Camera dei deputati - XV Legislatura - Dossier di documentazione
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Autore: | Servizio Studi - Dipartimento finanze | ||
Titolo: | Commissione finanze - Politiche legislative e attività istituzionale nella XIV legislatura | ||
Serie: | Documentazione e ricerche Numero: 2 Progressivo: 6 | ||
Data: | 19/05/2006 | ||
Descrittori: |
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Organi della Camera: | VI-Finanze |
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Camera dei deputati
XV LEGISLATURA
Documentazione e ricerche
Politiche legislative e attività istituzionale
nella XIV legislatura
n. 2/6
Maggio 2006
Il “dossier di inizio legislatura” si propone di fornire un quadro sintetico delle principali politiche e degli interventi normativi che hanno interessato nella XIV legislatura i settori di competenza delle Commissioni permanenti.
Alla redazione del dossier hanno partecipato il Servizio Commissioni e l’Ufficio Rapporti con l’Unione europea.
Dipartimento Finanze
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I dossier del Servizio studi sono destinati alle esigenze di documentazione interna per l'attività degli organi parlamentari e dei parlamentari. La Camera dei deputati declina ogni responsabilità per la loro eventuale utilizzazione o riproduzione per fini non consentiti dalla legge.
File:FI0001
I N D I C E
Temi di interesse e di intervento (a cura del Servizio Studi)
Attività della Commissione (a cura del Servizio Commissioni)
Principali politiche e interventi legislativi
I princìpi e le competenze costituzionali
Il processo di armonizzazione e di coordinamento comunitario
- Il Ministero dell’economia e delle finanze
- Il Corpo della Guardia di finanza
La delega per la riforma del sistema fiscale statale
- La tassazione delle persone fisiche
- La tassazione delle persone giuridiche e delle imprese
- Imposte di fabbricazione e di consumo. Dogane
Accertamento e riscossione dei tributi
Il sistema sanzionatorio tributario
- Aspetti generali. Il federalismo fiscale
- La sospensione degli aumenti delle aliquote
- Imposta regionale sulle attività produttive
- Imposta comunale sugli immobili
Entrate tributarie 2002-2006: tabelle
Le altre entrate dello Stato e degli enti territoriali
L’alienazione di immobili pubblici
Diritto delle società e dei mercati finanziari
La riforma del diritto societario
- Illeciti penali e amministrativi
- Controversie in materia societaria - Rinvio
I princìpi contabili internazionali
La disciplina dei mercati finanziari
La vigilanza sul settore bancario
La disciplina degli intermediari creditizi
- Organizzazione degli intermediari creditizi
- Attività degli intermediari creditizi
- Prevenzione delle frodi su mezzi di pagamento
La disciplina del settore assicurativo
- Evoluzione della disciplina dell’attività assicurativa.
- Il codice delle assicurazioni private
Il contrasto del riciclaggio dei proventi di attività illecite
- Il quadro della normativa antiriciclaggio
- La direttiva 2001/97/CE e il suo recepimento
- Gli interventi successivi. La direttiva 2005/60/CE
Regime fiscale delle attività agricole
Regime fiscale delle cooperative
Regime fiscale dei fondi immobiliari
Regime fiscale dei fondi pensione
Destinazione del 5 per mille dell’IRPEF
La programmazione fiscale triennale
Funzioni statali su giuochi e scommesse
Gli apparecchi da intrattenimento
Concorsi pronostici e scommesse
L’alienazione di immobili pubblici
Cartolarizzazioni di immobili pubblici
La disciplina dei mercati finanziari
Attuazione del testo unico della finanza
Procedure europee di regolamentazione
L’insolvenza della Repubblica argentina
Contratti di garanzia finanziaria
Vendita a distanza di servizi finanziari
Gestione collettiva del risparmio
Direttiva sui servizi d’investimento
La vigilanza sul settore bancario
Il nuovo assetto della Banca d’Italia
La disciplina degli intermediari creditizi
Direttiva sulle procedure di crisi
Ipotesi di riforma delle banche popolari
Princìpi sulle banche regionali
Istituti di moneta elettronica
Consorzi di garanzia collettiva dei fidi
Questioni all’esame delle istituzioni dell’Unione europea(a cura dell'Ufficio Rapporti con l'Unione europea)
Prospettive finanziarie dell’UE 2007-2013
La proposta di direttiva sui servizi nel mercato interno
Nel corso della XIV legislatura, accanto a numerose misure di carattere puntuale che hanno inciso sulla disciplina e sulle aliquote dei tributi statali, regionali e locali, sono stati realizzati alcuni interventi di più ampia portata, che hanno interessato sia i settori delle imposte dirette e indirette, sia l’organizzazione dell’amministrazione finanziaria e dell’attività di riscossione.
L’organizzazione amministrativa è stata adeguata alla ridefinizione delle competenze ministeriali – conseguente alla riforma delle strutture ministeriali disposta nella precedente legislatura – con l’istituzione del Ministero dell’economia e delle finanze e delle quattro nuove Agenzie fiscali.
Un vasto disegno di riforma del sistema fiscale statale era contenuto nella legge 7 aprile 2003, n. 80, che conferiva al Governo la delega legislativa per la sua realizzazione. Tale progetto ha trovato soltanto limitata attuazione.
In materia di imposte dirette, è stata operata su questa base la riforma organica dell’imposizione sui redditi delle società con l’istituzione dell’IRES, mentre l’imposta sui redditi delle persone fisiche è stata oggetto di interventi eseguiti mediante la legislazione ordinaria, che hanno realizzato in due “moduli” successivi la riorganizzazione degli scaglioni e delle aliquote in parziale attuazione dei criteri di delega.
L’introduzione di misure di agevolazione, volte a favorire la competitività delle attività economiche, è stata operata per lo più attraverso lo strumento del credito d’imposta, la cui applicazione è stata sottoposta a misure di controllo della spesa per garantire l’osservanza dei limiti di copertura finanziaria.
Nell’ambito delle imposte indirette, accanto a vari interventi relativi all’imposta sul valore aggiunto, ad incrementi delle aliquote di accisa per taluni prodotti (a fronte della soppressione dell’aumento dell’imposta di fabbricazione sugli olî minerali, originariamente previsto nell’ambito delle misure sulla cosiddetta carbon tax) e degli importi delle imposte di bollo e di registro, si segnala la soppressione di alcuni tributi, fra cui l’imposta sulle successioni e donazioni. Si sono avuti altresì interventi intesi a promuovere l’emersione dei valori effettivi delle compravendite immobiliari e a porre le basi per l’aggiornamento degli estimi catastali.
Anche in quest’ambito si sono registrate misure agevolative rivolte a vari settori, per esigenze di carattere sia economico-produttivo, sia sociale.
In materia di accertamento, accanto ad interventi volti ad accrescere i poteri degli uffici e a potenziarne l’attività, si rileva l’introduzione di forme di concordato preventivo, da ultimo tradottesi nell’istituto della pianificazione fiscale triennale. Sono stati adottati nel corso della legislatura numerosi provvedimenti di condono mediante sanatoria o definizione agevolata di violazioni o di controversie pendenti.
Il settore della riscossione, dopo alcuni interventi di carattere puntuale, è stato oggetto di una complessiva riorganizzazione destinata a ricondurre nell’ambito pubblico lo svolgimento di quest’attività, trasferendola dai privati concessionari a una società a prevalente partecipazione pubblica, denominata Riscossione Spa, costituita dall’Agenzia delle entrate e dall’INPS.
Provvedimenti di carattere puntuale sono stati adottati in materia di sanzioni tributarie, mentre per quanto attiene alla giurisdizione è stato ridefinito l’oggetto della competenza delle commissioni tributarie e sono state riformate le procedure di nomina dei giudici e di assegnazione degli incarichi.
Per quanto riguarda infine la disciplina dei tributi regionali e locali, la giurisprudenza della Corte costituzionale è venuta definendo e precisando le nozioni fondamentali della disciplina introdotta dalla riforma del titolo V della parte seconda della Costituzione in materia di autonomia finanziaria delle regioni e degli enti locali e le relazioni fra le competenze normative dello Stato e degli altri enti territoriali. Parallelamente, il conseguente ordinamento finanziario è stato oggetto di studio da parte di un’Alta Commissione appositamente istituita, per la formulazione di proposte destinate a dare attuazione ai nuovi assetti prefigurati nella legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3. In connessione con ciò è stata disposta la sospensione degli incrementi di aliquota deliberati dopo il 29 settembre 2002 in relazione alle addizionali regionali e comunali all’IRPEF e alla misura dell’imposta regionale sulle attività produttive (IRAP). Anche in quest’ambito sono stati operati interventi di carattere puntuale riferiti a diversi tributi il cui gettito è destinato dalla legge statale a regioni, province e comuni.
Numerose disposizioni hanno riguardato la disciplina di giuochi e scommesse, con il riordinamento delle funzioni statali, unificate nella competenza dell’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato, l’adozione di provvedimenti volti ad accrescere il gettito erariale, a salvaguardare la fede pubblica e la tutela dei giocatori e a contrastare il giuoco illegale, realizzato anche attraverso apparecchi da intrattenimento o mezzi telematici.
La gestione del demanio statale è stata attribuita all’Agenzia del demanio. Si registra in quest’ambito un’iniziativa tendente a adeguare la misura dei canoni delle concessioni demaniali marittime, che per le difficoltà incontrate non ha tuttavia conseguito effettiva realizzazione.
È proseguito invece, attraverso l’emanazione di una disciplina specifica più volte oggetto d’intervento nel corso del quinquennio, il processo di ricognizione e alienazione del patrimonio immobiliare pubblico, anche attraverso lo strumento innovativo costituito dalla pratica finanziaria della cartolarizzazione.
La legge 3 ottobre 2001, n. 366, ha conferito al Governo delega legislativa per la riforma organica della disciplina delle società di capitali e cooperative e degli illeciti riguardanti le società commerciali, nonché per l’adozione di nuove norme di procedura per la definizione delle controversie in materia societaria, bancaria e dell’intermediazione finanziaria.
La delega ha trovato compiuta attuazione mediante un complesso di decreti legislativi che hanno riformato ampie parti del libro V del codice civile, riguardanti le società di capitali, introducendo nuovi modelli societari e categorie di azioni e altri strumenti finanziari, riconfigurando la competenza degli organi interni di controllo delle società, anche in relazione a nuove modalità di revisione contabile, intervenendo sulla disciplina delle emissioni obbligazionarie, dei bilanci societari, dei gruppi e disciplinando l’attività di direzione e coordinamento e la conseguente responsabilità del soggetto che la esercita.
In materia di cooperative, è stata fra l’altro definita la nozione di cooperazione costituzionalmente riconosciuta, con riferimento al requisito della mutualità prevalente.
È stato riorganizzato il sistema sanzionatorio degli illeciti societari, registrandosi in quest’ambito un vivace dibattito politico sulla nuova disciplina del reato di false comunicazioni sociali.
Le speciali procedure introdotte per la trattazione delle controversie societarie hanno inteso caratterizzarsi per semplicità di forme e favorire la speditezza dei procedimenti, anche attraverso istituti innovativi e l’agevolazione del ricorso all’arbitrato.
Nel medesimo ambito sono altresì intervenute la riforma delle procedure concorsuali, con una complessiva risistemazione della legge fallimentare, e l’introduzione di sezioni specializzate per la cognizione delle controversie in materia di proprietà industriale.
Fra gli atti normativi comunitari debbono richiamarsi l’entrata in vigore della nuova disciplina riguardante la società europea e la società cooperativa europea, forme societarie transnazionali regolate per larga parte dal diritto comunitario, nonché l’introduzione dei princìpi contabili internazionali per la redazione dei bilanci di taluni tipi di società.
