Il Consiglio Affari generali del 13-18 dicembre 2005 ha considerato “accettabili” i risultati generali della riunione OMC di Hong Kong ed ha preso atto dell’impegno della Commissione a garantire che sia rispettata, nelle successive fasi negoziali, una parità di trattamento per la questione dell’accesso al mercato per i prodotti agricoli e non agricoli; inoltre ha ribadito la preferenza dell’UE per la soppressione dei sussidi alle esportazioni espressa in termini di valore; infine ha sottolineato l’importanza di garantire un esito accettabile sulle questioni non commerciali come quella delle indicazioni geografiche.
Il negoziato (che dovrebbe concludersi alla fine del 2006) proseguirà con una riunione dell’OMC, il 30 aprile 2006, avente per oggetto una decisione sulle modalità relative alle riduzioni delle sovvenzioni interne in agricoltura e sui beni manufatti.
Nel nuovo sistema di riparto delle competenze legislative tra Stato e Regioni, risultante dalla riforma del titolo V della Costituzione approvata con la legge costituzionale n. 3/2001, l’ordinamento amministrativo del commercio è materia di competenza regionale.
L’attività legislativa del Parlamento nazionale si è pertanto concentrata, nel corso della XIV legislatura, su alcuni profili attinenti alla disciplina di particolari forme contrattuali relative ad attività commerciali, disciplina da ritenersi rientrante nella materia “ordinamento civile”, di competenza statale esclusiva ai sensi del nuovo art. 117 della Costituzione.
E’ stato così disciplinato espressamente, con la legge 6 maggio 2004, n. 129, il contratto di franchising[75], in precedenza utilizzato nella prassi in assenza di una specifica normativa.
Obiettivo della legge è quello di garantire la massima trasparenza dei rapporti contrattuali, attraverso specifici obblighi informativi precontrattuali e clausole negoziali obbligatorie.
Essa fornisce innanzitutto una definizione di carattere generale del contratto di affiliazione commerciale (franchising), seguita da un glossario esplicativo dei termini di know-how, diritto di ingresso, royalties, beni dell’affiliante, presenti nella disciplina dell’affiliazione commerciale. Tale contratto, peraltro, può essere utilizzato in qualsiasi settore di attività economica.
Nell’ambito di applicazione della legge rientra anche il contratto di affiliazione commerciale principale, anch’esso oggetto di definizione normativa. La legge introduce inoltre l’obbligo di sperimentazione della formula di affiliazione commerciale sul mercato e definisce la forma, che deve essere scritta a pena di nullità. A garanzia della trasparenza del rapporto e, in particolare, a tutela dell’aspirante affiliato, nella legge vengono fissati puntuali obblighi informativi a carico dell’affiliante, che è tenuto a consegnare all’aspirante affiliato, almeno trenta giorni prima della sottoscrizione dell’accordo, copia del contratto e di una serie di allegati relativi ai più significativi profili dell’attività di impresa. Vengono stabiliti, altresì, a carico dell’affiliato, taluni obblighi, quali quello di massima riservatezza circa il contenuto dell’attività oggetto di affiliazione commerciale, anche in relazione alla fase successiva alla conclusione del rapporto contrattuale. Si esplicita, poi, il contenuto degli obblighi di correttezza e buona fede a carico delle parti nella fase delle trattative precontrattuali, prevedendo la possibilità di richiedere l’annullamento del contratto, ai sensi dell’art. 1439 cc., e il risarcimento dei danni, in caso di false informazioni. Si introduce il tentativo di conciliazione presso la camera di commercio per le controversie relative ai contratti di affiliazione commerciale e, infine, si prevede l’adeguamento entro un anno alla nuova disciplina dei predetti contratti in essere al momento di entrata in vigore della legge.
La legge 17 agosto 2005, n. 173, ha poi introdotto una nuova disciplina della vendita diretta a domicilio e della tutela del consumatore dalle forme di vendita piramidali, la cui caratteristica è quella di porsi come obiettivo la moltiplicazione dei livelli di vendita: i venditori non perseguono lo scopo di ottenere delle provvigioni a fronte dei beni o servizi venduti ma quello di acquisire lo status di venditore, dietro pagamento di un corrispettivo, e di avviare immediatamente un’attività di ricerca di nuovi venditori ai quali far pagare il diritto di accesso. La legge vieta la promozione o l’organizzazione di tutte quelle operazioni, quali giochi, piani di sviluppo, "catene di Sant’Antonio", che configurano la possibilità di guadagno attraverso il puro e semplice reclutamento di altre persone e in cui il diritto a reclutare si trasferisce all’infinito previo il pagamento di un corrispettivo. La violazione di tali divieti ha effetti sia sul piano civile che penale, in considerazione dell’elevato disvalore sociale riconosciuto alle suddette tipologie di negoziazione. Sul piano civile, infatti, gli eventuali contratti stipulati in violazione dei divieti disposti dall’articolo 5 (recante “divieto delle forme di vendita piramidali e di giochi o catene”) saranno da considerarsi nulli per violazione di norme imperative ai sensi dell’art. 1418 comma I c.c. Alla violazione del precetto normativo, inoltre, conseguono le sanzioni penali previste dall’articolo 7 (arresto da sei mesi a un anno ovvero ammenda da 100.000 a 600.000 Euro).
Oltre a contrastare il fenomeno delle cosiddette vendite piramidali, la legge è volta a tutelare l’attività di vendita diretta a domicilio[76] dei consumatori e a garantirle maggiore trasparenza, integrando la normativa in materia contenuta nel decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114 (“Riforma della disciplina relativa al settore del commercio, a norma dell’articolo 4, comma 4, della L. 15 marzo 1997, n. 59”), ed in particolare nell’articolo 19, e delineando un’analitica disciplina dei relativi profili contrattuali.
Con il decreto legislativo 9 aprile 2003, n. 70, è stata data attuazione alla direttiva 2000/31/CE, relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell’informazione nel mercato interno, in particolare riferimento al commercio elettronico. Obiettivo principale del decreto legislativo è l’eliminazione degli ostacoli che limitano lo sviluppo del commercio elettronico nonché la promozione della libera circolazione dei servizi legati alla società dell’informazione.
Come precisato nella circolare MAP 7 luglio 2003, n. 3561/C, per servizi della società dell’informazione devono intendersi le attività economiche svolte on-line e qualsiasi altro servizio prestato dietro retribuzione, a distanza, per via elettronica (mediante apparecchiature elettroniche di elaborazione - compresa la trasmissione digitale - e di memorizzazione di dati) e a richiesta individuale di un destinatario di servizi (vale a dire la persona fisica o giuridica che utilizzi il servizio della società di informazione).
In conformità alla direttiva comunitaria il decreto legislativo interviene in alcuni settori fondamentali quali: la disciplina giuridica dello stabilimento dei prestatori di beni o servizi della società dell’informazione, il regime delle comunicazioni commerciali, la disciplina dei contratti per via elettronica, la responsabilità degli intermediari, i codici di condotta, la composizione extragiudiziaria delle controversie, i ricorsi giurisdizionali e la cooperazione tra Stati membri.
Un altro versante della attività legislativa ha prodotto invece alcuni interventi, concentrati prevalentemente nella legge finanziaria per il 2002 (legge 28 dicembre 2001, n. 448), ascrivibili al sostegno all’innovazione per il settore commerciale e quindi rientranti nell’ambito delle materie di competenza legislativa concorrente tra Stato e regioni.
In particolare:
- l’art. 52, comma 4, della legge n. 448/2001 ha istituito presso il Ministero delle attività produttive un Fondo per l’informatizzazione della rete distributiva delle piccole e medie imprese commerciali allo scopo di favorire l’adeguamento alle nuove tecnologie della rete distributiva, anche mediante l’acquisto di nuovi apparecchi che, grazie ai collegamenti con le più importanti reti telematiche, consentano l’accesso e la distribuzione di servizi diffusi;
- l’art. 52, comma 77, della legge n. 448/2001 ha esteso le agevolazioni per le aree depresse previste dalla legge 488/92 ai programmi di ammodernamento degli esercizi di vicinato, nonché alle imprese di somministrazione di alimenti e bevande aperte al pubblico, per la realizzazione di specifici progetti di investimento;
- l’art. 52, commi 79 ed 80, della legge n. 448/2001, ha modificato la normativa relativa alla utilizzazione del "Fondo nazionale per il cofinanziamento di interventi regionali" nel settore del commercio e del turismo, istituito dall’articolo 16, comma 1, della legge 7 agosto 1997, n. 266 (“Interventi urgenti per l’economia”), stabilendo un tetto massimo per l’impegno regionale pari al 10 per cento dello stanziamento pubblico complessivo, nonché la possibilità di destinare le risorse del fondo anche alla realizzazione di progetti comunali per qualificare la rete commerciale.
Nel corso della XIV legislatura la normativa in materia di tutela dei consumatori è stata interamente riordinata e raccolta in un Codice del consumo (decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206),emanato in attuazione della delega contenuta nell’articolo 7 della legge 29 luglio 2003, n. 229, recante “Interventi in materia di qualità della regolazione, riassetto normativo e semplificazione – Legge di semplificazione 2001”.
Il Codice è composto di 146 articoli, che sostituiscono, abrogandole interamente o parzialmente, 30 tra leggi e provvedimenti previgenti.
Esso è intervenuto su di un tessuto normativo costituito da provvedimenti di recepimento di direttive comunitarie, da norme del Codice civile (artt. 1496-bis e seguenti, in tema di clausole abusive, e 1519-bis e seguenti, in tema di vendita di beni mobili di consumo) e da numerosi atti di diverso rango legislativo, formalmente non coordinati con la principale legge di riferimento, la legge 30 luglio 1998, n. 281, recante la "Disciplina dei diritti dei consumatori e degli utenti", con la quale si era provveduto all’introduzione di una disciplina generale dei principi che presiedono alla tutela dei consumatori[77], definendo una carta dei diritti dei consumatori e degli utenti.
Il nuovo “Codice del consumo” reca una disciplina organica in materia di "tutela dei consumatori", coordinata con la normativa comunitaria e diretta alla semplificazione normativa. Tale semplificazione viene perseguita sia sul piano quantitativo, attraverso l’unificazione redazionale di numerosi provvedimenti legislativi, che su quello qualitativo della unificazione del linguaggio e della coerenza giuridica e sistematica delle norme; ciò al fine di ricostruire in un quadro nuovo le regole che afferiscono ai molteplici ambiti in cui sono coinvolti gli interessi dei consumatori e degli utenti, secondo una logica improntata alla protezione di questi ultimi nelle diverse fasi del processo di consumo.
Il Codice infatti non si configura come un semplice Testo Unico, dal momento che esso, in conformità con l’orientamento generale adottato per i decreti legislativi di riassetto previsti dalla legge di semplificazione 2001, ha anche una portata innovativa – benché limitata - della legislazione previgente.
Il legislatore delegato ha quindi potuto provvedere non soltanto ad apportare modifiche di “coordinamento formale” alla disciplina di rango legislativo, ma anche a innovazioni del merito della disciplina codificata.
L’innovatività sostanziale e il consolidamento formale costituiscono pertanto gli elementi distintivi della codificazione, in base ai quali la riforma dei contenuti della disciplina legislativa della materia si ispira necessariamente anche a criteri di semplificazione “sostanziale” (come l’alleggerimento degli oneri burocratici) e di “deregolazione”.
I principali profili innovativi discendenti dai principi e criteri direttivi della delega riguardano:
- l’adeguamento della normativa alle disposizioni comunitarie e agli accordi internazionali e l’articolazione della stessa allo scopo di armonizzarla e riordinarla, nonché di renderla strumento coordinato per il raggiungimento degli obiettivi di tutela del consumatore previsti in sede internazionale;
- l’omogeneizzazione delle procedure relative al diritto di recesso del consumatore nelle diverse tipologie di contratto;
- la conclusione, in materia di contratti a distanza, del regime di vigenza transitoria delle disposizioni più favorevoli per i consumatori, previste dall’articolo 15 del decreto legislativo 22 maggio 1999, n. 185, di attuazione della direttiva 97/7/CE del 20 maggio 1997, del Parlamento europeo e del Consiglio, e il rafforzamento della tutela del consumatore in materia di televendite;
- il coordinamento, nelle procedure di composizione extragiudiziale delle controversie, dell’intervento delle associazioni dei consumatori, nel rispetto delle raccomandazioni della Commissione delle Comunità europee.
In materia di proprietà industriale la legislatura è stata caratterizzata da un importante intervento di riassetto organico, realizzato con l’emanazione del decreto legislativo 10 febbraio 2005, n. 30 "Codice della proprietà industriale", in attuazione della delega contenuta nell’articolo 15 della legge 12 dicembre 2002, n. 273, recante “Misure per favorire l’iniziativa privata e lo sviluppo della concorrenza”.
Nel codice sono confluiti anche altri interventi normativi di rilievo perfezionati nel corso della legislatura, e segnatamente:
§ l’istituzione delle sezioni specializzate dei tribunali in materia di proprietà intellettuale ed industriale (D.Lgs. 27 giugno 2003, n. 168, “Istituzione di Sezioni specializzate in materia di proprietà industriale ed intellettuale presso tribunali e corti d’appello, a norma dell’articolo 16 della legge 12 dicembre 2002, n. 273);
§ le norme in materia di lotta alla contraffazione ed alla pirateria, introdotte con l’art. 4, commi 79, 80 ed 81 della legge finanziaria per il 2004 (legge 24 dicembre 2003, n. 350), successivamente modificate con gli articoli 1, commi 7-11, e 1-quater del D.L. 14 marzo 2005, n. 35, convertito con modificazioni dalla legge 14 maggio 2005, n. 80.
Il codice della proprietà industriale, entrato in vigore a partire dal 19 marzo 2005, si compone di 246 articoli che sostituiscono, abrogandole, 39 tra leggi e provvedimenti previgenti. L’obiettivo perseguito è quello di conferire sistematicità ad una disciplina particolarmente rilevante ai fini dello sviluppo della concorrenza e del recupero di competitività delle imprese italiane, anche in ambito internazionale.
Il riordino della materia risponde ad esigenze di semplificazione normativa e coordinamento con le disposizioni comuni.
Il Codice, che ricalca, nella sua struttura, lo schema dell’Accordo Trips (Trade-Related Aspects of Intellectual Property Rights), ossia la più estesa convenzione multilaterale che fissa uno standard minimo di tutela della proprietà industriale a livello internazionale, è articolato in 8 Capi, di norma suddivisi in sezioni, e consta complessivamente di 246 articoli.
Per quanto riguarda l’ambito di applicazione del codice, nella categoria dei diritti di proprietà industriale vengono fatti confluire diritti di proprietà “non titolati”, protetti in precedenza dalle norme del Codice civile sulla concorrenza sleale, come ad esempio i marchi di fatto e le informazioni aziendali riservate.
Resta invece esclusa dal codice la materia del diritto d’autore, rientrante nelle competenze del Ministero per i beni culturali.
L’articolo 1 del Codice, nel definire l’espressione “proprietà industriale“, realizza pertanto l’intenzione sistematica di ricomprendervi, oltre a:
§ le invenzioni,
§ i modelli di utilità,
§ i disegni e modelli,
§ le nuove varietà vegetali,
§ le topografie dei prodotti a semi conduttori
§ ed i marchi ,
anche gli altri segni distintivi tipici ed atipici (che tuttavia non sono poi analiticamente contemplati nel Codice, che non menziona la ditta e neanche il marchio di fatto nel Capo II ):
§ le indicazioni geografiche,
§ le denominazioni di origine,
§ le informazioni aziendali riservate.
Per quanto riguarda invece i contenuti della normativa, le novità principali introdotte dal decreto legislativo riguardano:
§ la semplificazione delle procedure per ottenere o trasferire undiritto di proprietà industriale;
§ la ridefinizione e l’ampliamento del ruolo e delle competenze dell’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi e del Ministero delle Attività Produttive;
§ la riorganizzazione del funzionamento delle sezioni specializzate di dodici tribunali italiani (Bari, Bologna, Catania, Firenze, Genova, Milano, Napoli, Palermo, Roma, Torino, Trieste e Venezia),le cui competenze vengono riconfermate e meglio definite: in particolare, le controversie nella materia de qua sono assoggettate alle norme procedurali dettate dal D.Lgs. n. 5 del 2003 per le controversie societarie;
§ l’introduzione del concetto di pirateria e delle norme per contrastarla,che sono, tuttavia, applicabili soltanto laddove si dimostri che essa è realizzata dolosamente e in modo sistematico:
§ il rafforzamento e l’estensione delle sanzioni penali per violazione di un diritto di proprietà industriale, nonché ampliamento della possibilità per il giudice di valutare il danno non solo sulla base del lucro cessante, ma anche degli utili realizzati con la violazione del diritto;
§ l’inclusione delle informazioni segrete negli oggetti dei diritti di proprietà industriale;
§ la disciplina delle invenzioni dei dipendenti, che stabilisce dei nuovi specifici parametri per la determinazione dell’equo premio, prevedendo anche l’intervento di un collegio di arbitratori;
§ la tutela delle invenzioni realizzate dai ricercatori delle Università e degli enti pubblici di ricerca.
Il 16 febbraio 2006 il Parlamento europeo ha approvato in prima lettura – con 394 voti favorevoli, 215 contrari e 33 astensioni – la relazione predisposta dall’on. Evelyne Gebhardt (Partito socialista europeo) sulla proposta di direttiva relativa ai servizi nel mercato interno (COM(2004)2) (cosiddetta “direttiva Bolkenstein”).
La proposta, che segue la procedura di codecisione, è stata presentata dalla Commissione il 13 gennaio 2004 e si inserisce nel processo di riforme economiche varato dal Consiglio europeo di Lisbona (23-24 marzo 2000) al fine di fare dell’Unione europea, entro il 2010, l’economia basata sulla conoscenza più competitiva e più dinamica del mondo.
L’obiettivo della proposta è quello di stabilire un quadro giuridico che elimini gli ostacoli alla libertà di stabilimento dei prestatori di servizi ed alla libera circolazione dei servizi tra Stati membri.
La proposta iniziale della Commissione – che aveva sollevato in tutti i gruppi politici del Parlamento europeo preoccupazioni sui possibili rischi di riduzione dell’acquis comunitario nel settore sociale – è stata sostanzialmente modificata dall’esame parlamentare.
Il testo approvato dal Parlamento europeo ribadisce l’obiettivo della proposta iniziale relativamente alla liberalizzazione dei servizi, sottolineando al contempo la necessità di assicurare un elevato livello di qualità dei servizi stessi. E’ stabilito, inoltre, che la direttiva non pregiudica le disposizioni comunitarie in materia di concorrenza e aiuti di Stato.
L’esame del Parlamento europeo si è focalizzato, in particolare, su alcuni punti controversi:
§ campo di applicazione (art. 2): relativamente a questo aspetto, il testo adottato dal Parlamento europeo ribadisce quanto previsto nella proposta della Commissione, ovvero l’esclusione dei servizi di interesse generale. A questo riguardo gli Stati membri restano liberi di definire, conformemente al diritto comunitario, quelli che essi considerano servizi d’interesse generale, nonché di determinare le modalità di organizzazione e di finanziamento di tali servizi e gli obblighi specifici cui essi devono sottostare. La direttiva si applica, tuttavia, ai servizi di interesse economico generale, ovvero ai servizi che corrispondono ad un’attività economica e sono aperti alla concorrenza quali i servizi postali, i servizi di trasmissione, distribuzione e fornitura di energia elettrica e di gas o i servizi di distribuzione e di fornitura idrica. Oltre a tutta una serie di settori indicati espressamente nel testo adottato dal Parlamento europeo, sono inoltre escluse dal campo di applicazione della direttiva le materie disciplinate da disposizioni comunitarie specifiche come quelle sul distacco dei lavoratori (vedi infra), l’esercizio delle attività televisive o le qualifiche professionali;
§ principio del Paese di origine (art. 16): la formulazione iniziale prevedeva la possibilità per un prestatore di fornire i propri servizi in uno Stato membro diverso da quello di appartenenza unicamente in base alla legislazione dello Stato membro di origine. Il Parlamento europeo ha sostituito questo principio con quello della “libera circolazione dei servizi” in base al quale per la fornitura dei servizi si applica la legislazione del paese in cui essi vengono effettivamente prestati. Inoltre, si fa obbligo agli Stati membri di rispettare il diritto del prestatore di fornire i propri servizi liberamente sul suo territorio senza imporre requisiti discriminatori, ingiustificati e sproporzionati tranne che per motivi di pubblica sicurezza, protezione dell’ambiente e sanità pubblica;
§ distacco dei lavoratori (artt. 24 e 25): il Parlamento europeo ha soppresso le disposizioni relative al distacco dei lavoratori, ritenendo che questa questione ricada nel campo di applicazione della direttiva 96/71/CE relativa al distacco di lavoratori nell’ambito di una disciplina di servizi.
Il 4 aprile 2006 la Commissione ha presentato una proposta modificata che riprende in larga misura il testo adottato in prima lettura dal PE, in particolare per quanto riguarda la soppressione del principio del Paese di origine e la sua sostituzione con quello relativo alla libera circolazione dei servizi, nonché l’inclusione dei servizi di interesse economico generale nel campo di applicazione della direttiva proposta. La Commissione ha, inoltre, deciso di escludere dal campo di applicazione della direttiva proposta una serie di servizi, fra cui i servizi sanitari, alcuni dei quali saranno oggetto di iniziative specifiche.
Nella stessa data la Commissione ha presentato una comunicazione relativa agli “Orientamenti riguardanti il distacco dei lavoratori effettuato nell’ambito di una prestazione di servizi” al fine di facilitare l’applicazione della citata direttiva 96/71/CE.
Il testo modificato della proposta sarà ora trasmesso al Consiglio che, nelle intenzioni della Presidenza austriaca, dovrebbe raggiungere un accordo politico nel mese di giugno.
Esame presso la Camera dei deputati
La Camera dei deputati ha promosso una serie di iniziative dedicate all’esame della proposta di direttiva, anche al fine di definire una posizione italiana da difendere nelle opportune sedi europee.
La proposta è stata esaminata dalle Commissioni riunite X (Attività produttive) e XIV (Politiche dell’Unione europea) che hanno anche proceduto all’audizione congiunta di eurodeputati italiani e rappresentanti del Governo.
In conclusione dei lavori, il 25 gennaio 2006, le Commissioni hanno adottato un documento finale con il quale si invita il Governo ad adoperarsi nelle competenti sedi decisionali comunitarie affinché la proposta di direttiva si configuri come un atto giuridico “quadro” senza la previsione di norme di dettaglio, preveda l’elencazione puntuale dei settori a cui si applica, definisca meglio il principio del paese di origine per scongiurare forme di dumping sociale ed eviti il rischio di intaccare i sistemi nazionali volti ad assicurare un’alta qualità dei servizi e la tutela dei consumatori.
Il 6 aprile 2005, la Commissione europea ha presentato una comunicazione dal titolo “Migliorare la salute, la sicurezza e la fiducia dei cittadini: una strategia in materia di salute e di tutela dei consumatori” ed una proposta di decisione che istituisce il programma comunitario per la salute e la protezione dei consumatori per gli anni 2007-2013 (COM(2005)115). Rispetto al passato, l’iniziativa unifica i due settori di attività fino ad oggi separati e amplia i programmi attuali in materia di salute pubblica e tutela dei consumatori, individuando le azioni nei diversi settori di intervento previsti.
Il 16 marzo 2006 il Parlamento europeo ha esaminato la proposta di decisione, nell’ambito della procedura di codecisione, approvando diversi emendamenti tra cui alcuni che non corrispondono all’impostazione della Commissione sulla unificazione dei due settori.
Si veda il paragrafo Salute e benessere degli animali riportato nell’area tematica Agricoltura, caccia e pesca.
Si ricordano preliminarmente le modifiche introdotte dalla riforma del Titolo V della Costituzione nel settore dei beni e delle attività culturali. L’articolo 117, secondo comma, lett. s), del nuovo Titolo V della Costituzione ha annoverato la “tutela dei beni culturali”tra le materie di competenza esclusiva dello Stato, mentre l’art. 117, terzo comma, Cost., ha incluso la “valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali”tra le materie di legislazione concorrente. Inoltre, l’art. 118, co. 3, Cost., ha devoluto alla legge statale il compito di disciplinare “forme di intesa e coordinamento nella materia della tutela dei beni culturali” tra Stato e regioni. Occorre comunque raccordare le disposizioni menzionate con l’articolo 9 Cost., il quale dispone che “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura […] (comma 1) e “Tutela […] il patrimonio storico e artistico della Nazione” (comma 2). La legge di riforma costituzionale approvata in via definitiva il 16 novembre 2005 non prevede modifiche rispetto all’assetto sopra sintetizzato.
Il dettato costituzionale introdotto dalla riforma del Titolo V ha sollevato alcune perplessità in quanto il discrimine tra "tutela" e "valorizzazione" non sempre è apparso chiaro al legislatore sia statale che regionale. In proposito, la Corte Costituzionale ha tratto elementi di valutazione in una prima fase, oltre che dal Testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali (D.lgs. 29 ottobre 1999, n. 490), dal D.lgs. n. 112 del 1998, che aveva ridefinito sul piano amministrativo - prima della riforma costituzionale - la distribuzione delle competenze tra Stato, regioni, province e comuni, riservando all’amministrazione centrale le funzioni di tutela dei beni culturali e ambientali; attribuendo, secondo il “principio di sussidiarietà”, una concorrenza tra lo Stato e le autonomie territoriali nell’attività di conservazione e gestione di musei o di altri beni culturali statali; demandando la valorizzazione dei beni culturali e la promozione delle attività culturali allo Stato, alle regioni e agli enti locali, ciascuno nel proprio ambito e cooperando tra loro.
Dopo l’adozione del Codice dei beni culturali e paesaggistici di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, la Corte Costituzionale ha quindi richiamato - ai fini del citato riparto di competenze - le disposizioni ivi contenute: tale testo legislativo, secondo la Corte, ribadisce l’esigenza dell’esercizio unitario delle funzioni di tutela dei beni culturali e, nel contempo, coinvolge anche le Regioni e le autonomie locali nelle attività di conservazione e valorizzazione del patrimonio culturale (Sentenza 232 del 2005).
Il nuovo titolo V, poi, non menziona espressamente alcune attività culturali, quali il cinema e lo spettacolo che la Corte costituzionale ha provveduto a ricondurre alla legislazione concorrente di Stato e regioni. Detta collocazione rileva ai fini della definizione dei criteri e delle modalità di erogazione dei contributi alle attività dello spettacolo nonché delle aliquote di ripartizione annuale del Fondo unico per lo spettacolo previsto dalla legge 30 aprile 1985, n. 163, la cui disciplina ha subito, nel corso della legislatura, un adeguamento alle prescrizioni costituzionali, mediante la previsione della partecipazione della Conferenza unificata (ovvero la Conferenza Stato –regioni) nelle procedure di adozione dei decreti ministeriali di erogazione dei contributi .
Si ricorda, poi, che la disciplina del diritto d’autore è riconducibile alla materia “opere dell’ingegno” che l’art.117, secondo comma, Cost., rimette alla competenza legislativa esclusiva statale.
La materia “ordinamento sportivo”, rientra, ai sensi dell’art. 117, co. 3, Cost., tra le materie oggetto di potestà legislativa concorrente. Al riguardo, la legge di riforma costituzionale approvata in via definitiva il 16 novembre 2005 comporta l’inserimento, all’articolo 117 della Costituzione, tra le materie di competenza statale, dell’ordinamento sportivo nazionale, mentre tra le materie di legislazione concorrente è incluso l’ordinamento sportivo regionale.
Un intervento di riordino legislativo complessivo del settore è stato avviato dalla legge 6 luglio 2002, n. 137 recante delega per la riforma dell’organizzazione del Governo e della Presidenza del Consiglio dei Ministri, nonché di enti pubblici (c.d. legge Frattini). In particolare, per quanto qui interessa, la delega ha previsto il riassetto delle materie di competenze del Ministero per i beni e le attività culturali. Si tratta in particolare di: beni culturali e ambientali; cinematografia; teatro, musica, danza e altre forme di spettacolo dal vivo; sport; proprietà letteraria e diritto d’autore.
In attuazione della delega sono stati emanati i seguenti provvedimenti:
· con riferimento alla cinematografia, il D.lgs. 22 gennaio 2004, n. 28, recante riforma della disciplina in materia di attività cinematografiche; il D.lgs. 22 gennaio 2004, n. 32, recante modifiche alla disciplina del Centro sperimentale di cinematografia;
· in materia di spettacolo dal vivo, il D.lgs. 22 gennaio 2004, n. 33, recante modifiche alla disciplina dell’Istituto nazionale per il dramma antico;
· in materia di beni culturali e ambientali, il D.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, recante Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137, il D.lgs. 22 gennaio 2004, n. 30, recante modifiche alla disciplina degli appalti di lavori pubblici concernenti i beni culturali.
La legge n. 137 del 2002 ha inoltre delegato il governo ad adottare decreti legislativi correttivi o modificativi di decreti legislativi già emanati ai sensi dell’art. 11, co. 1, lett. a), della legge n. 59/1997 (c.d. legge Bassanini 1). In attuazione di tale disposizione, nel corso della legislatura il Ministero per i beni e le attività culturali è stato sottoposto ad un intervento di riorganizzazione (D.lgs. 8 gennaio 2004, n. 3) che ha modificato la struttura del Ministero, come definita dal D.lgs. n. 368/1998 e dal D.lgs. n. 300/1999, adottati, per l’appunto, ai sensi della suddetta legge n. 59/1997, introducendo la struttura dipartimentale, ritenuta più idonea ad assicurare il coordinamento delle competenze del Ministero, rispetto all’assetto organizzativo precedente basato su un’unica figura di coordinamento (Segretario generale), che è stata pertanto soppressa; il D.lgs. ha inoltre istituito gli uffici dirigenziali generali territoriali (Direzioni regionali per i beni culturali e paesaggistici), gerarchicamente sovraordinati alle esistenti Soprintendenze di settore, con l’obiettivo di ottimizzare il rapporto tra le varie strutture e di creare un efficiente punto di riferimento per i rapporti con le istituzioni regionali, anche in considerazione della revisione del titolo V della Costituzione.
L’intervento di maggior rilievo in materia di beni culturali della XIV legislatura è senza dubbio il Codice dei beni culturali e del paesaggio (D.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42), adottato ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137.
Il Codice dei beni culturali e del paesaggio ha sostituito il Testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali (D.lgs. 29 ottobre 1999, n. 490) che, nella precedente legislatura, avevaraccolto e riordinato la legislazione esistente in materia.
Tale intervento di “riassetto” e “codificazione” delle disposizioni legislative in materia (secondo i termini utilizzati dalla legge delega n. 137 del 2002), si poneva innanzitutto l’obiettivo di adeguare le norme in esame alle modifiche introdotte dalla riforma costituzionale agli articoli 117 e 118 della Costituzione. Gli altri principi e criteri direttivi della delega prevedevano, in particolare, l’adeguamento alla normativa comunitaria e agli accordi internazionali; il miglioramento dell’efficacia degli interventi concernenti i beni e le attività culturali, anche allo scopo di conseguire l’ottimizzazione delle risorse assegnate e l’incremento delle entrate; l’aggiornamento degli strumenti di individuazione, conservazione e protezione dei beni culturali e ambientali, anche attraverso la costituzione di fondazioni aperte alla partecipazione di regioni, enti locali, fondazioni bancarie, soggetti pubblici e privati.
Per quanto concerne l’adeguamento all’articolo 117 Cost., si segnala, innanzitutto, l’intera parte prima (articoli 1-9) del Codice, recante disposizioni sull’assetto generale delle competenze dello Stato e delle Regioni in materia di tutela e di valorizzazione. La tutela del patrimonio culturale – di esclusiva competenza statale - è definita come l’esercizio delle funzioni e la disciplina delle attività dirette a garantire l’individuazione, la conoscenza, la protezione e la conservazione del patrimonio culturale, nonché a conformare e regolare i diritti e i comportamenti ad esso inerenti. La valorizzazione del patrimonio culturale – attribuita alla competenza concorrente tra Stato e regioni - consiste nell’esercizio delle funzioni e nella disciplina delle attività dirette a promuoverne la conoscenza del patrimonio culturale e ad assicurare le migliori condizioni di utilizzazione e di fruizione pubblica del patrimonio stesso. Essa comprende anche la promozione ed il sostegno agli interventi di conservazione. Tale funzione è vista in rapporto di subordinazione alla tutela, dovendo essere attuata in forme coerenti con essa e comunque tali da non pregiudicarne le esigenze. Il Codice prevede, inoltre, che venga favorita la partecipazione di soggetti privati alla valorizzazione del patrimonio culturale.
Si segnala infine che sono in corso di emanazione, dopo l’espressione del parere parlamentare, due distinti decreti legislativi (adottati ai sensi dell’art. 10, co. 4 della legge delega) recanti disposizioni correttive ed integrative al Codice, rispettivamente, per il settore dei beni culturali e del paesaggio.
Giova poi ricordare che la 7° Commissione Istruzione del Senato ha svolto un’indagine conoscitiva sui nuovi modelli organizzativi per la tutela e la valorizzazione dei beni culturali, il cui documento conclusivo (doc. XVII, n. 25) è stato approvato, con l’astensione delle forze di opposizione, il 1° febbraio 2006. Riguardo al riparto di competenze fra tutela e valorizzazione stabilito dal Titolo V della Costituzione, la Commissione auspica il superamento di tale modello, da perseguire nella XV legislatura.
Nel settore dei beni e delle attività culturali sono inoltre particolarmente numerosi i provvedimenti approvati dalla Commissione in sede legislativa, per lo più su iniziativa parlamentare e con il concorso di tutti i gruppi, nonché gli interventi introdotti in provvedimenti plurisettoriali (leggi finanziarie e decreti-legge omnibus), di iniziativa sostanzialmente governativa. Nel primo caso si tratta di provvedimento per lo più fortemente settoriali – ma talora politicamente assai significativi:
· l’istituzione del Museo della Shoah (legge 17 aprile 2003, n. 91), quale luogo simbolico per conservare nella memoria della nazione le drammatiche vicende delle persecuzioni razziali e dell’Olocausto;
· l’istituzione della Società per lo sviluppo dell’arte, della cultura e dello spettacolo (ARCUS), disposta con la legge 16 ottobre 2003, n. 291, chiamata a svolgere un ruolo di promozione e sostegno finanziario, tecnico-economico ed organizzativo di interventi per la conservazione e la tutela dei beni culturali nonché di iniziative a favore delle attività culturali e dello spettacolo;
· la nuova disciplina del deposito legale di documenti di interesse culturale, approvata con la legge 15 aprile 2004, n. 106;
· la commemorazione della figura di Giacomo Matteotti (legge 2 ottobre 2004, n. 255);
· la salvaguardia del patrimonio culturale ebraico in Italia, prevista dalla legge17 agosto 2005, n.175;
· le misure per la tutela dei siti italiani inseriti nella lista del patrimonio mondiale dell’UNESCO (legge 20 febbraio 2006, n. 77), volta ad attivare uno strumento organico e permanente a tutela dei siti italiani inseriti nella lista del patrimonio mondiale dell’UNESCO;
· le disposizioni concernenti iniziative volte a favorire lo sviluppo della cultura della pace (legge 24 febbraio 2006, n. 103), tese a sviluppare la cultura della pace attraverso il conferimento alla città di Rovereto del titolo di "Città della pace" e la promozione di attività culturali e di studio per la pace.
Quanto agli interventi introdotti in provvedimenti plurisettoriali (leggi finanziarie e decreti-legge omnibus), si possono in particolare ricordare il coinvolgimento dei privati nella valorizzazione dei beni culturali attraverso lo strumento della concessione in uso (art.1, commi 303-305, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, legge finanziaria per il 2005), la disciplina della cosiddetta archeologia preventiva (artt. 2-ter-2- quinquies delD.L. 26 aprile 2005, n. 63 convertito dalla legge 25 giugno 2005, n. 109) e, soprattutto, le procedure per la verifica dell’interesse culturale dei beni immobili in occasione deiprovvedimenti di dismissione del patrimonio immobiliare pubblico. Particolare rilevanza ha assunto in tale ambito l’esclusione dell’applicabilità del silenzio assenso agli atti e procedimenti riguardanti il patrimonio culturale e paesaggistico (art. 3, comma 6-ter, del D.L. 14 marzo 2005, n. 35, convertito dalla legge 14 maggio 2005, n. 80)
Numerose disposizioni, poi, nel corso della legislatura, hanno attribuito finanziamenti specifici per la tutela e valorizzazione di beni e attività culturali; si ricordano in particolare, la legge 8 novembre 2002, n. 264, e la legge 16 ottobre 2003, n. 291. Merita segnalare inoltre che le modalità di allocazione della spesa si sono modificate nel corso della legislatura. Dopo l’approvazione delle citate leggi di finanziamento, infatti, la legge finanziaria per il 2005 ha previsto un’autorizzazione di spesa per la realizzazione di interventi rivolti a tutelare l’ambiente e i beni culturali, subordinatamente ad un apposito atto di indirizzo parlamentare che individui gli interventi e gli enti destinatari dei contributi. Ulteriori finanziamenti per gli interventi sopra richiamati sono stati autorizzati dall’art. 2-bis del D.L. n. 7/2005 (convertito dalla legge n. 43/2005) e dall’art. 11-bis del D.L. n. 203/2005 (convertito dalla legge n. 248/2005).
Tra le proposte di legge di iniziativa parlamentare in quota all’opposizione che non hanno concluso il proprio iter nel corso della legislatura si ricordano, infine, la pdl recante Norme per l’attuazione dell’articolo 117 della Costituzione in materia di beni culturali e paesaggistici (A.C. 4263) - volta a delineare diverse modalità di esercizio delle competenze statali e regionali in materia di tutela, valorizzazione e gestione dei beni culturali nonché a ridisegnare la struttura organizzativa del Ministero per i beni e le attività culturali - e la pdl recante Misure di sostegno alle iniziative e alle attività culturali promosse dalle donne (A.C. 5515) finalizzata all’introduzione di princìpi fondamentali e altre disposizioni per l’incentivazione delle attività culturali concernenti le donne o da queste ultime promosse.
In attuazione della delega conferita dalla legge n. 137 del 2002, con il decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 28, è stato realizzato un intervento complessivo di riordino della disciplina delle attività cinematografiche, rinviando, per molti aspetti, a regolamenti ministeriali di attuazione. Il provvedimento, in particolare, ha definito un nuovo sistema di sostegno pubblico al cinema, riordinando gli strumenti e gli organismi operanti nel settore.
L’intervento finanziario dello Stato si polarizza, essenzialmente, attorno a un fondo di nuova istituzione, il Fondo per la produzione, la distribuzione, l’esercizio e le industrie tecniche, al quale affluiscono le risorse esistenti, in particolare, nel Fondo di intervento, nel Fondo di sostegno e nel Fondo di garanzia, nonché la quota del cinema nell’ambito del Fondo unico dello spettacolo (FUS). Gli strumenti di intervento trovano sostanziale corrispondenza in quelli previgenti, peraltro con alcune significative differenze di fondo:
· la riduzione della quota massima di costo del film finanziabile dallo Stato;
· l’introduzione di parametri automatici di valutazione, al fine di ridurre gli elementi di discrezionalità;
· una nuova disciplina per la dichiarazione di film di interesse culturale, rimessa alla sola Commissione per la cinematografia;
· la previsione della possibilità di utilizzare marchi e prodotti all’interno dei film nel caso di dichiarata partecipazione delle ditte produttrici ai costi di produzione dei film (cosiddetto product placement).
Merita poi segnalare che nel corso della legislatura è stato avviato l’esame di numerose proposte di legge di iniziativa parlamentare per il riordino della disciplina delle attività cinematografiche (AC 1185 e abb.) e dello spettacolo dal vivo (AC 587 e abb.). L’esame delle proposte, tuttavia, non ha prodotto alcun esito: con riguardo alla cinematografia, l’approvazione del decreto legislativo di riordino del settore ha segnato una battuta d’arresto dell’esame dei provvedimenti di iniziativa parlamentare. Relativamente allo spettacolo dal vivo, dopo la discussione generale in Assemblea del testo unificato delle proposte di legge, non si è proceduto all’esame degli articoli sia per l’emergere di difficoltà di carattere finanziario sia per la difficoltà di definire il ruolo delle regioni nella gestione del Fondo unico per lo spettacolo, nonostante i numerosi incontri formali e informali con le regioni svolti nel corso dell’iter.
In proposto si ricorda che la 7° Commissione Istruzione del Senato, in data 2 marzo 2004, ha deliberato un’indagine conoscitiva sui problemi dello spettacolo. Nel corso delle numerose audizioni svolte, è stata da più parti sollecitata l’approvazione di una legge quadro finalizzata a porre le basi per una programmazione duratura nel tempo e a dare certezze agli operatori del settore. L’indagine, peraltro, non si è conclusa con l’approvazione di un documento definitivo.
Gli interventi in materia di fondazioni lirico sinfoniche nel corso della XIV legislatura sono volti principalmente a favorire l’ingresso dei privati nelle fondazioni da un lato ed a risolvere la situazione di perdurante crisi economicache ha caratterizzato i bilanci di queste ultime dall’altro.
In particolare, il decreto-legge 22 marzo 2004, n. 72, (convertito dalla legge 21 maggio 2004, n. 128), ha ridotto dal 12 all’8% la quota di minima di partecipazione patrimoniale necessaria ai privati per nominare un membro del consiglio di amministrazione (art. 2, comma 3-bis). Sulla materia è intervenuto poi l’art. 3-bis del D.L. 31 gennaio 2005, n. 7 (convertito dalla legge 31 marzo 2005, n. 43), che ha modificato la disciplina vigente attraverso vari interventi finalizzati ad ottimizzare la gestione e contenere i costi per gli allestimenti e le spese per il personale; a tal fine il DL ha disposto il coordinamento tra le fondazioni, dettato norme in materia di contrattazione nazionale e integrativa, limitato le assunzioni per il triennio 2005-2007, novellato alcuni articoli del D.Lgs. 367/1996. La legge finanziaria per il 2006 (legge 23 dicembre 2005, n. 266) ha poi introdotto il divieto, per le fondazioni lirico-sinfoniche - per gli anni 2006 e 2007 - di assunzioni a tempo indeterminato e di utilizzo di personale a tempo determinato in misura superiore al 20% dell’organico funzionale (art 1, co. 595). Da ultimo, il D.L. 30 dicembre 2005, n. 273, (convertito dalla legge 23 febbraio 2006, n. 51) ha apportato alcune modifiche alla disciplina delle fondazioni lirico sinfoniche, prevedendo che i membri dei consigli di amministrazione delle fondazioni (il cui numero è pari a sette compreso il presidente) possano essere aumentati fino a nove.
Occorre, infine, ricordare la costituzione, con legge 11 novembre 2003, n. 310, della Fondazione lirico-sinfonica Petruzzelli e Teatro di Bari.
Gli interventi della XIV legislatura in materia di diritto d’autore sono stati caratterizzati da due linee di tendenza: proseguire il recepimento delle direttive comunitarie; contrastare la diffusione telematica abusiva di opere dell’ingegno. La delega prevista dalla legge 6 luglio 2002, n. 137, volta al riassetto, tra le altre, delle disposizioni legislative vigenti in materia di proprietà letteraria e diritto d’autore, non ha invece trovato attuazione.
Con riferimento all’attuazione della normativa europea, si ricorda innanzitutto il D.lgs. 9 aprile 2003, n. 68, che ha proceduto alla revisione della normativa di tutela del diritto d’autore (legge n. 633 del 1941) adeguandola alla Direttiva 2001/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 maggio 2001, mirante all’armonizzazione di taluni aspetti del diritto d’autore e dei diritti connessi allo sviluppo della società dell’informazione. Contemporaneamente il D.Lgs. 9 aprile 2003, n. 70, ha recepito la direttiva 2000/31/CE relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell’informazione nel mercato interno, con particolare riferimento al commercio elettronico ed all’attività dei providers. Il D.Lgs. 13 febbraio 2006, n. 118, ha poi dato attuazione alla direttiva 2001/84/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 settembre 2001, relativa al diritto dell’autore di un’opera d’arte sulle successive vendite dell’originale (cosiddetto diritto di seguito), pur mantenendo l’impianto originario della disciplina vigente. Merita poi segnalare l’emanazione del D.Lgs. 10 febbraio 2005, n. 30 (Codice della proprietà industriale), nonché il D.Lgs. 16 marzo 2006, n. 140 che dà attuazione alla delega contenuta nella legge 18 aprile 2005, n. 62 (legge comunitaria 2004), in materia di rispetto dei diritti di proprietà intellettuale (Direttiva 2004/48/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004).
Con riguardo alla diffusione telematica abusiva di opere dell’ingegno, le disposizioni introdotte dal D.L. n. 72 del 2004 (convertito dalla legge n. 128 del 2004) –modificato e integrato dal D.L. n. 7 del 2005 (convertito dalla legge n. 43 del 2005) – introducono sanzioni, anche di carattere penale, verso quantiimmettono abusivamente in un sistema di reti telematiche condivise opere dell’ingegno protette dal diritto d’autore a scopo di lucro. Al fine di contemperare l’esigenza di tutela del diritto d’autore con la libertà di accesso e diffusione della cultura, la Commissione - con un intervento che ha visto coinvolte tutte le forze politiche - ha peraltro salvaguardato la non punibilità dell’uso personale. La norma prevede inoltre che il governo promuova forme di collaborazione tra i rappresentanti delle categorie operanti nel settore in merito alla fruibilità delle opere, anche attraverso la sottoscrizione di codici di deontologia e di buona condotta.
Con riferimento allo sport, appare particolarmente accentuata la frammentazione degli interventi legislativi - contenuti per lo più in decreti-legge o leggi finanziarie - che hanno riguardato diversi aspetti del settore: la prevenzione dei fenomeni di violenza nelle manifestazioni sportive, il riordino del CONI e dell’Istituto per il credito sportivo, la disciplina delle società sportive nonché alcune misure di sostegno a specifiche attività sportive ovvero ad eventi di particolare rilievo.
Le misure contro la violenza negli stadi sono recate da quattro decreti-legge (D.L. 20 agosto 2001, n. 336, D.L. 24 febbraio 2003, n. 28, D.L. 30 giugno 2005, n. 115, D.L. 17 agosto 2005, n. 162,) che hanno integrato la disciplina per la repressione e la prevenzione dei fenomeni di violenza nelle manifestazioni sportive, prevedendo, in particolare, il c.d. arresto in flagranza differita dei tifosi violenti; il differimento o divieto di manifestazioni sportive da parte del Prefetto “per urgenti e gravi necessità pubbliche connesse allo svolgimento delle manifestazioni sportive”; l’introduzione di precise disposizioni in ordine all’organizzazione delle gare ed ai requisiti dell’impianto sportivo nonché all’emissione di biglietti in numero congruo alla capienza dell’impianto.
In materia di sport professionistico, si segnala un intervento in favore della critica situazione finanziaria delle società calcistiche. Il decreto-legge 24 dicembre 2002, n. 282, (cosiddetto “spalma debiti”), ha consentito alle società sportive di iscrivere in bilancio, tra le componenti attive quali oneri pluriennali da ammortizzare, le svalutazioni dei diritti alle prestazioni sportive dei calciatori, consentendo di procedere all’ammortamento di tale svalutazione in dieci rate annuali di pari importo (successivamente ridotte a cinque, in relazione alla procedura di infrazione avviata dall’Unione europea).
Il decreto-legge 19 agosto 2003, n. 220 (relativo al cosiddetto “caso Catania”), convertito con modificazioni dalla legge 17 ottobre 2003, n. 280, ha definito le relazioni tra giustizia sportiva e giustizia ordinaria, sancendo il principio dell’autonomia dell’ordinamento sportivo, quale articolazione dell’ordinamento sportivo internazionale facente capo al Comitato internazionale olimpico (CIO); tale autonomia trova un limite unicamente a fronte di situazioni giuridiche soggettive rilevanti per l’ordinamento giuridico statale.
Per ciò che concerne il CONI, si ricorda in primo luogo il D.L. 8 luglio 2002, n. 138, che ha provveduto (art. 8) alla creazione di una società per azioni, denominata CONI Servizi spa, a totale partecipazione pubblica, chiamata a supportare l’insieme delle attività del Comitato olimpico. Successivamente il D.Lgs. 8 gennaio 2004, n. 15 - in attuazione della delega prevista dalla legge 6 luglio 2002 n. 137 - ha modificato e integrato le disposizioni del precedente D.Lgs. 23 luglio 1999, n. 242, sul riordino del CONI.
La citata legge 6 luglio 2002, n. 137, ha inoltre delegato il governo al riordino dei compiti dell’Istituto per il credito sportivo, assicurando negli organi anche la rappresentanza delle regioni e delle autonomie locali; alla scadenza della delega tale aspetto è però rimasto inattuato. Un parziale riordino di tale Istituto è stato poi introdotto dalla legge finanziaria per il 2004 (L. 350/2003), che ne ha ampliato i compiti, non più limitati al finanziamento dell’impiantistica sportiva, ma estesi al credito a favore delle attività sportive e culturali (art. 4,co.14).
Si segnala poi l’articolo 90 della legge finanziaria per il 2003, che ha recato una serie di disposizioni relative alle società e alle associazioni sportive dilettantistiche contribuendo a ridisegnare parzialmente la disciplina fiscale e tributaria delle società operanti in questo settore.
Con riguardo, infine, alle leggi in materia di sport approvate dalla Commissione Cultura si segnala un significativo intervento relativo alla sicurezza degli sport invernali (legge 24 dicembre 2003, n. 363). La Commissione ha poi adottato numerosi provvedimenti all’unanimità, per lo più in sede legislativa, come l’istituzione del Museo dello sport (legge 28 novembre 2001, n. 428), l’assegno “Giulio Onesti” per gli sportivi in difficoltà (legge 15 aprile 2003, n. 86), le misure a favore della pratica sportiva dei disabili (legge 15 luglio 2003, n. 189). Si segnala, inoltre, l’adozione di alcuni provvedimenti, esaminati dalla Commissione Ambiente, volti a consentire il completamento delle opere necessarie allo svolgimento dei Giochi olimpici invernali Torino 2006.
In tema di sport si ricorda, da ultimo, l’indagine conoscitiva sul calcio professionistico svolta dalla Commissione Cultura della Camera per acquisire una visione d’insieme delle dinamiche evolutive del fenomeno calcistico. Il documento conclusivo, condiviso da tutte le forze politiche, in sostanza invita gli organi di autogoverno del calcio ad individuare autonomamente – vale a dire senza interventi legislativi – soluzioni idonee alle questioni emerse e, soprattutto, a promuovere un processo riformatore interno al mondo del calcio.
Nella materia del turismo la fase iniziale della legislatura ha visto alcune regioni impugnare davanti alla Corte costituzionale la legge quadro approvata alla fine della XIII legislatura (legge n. 135/2001). L’esistenza di una legge-quadro indicante i criteri e i limiti entro i quali le regioni potevano legiferare era ritenuta dalle ricorrenti in contrasto con quanto stabilito dalla riforma del titolo V della Costituzione, nella quale la materia del turismo non è espressamente contemplata, dovendo quindi ritenersi annoverata, ai sensi dell’articolo 117, comma 3, della Costituzione, tra le materie di competenza residuale delle Regioni.
Il contrasto è stato superato con l’Accordo sottoscritto in sede di Conferenza Stato-Regioni in data14 febbraio 2002. L’Accordo, che è stato recepito con il D.P.C.M. 13 settembre 2002, è composto di due articoli:
- nel primo sono dettati i principi per l’armonizzazione, la valorizzazione e lo sviluppo del sistema turistico, di cui all’art. 2, comma 4 della legge 135/2001;
- nel secondo sono dettati i principi e gli obiettivi di sviluppo del sistema turistico, di cui all’art. 2, comma 5 della legge 135/2001.
Successivamente all’emanazione del D.P.C.M. gli interventi legislativi di maggior rilievo adottati in favore del comparto turistico si sono registrati nel corso del 2005. Si segnalano, in particolare, le disposizioni introdotte dall’articolo 12 del decreto-legge n. 35/05, convertito con modificazioni dalla legge n. 80/2005, volte al rafforzamento e al rilancio del settore, che hanno disposto: l’istituzione di un Comitato nazionale per il turismo; la trasformazione dell’Ente nazionale italiano per il turismo (ENIT) in Agenzia Nazionale del Turismo, per una promozione unitaria dell’offerta turistica nazionale; l’avvio del progetto "Scegli Italia.it", Portale informatico di promozione nel nostro Paese.
Ulteriori interventi a sostegno del comparto sono stati introdotti delle leggi finanziarie 2005 e 2006 (L. 311/04, art. 1, comma 270; L. 266/05, art. 1, commi 396-398), che hanno rispettivamente esteso alle imprese del turismo gli interventi del Fondo speciale rotativo per l’innovazione tecnologica (FIT) e di alcune leggi recanti interventi a sostegno dell’internazionalizzazione delle imprese italiane.
Il 14 luglio 2004, la Commissione europea ha presentato quattro proposte di decisione relative ai programmi nel settore dell’istruzione, della formazione, della cultura e degli audiovisivi:
§ una proposta di decisione istituisce un programma d’azione integrato nel campo dell’apprendimento permanente (COM(2004)474);
§ una proposta di decisione istituisce il programma “Gioventù in azione” per il periodo 2007-2013 (COM(2004)471);
§ una proposta di decisione istituisce il programma “Cultura 2007” per il periodo 2007-2013 (COM(2004)469);
§ una proposta di decisione riguarda l’attuazione di un programma di sostegno al settore audiovisivo europeo (Media 2007) (COM(2004)470).
Il Parlamento europeo ha concluso l’esame in prima lettura il 25 ottobre 2005, nell’ambito della procedura di codecisione.
Il Consiglio ha esaminato le quattro proposte nella riunione del 14 novembre 2005, raggiungendo un accordo politico parziale, in quanto gli aspetti di bilancio sono stati esclusi in attesa dei risultati delle discussioni sul futuro quadro finanziario comunitario (si veda il paragrafo Prospettive finanziarie e risorse proprie dell’Unione europea 2007-2013 riportato nell’area tematica Bilancio dello Stato).
La XIV Legislatura è stata caratterizzata dalla prosecuzione e dallo sviluppo del disegno di riforma dello strumento militare e dell’organizzazione della Difesa avviato in quella precedente, attraverso l’emanazione di provvedimenti che ne hanno meglio definito la portata o che hanno realizzato la necessaria manutenzione normativa del sistema, in connessione con la sua progressiva realizzazione.
Il processo di professionalizzazione delle Forze armate, avviato dalla legge 14 novembre 2000, n. 331 e dal decreto delegato n. 215/2001, ha ricevuto ulteriore impulso. E’, infatti, maturata la volontà di imprimergli un’accelerazione, anticipando la data di sospensione della leva obbligatoria, con l’intento di rispondere alla necessità sempre più avvertita di assicurare alti livelli di specializzazione ed efficienza, anche in rapporto al maggiore coinvolgimento, qualitativo e quantitativo, dei nostri militari nello scenario internazionale. Originariamente si era previsto di sospendere il servizio leva a decorrere dal 1° gennaio 2007. La legge 23 agosto 2004, n. 226, ha invece disposto la sospensione delle chiamate per lo svolgimento della leva a decorrere dal 1° gennaio 2005, prevedendo, quindi, che nel corso del 2005 fosse contestualmente in servizio sia il personale volontario sia quello di leva che stesse completando il servizio obbligatorio, al fine di evitare pericolosi vuoti d’organico. L’articolo 12, comma 1,del D.L. n. 115/2005, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 168/2005, ha poi permesso al personale di leva di presentare domanda per cessare anticipatamente dal servizio già a decorrere dal 1º luglio 2005.
In rapporto alla sospensione anticipata della leva, la stessa legge n. 226/2004 ha adottato provvedimenti volti a consentire la sostituzione del personale di leva con nuovo personale militare, dotando le Forze armate delle necessarie risorse umane. Sono state, quindi, istituite, a partire dal 1° gennaio 2005, le nuove categorie dei volontari in ferma prefissata di un anno e dei volontari in ferma prefissata quadriennale per l’Esercito, la Marina e l’Aeronautica, di cui sono stati disciplinati i requisiti d’accesso, il trattamento economico e la possibilità di rafferma. In particolare, per ottenere un adeguato flusso di volontari, e garantire così il raggiungimento delle consistenze organiche previste, si è scelto di incentivare la scelta del servizio militare riservando ai volontari, in servizio o in congedo, in possesso dei previsti requisiti, i posti messi annualmente a concorso per l’accesso alle carriere iniziali delle Forze di polizia ad ordinamento civile e militare e del Corpo militare della Croce Rossa.
In questa materia sono stati anche emanati due decreti legislativi correttivi del citato D.Lgs. n. 215/2001. Il primo, n. 236/2003, di manutenzione normativa, il secondo, n. 197/2005,per adeguarne la disciplina al nuovo termine di sospensione del servizio di leva ed alle nuove categorie di volontari in ferma prefissata, introdotti dalla legge n. 226/2004 appena citata.
Nell’ambito delle trasformazioni che hanno investito lo strumento militare, si deve segnalare che nel corso della scorsa Legislatura si è fatto ampio ricorso alla facoltà concessa dalla legge 26 marzo 2001, n. 128, approvata nello scorcio della precedente, che ha previsto il ricorso alle Forze armate per lo svolgimento dei compiti di sorveglianza e vigilanza del territorio, liberando in tal modo il personale delle Forze di polizia da tali incombenze per consentirgli di concentrare maggiormente la sua azione nel diretto contrasto della criminalità. Sono stati approvati 11 D.P.C.M. che hanno disciplinato i programmi di sorveglianza, in connessione con la grave crisi internazionale scaturita dai tragici fatti dell’11 settembre 2001.
Nel corso della XIII legislatura era stato avviato il complesso processo di ridefinizione della struttura delle Forze armate e dell’assetto organizzativo del Ministero della Difesa, attraverso l’emanazione di quattro decreti legislativi riguardanti: la riforma strutturale delle Forze armate, la riorganizzazione dell’area centrale del Ministero della difesa, la riorganizzazione dell’area tecnico-industriale ed il personale civile. L’accelerazione della professionalizzazione delle Forze armate, che si è appena descritta, e l’opportunità di porre rimedio agli inconvenienti evidenziati dall’applicazione pratica delle norme, hanno reso però necessario procedere ad un intervento di manutenzione normativa. E’ stata, quindi, emanata la legge 27 luglio 2004, n. 186, che hadelegato il Governo ad adottare, senza nuovi o maggiori oneri per il bilancio dello Stato, uno o più decreti legislativi integrativi e correttivi dei citati decreti. Vediamone brevemente la portata.
Il D.Lgs. 8 settembre 2005 n. 200, ha novellato il D.Lgs. n. 265/1997, relativo al personale civile della difesa, per rispondere all’esigenza di completare la riqualificazione del personale civile in servizio presso gli enti periferici dell’area tecnico-operativa e tecnico-amministrativa, interessati dal processo di ristrutturazione in atto. Il provvedimento ha previsto che le relative procedure fossero attuate con riferimento agli organici individuati su base regionale, evitando, in tal modo, l’eccessiva frammentazione dei concorsi che si sarebbe realizzata procedendo ente per ente.
Il D.Lgs. 8 settembre 2005, n. 201, correttivo del D.Lgs. n. 459/1997, in materia di riorganizzazione dell’area tecnico-industriale del Ministero, ha rimediato ad una antinomia tra le scritture redatte dagli Ispettorati di Forza armata e la normativa contabile.
Il D.Lgs. 6 ottobre 2005, n. 216, ha novellato il D.Lgs. n. 264/1997, relativo alla riorganizzazione dell’area centrale del Ministero della difesa, rimediando ad alcuni inconvenienti derivanti dall’accorpamento degli uffici operato da tale decreto. In alcuni casi, infatti, l’intervento ha creato unità amministrative eccessivamente ampie ed appesantite, con ricadute negative sulla loro efficienza.
Infine, il D.Lgs. 28 novembre 2005, n. 253, ha novellato il D.Lgs. n. 464/1997, relativo alla riforma strutturale delle Forze armate, perseguendo l’obiettivo dell’ottimizzazione dei vertici delle Forze armate e delle aree operativa, territoriale, della formazione e logistica, per recuperare risorse a vantaggio dell’operatività. Nell’intendimento del Governo, il provvedimento mira a conseguire un miglior rapporto costo/efficacia, mediante la soppressione di strutture ormai superflue, come quelle che si occupavano delle operazioni relative alla leva obbligatoria, la ridefinizione dei compiti di enti e comandi e, quando possibile, il loro accorpamento in chiave interforze, evitando, in ogni caso, la sovrapposizione funzionale e territoriale. Si è puntato su uno strumento militare di ridotta entità ma qualitativamente elevato quanto a capacità di proiezione, flessibilità e supporto logistico-amministrativo, in grado di integrarsi nell’ottica interforze e multinazionale.
Nel corso della XIV Legislatura, l’Italia ha partecipato alle operazioni di pace, inviando propri contingenti militari. La Legislatura appena conclusa si segnala per una speciale consistenza dell’impegno del nostro Paese, che può essere adeguatamente compreso se si considera che in questo periodo hanno operato più della metà di tutte le missioni svolte nell’intero periodo repubblicano, e che più del 30% di esse hanno avuto inizio proprio nel corso della XIV Legislatura. I militari italiani impegnati al 10 febbraio 2006 erano 9.057, ma nei cinque anni la media è stata superiore alle 10.000 unità. Le aree di maggiore presenza sono i Balcani, i Paesi del Medio oriente e quelli dell’Asia centro meridionale. Per citare solo gli eventi di maggior rilievo, dopo i tragici attentati di New York e Washington, dell’11 settembre 2001, è scattata l’operazione Enduring Freedom in Afghanistan, con l’obiettivo di combattere il terrorismo internazionale ed i regimi nazionali che lo sostengono. All’operazione hanno partecipato sia Paesi dell’Alleanza Atlantica sia Paesi non facenti parte della NATO. Cessate le operazioni militari, l’ONU ha autorizzato la costituzione di ISAF, forza di intervento internazionale con il compito di garantire, nell’area di Kabul, un ambiente sicuro a tutela dell’allora Autorità provvisoria afgana.
In Iraq, dopo la fine del conflitto guidato dagli Stati Uniti e la caduta del regime di Saddam Hussein, nell’aprile 2003, è stata costituita una Forza di stabilizzazione internazionale, costituita da più di trenta Paesi, di cui fa parte anche l’Italia con la missione Antica Babilonia, nella provincia di Dhi Qar, area di Nassirya, diventata operativa nel luglio 2003. La presenza italiana è diretta a garantire la cornice di sicurezza essenziale per consentire l’arrivo degli aiuti ed a contribuire con capacità specifiche alle attività di intervento più urgente nel ripristino delle infrastrutture e dei servizi essenziali. Si deve, infine, segnalare l’intervento diretto dell’Unione Europea nella soluzione delle crisi internazionali attraverso la gestione di importanti missioni in Macedonia ed in Congo.
L’intervento parlamentare nella decisione dell’invio delle truppe all’estero si è atteggiato, come in passato, nell’attività d’indirizzo politico e nell’approvazione degli atti normativi volti a disciplinare, in mancanza di una normativa speciale unitaria, gli aspetti logistici e giuridico-amministrativi, con particolare riguardo al regime giuridico e retributivo del personale impegnato, e a garantirne la copertura finanziaria. In particolare, si deve registrare la tendenza alla semplificazione dell’attività normativa, attraverso l’adozione di un unico decreto semestrale di proroga di tutte le missioni, caratterizzato da maggiore organicità e chiarezza. Anche se tale processo ha subito una battuta d’arresto in occasione degli ultimi provvedimenti, a seguito della richiesta dell’opposizione di scorporare in un atto normativo separato la proroga della missione in Iraq, oggetto di valutazioni fortemente discordanti.
Nel corso della Legislatura si è cercato di definire il quadro generale del regime giuridico e retributivo da applicare al personale militare impegnato nelle missioni internazionali all’estero, ma il tentativo è naufragato davanti al parere contrario della Commissione Bilancio per problemi di copertura finanziaria.
Si deve segnalare, infine, che, in seguito alla decisione di applicare, per la prima volta dal dopoguerra, il codice penale militare di guerra ai contingenti italiani impegnati nella missione “Enduring Freedom”, prima, ed alla missione “Antica Babilonia”, poi, ha fatto emergere la necessità di apportare alcune modifiche a tale legislazione, per eliminare le fattispecie ritenute manifestamente non conformi ai valori costituzionali, ed adeguarla alle mutate condizioni di gestione delle operazioni militari. In tal senso hanno provveduto le leggi n. 6/2002, 15/2002 e 42/2003, di conversione di decreti legge di proroga.
Durante la Legislatura trascorsa non sono stati approvati provvedimenti organici di carattere generale in ordine alle carriere del personale militare, limitando ad interventi settoriali e mirati che si possono ricondurre all’esigenza di correzione ed integrazione dei provvedimenti già approvati nella precedente Legislatura, alla realizzazione del principio di armonizzazione tra la normativa relativa al personale delle Forze armate e quella che disciplina le Forze di polizia, e, infine, all’obiettivo di intervenire sulle situazioni di disallineamento nelle carriere, tra gradi diversi e nel medesimo grado, derivanti da precedenti microinterventi legislativi.
Per quanto riguarda le Forze armate, è stata innovata, attraverso più provvedimenti legislativi, tra i quali il più rilevante è stato la legge n. 299/2004, la normativa in materia di stato giuridico e avanzamento degli ufficiali, modificando, principalmente, il D.Lgs. n. 490/1997, recante il riordino della materia. Le novità apportate riguardano, tra l’altro, l’ampliamento del bacino di reclutamento interno degli ufficiali dei ruoli speciali, la modifica della composizione delle Commissioni d’avanzamento dell’Esercito, e la sostituzione di alcune delle tabelle che indicano i criteri e le modalità per l’avanzamento degli ufficiali in servizio permanente delle diverse Armi.
La disciplina delle procedure ed ai punteggi per l’avanzamento a scelta degli ufficiali delle Forze armate è stata, infine, modificata con decreto ministeriale, su cui la Commissione difesa ha espresso parere. La nuova disciplina ha adattato la normativa ai contenuti delle norme sul riordino del reclutamento, dello stato giuridico e dell’avanzamento degli ufficiali, alla riforma dei vertici militari ed alla riforma strutturale delle Forze armate.
Per quanto riguarda l’Arma dei Carabinieri, le disposizioni integrative e correttive dei decreti legislativi di riordino dell’Arma e di riforma del reclutamento, stato giuridico e avanzamento degli ufficiali dell’Arma hanno riguardato, tra l’altro: la possibilità per i marescialli aiutanti sostituti ufficiali di pubblica sicurezza di svolgere l’incarico di comandante di stazione; la possibilità per gli ufficiali fino al grado di tenente colonnello di partecipare direttamente all’attività dei superiori e sostituirli in caso di assenza; le modalità di determinazione della consistenza organica degli allievi ufficiali dell’Accademia dell’Arma.
Sono state, infine, adottate una serie di misure per il reclutamento di carabinieri per specifiche esigenze, e di finanziamento di particolari funzioni, tra le quali l’assunzione di 1.400 carabinieri, per potenziare l’impiego dei carabinieri di quartiere. Per soddisfare le esigenze di prevenzione e contrasto del terrorismo, anche internazionale, e della criminalità organizzata, sono state disposte deroghe per consentire il trattenimento in servizio dei carabinieri ausiliari, al termine del servizio di leva obbligatorio.
Nell’ambito delle misure urgenti per la prevenzione dell’influenza aviaria, è stato disposto, inoltre, il potenziamento del Comando Carabinieri per la tutela della salute. E’ stato prorogato, infine, al 2007 il termine per il transito di ufficiali delle Forze armate, nel ruolo tecnico-logistico dell’Arma dei carabinieri, per la sua costituzione iniziale.
Le modifiche alla normativa sul reclutamento, lo stato giuridico e l’avanzamento degli ufficiali del Corpo della Guardia di finanza sono state apportate dal D.Lgs. n. 473/2001 per gli aspetti relativi alla composizione del consiglio di disciplina, per la determinazione del trattamento economico per gli ufficiali delle altre Forze armate transitati nei ruoli del Corpo, e in materia di attribuzioni dei capitani, maggiori e tenenti colonnello della Guardia di finanza.
Altri interventi sulla Guardia di finanza hanno riguardato l’incremento dei ruoli dei sottufficiali, finalizzato a consolidare l’azione di contrasto all’economia sommersa, e a garantire la piena efficacia degli interventi in materia di polizia economica e finanziaria. Anche per i finanzieri è stata disposta una norma di deroga alla disciplina del reclutamento, analoga a quella introdotta per i carabinieri, che consente il trattenimento in servizio dei finanzieri ausiliari, al termine del servizio di leva obbligatorio.
E’ proseguita anche nella scorsa Legislatura l’adozione di provvedimenti legislativi volti a realizzare l’armonizzazione del trattamento giuridico ed economico del personale delle Forze armate con quello delle Forze di polizia
Tra i provvedimenti più rilevanti in materia si segnala la legge n. 295/2002, che è intervenuta per correggere un parziale disallineamento tra i dirigenti della Polizia di Stato e gli ufficiali delle Forze armate, dell’Arma dei carabinieri e della Guardia di finanza, in ordine alla progressione di carriera
Un altro provvedimento rilevante è stato il D.Lgs. n. 193/2003, che ha introdotto, a decorrere dal 2005, il nuovo sistema dei parametri stipendiali, sopprimendo contestualmente il meccanismo dei livelli stipendiali, per il personale non dirigente delle Forze di polizia e delle Forze Armate. Tale provvedimento individua il valore del punto di parametro per ciascun grado o qualifica e le componenti economiche che vanno a confluire nel trattamento stipendiale basato sui parametri. Nel dettare la nuova disciplina viene quindi disciplinata l’applicazione del nuovo sistema, individuando le componenti economiche che confluiscono nel trattamento stipendiale basato sui parametri.
In materia di riallineamento delle posizioni di carriera del personale militare, sono state approvate diverse norme prevalentemente inserite in provvedimenti legislativi di carattere più generale. Si segnala, a questo proposito, l’introduzione nel D.L. n. 238/2004, convertito dalla legge n. 263/2004, di disposizioni di riallineamento delle posizioni di carriera del personale appartenente ai ruoli marescialli delle tre Forze armate con quelle del personale del ruolo ispettori dell’Arma dei Carabinieri. Successivamente si è provveduto ad estendere il medesimo allineamento ai marescialli aiutanti appartenenti al ruolo ispettori del Corpo della guardia di finanza.
Soffermandoci brevemente sulle politiche di bilancio, si ricorda che lo stato di previsione del Ministero della difesa (tabella 12) è strutturato in sette Centri di responsabilità (Gabinetto, Bilancio e affari finanziari, Segretario Generale, Esercito, Marina, Aeronautica e Carabinieri), che a loro volta si suddividono in 58 unità previsionali di base. Il bilancio della Difesa comprende, oltre alle spese connesse all’attività propria delle Forze armate (funzione Difesa), anche le spese per l’Arma dei carabinieri (funzione Sicurezza pubblica), quelle per la corresponsione del trattamento provvisorio di pensione del personale militare (Pensioni provvisorie, che per le altre amministrazioni sono direttamente a carico del Tesoro), e altre tipologie di spesa non direttamente correlate ai compiti istituzionali. Pertanto, soltanto le spese per la funzione Difesa sono specificamente finalizzate ai compiti strettamente militari.
Si rileva, in particolare, che le risorse destinate alle esigenze delle tre Forze armate, che rappresentavano circa il 71,7% del bilancio del Ministero della difesa, nel 2005, sono state ridotte al 68,1% nel 2006.
Il rapporto Funzione Difesa/PIL, pari all’1,038% nel 2001, ha visto un modesto incremento nel triennio successivo: 1,084% nel 2002; 1,061% nel 2003; 1,047% nel 2004. Tale tendenza ha poi subito una sensibile flessione nel 2005, quando il rapporto Funzione difesa/PIL si è collocato allo 0,985% ed un ulteriore decremento nelle previsioni 2006, con uno 0,843%[78].
Per quanto riguarda la spesa pro-capite nella funzione Difesa, la media italiana resta stabile nell’ambito degli stessi Paesi europei, pur risultando la più bassa: nel 2005 tale spesa è stata di 234 € (224 nel 2001), mentre in Germania è stata pari a 294 € (297 nel 2001), in Francia a 457 € (425 nel 2001) e in Gran Bretagna a 648 € (631 nel 2001).
Lo stanziamento complessivo del bilancio del Ministero della difesa previsto per il 2006 ammonta 17.782 milioni € circa (- 6,5% rispetto all’esercizio precedente).
In particolare, le spese correnti[79], che ammontano a 16.320,65 milioni €, rappresentano il 91,8% delle spese totali, (contro il 86,7% del 2005) , mentre le spese in conto capitale, finalizzate agli investimenti, assommano a 1.461,52 milioni €, pari all’8,2% delle risorse complessive (rispetto al 13,3% dell’anno precedente).
Nell’ambito della spesa relativa alla funzione Difesa (Forze Armate) sono destinati stanziamenti pari a 12.106,7 milioni €. Il 72,3% di tali risorse è destinato alle spese per il personale (contro il 46,7% del 2001); il 15,2% alle spese per esercizio (erano pari al 27,6% nel 2001); il 12,5% alla ricerca e allo sviluppo (contro il 25,7 del 2001).
Le spese per la Difesa (Forze armate) e la Sicurezza pubblica (Arma dei carabinieri) esauriscono la quasi totalità delle risorse del bilancio 2006, rappresentandone, rispettivamente, circa il 68,1% e il 29,6%.
La condizione giuridica dello straniero è stata oggetto, nella XIV legislatura, di importanti modifiche ad opera della L. 189/2002[80], la c.d. “legge Bossi-Fini”, che ha modificato in più punti il testo unico vigente in materia (D.Lgs. 286/1998[81]).
La principale finalità perseguita dalla riforma è quella di permettere la duratura permanenza sul territorio nazionale dello straniero soltanto in relazione all’effettivo svolgimento di un’attività lavorativa. A tale scopo, essa condiziona il rilascio del permesso di soggiorno per lavoro subordinato alla sottoscrizione di un contratto di soggiorno – previamente stipulato conun datore di lavoro in Italia presso lo sportello unico per l’immigrazione – il quale deve contenere la garanzia, da parte del datore di lavoro, della disponibilità di un’adeguata sistemazione alloggiativa per il dipendente e l’impegno al pagamento delle spese di viaggio per il suo rientro nel Paese di provenienza.
Forma altresì oggetto di attenzione la programmazione di attività di formazione professionale e di istruzione da svolgersi nei Paesi di origine.
Al fine di contrastare le immigrazioni clandestine e i relativi traffici, la riforma inasprisce l’apparato delle sanzioni penali, generalizza il ricorso all’espulsione mediante accompagnamento coatto alla frontiera e ne modifica vari aspetti procedurali, inasprendo tra l’altro le pene per lo straniero espulso che rientri illegalmente nel territorio dello Stato.
La disciplina in materia di espulsioni è stata in seguito modificata dal D.L. 241/2004[82] anche a seguito di due sentenze della Corte costituzionale (222 e 223/2004). L’art. 3 del D.L. 144/2005[83] ha successivamente introdotto la nuova fattispecie di espulsione per motivi di prevenzione del terrorismo, sottoposta in parte ad un regime diverso dalle altre forme di espulsione.
Tra le altre misure introdotte dalla “Bossi-Fini” si può ricordare l’istituzione di un Comitato per il coordinamento ed il monitoraggio dell’attuazione delle norme contenute nel testo unico; l’introduzione di alcune limitazioni alla disciplina dei ricongiungimenti familiari; la regolarizzazione dei cittadini stranieri in posizione irregolare che svolgono le mansioni di collaboratori domestici e di prestatori di assistenza familiare. Con un provvedimento di poco posteriore, il D.L. 195/2002[84], la possibilità di legalizzazione è stata estesa anche agli altri lavoratori. In base ai due provvedimenti sono stati regolarizzati nel 2003 oltre 630.000 lavoratori stranieri.
La riforma è diventata pienamente operativa con l’adozione, tra il 2003 e la fine del 2004, dei previsti regolamenti attuativi.
La L. 189/2002 è intervenuta anche in materia di diritto di asilo, con specifiche misure principalmente volte ad evitare che l’asilo sia impropriamente utilizzato per aggirare le disposizioni sull’immigrazione. Una proposta di riforma organica dell’intera disciplina dell’asilo è stata anch’essa affrontata e discussa in ambito parlamentare (AA.C. 1238 e abb., esaminate dalla I Commissione della Camera), senza però pervenire all’approvazione di un testo definitivo.
Una serie di proposte di legge di revisione costituzionale, il cui iter si è interrotto, anche in questo caso, con la fine della legislatura, erano volte ad estendere agli stranieri non comunitari alcuni diritti politici finora a loro preclusi, e in primo luogo il diritto di voto (e in alcune proposte, l’elettorato passivo) in via generale ovvero per le sole elezioni amministrative (AA.C. 1464 e abb.).
Va inoltre ricordato l’inizio della discussione parlamentare circa la riforma dell’accesso alla cittadinanza, inteso quale principale strumento di integrazione e di possibilità di godimento dei diritti garantiti dall’ordinamento (AA.C. 204 e abb.-A).
La questione del principio della parità tra i sessi è stata in primo luogo affrontata con riguardo al tema della promozione dell’accesso delle donne alle cariche elettive, con l’obiettivo di incrementare il tasso di partecipazione femminile alla vita politica e istituzionale del Paese.
Un intervento normativo di rilievo, in materia, è costituito dalla modifica apportata all’art. 51, primo comma, della Costituzione: tale disposizione, che stabilisce il principio della parità dei sessi nell’accesso agli uffici pubblici e alle cariche elettive è stata integrata dalla L.Cost. 1/2003[85] nel senso di prevedere l’adozione di appositi provvedimenti per la promozione delle pari opportunità tra donne e uomini.
Con la rinnovata disposizione costituzionale viene fornita una copertura costituzionale all’introduzione di “azioni positive” volte a incoraggiare l’accesso del sesso sottorappresentato alle funzioni pubbliche e alle cariche elettive.
Una prima attuazione di tale principio si rinviene nella L. 90/2004[86] che, con esclusivo riferimento alle elezioni per il Parlamento europeo e limitatamente alle prime due elezioni successive all’entrata in vigore della legge, introduce il principio dell’inammissibilità delle liste elettorali nelle quali non siano presenti candidati di entrambi i sessi e stabilisce che nelle liste presentate, nessuno dei due sessi possa essere rappresentato in misura superiore ai due terzi dei candidati presenti nella lista. Per i partiti o movimenti che non abbiano rispettato questa disposizione si prevede una riduzione del rimborso delle spese elettorali, che va a vantaggio dei partiti o movimenti per i quali la quota dei candidati eletti di ciascuno dei due sessi sia superiore a un terzo del totale.
Disposizioni analoghe a quelle vigenti per l’elezione del Parlamento europeo sono state previste anche per le elezioni politiche e amministrative dal disegno di legge del Governo recante Disposizioni in materia di pari opportunità tra uomini e donne nell’accesso alle cariche elettive, approvato l’8 febbraio 2006 dal Senato in prima lettura (A.S. 3660). Tuttavia, nonostante la trasmissione alla Camera dei deputati, lo scioglimento anticipato delle Camere avvenuto l’11 febbraio non ha consentito di procedere all’esame del provvedimento.
Nell’ultima parte della legislatura, il Governo ha trasmesso alle Camere per il prescritto parere lo schema di Codice delle pari opportunità tra uomo e donna, in attuazione della delega per il riassetto normativo del settore da ultimo contenuta nell’art. 6 della L. 246/2005.
Sotto il diverso profilo della promozione delle pari opportunità e della non discriminazione sui luoghi di lavoro (su cui v. l’area tematica Tutela dei lavoratori, sindacati e sicurezza nel lavoro) si segnala tra l’altro come la L. 145/2002[87], di riordino della dirigenza statale, abbia esteso espressamente alla dirigenza le forme di tutela della parità dei sessi nella pubblica amministrazione previste nel testo unico sul pubblico impiego.
In recepimento della disciplina comunitaria in materia di tutela contro ogni forma di discriminazione legata all’orientamento sessuale, alla religione, alle convinzioni personali, all’handicap, all’età, sono stati adottati due decreti legislativi (D.Lgs. 215 e 216/2003) recanti disposizioni volte a garantire la non discriminazione; il primo in generale, il secondo in materia di lavoro. Il più recente D.Lgs. 145/2005 dà attuazione alla normativa comunitaria in materia di parità tra uomini e donne in materia di lavoro e di formazione e promozione professionali.
Va infine ricordata la riforma complessiva della Commissione per le pari opportunità tra uomo e donna operante presso il Dipartimento per le Pari opportunità della Presidenza del Consiglio, effettuata dal D.Lgs. 226/2003; con D.P.C.M. 11 dicembre 2003 si è poi provveduto alla costituzione, nell’ambito del medesimo dipartimento, dell’Ufficio per la promozione della parità di trattamento e la rimozione delle discriminazioni fondate sulla razza o sull’origine etnica.
Fra il 2002 e il 2005 la Camera dei deputati ha discusso un disegno di legge governativo (congiuntamente a due progetti di iniziativa parlamentare) recante norme in materia di libertà religiosa. Il testo (A.C. 2531 e abb.) ripropone, con alcune modifiche, quello di un progetto di legge del precedente Governo non pervenuto ad approvazione definitiva nella XIII legislatura.
Superando la dizione di “culti ammessi nello Stato”, rappresentativa della concezione pre-costituzionale fatta propria dalla L. 1159/1929, il progetto di riforma dava attuazione ai princìpi costituzionali in materia, con particolare riferimento all’art. 8, il quale, oltre a sancire il principio di eguale libertà di tutte le confessioni religiose, riconosce alle confessioni religiose diverse da quella cattolica (anche in assenza di intese con lo Stato) il diritto di organizzarsi sulla base dei propri statuti, purché questi non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano. Il progetto mirava pertanto a:
dettare i princìpi generali in materia di libertà di coscienza e di religione;
definire la posizione giuridica delle confessioni e associazioni religiose;
dotare di una base legislativa la materia della stipulazione delle intese tra lo Stato e le confessioni religiose, finora disciplinata soltanto dalla prassi.
Il testo approvato dalla I Commissione della Camera il 9 aprile 2003 è stato rinviato in Commissione dall’Assemblea il successivo 24 giugno; la Commissione ha concluso il nuovo esame in sede referente il 13 aprile 2005, ma il progetto è rimasto in stato di relazione per l’Assemblea sino al momento dello scioglimento delle Camere.
Sul finire della legislatura, la I Commissione della Camera ha inoltre avviato l’esame di due disegni di legge di iniziativa del Governo volti a recepire alcune circoscritte modifiche alle intese già stipulate con la Tavola valdese (A.C. 5983) e con L’Unione italiana delle Chiese cristiane avventiste del 7° giorno (A.C. 5085). Entrambi i provvedimenti non sono giunti all’esame dell’Assemblea.
Di poco preceduto dal D.P.C.M. 453/2001[88], recante il regolamento generale di disciplina per gli obiettori di coscienza, nella prima parte della legislatura è intervenuto il D.Lgs. 77/2002[89] che, dando attuazionealla delega recata dalla L. 64/2001, ha disciplinato il Servizio civile nazionale, definendo in particolare l’individuazione degli organi competenti in materia, i requisiti e le modalità di accesso e di svolgimento del servizio, la programmazione e gestione delle risorse finanziarie, la natura del rapporto di servizio civile e il relativo trattamento economico e giuridico, la formazione dei giovani assegnati al servizio civile, la valorizzazione del servizio prestato ai fini dello sviluppo formativo e dell’inserimento nel mondo del lavoro, la disciplina del periodo transitorio.
In correlazione con tale disciplina, l’art. 3 della L. 3/2003[90], di poco successiva, sopprimeva l’Agenzia per il servizio civile (prevista dall’art. 10, co.7-9, del D.Lgs. 303/1999[91], ma di fatto mai istituita), con ciò confermando il mantenimento dei compiti di organizzazione, attuazione e svolgimento del Servizio civile in capo all’Ufficio nazionale per il servizio civile, istituito presso la Presidenza del Consiglio. I D.P.R. 31 luglio 2003 e 12 dicembre 2003 provvedevano in seguito alla riorganizzazione di tale ufficio.
Fatte salve alcune disposizioni, il complesso delle norme recate dal D.Lgs. 77/2002 era destinato ad entrare in vigore dal 1° giugno 2004, ma il termine è stato prorogato, da ultimo, al 1° gennaio 2006 dal D.L. 266/2004[92]. Nel frattempo, l’art. 12 del D.L. 115/2005[93], nel disporre la cessazione anticipata del servizio militare di leva, disponeva analogamente che anche il personale che svolge servizio civile sostitutivo (ex art. 1, co. 104, della L. 662/1996) potesse presentare domanda per cessare anticipatamente dal servizio di leva a decorrere dal 1º luglio 2005.
Modifiche e integrazioni a vari aspetti della disciplina recata dal D.Lgs. 77/2002 sono state introdotte dal citato D.L. 266/2004[94] e, più ampiamente, dal successivo D.L. 7/2005.
Tra i vari progetti di legge concernenti i diritti e le libertà fondamentali, che non hanno concluso il loro iter nel corso della XIV legislatura, si ricordano:
§ il testo unificato di tre proposte di legge (anche di iniziativa di esponenti dell’opposizione) istitutive di un’autorità indipendente, denominata Garante dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale, chiamata a vigilare (in concorso con il magistrato di sorveglianza) sul rispetto delle norme poste a tutela dei detenuti, degli internati e dei soggetti sottoposti a custodia cautelare in carcere, anche rispondendo alle istanze e ai reclami che gli vengano rivolti dagli internati e dai detenuti (A.C. 411 e abb.-A);
§ il testo unificato di cinque progetti di legge (uno governativo e quattro di iniziativa parlamentare) recanti l’autorizzazione alla ratifica e varie norme di esecuzione della Carta europea delle lingue regionali o minoritarie, fatta a Strasburgo il 5 novembre 1992. Approvato dalla Camera (A.C. 1723 e abb.), il testo è stato licenziato dalle Commissioni riunite 1ª e 3ª per l’Assemblea del Senato, che ne ha deliberato il rinvio in Commissione il 1° marzo 2006.
Dopo la conclusione del primo programma adottato in materia di libertà, sicurezza e giustizia dal Consiglio europeo di Tampere del 1999, il Consiglio europeo, nella riunione del 5 novembre 2004, ha adottato un nuovo programma pluriennale per il rafforzamento dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia nell’Unione europea, il cosiddetto programma dell’Aja.
Il 2 giugno 2004 la Commissione ha presentato una comunicazionedi bilanciodel programma quinquennale di Tampere (COM(2004)401), nella quale notava che, pur essendo stati realizzati sostanziali progressi nella maggior parte dei settori individuati, il livello di ambizione iniziale del programma è stato limitato da costrizioni di tipo istituzionale e talvolta anche da un consenso politico insufficiente.
Una comunicazione della Commissione “Il programma dell’Aja: dieci priorità per i prossimi cinque anni – Partenariato per rinnovare l’Europa nel campo della libertà, sicurezza e giustizia” (COM(2005)184) definisce un piano d’azione per concretizzare gli obiettivi e le priorità del programma.
La comunicazione individua dieci aree sulle quali, secondo la Commissione, dovrebbero essere concentrati gli sforzi nei prossimi cinque annie contiene un calendario per l’adozione del pacchetto di politiche e iniziative europee in materia.
Le aree individuate sono le seguenti: diritti fondamentali e cittadinanza; lotta al terrorismo; istituzione di un sistema comune di asilo; gestione dell’immigrazione; integrazione dei migranti; frontiere interne, frontiere esterne e visti; tutela della privacy e della sicurezza nella condivisione di informazioni; lotta alla criminalità organizzata; sviluppo di uno spazio giudiziario penale e civile europeo; condivisione di responsabilità e solidarietà tra Stati membri.
Entro il 1° novembre 2006 (data inizialmente prevista per l’entrata in vigore del Trattato costituzionale, il cui processo di ratifica è attualmente sospeso) il Consiglio europeo, su proposta della Commissione, effettuerà una valutazione dei progressi realizzati e adotterà le integrazioni necessarie al programma.
La Commissione presenterà inoltre relazioni annuali sull’attuazione del programma dell’Aja. Tali relazioni verranno sottoposte al Consiglio, al Parlamento europeo e ai Parlamenti nazionali.
Di seguito si fornisce una sintesi delle principali misure previste dal programma dell’Aja del Consiglio e dal piano d’azione adottato sulla base della comunicazione della Commissione:
Diritti fondamentali e cittadinanza dell’Unione
In questo settore l’obiettivo è quello di garantire lo sviluppo di politiche in grado di controllare e promuovere il rispetto dei diritti fondamentali e di migliorare l’esercizio dei diritti che la cittadinanza europea conferisce ai cittadini dell’Unione
A tal fine, il 30 giugno 2005, la Commissione ha presentato una proposta di regolamento e una proposta di decisione relative all’istituzione di un’Agenzia dei diritti fondamentali dell’Unione europea (COM(2005)280), finalizzata a creare a livello di Unione europea un centro di expertise sulle questioni relative ai diritti fondamentali. La Commissione è impegnata in particolare a tutelare i diritti dei minori e a combattere la violenza contro le donne.
Le due proposte saranno esaminate dal Parlamento europeo presumibilmente a settembre 2006, secondo la procedura di consultazione.
Inoltre, il 6 aprile 2005 la Commissione ha presentato una comunicazione (COM(2005)122-1) relativa all’istituzione di un programma quadro sui diritti fondamentali e la giustizia per il periodo 2007-2013 e quattro proposte di decisione che, nell’ambito del medesimo programma quadro, mirano a stabilire altrettanti programmi specifici:
§ il programma “Lotta contro la violenza (Dafne) e prevenzione delle droghe” 2007-2013 (COM(2005)122-2);
§ il programma “Diritti fondamentali e cittadinanza” 2007-2013 (COM(2005)122-3);
§ il programma “Giustizia penale” 2007-2013 (COM(2005)122-4);
§ il programma “Giustizia civile” 2007-2013 (COM(2005)122-5).
Le quattro proposte, che seguono la procedura di consultazione, dovrebbero essere esaminate dal Parlamento europeo nella riunione del 13 giugno 2006.
Lotta al terrorismo
Il rafforzamento della sicurezza dell’Unione ha acquisito particolare urgenza alla luce degli attentati terroristici del settembre 2001 negli Stati Uniti e di Madrid del marzo 2004.
La prevenzione e il contrasto del terrorismo sono considerati elementi chiave del programma. A breve termine, dovranno essere attuate le misure previste nella dichiarazione del Consiglio europeo del 25 marzo 2004 e nel piano d’azione dell’UE per la lotta contro il terrorismo. Verrà inoltre garantita protezione ed assistenza alle vittime del terrorismo. Come previsto dal programma, il Consiglio del 2 dicembre 2005 ha approvato una strategia e un piano d’azione per combattere la radicalizzazione e il reclutamento delle organizzazioni terroristiche.
Dal 1º gennaio 2005 una “cellula comune” del Consiglio dell’UE fornisce al Consiglio stesso analisi strategiche della minaccia terroristica basate sulle informazioni trasmesse dai servizi di sicurezza e di intelligence degli Stati membri e dall’Europol.
Il 19 maggio 2005 la Commissione ha presentato una comunicazione (COM(2005)124-1) relativa all’istituzione di un programma quadro “Sicurezza e protezione delle libertà” per il periodo 2007-2013 e due proposte di decisione che, nell’ambito del medesimo programma quadro, mirano a stabilire i due programmi specifici: “Prevenzione, preparazione e gestione delle conseguenze in materia di terrorismo” (COM(2005)124-2); “Prevenzione e lotta alla criminalità” (COM(2005)124-3).
Le proposte, che seguono la procedura di consultazione, dovrebbero essere esaminate dal Parlamento europeo nella riunione del 13 giugno 2006.
Politica in materia di asilo
In materia di asilo l’obiettivo è l’instaurazione, entro il 2010, di una procedura comune e di uno status uniforme per i cittadini di paesi terzi che hanno ottenuto l’asilo o che, necessitando di protezione internazionale pur non potendo ottenere il beneficio dell’asilo, hanno ottenuto una protezione sussidiaria. Il regime sarà basato sulla piena applicazione della Convenzione di Ginevra del 1951 relativa allo status dei rifugiati e degli altri trattati pertinenti.In tale contesto la Commissione presenterà uno studio sul trattamento comune delle domande di asilo all’interno dell’Unione. Uno studio distinto esaminerà l’opportunità e la fattibilità del trattamento comune delle domande di asilo all’esterno del territorio dell’UE.
La Commissione svilupperà programmi di protezione regionali dell’UE nel quadro di un partenariato con ipaesi terzi interessati ed avvierà programmi pilota di protezione.
Il 2 maggio 2005 la Commissione ha presentato una comunicazione (COM(2005)123-1) relativa all’istituzione di un programma quadro “Solidarietà e gestione dei flussi migratori” per il periodo 2007-2013 e quattro proposte di decisione che, nell’ambito del programma quadro citato, mirano a stabilire altrettanti fondi specifici:
§ il fondo europeo per i rifugiati 2008-2009 (COM(2005)123-2);
§ il fondo europeo per le frontiere esterne 2007-2013 (COM(2005)123-3);
§ il fondo europeo per l’integrazione dei cittadini di Paesi terzi 2007-2013 (COM(2005)123-4);
§ il fondo europeo per il ritorno 2007-2013 (COM(2005)123-5).
Le proposte, che seguono la procedura di consultazione, dovrebbero essere esaminate dal Parlamento europeo nella riunione del 13 giugno 2006.
Immigrazione
La novità più rilevante è la decisione di applicare, dal 1° gennaio 2005, la procedura legislativa ordinaria – basata sulla codecisione con il Parlamento europeo e la maggioranza qualificata per le decisioni in seno al Consiglio dei ministri – per le misure concernenti la libertà di circolazione dei cittadini dei paesi terzi, l’immigrazione illegale nonché il soggiorno irregolare, compreso il rimpatrio. Per quanto riguarda l’immigrazione legale, si applica ancora (fino all’entrata in vigore del Trattato costituzionale) la procedura che comporta la consultazione del PE e le decisioni del Consiglio assunte all’unanimità.
A partire dalla primavera del 2005 la Commissione è tenuta ad integrare il tema della migrazione nei documenti di strategia nazionali e regionali e a presentare un programma politico in materia di migrazione legale che comprenda le procedure di ammissione; sarà perseguito un maggiore coordinamento fra le politiche nazionali di integrazione e quelle dell’UE e verranno stabiliti i principi fondamentali comuni in materia.
Il 21 dicembre 2005 la Commissione ha presentato una comunicazione (COM(2005)669) nella quale definisce le azioni e le iniziative legislative che intende intraprendere al fine di sviluppare la politica dell’UE in materia di immigrazione legale, in attuazione del programma dell’Aja (2006-2009).
La comunicazione è in attesa di esame da parte del Parlamento europeo e del Consiglio.
Integrazione dei migranti
L’obiettivo è quello di definire un quadro europeo in materia di integrazione mirante a garantire il rispetto dei valori europei, nonché a ribadire la non discriminazione.
Controllo delle frontiere
Il Consiglio e la Commissione sono invitati ad attuare una serie di misure per offrire un aiuto agli Stati membri con frontiere esterne lunghe o problematiche, o che debbano affrontare circostanze particolari e impreviste. Non è prevista la creazione di un corpo europeo di guardie di frontiera di cui sarà valutata la fattibilità, facendo seguito agli studi già effettuati su impulso della Presidenza italiana. Verrà inoltre istituita una politica in materia di allontanamento e rimpatrio basata su norme comuni.
L’elaborazione di una politica dei visti efficace dovrebbe essere agevolata grazie al sistema di informazione sui visti (VIS) in via di realizzazione. A tale scopo, occorrerà intensificare la cooperazione fra gli Stati membri per creare centri comuni di trattamento delle richieste di visto, che potrebbero rappresentare un primo passo verso l’allestimento di un futuro servizio consolare europeo comune.
Gli identificatori biometrici saranno integrati nei documenti di viaggio, nei visti, nei permessi di soggiorno, nei passaporti dei cittadini dell’UE e nei sistemi d’informazione e verranno predisposte norme minime per le carte d’identità nazionali.
Condivisione delle informazioni
In questo ambito si mira ad ottenere un giusto equilibrio fra sicurezza e tutela della privacy in sede di scambio di informazioni fra autorità giudiziarie e di polizia.
Dal 1º gennaio 2008 lo scambio di informazioni di questo tipo dovrebbe essere disciplinato tenendo conto del principio di disponibilità: in base a tale principio, un ufficiale di uno Stato membro può richiedere le informazioni di cui necessita ad un altro Stato membro, che è tenuto a trasmettergliele per i fini dichiarati.
Lotta alla criminalità organizzata
Per contrastare la criminalità organizzata verrà elaborata ed attuata una strategia che comprenderà misure destinate a migliorare la conoscenza del fenomeno e a potenziare la prevenzione, l’attività investigativa e la cooperazione di polizia all’interno dell’Unione, sfruttando appieno le potenzialità di Europol e di Eurojust.
La strategia dovrà altresì privilegiare un’intensa cooperazione con i paesi terzi e con le organizzazioni internazionali.
Cooperazione giudiziaria in materia penale e in materia civile
Si prevede di completare l’attuazione del principio del reciproco riconoscimento delle decisioni penali deciso a Tampere. In particolare, per instaurare la fiducia reciproca si punta a ravvicinare vari aspetti del diritto procedurale penale (principio del ne bis in idem, regime probatorio, sentenze contumaciali etc.) ed a istituire norme minime.
Il Consiglio esaminerà, alla luce delle proposte della Commissione, l’ulteriore sviluppo dell’Eurojust.
Il completamento entro il 2011 dell’attuazione del programma di misure sul reciproco riconoscimento costituisce la priorità dei prossimi anni in materia di cooperazione giudiziaria civile. Verrà inoltre effettuato un riesame del funzionamento degli strumenti recentemente adottati in materia di cooperazione giudiziaria civile in vista della preparazione di nuove misure.
In materia di diritto contrattuale, la qualità della vigente e futura normativa dell’UE dovrebbe essere migliorata con misure di consolidamento, codificazione e razionalizzazione degli strumenti giuridici in vigore e con la definizione di un quadro comune di riferimento.
Condivisione di responsabilità e solidarietà tra Stati membri
Al fine di definire, anche in termini di risorse finanziarie, i concetti di corresponsabilità e solidarietà fra Stati membri, la Commissione ha presentato i programmi-quadro Sicurezza e protezione delle libertà (COM(2005)124-1), Diritti fondamentali e giustizia (COM(2005)122-1) e Solidarietà e gestione dei flussi migratori (COM(2005)123-1), che stabiliscono gli strumenti politici e finanziari nei rispettivi settori per il periodo 2007-2013.
In attuazione del programma dell’Aja e del piano d’azione, alla data del 31 marzo 2006, la Commissione ha complessivamente presentato circa venti proposte di atti legislativi comunitari.
Si veda il paragrafo Pari opportunità riportato nell’area tematica Occupazione, lavoro e professioni.
La legge 3 ottobre 2001, n. 366, ha conferito al Governo delega legislativa per la riforma organica della disciplina delle società di capitali e cooperative, la disciplina degli illeciti penali e amministrativi riguardanti le società commerciali, nonché per l’adozione di nuove norme sulla procedura per la definizione dei procedimenti in materia societaria, bancaria e dell’intermediazione finanziaria.
La delega relativa alla riforma della disciplina degli illeciti penali e amministrativi riguardanti le società commerciali è stata separatamente esercitata con il decreto legislativo 11 aprile 2002, n. 61, entrato in vigore il 16 aprile 2002.
Il provvedimento ha sostituito interamente il titolo XI del libro V del codice civile (articoli da 2621 a 2642), contenente le disposizioni penali in materia di società e di consorzi, intervenendo a modificare fattispecie di reato in esso comprese, introducendone di nuove e prevedendo espressamente cause di non punibilità, di estinzione del reato e circostanze attenuanti in casi particolari.
La riforma del diritto penale societario appare riconducibile ad alcuni princìpi ispiratori: una forte esigenza deflativa dell’intervento penale; l’abbandono del modello del “pericolo presunto” nella configurazione delle fattispecie penali; l’introduzione della responsabilità amministrativa delle società, punita con sanzione pecuniaria, in caso di reato commesso nell’interesse della società da esponenti di essa o da persone sottoposte alla loro vigilanza; l’estensione delle qualifiche soggettive attraverso la formalizzazione della figura dell’amministratore di fatto; l’introduzione, per molti reati, della procedibilità a querela della persona offesa del reato; la previsione, in alcune ipotesi, della possibilità di estinguere il reato mediante il risarcimento del danno prima del giudizio o mediante il ripristino dello status quo ante, nonché di una speciale circostanza attenuante per fatti di particolare tenuità.
Con particolare riferimento al reato di false comunicazioni sociali, le novità più significative introdotte attengono alla previsione di due distinte fattispecie di reato – qualificate l’una come delitto, l’altra come contravvenzione – a seconda che la condotta illecita abbia o meno cagionato un danno patrimoniale ai soci o ai creditori; alla qualificazione dell’elemento psicologico del reato come dolo specifico; alla previsione di particolari requisiti di idoneità della condotta; all’accoglimento della cosiddetta clausola di minima rilevanza, anche attraverso la previsione di soglie quantitative.
Gli articoli 2621 e 2622 del codice civile, relativi alle false comunicazioni sociali, hanno subìto modifiche ad opera dell’articolo 30 della legge 28 dicembre 2005, n. 262 (Disposizioni per la tutela del risparmio e la disciplina dei mercati finanziari). Per quanto attiene alla fattispecie di false comunicazioni sociali, oltre ad un lieve innalzamento dell’ammontare massimo della pena detentiva irrogabile, vengono stabilite sanzioni amministrative pecuniarie e interdittive applicabili nei casi in cui la punibilità sia esclusa in forza della minima rilevanza e delle soglie quantitative. Per quanto attiene alla fattispecie di false comunicazioni sociali in danno della società, dei soci o dei creditori, viene invece disposto un consistente aumento di pena (reclusione da due a sei anni) nell’ipotesi in cui il fatto, posto in essere da una società quotata in borsa, abbia cagionato un grave nocumento ai risparmiatori, sulla base di parametri appositamente definiti. Anche per tale ipotesi vengono stabilite sanzioni amministrative pecuniarie e interdittive applicabili nei casi in cui la punibilità sia esclusa in forza della minima rilevanza e delle soglie quantitative. È stata inoltre elevata la misura delle sanzioni previste dalla legislazione speciale in materia di vigilanza bancaria, assicurativa e finanziaria e sono state introdotte alcune nuove fattispecie sanzionate penalmente o in via amministrativa.
Per la parte relativa alla riforma della disciplina delle società, la delega è stata attuata con il decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 6, recante la riforma organica della disciplina delle società di capitali e delle società cooperative, entrato in vigore il 1° gennaio 2004[95].
La legge di delega richiedeva la semplificazione della disciplina delle società di capitali, l’ampliamento degli ambiti dell’autonomia statutaria, la previsione di modelli societari adeguati alle esigenze delle imprese – distintamente per la società a responsabilità limitata e la società per azioni o in accomandita per azioni – e la disciplina dei gruppi di società.
In particolare, per le società a responsabilità limitata, si richiedeva un’ampia autonomia statutaria con libertà di forme organizzative, nel rispetto del principio di certezza nei rapporti con i terzi, l’individuazione dei limiti oltre i quali è obbligatorio un controllo legale dei conti, la determinazione di condizioni e limiti per l’emissione e il collocamento di titoli di debito presso operatori qualificati, con divieto di appello diretto al pubblico risparmio e di sollecitazione all’investimento in quote di capitale. Le nuove norme hanno quindi accentuato l’elemento personale nella disciplina dell’istituto, attribuito più estesi spazi all’autonomia contrattuale circa la scelta degli amministratori, il metodo di amministrazione, le competenze rispettive di questi e dei soci. È stata introdotta la possibilità di emettere titoli di debito, che possono essere tuttavia sottoscritti soltanto da investitori professionali, con garanzia di solvenza a carico dell’intermediario nel caso di trasferimento a investitori non professionali.
Per le società per azioni si prevedevano un modello di base unitario e regole caratterizzate da un maggiore grado di imperatività nei casi di ricorso al mercato del capitale di rischio. In quest’ipotesi il controllo sull’amministrazione andava distinto dal controllo contabile, affidato a un revisore esterno. Era contemplata la possibilità di costituzione della società da parte di un unico socio, con adeguate garanzie per i creditori. Si prescriveva l’aumento della misura minima del capitale, consentendo la costituzione di patrimoni dedicati ad uno specifico affare separati giuridicamente e contabilmente dal patrimonio della società; accanto alle azioni, era prevista la possibilità di emettere strumenti finanziari non partecipativi e partecipativi dotati di diversi diritti patrimoniali e amministrativi; si stabiliva l’attenuazione o la rimozione dei limiti quantitativi all’emissione di obbligazioni. In materia di amministrazione e controllo, oltre all’estensione del controllo contabile, si prevedevano, accanto al modello tradizionale, i nuovi modelli dualistico e monistico.
Le norme di attuazione hanno comportato un’estesa rielaborazione della disciplina. Fra le disposizioni più innovative si richiamano la possibilità di emettere strumenti finanziari (che possono essere destinati anche ai dipendenti) forniti di diritti patrimoniali ovvero anche amministrativi, escluso il voto nell’assemblea generale; l’estensione dell’autonomia statutaria nel configurare i differenti diritti conferiti alle categorie di azioni; la regolamentazione dei patti parasociali aventi ad oggetto l’esercizio del diritto di voto o di un’influenza dominante ovvero la limitazione del trasferimento delle azioni (fuori dei casi già contemplati dalla legislazione speciale per le società quotate). Circa la struttura delle società, la riforma ha introdotto, accanto al modello tradizionale, caratterizzato da un consiglio di amministrazione e un collegio sindacale), due nuovi modelli: 1) dualistico, con un consiglio di gestione, nominato dal consiglio di sorveglianza, a sua volta eletto dall’assemblea; 2) monistico, con un consiglio di amministrazione avente al proprio interno un comitato per il controllo sulla gestione, composto in maggioranza da amministratori indipendenti non esecutivi. Il controllo contabile è stato attribuito di norma a un revisore ovvero (obbligatoriamente in caso di ricorso al mercato del capitale di rischio) a una società di revisione, che debbono verificare anche la corretta rilevazione delle scritture contabili. Innovazioni sono state apportate anche in materia di gestione, di responsabilità degli amministratori e di legittimazione alla denunzia al tribunale in caso di irregolarità. Si è intervenuti, infine, in materia di emissione di obbligazioni aumentando il limite e regolando la cessione a investitori non professionali.
Per le società cooperative (esclusi i consorzi agrari, le banche popolari, le banche di credito cooperativo e gli istituti della cooperazione bancaria in genere), in relazione alla funzione sociale e allo scopo mutualistico di esse, si richiedeva la definizione della cooperazione costituzionalmente riconosciuta in rapporto alle caratteristiche di mutualità prevalente, riservando a questa l’applicazione delle disposizioni fiscali di carattere agevolativo (mentre gli altri benefìci spettano indistintamente a tutte le cooperative). Nel caso di cooperative diverse da quelle a mutualità prevalente, era prevista una disciplina speciale riferita alla diversa qualità dei soci e degli strumenti emessi; la semplificazione dei procedimenti di trasformazione in società lucrativa, fermo l’obbligo di devolvere il patrimonio ai fondi mutualistici; l’estensione del controllo giudiziario. Era contemplata l’introduzione del gruppo cooperativo. La riforma – pur conservando un inquadramento normativo unitario per tutte le cooperative – ha quindi individuato il carattere della cooperazione costituzionalmente riconosciuta nella prevalenza quantitativa dell’attività mutualistica con i soci, fermo restando il requisito della non lucratività. Gli interventi hanno interessato la posizione dei soci, i modelli di amministrazione, la disciplina delle riserve, le ipotesi di perdita della qualifica di cooperativa a mutualità prevalente e di volontaria trasformazione in società lucrativa o consorzio, nonché di insolvenza. Infine, è stata regolata la vigilanza sulle cooperative, introducendosi, accanto alla vigilanza amministrativa che rimane preminente, la possibilità di controllo giudiziario mediante denunzia dei soci al tribunale.
La riforma della disciplina del bilancio – oltre al chiarimento delle regole sulla formazione e utilizzazione delle poste del patrimonio netto e alla regolazione del trattamento di varie operazioni finanziarie (fra cui strumenti derivati, pronti contro termine, locazione finanziaria) – ha avuto ad oggetto l’eliminazione delle interferenze prodotte dalla normativa fiscale sul reddito d’impresa; l’impiego dei princìpi contabili internazionali per il bilancio consolidato; la determinazione dei casi in cui fossero ammessi uno schema abbreviato di bilancio e un conto economico semplificato.
In materia di trasformazioni, fusioni e scissioni si prevedeva la semplificazione dei procedimenti, con favore verso la trasformazione delle società di persone in società di capitali; regole specifiche erano richieste per le fusioni eterogenee e per quelle tra società, una delle quali abbia contratto debiti per acquisire il controllo dell’altra.
L’accelerazione e la semplificazione delle procedure di scioglimento e liquidazione si accompagnava – nella legge di delega – alla previsione di condizioni, limiti e modalità per la conservazione dell’eventuale valore dell’impresa. A quest’effetto, le norme delegate, oltre a precisare il momento in cui hanno effetto le cause di scioglimento, hanno previsto la possibilità di un limitato esercizio dell’impresa sociale durante la liquidazione e ammesso la revoca dello stato di liquidazione.
La disciplina dei gruppi prevedeva princìpi di trasparenza per l’esercizio dell’attività di direzione e di coordinamento. Ciò ha condotto all’inserimento di nuove norme sulla responsabilità della società o ente che esercita la direzione o il coordinamento (anche in base a contratto o clausole statutarie), nei riguardi dei soci o dei creditori della società sottopostavi, per i danni derivanti dalla complessiva attività condotta in violazione dei princìpi di corretta gestione. Sono stati altresì introdotti obblighi di pubblicità e motivazione delle decisioni e cause specifiche di recesso.
Sono stati altresì conformati al nuovo contesto normativo i testi unici delle leggi in materia bancaria e creditizia (TUB) e delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria (TUF): specifici adeguamenti hanno riguardato in particolare la disciplina delle banche cooperative[96].
La già citata legge 28 dicembre 2005, n. 262, ha apportato ulteriori modificazioni alla disciplina delle società. È stato esteso al collegio sindacale o corrispondente organo di controllo il potere di promuovere l’azione sociale di responsabilità ed è stato ridotto a un quarantesimo del capitale il quorum per l’esercizio di essa da parte dei soci. È stato precisato il computo del limite per le emissioni obbligazionarie (e si è estesa la garanzia di solvenza dell’intermediario anche a prodotti finanziari diversi, se destinati in origine ai soli investitori professionali).
Per quanto riguarda in particolare le società con azioni quotate in mercati regolamentati, la disciplina del TUF è stata modificata prescrivendo fra l’altro che nell’organo amministrativo siedano almeno un amministratore di minoranza e – nei collegi di maggiori dimensioni – almeno un membro indipendente, che l’organo di controllo sia presieduto dal membro eletto dalla minoranza, e che la CONSOB determini limiti al cumulo degli incarichi per i sindaci o i membri dei corrispondenti organi di controllo, i cui poteri, anche individuali, sono stati accresciuti. Con disposizione per altro criticata sia in sede politica, sia dagli operatori e dalla dottrina è stato imposto il voto segreto per le elezioni alle cariche sociali. È stata introdotta la facoltà di integrazione dell’ordine del giorno dell’assemblea su richiesta di una minoranza di soci, ed è stata prevista una nuova figura di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili societari. Una specifica disciplina regolerà poi l’informazione in materia di attribuzione di azioni a esponenti aziendali, dipendenti o collaboratori. Si è adottata una rigida disciplina per le società nazionali in rapporto di controllo o di collegamento con società aventi sede in Stati esteri che non garantiscono la trasparenza societaria. Infine, in materia di revisione dei conti, è stata rideterminata la durata massima dell’incarico della società e del responsabile della revisione; sono state stabilite più rigide fattispecie d’incompatibilità e rafforzati i poteri di vigilanza e sanzionatorî della CONSOB.
Nuove norme di procedura per le controversie in materia di diritto societario e di intermediazione finanziaria nonché in materia bancaria e creditizia sono state introdotte con il decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5, entrato in vigore il 1° gennaio 2004[97].
Il provvedimento, senza incidere formalmente sul codice di procedura civile, delinea una particolare procedura applicabile alle controversie citate che, pur ispirata in linea di massima alla disciplina codicistica, si caratterizza per speditezza e semplicità di forme. La nuova disciplina appare pertanto ispirata ai princìpi della concentrazione del procedimento e della riduzione dei termini processuali, anche mediante l’affidamento della prima parte del giudizio ordinario alla libera iniziativa delle parti che la gestiscono direttamente, senza l’intervento del giudice, definendo le questioni sulle quali esso viene chiamato a decidere. La competenza per materia è quasi sempre del tribunale in composizione collegiale mentre la competenza monocratica è prevista in casi eccezionali.
La fase introduttiva del processo si svolge mediante scambi diretti di scritture difensive che, attraverso l’assegnazione di termini per la replica della controparte, precisano le rispettive posizioni di diritto e di fatto. L’atto introduttivo mantiene la forma della citazione ma non ìndica la data dell’udienza, fissata dal giudice, su istanza della parte, con un decreto indicante le questioni di rito e di merito rilevabili d’ufficio e una pronunzia sull’ammissibilità delle prove.
Viene altresì introdotto nel sistema un vero e proprio “processo contumaciale”, vengono semplificate alcune forme di notifica degli atti ed è creato un procedimento sommario, per il pagamento di somme di denaro o di consegna di cose, in esito al quale il giudice può emettere un’ordinanza di condanna immediatamente esecutiva. Sono previste anche la facoltà di ricorrere a un provvedimento cautelare “anticipatorio” senza l’obbligo d’instaurare poi il giudizio di merito, e la possibilità che il provvedimento di merito consegua a un procedimento non impostato a priori come “giudizio di merito”.
Importanti sono anche gli interventi sull’arbitrato societario, che mirano ad incrementare il ricorso a tale forma di tutela, e sulla risoluzione della lite in via conciliativa.
Va ricordato, infine, che il decreto legislativo 27 giugno 2003, n. 168, adottato in attuazione della norma di delega contenuta nell’articolo 16 della legge 12 dicembre 2002, n. 273(Misure per favorire l’iniziativa privata e lo sviluppo della concorrenza), ha istituito sezioni specializzate, a composizione collegiale, in materia di proprietà industriale e intellettuale, presso alcuni tribunali distrettuali e corti d’appello.
La materia delle procedure concorsuali (disciplinate dal regio decreto 16 marzo 1942, n. 267), che, nelle precedenti legislature, non aveva subìto interventi di riforma organica, è stata significativamente innovata nel corso della XIV legislatura.
Alcune disposizioni urgenti, in ordine all’istituto della revocatoria e alle procedure di concordato preventivo, sono state dettate dall’articolo 2, commi 1, 2 e 2 bis, del decreto legge 14 marzo 2005, n. 35, convertito dalla legge 14 maggio 2005, n. 80.
Quanto agli aspetti attinenti alla revocatoria, sono precisati i presupposti per l’esercizio dell’azione ed è inserito un regime di esenzioni. In materia di concordato preventivo, la novella modifica il titolo III del regio decreto n. 267 del 1942, aggiungendo il nuovo istituto degli “accordi di ristrutturazione”. In forza di tale nuovo istituto, al debitore è consentito di depositare un accordo raggiunto con i creditori che rappresentino almeno il 60 per cento dei crediti, allegandovi una relazione che garantisca l’attuabilità e l’idoneità dell’accordo ad assicurare il regolare pagamento dei creditori estranei. L’accordo diviene efficace trascorsi trenta giorni dalla pubblicazione nel registro delle imprese qualora né i creditori né alcun altro interessato vi si oppongano. Il provvedimento sostituisce inoltre i requisiti di meritevolezza per l’accesso al concordato. La relativa domanda di accesso dev’essere corredata da una serie di atti e indicazioni da parte del debitore. Viene inoltre modificato il ruolo del tribunale nella fase di ammissione al concordato preventivo, ed è stabilita una nuova disciplina per l’approvazione del concordato da parte dei creditori e per la relativa procedura.
Nella citata legge di conversione è stata altresì inserita una delega legislativa per la riforma dell’intera materia delle procedure concorsuali. I princìpi e criteri direttivi per la modifica della disciplina del fallimento prevedono fra l’altro che sia valorizzato il ruolo del comitato dei creditori, siano specificate le competenze professionali dei curatori, s’intervenga sulla disciplina dell’azione revocatoria, sia privilegiata la continuazione dell’esercizio dell’impresa, venga modificata la disciplina del concordato fallimentare e introdotto il nuovo l’istituto dell’esdebitazione; prescrivono l’abrogazione dell’amministrazione controllata; in favore dei crediti di rivalsa verso il cessionario previsti dalle norme relative all’imposta sul valore aggiunto, se relativi alla cessione di beni mobili, è conferito il privilegio sulla generalità dei mobili del debitore con lo stesso grado del privilegio generale di cui agli articoli 2752 e 2753 del codice civile, cui tuttavia è posposto.
Sulla base della citata norma di delega è stato quindi emanato il decreto legislativo 9 gennaio 2006, n. 5 (Riforma organica delle procedure concorsuali), i cui principali profili di novità riguardano: l’estensione dei soggetti esonerati dall’applicabilità dell’istituto del fallimento; l’accelerazione delle procedure applicabili alle controversie relative; la valorizzazione del ruolo e dei poteri del curatore fallimentare e del comitato dei creditori (a fronte del ridimensionamento di quelli del giudice delegato); la conservazione delle componenti positive dell’impresa (beni produttivi e livelli occupazionali); l’introduzione della disciplina dell’esdebitazione, cioè la liberazione del debitore dai debiti residui nei confronti dei creditori in taluni casi di buona condotta; la riduzione delle ipotesi di incapacità del fallito allo scopo di agevolarne il reinserimento sociale.
La riforma, coerentemente con la normativa comunitaria, realizza il necessario coordinamento con le altre disposizioni vigenti, e riconduce al concordato preventivo la disciplina della transazione in sede fiscale per insolvenza o assoggettamento a procedure concorsuali.
I princìpi contabili internazionali denominati “IAS/IFRS” sono princìpi contabili approvati dall’International Accounting Standards Board (IASB) e omologati dal regolamento della Commissione n. 1725/2003 del 29 settembre 2003, ai sensi del regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio n. 1606/2002 del 19 luglio 2002. Essi sono stati introdotti allo scopo di migliorare la confrontabilità dei bilanci societari per accrescere l’efficienza e l’integrazione dei mercati finanziari europei.
Per l’avvicinamento tra le normative nazionali era stata adottata dapprima la direttiva 2001/65/CE, che aveva introdotto nella disciplina dei bilanci societari la nozione di valore equo (“fair value”) per la valutazione degli strumenti finanziari, che comporta la loro iscrizione al "valore di mercato" invece che sulla base del costo storico, ritenuto più adatto a esprimere continuità ma meno efficace nel segnalare, esercizio per esercizio, la reale consistenza dell’impresa e i suoi risultati. Tale direttiva è stata recepita nell’ordinamento italiano con il decreto legislativo 30 dicembre 2003, n. 394, con decorrenza dal 1° gennaio 2005.
Successivamente, sono stati emanati il regolamento (CE) n. 1606/2002, che ha prescritto dal 1° gennaio 2005 l’uso dei princìpi contabili internazionali nei bilanci consolidati delle società quotate, lasciando agli Stati la facoltà di estendere gli obblighi e la determinazione dei soggetti obbligati, e quindi il regolamento (CE) n. 1725/2003, che ha disposto la formale adozione dei suddetti princìpi lAS nel diritto comunitario.
Le opzioni previste circa l’adozione dei princìpi contabili internazionali per i bilanci annuali delle società quotate e per i bilanci annuali o consolidati da parte delle altre società sono state esercitate dall’Italia con il decreto legislativo 28 febbraio 2005, n. 38.
L’adozione dei princìpi contabili internazionali nella redazione dei bilanci di esercizio, per le imprese che li utilizzeranno, interagisce con una serie di questioni di carattere civilistico e fiscale, in quanto il bilancio costituisce il documento di riferimento per la tutela dei creditori, per la distribuzione degli utili conseguiti e per il calcolo delle imposte dovute, in base al principio di derivazione del reddito d’impresa dalle risultanze del bilancio.
In tale ambito, il provvedimento ha introdotto specifici limiti alla distribuzione delle poste del patrimonio netto e degli utili alimentati con le rivalutazioni derivanti dall’applicazione del metodo del valore equo (“fair value”).
Sotto il profilo fiscale, si seguono essenzialmente due criteri: per un verso, viene conservato anche per le società che adottano i princìpi contabili internazionali il principio di derivazione dell’imponibile dalle risultanze di bilancio; per altro verso, compatibilmente con tale principio, si conserva la neutralità dell’imposizione tra le imprese che redigono il bilancio sulla base dei princìpi internazionali e quelle che invece continuano ad applicare i princìpi nazionali.
Nel corso della legislatura i provvedimenti in tema di diritto e giustizia sono stati molto numerosi ed hanno riguardato aspetti diversi. I temi ai quali è stata dedicata attenzione sono stati, in alcuni casi, il risultato di esigenze emerse da tempo nell’ambito dei singoli settori; in altri, hanno rappresentato la risposta ad esigenze di adeguamento poste dalla normativa europea od internazionale, o comunque determinate dal verificarsi di avvenimenti che hanno travalicato i confini dei singoli Stati costituendo, come nel caso del terrorismo, una minaccia internazionale.
Ne è derivato un quadro normativo piuttosto ricco ed articolato, nell’ambito del quale, all’interno del singolo settore, non sempre i diversi provvedimenti adottati confluiscono alla realizzazione di un’identica finalità, affrontando per lo più aspetti specifici e peculiari, essendo finalizzati a soddisfare esigenze emerse nel funzionamento del sistema e a completare e a rendere più funzionali innovazioni già introdotte in precedenza.
La riforma appare sostanzialmente conforme agli intenti che, in tale ambito, erano stati preannunciati dal Ministro Roberto Castelli, nel corso dell’illustrazione del programma per la giustizia presentato alla commissione giustizia della Camera dei deputati il 24 luglio 2001. In tale ambito sono intervenute due leggi, la legge 28 marzo 2002, n. 44 e la legge 25 luglio 2005, n. 150.
Con la legge n. 44/2002, che alla Camera è stata approvata a seguito di un esame congiunto in sede referente della I e della II commissione del disegno di legge governativo A.C. 2356 ed abb. (relatore per la II Commissione On. Flavio Tanzilli UDC, per la I Commissione On.le Michele Saponara, FI), attraverso la modifica di una serie di articoli della legge 24 marzo 1958, n. 195, recante norme sulla costituzione e sul funzionamento del Consiglio superiore della magistratura, viene delineato sostanzialmente un nuovo sistema elettorale per l’elezione dei rappresentanti togati del Consiglio medesimo. Viene ridotto il numero dei componenti elettivi, modificato il sistema elettorale e le operazioni di voto, stabilito il principio dell’elezione separata dei magistrati con funzioni requirenti e di quelli con funzioni giudicanti.
La legge n. 150/2005, approvata a conclusione di un iter – comprensivo anche della fase di rinvio del provvedimento alle Camere da parte del Presidente della Repubblica – piuttosto lungo e complesso che ha impegnato per circa tre anni i due rami del Parlamento, interviene ad innovare e modificare profondamente la disciplina dell’Ordinamento giudiziario di cui al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, prevedendo 14 deleghe al Governo ed una serie di norme direttamente applicabili. Le linee generali della legge delega investono un po’ tutti i principali aspetti dell’Ordinamento giudiziario, tra i quali il reclutamento e la formazione iniziale dei magistrati, i controlli di professionalità successivi e la formazione permanente, la composizione e i poteri dei consigli giudiziari, il ruolo della Corte di cassazione, l’ufficio del pubblico ministero e le relazioni fra esercizio di funzioni giudicanti e requirenti. Dei decreti legislativi previsti dieci sono stati già emanati dal Governo; per i restanti il relativo termine per l’esercizio della delega non è ancora scaduto. Tra le numerose innovazioni introdotte si ricordano, a titolo esemplificativo, la definizione di nuove regole per l’accesso e la progressione in carriera: viene previsto un unico concorso sia per le funzioni giudicanti che per quelle requirenti; il candidato, tuttavia, all’atto della presentazione della domanda, dovrà indicare la propria preferenza per una delle due funzioni. Il passaggio dall’una all’altra funzione può avvenire soltanto entro il 5° anno dall’ingresso in magistratura, altrimenti la scelta fatta diviene irreversibile. Viene istituita la Scuola della magistratura, con compiti di formazione, aggiornamento e valutazione, riorganizzato con una maggiore “gerarchizzazione” l’ufficio del pubblico ministero, tipizzati gli illeciti disciplinari dei magistrati e modificata la disciplina del relativo procedimento, operato un decentramento su base territoriale del Ministero della giustizia.
In questa materia sono stati approvati significativi provvedimentiin adempimento di normative internazionali o comunitarie o di accordi comunque vincolanti per il nostro Paese.
Allo scopo di dettare le disposizioni interne necessarie a conformarsi a due decisioni quadro del Consiglio dell’Unione Europea, sono intervenute la legge 22 aprile 2005, n. 69, (attuativa della decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d’arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri), e la legge 14 marzo 2005, n. 41 (che attua la decisione 2002/187/GAI del Consiglio dell’Unione europea del 28 febbraio 2002, che istituisce l’Eurojust per rafforzare la lotta contro le forme gravi di criminalità).
Quantoal primo dei due provvedimenti, va ricordato chela decisione quadro 2002/584/GAI ha costituito una risposta all’esigenza di superare ed eliminare la complessa e lunga procedura di estradizione, ritenuta ormai inadeguata ad uno spazio senza frontiere, e di sostituirla con una forma di consegna che superi gli inconvenienti solitamente legati ai rapporti di cooperazione interstatuali. Il mandato d’arresto europeo, infatti, viene definito come una decisione giudiziaria emessa da uno Stato membro in vista dell’arresto o della consegna da parte di un altro Stato membro di una persona ricercata al fine di esercitare l’azione penale, di eseguire una pena o una misura di sicurezza privativa della libertà. La legge n. 69 del 2005 ha anche stabilito particolari condizioni e modalità diretti ad assicurare il rispetto di alcuni limiti. Tuttavia l’iter parlamentare della proposta di legge (A.C. 4246) recante norme di recepimento della decisione quadro, dalla quale i deputati firmatari (Kessler, Finocchiaro, Bonito e Carboni, DS-U) hanno successivamente ritirato la propria sottoscrizione, è stato piuttosto lungo e complesso. Trattandosi infatti di regole e principi coinvolgenti la libertà personale e la tutela dei diritti giudiziari fondamentali, il dibattito è stato molto articolato e in esso sono emerse posizioni diverse anche rispetto alle modalità per assicurare il rispetto dei principi costituzionali italiani.
Quanto al secondo dei due provvedimenti va ricordato che l’Eurojust rappresenta una novità molto importante nella cooperazione giudiziaria europea. Si tratta di un organismo, dotato di personalità giuridica e costituito da magistrati e funzionari di polizia appartenenti agli Stati membri che ha come obbiettivo la lotta alla criminalità organizzata transnazionale, e, più in particolare, quello di creare un fronte comune all’interno dell’Unione europea, ai fenomeni criminali che hanno una rilevanza di tipo extrastatale. La n. 41 del 2005 definisce i poteri del membro nazionale - di supporto e assistenza al coordinamento – la competenza alla nomina e la sua durata in carica, e i poteri del collegio – di richiesta e di scambio di informazioni scritte.
Nata dall’esigenza di dare attuazione all’accordo tra Italia e Svizzera del 10 settembre 1998, per rendere più agevole l’applicazione della Convenzione europea di assistenza giudiziaria in materia penale del 20 aprile 1959 (ratificata con legge 23 febbraio 1961, n. 215) nei rapporti bilaterali tra i due Paesi, la legge 5 ottobre 2001, n. 367, opera anche una serie di modifiche ed integrazioni al codice penale e processuale penale, con disposizioni destinate a produrre effetti non solo in relazione ai rapporti bilaterali italo-svizzeri ma, a regime, nei rapporti di mutua assistenza giudiziaria con tutte le autorità straniere. La materia trattata è in massima parte quella delle rogatorie internazionali, vale a dire dello strumento attraverso il quale un giudice chiede ad un altro giudice straniero di compiere atti processuali che esulano dalla sua giurisdizione. Sia nel corso della procedura d’esame parlamentare che dopo l’approvazione del provvedimento si sono tuttavia sviluppati dibattiti relativi alla reale portata e significato delle disposizioni approvate.
Va infine ricordata l’approvazione, sul finire della legislatura, della legge 16 marzo 2006, n. 146,avente per oggetto la Ratifica ed esecuzione della Convenzione e dei Protocolli delle Nazioni Unite controil crimine organizzato transnazionale, adottata dall’Assemblea generale il 15 novembre 2000 ed il 31 maggio 2001. La legge, oltre a fornire la definizione di reato transnazionale rilevante ai fini delle nuove disposizioni, e a nominare il Ministro della giustizia quale autorità centrale prevista dalla Convenzione, detta una serie di disposizioni di natura penale e processual-penale, introducendo anche una serie di modifiche a regime di disposizioni riguardanti specifici settori, come quelle concernenti il riordino della disciplina delle operazioni sotto copertura.
La legge 12 giugno 2003, n. 134 è diretta a potenziare, in funzione deflattiva del processo penale, l’istituto dell’”applicazione della pena su richiesta delle parti” (artt. 444 e ss. c.p.p.), vale a dire del c.d. patteggiamento, ampliando la possibilità di accedere a tale procedimento pre-dibattimentale di tipo premiale. La legge inoltre, mediante alcune modifiche alla legge 24 novembre 1981, n. 689, estende la possibilità di accedere alle sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi. Collegata al provvedimento ora illustrato è la legge 2 agosto 2004, n. 205 che operaun intervento di coordinamento normativo sulle disposizioni di attuazione del c.p.p. Allo scopo di conformare l’ordinamento italiano ad alcune decisioni della Corte europea dei diritti dell’uomo, la legge 22 aprile 2005, n. 60, che ha convertito il decreto legge 21 febbraio 2005, n. 17, è diretta a modificare la disciplina della restituzione nel termine per proporre l’impugnazione della sentenza contumaciale od opposizione al decreto penale di condanna (art. 175 c.p.p.), rendendo più agevole per il contumace la proposizione della relativa richiesta, sia sotto il profilo temporale, sia, soprattutto, sotto quello delle condizioni cui essa è sottoposta. La legge 7 novembre 2002, n. 248, traendo spunto dall’ordinanza con cui le sezioni unite penali della Corte di cassazione sollevavano questione di legittimità costituzionale dell’articolo 45 del codice di procedura penale in riferimento all’articolo 2, comma 1, n. 17, della legge delega per l’emanazione del nuovo codice, introduce alcune rilevanti novità alla disciplina vigente in tema di rimessione del processo (artt. 45 e ss. c.p.p.), intervenendo sui presupposti e sugli effetti della richiesta, sulla relativa decisione e sulla disciplina transitoria. L’iter parlamentare di approvazione del provvedimento è stato attraversato da dibattiti e perplessità soprattutto in merito al potenziale conflitto tra i principi di cui agli articoli 111, comma 2, e 25, comma 1, della Costituzione.
La legge 20 febbraio 2006, n. 46, approvata a seguito di un iter abbastanza lungo e complesso - comprensivo anche della fase di rinvio del provvedimento alle Camere da parte del Presidente della Repubblica ai sensi dell’articolo 74, comma 1, della Costituzione - detta significative modifiche al codice di procedura penale. Il nucleo significativo e qualificante del provvedimento è rappresentato dalla previsione, introdotta attraverso una modifica dell’articolo 593 c.p.p., di una limitazione dei casi di appellabilità delle sentenze di proscioglimento alle sole ipotesi di nuove prove sopravvenute o scoperte dopo il giudizio di primo grado (art. 603, comma 2, c.p.p.). In tal senso (oltre che in altre disposizioni), il provvedimento è stato modificato a seguito dei rilievi mossi dal Presidente della Repubblica nel suo messaggio di rinvio alle Camere.
Approvata a seguito di un iter piuttosto complesso comprensivo di tre letture alla Camera e di due al Senato, la legge 1° agosto 2003, n. 207, disciplina la sospensione condizionata dell’esecuzione della pena che può essere concessa a favore del condannato, con sentenza definitiva, a pena detentiva, che abbia espiato almeno metà della pena, con un residuo non superiore a due anni; la competenza per materia è del magistrato di sorveglianza. Vengono stabilite alcune cause oggettive e soggettive di esclusione dall’ammissione al beneficio, riferite ai casi di maggiore pericolosità. La concessione del beneficio è subordinata ad alcune condizioni e prescrizioni ed è revocabile in caso di mancata osservanza delle stesse. L’intento della legge è stato quello di delineare, muovendo dalla constatazione della insostenibile situazione di sovraffollamento in cui versano gli istituti penitenziari, un meccanismo in grado di conseguire, nei fatti, lo stesso risultato della concessione di un indulto, perseguibile con maggiore difficoltà dato l’elevato quorum richiesto dall’articolo 79 della Costituzione per l’approvazione delle relative leggi.
La legge 23 dicembre 2002, n. 279, stabilizza il regime di cui all’articolo 41-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354 nell’ordinamento penitenziario, adeguando i contenuti della disciplina dell’istituto, assai scarna e basata per lo più su fonti secondarie, alle pronunce della Corte costituzionale, nel rispetto dei principi di civiltà giuridica e di garanzia dei diritti del cittadino. La nuova disciplina individua i concreti contenuti delle limitazioni imposte ex 41-bis, finora definite per via amministrativa nei decreti ministeriali, giurisdizionalizzando il procedimento applicativo dell’istituto e affermando espressamente la piena sindacabilità del provvedimento secondo le indicazioni più volte espresse dalla stessa Corte costituzionale.
La legge 19 dicembre 2002, n. 277, nell’ottica di snellimento del procedimento in materia di liberazione anticipata, reca alcune sostanziali modifiche alla vigente normativa prevista dalla legge 354/1975 sopra citata attribuendo la competenza decisoria sulle richieste di riduzione della pena per la liberazione anticipata almagistrato di sorveglianza e non più al tribunale di sorveglianza. A seguito di numerose censure mosse dalla Corte europea dei diritti dell’uomo (oltre che dalla Corte costituzionale), la legge 8 aprile 2004, n. 95, introducendo l’articolo 18 ter nel corpo della legge n. 354/75, interviene in tema di visto di controllo sulla corrispondenza dei detenuti, tipizzando i provvedimenti adottabili ed introducendo specifici strumenti di tutela.
La materia ha subito profonde e numerose modifiche ad opera di provvedimenti diversi, che, pur senza operare una radicale sostituzione della vigente disciplina in tema di processo di cognizione e di processo esecutivo, hanno apportato significative novelle ad istituti essenziali alla dinamica degli stessi. Il legislatore in tale ambito ha fatto ricorso sia allo strumento della decretazione d’urgenza che a quello della legge ordinaria e, su aspetti definiti, ha demandato al Governo l’emanazione di decreti legislativi. Non è stato infatti esaminato dalle Camere il disegno di legge (A.C. 4578) che aveva formalmente recepito gli esiti del lavoro svolto dalla Commissione di studio presieduta dal prof. Romano Vaccarella, istituita presso l’ufficio legislativo del Ministero della giustizia, allo scopo di elaborare una revisione organica della normativa in tema di processo civile. Elementi di tale revisione, tuttavia sono presenti nelle modifiche normative dettate da alcune disposizioni del decreto legge 14 marzo 2005, n. 35, convertito, con modificazioni, nella legge 14 maggio 2005, n. 80: sul termine di efficacia di alcune norme contenute nel decreto sono intervenute successivamente una serie di proroghe, disposte da diversi decreti legge. A tale termine di efficacia (1°marzo 2006) sono state collegate anche le modifiche concernenti i medesimi aspetti che, in tema di processo di cognizione e di processo esecutivo, sono state introdotte dalla legge 28 dicembre 2005, n. 263 e dalla legge 24 febbraio 2006, n. 52. I provvedimenti citati si muovono essenzialmente nell’ottica dell’abbreviazione della durata del processo attraverso una concentrazione delle fasi processuali, dell’ampliamento delle ipotesi di decadenza dai propri poteri delle parti che non li esercitino tempestivamente, dell’introduzione della facoltà di proseguire il processo ordinario attraverso il c.d. rito societario. Ulteriori modifiche sono state dettate in tema di processo esecutivo. Inoltre, l’articolo 1 della legge n. 80/2005, di conversione del D.L. n. 35/2005, conferisce una delega al Governo per modificare il codice di procedura civile, relativamente all’introduzione di una disciplina del processo di cassazione che ne valorizzi la funzione nomofilattica ed alla razionalizzazione della disciplina dell’arbitrato. La delega è stata esercitata con l’emanazione del decreto legislativo n. 40 del 2 febbraio 2006.
L’intensa attività legislativa ha costituito una risposta alla crisi internazionale determinatasi in seguito ai gravissimi attentati dell’11 settembre 2001, essendo precipuamente indirizzata alla realizzazione di cooperazione internazionale per la prevenzione e repressione di un fenomeno che, travalicando i confini del singolo Stato, assume carattere transnazionale.
A tale proposito va ricordata l’adozione di diversi decreti legge, tra i quali, in primo luogo, il decreto legge 18 ottobre 2001, n. 374, convertito nella legge 15 dicembre 2001, n. 438, che, tra l’altro, inserendo nel codice penale una specifica disciplina della fattispecie di terrorismo internazionale, ha introdotto nel nostro ordinamento norme di carattere penale e processual-penale dirette a consentire una più efficace prevenzione e repressione degli atti di terrorismo a carattere transnazionale. E’ invece finalizzato a determinare le sanzioni applicabili per le violazioni di normativa comunitaria il decreto legge 28 settembre 2001, n. 353 convertito nella legge 27 novembre 2001, n. 415, mentre il decreto legge 12 ottobre 2001, n. 369, convertito nella legge 14 dicembre 2001, n. 431, ha previsto l’istituzione di un Comitato di sicurezza finanziaria presso il Ministero dell’economia e delle finanze. Sono poi da ricordare due importanti Convenzioni in tema di contrasto del terrorismo internazionale: la legge 14 gennaio 2003, n. 7 ha ratificato la Convenzione internazionale per la repressione del finanziamento del terrorismo che prevede, a carico di persone giuridiche, società e associazioni, sanzioni pecuniarie e interdittive connesse alla condanna per delitti di terrorismo, e la legge 14 febbraio 2003, n. 34 ha ratificato la Convenzione internazionale per la repressione degli attentati terroristici per mezzo di esplosivo, strumento multilaterale elaborato in ambito ONU. La legge, in particolare, introduce nel codice penale italiano la nuova fattispecie criminosa (art. 280 bis) di Atto di terrorismo con ordigni micidiali o esplosivi. Va infine ricordata l’adozione nel luglio 2005, a seguito dei tragici attentati di Londra e Sharm el Sheikh, del decreto legge 27 luglio 2005, n. 144, convertito nella legge 31 luglio 2005, n. 155, che si propone quale obbiettivo prioritario la lotta al terrorismo internazionale, adottando diverse e specifiche misure di contrasto a tale fenomeno.
Gli interventiin questo settore, pur riguardando aspetti diversi, appaiono nel complesso rivolti ad adeguare le previsioni ed il complessivo trattamento sanzionatorio delle fattispecie sia alla reale offensività delle condotte realizzate che all’emergere di nuove forme di criminalità, nonché alla tutela e riaffermazione di importanti valori sentiti come bisognosi di protezione da parte della coscienza collettiva.
Approvata con il consenso di tutte le forze politiche, la legge 11 agosto 2003, n. 228 ha introdotto nuove disposizioni penali allo scopo di contrastare il fenomeno della riduzione in schiavitù e, più in particolare, quella forma di riduzione in schiavitù derivante dal traffico di esseri umani.
All’istituzione ed alla proroga, fino alla fine della XIV legislatura, della Commissione parlamentare di inchiesta sulle cause dell’occultamento di fascicoli relativi a crimini nazifascisti attengono, rispettivamente, la legge 15 maggio 2003, n. 107 e la legge 25 agosto 2004, n. 232. La Commissione di inchiesta ha concluso i suoi lavori con una Relazione finale approvata l’8 febbraio 2006 (Rel. On.le Enzo Raisi A.N.); è stata presentata anche una relazione di minoranza (Rel. On.le Carlo Carli DS-U).
Rispondendo all’esigenza sempre più diffusa di proteggere in modo più incisivo gli animali da offese sentite ormai come intollerabili dalla coscienza collettiva, la legge 20 luglio 2004, n. 189, introduce un nuovo titolo nel libro II del codice penale (IX bis) diretto a definire, stabilendo contestualmente le diverse sanzioni penali applicabili, alcuni delitti raggruppati nella categoria dei Delitti contro il sentimento per gli animali.
Dettando alcune modifiche a norme del codice penale e delle disposizioni di attuazione dello stesso, la legge 11 giugno 2004, n. 145 interviene sugli istituti della sospensione condizionale della pena e della riabilitazione del condannato, muovendosi nella prospettiva di una riduzione dei termini per l’applicazione dei due istituti ritenuti troppo onerosi ed in contrasto con l’esigenza di superare le difficoltà che un condannato incontra per un pieno e corretto reinserimento nell’ambiente sociale di provenienza.
La legge 5 dicembre 2005, n. 251, approvata a seguito di un iter piuttosto lungo che ha impegnato il Parlamento per circa tre anni, interviene sul regime delle circostanze del reato e sulla disciplina delle misure alternative alla detenzione nonché, nucleo qualificante del provvedimento, in tema di prescrizione del reato. Su tale aspetto si sono manifestati diversi contrasti tra i rappresentanti delle varie forze politiche. Tra l’altro, a seguito del ritiro della propria sottoscrizione alla proposta di legge A.C. 2055 da parte dell’On.le Cirielli (AN) veniva nominato relatore del provvedimento l’On.Italico Perlini (FI). Il provvedimento modifica la disciplina del tempo necessario a prescrivere, della sospensione e interruzione della prescrizione e detta una specifica disciplina transitoria.
La legge 9 gennaio 2006, n. 7, è finalizzata a fornire una specifica risposta, preventiva e repressiva, al fenomeno delle mutilazioni genitali femminili, giunto all’attenzione dell’opinione pubblica in tempi abbastanza recenti, anche a causa della presenza nei paesi occidentali di consistenti comunità di emigranti provenienti dall’Africa, dove la “tradizione” della mutilazione delle bambine o delle donne in età prematrimoniale appare più radicata. L’importanza delle nuove misure legislative approvate risiede nell’attenzione specifica ad un fenomeno che precedentemente veniva inquadrato nella categoria delle lesioni gravi o gravissime e nella predisposizione di apposite misure preventive nonché nella promozione della cooperazione internazionale su tale tema.
Risponde ad un’esigenza di adeguamento al nuovo sistema di valori sancito dalla Costituzione l’approvazione della legge 24 febbraio 2006, n. 85 che, intervenendo a sostituire alcuni articoli compresi nel Titolo I (Dei delitti contro la personalità dello Stato) e nel Titolo IV (Dei delitti contro il sentimento religioso e la pietà dei defunti) del Libro II del codice penale, riformula alcune fattispecie criminose che rappresentano il portato storico di una concezione politico-ideologica da tempo superata ed incompatibile con i nuovi principi costituzionali. La ratio delle nuove disposizioni introdotte pertanto appare quella di operare una netta distinzione tra condotte che sono manifestazione di una opinione o di una convinzione politica e condotte che si concretizzano in atti violenti diretti ad imporre quella stessa opinione o convinzione: solo in quest’ultimo caso interviene la sanzione penale.
Nata dall’esigenza di garantire maggiormente il cittadino costretto a reagire ad aggressioni, soprattutto a seguito di una serie di fatti di cronaca verificatisi in abitazioni private e in pubblici esercizi a scopo di furto, la legge 13 febbraio 2006, n. 59, aggiungendo due nuovi commi all’articolo 52 del codice penale in tema di legittima difesa, è intervenuta a precisare i limiti della proporzionalità tra difesa ed offesa, sia pure soltanto con riguardo al delitto di violazione di domicilio. Nel corso dell’esame del provvedimento sono state manifestate forti perplessità in relazione ad alcuni aspetti della nuova disciplina da parte dei gruppi di opposizione.
Alcuni provvedimenti di urgenza, adottati nella forma del decreto legge, sono stati approvati per combattere il fenomeno della violenza degli stadi, soprattutto a seguito del verificarsi di nuovi episodi criminosi in occasione di manifestazioni sportive, dettando modifiche alla legge 13 dicembre 1989, n. 401 che, a suo tempo, ha introdotto una prima disciplina legislativa per la repressione e la prevenzione dei fenomeni citati. Vanno quindi ricordati: il D.L. 20 agosto 2001, n. 336 convertito dalla legge 19 ottobre 2001, n. 377, che è intervenuto su diversi piani - preventivo, repressivo, procedurale; il D.L. 24 febbraio 2003, n. 28, convertito dalla legge 24 aprile 2003, n. 88, che, oltre ad introdurre nuove fattispecie di illecito ha innovativamente previsto il cd. arresto in flagranza differita dei tifosi violenti. Tale strumento, anche a seguito dei numerosi dubbi di legittimità costituzionale, è stato però reso transitorio in sede di conversione del decreto-legge: la sua applicabilità (come quella dell’applicazione di misure coercitive al di fuori dei limiti edittali) è così stata inizialmente limitata al 30 giugno 2005; il D.L. legge 30 giugno 2005, n. 115 convertito dalla legge 17 agosto 2005, n. 168, che, tra l’altro, ha disposto la proroga di due anni (fino al 30 giugno 2007) dell’efficacia delle citate disposizioni concernenti l’arresto in flagranza differita e la possibilità di svincolare dal rispetto dei limiti ordinari l’applicazione delle misure coercitive; il D.L. 17 agosto 2005, n. 162, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 ottobre 2005, n. 210, che ha inasprito le pene per alcune ipotesi, disposto l’applicabilità delle misure alle gare svolgentesi all’estero, consentito al giudice, in sede di sentenza di condanna, di stabilire alcune prescrizioni particolari.
Allo scopo di contrastare più efficacemente il fenomeno dell’aumento delle vittime degli incidenti stradali proprio di questi ultimi anni, la legge 21 febbraio 2006, n. 102 inasprisce il quadro delle sanzioni penali ed amministrative applicabili alle fattispecie riconducibili agli incidenti stradali, ed introduce nuove disposizioni di carattere processuale, anche per assicurare un più celere svolgimento dei processi penali e civili in materia. In particolare va ricordata l’estensione della disciplina del rito del lavoro alle cause civili di risarcimento di danni per morte o lesioni conseguenti ad incidenti stradali. Come appena ricordato, riferita in qualche modo al tema degli incidenti stradali è la legge 9 aprile 2003, n. 72, che amplia le sanzioni penali ed amministrative applicabili al reato di omissione di soccorso ed alle violazioni del codice della strada nella parte in cui impone determinati comportamenti in caso di incidente (art. 189 D.lgs 285/1992).
Vanno ricordate, infine, le misure di varia natura volte a contrastare la diffusione delle droghe, mediante l’approvazione di modifiche ed integrazioni al testo unico in materia di disciplina degli stupefacenti e delle sostanze psicotrope (DPR 9 ottobre 1990, n. 309), introdotte da alcuni articoli del decreto legge 30 dicembre 2005, n. 272, convertito dalla legge 21 febbraio 2006, n. 49. Le modifiche sono state introdotte nel corso dell’esame del decreto legge presso il Senato attraverso l’approvazione di un maxi emendamento del Governo. Nel corso dell’esame del provvedimento presso le commissioni riunite giustizia ed affari sociali della Camera forti perplessità sono state sollevate dai gruppi di opposizione. Le modifiche apportate al D.P.R. 309/90 riguardano, tra l’altro, la variazione delle tabelle relative alle sostanze stupefacenti e psicotrope, il potenziamento, nel settore della prevenzione e recupero dei tossicodipendenti, del ruolo delle strutture private, la definizione di nuove fattispecie di reato e di illecito amministrativo, nonché di sanzioni e misure specificamente correlate alla tipologia di violazione commessa, la previsione e la modifica di norme procedimentali, anche relative alla concessione di benefici ai soggetti tossicodipendenti.
La legge 6 novembre 2003, n. 304, su cui si è registrato un largo consenso,interviene a completamento del sistema di tutela introdotto dalla legge 4 aprile 2001, n. 154, che ha inserito nel libro I del codice civile il Titolo IX bis, prevedendo particolari strumenti civili e penali attivabili innanzi e per effetto della pronuncia del giudice in alcune ipotesi di violenza domestica. Sostanzialmente la legge consente l’attivazione degli strumenti civilistici di tutela anche in presenza di reato perseguibile di ufficio, apparendo irragionevole ogni esclusione di tutela in presenza delle forme più gravi di abuso.
La legge 9 gennaio 2004, n. 6, inserendo un nuovo capo nell’ambito del Titolo XII del Libro I del codice civile, prevede e disciplina l’istituto dell’amministrazione di sostegno che, in virtù della nuove disposizioni, verrebbe ad affiancarsi a quelli dell’interdizione e dell’inabilitazione. Le ragioni che hanno condotto all’introduzione della nuova disciplina – sulla previsione della quale la stessa dottrina, da tempo, aveva manifestato una certa attenzione - sono ispirate dalla considerazione che vi sono tutta una serie di situazioni in cui il soggetto può essere incapace di provvedere a se stesso senza versare in stato di infermità mentale; accanto agli istituti tradizionali, viene quindi prevista una figura che abbia funzione non tanto sostitutiva ma di sostegno, e che intervenga non nella totalità degli atti che la persona assistita è chiamata a compiere e nemmeno in un ambito di categoria predefinito, ma solamente in quegli atti per i quali la situazione concreta suggerisce una presenza vicariante. Anche sull’approvazione di tale provvedimento si è manifestato il consenso delle diverse forze politiche.
La legge 2 agosto 2004, n. 210, è diretta a rafforzare la tutela dei soggetti che si associano a cooperative edilizie al fine di acquistare la proprietà di immobili da costruire e che incorrono nel rischio di perdere le somme versate, oltre che di non acquisire la titolarità del bene, a causa di eventi, quali il fallimento, che possono colpire l’imprenditore-costruttore, delegando il Governo a stabilire una specifica disciplina su tali aspetti.
In attuazione della delega è stato emanato il decreto legislativo 20 giugno 2005, n. 122. La legge 13 giugno 2005, n. 118, mediante il conferimento di una delega al Governo,ha inteso colmare una lacuna dell’ordinamento relativa alla disciplina di un tipo particolare di impresa, definita “sociale” e ricompresa nell’ambito dei cosiddetti enti non profit. Si tratta di una categoria rientrante nel c.d. terzo settore, che comprende soggetti con differenti connotazioni giuridiche, che svolgono la loro attività, anche imprenditoriale, ma comunque al di fuori della logica del profitto propria del mercato. L’elemento unificante appare rappresentato proprio dall’assenza di fine di lucro, cioè dalla mancata redistribuzione di utili tra gli associati. Il relativo decreto legislativo, emanato dal Governo, non è stato ancora pubblicato.
La legge 14 febbraio 2006 n. 55 ha introdotto nel codice civile una significativa disciplina derogatoria al generale divieto di patti successori (art. 458 c.c.) riguardante il settore della successione di impresa; si è ritenuto che in tale ambito la rigidità del divieto dei patti successori dovesse cedere terreno al diritto all’esercizio dell’autonomia privata ma soprattutto alla esigenza di garantire dinamicità agli istituti collegati all’attività d’impresa. All’imprenditore viene dunque consentito di disporre liberamente della propria azienda per il periodo successivo alla propria morte, purché in accordo con i componenti della propria famiglia e senza precludere il ricorso a strumenti di tutela da parte dei legittimari.
La legge 8 luglio 2005, n. 137, è intervenuta sull’istituto dell’indegnità a succedere, prevedendo una nuova ipotesi di indegnità e di esclusione dalla successione, nei confronti di chi, essendo decaduto dalla potestà genitoriale nei confronti del de cuius, non sia stato reintegrato nella medesima alla data di apertura della successione medesima.
Va ricordata, infine, in tema di diritto alla riservatezza, l’emanazione del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 “Codice in materia di protezione dei dati personali”, sul quale la commissione giustizia è stata chiamata ad esprimere parere, attuativo della delega conferita al Governo con la legge del 24 marzo 2001, n. 127, nella parte in cui prevede l’emanazione di un testo unico delle disposizioni in materia di tutela delle persone e di altri soggetti rispetto al trattamento dei dati personali e delle disposizioni connesse, Il testo unico, entrato in vigore il 1° gennaio 2004, di matrice unicamente legislativa, è diviso in tre parti: la prima reca le disposizioni generali, riguardanti i diritti e le libertà fondamentali, le garanzie di ordine generale e la disciplina della responsabilità, la seconda include disposizioni particolari in ordine a specifici trattamenti effettuati da soggetti pubblici, la terza contiene le disposizioni relative alle azioni di tutela dell’interessato e al sistema sanzionatorio, nonché le disposizioni modificative, abrogative, transitorie e finali.
Il 4 ottobre 2005 la Commissione hapresentato una proposta di decisione quadro (COM(2005)475) relativa alla protezione dei dati personali trattati nell’ambito della cooperazione giudiziaria e di polizia in materia penale.
La proposta, che segue la procedura di consultazione, dovrebbe essere esaminata dal Parlamento europeo nella riunione del 13 giugno 2006.
Il 15 dicembre 2005 la Commissione hapresentato una proposta di regolamento (COM(2005)650) sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali (Roma I).
La proposta mira alla modernizzazione e alla trasformazione in strumento comunitario della Convenzione di Roma del 1980 sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali.
La Convenzione di Bruxelles del 1968 relativa alla competenza, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale contiene opzioni che permettono di scegliere tra tribunali di Stati diversi, facendo sorgere il rischio che una parte scelga i tribunali di uno Stato membro piuttosto che quelli di un altro soltanto perché ritiene che la legge applicabile nel primo Stato le sarebbe più favorevole. Per ridurre tale rischio, nel 1980 gli Stati membri hanno firmato, sulla stessa base giuridica, la Convenzione di Roma sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali (cosiddetta “Roma I”).
La proposta, che segue la procedura di codecisione, è in attesa di esame da parte del Parlamento europeo in prima lettura e del Consiglio.
Il 12 ottobre 2005 la Commissione hapresentato una proposta di decisione quadro (COM(2005)490) relativa allo scambio di informazioni in materia di applicazione della legge in virtù del principio di disponibilità, in base al quale un ufficiale di uno Stato membro può richiedere le informazioni di cui necessita ad un altro Stato membro, che è tenuto a trasmettergliele per i fini dichiarati.
La proposta, che segue la procedura di consultazione, dovrebbe essere esaminata dal Parlamento europeo nella riunione del 13 giugno 2006.
Il 4 ottobre 2005 la Commissione hapresentato una proposta di decisione quadro (COM(2005)475) relativa alla protezione dei dati personali trattati nell’ambito della cooperazione giudiziaria e di polizia in materia penale.
La proposta è finalizzata a migliorare tale cooperazione, in particolare per quanto riguarda la prevenzione e la lotta contro il terrorismo, nel rispetto dei diritti fondamentali, con particolare attenzione al diritto alla privacy e alla protezione dei dati personali.
La proposta, che segue la procedura di consultazione, dovrebbe essere esaminata dal Parlamento europeo nella riunione del 13 giugno 2006.
Il 12 ottobre 2005 la Commissione hapresentato una proposta di decisione quadro (COM(2005)490) relativa allo scambio di informazioni in materia di applicazione della legge in virtù del principio di disponibilità, in base al quale un ufficiale di uno Stato membro può richiedere le informazioni di cui necessita ad un altro Stato membro, che è tenuto a trasmettergliele per i fini dichiarati.
La proposta, che segue la procedura di consultazione, dovrebbe essere esaminata dal Parlamento europeo nella riunione del 13 giugno 2006.
Il 1° agosto 2000 la Commissione ha presentato una proposta di regolamento relativa al brevetto comunitario (COM(2000)412) che mira alla creazione di un sistema di brevetto unico valido in tutta l’Unione europea. La mancata intesa sul regime linguistico da applicare per la traduzione delle rivendicazioni relative al brevetto, ha fino ad oggi impedito di arrivare ad un accordo sulla proposta.
Il 12 luglio 2005 laCommissione ha presentato una proposta di direttiva relativa alle misure penali finalizzate ad assicurare il rispetto dei diritti di proprietà intellettuale (COM(2005)276–1) e una proposta di decisione quadro sul rafforzamento del quadro penale per la repressione delle violazioni della proprietà intellettuale (COM(2005)276–2), nell’ambito della lotta contro il crescente fenomeno dei reati in materia.
L’attività legislativa in materia di energia è stata caratterizzata dalla ricerca di un punto di equilibrio tra le competenze statali e quelle attribuite dalla riforma del titolo V della Costituzione alle regioni e agli enti locali.
Il nuovo testo dell’articolo 117 della Costituzione, introdotto dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, ha infatti inserito tra le materie di legislazione concorrente la produzione, il trasporto e la distribuzione nazionale dell’energia.
La necessità di armonizzare le nuove competenze regionali con la dimensione nazionale delle politiche energetiche e le relative interdipendenze comunitarie ed internazionali ha dato luogo ad una prima fase di applicazione del nuovo assetto della governance del settore, che è stata segnata da incertezze interpretative e da una forte conflittualità nel rapporto tra lo Stato e le Regioni.
Le Regioni hanno infatti ripetutamente impugnato davanti alla Corte Costituzionale i provvedimenti legislativi adottati dal Parlamento, ritenendo che essi contenessero disposizioni aventi carattere di dettaglio e quindi incompatibili con il nuovo assetto costituzionale, che riserva alla legislazione statale nelle materie di legislazione concorrente la sola determinazione dei principi fondamentali.
Il legislatore statale ha invece seguito una linea interpretativa che ha posto in primo piano, nella concreta definizione dei propri ambiti di intervento, le cd. materie “trasversali” ricomprese nelle competenze statali esclusive di cui all’art. 117, primo comma, della Costituzione (tutela della concorrenza; tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali; tutela dell’incolumità e della sicurezza pubblica; tutela dell’ambiente e dell’ecosistema).
In questo contesto la Corte costituzionale ha avuto modo di intervenire definendo le linee di una giurisprudenza che ha assunto una portata non limitata al settore dell’energia, costituendo invece un asse fondamentale di orientamento nella ricerca di un equilibrio tra i diversi livelli di governo rispetto alle materie di legislazione concorrente
La verifica dei nuovi equilibri tra Stato, regioni ed Enti locali, anche alla luce della giurisprudenza costituzionale che progressivamente si andava definendo, ha quindi costituito un tema centrale di tutta la legislazione in materia di energia e si è ripetutamente intersecata con le problematiche tipiche del settore, quali, essenzialmente:
§ la sicurezza degli approvvigionamenti di energia, la cui criticità è emersa in particolare con il black out elettrico dell’estate 2003 e con la crisi nelle forniture di gas dell’inverno 2005-2006;
§ il risparmio e l’efficienza energetica, anche mediante l’incentivazione nell’uso delle fonti rinnovabili;
§ il completamento del processo di liberalizzazione del mercato interno dell’energia.