Relativamente alla disciplina dei mercati finanziari, la Commissione Finanze ha svolto nel corso della XIV legislatura un’estesa attività conoscitiva, riguardante fra l’altro lo stato di attuazione del testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, le caratteristiche e la diffusione degli strumenti finanziari derivati presso gli enti pubblici e le imprese, nonché – in conseguenza di gravi crisi societarie che hanno coinvolto imprese estere e nazionali – i rapporti tra il sistema delle imprese, i mercati finanziari e la tutela del risparmio.
Sulla base delle risultanze di quest’ultima indagine, la legge 28 dicembre 2005, n. 262 (Tutela del risparmio e disciplina dei mercati finanziari) ha operato un complesso d’interventi sulla disciplina degli emittenti, dei mercati finanziari e dei servizi d’investimento, volti a rafforzare le garanzie di trasparenza, a prevenire i conflitti d’interessi e ad aggravare le sanzioni in caso di violazione. Contestualmente è stato operato il riassetto di alcune competenze delle autorità di vigilanza, con l’intento di informarne il sistema al modello della vigilanza per finalità. In quest’ambito deve altresì registrarsi la modificazione del sistema di finanziamento della Commissione nazionale per le società e la borsa (CONSOB).
Con altri provvedimenti legislativi si è data attuazione a direttive europee, fra cui quelle riguardanti la vigilanza supplementare sui conglomerati finanziari, la nuova disciplina in materia di abuso d’informazioni privilegiate e manipolazione del mercato, i contratti di garanzia finanziaria, la vendita di servizi finanziari a distanza e le società di gestione del risparmio.
Sulla disciplina degli emittenti quotati ha inciso significativamente anche l’adozione dei princìpi contabili internazionali per la redazione dei bilanci societari.
Tra le disposizioni comunitarie ancora da recepirsi, per la cui attuazione è stata conferita delega legislativa, si segnalano le direttive riguardanti l’offerta pubblica di acquisto, i prospetti per la quotazione, nonché la disciplina dei servizi d’investimento.
Rilevanti innovazioni in materia di vigilanza bancaria ha apportato la legge 28 dicembre 2005, n. 262 (Tutela del risparmio e disciplina dei mercati finanziari), che ha riformato l’organizzazione di vertice della Banca d’Italia, previsto la ripubblicizzazione del capitale dell’Istituto mediante il futuro trasferimento delle quote attualmente detenute da enti privati, e modificato la ripartizione delle competenze in materia di concorrenza bancaria con l’incremento dei poteri attribuiti in tale ambito all’Autorità garante della concorrenza e del mercato, nel contesto di una più vasta operazione che ha mirato a riorganizzare le funzioni di vigilanza del settore finanziario ispirandosi al principio della vigilanza per finalità.
Per quanto riguarda l’organizzazione degli intermediari del credito, è stata data attuazione alla direttiva europea in materia di risanamento e liquidazione degli enti creditizi, allo scopo di agevolare lo svolgimento delle procedure che interessano soggetti operanti in più Stati membri.
Vari interventi hanno inciso sulla disciplina nazionale relativa alle fondazioni bancarie, derivanti dal processo di privatizzazione del sistema creditizio operato nel corso degli anni novanta del secolo passato.
Un’operazione di adeguamento alle nuove forme del diritto societario ha interessato il testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, estendendosi anche – nei ristretti limiti concessi dalla delega legislativa – alla disciplina delle banche cooperative. Si è proceduto infine alla ricognizione dei princìpi in materia di banche a carattere regionale, richiesta dalle disposizioni costituzionali che regolano la ripartizione della competenza legislativa fra lo Stato e le regioni.
Relativamente all’attività degli intermediari creditizi, si sono avuti alcuni interventi volti a regolare fattispecie nuove – tra cui l’emissione di moneta elettronica da parte di banche e istituti specializzati – e ad introdurre nell’ordinamento italiano istituti già conosciuti in ordinamenti esteri, come le obbligazioni bancarie garantite (covered bond), strumenti forniti di solide garanzie patrimoniali, atti a favorire lo sviluppo del mercato obbligazionario e la sua apertura internazionale.
È stata riorganizzata la disciplina dei consorzi di garanzia collettiva dei fidi, in particolare allo scopo di agevolare l’accesso al credito da parte delle piccole e medie imprese, anche in vista dell’applicazione del nuovo Accordo di Basilea sui requisiti di capitale delle banche, che renderà più stringenti le condizioni per la concessione di affidamenti.
Alcune modificazioni relative alla disciplina dei fondi comuni d’investimento immobiliare hanno inteso rafforzarne la stabilità e la trasparenza in relazione alle particolari caratteristiche onde sono connotati.
È stato altresì istituito un sistema di prevenzione delle frodi sulle carte di pagamento, attraverso la formazione di un apposito archivio informatico.
Alcuni interventi – anche in attuazione di nuove normative europee – hanno infine riguardato il contrasto del riciclaggio dei proventi di attività illecite. In quest’ambito si è registrata in particolare l’estensione del novero dei soggetti tenuti alle procedure di identificazione e agli obblighi di conservazione di dati e di segnalazione delle operazioni sospette, mentre una nuova prospettiva è stata aperta dalle iniziative volte al contrasto del terrorismo internazionale negli aspetti relativi al suo finanziamento.
Sull’assetto della disciplina in materia assicurativa sono intervenuti alcuni provvedimenti legislativi di recepimento di norme comunitarie, fra cui le direttive riguardanti la vigilanza supplementare sulle imprese di assicurazione appartenenti ad un gruppo assicurativo e – relativamente alle maggiori aggregazioni operanti in più settori finanziari – la vigilanza supplementare sugli enti creditizi, sulle imprese di assicurazione e sulle imprese di investimento appartenenti ad un conglomerato finanziario; il calcolo del margine di solvibilità; le procedure di risanamento e liquidazione di imprese assicurative; il risarcimento per dannirisultanti dalla circolazione di autoveicoli in uno Stato membro diverso da quello di residenza.
Una complessiva riorganizzazione della disciplina legislativa è stata operata attraverso l’emanazione del codice delle assicurazioni private, che ha dato altresì attuazione alla direttiva europea sull’intermediazione assicurativa.
Sulla disciplina della vigilanza assicurativa sono intervenute infine alcune disposizioni della legge riguardante la tutela del risparmio e la disciplina dei mercati finanziari.
Ai sensi della circolare del Presidente della Camera del 16 ottobre 1996, rientrano negli ambiti di competenza della Commissione Finanze le materie relative a: finanze e tributi, compresa la disciplina delle verifiche tributarie e dei controlli fiscali; credito, compreso il settore delle banche pubbliche; borsa e mercati finanziari; assicurazioni; disciplina dell’attività delle società commerciali, con esclusione della determinazione dei relativi profili ordinamentali, che rientra nella competenza della II Commissione Giustizia; disciplina dei beni appartenenti al demanio ed al patrimonio dello Stato e degli enti territoriali.
Nel corso della XIV legislatura non si sono registrate innovazioni per quanto riguarda la formale delimitazione degli ambiti di competenza della Commissione.
In particolare, per quanto riguarda la materia del diritto societario, la cui complessità pone problematiche delicate in sede di assegnazione dei relativi progetti di legge, è rimasto immutato il criterio in base al quale la disciplina ordinamentale di natura organica della materia spetta alla II Commissione, mentre per i profili di carattere più strettamente funzionale è competente la VI Commissione.
A tale proposito si può ricordare che la lettera del Presidente della Camera del 16 luglio 2001 ha confermato la prassi secondo cui i progetti di legge vertenti sulla materia del diritto societario sono assegnati alle Commissioni riunite Giustizia e Finanze, laddove non sia possibile effettuare una valutazione di prevalenza. In conformità all’indirizzo espresso nella citata lettera del Presidente, l’esame dello schema di decreto legislativo recante la riforma del diritto societario, e del successivo schema di decreto integrativo e correttivo, è stato affidato alle due Commissioni riunite.
Per quanto concerne i conflitti di competenza sollevati dalla Commissione durante la legislatura appena conclusa, essi si sono limitati a due casi, che hanno riguardato, rispettivamente, la proposta di legge C. 2854, recante esenzione dal pagamento dei diritti di autore per le opere utilizzate nel corso di iniziative promosse dagli enti per la promozione del turismo, e le proposte di legge C. 2023 e C. 2778, recanti di disposizioni in materia di partecipazione dei lavoratori alla gestione ed ai risultati d’impresa.
La prima proposta, assegnata originariamente alla Commissione Cultura, è stata successivamente assegnata alla Commissione Finanze, ai fini dell’abbinamento con altre proposte di legge vertenti sulla disciplina fiscale delle associazioni pro-loco, già all’esame della VI Commissione.
Nel secondo caso si è proceduto alla riassegnazione alle Commissioni riunite VI e XI delle proposte di legge C. 1003, C. 1943, C. 2023, C. 2778, C. 3642 e C. 3926, alcune delle quali assegnate originariamente alla VI Commissione, altre alla XI Commissione, al fine di consentire un esame unitario delle proposte di legge vertenti su una materia, quella della partecipazione dei lavoratori alla gestione ed ai risultati d’impresa, che, per la sua complessità, è suscettibile di essere affrontata secondo ottiche diverse.
In tale contesto occorre inoltre segnalare come l’esame dei progetti di legge C. 2436 ed abbinati, recante interventi per la tutela del risparmio, pur interessando aspetti strettamente connessi con le materie dei mercati finanziari e della disciplina funzionale del diritto societario, rientranti nella competenza della Commissione, siano stati assegnati in sede referente alle Commissioni riunite Finanze ed Attività produttive, in considerazione del rilievo che tale complesso intervento legislativo assume nei confronti dell’assetto generale del sistema imprenditoriale italiano, ed anche alla luce dello svolgimento, da parte delle medesime Commissioni e delle omologhe Commissioni Finanze ed Industria del Senato, dell’indagine conoscitiva sui rapporti tra il sistema delle imprese, i mercati finanziari e la tutela del risparmio, che ha costituito in qualche modo la premessa dell’esame del provvedimento.
Nella legislatura appena conclusa la Commissione ha concluso l’esame in sede referente di 25 provvedimenti, cui devono aggiungersi altri cinque provvedimenti esaminati in congiunta con altre Commissioni.
Non sono stati esaminati provvedimenti in sede legislativa, né, analogamente a quanto avvenuto nella legislatura precedente, in sede redigente.
Il numero complessivo dei provvedimenti esaminati dalla Commissione divenuti legge assomma a 21, di cui 16 di conversione di decreti – legge e due contenenti deleghe legislative al Governo.
Non è stato ampio il ricorso agli strumenti per l’istruttoria legislativa previsti dal regolamento. In particolare, la Commissione ha richiesto in cinque occasioni dati o relazioni tecniche al Governo ai sensi dell’articolo 79 del regolamento, ha svolto due indagini conoscitive connesse all’istruttoria legislativa, ed ha indirizzato in tre circostanze richieste di parere al Comitato per la legislazione.
E’ stato invece significativa l’attività in sede consultiva, con 357 pareri espressi ad altre Commissioni, a fronte dei 230 pareri della passata legislatura.
Per quanto riguarda l’attività di controllo su atti del Governo, la Commissione ha espresso il proprio parere su 28 atti di diversa tipologia, cui si sommano quattro atti assegnati ad altre Commissioni su cui sono stati espressi rilievi.