Un primo intervento in materia è stato disposto con il D.L. 7 febbraio 2002, n. 7, “Misure urgenti per garantire la sicurezza del sistema elettrico nazionale”, convertito con modificazioni dalla legge 9 aprile 2002, n. 55.
Il D.L. ha individuato gli elementi essenziali di una nuova procedura volta ad autorizzare, sino alla determinazione dei principi fondamentali della materia in attuazione dell’art. 117, terzo comma, Cost. e comunque non oltre il 31 dicembre 2003, la costruzione e l’esercizio di impianti di energia elettrica di potenza superiore a 300 MW termici. Gli impianti, gli interventi di modifica e le opere connesse sono dichiarati opere di pubblica utilità. L’autorizzazione è rilasciata, previa intesa con la Conferenza Stato Regioni, a seguito di un procedimento unico al quale partecipano le amministrazioni statali e locali. La Valutazione di impatto ambientale costituisce parte integrante e condizione necessaria del procedimento.
Successivamente, il decreto-legge 29 agosto 2003, n. 239, recante “Disposizioni urgenti per la sicurezza del sistema elettrico nazionale e per il recupero di potenza di energia elettrica”, è stato emanato allo scopo di garantire la continuità degli approvvigionamenti di energia elettrica in condizioni di sicurezza, mediante una deroga temporanea alla disciplina relativa ai limiti di emissione delle centrali.
Nelle more della conversione il testo del decreto, anche a seguito del black out verificatosi in Italia nel settembre 2003, è stato notevolmente accresciuto, assorbendo anche alcunedisposizioni precedentemente contenute nel disegno di legge di riordino del sistema energetico nazionale. Il decreto è stato quindi convertito con modificazioni dall’articolo 1, della legge 27 ottobre 2003, n. 290; con i commi 2 e 3 del medesimo art. 1 della legge di conversione sono state conferite altresì due deleghe al governo in materia rispettivamente di remunerazione di capacità produttiva di energia elettrica e di espropriazione per pubblica utilità. Alcune disposizioni del decreto legge n. 239/2003, come modificato dalla legge di conversione, sono state peraltro dichiarate incostituzionali con la sentenza n. 383/2005 per violazione delle competenze delle regioni e delle province autonome.
Il decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35, convertito con modificazioni dalla legge 14 maggio 2005, n. 80, ha poi introdotto disposizioni volte a semplificare ed accelerare la tempistica delle procedure autorizzative per la realizzazione e il potenziamento dei terminali di rigassificazione GNL.
Da ultimo, il perdurare nel 2006 delle condizioni di emergenza nel settore del gas naturale ha indotto il Governo ad adottare in via d’urgenza un decreto legge che prevede, oltre alla possibilità di bloccare le forniture interrompibili a particolari classi di clienti finali, un temporaneo riavvio degli impianti di produzione alimentabili ad olio combustibile. Si tratta del decreto-legge 25 gennaio 2006, n. 19, recante “misure urgenti per garantire l’approvvigionamento di gas naturale”,convertito dalla legge 8 marzo 2006, n. 108.
Nel frattempo la legge 18 aprile 2005, n. 62 “Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee. Legge comunitaria 2004”, all’articolo 17 aveva conferito una delega al Governo per il recepimento della direttiva 2004/67/CE del Consiglio del 26 aprile 2004, nella quale sono contenute principalmente – a livello di ordinamento comunitario- le misure volte a garantire la sicurezza dell’approvvigionamento di gas naturale.
Intorno ai temi del risparmio e della efficienza energetica si intrecciano rilevanti questioni di carattere sia ambientale che economico.
Il contenimento del tasso di crescita della domanda di energia è infatti da un lato necessario per conseguire in modo economicamente efficiente gli obiettivi nazionali di riduzione delle emissioni di gas di serra previsti per l’Italia dal Protocollo di Kyoto; dall’altro può consentire di ottenere benefici economici e sociali sia per i consumatori che per le imprese. In proposito si rinvia all’area tematica Ambiente, territorio e protezione civile.
Su questi temi, d’altra parte, il nostro paese si è mosso in anticipo rispetto ai principali partner europei, rispetto ai quali è già caratterizzato da una minore intensità energetica, per effetto di una serie di fattori:
§ l’alta dipendenza dalle importazioni ed i prezzi più elevati dell’energia, che hanno reso conveniente investire in tecnologie a minor consumo di energia ed hanno stimolato comportamenti virtuosi sul lato della domanda;
§ un tessuto industriale caratterizzato dalla massiccia presenza della piccola e media impresa, a fronte di un ruolo progressivamente minore della grande industria energivora.
Nel corso della XIV legislatura i meccanismi di promozione del risparmio e della efficienza energetica negli usi finali, basati sui cd. “certificati bianchi” sono stati riformati con due decreti ministeriali adottati il 20 luglio 2004 dal Ministro per le attività produttive di concerto con il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio. I due decreti recano, rispettivamente:
- “Nuova individuazione degli obiettivi quantitativi nazionali di risparmio energetico e sviluppo delle fonti rinnovabili, di cui all’art. 16, comma 4, del D.Lgs. 23 maggio 2000, n. 164”;
- “Nuova individuazione degli obiettivi quantitativi per l’incremento dell’efficienza energetica negli usi finali di energia, ai sensi dell’art. 9, comma 1, del D.Lgs. 16 marzo 1999, n. 79”.
Sempre in tema di efficienza energetica è intervenuta poi l’approvazione del decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 192 recante “Attuazione della direttiva 2002/91/CE relativa al rendimento energetico nell’edilizia” emanato sulla base della delega conferita dalla legge 31 ottobre 2003, n. 306, "Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee - Legge comunitaria 2003".
Nel corso della XIV legislatura sono stati adottati diversi provvedimenti volti alla promozione della produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili. Lo strumento della promozione di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili è stato utilizzato dal legislatore italiano quale elemento caratterizzante la propria politica ambientale. In particolare, il sostegno delle fonti rinnovabili per produrre energia elettrica e termica dovrebbe contribuire fattivamente al rispetto degli impegni assunti nella Conferenza Internazionale di Kyoto.
Con il decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387, “Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità”, si è provveduto al recepimento della direttiva 2001/77/CE concernente la promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili.
Il decreto, oltre alla definizione degli obiettivi indicativi nazionali e delle misure di promozione da adottare ai fini dello sviluppo della produzione di energia dalle suddette fonti, contiene disposizioni specifiche relative a singole fonti energetiche, norme di semplificazione e di razionalizzazione dei procedimenti autorizzativi, la previsione di una campagna di informazione e comunicazione a favore delle predette fonti, nonché l’inclusione dei rifiuti tra le fonti energetiche ammesse a beneficiare del regime riservato alle fonti rinnovabili.
Il nuovostrumento di incentivazione della produzione di energia elettrica basato sui c.d.“Certificati Verdi” è stato esteso dal comma 71, art. 1, della legge 239/04, di riordino del settore energetico, all’energia elettrica prodotta mediante utilizzo di idrogeno e quella prodotta da impianti statici con l’utilizzo dell’idrogeno ovvero con celle a combustibile, nonché all’energia prodotta da impianti di cogenerazione abbinati al teleriscaldamento urbano, limitatamente alla quota di energia termica effettivamente utilizzata per il teleriscaldamento.
Si segnala, inoltre, che in attuazione dell’articolo 7 del decreto legislativo 387/03 il Ministero delle attività produttive ha emanato il decreto 28 luglio 2005- recentemente modificato e integrato dal decreto 6 febbraio 2006 - nel quale sono indicati i criteri di incentivazione della produzione di energia elettrica mediante conversione fotovoltaica da fonte solare, coerenti con le disposizioni della direttiva 2003/54/CE.
Lo stato di avanzamento dei processi di liberalizzazione nei due principali mercati energetici del nostro paese (elettricità e gas) è stato oggetto di due indagini conoscitive svolte congiuntamentedall’Autorità per la concorrenza e il mercato (Antitrust) edall’Autorità per l’energia elettrica ed il gas. Le indagini, avviate nel 2003, si sono concluse nel giugno 2004 per la parte relativa al gas naturale e nel febbraio 2005 per quella concernente il settore elettrico.
L’attività conoscitiva delle due Autorità - come si sottolinea nella relazione annuale dell’Autorità per l’energia elettrica e il gas 2005 - ha preso le mosse dalla considerazione che il processo di liberalizzazione dei due settori non è stato ancora completato in alcuni aspetti qualificanti e che non ha determinato livelli di concorrenza tali da produrre gli attesi incrementi di efficienza e le riduzioni degli oneri per i clienti finali (aspetto questo ritenuto centrale anche nell’ottica del necessario recupero di competitività del nostro sistema produttivo).
Il completamento del processo di liberalizzazione costituisce, insieme alla definizione delle competenze di Stato e Regioni secondo le nuove disposizioni costituzionali (si veda al riguardo il paragrafo successivo), uno dei principali obiettivi della legge di riordino del settore, la legge 23 agosto 2004, n. 239, recante “Riordino del settore energetico, nonché delega al Governo per il riassetto delle disposizioni vigenti in materia di energia”.
Il relativo disegno di legge, presentato dal governo nell’ottobre 2002, ha avuto un iter piuttosto complesso, nel corso del quale numerose disposizioni originariamente contenute nel disegno di legge, alcune delle quali particolarmente rilevanti proprio per il processo di liberalizzazione sono confluite in altri provvedimenti normativi approvati nel frattempo [98].
La legge di riordino si propone di semplificare e snellire i processi autorizzativi e stimolare il processo di liberalizzazione in atto nel rispetto di principi orientati a garantire la tutela della concorrenza, i livelli essenziali delle prestazioni e la sicurezza pubblica.
Sul lato della domanda, la legge estende le norme sull’apertura del mercato elettrico a tutti i clienti finali a partire dal luglio 2007, come previsto dalla direttiva europea 2003/54/CE, e dispone misure a sostegno dell’efficienza negli usi finali dell’energia.
Sul lato dell’offerta contiene disposizioni dirette a: favorire l’ingresso di nuovi entranti nel mercato del gas (promuovendo gli investimenti in nuove infrastrutture di approvvigionamento e introducendo un regime speciale di accesso ai nuovi terminali di rigassificazione e ai gasdotti di interconnessione); facilitare la realizzazione di nuove reti elettriche e linee di interconnessione con un procedimento semplificato; rafforzare le norme per affrontare le emergenze elettriche; accentuare le azioni di diversificazione delle fonti energetiche anche attraverso la ricerca e lo sfruttamento di idrocarburi; favorire la diffusione delle fonti rinnovabili, la generazione elettrica distribuita e l’uso pulito del carbone.
Si ricorda che le prospettive di evoluzione dei mercati dell’energia, anche alla luce della evoluzione del quadro normativo, sono analizzate nel documento conclusivo dell’”Indagine conoscitiva sulle prospettive degli assetti proprietari delle imprese energetiche e i prezzi dell’energia in Italia”[99], deliberata dalla X Commissione Attività produttive, commercio e turismo della Camera il 16 novembre 2005 e conclusa il 9 febbraio 2006 con una ampia convergenza politica sul predetto documento.
Punto centrale della giurisprudenza costituzionale sul nuovo riparto di competenze in materia di energie è la stretta correlazione che si instaura tra i criteri di ripartizione delle competenze legislative e quelli relativi invece alle competenze amministrative, in ordine alle quali l’art. 118 della Costituzione dispone che “le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni salvo che, per assicurarne l’esercizio unitario, siano conferite a Province, città metropolitane, Regioni e Stato, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza”.
In particolare la Corte nel dichiarare infondati i ricorsi delle Regioni Umbria, Basilicata e Toscana avverso il decreto legge n. 7 del 2002 - adottato dal Governo al fine di consentire che i processi di costruzione di nuove centrali e di ampliamento di quelle già esistenti potessero avviarsi nonostante gli impedimenti frapposti dalle autorità locali competenti a rilasciare le autorizzazioni – ha prospettato una linea interpretativa che, spostando il baricentro della questione dall’art. 117 all’art.118 Cost., rinviene nel principio di sussidiarietà un criterio flessibile - operante sia sul versante amministrativo, sia su quello legislativo - in grado di regolare, sulla base di procedure decisionali partecipate e ispirate al principio di leale collaborazione, il riparto delle competenze tra i diversi livelli di governo.
Nella sentenza citata la Corte, riprendendo nella sostanza l’orientamento della sentenza n. 303 del 2003, oltre a confermare, almeno in parte, la tendenza ad una interpretazione restrittiva delle materie “trasversali” di competenza esclusiva statale, ha chiarito come nelle materie di competenza statale esclusiva o concorrente, in virtù dell’art. 118, primo comma, Cost. la legge possa attribuire allo Stato funzioni amministrative, nonché organizzarle e regolarle, al fine di renderne l’esercizio raffrontabile a un parametro legale.
In tale prospettiva, i principî di sussidiarietà e di adeguatezza convivono con il normale riparto di competenze legislative contenuto nel nuovo Titolo V e possono giustificarne una deroga solo se la valutazione dell’interesse pubblico sottostante all’assunzione di funzioni regionali da parte dello Stato sia: a) proporzionata; b) non risulti affetta da irragionevolezza alla stregua di uno scrutinio stretto di costituzionalità; c) sia oggetto di un accordo stipulato con la Regione interessata.
Secondo tale indirizzo giurisprudenziale, nell’identificazione di un preciso fondamento costituzionale per l’attribuzione delle competenze nel settore energetico al livello statale, assumono una peculiare valenza gli “accordi, le intese e le altre forme di concertazione e di coordinamento orizzontale delle rispettive competenze”,che assicurino la partecipazione dei livelli di governo coinvolti attraverso strumenti di leale collaborazione.
Con altre sentenze (nn. 7 e 8 del 2004) la Corte è stata chiamata invece a pronunciarsi su questioni di legittimità costituzionale sollevate in via principale dal Governo avverso leggi regionali.
In particolare, con la sentenza n. 7 del 2004, la Corte ha dichiarato non fondata la questione sollevata dal Governo avverso la legge n. 32 della Regione Piemonte, recante disposizioni sulle procedure di formazione del Piano regionale energetico-ambientale.
Ad avviso del Governo, la legge, prevedendo la possibilità per la Regione di emanare linee guida per la progettazione tecnica degli impianti di produzione, di distribuzione ed utilizzo dell’energia, avrebbe arrecato pregiudizio alla compatibilità, da un punto di vista tecnico, della rete regionale di distribuzione dell’energia elettrica con la rete nazionale e le altre reti europee.
La Corte ha ritenuto legittima la legge regionale sul presupposto che le norme tecniche da essa poste si conformino a quelle stabilite dal Gestore nazionale della rete, le quali non esauriscono i criteri di progettazione tecnica degli impianti: E’ legittimo quindi che la regione adotti ulteriori criteri per la progettazione degli impianti che si aggiungano, rispettandole, alle regole tecniche individuate dal Gestore nazionale. In questo senso la salvaguardia delle esigenze di unitarietà della rete è garantita dal rispetto delle regole poste a livello centrale.
Più di recente, con la sentenza n. 383 del 2005, la Corte costituzionale si è pronunciata sui ricorsi promossi dalla Regione toscana e dalla Provincia autonoma di Trento avverso il decreto legge n. 239/2003, recante misure urgenti per garantire la sicurezza del sistema elettrico nazionale, nonché sulle parti della legge n. 239/2004 che avevano novellato alcune delle disposizioni del decreto-legge.
Il filo conduttore della sentenza è la ricognizione, ai sensi dei principi affermati nella precedente sentenza n. 6/2004, dei requisiti necessari ad assicurare in concreto, in relazione alle fattispecie concrete oggetto di impugnazione, la partecipazione dei livelli di governo coinvolti attraverso strumenti di leale collaborazione.
In questa ottica la Corte ha dichiarato incostituzionali numerose disposizioni del D.L. n. 239/2003, per la parte nella quale non prevedono che i poteri attribuiti agli organi statali debbano essere esercitati d’intesa, a seconda dei casi, con la Conferenza Unificata Stato regioni e Stato-città di cui all’art. 8del D.Lgs. 28 agosto 1997, n. 281, oppure direttamente con le Regioni e le Province interessate.
Particolare rilievo assume poi la definizione da parte della Corte delle caratteristiche che le intese in questione debbono assumere, conla sottolineatura del carattere necessariamente paritario delle stesse.
La sentenza n. 383/2005 rappresenta ad oggi il punto di arrivo di una giurisprudenza che cerca di definire forme e modalità di una leale e proficua collaborazione tra i diversi livelli di governo in materia energetica, nell’ambito del riparto di competenze disegnato dal nuovo titolo V della Costituzione.
Occorre tuttavia considerare anche che la legge costituzionale di riforma della Parte seconda della Costituzione (approvata in seconda deliberazione dalla Camera il 20 ottobre 2005 e dal Senato il 16 novembre 2005[100]) prevede una significativa modifica di tale riparto di competenze.
Il testo della legge, che sarà sottoposta al referendum popolare previsto dall’art. 138, secondo comma, della Costituzione, introduce infatti una distinzione tra “produzione strategica, trasporto e distribuzione nazionali dell’energia”, di esclusiva competenza statale, e “produzione, trasporto e distribuzione dell’energia”, ricompresi invece tra le materie di legislazione concorrente.
Sul versante legislativo, nel frattempo, il coordinamento tra amministrazione centrale e amministrazioni regionali e locali è stato l’obiettivo primario della legge n. 239/2004, di riordino del settore energetico.
A questo proposito la legge attribuisce allo Stato il compito di definire gli obiettivi generali e le linee di politica energetica che devono ispirare l’azione dello Stato e delle Regioni e stabilisce i criteri generali per l’attivazione di tale politica a livello territoriale, distinguendo i compiti affidati allo Stato da quelli delegati alle autonomie regionali, nonché i meccanismi di raccordo con le autonomie regionali.
L’8 marzo 2006 la Commissione europea ha presentato il Libro verde “Una strategia per un’energia sostenibile, competitiva e sicura” (COM(2006)105), chedelinea tre obiettivi fondamentali per una strategia europea in campo energetico: la sostenibilità, la competitività e la sicurezza dell’approvvigionamento. Il Libro verde è aperto alla consultazione pubblica fino al 24 settembre 2006.
Il libro verde indica sei settori prioritari di intervento per raggiungere questi obiettivi:
§ completare i mercati interni del gas e dell’energia elettrica
§ rafforzare la sicurezza dell’approvvigionamento assicurando la solidarietà tra gli stati membri
§ scegliere un mix energetico più sostenibile, efficiente e diversificato
§ puntare sull’efficienza energetica e sull’energia rinnovabile per far fronte al riscaldamento globale
§ elaborare un piano strategico per le tecnologie energetiche per garantire che le industrie europee siano leader mondiali nel crescente mercato delle nuove tecnologie
§ elaborare una politica energetica esterna comune e parlare con una sola voce a livello internazionale.
Il Consiglio europeo del 23 e 24 marzo 2006, ha sostenuto i tre obiettivi fondamentali della Commissione ed ha accolto con favore l’intenzione della Commissione di presentare, periodicamente, un riesame strategico della politica energetica che, a partire dal 2007, potrà servire da base di discussione per i prossimi vertici di primavera.
Anche nella XIV legislatura il Parlamento ha dedicato una particolare attenzione a questa tematica, attraverso lo stanziamento di nuove risorse finanziarie, la previsione di agevolazioni fiscali di diversa natura ovvero con interventi di carattere ordinamentale. Tale lavoro ha interessato una pluralità di Commissioni (Bilancio, Finanze, Giustizia, Affari sociali, Lavoro, Cultura, Trasporti, Attività produttive, Esteri, oltre alla Bicamerale per l’infanzia) che, ciascuna per il rispettivo ambito di competenza, ha contribuito alla definizione di nuovi strumenti a tutela dei minori e per valorizzare il ruolo della famiglia.
La legge n. 448 del 2001 (legge finanziaria per il 2002, art. 2, comma 1) ha aumentato la misura delle detrazioni per figli a carico, con particolare riferimento ai contribuenti con reddito complessivo inferiore a 36.151,98 euro e con maggior numero di figli. Una detrazione d’importo superiore è riconosciuta per ciascun figlio portatore di handicap ovvero di età inferiore a tre anni.
Successivamente, la legge n. 80 del 2003 ha conferito delega legislativa al Governo per la riforma del sistema fiscale statale. Per quanto riguarda gli aspetti attinenti alla famiglia, si segnalano in particolare i seguenti princìpi e criteri direttivi per la riforma dell’imposta sul reddito (art. 3):
§ considerazione delle condizioni familiari ai fini dell’identificazione di un livello di reddito minimo personale, da escludere dall’imposta;
§ progressiva sostituzione delle detrazioni (comprese quelle per carichi di famiglia) con deduzioni[101];
§ articolazione delle deduzioni in funzione, tra gli altri, dei carichi di famiglia, con particolare riferimento alle famiglie monoreddito, al numero dei figli, degli anziani e dei soggetti portatori di handicap; delle spese per istruzione e formazione, assistenza all’infanzia e attività sportiva giovanile;
§ concentrazioni delle deduzioni sui redditi bassi e medi.
La delega legislativa, per la parte qui considerata, non ha avuto attuazione entro il prescritto termine del 3 maggio 2005; tuttavia, alcuni dei princìpi e criteri direttivi sopra ricordati sono stati recepiti nell’art. 1, commi 349-352, della legge n. 311 del 2004 (legge finanziaria per il 2005).
In particolare, le detrazioni per carichi di famiglia sono state trasformate in deduzioni, d’importo indipendente dal numero dei figli e maggiorato per i figli di età inferiore a tre anni o portatori di handicap. È stabilita una formula in base alla quale si determina, in misura decrescente in rapporto al reddito, quanta parte delle deduzioni per oneri di famiglia spetti effettivamente al contribuente.
È stata inoltre ammessa la deduzione per le spese sostenute per gli addetti all’assistenza personale dei soggetti non autosufficienti. La deduzione può essere operata alternativamente dal soggetto che sostiene le spese per la propria assistenza personale o dal soggetto che sostiene tali spese nell’interesse delle persone indicate all’articolo 433 del c.c. Anche in questo caso, per la determinazione della deduzione effettivamente spettante si applica la formula sopra indicata.
L’ultimo intervento della legislatura è contenuto nella legge n. 266 del 2005 (legge finanziaria per il 2006, art. 1, comma 335), che ha introdotto, per il solo periodo d’imposta 2005, una detrazione per le spese sostenute dai genitori per il pagamento delle rette per la frequenza ad asili nido.
La Commissione VI (Finanze) della Camera ha inoltre esaminato alcune proposte di legge (AA.C. 48 e abbinate) concernenti misure fiscali in favore della famiglia. Tra queste era compresa l’introduzione dell’istituto del quoziente familiare, in base al quale, agli effetti dell’imposizione sul reddito, i redditi dei componenti del nucleo familiare si sommano e il risultato viene diviso per coefficienti determinati in relazione al numero e alla qualità dei componenti il nucleo. Le aliquote d’imposta sono applicate all’importo risultante dalla divisione. L’imposta dovuta dal nucleo familiare è determinata infine moltiplicando il risultato di quest’ultima operazione per lo stesso coefficiente utilizzato per la divisione.
Sul versante del diritto civile, va ricordata la legge n. 54 del 2006, che definisce una nuova disciplina dell’affidamento dei figli conseguente alla separazione personale dei genitori, allo scioglimento, all’annullamento, alla cessazione degli effetti civili, alla nullità del matrimonio; la disciplina si applica anche ai procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati. Il principio cardine della nuova normativa consiste nel privilegiare la soluzione dell’affidamento condiviso, che diviene la forma di affidamento prioritario dei figli minori di genitori separati, in modo che l’affidamento ad un solo genitore (attualmente prevalente) diventerebbe una soluzione soltanto residuale. La finalità cui risulta ispirata la nuova normativa è quella di salvaguardare il diritto del minore a mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori e di ricevere cura istruzione ed educazione da entrambi. Vengono poi dettagliatamente disciplinati i diversi aspetti collegati a tale modalità di affidamento e i diversi modi di composizione innanzi al giudice delle possibili controversie in merito. Oltre all’opposizione all’affidamento condiviso viene attribuita ad entrambi i genitori la facoltà di chiedere in ogni tempo la revisione delle disposizioni concernenti l’affidamento dei figli; vengono altresì dettate specifiche disposizioni processuali.
Sul versante del diritto penale, la legge n. 38 del 2006, anche in attuazione della decisione quadro del Consiglio dell’Unione europea del 22 dicembre 2003, adegua il quadro legislativo vigente in materia di contrasto allo sfruttamento sessuale dei minori, alla manifestazione di nuove forme ed espressioni del drammatico fenomeno della pedofilia anche a mezzo dell’utilizzo dei moderni strumenti telematici. La legge, oltre ad intervenire sulla definizione delle fattispecie criminose contemplate nel codice penale, opera un complessivo aggravamento delle sanzioni amministrative e penali applicabili alle stesse, dettando anche alcune modifiche a norme processuali. Viene inoltre istituito e disciplinato il Centro nazionale per il contrasto della pedopornografia sulla rete Internet, al quale devono pervenire tutte le segnalazioni su siti pedopornografici e che opera in coordinamento con altri organi ed uffici istituzionali e finanziari. Il Centro ha compiti informativi nei confronti della Presidenza del Consiglio, utili alla predisposizione del Piano nazionale di contrasto e prevenzione della pedofilia.
Sempre con riferimento al versante legislativo, si segnala infine la legge n. 46 del 2002, di ratifica dei Protocolli alla Convenzione internazionale sui diritti del fanciullo, uno dei quali riguarda la vendita e la prostituzione dei bambini e la pornografia infantile.
Ai temi della giustizia minorile ha dedicato ampio spazio anche la Commissione parlamentare per l’infanzia, costituendo, tra l’altro, nel luglio del 2002, un apposito gruppo di lavoro. Tra le molteplici audizioni svolte, particolare rilievo ha assunto l’audizione del Ministro della Giustizia, coincisa con la presentazione di due disegni di legge di riforma della giustizia minorile[102], a loro volta oggetto di ulteriore approfondimento. Nessuna delle citate riforme è stata portata a compimento nel corso della legislatura, ma in ogni caso, la Commissione, nella relazione sulla giustizia minorile, approvata il 17 dicembre 2002, in attesa di una riforma organica del diritto minorile, ha auspicato la costituzione di tribunali per la famiglia ed i minori con una maggiore diffusività sul territorio o, in subordine, l’istituzione di sezioni specializzate per la famiglia ed i minori presso ciascun tribunale, con competenza sia civile che penale, ed alle quali siano addetti magistrati che esercitino in modo esclusivo o prevalente la giurisdizione in materia.
La Commissione parlamentare per l’infanzia si è interessata anche di adozioni ed affidamento, avviando una specifica indagine conoscitiva, a seguito dell’approvazione di alcune risoluzioni in materia[103]. In particolare, il documentoconclusivo del 27 ottobre 2004, in merito alle adozioni nazionali, ha richiamato l’attenzione sull’opportunità di introdurre i nuovi istituti dell’adozione «aperta» e dell’adozione «mite», mentre per quanto riguarda le adozioni internazionali, si è rilevato come la nuova normativa abbia previsto la compartecipazione al processo adozionale di una serie di soggetti (Commissione per le adozioni internazionali – CAI, enti autorizzati, servizi sociali, tribunali per i minori), senza peraltro prevedere anelli di congiunzione tra gli stessi. Si è pertanto constatato che non si è ancora realizzata una reale integrazione delle varie componenti, su molta parte del territorio nazionale, e la necessità di rivedere compiti e composizione della CAI.
Tema a questo strettamente connesso è quello dei soggiorni solidaristici temporanei – iniziati nei primi anni ‘90 con il coinvolgimento dei minori residenti nell’area colpita dal disastro prodotto dalla centrale atomica di Chernobyl – esaminato dalla Commissione nell’ambito dell’indagine conoscitiva relativa all’infanzia in stato di abbandono o semiabbandono e sulle forme per la sua tutela ed accoglienza, che si sofferma ad analizzare, tra gli altri, il fenomeno dei minori stranieri non accompagnati, e il fenomeno dell’accattonaggio dei minori.
Le audizioni svolte nell’ambito dell’indagine conoscitiva su abuso e maltrattamento dei minori, unitamente alle conclusioni tratte nel secondo Convegno mondiale sullo sfruttamento sessuale dei minori ai fini commerciali svoltosi a Yokohama dal 17 al 20 dicembre 2001 (a cui una delegazione della Commissione ha partecipato), hanno indotto la Commissione ad esprimere una valutazione complessiva della normativa nazionale vigente nell’ambito del documento in materia di pedofilia, approvato il 16 luglio 2002.
Il Fondo nazionale per le politiche sociali ha costituito lo strumento tradizionale di finanziamento delle iniziative delle regioni e degli enti locali a favore delle famiglie, dei minori e delle persone anziane.
La legge n. 289 del 2002 (art. 46) nel disporre la tendenziale soppressione dei vincoli di destinazione alle risorse del Fondo disposti dalla legislazione previgente, ha stabilito che almeno il 10% delle disponibilità del Fondo fosse destinato alle politiche di aiuto alla formazione della famiglia, in particolare per l’acquisto della prima casa di abitazione ed il sostegno alla natalità.
Anche successivamente, la legge n. 350 del 2003 (art. 3, commi 116 e 117)ha previsto finalizzazioni, a favore della famiglia, per una rilevante quota del Fondo, destinate agli anziani e disabili; all’abbattimento barriere architettoniche; all’integrazione scolastica dei soggetti portatori di handicap; ai servizi per la prima infanzia e scuola d’infanzia; al concorso delle spese sostenute per l’educazione presso scuole paritarie (c.d. “buono scuola”); al finanziamento del “reddito di ultima istanza”.
Peraltro la Corte costituzionale, con sentenza n. 423/2004 ha dichiarato l’illegittimità di tali vincoli, sottolineando la piena autonomia delle Regioni nella decisione in merito alla finalizzazione delle risorse del Fondo, ad eccezione dei casi in cui la legge statale individui prestazioni rientranti nei “livelli essenziali delle prestazioni” di cui all’art. 117, comma 2, lett. m) della Costituzione.
Con riferimento ai servizi per la prima infanzia, è istituito un Fondo per la promozione degli asili nido (legge n. 448 del 2001 -legge finanziaria per il 2002, art. 70) e, successivamente, un Fondo rotativo per la realizzazione di servizi di asili nido e micro-nidi nei luoghi di lavoro(legge n. 289 del 2002 - legge finanziaria per il 2003, art. 91).
Anche tali interventi sono stati oggetto di una pronuncia da parte della Corte costituzionale (sentenze n. 370 del 2003 e n. 320 del 2004). La Corte ritiene che le leggi in esame disciplinano profili relativi alla formazione ed istruzione pre-scolare del bambino, riconducibili nell’ambito della potestà legislativa concorrente di Stato e Regioni: risulta pertanto illegittima la disciplina di interventi finanziari statali, seppur destinati a soggetti privati, poiché ciò equivarrebbe a riconoscere allo Stato potestà legislative e amministrative sganciate dal sistema costituzionale di riparto delle rispettive competenze.
La legge n. 266 del 2005 (art. 1, comma 330 e ss.) prevede la costituzione di un Fondo per il sostegno delle famiglie e della solidarietà per lo sviluppo socio economico di 1.140 milioni di euro per il 2006.
Risultano espressamente a carico del Fondo alcune misure a sostegno dei genitori, con l’assegnazione di un assegno di 1.000 euro per ogni figlio nato o adottato nell’anno 2005 e per ogni figlio nato nel 2006, secondo o ulteriore per ordine di nascita, ovvero adottato, per una spesa complessivamente prevista di 696 milioni di euro.
A differenza della disposizione di cui al decreto legge n. 269 del 2003 (che aveva previsto l’assegnazione alle donne residenti in Italia della somma di 1.000 euro per ogni figlio, successivo al primo, nato o adottato nel periodo tra il 1° dicembre 2003 e il 31 dicembre 2004), nel provvedimento citato è stabilito un limite di reddito del nucleo familiare (pari a 50 milioni di euro) ai fini del riconoscimento dei benefici in esame.
Va ricordato che la Commissione Affari sociali della Camera ha a lungo discusso l’istituzione di un Fondo per le persone non autosufficienti, volto ad accrescere i servizi ed il sostegno economico a soggetti che vivono una situazione di particolare disagio fisico e psicologico ed alle loro famiglie. L’iter parlamentare del provvedimento non si è peraltro concluso.
Il tema della salute minorile è stato approfondito anche dalla Commissione parlamentare per l’infanzia. In particolare, l’indagine conoscitiva sulla copertura vaccinale in età pediatrica e sulla ospedalizzazione dei bambini affetti da malattie infettive ha evidenziato la scarsa conoscenza della situazione epidemiologica nazionale, il parziale fallimento dei tentativi di razionalizzare la rete ospedaliera pediatrica, la necessità di effettuare un apposito programma di prevenzione e di prestare cure idonee ai danneggiati da vaccino.
Da segnalare anche la giornata nazionale per i diritti dell’infanzia e dell’adolescenza del 20 novembre 2003, che ha avuto ad oggetto la questione “salute e minori”.
Con riguardo alle tasse per l’iscrizione e la frequenza l’art. 28 del d.lgs. n. 226 del 2005, emanato ai sensi della legge n. 53 del 2003 (cosiddetta “Legge Moratti”) dispone, a partire dall’anno scolastico 2006/2007, la gratuità dell’istruzione impartita nei i primi tre anni degli istituti di istruzione secondaria superiore e dei percorsi sperimentali di istruzione e formazione professionale.
Un contributo particolare alle famiglie (c.d. “buono scuola”) è previsto dalla legge n. 289 del 2002 (art. 2, comma 7) per la frequenza delle scuole paritarie, per una spesa complessiva di 30 milioni di euro annui. Il limite di reddito per l’accesso al beneficio, introdotto dalla legge n. 350 del 2003 (art. 3, comma 94), è stato successivamente abrogato.
Come già ricordato, la legge n. 350 del 2003 aveva finalizzato una quota del Fondo per le politiche sociali all’erogazione del “buono scuola”; la norma è stata dichiarata incostituzionale dalla sentenza n. 423 del 2004 della Corte, in quanto lesiva dell’autonomia finanziaria delle regioni.
Per quanto concerne l’integrazione scolastica degli alunni con handicap, fermi restando i principi di base della legislazione vigente (confermati dalla riforma del sistema dell’istruzione scolastica e professionale) alcune disposizioni innovative sono state adottate nell’ambito della razionalizzazione della rete scolastica ed il contenimento della spesa per i docenti di sostegno: la legge n. 289 del 2002 (art. 35, comma 7) ha ridefinito le modalità per l’accertamento dell’handicap, affidandolo ad una verifica collegiale delle ASL (anziché all’esame dello specialista della patologia denunciata ovvero dello psicologo in servizio presso le aziende sanitarie); contestualmente la norma ha attribuito l’attivazione dei posti di sostegno in deroga al rapporto insegnanti/alunni al dirigente dell’ufficio scolastico regionale, anziché al dirigente scolastico.
Si ricorda, infine, che la Corte Costituzionale (sentenza n. 423 del 2004, sopra citata) ha dichiarato l’illegittimità anche delle disposizioni della legge n. 350 del 2003 che destinavano all’integrazione scolastica una quota delle risorse del Fondo per le politiche sociali.
La legge n. 350 del 2003 (art. 4, commi da 99 a 103) ha previsto la concessione di prestiti fiduciari agli studenti. Recependo le indicazioni della Corte costituzionale (sentenza n. 308 del 2004), la gestione del Fondo è affidata a Sviluppo Italia S.p.a., sulla base di criteri stabiliti dal Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, d’intesa con la Conferenza permanente Stato-Regioni (decreto legge n. 35 del 2005, art. 6, comma 7).
La legge n. 266 del 2005 (art. 1, commi 554-556) ha poi previsto per il 2006 un Fondo per le spese sostenute dalle famiglie per le esigenze abitative degli studenti universitari;per la ripartizionedel Fondo tra le regioni e le province autonome, si fa rinvio ad un decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, da emanarsi previa intesa con la Conferenza Stato-regioni.
Si ricordano infine i due progetti (“PC ai giovani” e “PC alle famiglie”), previsti in sede di legge finanziaria, volti a incentivare l’acquisizione e l’utilizzo di strumenti informatici da parte dei giovani e delle loro famiglie, attraverso l’erogazione di appositi contributi.
La legge n. 112 del 2004,di riassetto del sistema radiotelevisivo, e il D.lgs. n. 177 del 2005 (Testo unico della radiotelevisione), dettano una serie di norme a tutela dei minori nella programmazione televisiva, secondo gli indirizzi già emersi a livello comunitario.
Si prevede il recepimento a livello legislativo del codice di autoregolamentazione “TV e minori”, l’inasprimento delle sanzioni, nonché specifici obblighi carico delle emittenti, con particolare riferimento alla programmazione in determinate fasce orarie, alle trasmissioni specificamente dedicate ai minori e ai contenuti dei messaggi pubblicitari.
L’armonico sviluppo fisico, psichico e morale del minore è considerato un principio fondamentale del sistema radiotelevisivo; è vietata la trasmissione di programmi che possano nuocere allo sviluppo fisico, psichico o morale dei minori; il servizio pubblico generale radiotelevisivo è tenuto a garantire, oltre alle trasmissioni di intrattenimento per i minori, un numero adeguato di ore di trasmissioni televisive e radiofoniche dedicate all’educazione, all’informazione, alla formazione, alla promozione culturale. Il compito di verificare il rispetto della normativa in collaborazione con il Comitato di applicazione del Codice di autoregolamentazione TV e minori è affidato all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni [104].
In materia di rapporto tra mezzi di comunicazione e minori si ricordano le iniziative assunte dalla Commissione parlamentare per l’infanzia e, in particolare, la già citata indagine conoscitiva sull’abuso e lo sfruttamento dei minori (una specifica parte è dedicata al tema “minori, internet e mezzi di comunicazione”) e l’audizione del Ministro delle comunicazioni (6 marzo 2002), nel corso della quale è stata annunciata l’attivazione del numero telefonico di emergenza 114, con il quale bambini ed adolescenti, vittime di maltrattamenti o in condizioni di grave difficoltà, possono accedere gratuitamente.
La Commissione per l’infanzia ha infine promosso alcune giornate di studio, dedicate a “il bambino virtuale” (5 aprile 2002) ed ai “diritti dell’infanzia e dell’adolescenza” (20 novembre 2002), nel corso della quale è stato presentato il Vademecum “Comunicare è bello” sull’uso consapevole dei mezzi di comunicazione.
Con il decreto legge n. 73 del 2003 sono reperite ulteriori risorse finanziarie per il finanziamento dell’assegno ai nuclei familiari con almeno tre figli minori, e dell’assegno di maternità.
Il D.Lgs. n. 115 del 2003 amplia le forme di tutela in favore della maternità. In particolare si prevede la possibilità di collocare in mobilità anche le lavoratrici in stato di gravidanza e puerperio; l’estensione in favore di alcune categorie di lavoratrici autonome, compresi i genitori adottivi o affidatari, del congedo parentale facoltativo; l’applicazione delle disposizioni vigenti in materia di riposi e permessi nel caso di adozione o di affidamento di soggetti con handicap grave.
La legge n. 104 del 2006 estende ai dirigenti, che operano alle dipendenze di datori di lavoro privati, alcune forme di tutela previdenziale relativa alla maternità, con particolare riferimento al periodo di astensione obbligatoria dal lavoro, ai congedi parentali, e al diritto ad usufruire di tali congedi per il padre lavoratore.
Infine, la legge n. 350 del 2003 ha esteso la possibilità di usufruire dei permessi per i parenti che prestano assistenza a portatori di handicap.
Nel corso della legislatura, è emersa in più sedi la necessità di istituire un Garante per l’infanzia e l’adolescenza, ossia di una figura istituzionale unitaria in grado di vigilare sul pieno rispetto ed attuazione dei diritti dei minori.
L’esame delle proposte è stato avviato dalle Commissioni riunite I (Affari costituzionali) e XII (Affari sociali) della Camera[105].Peraltro, il 29 luglio 2004 gli Uffici di presidenza delle due Commissioni riunite hanno concordato circa l’opportunità di attendere la conclusione dell’esame dei progetti di legge in materia, già avviato presso il Senato. Presso quest’ultimo ramo del Parlamento, infatti, la Commissione speciale in materia d’infanzia e di minori aveva costituito un Comitato ristretto, che ha elaborato un testo unificato delle proposte di legge[106]. Il provvedimento delinea una figura di Garante nazionale monocratico, nominato con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta dei Presidenti della Camera e del Senato, che nomina quattro collaboratori, i quali compongono, con lui, l’ufficio direzionale del Garante. Il testo prevede altresì che le regioni provvedano ad istituire Garanti regionali. Anche in questo caso, però, l’esame delle proposte non è proseguito a seguito di un parere della Commissione bilancio che evidenziava la mancanza di adeguata copertura finanziaria.
Al di là dei provvedimenti normativi, la questione del Garante è stata approfondita dalla Commissione parlamentare per l’infanzia, che il 9 luglio 2003 ha dedicato al tema la giornata di studio “Verso un Garante nazionale per l’infanzia e l’adolescenza - Confronto con alcune esperienze europee”, al fine di conoscere direttamente le esperienze dei Paesi nei quali sono già operanti garanti. Nell’ambito del convegno è emerso come le funzioni svolte dai Garanti siano piuttosto simili in tutti i Paesi, consistendo essenzialmente in attività di promozione ed informazione circa i diritti dell’infanzia, consulenza sia ai privati, sia agli organi governativi e legislativi, funzionale all’adozione di iniziative idonee, ascolto dei bambini, anche tramite specifiche linee telefoniche gratuite, raccolta di denunce, assistenza nelle ipotesi concrete e monitoraggio.
Sulla scorta di quanto emerso nel Convegno, la Commissione, nella seduta del 29 luglio 2003, ha approvato una specifica relazione alle Camere[107]che evidenzia la necessità di istituire un Garante nazionale per l’infanzia e l’adolescenza, quale autorità indipendente sia dal Governo, sia dal Parlamento. Secondo gli indirizzi della Commissione, il Garante dovrebbe avere carattere monocratico, in modo da conferire particolare incisività alla sua azione, e porsi come una sorta di «snodo relazionale», in grado di intessere rapporti con tutti gli organismi - pubblici e non - competenti in materia di infanzia. La Commissione ha preso in considerazione inoltre la possibilità di dotare il Garante di articolazioni territoriali, conferendo comunque al Garante poteri effettivi.
L’attività legislativa della XIV legislatura in materia di finanza regionale e locale è stata profondamente condizionata dalla entrata in vigore della legge costituzionale n. 3 del 2001, di modifica del Titolo V della Costituzione, approvata al termine della legislatura precedente.
La legge ha infatti apportato significative innovazioni all’assetto dei rapporti finanziari tra lo Stato e gli enti territoriali, ponendo le basi per un ulteriore sviluppo in senso federalista del sistema fiscale italiano.
La nuova formulazione dell’articolo 119 della Costituzione riconosce, infatti, ai Comuni, alle Province, alle Città metropolitane e alle Regioni l’autonomia finanziaria di entrata e di spesa e la disponibilità di risorse autonome. I medesimi enti stabiliscono e applicano tributi ed entrate propri, in armonia con la Costituzione e secondo i principi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, e dispongono di compartecipazioni al gettito di tributi erariali riferibile al loro territorio.
La disposizione deve essere letta in combinato con l’articolo 117, comma terzo, il quale ricomprende tra le materie di legislazione concorrente, il “coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario”.
Dal combinato disposto degli articoli 117 e 119 della Costituzione emerge, in primo luogo, la potestà per ogni regione di istituire tributi nel rispetto dei principi della Costituzione, dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali, nonché dei principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario fissati dalla legislazione statale.
Anche ai comuni, alle province e alle città metropolitane è riconosciuta autonomia di entrata e la facoltà di stabilire ed applicare tributi propri. Tuttavia, sebbene l’articolo 119 ponga formalmente sullo stesso piano Regioni ed enti locali ai fini dell’autonomia tributaria, la riserva di legge di cui all’articolo 23 della Costituzione – che sancisce che nessuna potestà patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge – preclude a questi enti l’esercizio di una potestà impositiva diretta analoga a quella delle regioni.
L’articolo 119 prevede poi l’istituzione di un fondo perequativo per i territori con minore capacità fiscale per abitante, il quale opera senza vincoli di destinazione.
Il nuovo sistema costituzionale relativo all’autonomia di entrata degli enti territoriali resta al momento inattuato: secondo la giurisprudenza della Corte costituzionale, infatti, l’emanazione di discipline autonome da parte degli enti territoriali relative all’istituzione di nuovi tributi richiede il preventivo intervento del legislatore statale per la determinazione dei relativi principi fondamentali.
In base all’articolo 119, quarto comma, attraverso le predette risorse (entrate proprie, compartecipazione al gettito dei tributi erariali, trasferimenti dal fondo perequativo) gli enti territoriali devono provvedere al finanziamento integrale delle funzioni pubbliche loro attribuite. Lo Stato può destinare risorse aggiuntive o effettuare interventi speciali solo in favore di determinati Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni per promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale, per rimuovere gli squilibri economici e sociali, per favorire l’effettivo esercizio dei diritti della persona, o per provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni.
Per ciò che attiene al trasferimento di risorse dal bilancio dello Stato agli enti territoriali, il nuovo sistema del titolo V è stato ritenuto dalla Corte costituzionale immediatamente applicabile. Ne deriva che trasferimenti finanziari dello Stato in favore degli enti territoriali, o anche di soggetti privati, vincolati nella destinazione sono ammessi solo nelle materie di competenza esclusiva statale.
Possono configurarsi interventi di carattere speciale solo se aggiuntivi rispetto al finanziamento integrale delle funzioni e riferibili alle finalità di perequazione e garanzia enunciate dall’articolo 119 della Costituzione e solo se indirizzati a determinati enti territoriali o categorie di enti territoriali. In questo caso, se i finanziamenti riguardano ambiti di competenza, anche concorrente, delle Regioni, queste devono essere chiamate ad esercitare compiti di programmazione e di ripartizione dei fondi all’interno del proprio territorio.
La legge finanziaria per il 2003 (legge n. 289 del 2002) ha definito un percorso procedurale volto a condurre alla definizione degli interventi di attuazione dell’articolo 119 della Costituzione, attraverso l’istituzione di un’Alta Commissione di studio, composta anche da rappresentanti delle regioni e degli enti locali, con il compito specifico di indicare al Governo i principi generali del coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario.
Era previsto che la Commissione presentasse al Governo una relazione sui meccanismi strutturali del federalismo fiscale entro il 31 marzo 2003, sulla base degli indirizzi che Stato, regioni ed enti locali avrebbero dovuto formulare in sede di Conferenza unificata. Entro il mese successivo, il Governo avrebbe dovuto presentare al Parlamento un programma contenente gli interventi, anche di carattere legislativo, necessari per dare attuazione all’art. 119 della Costituzione. Le divergenze ancora esistenti tra Stato, regioni ed enti locali e, per taluni aspetti, all’interno delle stesse autonomie locali, non hanno consentito alla Commissione di definire la proposta operativa da sottoporre al Governo e, tramite questi, al Parlamento. Di conseguenza, il termine per la presentazione della relazione al Governo sui principi generali del federalismo è stato più volte prorogato fino al 30 settembre 2006[108].
Al tempo stesso la legge finanziaria per il 2003 ha disposto “in attesa di un accordo fra Stato, regioni ed enti locali, in sede di Conferenza unificata, che regoli i meccanismi strutturali del federalismo fiscale”, la sospensione degli aumenti delle addizionali regionali e comunali all’IRPEF, nonché della maggiorazione dell’aliquota dell’IRAP, deliberati successivamente al 29 settembre 2002, non confermativi delle aliquote in vigore per l’anno 2002, sospensione confermata dalle successive leggi finanziarie.
L’evoluzione della disciplina in materia di coordinamento della finanza pubblica è resa più complessa anche dal fatto che il provvedimento più avanzato ed incisivo di riforma della struttura della finanza regionale adottato prima della revisione del Titolo V, vale a dire il decreto legislativo n. 56/2000 (concernente il c.d. “federalismo fiscale”), ha presentato, in fase di applicazione, gravi difficoltà che in sostanza ne hanno bloccato l’attuazione.
Il percorso che doveva consentire il progressivo superamento del criterio della spesa storica, sebbene distribuito in un lungo periodo di tempo (avrebbe dovuto completarsi nel 2013), ha fatto emergere, fin dalla prima applicazione, i problemi connessi alla perequazione delle risorse da mettere a disposizione di enti territoriali che hanno capacità tributarie molto diverse fra loro e livelli di spesa storicizzati e difficilmente comprimibili.
Da questo punto di vista le principali divisioni si sono create all’interno delle stesse regioni. Le regioni meridionali sostengono che i parametri di ripartizione adottati dal decreto legislativo n. 56/2000 si traducono in una grave penalizzazione a loro danno, in quanto la loro applicazione comporta una considerevole riduzione delle risorse che ad esse sono storicamente attribuite e, comunque, risorse insufficienti a finanziare le funzioni assegnate. Dal canto loro, le regioni settentrionali valutano eccessivamente lento il percorso di superamento del criterio della spesa storica e la possibilità di acquisire – sopra il livello del fabbisogno – parte del gettito della propria capacità fiscale.
La riforma del Titolo V della Costituzione ha dunque riconosciuto la piena autonomia finanziaria di entrata e di spesa delle regioni e degli enti locali.
D’altro canto, essa ha attribuito espresso rilievo ai vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario, che, nell’ambito della politica di bilancio, sono costituiti da regole sui saldi, alle quali si connette anche la previsione di sanzioni. Il legislatore statale è dunque chiamato a porre in essere strumenti efficaci di coordinamento e controllo di tutte le componenti della finanza pubblica, che, senza pregiudicare l’autonomia degli enti territoriali, assicurino tuttavia un’evoluzione delle entrate e delle spese coerente con gli obiettivi che il Governo e il Parlamento hanno fissato negli strumenti di programmazione economico-finanziaria a livello nazionale e comunitario.
Secondo la giurisprudenza costituzionale, il legislatore statale può legittimamente imporre agli enti autonomi vincoli alle politiche di bilancio, ma solo con disciplina di principio e per ragioni di coordinamento della finanza pubblica connesse ad obiettivi nazionali, condizionati anche dagli obblighi comunitari. La legge statale può peraltro stabilire solo limiti di carattere complessivo, che lasciano agli enti stessi ampia libertà di allocazione delle risorse fra i diversi ambiti e obiettivi di spesa; essa può prescrivere criteri ed obiettivi ma non imporre nel dettaglio gli strumenti concreti da utilizzare per raggiungere quegli obiettivi.
Analogamente agli anni precedenti, nella XIV legislatura, lo strumento prioritario cui il legislatore ha affidato il compito di stabilire obiettivi e vincoli della gestione finanziaria di regioni ed enti locali ai fini della determinazione della misura del concorso dei medesimi al rispetto degli impegni derivanti dall’appartenenza all’UEM è stato il Patto di stabilità interno.
Le regole del patto di stabilità interno sono sempre state formulate in sede di manovra di finanza pubblica ed inquadrate quali princìpi fondamentali del coordinamento della finanza pubblica nell’ambito del nuovo quadro del titolo V della Costituzione.
La definizione delle regole del Patto di stabilità è stata di anno in anno rivista, in un processo di continuo aggiustamento normativo, in particolare per quanto concerne la definizione dei vincoli imposti alle diverse tipologie di enti territoriali, fino ad arrivare, nel 2005-2006, ad una nuova definizione del Patto stesso, che ha posto l’accento sul controllo delle spese finali degli enti territoriali piuttosto che sul miglioramento dei saldi.
All’inizio della legislatura, nel 2002, per la prima volta le regole del patto di stabilità sono state definite in modo differenziato per le regioni e per gli enti locali. In particolare, per le regioni, il Patto di stabilità è stato formulato in termini di limitazione alla crescita delle spese correnti, in sostituzione del vincolo sul disavanzo; per questi enti, peraltro, sono state previste regole specifiche con riferimento allaspesa sanitaria. Per gli enti locali, invece, il Patto restava fondato sul principio del controllo dei saldi, anche se vincoli aggiuntivi sulla crescita delle spese di natura corrente erano affiancati all’obiettivo di riduzione del disavanzo finanziario.
Negli anni 2003 e 2004, la disciplina del Patto di stabilità per le regioni, definito in termini di limitazioni alla crescita della spesa corrente, è stata confermata; per gli enti locali, invece, i vincoli sull’andamento delle spese correnti, introdotti nel 2002, non sono stati mantenuti e si è tornati ad una impostazione fondata sul solo vincolo alla crescita del disavanzo, con regole diverse per le province e per i comuni, sia per la determinazione del saldo finanziario che per i limiti alla crescita da rispettare. Restavano comunque escluse dai vincoli del Patto, come già nel passato, le spese di conto capitale.
Con la legge finanziaria per il 2005, il Patto di stabilità interno è stato completamente rivisto. In linea con l’applicazione del principio dell’evoluzione controllata della spesa complessiva delle Amministrazioni pubbliche (c.d. regola del 2%) la disciplina del Patto è stata definita in maniera uniforme per tutte le tipologie di enti territoriali, prevedendo un unico vincolo all’incremento delle spese finali degli enti territoriali; sono risultate quindi sottoposte a tali regole anche le spese in conto capitale. Per gli enti locali, inoltre, i vincoli all’incremento delle spese finali sono applicati in maniera più o meno stringente a seconda della cd. “virtuosità” dell’ente, misurata con riferimento al livello medio pro-capite della spesa corrente registrata dall’ente medesimo nel triennio precedente.
Tale impostazione del Patto di stabilità interno è stata mantenuta anche per l’anno 2006. La legge finanziaria per il 2006 ha infatti confermato una disciplina del Patto di stabilità interno uniforme per tutte le tipologie di enti territoriali, mantenendo un’impostazione basata sul principio dell’evoluzione controllata della spesa.
Rispetto alla normativa in vigore nel 2005, le nuove regole del Patto di stabilità interno hanno perseguito l’obiettivo del contenimento delle spese definendo vincoli diversificati con riferimento alle spese correnti e alle spese di conto capitale, in particolare, imponendo una riduzione delle spese correnti e consentendo, invece, una crescita programmata delle spese di investimento.
Più precisamente, mentre per le spese correnti è imposta, nel 2006, una riduzione rispetto al livello registrato da tali spese nel 2004 (rispettivamente, del 3,8% per le regioni e del 6,5-8% per gli enti locali), per le spese in conto capitale la normativa prevede invece un limite massimo di incremento nel 2006 (rispettivamente, del 4,8% per le regioni e dell’8,1% per gli enti locali, rispetto al livello registrato nel 2004).
Ampio è comunque il ventaglio delle spese escluse dal patto, fra le quali rientrano le spese per il personale, le spese per interessi e le spese di carattere sociale.
Una serie di misure di carattere sanzionatorio sono previste nei confronti degli enti locali che non rispettino gli obiettivi del patto di stabilità interno: divieto di effettuare spese per l’acquisto di beni e servizi in misura superiore alla corrispondente spesa dell’ultimo anno in cui si è accertato il rispetto degli obiettivi del patto di stabilità interno; divieto di procedere ad assunzioni di personale a qualsiasi titolo; divieto di ricorrere all’indebitamento per finanziare investimenti.
Non sono invece previste sanzioni per le regioni che non rispettino i vincoli del Patto; sanzioni sono, tuttavia, disposte a carico delle regioni in connessione alla mancata adozione degli interventi di contenimento della spesa sanitaria.
Va inoltre ricordato che per la prima volta con la legge finanziaria per il 2006 anche la spesa per il personale degli enti territoriali è stata soggetta a limitazioni, prevedendosi che per ciascuno degli anni 2006, 2007 e 2008 essa venga ridotta dell’1% rispetto a quella del 2004.
Con la legge finanziaria per il 2003 è stato ridefinito il sistema di monitoraggio e di controllo per la verifica, in corso d’anno, del rispetto dei vincoli imposti dal patto di stabilità interno e, in generale, dell’evoluzione della finanza delle autonomie territoriali, che, inizialmente previsto per gli enti di maggiori dimensioni è stato via via ampliato a tutte le regioni e province autonome, a tutte le province, ai comuni con popolazione superiore a 20.000 abitanti e alle comunità montane con popolazione superiore a 50.000 abitanti. Il monitoraggio prevede che tali enti trasmettano al Ministero dell’economia e delle finanze, con cadenza trimestrale, le informazioni relative agli andamenti della gestione di competenza e di quella di cassa.
Ulteriori adempimenti sono previsti per le province e i comuni con popolazione superiore a 5.000 abitanti, i quali sono tenuti a predisporre, entro il mese di febbraio, una previsione di cassa cumulata e articolata per trimestri del complesso delle spese rilevanti ai fini del rispetto del Patto, coerente con l’obiettivo annuale. Al collegio dei revisori dei conti dell’ente, quale organo di revisione economico-finanziario, spetta la valutazione della coerenza tra gli obiettivi trimestrali e l’obiettivo annuale del saldo finanziario.
Il mancato rispetto degli obiettivi trimestrali, o semestrali, comporta per gli enti l’obbligo di riassorbire lo scostamento registrato attraverso una azione di contenimento sui pagamenti, sia correnti che di conto capitale, tale da garantire il rientro delle spese nei limiti stabiliti. All’organo di revisione economico-finanziario dell’ente spetta anche la verifica a consuntivo del rispetto degli obiettivi annuali del patto, sia in termini di competenza che di cassa. In caso di mancato rispetto dell’obiettivo, i revisori dei conti ne devono dare comunicazione al Ministero dell’interno.
Ai fini del controllo della rispondenza dei conti pubblici alle condizioni previste dall’art. 104 del trattato istitutivo della Comunità Europea, relativo alla procedura sui disavanzi eccessivi, nel 2003 è stato istituito un sistema informativo di codificazione uniforme su tutto il territorio nazionale per tutte le operazioni di incasso e pagamento (SIOPE), cui partecipano tutte le amministrazioniinserite nel conto consolidatodelle pubbliche amministrazioni, compresi pertanto gli enti territoriali.
Per le regioni e gli enti locali la sperimentazione della codificazione attraverso il sistema informativo delle operazioni degli enti pubblici (SIOPE) è iniziata nell’anno 2005. Con tre decreti del Ministro dell’economia e delle finanze in data 18 febbraio 2005 sono stati definiti i codici gestionali e sono state disciplinate le modalità e i tempi per l’attuazione a regime del SIOPE per le autonomie territoriali.
In particolare, per le regioni, le province, i comuni con popolazione superiore a 20.000 abitanti e per le università l’obbligo di indicare i codici gestionali SIOPE sui titoli di entrata e di spesa decorre dal 1° gennaio 2006; per i comuni con popolazione inferiore a 20.000 abitanti, le Comunità montane, le Unioni di Comuni e per gli altri enti locali tale obbligo decorre dal 1° gennaio 2007.
In relazione all’esigenza di coordinamento dei comportamenti finanziari tra i vari livelli di Governo, ai fini del rispetto degli obiettivi di finanza pubblica definiti a livello comunitario, particolare rilevanza rivestono inoltre le politiche di indebitamento delle autonomie territoriali.
L’articolo 119, comma sesto, della Costituzione, introdotto dalla legge costituzionale n. 3 del 2001, stabilisce che le regioni, i comuni, le province e le città metropolitane possono ricorrere all’indebitamento solo per finanziare spese di investimento; è espressamente esclusa ogni garanzia dello Stato sui prestiti da essi contratti.
La nuova formulazione dell’articolo 119 ha notevolmente condizionato l’applicazione della normativa vigente in materia, che invece ammetteva la possibilità di indebitamento anche per il finanziamento, ad esempio, di alcuni debiti fuori bilancio, ovvero, nel caso degli enti locali in condizioni di dissesto finanziario, la possibilità di accensione di mutui per il ripiano dei debiti pregressi, con la contribuzione statale sul relativo onere.
Ai fini dell’attuazione della richiamata disposizione costituzionale, la legge finanziaria per il 2003 (legge n. 289/2002) ha introdotto una norma in base alla quale sono considerati nulli gli atti degli enti locali e delle regioni che contraggano mutui per spese diverse da quelle d’investimento, in violazione quindi dell’articolo 119 della Costituzione, prevedendo altresì la disapplicazione, in attesa dell’attuazione del Titolo V della Costituzione, delle disposizioni del Testo Unico dell’ordinamento degli enti locali (D.Lgs. n. 267/2000) che disciplinano l’assunzione di mutui per il risanamento finanziario dell’ente locale dissestato.
Con la legge finanziaria per il 2004, il legislatore è intervenuto nella materia ribadendo il vincolo all’indebitamento per le sole spese di investimento e elencando espressamente, al fine di evitare ogni ambiguità nell’interpretazione dell’articolo 119, quali operazioni costituiscono indebitamento e quali operazioni possono configurarsi come investimenti.
Con la legge finanziaria per il 2005 (legge n. 311/2004) sono state introdotte numerose disposizioni volte al contenimento dell’indebitamento degli enti locali.
In particolare, attraverso la novella all’articolo 204 del testo unico sugli enti locali (decreto legislativo n. 267/2000), è stata limitata la possibilità di indebitamento degli enti locali riducendo dal 25 al 12% delle entrate relative ai primi tre titoli dell’entrata, l’entità delle spese per interessi che rappresentano il livello massimo di indebitamento degli enti locali come risultante non soltanto dall’accensione di mutui ma anche da qualunque altra forma di finanziamento reperibile sul mercato cui l’ente possa accedere.
E’ consentito agli enti che a quella data abbiano registrato livelli di indebitamento più alti dei limiti consentiti, una progressiva riduzione nel tempo dell’entità del debito medesimo.
Ulteriori disposizioni sono volte a ridurre la spesa per interessi a carico della finanza pubblica attraverso la conversione in titoli obbligazionari o la rinegoziazione dei mutui in presenza di condizioni di mercato che rendano tali operazioni vantaggiose.
Infine, va segnalata l’introduzione della facoltà per gli enti locali di finanziarsi anche attraverso lo strumento dell’apertura di credito.
In questo modo gli enti locali si trovano ad avere la possibilità, come avviene ordinariamente per le imprese private, di ottenere da parte delle banche l’apertura di una linea di credito da cui effettuare tiraggi in rapporto alle proprie esigenze di finanziamento.
L’apertura di credito viene pertanto ad aggiungersi alle tradizionali fonti di finanziamento degli investimenti degli enti locali, rappresentate dai mutui e dall’emissione di titoli obbligazionari.
Un esteso disegno di riorganizzazione del sistema tributario è stato delineato dalla legge 7 aprile 2003, n. 80, che – su atto d’iniziativa governativa – conferiva la delega legislativa per la riforma del sistema fiscale statale.
La legge prevedeva la riforma dell’intero sistema fiscale statale mediante uno o più decreti legislativi, da adottarsi entro il 3 maggio 2005. Il nuovo sistema fiscale si sarebbe dovuto basare su cinque imposte (articolo 1):
§ imposta sul reddito (IRE), con riduzione a due aliquote (23% per redditi sino a 100.000 euro e 33% per redditi oltre tale importo), previsione di una soglia di reddito esente da imposta, progressiva sostituzione delle detrazioni d’imposta con deduzioni dall’imponibile e clausola di salvaguardia in favore dei singoli contribuenti;
§ imposta sul reddito delle società (IRES), con aliquota unica del 33 per cento, caratterizzata fra l’altro da alcuni nuovi istituti (tassazione consolidata di gruppo; regime della trasparenza fiscale; regime forfetario di tonnage tax per la determinazione del reddito di alcune imprese marittime); esenzione, a determinate condizioni, per le plusvalenze da partecipazioni, con corrispondente indeducibilità delle relative minusvalenze, nonché esclusione da tassazione, nella misura del 95 per cento, degli utili distribuiti da società, anche non residenti; misure volte a contrastare la sottocapitalizzazione (c.d. thin capitalization); abrogazione della dual income tax (DIT);
§ imposta sul valore aggiunto (IVA), da riorganizzare – nel rispetto dell’ordinamento comunitario – con la riduzione delle forme di indetraibilità e delle distorsioni della base imponibile, la loro armonizzazione con il regime delle imposte dirette, la semplificazione degli adempimenti formali, il coordinamento con la disciplina delle accise e la razionalizzazione dei sistemi speciali; infine, la possibilità di determinare ogni anno, mediante la legge finanziaria, l’ammontare del volume d’affari detassabile qualora destinato dai consumatori finali a finalità etiche;
§ imposta sui servizi, nella quale concentrare le esistenti imposte di registro, ipotecarie e catastali, l’imposta di bollo, le tasse sulle concessioni governative e sui contratti di borsa nonché le imposte sulle assicurazioni e sugli intrattenimenti.
§ accisa, riformata secondo princìpi di efficienza e semplificazione, avendo riguardo a finalità ambientali, di equilibrio territoriale e di adeguamento alla liberalizzazione dei servizi.
Era inoltre prevista, entro lo stesso termine del 3 maggio 2005, l’emanazione di un unico codice fiscale, articolato in una parte generale, contenente i princìpi fondamentali del sistema fiscale, e una parte speciale, contenente la disciplina delle singole imposte (articolo 2).
Erano altresì previsti la graduale eliminazione dell’imposta regionale sulle attività produttive (IRAP), a tal fine indicando come prioritaria l’esclusione del costo del lavoro dalla base imponibile, e il coordinamento con la finanza decentrata.
Dai decreti legislativi relativi all’IRES, all’IVA, all’imposta sui servizi e alle accise non sarebbero potuti derivare oneri aggiuntivi per la finanza dello Stato. Era invece previsto che i decreti legislativi relativi all’IRE e alla soppressione dell’IRAP potessero recare oneri finanziari, da coprire mediante le variazioni dell’ammontare delle entrate indicate nel documento di programmazione economico-finanziaria e le disposizioni normative contenute nella legge finanziaria.
La delega è stata attuata soltanto parzialmente attraverso il decreto legislativo 12 dicembre 2003, n. 344, che ha provveduto alla riforma dell’imposizione sul reddito delle società[109]. Alcuni princìpi della delega – segnatamente i cosiddetti “moduli” della riforma dell’imposta sui redditi delle persone fisiche – sono stati realizzati mediante la legislazione ordinaria.
La disciplina dell’imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF) è stata più volte modificata durante la XIV legislatura. Il primo intervento è stato realizzato dall’articolo 2, comma 1, della legge 28 dicembre 2001, n. 448, il quale ha aumentato la misura delle detrazioni per figli a carico, con particolare riferimento ai contribuenti con reddito complessivo inferiore a 36.151,98 euro e con maggior numero di figli. Una detrazione d’importo superiore è stata riconosciuta per ciascun figlio portatore di handicap ovvero di età inferiore a tre anni. Lo stesso articolo 2, al comma 6, ha inoltre sospeso, per l’anno 2002, la rimodulazione delle aliquote[110], che avrebbe dovuto operare ai sensi dell’articolo 2 della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (legge finanziaria per il 2001).
La successiva legge 27 dicembre 2002, n. 289, all’articolo 2, ha definito il c.d. primo modulo della riforma dell’IRPEF, in attesa dell’approvazione della sopra descritta legge di delega per la riforma del sistema fiscale statale.
In particolare il suddetto articolo ha introdotto una deduzione per assicurare la progressività dell’imposizione, riconoscendo l’esenzione dall’IRPEF in favore di una quota di reddito di importo pari alla deduzione (c.d. no-tax area), in misura decrescente al crescere del reddito. Sono stati rimodulati gli scaglioni di reddito e le relative aliquote d’imposta e rideterminati, in relazione all’introduzione della no-tax area, gl’importi delle detrazioni spettanti ai titolari di reddito di lavoro dipendente, di lavoro autonomo, d’impresa minore e di pensione. Per l’anno 2003 è stata infine riconosciuta a favore dei contribuenti una clausola di salvaguardia (poi via via prorogata fino al 2006).
Con l’articolo 1, commi 349-353, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, ha avuto attuazione il c.d. secondo modulo della riforma dell’IRPEF. L’intervento ha riguardato i seguenti punti:
§ trasformazione delle detrazioni per carichi di famiglia in deduzioni[111], d’importo indipendente dal numero dei figli e maggiorato per i figli di età inferiore a tre anni o portatori di handicap. È stabilita una formula in base alla quale si determina, in misura decrescente in rapporto al reddito, quanta parte delle deduzioni per oneri di famiglia spetti effettivamente al contribuente;
§ introduzione di una deduzione per le spese sostenute per gli addetti all’assistenza personale dei soggetti non autosufficienti, secondo la predetta formula in rapporto al reddito;
§ modifica degli scaglioni e delle aliquote dell’IRPEF, le quali passano da cinque a tre, con un ulteriore contributo di solidarietà del 4 per cento a carico dei redditi superiori a 100.000 euro;
§ abrogazione delle detrazioni per redditi di lavoro dipendente, di pensione, di lavoro autonomo e d’impresa dei soggetti ammessi al regime di contabilità semplificata.
Durante tutta la XIV legislatura è stata infine prorogata l’efficacia delle disposizioni relative alle detrazioni per interventi di ristrutturazioni edilizie, introdotte dall’articolo 1 della legge 27 dicembre 1997, n. 449, e successivamente rimodulate dall’articolo 2, comma 5, della legge 27 dicembre 2002, n. 289, con riduzione dell’importo massimo delle spese ammesse a fruire della detrazione (da 77.468,53 a 48.000 euro), estensione della detrazione agli interventi di bonifica dall’amianto e previsione della ripartizione in un minor numero di rate per i soggetti di età non inferiore a 75 e a 80 anni[112].
Con il decreto legislativo 12 dicembre 2003, n. 344[113], è stata data parziale attuazione alla delega, contenuta nella citata legge n. 80 del 2003, per la riforma del sistema fiscale statale. Il decreto legislativo ha riformato l’imposizione sul reddito delle società, sostituendo alla precedente imposta sul reddito delle persone giuridiche (IRPEG) una nuova imposta, denominata imposta sul reddito delle società (IRES).
I principali elementi di novità dell’IRES rispetto alla precedente imposta sono:
§ aliquota del 33 per cento (l’aliquota IRPEG vigente all’inizio della XIV legislatura era fissata al 36 per cento, ridotta al 34 per cento dal 1° gennaio 2003);
§ abolizione del credito d’imposta sui dividendi e nuovo regime di tassazione degli utili percepiti dai soci delle società di capitali: a fronte del pagamento dell’imposta da parte della società, gli utili percepiti dai soci concorrono alla formazione del loro reddito solo per una percentuale del rispettivo importo, variamente determinata in relazione alla natura del socio e alla misura della sua partecipazione;
§ esenzione parziale, ai fini fiscali, di alcune plusvalenze realizzate mediante cessione di partecipazioni (c.d. participation exemption)[114], con corrispondente indeducibilità delle relative minusvalenze;
§ contrasto della sottocapitalizzazione delle imprese (c.d. thin capitalization)[115], prevedendosi che gli interessi passivi sui finanziamenti erogati o garantiti da soci qualificati della società, o loro parti correlate, siano indeducibili ai fini fiscali, qualora i suddetti finanziamenti superino determinati limiti. Il nuovo istituto mira a contrastare l’utilizzo fiscale della sottocapitalizzazione ed è esteso agli imprenditori individuali, con riferimento ai finanziamenti dell’imprenditore stesso (o dei familiari, per quanto riguarda le imprese familiari);
§ introduzione del regime opzionale di trasparenza per le società di capitali (c.d. consortium relief), che imputano il reddito complessivo prodotto direttamente a ciascun socio, proporzionalmente alla partecipazione agli utili e indipendentemente dalla loro effettiva percezione;
§ introduzione facoltativa della tassazione consolidata di gruppo, sia a livello nazionale, sia a livello mondiale, con determinazione di un unico reddito complessivo globale imponibile, alla cui formazione non concorrono le somme percepite o versate tra le società del gruppo in contropartita di vantaggi fiscali ricevuti o attribuiti;
§ introduzione di un regime opzionale di tassazione forfetaria per alcune imprese marittime (c.d. tonnage tax) in base alla stazza netta del naviglio posseduto e ai giorni di suo impiego;
§ revisione della disciplina del credito per le imposte pagate all’estero;
§ estensione della disciplina dei redditi d’impresa realizzati da società controllate, residenti in paesi a regime fiscale privilegiato (c.d. controlled foreign companies - CFC), alle società collegate residenti negli stessi paesi.
Nel corso della XIV legislatura il legislatore è intervenuto inoltre in materia di disciplina fiscale dell’impresa agricola. L’articolo 2, comma 6, della legge 24 dicembre 2003, n. 350, ha modificato il regime fiscale delle attività agricole, relativamente ai criteri per la determinazione del reddito agrario e la definizione delle attività agricole. La modifica apportata ha ampliato la definizione di attività agricole connesse ricomprendendovi le attività dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione, ancorché non svolte sul terreno, di prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall’allevamento di animali. Inoltre, le attività agricole diverse dalle precedenti, anche se non organizzate in forma di impresa, sono considerate produttive di reddito d’impresa ed erano in precedenza soggette a tassazione ordinaria, per la parte corrispondente all’eccedenza La disposizione in commento ha introdotto, per i redditi che eccedono i suddetti limiti, un nuovo sistema di tassazione forfettaria applicabile esclusivamente agli imprenditori individuali e agli enti non commerciali residenti nel territorio dello Stato, nonché al reddito derivante dall’attività di impresa non esercitata abitualmente, nel caso questa sia connessa con l’attività agricola ed ecceda i medesimi limiti.
Alcuni interventi hanno riguardato le imposte sostitutive sui redditi di capitale, la cui disciplina era stata oggetto di riordino attraverso il decreto legislativo 1° aprile 1996, n. 239.
Relativamente alle plusvalenze derivanti dalla cessione di strumenti finanziari (c.d. capital gains), con l’articolo 9 del D.L. 25 settembre 2001, n. 350, si è provveduto alla soppressione del cosiddetto equalizzatore, meccanismo complesso e di non agevole applicazione concepito – ma non entrato effettivamente in funzione – al fine di rendere finanziariamente equivalente la tassazione fondata sul criterio del realizzo (regime della dichiarazione e regime del risparmio amministrato), con quella anticipata in base al criterio del maturato, propria del regime del risparmio gestito. Successivamente, con l’articolo 41, comma 4, del D.L. 30 settembre 2003, n. 269, è stato abolito anche il cosiddetto “piccolo equalizzatore”, previsto al medesimo fine per la tassazione degli interessi e degli altri proventi delle obbligazioni e titoli similari senza cedola ("zero coupon").
L’articolo 10 del D.L. 25 settembre 2001, n. 350, allo scopo di favorire l’accesso degli investitori esteri alle emissioni obbligazionarie italiane, riducendo quindi il costo del finanziamento per gli emittenti, ha esteso l’efficacia dell’esenzione, concessa ai soggetti non residenti, dall’imposta sugli interessi dei titoli di Stato o su quelli dei titoli obbligazionari emessi dai grandi emittenti.
Altre imposte sostitutive introdotte o prorogate hanno avuto ad oggetto operazioni di adeguamento dei valori contabili di determinati beni iscritti nei bilanci delle imprese. Così, sono state più volte prorogate le disposizioni agevolative per la rivalutazione dei beni d’impresa già previste dalla L. 21 novembre 2000, n. 342 (L. 28 dicembre 2001, n. 448, art. 3; beneficio parzialmente prorogato dal D.L. 24 dicembre 2002, n. 282, art. 2, indi dalla L. 24 dicembre 2003, n. 350, art. 2, co. 25).
Nel medesimo ambito sono state introdotte imposte sostitutive per:
- l’affrancamento di riserve e fondi in sospensione d’imposta (L. 28 dicembre 2001, n. 448, art. 4; prorogata dal D.L. 24 dicembre 2002, n. 282, art. 3, co. 1); la stessa misura è stata nuovamente riproposta dai co. 473-478 dell’art. 1 della L. 30 dicembre 2004, n. 311 (per importi iscritti in bilancio al 31 dicembre 2004);
- l’aggiornamento del valore di partecipazioni non negoziate: L. 28 dicembre 2001, n. 448, art. 5 (prorogata dal D.L. 24 settembre 2002, n. 209, art. 4, co. 3, e dal D.L. 24 dicembre 2002, n. 282, art. 2; termine riaperto, per i beni posseduti al 1° gennaio 2005, dall’art. 11-quaterdecies del D.L. 30 settembre 2005, n. 203);
- la rideterminazione del valore d’acquisto di terreni edificabili: L. 28 dicembre 2001, n. 448, art. 7 (prorogata dal D.L. 24 settembre 2002, n. 209, art. 4, co. 3, e dal D.L. 24 dicembre 2002, n. 282, art. 2; termine riaperto, per i beni posseduti al 1° gennaio 2005, dall’art. 11-quaterdecies del D.L. 30 settembre 2005, n. 203);
Le misure concernenti la rivalutazione dei beni delle imprese, delle partecipazioni e delle aree fabbricabili (estesa in questa circostanza anche ai beni-merce) iscritte a bilancio nell’esercizio 2004 sono state da ultimo riproposte dalla L. 23 dicembre 2005, n. 266, art. 1, co. 469-476.
L’art. 1, co. 496, della medesima legge n. 266 del 2005, nel contesto di un’operazione volta a far emergere i valori effettivi delle compravendite immobiliari, ha previsto un’imposta sostitutiva sulle plusvalenze da cessioni di immobili acquistati o costruiti da non più di cinque anni e di terreni suscettibili di utilizzazione edificatoria.
Le agevolazioni fiscali sono utilizzate dal legislatore per concedere benefici economici a categorie di soggetti considerati meritevoli di tutela. Possono essere concesse mediante crediti d’imposta, esenzioni, riduzione delle aliquote di impsta, riconoscimento di deduzioni o detrazioni.
Nel corso della XIV legislatura, oltre al proseguimento di alcuni interventi avviati nella legislatura precedente, sono stati concessi, tra gli altri, i seguenti crediti d’imposta:
§ credito di imposta alla imprese agricole che effettuano nuovi investimenti nel settore della produzione, commercializzazione e trasformazione dei prodotti agricoli (articolo 11 del D.L. 8 luglio 2002, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 2002, n. 178). Si tratta di un’estensione del credito d’imposta introdotto dall’articolo 8 della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (credito di imposta per investimenti nelle aree svantaggiate), valida su tutto il territorio nazionale e operante negli anni 2002, 2003 e 2004;
§ credito d’imposta fino a 5.000 euro annui per i giovani imprenditori agricoli che accedono al premio di primo insediamento, di cui al regolamento (CE) n. 1257/1999 (articolo 3 del D.Lgs. 29 marzo 2004, n. 99, e successive modificazioni);
§ credito d’imposta in favore delle microimprese e delle piccole e medie imprese che partecipano a processi di concentrazione, pari al 50 per cento delle spese sostenute per studi e consulenze relativi alle operazioni di concentrazione stesse (articolo 9 del D.L. 14 marzo 2005, n. 35, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 maggio 2005, n. 80: esteso agli imprenditori agricoli dall’articolo 1, comma 419, della legge 23 dicembre 2005, n. 266);
§ premio di concentrazione, consistente in un credito d’imposta, in favore delle microimprese e delle piccole e medie imprese risultanti da processi di concentrazione e aggregazione (articolo 2 del D.L. 17 giugno 2005, n. 106, convertito, con modificazioni, dalla legge 31 luglio 2005, n. 156).
Si segnalano inoltre le seguenti agevolazioni concesse in forma diversa dal credito di imposta:
§ esclusione dall’imposizione sul reddito d’impresa o di lavoro autonomo del 50 per cento del volume degli investimenti in beni strumentali realizzati nel periodo di imposta in corso alla data di entrata in vigore della legge e nel periodo di imposta successivo, in eccedenza rispetto alla media degli investimenti realizzati nei cinque periodi di imposta precedenti (c.d. Tremonti-bis). L’incentivo si applica anche alle spese sostenute per servizi, utilizzabili dal personale, di assistenza negli asili nido per i bambini di età inferiore a tre anni, e alle spese sostenute per la formazione e l’aggiornamento del personale (articolo 4 della legge 18 ottobre 2001, n. 383);
§ detassazione degli investimenti in ricerca e sviluppo, tecnologia digitale, partecipazione a fiere all’estero[116], quotazione in borsa, stage aziendali per studenti (c.d. tecno-Tremonti: articolo 1 del D.L. 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326);
§ esenzione, ai fini delle imposte dirette, del 90 per cento del reddito di lavoro dipendente o autonomo dei ricercatori residenti all’estero che rientrano in Italia. I suddetti redditi non concorrono alla formazione del valore della produzione netta, ai fini IRAP (articolo 3 dello stesso decreto-legge).
Due importanti agevolazioni fiscali concesse, nella forma di crediti d’imposta, nella XIII legislatura sono state ridisciplinate e hanno continuato a trovare applicazione nel corso della XIV legislatura, con l’introduzione di meccanismi volti ad assicurare il controllo della spesa:
§ credito d’imposta per incremento dell’occupazione in favore dei datori di lavoro che assumono nuovi dipendenti con contratto a tempo indeterminato, ad incremento dell’organico (articolo 7 della legge 23 dicembre 2000, n. 388, legge finanziaria per il 2001, successivamente ridisciplinato dall’articolo 63 della legge 23 dicembre 2002, n. 289);
§ credito d’imposta per investimenti nelle aree svantaggiate (c.d. Tremonti sud), in favore dei titolari di reddito d’impresa che effettuano investimenti nelle aree svantaggiate espressamente indicate (articolo 8 della legge 23 dicembre 2000, n. 388, successivamente più volte modificato).
In materia di imposta sul valore aggiunto, con il D.P.R. 12 aprile 2001, n. 222 sono state adottate alcune misure di semplificazione degli adempimenti contabili per le imprese minori (con elevazione del limite di volume d’affari da 360 milioni a 600 milioni di lire (euro 309.874,14) per le imprese aventi per oggetto prestazioni di servizi e per gli esercenti arti e professioni). Adeguamenti alla disciplina di fatturazione delle operazioni – con la previsione della possibilità di emissione di fattura elettronica – sono stati operati dal D.Lgs. 20 febbraio 2004, n. 52, in attuazione della direttiva 2001/115/CE. Nel contesto dell’operazione di definizione agevolata di violazioni tributarie realizzata dalla manovra finanziaria per il 2003, l’art. 5 del D.L. 24 dicembre 2002, n. 282, ha previsto una misura di sanatoria e chiusura delle partite IVA inattive riferita all’anno 2002 e ai precedenti.
In base alla direttiva 2002/38/CE, con il D.Lgs. 1° agosto 2003, n. 273, è stata specificata la disciplina della territorialità dell’imposta relativamente ai servizi di radiodiffusione, televisione e ai servizi prestati tramite mezzi elettronici.
L’articolo 10, comma 1, lettera b), del D.L. 14 marzo 2005, n. 35, ha definitivamente esteso ai produttori agricoli che nel corso dell’anno solare precedente abbiano realizzato un volume d’affari superiore a quaranta milioni di lire (euro 20.658,28) l’applicazione del regime speciale forfetario, che era stata per altro sempre prorogata fin dal 1998 (da ultimo per l’intero anno 2005 dalla L. 30 dicembre 2004, n. 311, co. 506). Lo stesso articolo 10 ha apportato altre modificazioni al predetto regime speciale e, al comma 3, ha disposto la rideterminazione delle percentuali di compensazione, al fine di assicurare maggiori entrate pari a 20 milioni di euro annui (eseguita con D.M. econ. e pol. agr. 23 dicembre 2005, pubblicato nella Gazzetta ufficiale n. 304 del 31 dicembre 2005).
Misure per prevenire l’evasione o l’elusione sono state introdotte, infine, dalla L. 30 dicembre 2004, n. 311, art. 1, co. 378-386: tali disposizioni introducono procedure volte, in particolare, a contrastare le frodi realizzate mediante l’importazione di autoveicoli di provenienza comunitaria, le cessioni all’esportazione e, in genere, le cessioni realizzate a prezzo inferiore al normale. Al medesimo fine, il D.L. 30 settembre 2005, n. 203, art. 2, co. 1, ha introdotto disposizioni volte a consentire all’amministrazione finanziaria di eseguire il controllo dei versamenti dell’IVA anche prima della presentazione della dichiarazione annuale (analoga misura è contenuta, ai co. 10-11, per le imposte dirette e il versamento delle ritenute da parte dei sostituti d’imposta).
Nel settore delle imposte di fabbricazione e di consumo, alcune disposizioni hanno interessato direttamente la misura dell’imposizione, o attraverso la diretta modificazione degli importi, oppure attraverso la previsione di un obiettivo finanziario e la remissione dell’intervento modificativo a successivo provvedimento dell’amministrazione.
Così, le accise sui prodotti alcolici sono state aumentate dapprima dalla L. 24 dicembre 2003, n. 350, art. 2, co. 55-56, indi con il D.L. 14 marzo 2005, n. 35, art. 10, co. 2 (che prevedeva altresì un successivo aumento da eseguirsi provvedimento del direttore dell’Agenzia delle Dogane). Reiterati interventi hanno riguardato l’imposta di consumo sui tabacchi lavorati (L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 21, co. 8-9; L. 24 dicembre 2003, n. 350, art. 2, co. 62; L. 30 dicembre 2004, n. 311, co. 485), ovvero l’importo di base sul quale essa è calcolata (D.L. 30 gennaio 2004, n. 24, art. 4, in attuazione della direttiva 2002/10/CE; D.L. 7 luglio 2005, n. 168, art. 2, co. 8), nonché la periodicità della rilevazione, da annuale divenuta dapprima semestrale (D.L. 7 luglio 2005, n. 168, art. 2, co. 6-7), indi trimestrale (L. 23 dicembre 2005, n. 266, art. 1, co. 550). La L. 30 dicembre 2004, n. 311, art. 1, co. 486, ha consentito altresì di determinare in via amministrativa il prezzo minimo di vendita delle sigarette.
Per quanto riguarda le accise sui carburanti e sugli olî minerali, l’aumento dell’imposta sulla fabbricazione della benzina è stato disposto per la copertura dell’onere derivante dal rinnovo contrattuale dei lavoratori del trasporto pubblico locale (D.L. 24 dicembre 2003, n. 355, art. 23, co. 3; un ulteriore incremento allo stesso fine è stato disposto dal D.L. 21 febbraio 2005, n. 16, art. 1, co. 9, mentre il successivo co. 10 ha stabilito il rimborso della maggiore imposta agli autotrasportatori). L’art. 1, co. 116, della L. 23 dicembre 2005, n. 266, ha aumentato l’aliquota dell’imposta di consumo sugli olî lubrificanti[117].
La L. 30 dicembre 2004, n. 311, art. 1, co. 514, ha invece abrogato il comma 4 dell’art. 8 della L. 23 dicembre 1998, n. 448, che prevedeva l’aumento delle accise sugli olî minerali dal 1° gennaio 2005. Tale misura è stata determinata dal fatto che non erano stati realizzati gli aumenti annuali previsti per il graduale raggiungimento del nuovo livello di tassazione, reiteratamente sospesi dal 1999 fino al 2004 (da ultimo, art. 1, co. 513, della citata L. n. 311 del 2004) in ragione dell’andamento del mercato internazionale degli idrocarburi.
In precedenza, nel medesimo ambito, con il D.P.R. 26 ottobre 2001, n. 416, era stato emanato il regolamento per la tassa sulle emissioni di anidride solforosa e ossidi di azoto a carico dei grandi impianti di combustione.
Tra le disposizioni agevolative prorogate (da ultimo dalla L. 23 dicembre 2005, n. 266, co. 115, fino al 31 dicembre 2006) si richiamano quelle riferite a:
- riduzione di aliquota sulle emulsioni stabilizzate di olî da gas o di olio combustibile denso con acqua;
- riduzione di aliquota sul gas metano per uso industriale, nonché sul gas metano per uso civile in talune aree geografiche;
- riduzione di aliquota su gasolio e GPL per uso di riscaldamento in talune aree geografiche;
- credito d’imposta per reti di teleriscaldamento con biomasse ed energia geotermica;
- esenzione da accisa per il gasolio destinato alle coltivazioni sotto serra;
- contingenti di gasolio per autotrazione in esenzione da accisa destinati alle province di Udine e Trieste.
Era stata altresì prorogata, con importi decrescenti, fino al 31 dicembre 2004 (L. 30 dicembre 2004, n. 311, art. 1, co. 515-517) l’agevolazione sul gasolio per autotrazione stabilita dall’art. 1, co. 1, del D.L. 26 settembre 2000, n. 265, e dal D.M. 19 marzo 2001 (pubblicato nella Gazzetta ufficiale n. 70 del 24 marzo 2001) in favore degli autotrasportatori.
Infine, la L. 30 dicembre 2004, n. 311, art. 1, co. 521, ha confermato l’esenzione dall’accisa in favore di un contingente di biodiesel da prodursi nell’ambito di un programma della durata di sei anni, il cui termine iniziale era stato differito dall’art. 19, co. 6, della legge 27 dicembre 2002, n. 289, indi fissato al 1° gennaio 2005 dal co. 520 della medesima L. n. 311 del 2004.
Nel corso della legislatura sono state soppresse alcune imposte.
In particolare, l’art. 8 della L. 28 dicembre 2001, n. 448, ha anticipato al 1° gennaio 2002 la cessazione dell’imposta comunale sull’incremento di valore degli immobili (INVIM), che sarebbe stata dovuta fino al 31 dicembre 2003, limitatamente all’incremento di valore maturato fino al 31 dicembre 1992, a norma dell’art. 17 del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504.
È stata soppressa dagli artt. 13-17 della L. 18 ottobre 2001, n. 383, l’imposta sulle successioni e donazioni, la cui applicazione era stata già limitata dall’art. 69 della L. 21 novembre 2000, n. 342, che ne aveva altresì modificato la disciplina.
Nel contesto di un’operazione di generale riordino volta al rilancio della nautica da diporto e del turismo nautico, è stata altresì soppressa la tassa di stazionamento per navi e imbarcazioni da diporto (L. 8 luglio 2003, n. 172, art. 15).
Sono state invece oggetto d’intervento, mediante aumento della tariffa, l’imposta di bollo (D.L. 12 luglio 2004, n. 168, art. 1-bis, co. 10; L. 30 dicembre 2004, n. 311, art. 1, co. 300; D.L. 31 gennaio 2005, n. 7, allegato, e D.M. economia 24 maggio 2005, pubblicato nella Gazzetta ufficiale 28 maggio 2005, n. 123) e l’imposta di registro (L. 30 dicembre 2004, n. 311, co. 300 (e D.M. economia 24 maggio 2005, pubblicato nella Gazzetta ufficiale 28 maggio 2005, n. 123). Relativamente a quest’ultima e alle imposte ipotecaria e catastale è stata altresì disposta la rivalutazione dei moltiplicatori (L. 24 dicembre 2003, n. 350, art. 2, co. 63; un’ulteriore rivalutazione, per i beni immobili diversi dalla prima casa di abitazione, ha operato il D.L. 12 luglio 2004, n. 168, art. 1-bis, co. 7-8).
Sono state adottate in quest’ambito alcune misure agevolative, fra cui possono richiamarsi l’eliminazione della tassa di concessione e dell’imposta di bollo sui brevetti, disposta dalla L. 23 dicembre 2005, n. 266, art. 1, co. 351-352, e la possibilità di liquidare l’imposta di registro per le cessioni di immobili fra persone fisiche assumendo come imponibile il valore catastale (L. 23 dicembre 2005, n. 266, art. 1, co. 497). Quest’ultima disposizione è stata introdotta con la manovra finanziaria per il 2006, nel contesto di interventi volti a far emergere l’effettivo valore dei trasferimenti immobiliari, dopo che – nella precedente manovra finanziaria – erano state introdotte disposizioni destinate a promuovere, con l’intervento dei comuni, una parziale revisione dei classamenti catastali (per microzone e per singole unità immobiliari: L. 30 dicembre 2004, n. 311, art. 1, co. 335-337 e 339) nonché misure antievasive sui contratti di locazione, fra l’altro escludendosi l’accertamento – agli effetti sia dell’imposta di registro, sia delle imposte sui redditi – a condizione che l’ammontare del canone dichiarato non sia inferiore a un decimo del valore catastale (L. 30 dicembre 2004, n. 311, art. 1, co. 341-343; al medesimo fine il co. 346 dichiara nulli i contratti di locazione di unità immobiliari non registrati).
Accanto a una lunga serie di interventi sull’organizzazione del lotto e delle altre scommesse nonché sulla gestione degli apparecchi da giuoco e intrattenimento, allo scopo di rafforzare la vigilanza amministrativa sul loro esercizio e impedire l’evasione fiscale e le pratiche illecite, si sono avuti interventi di carattere prettamente tributario, consistenti nell’aumento dell’imponibile forfetario per l’imposta sugli apparecchi da divertimento e intrattenimento (L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 22, co. 4), nell’elevazione dell’aliquota dell’imposta sulle scommesse (L. 30 dicembre 2004, n. 311, art. 1, co. 284) e dell’aliquota dell’imposta sulle scommesse ippiche (D.L. 30 settembre 2005, n. 203, art. 11-quinquiesdecies, co. 12) nonché nell’ aumento della ritenuta unica sul lotto (L. 30 dicembre 2004, n. 311, art. 1, co. 488).
Relativamente all’imposta regionale sulle attività produttive (IRAP), l’obiettivo politico del Governo nel corso della XIV legislatura è espresso nel criterio di delega contenuto nell’art. 8 della L. 7 aprile 2003, n. 80, che richiedeva la graduale eliminazione dell’imposta, partendo dall’esclusione del costo del lavoro dalla base imponibile, con precedenza per i soggetti con una prevalente incidenza di esso rispetto agli altri costi, e semplificazione della base imponibile. Quest’obiettivo non è stato realizzato, se non attraverso misure parziali, fra cui si segnalano l’accrescimento della misura delle deduzioni (L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 5, co. 2, e L. 30 dicembre 2004, n. 311, co. 347) e la deducibilità delle spese per il personale assunto con contratto di formazione e lavoro (L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 5, co. 2) e per il personale addetto a ricerca e sviluppo (L. 30 dicembre 2004, n. 311, co. 347). Maggiori deduzioni per nuove assunzioni nelle aree sottoutilizzate sono state disposte dall’art. 11-ter del D.L. 14 marzo 2005, n. 35.
Nel settore agricolo, si è verificata la riduzione dell’aliquota transitoria per i soggetti operanti nel settore agricolo e per le cooperative della piccola pesca (portata dal 2,5 all’1,9 per cento dall’art. 9, co. 7, della L. 28 dicembre 2001, n. 448): tale regime transitorio è stato da ultimo prorogato al 31 dicembre 2005 dall’art. 1, co. 118, della L. 23 dicembre 2005, n. 266.
Una modifica della base imponibile dell’IRAP, volta all’acquisizione di maggior gettito, è stata invece realizzata a carico delle banche e degli enti finanziari, eliminando dal calcolo della base imponibile le riprese e le rettifiche di valore su crediti nonché gli accantonamenti per rischi (D.L. 12 luglio 2004, n. 168, art. 2, co. 2 e 3: l’efficacia della misura è stata differita al successivo periodo d’imposta dall’art. 3 del D.L. 29 novembre 2004, n. 282). Analoga misura è stata adottata per le imprese di assicurazione (D.L. 30 settembre 2005, n. 203, art. 6, co. 1).
Si ricorda infine che, in pendenza del giudizio instaurato dinnanzi alla Corte di giustizia delle Comunità europee circa la compatibilità del tributo con l’ordinamento comunitario, con l’art. 1 del D.L. 17 giugno 2005, n. 106, sono state adottate misure temporanee per assicurare il versamento dell’IRAP nel 2005.
Misure volte a rafforzare i poteri di accertamento da parte dell’amministrazione finanziaria agli effetti dell’IRPEF e dell’IVA sono state adottate, in particolare, con la L. 30 dicembre 2004, n. 311, art. 1, co. 402-406, e successivamente con il D.L. 30 settembre 2005, n. 203, art. 2, co. 8-9, che ha disposto l’utilizzabilità dei dati acquisiti per l’accertamento delle accise agli effetti dell’accertamento presuntivo delle imposte dirette e dell’IVA.
Al medesimo fine, si è inteso incentivare la partecipazione dei comuni all’accertamento, prevedendo che siano loro assegnate quote del maggior gettito riscosso sulla base degli elementi da essi forniti (D.L. 30 settembre 2005, n. 203, art. 1).
Fra gli strumenti impiegati per la determinazione dell’imponibile hanno assunto una funzione sempre più rilevante gli studi di settore[118]. Nel corso della legislatura sono state emanate alcune disposizioni relative alla loro revisione, da ultimo con l’art. 1, co. 399-401, della L. 30 dicembre 2004, n. 311, che ha previsto la revisione quadriennale e, ai co. 407-411, ne ha altresì disciplinato l’impiego a fine di accertamento.
All’ambito dell’accertamento può ricondursi – pur con caratteristiche speciali – l’istituto del concordato preventivo, contemplato in varie forme nella legislazione degli ultimi anni.
Una prima forma di concordato triennale, prevista dall’art. 6 della L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 6, non ha tuttavia trovato realizzazione per la mancata emanazione del regolamento ministeriale attuativo. In forma sperimentale, un concordato preventivo biennale riferito agli anni 2003 e 2004 è stato quindi introdotto dall’articolo 33 del D.L. 30 settembre 2003, n. 269.
La L. 30 dicembre 2004, n. 311, co. 387-398, ha poi disciplinato l’istituto della pianificazione fiscale concordata triennale, destinata a entrare in funzione dal 2005. Tuttavia, questa disciplina sembra essere sostituita dalla programmazione fiscale triennale, prevista dalla L. 23 dicembre 2005, n. 266, art. 1, co. 499-509 e 519-520, con decorrenza dal periodo fiscale 2006. La stessa legge, al co. 368, lettera a), ha prefigurato la possibilità di concordare la tassazione di distretto (riferita a tributi statali e locali) per le imprese aderenti ai distretti industriali, rimettendone la disciplina a un emanando decreto ministeriale.
La disciplina della riscossione era stata oggetto di una riforma, attuata nel corso del 1999 con diversi provvedimenti legislativi delegati. Permanevano tuttavia diversi problemi, sia in relazione al sistema di remunerazione dei concessionari, sia più in generale all’attuazione delle nuove forme organizzative.
A taluni di questi problemi si è inteso ovviare nella XIV legislatura con misure temporanee come quelle relative agli affidamenti temporanei e alle proroghe delle concessioni, previste dall’art. 3, co. 13-bis, del D.L. 8 luglio 2002, n. 138, unitamente a misure volte al potenziamento del servizio di riscossione, e con la proroga delle concessioni, disposta fino al 31 dicembre 2006 (L. 30 dicembre 2004, n. 311, art. 1, co. 427).
La soluzione scelta da ultimo è consistita tuttavia nell’integrale riforma del sistema di riscossione, la quale prevede il superamento dell’attuale sistema di concessionari per circoscrizioni territoriali e l’attribuzione della funzione all’Agenzia delle entrate, che la eserciterà mediante la società Riscossione SpA, all’uopo costituita (D.L. 30 settembre 2005, n. 203, art. 3). Tale società dovrà operare dal 1° ottobre 2006, è stata quindi correlativamente ridotta la durata della proroga delle preesistenti concessioni.
Fra le misure adottate sul piano della disciplina dell’attività di riscossione, si segnalano l’introduzione della facoltà di esperire azioni cautelari e conservative da parte del concessionario (L. 30 dicembre 2004, n. 311, art. 1, co. 415) e la possibilità di transazione su somme iscritte a ruolo, prevista dapprima dal D.L. 8 luglio 2002, n. 138, art. 3, co. 3, e poi inserita nell’ambito delle riformate procedure concorsuali con gli artt. 146 e 151 del D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5.
Nel corso della legislatura sono state adottate numerose misure di sanatoria e di definizione agevolata di violazioni tributarie.
In occasione dell’introduzione dell’euro, vennero adottate misure volte a favorire l’emersione delle attività detenute all’estero, con pagamento – in denaro o mediante sottoscrizione di appositi titoli di Stato – di una somma in origine stabilita nel 2,5 per cento dell’importo rimpatriato, estinzione dei reati di omessa o infedele dichiarazione e delle sanzioni amministrative per violazioni tributarie, contributive e valutarie nonché preclusione dell’attività di accertamento (cosiddetto “scudo fiscale”: D.L. 25 settembre 2001, n. 350, artt. 11-21, più volte prorogato, da ultimo con il D.L. 24 giugno 2003, n. 143, art. 2).
La L. 18 ottobre 2001, n. 383, ha introdotto iniziative volte all’emersione dell’economia sommersa, in particolare dell’impiego di lavoro irregolare con inadempimento degli obblighi fiscali e previdenziali. A quest’effetto sono stati previsti l’adesione a un programma di emersione, valido anche come concordato tributario, e il pagamento di un’imposta sostitutiva sull’incremento del reddito imponibile da questo derivante.
Nel contesto della manovra finanziaria per il 2003, la L. 27 dicembre 2002, n. 289, ha introdotto numerose formule di sanatoria di violazioni tributarie:
- definizione automatica di redditi di impresa e di lavoro autonomo per gli anni pregressi (art. 7: dichiarazioni presentate entro il 31 ottobre 2002; termine prorogato al 31 dicembre 2002 dalla L. 24 dicembre 2003, n. 350, art. 2, co. 44);
- integrazione degli imponibili dichiarati per gli anni pregressi (art. 8: dichiarazioni presentate entro il 31 ottobre 2002; termine prorogato al 31 dicembre 2002: L. 24 dicembre 2003, n. 350, art. 2, co. 44);
- definizione automatica per imposte sui redditi, sostitutive e IVA (art. 9: dichiarazioni da presentarsi entro il 31 ottobre 2002, termine prorogato al 31 dicembre 2002: L. 24 dicembre 2003, n. 350, art. 2, co. 44);
In tutti questi casi è consentita altresì la regolarizzazione delle scritture contabili: art. 14 (e art. 2, co. 47, della L. 24 dicembre 2003, n. 350). Contestualmente, sono prorogati di due anni i termini per l’accertamento nei riguardi dei soggetti che non si siano avvalsi delle misure di sanatoria:art. 10 [proroga confermata per il 2002 dall’art. 2, co. 44, lettera f), della L. 24 dicembre 2003, n. 350].
- definizione dei ritardati od omessi versamenti (art. 9-bis, aggiunto dall’art. 5-bis del D.L. 24 dicembre 2002, n. 282: versamenti riferiti a dichiarazioni presentate entro il 31 ottobre 2002; termine prorogato al 1° gennaio 2004: L. 24 dicembre 2003, n. 350, art. 2, co. 44);
- chiusura delle liti fiscali pendenti mediante pagamento in misura ridotta (art. 16: liti pendenti al 1° gennaio 2003; termine prorogato al 30 ottobre 2003: L. 24 dicembre 2003, n. 350, art. 2, co. 49);
La stessa legge n. 289 del 2002 ha consentito altresì la definizione agevolata di:
- imposte di registro, ipotecaria, catastale, successioni, donazioni, INVIM (art. 11: atti formati e scritture registrate entro il 30 novembre 2002; termine prorogato al 30 settembre 2003: L. 24 dicembre 2003, n. 350, art. 2, co. 46);
- carichi di ruoli emessi o affidati ai concessionari entro il 30 giugno 1999 (art. 12: poi estesa fino al 30 giugno 2001: D.L. 24 giugno 2003, n. 143);
- avvisi e altri atti di accertamento (art. 15) (prorogato al 1° gennaio 2004: L. 24 dicembre 2003, n. 350, art. 2, co. 48)
- canone di abbonamento per le radio-audizioni e affissioni di manifesti politici (art. 17).
L’articolo 13 concedeva a regioni, province e comuni di prevedere analoghe agevolazioni per la definizione dei tributi propri. Misure per la definizione agevolata delle violazioni relative alla tassa automobilistica commesse entro il 31 dicembre 2001 sono state inoltre introdotte dall’art. 5-quinquies del D.L. 24 dicembre 2002, n. 282.
In connessione con la pianificazione fiscale triennale da essa introdotta, la L. 23 dicembre 2005, n. 266, art. 1, co. 510-518, ha previsto infine la possibilità di adeguamento dei redditi d’impresa o di lavoro autonomo riferiti agli anni 2003 e 2004.
Il dibattito politico sulle misure di condono tributario ha opposto divergenti opinioni. Da un lato si sono rilevate la sottesa finalità generale di emersione di base imponibile e l’utilità di regolarizzare situazioni preesistenti (rientro dei capitali, emersione del lavoro nero), nonché l’esigenza di ridurre il contenzioso in vista della riforma prefigurata dalla legge di delega per la riforma del sistema fiscale statale (attuata soltanto nella parte relativa all’imposizione sui redditi, in particolare con la riforma della tassazione dei redditi d’impresa, cui per altro erano riferibili numerose delle norme di condono sopra descritte). Di contro si è osservato come i provvedimenti di sanatoria, adottati per conseguire entrate immediate, rechino solo temporaneo beneficio al bilancio pubblico, ostacolando invece il regolare funzionamento delle attività di accertamento e riscossione e indebolendo lo spirito di legalità presso i contribuenti.
Relativamente all’organizzazione della giurisdizione tributaria, un primo intervento è stato operato dall’art. 16-quater del D.L. 28 dicembre 2001, n. 452, che – analogamente a quanto previsto dalla L. 21 luglio 2000, n. 205, per i Consigli di presidenza della giustizia amministrativa e della Corte dei conti – ha modificato la composizione del Consiglio di presidenza della giustizia tributaria, prevedendo che undici componenti siano eletti dai giudici tributari, i restanti dalle Camere, in ragione di due per ciascuna, a maggioranza assoluta dei propri componenti.
In previsione della scadenza del termine novennale di durata in carica dei componenti delle commissioni tributarie – che il 31 marzo 2005 avrebbe interessato circa 4600 giudici[119] – e della complessità del procedimento previsto dalla legge per il conferimento degli incarichi e delle sedi, con il D.L. 29 novembre 2004, n. 282, art. 8, è stata prorogata di un anno la durata in carica dei giudici.
Infine, l’art. 3-bis del D.L. 30 settembre 2005, n. 203, ha riformato la disciplina della nomina dei componenti delle commissioni tributarie, della loro durata in carica e dell’assegnazione degli incarichi. Lo stesso provvedimento ha esteso l’oggetto della competenza della giurisdizione tributaria, attribuendo ad essa la cognizione delle controversie in materia di canoni per l’occupazione di spazi e aree pubbliche, per lo scarico e la depurazione delle acque reflue, per lo smaltimento dei rifiuti urbani, di imposta comunale o canone sulla pubblicità e di diritti sulle pubbliche affissioni. Sono state inoltre introdotte modificazioni in materia di procedura e di assistenza tecnica nel processo tributario. Da ultimo, il D.L. 30 dicembre 2005, n. 273, art. 18, co. 4-ter, a fini di razionalizzazione e risparmio di spesa, ha disposto la revisione del numero dei componenti e delle sezioni delle Commissioni tributarie.
Presso la Corte di giustizia delle Comunità europee è in corso una causa sulla compatibilità dell’imposta regionale sulle attività produttive (IRAP) con il divieto posto agli Stati membri dalla direttiva 77/388/CE (“sesta direttiva IVA”) di fissare imposte sulle cifre d’affari diverse dall’IVA (Causa C-475/03). La causa è stata proposta in via pregiudiziale dalla Commissione tributaria di Cremona.
L’Avvocato generale Stix-Hackl il 14 marzo 2006 ha depositato davanti alla Corte le proprie conclusioni in cui, come il suo predecessore, conclude che l’Irap sarebbe incompatibile con la disciplina IVA.
La Corte adotterà la sentenza in una delle prossime settimane.
La Commissione ha costituito nel 2004 un gruppo di esperti per l’elaborazione di una proposta legislativa volta a definire una base imponibile comune consolidata per le società (CCCTB – Common corporate consolidated tax base). Con una comunicazione (COM(2006)157) presentata il 5 aprile scorso, la Commissione ha dato conto dello stato dei lavori in seno al gruppo e del calendario per le prossime attività. In particolare, la Commissione preannuncia la presentazione, entro il 2008, della proposta legislativa che dovrebbe definire un nucleo di regole comuni per determinare il reddito imponibile delle imprese che svolgono la loro attività in vari paesi dell’Unione, ferma restando la sovranità degli Stati membri di fissare autonomamente le aliquote fiscali.
Nel nuovo scenario dell’economia globale emerge in modo pressante la necessità di politiche di sviluppo che consentano al nostro sistema produttivo di ricollocarsi adeguatamente nei nuovi assetti internazionali. La crescita di competitività del Paese ha formato oggetto di tutti i documenti di programmazione economico-finanziaria approvati nel corso della legislatura, in diretta connessione con gli obiettivi di sviluppo e di creazione di impieghi fissati dall’Unione europea a Lisbona.
A questo riguardo sono state più volte sottolineate la crescente interdipendenza tra i vari fattori economici e giuridico-istituzionali nonché l’esigenza di utilizzare strumenti in grado di garantire l’organizzazione di un mercato realmente aperto e competitivo basato sulla conoscenza, lo sviluppo industriale e la sempre più estesa diffusione e diversificazione del settore dei servizi, con maggiore sostegno alla ricerca e all’innovazione. Più specificamente, per quanto interessa in questa sede, le azioni volte al recupero di competitività del sistema produttivo si sono poste obiettivi quali il consolidamento dei sistemi locali e la crescita dimensionale delle imprese, la semplificazione amministrativa, la razionalizzazione degli incentivi alle imprese e del sistema di gestione delle crisi industriali.
Nel nuovo scenario dell’economia globale, il recupero di quote di mercato del nostro sistema produttivo appare perseguibile in primo luogo attraverso l’attuazione di politiche di sviluppo rivolte alla qualità e all’innovazione e finalizzate al radicamento diretto delle nostre PMI sui mercati di sbocco. Per raggiungere tale obiettivo è necessario tuttavia risolvere i problemi strutturali dell’economia italiana, tra i quali in primo luogo la dimensione limitata delle aziende, che impedisce la nascita di grossi gruppi capaci di affrontare con successo la concorrenza internazionale.
In questa prospettiva intendono collocarsi le misure finalizzate a favorire l’aggregazione tra imprese che sono contenute nell’articolo 9 del D.L. 35/05, il quale ha introdotto, tal fine, un credito di imposta a favore delle microimprese e delle piccole e medie imprese che partecipino a processi di concentrazione. Ai sensi dell’articolo 9, il credito d’imposta – utilizzabile esclusivamente in compensazione – è pari al 50 per cento delle spese sostenute per studi e consulenze relative alle operazioni di concentrazione.
La nozione di “concentrazione” rilevante per l’attribuzione del credito d’imposta è stata successivamente estesa ad altre fattispecie, espressamente indicate dalla legge finanziaria per il 2006 (art. 1 comma 418 L. n. 266/05). Un "premio di concentrazione" è stato previsto anche dal D.L. 17 giugno 2005, n. 106,recantedisposizioni urgenti in materia di entrate, convertito, con modificazioni, dalla legge 31 luglio 2005, n. 156.
La legge finanziaria per il 2006 (L. n. 266/05, art. 1, commi 366-372) interviene invece in materia di distretti produttivi che, come è noto, rappresentano uno dei maggiori punti di forza del sistema produttivo italiano e che si configurando come sistemi produttivi locali omogenei, caratterizzati da un’elevata concentrazione di imprese industriali, prevalentemente di piccola e media dimensione e dall’elevata specializzazione produttiva.
L’assunto di fondo dal quale muove l’intervento legislativo è la necessità di valorizzare le specificità del sistema produttivo italiano, composto in prevalenza da piccole e medie imprese (PMI), il cui tipico modello organizzativo è costituito dai distretti industriali. In particolare, considerata la connotazione del tessuto produttivo nazionale, caratterizzata da uno scarso numero di grandi imprese a fronte di una ricca costellazione di PMI, le disposizioni della legge 266/05 sono dirette a conferire una sorta di soggettività giuridica al modello organizzativo dei distretti, trasformandoli in piattaforme di sviluppo organizzate secondo il concetto della filiera produttiva, in grado sia di surrogare l’assenza di grandi industrie, sia di promuovere una più intensa internazionalizzazione dell’economia italiana.
Nel suo complesso, l’intervento legislativo è diretto, segnatamente, a superare l’asimmetria tra la “struttura economica unitaria dei distretti e la “struttura giuridica molecolare” delle imprese che appartengono agli stessi.
Al fine di far convergere, almeno parzialmente, la sostanza economica (unitaria) dei distretti, con la forma giuridica (plurale) delle imprese ad essi sottostanti, l’intervento legislativo in esame è volto alla creazione di una “piattaforma comune” sul piano della fiscalità, della finanza, degli adempimenti amministrativi e delle attività di ricerca e sviluppo.
La disposizione prefigura dunque la definizione di due distinte tipologie di distretti: quelli territoriali e quelli funzionali.
I distretti territoriali, maggiormente ancorati all’esperienza maturata finora nel settore dei distretti produttivi, si caratterizzano per la comune appartenenza delle imprese che vi afferiscono ad un medesimo settore produttivo oltre che ad uno stesso ambito territoriale.
I distretti funzionali nella relazione governativa di accompagnamento al disegno di legge originario (A.S. 3613) sono definiti come "una libera aggregazione di imprese che cooperano in modo intersettoriale in una logica di mutual business; si prescinde così dalla sussistenza di legami con specifici territori, in funzione del perseguimento di sinergie fra imprese svolgenti attività complementari o comunque connesse, ai fini dell’accesso ad opportunità presenti sul mercato che presuppongono una integrazione dell’offerta produttiva ovvero ai fini dell’ammissione a determinati regimi particolari all’uopo previsti dalla legge".
L’art. 1, comma 368, della legge n. 266/05determina le disposizioni tributarie, amministrative, finanziarie e di promozione della ricerca e dello sviluppo, applicabili ai distretti produttivi. Con esse viene prevista, in sintesi, la possibilità, per le imprese appartenenti a distretti produttivi, di dare vita a un ambito comune per la fiscalità, gli adempimenti amministrativi e la finanza.
Nel corso della legislatura la semplificazione dei rapporti tra le imprese e la Pubblica amministrazione è stata oggetto di numerosi interventi, che hanno trovato collocazione sia nelle leggi annuali di semplificazione previste dall’art. 20 della legge n. 59/1997, sia nel pacchetto di misure presentate dal governo in tema di competitività delle imprese.
A chiusura di questo complesso di interventi, la legge n. 246 del 28 novembre 2005 (legge di semplificazione 2005)haconferito al Governo una delega per il riassetto delle disposizioni di competenza legislativa esclusiva statale in materia di adempimenti amministrativi delle imprese.
Le misure di snellimento degli adempimenti amministrativi a carico delle imprese sono state precedute da una operazione di ricognizione degli adempimenti stessi. L’art. 16 della legge n. 229/2003 (legge di semplificazione 2001), ha infatti disposto l’istituzione, presso il Ministero delle attività produttive, del Registro informatico degli adempimenti amministrativi per le imprese, prevedendo che il Ministero si avvalga del sistema informativo delle Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura.
Il “Piano d’azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale” (cd “pacchetto per la competitività”) ha quindi individuato nello snellimento delle procedure amministrative a carico delle imprese una delle linee-guida per il recupero di competitività del sistema paese.
L’obiettivo è stato perseguito essenzialmente mediante l’estensione di istituti quali la denuncia di inizio attività ed il silenzio–assenso nei procedimenti, nonché con l’applicazione generalizzata dello sportello unico. (Vedi anche l’area tematica Pubblica amministrazione, pubblico impiego e servizi pubblici).
L’articolo 3, comma 1, del decreto - legge 14 marzo 2005, n. 35, convertito con modificazioni dalla legge n. 80/2005, sostituendo l’articolo 19, comma 1 della legge 7 agosto 1990, n. 241 (“Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi”), ha introdotto una nuova disciplina dell’istituto della denuncia di inizio attività, ampliando le ipotesi nelle quali può essere svolta una attività senza richiedere alle pubbliche amministrazioni provvedimenti di licenza, autorizzazione, permesso ovvero l’iscrizione in albi o ruoli.
Il comma 6-bis dello stesso art. 3 del D.L. n. 35/05 ha sostituito poi l’art. 2 della L. 241/1990 relativo alla conclusione del procedimento amministrativo, allo scopo di fissare termini certi entro i quali i procedimenti di competenza delle amministrazioni statali devono concludersi.
Il comma 6-ter ha inoltre modificato le disposizioni di cui all’art. 20 della L. 241/1990 in materia di silenzio-assenso, generalizzandone l’applicazione nei casi in cui la pubblica amministrazione non risponde con un provvedimento di diniego ad un’istanza di rilascio di provvedimenti amministrativi nei termini fissati.
Il comma 6-octies, modificando il comma 2 dell’art. 18 della L. 241/1990 in materia di autocertificazione, ha stabilito che i documenti attestanti atti, fatti, qualità e stati soggettivi, necessari per l’istruttoria del procedimento, sono acquisiti d’ufficio quando sono in possesso dell’amministrazione procedente, ovvero sono detenuti, istituzionalmente, da altre pubbliche amministrazioni.
Come già accennato, infine, la legge n. 246 del 28 novembre 2005 (legge di semplificazione 2005)ha da ultimoconferito al Governo una delega per il riassetto delle disposizioni di competenza legislativa esclusiva statale in materia di adempimenti amministrativi delle imprese, con esclusione degli adempimenti amministrativi fiscali, previdenziali e di quelli gravanti sulle imprese in qualità di datori di lavoro. Tra i criteri di delega è ricompresa anche la rimozione degli ostacoli, ove esistenti, alla piena operatività degli sportelli unici (disciplinati dagli articoli 23 e 24 del D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 112), nonché l’estensione e lo sviluppo dell’operatività degli stessi.
La necessità di semplificare e razionalizzare il sistema degli incentivi alle imprese, con una particolare attenzione al sistema produttivo nel mezzogiorno, è stata più volte sottolineata nei documenti di programmazione economico-finanziaria approvati nel corso della legislatura, a partire già dal DPEF 2002-05
La legge 29 luglio 2003, n. 229 “Interventi in materia di qualità della regolazione, riassetto normativo e codificazione - Legge di semplificazione 2001", all’art. 5 ha delegato il Governo ad adottare un decreto legislativo per il riassetto della normativa in materia di interventi di sostegno pubblico per lo sviluppo delle attività produttive.
Il termine per l’esercizio della delega, originariamente fissato al 9 settembre 2004, è stato prorogato al 9 settembre 2005, dall’art. 2, comma 7, lettera a), della L. 27 luglio 2004, n. 186, di conversione del D.L. 28 maggio 2004, n. 136, ed è poi scaduto senza che la delega fosse esercitata.
Nel frattempo, al fine di attribuire maggiore flessibilità al sistema di finanziamento degli interventi nelle aree sottoutilizzate, con la legge finanziaria per il 2003 (legge n. 289/2002) è stata prevista l’istituzione di due fondi di carattere generale: il Fondo per le aree sottoutilizzate, iscritto nello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze (articolo 61, comma 1) e il Fondo da iscrivere nello stato di previsione del Ministero delle attività produttive, nel quale sono confluite le risorse destinate agli interventi nelle aree sottoutilizzate, di competenza di quest’ultimo Ministero, in precedenza allocate nel Fondo unico per gli incentivi alle imprese (articolo 61, comma 3).
La legge n. 311/2004, legge finanziaria per il 2005, ha quindi disposto (comma 354 dell’art. 1) l’istituzione, presso la gestione separata della Cassa depositi e prestiti Spa, del predetto Fondo rotativo, denominato “Fondo rotativo per il sostegno alle imprese“, finalizzato alla concessione di finanziamenti agevolati alle imprese in forma di anticipazione di capitali rimborsabile secondo un piano di rientro pluriennale.
La disciplina del Fondo rotativo di cui sopra è stata quindi modificata dall’art. 6 del D.L. 14 marzo 2005, n. 35, convertito con modificazioni dalla legge 14 maggio 2005, n. 80.In particolare il D.L. ha provveduto a ridenominare il Fondo, divenuto “Fondo rotativo per il sostegno alle imprese e gli investimenti in ricerca”, in quanto una quota - pari ad almeno il 30 per cento della dotazione finanziaria del fondo medesimo - è stata destinata al sostegno di attività, programmi e progetti strategici di ricerca e sviluppodelle imprese, da realizzare anche congiuntamente a soggetti della ricerca pubblica.
Il D.L. n. 35/05 ha introdotto anche altre disposizioni in materia di incentivi alle imprese. In particolare, l’art. 8 del D.L. ha modificato la disciplina relativa alla concessione degli incentivi alle imprese nelle aree sottoutilizzate, operandola revisione dei meccanismi che presiedono alla concessione degli incentivi come definiti dal decreto-legge 22 ottobre 1992, n. 415, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 dicembre 1992, n. 488, ovvero come disposti nell’ambito degli strumenti della programmazione negoziata(patti territoriali, contratti di programma e contratti d’area). I principi introdotti sono volti alla sostituzione dei finanziamenti a fondo perduto con prestiti agevolati, promuovendo al tempo stesso il coinvolgimento degli istituti bancari nel finanziamento degli investimenti oggetto di agevolazioni.
Nel corso della XIV legislatura numerosi interventi adottati a sostegno delle piccole e medie imprese (PMI) sono stati volti ad incrementare il loro grado di conoscenza tecnologica e ad accrescere la loro collaborazione con gli istituti di ricerca.
Tra gli interventi volti al potenziamento delle piccole e medie imprese nonché alla diffusione presso di esse della cultura dell’innovazione tecnologica si segnalano i seguenti:
§ Legge n. 273 del 12 dicembre 2002recante “Misure per favorire l’iniziativa privata e lo sviluppo della concorrenza”. In particolare le disposizioni del Capo I della legge recano interventi volti alla promozione e allo sviluppo delle piccole e medie imprese, sia attraverso la razionalizzazione e la semplificazione di interventi preesistenti, sia attraverso l’introduzione di nuove misure di sostegno. Tra queste si segnalano le agevolazioni a favore delle pmi del settore tessile, concesse, nei limiti della disciplina comunitaria sugli aiuti de minimis, al fine di sostenere programmi di sviluppo e di innovazione nelle PMI dei settori tessile, dell’abbigliamento e calzaturiero, specificamente diretti alla ideazione di nuove collezioni di prodotti;
§ Piano per l’innovazione digitale nelle imprese. Nel luglio 2003, il Ministro per le attività produttive ed il Ministro per l’innovazione e le tecnologie hanno presentato un programma coordinato di interventi economici, normativi, strutturali, denominato "Piano per l’innovazione digitale nelle imprese": Il Piano definisce un insieme di interventi diretti a stimolare e coordinare gli investimenti pubblici e privati nell’innovazione tecnologica nei settori tradizionali e ad alta tecnologia. Nell’ambito degli interventi indicati dal Piano, particolare importanza rivestono le misure di cui alla legge n. 46/82;
§ Decreto del Ministro delle attività produttive e del Ministro per l’innovazione e le tecnologie del 15 giugno 2004 “Costituzione di una sezione speciale del Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese dedicata all’innovazione tecnologica”.
L’articolo 11 del D.L. n. 35/05 ha disposto l’istituzione del Fondo per il finanziamento degli interventi per il salvataggio e la ristrutturazione delle imprese in difficoltà, consentiti dagli Orientamenti UE sugli aiuti di Stato. Il DL ha altresì stabilito in 35 milioni di europer l’anno 2005ladotazione finanziaria del Fondo,edha inoltre previsto l’istituzione di un apposito Comitato tecnico, nominato con DPCM, al quale sono affidate le attività di coordinamento e di monitoraggio degli interventi consentiti dagli orientamenti comunitari in materia di aiuti di Stato finalizzati al salvataggio e alla ristrutturazione delle imprese in crisi. Il Comitato opera sulla base degli indirizzi formulati dalle Amministrazioni competenti, le quali si avvalgono per la valutazione ed attuazione degli interventi stessi delle strutture di Sviluppo Italia Spa in modo da non determinare oneri aggiuntivi per il bilancio dello Stato. Le modalità attuative delle predette disposizioni saranno dettate dal Cipe.
Si ricorda inoltre, per contiguità di materia, che il citato D.L. 35/05, all’articolo 2, ha introdotto numerose novelle alla legge fallimentare(R.D. 16 marzo 1942, n. 267), dettando le prime disposizioni urgenti finalizzate, in particolare, alla modifica dell’istituto della revocatoria e delle procedure di concordato preventivo. Il Disegno di legge di conversione ha quindi conferito una delega al governo per la riforma organica delle procedure concorsuali di cui al medesimo R.D. n. 267/1942.
La delega è stata attuata con il Decreto legislativo 9 gennaio 2006, n. 5.
Il decreto legge n. 347/03,“Misure urgenti per la ristrutturazione industriale di grandi imprese in stato di insolvenza” (convertito, con modificazioni, dalla legge n.39/04) e successive modificazioni, ha introdotto una disciplina speciale in materia di ammissione immediata all’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza. L’emanazione del decreto è avvenuta in concomitanza con il dissesto finanziario della Soc. Parmalat, che ha posto con urgenza l’esigenza di salvaguardare tempestivamente le attività industriali di grandi imprese in stato di insolvenza; ciò al fine di non pregiudicare il valore dell’avviamento (ivi compresi marchi, brevetti, ecc.) e il posizionamento di mercato dell’impresa.
La disciplina speciale in materia di amministrazione straordinaria introdotta dal decreto-legge n.347/03 rinvia, per quanto non diversamente disposto e in quanto compatibili, alle norme del decreto legislativo 8 luglio 1999, n. 270 (c.d. Prodi Bis), il quale, a sua volta, rinvia, alle disposizioni della legge fallimentare. Detta disciplina speciale è stata poi modificata nel corso della legislatura, dapprima con il decreto-legge n. 119 del 3 maggio 2004 (convertito in legge, con modificazioni, dalla legge n. 166 del 5 luglio 2004), e quindi con il decreto legge 29 novembre 2004, n. 281 (convertito in legge dall’art. 1 della legge 28 gennaio 2005, n. 6).
In sintesi, la normativa introdotta con le disposizioni sopra richiamate ha la finalità di consentire il superamento di alcuni limiti derivanti dalla tempistica e dal carattere prevalentemente liquidatorio delle procedure di amministrazione straordinaria previgenti, mirando ad accelerare l’avvio e la definizione dei procedimenti per l’ammissione immediata delle imprese in stato di insolvenza all’amministrazione straordinaria, nonché la gestione dello stato di insolvenza mediante un programma di ristrutturazione economica e finanziaria dell’impresa e del gruppo in cui essa è inserita; ciò al fine di assicurare la continuazione delle attività industriali.
Si veda il paragrafo La strategia di Lisbona riportato nell’area tematica Politica economica e privatizzazioni.
Si veda il paragrafo La proposta di direttiva sui servizi nel mercato interno riportato nell’area tematica Commercio, servizi e tutela dei consumatori.
Nel corso della XIV legislatura il settore dell’informazione e della comunicazione è stato al centro di un ampio processo di riordino che, sotto la spinta della normativa europea, ha condotto all’approvazione di due provvedimenti finalizzati ad introdurre una normativa “di sistema” nei due ambiti considerati, il primo – disciplinato dal D.lgs. 1° agosto 2003, n. 259 (codice delle comunicazioni elettroniche) – relativo al settore delle comunicazioni elettroniche, il secondo - regolamentato dalla legge 3 maggio 2004 n. 112 e poi dal testo unico della radiotelevisione (D.Lgs. 31 luglio 2005, n. 177) – afferente alla radiotelevisione.
Il decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259 ha introdotto nell’ordinamento italiano il codice delle comunicazioni elettroniche. Il codice, emanato sulla base della delega contenuta nella legge n. 166 del 2002 (c.d. collegato infrastrutture), ha dato attuazione al “pacchetto” di direttive in materia di “comunicazioni elettroniche”[120] (2002/19/CE, 2002/20/CE, 2002/21/CE, 2002/22/CE) che – rispetto alle direttive relative alla liberalizzazione del settore, adottate all’inizio degli anni ‘90 (soprattutto le direttive numero 387 e 388 del 1990) – presenta novità di rilievo, relative fondamentalmente a tre aspetti:
§ passaggio dalla fase iniziale della liberalizzazione alla fase più matura dell’armonizzazione dei mercati: fase che impone un più forte coordinamento tra le politiche e le discipline nazionali.
§ definizione di un quadro normativo unitario per l’intero comparto della comunicazione elettronica, comprensivo delle telecomunicazioni, della radiotelevisione e delle nuove tecnologie dell’informazione: un quadro unitario nella prospettiva della convergenza tecnologica in atto nei vari mezzi.
§ definizione di una piattaforma di regole comuni per le Autorità di regolazione nazionali, con la previsione di un più stretto sistema di relazioni tra le Autorità dei vari Paesi dell’Unione europea, tra le Autorità di regolazione e quelle per la tutela della concorrenza, nonché tra il complesso delle Autorità di regolazione e Autorità per la concorrenza e la Commissione europea.
Le principali innovazioni del nuovo quadro di regolazione introdotto dal codice possono essere così riassunte:
§ inclusione delle reti di trasporto del segnale televisivo nell’insieme denominato “reti di comunicazione elettronica”, a seguito della constatata tendenziale assimilazione delle tecnologie di trasporto del segnale sulle diverse reti di comunicazione elettronica, astrattamente tutte in grado di trasmettere segnali digitalizzati che riproducono indifferentemente suoni, dati o immagini in movimento. Tale innovazione non incide – secondo quanto previsto dallo stesso codice -sulla materia radiotelevisiva, intesa come servizi che forniscono “contenuto” trasmesso utilizzando reti e servizi di comunicazione elettronica o che comportano un controllo editoriale: tali contenuti rimangono disciplinati a livello europeo dalle direttive denominate “televisione senza frontiere”, ed a livello nazionale dalla normativa specifica emanata in materia (legge n. 112 del 2004: vedi infra). Inoltre, il codice, dopo aver individuato quale oggetto della disciplina recata, le reti e i servizi di comunicazione elettronica ad uso pubblico, ivi comprese le reti utilizzate per la diffusione circolare di programmi sonori e televisivi e le reti della televisione via cavo, precisa che rimangono ferme e prevalgono sulle disposizioni del codice le norme speciali in materia di reti utilizzate per la diffusione circolare di programmi sonori e televisivi, che sono state dettate successivamente dalla legge n. 112 del 2004;
§ unificazione dei regimi giuridici relativi al titolo che legittima lo svolgimento dell’attività: il sistema della “autorizzazione generale” - che si sostanzia fondamentalmente in una denuncia di inizio attività da parte dell’impresa interessata - assorbe il sistema dualista precedente, articolato in licenze individuali e autorizzazioni generali;
§ la nuova disciplina dei presupposti per l’intervento regolatorio che si articola in: identificazione dei mercati rilevanti; individuazione del mercato non effettivamente concorrenziale; identificazione delle imprese dotate di significativo potere di mercato intendendosi per tali le imprese che detengono una posizione equivalente ad una posizione dominante; imposizione alle imprese dotate di significativo potere di mercato di obblighi di regolamentazione “appropriati” ovvero proporzionali al problema concorrenziale da risolvere[121].
La riforma del sistema radiotelevisivo introdotta dalla legge 3 maggio 2004 n. 112 (c.d. “legge Gasparri”) – approvata dopo un complesso iter durato oltre due anni e recante disposizioni per il riassetto del sistema radiotelevisivo e della RAI (concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo), nonché una delega al Governo per l’emanazione del testo unico della radiotelevisione – ha costituito l’esito di un ampio dibattito nel corso del quale le pronunce della Corte costituzionale sul pluralismo dell’informazione[122] e il messaggio inviato dal Presidente della Repubblica alle Camere sullo stesso profilo, nonché il messaggio di rinvio della legge alle Camere, hanno formato oggetto di particolare attenzione[123].
Da un punto di vista generale, la riforma introdotta nel settore radiotelevisivo dalla legge n. 112 del 2004 intende definire una normativa “di sistema” che tenga conto dell’evoluzione tecnologica e dei mercati, nonché del nuovo quadro regolamentare europeo (direttive sulle “comunicazioni elettroniche”), favorendo il processo di convergenza tecnologica e la conversione dalla trasmissione in tecnica analogica a quella in tecnica digitale, il pluralismo e la concorrenza nel settore, ed altresì ridefinendo il ruolo del servizio pubblico in tale contesto.
Le principali aree di intervento della legge possono così essere individuate.
La legge reca la ridefinizione dei principi generali efondamentali (Capo I) del sistema radiotelevisivo anche al fine dell’esercizio da parte delle regioni della potestà legislativa concorrente in materia di “ordinamento della comunicazione”, prevista dal nuovo articolo 117, terzo comma, Cost. Nell’ambito del Capo I, sono stati poi inseriti articoli che riguardano una disciplina, anche di carattere puntuale, in materia di emittenza locale, di diffusioni interconnesse, nonché una disciplina relativa alla tutela dei minori nella programmazione televisiva, prevedendoin particolare il divieto di impiego di minori di 14 anni per messaggi pubblicitari e spot, ed il recepimento a livello legislativo del codice di autoregolamentazione “TV e minori.”
Il divieto di impiego dei minori è stato poi soppresso dalla legge 6 febbraio 2006, n. 38[124] che ha, inoltre, integrato sul punto la legge n. 112 del 2004 introducendo il parere delle competenti Commissioni parlamentari e della Commissione parlamentare per l’infanzia nella procedura di adozione del regolamento volto a disciplinare l’impiego dei predetti minori nei programmi radiotelevisivi.
La disciplina anticoncentrazione (Capo II), oggetto di un ampio ed articolato dibattito in sede parlamentare, individua limiti al cumulo dei programmi ed alla raccolta delle risorse, questi ultimi calcolati innovativamente in rapporto ai ricavi dei settori che compongono il “sistema integrato delle comunicazioni” (settore economico che comprende la stampa quotidiana e periodica, l’editoria annuaristica ed elettronica anche per il tramite di Internet, radio e televisione, cinema, pubblicità esterna, iniziative di comunicazione di prodotti e servizi e sponsorizzazioni). In particolare, la legge prevede che:
§ un medesimo fornitore di contenuti, anche attraverso società controllate o collegate, non può essere titolare di autorizzazioni che consentano di diffondere più del 20% del totale dei programmi (rispettivamente, televisivi o radiofonici), irradiabili su frequenze terrestri in ambito nazionale, mediante le reti previste dal piano nazionale di assegnazione delle frequenze in tecnica digitale[125];
§ il limite alla raccolta delle risorse del sistema integrato delle comunicazioni è individuato nel 20% dei ricavi complessivi del “sistema integrato delle comunicazioni”[126];
§ gli organismi di telecomunicazioni i cui ricavi nel mercato dei servizi di telecomunicazioni siano superiori al 40% dei ricavi complessivi di quel mercato non possono conseguire ricavi superiori al 10% dei ricavi del settore integrato delle comunicazioni;
§ è fatto divieto ai soggetti esercenti attività televisiva nazionale attraverso più di una rete di acquisire partecipazioni in imprese editrici di giornali quotidiani[127], nonché di partecipare alla costituzione di nuove imprese editrici di giornali quotidiani, fino al 31 dicembre 2010.
La nuova disciplina anticoncentrazione riconosce poi all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni compiti di regolazione e di verifica relativi alla individuazione del mercato rilevante ed alla formazione di posizioni dominanti[128] nel sistema integrato delle comunicazioni e nei mercati che lo compongono, ed affida alla stessa il potere di adottare provvedimenti “deconcentrativi” nel caso in cui dall’accertamento emergano casi di violazione dei limiti imposti dalla legge.
In materia di posizioni dominanti e di sviluppo del digitale terrestre sono intervenute diverse delibere dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, anche al fine della attuazione della nuova disciplina introdotta dalla legge n. 112 del 2004.
Circa il riassetto della RAI, il Capo IV disciplina in sintesi:
§ la definizione dei compiti del servizio pubblico generale radiotelevisivo, affidato mediante concessione (articolo 17);
§ il finanziamento del servizio pubblico radiotelevisivo (articolo 18), introducendo l’obbligo per la società concessionaria di destinare i ricavi derivanti dal gettito del canone ai soli oneri sostenuti per la fornitura del servizio pubblico (come definito ai sensi dell’art. 17), prevedendo, a tale scopo, la tenuta di una contabilità separata, soggetta al controllo di una società di revisione in posizione di indipendenza;
§ la verifica del corretto svolgimento dei compiti affidati, dalla legge e dal contratto di servizio, alla concessionaria del servizio pubblico generale radiotelevisivo (articolo 19), che compete all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, cui vengono attribuiti nuovi poteri di indagine e sanzionatori;
§ l’organizzazione e l’amministrazione della società RAI (articolo 20), della quale vengono modificati composizione e procedura di nomina dei membri del consiglio di amministrazione e del collegio sindacale, la procedura di nomina del presidente, prevedendo meccanismi di tutela delle minoranze[129];
§ il processo di “privatizzazione” della RAI (articolo 21), che prevede la fusione per incorporazione della società RAI-Radiotelevisione italiana Spa nella società RAI-Holding Spa (con il completamento della fusione per incorporazione entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore della legge) e l’avvio del processo di privatizzazione, attraverso una o più offerte pubbliche di acquisto (OPA), entro quattro mesi dalla data di completamento della fusione per incorporazione[130].
La legge n. 112 individua (Capo V) un’articolata disciplina transitoria relativa alla fase del passaggio dalla tecnica analogica a quella digitale terrestre, sino alla definitiva cessazione delle trasmissioni analogiche (c.d. switch off)[131].
La disciplina transitoria prevede, in primo luogo, che, fino all’attuazione del piano nazionale di assegnazione delle frequenze in tecnica digitale, i soggetti esercenti a qualunque titolo attività di radiodiffusione televisiva in ambito nazionale e locale, in possesso dei requisiti previsti dalla disciplina vigente per ottenere l’autorizzazione alla sperimentazione, possono effettuarla – anche attraverso la ripetizione simultanea dei programmi già diffusi in tecnica analogica – fino alla completa conversione delle reti; tale sperimentazione può essere effettuata sugli impianti legittimamente operanti in tecnica analogica e i medesimi soggetti possono altresì richiedere le licenze e le autorizzazioni per avviare le trasmissioni in tecnica digitale terrestre.
L’articolo 25 della legge - i cui effetti sono stati in parte anticipati dal D.L. 352 del 2003[132] – ha disciplinato le modalità per accelerare ed agevolare la conversione alla trasmissione in tecnica digitale. In particolare, la disposizione ha previsto:
§ l’attivazione, a decorrere dal 31 dicembre 2003, di reti televisive digitali terrestri, con un’offerta di programmi in chiaro accessibili mediante decoder o ricevitori digitali[133];
§ in capo alla società concessionaria del servizio pubblico generale radiotelevisivo, l’obbligo di realizzare almeno due blocchi di diffusione su frequenze terrestri con una copertura del territorio nazionale che raggiunga il 50% della popolazione dal 1º gennaio 2004, ed il 70%entro il 1º gennaio 2005, nonché di individuare uno o più bacini di diffusione, di norma coincidenti con uno o più comuni situati in aree con difficoltà di ricezione del segnale analogico, nei quali avviare entro il 1º gennaio 2005 la completa conversione alla tecnica digitale;
§ in capo all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni il compito di verificare – entro il 30 aprile 2004 – l’effettivo sviluppo del digitale terrestre e la rispondenza di tale sviluppo ai tempi e alle modalità previste dalla legge, nonché il compito di adottare provvedimenti deconcentrativi nel caso di verifica dell’assenza delle condizioni previste per l’ampliamento del pluralismo.
L’Autorità ha provveduto a tali adempimenti, presentando la relazione prevista entro i termini stabiliti[134]. Con tale relazione si è dato contodell’accertamento positivo relativo alle condizioni poste dalla legge, segnalando, al contempo, le azioni positive ancora necessarie affinché “l’avvio promettente della televisione digitale terrestre si tramuti in un reale cambiamento del grado di concorrenzialità del mercato televisivo ed in un effettivo ampliamento del pluralismo culturale, politico ed informativo”.
La legge n. 112 reca la delega al Governo per l’emanazione di un testo unico delle disposizioni legislative in materia di radiotelevisione (Capo III), con il quale devono anche essere indicati – sulla base di criteri definiti dal disegno di legge medesimo – i princìpi nel rispetto dei quali le regioni esercitano la potestà legislativa concorrente in materia di emittenza radiotelevisiva in ambito regionale o provinciale.
A tale delega è stata data attuazione con il D.Lgs. 31 luglio 2005, n. 177 (testo unico della radiotelevisione) recante una ricostruzione della disciplina vigente in materia di radiodiffusione ed ispirato ai principi di coordinamento, semplificazione, armonizzazione ed efficacia. Esso completa l’intervento di riordino della materia della comunicazione - ad eccezione della stampa, dello spettacolo e della propaganda elettorale - avviato con l’emanazione del codice delle comunicazioni elettroniche (decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259) e costituisce insieme a tale codice un unicum normativo, in un’ottica volta a favorire la convergenza. Nel testo unico risultano confluite quasi tutte le disposizioni della legge n. 112 del 2004, pur non risultando nel testo medesimo l’abrogazione dei corrispondenti articoli della legge n. 112[135]
Nell’ambito del settore dell’informazione e della comunicazione si collocano, altresì, interventi specifici che hanno riguardato - nella prima parte della XIV legislatura - misure di sostegno in favore delle imprese editrici:
§ una prima misura agevolativa è stata introdotta dalla legge 28 dicembre 2001, n. 448 (legge finanziaria 2002) che, all’articolo 52, co. 75, ha aumentato la resa forfetaria ai fini della riduzione della base imponibile per l’applicazione dell’IVA: dal 60% la resa è stata elevata al 70 % per i libri ed all’80 % per i giornali quotidiani e periodici;
§ con una serie di decreti legge (ultimo dei quali il D.L. 2 ottobre 2003, n. 271)si è inoltre disposta una proroga - non oltre il 31 dicembre 2004 - del periodo di sperimentazione del prezzo fisso dei libri, di cui all’art. 11 della legge n. 62 del 2001 che, al termine della XIII legislatura, ha riformato la disciplina di settore ed ha introdotto varie iniziative di sostegno all’editoria, tra le quali nuove disposizioni sul prezzo dei libri, finalizzate a regolare la concorrenza in materia;
§ un ulteriore intervento, recato dalla legge n. 350 del 2003, articolo 4 commi 181-186 (legge finanziaria per il 2004), ha previsto un credito d’imposta pari al 10% dellaspesasostenuta per l’acquisto della carta a favore delle imprese editrici di quotidiani e periodici e alle imprese editrici di libri iscritte al Registro degli Operatori di Comunicazione (ROC) entro un limite di spesa di 95 milioni di euro. Tale misura è stata poi estesa alle spese effettuate nel corso dell’anno 2005 dal comma 484 dell’articolo unico della legge n. 311 del 2004 (legge finanziaria 2005).
Un intervento complessivo di riordino del settore è contenuto nel disegno di legge di iniziativa governativa A.C. 4163 recante “Disposizioni in materia di editoria e di diffusione della stampa quotidiana e periodica”, presentato il 16 luglio 2003; tale provvedimento non ha concluso l’iter parlamentare, anche se alcune disposizioni sono poi confluite in successivi provvedimenti legislativi. Il ddl 4163 conteneva una serie di norme volte a modificare o integrare la normativa vigente in materia di condizioni per l’esercizio dell’attività, contributi, contributi previdenziali e credito agevolato. L’intervento si ispirava ad alcune direttive principali: definizione di una disciplina per la responsabilità dei siti editoriali su Internet;introduzione di una serie di disposizioni a sostegno del settore;abolizione del regime transitorio nelle agevolazioni postali e contestuale individuazione di una nuova disciplina per le tariffe postali agevolate;liberalizzazione della disciplina di vendita dei prodotti editoriali al di fuori delle edicole;disposizioni in materia di proprietà delle imprese editrici e di pubblicità obbligatoria degli enti pubblici.
Una prima norma in materia di agevolazioni postali (contenuta all’articolo 10 del ddl) ha trovato sostanziale attuazione nel decreto-legge 24 dicembre 2003, n. 353 (Disposizioni urgenti in materia di tariffe postali agevolate per i prodotti editoriali). Il decreto-legge ha stabilizzato ed integrato la previgente disciplina in materia di tariffe postali agevolate per i prodotti editoriali, basata sul rimborso a posteriori, da parte dello Stato, alla società Poste italiane S.p.a. della somma delle riduzioni da questa effettuate sulla spedizione di alcuni materiali editoriali.
Altre norme del ddl sono poi confluite nella legge finanziaria 2006 (L. 23 dicembre 2005, n. 266). In particolare, i commi da 454 a 465 e il comma 574 dell’articolo unico della legge n. 266 del 2005 recano una serie di disposizioni che vanno ad incidere sulla normativa in materia di provvidenze all’editoria. In sintesi i commi citati , prevalentemente mediante modifiche o integrazioni alla legge 7 agosto 1990, n. 250:
§ modificano in senso restrittivo i requisiti per l’accesso ai contributi e le modalità di erogazione;
§ estendono la non cumulabilità tra i diversi tipi di contributi;
§ limita l’aumento su base annua dei costi ammissibili per il calcolo del contributo al tasso programmato di inflazione per l’anno di riferimento dei contributi;
§ rideterminano - in 0,20 euro - il contributo per copia stampata alle imprese editrici di periodiciesercitate da cooperative, fondazioni o enti morali;
§ rifinanziano il credito agevolato e il credito di imposta alle imprese editoriali introdotti dalla 7 marzo 2001, n. 62;
§ istituiscono un’addizionale alle imposte sul reddito in presenza di redditi derivanti da produzione, distribuzione, vendita e rappresentazione di materiale pornografico e di incitamento alla violenza.
Un ulteriore intervento di sostegno all’editoria, già previsto dalla legge n. 112 del 2004 e poi confluito nel Testo unico della radiotelevisione, dispone che le amministrazioni pubbliche o gli enti pubblici anche economici debbano destinare a favore dei giornali quotidiani e periodici almeno il 50 per cento delle spese relative all’acquisto di spazi sui mezzi di comunicazione di massa per fini di comunicazione istituzionale. Tale percentuale ammonta al 60 per cento nella fase di transizione alla trasmissione in tecnica digitale. In materia di limiti di affollamento pubblicitario, il TU conferma inoltre l’esclusione dal computo dei limiti di affollamento per la pubblicità radiotelevisiva degli spot finalizzati alla promozione della lettura.
In materia di contributi ai giornali di partito, si segnala poi che nei primi mesi della XIV legislatura il D.P.R. 7 novembre 2001, n. 460 ha dato attuazione all’articolo 153 della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (legge finanziaria 2001).
In base a tale norma, le imprese editrici di quotidiani o periodici organi di movimenti politici aventi diritto ai contributi ai sensi della disciplina previgente hanno facoltà, entro il 1º dicembre 2001, di costituirsi in società cooperative, il cui oggetto sociale sia costituito esclusivamente dalla edizione di quotidiani o periodici organi di movimenti politici. A tali cooperative sono attribuiti i contributi concessi, ai sensi dell’art. 3, co. 2, della legge n. 250 del 1990, in presenza di determinati requisiti, alle cooperative giornalistiche e ad imprese editrici ad esse equiparate.
Si ricorda, inoltre, che la legge n. 112 del 2004 sul riassetto del sistema radiotelevisivo ha esteso ai canali tematici a diffusione satellitare le norme a favore delle radio di partito previste dalla legge n. 250 del 1990. Tale legge stabilisce che alle imprese radiofoniche che risultino essere organi di partiti politici rappresentati in almeno un ramo del Parlamento sia corrisposto un contributo annuo fisso pari al 70 per cento della media dei costi risultanti dai bilanci degli ultimi due esercizi. A tali imprese spettano inoltre le riduzioni tariffarie previste dalla 5 agosto 1981, n. 416.
In materia di misure di sostegno all’editoria, merita infine segnalare gli interventi a favore dell’editoria speciale. Un primo intervento è stato realizzato con la legge 13 novembre 2002, n. 260, che ha elevato il contributo statale a favore della Biblioteca italiana per ciechi «Regina Margherita» di Monza a 4 milioni di euro annui. Successivamente, la legge 16 ottobre 2003, n. 291 ha previsto l’istituzione, presso il Ministero per i beni e le attività culturali, di un Fondo in favore dell’editoria per ipovedenti e non vedenti - con un dotazione di 4,5 milioni di euro nel triennio 2003-2005 - finalizzato alla concessione di contributi per l’adeguamento delle strutture delle case editrici che stampano per ipovedenti. Da ultimo, la legge finanziaria per il 2006 ha fissato (art.1, comma 462) in 1.000.000 euro annui il contributo per l’editoria speciale periodica per non vedenti, previsto dall’ art.8 del D.L. 23 ottobre 1996, n. 542, convertito dalla legge 649 del 1996.
Il 13 dicembre 2005 la Commissione europea ha presentato una proposta di direttiva che modifica la direttiva 89/552/CE (“TV senza frontiere”) (COM(2005)646), allo scopo di adeguarla allo sviluppo tecnologico e agli sviluppi del mercato nel settore audiovisivo in Europa. Tale modernizzazione rientra nella strategia “i-2010: una società dell’informazione per la crescita e l’occupazione” (COM(2005)229), adottata dalla Commissione il 1° giugno 2005.
In particolare, la proposta mira ad alleggerire la normativa concernente le forniture di servizi televisivi e a renderne agevole il finanziamento con nuove forme di pubblicità, ad introdurre pari condizioni di concorrenza per tutte le società che forniscono servizi televisivi, indipendentemente dalla tecnologia usata per distribuirli (radiodiffusione, banda larga ad alta velocità, telefoni cellulari di terza generazione).
I servizi non lineari (cioè i servizi audiovisivi a richiesta) saranno soggetti all’osservanza di alcuni principi minimi di base, tra i quali quelli relativi alla tutela dei minori, al divieto di incitamento all’odio, alle limitazioni delle comunicazioni commerciali concernenti gli alcolici.
In tema di pubblicità le emittenti, fermo restando il limite complessivo su base oraria del 20%, non risulteranno più obbligate, come adesso, a lasciare trascorrere almeno 20 minuti di tempo tra le interruzioni pubblicitarie. Tuttavia sarà possibile solo una interruzione ogni 35 minuti per le opere cinematografiche, per i programmi per bambini, per i notiziari, per i film realizzati per la televisione (ad eccezione delle serie televisive, dei programmi a puntate, dei documentari e dei programmi di intrattenimento). Telepromozioni e televendite saranno escluse dall’attuale limite del 20% di pubblicità per ogni ora.
Preliminarmente, appare opportuno distinguere tra due tipologie di norme:
§ interventi normativi di portata circoscritta, volti a rimuovere specifici ostacoli (di carattere procedurale o finanziario) alla realizzazione di singole opere, o comunque a dare risposte a problemi normativi definiti;
§ interventi di carattere generale, finalizzati, invece, a modificare l’ordinamento dei lavori pubblici nel suo complesso.
Durante la XIV legislatura sono stati varati provvedimenti appartenenti ad entrambe le suddette tipologie. Tuttavia – per le caratteristiche stesse di questa sintesi – si darà rilievo prioritariamente alla seconda tipologia (interventi di carattere generale), riportando solo nell’ultimo capoverso del paragrafo alcuni sommari riferimenti ai principali interventi appartenenti alla prima (interventi circoscritti).
Gli interventi di carattere generale in materia di lavori pubblici sono stati almeno tre, fra i quali viene compresa la complessiva riforma recata dal “Codice dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 31 marzo 2004, e 2004/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 31 marzo 2004” (Atto del Governo n. 606), approvato definitivamente dal Consiglio dei ministri a Camere ormai sciolte e ancora non pubblicato in Gazzetta Ufficiale. Si osserva che il codice dei contratti pubblici non si sovrappone esattamente alla normativa sugli appalti di lavori pubblici, in quanto esso riunifica (sul modello delle direttive comunitarie di cui costituisce l’atto di recepimento) sia le norme sugli appalti di lavori – fino ad oggi raccolte nella cd “legge Merloni”[136] – sia le norme sugli appalti di servizi, di forniture e nei cd “settori esclusi”. Pertanto, se ne riporterà una sintesi del contenuto solo nella parte finale del paragrafo, apparendo preferibile seguire – in questo caso – un criterio cronologico.
Il primo intervento normativo in materia di lavori pubblici nella XIV Legislatura è stata la legge 21 dicembre 2001, n. 443 (“legge obiettivo”) con la quale nell’ordinamento italiano è stato introdotto un regime speciale (e derogatorio rispetto alle norme ordinarie recate dalla “legge Merloni”), riservato a quelle opere che rivestono un carattere strategico e di preminente interesse nazionale.
La “legge obiettivo” si è limitata – da un lato – a definire le procedure attraverso cui tale rilievo strategico e tale preminente interesse nazionale devono essere riconosciuti a singole e specifiche opere, e – dall’altro – a indicare i criteri e i principi direttivi di una delega al governo per l’adozione delle norme di dettaglio. All’esercizio di tale delega ha successivamente provveduto il decreto legislativo 1° agosto 2002, n. 190[137].
In sintesi, il complesso normativo “legge n. 443-decreto attuativo” ha definito una disciplina specifica per la programmazione, il finanziamento e la realizzazione delle infrastrutture strategiche. Le principali finalità perseguite sono state la programmazione annuale degli interventi, l’accelerazione delle procedure amministrative e l’incentivazione dell’afflusso di capitali privati.
Il nuovo regime normativo introdotto poggia, infatti, su una programmazione annuale, affidata al Governo (ma nel rispetto delle attribuzioni costituzionali delle regioni, e quindi attraverso una negoziazione) delle infrastrutture pubbliche e private e degli insediamenti produttivi strategici e di preminente interesse nazionale da inserire nel programma. Il risultato di questa selezione viene proposto annualmente all’interno del Documento di programmazione economico-finanziaria, e quindi sottoposto all’esame parlamentare.
Rispetto all’ordinario iter autorizzatorio delle opere, le principali novità consistono nell’anticipazione alla fase della progettazione preliminare (anziché a quella della progettazione definitiva) del rilascio dei provvedimenti di valutazione di impatto ambientale (VIA), nella previsione di tempi massimi per le varie fasi della progettazione, nell’accentramento presso un unico organo (il CIPE) delle competenze in materia di approvazione dei progetti, nella modifica della disciplina della conferenza di servizi.
Vengono poi introdotte specifiche deroghe alla vigente disciplina in materia di aggiudicazione di lavori pubblici e di realizzazione degli stessi, finalizzate a favorire il contenimento dei tempi; inoltre viene introdotta la nuova figura contrattuale dell’affidamento a general contractor e, infine, vengono fissate diverse previsioni in materia di contenzioso davanti al giudice amministrativo.
Un ultimo profilo di rilievo è quello della disciplina degli aspetti finanziari, con l’intento di favorire – per quanto possibile attraverso le modifiche del quadro normativo in materia di lavori pubblici – l’afflusso di capitali privati al finanziamento delle grandi opere pubbliche. In tale contesto è stata modificata la disciplina del project financing (contenuta negli artt. 37-bis, 37-ter e 37-quater della legge n. 109 del 1994), e soprattutto sono state introdotte modifiche alla normativa sulle concessioni. La stessa introduzione del contraente generale ha anche queste finalità, in quanto, fra i suoi requisiti si indica “l’assunzione dell’onere relativo all’anticipazione temporale del finanziamento necessario alla realizzazione dell’opera in tutto o in parte”.
L’attuazione della “legge obiettivo” è iniziata con il primo atto di programmazione generale (la Delibera CIPE 21 dicembre 2001, n. 121) ed è proseguita annualmente con la presentazione al Parlamento, in allegato al DPEF, degli elenchi delle opere inserite nel programma. Essa ha rappresentato uno dei filoni di maggiore interesse dell’attività parlamentare (oltre che uno dei terreni di più forte dialettica politica), come testimoniato dal numero molto alto di atti di sindacato ispettivo – relativi a singole opere, ma anche all’attuazione dell’intero programma – dalle audizioni, in VIII Commissione alla Camera e nella corrispondente Commissione del Senato, di rappresentanti del Governo e di altri soggetti. Si segnala, in proposito, anche lo specifico mandato agli Uffici della Camera da parte dell’Ufficio di Presidenza della Commissione Ambiente, territorio e lavori pubblici (settembre 2003) di “produrre, a supporto dei lavori dell’VIII Commissione, un monitoraggio sistematico della attuazione del programma di infrastrutture strategiche di cui alla delibera CIPE n. 121 del 21 dicembre 2001”. A seguito di questo mandato, rinnovato nell’anno successivo, il Servizio Studi della Camera ha predisposto due Rapporti dal titolo “Infrastrutture strategiche in Italia: l’attuazione della “legge obiettivo”, pubblicati, rispettivamente, nel maggio 2004 e nel luglio 2005.
Almeno un accenno deve anche essere fatto alle numerose questioni di legittimità costituzionale sollevate da molte regioni nei confronti della legge n. 443 e del decreto legislativo n. 190, sulle quali è intervenuta – con una celebre sentenza, la n. 303 del 25 settembre - 1° ottobre 2003 – la Corte costituzionale. Su tale sentenza, data anche la sua importanza generale ai fini dell’interpretazione complessiva della riforma del Titolo V, la VIII Commissione della Camera dei deputati ha svolto un esame ai sensi dell’art. 108 del Reg. Camera (vedi anche l’area tematica Regioni e autonomie locali).
Sempre a proposito della “legge obiettivo”, appare opportuno segnalare anche i numerosi interventi di manutenzione normativa operati dopo l’agosto 2002 (data del decreto delegato n. 190).
Fra questi, in particolare, il decreto legislativo 24 aprile 2003, n. 114 che ha aggiornato la normativa vigente relativa al ponte per l’attraversamento dello Stretto di Messina (legge n. 1158 del 1971) alla luce dell’inserimento del Ponte fra le opere strategiche e delle nuove procedure disposte dalla “legge obiettivo”.
Un secondo decreto rilevante adottato in attuazione della delega di cui alla legge n. 443 è stato il decreto legislativo 10 gennaio 2005, n. 9, che ha integrato il quadro normativo speciale creato dalla legge obiettivo con la disciplina per la qualificazione dei contraenti generali (aggiungendo un intero Capo al decreto legislativo n. 190 del 2002).
Sempre al fine di integrare e completare la normativa speciale sulle infrastrutture strategiche, è stato emanato il decreto legislativo 17 agosto 2005, n. 189, relativo alle modalità di istruttoria del progetto definitivo, alla cessione di crediti da parte delle società di progetto, alla disciplina della Conferenza di servizi, alla procedura di approvazione delle varianti. Le integrazioni e modifiche sono state introdotte, anche in questo caso, in forma di novella al decreto legislativo n. 190 del 2002.
Infine, si ricorda l’art. 5 del decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35[138], con cui è stata destinata alla realizzazione del programma di infrastrutture strategiche una quota dei Fondi per le aree sottoutilizzate (di cui agli articoli 60 e 61 della legge 27 dicembre 2002, n. 289) e con cui sono state assoggettati alla disciplina della legge obiettivo tutti i lavori previsti all’interno di concessioni autostradali già assentite.
Il secondo intervento normativo di carattere generale in materia di lavori pubblici (questa volta finalizzato non alla introduzione di una normativa speciale e parallela, ma alla revisione della stessa normativa ordinaria sui lavori pubblici) è stato quello recato dall’articolo 7, comma 1, della legge 1° agosto 2002, n. 166.