Per quanto concerne l’attività conoscitiva svolta dalla Commissione, il numero delle audizioni formali ai sensi dell’articolo 143 del regolamento è stato di 14, mentre il totale delle indagini conoscitive avviate è risultato pari a cinque (cui si aggiungono quelle svolte nel corso dell’istruttoria legislativa nell’ambito dell’esame in sede referente di provvedimenti), di cui quattro concluse con l’approvazione di un documento conclusivo.
Il lavoro della Commissione si è particolarmente concentrato sull’attività di sindacato ispettivo e di indirizzo.
Per quanto riguarda il primo aspetto, la Commissione ha svolto 436 interrogazioni, di cui 302 a risposta immediata, dedicando complessivamente a tale tipologia di atti 195 sedute.
Rispetto alla XIII legislatura si segnala un incremento delle interrogazioni a risposta immediata svolte (che erano state 73) ed una crescita del numero di sedute (che aveva raggiunto nella scorsa legislatura il numero di 180).
In tale contesto si può evidenziare come l’istituto delle interrogazioni a risposta immediata abbia rappresentato circa i tre quarti del totale delle interrogazioni svolte dalla Commissione, ed abbia occupato circa i due terzi delle sedute dedicate al sindacato ispettivo.
Occorre inoltre rilevare come la percentuale di interrogazioni cui è stata data risposta presso la Commissione rispetto al complesso delle interrogazioni ivi presentate (631) risulti piuttosto alto (69 per cento).
Per quanto riguarda l’esame degli atti di indirizzo, anche in tale ambito si è evidenziato un forte incremento sia delle risoluzioni presentate (178), sia di quelle approvate (130), quasi doppio al numero delle risoluzioni approvate nella passata legislatura (68), con un tasso di approvazione del 73 per cento. Parimenti in crescita è risultato il numero delle sedute dedicate a tale tipologia di atti, che è passato, rispetto alla legislatura precedente, da 92 a 149.
La Commissione Finanze ha esaminato, nel corso della XIV legislatura, provvedimenti legislativi che hanno interessato settori cruciali dell’ordinamento giuridico nazionale, apportandovi modifiche che, per la loro incidenza, travalicano gli ambiti di interesse della Commissione per assumere rilevanza generale.
In primo luogo occorre evidenziare gli interventi legislativi relativi alla disciplina dei mercati finanziari, che, per l’importanza, la complessità e la durata, hanno contraddistinto l’attività della Commissione nella seconda metà della legislatura. In tale ambito occorre citare la legge n. 262 del 2005, recante disposizioni per la tutela del risparmio e la disciplina dei mercati finanziari, esaminata in congiunta con la Commissione Attività produttive, che è stata diretta in primo luogo a dare risposta ai problemi evidenziatisi nel corso delle gravi crisi finanziarie che hanno coinvolto in particolare i gruppi Cirio e Parmalat, oggetto di un’approfondita indagine conoscitiva svolta assieme alla X Commissione Attività produttive ed alle Commissioni Finanze ed Industria del Senato.
Un altro ambito di competenza della Commissione che ha dato luogo all’adozione di provvedimenti legislativi è quello del diritto societario. E’ stata infatti approvata la legge n. 366 del 2001, recante delega al Governo per la riforma del diritto societario, esaminata in sede referente in congiunta con la Commissione Giustizia, in forza della quale sono stati emanati, tra l’altro, i decreti legislativi n. 6 del 2003 e n. 310 del 2004.
Tali interventi normativi hanno realizzato una complessiva rivisitazione della disciplina civilistica del diritto societario, comportando, in particolare, l’introduzione di nuove tipologie di governo societario (modello monistico, modello dualistico) accanto a quelle tradizionalmente già contemplate dal codice civile.
Per quanto riguarda il settore tributario, la Commissione è stata chiamata ad esaminare, come già nella precedente legislatura, un complessivo intervento di riforma dell’ordinamento tributario, attraverso l’approvazione della legge n. 80 del 2003, recante delega per la riforma del sistema fiscale statale, attuata, sia pure solo parzialmente, con l’emanazione del decreto legislativo n. 344 del 2003, in materia di imposta sul reddito delle società, e del decreto legislativo n. 247 del 2005, recante disposizioni correttive ed integrative al decreto n. 344. Anche in questo caso si è trattato di una revisione ad ampio raggio dell’imposizione diretta sulle società, che ha comportato, tra l’altro, oltre alla ridenominazione dell’imposta da IRPEG ad IRES, numerose modifiche alla tassazione dei dividendi, delle partecipazioni e dei finanziamenti, nonché l’introduzione del regime opzionale di tassazione su base consolidata dei gruppi di imprese e del regime, anch’esso opzionale, di imputazione fiscale ai soci dei redditi delle società.
L’ordinamento tributario è stato inoltre oggetto di una serie di ulteriori interventi, quali la soppressione dell’imposta sulle successioni e donazioni (operata con la legge n. 383 del 2001), l’introduzione di strumenti di definizione agevolata dei tributi e del relativo contenzioso e di nuovi meccanismi di cartolarizzazione del patrimonio immobiliare pubblico.
Per quanto concerne il settore assicurativo, la legislatura è stata contrassegnata dall’emanazione del decreto legislativo n. 209 del 2005, recante il Codice delle assicurazioni private, che ha raccolto sostanzialmente in un unico corpus la normativa vigente in materia, apportandovi anche alcune innovazioni, tra le quali può segnalarsi l’introduzione del meccanismo di risarcimento diretto dei danni nel caso di sinistri tra veicoli a motore.
Per quanto attiene alla disciplina concernente il sistema dei pagamenti, si segnala infine l’approvazione della legge n. 166 del 2005, recante istituzione di un sistema di prevenzione delle frodi sulle carte di pagamento.
Inoltre – come già accennato in precedenza – la Commissione ha particolarmente valorizzato, nel corso della legislatura, l’attività di indirizzo e di controllo.
I princìpi fondamentali cui è informato l’ordinamento tributario italiano sono oramai consolidati nell’interpretazione e nella giurisprudenza costituzionale, che hanno chiarito portata e limiti della riserva relativa di legge, stabilita dall’articolo 23 della Costituzione per l’imposizione di prestazioni personali e patrimoniali, e delle nozioni di capacità contributiva e progressività, che l’articolo 53 determina rispettivamente quale fondamento dell’obbligazione tributaria e quale criterio organizzatore del sistema fiscale.
Alcune pronunzie della Corte costituzionale, nel periodo 2001-2006, hanno statuito l’illegittimità di disposizioni attinenti alla disciplina dei tributi, del loro accertamento o riscossione nonché della procedura dinnanzi alle commissioni tributarie per violazione del principio di eguaglianza (anche sotto l’aspetto della ragionevolezza)[1], ovvero per lesione di altri princìpi costituzionali[2].
Fra le pronunzie con cui sono state invece rigettate eccezioni di costituzionalità, possono richiamarsi le seguenti:
§ relativamente all’imposta regionale sulle attività produttive, le sentenze n. 156 del 2001 (concernente la determinazione legislativa dei presupposti, della base imponibile e dei soggetti passivi, in relazione ai princìpi di eguaglianza e capacità contributiva) e n. 21 del 2005 (riguardante la previsione transitoria di aliquote più elevate per banche e altri enti e società finanziari e imprese di assicurazione, in base ai princìpi di eguaglianza e di generalità dell’imposizione tributaria);
§ relativamente alla disciplina dell’accertamento induttivo (c.d. redditometro), l’ordinanza n. 297 del 2004 (in relazione alla riserva di legge e al principio della capacità contributiva): la Corte costituzionale ha ritenuto legittime le norme “in quanto ancorano l'accertamento ad elementi che debbono essere rigorosamente dimostrati e sono idonei a costituire fonte sicura di rilevamento della capacità contributiva”;
§ relativamente alla disciplina della definizione automatica delle imposte sui redditi e sostitutive e dell’imposta sul valore aggiunto, l’ordinanza n. 340 del 2005, la quale ha precisato che le disposizioni riguardanti i crediti tributari contenute negli articoli 9, commi 9 e 10, della legge n. 289 del 2002 relativamente ai rimborsi e crediti derivanti dalle dichiarazioni presentate precludono bensì l'accertamento dei debiti tributari dei contribuenti che hanno ottenuto il condono, ma non impediscono l'accertamento dell'inesistenza dei crediti posti a base delle richieste di rimborso, e pertanto, nell'ipotesi di operazioni inesistenti per le quali non sia stata versata l'IVA e per le quali sia stato richiesto il rimborso dell'imposta, non impongono affatto all'erario di procedere al rimborso né inibiscono accertamenti diretti a dimostrare l'inesistenza dell'invocato diritto al rimborso[3];
§ relativamente all’applicazione del principio della progressività nella legislazione tributaria regionale, la sentenza n. 2 del 2006, che ha dichiarato costituzionalmente legittima la strutturazione dell’addizione regionale all’IRPEF in più aliquote per scaglioni di reddito (legge della regione Marche n. 35 del 2001), in quanto non è rinvenibile nella Costituzione una riserva di competenza legislativa dello Stato in tema di progressività dei tributi.
La riforma operata con la legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione), nel conferire autonomia finanziaria di entrata e di spesa ai comuni, alle province, alle città metropolitane e alle regioni, ha conferito ad essi risorse autonome, in aggiunta a compartecipazioni al gettito di tributi erariali riferibile al loro territorio, nonché il potere di stabilire e applicare tributi ed entrate propri, in armonia con la Costituzione e secondo i princìpi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario. Nel corso degli ultimi anni, la giurisprudenza della Corte costituzionale si è quindi sforzata di enucleare il significato delle nuove disposizioni e di precisarne la collocazione nel sistema giuridico[4].
Per quanto riguarda, in generale, l’attuazione del nuovo articolo 119 della Costituzione e l’esplicazione della potestà legislativa regionale relativamente all’istituzione di tributi propri, la Corte costituzionale ha segnalato l’urgenza di realizzare il sistema di finanza regionale ivi prefigurato, “al fine di concretizzare davvero quanto previsto nel nuovo titolo V della Costituzione, poiché altrimenti si verrebbe a contraddire il diverso riparto di competenze configurato dalle nuove disposizioni” e per prevenire “rischi di cattiva funzionalità o addirittura di blocco di interi ambiti settoriali” (sent. n. 370 del 2003, Diritto, 7).
La sentenza n. 37 del 2004 (Diritto, 5) ha indicato come necessario presupposto per l'attuazione del disegno costituzionale “l'intervento del legislatore statale, il quale, al fine di coordinare l'insieme della finanza pubblica, dovrà non solo fissare i principi cui i legislatori regionali dovranno attenersi, ma anche determinare le grandi linee dell'intero sistema tributario, e definire gli spazi e i limiti entro i quali potrà esplicarsi la potestà impositiva, rispettivamente, di Stato, Regioni ed enti locali”. Per quanto riguarda in particolare i tributi locali, la riserva di legge stabilita dall’articolo 23 della Costituzione comporta la necessità di definire l'ambito in cui potrà esplicarsi la potestà regolamentare degli enti sub-regionali, sforniti di poteri legislativi, e il rapporto fra quest’ultima e la legislazione statale e legislazione regionale per quanto attiene alla disciplina di grado primario. La Corte ha quindi concluso che “non è ammissibile, in materia tributaria, una piena esplicazione di potestà regionali autonome in carenza della fondamentale legislazione di coordinamento dettata dal Parlamento nazionale”. Questa conclusione è stata confermata nella sentenze n. 241 del 2004 (sulla delega per la riforma del sistema fiscale statale) e n. 261 del 2004 (sulla determinazione delle basi di calcolo dei sovracanoni per la produzione di energia idroelettrica).