All’interno di un provvedimento eterogeneo (“collegato infrastrutture alla finanziaria 2002”) è stata introdotta – in forma di puntuali novelle – una prima serie di modifiche alla “legge Merloni”. La serie appare molto lunga e articolata: il comma 1 dell’art. 7 in cui erano raccolte le novelle è stato suddiviso in ben 26 lettere, ciascuna relativa ad uno degli articoli della “legge Merloni” modificata, mentre molte delle lettere sono state, a loro volta, suddivise in numeri, in quanto le modifiche all’articolo interessato erano molteplici. Inoltre, è significativa della volontà del Governo e della maggioranza parlamentare di modificare a fondo il sistema previgente, la formula che introduce il comma recante il complesso di modifiche: “Nelle more della revisione della legge quadro sui lavori pubblici”, che rende chiaramente il senso di un primo, provvisorio, intervento, nell’ambito di un programma volto comunque ad una completa revisione della legislazione sui lavori pubblici (tale finalità è stata infine conseguita, come si dirà più avanti, con il Codice dei contratti pubblici).
I principali aspetti su cui la legge n. 166 è intervenuta sono stati:
§ il regime delle concessioni, procedendo ad una marcata flessibilizzazione dell’istituto della concessione di lavori pubblici e ad un allentamento dei relativi vincoli normativi;
§ il sistema di qualificazione delle imprese, con un’estensione della durata della qualificazione da parte delle SOA[139] dai tre anni originariamente previsti, fino a cinque (con verifica entro il terzo anno del mantenimento dei requisiti)[140];
§ la soppressione dei principali vincoli al ricorso all’appalto integrato (in cui il soggetto realizzatore è anche autore della progettazione esecutiva), modalità di affidamento che, nell’impostazione tradizionale della “legge Merloni” aveva carattere eccezionale, in quanto fra gli elementi costitutivi di tale impostazione vi era proprio la separazione fra fase della progettazione e fase della realizzazione;
§ l’innalzamento delle soglie per gli affidamenti di incarichi di progettazione fiduciari, anche in questo caso in controtendenza rispetto ad una delle linee direttrici della “legge Merloni” (mantenimento della progettazione all’interno delle amministrazioni);
§ l’innalzamento delle soglie per la trattativa privata;
§ la procedura per il project financing, che è stata modificata nel tentativo di render più agevole il ricorso a questa forma di finanziamento delle opere pubbliche.
Dopo questa prima serie di modifiche, ma prima della riforma complessiva (e conseguente abrogazione della legge n. 109 del 1994) sono state varate ulteriori modifiche alla legge quadro. Si ricordano, fra queste, quelle recate dall’art. 5 del decreto-legge n. 35 del 2005 (“decreto competitività”), in particolare quelle recanti una revisione della disciplina degli arbitrati nei lavori pubblici e quelle (volte a superare una procedura d’infrazione comunitaria) introdotte dall’art. 24 della legge 18 aprile 2005, n. 62 (“comunitaria 2004”), in materia di rapporti fra certificazione di qualità e qualificazione per la partecipazione ad appalti di lavori, nonché di garanzie e coperture assicurative.
Si ricordano, inoltre, altre modifiche alla “legge Merloni” introdotte dalle leggi finanziarie per il 2004 e per il 2005: rispettivamente, all’art. 4, commi 146 e 147, della legge 24 dicembre 2003, n. 350 – in materia di garanzia fidejussoria – e all’art. 1, comma 550, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, in materia di revisione dei prezzi qualora il prezzo dei singoli materiali da costruzione subisca significative variazioni (il provvedimento è stato determinato dal considerevole aumento dei prezzi dell’acciaio verificatosi negli anni 2003-2004).
Infine, anche la finanziaria per l’anno 2006, legge 23 dicembre 2005, n. 266, all’art. 1, comma 207, ha recato una norma di interpretazione autentica dell’articolo 18, comma 1, della “legge Merloni”, relativo alla quota percentuale dell’importo posto a base di gara da ripartire tra il responsabile unico del progetto e gli incaricati della redazione del progetto, del piano della sicurezza, della direzione dei lavori, del collaudo. La stessa legge, inoltre, è reintervenuta in materia di arbitrati (art. 1, commi 70 e 71).
Il terzo intervento normativo di carattere generale in materia di lavori pubblici è stato il decreto legislativo recante “Codice dei contratti pubblici di lavori, servizi, forniture”, emanato in attuazione della delega recata dagli articoli 1, 2 e 25 della legge 18 aprile 2005, n. 62 (legge comunitaria per l’anno 2004) e – alla data del 20 aprile 2006 – non ancora pubblicato in Gazzetta Ufficiale.
L’antefatto di tale riordino normativo è rinvenibile in una delle leggi che annualmente raccolgono una serie di provvedimenti volti all’adeguamento dell’ordinamento italiano alle novità intervenute nel diritto comunitario. Gli articoli 1, 2 e 25 della legge 18 aprile 2005, n. 62, hanno infatti disposto una delega al Governo finalizzata – in primo luogo - al recepimento di due importanti direttive intervenute nell’anno 2004 in materia di contratti pubblici: la direttiva 2004/17/CE (che ha coordinato le procedure in materia di appalto degli enti erogatori di acqua ed energia, degli enti che forniscono servizi di trasporto e servizi postali) e la direttiva 2004/18/CE (che ha coordinato le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, forniture e servizi). Le due direttive (soprattutto la 2004/18/CE) presentano numerosi aspetti innovativi della disciplina comunitaria degli appalti pubblici. In primo luogo esse procedono alla unificazione di tutte le norme comunitarie in materia di appalti pubblici(precedentemente distinte – sia nel diritto comunitario che in quello italiano - in tre filoni: forniture, servizi e lavori), separando i contratti pubblici ordinari da quelli riguardanti i cd “settori speciali” (disciplinati dalla direttiva 2004/17/CE). Fra le principali novità della nuova disciplina comunitaria, si segnalano le soglie di applicazione più elevate, l’introduzione del dialogo competitivo, delle aste elettroniche, dei sistemi dinamici di acquisto, degli accordi quadro, la possibilità di partecipare alle gare con le holding.
In via preliminare, si ricorda che – in base ai principi generali di armonizzazione del diritto comunitario con il diritto nazionale degli stati membri - con il 1° febbraio 2006 sono comunque entrate in vigore – a prescindere dall’emanazione di atti di recepimento nazionali e in tutto il territorio degli Stati membri - le due direttive comunitarie, limitatamente a quelle disposizioni considerate immediatamente applicabili (self executing). Pertanto, l’interprete può, a partire da quella data, decidere nei singoli casi sottoposti a giudizio, quali delle norme contenute nelle direttive siano comunque applicabili.
In ogni caso, l’adeguamento del diritto nazionale alle novità introdotte dalle due direttive citate, avrebbe potuto seguire due strade. La prima, consistente in un recepimento puntuale di singole disposizioni comunitarie innovative, ma pur sempre all’interno del quadro normativo nazionale già assestato. Questo era il percorso che era stato raccomandato dai gruppi di opposizione già in sede di approvazione della legge comunitaria e al quale sembrava avere acceduto anche il Ministro delle politiche comunitarie (come riportato dai resoconti dell’esame in sede referente presso la Commissione Politiche dell’Unione europea del disegno di legge comunitaria per l’anno 2004).
La seconda strada, invece, comportava una revisione strutturale della normativa italiana e un suo vero e proprio rimodellamento secondo il nuovo schema delle norme comunitarie. Come si è detto, infatti, le nuove direttive unificano la disciplina degli appalti di lavori, servizi e forniture in un unico testo, sostituendo le tre direttive che prima disciplinavano i tre settori.
La strada scelta dal Governo con il Codice dei contratti pubblici è stata questa seconda (nonostante il testo della delega fosse formulato in termini alquanto riduttivi).
Il 13 gennaio 2006 il Consiglio dei Ministri ha infatti approvato lo Schema di decreto legislativo recante il nuovo Codice degli appalti pubblici di lavori, forniture, servizi (Atto del Governo n. 606), esaminato dalla VIII Commissione della Camera dei deputati in sei sedute tenute fra il 15 febbraio e il 1° marzo 2006, oltre che dalle Commissioni V, X e XIV.
La stessa denominazione chiarisce, pertanto, che il codice non riguarda la sola normativa sugli appalti di lavori pubblici (“legge Merloni”), ma anche quella in materia di appalti di servizi, forniture e appalti nei cd “settori esclusi”.
Numerose sono le novità introdotte con il codice.
In primo luogo sono stati unificati – anche sul piano del diritto interno – filoni legislativi che erano precedentemente separati: gli appalti di lavori erano disciplinati, come già sopra ricordato, dalla “legge Merloni”, mentre gli appalti di servizi, di forniture e nei “settori esclusi” erano disciplinati da distinti decreti legislativi. Ora, tutti questi atti normativi (ma anche molti altri, relativi ad aspetti settoriali, quali gli appalti nel settore dei beni culturali, quelli nel settore della difesa, gli appalti per le grandi infrastrutture, quelli sotto la soglia comunitaria, ecc.) vengono abrogati e la disciplina riaccorpata in un’unica fonte.
Inoltre, vengono apportate numerose e rilevanti modifiche sostanziali, soprattutto in materia di appalti di lavori pubblici. La “legge Merloni”, infatti, fra tutte le norme nazionali in materia di appalti, era quella che maggiormente si discostava dal modello comunitario, prevedendo vincoli più penetranti, nati – in primo luogo – come risposta del legislatore agli scandali emersi durante il periodo di “Tangentopoli”. Con il nuovo codice degli appalti questo regime differente (rispetto agli appalti di servizi e forniture, maggiormente allineati alla disciplina comunitaria) viene meno, e anche in materia di appalti di lavori la normativa statale viene prevalentemente riportata al modello europeo.
Fra le numerosissime innovazioni puntuali recate dal Codice possono ricordarsene, in questa trattazione sintetica, solo alcune: l’introduzione dei nuovi istituti previsti dalle direttive comunitarie (l’accordo quadro, l’asta elettronica, la centrale di committenza, il dialogo competitivo, e soprattutto l’avvalimento[141]); la semplificazione delle norme sul capitolato; l’estensione delle competenze dell’Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici; la modifica del criterio per la individuazione della “prevalenza” nei contratti misti, passando da un criterio quantitativo al criterio “qualitativo”, delineato dall’art. 1 della direttiva 2004/18/CE; la maggiore flessibilità negli affidamenti - da parte delle stazioni appaltanti - dei soli lavori o dei lavori e della progettazione; la liberalizzazione della scelta fra i diversi criteri di scelta del contraente (prezzo più basso o offerta economicamente più vantaggiosa), laddove la normativa vigente indicava un criterio preferenziale (e in molti casi obbligatorio): quello del prezzo più basso; l’adeguamento delle soglie a quanto disposto dalla direttiva.
Infine, si ricordano alcuni dei principali interventi normativi in materia di lavori pubblici di carattere non generale.
In primo luogo va ricordata – anche se non strettamente e direttamente attinente al settore dei lavori pubblici - la normativa che ha riguardato la struttura organizzativa dell’ANAS. Si è trattato di una serie di successivi interventi normativi con i quali si è provveduto alla trasformazione dell’azienda (che prima del 2002 aveva la natura giuridica di ente pubblico economico) in società per azioni. Le disposizioni che hanno provveduto alla trasformazione in Spa sono rinvenibili, in primo luogo, all’articolo 7 del decreto-legge 8 luglio 2002, n. 138 (convertito, con modificazioni, dalla legge n. 178 del 2002). Successivamente tali disposizioni sono state ancora modificate dalle leggi finanziarie per il 2003 (art. 76 della legge 27 dicembre 2002, n. 289), per il 2004 (art. 4, comma 117, della legge24 dicembre 2003, n. 350), per il 2005 (art. 1, comma 299, della legge 30 dicembre 2004, n. 311) e 2006 (art. 1, comma 452 della legge 23 dicembre 2005, n. 266), nonché dall’art. 6-ter del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203.
Va poi ricordato il decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 30, recante Modificazioni alla disciplina degli appalti di lavori pubblici concernenti i beni culturali. Le disposizioni del decreto hanno dato vita ad una disciplina speciale per gli appalti di lavori pubblici concernenti i beni mobili ed immobili e gli interventi sugli elementi architettonici, sulle superfici decorate di beni del patrimonio culturale e sugli scavi archeologici. Si ricorda, comunque, che anche tale decreto legislativo viene abrogato dal Codice dei contratti pubblici e le sue disposizioni vengono sostanzialmente riprodotte nel codice stesso (Titolo IV, Capo II).
Gli interventi connessi alle Olimpiadi invernali di Torino 2006 erano stati disciplinati, nella XIII legislatura dalla legge 9 ottobre 2000, n. 285. Durante la XIV legislatura, con la legge 26 marzo 2003, n. 48, è stato operato un intervento di manutenzione normativa, volto a correggere alcuni limiti riscontrati nella attività dei soggetti attuatori. Si ricorda che la stessa legge è stata poi modificata numerose volte nel corso degli ultimi anni della legislatura (all’approssimarsi dell’evento olimpico), sia dalle leggi finanziarie per il 2004 e per il 2005, sia da disposizioni recate da decreti-legge.
Alcune norme relative alla figura dei commissari straordinari per le opere strategiche (istituiti dal citato decreto legislativo n. 190 del 2002), sono state inserite dall’art. 6 del decreto-legge 31 gennaio 2005, n. 7[142]. Inoltre, è opportuno ricordare anche le disposizioni relative ai commissari straordinari per le opere autostradali, di cui all’art. 5 del citato decreto-legge n. 35 del 2005.
Tre sono gli interventi in materia edilizia che devono essere menzionati in una sintesi generale della attività legislativa della XIV Legislatura.
Il primo riguarda la revisione della disciplina dei titoli abilitativi all’attività edilizia, recata dall’art. 1, commi 6-14 della legge 21 dicembre 2001, n. 443 (la già citata “legge obiettivo”).
Il secondo riguarda invece il cd “condono edilizio”, disposto dall’articolo 32 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni dalla legge 24 novembre 2003, n. 326.
Infine, un breve cenno deve essere fatto anche alla revisione delle norme antisismiche.
Per la descrizione di ulteriori interventi si rinvia anche alla sintesi dei provvedimenti in materia di governo del territorio riportata nell’area tematica Ambiente, territorio, protezione civile.
Nella prima fase della legislatura il Governo – all’interno del cd “pacchetto dei cento giorni” – presentò anche una serie di misure volte a semplificare le procedure amministrative per la realizzazione di interventi edilizi. Tali misure, che originariamente dovevano essere oggetto di un apposito provvedimento – furono invece inserite nel disegno di legge “Delega al Governo in materia di infrastrutture ed insediamenti industriali strategici ed altri interventi per il rilancio delle attività produttive” (AS 374), destinato a diventare la legge-obiettivo (n. 443 del 2001).
Le norme in materia edilizia introdotte dalla legge n. 443 prevedono un ampio ricorso alla denuncia di inizio attività - in alternativa alla concessione edilizia - nelle ristrutturazioni immobiliari, in continuità – fra l’altro – con una legislazione che aveva progressivamente ridotto il campo di applicazione della concessione edilizia, ed in particolare con gli articoli 10, 22 e 23 del TU delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia (decreto legislativo n. 380 del 2001).
Tali norme sono state tuttavia impugnate da tre regioni dinanzi alla Corte costituzionale, che si è pronunciata con la sentenza n. 303 del 2003.
Nella sentenza sono stati chiariti in senso positivo i dubbi sulla ammissibilità – dopo la riforma del Titolo V della Costituzione - di norme statali che disciplinino i titoli abilitativi all’attività edilizia. Va inoltre ricordato che la legge n. 443 del 2001 ha disposto in merito ai titoli abilitativi richiesti per determinate categorie di interventi, ma ha anche (con modifica alla legge n. 443 introdotta dall’art. 13 della successiva legge n. 166 del 1° agosto 2002) attribuito alle regioni il potere di “ampliare o ridurre” le categorie di opere per le quali è prevista la denuncia di inizio attività. In tal senso hanno operato, successivamente all’agosto 2002, numerose regioni.
Il condono edilizio ha rappresentato il secondo episodio legislativo di rilievo in questo settore.
L’articolo 32 del decreto-legge n. 269 del 2003, ha disposto una nuova sanatoria degli abusi edilizi (sotto il profilo della sanzione sia penale che amministrativa) operando in gran parte sul ricalco dei due precedenti del 1985 e del 1994. Tali disposizioni sono state successivamente modificate ed integrate, ma relativamente ad aspetti secondari, dalla legge finanziaria per il 2004 (legge n. 350 del 2003).
Il nuovo condono edilizio è stato impugnato dinanzi alla Corte costituzionale da alcune Regioni, con ricorsi che prospettavano una serie di motivi di illegittimità, che possono essere sostanzialmente ricondotti, da un lato alla violazione del principio di tassatività e certezza delle norme penali sancito dall’art. 25 della Costituzione, e dall’altro alla violazione del riparto costituzionale di funzioni legislative e amministrative fra Stato e Regioni (artt. 117 e 118 Cost.).
Intanto, la maggior parte delle Regioni e Province autonome, in risposta al condono edilizio, emanava normative finalizzate talvolta ad integrare le norme statali (come previsto dallo stesso articolo 32), ma talvolta finalizzate a limitare o addirittura ad annullare, nel proprio territorio, gli effetti (amministrativi) della sanatoria. Alcuni di questi atti legislativi (leggi regionali Toscana, Friuli V.G., Marche ed Emilia-Romagna) sono stati impugnati dinanzi alla Corte costituzionale dal Presidente del Consiglio per violazione degli articoli 5 e 127 della Costituzione.
Pertanto, dinanzi alla Corte si è venuto a creare un vero e proprio fascicolo di ricorsi e questioni di legittimità, di particolare interesse anche ai fini di un orientamento (dell’interprete, ma dello stesso legislatore) sulle novità dell’assetto di competenze legislative determinato dalla riforma del Titolo V.
Con le sentenze n. 196 e 198 (entrambe in data 24-28 giugno 2004), la Corte costituzionale si è pronunciata, rispettivamente, sui ricorsi regionali contro l’art. 32 del decreto-legge n. 269 e sui ricorsi statali contro le leggi regionali.
Di particolare interesse la sentenza n. 196, con la quale la Corte ha
§ dichiarato l’illegittimità costituzionale di numerose disposizioni che disciplinavano i dettagli del condono (fra i quali la definizione e le tipologie degli abusi sanabili, nonché dei limiti volumetrici);
§ attribuito alle disposizioni statali relative ai suddetti aspetti il valore di limite massimo in quanto alle Regioni non è stata riconosciuta la facoltà di prevedere un condono più “estensivo” di quello delineato dal decreto-legge n. 269;
§ riconosciuto che alcune delle disposizioni statali (fra le quali quelle che prevedevano comunque un condono degli abusi edilizi) rivestivano invece carattere di norme di principio ed erano pertanto legittime, essendo la normativa ascrivibile alla materia del governo del territorio;
§ disposto che una nuova legge statale dovesse assegnare un congruo termine alle regioni per disciplinare in autonomia gli aspetti di dettaglio;
§ previsto che – una volta scaduto il termine assegnato dalla legge statale – si applicassero le norme statali di dettaglio nei territori di quelle regioni che non avessero legiferato.
Al fine di adeguare la normativa sul condono edilizio alle sentenze n. 196 e 198, il Governo ha emanato il decreto-legge 12 luglio 2004, n. 168, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2004, n. 191. In particolare, l’art. 5 del decreto-legge, ha disposto che le leggi regionali dovessero essere emanate entro quattro mesi dalla data di entrata in vigore del decreto stesso (quindi entro l’11 novembre 2004). Conseguentemente sono stati prorogati i termini per la presentazione delle domande di sanatoria e quelli per i pagamenti successivi delle rate dell’oblazione e degli oneri concessori.
La disciplina che ne è risultata è pertanto un misto di norme (di principio) statali e di norme (di dettaglio) regionali, sulla base di un discrimine operato in via giurisprudenziale. Le norme statali di dettaglio hanno comunque riacquistato efficacia – dopo l’11 novembre 2004 – nelle regioni che non avevano adottato norme specifiche.
In data 8 maggio 2003 è stata pubblicata su Gazzetta Ufficiale l’ordinanza del Presidente del Consiglio O.P.C.M. n. 3274, recante "Primi elementi in materia di criteri generali per la classificazione sismica del territorio nazionale e di normative tecniche per le costruzioni in zona sismica". Il provvedimento era finalizzato alla riduzione del rischio sismico su tutto il territorio nazionale, attraverso una riclassificazione delle zone a rischio sismico[143] e un adeguamento della normativa tecnica per le costruzioni antisismiche. Sin dalla sua emanazione, la nuova normativa è stata presentata come transitoria in quanto veniva prevista, entro il termine di cinque anni, la realizzazione di una verifica della sicurezza di tutti gli edifici e delle opere infrastrutturali in funzione sia della pericolosità sismica della zona nella quale ricadono, sia del rilievo fondamentale che rivestono per le finalità di protezione civile, sia dell’esposizione al rischio di collassi con conseguenze rilevanti.
Inoltre, il termine per l’entrata in vigore delle nuove norme tecniche – originariamente previsto in 18 mesi dalla data di entrata in vigore della Ordinanza (art. 2, comma 2) – veniva più volte prorogato con successive ordinanze, a causa sia del rilevante grado di complessità tecnica della materia e della sua natura fortemente innovativa, che del necessario coordinamento con il T.U. sulle norme tecniche delle costruzioni, allora in via di emanazione. Infatti, l’art. 5, comma 1, del decreto-legge n. 136 del 2004, convertito con modificazioni dalla legge n. 186 del 2004, ha previsto la redazione, da parte del Consiglio superiore dei lavori pubblici, di concerto con il Dipartimento della protezione civile, di normative tecniche, anche per la verifica sismica ed idraulica, relative alle costruzioni, nonché per la progettazione, la costruzione e l’adeguamento, anche sismico ed idraulico, delle dighe di ritenuta, dei ponti e delle opere di fondazione e sostegno dei terreni, per assicurare uniformi livelli di sicurezza. Il T.U. recante “Norme tecniche per le costruzioni” è stato quindi approvato con D.M. infrastrutture e trasporti del 14 settembre 2005 ed è entrato in vigore il 23 ottobre 2005. Conseguentemente, l’ultima ordinanza di proroga dell’entrata in vigore delle norme tecniche antisismiche (recate, come si è detto, dall’OPCM 3274) ha fatto coincidere il termine della proroga con quello dell’entrata in vigore del T.U., rinviando a quest’ultimo la disciplina delle costruzioni in zone sismiche.
Gli interventi volti a dare impulso alle politiche abitative adottati nel corso della XIV legislatura hanno riguardato sia l’adozione di provvedimenti straordinari e d’urgenza per fronteggiare l’emergenza abitativa soprattutto nelle grandi aree metropolitane, sia l’avvio di alcuni programmi nazionali per l’edilizia abitativa nuova e di recupero manutentivo, in attuazione della legge 8 febbraio 2001, n. 21, recante Misure per ridurre il disagio abitativo ed interventi per aumentare l’offerta di alloggi in locazione, che era stata approvata al termine della XIII legislatura. E’ stata inoltre proseguita una politica (anche questa già avviata nelle precedenti legislature) volta alla dismissione del patrimonio abitativo pubblico e all’adozione di strumenti fiscali, finanziari e creditizi per l’accesso all’abitazione in proprietà o in affitto.
Si ricorda che, per quanto riguarda le agevolazioni alle locazioni, il principale strumento previsto dalla normativa nazionale è rappresentato dal Fondo nazionale per il sostegno all’accesso alle abitazioni in locazione (istituito dall’art. 11 della legge n. 431 del 1998) e le cui risorse sono utilizzate per la concessione di contributi integrativi per il pagamento dei canoni di locazione, a favore dei conduttori appartenenti alle fasce di reddito più basse. Nel corso della XIV legislatura il legislatore ha, da un lato, apportato alcune modifiche allemodalità di ripartizione del Fondo[144], nonché alla procedura per la stipula dei contratti appartenenti al cosiddetto “secondo canale”[145], dall’altro, ha provveduto ad istituire due nuovi Fondi per il sostegno di determinate fasce sociali. Il primo è il Fondo per l’attuazione di programmi finalizzati alla costruzione o al recupero di unità immobiliari destinate a locazione a canone speciale per soggetti dotati di determinati requisiti di reddito, istituito dall’art. 3, commi 108-115, della legge 24 dicembre 2003, n. 350 (finanziaria 2004). Il secondo è il Fondo per favorire l’accesso delle giovani coppie alla prima casa di abitazione, istituito con l’art. 1, comma 111, della legge 30 dicembre 2004, n. 311 (finanziaria 2005).
Al fine di fronteggiare l’emergenza abitativa nelle grandi città, nel corso del quinquennio si sono succeduti anche alcuni provvedimenti d’urgenza con i quali il Governo ha provveduto alla proroga degli sfratti, di cui peraltro è stata gradualmente ridotta la portata applicativa. Tale riduzione ha fatto seguito ad una pronuncia della Corte Costituzionale (sentenza n. 155 del 2004) che si era espressa in senso sfavorevole ad una eventuale nuova proroga degli sfratti, ricordando che la sospensione “può trovare giustificazione soltanto se incide sul diritto alla riconsegna dell’immobile per un periodo transitorio ed essenzialmente limitato”. E’ opportuno ricordare in proposito che anche la Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato lo Stato italiano per violazione dell’art. 1, Protocollo n. 1 (protezione della proprietà) e dell’art. 6 (diritto ad un equo processo sotto il profilo della ragionevole durata) della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU), a seguito di alcuni ricorsi aventi ad oggetto i procedimenti avviati dai proprietari per ottenere il rilascio degli immobili da parte dei conduttori.
Gli altri interventi minori, volti a dare impulso alle politiche abitative - inseriti prevalentemente in alcune leggi finanziarie - hanno perseguito l’obiettivo di favorire lo sblocco degli interventi costruttivi con finalità pubbliche e di migliorare l’efficienza degli interventi stessi. Rientrano tra essi una serie di modifiche agli interventi di edilizia residenziale pubblica finalizzati alla realizzazione del programma straordinario per i dipendenti delle amministrazioni dello Stato impegnati nella lotta alla criminalità organizzata[146]ed alcune disposizioni in materia di alienazione di alloggi ai profughi[147].
Sono, infine, da segnalare anche gli interventi diretti alla vendita di un certo numero di immobili di proprietà degli Istituti Autonomi Case popolari (I.A.C.P.), previsti dalla legge finanziaria del 2006 (art. 1, commi 597-600, della legge n. 266 del 2005).
Con il termine “aree sottoutilizzate”, introdotto dalla legge finanziaria per il 2003, viene indicato un ambito territoriale coincidente con quelle che la legislazione precedente definiva “aree depresse”.
Più precisamente, sono comprese nelle aree sottoutilizzate:
§ le aree ammissibili agli interventi degli obiettivi 1 e 2 dei fondi strutturali;
§ le aree ammesse al sostegno transitorio per gli obiettivi 1 e 2;
§ le aree rientranti nelle fattispecie dell’articolo 87, paragrafo 3, lettera c), del trattato CE, vale a dire le aree ammesse al regime di deroga per gli aiuti di Stato a finalità regionale.
L’espressione “aree sottoutilizzate” si riferisce, pertanto, a tutte le regioni del Mezzogiorno (compresi l’Abruzzo e il Molise, che hanno cessato di far parte dell’obiettivo 1) e alle zone del Centro-nord che ricadono nell’obiettivo 2 o che beneficiano della deroga per gli aiuti di Stato a finalità regionale.
Le politiche di intervento nelle aree sottoutilizzate sono attuate per mezzo di numerosi strumenti, che possono essere ricondotti, sulla base delle modalità di applicazione e delle finalità perseguite, a tre tipologie principali:
1) incentivi di carattere valutativo, rivolti a sostenere specifiche iniziative o attività imprenditoriali, individuate anche in forma selettiva, compensando in particolare le difficoltà di approvvigionamento sul mercato finanziario da parte delle imprese di piccole dimensioni (legge n. 488/1992, prestito d’onore e imprenditorialità giovanile);
2) incentivi di carattere automatico, volti a ridurre, in modo generalizzato, nella forma del credito di imposta, il costo del capitale e del lavoro (in particolare, credito d’imposta per i nuovi investimenti e credito d’imposta per le nuove assunzioni);
3) strumenti della programmazione negoziata. Gli strumenti di carattere negoziale sono rivolti a finalità distinte, che interessano, in particolare:
- il sostegno ad uno sviluppo economico e sociale di determinati territori (patti territoriali, contratti d’area e progetti integrati territoriali);
- l’attrazione di investimenti produttivi di significative dimensioni (contratti di programma e contratti di localizzazione);
- il potenziamento della dotazione di infrastrutture (intese istituzionali e accordi di programma quadro).
Relativamente agli incentivi di carattere valutativo, particolare rilievo assume l’articolo 8 del cd. “decreto-legge competitività” (decreto-legge n. 35 del 2005, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 80 del 2005), che ha disposto la revisione dei meccanismi che presiedono alla concessione degli incentivi alle imprese nelle aree sottoutilizzate, come definiti dalla legge n. 488/1992, ovvero come disposti nell’ambito degli strumenti della programmazione negoziata (patti territoriali, contratti di programma e contratti di area).
Nel quadro della nuova filosofia in materia di agevolazioni alle imprese prevista dalla legge finanziaria per il 2003, è stata disposta la sostituzione dei finanziamenti a fondo perduto con prestiti agevolati, promuovendo al tempo stesso il coinvolgimento degli istituti bancari nel finanziamento degli investimenti oggetto di agevolazioni.
In particolare, si prevede che il finanziamento in conto capitale, vale a dire a fondo perduto, non può superare la metà del finanziamento complessivo. La restante quota deve pertanto essere erogata in forma di prestito, con obbligo di restituzione, e deve constare, a sua volta, di due voci, di pari importo:
· un prestito agevolato, alle condizioni che saranno fissate dal CIPE, e comunque ad un tasso d’interesse annuo non inferiore allo 0,50%;
· un prestito bancario ordinario a tasso di mercato.
Deve inoltre essere garantito l’impegno finanziario dei soggetti che valutano positivamente le domande di ammissione alle agevolazioni e curano l’effettuazione dei rimborsi del prestito nelle sue due componenti.
Nel delineare i parametri che dovranno essere considerati ai fini della formazione delle graduatorie, la nuova disciplina ìndica, fra gli altri, il criterio di privilegiare le istanze relative a investimenti per i quali sia meno elevata la quota di contributi a fondo perduto richiesta.
E’ infine previsto che i finanziamenti pubblici agevolati possano essere erogati a valere sulle risorse del Fondo rotativo per il sostegno alle imprese previste dalla legge finanziaria per il 2005. Quest’ultima (legge n. 311 del 2004: commi 354-361) ha infatti previsto un nuovo Fondo rotativo per il sostegno alle imprese, istituito presso la gestione separata della Cassa depositi e prestiti Spa, con una dotazione iniziale di 6 miliardi di euro, finalizzato alla concessione di finanziamenti agevolati alle imprese in forma di anticipazione di capitali rimborsabile secondo un piano di rientro pluriennale.
Alla nuova disciplina è stata data attuazione con decreto del Ministro delle attività produttive del 1° febbraio 2006, con il quale sono stati dettati i nuovi criteri, condizioni e modalità per la concessione ed erogazione delle agevolazioni alle attività produttive nelle aree sottoutilizzate.
Una nuova forma di agevolazione è stata prevista dalla legge finanziaria per il 2005 (legge n. 311 del 2004: commi 215-218), che ha introdotto disposizioni finalizzate a rafforzare l’attrazione degli investimenti nelle aree sottoutilizzate.
A tal fine, Sviluppo Italia S.p.A. è stata autorizzata a concedere agevolazioni alle imprese capaci di produrre “effetti economici addizionali e durevoli e tali da generare esternalità positive sul territorio”.
La forma principale di agevolazione consiste in un contributo in conto interessi a valere su mutui di durata non inferiore a 5 anni e non superiore a 10 anni, destinati a coprire fino al 50 per cento degli investimenti ammissibili. I mutui vengono concessi da istituti autorizzati all’esercizio dell’attività bancaria.
Il contributo in conto interessi può essere affiancato:
- da un contributo in conto capitale, che può coprire fino al limite massimo del 20% degli investimenti (35% per le piccole e medie imprese);
- da partecipazioni temporanee di Sviluppo Italia Spa al capitale sociale, in misura non superiore al 15% del capitale sociale delle imprese beneficiarie (20% per le piccole e medie imprese).
La disciplina relativa al credito di imposta per gli investimenti nelle aree sottoutilizzate è stata oggetto di interventi legislativi volti a garantire che l’attuazione della normativa risultasse in linea con le previsioni di spesa effettuate.
In particolare, con un primo intervento (D.L. n. 138/2002) l’accesso al beneficio è stato subordinato alla preventiva autorizzazione da parte dell’Agenzia delle entrate, al fine di attribuire all’amministrazione la possibilità di monitorare il grado di utilizzo del credito medesimo. Peraltro, questa previsione si è tradotta in una massiccia prenotazione di risorse da parte delle imprese interessate, che di fatto ha immobilizzato per intero le disponibilità stanziate.
Con un secondo intervento (legge finanziaria per il 2003) sono stati stabiliti alcuni vincoli all’utilizzazione del credito maturato attraverso la fissazione di un tempo massimo, decorrente dalla presentazione dell’istanza, per l’esecuzione dell’investimento e per il godimento del relativo beneficio fiscale. Si è, inoltre, previsto uno scaglionamento annuale per la sua fruizione e una penalizzazione - consistente nella perdita del diritto al contributo e nel divieto per dodici mesi di presentazione di una nuova istanza – in caso di mancato rispetto dei vincoli temporali assegnati. Infine, è stato introdotto l’onere, per i beneficiari, di comunicare all’amministrazione, in sede di istanza, i dati occorrenti per la ricognizione degli investimenti realizzati, dei contributi fruiti e di quelli ancora da utilizzare.
Con riferimento al credito di imposta per le nuove assunzioni (che si applica su tutto il territorio nazionale e per il quale è prevista una misura più elevata per le assunzioni nelle aree sottoutilizzate), con il decreto-legge n. 138/2002 è stato introdotto il principio generale in base al quale i soggetti interessati hanno diritto di fruire del beneficio fino all’esaurimento delle disponibilità finanziarie. Anche in tal caso è stata disciplinata una procedura per l’accesso all’agevolazione, prevedendo tra l’altro che i datori di lavoro presentino una apposita istanza all’Agenzia delle entrate prima dell’assunzione dei nuovi dipendenti.
Dopo un intervento normativo rivolto a garantire comunque la possibilità di fruire del credito per tutto il 2002 entro il livello di incremento occupazionale stabilito al momento della sospensione operata nel luglio 2002 (D.L. n. 209/2002), la legge finanziaria per il 2003 ha esteso il credito d’imposta anche alle nuove assunzioni effettuate nel 2003 e negli anni successivi, fino al 2006.
Al tempo stesso, la legge finanziaria per il 2003 ha interamente rivisto la disciplina del credito d’imposta: per le assunzioni effettuate nel 2003 in aumento rispetto ai livelli occupazionali del luglio 2002; per le assunzioni effettuate nel 2003 da soggetti che fino a quel momento non avevano beneficiato del credito; per tutte le assunzioni effettuate dal 1° gennaio 2004 al 31 dicembre 2006 in aumento rispetto alla base occupazionale media relativa al periodo compreso tra l’agosto del 2001 e il luglio del 2002.
La nuova disciplina ridetermina l’entità del credito d’imposta, prevedendo un contributo più alto nel caso in cui l’assunto abbia un’età superiore ai 45 anni (150 euro anziché 100) ovvero nel caso in cui le assunzioni vengano effettuate nelle regioni obiettivo 1, in Abruzzo e Molise, nelle aree di crisi e nelle cosiddette zone cuscinetto (300 euro).
Si è, inoltre, stabilito che, nelle ipotesi in cui si applica la nuova disciplina, i datori di lavoro devono inoltrare all’Agenzia delle entrate un’istanza preventiva contenente i dati necessari a stabilire la base occupazionale di riferimento, il numero, la tipologia, decorrenza e la durata delle assunzioni, l’entità dell’incremento occupazionale e gli identificativi del datore di lavoro e dei nuovi assunti. La fruizione del credito d’imposta è subordinata ad un atto di assenso che l’Agenzia delle entrate deve adottare espressamente.
Oltre alle agevolazioni per nuove assunzioni nella forma del credito di imposta, la politica dello sviluppo dell’occupazione si è concentrata sulla c.d. fiscalità di vantaggio.
In particolare la legge finanziaria per il 2005 (legge n. 311/2004), successivamente modificata dal cd. “decreto-legge competitività” (D.L. 35/2005:), ha previsto la deducibilità ai fini IRAP di 20.000 euro annuali per ciascun dipendente assunto a tempo indeterminato fino al periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2008. Tale importo è quintuplicato nelle aree ammissibili alla deroga prevista dall’articolo 87, paragrafo 3, lettera a) (aree del Mezzogiorno), e triplicato nelle aree ammissibili alla deroga prevista dall’articolo 87, paragrafo 3, lettera c) del Trattato che istituisce la Comunità europea (aree del Centro-nord)
Per quanto riguarda la programmazione negoziata, nel corso della XIV legislatura, non sono stati effettuati interventi legislativi di particolare rilievo.
Sul piano operativo, è stato introdotto, a partire dal 2003, un nuovo strumento di intervento, il contratto di localizzazione, con l’intento di favorire gli investimenti effettuati nelle aree sottoutilizzate da imprese estere. Il contratto di localizzazione rappresenta una forma più avanzata di contratto di programma, caratterizzata da procedure di approvazione e di attuazione più veloci e dall’inserimento all’interno di un accordo di programma quadro, che implica il diretto coinvolgimento dei ministeri economici e della regione ospitante. A fianco dei tradizionali incentivi all’investimento già previsti nel contratto di programma, il contratto di localizzazione comprende accordi volti alla realizzazione di infrastrutture e alla semplificazione degli adempimenti procedurali relativi all’attuazione degli investimenti.
La concreta attività di promozione, stipula e realizzazione di questi contratti è stata affidata, tramite convenzione stipulata col Ministero delle attività produttive il 31 luglio 2003, alla società Sviluppo Italia S.p.a.
Sono stati attualmente approvati dall’apposito Comitato operativo 14 contratti di localizzazione (per 6 dei quali è intervenuto il decreto ministeriale di approvazione e, fra questi, in 2 casi si è addivenuti alla stipula del contratto).
Sempre sotto il profilo attuativo, il contratto di programma è stato lo strumento di intervento maggiormente utilizzato nella XIV legislatura. Rispetto ai 95 contratti di programma deliberati dal CIPE da aprile del 1996 al dicembre del 2005, 66 contratti sono riferiti al periodo giugno 2001-dicembre 2005.
Ulteriori 30 contratti di programma sono stati approvati dal CIPE nella seduta del 22 marzo 2006.
Per quanto attiene ai patti territoriali, si è provveduto ad attivare i patti non operativi per carenze di finanziamento e a completare i piani di finanziamento dei patti già in essere.
Con riferimento al quadro delle competenze, a seguito dell’accordo raggiunto in sede di Conferenza unificata, in data 15 aprile 2003, tra i Ministeri dell’economia e delle finanze e delle attività produttive, le regioni, l’ANCI, l’UPI e l’UNCEM per il coordinamento della regionalizzazione degli strumenti di sviluppo locale, il CIPE, con la delibera n. 26/2003, ha definito le principali modalità di regionalizzazione del patto territoriale, al fine di assicurare l’efficiente ed efficace utilizzo delle risorse finanziarie per le aree sottoutilizzate investite nei patti territoriali, assegnando da ogni regione la responsabilità del coordinamento, della programmazione e della gestione dei patti di propria competenza.
La delibera ha, tra l’altro, introdotto, in linea con la tendenza comunitaria e nazionale, un meccanismo premiale riferito all’efficienza nella gestione, a cui viene correlata la possibilità di riprogrammare, nell’ambito dello stesso patto, le risorse derivanti da rinunce e revoche.
Per quanto riguarda le risorse per gli interventi nella aree sottoutilizzate, particolare rilievo ha assunto l’istituzione del Fondo per le aree sottoutilizzate operata dalla legge finanziaria per il 2003 (legge n. 289/2002: art. 61), in cui sono confluite le risorse allora esistenti relative all’analogo Fondo per le aree depresse, al Fondo per l’imprenditorialità giovanile, ai diversi crediti di imposta per gli investimenti e per l’occupazione. A tale Fondo, costituito presso il Ministero dell’economia e delle finanze, è stato affiancato un corrispondente Fondo presso il Ministero delle attività produttive (legge n. 289/2002: art. 60) sul quale sono allocate le risorse destinate alle agevolazioni per le attività produttive previsti dalla legge n. 488/1992 e dagli strumenti della programmazione negoziata, che risultano ricomprese in uno specifico piano operativo del Fondo unico per gli incentivi alle imprese.
E’ inoltre previsto che il CIPE, presieduto dal Presidente del Consiglio dei Ministri (c.d. superCIPE), possa disporre una diversa allocazione delle risorse spostandole da un fondo all’altro, in base allo stato di attuazione degli interventi finanziati o alle esigenze espresse dal mercato alle singole misure di incentivazione.
Le leggi finanziarie succedutesi hanno sempre previsto in tabella D un rifinanziamento pluriennale del Fondo per le aree sottoutilizzate, anche se la maggior parte delle risorse è stata allocata sulla terza annualità del bilancio.
Ulteriori risorse per gli interventi nelle aree sottoutilizzate sono state considerate nell’ambito della c.d. legge obiettivo (legge n. 166/2002).
La legge finanziaria per il 2004 (legge n. 350 del 2003: articolo 4, commi 106-111), ha disposto l’istituzione di un Fondo rotativo nazionale, gestito da Sviluppo Italia, per gli interventi nel capitale di rischio.
Le risorse che confluiscono nel fondo sono destinate ad effettuare interventi temporanei e di minoranza, comunque non superiori al 30%, nel capitale di imprese produttive, nei settori dei beni e dei servizi. Sviluppo Italia è autorizzata ad utilizzare le risorse del Fondo per sottoscrivere o acquistare, esclusivamente a condizioni di mercato, quote di capitale di imprese produttive che presentino nuovi programmi di sviluppo ovvero, in base agli indirizzi e secondo le modalità definite dal CIPE, quote di minoranza di fondi mobiliari chiusi che investono in tali imprese.
La legge finanziaria per il 2006 (legge 23 dicembre 2005, n. 266: art. 1, commi 376-378) ha previsto la costituzione di una "Banca del Mezzogiorno", al cui capitale partecipa, con 5 milioni di euro, lo Stato, quale soggetto fondatore, con l’obiettivo di sostenere lo sviluppo economico del Sud d’Italia.
Con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze del 2 marzo 2006 è stato istituito il Comitato promotore.
Per quanto riguarda le competenze relative allo sviluppo delle aree sottoutilizzate, si ricorda la riforma dell’organizzazione del Governo disposta dal D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 300, che ha ricevuto attuazione a decorrere dall’inizio della XIV legislatura, ha attribuito al Ministero delle attività produttive le competenze relative agli strumenti della programmazione negoziata (ad eccezione delle intese istituzionali di programma e degli accordi di programma-quadro).
Sono rimaste, invece, di competenza del Ministero dell’economia e delle finanze e, specificamente, del Dipartimento per le politiche di sviluppo e di coesione, le funzioni generali in materia di programmazione, coordinamento e verifica degli interventi per lo sviluppo economico territoriale e settoriale e delle politiche di coesione, con particolare riferimento alle aree depresse, nonché le competenze relative alle intese istituzionali di programma ed agli accordi di programma-quadro, che rappresentano lo strumento di attuazione delle intese.
Un particolare ruolo operativo è stato assegnato a Sviluppo Italia Spa, società controllata al 100 per cento dal Ministero dell’economia e delle finanze, che, oltre agli interventi di creazione e sviluppo di impresa, in particolar modo a favore dei giovani (imprenditorialità giovanile, prestito d’onore) e alle politiche di risanamento di società in crisi, si è vista attribuire le competenze per quanto riguarda i contratti di localizzazione, l’attrazione di investimenti, le agevolazioni alle imprese e gli interventi nel capitale di rischio.
Si veda il paragrafo Fondi strutturali riportato nell’area tematica Politica economica e privatizzazioni.
Si veda il paragrafo La strategia di Lisbona riportato nell’area tematica Politica economica e privatizzazioni.
Su questi temi la legislatura ha visto dispiegarsi un ampio intervento volto all’introduzione di ulteriori elementi di flessibilità nella disciplina del lavoro, sia per quanto riguarda la possibilità di ricorrere a forme contrattuali diverse dal contratto a tempo pieno ed indeterminato, sia per quanto concerne l’incontro tra domanda ed offerta di lavoro, portando a compimento la riorganizzazione e l’apertura ai privati dei servizi all’impiego e la definizione di un sistema di politiche attive del lavoro. L’ulteriore liberalizzazione del mercato del lavoro è stata attuata sulla base della L. 14 febbraio 2003, n. 30, recante delega al Governo in materia di occupazione e mercato del lavoro, che ha rappresentato una prima seppur parziale trasposizione sul piano normativo degli obiettivi e delle misure indicati nel “Libro bianco sul mercato del lavoro in Italia. Proposte per una società attiva e per un lavoro di qualità”, elaborato dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali nell’ottobre 2001, che sono poi confluiti sostanzialmente nel “Patto per l’Italia - Intesa per la competitività e l’inclusione sociale”, firmato tra Governo e parti sociali il 5 luglio 2002[148]. Tra gli obiettivi dichiarati c’è naturalmente l’incremento del tasso di occupazione regolare, tenendo conto dell’obiettivo fissato a livello europeo del 70 per cento entro il 2010, e la riduzione degli squilibri territoriali e di genere.
Le deleghe della legge n. 30 sono state attuate dal D.Lgs. n. 276 del 2003, e successive modificazioni, eccetto che per la delega relativa alla razionalizzazione delle funzioni ispettive in materia di previdenza sociale e di lavoro, esercitata separatamente con il D.Lgs. n. 124/2004 (cfr. infra).
Il D.Lgs. n. 276/2003 pertanto interviene sulla vigente normativa relativa al mercato del lavoro e ai contratti di lavoro, al fine di dare maggiore efficienza e trasparenza allo stesso mercato per accrescere le possibilità di occupazione soprattutto dei soggetti a rischio di esclusione sociale. Per raggiungere tale obiettivo, vengono riformati strumenti già esistenti o ne vengono introdotti di nuovi. In primo luogo si delinea una nuova disciplina e organizzazione del mercato del lavoro in modo da realizzare, nell’intendimento del Governo, un sistema efficace e coerente di strumenti volti a garantire trasparenza ed efficienza ed a migliorare le capacità di inserimento professionale dei disoccupati e di quanti sono in cerca di prima occupazione, con particolare riguardo alle fasce più deboli. Nell’ottica di tali obiettivi sono da inquadrare sia l’introduzione di un unico regime autorizzatorio per i soggetti che svolgono attività di somministrazione di lavoro, intermediazione, ricerca e selezione del personale, sia la “Borsa continua del lavoro”, sistema di incontro tra domanda e offerta di lavoro imperniato su una rete informatica di nodi regionali. Si è inoltre portato avanti l’obiettivo di ridisegnare l’organizzazione e i compiti del collocamento pubblico, non più inteso come mera “funzione pubblica” ma piuttosto come servizio di tipo promozionale e orientato al mercato.
L’introduzione di ulteriori elementi di flessibilità nella disciplina del lavoro è stata perseguita sia attraverso l’introduzione di nuovi tipi di contratto di lavoro flessibile (lavoro intermittente, lavoro ripartito, lavoro occasionale, contratto di inserimento) sia attraverso modifiche normative tese ad agevolare e promuovere il ricorso a forme contrattuali già previste, quali il lavoro temporaneo, il contratto part-time e l’apprendistato.
Per quanto riguarda l’apprendistato, una delle novità più rilevanti è rappresentata dalla previsione di tre differenti tipologie di contratto, a seconda della qualità e del livello della formazione insita nel rispettivo rapporto. Il contratto di inserimento, che in pratica sostituisce, anche nella denominazione, il contratto di formazione e lavoro, è stato introdotto allo scopo di favorire l’inserimento o reinserimento mirato in azienda, rendendo “spendibili” le competenze lavorative dei lavoratori, giovani o in difficoltà a prescindere dall’età, in un determinato contesto lavorativo. Al fine di aumentare l’utilizzazione del contratto di lavoro a tempo parziale, si è modificata la relativa disciplina potenziando il ruolo dell’autonomia contrattuale individuale delle parti per quanto riguarda la previsione di clausole che attribuiscono maggiore flessibilità al rapporto di lavoro, riducendo notevolmente i relativi vincoli legislativi e il ruolo “autorizzatorio” precedentemente attribuito alla contrattazione collettiva. Inoltre, con la nuova disciplina delle collaborazioni coordinate e continuative, per evitare un uso distorto di tale tipo di rapporto al fine di eludere gli obblighi civilistici e previdenziali connessi al lavoro subordinato, se ne restringe il campo di applicabilità, che deve essere necessariamente riconducibile a uno o più progetti specifici o programmi di lavoro gestiti autonomamente dal collaboratore.
Un’altra novità è costituita dalla procedura (volontaria) di certificazione dei rapporti di lavoro intermittente, ripartito, a tempo determinato e a progetto, nonché dei contratti di associazione in partecipazione, presso specifiche Commissioni di certificazione, al fine di ridurre il contenzioso in materia di qualificazione dei richiamati contratti.
Per quanto riguarda i provvedimenti in materia di lavoro approvati nel corso della legislatura è da evidenziare, inoltre, la nuova disciplina del lavoro a tempo determinato di cui al D.Lgs. 6 settembre 2001, n. 368[149], caratterizzata dal venirmeno del principio per cui il rapporto a tempo indeterminato costituiva la regola e un termine poteva porsi solamente nei casi tassativamente previsti.
Con il D.Lgs. n. 66/2003, recante “Attuazione della direttiva 93/103/CE e della direttiva 2000/34/CE concernenti taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro”, si è recepita la disciplina comunitaria vigente in materia attuando un generale riordino della disciplina dell’orario di lavoro. In seguito, con i D.Lgs. n. 108/2005 e n. 185/2005 si è attuato il recepimento rispettivamente della direttiva n. 1999/63/CE (in materia di orario di lavoro della gente di mare) e della direttiva n. 2000/79/CE (in materia di orario di lavoro del personale di volo).
Un tassello complementare alla riforma del mercato del lavoro avrebbe dovuto essere rappresentato dalla riforma degli ammortizzatori sociali, in modo da garantire un adeguato sostegno al reddito anche a categorie di lavoratori che oggi ne sono sprovvisti (o quasi) e quindi in certo modo bilanciare la flessibilità sempre maggiore richiesta ai lavoratori medesimi.Si ricorda che attualmente gli strumenti più importanti di sostegno al reddito (CIGS, mobilita) sono riservati ordinariamente ai lavoratori a tempo indeterminato occupati presso le imprese con più di 15 dipendenti. Un’adeguata disciplina degli ammortizzatori sociali, estesa anche ai lavoratori attualmente meno garantiti e in particolare a quelli occupati con contratti flessibili, appare a molti necessaria per evitare che la flessibilità del lavoro tenda a trasformarsi in precarietà per i lavoratori.
In effetti, il disegno di legge A.S. 848, recante “Delega al Governo in materia di occupazione e mercato del lavoro”[150], aveva previsto deleghe anche in materia di incentivi all’occupazione e di ammortizzatori sociali[151]. Tuttavia l’attuazione di tali deleghe non è giunta a compimento nel corso della legislatura.
Peraltro, nell’ambito delle leggi finanziarie[152] che si sono succedute nel corso della legislatura si è prevista, subordinatamente alla realizzazione di programmi definiti con specifici accordi in sede governativa e finalizzati alla gestione di crisi occupazionali (anche con riferimento a particolari settori produttivi e ad aree territoriali), la possibilità di concedere trattamenti di integrazione salariale straordinaria, di mobilità e di disoccupazione speciale, anche in deroga alla normativa vigente, quindi oltre la durata massima prevista o per settori produttivi che in via generale non beneficiano degli ammortizzati sociali.
Inoltre, con vari provvedimenti[153], si è prevista la proroga dell’estensione di misure per il sostegno al reddito – e di incentivi per l’assunzione – in favore di lavoratori di imprese che non rientrano nell’ambito di applicazione della L. n. 223/1991 e che quindi, in base alla disciplina generale sugli ammortizzatori sociali, non ne beneficerebbero. In particolare tali proroghe hanno riguardato l’iscrizione nelle liste di mobilità e agevolazioni per la stipula di contratti di solidarietà anche per i lavoratori delle imprese che non rientrano nell’ambito della CIGS.
Per le categorie e settori di impresa sprovvisti del sistema di ammortizzatori sociali è proseguita la costituzione di fondi di solidarietà per il sostegno del reddito e dell’occupazione ai sensi dell’ art. 2, comma 28, della L. n. 662/1996. In particolare con i D.M. n. 88/2002, n. 375/2003 e n. 178/2005 sono stati costituiti nuovi fondi di solidarietà rispettivamente per il personale già dipendente dall’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato, per il personale addetto al servizio della riscossione dei tributi erariali e per il personale di Poste Italiane.
Il costo del lavoro costituisce uno degli elementi fondamentali nel determinare i livelli occupazionali di un’economia, influenzando l’allocazione delle risorse tra i fattori della produzione, all’interno di un Paese, e le sue condizioni di competitività sullo scenario internazionale.
Nel corso della legislatura, è emersa l’esigenza di agire, nell’ambito delle politiche per l’occupazione, verso una progressiva riduzione dei costi non salariali del lavoro. A tal fine si è proceduto da una parte a introdurre una riduzione intersettoriale e stabile nel tempo del carico contributivo, dall’altra a prevedere agevolazioni contributive aventi operatività limitata a periodi, aree territoriali e settori limitati. Gli interventi di carattere strutturale si sono concentrati sulla riduzione di alcune voci della contribuzione a carico dei datori di lavoro, al fine di diminuire il “cuneo fiscale e contributivo”, cioè il rapporto tra il costo del lavoro (a cui concorrono i contributi versati dal lavoratore e dal datore di lavoro) e quanto effettivamente percepito come retribuzione netta dal lavoratore.
Gli interventi più significativi che si sono succeduti nel corso della legislatura sono i seguenti: la riduzione, a decorrere dal 1° gennaio 2002, nella misura dello 0,20%, del contributo di maternità a carico dei datori di lavoro del settore privato, prevista dall’art. 42, comma 1, lettera a), della L. n. 448/2001 (legge finanziaria 2002); più in generale, a decorrere dal 1° gennaio 2006, un esonero dal versamento dei contributi sociali alla gestione delle prestazioni temporanee presso l’INPS, nel limite massimo complessivo di un punto percentuale, ai sensi dei commi 361 e 362 dell’art. 1 della L. n. 266/2005 (legge finanziaria 2006).
Con l’art. 63 della L. n. 289/2002 il credito d’imposta per le nuove assunzioni, introdotto dall’articolo 7 della legge n. 388/2000 come strumento agevolativo di carattere generale, che "premia" le nuove assunzioni effettuate da qualsiasi datore di lavoro, senza limitazioni territoriali e né dimensionali, è stato esteso alle assunzioni effettuate fino al 31 dicembre 2006 (precedentemente era previsto il termine del 31 dicembre 2003).
Nel corso della legislatura il Governo ha inoltre predisposto (e poi lasciato cadere) misure volte a incentivare l’assunzione di lavoratori a tempo indeterminato tramite una parziale deroga in via sperimentale alla disciplina sulla reintegrazione in caso di licenziamento illegittimo (con il già citato disegno di legge A.S. 848-bis[154]; cfr. supra).
Nel corso della legislatura, in attesa del definitivo esaurimento del bacino dei lavori socialmente utili (LSU) , con le leggi finanziarie sono state autorizzate continue proroghe, anche in deroga alla normativa in materia di LSU, delle convenzioni stipulate con i comuni ai fini dello svolgimento delle ASU (attività socialmente utili)[155]. Altre disposizioni hanno invece autorizzato il Ministero del lavoro a stipulare nuove convenzioni con i comuni con meno di 50.000 abitanti[156].
Infine, una serie di provvedimenti sono stati approvati per favorire l’emersione del lavoro irregolare, tramite l’incentivazione fiscale e contributiva per la regolarizzazione dei lavoratori. Tra tali misure si evidenzia la disciplina per incentivare l’emersione del lavoro irregolare di cui agli artt. 1-3 della L. n. 383/2001 (cd. “Tremonti-bis”) e la disciplina per la regolarizzazione dei lavoratori stranieri, di cui alla L. n. 189/2002 (collaboratori domestici)e al D.L. 195/2002 (lavoratori del settore produttivo).
Si segnala infine la riforma della vigilanza ispettiva realizzata dal D.Lgs. n. 124/2004. Il provvedimento, in attuazione dell’art. 8 della L. n. 30/2003, ha provveduto al riassetto della disciplina vigente sulle ispezioni in materia di lavoro e previdenza sociale, allo scopo di definire un sistema organico e coerente di tutela del lavoro con interventi omogenei, con particolare riguardo soprattutto alla attività di prevenzione. Pertanto il provvedimento: attua la riorganizzazione dell’attività ispettiva del Ministero del lavoro; favorisce la razionalizzazione degli interventi ispettivi di tutti gli organi di vigilanza; al fine di favorire una veloce conclusione dell’ispezione, introduce i nuovi istituti della conciliazione monocratica affidata alla Direzione provinciale del lavoro e della diffida accertativa per crediti retributivi; infine, dispone una semplificazione dei procedimenti sanzionatori amministrativi.
In tema di professioni la II Commissione, nel corso della XIV legislatura, ha portato a termine l’esame di alcuni provvedimenti diretti prevalentemente a soddisfare esigenze specifiche dei settori coinvolti.
Infatti, la proposta di riforma del diritto delle professioni intellettuali elaborata dalla Commissione presieduta dall’On.le Avv. Michele Vietti, istituita presso l’ufficio legislativo del Ministero della giustizia nel novembre 2002, e che nel febbraio 2003 ha concluso i suoi lavori presentando il testo definitivo elaborato, non è stata successivamente trasmessa ed esaminata dal Parlamento, anche a causa dell’intervenuta approvazione da parte delle Camere della Riforma della Parte II della Costituzione che, tra l’altro, nella nuova formulazione dell’articolo 117, riserva allo Stato la disciplina dell’Ordinamento delle professioni intellettuali.
Per quanto attiene ai provvedimenti di riforma esaminati ed approvati dalla II Commissione, si procederà pertanto ad una disamina degli stessi a seconda delle professioni di volta in volta interessate.
Per quanto attiene alla professione di avvocato va ricordata la legge 18 luglio 2003, n. 180 che, convertendo il decreto-legge del 21 maggio 2003, n. 112, ha dettato disposizioni incidenti sulla disciplina dello svolgimento degli esami di abilitazione all’esercizio della professione forense. Scopo dell’intervento normativo è stato quello di adottare iniziative in grado di assicurare una maggiore omogeneità degli esiti nonché un maggior rigore complessivo della prova d’esame poiché, come rilevato anche dalla relazione di accompagnamento del provvedimento e come emerso nel corso dei lavori preparatori, il numero di candidati promossi risultava notevolmente elevato, e la provenienza di essi appariva del tutto disomogenea, posto che talune sedi funzionano da veri e propri catalizzatori di praticanti, con percentuali di candidati promossi straordinariamente elevate rispetto al numero degli ammessi a sostenere l’esame, mentre in altre sedi si sono registrate percentuali molto ridotte di promossi, con conseguente disparità di trattamento. Vengono pertanto dettate disposizioni riguardanti il certificato di compiuta pratica, la disciplina del meccanismo del sorteggio nell’abbinamento tra le commissioni esaminatrici, l’inserimento del diritto comunitario tra le materie oggetto di prova orale, la previsione di situazioni di incompatibilità per i componenti delle commissioni esaminatrici, e disposizioni particolari concernenti l’esame di abilitazione presso la Corte di appello di Trento.
Attiene invece all’introduzione dell’incompatibilità dell’esercizio della professione di avvocato con l’esercizio di lavoro pubblico dipendente la legge 25 novembre 2003, n. 339, che disciplina anche la facoltà di opzione concessa al dipendente pubblico part-time. In proposito va ricordato che una proposta di legge (A.C. 5943) presentata ed esaminata successivamente dalla Commissione giustizia, ma non divenuta legge, prevedeva una diversa disciplina transitoria.
Per quanto riguarda la professione di commercialista, va ricordata l’emanazione della legge 24 febbraio 2005, n. 34, del decreto legislativo 28 giugno 2005, n. 139 e del decreto legislativo 23 gennaio 2006, n. 28. Inserendosiin un progetto di armonizzazione normativa di tutte quelle professioni che hanno competenze identiche e simili, nell’ambito di un quadro legislativo e regolamentare in rapida evoluzione che, ponendosi nel solco del riferimento comunitario prende le mosse dalla recente riforma universitaria, la legge 34/2005 delega il Governo a realizzare l’unificazione degli Ordini professionali dei dottori commercialisti e dei ragionieri e periti commerciali (attualmente disciplinati rispettivamente dal D.P.R. n. 1067/1953 e dal D.P.R. 1068/1953), delle rispettive Casse di previdenza e assistenza, e ad attribuire, al nuovo ordine professionale, competenze sul registro dei revisori contabili (disciplinato dal Decreto legislativo n. 88/1992). Con l’emanazione del decreto legislativo 139/2005, il Governo ha poi provveduto a disciplinare nel dettaglio gli aspetti relativi all’unificazione degli Ordini, mediante un atto normativo “onnicomprensivo” che riscrive per intero l’ordinamento professionale della categoria, assorbendo e disciplinando tutti gli ambiti e le materie già oggetto degli attuali ordinamenti professionali dei ragionieri e dei dottori commercialisti. Con il decreto legislativo 28/2006, è stata poi disciplinata l’attribuzione all’Ordine dei dottori commercialisti e degli esperti contabili di competenze sul registro dei revisori contabili.
Infine, in tema di professione notarile va ricordata l’emanazione di tre schemi di decreto legislativo sulla base della delega di cui all’articolo 7 della legge 28 novembre 2005, n. 246 (Semplificazione e riassetto normativo per l’anno 2005) che ha delegato il Governo ad adottare uno o più decreti legislativi per il riassetto e la codificazione delle disposizioni vigenti in materia di ordinamento del notariato e degli archivi notarili. I provvedimenti adottati concernono l’accesso alla professione di notaio, con nuove disposizioni concernenti il periodo di pratica prescritto, le modalità di svolgimento del concorso, i limiti di ammissibilità allo stesso e le modalità di valutazione complessiva dei candidati, la revisione dell’ordinamento disciplinare con profonde ed importanti modifiche concernenti la configurazione degli illeciti disciplinari, le sanzioni applicabili, gli organi che intervengono nel relativo procedimento, la disciplina di quest’ultimo e, infine, l’istituzione di una particolare copertura assicurativa per i danni causati dagli errori professionali dei notai, predisposta dal consiglio nazionale del notariato ed a carico del medesimo.
Infine, di portata più generale, in relazione alla vigente formulazione dell’articolo 117 della Costituzione che annovera le professioni tra le materie di legislazione concorrente, va ricordata l’emanazione del decreto legislativo 2 febbraio 2006, n. 30, che, adottato in attuazione della delega contenuta nell’articolo 1, della Legge n. 131 del 5 giugno 2003, recante “Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla Legge Costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3” (c.d. legge La Loggia), individua i principi fondamentali che si desumono dalle leggi vigenti in materia di professioni regolamentate, riproducendo parzialmente alcuni degli spunti desumibili dal progetto elaborato dalla Commissione Vietti, stabilendo contestualmente l’esclusione di alcune materie dall’ambito di applicazione del decreto.
Il 1° marzo 2006 la Commissione europea ha presentato una proposta di regolamento per l’istituzione di un Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione (COM(2006) 91). Il Fondo, la cui istituzione è stata prospettata dal Consiglio europeo del 15-16 dicembre 2005, nell’ambito del compromesso sulle prospettive finanziarie 2007-2013 (si veda la scheda “Prospettive finanziarie 2007-2013” riportata nell’area tematica “Politica economica e privatizzazioni”) e successivamente ribadita dal Consiglio europeo del 23-24 marzo 2006, è destinato a fornire un sostegno mirato per il reinserimento professionale dei lavoratori in seguito a modifiche strutturali importanti nel commercio mondiale.
La proposta sarà esaminata dal Consiglio e dal Parlamento europeo secondo la procedura di codecisione.
Il 16 marzo 2005 la Commissione europea ha presentato il Libro verde “Far fronte ai cambiamenti demografici, una nuova solidarietà tra generazioni” (COM(2005)94), per avviare una consultazione sulle evoluzioni demografiche e la gestione delle loro conseguenze.
A fronte dei cambiamenti demografici, la Commissione ritiene che l’Europa debba perseguire tre priorità essenziali:
§ favorire la ripresa della crescita demografica;
§ prendere in considerazione un equilibrio tra le generazioni;
§ inventare nuove transizioni tra le generazioni, con particolare riguardo ai giovani, che raggiungono in età più avanzata, rispetto al passato, alcune tappe della vita (fine del corso di studi, ingresso nel mondo del lavoro, primo figlio).
Alla consultazione, che si è conclusa il 1° settembre 2005, farà seguito - secondo quanto preannunciato dalla Commissione nel suo programma di lavoro per il 2006 - una comunicazione sulla sfida demografica e la solidarietà tra le generazioni.
Il 1° marzo 2006 la Commissione ha presentato una comunicazione relativa ad una tabella di marcia (COM(2006)92) che individua sei ambiti prioritari dell’azione dell’UE in tema di parità tra i generi per il periodo 2006-2010:
§ una pari indipendenza economica per le donne e gli uomini;
§ l’equilibrio tra attività professionale e vita privata;
§ la pari rappresentanza nel processo decisionale;
§ l’eradicazione di tutte le forme di violenza fondate sul genere;
§ l’eliminazione di stereotipi sessisti;
§ la promozione della parità tra i generi nelle politiche esterne e di sviluppo.
Ogni ambito comprende azioni chiave volte a facilitarne la realizzazione, tra le quali: la creazione su scala comunitaria, nel 2007, di una rete di donne che svolgono incarichi di responsabilità nei settori della politica e dell’economia; la pubblicazione di una comunicazione sulla differenza retributiva tra uomini e donne; l’evidenziazione dei problemi legati alla specificità dei sessi nel corso del 2007, Anno europeo delle pari opportunità per tutti.
La comunicazione presenta, inoltre, un elenco di indicatori per il monitoraggio dei progressi verso l’uguaglianza di genere nei settori evidenziati dalla tabella di marcia. Gli indicatori scelti rispondono, nelle intenzioni della Commissione, anche all’esigenza di disporre di dati comparabili a livello dell’Unione europea.
Considerando la tabella di marcia, il Consiglio europeo del 23 e 24 marzo 2006 ha adottato un patto europeo per la parità di genere, al fine di incoraggiare l’azione a livello di Stati membri e di Unione europea nei seguenti settori: misure per colmare i divari di genere e combattere gli stereotipi di genere nel mercato del lavoro; misure per promuovere un migliore equilibrio tra vita professionale e familiare per tutti; misure per rafforzare la governance tramite l’integrazione di genere.
Già dal 1° gennaio 2007, inoltre, dovrebbe essere operativo, secondo le intenzioni della Commissione, il nuovo Istituto europeo per l’uguaglianza di genere, concepito quale centro di eccellenza per le questioni di uguaglianza tra i sessi e previsto da una proposta di decisione presentata dalla Commissione l’8 marzo 2005 (COM(2005) 81).
Nel corso della XIV legislatura (così come nella precedente), numerosi interventi hanno in vario modo interessato le forze di polizia.
A inizio legislatura, il D.Lgs. 477/2001[157] ha apportato alcune modifiche alle riforme del 2000-2001 in materia di personale direttivo e dirigente della Polizia di Stato.
Varie disposizioni, annualmente recate dalle leggi finanziarie, hanno previsto stanziamenti per le forze di polizia con finalità diverse, principalmente riconducibili all’armonizzazione o alla valorizzazione dei trattamenti economici di determinate categorie di personale, ovvero all’incremento degli organici – anche in deroga al blocco delle assunzioni disposto in via generale per le amministrazioni pubbliche – motivato da specifiche esigenze di sicurezza pubblica, quali l’attuazione della legislazione su immigrazione e asilo, il contrasto del crimine organizzato e del terrorismo, lo sviluppo delle attività di controllo del territorio secondo modelli di polizia di prossimità (c.d. “poliziotto di quartiere”).
Vari decreti-legge hanno introdotto misure analoghe, finalizzate:
§ all’assunzione o al mantenimento in servizio di personale della Polizia di Stato per finalità principalmente connesse all’attuazione della legislazione su immigrazione e asilo, o al contrasto del crimine organizzato e del terrorismo anche internazionale (D.L. 147/2003[158]; D.L. 45/2005[159]; D.L. 253/2003[160]; D.L. 272/2005[161]; D.L. 135/2006[162]);
§ a sanare sperequazioni relative al trattamento economico di categorie omogenee di personale appartenenti alle diverse Forze di polizia (D.L. 238/2004[163]; D.L. 45/2005);
§ all’ammodernamento e al potenziamento dei mezzi delle forze di polizia (D.L. 45/2005).
Con il D.Lgs. 193/2003[164] è stato introdotto il sistema dei parametri stipendiali (in luogo dei previgenti livelli stipendiali) per il personale non dirigente delle Forze di polizia e delle Forze armate.
Ulteriori interventi hanno avuto prevalente finalità ordinamentale, incidendo ad es. sulle modalità di valutazione annuale dei dirigenti (D.L. 238/2004) o sui ruoli dirigenziali medici e tecnici della Polizia di Stato (D.L. 45/2005).
La L. 3/2003[165] ha previsto una delega al Governo (non esercitata) per la revisione delle norme in materia di sanzioni e di procedure disciplinari per il personale dell’Amministrazione di pubblica sicurezza.
Non hanno invece superato la fase dell’esame referente in Commissione le proposte di legge A.C. 2384 (Lucchese ed altri) e A.C. 2462 (Mascia ed altri), recanti un nuovo ordinamento della carriera dei funzionari di pubblica sicurezza; né vi è stato esito legislativo, nonostante l’approvazione dell’Assemblea della Camera (25 gennaio 2006), per il testo unificato delle p.d.l. AA.C. 3437 e abb. (Ascierto ed altri), recante una delega per il complessivo riordino dei ruoli dell’Arma dei carabinieri, della Polizia di Stato, della Guardia di finanza e della Polizia penitenziaria. Sulla base della L. 154/2005[166] è stata invece riordinata la carriera dirigenziale penitenziaria (v. l’area tematica Pubblica amministrazione, pubblico impiego e servizi pubblici).
Il più volte citato D.L. 45/2005, infine, oltre a recare misure concernenti il personale delle Forze di polizia a ordinamento civile e militare, e disposizioni di carattere finanziario volte all’ammodernamento e al potenziamento dei mezzi delle Forze di polizia, ha operato una revisione organizzativa del Dipartimento della pubblica sicurezza, finalizzata a un miglior coordinamento delle forze di polizia (con l’istituzione della Direzione centrale anticrimine della Polizia di Stato).
Nel quadro delle misure legislative volte a garantire l’ordine e la sicurezza pubblica di fronte alle minacce del terrorismo internazionale – misure il più delle volte a carattere penalistico o processuale (per le quali si rinvia all’area tematica Diritto e giustizia), particolare rilievo assumono quelle, di varia natura, raccolte nel D.L. 144/2005[167], adottato dopo gli attentati di Londra del luglio 2005 e convertito in legge dalle due Camere in tempi estremamente rapidi. Tra le molte misure introdotte con il decreto-legge si possono ricordare:
§ l’introduzione di nuovi strumenti di indagine o l’ampliamento di quelli esistenti (come ad es., l’estensione alle indagini anti-terrorismo della facoltà di tenere i c.d. colloqui investigativi, già previsti dall’ordinamento penitenziario in relazione ai soli delitti di criminalità organizzata; la possibilità di autorizzare il SISMI e il SISDE ad effettuare le intercettazioni e i controlli preventivi sulle comunicazioni; la costituzione, ad opera del ministro dell’interno, di apposite unità investigative interforze, “per le esigenze connesse alle indagini di polizia giudiziaria conseguenti ai delitti di terrorismo di rilevante gravità”; l’introduzione di nuove disposizioni in materia di documentazione dei dati di traffico telefonico e telematico;
§ l’introduzione di misure premiali (come il “permesso di soggiorno a fini investigativi” o, al contrario, restrittive (come la nuova la nuova fattispecie di espulsione per motivi di prevenzione del terrorismo) specificamente rivolte ai cittadini stranieri;
§ la previsione o l’aggravamento degli strumenti di autorizzazione o vigilanza e controllo su determinate attività economiche (ad es., è assoggettata a licenza di polizia l’apertura di esercizi pubblici di telefonia e Internet; sono definite le competenze in materia di servizi di protezione informatica delle infrastrutture critiche informatizzate di interesse nazionale; è integrata con varie disposizioni la disciplina vigente sugli esplosivi; è modificata in senso per certi versi restrittivo la disciplina amministrativa delle attività di volo);
§ sono introdotte nuove norme penali o processuali di vario genere (è ad es. novellata la disciplina dell’identificazione dell’indagato, prevedendo tra l’altro a fini identificativi la possibilità del prelievo coattivo di capelli o saliva; è imposta la verifica dei procedimenti giudiziari a carico dell’indagato o dell’imputato; è ampliato l’ambito di applicazione dell’arresto obbligatorio in flagranza per i reati di terrorismo, ed è integrato l’elenco dei reati per i quali l’arresto in flagranza è facoltativo; è modificato in alcuni punti il regime delle misure di prevenzione; sono introdotte due nuove fattispecie delittuose: l’arruolamento con finalità di terrorismo anche internazionale e l’addestramento ad attività con finalità di terrorismo anche internazionale; è introdotta la definizione delle “condotte con finalità di terrorismo”;
§ sono introdotte misure di varia natura volte a ridurre gli “oneri amministrativi impropri” a carico della polizia giudiziaria, per meglio destinare le risorse disponibili agli impegni primari di pubblica sicurezza.
Con il precedente D.L. 83/2002[168] si è mirato a rafforzare le misure di protezione delle personalità ritenute a rischio, prevedendo l’istituzione nell’ambito del Dipartimento della pubblica sicurezza del Ministero dell’Interno di un apposito Ufficio centrale interforze per la sicurezza personale (UCIS), al quale è affidato il compito di assicurare l’adozione di misure di protezione e di vigilanza[169].
Vari interventi di diversa portata hanno inciso, nel corso della XIV legislatura, sul quadro legislativo concernente le provvidenze per le vittime del terrorismo e della criminalità organizzata e per le vittime del dovere, caratterizzato dallo stratificarsi di numerosi provvedimenti a partire dalla fine degli anni ‘70.
L’intervento più ampio è costituito dalla L. 206/2004[170], rivolta alle vittime del terrorismo, che ha, tra l’altro, innalzato l’entità massima sia della speciale elargizione sia dell’assegno vitalizio previsti in favore delle vittime o dei loro familiari, ed ha ridisciplinato o introdotto ex novo altri benefici, quali l’assistenza psicologica a carico dello Stato, il diritto al patrocinio legale gratuito, alcuni benefici pensionistici.
Svariate altre disposizioni hanno provveduto ad estendere l’ambito di applicazione della disciplina o di sue parti ad altre categorie di soggetti, quali ad es. i familiari delle vittime civili italiane degli attentati terroristici di Nassiriya e di Istanbul del 2003 (D.L. 337/2003[171]), le vittime del dovere (art. 1, co. 562-565, della legge finanziaria 2006), o le vittimedella strage di Kindu in Congo, avvenuta l’11 novembre 1961 (L. 91/2006). L’art. 1, co. 272, della legge finanziaria 2006 ha invece disposto una specifica indennità a favore degli eredi delle vittime del disastro aereo di Ustica del 27 giugno 1980.
La legge di semplificazione 2005 ha infine (art. 3) disposto una delega al Governo per il riassetto delle disposizioni che disciplinano le provvidenze per le vittime del dovere, del servizio, del terrorismo, della criminalità organizzata e di ordigni bellici in tempo di pace, da attuare con l’emanazione di uno o più decreti legislativi entro il dicembre 2006.
Il tema della riforma dei servizi di informazione è oggetto del dibattito politico da molto tempo: in tutte le ultime legislature si sono susseguite le proposte di modifica della disciplina in materia. Nella XIV legislatura, il Governo ha assunto l’iniziativa della riforma nella primavera del 2002. La proposta governativa (A.S. 1513) trae origine dalle linee guida approvate qualche mese prima dal Comitato interministeriale per l’informazione e la sicurezza e condivise dal Comitato parlamentare di controllo.
Il Senato ha approvato, con modifiche, il disegno di legge governativo e lo ha trasmesso alla Camera, ove l’esame in sede referente presso la I Commissione (A.C. 3951), unitamente a dieci proposte di legge di iniziativa parlamentare, è iniziato ma non si è concluso prima della fine della legislatura.
Il testo approvato dal Senato apporta rilevanti modifiche alla L. 801/1977, che disciplina attualmente la materia (oltre che a vari articoli del codice di procedura penale che disciplinano il segreto di Stato). In particolare:
§ ridefinisce attribuzioni e composizione degli organismi operanti nel settore (Comitato interministeriale per le informazioni e la sicurezza; Comitato esecutivo per i Servizi di informazione e sicurezza; Ufficio centrale per la sicurezza; Comitato parlamentare di controllo) e prevede forme di coordinamento tra SISMI e SISDE;
§ disciplina il reclutamento nei Servizi di personale esterno alle amministrazioni statali;
§ prevede e regola l’acquisizione di informazioni da parte dei Servizi presso le pubbliche amministrazioni e gli enti erogatori di servizi pubblici, e consente che il Presidente del Consiglio ottenga dall’autorità giudiziaria copie di atti e informazioni su procedimenti penali, in deroga all’obbligo del segreto;
§ prevede una causa di giustificazione speciale per il personale dei Servizi che ponga in essere condotte costituenti reato che, a determinate condizioni, siano state autorizzate in quanto indispensabili per il raggiungimento delle finalità istituzionali, e disciplina il ricorso a identità false e lo svolgimento di attività economiche di copertura;
§ ridisegna interamente la materia del segreto di Stato;
§ inasprisce talune sanzioni penali per reati commessi in danno degli archivi dei Servizi o al fine di procurarsi informazioni coperte da segreto di Stato.
Il 25 luglio 2003 il Governo ha presentato alla Camera un disegno di legge (A.C. 4209) recante una disciplina organica delle attività di sicurezza esperibili da soggetti privati (vigilanza privata, investigazioni private, ricerca e raccolta di informazioni, recupero stragiudiziale di crediti per conto terzi, trasporto e scorta valori, servizi di custodia e di sicurezza secondaria), attività complessivamente definite di “sicurezza sussidiaria”. Licenziato per l’Assemblea dalla I Commissione in un testo unificato con altre dieci proposte di legge di iniziativa parlamentare, il provvedimento non concludeva l’esame in Assemblea per la fine della legislatura.
Il testo unificato disciplina in via generale le attività menzionate, il cui esercizio resta condizionato al rilascio di un’autorizzazione di polizia, subordinata al possesso di specifici requisiti e, di norma, all’approvazione di un progetto organizzativo e tecnico-operativo presentato dal richiedente. Per le imprese stabilite in altro Stato membro dell’Unione europea, in cui prestino legalmente servizi di sicurezza sussidiaria, si prevede, a determinate condizioni, che l’autorizzazione sia sostituita da una dichiarazione di inizio di attività[172].
Il testo reca inoltre specifiche disposizioni sugli istituti di vigilanza e di sicurezza e sulle guardie giurate, sui servizi di trasporto valori e di scorta valori, sui servizi di custodia e sugli altri servizi di sicurezza secondaria, sulle attività di investigazione e ricerca e sulle attività di recupero crediti.
La Commissione Affari costituzionali della Camera ha discusso, nel corso di un iter in sede referente che ha percorso quasi l’intera legislatura, 17 progetti di legge concernenti l’ordinamento della polizia locale (AA.C. 2 e abb.).
La complessità dell’esame parlamentare è stata in parte determinata dall’esigenza di individuare quali ambiti di competenza legislativa statale siano residuati in materia dopo la riforma del Titolo V della Parte II della Costituzione, alla luce della quale la “polizia amministrativa locale” è da intendersi ricompresa tra le materie di piena competenza regionale.
Il testo unificato licenziato per l’Assemblea lo scorso 1° febbraio non reca una riforma organica, ma include espressamente la polizia locale nel novero delle forze di polizia, estende ai relativi esponenti la qualifica di ufficiali e agenti di polizia giudiziaria, reca norme in materia di dotazione e porto delle armi e introduce un’area di contrattazione collettiva per il relativo personale.
Tra le attività non legislative svolte dalle Camere nel corso della legislatura, vanno infine ricordate, anche per il rilievo di volta in volta assunto nel dibattito tra le forze politiche:
§ l’indagine conoscitiva sui disordini verificatisi a Genova tra il 19 e il 22 luglio 2001, nel corso del Vertice degli otto maggiori Paesi industrializzati (G8), e sul comportamento dei manifestanti e delle forze dell’ordine. A seguito delle intese intercorse tra i Presidenti delle due Camere, l’indagine è stata condotta da un comitato paritetico composto da membri delle Commissioni affari costituzionali della Camera e del Senato. I lavori del Comitato sono iniziati il 7 agosto 2001 e sono proseguiti, con lo svolgimento di numerose audizioni, sino al 7 settembre 2001. Il 14 settembre il Comitato ha formulato una proposta di documento conclusivo, che è stato discusso separatamente dalle due Commissioni. Alla Camera, il documento conclusivo della maggioranza è stato approvato il 20 settembre 2001, risultandone preclusione le due proposte alternative presentate da esponenti dell’opposizione. Anche presso la 1ª Commissione del Senato, che ha approvato il documento conclusivo in pari data, era stata presentata una proposta alternativa sottoscritta da rappresentanti dell’opposizione[173];
§ La Commissione di inchiesta “Mitrokhin”, istituita dalla L. 90/2002[174], con il compito di accertare la veridicità delle informazioni contenute nel cosiddetto dossier Mitrokhin sull’attività spionistica svolta dal KGB nel territorio nazionale e le eventuali implicazioni e responsabilità di natura politica o amministrativa. Il termine per la conclusione dei lavori, inizialmente fissato al 16 luglio 2003, è stato prorogato dalla L. 232/2003[175] sino al termine della legislatura. Una proposta di relazione conclusiva, predisposta dal Presidente, non è stata messa ai voti a causa del mancanza del numero legale nell’ultima seduta della Commissione (15 marzo 2006).
La Commissioni I (Affari costituzionali) e II (Giustizia) della Camera hanno approvato in sede referente una proposta di legge per l’istituzione di una Commissione di inchiesta sui rapporti illeciti tra economia, politica e giustizia (AA.C. 1427-A e abb.), il cui esame però si è arrestato alla fase della discussione generale in Assemblea (24 marzo 2004).
Sono state inoltre ricostituite, per la durata della XIV legislatura, le Commissioni parlamentari di inchiesta sulla mafia (L. 386/2001[176]) e sul ciclo dei rifiuti e sulle attività illecite ad esso connesse (L. 399/2001[177]).
Gli anni 2001-2005 sono stati segnati da una bassa crescita a livello europeo, soprattutto nei paesi dell’Euro, dove il PIL ha registrato una crescita media del 1,4 per cento, a fronte di un incremento medio del 2,8 per cento realizzato negli anni 1997-2001[178]. Negli Stati Uniti il PIL ha avuto invece nel 2001-2005 un tasso medio di crescita del 2,6 per cento.
Le difficile fase congiunturale ha portato ad una crescente difficoltà per i paesi europei di rispettare gli stringenti vincoli imposti dal trattato di Maastricht e dal Patto di stabilità e crescita, soprattutto per quanto concerne il parametro del 3 per cento per il rapporto deficit/PIL (indebitamento netto).
Nel 2005 si è dunque approdati ad una revisione del Patto di stabilità e crescita, che ha introdotto un margine di flessibilità nella valutazione del rispetto dei parametri e un minor rigore per delineare i percorsi di rientro dei Paesi non in linea con i parametri medesimi.
In particolare, sono stati ampliati i casi in cui il superamento del valore del 3% nel rapporto deficit/PIL può essere considerato eccezionale e temporaneo e può quindi (se resta vicino a detto valore) essere giustificato, come nei casi di tasso di crescita negativo o di una diminuzione cumulata della produzione realizzatisi durante un periodo prolungato di crescita molto bassa in relazione alla crescita potenziale.
Nella valutazione sulla situazione di disavanzo eccessivo, devono inoltre essere tenuti presenti una serie di fattori rilevanti, quali:
- gli sviluppi relativi alla posizione economica a medio termine: la crescita potenziale, le condizioni congiunturali prevalenti, l’attuazione delle politiche nel contesto dell’agenda di Lisbona e delle politiche intese a promuovere la ricerca, lo sviluppo e l’innovazione;
- l’evoluzione della posizione di bilancio di medio termine:l’impegno per il risanamento del bilancio nei periodi di congiuntura favorevole, la sostenibilità del debito, gli investimenti pubblici e la qualità complessiva delle finanze pubbliche;
- una serie ulteriore di fattori significativi, con particolare attenzione agli sforzi di bilancio intesi ad aumentare o a mantenere a un livello elevato i contributi finanziari a sostegno della solidarietà internazionale e della realizzazione degli obiettivi delle politiche europee, soprattutto l’unificazione dell’Europa, nonché all’attuazione di riforme delle pensioni che introducono un sistema multipilastro comprendente un pilastro obbligatorio, finanziato a capitalizzazione.
Di particolare rilievo è inoltre la possibilità di aumentare il termine per la correzione dei disavanzi eccessivi (da 1 a 2 anni dalla sua constatazione).
Il periodo 2001-2005 è stato un periodo di scarsa crescita per il nostro Paese, con un livello medio del 0,6 per cento; in due anni (2003 e 2005) si è registrata una crescita nulla. Nel periodo 1997-2001 il tasso medio di incremento del PIL era stato pari al 2,1 per cento; in entrambi i periodi la crescita è risultata inferiore alla media dei paesi dell’euro (di circa 0,7 per cento nel 1997-2001 e di circa 0,8 per cento nel 2001-2005).
Per il 2006 si prevede che il PIL torni a crescere all’1,3 per cento.
L’indebitamento netto della pubblica amministrazione si è attestato, nel periodo 2001-2005 ad un valore medio del 3,4 per cento del PIL, superiore al parametro europeo del 3 per cento. Per il 2006 si prevede che il deficit si attesterà al 3,8 per cento.
Il peggioramento dell’indebitamento netto appare imputabile al progressivo ridimensionamento dell’avanzo primario, che è passato dal 3,2 per cento del PIL nel 2001 allo 0,5 per cento nel 2005. Complessivamente, nel periodo 2001-2005 l’avanzo primario ha registrato un valore medio dell’1,9 per cento del PIL, a fronte di un valore medio del 5,1 nel periodo 1997-2001. Per il 2006 la previsione è dello 0,6 per cento.
La spesa per interessi è invece diminuita dal 6,3 per cento del PIL nel 2001 al 4,6 per cento nel 2005, anche se nell’ultimo anno il trend decrescente ha subito un rallentamento; nel 2005 alla diminuzione degli interessi hanno contribuito in maniera rilevante le operazioni di swap (il cui importo nel 2005 è stato pari a quasi 2,1 miliardi di euro, il doppio dell’importo del 2004).
Il saldo corrente (risparmio pubblico) ha registrato un peggioramento, passando dallo 0,8 per cento del 2001 ad un valore negativo di -0,5 per cento nel 2005, con un picco di -0,8 per cento nel 2003. Sono in particolare diminuite le entrate correnti (dal 44,8% del 2001 al 44% del 2005), a causa della riduzione delle entrate tributarie (dal 28,9% del 2001 al 27,6% del 2005) ed aumentate le uscite correnti al netto degli interessi (dal 37,6% del 2001 al 39,9% del 2005), con un aumento di tutte le principali componenti (redditi da lavoro dipendente, consumi intermedi, prestazioni sociali in denaro).
La pressione fiscale è diminuita dal 41,3 per cento del 2001 al 40,6 per cento del 2005.
Il debito pubblico è diminuito dal 108,7 per cento del 2001 al 106,4 per cento del 2005, ma particolare rilevo assume il fatto che nel 2005 il debito, per la prima volta dal 1996, è tornato a crescere. Il valore del 2005 (106,4%) risulta superiore a quello del 2002 (105,5%).
I richiami da parte dell’Unione europea, sfociati nel luglio del 2005 nella formale apertura della procedura di disavanzo eccessivo, hanno fortemente condizionato la politica economica dell’Italia.
La situazione dei conti pubblici italiani desta particolare preoccupazione in quanto il nostro Paese si segnala per l’abnorme livello del debito pubblico, che nel 2005 si è attestato al 106,4 per cento del PIL, a fronte di una media dei paesi dell’area dell’euro che dovrebbe attestarsi ad un livello di poco superiore al 70 per cento.
Si ricorda comunque che, nonostante la riforma del Patto di stabilità e crescita, si trovano attualmente in una situazione di deficit eccessivo, ben 5 dei 12 paesi dell’area dell’euro - Italia, Francia, Germania, Grecia e Portogallo - oltre al Regno Unito ed a 6 dei nuovi paesi.
La decisione del Consiglio ECOFIN sull’esistenza del disavanzo eccessivo in Italia, adottata nel luglio 2005, è stata basata sui seguenti elementi:
- il rapporto disavanzo/PIL è stato superiore al valore di riferimento del 3 per cento del PIL nel 2003 e 2004. Tale superamento non è stato determinato da un evento inconsueto, non soggetto al controllo delle autorità italiane, né è derivato da una grave recessione economica, ai sensi del patto di stabilità e crescita. Il tasso di crescita economica negli ultimi tre anni è stato positivo sebbene modesto: non si tratta quindi di una situazione eccezionale ai sensi del trattato e del patto di stabilità e crescita. Il superamento del valore di riferimento non può essere considerato temporaneo in quanto il disavanzo, dopo aver superato (seppure non di molto) il valore di riferimento nel 2003 e nel 2004, è destinato a superarlo di ampia misura, anche nel 2005 e nel 2006;
- il rapporto debito/PIL, pari al 106-107% nel 2003 e nel 2004, è nettamente superiore al valore di riferimento (del 60%) e non è sceso ad un ritmo soddisfacente negli ultimi anni, ne’ è destinato a farlo nel prossimo futuro, tenuto conto del livello dell’avanzo primario (inferiore al 2% nel 2004).
Nella connessa raccomandazione, il Consiglio - considerato il progressivo deterioramento delle finanze pubbliche italiane e, in particolare, il ridimensionamento dell’avanzo primario, nonché l’elevato indebitamento e preso atto del fatto che uno sforzo troppo ampio in un periodo troppo breve avrebbe potuto rivelarsi economicamente costoso, a causa della debolezza del ciclo - ha raccomandato all’Italia di:
- attuare con rigore il bilancio 2005, in particolare mediante la riduzione delle misure una tantum dall’1,4% allo 0,4% del PIL, al fine di arrivare ad un deficit del 2005 pari al massimo al 4,3 per cento del PIL;
- prendere le misure necessarie per riportare il deficit al di sotto del 3%, in modo durevole, entro il 2007. Ipotizzando una crescita del PIL dell’1,5% nel 2006 e nel 2007, il Consiglio raccomanda una riduzione cumulativa del disavanzo strutturale di almeno l’1,6% del PIL nel periodo 2006-2007, di cui la metà da conseguire nel 2006; in tal modo deficit scenderebbe al di sotto del 4 per cento nel 2006 e del 3 per cento nel 2007;
- assicurare che il rapporto debito/PIL si riduca ad un ritmo soddisfacente, conseguendo un avanzo primario di livello adeguato e prestando particolare attenzione anche ai fattori diversi dal disavanzo netto, come le operazioni registrate “sotto la linea” (vale a dire operazioni che non incidono sull’indebitamento netto ma soltanto sul debito);
- conseguire ulteriori progressi nella raccolta e nel trattamento delle statistiche delle amministrazioni pubbliche;
- proseguire il risanamento delle finanze pubbliche negli anni successivi al 2007 per poter raggiungere una posizione di bilancio prossima al pareggio o positiva. In particolare, in linea con la nuova disciplina del Patto di stabilità e crescita (vedi par. successivo), il Consiglio raccomanda alle autorità italiane una riduzione del deficit, in termini corretti per il ciclo, al netto delle misure temporanee e una tantum, pari allo 0,5% del PIL.
Il 14 marzo 2006, il Consiglio ECOFIN ha ritenuto non necessario procedere alle fasi successive della procedura per i disavanzi eccessivi, ritenendo che le misura adottate dall’Italia con la manovra di finanza pubblica per il 2006 consentiranno, purché attuate appieno e efficacemente, di assicurare progressi adeguati nel 2006 verso la correzione del disavanzo eccessivo. Il Consiglio ha inoltre ritenuto che la correzione del disavanzo eccessivo entro il 2007 dipenda in maniera determinante dall’efficace esecuzione del bilancio 2006 e dall’individuazione e dall’attuazione di ulteriori e sostanziali misure correttive nel 2007. L’Italia resta pertanto sotto il costante controllo del Consiglio e della Commissione.
L’attestarsi dei dati relativi alla crescita costantemente al di sotto delle previsioni, unitamente ad altre difficoltà connesse all’attuazione di alcune misure contenute nelle manovre annuali di finanza pubblica, ha costretto spesso il Governo all’adozione di manovre correttive in corso d’anno, anche a seguito degli interventi degli organi dell’Unione europea.
Nel 2002 diversi interventi correttivi sui conti pubblici sono stati effettuati con una serie di decreti-legge che si sono susseguiti da luglio fino agli ultimi giorni dell’anno. Fra di essi ha assunto particolare rilievo il cd. decreto-legge “tagliaspese” (decreto-legge n. 194/2002, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 246 del 2002), che, oltre a significative modificazioni della disciplina contabile, ha disposto limitazioni all’assunzione di impegni di spesa e l’emissione di titoli di pagamento sulla generalità degli stanziamenti di bilancio non obbligatori e la riduzione delle spese di funzionamento degli enti e organismi pubblici non territoriali.
Nel 2004, a seguito del profilarsi a livello europeo dell’adozione di una raccomandazione di allarme preventivo (cd. early-warning) volta ad indurre l’Italia ad assumere le misure necessarie a garantire il mantenimento di un deficit inferiore al 3 per cento del PIL, il Governo ha adottato una manovra di correzione dei conti pubblici, con il decreto-legge 12 luglio 2004, n. 168, con un effetto stimato pari a circa lo 0,4 per cento del PIL (5,5 miliardi di euro).
Nel 2005, conseguentemente all’apertura della procedura di disavanzoeccessivo, il Governo ha adottato una manovra correttiva con il decreto-legge n. 211, il cui contenuto è confluito nel decreto-legge collegato alla manovra di finanza pubblica per il 2006 (decreto-legge n. 203/2005). L’intervento correttivo sui conti pubblici è stato stimato dal Governo, pari a circa 2,68 miliardi di euro, corrispondenti a quasi 0,2 punti percentuali di PIL.
Il processo di privatizzazione è stato oggetto di diverse iniziative nel corso della XIV legislatura.
In primo luogo, si è proceduto alla trasformazione in società per azioni, realizzata direttamente mediante specifiche disposizioni di legge, di importanti enti pubblici, quali l’ANAS, la Cassa depositi e prestiti, l’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato e la SACE (Servizi Assicurativi del Commercio Estero).
La trasformazione dell’ANAS in società per azioni è stata disposta all’articolo 7 del decreto legge 8 luglio 2002, n. 138 (convertito, con modificazioni, dalla legge n. 178 del 2002).
All’ANAS Spa sono attribuiti, a titolo di concessione, i compiti fino a quel momento attribuiti alla stessa ANAS in via diretta.
Le azioni della società sono inalienabili e attribuite al Ministro dell’economia e delle finanze, il quale esercita i diritti dell’azionista d’intesa con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, secondo le direttive del Presidente del Consiglio dei Ministri.
La trasformazione della Cassa depositi e prestiti in società per azioni è stata disposta dal decreto-legge collegato alla manovra di finanza pubblica per il 2004 (decreto-legge n. 269/2003, convertito con modificazioni, dalla legge n. 326/2003: art. 5). Il capitale azionario della nuova società è per il 70 per cento di proprietà del Ministero dell’economia e finanze e per il 30 per cento di proprietà di un gruppo di fondazioni bancarie, in ottemperanza alla previsione che permette ad altri soggetti pubblici o privati di detenere quote di capitale, purché nel complesso tali quote rimangano di minoranza.
L’attività della società per azioni è strutturata su due aree distinte, che comportano anche una separazione organizzativa e contabile.
La prima area, organizzata come gestione separata, prosegue l’attività tradizionale della Cassa depositi e prestiti. Essa cura la concessione di finanziamenti agli enti pubblici e agli organismi di diritto pubblico, utilizzando, come provvista, il risparmio postale garantito dallo Stato e i fondi provenienti da emissioni di titoli e altre operazioni di raccolta, che possono essere assistiti dalla garanzia dello Stato. La gestione separata mantiene una disciplina speciale, in virtù della quale spettano al Ministro dell’economia e delle finanze poteri di indirizzo e di definizione dei criteri di svolgimento dell’attività.
La seconda area (gestione ordinaria) ha per compito la concessione di finanziamenti relativi alle reti e agli impianti destinati alla fornitura dei servizi pubblici ed alle bonifiche. Questi finanziamenti sono concessi a valere sui fondi provenienti da emissioni di titoli e operazioni di raccolta non assistite dalla garanzia dello Stato.
E’ inoltre prevista la possibilità di trasferire a titolo oneroso alla Cassa depositi e prestiti partecipazioni societarie dello Stato, anche indirette, che sono assegnate alla gestione separata.Attualmente, la Cassa depositi e prestiti detienepartecipazioni in ENEL S.p.A. (10,2%), ENI S.p.A. (10%);di Poste Italiane S.p.A. (35%) e Terna S.p.A. (30%).
Al tempo stesso, nel corso della XIV legislatura, la preferenza per la forma giuridica della società per azioni, anche al fine dello svolgimento di attività di interesse pubblico, ha trovato conferma nell’adozione di disposizioni di legge che autorizzano soggetti pubblici, in particolare ministeri, a costituire società per azioni, le quali pertanto, almeno in fase iniziale, sono interamente possedute dallo Stato o dagli enti pubblici che le hanno costituite. Gli esempi più rilevanti di questa tendenza sono rappresentati dalle società Patrimonio dello Stato S.p.A. e Infrastrutture S.p.A., istituite in base alle disposizioni del decreto-legge 15 aprile 2002, n. 63, e rispettivamente incaricate di operare nel settore della valorizzazione, gestione e alienazione del patrimonio dello Stato e nel settore del finanziamento delle infrastrutture. Si ricorda peraltro che la legge finanziaria per il 2006 (legge 23 dicembre 2005, n. 266: art. 1, commi 79-83), ha disposto la fusione per incorporazione della società Infrastrutture S.p.A. nella Cassa Depositi e Prestiti S.p.A.
Particolare rilievo ha assunto anche la riforma della cd. golden share, l’istituto che consente di prevedere nello statuto delle società oggetto di privatizzazione poteri speciali che il Governo può esercitare anche dopo la cessione del controllo.
La legge finanziaria per il 2004 (legge n. 350/2003: art. 4, commi 227-231) ha operato una generale revisione della suddetta disciplina, al fine di limitare la portata dei poteri speciali, anche in considerazione dei rilievi formulati dalla Commissione europea in merito alla necessità di una compatibilità della normativa con i princìpi dell’ordinamento comunitario relativi alla libertà di stabilimento e alla libertà di movimento dei capitali.
Le innovazioni recate dalla legge finanziaria per il 2004 interessano i seguenti profili:
a) la previsione che l’esercizio dei poteri speciali possa avvenire solo nel caso in cui l’operazione rechi pregiudizio agli interessi vitali dello Stato, con il rinvio ad un apposito decreto del Presidente del Consiglio dei ministri per la definizione dei criteri con i quali i poteri medesimi dovranno essere esercitati [179];
b) la previsione che l’esercizio dei poteri speciali debba essere adeguatamente motivato, in relazione al concreto pregiudizio che possa derivare per interessi vitali dello Stato;
c) la sostituzione del potere di opposizione al potere di gradimento preventivo nei confronti di rilevanti modifiche degli assetti proprietari (assunzioni di partecipazioni rilevanti e patti parasociali);
d) la limitazione dei poteri di nomina ad un solo amministratore, privo del diritto di voto.
Connessa alla normativa dei poteri speciali, appare inoltre la disciplina recata dalla legge finanziaria per il 2006, (legge n. 266/2005: art. 1, commi 381-384), la quale permette che gli statuti delle società nelle quali lo Stato detenga una partecipazione rilevante possano prevedere l’emissione di strumenti che attribuiscano all’assemblea speciale dei loro titolari il diritto di richiedere, a favore di questi ultimi, l’emissione di nuove azioni, anche al valore nominale, o di nuovi strumenti finanziari partecipativi muniti di diritti di voto nell’assemblea ordinaria e straordinaria (cd. poison pill[180]).
Sono inoltre proseguite le operazioni di dismissione della partecipazioni dello Stato, con un’accelerazione a decorrere dal 2003.
Mentre nel 2002 sono state effettuate operazioni di privatizzazione che hanno portato ad un ricavo pari a circa 1,5 miliardi di euro, nel 2003 gli introiti sono stati pari a circa 16,6 miliardi di euro, nel 2004 a circa 7,5 miliardi di euro e nel 2005 a 4,1 miliardi di euro.
Ulteriori specifici interventi in materia di disciplina delle privatizzazioni sono stati adottati nell’ambito delle manovre annuali di finanza pubblica. Si ricorda, in particolare che, la legge finanziaria per il 2003 ha definito i criteri per la determinazione del prezzo dei titoli da alienare e che la legge finanziaria per il 2004 ha affidato al Governo la scelta delle procedure di vendita delle partecipazioni e ha modificato la procedura di dismissione delle partecipazioni di controllo di società operanti nei servizi di pubblica utilità.
Nel corso della XIV legislatura è proseguito il processo di dismissione e valorizzazione degli immobili dello Stato e degli enti pubblici avviato durante la XIII legislatura.
Un importante strumento utilizzato per realizzare le dismissioni immobiliari è la cartolarizzazione, introdotta dagli articoli 1-3 del D.L. 23 settembre 2001, n. 351, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 novembre 2001, n. 410. Mediante la cartolarizzazione, attività non agevolmente negoziabili, quali gli immobili di proprietà pubblica, sono convertite in strumenti finanziari più facilmente collocabili sui mercati.
In particolare, gli immobili sono trasferiti ad una o più società (c.d. società veicolo), appositamente costituite, che ne finanziano l’acquisto attraverso l’emissione di titoli o mediante finanziamenti acquisiti da terzi. La società veicolo versa agli enti che hanno ceduto gli immobili, a titolo di prezzo iniziale, l’importo raccolto attraverso tali operazioni. Essa gestisce gli immobili e li rivende sul mercato. I flussi derivanti dalla gestione e dalla vendita degli immobili sono utilizzati per il rimborso del debito e dei relativi oneri accessori. L’eventuale residuo è retrocesso come prezzo differito all’originario titolare del diritto di proprietà. Per la rivendita degli immobili oggetto di cartolarizzazione, il legislatore ha privilegiato l’acquisto da parte dei conduttori, ai quali sono state riconosciute apposite agevolazioni.
Sinora sono state realizzate due operazioni di cartolarizzazione denominate SCIP1 e SCIP2, relative essenzialmente agli immobili degli enti previdenziali.
L’operazione SCIP1 è stata avviata nel dicembre 2001 con la cessione di 27.250 unità ad uso residenziale e di 262 immobili ad uso commerciale, per un valore lordo complessivo di 3.830 milioni di euro.
Gli incassi delle rivendite degli immobili sul mercato da parte di SCIP1 ammontano a 2.365 milioni di euro per l’anno 2002 e a 1.009 milioni di euro per l’anno 2003. Nel corso dell’anno 2004 si è registrato un incasso di 345 milioni di euro, mentre nel primo semestre del 2005 sono stati incassati 48 milioni di euro. Al 31 ottobre 2005 risultavano invenduti 1.283 immobili residenziali (corrispondenti al 4,7 per cento del portafoglio originario)[181]. Il ricavato delle vendite degli immobili ha permesso a SCIP di rimborsare interamente i titoli emessi per il pagamento del prezzo iniziale agli originari proprietari dei beni.
L’operazione SCIP2 è stata avviata nel dicembre 2002 con la cessione di 53.241 unità ad uso residenziale e di 9.639 unità immobiliari ad uso commerciale, per un valore lordo complessivo pari a 7.790 milioni di euro. A fronte della cessione degli immobili, SCIP ha corrisposto ai soggetti cedenti, al netto delle spese, il ricavo di cinque emissioni di titoli per un ammontare complessivo di 6.637 milioni di euro. I problemi incontrati dall’operazione[182] hanno causato un rallentamento delle vendite che ha reso necessaria la ristrutturazione del debito di SCIP2, effettuata nel mese di aprile 2005 mediante l’emissione di tre nuove serie di titoli per un ammontare complessivo di 4.600 milioni di euro.
La Corte del conti (Relazione n. 4/2006/G dell’11 aprile 2006 concernente l’indagine sui risultati delle cartolarizzazioni), rielaborando i dati pubblicati dal Ministero dell’economia e delle finanze nel proprio sito internet, ha concluso che le vendite effettuate sino al 31 marzo 2005 nell’ambito dell’operazione SCIP2 avrebbero comportato incassi per complessivi 1.553 milioni di euro.
Una terza operazione di cartolarizzazione (SCIP3), avente ad oggetto immobili del Ministero della difesa, non più utili ai fini istituzionali, è stata avviata ai sensi dell’articolo 1, comma 443, della legge 30 dicembre 2004, n. 311 (legge finanziaria per il 2005). Finora si è proceduto esclusivamente all’individuazione dei beni immobili da dismettere (D.M. 28 febbraio 2005 pubblicato sulla G.U. 20 giugno 2005, n. 141).
Un altro strumento utilizzato nella XIV legislatura è la costituzione di fondi comuni d’investimento immobiliare. L’articolo 4 dello stesso D.L. n. 351 del 2001[183] ha autorizzato la costituzione di questo tipo di fondi, ai quali vengono trasferiti o conferiti, dietro pagamento di un corrispettivo ai precedenti proprietari, beni immobili, ad uso diverso da quello residenziale, dello Stato e di altri enti pubblici. Tali immobili sono concessi in locazione all’Agenzia del demanio, la quale li assegna ai soggetti che li avevano precedentemente in uso; gli utilizzatori pagano un canone all’Agenzia del demanio, la quale, a sua volta, lo riversa al fondo. Le quote del fondo sono collocate sul mercato.
In attuazione del citato articolo 4 del D.L. n. 351 del 2001 sono stati costituiti due fondi immobiliari: Fondo immobili pubblici (FIP) e Patrimonio Uno.
Al FIP, costituito nel corso dell’anno 2004 e gestito dalla società Investire Immobiliare Sgr, è stata trasferita la proprietà di alcuni immobili appositamente individuati, appartenenti fra gli altri a INPS, INPDAP e INAIL, per un valore complessivo di 2.987 milioni di euro. Successivamente gli stessi immobili sono stati concessi in locazione all’Agenzia del demanio, la quale li ha assegnati ai soggetti che li avevano precedentemente in uso. Le quote del fondo sono state infine collocate presso investitori qualificati nel luglio del 2005.
Il fondo Patrimonio Uno, la cui costituzione (2004) è stata promossa dalla società Patrimonio dello Stato Spa, è stato reso operativo alla fine dell’anno 2005 ed è gestito da BNL Fondi Immobiliari SGR S.p.a.. A differenza del FIP, nel fondo Patrimonio Uno sono presenti anche immobili non utilizzati direttamente dai precedenti proprietari, ma locati a terzi. Il collocamento delle quote del fondo è avvenuto nel mese di aprile 2006 con un incasso di 128 milioni di euro.
Si ricorda infine che l’articolo 7 del D.L. 15 aprile 2002, n. 63, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 giugno 2002, n. 112, ha disposto l’istituzione della società Patrimonio dello Stato Spa, avente lo scopo di valorizzare, gestire e alienare, anche mediante operazioni di cartolarizzazione, il patrimonio dello Stato, nonché, secondo quanto stabilito dallo statuto della società, i beni di altri soggetti pubblici. Alla società possono essere trasferiti diritti su beni immobili facenti parte del patrimonio disponibile e indisponibile e del demanio dello Stato, su altri beni compresi nel conto generale del patrimonio dello Stato e ogni altro diritto costituito a favore dello Stato. Il capitale di tale società è detenuto dal Ministero dell’economia e delle finanze.
Nel corso dell’anno 2004[184] alla società sono stati trasferiti 11 immobili (strutture carcerarie e istituti di pena) per un valore complessivo di circa 21 milioni di euro.
Si veda il paragrafo Prospettive finanziarie e risorse proprie dell’Unione europea 2007-2013 riportato nell’area tematica Bilancio dello Stato.
Gli obiettivi
Il Consiglio europeo di Lisbona del marzo 2000 ha definito una serie di azioni volte a far sì che entro il 2010 l’Unione europea consegua l’obiettivo di diventare l’economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo, in grado di realizzare una crescita economica sostenibile con nuovi e migliori posti di lavoro e una maggiore coesione sociale.
Gli obiettivi della strategia - rilanciati nella revisione intermedia della primavera 2005, che ha riorientato le priorità verso la crescita e l’occupazione - consistono in:
§ migliorare le politiche in materia di società dell’informazione e di ricerca e sviluppo tecnologico;
§ modernizzare il modello sociale europeo;
§ promuovere un contesto economico sano e prospettive di crescita favorevoli applicando un’adeguata combinazione di politiche macroeconomiche;
§ integrare pienamente la dimensione ambientale nelle politiche per lo sviluppo.
Il Consiglio europeo di Lisbona, inoltre, ha previsto che il Consiglio europeo si riunisca ogni primavera, sulla base di una relazione annuale della Commissione, per valutare lo stato di attuazione della strategia.
Con la revisione intermedia si è inteso anche coinvolgere tutte le forze interessate (Parlamenti, autorità locali, parti sociali e società civile) nella migliore realizzazione della strategia, che è stata orientata in un ciclo triennale.
La Commissione ha presentato le linee direttrici integrate per la crescita e l’occupazione per il periodo 2005-2008, approvate dal Consiglio europeo di giugno 2005.
Sulla base delle linee direttrici, gli Stati membri hanno definito programmi di riforma nazionali, che sono stati oggetto di consultazione con le parti interessate e successivamente esaminati dalla Commissione europea.
Come complemento dei programmi nazionali di riforma, a luglio 2005 la Commissione ha presentato una comunicazione sul programma comunitario di Lisbona 2005-2008 relativo alle azioni da intraprendere a livello comunitario a favore della crescita e dell’occupazione.
Il Consiglio europeo di primavera 2006
Il Consiglio europeo di primavera del 23 e 24 marzo 2006, accogliendo favorevolmente la relazione annuale presentata dalla Commissione sui progressi nell’attuazione della strategia di Lisbona rinnovata, ha convenuto quanto segue:
§ definizione di settori specifici per azioni prioritarie da attuare entro la fine del 2007:
- aumentare gli investimenti nella ricerca e nell’innovazione;
- liberare il potenziale delle imprese, in particolare delle piccole e medie imprese;
- accrescere le opportunità di lavoro per le categorie prioritarie (giovani, donne, lavoratori anziani, immigrati legali e minoranze etniche);
§ definizione di una nuova politica energetica per l’Europa
§ misure che devono essere assunte a tutti i livelli per mantenere lo slancio in tutti i pilastri del partenariato per la crescita e l’occupazione.
Il 14 luglio 2004 la Commissione ha presentato un pacchetto di cinque proposte relative al rinnovo del quadro legislativo per la riforma della politica di coesione nel periodo di programmazione 2007-2013:
§ una proposta di regolamento generale recante norme e principi comuni applicabili al Fondo europeo di sviluppo regionale, al Fondo sociale e al Fondo di coesione (COM(2004)492, procedura di parere conforme);
§ una proposta di regolamento sul Fondo europeo di sviluppo regionale (FEDER) (COM(2004)495, procedura di codecisione);
§ una proposta di regolamento sul Fondo sociale europeo (FSE) (COM(2004)493, procedura di codecisione); (a seguto degli emendamenti adottati dal Parlamento europeo il 6 luglio 2005, la Commissione ha presentato una proposta modificata il 17 ottobre 2005 (COM(2005)523):
§ una proposta di regolamentosul Fondo di coesione (COM(2004)494, procedura di consultazione);
§ una proposta di regolamento che istituisce un nuovo strumento giuridico denominato gruppo europeo di cooperazione transfrontaliera (GECT) (COM(2004)496, procedura di codecisione); il 7 marzo 2006 la Commissione ha presentato una proposta modificata (COM(2006)94).
Le proposte prospettano la concentrazione degli interventi strutturali sui seguenti tre nuovi obiettivi:
§ Convergenza. Tale obiettivo riguarderebbe in primo luogo gli Stati membri e le regioni meno sviluppate in cui il PIL per abitante, calcolato in base ai dati dell’ultimo triennio, è inferiore al 75% delle media comunitaria (per l’Italia, a tale titolo, rientrerebbero nell’obiettivo, la Campania, la Puglia, la Calabria e la Sicilia); in secondo luogo e in via transitoria l’obiettivo riguarderà le regioni il cui PIL sarebbe stato inferiore al 75% delle media comunitaria calcolata su 15 Stati membri e non lo è invece nel calcolo su 25 Stati membri (effetto “statistico”): per l’Italia vi rientrerebbe la Basilicata.
§ Competitività e occupazione regionale. Tale obiettivo è volto a rafforzare la competitività in tutte le regioni non ricompresse nell’obiettivo “Convergenza” e nelle regioni che nel 2006 rientrano nell’attuale obiettivo 1 in via transitoria (per l’Italia la Sardegna).
§ Cooperazione territoriale.
Il 6 luglio 2005, il Parlamento europeo ha esaminato in prima lettura il pacchetto di proposte ed ha adottato, sulla proposta di regolamento generale (COM(2004)492), che segue la procedura di parere conforme, una risoluzione interlocutoria con la quale indica alcuni aspetti ed obiettivi di cui tenere conto nella prosecuzione dell’esame.
I profili di carattere finanziario relativi alla riforma della politica di coesione costituiscono un aspetto delicato del negoziato sul quadro finanziario 2007-2013 attualmente in corso (si veda la scheda “Prospettive finanziarie 2007-2013”, riportata alle pagine precedenti in questa stessa area tematica).
Il Parlamento europeo riprenderà l’esame della proposta di regolamento generale e della proposta di regolamento istitutiva del Fondo di coesione il 13 giugno 2006.
Il Consiglio ha esaminato le quattro proposte nella riunione del 14 novembre 2005, raggiungendo un accordo politico parziale, in quanto gli aspetti di bilancio sono stati esclusi in attesa dei risultati delle discussioni sul futuro quadro finanziario comunitario.
Nella XIV legislatura gli interventi legislativi relativi all’assetto ed all’organizzazione dei Ministeri assumono essenzialmente la forma di interventi integrativi e correttivi, di carattere puntuale, della riforma intervenuta nella precedente legislatura in attuazione delle deleghe recate dalla L. 59/1997[185] (ci si riferisce in particolare ai D.Lgs. 300/1999 e 303/1999[186]).
A inizio legislatura il primo e più ampio intervento è dato dal D.L. 217/2001[187], il quale (oltre a modificare la disciplina sui viceministri e sugli incarichi di diretta collaborazione) ricostituisce il Ministero delle comunicazioni e il Ministero della salute (già “della sanità”), che il D.Lgs. 300/1999 aveva accorpato, rispettivamente, nel Ministero delle attività produttive e nel Ministero del lavoro, della sanità e delle politiche sociali.
La successiva L. 137/2002[188] conferisce al Governo varie deleghe legislative, la prima delle quali riguarda tra l’altro la riorganizzazione e l’articolazione delle competenze dei ministeri e della Presidenza del Consiglio (nonché gli enti pubblici nazionali operanti nei settori diversi dall’assistenza e dalla previdenza). Si tratta, nella sostanza, di una riapertura della delega recata dall’art. 11 della “legge Bassanini 1”, della quale sono tenuti fermi i princìpi e criteri direttivi e le modalità di esercizio.
Sulla base della L. 137/2002 è stato adottato il D.Lgs. 287/2002[189], che apporta modifiche alla struttura organizzativa dei ministeri, offrendo a ciascun ministero l’alternativa, quali strutture di primo livello, tra i dipartimenti e le direzioni generali. Nei soli ministeri in cui le strutture di primo livello sono costituite da direzioni generali può essere istituito l’ufficio del Segretario generale. Sono stati inoltre adottati decreti legislativi “correttivi” del D.Lgs. 300/1999 relativi alle seguenti amministrazioni: ambiente, attività produttive, beni culturali, comunicazioni, economia, infrastrutture, interno e lavoro.
Lo svolgersi della legislatura è stato poi scandito dall’adozione dei provvedimenti di rango secondario attuativi del riordino: i regolamenti di organizzazione dei ministeri – ai quali è demandata (ex art. 17, co. 4-bis, L. 400/1988) l’individuazione analitica delle funzioni di dipartimenti e direzioni generali – e i regolamenti che disciplinano gli uffici di diretta collaborazione dei ministri. Nell’attuazione complessiva della disciplina, sembra emergere una tendenziale preferenza per il modello di organizzazione per direzioni generali rispetto a quello per dipartimenti, ed un crescente ruolo attribuito agli uffici di diretta collaborazione.
Nella fase iniziale della XIV legislatura il Ministro per la funzione pubblica pro tempore, Franco Frattini, aveva prospettato[190] l’elaborazione di un testo organico di riforma del sistema delle autorità amministrative indipendenti che (anche sulla base delle risultanze dell’indagine conoscitiva svolta nella XIII legislatura dalla Commissione affari costituzionali della Camera) individuasse alcuni “princìpi di regolazione comune”. Benché tuttavia il dibattito politico sulla questione sia più volte emerso nel corso della legislatura, un disegno di legge di riforma non è mai giunto alla discussione delle Camere.
Nell’ambito della revisione della Parte II della Costituzione, è stato tuttavia introdotto un apposito articolo che offre “copertura costituzionale” all’esistenza ed alle caratteristiche di indipendenza di tali autorità (v. l’area tematica Affari costituzionali e ordinamento della Repubblica).
Modifiche riguardo al ruolo ed alle funzioni di singole autorità indipendenti sono state comunque previste nell’ambito di interventi di riforma di singoli settori: si pensi, in particolare, alla revisione del ruolo della Banca d’Italia e dell’autorità Antitrust nell’ambito della legge per la tutela del risparmio e la disciplina dei mercati finanziari, ed ai nuovi compiti attribuiti alla medesima Autorità antitrust ed all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni dalla legge sui conflitti di interessi e dalla legge di riassetto del sistema radiotelevisivo[191] (v. rispettivamente le aree tematiche Banche, credito, moneta, Affari costituzionali e ordinamento della Repubblica e Informazione e comunicazioni).
L’art. 1, co. 65 ss., della legge finanziaria 2006[192] ha da ultimo apportato modifiche al sistema di finanziamento di alcune autorità amministrative, prevedendo che esso vada in parte a carico del mercato di competenza.
La L. 15/2005[193] e, successivamente, l’art. 3 del D.L. 35/2005[194] hanno apportato rilevanti modificazioni alla disciplina generale dell’attività amministrativa, oggi regolata principalmente dalla L. 241/1990[195].
Fra i tratti essenziali della L. 15/2005 – che ha ripreso in parte le linee di una riforma avviata dalla maggioranza pro tempore nel corso della precedente legislatura – si ricordano il riconoscimento della possibilità per le pubbliche amministrazioni di utilizzare gli strumenti di diritto privato anche nel perseguimento dei propri fini istituzionali; l’obbligo di comunicazione al cittadino dei motivi che ostino all’accoglimento della sua istanza; la compressione dell’area delle invalidità giuridiche degli atti amministrativi mediante l’individuazione di vizi a carattere meramente formale che non comportano la loro caducazione; l’adeguamento della disciplina sulla conferenza di servizi al nuovo assetto costituzionale delle autonomie; la ridefinizione, per alcuni aspetti, delle norme sull’accesso ai documenti amministrativi.
L’art. 3, co. 1, del D.L. 35/2005 (c.d. “decreto-legge sulla competitività”) ha nuovamente novellato l’art. 19 della L. 241/1990, ridisciplinando l’istituto della denuncia di inizio attività (ora denominata dichiarazione di inizio attività) al principale fine di ampliarne l’ambito di applicabilità per semplificare il regime delle autorizzazioni (intese in senso lato) concernenti l’esercizio di attività economiche private. I successivi commi 6-bis–6-decies, recano ulteriori novelle alla L. 241/1990 finalizzate alla semplificazione amministrativa In particolare, viene modificata la disciplina concernente la conclusione del procedimento amministrativo, il silenzio-assenso, l’autocertificazione, la disciplina sanzionatoria, la giurisdizione in materia di accesso ai documenti amministrativi.
Il tema della “società dell’informazione” ha caratterizzato in misura rilevante le politiche legislative nel corso della XIV legislatura.
Sul piano organizzativo, alla nomina di un ministro senza portafoglio per l’innovazione e le tecnologie ha fatto riscontro la creazione di un apposito Dipartimento presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, l’istituzione di un Comitato dei ministri per la Società dell’informazione e la trasformazione della preesistente Autorità per l’informatica nella pubblica amministrazione (AIPA) nel Centro nazionale per l’informatica nella pubblica amministrazione (CNIPA).
Gli obiettivi generali in materia sono stati definiti con le Linee guida del Governo per lo sviluppo della Società dell’informazione nella legislatura (31 maggio 2002). Con specifico riguardo all’uso delle tecnologie informatiche e telematiche da parte delle pubbliche amministrazioni, il ministro per l’innovazione e le tecnologie ha adottato, il 20 dicembre 2001, una direttiva contenente le prime Linee guida in materia di digitalizzazione dell’amministrazione; ulteriori direttive sono seguite con frequenza annuale.
Varie disposizioni, aventi prevalentemente natura finanziaria, destinate a sostenere il processo di sviluppo della Società dell’informazione nella pubblica amministrazione e nel Paese si sono susseguite nelle diverse leggi finanziarie.
Altre disposizioni hanno avuto finalità organizzative ed ordinamentali: tra queste si ricordano i regolamenti concernenti la diffusione della carta nazionale dei servizi (D.P.R. 117/2004[196]) la trasmissione di documenti informatici mediante posta elettronica certificata[197] e l’Indice nazionale delle anagrafi[198], struttura di particolare importanza anche ai fini della realizzazione del progetto della carta d’identità elettronica.
Ma l’intervento legislativo di maggiore ampiezza si è concretizzato nell’adozione del Codice dell’amministrazione digitale (D.Lgs. 82/2005[199]), in attuazione della delega contenuta nell’art. 10 della L. 229/2003[200] (legge di semplificazione 2001; in attuazione della medesima delega è stato adottato il D.Lgs. 42/2005[201], che ha istituito il Sistema pubblico di connettività e la Rete internazionale della pubblica amministrazione). Il Codice ha operato un riassetto sistematico delle disposizioni in materia di attività digitale delle pubbliche amministrazioni, con l’intento di offrire un quadro legislativo adeguato a promuovere e disciplinare la diffusione dell’utilizzo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione non solo nelle pubbliche amministrazioni, ma anche tra cittadini e imprese.
Tra i princìpi generali fissati dal Codice, vanno ricordati il diritto dei cittadini e delle imprese a richiedere ed ottenere l’uso delle tecnologie telematiche nelle comunicazioni con le pubbliche amministrazioni centrali, e il principio secondo cui le pubbliche amministrazioni gestiscono di norma i procedimenti amministrativi utilizzando tecnologie informatiche.
Le due leggi di semplificazione adottate, nel corso della XIV legislatura, in attuazione dell’art. 20 della citata L. 59/1997, pur ponendosi per vari aspetti nel solco del processo di semplificazione e riassetto normativo avviato nella precedente legislatura, per altri profili determinano un nuovo orientamento di tale processo.
L’art. 20 della L. 59/1997 aveva introdotto la legge annuale di semplificazione quale strumento periodico di razionalizzazione dei procedimenti amministrativi. La legge di semplificazione per il 2001 (L. 229/2003) ha, all’art. 1, interamente riscritto l’art. 20, e con ciò ha innovato le metodologie di razionalizzazione normativa sino allora perseguite, spostandone l’asse dalla semplificazione dei procedimenti amministrativi (attraverso la delegificazione delle norme di riferimento), al riassetto normativo ed alla codificazione.
La progressiva codificazione delle materie oggetto di riassetto, da operare mediante decreti legislativi e regolamenti governativi, rappresenta il punto di arrivo dell’opera di riordino normativo, da effettuare secondo i princìpi e criteri generali indicati dalla L. 229/2003 e dalle successive leggi di semplificazione, alcuni tra i quali mirano a “liberalizzare” le attività economiche eliminando per quanto possibile gli interventi amministrativi autorizzatori, riducendo l’ambito delle funzioni amministrative, promuovendo interventi di autoregolazione etc..
La legge di semplificazione per il 2005 (L. 246/2005[202]):
§ modifica nuovamente l’art. 20 della L. 59/1997, integrando il processo di riordino normativo e di semplificazione delle procedure amministrative con ulteriori princìpi e criteri direttivi (art. 1);
§ introduce (art. 2) meccanismi generali di coordinamento delle iniziative volte a migliorare la qualità della normazione a livello statale, regionale e locale;
§ porta a regime l’esperienza, avviata a titolo sperimentale nella XIII legislatura, dell’analisi di impatto della regolamentazione (AIR) disponendone l’applicazione obbligatoria e generalizzata, ed introduce il nuovo strumento della (successiva) verifica di impatto della regolamentazione (VIR) (art. 14, co. 1-11);
§ introduce una particolare procedura volta ad una drastica riduzione e semplificazione del corpus legislativo (c.d. “norma taglialeggi”), che prevede, al termine di un processo di ricognizione delle disposizioni legislative statali vigenti, l’abrogazione generalizzata di tutte le disposizioni legislative statali pubblicate anteriormente al 1° gennaio 1970, con l’eccezione di quelle espressamente elencate dall’articolo e di quelle che siano ritenute indispensabili dal Governo con propri decreti legislativi (art. 14, co. 12-24).
Da ultimo, l’art. 1 del D.L. 4/2006[203] ha previsto l’istituzione di un Comitato interministeriale di indirizzo per le politiche di semplificazione e di qualità della regolazione, che dovrebbe fare da “cabina di regia” per le attività delle diverse amministrazioni statali.
Nel corso della XIV legislatura sono stati pubblicati undici decreti legislativi recanti codici o testi unici, in attuazione di deleghe recate dalle due leggi di semplificazione o da altre leggi[204].
Nella materia del pubblico impiego la XIV legislatura è stata contraddistinta in primo luogo da una serie di interventi diretti alla modifica del testo unico di cui al D.Lgs. 165/2001[205], dettati, in sostanza, dall’esigenza di una razionalizzazione di alcuni aspetti del rapporto di lavoro pubblico, anche al fine del contenimento della spesa relativa al personale delle pubbliche amministrazioni, e dall’esigenza di valorizzazione della professionalità dello stesso personale. Per quanto riguarda quest’ultimo aspetto, l’art. 4 della L. 3/2003[206], introducendo un nuovo articolo 7-bis al D.Lgs. 165/2001, ha stabilito l’obbligo, a carico degli enti ed amministrazioni pubbliche, di predisporre, nell’ambito di attività di gestione delle risorse umane e finanziarie, un piano annuale di formazione del personale, compreso quello in posizione di comando o fuori ruolo, tenente conto sia dei fabbisogni dell’amministrazione sia della programmazione delle assunzioni e delle innovazioni normative e tecnologiche.
Sotto il medesimo profilo va evidenziata, nell’ambito delle disposizioni per il riordino della dirigenza statale (v. infra), l’istituzione, attraverso il nuovo articolo 17-bis del D.Lgs. 165/2001, di un’apposita area contrattuale riservata alla vicedirigenza, la cui disciplina è stata affidata alla contrattazione collettiva del comparto Ministeri. Altre disposizioni, tra cui il nuovo art. 23-bis, tramite l’interscambio tra settore pubblico e privato, sono indirizzate a rendere possibile per il personale pubblico l’acquisizione di esperienze diverse, anche al fine di una gestione più manageriale e meno burocratica degli uffici pubblici.
Per quanto riguarda le misure volte alla razionalizzazione della utilizzazione del personale già dipendente dalle amministrazioni pubbliche, è da evidenziare l’introduzione (ad opera dell’art. 7 della citata L. 3/2003) dell’art. 34-bis nel D.Lgs. 165/2001, avente lo scopo di correggere le inefficienze emerse in relazione all’impianto regolatorio della gestione del personale delle pubbliche amministrazioni in disponibilità.
Un altro filone di intervento, che si è posto in linea di continuità con le precedenti legislature, è stato quello delle misure per il contenimento della spesa per il personale pubblico. Tali misure hanno avuto costantemente come obiettivo principale la limitazione delle assunzioni da parte delle amministrazioni pubbliche. Si consideri tuttavia che, per le amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, le agenzie, gli enti pubblici non economici e le università e gli enti di ricerca, a partire dalla L. 448/2001 (legge finanziaria per il 2002), rispetto alla parte finale della XIII legislatura, si sono andate modificando le modalità con le quali si è cercato di raggiungere questo obiettivo, ritornando al meccanismo del divieto, salvo eccezioni, a nuove assunzioni a tempo indeterminato (c.d. blocco del turn-over), che in sostanza ha determinato un superamento della più flessibile procedura di programmazione triennale delle assunzioni di cui all’art. 39 della L. 449/1997, volta alla riduzione complessiva e progressiva del personale in servizio. Per quanto riguarda l’utilizzazione di personale a tempo determinato o tramite contratti di collaborazione, si è seguita la strada di fissare dei tetti massimi in percentuale rispetto alla spese degli anni precedenti relativa allo stesso personale, autorizzando però espressamente determinati enti a prorogare rapporti a tempo determinato che erano sorti sulla base di specifici provvedimenti.
Un discorso parzialmente diverso vale invece per gli enti locali e per le Regioni, per le quali le leggi finanziarie hanno disposto misure di contenimento delle spese di personale meno rigide rispetto alle amministrazioni dello Stato, in considerazione dell’autonomia ad esse riconosciuta dalla Costituzione, ma via via più stringenti nel corso della legislatura.
All’inizio della legislatura, con la L. 448/2001 (legge finanziaria per il 2002), si è previsto il blocco delle assunzioni solamente per gli enti locali che non avessero rispettato il patto di stabilità interno.
Con le successive leggi finanziarie si sono introdotti vincoli più stringenti, anche per gli enti locali “virtuosi”. In particolare, con le L. 289/2002 e 350/2003 (rispettivamente leggi finanziarie per il 2003 e per il 2004), per quanto riguarda le misure di contenimento della spesa di personale per gli enti territoriali, si confermava il blocco delle assunzioni per gli enti locali che non avessero rispettato il patto di stabilità interno, mentre si introduceva un nuovo vincolo in ordine alle assunzioni di personale a tempo indeterminato da parte di Regioni e enti locali che avessero rispettato lo stesso patto: per tali enti valeva il divieto di effettuare assunzioni (salve specifiche deroghe) sino all’entrata in vigore di appositi D.P.C.M. (adottati previo accordo tra Governo, Regioni e autonomie locali da concludere in sede di Conferenza unificata) che regolamentassero dettagliatamente la possibilità di effettuare assunzioni.
Tale meccanismo di programmazione delle assunzioni per le Regioni e gli enti locali è stato sostanzialmente confermato nella L. 311/2004 (legge finanziaria per il 2005), anche se reso più stringente con una programmazione quadriennale (per gli anni 2005-2008) delle economie di spesa da raggiungere distintamente, tramite i previsti D.P.C.M., da parte delle Regioni, degli enti locali e degli enti del Servizio sanitario nazionale. Infine, la L. 266/2005 (legge finanziaria per il 2006), fermi restando tali meccanismi e obiettivi di contenimento della spesa, ha introdotto un ulteriore vincolo, prevedendo per gli enti in questione l’obbligo di adottare le misure necessarie a garantire che la spesa per il personale per ciascuno degli anni 2006, 2007 e 2008 venga ridotta dell’1% rispetto a quella del 2004.
Nel corso della legislatura sono state inoltre introdotte novità relativamente al reclutamento del personale pubblico. Il tema è stato affrontato in primo luogo introducendo una disciplina generale più rigorosa per l’avvio delle procedure concorsuali da parte delle amministrazioni pubbliche, anche nel caso di contratti di lavoro a termine.
Inoltre, nel corso della legislatura, si sono realizzati interventi normativi volti a dare stabilità, in ambiti specifici, a rapporti di lavoro a tempo determinato o comunque caratterizzati da una qualche forma di precarietà. Il più rilevante, operato dalla L. 186/2003[207], ha riguardato la stabilizzazione degli insegnanti di religione cattolica, tramite l’attribuzione a tali insegnanti dello stato giuridico del personale docente di ruolo dello Stato. La L. 442/2001[208] (art. 2), nella parte iniziale della legislatura, ha invece previsto l’immissione nei ruoli organici del Ministero degli affari esteri del personale a contratto in servizio presso ambasciate, consolati e gli Istituti di cultura all’estero, entro un contingente massimo di 200 unità. Un’altra operazione di “stabilizzazione”, ad opera della L. 79/2006[209], approvata nella parte finale della legislatura, ha riguardato i docenti della Scuola di lingue estere dell’Esercito.
La dirigenza pubblica, già oggetto di rilevanti interventi legislativi nel corso delle due precedenti legislature, è stata interessata, nella prima parte della XIV legislatura, da un’ulteriore riforma di iniziativa del Governo, tradottasi nella L. 145/2002[210].
Al principale scopo di introdurre elementi di maggiore flessibilità, la nuova disciplina ha in primo luogo inciso sul regime degli incarichi di funzioni dirigenziali, sancendo tra l’altro la formale distinzione tra il provvedimento di conferimento dell’incarico e il contratto individuale tra dirigente ed amministrazione con il quale è definito il trattamento economico; essa ha inoltre ampliato le possibilità di accesso agli incarichi dirigenziali di vertice sia per i dirigenti di seconda fascia, sia per i dirigenti di altre amministrazioni e per gli estranei alla pubblica amministrazione.
Quanto alla revocabilità degli incarichi di vertice da parte di ogni nuovo Governo (c.d. spoils system), è stata disposta l’automatica cessazione dei medesimi incarichi – e dunque la necessità di confermarli o rinnovarli espressamente – decorsi 90 giorni dal voto sulla fiducia al Governo (un analogo meccanismo di revisione è stato introdotto per le nomine di competenza governativa in strutture esterne ai Ministeri).
La legge ha inoltre soppresso il ruolo unico dei dirigenti e contestualmente ha previsto la costituzione di distinti ruoli dei dirigenti (articolati in prima e seconda fascia) presso ogni amministrazione.
Sono state introdotte nuove norme in materia di responsabilità dirigenziale e disposizioni di carattere generale per favorire la mobilità tra amministrazioni pubbliche e tra settore pubblico e privato.
Ulteriori disposizioni in materia di incarichi dirigenziali sono state introdotte dall’art. 14-sexies del D.L. 115/2005[211].
La L. 154/2005[212] ha operato una sostanziale riforma del rapporto di impiego del personale dirigente e direttivo penitenziario, prevedendone – in considerazione della particolare natura delle funzioni esercitate – l’inquadramento in una specifica carriera dirigenziale penitenziaria, rientrante nella specialità dei rapporti di lavoro di diritto pubblico e, quindi, sottratta alla generale disciplina contrattuale del “comparto Ministeri”. La delega conferita in materia al Governo è stata esercitata con il D.Lgs. 63/2006[213], che ha disciplinato nei suoi vari aspetti l’ordinamento della carriera dirigenziale penitenziaria e il trattamento giuridico ed economico del personale.
Il D.Lgs. 381/2003[214] ha apportato alcune modifiche al modello organizzativo e funzionale della Scuola Superiore della pubblica amministrazione – la competenza sulla quale è ricondotta dal Dipartimento della Funzione pubblica alla Presidenza del Consiglio – con particolare riguardo al riassetto organizzativo degli organi di vertice.
Sulla riforma del rapporto di impiego del personale appartenente al Corpo nazionale dei vigili del fuoco, ricondotto dalla L. 252/2004 e dal D.Lgs. 217/2005 nell’ambito della disciplina di diritto pubblico, v. l’area tematica Ambiente, territorio, protezione civile.
Due successivi interventi, operati novellando la nome recate in materia dal testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali (D.Lgs. 267/2000[215]), hanno interessato la disciplina generale dei servizi pubblici locali.
Il primo fa capo all’art. 35 della L. 448/2001[216] (legge finanziaria 2002), recante un complesso di disposizioni concernenti sia la proprietà e la gestione delle reti, sia l’erogazione dei servizi. La nuova disciplina, regolando distintamente i servizi pubblici di rilevanza industriale e quelli privi di tale rilevanza, introduce il principio secondo cui l’erogazione dei primi avviene in regime di concorrenza e attraverso l’affidamento del servizio mediante gara pubblica a un soggetto costituito in forma di società di capitali, e prevedendo un periodo transitorio (e un regolamento attuativo, mai adottato) per adeguare le modalità di gestione vigenti alla nuova disciplina.
L’ente locale rimane invece proprietario delle reti e degli impianti necessari all’erogazione del servizio. Le discipline di settore stabiliscono i casi in cui gestione delle reti ed erogazione dei servizi possono essere separati; in tali casi, l’ente locale può scegliere se affidare anche la gestione delle reti al mercato (mediante gara pubblica) o mantenerne il controllo avvalendosi di società a capitale pubblico.
Anche a seguito dei rilievi sollevati dalla Commissione europea nell’ambito di una procedura di infrazione, l’art. 14 del D.L. 269/2003[217] ha ulteriormente modificato la disciplina, consentendo tra l’altro che i servizi “di rilevanza economica” (non più “industriale”) siano affidati anche a società a capitale misto pubblico-privato o a società interamente pubbliche, mediante procedura in house[218] e sopprimendo il regime transitorio. Ulteriori modifiche sono state poco dopo introdotte dall’art. 4, co. 234, della legge finanziaria 2004 (L. 350/2003).
Per gli interventi concernenti la disciplina dei servizi pubblici in specifici settori, si rinvia alle rispettive aree tematiche.
I servizi pubblici di interesse generale non rientrano nel campo di applicazione della proposta di direttiva relativa ai servizi nel mercato interno (cosiddetta “direttiva Bolkenstein”) (COM(2004)2) il cui obiettivo principale è quello di stabilire un quadro giuridico che elimini gli ostacoli alla libertà di stabilimento dei prestatori di servizi ed alla libera circolazione dei servizi tra Stati membri.
Si veda il paragrafo La proposta di direttiva sui servizi nel mercato interno riportato nell’area tematica Commercio, servizi e tutela dei consumatori
Si veda il paragrafo Servizi pubblici di trasporto riportato nell’area tematica Trasporti.
L’8 novembre 2001 entrava in vigore la legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, recante Modificazioni del titolo V della parte seconda della Costituzione, sulla quale il 7 ottobre si era svolto con esito favorevole il referendum previsto dall’art. 138 Cost..
Tra gli aspetti più innovativi della complessa riforma costituzionale si possono ricordare, per limitarsi a quelli riguardanti più da vicino il riparto delle competenze tra Stato e autonomie territoriali:
§ l’attribuzione allo Stato, alle Regioni e agli enti locali di una “pari dignità” quali enti costitutivi della Repubblica (art. 114 Cost.);
§ il rovesciamento del criterio di riparto delle competenze legislative tra Stato e Regioni, con la doppia elencazione delle materie di competenza esclusiva dello Stato e di quelle in cui la potestà legislativa è esercitata in modo concorrente dallo Stato (che detta i soli “princìpi fondamentali) e dalle Regioni, e con l’attribuzione alle Regioni di una competenza legislativa piena (“residuale”) su tutte le altre materie (art. 117, co. 2°-4°, Cost.);
§ la riduzione della potestà regolamentare dello Stato alle sole materie di sua legislazione esclusiva, ampliandosi quella delle Regioni e degli enti locali (art. 117, co. 6°, Cost.);
§ l’attribuzione delle competenze amministrative in via generale ai comuni, salvo conferimento ad altri livelli di governo sulla base dei princìpi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza, superandosi con ciò il principio del parallelismo tra competenze legislative e amministrative (art. 118 Cost.);
§ l’attribuzione a Regioni ed enti locali dell’autonomia finanziaria di entrata e di spesa (art. 119 Cost);
§ la soppressione del visto sulle leggi regionali e dei controlli preventivi sugli atti delle Regioni e degli enti locali prevedendosi tuttavia – a date condizioni – un generale potere sostitutivo del Governo, nonché la possibilità per lo Stato e le Regioni di ricorrere alla Corte costituzionale avverso leggi, rispettivamente, regionali e statali (artt. 120, co. 2°, e 127 Cost.).
L’entrata in vigore del nuovo Titolo V ha posto, sin dall’inizio della legislatura, la pressante esigenza – evidenziata anche dall’assenza di una disciplina transitoria – di introdurre norme e prassi che adeguassero l’ordinamento della Repubblica al nuovo quadro costituzionale e ne rendessero in concreto applicabili le disposizioni, anche sciogliendo alcuni nodi interpretativi di immediata evidenza.
Per quanto invece riguarda le iniziative di rango costituzionale volte a modificare le linee della riforma o ad inserirla in un più ampio disegno di revisione in senso “federalista” – iniziative che hanno trovato esito nelle rilevanti innovazioni introdotte dalla legge di riforma della Parte II della Costituzione – si rinvia all’area tematica Affari costituzionali e ordinamento della Repubblica.
Sul piano della legislazione ordinaria, all’esigenza di “attuare e chiarire” si è inteso far fronte, principalmente, attraverso la L. 131/2003[219] (c.d. legge “La Loggia”). La legge reca, in particolare, disposizioni concernenti:
§ l’esercizio della potestà legislativa regionale e della potestà normativa degli enti locali;
§ la partecipazione delle Regioni in materia comunitaria[220] e l’attività internazionale delle Regioni;
§ le procedure per il conferimento delle competenze amministrative ai diversi livelli di governo e il loro esercizio;
§ l’esercizio del potere sostitutivo del Governo ex art. 120, co. 2°, Cost.;
§ l’adeguamento delle norme di procedura dei giudizi di legittimità costituzionale alle previsioni di cui ai nuovi artt. 123, co. 2°, e 127 Cost.;
§ l’istituzione, in luogo del Commissario di Governo, di un Rappresentante dello Stato per i rapporti con il sistema delle autonomie;
§ l’applicazione della riforma alle Regioni a statuto speciale.
La legge reca, tra l’altro, una delega legislativa volta ad operare (entro l’11 giugno 2006) una ricognizione dei princìpi fondamentali che si traggono dalle leggi vigenti nelle materie attribuite alla potestà legislativa concorrente di Stato e Regioni (art. 1, co. 4). La delega (sulla quale ha inciso la Corte costituzionale che, nella sent. 280/2004, ne ha sottolineato la natura meramente ricognitiva), è stata sinora esercitata solo con riguardo alla materia “professioni” (D.Lgs. 30/2006); risultano in corso di adozione i decreti legislativi relativi alle materie “casse di risparmio, enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale”, “armonizzazione dei bilanci pubblici” e “governo del territorio”.
Un’altra delega legislativa, avente ad oggetto l’individuazione delle funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane ai sensi dell’art. 117, co. 2°, lett. p), Cost., nonché l’adeguamento al nuovo Titolo V delle disposizioni vigenti in materia di enti locali, non ha trovato attuazione entro il termine per l’esercizio, fissato da ultimo al 31 dicembre 2005.
Non ha sinora trovato piena attuazione legislativa nemmeno l’art. 119 Cost., concernente l’autonomia finanziaria e tributaria delle Regioni e delle autonomie locali (al riguardo, v. l’area tematica Finanza locale e regionale).
Sul piano della procedura parlamentare, le due Camere hanno da subito affrontato l’esigenza di dare immediata attuazione al nuovo disposto costituzionale verificando in itinere il fondamento costituzionale di tutti i progetti di legge al proprio esame. La Giunta per il regolamento della Camera ha affidato tale compito alla Commissione affari costituzionali, nell’esercizio della sua funzione consultiva che ha esteso, in via sperimentale, anche agli emendamenti presentati in Assemblea; analogo orientamento ha assunto la Giunta per il regolamento del Senato.
Non ha invece trovato attuazione – malgrado l’attività istruttoria svolta in tale direzione su iniziativa delle Giunte per il Regolamento delle due Camere – l’art. 11 della legge costituzionale di riforma, che avrebbe consentito l’integrazione della Commissione parlamentare per le questioni regionali con rappresentanti delle autonomie regionali e locali e l’attribuzione a tale Commissione del potere di incidere significativamente, con i propri pareri, sull’iter di approvazione delle leggi statali riguardanti le materie di competenza legislativa concorrente e l’autonomia finanziaria di Regioni ed enti locali.
Un ruolo determinante, nella prima stagione dell’attività legislativa di Stato e Regioni susseguente all’entrata in vigore del nuovo Titolo V, ha esercitato la giurisprudenza della Corte costituzionale.
Va infatti ricordato come le questioni interpretative aperte dalla nuova disciplina costituzionale abbiano determinato un notevole incremento del contenzioso Stato-Regioni, soprattutto con riferimento al numero dei ricorsi in via d’azione dell’uno o delle altre contro leggi, rispettivamente, regionali o statali. In tale contesto le pronunce della Corte, oltre a sciogliere alcuni nodi politicamente cruciali – definendo i termini e i limiti della legittimità costituzionale di provvedimenti importanti per l’attuazione dell’indirizzo politico-legislativo del Governo, quali ad es. la “legge-obiettivo” o le disposizioni sul condono edilizio – hanno introdotto princìpi e criteri interpretativi, a volte innovativi, utili a consentire una lettura coerente e sistematica della riforma costituzionale; princìpi e criteri che l’attività legislativa del Parlamento ha a volte anticipato, a volte fatto propri successivamente.
Ci si riferisce, a titolo d’esempio:
§ all’esistenza, nell’attuale art. 117 Cost., di profili di “trasversalità” propri di alcune materie affidate alla competenza legislativa esclusiva dello Stato, che la Corte ha a volte chiamato “materie-funzioni” o “non materie” (come la “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale”; la “tutela della concorrenza”; la “tutela dell’ambiente”): si tratta di profili che possono rilevare – anche solo sotto l’aspetto delle finalità degli interventi – in ambiti materiali affidati alla competenza legislativa, concorrente o residuale, delle Regioni; con riguardo ad essi, dunque, pur in ambiti devoluti alla competenza regionale si legittimerebbe l’intervento legislativo dello Stato;
§ all’esigenza di non considerare meccanicamente ascrivibile alla potestà residuale delle Regioni ogni ambito di intervento legislativo non testualmente compreso negli elenchi di cui all’art. 117 Cost.;
§ all’applicazione del principio di sussidiarietà al riparto delle competenze legislative, oltre che amministrative, tra Stato e Regioni: in base a tale orientamento, chiaramente definito a partire dalla nota sent. 303/2003, la legge statale – a determinate condizioni – può attribuire allo Stato funzioni amministrative anche in materie di competenza regionale e, in ossequio al principio di legalità, è in tal caso abilitata a organizzarle e regolarle;
§ all’opportunità comunque di introdurre strumenti e procedure atti a valorizzare la leale collaborazione tra Stato e Regioni ed il concorso di queste ultime alle decisioni centrali, anche per evitare o superare i problemi che potrebbero nascere da una troppo astrattamente rigida ripartizione delle competenze legislative; tale opportunità diviene per lo Stato un obbligo nell’ipotesi (illustrata al punto precedente) di deroga di riparto di competenze sulla base del principio di sussidiarietà, ovvero quando un determinato ambito di intervento legislativo evidenzi una inscindibile “concorrenza di competenze” (esclusive, concorrenti, residuali) di Stato e Regioni (cfr. sent. 50/2005) tale da non consentire la soluzione delle questioni di competenza sulla base di criteri rigidi.
Interventi rilevanti della giurisprudenza costituzionale hanno poi riguardato anche l’applicazione del principio di autonomia finanziaria delle Regioni di cui all’art. 119 Cost., sotto il duplice profilo dell’autonomia di entrata e di spesa.
Sotto il primo profilo, e in attesa dell’attuazione dell’art. 119 Cost., al legislatore statale, nel disciplinare i tributi regionali e locali, è fatto comunque divieto di “procedere in senso inverso” sopprimendo, senza sostituirli, gli spazi di autonomia già riconosciuti dall’ordinamento vigente alle Regioni e agli enti locali (sent. 37/2004). Quanto al secondo profilo, la Corte non ha ritenuto ammissibili gli interventi finanziari a destinazione vincolata per Regioni ed enti locali, se afferenti a materie di competenza regionale, salvo che rientrino tra gli speciali interventi in favore di enti determinati, consentiti dall’art. 119, co. 5°, Cost. (sent. 16/2004); analogamente si è espressa per le misure finanziarie destinate a soggetti privati.
Per altro verso, secondo la Corte (sent. 417/2005) il legislatore statale può legittimamente imporre agli enti autonomi vincoli alle politiche di bilancio, ma solo con “disciplina di principio” e “per ragioni di coordinamento finanziario connesse ad obiettivi nazionali, condizionati anche dagli obblighi comunitari”; di converso, l’imposizione con legge statale di limiti all’entità di una singola voce di spesa si risolve “in una indebita invasione, da parte della legge statale, dell’area […] riservata alle autonomie regionali e degli enti locali”.
Con riguardo alla potestà legislativa concorrente, la Corte costituzionale sembra limitare la possibilità per lo Stato di adottare nelle materie concorrenti anche la disciplina di dettaglio derogabile (“cedevole”) da parte del legislatore regionale e, confermando la propria giurisprudenza precedente, ribadisce che, in assenza di leggi cornice, la Regione può desumere i princìpi fondamentali dal complesso della legislazione statale vigente in materia[221].
Va ricordato come, nei cinque anni della legislatura, le Regioni a statuto ordinario abbiano proseguito – ma solo una parte di esse ha portato a compimento[222] – il processo di riscrittura dello statuto regionale e di ridefinizione della forma di governo e del sistema elettorale regionale, secondo quanto previsto dalla riforma costituzionale approvata con L.Cost. 1/1999[223].
Il legislatore statale è intervenuto in tale processo con la L. 165/2004[224], nella quale, dando attuazione all’art. 122, co. 1° Cost., nel testo modificato dalla riforma del 1999, individua i princìpi fondamentali nel rispetto dei quali le Regioni sono chiamate a definire con propria legge il sistema di elezione e i casi di ineleggibilità e di incompatibilità del Presidente e degli altri componenti della Giunta regionale nonché dei consiglieri regionali. La stessa L. 165/2004 fissa in cinque anni la durata degli organi elettivi regionali.
Tra le altre misure legislative concernenti le autonomie locali, assumono particolare rilievo:
§ le tre leggi istitutive delle nuove province di Monza e della Brianza (L. 146/2004), di Fermo (L. 147/2004) e di Barletta-Andria-Trani (L. 148/2004);
§ l’art. 7 del D.L. 80/2004[225], che reca varie modifiche al testo unico sugli enti locali concernenti le ipotesi di esclusione dall’elettorato passivo, la sospensione di diritto dalle cariche elettive e i casi di ineleggibilità ed incompatibilità per le cariche di sindaco, di presidente di provincia e di assessore;
§ la nuova disciplina generale dei servizi pubblici locali (su cui v. l’area tematica Pubblica amministrazione, pubblico impiego e servizi pubblici);
§ l’esame (non giunto a conclusione) di progetti di legge volti a consentire lo svolgimento di un terzo mandato consecutivo ai sindaci[226], modificando in tal senso l’art. 51 del testo unico sugli enti locali (D.Lgs. 267/2000), e di progetti di legge che, modificando la legge 25 maggio 1970, n. 352, intendevano ridisciplinare lo svolgimento del referendum previsto dall’art. 132 Cost. per il distacco di comuni e province da una Regione e l’aggregazione ad altra Regione[227].
In base alla riforma costituzionale del 2001, la “tutela della salute” (assai più ampia della precedente fattispecie ”assistenza ospedaliera”) rientra nell’ambito delle materie oggetto di legislazione concorrente tra Stato e Regioni, fatta salva la potestà esclusiva dello Stato, ai sensi dell’art. 117, comma 2, lett. m), per quanto attiene alla definizione dei livelli essenziali delle prestazioni validi su tutto il territorio nazionale.
In relazione al “peso” delle risorse finanziarie utilizzate dalle Regioni per gli interventi nel campo della salute, in rapporto alle risorse complessivamente disponibili nei bilanci regionali stessi, assume particolare rilievo anche la materia “coordinamento della finanza pubblica”, nella quale spetta allo Stato la determinazione dei principi fondamentali.
Soprattutto nella prima fase della legislatura si è determinata, sia a livello statale che regionale, una condizione di incertezza nel riparto delle competenze (legislative e amministrative), resa evidente anche dal contenzioso di fronte alla Corte costituzionale: proprio l’apporto della Corte – unitamente alla ricerca di intese in sede di Conferenza Stato Regioni - ha comunque consentito di individuare con più precisione i rispettivi ambiti di competenza.
La crescita registratasi nella spesa sanitaria ha indotto il legislatore a porre particolare attenzione ai profili di natura finanziaria. Il primo atto significativo è rappresentato dal decreto legge n. 347 del 2001, che recepisce sostanzialmente i contenuti dell’Accordo dell’8 agosto 2001 raggiunto in sede di Conferenza Stato Regioni.
Tale provvedimento riveste una notevole importanza non solo per il suo carattere organico ma anche per la più puntuale definizione del riparto di competenze legislative tra Stato e Regioni, ciò che ha consentito tra l’altro l’eliminazione del forte contenzioso allora in corso (cfr. al riguardo la sentenza n. 510/2002 della Corte Costituzionale).
Viene meglio delineato il ruolo di governo della Regione come regolatore del sistema sanitario, attraverso il potenziamento delle sue funzioni e competenze di programmazione e di controllo: in tale quadro, la Regione è chiamata a definire e mettere in atto nuovi strumenti, al fine di perseguire l’obiettivo di razionalizzare e contenere la spesa socio-sanitaria nell’ambito delle risorse finanziarie complessivamente disponibili, assumendo decisioni in ordine alle priorità.
Sempre in attuazione del decreto legge n. 347 e dell’Accordo dell’8 agosto 2001 è emanato il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 29 novembre 2001, che definisce i livelli essenziali di assistenza (LEA), cioè le prestazioni che le strutture sanitarie devono assicurare in tutto il territorio nazionale. La legge n. 311 del 2004 (art. 1, comma 169) ha previsto altresì un regolamento governativo per la definizione di standard qualitativi (strutturali, tecnologici, di processo e di esito) e quantitativi dei LEA, al fine di superare la disomogeneità oggi esistente tra le diverse aree del territorio. Tale regolamento (sentenza n. 136 del 2006 della Corte costituzionale) deve essere emanato “d’intesa” con la Conferenza Stato regioni.
Con il passare degli anni, dall’esame delle manovre finanziarie, emerge con sempre maggiore evidenza che – in attesa delle scelte in ordine al modello di federalismo fiscale - il momento cruciale della decisione parlamentare è la determinazione del quadro complessivo delle risorse da destinare al comparto sanitario necessarie per l’attuazione dei livelli essenziali di assistenza, rinviando a successive Intese in sede di Conferenza Stato Regioni la puntuale individuazione delle misure da adottare nei diversi settori (personale, acquisti, farmaceutica etc). Tale decisione si inserisce peraltro in un quadro assai articolato di misure volte ad assicurare il costante monitoraggio dell’andamento della spesa e l’adozione di manovre correttive da parte delle regioni che registrano disavanzi, avvalendosi a tal fine dell’apporto delle strutture ministeriali.
Contestualmente è riaffermato e rafforzato il meccanismo di premio/punizione, già introdotto nel 2000, volto ad assicurare il trasferimento integrale delle risorse dello Stato solo alle regioni che garantiscano il rispetto dei livelli massimi della spesa (ovvero quelli specifici disposti per il comparto farmaceutico) e degli altri obblighi previsti dalla legge e ponendo invece a carico delle regioni “inadempienti” la copertura dei disavanzi di spesa. La Corte Costituzionale, con sentenza n. 36 del 2005, ha dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale di alcune disposizioni che subordinano l’accesso al finanziamento integrativo da parte delle Regioni all’assolvimento di adempimenti indicati dalla legge statale.
Questo modello appare delineato con maggior precisione dalla legge finanziaria per il 2005 (art. 1, commi 164 e ss.), in base alla quale è stata stipulata l’Intesa del 23 marzo 2005 in sede di Conferenza Stato regioni, con cui sono definiti in dettaglio gli interventi da adottare nei singoli comparti di spesa e i tempi di definizione delle misure da parte delle regioni.
La legge finanziaria per il 2006 (art. 1, commi 274 e ss.) ribadisce tale impostazione, vincolando la destinazione di risorse aggiuntive, anche per il ripiano dei disavanzi, alla stipula di nuovi accordi: in attuazione di tale norma, la Conferenza Stato Regioni e la Conferenza unificata Stato ed autonomie locali – fermo restando il dissenso su alcuni aspetti di particolare rilevo - hanno espresso il 28 marzo scorso parere favorevole al Piano di riparto delle risorse finanziarie, al programma di riduzione delle liste di attesa ed al Piano sanitario nazionale 2006-2008.
Proprio all’inizio della legislatura, nell’ambito del più generale riordino dei ministeri, è ricostituita una organizzazione centrale specificamente rivolta alla tutela della salute, modificando l’impostazione del D.Lgs n. 300 del 1999, che aveva portato alla creazione di un unico Ministero del welfare, con competenze estese anche al settore della sanità.
Il D.L. n. 217 del 2001 ha attribuito al nuovo Ministero della salute le funzioni spettanti allo Stato in materia di tutela della salute umana, di coordinamento del sistema sanitario nazionale, di sanità veterinaria, di tutela della salute nei luoghi di lavoro, di igiene e sicurezza degli alimenti ed assegnato ad esso i compiti di vigilanza sull’Agenzia per i servizi sanitari regionali.
Un importante modifica delle competenze del Ministero della salute è realizzata con il decreto legge n. 269 del 2003, che istituisce l’Agenzia italiana del farmaco (AIFA) “al fine di garantire l’unitarietà delle attività in materia di farmaceutica e di favorire in Italia gli investimenti in ricerca e sviluppo”. L’Agenzia svolge un ruolo di alta consulenza tecnicanei confronti del Governo e della Conferenza Stato Regioni in materia di politiche per il farmaco. Al nuovo ente sono altresì attribuite le competenze esercitate in passato dalla Commissione unica del farmaco. L’Agenzia esercita infine una serie di importanti compiti finalizzati al contenimento della spesa farmaceutica.