Per quanto riguarda la specificazione della nozione di tributo proprio, la Corte ha affermato costantemente che nell’attuale quadro normativo non si danno tributi che possano essere definiti propri delle regioni, nel senso inteso dall’articolo 119 della Costituzione. Infatti, attualmente esistono soltanto tributi istituiti e disciplinati da leggi dello Stato, connotati dalla sola particolarità che il loro gettito è attribuito alle regioni. La disciplina di questi “tributi regionali” non è divenuta oggetto di legislazione concorrente, ai sensi dell’articolo 117, terzo comma, della Costituzione, ma appartiene alla competenza esclusiva della legislazione dello Stato, che disciplina i casi e i limiti in cui può esplicarsi la potestà legislativa regionale. Spetta quindi al legislatore statale la potestà di dettare norme modificative, anche nel dettaglio, della disciplina dei tributi locali esistenti. Tale potestà deve tuttavia esercitarsi in armonia con i nuovi princìpi costituzionali: in particolare, non potrebbe sopprimere, senza sostituirli, gli spazi di autonomia già riconosciuti alle regioni e agli enti locali dal vigente ordinamento, né configurare un sistema finanziario complessivo che contraddica tali princìpi (sent. n. 37 del 2004, Diritto, 5).
La prima pronunzia a questo proposito è contenuta nella sentenza n. 296 del 2003 che, su ricorso del Governo avverso la legge della regione Piemonte 5 agosto 2002, n. 20, ha dichiarato illegittime le disposizioni ivi contenute in materia di imposta regionale sulle attività produttive (IRAP) e di tassa automobilistica (esenzione dell’Agenzia per lo svolgimento dei giochi olimpici invernali di Torino 2006 dal pagamento dell’IRAP; esenzione permanente dal pagamento della tassa automobilistica per gli autoveicoli alimentati a gas metano; proroga del termine per il recupero delle tasse automobilistiche regionali dovute per l’anno 1999).
La Corte ha dichiarato che l’IRAP non può qualificarsi tributo proprio delle regioni nel senso inteso dall’attuale articolo 119 della Costituzione, e che pertanto queste possono variarne la disciplina soltanto nei limiti consentiti dalla normativa statale in proposito, non rilevando in contrario la devoluzione del relativo gettito alle regioni stesse. Spetta quindi alle regioni soltanto una limitata facoltà di variare l’aliquota e di disciplinare le procedure applicative secondo quanto previsto dal D.Lgs. n. 446 del 1997. Quest’impostazione è stata confermata dalle sentenze n. 241 e n. 381 del 2004, che hanno deciso ricorsi delle regioni avverso leggi statali intervenute in materia di IRAP e di addizionali regionali all’IRPEF (sentenza n. 241 del 2004: delega al Governo per la graduale soppressione dell’IRAP; sospensione degli aumenti delle addizionali IRPEF e delle aliquote IRAP: sentenza n. 381 del 2004).
Analogamente, in materia di tassa automobilistica, la Corte, nella citata sentenza n. 296 del 2003, ha affermato che alle regioni è stato attribuito “il gettito della tassa, unitamente alla attività amministrativa connessa alla sua riscossione, restando invece ferma la disciplina statale per ogni altro aspetto sostanziale della tassa stessa”. La disciplina sostanziale dell’imposta non è divenuta quindi oggetto di legislazione concorrente ai sensi dell’articolo 117, terzo comma, della Costituzione. Le successive sentenze n. 297 e n. 311 del 2003 nonché n. 455 del 2005 hanno confermato quest’impostazione.
Nei medesimi termini sono state decise controversie riguardanti il tributo speciale per il deposito dei rifiuti solidi in discarica (previsto dalla legge n. 549 del 1995). Le sentenze n. 335 e n. 397 del 2005 hanno dichiarato costituzionalmente illegittime disposizioni di legge regionale che, rispettivamente, rimettevano a deliberazione della Giunta regionale il metodo di determinazione del tributo (art. 44, comma 3, della legge della regione Emilia-Romagna 14 aprile 2004, n. 7) e ne disponevano l’aumento oltre il termine fissato dalla legge dello Stato (art. 1 della legge della Regione Molise 31 agosto 2004, n. 18). Anche questo tributo deve infatti considerarsi statale e non proprio della regione, che può dunque legiferare solo nei casi e nei limiti previsti dalla legge dello Stato.
Verte in materia di IRAP, ma afferma un principio di più generale applicazione, la sentenza n. 431 del 2004, con cui la Corte costituzionale ha deciso il ricorso della regione Veneto avverso l’articolo 19 della legge n. 289 del 2002 (legge finanziaria per il 2003), che prorogava agevolazioni fiscali relative all’IRAP nel settore agricolo. La Corte ha rigettato infatti la tesi, sostenuta dalla regione, secondo cui ogni intervento sul tributo che, o per modificazione delle aliquote o per variazioni delle agevolazioni previste, comporti un minor gettito per le Regioni, dovrebbe essere accompagnato da misure compensative a ristoro della finanza regionale. Secondo il giudice delle leggi, la manovra fiscale dev’essere considerata nel suo insieme e non è quindi possibile, sotto questo profilo, valutare singole disposizioni. La tesi è stata ribadita in occasione di un altro giudizio (sentenza n. 155 del 2006) relativo a disposizioni dell’articolo 1, commi 347 e seguenti, della legge n. 311 del 2004 (legge finanziaria per il 2005) direttamente o indirettamente incidenti sulla determinazione della base imponibile dell’IRAP.
La strategia complessiva della politica fiscale della Commissione europea è stata delineata nella comunicazione COM (2001) 260 del 23 maggio 2001, che – esclusa la necessità di un’armonizzazione globale dei sistemi tributari degli Stati membri, anche in considerazione dei princìpi di proporzionalità e sussidiarietà – ha indicato come oggetti principali dell’azione dell’Unione l’eliminazione degli ostacoli fiscali alle attività economiche transfrontaliere e la lotta contro la concorrenza fiscale dannosa, nel più ampio quadro delle politiche di sviluppo definite nel marzo 2000 dal Consiglio europeo nella riunione di Lisbona.
La disciplina delle imposte sui redditi delle persone fisiche spetta all’esclusiva competenza degli Stati membri, i quali debbono tuttavia assicurare il rispetto dei princìpi comunitari in materia di libera circolazione (dei servizi, dei lavoratori e dei capitali) e di libero stabilimento. Misure di coordinamento sono quindi possibili per eliminare differenze di trattamento, fenomeni di doppia imposizione o di mancato assoggettamento ad imposta, nonché pratiche di evasione fiscale transfrontaliera. Alcune iniziative sono state assunte dalla Commissione con comunicazioni relative al regime tributario dei trattamenti pensionistici [COM (2001) 214 del 19 aprile 2001] e alle imposte sui dividendi [COM (2003) 810 del 19 dicembre 2003].
La direttiva 2003/48/CE del Consiglio in materia di tassazione dei redditi da risparmio sotto forma di pagamenti di interessi[5] ha stabilito i princìpi cui debbono informarsi gli ordinamenti nazionali per evitare distorsioni nell’ambito della libera circolazione dei capitali e assicurare un’effettiva imposizione secondo le regole dello Stato di residenza. A quest’effetto è stato previsto lo scambio automatico d’informazioni, con obblighi a carico degli intermediari. Un regime transitorio particolare è stato previsto per il Belgio, il Lussemburgo e l’Austria, i cui ordinamenti non permettono un’immediata partecipazione allo scambio di informazioni: in mancanza di assenso del beneficiario alla comunicazione di informazioni allo Stato di residenza, essi applicheranno una ritenuta alla fonte – in misura crescente dal 15 al 35 per cento – riversando i tre quarti del provento allo Stato di residenza del beneficiario stesso. La cessazione del regime transitorio è subordinata alla conclusione degli accordi con la Svizzera, il Liechtenstein, San Marino, Monaco e Andorra per lo scambio automatico d’informazioni o l’applicazione di analoga ritenuta e all’impegno degli Stati Uniti d’America ad assicurare lo scambio d’informazioni su richiesta. La conclusione degli accordi con i suddetti cinque Stati europei, intervenuta nel 2004, ha consentito l’applicazione della direttiva dal 1° luglio 2005.
Le linee d’azione relative all’imposizione sui redditi delle imprese sono state indicate dalla Commissione nella comunicazione COM (2001) 582 del 23 ottobre 2001, che – con la successiva comunicazione COM (2003) 726 del 24 novembre 2003 – ha prefigurato come obiettivo finale l’adozione di un imponibile comune consolidato attraverso l’impiego dei conti finanziari come fondamento per la determinazione di una base imponibile unica.
La direttiva 2003/49/CE del Consiglio, concernente il regime fiscale comune applicabile ai pagamenti di interessi e di canoni fra società consociate di Stati membri diversi, per contrastare i fenomeni di doppia imposizione riferiti a gruppi transnazionali, ha eliminato l’imposizione alla fonte sui pagamenti di interessi e canoni fra società consociate stabilite in Stati membri diversi[6]. La direttiva 2003/123/CE ha poi esteso, al medesimo fine, l’ambito di applicazione delle disposizioni che esentano dalle ritenute alla fonte dividendi e altre distribuzioni di utili pagati dalle società figlie alle proprie società madri[7].
Infine, la direttiva 2005/19/CE del Consiglio ha modificato le disposizioni sul regime fiscale comune relativo a fusioni, scissioni, conferimenti d'attivo e scambi d'azioni concernenti società di Stati membri diversi, disciplinandone fra l’altro l’applicazione alle nuove figure della società europea e della società cooperativa europea[8], nonché alle ipotesi di trasparenza fiscale contemplate negli ordinamenti nazionali.
In materia di imposta sul valore aggiunto, il regolamento (CE) n. 1798/2003 ha riorganizzato la cooperazione amministrativa in materia d'imposta sul valore aggiunto per accrescerne l’efficacia[9]. Particolare attenzione al crescente problema delle cosiddette “frodi carosello”[10] è stata sollecitata dalla relazione presentata dalla Commissione il 20 ottobre 2003 [COM (2003) 614] sull’attuazione del programma di miglioramento del sistema IVA[11]. Da ultimo, il regolamento (CE) n. 1777/2005 del Consiglio, del 17 ottobre 2005, ha inteso provvedere ad un’applicazione più uniforme della disciplina da parte degli Stati membri, con particolare riguardo al luogo di tassazione e alla base imponibile di determinate operazioni, all’ambito di efficacia di alcune esenzioni previste e alla determinazione della nozione di servizio fornito per via elettronica.
La direttiva 2001/115/CE del Consiglio è intervenuta sulle modalità di fatturazione, sia con alcune misure semplificatrici, sia per regolare l’uso della fattura elettronica salvaguardando le possibilità di controllo dell'amministrazione tributaria[12].
La direttiva 2002/38/CE del Consiglio ha modificato il regime di tassazione dei servizi di radiodiffusione e di televisione e dei servizi prestati tramite mezzi elettronici, introducendo altresì norme speciali per i prestatori di servizi non stabiliti nell’Unione[13], mentre la direttiva 2003/92/CE del Consiglio ha innovato le norme sul luogo di cessione di gas e di energia elettrica per evitare fenomeni di doppia imposizione connessi alla particolare natura dei beni[14].
La direttiva 2006/18/CE del Consiglio, del 14 febbraio 2006 ha autorizzato l’applicazione di aliquote ridotte alle forniture di teleriscaldamento nonché, fino al 2010, a taluni servizi caratterizzati da alta intensità di lavoro, incaricando inoltre la Commissione di valutare l’incidenza dell’eventuale applicazione di aliquote ridotte ai servizi prestati localmente, compresi i servizi di ristorazione.
Nel corso degli anni 2003 e 2004 è stata esaminata una proposta di direttiva avanzata dalla Commissione relativamente all’imposta sul valore aggiunto nel settore postale [COM (2004) 468], volta ad assoggettare a questo tributo i servizi resi da operatori pubblici – attualmente esenti – per evitare distorsioni della concorrenza nei riguardi degli operatori privati. La proposta, emendata a seguito della lettura del Parlamento europeo, non è stata finora deliberata dal Consiglio.
Infine, alcuni interventi hanno riguardato direttamente le caratteristiche di funzionamento del sistema dell’IVA: così, la direttiva 2004/7/CE ha modificato le regole procedurali per la decisione del Consiglio sulle richieste di deroga in materia di IVA e per l’adozione delle norme di applicazione dell’imposta, mentre la direttiva 2005/92/CE del Consiglio ha prorogato al 2010 la determinazione della misura minima dell’aliquota normale nel 15 per cento.
Nel settore delle accise, la direttiva 2002/10/CE del Consiglio ha modificato importi e struttura dell’accisa sui tabacchi lavorati[15]. La direttiva 2003/96/CE del Consiglio ha invece riorganizzato il quadro comunitario per la tassazione dei prodotti energetici e dell'elettricità, estendendo al carbone, ai gas naturali e all’elettricità il ravvicinamento delle aliquote d’accisa prima limitato ai soli olî minerali[16]. In materia di alcol e bevande alcoliche, la Commissione ha presentato una relazione [COM (2004) 223 del 26 maggio 2004], allo scopo di aprire la discussione circa l’opportunità di una maggiore convergenza negli importi di tassazione applicati dagli Stati membri.
Un programma di informatizzazione dei sistemi attraverso cui i beni soggetti ad accisa sono trasferiti in sospensione d’imposta all’interno dell’Unione è stato adottato con decisione del Consiglio il 16 giugno 2003 (1152/2003/CE). Tale programma interesserà circa 80.000 imprese e operatori individuali, con oneri elevati, ma ritenuti congrui rispetto all’entità dell’evasione stimata, che dovrebbe essere ridotta dalle nuove misure.
La strategia in materia doganale è stata delineata dalla Commissione con la comunicazione COM (2001) 51 dell’8 febbraio 2001, che, sulla base di un’analisi delle tendenze evolutive del commercio internazionale, dell’ordinamento comunitario e delle tipologie di frode rilevate, ìndica alcune iniziative di carattere legislativo, organizzativo e di formazione volte a rafforzare e adeguare il sistema doganale comunitario. La comunicazione COM (2003) 452 del 24 luglio 2003 ha proposto un complesso di misure per la redistribuzione delle competenze fra gli uffici, il miglioramento delle procedure di cooperazione e scambio d’informazioni e la semplificazione delle procedure con la partecipazione degli operatori commerciali (con l’introduzione della nozione di «operatore economico autorizzato»). Le conseguenti modificazioni al codice doganale comunitario, emanato con il regolamento (CEE) n. 2913/92 del Consiglio, sono state adottate il 13 aprile 2005 con il regolamento (CE) n. 648/2005 del Parlamento europeo e del Consiglio. Un progetto ulteriore di semplificazione prevede l’adozione di procedure automatizzate, attraverso l’interconnessione dei sistemi informatici nazionali.
Una comunicazione della Commissione [COM (2002) 431 del 9 settembre 2002] ha preso in considerazione il regime d’imposizione sui veicoli non commerciali, in relazione agli ostacoli al libero mercato che possono provenire dalle tasse di immatricolazione. A questo riguardo, si è raccomandato di adottare un metodo di tassazione che consideri l’entità delle emissioni di anidride carbonica; è stata altresì suggerita l’armonizzazione dei sistemi nazionali delle tasse di circolazione.
Altre iniziative hanno riguardato le procedure di cooperazione e mutua assistenza, che la direttiva 2001/44/CE del Consiglio ha esteso al recupero di crediti riferiti alle imposte sui redditi e sul capitale e alle imposte sui premi d’assicurazione[17]. Ulteriori adeguamenti relativi alla cooperazione amministrativa sono stati operati con i regolamenti (CE) n. 1978/2003 del Consiglio, in materia di imposta sul valore aggiunto, e n. 2073/2004 del Consiglio, in materia di accise; con la direttiva 2004/56/CE del Consiglio, in materia di imposte dirette[18]. Il 3 dicembre 2002, la Commissione ha adottato il programma Fiscalis 2003-2007, consistente in misure di rafforzamento dei sistemi di scambio elettronico di informazioni tra le amministrazioni finanziarie nazionali e iniziative di formazione per funzionari ed esperti, poi esteso ai nuovi Stati membri[19].
L’ingresso di dieci nuovi Stati membri nell’Unione (trattato di Atene del 16 aprile 2003, in vigore dal 1° maggio 2004) ha comportato l’allineamento dei rispettivi regimi d’imposizione indiretta ai princìpi comunitari, con la previsione di transitorie norme di deroga (specialmente riferite a IVA e accise) per consentirne il graduale adeguamento.
Un’ipotesi di riorganizzazione del finanziamento dell’Unione è stata presentata nella relazione della Commissione sul funzionamento del sistema di risorse proprie [COM 2004) 505 del 14 luglio 2004], che ha prefigurato un differente assetto, incentrato su una nuova risorsa propria – sostitutiva di entrate esistenti – fondata o sulla tassazione dei consumi energetici, o sull’imposta sul valore aggiunto, ovvero sulla tassazione delle società.
Il decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, emanato in attuazione della delega conferita al Governo dall’articolo 11 della legge n. 59 del 1997 e dall’articolo 9 della legge n. 50 del 1999, aveva riordinato l’organizzazione ministeriale dello Stato, attraverso l’unificazione di alcuni fra i Ministeri preesistenti e la rideterminazione delle competenze dei dicasteri. Nell’ambito della riforma dell’organizzazione del Governo, con decorrenza dall’inizio della XIV legislatura, era prevista l’istituzione del Ministero dell’economia e delle finanze, con la contestuale soppressione del Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica e del Ministero delle finanze.
In particolare, l’articolo 23 del predetto decreto legislativo enunziava le attribuzioni del nuovo Ministero, mentre il successivo articolo 24 ne ripartiva la competenza in cinque aree funzionali, in riferimento alle quali doveva essere definita l’organizzazione dei dipartimenti a norma dell’articolo 25.
La determinazione delle competenze e la loro ripartizione nelle aree funzionali è stata successivamente integrata e modificata dal decreto legislativo 3 luglio 2003, n. 173, emanato in attuazione della legge n. 137 del 2002. Esso, fra l’altro, ha specificato e trasferito all’area “politica economica e finanziaria” le competenze in materia di attivo e patrimonio dello Stato, prima genericamente comprese nell’area “politiche fiscali”, ha esplicitato le competenze riguardanti le funzioni ispettive e di controllo contabile (attinenti all’area “politiche, processi e adempimenti di bilancio”) e ha precisato la collocazione del Servizio consultivo e ispettivo tributario (SECIT) alle dirette dipendenze del Ministro.
Presso il Ministero, in corrispondenza con le suddette aree funzionali, operano attualmente i seguenti dipartimenti[20]:
§ Dipartimento del tesoro;
§ Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato;
§ Dipartimento per le politiche di sviluppo e di coesione;
§ Dipartimento per le politiche fiscali;
§ Dipartimento dell’amministrazione generale del personale e dei servizi.
Si ricorda, infine, che la Commissione VI (Finanze) della Camera dei deputati ha effettuato un’indagine conoscitiva sullo stato di attuazione della riforma dell’amministrazione finanziaria. L’indagine, iniziata a novembre 2001 si è conclusa nel maggio 2004. Il documento conclusivo è stato approvato nella seduta del 12 maggio 2004.
La Commissione parlamentare di vigilanza sull’anagrafe tributaria ha svolto tre indagini conoscitive sul funzionamento e sulle modalità di gestione dell'anagrafe tributaria (febbraio 2002-febbraio 2003: documento conclusivo approvato il 12 febbraio 2003), sull'armonizzazione dei sistemi di gestione dell'anagrafe tributaria (aprile 2003-aprile 2004: documento conclusivo approvato il 6 aprile 2004) e sui rapporti tra il sistema di gestione dell'anagrafe tributaria e le amministrazioni locali (settembre 2004-novembre 2005: documento conclusivo approvato il 30 novembre 2005).
Nel quadro della riforma dell’organizzazione del Governo, ai sensi dell’articolo 57 del decreto legislativo n. 300 del 1999, la gestione delle funzioni precedentemente esercitate dai Dipartimenti delle entrate, delle dogane, del territorio e di quelle svolte da altri uffici del soppresso Ministero delle finanze è stata attribuita a quattro agenzie fiscali all’uopo istituite: Agenzia delle entrate, Agenzia delle dogane, Agenzia del territorio e Agenzia del demanio.
Le Agenzie hanno autonoma personalità giuridica e sono dotate di autonomia regolamentare, patrimoniale, organizzativa, contabile e finanziaria, volta a garantire l’efficienza e l’efficacia della gestione e il raggiungimento di predeterminati obiettivi di risultato. Ciascuna Agenzia, in base all’articolo 66, è regolata da un proprio statuto deliberato dal comitato di gestione e approvato dal Ministro dell’economia e delle finanze.
Le competenze di ciascuna Agenzia sono definite dagli articoli da 62 a 65 del D.Lgs. n. 300 del 1999. Anche in quest’ambito è intervenuto con alcune modifiche e integrazioni, riguardanti sia le competenze, sia le forme organizzative delle Agenzie, il citato decreto legislativo n. 173 del 2003, che in particolare ha trasformato l'Agenzia del demanio in ente pubblico economico[21].
La legge 23 dicembre 2005, n. 266 (legge finanziaria per il 2006), ai commi da 72 a 77 dell’articolo 1, ha previsto nuove disposizioni circa il finanziamento delle Agenzie fiscali, con esclusione dell’Agenzia del demanio, la cui dotazione di risorse continua ad essere determinata dalla tabella C della legge finanziaria. In particolare, i finanziamenti delle Agenzie dovranno tener conto dell’incremento dei livelli di adempimento fiscale e del recupero di gettito da esse conseguito nella lotta contro l’evasione.
A decorrere dal 2007 le dotazioni saranno determinate in base alla media di alcuni incassi del bilancio dello Stato (entrata) nell'ultimo triennio per il quale sono stati approvati i consuntivi. Su tale importo dovrà essere calcolata la quota percentuale da attribuire a ciascuna Agenzia nella seguente misura:
§ 0,71 per cento per l'Agenzia delle entrate;
§ 0,13 per cento per l'Agenzia del territorio;
§ 0,15 per cento per l'Agenzia delle dogane.
La dotazione non dovrà comunque essere superiore a quella dell'anno precedente, incrementata del 5 per cento.
L’articolo 3 del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 248 del 2005, ha attribuito all’Agenzia delle entrate le funzioni relative al servizio nazionale della riscossione, che vengono esercitate attraverso la Riscossione S.p.a., società appositamente costituita unitamente all’INPS (v. scheda La riforma della riscossione).
Diversi provvedimenti legislativi hanno attribuito all’Agenzia delle dogane un ruolo particolare nella lotta alla contraffazione, prevedendo altresì la semplificazione delle operazioni di esportazione e importazione, anche attraverso l’istituzione dello “sportello unico doganale”, disposta dall’articolo 4, commi 57-58, della legge 24 dicembre 2003, n. 350 (legge finanziaria per il 2004).