Con riferimento agli enti operanti nel settore sanitario, va ricordata l’approvazione il riordino degli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico (IRCCS), enti che si distinguono dalle altre strutture ospedaliere per la strettissima connessione tra le attività di ricerca e di assistenza ad esse assegnate.
La riforma (decreto legislativo n. 288 del 2003) favorisce la trasformazione degli Istituti in Fondazioni, ferma restando la loro natura pubblica e adegua l’assetto di tali Istituti al mutato quadro costituzionale in ordine alle competenze di Stato e Regioni nei campi della tutela della salute e della ricerca scientifica. Alcune disposizioni sono state dichiarate illegittime dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 270 del 2005.
Vanno altresì segnalati i numerosi decreti legge concernenti la Croce rossa italiana, che hanno condotto alla revisione dello Statuto dell’ente e alle nuove elezioni degli organismi direttivi, nonché il provvedimento d’urgenza volto al risanamento finanziario dell’Ente Mauriziano di Torino.
La legge n. 40 del 2004 interviene per la prima volta in modo organico a disciplinare le pratiche di procreazione assistita (PMA).
In passato, le numerose iniziative legislative parlamentari – assunte a partire dalla VII legislatura – non avevano mai concluso il loro iter e i provvedimenti del Governo si erano limitati a disciplinare aspetti specifici della materia.
Il provvedimento è approvato al termine di un dibattito assai approfondito, nel corso della quale è emersa una forte dialettica tra le diverse forze politiche in ordine alla soluzione dei temi più controversi (soggetti ammessi alla PMA; condizioni per l’accesso alle pratiche di procreazione assistita; forme di tutela dell’embrione e del nato; limiti all’impianto degli embrioni; disciplina della ricerca clinica e sperimentale; sanzioni per la violazione delle norme di legge etc).
Ciò ha portato, poco tempo dopo l’approvazione della legge da parte delle due Camere, alla presentazione al Senato di alcune proposte di modifica della normativa stessa, su cui è stata avviata la discussione, senza peraltro giungere alla conclusione dell’iter. Successivamente, in seguito alla presentazione di alcuni quesiti referendari per l’abrogazione parziale della legge n. 40, è stata indetta la consultazione popolare, alla quale peraltro non ha partecipato la maggioranza degli aventi diritto prevista dalla legislazione vigente per la validità del voto.
Dopo avere svolto un notevole approfondimento sull’attività libero professionale all’interno delle strutture pubbliche (c.d. intramoenia), con il decreto legge n. 81 del 2004 sono apportate rilevanti modifiche ad alcuni aspetti del regime contrattuale dei medici, con riferimento ad uno dei principi cardine del D.Lgs. n. 229 del 1999, che delineava una più marcata differenziazione tra i dirigenti che optavano per il rapporto di lavoro esclusivo e quelli che sceglievano il rapporto non esclusivo. La norma in esame afferma infatti la reversibilità della scelta in ordine alla esclusività. In particolare, i dirigenti hanno la facoltà di optare, entro il 30 novembre di ciascun anno, per il rapporto non esclusivo, con effetto dal 1° gennaio dell’anno successivo (salvo termini più brevi stabiliti dalle Regioni); il rapporto esclusivo può essere ripristinato con le stesse modalità.
Coloro che mantengono l’esclusività del rapporto conservanoil trattamento economico aggiuntivo stabilito dai contratti collettivi di lavoro, che viene ora configurato come “indennità di esclusività e non indennità di irreversibilità”. Infine, la scelta della non esclusività non preclude più la direzione di strutture semplici e complesse.
Nel corso della legislatura è individuata anche una soluzione per l’annosa problematica dei medici specializzandi, attraverso la definizione di un nuovo contratto di formazione specialistica ed il reperimento delle risorse necessarie a garantirne la copertura finanziaria.
Per quanto concerne il personale non medico, va ricordato innanzitutto il decreto legge n. 402 del 2001, volto a far fronte alla c.d. “emergenza infermieristica” attraverso una serie di strumenti che consentano di ovviare alle forti carenze di organico di figure professionali con il titolo di infermiere e di tecnico sanitario di radiologia medica.
Va inoltre ricordata la legge n. 43 del 2006, che riforma le professioni sanitarie non mediche (infermieristiche, ostetrica, riabilitative, tecnico-sanitarie e della prevenzione), adeguando la normativa alla luce del nuovo titolo V della Costituzione, che impone allo Stato di intervenire con legge anche per definire aspetti (come l’istituzione e la definizione del profilo delle singole professioni) in precedenza normati con atto regolamentare e rende necessario, per un altro verso, il concorso delle regioni nella disciplina delle professioni sanitarie.
Il provvedimento disciplina i nuovi percorsi formativi, al fine di accrescere la qualificazione degli operatori sanitari e prevede altresì l’istituzione dei relativi ordini e albi professionali.
Per contrastare le più rilevanti emergenze di tipo sanitario sono stati emanati nel corso della legislatura diversi provvedimenti d’urgenza.
In particolare, vanno ricordati il decreto legge n. 344 del 2001,volto a fronteggiare nuovi casi di encefalopatia spongiforme bovina (BSE);il decreto-legge n. 103 del 2003, sulle urgenze relative alla sindrome respiratoria acuta severa (SARS); il decreto legge n. 81 del 2004, che è finalizzato a rafforzare il coordinamento delle strutture amministrative in caso di emergenze sanitarie, con particolare riguardo ai casi di bioterrorismo.
Gli interventi più recenti concernono le misure di contrasto ad una possibile estensione nel territorio italiano del virus dell’influenza aviaria (decreto legge n. 202 del 2005).
Sulla base dei provvedimenti sopra citati sono stati tra l’altro costituiti nuovi organismi di coordinamento: il Centro nazionale per la prevenzione e il controllo delle malattie con analisi e gestione dei rischi, in particolare relativi alle malattie infettive e diffusive ed al bioterrorismo; ed il Centro nazionale di lotta ed emergenza contro le malattie animali.
Proprio per fronteggiare le emergenze sanitarie la legge finanziaria per il 2006 consente al Ministero della salute una deroga ai limiti all’impiego di personale, con particolare riferimento agli operatori impegnati per contrastare la BSE e la diffusione dell’influenza aviaria.
Alcune disposizioni del decreto legge n. 272 del 2005 recano misure di varia natura volte a contrastare la diffusione delle droghe, apportando ampie modifiche al testo unico in materia di disciplina degli stupefacenti e delle sostanze psicotrope (D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309), anche attraverso nuove fattispecie di reato e di illecito amministrativo, nonché di sanzioni e misure specificamente correlate alla violazione commessa.
In particolare, per quanto riguarda i profili di carattere socio sanitario si segnala:
§ la variazione delle tabelle relative alle sostanze stupefacenti e psicotrope, che sono ridotte da sei a due. Nella tabella I sono ricomprese le sostanze per le quali è vietato qualsiasi impiego ad uso terapeutico e che, pertanto, non possono essere prescritte (in tale tabella è ora introdotta anche la cannabis indica e i prodotti da essa derivati). Nella tabella IIsono indicati i medicinali, aventi pertanto effetti terapeutici, che possono però determinare dipendenza fisica o psichica, ed essere oggetto d’abuso. Questa nuova classificazione ha rilevanza per quanto riguarda sia i profili penali che gli aspetti di carattere prevalentemente sanitario;
§ la ridefinizione delle competenze delle regioni e degli enti locali;
§ il potenziamento, nel settore della prevenzione e recupero dei tossicodipendenti, del ruolo delle strutture private, accreditate sulla base di rigorosi requisiti strutturali, affermando la libertà di scelta dell’utente tra tali strutture e quelle strutture pubbliche.
La legge n. 3 del 2003 (art. 51) ha introdotto disposizioni più restrittive sul divieto di fumo nei locali pubblici e privati.
In particolare, la legge vieta di fumare in tutti i locali chiusi – siano locali pubblici o locali privati aperti ad utenti o al pubblico – salvo che negli spazi riservati ai fumatori (se dotati di impianti per il ricambio dell’aria). Negli esercizi di ristorazione la superficie complessiva di somministrazione deve essere ripartita in modo che gli spazi per i non fumatori siano prevalenti.
Le sanzioni per violazione del divieto di fumo e mancata esposizione dei cartelli di divieto, sono state inasprite, una prima volta per effetto della legge finanziaria per il 2002 ed una seconda volta in sede di legge finanziaria per il 2005.
Il decreto legislativo n. 184 del 2003, che attua la direttiva comunitaria n. 37 del 2001, contiene importanti innovazioni relative alla lavorazione, distribuzione e presentazione delle sigarette; in particolare, il decreto prevede:
§ nuovi limiti massimi al contenuto di catrame, nicotina e monossido di carbonio nelle sigarette, che devono inoltre apparire sul pacchetto con più evidenza;
§ la parziale riformulazione delle avvertenze sulla nocività dei prodotti del tabacco da riportarsi sulle confezioni (“il fumo uccide”, etc);
§ l’obbligo per i fabbricanti ed importatori di presentare un elenco di tutti gli ingredienti utilizzati e delle relative quantità, corredato dei dati tossicologici disponibili (con particolare riguardo all’effetto sulla salute e sulla dipendenza) e di una dichiarazione che giustifichi l’inserimento degli ingredienti nel prodotto.
La legge n. 219 del 2005 ha dettato una disciplina integralmente sostitutiva della normativa vigente in materia di attività trasfusionali relative al sangue umano e ai suoi componenti e dei prodotti emoderivati.
Tra le finalità del provvedimento vanno ricordate l’autosufficienza regionale e nazionale di sangue; la tutela della salute dei cittadini attraverso il conseguimento di più alti livelli di sicurezza; l’uniformità delle condizioni su tutto il territorio nazionale, attraverso una puntuale ricostruzione dei livelli essenziali di assistenza (LEA); lo sviluppo della medicina trasfusionale, del buon uso del sangue e di specifici programmi di diagnosi e cura che si realizzino in particolare nell’ambito dell’assistenza ai pazienti ematologici ed oncologici, del sistema urgenza-emergenza e dei trapianti; il potenziamento del coordinamento infraregionale e interregionale, del monitoraggio degli obiettivi e del sistema informativo, stanziando al riguardo nuove risorse finanziarie; la promozione dell’attività delle associazioni dei volontari del sangue.
Le principali novità riguardano innanzitutto il sistema delle competenze dello Stato e delle Regioni, realizzato anche attraverso la previsione di numerosi Accordi e Intese tra il Governo e le Regioni a livello di programmazione del settore, di revisione dei moduli organizzativi del sistema trasfusionale, di nuove linee guida per la qualità del sangue e delle modalità di autorizzazione e l’accreditamento delle strutture trasfusionali.
Sulla stessa materia è stato adottato il decreto legislativo 19 agosto 2005, che ha recepito la direttiva 2002/98/CE, concernente la qualità e la sicurezza per la raccolta, il controllo la lavorazione la conservazione e la distribuzione del sangue umano e dei suoi componenti. Il provvedimento non concerne le cellule staminali del sangue, oggetto di una specifica direttiva comunitaria.
Obiettivi di fondo del decreto sono una maggiore fiducia nella sicurezza del sistema ed il conseguimento dell’autosufficienza a livello comunitario.
Nel corso della legislatura sono stati approvati due provvedimenti di indennizzo a favore dei soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di emoderivati infetti (decreto legge n. 89 del 2003)o di vaccinazioni obbligatorie (legge n. 229 del 2005), che costituiscono una risposta ai problemi derivanti dall’instaurazione di numerose vertenze giudiziarie.
Nel campo della ricerca, sono stati previsti stanziamenti a favore di singoli Istituti, anche di nuova costituzione (Istituto mediterraneo di Ematologia; Fondazione Istituto nazionale di genetica molecolare; Centro nazionale di androterapia oncologica etc) ovvero per tipologia di programma (cellule staminali e vaccini; ricerca oncologica etc), cui si accompagnano interventi di natura fiscale, volti ad agevolare l’afflusso di fondi dei privati per finalità di ricerca.
Sono anche introdotti incentivi per le imprese. Con la legge n. 289 del 2003 (art. 58) e la legge n. 266 del 2005 (art. 1, commi 313 ss) è disciplinato il c.d. premium price(o “premio di prezzo”) diretto alle aziende farmaceutiche che realizzano investimenti nella ricerca nel settore farmaceutico sul territorio nazionale. La spesa per gli incentivi non può essere superiore allo 0,1 per cento del livello complessivo della spesa farmaceutica, salvo ulteriori finanziamenti deliberati in sede di Conferenza Stato regioni.
Per quanto riguarda le infrastrutture, la legge finanziaria per il 2006 (art. 1, commi 310 e ss) detta disposizioni volte a razionalizzare l’impiego delle risorse disponibili per i programmi di edilizia sanitaria in caso di grave ritardo nella attuazione degli interventi. La stessa legge detta altresì disposizioni per favorire i programmi di costruzione, ristrutturazione e adeguamento di presidi ospedalieri di maggiori dimensioni, caratterizzati da minori costi e più elevata efficienza.
La legge n. 123 del 2005 è volta a migliorare la cura e l’assistenza delle persone affette da celiachia (e che pertanto soffrono di intolleranza alimentare al glutine), al fine di favorire il loro normale inserimento nella vita sociale, prevedendo in particolare lo sviluppo delle attività di cura e prevenzione e maggiori informazioni sui contenuti dei prodotti a tutela del consumatore.
La legge n. 31 del 2006 disciplina l’attività diagnostica sui bambini vittime della sindrome della morte improvvisa del lattante (Sudden Infant Death Syndrome - SIDS), entro un anno di vita, e sui feti deceduti senza causa apparente dopo la venticinquesima settimana di gestazione. Alle autorità nazionali e regionali sono affidati compiti per la predisposizione di campagne di sensibilizzazione e di prevenzione e di programmi di ricerca multidisciplinari.
Il 28 novembre 2005, la Commissione europea ha presentato una comunicazione sulla pianificazione della preparazione e degli interventi in caso di pandemia influenzale (COM(2005)607), con la quale viene fornita agli Stati membri una base per aggiornare e migliorare i loro piani nazionali.
Il 9 dicembre 2005, il Consiglio ha iniziato la discussione sulla comunicazione che è in attesa di essere esaminata dal Parlamento europeo.
Il 15 dicembre 2005, la Commissione europea ha presentato una comunicazione sulla lotta contro l’HIV/AIDS nell’Unione europea e nei paesi vicini per il periodo 2006-2009 (COM(2005)654). Il documento sottolinea la necessità di intensificare l’azione a seguito dell’aumento dell’epidemia riscontrato dalle indagini più recenti e si concentra sulla creazione di un sistema integrato di sorveglianza a copertura geografica totale, sulla promozione dell’accesso ai servizi sanitari e alle terapie antiretrovirali, nonché sul miglioramento del sostegno alle attività di ricerca.
La comunicazione è in attesa di essere esaminata dal Consiglio e dal Parlamento europeo.
Nel settore dell’istruzione, il nuovo assetto costituzionale delineato dalla modifica del Titolo V ha attribuito la disciplina delle “norme generali sull’istruzione” alla competenza esclusiva statale (all’articolo 117 Cost., secondo comma, lett. n)) e la materia “istruzione, salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione della istruzione e della formazione professionale” alla competenza concorrente Stato-regioni (terzo comma). L’art. 116, terzo comma, prevede inoltre che ulteriori forme di autonomia in materia scolastica possano essere attribuite alle regioni con legge dello Stato, approvata a maggioranza assoluta, sulla base di un’intesa fra lo Stato e la regione interessata. Giova, infine, ricordare che le modifiche previste dalla legge di riforma costituzionale approvata in via definitiva il 16 novembre 2005 comportano l’inserimento, tra le materie di esclusiva competenza regionale, dell’organizzazione scolastica e della gestione degli istituti scolastici e di formazione, salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche.
In proposito, si ricorda che la Corte costituzionale, con sentenza 18 dicembre 2003-13 gennaio 2004, n. 13 ha dichiarato la competenza regionale nella definizione delle dotazioni organiche del personale docente delle istituzioni scolastiche. Nella successiva sentenza n. 37 del 2005, la Corte provvede a delimitare gli ambiti di autonomia delle istituzioni scolastiche, la quale, “non può in ogni caso risolversi nella incondizionata libertà di autodeterminazione, ma esige soltanto che a tali istituzioni siano lasciati adeguati spazi che le leggi statali e quelle regionali, nell’esercizio della potestà legislativa concorrente, non possono pregiudicare”.
La materia "università"non è espressamente contemplata dal nuovo art. 117 Cost. Tale materia può essere ricondotta, peraltro, alle “norme generali sull’istruzione”, che l’art. 117, secondo comma, lett. n)) della Costituzione demanda alla potestà legislativa esclusiva dello Stato; essa, inoltre, può trovare fondamento nell’art. 33 Cost., che riconosce alle università “il diritto di darsi ordinamenti autonomi nei limiti stabiliti da leggi dello Stato”. Con riferimento all’autonomia universitaria, la Corte costituzionale è intervenuta a suo tempo, stabilendo (sentenza n. 383 del 1998) che quest’ultima possa essere limitata esclusivamente da fonti di rango legislativo ovvero, qualora intervengano atti di natura secondaria, previa predeterminazione dei criteri generali da parte della fonte di rango primario. Sulla questione la Corte è nuovamente intervenuta con la sentenza n 102 del 2006, riaffermando la competenza delle università a definire, nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato, i propri ordinamenti.
La materia “ricerca”, rientra, ai sensi dell’art. 117, co. 3, Cost., tra le materie oggetto di potestà legislativa concorrente. La legge di riforma costituzionale approvata in via definitiva il 16 novembre 2005 non prevede modifiche rispetto a tale assetto. L’attuale configurazione del riparto di competenze tra Stato e regioni in materia di ricerca scientifica è stato delineato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 423 del 2004. La Corte - richiamando le proprie sentenze n. 569 del 2000 e n. 134 del 1997 - sottolinea che la ricerca scientifica non ha, di per sé, limiti territoriali, ma tuttavia essa presenta interesse regionale in tutte quelle ipotesi in cui la regione avverte la necessità di dotarsi di mezzi tecnico-scientifici e di avvalersi di attività conoscitive allo scopo specifico di un migliore espletamento delle funzioni regionali. La ricerca scientifica deve essere considerata, secondo la Corte, non solo una “materia”, ma anche un “valore” costituzionalmente protetto (artt. 9 e 33 della Costituzione), ed in quanto tale in grado di rilevare a prescindere da ambiti di competenze rigorosamente delimitati (cfr. sentenze numeri 259 del 2004 e 407 del 2002).
Nel corso degli ultimi anni, l’Unione europea ha posto in essere una serie di iniziative a favore dell’istruzione, dell’università e della ricerca che hanno condizionato l’azione dei singoli Stati membri in tali settori. Al riguardo si ricorda che il Consiglio europeo di Lisbona del 23/24 marzo 2000, fissando obiettivo di far divenire l’Europa l’economia più competitiva e dinamica del mondo, ha posto le basi fondamentali per il rilancio dei sistemi di istruzione e formazione indicando alcune priorità da raggiungere: l’apprendimento durante tutto l’arco della vita; il potenziamento degli investimenti pro capite in risorse umane; l’innalzamento del livello di istruzione per tutti i giovani; l’aumento della mobilità. Il Consiglio europeo di Barcellona del marzo 2002 ha individuato come obiettivo il raggiungimento della soglia del 3 per cento del PIL per la spesa in ricerca e sviluppo entro il 2010, prevedendo che i due terzi delle risorse da investire in ricerca debbano provenire dal settore privato. In tale ottica, la Commissione europea ha adottato, l’11 marzo 2005, una raccomandazione (2005/251/CE)riguardante la Carta europea dei ricercatori e un codice di condotta per la loro assunzione. Il Consiglio europeo del 5-6 maggio 2003 ha poi indicato alcuni parametri di riferimento per l’istruzione e la formazione da conseguire entro il 2010. Il Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa definisce (articolo I-3) tra i propri obiettivi il progresso scientifico e tecnologico, il rispetto della diversità culturale e linguistica, la salvaguardia e lo sviluppo del patrimonio culturale. Tra le disposizioni di applicazione generale, l’articolo III-117 ribadisce l’esigenza di garantire un livello elevato di istruzione e di formazione, mentre l’articolo III-248 introduce la nozione di spazio europeo della ricerca nel quale i ricercatori, le conoscenze scientifiche e le tecnologie circolino liberamente al fine di rafforzare le sue basi scientifiche e tecnologiche.
Nel corso della legislatura il D.P.R. 11 agosto 2003, n. 319, ha portato a compimento il processo di riordino avviato nella precedente legislatura dal D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 300, che agli articoli 49-51 ha previsto l’unificazione in un’unica struttura ministeriale (Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca) delle funzioni facenti capo ai dicasteri della pubblica istruzione, da un lato, e dell’università e delle ricerca scientifica e tecnologica, dall’altro. Per quanto concerne l’amministrazione centrale, il provvedimento individua 3 dipartimenti con funzioni di coordinamento e indirizzo nei settori della programmazione; dell’istruzione; dell’università, alta formazione artistico musicale e ricerca. Riguardo all’amministrazione periferica, il provvedimento conferma l’organizzazione fondata sugli uffici scolastici regionali, che si articolano per funzioni e sul territorio in centri servizi amministrativi. Quanto agli organi consultivi, merita segnalare che nel corso della legislatura si è provveduto al riordino del Consiglio universitario nazionale (legge 16 gennaio 2006, n. 18).
Per quanto riguarda il sistema di istruzione e formazione, la legislatura è stata caratterizzata dall’approvazione della legge 28 marzo 2003, n. 53 (c.d. “legge Moratti”), che ha dettato una disciplina generale in materia di istruzione, la cui attuazione è rimessa a decreti legislativi; il provvedimento reca inoltre alcune disposizioni immediatamente applicative, concernenti l’iscrizione anticipata alla scuola dell’infanzia e alla scuola primaria e la valutazione dei titoli dei docenti scolastici. Le deleghe conferite al governo riguardano in particolare la definizione del sistema educativo di istruzione e formazione articolato in due cicli; la valutazione del sistema educativo; la formazione iniziale dei docenti; l’alternanza scuola-lavoro. In attuazione delle deleghe sopra descritte sono stati realizzati il riordino della scuola dell’infanzia e del primo ciclo dell’istruzione (D.Lgs. 19 febbraio 2004, n. 59) e il riordino del secondo ciclo (D.Lgs. 17 ottobre 2005, n. 226); è stato ridefinito il diritto-dovere all’istruzione e alla formazione, per almeno dodici anni o, comunque, sino al conseguimento di una qualifica di durata almeno triennale entro il diciottesimo anno di età (D.Lgs. 15 aprile 2005, n. 76); è stata disciplinata l’alternanza scuola-lavoro come modalità di formazione nel secondo ciclo sia nei licei sia nel sistema dell’istruzione e della formazione professionale (D.Lgs. 15 aprile 2005, n. 77); è stato riordinato il servizio nazionale di valutazione del sistema educativo (D.Lgs. 19 novembre 2004, n. 286); sono state modificate la formazione iniziale per l’accesso alla docenza, nonché le relative procedure concorsuali per la copertura del 50 per cento dei posti in organico (D.Lgs. 17 ottobre 2005 n. 227).
Con riguardo al finanziamento della legge, si ricorda che l’art. 1, comma 3, della legge 53/2003 prescriveva che il Ministro adottasse un piano programmatico di interventi finanziari, da sottoporre all’approvazione del Consiglio dei Ministri, previa intesa con la Conferenza unificata. Il Piano è stato approvato in via preliminare dal Consiglio dei ministri in data 12 settembre 2003; su di esso non ha tuttavia espresso il prescritto parere la Conferenza unificata. Con stanziamenti assegnati dalle leggi finanziarie sono stati successivamente finalizzati all’attuazione del Piano: 90 milioni di euro a decorrere dall’anno 2004 (art. 3, co. 92, della legge n. 350 del 2003); 110 milioni di euro a decorrere dal 2005 (art. 1, co. 130, della n.311 del 2004); 44 milioni di euro per ciascuno degli esercizi finanziari 2006, 2007, 2008 (art.1, co. 578, della legge n. 266 del 2005)
Tra gli interventi in favore del diritto allo studio, si ricorda che i decreti attuativi della legge Moratti hanno esteso la gratuità dell’istruzione prima al secondo anno del secondo ciclo (D.Lgs. 15 aprile 2005, n.76,) e quindi al terzo anno (D.Lgs.17 ottobre 2005, n.226). Si ricorda, inoltre, il c.d. “buono scuola”, un contributo alle famiglie per la frequenza delle scuole paritarie: la legge finanziaria 2003 (legge n. 289 del 2002, art. 2, co.7) ha infatti autorizzato a tal fine la spesa di 30 milioni di euro, per ciascuno degli esercizi finanziari dal 2003 al 2005.
Per l’attuazione della legge n. 53 del 2003 sono stati previsti termini differenziati. In particolare, la riforma della scuola primaria e della scuola secondaria di primo grado sono state avviate gradualmente, a decorrere dall’anno scolastico 2004-2005 (artt. 13 e 14). Quanto alla riforma del secondo ciclo, gli articoli 25 e 26 del D.Lgs. n. 266 del 2005 ne stabiliscono la decorrenza dall’anno scolastico 2007/2008, subordinatamente alla definizione delle tabelle di confluenza dei percorsi previgenti e dei relativi titoli. Si ricorda, infine, che la legge n. 53 del 2003 ha stabilito che - a regime - possono essere iscritti alla scuola dell’infanzia le bambine e i bambini che compiono i tre anni di età entro il 30 aprile dell’anno scolastico di riferimento (art. 2, comma 1, lett. e)). E’ stato previsto che la disciplina degli anticipi fosse applicata in via sperimentale e compatibilmente con le risorse finanziarie dei comuni per gli anni scolastici fino al 2005-2006, ai bambini e alle bambine che avessero compiuto tre anni di età entro il 28 febbraio (art. 7, comma 4). Tale norma transitoria è stata prorogata all’anno scolastico 2006-2007 dall’articolo 6 del D.L. 30 dicembre 2005, n. 273, convertito dalla legge 23 febbraio 2006, n. 51.
Si ricorda che, con riguardo alle dotazioni organiche del personale della scuola, l’art. 22 della legge n. 448 del 2001 (legge finanziaria per il 2002) e l’art. 35, della legge n. 289 del 2002 (legge finanziaria 2003) hanno dettato una serie di disposizioni sulle dotazioni e prestazioni orarie del personale docente, accomunate dalla finalità di conseguire economie di spesa nel settore scolastico. Su tale questionesi sono svolti numerosi dibattiti presso la VII Commissione Cultura della Camera, in esito ai quali è stata approvata all’unanimità una risoluzione[228] che ha impegnato il Governo ad attuare una politica di valorizzazione e qualificazione della scuola pubblica statale, anche adottando iniziative volte all’ampliamento, per l’anno 2004-2005, del numero delle cattedre e degli insegnanti di sostegno. La legge n. 311del 2004 (legge finanziaria 2005) ha poi stabilito, al comma 127 dell’articolo 1, che per l’anno scolastico 2005-2006 la consistenza numerica dell’organico di diritto fosse pari a quella determinata per l’anno 2004-2005.
L’articolo 1-bis del D.L. 7 aprile 2004, n. 97, convertito con modificazioni dalla legge del 4 giugno 2004, n. 143, ha contestualmente previsto l’adozione entro il 31 gennaio 2005 di un piano pluriennale di nomine a tempo indeterminato, relativo al triennio 2005-2008. Il suddetto piano non è stato definito in tempo utile per l’inizio dell’anno scolastico 2005-2006. Al fine di assicurare il regolare inizio dell’anno scolastico, l’articolo 3 del D.L. 30 giugno 2005, n. 115, convertito dalla legge 17 agosto 2005, n. 168, ha pertanto autorizzato assunzioni a tempo indeterminato di personale docente nonché di personale A.T.A (amministrativo, tecnico ed ausiliario), rispettivamente 35.000 e 5.000 unità.
Con riferimento alle modalità di reclutamento, il D.L. 7 aprile 2004, n. 97, convertito con modificazioni dalla legge del 4 giugno 2004, n. 143, ha modificato i criteri per la determinazione delle graduatorie permanenti, limitatamente all’ultimo scaglione[229] rivedendo la Tabella di valutazione dei titoli[230]. In via transitoria, è inoltre consentito a varie categorie di precari - aventi requisiti di titoli e di servizio ma sprovvisti di abilitazione - di conseguire il titolo di abilitazione all’insegnamento o di idoneità necessario per l’iscrizione nelle graduatorie permanenti attraverso la frequenza di appositi corsi presso le università e le istituzioni dell’Alta formazione musicale e coreutica (AFAM). Infine, il D.L. n. 97 del 2004 prevede che le graduatorie permanenti siano aggiornate con cadenza biennale, e che la permanenza di queste ultime sia subordinata alla richiesta dell’interessato.
In attuazione dell’articolo 5 della legge Moratti, il D.Lgs. 17 ottobre 2005, n. 227, ha affidato la formazione iniziale dei docenti ad appositi corsi di laurea magistrale e corsi accademici di secondo livello istituiti, rispettivamente, dalle università e dalle istituzioni di alta formazione artistica musicale e coreutica. Il decreto ha inoltre ridefinito, sulla base della programmazione triennale del fabbisogno di personale docente nelle scuole statali, la procedura per l’accesso al ruolo mediante la preliminare individuazione - con decreto del Presidente del consiglio dei ministri, che costituisce autorizzazione a bandire il concorso - del numero dei posti da coprire.
Sono state poi adottate alcune disposizioni in materia di concorsi per dirigenti scolastici; in particolare l’art. 8-bisdel D.L. 28 maggio 2004, n. 136, convertito dalla legge 27 luglio 2004, n.186, ha esteso alle procedure concorsuali le riserve di posti a favore dei disabili (legge 68/1999); è stata poi prevista(art. 1-sexies del D.L. 31 gennaio 2005, n. 7, convertito dalla legge 31 marzo 2005, n. 43) l’indizione di un corso concorso riservato per i titolari di un incarico di presidenza annuale entro il 2005 /2006 ed è stata disposta una sanatoria(art. 1-octies dello stesso D.L.) per gli idonei al concorso riservato già espletato, a suo tempo ammessi con riserva in assenza dei prescritti requisiti di servizio.
Dalle graduatorie di tale corso concorso, così rideterminate, si è disposto di attingere, fino al loro esaurimento (art 3-bis del D.L. 30 giugno 2005, n. 115, convertito dalla legge 17 agosto 2005, n. 168) per la copertura di posti vacanti all’inizio dell’anno scolastico 2006-2007.
L’articolo 1-bis del D.L. 5 dicembre 2005, n. 250, convertito dalla legge 3 febbraio 2006, n. 27, ha adeguato la disciplina delle scuole non statali recata dal D.Lgs 297/1994 (Testo unico in materia di istruzione, Parte II, Titolo VIII) alle disposizioni sulla parità scolastica introdotte dalla legge 62/2000; pertanto le diverse tipologie di scuole non statali previste dal citato D.Lgs. sono ricondotte alle due tipologie individuate dalla legge 62/2000 e cioè: scuole paritarie riconosciute e scuole non paritarie. L’articolo reca inoltre nuove prescrizioni sulle scuole paritarie; definisce le caratteristiche delle scuole non paritarie e procede alla contestuale abrogazione o viceversa alla precisazione del campo di applicazione di alcune norme del TU. L’art.1-sexies del medesimo D.L. n. 250 del 2005 ha poi provveduto alla trasformazione in fondazioni degli istituti di educazione femminile denominati Conservatori della Toscana.
Si ricordano, infine, alcune proposte di iniziativa parlamentare che hanno impegnato la Commissione nel corso della legislatura, senza tuttavia concludere l’iter parlamentare. In particolare, merita segnalare le proposte di riforma degli organi collegiali della scuola (A.C. 774 e abb.) che recano una disciplina complessiva di tali organismi, la definizione di principi fondamentali in materia di diritto allo studio e parità scolastica (A.C. 2123 e abb.), nonché le proposte di riforma dello stato giuridico dei docenti scolastici (A.C. 4091 e abb.). In merito a queste ultime, volte ad introdurre un’articolazione della carriera docente, si è svolto un ampio dibattito, soprattutto con riferimento al rispetto delle prerogative sindacali e dei vigenti strumenti contrattuali nonché alla possibilità di prevedere per i docenti un’area di contrattazione autonoma.
Il sistema universitario è stato recentemente oggetto di una ridefinizione ad opera della legge 4 novembre 2005, n. 230 recante nuove disposizioni concernenti i professori e i ricercatori universitari e delega al Governo per il riordino del reclutamento dei professori universitari, volto a modificare l’attuale stato giuridico attraverso un articolato sistema dispositivo che va dal reclutamento dei docenti alla struttura dei diritti e dei doveri fino alla tipologia dei rapporti di lavoro. Un intervento legislativo di riforma dell’università era stato peraltro sollecitato dalla 7a Commissione Istruzione del Senato nel corso del dibattito in merito all’affare assegnato su questioni afferenti il sistema universitario italiano, conclusosi il 6 ottobre 2004, con l’approvazione, all’unanimità, di una risoluzione (Doc. XXIV/13).
Le linee principali del provvedimento possono essere così sintetizzate:
§ introduzione dell’idoneità scientifica nazionale, in sostituzione del sistema di reclutamento previsto dalla legge 3 luglio 1998, n. 210[231], che aveva affidato alle università la competenza ad espletare le procedure concorsuali; merita segnalare che la legge contiene disposizioni transitorie relative al personale in servizio, che prevedono riserve di posti a favore di alcune categorie nelle prime tornate.
§ introduzione di un nuovo sistema di reclutamento dei ricercatori attraverso contratti a tempo determinato, ferma restando la validità delle procedure concorsuali vigenti fino al 30 settembre 2013;
§ individuazione di modalità alternative di reclutamento (nomina in ruolo di studiosi di chiara fama, contratti di diritto privato a tempo determinato, istituzione temporanea di posti di professori nell’ambito di programmi di ricerca sulla base di convenzioni con soggetti pubblici o privati);
§ attivazione di forme di convenzionamento per realizzare programmi di ricerca affidati a professori universitari.
Ai ricercatori, agli assistenti del ruolo ad esaurimento e ai tecnici laureati che hanno svolto tre anni di insegnamento nonché ai professori incaricati stabilizzati è attribuito il titolo di professore aggregato, qualora ad essi siano affidati corsi e moduli curriculari e solo per il periodo di durata degli stessi; ai medesimi possono essere altresì affidati compiti di tutorato e di didattica integrativa.
Un altro intervento significativo ha riguardato il completamento della riforma dei percorsi didattici (il cosiddetto 3+2) avviato nella XIII legislatura. Il D.M. 22 ottobre 2004, n. 270, ha sostituito il D.M. 3 novembre 1999, n. 509,recante norme sull’autonomia didattica degli atenei, senza peraltro compromettere l’architettura di sistema riassumibile nella citata formula del “3 + 2”.Il D.M. n. 509 del 1999 aveva definito - in attuazione dell’articolo 17, co. 95,della legge 15 maggio 1997, n. 127, (il quale aveva posto le basi della riforma degli ord.inamenti didattici e della tipologia dei corsi, riconoscendo ai singoli atenei l’autonomia nella definizione dei percorsi formativi) - i punti cardine della riforma, dettando i criteri generali per l’ordinamento degli studi universitari e determinando la nuova articolazione dei corsi e dei titoli.
Questi ultimi risultano così definiti:
· la laurea, triennale, volta a garantire un’adeguata padronanza di metodi e contenuti scientifici generali, nonché l’acquisizione di specifiche conoscenze professionali; nell’ambito di tale livello, si ricorda che il D.M. 270/2004 ha introdotto un percorso di base comune per gli studenti del primo anno e la possibilità di prevedere in seguito, nella medesima classe di laurea, oltre ad un percorso metodologico, un percorso professionalizzante (cosiddetto percorso a Y);
· la laurea magistrale,finalizzata ad una formazione di livello avanzato per l’esercizio di attività di elevata qualificazione in ambiti specifici; il titolo è conseguibile dopo la laurea attraverso l’acquisizione di 120 crediti formativi, e comunque previo accertamento del possesso di specifici requisiti curricolari determinati autonomamente dagli atenei.
Una prima attuazione del D.M. 270/2004 è stata la definizione di una classe di laurea magistrale a ciclo unico per le professioni legali con un percorso unitario quadriennale, successivo all’anno di base (D.M. 25 novembre 2005).
Un’altra modifica ai percorsi universitari discende dalla citata disciplina della formazione iniziale degli insegnanti recata dal D.Lgs. n. 227 del 2005; quest’ultimo dispone infatti che la formazione iniziale si svolga presso corsi di laurea magistrale e corsi accademici di secondo livello istituiti, rispettivamente, dalle università e dalle istituzioni di alta formazione artistica musicale e coreutica.
In relazione alle innovazioni introdotte dal citato D.M. 270/2004, sono poi in corso di emanazione, dopo l’espressione del parere parlamentare, i decreti ministeriali di revisione delle classi di laurea; delle classi di laurea magistrale, (precedentemente denominata laurea specialistica); delle classi delle lauree magistrali sanitarie; delle classi di laurea e di laurea magistrale nel settore delle scienze criminologiche e della sicurezza.
Occorre poi ricordare che l’articolo 1-ter del D.L. n. 7 del 2005, convertito dalla legge n. 43 del 2005, ha dettato nuove norme per la programmazione e valutazione del sistema universitario a partire dal 2006. La nuova disciplina prescrive che le università predispongano annualmente (entro il 30 giugno) piani triennali recanti i corsi di studio da attivare, nel rispetto dei requisiti minimi essenziali in termini di risorse strutturali ed umane; il programma di sviluppo della ricerca scientifica; le azioni per il sostegno dei servizi e degli interventi a favore degli studenti; i programmi di internazionalizzazione; il fabbisogno di personale docente e non docente, ivi compreso il ricorso alla mobilità.
Si segnala che nel corso della legislatura è stata istituita l’Anagrafe nazionale degli studenti e dei laureati (D.L. 9 maggio 2003, n. 105 convertito dalla legge 11 luglio 2003, n. 170); al fine di raccogliere in un unico contesto le informazioni relative ai corsi di laurea attivati nelle università italiane è stata inoltre istituita la Banca dati dell’offerta formativa, come strumento utile agli studenti per orientarsi nella scelta del corso di studio.
Riguardo alla valutazione, si ricorda che con D.M. 28 luglio 2004 è stato approvato il nuovo Modello di Valutazione del Sistema Universitario predisposto dal Comitato nazionale per la valutazione del sistema universitario (CNSVU) ai fini della ripartizione del fondo per il finanziamento ordinario delle università. Il CNSVU ha presentato il Sesto rapporto annuale sullo stato del sistema universitario il 7 settembre 2005.
Si ricordano, infine, alcune proposte legislative volte all’introduzione di un nuovo sistema di valutazione delle università: innanzitutto, nel corsodell’iter parlamentare del ddl di riforma dell’università (ora legge n. 230 del 2005) la Commissione Cultura della Camera, aveva previsto l’istituzione di un’Agenzia nazionale di valutazione. Tale articolo, votato con il sostegno dell’opposizione, è stato poi eliminato nel corso dell’esame in Aula, anche in considerazione del parere negativo della Commissione Bilancio che aveva rilevato possibili nuovi o maggiori oneri non adeguatamente quantificati né coperti. Il ddl finanziaria per il 2006 (A.S. 3616) aveva poi previsto, all’articolo 62, l’istituzione del Consiglio nazionale per la valutazione del sistema universitario e della ricerca. L’articolo, stralciato dal ddl e divenuto ddl A.S. 3613-quinquies “Disposizioni concernenti il sistema nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca scientifica” non è stato poi esaminato dalla Commissione di merito.
Un significativo intervento ha poi riguardato l’accreditamento dei corsi universitari a distanza: la legge finanziaria per il 2003 (art. 26, co. 5 della legge n. 289 del 2002) hainizialmentedefinito i criteri per l’accreditamento dei corsi e delle istituzioni autorizzate al rilascio dei relativi titoli, specificando comunque che non vi fossero oneri per lo Stato; il D.M. 17 aprile 2003 ha poi precisato requisiti e procedura per il riconoscimento di singoli corsi (attivati da università statali e non) nonché di “università telematiche” (denominazione introdotta dallo stesso D.M.). Successivamente l’art. 4 del D.L. 14 marzo 2005, n. 35, convertito dalla legge 14 maggio 2005, n. 80, ha esteso alle università telematiche la disciplina delle università non statali (legge n. 243 del 1991) includendole pertanto tra i soggetti beneficiari dei contributi a favore degli atenei non statali, il cui ammontare è stabilito annualmente nella tabella C della legge finanziaria
Va inoltre ricordato che, ponendo fine ad un prolungato contenzioso amministrativo generato dalla limitazione degli accessi ad alcuni corsi di laurea, la legge 19 novembre 2004, n. 288 ha dettato norme in materia di regolarizzazione delle iscrizioni ai corsi di diploma universitario e di laurea per l’anno accademico 2000-2001.
Nel corso della legislatura sono da segnalare numerosi interventi in favore del diritto allo studio. Il D.L. 25 settembre 2002, n. 212 convertito dalla legge 22 novembre 2002, n. 268 ha autorizzato (articolo 4, comma 2) la spesa di 10 milioni di euro per consentire il pagamento delle borse di studio agli studenti iscritti presso le università e gli istituti superiori non statali legalmente riconosciuti. L’art. 1 del D.L. 9 maggio 2003, n. 105, convertito dalla legge 11 luglio 2003, n. 170, ha disposto lo stanziamento di nuove risorse per il sostegno della mobilità studentesca internazionale, per attività di tutorato, per assegni di ricerca, per la valorizzazione del dottorato di ricerca, nonché per contrastare la c.d. “fuga dei cervelli”. La legge n. 350 del 2003 (legge finanziaria 2004, art. 4, commi da 99 a 103) ha previsto la concessione di prestiti fiduciari agli studenti capaci e meritevoli. Il D.L. 30 giugno 2005, n. 115, convertito dalla legge 17 agosto 2005, n. 168, ha finanziato (articolo 2-bis) la realizzazione di reti di connettività senza fili nelle università e l’acquisto di personal computer da parte degli studenti esonerati da tasse e contributi universitari.
Si segnalano, infine, alcuni specifici interventi di finanziamento a favore dell’Università non statale “Carlo Bo” di Urbino (art. 1 del D.L. 30 giugno 2005, n. 115, convertito dalla legge 17 agosto 2005, n. 168 ); della Scuola di Ateneo per la formazione europea Jean Monnet presso la Seconda Università degli studi di Napoli (articolo 1, comma 278, della legge n. 311 del 2004, legge finanziaria 2005); di due Consorzi interuniversitari per l’alta formazione post laurea (Consorzio di studi avanzati di Roma e “Istituto italiano di scienze umane” di Firenze (art. 1, comma 135, legge 23 dicembre 2005, n. 266) e delle celebrazioni del VII centenario dell’Università degli studi di Roma «La Sapienza» (legge 23 ottobre 2003, n. 287) e del VI centenario dell’Università degli studi di Torino (legge 5 novembre 2004, n. 274).
Nel corso della XIV legislatura si è provveduto all’attuazione della legge 21 dicembre 1999, n. 508; tale norma, nella passata legislatura, aveva riordinato il settoreattribuendo un’autonomia paragonabile a quella delle università (e parimenti fondata sull’art. 33 della Costituzione) agli istituti che ne fanno parte, e cioè: le Accademie di belle arti; l’Accademia nazionale di arte drammatica; gli Istituti superiori per le industrie artistiche; Conservatori di musica, gli Istituti musicali pareggiati (non statali) e l’Accademia nazionale di danza.
L’autonomia di tali strutture rispetto al sistema universitario è assicurata tramite la costituzione presso il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca (MIUR) di un apposito organismo, il Consiglio nazionale per l’alta formazione artistica e musicale (CNAM); composizione e modalità di funzionamento di quest’ultimo sono state recentemente definite dal D.M. 16 settembre 2005, n. 236 (ai sensi dell’art. 3, co. 2, della legge n. 508 del 1999).
La legge di riforma demandava inoltre il concreto riordino degli istituti a regolamenti di delegificazione (ex art. 17, co. 2, L. 400/1988), finalizzati alla definizione dei requisiti di qualificazione didattico-scientifica ed artistica delle istituzioni (anche con riguardo al personale docente); dei requisiti di idoneità delle sedi; dei criteri per la definizione degli ordinamenti didattici dei corsi e della programmazione degli accessi; dei principi per l’adozione degli statuti e per l’esercizio dell’autonomia regolamentare nonché per la programmazione e il riequilibrio dell’offerta didattica (art. 2 della legge).
Nel corso della legislatura il D.P.R. n. 132 del 2003 ha indicato i criteri per l’adozione degli statuti e per l’esercizio dell’autonomia regolamentare; il D.P.R. n. 212 del 2005 ha poi disciplinato gli ordinamenti didattici (basati come nei percorsi universitari sul sistema dei crediti formativi accademici) nonché la tipologia dei titoli di studio, tra i quali si ricordano, per quanto qui interessa, i diplomi accademici di primo e di secondo livello.
Nel frattempo l’art. 6 del D.L. 25 settembre 2002, n. 212, convertito dalla legge 22 novembre 2002, n. 268 aveva provveduto a dettare norme in materia di titoli rilasciati da istituzioni di alta formazione artistica e musicale, con particolare riferimento al valore legale dei titoli conseguiti secondo l’ordinamento previgente alla riforma degli ordinamenti didattici universitari.
Merita infine segnalare che, al fine di favorire l’adeguamento ai nuovi ordinamenti didattici, è stata autorizzata l’assunzione di 916 unità di personale coadiutore e tecnico amministrativo (art. 1-quater del D.L. 5 dicembre 2005, n. 250, convertito dalla legge 3 febbraio 2006, n. 27) ed è stata disposta per l’anno 2007 l’erogazione di 1,5 milioni di euro alle Accademie di belle arti non statali (art. 1-quater del D.L. 31 gennaio 2005, n. 7, convertito dalla legge n. 43 del 31 marzo 2005), finanziate in misura prevalente dagli enti locali.
Con riferimento agli interventi della XIV legislatura, occorre preliminarmente ricordare che l’articolo 1 della legge 6 luglio 2002, n. 137, ha conferito al governo una delega per l’emanazione di decreti legislativi, diretti, tra l’altro, a riordinare e razionalizzare gli interventi per la promozione e il sostegno della ricerca scientifica e tecnologica e gli organismi operanti nel settore. Tale legge ha riaperto i termini di alcune deleghe per la riforma dell’amministrazione centrale e degli enti pubblici nazionali contenute nell’art. 11 della legge 15 marzo 1997, n. 59 (“legge Bassanini 1”).
Secondo quanto emerge dalle linee guida per la politica scientifica e tecnologica del Governo, emanate il 13 marzo 2002 e adottate dal CIPE il 19 aprile 2002, il riordino degli enti di ricerca è volto a utilizzare il patrimonio di conoscenze e di esperienze detenuto dagli enti di ricerca per soddisfare le esigenze di sviluppo del sistema socio-economico.
In attuazione della legge n. 137 del 2002 e sulla base delle linee guida sopra citate sono stati riordinati i seguenti istituti: Consiglio nazionale delle ricerche (C.N.R.), con D.Lgs. del 4 giugno 2003, n. 127; Agenzia spaziale italiana (A.S.I.), con D.Lgs. 4 giugno 2003, n. 128; Istituto nazionale di astrofisica (I.N.A.F.), con D.Lgs. 4 giugno 2003, n. 138; Ente per le nuove tecnologie, l’energia e l’ambiente (ENEA), con D.Lgs. 3 settembre 2003, n. 257; Istituto nazionale di ricerca metrologica (I.N.RI.M.), con D.Lgs. 21 gennaio 2004, n. 38. Con tali decreti legislativi si è tra l’altro disposto: la confluenza nel CNR, dell’Istituto di diritto agrario internazionale e comparato (IDAIC), dell’Istituto nazionale di ottica applicata (INOA) e dell’Istituto nazionale di fisica della materia (INFM); la trasformazione dell’Istituto papirologico «Girolamo Vitelli» in struttura scientifica dell’Università degli studi di Firenze; la confluenza nell’Istituto nazionale di astrofisica (I.N.A.F.) degli istituti di radioastronomia, astrofisica spaziale e di fisica dello spazio interplanetario del CNR; la creazione dell’Istituto nazionale di ricerca metrologica, attuata attraverso lo scorporo dal CNR dell’Istituto Colonnetti e la sua fusione con l’Istituto elettrotecnico nazionale “G. Ferraris”. Tali mutamenti sono ormai operativi con l’adozione dei nuovi regolamenti organizzativi dei singoli enti di ricerca.
S ricorda poi che alcuni provvedimenti di riordino, anche parziale, di enti di ricerca sono stati inseriti all’interno di decreti legge. Sono stati in questo modo disposti: la trasformazione dell’Istituto nazionale per la ricerca scientifica e tecnologica sulla montagna in Istituto nazionale della montagna (D.L. 25 ottobre 2002, n. 236, convertito dalla legge 284/2002); una nuova disciplina per la nomina del consiglio direttivo dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia – INGV (D.L. 31 gennaio 2005, n. 7, convertito dalla legge 43/2005); il riordino dell’Istituto italiano di studi germanici -IISG, finalizzato alla sua trasformazione in ente pubblico di ricerca nazionale, a carattere non strumentale (D.L. 5 dicembre 2005, n. 250, convertito dalla legge 27/2006). Si segnala infine che la legge 23 ottobre 2003, n. 293, ha previsto l’erogazione di un contributo annuo di 1,5 milioni di euro a favore dell’Istituto di studi politici «S. Pio V» e la sua qualificazione come ente di ricerca a carattere non strumentale, pur mantenendo la natura privatistica.
Quanto allo stato di attuazione del D.Lgs. 5 giugno 1998, n. 204, si segnala che il Senato ha svolto al riguardo un’indagine conoscitiva, che ha poi riguardato in generale la politica nel settore della ricerca, il cui documento conclusivo (doc. XVII, n. 26) è stato approvato - dalle sole forze di maggioranza - dalla 7° Commissione Istruzione l’8 febbraio 2006.
In applicazione del richiamato D.Lgs. n. 204 del 1998, il Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca – sulla base delle Linee guida per la politica scientifica e tecnologica del Governo, approvate dal CIPE il 19 aprile 2002 e delle Linee guida per la valutazione della ricerca – ha elaborato il Programma nazionale della ricerca (PNR) per gli anni 2005-2007, che è stato adottato dal CIPE il 18 marzo 2005. Il Programma pone al centro dei suoi interventi i seguenti macro-obiettivi: la qualità della vita (salute, sicurezza, ambiente), la competitività del sistema produttivo, lo sviluppo sostenibile.
Gli interventi volti a sostenere la ricerca hanno riguardato sia finanziamenti ad attività specifiche che misure finalizzate a favorire gli investimenti pubblici e privati nel settore. Quanto ai primi merita segnalare in primo luogo che la legge finanziaria per il 2003 (legge 27 dicembre 2002, n. 289) ha istituito, all’articolo 56, un nuovo Fondo per progetti di ricerca di “rilevante valore scientifico, anche con riguardo alla tutela della salute e all’innovazione tecnologica”. Il D.L. 30 settembre 2003, n. 269 (convertito dalla legge 24 novembre 2003, n. 326), ha istituito la fondazione denominata Istituto Italiano di Tecnologia, con lo scopo di promuovere lo sviluppo tecnologico del Paese e l’alta formazione tecnologica. L’articolo 2 del D.L. 31 gennaio 2005, n. 7 (convertito dalla legge n. 43 del 31 marzo 2005) ha previsto una garanzia per il rimborso del capitale e degli interessi maturati, nel limite di 60 milioni di euro, dalla Società Sincrotronedi Trieste S.p.a. con la Banca europea degli investimenti per la realizzazione del progetto di laser a elettroni liberi. Alla stessa società viene riconosciuto un contributo ordinario per il funzionamento per un importo non inferiore a 14 milioni di euro. Da ultimo, la legge finanziaria 2006 (comma 341), allo scopo di promuovere lo sviluppo della ricerca avanzata nel campo delle biotecnologie e nell’ambito degli accordi di cooperazione scientifica con gli Stati Uniti d’America, autorizza il Presidente del Consiglio dei ministri a costituire una fondazione secondo modalità da quest’ultimo stabilite con proprio decreto.
Per ciò che concerne le agevolazioni fiscali si ricorda innanzitutto che il già citato D.L. 269/2003 ha introdotto alcune misure riguardanti la detassazione degli investimenti in ricerca e sviluppo edelle spese sostenute per stage aziendali destinati a studenti di corsi d’istruzione secondaria o universitaria ed ha previsto incentivi per il rientro in Italia di ricercatori residenti all’estero. In seguito, la legge finanziaria per il 2005 ha incluso tra le spese per le quali possa valere la deducibilità ai fini dell’IRAP i costi sostenuti dalle imprese per il personale addetto alla ricerca e sviluppo. Si segnala, poi, che la legge finanziaria per il 2006 ha previsto la destinazione di una quota, pari al 5 per mille, dell’imposta sui redditi delle persone fisiche alla ricerca scientifica e all’università, nonché alla ricerca sanitaria, oltre che al volontariato e ad attività sociali. La medesima legge finanziaria ha inoltre previsto la totale deducibilità dal reddito delle società (senza alcun limite d’importo) per i fondi trasferiti per il finanziamento della ricerca a favore di atenei, fondazioni universitarie, istituzioni universitarie pubbliche, enti di ricerca pubblici o sottoposti a vigilanza ministeriale, fondazioni e associazioni riconosciute, aventi per oggetto statutario lo svolgimento o la promozione di attività di ricerca scientifica.
Occorre, infine, ricordare che su incarico del Ministro dell’istruzione, università e ricerca, il Comitato di indirizzo per la valutazione della ricerca (CIVR) ha elaborato le Linee guida per la valutazione della ricerca. L’esercizio di valutazione, avviato con il D.M. 16 dicembre 2003, ha una valenza triennale ed è rivolto alla valutazione della produzione scientifica di università ed enti di ricerca, finanziati dal MIUR nel periodo 2001-2003. Il 26 gennaio 2006 il CIVR ha presentato i risultati del primo esercizio nazionale di Valutazione Triennale della Ricerca (VTR) 2001-2003.
Le modifiche alla disciplina degli strumenti di sostegno per la ricerca applicata e l’innovazione tecnologica intervenute nel corso della legislatura, da un lato hanno ampliato l’ambito di intervento dei due Fondi già esistenti (il Fondo speciale rotativo per l’innovazione tecnologica –FIT-[232] e il Fondo per le agevolazioni alla ricerca –FAR-[233]), dall’altro hanno previsto la destinazione ad attività di ricerca e sviluppo delle imprese di una quota pari almeno al 30% delle risorse di un nuovo strumento, il Fondo rotativo per il sostegno alle imprese e agli investimenti in ricerca[234].
Si segnala infine che il decreto-legge 10 gennaio 2006, n. 3, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 febbraio 2006, n. 78, ha recepito la direttiva 98/44/CE in materia di protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche, ponendo fine ad un contenziosocon le istituzioni dell’Unione europea. La finalità della direttiva, adottata dopo un dibattito decennale, è quella di armonizzare, nella prospettiva della libera circolazione dei brevetti biotecnologici nel mercato unico, la normativa sulla protezione delle invenzioni biotecnologiche, anche in relazione alla crescente importanza che sta assumendo il mercato europeo delle biotecnologie.
Il 6 aprile 2005 la Commissione ha presentato la proposta di decisione relativa al Settimo programma quadro di attività comunitarie di ricerca, sviluppo tecnologico e dimostrazione (2007-2013) (COM(2005)119), considerato strumento fondamentale ai fini dell’attuazione di uno degli obiettivi prioritari dell’UE: incrementare il potenziale di crescita economica e rafforzare la competitività europea investendo nella conoscenza, l’innovazione e il capitale umano.
Il programma è articolato in quattro programmi specifici che corrispondono ai quattro obiettivi fondamentali della politica europea di ricerca:
§ cooperazione, inteso a promuovere la cooperazione tra università, imprese, centri di ricerca ed enti pubblici;
§ idee, inteso ad istituire un Consiglio europeo della ricerca;
§ persone, mirato ad aumentare le risorse umane disponibili per la scienza e la ricerca;
§ capacità, inteso a rafforzare le capacità di ricerca e innovazione in Europa.
La dotazione finanziaria per il 2007-2013 è pari a più di 73 miliardi di euro (si veda il paragrafo Prospettive finanziarie e risorse proprie dell’Unione europea 2007-2013 riportato nell’area tematica Bilancio dello Stato; il sesto programma attualmente in corso (2003-2006) ha una dotazione di 17,5 miliardi di euro pari al 3,9% del bilancio dell’Unione europea.
Il 22 febbraio 2006 la Commissione ha adottato una comunicazione (COM(2006)77) con la quale propone al Consiglio europeo di creare un Istituto europeo di tecnologia (EIT), destinato a divenire un nuovo polo d’eccellenza nell’ambito della ricerca e dell’innovazione.
Le attività saranno finanziate da fonti diverse: dall’UE, dagli Stati membri e dal mondo imprenditoriale.
La Commissione presenterà, entro il 2006, la proposta di uno strumento giuridico per l’istituzione dell’EIT, che sia idoneo a conferirgli una propria personalità giuridica e ad assicurarne l’autonomia.
Il 30 settembre 2005 la Commissione europea ha presentato la comunicazione “2010: le Biblioteche digitali” (COM(2005) 465) con cui pone le basi per la realizzazione di una Biblioteca digitale europea, definita nell’ambito del quadro strategico i2010 (società europea dell’informazione 2010) (COM(2005) 229).
Le biblioteche digitali sono raccolte organizzate di contenuti digitali (materiale digitalizzato o materiale già in origine in formato digitale) realizzate per rendere il patrimonio culturale europeo più accessibile grazie all’uso di nuove tecnologie.
Una consultazione pubblica sulla comunicazione, conclusa il 20 gennaio 2006, ha fornito gli elementi in base ai quali la Commissione presenterà, entro il 2006, una proposta di raccomandazione sulla digitalizzazione e la conservazione digitale e proporrà altre iniziative, quale il riesame del quadro relativo ai diritti d’autore nel contesto delle biblioteche digitali.
I processi normativi che hanno interessato nella XIV legislatura il settore dei trasporti nelle sue diverse varianti (trasporto ferroviario, trasporto aereo, trasporto stradale, trasporto marittimo) sono stati in gran parte attivati dall’esigenza di adeguamento alla normativa europea.
La disciplina del trasporto ferroviario è stata oggetto di un processo di revisione organico, volto a sviluppare l’apertura del mercato alla concorrenza, a garantire l’accesso equo e non discriminatorio alle infrastrutture e l’utilizzo ottimale delle stesse, nonché a promuovere la sicurezza secondo standard e criteri di controllo comuni in ambito europeo.
Il processo di revisione è stato in parte attuato attraverso il decreto legislativo 8 luglio 2003 n. 188, intervenuto in attuazione delle direttive comunitarie 2001/12/CE, 2001/13/CE, 2001/14/CE(c.d. “pacchetto infrastruttura”), che ha ridefinito aspetti assai rilevanti del settore, in particolare attinenti alla gestione dell’infrastruttura ferroviaria nazionale ed all’accesso ad essa. Con tale provvedimento è stato innovato il quadro normativo, con particolare riferimento alle licenze delle imprese ferroviarie, ai diritti per l’utilizzo dell’infrastruttura, all’ampliamento dell’accesso all’infrastruttura ferroviaria, definendo in maniera più articolata e dettagliata le caratteristiche di indipendenza e i compiti del gestore dell’infrastruttura, anche con riguardo al certificato di sicurezza degli operatori del trasporto ferroviario, ed individuando l’autorità nazionale di regolazione del settore (Ministero delle infrastrutture e dei trasporti).
Con il decreto legislativo n. 268/2004 è stata data attuazione alla direttiva 2001/16/CE concernente l’interoperabilità del sistema ferroviario transeuropeo convenzionale, che ha “completato” il “pacchetto infrastruttura”. Il provvedimento ha come finalità quella di stabilire le condizioni che permettano di realizzare l’interoperabilità del sistema ferroviario nazionale convenzionale con il sistema ferroviario transeuropeo convenzionale[235].
Per quanto concerne l’evoluzione della disciplina europea, occorre segnalare che il Parlamento europeo e il Consiglio dell’Unione europea hanno approvato, in data 29 aprile 2004, il secondo pacchetto ferroviario, nell’ambito del quale sono previste specifiche modifiche alle direttive sull’interoperabilità, essenzialmente per renderle coerenti con le altre misure del secondo pacchetto, in particolare quelle sulla sicurezza e sulla costituzione dell’Agenzia ferroviaria europea, nonchè per rispondere all’esigenza di realizzare l’interoperabilità sull’intera rete in coincidenza con l’ulteriore apertura del mercato alla concorrenza. All’attuazione delle direttive contenute nel pacchetto è stato delegato il Governo che - ai sensi dell’articolo 1 della legge comunitaria per il 2005 (legge 25 gennaio 2006 n. 29) – dovrà provvedervi entro il termine di diciotto mesi dalla data di entrata in vigore della legge.
In materia di trasporto ferroviario, occorre, altresì, segnalare che sono stati esaminati nel corso della XIV legislatura i quattro addendumal contratto di programma 2001-2005 tra Ferrovie dello Stato S.p.a e lo Stato. Il contratto di programma è uno strumento finalizzato – ai sensi dell’articolo 4, comma 4, della legge 538/1993 (legge finanziaria 1994) – a regolare, insieme con il contratto di servizio pubblico, i rapporti tra lo Stato e le società Ferrovie dello Stato per ciò che concerne gli oneri di gestione dell’infrastruttura posti a carico dello Stato e gli investimenti per lo sviluppo ed il mantenimento in efficienza della rete. I quattro addendum hanno provveduto ad aggiornare gli oneri e gli investimenti previsti nel contratto di programma e a ripartire le maggiori risorse apportate al capitale sociale di Ferrovie dello Stato S.p.a. dalle diverse leggi finanziarie[236].
Il settore dell’aviazione civile è stato oggetto di una lunga riflessione parlamentare, a partire dall’esame, iniziato nel 2001, dei progetti di legge recanti la riforma del sistema del trasporto aereo: il testo adottato dalla IX Commissione (Trasporti, poste e telecomunicazioni), sul quale non è stato concluso l’esame, si proponeva, anche a seguito dell’indagine conoscitiva sulla sicurezza del trasporto aereo, svoltasi successivamente al tragico incidente di Linate, di ridefinire l’assetto delle competenze dei soggetti operanti nel settore, allo scopo di garantire trasporti aerei efficienti e sicuri. A tale scopo il testo disponeva un’ampia modifica del vigente codice della navigazione, limitatamente alla parte aeronautica. Il riassetto delle competenze si ispirava - sulla base della più recente normativa comunitaria (pacchetto c.d. “Single Sky”) e degli orientamenti dell’ICAO[237] - al principio di separazione tra le funzioni di regolamentazione, di certificazione e di controllo e quelle di fornitura dei servizi.
Alcuni aspetti del testo adottato dalla Commissione sono poi stati resi operativi dal decreto legge n. 273/2004[238] e dal decreto legislativo n. 96/2005[239], emanato in attuazione della delega al Governo per la revisione della parte aeronautica del codice della navigazione, disposta con l’articolo 2 della legge n. 265 del 2004 recante la conversione del citato decreto legge. I provvedimenti richiamati si concentrano sulla revisione dell’assetto di competenze in capo ai vari soggetti del settore, ridefinendo, in particolare, il ruolo dell’ENAC come autorità di regolamentazione tecnica, di certificazione e di controllo. Tra le novità vanno altresì segnalati la valorizzazione del ruolo del gestore aeroportuale, cui sono attribuiti anche compiti di coordinamento e di controllo, soggetto a certificazione e a verifiche sul mantenimento dei necessari requisiti, la disciplina delle relative concessioni, il ruolo dell’ENAV come soggetto certificato, fornitore di servizi di navigazione aerea, al quale competono anche poteri di controllo in ordine alla movimentazione degli aeromobili sull’area di manovra e sui piazzali.
Nell’ambito dell’aviazione civile, in una prospettiva più generale che consideri misure ed interventi di sostegno al trasporto aereo, occorre segnalare i decreti-legge:
§ che hanno previsto misure in favore di Alitalia s.p.a.: aumento del capitale sociale della società (D.L. 15 aprile 2002, n. 63); garanzia dello Stato - in relazione ad un insieme di condizioni - per finanziamenti assunti da Alitalia (c.d. prestito ponte), misura autorizzata dalla Commissione europea, sulla base della disciplina degli aiuti di Stato destinati al salvataggio di imprese in difficoltà(D.L. 24 giugno 2004, n. 159).
§ che hanno introdotto - all’indomani degli attentati dell’11 settembre 2001, sulla base di atti di indirizzo adottati dagli organi europei - la garanzia dello Stato per la copertura assicurativa in favore delle imprese nazionali di trasporto aereo e di gestione aeroportuale per i rischi derivanti da atti di guerra e di terrorismo (D.L. 20 settembre 2001, n. 354; D.L. 27 dicembre 2001, n. 450; D.L. 28 marzo 2002, n. 45; D.L. 1° giugno 2002, n. 105; D.L. 31 ottobre 2002, n. 244)[240].
In un’ottica di sostegno al trasporto aereo si inseriscono anche le disposizioni in materia aeroportuale recate dal D.L. 30 settembre 2005, n. 203[241] che ha tra l’altro introdotto misure di efficientamento del servizio di assistenza al volo fornito da ENAV spa finalizzate a riflettersi in un beneficio tendenziale per i vettori aerei, in termini di minori costi.
Nel trasporto stradale, la XIV legislatura è stata caratterizzata da numerosi interventi che si inseriscono nel processo di revisione del codice della strada volto, tra l’altro, ad incrementare la sicurezza stradale.
Oltre al D.Lgs. n. 9/2002, con cui è stata parzialmente esercitata la delega contenuta nella legge n. 85/2001[242] (e che ha riguardato in particolare i limiti di velocità, la “patente a punti”, il “patentino” per la guida dei ciclomotori, le sanzioni in caso di guida sotto l’influenza dell’alcool o di sostanze stupefacenti), sono, in particolare, da ricordare il D.L. 20 giugno 2002, n. 121 che ha previsto, tra l’altro, l’obbligatoria accensione degli anabbaglianti in autostrada, l’obbligo dell’uso dell’auricolare nel caso di utilizzo del cellulare in automobile, la possibilità di impiego di dispositivi finalizzati al rilevamento a distanza delle violazioni (autovelox), l’abbassamento del tasso alcoolemico determinante ai fini della guida in stato di ebbrezza, nonché il D.L. 27 giugno 2003, n. 151, che è intervenuto su un ampio complesso di disposizioni, inerenti la sicurezza della circolazione stradale, tra le quali si ricordano, in specie, le norme relative alla guida dei ciclomotori, alle decurtazioni del punteggiodella “patente a punti”, all’utilizzo degli anabbaglianti in tutte le strade extraurbane anche durante il giorno, ai controlli concernenti l’abuso di alcool o di sostanze stupefacenti da parte del conducente; tale decreto-legge ha poi previsto un inasprimento delle sanzioni per numerose fattispecie considerate particolarmente rilevanti sotto il profilo della sicurezza.
Successivamente, il D.L. 30 giugno 2005, n. 115 (articolo 5) è intervenuto in materia di ciclomotori, in particolare sulla targatura, sul certificato di idoneità alla guida dei ciclomotori (c.d. patentino)[243], nonché sulle sanzioni accessorie conseguenti alle violazioni del codice della strada (sequestro, fermo e confisca del mezzo) e prevedendo un generale inasprimento delle sanzioni accessorie in caso di violazioni che comportino la morte di altre persone (revoca della patente).
L’entrata in vigore di alcune delle modifiche al codice della strada è stata più volte differita da ulteriori decreti legge (D.L. 236/2002; D.L. 355/2003, D.L. 266/2004, D.L. 273/2005).
Da ultimo, occorre ricordare il D.L. 19 ottobre 2005, n. 184 – poi decaduto per mancata conversione – recante misure urgenti in materia di guida dei veicoli e patente a punti. In particolare, il decreto legge risultava inizialmente composto di un solo articolo recante modifiche al comma 2 dell’articolo 126-bis del codice della strada in materia di patente a punti, al fine di adeguare la normativa alla sentenza della Corte costituzionale n. 27 del 2005 che ne aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale in una parte[244]; durante l’esame del provvedimento al Senato erano state introdotte ulteriori disposizioni incidenti sul codice della strada.
Nell’ambito del trasporto stradale, si inseriscono, altresì, i seguenti provvedimenti :
§ la legge 1° marzo 2005, n. 32, che ha recato una delega al Governo per il riassetto normativo del settore dell’autotrasporto di persone e cose con riferimento a tre aree di intervento: servizi automobilistici interregionali di competenza statale; liberalizzazione regolata dell’attività di autotrasporto, e contestuale raccordo con la disciplina delle condizioni e dei prezzi dei servizi di autotrasporto merci per conto terzi; organizzazione e funzioni delle strutture e degli organismi pubblici operanti nel settore dell’autotrasporto merci. Sulle tre aree di intervento sono intervenuti, rispettivamente, i decreti legislativi 21 novembre 2005, nn. 285, 286 e 284. La legge delega e i decreti legislativi attuativi risultano dettati dall’esigenza di riordino delle normative e di loro adeguamento alla disciplina comunitaria, in un’ottica di mercato aperto e concorrenziale, dall’esigenza di salvaguardia della concorrenza fra le imprese operanti nei settori dell’autotrasporto di merci e dell’autotrasporto di viaggiatori, di tutela della sicurezza della circolazione e della sicurezza sociale, nonché di coordinamento con la normativa comunitaria in materia di qualificazione iniziale e formazione periodica dei conducenti di taluni veicoli stradali adibiti al trasporto di merci o passeggeri, e con l’apparato sanzionatorio di cui all’articolo 126-bis del codice della strada in materia di patente a punti;
§ la legge 11 agosto 2003, n. 218 che ha disciplinato l’attività di trasporto di viaggiatori effettuato mediante noleggio di autobus con conducente, che non aveva trovato specifica regolamentazione nell’ordinamento nazionale. La legge - che individua le caratteristiche di tale attività ed i requisiti per il suo svolgimento - riconosce un ruolo centrale alle regioni nella regolamentazione del settore, introducendo una serie di norme volte a superare la dimensione comunale della fase autorizzatoria e ad affidare alle regioni le competenze per quanto concerne il rilascio e il rinnovo delle autorizzazioni, l’accertamento periodico dei requisiti richiesti dalla legislazione comunitaria e nazionale, la tenuta dei registri regionali delle imprese.
In materia di trasporto pubblico locale, nel corso della XIV legislatura è stato avviato l’esame di diverse proposte di legge recanti modifiche e integrazioni alla disciplina prevista dal D.Lgs. 422/1997[245], in particolare relative al regime transitorio ivi previsto, in vista dell’affidamento dei relativi servizi mediante procedure concorrenziali. Nonostante l’iter parlamentare di tali proposte non si sia concluso, parte del contenuto del testo unificato trasmesso all’Assemblea[246] è confluito nell’articolo 1, commi 393-394, della legge finanziaria per il 2006 (legge n. 266/2005) che – modificando il D.Lgs. 422/1997 - ha prorogato al 31 dicembre 2006 il termine finale del periodo nel corso del quale vi è la possibilità di mantenere tutti gli affidamenti agli attuali concessionari e alle società derivanti dalla trasformazione delle aziende speciali e dei consorzi, pur con l’obbligo di affidamento di quote di servizio o di servizi speciali mediante procedure concorsuali: trascorso il periodo transitorio, tutti i servizi vengono affidati esclusivamente tramite le procedure concorsuali.
Sulla base delle disposizioni introdotte nel D.Lgs. 422/1997 dalla legge finanziaria, le regioni possono disporre un’eventuale proroga dell’affidamento, fino a un massimo di due anni[247], in favore dei soggetti che soddisfino – entro il termine del periodo transitorio del 31 dicembre 2006- una delle condizioni espressamente indicate dalla disposizione introdotta.
Nel corso della XIV legislatura, la normativa in materia portuale è stata al centro di un’ indagine conoscitiva sull’assetto del settore portuale finalizzata a individuare gli aspetti nevralgici della legge n. 84 del 1994[248] recante riordino della legislazione in materia portuale, al fine di superare le criticità registrate nel settore e di apportare tutti i possibili miglioramenti.
Dagli elementi conoscitivi acquisiti e dalle audizioni svolte nel corso dell’indagine è emersa l’esigenza di un aggiornamento e non di una modifica complessiva della legge n. 84, vista la positiva impostazione generale della stessa. Infatti, dopo dieci anni dall’entrata in vigore, si è registrata la necessità di adeguare il tessuto normativo alle nuove esigenze del settore con particolare riferimento alla crescente globalizzazione ed alla più marcata integrazione comunitaria dei traffici via mare: da qui l’esigenza prioritaria di interventi volti ad un effettivo rilancio del settore - con il coinvolgimento di tutti i soggetti coinvolti - per riuscire a rispondere al meglio alle nuovo sfide connesse alla valorizzazione, anche in ambito europeo, delle autostrade del mare e del ruolo che l’economia marittima in generale - e in particolare lo sviluppo dei traffici portuali – possono svolgere nel contesto nazionale ed internazionale.
In tale ottica, possono essere lette la disposizione di cui al comma 2 dell’articolo 36 della legge 166/2002 (c.d. collegato infrastrutture) che ha autorizzato ulteriori limiti di impegno quindicennali per il proseguimento del programma di ammodernamento e riqualificazione delle infrastrutture portuali, nonché la disposizione di cui all’articolo 14, comma 2, del D.L. 115/2005 volta ad escludere la spesa per investimenti dalle limitazioni delle spese nei bilanci delle Autorità portuali disposte con la legge finanziaria per il 2005 (legge n. 311 del 2004).
Nell’ambito del dibattito sull’attuazione della legge n. 84 del 1994, la problematica relativa alla nomina dei presidenti e degli organi delle Autorità portuali - disciplinata dall’articolo 8 della legge n. 84 del 1994 - ha assunto una particolare rilevanza. Sul punto, è intervenuto, dapprima, il D.L. 136/2004 (articolo 6) che ha introdotto all’articolo 8 il comma 1-bis recante una procedura volta a superare il mancato raggiungimento dell’intesa con la regione interessata - prevista dal comma 1 – e quindi ad evitare il ricorso alla nomina di commissari straordinari nel caso in cui l’intesa non venga raggiunta. Successivamente – anche a seguito degli interventi del Consiglio di Stato e della Corte costituzionale in merito alla corretta applicazione della nuova disciplina e agli eventuali elementi di ambiguità delle norme[249] - il D.L. 6/2006 ha introdotto all’articolo 8 un ulteriore comma, a norma del quale il Governo promuove, in sede di Conferenza unificata, un’intesa con le regioni, le province autonome e le autonomie locali, finalizzata a: definire le procedure di individuazione dei candidati da inserire nella terna degli esperti prevista al comma 1, nonché a individuare un iter procedimentale per il raggiungimento dell’intesa tra il Ministro e la regione interessata necessaria per la nomina del Presidente, in un ottica di leale collaborazione tra organi dello Stato.
Con riferimento alla tutela della sicurezza nel trasporto marittimo, va segnalata la legge 9 gennaio 2006, n. 13 che, nata da iniziative parlamentari provenienti da esponenti di quasi tutti i gruppi parlamentari, ha come finalità - in conformità alla politica comunitaria sulla sicurezza dei mari e agli obiettivi di politica ambientale – quella di limitare le conseguenze dei sinistri marittimi in cui sono coinvolte navi cisterna, di promuovere l’uso di navi cisterna ad alto livello di protezione, dotate dei più elevati standard di sicurezza. La legge reca disposizioni per promuovere l’ammodernamento della flotta, con particolare riferimento alle unità navali destinate al servizio di trasporto pubblico locale, e sostiene la promozione della ricerca in campo navale, quali elementi determinanti per la sicurezza della navigazione e la salvaguardia della vita umana in mare.
Nell’ambito del trasporto marittimo si inserisce, altresì, la legge 8 luglio 2003, n. 172 recantedisposizioni per il riordino e il rilancio della nautica da diporto[250] e del turismo nautico, che ha modificato ed integrato la relativa disciplina contenuta per lo più nella legge 50/1971 con l’obiettivo di armonizzare la disciplina interna con quella europea, semplificare e snellire le procedure amministrative legate al diporto e alleggerire il carico fiscale; il legislatore ha inoltre voluto introdurre alcuni elementi di novità al fine di rendere il sistema nautico italiano più competitivo e creare le premesse per uno sviluppo duraturo del mercato interno. L’articolo 6 della legge ha delegato il Governo ad adottare un decreto legislativo recante il codice delle disposizioni legislative sulla nautica da diporto, adottato con decreto legislativo 18 luglio 2005, n. 171. Il codice si ispira a criteri di semplificazione e snellimento di tutte le procedure, in particolare, di quelle relative alla progettazione, costruzione e commercializzazione di imbarcazioni e unità da diporto nel rispetto delle norme comunitarie e con particolare attenzione ai livelli di sicurezza. Tra le novità del provvedimento, si possono segnalare l’istituzione della figura del mediatore, la previsione di iniziative volte al potenziamento dell’educazione marinara e alla diffusione della cultura nautica anche nelle scuole, la previsione di un successivo regolamento che rechi tra l’altro la disciplina relativa ai titoli abilitativi per il comando, la condotta e la direzione nautica delle unità da diporto, ivi compresa l’introduzione di nuovi criteri in materia di requisiti fisici per il conseguimento della patente nautica, in particolare per le persone disabili, e l’organizzazione dello sportello telematico del diportista ai fini della semplificazione burocratica delle procedure.
Il 20 luglio 2005 la Commissione ha presentato una serie di misure intese a favorire lo sviluppo delle reti transeuropee di trasporto:
§ una comunicazione (SEC(2005)965) che traccia un quadro dell’attuazione delle reti TEN e prospetta una serie di misure volte a dare un nuovo impulso alla realizzazione delle infrastrutture TEN tra cui l’istituzione di un gruppo di pilotaggio per favorire la coerenza delle politiche per lo sviluppo delle reti transeuropee;
§ un progetto di decisione per il conferimento a 6 coordinatori europei di un mandato per facilitare l’attuazione di 5 progetti prioritari e di un progetto orizzontale a tutte le reti TEN (C 2754) con cui la Commissione intende assicurare l’avanzamento dei lavori di importanti progetti per la cui realizzazione si sono registrate forti difficoltà;
§ un progetto di decisione per l’istituzione dell’Agenzia esecutiva europea per la Rete transeuropea dei trasporti (COM(2005)1011), incaricata dell’esecuzione dei progetti e della concessione dei contributi comunitari.
Il 20 luglio 2005 la Commissione ha presentato una proposta riveduta di regolamento riguardante i servizi pubblici di trasporto viaggiatori per strada e per ferrovia (COM(2005)319) che mira, tra l’altro, a precisare e rendere più trasparenti le condizioni per il versamento di compensazioni agli operatori per gli oneri di servizio pubblico connessi ai servizi di trasporto da essi effettuati.
Con la proposta, che riformula quella originaria del 2000 (COM(2000)7), la Commissione cerca, anche alla luce degli ultimi sviluppi giurisprudenziali (sentenza Altmark) e del Libro bianco sui servizi d’interesse generale (COM(2004)374), di riconciliare le posizioni del Parlamento europeo, espresse in prima lettura nel 2001, e del Consiglio, che ha bloccato la discussione del dossier per cinque anni, a causa dei forti contrasti sorti al suo interno. La proposta, che segue la procedura di codecisione, sarà esaminata dal Consiglio Trasporti nella prossima riunione del 8-9 giugno 2006.