Un tema particolarmente sviluppato nel dibattito parlamentare relativamente all’Agenzia del territorio è stato quello relativo al trasferimento delle funzioni catastali ai comuni, previsto dal decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112.
Infatti l’articolo 66 di tale decreto legislativo attribuisce ai comuni le funzioni relative alla conservazione, utilizzazione e aggiornamento degli atti del catasto terreni e del catasto edilizio urbano, nonché alla revisione degli estimi e del classamento, ferma restando, a norma dell’articolo 65, la competenza statale relativa-mente alla predisposizione di procedure innovative per la determinazione dei redditi dei terreni e degl’immobili urbani ai fini delle revisioni generali degli estimi e del classamento e all'individuazione di metodologie per l'esecuzione di rilievi e gli aggiornamenti topografici e la formazione di mappe e cartografie catastali. L’articolo 64, comma 2, del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, prevede che gli enti locali possano affidare, mediante convenzione, la gestione delle fun-zioni di tenuta e aggiornamento del catasto all'Agenzia del territorio.
I decreti del Presidente del Consiglio dei ministri del 19 dicembre 2000 e del 21 marzo 2001 hanno individuato in quattromila unità il personale dell'Agenzia del territorio da trasferire agli enti locali, nel caso in cui tutti i comuni vogliano assumere la gestione del catasto. In particolare l’articolo 6 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 19 dicembre 2000 ha disposto che il trasferimento di funzioni, risorse e beni debba comunque essere completate entro tre anni dalla pubblicazione dello stesso decreto. Tale termine è stato differito di due anni dal D.P.C.M. 22 luglio 2004 e, da ultimo, di un ulteriore anno (26 febbraio 2007) dall’articolo 25, del D.L. n. 273 del 2005, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 51 del 2006[22].
Nell’ambito di competenza delle agenzie fiscali sono state adottate alcune iniziative di semplificazione mediante l’impiego di strumenti telematici.
Così, con il regolamento emanato mediante D.P.R. 5 ottobre 2001, n. 404, sono state disciplinate la presentazione telematica di talune dichiarazioni e documenti all’Agenzia delle entrate da parte dei contribuenti o degli intermediari abilitati, il rilascio di certificazioni e la prestazione di servizi mediante appositi collegamenti, nonché la registrazione telematica dei contratti di locazione.
La legge 30 dicembre 2004, n. 311, all’articolo 1, commi da 374 a 375, ha previsto e disciplinato la facoltà di presentare mediante strumenti telematici gli atti di aggiornamento del catasto e di modifica delle rendite catastali[23]: l’estensione progressiva di tale servizio a tutti gli atti nel catasto e nei registri immobiliari è prevista dall’articolo 1, comma 3, del D.L. 10 gennaio 2006, n. 2, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 81 del 2006.
Nel corso della XIV legislatura sono state introdotte nell’ordinamento alcune disposizioni riguardanti il Corpo della Guardia di finanza.
L’articolo 4, comma 64, della legge finanziaria per il 2004 (legge n. 350 del 2003) ha incrementato l’organico del Corpo di 470 unità dal 2004 e di ulteriori 530 unità dal 2005. Un ulteriore finanziamento di 1,5 milioni di euro annui per il potenziamento delle dotazioni organiche è stato disposto dall’articolo 1, comma 93, della legge finanziaria per il 2006 (legge n. 266 del 2005), a decorrere dal 2006.
L’articolo 1, comma 7, del D.L. n. 16 del 2005, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 58 del 2005, ha istituito nello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze, con una dotazione di 20 milioni di euro per l'anno 2005, un fondo da ripartire per le esigenze correnti di funzionamento dei servizi del Corpo.
Da ultimo, l’articolo 1, comma 93, della legge finanziaria per il 2006 (legge n. 266 del 2005) ha autorizzato l’erogazione di 30 milioni di euro annui per quindici anni a decorrere dal 2006 in favore del Corpo della Guardia di Finanza, per provvedere all’ammodernamento della flotta e alla sicurezza delle comunicazioni, nonché di 10 milioni di euro annui per quindici anni allo scopo di completare il programma di dotazione infrastrutturale.
Diverse disposizioni hanno riguardato i compiti istituzionali del Corpo.
Si richiamano quelle relative allo svolgimento di attività di vigilanza sui prezzi dei prodotti al consumo (art. 23 del D.L. n. 269 del 2003) e segnatamente dei prodotti agroalimentari (art. 2 del D.L. n. 182 del 2005) e alla partecipazione al contrasto del terrorismo internazionale (art. 1 del D.L. n. 144 del 2005).
Un intervento di particolare rilievo si è verificato nella legislazione riguardante le attività finanziarie, bancarie e assicurative e i mercati: si è infatti previsto che le autorità pubbliche di vigilanza, per lo svolgimento di attività ispettive e di accertamento di propria competenza, possano valersi del Corpo della Guardia di finanza, che riferisce esclusivamente ad esse circa i risultati delle verifiche compiute. Ciò è stato disposto in via generale per la Banca d’Italia, la Commissione nazionale per le società e la borsa (CONSOB), l’Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni private e d’interesse collettivo (ISVAP), la Commissione di vigilanza sui fondi pensione (COVIP) e l’Autorità garante della concorrenza e del mercato dall’articolo 22 della legge n. 262 del 2005 (Disposizioni per la tutela del risparmio e la disciplina dei mercati finanziari); per il settore assicurativo, analoga disposizione è contenuta nell’articolo 307 del codice delle assicurazioni private, emanato con D.Lgs. n. 209 del 2005.
Nell’ambito della riforma del servizio nazionale della riscossione, l’articolo 3, comma 5, del D.L. n. 203 del 2005 ha previsto che la Guardia di finanza attui forme di collaborazione con la società Riscossione Spa per lo svolgimento delle attività di riscossione mediante ruolo e di riscossione delle entrate.
Per quanto riguarda l’organizzazione del Garante del contribuente, istituito dalla legge L. 27 luglio 2000, n. 212 (Statuto dei diritti del contribuente), la L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 94, co. 7, ha prolungato la durata dell’incarico – che da triennale è divenuto quadriennale – rimovendo il limite di un solo rinnovo, ma richiedendo a questo fine la valutazione delle qualità professionali e dell’attività svolta.
Un intervento di riforma della disciplina relativa a quest’organo, inteso a specificarne ed estenderne i poteri, attribuire ad esso idonee strutture organizzative e risolvere alcuni problemi segnalati circa la sua funzionalità, è stato oggetto di esame presso la Commissione VI (Finanze) della Camera, che ha preso in considerazione le proposte di legge Lettieri e Benvenuto n. 5201, Benvenuto ed altri n. 5313 e Degennaro n. 5415 (sulla stessa materia, Fragalà ed altri n. 5699), senza tuttavia concludere il procedimento.
Un esteso disegno di riorganizzazione del sistema tributario è stato delineato dalla legge 7 aprile 2003, n. 80, che – su atto d’iniziativa governativa – conferiva la delega legislativa per la riforma del sistema fiscale statale.
La legge prevedeva la riforma dell’intero sistema fiscale statale mediante uno o più decreti legislativi, da adottarsi entro il 3 maggio 2005. Il nuovo sistema fiscale si sarebbe dovuto basare su cinque imposte (articolo 1):
§ imposta sul reddito (IRE), con riduzione a due aliquote (23% per redditi sino a 100.000 euro e 33% per redditi oltre tale importo), previsione di una soglia di reddito esente da imposta, progressiva sostituzione delle detrazioni d’imposta con deduzioni dall’imponibile e clausola di salvaguardia in favore dei singoli contribuenti;
§ imposta sul reddito delle società (IRES), con aliquota unica del 33 per cento, caratterizzata fra l’altro da alcuni nuovi istituti (tassazione consolidata di gruppo; regime della trasparenza fiscale; regime forfetario di tonnage tax per la determinazione del reddito di alcune imprese marittime); esenzione, a determinate condizioni, per le plusvalenze da partecipazioni, con corrispondente indeducibilità delle relative minusvalenze, nonché esclusione da tassazione, nella misura del 95 per cento, degli utili distribuiti da società, anche non residenti; misure volte a contrastare la sottocapitalizzazione (c.d. thin capitalization); abrogazione della dual income tax (DIT);
§ imposta sul valore aggiunto (IVA), da riorganizzare – nel rispetto dell’ordinamento comunitario – con la riduzione delle forme di indetraibilità e delle distorsioni della base imponibile, la loro l’armonizzazione con il regime delle imposte dirette, la semplificazione degli adempimenti formali, il coordinamento con la disciplina delle accise e la razionalizzazione dei sistemi speciali; infine, la possibilità di determinare ogni anno, mediante la legge finanziaria, l'ammontare del volume d'affari detassabile qualora destinato dai consumatori finali a finalità etiche;
§ imposta sui servizi, nella quale concentrare le esistenti imposte di registro, ipotecarie e catastali, l’imposta di bollo, le tasse sulle concessioni governative e sui contratti di borsa nonché le imposte sulle assicurazioni e sugli intrattenimenti.
§ accisa, riformata secondo princìpi di efficienza e semplificazione, avendo riguardo a finalità ambientali, di equilibrio territoriale e di adeguamento alla liberalizzazione dei servizi.
Era inoltre prevista, entro lo stesso termine del 3 maggio 2005, l’emanazione di un unico codice tributario, articolato in una parte generale, contenente i princìpi fondamentali del sistema fiscale, e una parte speciale, contenente la disciplina delle singole imposte (articolo 2).
Erano altresì previsti la graduale eliminazione dell'imposta regionale sulle attività produttive (IRAP), a tal fine indicandosi come prioritaria l’esclusione del costo del lavoro dalla base imponibile, e il coordinamento del sistema fiscale statale con la finanza decentrata.
Dai decreti legislativi relativi all’IRES, all’IVA, all’imposta sui servizi e alle accise non sarebbero potuti derivare oneri aggiuntivi per la finanza dello Stato. Era invece previsto che i decreti legislativi relativi all’IRE e alla soppressione dell’IRAP potessero recare oneri finanziari, da coprire mediante le variazioni dell’ammontare delle entrate indicate nel documento di programmazione economico-finanziaria e le disposizioni normative contenute nella legge finanziaria.
La delega è stata attuata soltanto parzialmente attraverso il decreto legislativo 12 dicembre 2003, n. 344, che ha provveduto alla riforma dell’imposizione sul reddito delle società[24]. Alcune iniziative contemplate nella delega – segnatamente i cosiddetti “moduli” della riforma dell’imposta sui redditi delle persone fisiche – sono state invece eseguite mediante la legislazione ordinaria.
La disciplina dell’imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF) è stata più volte modificata durante la XIV legislatura.
Il primo intervento è stato realizzato dall’articolo 2, comma 1, della legge 28 dicembre 2001, n. 448 (legge finanziaria per il 2002), il quale ha aumentato la misura delle detrazioni per figli a carico, con particolare riferimento ai contribuenti con reddito complessivo inferiore a 36.151,98 euro e con maggior numero di figli. Una detrazione d’importo superiore è stata riconosciuta per ciascun figlio portatore di handicap ovvero di età inferiore a tre anni.
Nelle seguenti tabelle sono riportati, relativamente all’anno 2002, gli importi delle detrazioni annue per ciascun figlio a carico spettanti in base a quanto previsto dalla normativa previgente e in base all’articolo 2 della legge n. 448 del 2001:
Importi annui di detrazione per ciascun figlio a carico dal 2002
Articolo 12 TUIR ante legge n. 448 del 2001
|
Numero dei figli a carico e importo della detrazione in euro (in lire) |
||||||||
Classi di reddito in euro (in milioni di lire) |
1 |
2 |
3 |
4 e oltre |
|||||
|
1° figlio |
2° figlio |
1° figlio |
dal 2° figlio |
1° figlio |
dal 2° figlio |
|||
Oltre |
fino a |
||||||||
0 (0) |
36.151,98 (70) |
303,68 (588.000) |
303,68 (588.000) |
336,73 (652.000) |
303,68 (588.000) |
336,73 (652.000) |
303,68 (588.000) |
336,73 (652.000) |
|
36.151,98 (70) |
41.316,55 (80) |
303,68 (588.000) |
303,68 (588.000) |
336,73 (652.000) |
303,68 (588.000) |
336,73 (652.000) |
303,68 (588.000) |
336,73 (652.000) |
|
41.316,55 (80) |
46.481,12 (90) |
303,68 (588.000) |
303,68 (588.000) |
336,73 (652.000) |
303,68 (588.000) |
336,73 (652.000) |
303,68 (588.000) |
336,73 (652.000) |
|
46.481,12 (90) |
51.645,69 (100) |
303,68 (588.000) |
303,68 (588.000) |
336,73 (652.000) |
303,68 (588.000) |
336,73 (652.000) |
303,68 (588.000) |
336,73 (652.000) |
|
oltre 51.645,69 (oltre 100) |
285,08 (552.000) |
285,08 (552.000) |
285,08 (552.000) |
285,08 (552.000) |
285,08 (552.000) |
285,08 (552.000) |
285,08 (552.000) |
L’importo della detrazione era incrementato di 123,95 euro (lire 240.000) su base annua per i figli di età inferiore a tre anni.
Importi annui di detrazione per ciascun figlio a carico dal 2002
Articolo 12 TUIR, come modificato dall’art. 2 della Legge n. 448 del 2001
|
Numero dei figli a carico e importo della detrazione in euro (in lire) |
||||||||
Classi di reddito in euro (in milioni di lire) |
1 |
2 |
3 |
4 e oltre |
|||||
|
1° figlio |
2° figlio |
1° figlio |
dal 2° figlio |
1° figlio |
dal 2° figlio |
|||
Oltre |
fino a |
||||||||
0 (0) |
36.151,98 (70) |
516,46 (1.000.000) |
516,46 (1.000.000) |
516,46 (1.000.000) |
516,46 (1.000.000) |
516,46 (1.000.000) |
516,46 (1.000.000) |
516,46 (1.000.000) |
|
36.151,98 (70) |
41.316,55 (80) |
303,68 (588.000) |
516,46 (1.000.000) |
516,46 (1.000.000) |
516,46 (1.000.000) |
516,46 (1.000.000) |
516,46 (1.000.000) |
516,46 (1.000.000) |
|
41.316,55 (80) |
46.481,12 (90) |
303,68 (588.000) |
303,68 (588.000) |
336,73 (652.000) |
516,46 (1.000.000) |
516,46 (1.000.000) |
516,46 (1.000.000) |
516,46 (1.000.000) |
|
46.481,12 (90) |
51.645,69 (100) |
303,68 (588.000) |
303,68 (588.000) |
336,73 (652.000) |
303,68 (588.000) |
336,73 (652.000) |
516,46 (1.000.000) |
516,46 (1.000.000) |
|
oltre 51.645,69 (oltre 100) |
285,08 (552.000) |
285,08 (552.000) |
285,08 (552.000) |
285,08 (552.000) |
285,08 (552.000) |
516,46 (1.000.000) |
516,46 (1.000.000) |
L’importo della detrazione, se inferiore a 516,46 euro (lire 1.000.000), è incrementato di 123,95 euro (lire 240.000) su base annua per i figli di età inferiore a tre anni.
La detrazione annua spettante nella misura di 516,46 euro (lire un milione) è elevata a 774,69 euro (lire 1.500.000) nel caso di figli con handicap.
In grigio sono distinti i casi in cui la detrazione risulta dello stesso importo previsto dalla normativa previgente.
Lo stesso articolo 2 della legge n. 448 del 2001, al comma 6, ha inoltre sospeso, per l’anno 2002, la rimodulazione delle aliquote IRPEF[25], che avrebbe dovuto operare ai sensi dell’articolo 2 della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (legge finanziaria per il 2001).
Successivi interventi hanno più profondamente modificato l’applicazione dell’imposta e la sua progressione, incidendo sia sulla determinazione di scaglioni e aliquote, sia sull’applicazione delle deduzioni e delle detrazioni[26].
La legge finanziaria per il 2003 (legge 27 dicembre 2002, n. 289), all’articolo 2, ha inteso definire, secondo quanto riportato nella relazione illustrativa, il primo modulo della riforma dell’IRPEF, contenuta nel disegno di legge recante la delega per la riforma del sistema fiscale statale, successivamente approvato come legge 7 aprile 2003, n. 80.
In particolare il suddetto articolo:
§ ha introdotto una deduzione per assicurare la progressività dell’imposizione, riconoscendo in tal modo l’esenzione dall’IRPEF in favore di una quota di reddito di importo pari alla deduzione (c.d. no-tax area). L’importo base della deduzione è di 3.000 euro, con incrementi differenziati[27] in relazione alla natura dei redditi percepiti dal contribuente. La deduzione spetta a condizione che il reddito complessivo del soggetto non superi determinati limiti e, all’interno di tali limiti, spetta in misura decrescente al crescere del reddito[28];
§ ha rimodulato gli scaglioni di reddito, che sono rimasti fissati in cinque, e le aliquote d’imposta applicabili agli scaglioni stessi;
Nella seguente tabella gli scaglioni introdotti sono raffrontati con quelli previsti dalla normativa previgente, per gli anni 2002 e 2003.
|
Aliquote previgenti |
Aliquote introdotte |
||
CLASSI DI REDDITO (in euro) |
2002 |
2003 |
2003 |
|
fino a 10.329,14 |
18% |
18% |
23% |
|
da 10.329,14 |
a 15.000,00 |
24% |
22% |
|
da 15.000,00 |
a 15.493,71 |
29% |
||
da 15.493,71 |
a 29.000,00 |
32% |
32% |
|
da 29.000,00 |
a 30.987,41 |
31% |
||
da 30.987,41 |
a 32.600,00 |
39% |
38% |
|
da 32.600,00 |
a 69.721,68 |
39% |
||
da 69.721,68 |
a 70.000,00 |
45% |
44% |
|
oltre 70.000,00 |
45% |
§ ha rideterminato, in relazione all’introduzione della no-tax area, l’importo delle detrazioni spettanti ai titolari di reddito di lavoro dipendente, di lavoro autonomo, di impresa minore e di pensione[29];
§ ha riconosciuto, per l’anno 2003, una clausola di salvaguardia[30] a favore dei contribuenti, i quali possono applicare il regime previgente, qualora dall’applicazione delle nuove disposizioni derivi un aggravio della tassazione.
Con l’articolo 1, commi 349-353, della legge 30 dicembre 2004, n. 311 (legge finanziaria per il 2005), si è data attuazione al c.d. secondo modulo della riforma IRPEF. L’intervento ha riguardato i seguenti punti:
§ trasformazione delle detrazioni per carichi di famiglia in deduzioni[31], d’importo indipendente dal numero dei figli e maggiorato per i figli di età inferiore a tre anni o portatori di handicap.
Le deduzioni per carichi di famiglia sono le seguenti:
a) 3.200 euro per il coniuge non legalmente ed effettivamente separato;
In precedenza era prevista una detrazione per il coniuge non legalmente ed effettivamente separato pari a: euro 564,18, se il reddito complessivo non superava 15.493,71 euro; 496,60 euro, se il reddito complessivo era superiore a 15.493,71 euro ma non a 30.987,41 euro; 459,42 euro, se il reddito complessivo era superiore a 30.987,41 euro ma non a 51.645,69 euro; 422,23 euro, se il reddito complessivo era superiore a 51.645,69 euro.
b) 2.900 euro per ciascun figlio, compresi i figli naturali riconosciuti, i figli adottivi e gli affidati o affiliati; la stessa deduzione è riconosciuta per ogni altra persona indicata nell’articolo 433 del codice civile[32] (persone obbligate agli alimenti) convivente con il contribuente o percipiente assegni alimentari non risultanti da provvedimenti dell’autorità giudiziaria. L’importo dev’essere ripartito tra coloro che hanno diritto dalla deduzione.
Per gli importi delle detrazioni precedentemente in vigore si veda, sopra, la tabella relativa alle modifiche introdotte dalla legge n. 448 del 2001;
c) 3.450 euro per ciascun figlio di età inferiore a tre anni;
In precedenza, per ciascun figlio di età inferiore a tre anni era previsto un aumento della detrazione pari a 123,95 euro.
d) 3.700 euro per ogni figlio portatore di handicap, ai sensi dell’articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104;
In precedenza per i figli portatori di handicap era prevista una detrazione di 774,69 euro.
e) 3.200 euro per il primo figlio, se l’altro genitore manca o non ha riconosciuto i figli naturali e il contribuente non è coniugato o, se coniugato, si è poi legalmente ed effettivamente separato, ovvero se vi sono figli adottivi, affidati o affiliati del solo contribuente e questi non è coniugato o, se coniugato, si è poi legalmente ed effettivamente separato.
In precedenza, a tale fattispecie si applicava, per il primo figlio, la detrazione per il coniuge non legalmente ed effettivamente separato, se più favorevole, e per gli altri figli la detrazione ordinaria.
§ introduzione di una deduzione, sino ad un massimo di 1.820 euro, per le spese sostenute per gli addetti all'assistenza personale dei soggetti non autosufficienti. La deduzione può essere operata alternativamente dal soggetto che sostiene le spese per la propria assistenza personale o dal soggetto che sostiene tali spese nell’interesse delle persone indicate all’articolo 433 del codice civile;
§ previsione di un meccanismo in base al quale si determina, in misura decrescente al crescere del reddito, l’importo delle deduzioni sopra indicate (per oneri di famiglia e per le spese per l’assistenza ai soggetti non autosufficienti) effettivamente spettante al contribuente[33];
§ modifica degli scaglioni e delle aliquote dell'IRPEF, le quali passano, almeno formalmente, da cinque a tre. Tuttavia, a carico dei redditi superiori a 100.000 euro è stato introdotto un contributo di solidarietà del 4 per cento sulla parte di reddito che eccede tale importo.
Nella seguente tabella sono confrontate le aliquote previgenti con le nuove (compreso il contributo di solidarietà):
CLASSI DI REDDITO (in euro) |
Aliquote previgenti |
Aliquote introdotte |
|
fino a 15.000 |
23% |
23% |
|
da 15.000 |
a 26.000 |
29% |
|
da 26.001 |
a 29.000 |
33% |
|
da 29.001 |
a 32.600 |
31% |
|
da 32.601 |
a 33.500 |
39% |
|
da 33.501 |
a 70.000 |
39% |
|
da 70.001 |
a 100.000 |
45% |
|
oltre 100.000 |
43% |
§ abrogazione delle detrazioni per redditi di lavoro dipendente, di pensione, di lavoro autonomo e d'impresa dei soggetti ammessi al regime di contabilità semplificata.
Un intervento di carattere puntuale è stato operato dall’articolo 1, comma 335, della legge 23 dicembre 2005, n. 266 (legge finanziaria per il 2006), che ha introdotto, per il solo periodo d’imposta 2005, una detrazione per le spese sostenute dai genitori per il pagamento delle rette per la frequenza ad asili nido.