Il “terzo pacchetto ferroviario”, presentato dalla Commissione il 3 marzo 2004con lo scopo di completare il quadro legislativo comunitario in materia, intende creare, nel più breve tempo possibile, uno spazio ferroviario europeo integrato, con l’obiettivo di rendere i trasporti per ferrovia più competitivi e attraenti.
Il pacchetto comprende una comunicazione (COM(2004)140), che presenta le nuove azioni proposte dalla Commissione, e quattro proposte relative ad alcuni settori specifici di intervento: una proposta di direttiva in materia di accesso al mercato al mercato ferroviario (COM(2004)139, una proposta di regolamento relativa ai diritti e agli obblighi dei passeggeri nel trasporto ferroviario internazionale (COM(2004)143), una proposta di direttiva relativa alla certificazione del personale viaggiante addetto alla guida di locomotori e treni sulla rete ferroviaria della Comunità (COM(2004)142),una proposta di regolamento relativa alle compensazioni in caso di mancato rispetto dei requisiti di qualità contrattuale applicabili ai servizi di trasporto merci per ferrovia (COM(2004)144).
Il 25 ottobre 2005 il Parlamento europeo ha rigettato quest’ultima proposta nell’ambito della procedura di codecisione. Sulle tre precedenti, che seguono anch’esse la procedura di codecisione, il Consiglio ha raggiunto, nella riunione del 5 dicembre 2005, un accordo politico in vista dell’adozione di una posizione comune in prima lettura.
La Commissione ha presentato il 10 febbraio 2006 una comunicazione (COM(2006)74) con cui ha tracciato un bilancio intermedio del programma di azione sulla sicurezza stradale, valido per il periodo 2003-2010 (COM(2003)311).
Il 22 settembre 2005 la Commissione ha presentato una proposta di regolamento (COM2005)429) che istituisce norme comuni per la sicurezza dell’aviazione civile, finalizzata alla sostituzione del regolamento (CE) n. 2320/2002, attualmente in vigore e adottato dopo gli attentati dell’11 settembre 2001, con un nuovo strumento normativo ispirato ai criteri di semplificazione, armonizzazione e chiarezza.
La proposta, che segue la procedura di codecisione, è stata esaminata il 27 marzo dal Consiglio che ha concordato un orientamento generale in vista di un accordo politico. Il Parlamento europeo potrebbe esaminare la proposta in prima lettura nella sessione plenaria del 14 giugno 2006.
Il 23 novembre 2005 la Commissione ha presentato il terzo pacchetto di misure legislative per la sicurezza marittima dell’Unione europea(COM2005)585), recante sette proposte legislative intese al conseguimento di due obiettivi principali: una migliore prevenzione degli incidenti e dell’inquinamento e un più efficiente trattamento delle conseguenze degli incidenti.
Il “pacchetto” comprende una proposta di regolamento sulla responsabilità dei vettori che trasportano passeggeri via mare e per vie navigabili interne in caso di incidente (COM(2005)592) e proposte di direttiva relative al rispetto degli obblighi dello Stato di bandiera (COM(2005)586), agli organi che effettuano le ispezioni e le visite di controllo delle navi (COM(2005)587), al controllo da parte dello Stato di approdo (COM(2005)588), all’istituzione di un sistema comunitario di monitoraggio del traffico navale e d’informazione (COM(2005)589), alle inchieste sugli incidenti nel settore del trasporto marittimo (COM(2005)590) e alla responsabilità civile degli armatori (COM(2005)593).
Le proposte, che seguono la procedura di codecisione, potrebbero essere esaminate in prima lettura dal Parlamento europeo nella sessione del 14 novembre 2006. Il Consiglio potrebbe esaminare la proposta di direttiva relativa all’istituzione di un sistema comunitario di monitoraggio del traffico navale e d’informazione (COM(2005)589) nella riunione dell’8 giugno 2006.
Nel corso della precedente legislatura, per quanto riguarda la tutela della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro, è proseguito il processo di recepimento, tramite decreti legislativi, delle direttive comunitarie in materia, sia attraverso il progressivo e costante aggiornamento dell’attuale testo fondamentale in materia, il D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626 (per quanto riguarda i rischi da atmosfere esplosive e da agenti chimici, le prescrizioni di sicurezza per lavori in quota, la sicurezza per i lavoratori addetti ai videoterminali), sia talvolta con autonomi provvedimenti legislativi complementari al D.Lgs. n. 626/1994 (in materia di rischi da esposizione all’amianto, ai rumori, alle vibrazioni e di attrezzature di lavoro). L’impatto della disciplina comunitaria, con particolare forza a seguito dell’introduzione nel Trattato dell’Unione europea dell’articolo 118-A (attuale articolo 137), ha portato ad una profonda trasformazione della normativa applicabile alle diverse attività produttive e della sua ispirazione di fondo, con l’emergere in primo piano di una logica basata sulla prevenzione degli infortuni (piuttosto che sulla tutela risarcitoria del lavoratore), che si esplica attraverso un’attività informativa e formativa cui i lavoratori e gli imprenditori sono chiamati a partecipare e collaborare attivamente.
Il completamento del quadro normativo ha dovuto considerare anche il nuovo riparto di competenza legislativa tra Stato ed enti territoriali. Si ricorda che il testo dell’articolo 117 della Costituzione introdotto dalla riforma del 2001 ha previsto un nuovo sistema di ripartizione (cd. legislazione concorrente) di funzioni legislative tra Stato e Regioni (e Province autonome) in determinati settori. Tra le materia soggette al regime di legislazione concorrente tra Stato e Regioni vi è anche (articolo 117, terzo comma, della Costituzione) la tutela e sicurezza del lavoro. In base a tale ripartizione di competenze, il recepimento delle direttive comunitarie in materia di tutela e sicurezza del lavoro è in parte anche affidato alle Regioni e alle province autonome. Il parziale trasferimento di funzioni legislative dallo Stato alle Regioni e province autonome, in materia di tutela e soprattutto di sicurezza del lavoro, ha però sollevato alcuni dubbi e dato adito a problemi interpretativi relativamente alla ripartizione di competenze.
In ogni caso, nuove risposte, anche sul fronte della sicurezza, appaiono necessarie in relazione alla trasformazione del sistema produttivo e del mercato del lavoro, in cui aumentano la diffusione e l’importanza relativa di nuove forme di flessibilità. In questo senso, anche alla luce dell’emanazione del D.Lgs. 276/2003, di riforma del mercato del lavoro, che ha introdotto una pluralità di modelli di impiego flessibile, non sempre si è proceduto ad una armonizzazione tra due canali regolativi, cioè il mercato e il rapporto di lavoro da una parte e la sicurezza del lavoro dall’altra, che appaiano interdipendenti. Tutto ciò sebbene il richiamato D.Lgs. n. 276 contenga qualche rinvio alla disciplina del D.Lgs. n. 626: così è per esempio per il lavoro a progetto e per la somministrazione di lavoro (con una ripartizione degli obblighi di sicurezza tra somministratore e utilizzatore), mentre in altre tipologie (lavoro intermittente e lavoro ripartito) è da ritenersi applicabile sostanzialmente la disciplina generale sulla sicurezza, con i marginali adattamenti richiesti dalla particolarità delle forme contrattuali.
Si consideri inoltre che il quadro normativo delineato è apparso talvolta connotato da scarsa effettività: il campo della sicurezza sul lavoro è infatti caratterizzato da una non trascurabile dicotomia tra rigore formale delle norme e pratica applicazione delle stesse nel sistema produttivo.
Tuttavia, nonostante le problematiche su indicate, negli ultimi anni si è registrata una incoraggiante diminuzione degli infortuni sul lavoro, con una inversione di tendenza a partire dal 2002, in parte imputabile alla maggiore “assimilazione” della nuova complessa disciplina di stampo comunitario, impostata in un’ottica di prevenzione, in parte presumibilmente ottenuta grazie ad una più efficace azione di vigilanza da parte degli organi pubblici preposti.
Dai dati pubblicati dall’INAIL[251], risultano denunciati circa 966,5 mila infortuni sul lavoro avvenuti nel 2004, con una diminuzione rispetto all’anno precedente di circa 11 mila casi, pari al -1,1 per cento. Se si allarga il campo di osservazione ad un arco temporale più ampio, Il Rapporto INAIL fa rilevare come la contrazione del 2004 faccia seguito al calo dell’1,5 per cento del 2003 e alla decisa inversione di tendenza che si era verificata nell’anno 2002 (-3 per cento) rispetto invece alla crescita, seppur contenuta, degli anni precedenti (incremento degli infortuni dell’1,1 per cento nel 2000 e dell’1,2 per cento nel 2001). Le stime elaborate dall’INAIL per il 2005 confermano un andamento decrescente degli infortuni, con un calo delle denunce valutabile intorno al 2 per cento, in misura quindi ancora più accentuata rispetto ai risultati, già positivi, raggiunti negli anni precedenti.
Nel corso della legislatura precedente è emersa inoltre l’esigenza di elaborare un nuovo Testo Unico in materia di sicurezza, al fine di razionalizzare la normativa vigente, divenuta oramai abbastanza complessa. Tale necessità si è manifestata con una apposita delega al Governo per il riordino delle disposizioni in materia di sicurezza sul lavoro e tutela della salute dei lavoratori. Tuttavia tale progetto non è stato concretizzato poiché il Governo ha prima presentato al Parlamento e poi ritirato lo schema di testo unico, facendo così decadere la delega stessa.
Nell’ambito della disciplina volta a tutelare la dignità dei lavoratori dal punto di vista delle discriminazioni nelle condizioni e opportunità di lavoro, è da sottolineare l’adeguamento dell’ordinamento interno con il recepimento di alcune direttive relative alla parità di trattamento e alla salvaguardia della dignità delle persone. Tali direttive talvolta riguardano la parità di trattamento in un ambito generale e quindi si applicano anche alla materia del lavoro (è il caso della direttiva 2000/43/CE), in altri casi si riferiscono esclusivamente alla parità di trattamento per quanto riguarda l’occupazione e le condizioni di lavoro (si tratta delle direttive 2000//8/CE e 2002/73/CE). I provvedimenti che hanno recepito la normativa comunitaria sono costituiti più specificamente: dal D.Lgs. n. 215/2003, volto a realizzare su un piano generale (quindi anche nell’ambito lavorativo) il principio della parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla razza e dall’origine etnica, in attuazione della direttiva 2000/43/CE; dal D.Lgs. n. 216/2003, che stabilisce una disciplina per la parità di trattamento, in materia di occupazione e di condizioni di lavoro, indipendentemente dalla religione o le convinzioni personali, gli handicap, l’età o le tendenze sessuali, in attuazione della direttiva 2000/78/CE; infine, dal D.Lgs. n. 145/2005, relativo all’attuazione del principio della parità di trattamento tra gli uomini e le donne per quanto riguarda l’accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali e le condizioni di lavoro, in attuazione della direttiva 2002/73/CE.
Il D.Lgs. n. 216/2003 ha introdotto per la prima volta nell’ordinamento interno (naturalmente con valenza limitata all’ambito del provvedimento) la definizione di mobbinge soprattutto una qualche forma di tutela nei confronti di tale deprecabile fenomeno. Analoga cosa ha fatto il D.Lgs. n. 145/2005 per le molestie sessuali e le molestie in ragione del sesso sui luoghi di lavoro.
In particolare il citato D.Lgs. n. 145/2005, novellando la legge n. 125/1991[252], dopo aver riformulato le nozioni di discriminazione diretta e indiretta in ragione del sesso[253], considera espressamente come atti discriminatori anche le molestie sessuali e le molestie per ragioni connesse al sesso.
A tal riguardo le molestie vengono definite come quei comportamenti indesiderati, posti in essere per ragioni connesse al sesso, aventi lo scopo o l’effetto di violare la dignità di una lavoratrice o di un lavoratore e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo. Le molestie sessuali invece vengono individuate in quei comportamenti indesiderati a connotazione sessuale, espressi in forma fisica, verbale o non verbale, aventi lo scopo o l’effetto di violare la dignità di una lavoratrice o di un lavoratore e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo.
Per tutelare i lavoratori da tali pratiche si prevede espressamente che gli atti, i patti o i provvedimenti concernenti il rapporto di lavoro dei lavoratori o delle lavoratrici vittime dei comportamenti di molestie di cui sopra sono nulli se adottati in conseguenza del rifiuto o della sottomissione ai comportamenti medesimi. Inoltre, si è introdotta per la persona discriminata per motivi connessi al sesso (e quindi anche nel caso di molestie) la possibilità del risarcimento del danno anche non patrimoniale (cd. danno esistenziale).
Il D.Lgs. n. 216/2003, come detto, ha introdotto una tutela contro le discriminazioni relative all’occupazione e alle condizioni di lavoro a causa della religione, delle convinzioni personali, degli handicap, dell’età o dell’orientamento sessuale. Il provvedimento, dopo aver dato una definizione di discriminazioni (sia dirette sia indirette), considera tali anche le pratiche di mobbing (il provvedimento utilizza il termine “molestie”) ovvero quei comportamenti indesiderati posti in essere (per i motivi suddetti) con lo scopo e l’effetto di violare la dignità personale creando un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante od offensivo.
Contro tali atti discriminatori (e quindi anche contro il mobbing) si prevedono una serie di tutele anche sul piano giurisdizionale. In primo luogo, sono considerati nulli, in materia di lavoro, i patti o atti volti a discriminare per i motivi suddetti. Per agevolare la prova dei fatti discriminatori, si ammettono le presunzioni semplici anche sulla base di dati statistici. Inoltre, oltre a prevedersi la possibilità di ottenere il risarcimento del danno anche non patrimoniale, si attribuisce al giudice il potere di ordinare la cessazione del comportamento discriminatorio, nonché la rimozione degli effetti.
Per quanto riguarda invece l’attività legislativa volta ad introdurre una disciplina generale di tutela relativa al mobbing, ancora assente nell’ordinamento interno, si ricorda che nella precedente legislatura presso la 11a Commissione del Senato si è giunti a redigere un testo unificato dei progetti A.S. 122 ed abbinati, che tuttavia non è giunto all’approvazione definitiva. Tale testo unificato, oltre a disporre un’attività obbligatoria di prevenzione e accertamento e di informazione con riferimento a pratiche o condotte di mobbing, prevedeva una responsabilità disciplinare per i soggetti che attuano tali condotte e una articolata tutela giurisdizionale.
Nello scorcio finale della legislatura, il Governo ha trasmesso alle Camere per il prescritto parere lo schema di decreto legislativo recante il Codice delle pari opportunità tra uomo e donna, in attuazione della delega di cui all’art. 6 della L. 246/2005 (legge di semplificazione 2006), per il riassetto delle disposizioni vigenti in materia di pari opportunità. Nell’ambito delle disposizioni relative alle pari opportunità tra uomo e donna nei rapporti economici, lo schema tra l’altro provvede al riassetto della disciplina relativa alle pari opportunità nel lavoro (con riferimento anche alla relativa tutela giurisdizionale) e alle azioni positive per la realizzazione della parità uomo-donna nel lavoro[254].
Nell’ambito del dibattito sulla tutela dei diritti dei lavoratori ha assunto un certo rilievo, soprattutto politico, il referendum promosso nel 2003, in particolare dal “Partito della Rifondazione Comunista”, per estendere l’ambito di applicabilità della tutela reale contro i licenziamenti illegittimi, su cui si è aperto un ampio confronto sia nell’ambito dei partiti sia nell’ambito delle parti sociali. Come detto, il referendum era rivolto all’estensione della “tutela reale” contro i licenziamenti ingiustificati, cioè del diritto ad essere reintegrati nel posto di lavoro, ai lavoratori che attualmente godono esclusivamente della garanzia obbligatoria. Questo obiettivo era perseguito, da una parte, attraverso l’eliminazione, nell’art. 18 della legge n. 300/1970 (c.d. Statuto dei lavoratori) dei limiti numerici che impediscono attualmente alla garanzia reale di operare in favore dei lavoratori impiegati nelle piccole strutture produttive; dall’altra, parallelamente a questa estensione, attraverso l’abrogazione della norma della legge n. 604/1966, che attualmente assicura a questi lavoratori soltanto la garanzia obbligatoria.
Il referendum, la cui votazione è avvenuta il 15 giugno 2003, è risultato non valido, non avendo ad esso partecipato la maggioranza degli aventi diritto.
Nel corso della legislatura la XI Commissione della Camera ha esaminato le proposte di legge A.C. 1900 e A.C. 4116 volte ad introdurre una disciplina relativa ai bilancio dei sindacati e delle loro associazioni nonché in materia di trattenute sindacali, a fini di trasparenza ed informazione pubblica. Si consideri che la XI Commissione, dopo la costituzione di un comitato ristretto, non è giunta all’approvazione del provvedimento.
Le Commissioni riunite VI e XI della Camera hanno inoltre affrontato le problematiche relative alla partecipazione dei lavoratori alla gestione d’impresa, sia sul piano della partecipazione gestionale sia su quello della partecipazione economico-finanziaria, esaminando le proposte A.C. 1003 ed abbinate. Le Commissioni riunite, dopo l’approvazione di un testo unificato, non hanno terminato l’esame del provvedimento, che quindi non è giunto all’esame dell’Assemblea.
Infine, si ricorda che alcuni decreti legislativi, su cui si è espressa la XI Commissione in sede di parere, recependo la corrispondente normativa comunitaria, hanno previsto il coinvolgimento dei lavoratori nella gestione delle imprese con determinate caratteristiche o dimensioni. In particolare:
§ il D.Lgs. 2 aprile 2002, n. 74, dando attuazione alla direttiva 94/45/CE, ha previsto l’istituzione di un Comitato aziendale europeo, quale organo di informazione e di consultazione dei lavoratori, in ogni impresa o gruppo di imprese di dimensione comunitaria;
§ il D.Lgs 19 agosto 2005, n. 188, dando attuazione alla direttiva 2001/86/CE, disciplina il coinvolgimento dei lavoratori ai processi decisionali per la costituzione, la gestione e il funzionamento delle Società europee (SE), prevedendo tra l’altro la presenza di rappresentanti dei lavoratori negli organi societari.
[1] La produzione normativa di rango primario comprende leggi, decreti legislativi e decreti-legge; nel dato complessivo della produzione normativa si includono i regolamenti di delegificazione, che hanno un rango per molti versi assimilabile a quello primario.
[2] Il dato è aggiornato al 15 aprile 2006 (58,57 mesi).
[3] Si tratta del testo della riforma della parte II della Costituzione, pubblicato sulla G.U. del 18 novembre 2005.
[4] Tra le leggi di bilancio sono conteggiate: le leggi di bilancio, finanziaria, rendiconto, assestamento ed i provvedimenti “collegati”.
[5] Ai fini della classificazione in riferimento alla sede di approvazione, in caso di sedi diverse tra Camera e Senato, la sede redigente prevale sulla legislativa e sulla referente, la legislativa prevale sulla referente.
[6] Il dato si riferisce ai regolamenti complessivamente pubblicati alla data del 15 aprile 2006 in attuazione dei provvedimenti adottati nella XIV legislatura. In corrispondenza di ciascuna autorizzazione possono essere adottati più regolamenti.
[7] Il periodo 1° anno corrisponde all’intervallo dal 30 maggio al 31 dicembre 2001.
Il periodo ultimo anno corrisponde all’intervallo dal 1° gennaio al 15 aprile 2006.
[8] Il dato si riferisce ai regolamenti complessivamente pubblicati alla data del 15 aprile 2006 in attuazione dei provvedimenti adottati nella XIV legislatura. In corrispondenza di ciascuna autorizzazione possono essere adottati più regolamenti.
[9] L.Cost. 18 ottobre 2001, n. 3, Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione.
[10] L.Cost. 23 ottobre 2002, n. 1, Cessazione degli effetti dei commi primo e secondo della XIII disposizione transitoria e finale della Costituzione.
[11] L.Cost. 30 maggio 2003, n. 1, Modifica dell’articolo 51 della Costituzione.
[12] L. 27 dicembre 2001, n. 459, Norme per l’esercizio del diritto di voto dei cittadini italiani residenti all’estero.
[13] D.P.R. 2 aprile 2003, n. 104, Regolamento di attuazione della legge 27 dicembre 2001, n. 459, recante disciplina per l’esercizio del diritto di voto dei cittadini italiani residenti all’estero.
[14] Limitatamente alle elezioni politiche 2006 e al referendum costituzionale che si terrà quest’anno, il D.L. 1/2006 ha ammesso a votare nella circoscrizione Estero anche i cittadini italiani che si trovano temporaneamente all’estero per motivi di servizio (dipendenti di amministrazioni statali e loro familiari; professori universitari e ricercatori) o per missioni internazionali.
[15] L. 21 dicembre 2005, n. 270, Modifiche alle norme per l’elezione della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica.
[16] Con il “metodo del quoziente intero e dei maggiori resti”.
[17] La coalizione deve inoltre comprendere almeno una lista che abbia raggiunto almeno il 2% del totale dei voti validi o, a determinate condizioni, una lista rappresentativa di minoranze linguistiche riconosciute.
[18] È inoltre ammessa alla ripartizione la lista che ha ottenuto il risultato migliore tra quelle che non hanno raggiunto la soglia del 2%.
[19] 20% per le coalizioni; 8% per le liste non coalizzate; 3% per le liste facenti parte di una coalizione ammessa alla ripartizione.
[20] L. 27 marzo 2004, n. 78, Disposizioni concernenti i membri del Parlamento europeo eletti in Italia, in attuazione della decisione 2002/772/CE, del Consiglio.
[21] L. 8 aprile 2004, n. 90, Norme in materia di elezioni dei membri del Parlamento europeo e altre disposizioni inerenti ad elezioni da svolgersi nell’anno 2004.
[22] Ulteriori sperimentazioni in materia sono state effettuate, da ultimo, in occasione delle elezioni politiche sulla base del D.L. 1/2006.
[23] L. 16 aprile 2002, n. 62, Modifiche ed integrazioni alle disposizioni di legge relative al procedimento elettorale. La legge stabilisce che le disposizioni trovino applicazione anche in occasione delle elezioni regionali, ma solo fino a quando ciascuna Regione a statuto ordinario non avrà disciplinato con propria legge la materia elettorale.
[24] L. 2 marzo 2004, n. 61, Norme in materia di reati elettorali.
[25] D.L. 3 gennaio 2006, n. 1, Disposizioni urgenti per l’esercizio domiciliare del voto per taluni elettori, per la rilevazione informatizzata dello scrutinio e per l’ammissione ai seggi di osservatori OSCE, in occasione delle prossime elezioni politiche, conv. con mod. in L. 27 gennaio 2006, n. 22.
[26] D.L. 30 dicembre 2005, n. 273, Definizione e proroga di termini, nonchè conseguenti disposizioni urgenti, conv. con mod. in L. 23 febbraio 2006, n. 51 (art. 39-quaterdecies).
[27] L. 20 giugno 2003, n. 140, Disposizioni per l’attuazione dell’articolo 68 della Costituzione nonché in materia di processi penali nei confronti delle alte cariche dello Stato.
[28] L. 20 luglio 2004, n. 215, Norme in materia di risoluzione dei conflitti di interessi.
[29] L. 28 marzo 2002, n. 44, Modifica alla legge 24 marzo 1958, n. 195, recante norme sulla costituzione e sul funzionamento del Consiglio superiore della magistratura.
[30] L. 31 luglio 2002, n. 186, Istituzione della “Giornata della memoria dei marinai scomparsi in mare”.
[31] L. 30 marzo 2004, n. 92, Istituzione del “Giorno del ricordo” in memoria delle vittime delle foibe, dell’esodo giuliano-dalmata, delle vicende del confine orientale e concessione di un riconoscimento ai congiunti degli infoibati.
[32] L. 10 febbraio 2005, n. 24, Riconoscimento del 4 ottobre quale solennità civile e giornata della pace, della fraternità e del dialogo tra appartenenti a culture e religioni diverse, in onore dei Patroni speciali d’Italia San Francesco d’Assisi e Santa Caterina da Siena.
[33] L. 15 aprile 2005, n. 61, Istituzione del “Giorno della libertà” in data 9 novembre in ricordo dell’abbattimento del muro di Berlino.
[34] L. 31 luglio 2005, Istituzione della festa nazionale dei nonni.
[35] D.L. 31 gennaio 2005, n. 7, Disposizioni urgenti per l’università e la ricerca, per i beni e le attività culturali, per il completamento di grandi opere strategiche, per la mobilità dei pubblici dipendenti, e per semplificare gli adempimenti relativi a imposte di bollo e tasse di concessione, nonché altre misure urgenti, conv. con mod. in L. 31 marzo 2005, n. 43.
[36] In particolare, si prevede che il Consiglio, a maggioranza qualificata, sentito il Parlamento europeo, adotti l’elenco dei componenti redatto in conformità alle proposte degli Stati membri
[37] Tra queste si ricordano quelle in materia di libera circolazione dei cittadini, cooperazione giudiziaria civile, accordi internazionali nel settore del commercio e dei servizi, politica industriale, statuto dei deputati e dei partiti politici europei, fondi strutturali e fondi di coesione (a partire dal 2007).
[38] Gli articoli interessati riguardano: discriminazioni sessuali e razziali; visti, asilo e immigrazione; cooperazione giudiziaria in materia civile; sostegno al settore industriale; azioni di coesione economica e sociale esterne ai fondi strutturali; statuto dei partiti politici europei.
[39] Si tratta dei casi in cui hanno ad oggetto materie per cui si applica la codecisione.
[40] "Ratifica ed esecuzione del Trattato di adesione all’Unione europea tra gli Stati membri dell’Unione europea e la Repubblica ceca, la Repubblica di Estonia, la Repubblica di Cipro, la Repubblica di Lettonia, la Repubblica di Lituania, la Repubblica di Ungheria, la Repubblica di Malta, la Repubblica di Polonia, la Repubblica di Slovenia, la Repubblica slovacca, con Atto di adesione, Allegati, Protocolli, Dichiarazioni, Scambio di lettere e Atto finale, fatto ad Atene il 16 aprile 2003".
[41] Ungheria e Repubblica Ceca hanno ottenuto di equiparare i loro seggi a quelli di Belgio, Grecia e Portogallo, Stati membri con popolazione di analoga consistenza numerica.
[42] Sarà quindi necessaria un modifica della disposizione del Trattato di Nizza che ha fissato il limite massimo dei seggi in settecentotrentadue. Si segnala al proposito che nel progetto di Costituzione per l’Europa elaborato dalla Convenzione europea il limite dei seggi del Parlamento europeo è stato fissato a settecentotrentasei.
[43] Per le decisioni assunte a maggioranza qualificata nei settori della politica estera e di sicurezza comune e nel settore delle cooperazioni (art. 23, paragrafo 2 del TUE) e negli affari interni e della giustizia (art. 34, paragrafo 3 del TUE) occorrono invece sempre duecentotrentadue voti espressi da almeno due terzi degli Stati membri.
[44] Si ricorda che il Trattato di Nizza ha previsto che a partire da quando l’Unione europea annoveri ventisette Stati membri il numero dei commissari sia inferiore al numero degli Stati membri, sulla base di una rotazione paritaria tra gli stessi. Spetterà al Consiglio definire, all’unanimità, le modalità di tale rotazione paritaria e fissare il numero dei membri della Commissione.
[45] Si tratta degli atti adottati nell’ambito della cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale.
[46] Non sono qui considerati i casi di recepimento diretto.
[47] Tale norma ha limitato l’intervento dei regolamenti governativi nelle sole materie di competenza statale esclusiva (art. 117, VI comma, Cost.).
[48] L’art. 1, comma 5, della legge n. 308 ha previsto un doppio parere da parte delle competenti Commissioni parlamentari, riferito – rispettivamente – allo schema di decreto originariamente approvato dal Governo e ad una successiva versione, ritrasmessa alle Camere, comprensiva delle modifiche e integrazioni apportate a seguito dei pareri parlamentari.
[49] I due schemi di decreto trasmessi per il primo e il secondo parere sono stati: l’Atto del Governo n. 572 e l’Atto del Governo n. 596. Il primo è stato esaminato dalla VIII Commissione della Camera nel periodo 13 dicembre 2005 – 12 gennaio 2006; il secondo è stato esaminato dalla stessa Commissione nelle due sedute del 26 gennaio 2006 e 31 gennaio 2006.
[50] Le misure indicate nel piano sono finalizzate al rispetto – da parte dell’Italia - degli obiettivi di riduzione delle emissioni di gas serra del 6,5% entro il 2008-2012 fissati dal Protocollo (www2.minambiente.it/Sito/settori_azione/pia/att/pna_c02/docs/delibera_cipe_19_12_02_n123.pdf). Oltre all’adozione del piano, il Governo ha provveduto - contestualmente - alla revisione della delibera CIPE n. 137 del 19 novembre 1998, recante le “linee guida per le politiche e misure nazionali di riduzione delle emissioni dei gas serra”. Tali documenti sono stati poi approvati con la delibera CIPE 19 dicembre 2002, n. 123 (pubblicata nella G.U. n. 68 del 22 marzo 2003).
[51] https://www.camera.it/_bicamerali/nochiosco.asp?pagina=/_bicamerali/leg14/rifiuti/home.htm.
[52] Invero anche in alcune delle legislature repubblicane precedenti (fra cui la XIII) furono esaminati dal Parlamento disegni e proposte di legge di riforma urbanistica, ma senza mai pervenire all’approvazione di uno dei due rami.
[53] Nel testo precedente alla riforma del 2001.
[54] Alla data del 20 aprile il decreto legislativo non risulta pubblicato in GU.
[55] Terremoto di San Giuliano di Puglia del 31 ottobre 2002.
[56] Convertito, con modificazioni, dalla legge 9 novembre 2001, n. 401.
[57] Alle dipendenze funzionali dall’Agenzia per le attività della protezione civile era posto, tra l’altro, il Corpo dei vigili del fuoco, ferma restando la dipendenza gerarchica dal Ministero dell’interno e quella funzionale per le attività diverse dalla protezione civile, ossia per la prevenzione ed estinzione degli incendi.
[58] Convertito in legge, con modificazioni dalla legge 26 luglio 2005, n. 152.
[59] Convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 27 gennaio 2006, n. 21.
[60] Legge 30 settembre 2004, n. 252, Delega al Governo per la disciplina in materia di rapporto di impiego del personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco.
[61] D.Lgs. 13 ottobre 2005, n. 217, Ordinamento del personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco a norma dell’articolo 2 della legge 30 settembre 2004, n. 252.
[62] L. 29 luglio 2003, n. 229, Interventi in materia di qualità della regolazione, riassetto normativo e codificazione. - Legge di semplificazione 2001.
[63] D.Lgs. 8 marzo 2006, n. 139, Riassetto delle disposizioni relative alle funzioni ed ai compiti del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, a norma dell’articolo 11 della legge 29 luglio 2003, n. 229.
[64] Recante Interventi urgenti per i settori dell’agricoltura, dell’agroindustria, della pesca, nonché in materia di fiscalità d’impresa.
[65] Il testo inizialmente approvato dalle Camere prevedeva una forma di condono contributivo senza alcuna maggiorazione per sanzioni e interessi di mora. Tuttavia, dopo il rinvio da parte del Presidente della Repubblica per questioni di copertura finanziaria, le Camere nel definitivo esame hanno eliminato il condono prevedendo una temporanea sospensione della riscossione dei carichi contributivi.
[66]La moneta elettronica è un “valore monetario rappresentato da un credito nei confronti dell’emittente che sia memorizzato su un dispositivo elettronico, emesso previa ricezione di fondi di valore non inferiore al valore monetario emesso e accettato come mezzo di pagamento da soggetti diversi dall’emittente” (art. 1, co. 2, lett. h-ter, del testo unico bancario).
[67] La procedura è prescritta anche in caso di sentenze definitive di organi giurisdizionali e della Corte costituzionale recanti interpretazioni della normativa vigente suscettibili di determinare maggiori oneri.
[68] Decreti del Ragioniere generale dello Stato del 5 maggio 2003, relativo al capitolo di spesa 2829 dello stato di previsione del Ministero dell’economia, relativo agli indennizzi ai cittadini in caso di violazione del termine ragionevole del processo, e il D del 18 luglio 2003 (G.U. n. 176 del 31/07/2003), relativo al credito d’imposta per le reti di teleriscaldamento.
[69] Convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2004, n. 161.
[70] Una delega legislativa era stata conferita allo stesso effetto dalla legge 31 ottobre 2003, n. 306 (legge comunitaria 2003).
[71] Il decreto legge 14 marzo 2005, n. 35, recante “Disposizioni urgenti nell’ambito del Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale” pubblicato nella GU 16 marzo 2005, n. 62) è stato convertito, con modificazioni, dalla legge 14 maggio 2005, n. 80.
[72] Il D.L. 30 dicembre 2005, n. 273, è stato convertito con modificazioni dalla legge 23 febbraio 2006, n. 51.
[73] Decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35, recante “Disposizioni urgenti nell’ambito del Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale”, conv. con. modif. dalla legge 14 maggio 2005, n. 80.
[74] L’Alto Commissario sostituisce il Comitato nazionale anticontraffazione, la cui istituzione (in realtà mai avvenuta) presso il Ministero delle attività produttive è stata disposta dai commi 72 e 73 dell’art. 4 della legge n. 350/03, abrogati dall’art. 246 del D.Lgs 10 febbraio 2005, n. 30, recante il nuovo “Codice della proprietà industriale”, in quanto confluiti nell’articolo 145 del Codice medesimo, oggetto a sua volta di abrogazione da parte del comma 5 dell’articolo 1-quater del D.L. 35/05.
[75] Il Franchising(o Affiliazione commerciale) rappresenta, nelle sue diverse tipologie (franchising di distribuzione, di servizi o industriale), una forma di collaborazione continuativa per la distribuzione di beni o servizi fra un imprenditore (Affiliante o Franchisor) e uno o più imprenditori (Affiliati o Franchisee), giuridicamente ed economicamente indipendenti uno dall’altro, che stipulano un apposito contratto con il quale:
§ l’Affiliante concede all’Affiliato l’utilizzazione della propria formula commerciale, comprensiva del diritto di sfruttare il suo know-how (l’insieme delle tecniche e delle conoscenze necessarie) ed i propri segni distintivi, unitamente ad altre prestazioni e forme di assistenza atte a consentire all’Affiliato la gestione della propria attività con la medesima immagine dell’impresa Affiliante.
§ l’Affiliato si impegna a far proprie politica commerciale e immagine dell’Affiliante nell’interesse reciproco delle parti medesime e del consumatore finale, nonché al rispetto delle condizioni contrattuali liberamente pattuite.
[76] Ai fini della citata legge si intende: per "vendita diretta a domicilio" la forma speciale di vendita al dettaglio e di offerta di beni e servizi effettuate tramite la raccolta di ordinativi di acquisto presso il domicilio del consumatore finale o nei locali nei quali il consumatore si trova, anche temporaneamente, per motivi personali, di lavoro, di studio, di intrattenimento o di svago; per "incaricato alla vendita diretta a domicilio", colui che, con o senza vincolo di subordinazione, promuove, direttamente o indirettamente, la raccolta di ordinativi di acquisto presso privati consumatori per conto di imprese esercenti la vendita diretta a domicilio; per "impresa" o "imprese", l’impresa o le imprese esercenti la vendita diretta a domicilio.
[77] Nella relazione illustrativa allo schema di decreto legislativo presentato alle Camere si richiamano alcune consolidate definizioni sulla natura degli interventi di “tutela dei consumatori”, qualificati come “insieme di politiche e azioni attuate per assicurare che tutti i consumatori ottengano ciò che vorrebbero veramente se fossero pienamente informati”, ovvero come “insieme di azioni che pongono il consumatore nella condizione di scegliere un prodotto, pur non avendo sufficiente conoscenza dei suoi attributi e delle eventuali alternative che potrebbero emergere da un’approfondita analisi comparativa, conducibile senza costi aggiuntivi per lo stesso”.
[78] Nell’anno 2005 il rapporto Funzione Difesa/PIL è stato pari all’1,74% (1,72 nel 2001) in Francia, all’1,16% (1,18 nel 2001) in Germania e al 2,47% (2,38 nel 2001) in Gran Bretagna.
[79] Sono spese correnti le spese destinate alla produzione e al funzionamento dei servizi statali e alla redistribuzione dei redditi per fini non direttamente produttivi.
[80] L. 30 luglio 2002, n. 189, Modifica alla normativa in materia di immigrazione e di asilo.
[81] D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero.
[82] D.L. 14 settembre 2004 n. 241, Disposizioni urgenti in materia di immigrazione, conv. con mod. in L. 12 novembre 2004, n. 271.
[83] D.L. 27 luglio 2005, n. 144, Misure urgenti per il contrasto del terrorismo internazionale, conv. con mod. in L. 31 luglio 2005, n. 155 (v. area tematica Ordine pubblico e polizia). L’art. 2 del D.L. ha altresì introdotto il “permesso di soggiorno a fini investigativi”, rilasciato in favore degli stranieri che prestino la loro collaborazione all’autorità giudiziaria o agli organi di polizia in relazione a delitti commessi per finalità di terrorismo, anche internazionale, o di eversione dell’ordine democratico. Tale nuovo strumento si inserisce nel solco della legislazione premiale in materia di immigrazione inaugurata dal permesso di soggiorno per motivi di protezione sociale (art. 18 del testo unico), che può essere rilasciato a immigrati clandestini che siano vittime di situazioni di violenza o di grave sfruttamento.
[84] D.L. 9 settembre 2002, n. 195, Disposizioni urgenti in materia di legalizzazione del lavoro irregolare di extracomunitari, conv. con mod. in L. 9 ottobre 2002, n. 222.
[85] L.Cost. 30 maggio 2003, n. 1, Modifica dell’articolo 51 della Costituzione.
[86] L. 8 aprile 2004, n. 90, Norme in materia di elezione dei membri del Parlamento europeo e altre disposizioni inerenti ad elezioni da svolgersi nell’anno 2004, art. 3.
[87] L. 15 luglio 2002, n. 145, Disposizioni per il riordino della dirigenza statale e per favorire lo scambio di esperienze e l’interazione tra pubblico e privato.
[88] D.P.C.M. 21 novembre 2001, n. 453, Regolamento generale di disciplina relativa agli obiettori di coscienza, a norma dell’articolo 8, comma 2, lettera i), della legge 8 luglio 1998, n. 230.
[89] D.Lgs. 5 aprile 2002, n. 77, Disciplina del Servizio civile nazionale a norma dell’articolo 2 della legge 6 marzo 2001, n. 64.
[90] L. 16 gennaio 2003, n. 3, Disposizioni ordinamentali in materia di pubblica amministrazione.
[91] D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 303, Ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri, a norma dell’articolo 11 della L. 15 marzo 1997, n. 59.
[92] D.L. 9 novembre 2004, n. 266, Proroga o differimento di termini previsti da disposizioni legislative, convertito, con modificazioni, in legge 27 dicembre 2004, n. 306.
[93] D.L. 30 giugno 2005, n. 115, Disposizioni urgenti per assicurare la funzionalità di settori della pubblica amministrazione, convertito, con modificazioni, in legge 17 agosto 2005, n. 168.
[94] D.L. 9 novembre 2004, n. 266, Proroga o differimento di termini previsti da disposizioni legislative, conv. con mod. in L. 27 dicembre 2004, n. 306.
[95] Modifiche e integrazioni sono state successivamente apportate dal decreto legislativo 6 febbraio 2004, n. 37, che ha provveduto altresì all’adeguamento del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, e al testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58. Ulteriori correzioni e integrazioni sono state apportate dal decreto legislativo 28 dicembre 2004, n. 310.
[96] A questo riguardo si rinvia all’apposito capitolo su Banche, credito e moneta.
[97] Modifiche e integrazioni sono state successivamente apportate dai decreti legislativi 6 febbraio 2004, n. 37, e 28 dicembre 2004, n. 310.
[98] Si tratta, per quanto rileva in questa sede: a) della disciplina inerente la procedura per l’unificazione della proprietà e della gestione delle rete elettrica nazionale di trasmissione, delle disposizioni in tema di semplificazione dei procedimenti di autorizzazione per le reti nazionali di trasporto dell’energia e per gli impianti di potenza superiore ai 300 MW e di altre misure per il potenziamento del sistema elettrico, che sono confluite nel decreto legge 29 agosto 2003, n. 239, recante “Disposizioni urgenti per la sicurezza e lo sviluppo del sistema elettrico nazionale e per il recupero di potenza di energia elettrica”, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 ottobre 2003, n. 290, che la legge di riordino, ai commi da 24 a 26 del suo articolo unico, ha peraltro novellato;
b) della disciplina relativa alla remunerazione della capacità di produzione di energia elettrica, ora contenuta nel D.Lgs.19 dicembre 2003, n. 379, recante “Disposizioni in materia di remunerazione delle capacità di produzione di energia elettrica”, adottato sulla base di una delega contenuta all’articolo 1 della citata legge di conversione del decreto legge n.239/2003;
c) delle misure per l’organizzazione della rete elettrica e, segnatamente, dei criteri per l’unificazione della proprietà e della gestione della rete elettrica, ora contenuti nel Decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 11 maggio 2004 - adottato ai sensi dell’art.1 ter, comma 1, del citato decreto legge n. 239/2003 - recante “Criteri, modalità e condizioni per l’unificazione della proprietà e della gestione della rete elettrica nazionale di trasmissione”. Con il citato D.P.C.M la concessione delle attività di trasporto e di dispacciamento, con l’obbligo di connessione di terzi secondo criteri di trasparenza ed imparzialità, dapprima affidata al Gestore della rete di trasmissione nazionale - GRTN - è stata trasferita alla società Terna, la società proprietaria della rete di trasporto nazionale, con la previsione che entro il 2007 Enel riduca la propria partecipazione in detta società ad una quota non superiore al 20%.
[99] Una precedente indagine conoscitiva sulla situazione del settore era stata svolta dalla X Commissione nel corso del 2002.
[100]Pubblicata nella G.U. del 18 novembre 2005, n. 269 ai sensi dell’art. 3 della legge 352/1970.
[101] Si ricorda che per deduzioni s’intendono gli importi che si possono sottrarre dal reddito complessivo, con beneficio rapportato all’aliquota marginale raggiunta dal contribuente. Queste operano pertanto in modo diverso rispetto alle detrazioni, che invece riducono l’imposta da pagare.
[102]Cfr. l’A.C. 2501, sul Tribunale penale per i minorenni e l’A.C. 2517 in materia di diritto di famiglia e dei minori.
[103]Seduta del 26 marzo 2003.
[104]Sul tema vedi anche la risoluzione approvata in data 12 febbraio 2003 dalla Commissione bicamerale per l’infanzia.
[105]A.C. 695 e abb.
[106]Cfr. A.S. 1916 e abb.
[107]Doc XVI-bis.
[108] La Commissione ha comunque presentato, il 30 settembre 2005, un documento (Relazione sull’attività dell’Alta Commissione) che costituisce una sintesi dell’intera attività svolta dalla Commissione in ordine alla determinazione dei meccanismi strutturali del federalismo fiscale. In assenza del raggiungimento dell’accordo in sede di Conferenza unificata, la relazione è stato elaborata sulla base dei criteri su cui avevano convenuto regioni ed enti locali in un documento del 18 giugno 2003, nel quale si avanzavano proposte in merito ai contenuti dell’accordo da raggiungere in sede di Conferenza unificata.
[109]Disposizioni correttive e integrative sono state poi adottate con il decreto legislativo 18 novembre 2005, n. 247.
[110] La rimodulazione era diretta a contrastare il fenomeno del c.d. drenaggio fiscale (fiscal drag), ovvero l’aumento della pressione fiscale dovuto all’incremento nominale (causato dall’inflazione), ma non reale, del reddito, in ragione della progressività dell’IRPEF.
[111] Si ricorda che per deduzioni si intendono quei valori che si possono sottrarre dal reddito complessivo, con un beneficio rapportato all’aliquota marginale raggiunta dal contribuente. Queste operano pertanto in modo diverso rispetto alle detrazioni, che invece abbattono l’imposta da pagare.
[112]Un’ulteriore agevolazione, per il periodo 1° gennaio 2000-31 dicembre 2005, è consistita nell’applicazione dell’imposta sul valore aggiunto con aliquota ridotta del 10 per cento sulle prestazioni aventi ad oggetto interventi di recupero del patrimonio edilizio. Tale riduzione non è stata prorogata oltre il suddetto periodo; l’articolo 1, comma 121, della legge 23 dicembre 2005, n. 266 (legge finanziaria per il 2006), prorogando da ultimo l’agevolazione riferita all’imposta sul reddito, ha quindi elevato dal 36 al 41 per cento la percentuale di spesa ammessa in detrazione.
[113]Disposizioni integrative e correttive sono state emanate con il successivo decreto legislativo 18 novembre 2005, n. 247.
[114] La disciplina delle partecipation exception è stata modificata dall’articolo 5 del D.L. 30 settembre 2005, n. 203, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248.
[115]La sottocapitalizzazione consente alla società, mediante l’indebitamento verso i propri soci, di dedurre gli interessi passivi pagati ai soci stessi (con abbattimento dell’utile) e ai soci non imprenditori di beneficiare di una tassazione sostitutiva degli interessi percepiti, con aliquota inferiore a quella prevista per la tassazione dei proventi.
[116] L’agevolazione per la partecipazione a fiere all’estero è stata giudicata incompatibile con il diritto comunitario (si veda la decisione C (2004) 4746 del 14 dicembre 2004 della Commissione).
[117]L’art. 6 del D.L. 28 dicembre 2001, n. 452, aveva disposto la soppressione dell’imposta di consumo sugli olî lubrificanti (oggetto di contenzioso con l’Unione europea), contestualmente all’introduzione di un contributo di riciclaggio e di risanamento ambientale gravante sui medesimi. Non essendo stato emanato il regolamento d’attuazione cui era subordinata l’efficacia delle suddette disposizioni, ed essendosi frattanto modificata la normativa comunitaria, la disposizione citata nel testo ha confermato l’applicabilità della suddetta imposta di consumo, elevandone la misura.
[118]Gli studi di settore, introdotti dall’articolo 62-bis del D.L. 30 agosto 1993, n. 331, sono strumenti diretti a facilitare la ricostruzione induttiva dei redditi d’impresa e di lavoro autonomo attraverso la determinazione di funzioni di ricavo e compenso per gruppi omogenei di contribuenti operanti nello steso settore di attività.
[119]Relazione sull’andamento dell’attività degli organi di giurisdizione tributaria (Anno 2003), presentata dal Ministro dell’economia e delle finanze (doc. CLV, n. 4), pp. 40-41. Il problema era già segnalato nelle relazioni per l’anno 2001 (doc. CLV, n. 3, pp. 64-65) e per l’anno 2002 (doc. CLV, n. 2, pp. 44-45).
[120]In sede europea, in tale categoria confluiscono tanto le tradizionali telecomunicazioni quanto le trasmissioni televisive, fatta eccezione per i profili attinenti ai contenuti che continuano ad essere disciplinati dalla direttiva televisione senza frontiere n. 89/552/CEE (modificata dalla direttiva 97/36/CE).
[121]Peraltro, i mercati in cui sono imponibili misure specifiche nei confronti delle imprese che hanno un significativo potere di mercato sono individuati in via preliminare ed in modo uniforme a livello comunitario, anche se non viene esclusa una procedura di identificazione a livello nazionale, soggetta ad una sostanziale ratifica comunitaria, attraverso un procedimento di silenzio-assenso.
[122] In particolare, la sentenza n. 466/2002 stabiliva la necessaria fissazione di un termine finale certo e non prorogabile, che comunque non oltrepassasse il 31 dicembre 2003, per la definitiva cessazione del “regime transitorio” (con gli effetti previsti dalla normativa allora vigente per le emittenti eccedenti i limiti anti-trust, vale a dire, la trasmissione dei programmi irradiati da tali emittenti esclusivamente via satellite o via cavo, nonché la realizzazione da parte della RAI della terza rete senza pubblicità). In relazione alla data indicata la Corte costituzionale precisava, in motivazione, che essa “offre margini temporali all’intervento del legislatore per determinare le modalità della definitiva cessazione del regime transitorio di cui all’art. 3, comma 7 della legge n. 249 del 1997” e che “…la presente decisione, concernente le trasmissioni radiotelevisive in ambito nazionale su frequenze terrestri analogiche, non pregiudica il diverso futuro assetto che potrebbe derivare dallo sviluppo della tecnica di trasmissione digitale terrestre, con conseguente aumento delle risorse tecniche disponibili”.
[123] Il progetto di legge, approvato da entrambe le Camere, era stato infatti rinviato dal Presidente della Repubblica con messaggio motivato, a norma dell’art. 74 della Costituzione, per una nuova deliberazione, in data 15 dicembre 2003 (v. DOC I, n. 5). Circa il messaggio del Presidente della Repubblica alle Camere sul pluralismo dell’informazione, vedi DOC I, n. 2.
[124]Modifiche all’ articolo 10 della legge 3 maggio 2004, n. 112, in materia di tutela dei minori nella programmazione televisiva.
[125] L’operatività del limite è testualmente riferita all’“atto della completa attuazione del piano nazionale di assegnazione delle frequenze radiofoniche e televisive in tecnica digitale”. Nella fase transitoria il limite del 20% é calcolato sul numero complessivo dei programmi televisivi concessi o irradiati (anche ai sensi dell’art. 23, co. 1) in ambito nazionale su frequenze terrestri indifferentemente in tecnica analogica o in tecnica digitale.
[126]Pertanto, un soggetto iscritto nel registro degli operatori di comunicazione non può conseguire ricavi superiori a tale percentuale. Nel corso dell’iter parlamentare, la nozione dei ricavi da considerare ai fini del calcolo del tetto antitrust, è stato oggetto di svariate modifiche, in parte riconnesse alle modifiche relative alla definizione del SIC.
[127] Anche tramite imprese controllate, controllanti o collegate ex art. 2359 del codice civile.
[128]Nel quadro dei principi della concorrenza, la nozione di mercato rilevante, ai fini dell’eventuale individuazione di una posizione dominante, secondo la giurisprudenza comunitaria comprende quei prodotti o servizi tra loro intercambiabili sia sotto il profilo delle caratteristiche tecnologiche, sia per la loro idoneità a soddisfare egualmente le esigenze dei consumatori
[129] In particolare, i membri del Consiglio di amministrazione passano da 5 a 9 e la loro nomina (tra persone in possesso di specifici requisiti) è rimessa all’assemblea dei soci, che li elegge mediante un meccanismo basato su liste “bloccate” concorrenti. Fino alla completa alienazione della partecipazione dello Stato nel capitale societario, tuttavia, un numero di consiglieri proporzionale alle azioni possedute dallo Stato è indicato attraverso una lista autonoma del Ministero dell’economia e delle finanze. Il termine per l’entrata in vigore delle nuove norme relative alla nomina ed al funzionamento del Cda della RAI è stato fissato al “novantesimo giorno successivo alla data di chiusura della prima offerta pubblica di vendita, effettuata ai sensi dell’articolo 21, comma 3”. Per la nomina del presidente si prevede invece che essa avvenga da parte del Cda, nell’ambito dei suoi membri, e che essa divenga efficace dopo l’acquisizione del parere favorevole, a maggioranza dei due terzi dei componenti, della Commissione parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi.
[130] Attesa la previsione di un limite al possesso azionario dell’1%, all’esito del procedimento di dismissione la società concessionaria si configurerà come società ad azionariato diffuso (“public company”). Si ricorda che in applicazione della legge è stata in primo luogo disposta la fusione per incorporazione della società RAI-Radiotelevisione italiana Spa nella società RAI-Holding Spa; peraltro, il processo di privatizzazione della RAI sembra aver subito una battuta d’arresto.
[131]La scadenza, originariamente fissata al 31 dicembre 2006, è stata successivamente prorogata al 31 dicembre 2008 dal D.L. n. 273 del 2005, convertito, con modificazioni, dalla Legge 23 febbraio 2006, n. 51.
[132]In relazione allo sviluppo del sistema digitalein ambito televisivo il decreto-legge 24 dicembre 2003, n. 352, conv. con mod. con la legge 24 febbraio 2004, n. 43, è intervenuto a disciplinare modalità e tempi di cessazione definitiva del regime transitorio previsto dalla legge n. 249 del 1997, autorizzando, tra l’altro, le reti cosiddette “eccedentarie” (rispetto ai limiti previsti dalla legge n. 249), a proseguire nell’esercizio dell’attività, nonché consentendo alla RAI di avvalersi di risorse pubblicitarie su tutte le proprie reti televisive (analogiche e digitali).
[133]In particolare l’articolo 25 è stato oggetto di numerose riformulazioni, anche in considerazione della sentenza della Corte costituzionale n. 466/2002 e del messaggio di rinvio del Capo dello Stato.
[134]Vedi DOC XXVII, n. 14.
[135]In particolare, risultano abrogati solo gli articoli che dispongono in merito ai principi generali.
[136]Legge 11 febbraio 1994, n. 109.
[137]Si ricorda che, insieme al decreto legislativo n. 190 del 2002, il Governo aveva anche adottato il decreto legislativo 4 settembre 2002, n. 198, specificamente dedicato alle infrastrutture strategiche nel settore delle telecomunicazioni. Tuttavia la Corte costituzionale, con la sentenza 25 settembre - 1° ottobre 2003, n. 303, ha dichiarato, tra l’altro, l’illegittimità del decreto (non pronunciandosi nel merito, ma colpendo il rapporto fra il decreto stesso e la legge delega). Le disposizioni del decreto n. 198 sono state, peraltro, quasi interamente riprodotte nel Codice delle comunicazioni elettroniche di cui al decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259.
[138]Cd “Decreto competitività”, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 maggio 2005, n. 80.
[139]Gli organismi di attestazione istituiti dalla “legge Merloni”.
[140]Tale modifica ha comportato la necessità di disporre una proroga delle attestazioni già rilasciate (decreto legge 26 aprile 2004, n. 107) e una modifica del regolamento che disciplina la qualificazione delle imprese (DPR 30 aprile 2000, n. 34) operata dal DPR 10 marzo 2004, n. 93.
[141] In attuazione di specifiche previsioni comunitarie, viene inserito nell’ordinamento italiano un istituto finora sconosciuto, attraverso il quale il singolo concorrente ad una gara di lavori, servizi o forniture potrà partecipare a tale gara anche senza essere in possesso dei requisiti di qualificazione richiesti, ma avvalendosi di un’altra impresa (ausiliaria) dotata dei requisiti richiesti e vincolata da una dichiarazione sottoscritta a mettere a disposizione per tutta la durata dell’appalto le risorse di cui il concorrente è carente.
[142] Convertito, con modificazioni, dalla legge 31 marzo 2005, n. 43.
[143] L’aggiornamento della mappa, che era stata completata nel 1984 per mezzo dei decreti del ministero dei lavori pubblici, è stato elaborato anche sulla base della classificazione stilata dal Consiglio Sismico Nazionale nel 1997.
[144] Le modifiche sono state apportate con l’art. 7, commi 2 e 2-bis, del decreto legge n. 240 del 2004.
[145] Le modifiche sono state disposte dalla legge n. 2 del 2002 e, successivamente, dal decreto legge n. 240 del 2004.
[146] Le modifiche sono state apportate dalla citata legge 1° agosto 2002, n. 166 (“collegato infrastrutture” alla finanziaria per il 2002), dalla legge finanziaria 2004 e dalla legge finanziaria 2005.
[147] Vedi art. 61 della legge finanziaria 2002, art. 4, commi 223 e 225, della legge finanziaria 2004 e art. 1, comma 442, della legge finanziaria 2005.
[148] Si ricorda che, con il Patto per l’Italia, il Governo e le parti sociali hanno voluto fissare un programma normativo e operativo per raggiungere determinati obiettivi sul mercato del lavoro, calibrati su quelli “definiti per tutti i Paesi dell’Unione Europea dai Vertici di Lisbona e di Barcellona, secondo i quali dinamismo economico e giustizia sociale devono procedere di pari passo”. Si ricorda che il Patto per l’Italia è stato sottoscritto dai sindacati confederali con l’eccezione della CGIL, che non ha condiviso sostanzialmente alcune scelte giudicate “oltranziste” sul piano della flessibilità e quindi delle garanzie per i lavoratori
[149] Attuazione della direttiva 1999/70/CE relativa all’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso dall’UNICE, dal CEEP e dal CES.
[150] Poi approvato come legge n. 30/2003.
[151] Gli articoli relativi a tali deleghe sono poi confluiti, a seguito dello stralcio, nel ddl n. 848-bis.
[152] Da ultimo l’articolo 1, comma 410, della legge n. 266/2005 (legge finanziaria 2006), che riprende di fatto analoghe disposizioni contenute nell’articolo 3, comma 137, quarto periodo, della L. 24 dicembre 2003, n. 350 (legge finanziaria per il 2004) e nell’articolo 1, comma 155, della legge n. 311 del 2004 (legge finanziaria 2005).
[153] Da ultimo, l’articolo 20, comma 2, del d.l. 257/2005, recante Definizione e proroga di termini, nonche’ conseguenti disposizioni urgenti. Proroga di termini relativi all’esercizio di deleghe legislative", convertito con modificazioni dalla legge n. 51/2006. V. anche l’articolo 1, comma 162, della L. 30 dicembre 2004, n. 311 (legge finanziaria per il 2005).
[154] L’intendimento del Governo è stato oggetto di un acceso confronto tra le forze politiche ed è stato vivacemente contrastato dai sindacati dei lavoratori.
[155] Art. 52, comma 71, della L. 448/2001 (legge finanziaria 2002); art. 41, comma 1, della L. 289 del 2002 (legge finanziaria 2003); art. 3, comma 76, della L. 350/2003 (legge finanziaria 2004); art. 1, comma 262, della L. 311/2004 (legge finanziaria 2005); l’art. 1, comma 430, della L..266/2005 (legge finanziaria 2006).
[156] Art. 3, comma 82, della L. 350/2003; art. 1, comma 263, della L. 311/2004; art.1, comma 430, della L. 266/2005.
[157] D.Lgs. 28 dicembre 2001, n. 477, Disposizioni integrative e correttive del decreto legislativo 5 ottobre 2000, n. 334, in materia di riordino dei ruoli del personale direttivo e dirigente della Polizia di Stato.
[158] D.L. 24 giugno 2003, n. 147, Proroga di termini e disposizioni urgenti ordinamentali, conv. con mod. in L. 1 agosto 2003, n. 200; art. 14-bis.
[159] D.L. 31 marzo 2005, n. 45, Disposizioni urgenti per la funzionalità dell’Amministrazione della pubblica sicurezza, delle Forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, conv. con mod. in L. 31 maggio 2005, n. 89.
[160] D.L. 10 settembre 2003, n. 253, Disposizioni urgenti per incrementare la funzionalità dell’Amministrazione della pubblica sicurezza e della protezione civile, conv. con mod. in L. 6 novembre 2003, n. 300.
[161] D.L. 30 dicembre 2005, n. 272, Misure urgenti per garantire la sicurezza ed i finanziamenti per le prossime Olimpiadi invernali, nonché la funzionalità dell’Amministrazione dell’interno. Disposizioni per favorire il recupero di tossicodipendenti recidivi, conv. con mod. in L. 21 febbraio 2006, n. 49.
[162] D.L. 3 aprile 2006, n. 135, Disposizioni urgenti per la funzionalità dell’Amministrazione della pubblica sicurezza, in attesa di conversione in legge.
[163] D.L. 10 settembre 2004, n. 238, Misure urgenti per il personale appartenente ai ruoli degli ispettori delle Forze di Polizia, conv. con mod. in L. 5 novembre 2004, n. 263.
[164] D.Lgs. 30 maggio 2003, n. 193, Sistema dei parametri stipendiali per il personale non dirigente delle Forze di polizia e delle Forze armate, a norma dell’articolo 7 della legge 29 marzo 2001, n. 86.
[165] L. 16 gennaio 2003, n. 3, Disposizioni ordinamentali in materia di pubblica amministrazione.
[166] L. 27 luglio 2005, n. 154, Delega al Governo per la disciplina dell’ordinamento della carriera dirigenziale penitenziaria.
[167] D.L. 27 luglio 2005, n. 144, Misure urgenti per il contrasto del terrorismo internazionale, conv. con mod. in L. 31 luglio 2005, n. 155.
[168] D.L. 6 maggio 2002, n. 83, Disposizioni urgenti in materia di sicurezza personale ed ulteriori misure per assicurare la funzionalità degli uffici dell’Amministrazione dell’interno, conv. con mod. in L. 2 luglio 2002, n. 133.
[169] Lo stesso decreto reca misure finanziarie al fine di assicurare l’integrale utilizzo delle risorse comunitarie relative al programma operativo nazionale “Sicurezza per lo sviluppo del Mezzogiorno d’Italia”.
[170] L. 3 agosto 2004, n. 206, Nuove norme in favore delle vittime del terrorismo e delle stragi di tale matrice.
[171] D.L. 28 novembre 2003, n. 337, Disposizioni urgenti in favore delle vittime militari e civili di attentati terroristici all’estero, conv. con mod. in L. 24 dicembre 2003, n. 369.
[172] Il testo unificato, nella sua ultima formulazione, è inteso a tener conto dei rilievi sollevati in ambito comunitario nel corso di una procedura di infrazione.
[173] Nel luglio 2004 la I Commissione della Camera ha avviato l’esame di due proposte di legge, sottoscritte da esponenti dei gruppi di opposizione, istitutive di una Commissione parlamentare di inchiesta sulla vicenda.
[174] L. 7 maggio 2002, n. 90, Istituzione di una Commissione parlamentare d’inchiesta concernente il dossier Mitrokhin e l’attività d’intelligence italiana.
[175] L. 11 agosto 2003, n. 232, Proroga del termine previsto dall’articolo 1, comma 3, della legge 7 maggio 2002, n. 90, per la conclusione dei lavori della Commissione parlamentare d’inchiesta concernente il “dossier Mitrokhin” e l’attività d’intelligence italiana.
[176] L. 19 ottobre 2001, n. 386, Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno della criminalità organizzata mafiosa o similare. La relazione conclusiva è stata approvata dalla Commissione il 18 gennaio 2006; è stata altresì presentata una relazione di minoranza.
[177] L. 31 ottobre 2001, n. 399, Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sul ciclo dei rifiuti e sulle attività illecite ad esso connesse. La relazione conclusiva è stata approvata dalla Commissione il 15 febbraio 2006.
[178] Ai fini di un confronto tra il periodo della XIII legislatura e quello della XIV legislatura, si è scelto, in via convenzionale, di considerare i periodi 1997-2001 e 2001-2005, con una sovrapposizione per il 2001, anno in cui è avvenuta la transizione da una legislatura all’altra; sono stati invece esclusi il 1996, che ha visto a metà anno l’avvio della XIII legislatura, e naturalmente il 2006, anno in cui si esplicheranno gli effetti dell’ultima manovra di finanza pubblica della XIV legislatura.
[179] Il D.P.C.M. 10 giugno 2004, che sostituisce il precedente D.P.C.M. 11 febbraio 2000, reca la disciplina dei criteri per l’esercizio dei poteri speciali.
[180]Con il termine “poison pill” (letteralmente “pillola avvelenata”) si intende la tecnica di difesa di una società oggetto di scalata ostile – mediante offerta pubblica di acquisto (OPA) – per mezzo della quale la società rende l’operazione più onerosa o più disagevole per il soggetto acquirente. In tale ottica, la disposizione della legge finanziaria per il 2006 consentirebbe alle società partecipate dallo Stato, in caso di offerta di acquisto ostile, di deliberare un aumento di capitale, grazie al quale l’azionista pubblico potrebbe accrescere la propria quota di partecipazione vanificando il tentativo di scalata.
[181] Dati riportati nella relazione del Governo al Parlamento (presentata il 10 maggio 2005 e relativa al secondo semestre 2004; doc. CL, n. 8) e nella Relazione della Corte dei conti n. 4/2006/G dell’11 aprile 2006 concernente l’indagine sui risultati delle cartolarizzazioni.
[182] Tra i problemi sopravvenuti si possono ricordare gli interventi normativi (articolo 26 del D.L. n. 269 del 2003 e il D.L. n. 41 del 2004) che, nel corso dell’operazione, hanno modificatola disciplina relativa alla rivendita degli immobili oggetto della cartolarizzazione.
[183] Il citato articolo 4 è stato modificato dall’articolo 4 del D.L. 12 luglio 2004, n. 168, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2004, n. 191.
[184] D.M. 17 febbraio 2004, pubblicato sulla G.U. 21 aprile 2004, n. 93.
[185] L. 15 marzo 1997, n. 59, Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle Regioni ed enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e per la semplificazione amministrativa (c.d. “legge Bassanini 1”).
[186] D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 300, Riforma dell’organizzazione del Governo, a norma dell’articolo 11 della legge 15 marzo 1997, n. 59; D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 303, Ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri, a norma dell’articolo 11 della legge 15 marzo 1997, n. 59.
[187] D.L. 12 giugno 2001, n. 217, Modificazioni al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, nonché alla legge 23 agosto 1988, n. 400, in materia di organizzazione del Governo, conv. con mod. in L. 3 agosto 2001, n. 317.
[188] L. 6 luglio 2002, n. 137, Delega per la riforma dell’organizzazione del Governo e della Presidenza del Consiglio dei Ministri, nonché di enti pubblici.
[189] D.Lgs. 6 dicembre 2002, n. 287, Modifiche al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, concernente le strutture organizzative dei Ministeri, nonché i compiti e le funzioni del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio.
[190] Cfr. l’audizione presso la I Commissione (Affari costituzionali) della Camera nella seduta del 26 giugno 2002.
[191] V. rispettivamente le L. 262/2005, 215/2004 e 112/2004.
[192] Con le modifiche apportate dal D.L. 273/2005.
[193] L. 11 febbraio 2005, n. 15, Modifiche ed integrazioni alla legge 7 agosto 1990, n. 241, concernenti norme generali sull’azione amministrativa.
[194] D.L. 14 marzo 2005, n. 35, Disposizioni urgenti nell’àmbito del Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale, conv. con mod. in L. 14 maggio 2005, n. 80.
[195] L. 7 agosto 1990, n. 241, Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi.
[196] D.P.R. 2 marzo 2004, n. 117, Regolamento concernente la diffusione della carta nazionale dei servizi, a norma dell’articolo 27, comma 8, lettera b), della legge 16 gennaio 2003, n. 3.
[197]D.P.R. 11 febbraio 2005, n. 68, Regolamento recante disposizioni per l’utilizzo della posta elettronica certificata, a norma dell’articolo 27 della legge 16 gennaio 2003, n. 3.
[198]Decreto del ministro dell’interno 13 ottobre 2005, n. 240.
[199]D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82, Codice dell’amministrazione digitale.
[200]L. 29 luglio 2003, n. 229, Interventi in materia di qualità della regolazione, riassetto normativo e codificazione. Legge di semplificazione 2001.
[201]D.Lgs. 28 febbraio 2005, n. 42, Istituzione del sistema pubblico di connettività e della rete internazionale della pubblica amministrazione, a norma dell’articolo 10, della legge 29 luglio 2003, n. 229.
[202] Legge 28 novembre 2005, n. 246, Semplificazione e riassetto normativo per l’anno 2005.
[203] D.L. 10 gennaio 2006, n. 4, Misure urgenti in materia di organizzazione e funzionamento della pubblica amministrazione conv. con mod. in L. 9 marzo 2006, n. 80.
[204] Si tratta dei seguenti:
§ Codice delle comunicazioni elettroniche (D.Lgs. 259/2003);
§ Codice in materia di protezione dei dati personali (D.Lgs. 196/2003; la legge delega era stata approvata nella XIII legislatura);
§ Codice dei beni culturali e del paesaggio (D.Lgs. 42/2004);
§ Codice della proprietà industriale (D.Lgs. 30/2005);
§ Codice dell’amministrazione digitale (D.Lgs. 82/2005);
§ Codice della nautica da diporto ed attuazione della direttiva 2003/44/CE (D.Lgs. 171/2005);
§ Testo unico della radiotelevisione (177/2005);
§ Codice del consumo (D.Lgs. 206/2005);
§ Codice delle assicurazioni private (D.Lgs. 209/2005);
§ Disposizioni per il riassetto normativo in materia di liberalizzazione regolata dell’esercizio dell’attività di autotrasportatore (D.Lgs. 286/2005);
§ Riassetto delle disposizioni relative alle funzioni e ai compiti del Corpo nazionale dei vigili del fuoco (D.Lgs. 139/2006).
[205] D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche.
[206] L. 16 gennaio 2003, n. 3, Disposizioni ordinamentali in materia di pubblica amministrazione.
[207] L. 18 luglio 2003, n. 186, Norme sullo stato giuridico degli insegnanti di religione cattolica degli istituti e delle scuole di ogni ordine e grado.
[208] L. 21 dicembre 2001, n. 442, Disposizioni integrative in materia di impiegati a contratto in servizio presso le Rappresentanze diplomatiche, gli Uffici consolari e gli Istituti italiani di cultura all’estero.
[209] L. 20 febbraio 2006, n. 79, Istituzione del profilo di docente presso la scuola di lingue estere dell’Esercito.
[210] L. 15 luglio 2002 n. 145, Disposizioni per il riordino della dirigenza statale e per favorire lo scambio di esperienze e l’interazione tra pubblico e privato.
[211] D.L. 30 giugno 2005, n. 115, Disposizioni urgenti per assicurare la funzionalità di settori della pubblica amministrazione, conv. con mod. in L. 17 agosto 2005, n. 168.
[212] Legge 27 luglio 2005, n. 154, Delega al Governo per la disciplina dell’ordinamento della carriera dirigenziale penitenziaria.
[213] D.Lgs. 15 febbraio 2006, n. 63, Ordinamento della carriera dirigenziale penitenziaria, a norma della legge 27 luglio 2005, n. 154.
[214] D.Lgs. 29 dicembre 2003, n. 381, Modifiche al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 287, concernenti il riordino della Scuola superiore della pubblica amministrazione, a norma dell’articolo 1 della legge 6 luglio 2002, n. 137.
[215] D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali.
[216] Legge 28 dicembre 2001, n. 448, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2002).
[217] D.L. 30 settembre 2003, n. 269, Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell’andamento dei conti pubblici, conv. con mod. in L. 24 novembre 2003, n. 326.
[218] Affidamento diretto del servizio da parte dell’ente locale ad una persona giuridica distinta, nei confronti della quale però l’ente locale esercita un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi; e a patto che questo soggetto realizzi la parte più importante della propria attività con l’ente o con gli enti locali che la controllano.
[219] L. 5 giugno 2003, n. 131, Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3.
[220] Ulteriori disposizioni in materia sono state introdotte dalla L. 4 febbraio 2005, n. 11, Norme generali sulla partecipazione dell’Italia al processo normativo dell’Unione europea e sulle procedure di esecuzione degli obblighi comunitari, sulla quale v. l’area tematica Affari europei.
[221] Tali princìpi sono stati fatti propri, nella sostanza, dall’art. 1 della citata L. 131/2003.
[222] Sinora, nove delle quindici Regioni a statuto ordinario si sono dotate di un nuovo statuto ai sensi dell’art. 123 Cost., come modificato dalla L.Cost. 1/1999. Per sei Regioni (Abruzzo, Basilicata, Campania, Lombardia, Molise, Veneto) l’iter statutario è ancora in corso.
[223] L.Cost. 22 novembre 1999, n. 1, Disposizioni concernenti l’elezione diretta del Presidente della Giunta regionale e l’autonomia statutaria delle Regioni.
[224] L. 2 luglio 2004, n. 165, Disposizioni di attuazione dell’articolo 122, primo comma, della Costituzione.
[225] D.L. 29 marzo 2004, n. 80, Disposizioni urgenti in materia di enti locali, conv. con mod. in L. 28 maggio 2004, n. 140.
[226] Il relativo testo unificato (A.S. 132 e abb.), approvato dal Senato, è stato oggetto di esame presso la I Commissione della Camera tra il 6 aprile e il 21 ottobre 2004, congiuntamente ad altri 16 progetti di legge.
[227] Il testo unificato (A.C. 1852 e abb.), approvato dalla Camera, è stato licenziato per l’Assemblea, con modifiche, dalla 1ª Commissione del Senato il 6 luglio 2005. L’Assemblea non ne ha iniziato l’esame.
[228]Risoluzione n. 7-00406 (On. Titti De Simone), approvata il 19 maggio 2004.
[229]Tale scaglione, ai sensi della legge n. 124 del 1999, è costituito dai docenti che abbiano superato le prove di un precedente concorso per titoli ed esami anche a soli fini abilitativi e siano inseriti, alla data di entrata in vigore della L. n. 124/1999, in una graduatoria per l’assunzione del personale non di ruolo. In tale scaglione sono iscritti anche coloro che conseguono l’abilitazione al termine del corso svolto dalle scuole di specializzazione per l’insegnamento nelle scuole secondarie (SSIS).
[230]Al riguardo, l’art. 8-nonies del D.L. 28 aprile 2004 n. 136 convertito dalla legge 27 luglio 2004, n. 186, ha poi dettato alcune norme di interpretazione autentica, mentre l’articolo 1-novies del D.L. 7/2005 ha introdotto alcune modifiche alla tabella.
[231]Norme per il reclutamento dei ricercatori e dei professori universitari di ruolo. Tale legge aveva trasferito alle università la competenza ad espletare le procedure per la copertura dei posti vacanti e la nomina in ruolo di professori ordinari, nonché di professori associati e di ricercatori.
[232]Le modifiche alla disciplina del FIT sono state introdotte dalla legge 12 dicembre 2002, n. 273, “Misure per favorire l’iniziativa privata e lo sviluppo della concorrenza” e quindi dall’art. 1, comma 270, della legge finanziaria 2005 (legge n. 311/2004).
[233]Le modifiche alla disciplina del FAR sono state introdotte dall’art.18 della legge 16 gennaio 2003, n. 3, recante “Disposizioni ordinamentali in materia di pubblica amministrazione”
[234] La destinazione ad attività di ricerca di una quota del Fondo è stata disposta dall’art. 6 del D.L. 14 marzo 2005, n. 35, convertito con modificazioni dalla legge 14 maggio 2005, n. 80.
[235]Per “sistema ferroviario transeuropeo convenzionale” si intende, ai sensi della direttiva l’insieme costituito dalle infrastrutture ferroviarie che comprendono le linee e gli impianti fissi della rete transeuropea di trasporto costruite o adattate per il trasporto ferroviario convenzionale ed il trasporto ferroviario combinato, e del materiale rotabile progettato per percorrere dette infrastrutture.
[236]Gli obblighi di finanziamento assunti dallo Stato in virtù del contratto di programma sono adempiuti mediante aumento del capitale sociale di FS Spa, che provvede poi a trasferire i finanziamenti (sempre sotto forma di aumenti di capitale), alla società di gestione dell’infrastruttura.
[237]Organizzazione internazionale dell’aviazione civile.
[238]Decreto legge 8 settembre 2004 n. 237 recante Interventi urgenti nel settore dell’aviazione civile
[239]Decreto legislativo 9 maggio 2005 n. 96 recante Revisione della parte aeronautica del Codice della navigazione, a norma dell’articolo 2 della L. 9 novembre 2004, n. 265.
[240]I decreti-legge successivi al primo sono intervenuti essenzialmente per prorogare il termine di efficacia della garanzia (che i competenti organi comunitari hanno via via autorizzato in via transitoria); al tempo stesso sono stati rivisti alcuni aspetti della disciplina relativa alle modalità di concessione ed all’ambito di applicazione della garanzia.
[241] Recante Misure di contrasto all’evasione fiscale e disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria.
[242] Quanto alla delega, si ricorda che è stato adottato dalla IX Commissione della Camera un disegno di legge, trasmesso all’esame dell’Assemblea nel dicembre 2002 (e non esaminato), che prevede una nuova delega al Governo, con ulteriori principi e criteri direttivi per la modifica del codice della strada (integrativi di quelli previsti dalla citata legge n. 85/2001), con particolare riferimento alla revisione del sistema sanzionatorio (A.C. 2851 e abb.- A).
[243]In particolare il D.L. ha previsto per coloro che avessero compiuto la maggiore età prima del 1° ottobre 2005 la possibilità di conseguire il certificato senza doversi sottoporre all’ esame previsto; ha esteso al patentino anche gli istituti della revisione, sospensione e revoca della patente.
[244]La Corte dichiara l’illegittimità costituzionale dell’articolo 126-bis, comma 2, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 nella parte in cui dispone che: «nel caso di mancata identificazione [del conducente quale responsabile della violazione], la segnalazione deve essere effettuata a carico del proprietario del veicolo, salvo che lo stesso non comunichi, entro trenta giorni dalla richiesta, all’organo di polizia che procede, i dati personali e della patente del conducente al momento della commessa violazione», anziché «nel caso di mancata identificazione di questi, il proprietario del veicolo, entro trenta giorni dalla richiesta, deve fornire, all’organo di polizia che procede, i dati personali e della patente del conducente al momento della commessa violazione”.
[245]recante Conferimento alle regioni ed agli enti locali di funzioni e compiti in materia di trasporto pubblico locale, a norma dell’articolo 4, comma 4, della L. 15 marzo 1997, n. 59
[246]Testo unificato 3053-4358-4815-4957-5057-A
[247]il termine di due anni è stato introdotto dall’articolo 3, comma 2-bis, delD.L. 30 dicembre 2005, n. 273, recante Definizione e proroga di termini, nonché conseguenti disposizioni urgenti, convertito in legge, con modificazioni dall’art. 1, L. 23 febbraio 2006, n. 51. La legge finanziaria per il 2006 aveva previsto il termine di un anno.
[248]La legge n. 84 del 1994 ha fortemente innovato il precedente modello organizzativo, basato su porti interamente pubblici, che era divenuto inadeguato alle esigenze dell’industria del trasporto marittimo e intermodale e della portualità in generale, introducendo al suo posto il modello del landlord port authority, caratterizzato dalla separazione tra le funzioni di programmazione e controllo del territorio e delle infrastrutture portuali - che sono affidate al soggetto pubblico - e le funzioni di gestione del traffico e dei terminali, che sono privatizzate, ferma la proprietà pubblica dei suoli e delle infrastrutture. Con l’istituzione delle Autorità portuali, concepite quali enti pubblici regolatori, sono state inoltre uniformate e razionalizzate le preesistenti forme di gestione portuale. Importanti innovazioni hanno poi riguardato il mercato del lavoro, con la cessazione del monopolio dell’offerta del lavoro portuale da parte delle compagnie e dei gruppi portuali.
[249]Si tratta dei pareri del Consiglio di Stato nn. 89 e 302 del 2005 e della sentenza della Corte costituzionale n. 378 del 2005 che dichiara, tra l’altro, l’illegittimità costituzionale dell’articolo 6 del decreto-legge n. 136 del 2004 nel testo precedente alle modifiche intervenute in sede di conversione, evidenziando come la procedura di nomina dei presidente dell’Autorità portuale debba inserirsi nell’ambito della nuova ripartizione di competenze tra Stato e regioni introdotta dalla riforma del Titolo V della parte seconda della Costituzione, che affida la materia “porti e aeroporti” alla competenza legislativa concorrente Stato regioni: pertanto la procedura deve articolarsi in meccanismi che non stravolgano il criterio per cui alla legge statale compete fissare i principî fondamentali della materia e che non declassino l’attività di codeterminazione connessa all’intesa in una mera attività consultiva.
[250]Intendendosi per tale la navigazione effettuata in acque marittime ed interne a scopi sportivi o ricreativi e senza fine di lucro.
[251] INAIL, Rapporto annuale 2004.
[252] Azioni positive per la realizzazione della parità uomo-donna nel lavoro.
[253] Il provvedimento estende il divieto di discriminazione per motivi connessi al sesso all’accesso al lavoro autonomo e anche all’affiliazione e all’attività delle organizzazioni sindacali o professionali e alle prestazioni erogate da tali organizzazioni.
[254] Alla data di redazione del presente dossier, il decreto legislativo in questione non risulta ancora emanato.