Da ultimo, il comma 466 dell’articolo 1 della medesima legge 23 dicembre 2005, n. 266, ha istituito un’addizionale alle imposte sul reddito, dovuta dai soggetti titolari di reddito d’impresa e dagli esercenti arti e professioni, nonché dai soci delle società di persone e dagli altri soggetti ad essi equiparati, da applicarsi alla quota di reddito proporzionalmente corrispondente all’ammontare dei ricavi o dei compensi derivanti dalla produzione, distribuzione, vendita e rappresentazione di materiale pornografico e di incitamento alla violenza, rispetto all’ammontare totale dei ricavi o compensi. La misura dell'addizionale è fissata nel 25 per cento[34]. Essa è indeducibile agli effetti delle imposte sul reddito.
La specificazione del carattere pornografico o di incitamento alla violenza è rimessa a decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, da adottarsi su proposta del Ministro per i beni e le attività culturali, sentito il Ministro dell'economia e delle finanze. Il decreto non è stato finora emanato.
Nel corso della legislatura, la Commissione VI (Finanze) della Camera ha inoltre esaminato alcune proposte di legge (A.C. 48 e abbinate) concernenti misure fiscali in favore della famiglia. Tra queste era compresa l’introduzione dell’istituto del quoziente familiare, in base al quale, agli effetti dell’imposizione sul reddito, i redditi dei componenti del nucleo familiare si sommano e il risultato viene diviso per coefficienti determinati in relazione al numero e alla qualità dei componenti il nucleo. Le aliquote d’imposta sono applicate all’importo risultante dalla divisione. L’imposta dovuta dal nucleo familiare è determinata infine moltiplicando il risultato di quest’ultima operazione per lo stesso coefficiente utilizzato per la divisione.
Con il decreto legislativo 12 dicembre 2003, n. 344[35], è stata data parziale attuazione alla delega, contenuta nella legge n. 80 del 2003, per la riforma del sistema fiscale statale. Il citato decreto legislativo ha riformato l’imposizione sul reddito delle società, sostituendo alla precedente imposta, denominata imposta sul reddito delle persone giuridiche (IRPEG), una nuova imposta, denominata imposta sul reddito delle società (IRES). Disposizioni integrative e correttive sono state emanate con il successivo decreto legislativo 18 novembre 2005, n. 247.
I principali elementi di novità dell’IRES rispetto alla precedente imposta sono:
§ fissazione dell’aliquota dell’imposta al 33 per cento (articolo 77 del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 - TUIR).
L’aliquota dell’IRPEG, gravante su una base imponibile diversamente determinata, era fissata, all’inizio della XIV legislatura, nella misura del 36 per cento, con riduzione al 35 per cento a decorrere dal 1° gennaio 2003. L’articolo 4 della legge 27 dicembre 2002, n. 289 (legge finanziaria per il 2003), aveva successivamente stabilito che la misura dell’aliquota applicabile a decorrere dal 1° gennaio 2003, anziché il 35, fosse il 34 per cento.
§ abolizione del credito d’imposta sui dividendi e nuovo regime di tassazione degli utili percepiti dai soci delle società di capitali (articoli 47 e 59 del TUIR).
Il credito d’imposta sui dividendi (articolo 14 del TUIR, nel testo precedente l’entrata in vigore del D.Lgs. n. 344 del 2003) era un meccanismo diretto ad evitare la doppia imposizione sugli utili distribuiti dai soggetti IRPEG[36].
Il nuovo regime di tassazione degli utili introdotto dal D.Lgs. n. 344 del 2003 prevede che, fermo restando il pagamento dell’imposta da parte della società, gli utili percepiti dai soci concorrano alla formazione del reddito del socio stesso solo per una percentuale del loro importo. La percentuale è variamente determinata in relazione alla natura del socio (persona fisica, imprenditore o meno, o persona giuridica) e alla misura della sua partecipazione alla società (qualificata o meno).
§ esenzione parziale, ai fini fiscali, di alcune plusvalenze realizzate mediante cessione di partecipazioni (c.d. participation exemption: articolo 87 del TUIR)[37].
L’esenzione è riconosciuta, al ricorrere di determinate condizioni, esclusivamente alle plusvalenze realizzate dai soggetti IRES e ad essa corrisponde l’indeducibilità delle relative minusvalenze (articolo 101 del TUIR)[38].
§ contrasto della sottocapitalizzazione delle imprese (c.d. thin capitalization: articolo 98 del TUIR).
La relativa disposizione prevede che gli interessi passivi sui finanziamenti erogati o garantiti da soci qualificati della società, o loro parti correlate, sono indeducibili ai fini fiscali, qualora i suddetti finanziamenti superino determinati limiti. Il nuovo istituto mira a contrastare l’utilizzo fiscale della sottocapitalizzazione, la quale consente alla società, mediante l’indebitamento verso i propri soci, di dedurre gli interessi passivi pagati ai soci stessi (con abbattimento dell’utile) e ai soci non imprenditori di beneficiare di una tassazione sostitutiva degli interessi percepiti, con aliquota inferiore a quella prevista per la tassazione dei proventi.
L’articolo 62 del TUIR estende agli imprenditori individuali l’applicazione della normativa di contrasto della sottocapitalizzazione, con riferimento ai finanziamenti dell’imprenditore (o dei familiari, per quanto riguarda le imprese familiari).
§ introduzione del regime di trasparenza per le società di capitali (c.d. consortium relief: articoli 115 e 116 del TUIR).
Si tratta di un regime opzionale, in applicazione del quale le società di capitali, le cooperative e le società di mutua assicurazione, partecipate, in misura non inferiore al 10 per cento né superiore al 50 per cento, da altre analoghe società, imputano il reddito complessivo prodotto direttamente a ciascun socio, proporzionalmente alla partecipazione agli utili e indipendentemente dalla loro effettiva percezione. L’opzione può inoltre essere esercitata dalle società a responsabilità limitata e cooperative con volume di ricavi non superiore a determinati limiti e compagine sociale composta esclusivamente da persone fisiche, in numero non superiore a 10 (20 nel caso di società cooperative).
Quest’istituto ricalca le modalità di tassazione previste obbligatoriamente per le società di persone (articolo 5 del TUIR).
§ introduzione della tassazione consolidata di gruppo, sia a livello nazionale (articoli 117-129 del TUIR), sia a livello mondiale (articoli 130-142 del TUIR).
A seguito dell'opzione per la tassazione di gruppo, per la società o ente controllante viene determinato un unico reddito complessivo globale imponibile, corrispondente alla somma algebrica dei redditi complessivi di ciascuna entità appartenente al gruppo, indipendentemente dalla quota di partecipazione riferibile al soggetto controllante. Non concorrono alla formazione del reddito imponibile le somme percepite o versate tra le società del gruppo in contropartita di vantaggi fiscali ricevuti o attribuiti.
§ introduzione di un regime opzionale di tassazione forfetaria per alcune imprese marittime (c.d. tonnage tax: articoli 155-161 del TUIR).
Il reddito delle imprese marittime che optano per l’applicazione di questo regime è determinato in base alla stazza netta del naviglio posseduto e ai giorni di impiego del naviglio stesso.
§ revisione della disciplina del credito per le imposte pagate all’estero (articolo 165 del TUIR).
Il credito per le imposte pagate all’estero spetta fino a concorrenza della quota d’imposta corrispondente al rapporto tra i redditi prodotti all’estero e il reddito complessivo al netto delle perdite pregresse[39].
§ estensione della disciplina dei redditi d’impresa realizzati da società controllate, residenti in paesi a regime fiscale privilegiato (c.d. controlled foreign companies - CFC), alle società collegate residenti negli stessi paesi (articoli 167 e 168 del TUIR).
Per contrastare la riduzione dell’onere fiscale effettuata mediante attribuzione di una parte consistente dei redditi percepiti alla società residente nel paese a fiscalità più favorevole, i redditi prodotti da questa società sono imputati ai soggetti residenti in proporzione alle quota di partecipazione. L’imputazione è effettuata a decorrere dalla chiusura dell’esercizio, a prescindere dall’effettiva distribuzione dei dividendi. Sono comunque previsti meccanismi per evitare la doppia imposizione.
Nel corso della XIV legislatura il legislatore è intervenuto inoltre in materia di disciplina fiscale dell’impresa agricola (v. scheda Regime fiscale delle attività agricole). In particolare, è stata estesa la nozione di attività agricole connesse, agli effetti della qualificazione dei redditi da esse ricavati come redditi agrari, mentre per le attività agricole eccedenti i limiti quantitativi stabiliti, considerate produttive di reddito d’impresa, si è introdotto un sistema facoltativo di tassazione forfetaria.
Interventi rilevanti hanno riguardato la disciplina delle società cooperative (v. scheda Regime fiscale delle cooperative). In particolare, l’applicazione delle agevolazioni fiscali è stata limitata alla cooperazione costituzionalmente riconosciuta, individuata in base al requisito della mutualità prevalente, ed è stato modificato – in ragione diversa a seconda della sussistenza o meno di tare caratteristica – il regime di tassazione degli utili destinati a riserva indivisibile.
Con gli articoli da 6 a 10 del D.L. 25 settembre 2001, n. 351[40], è stato determinato il regime tributario dei fondi comuni d’investimento immobiliare, agli effetti delle imposte sui redditi e dell’imposta sul valore aggiunto (v. scheda Regime fiscale dei fondi immobiliari). Per quanto concerne le imposte dirette, la finalità di evitare il fenomeno della doppia imposizione è conseguita esentando tali fondi dalle imposte sui redditi e dall'imposta regionale sulle attività produttive (IRAP), e assoggettando correlativamente a tassazione i redditi percepiti dall'investitore, mediante applicazione di una ritenuta del 12,5 per cento da parte della società di gestione.
A carico delle imprese di assicurazione, l’articolo 1 del D.L. 24 settembre 2002, n. 209, ha introdotto un’imposta sulle riserve matematiche dei rami vita iscritte nel bilancio dell'esercizio, con esclusione di quelle relative ai contratti aventi per oggetto il rischio di morte o di invalidità permanente da qualsiasi causa derivante ovvero di non autosufficienza nel compimento degli atti della vita quotidiana, nonché di quelle relative ai fondi pensione e ai contratti di assicurazione che costituiscono forma di previdenza integrativa individuale. Tale imposta, fissata nella misura dello 0,20 per cento per il periodo d’imposta 2003, è stata aumentata allo 0,30 per cento, per il periodo d’imposta 2004, dall’articolo 2, comma 1, del D.L. 12 luglio 2004, n. 168.
Le somme versate dall’impresa assicuratrice a questo titolo costituiscono credito d’imposta, da utilizzare a decorrere dal 1° gennaio 2005, per il versamento delle ritenute sui capitali corrisposti in dipendenza di contratti di assicurazione sulla vita (ex articolo 6 della legge 26 settembre 1985, n. 482) e dell'imposta sostitutiva sui redditi compresi nei capitali corrisposti in dipendenza di contratti di assicurazione sulla vita e di capitalizzazione (ex articolo 26-ter del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600); a decorrere dall'anno 2007, il credito può essere altresì utilizzato – a determinate condizioni – anche in compensazione di imposte e contributi ovvero ceduto a società o enti appartenenti al medesimo gruppo.
Le stesse disposizioni sono state poi estese anche alle imprese di assicurazione comunitarie operanti nel territorio dello Stato in regime di libera prestazione di servizi, limitatamente all’ammontare delle riserve matematiche relative ai contratti di assicurazione stipulati da soggetti residenti in Italia (novella introdotta all’articolo 41-bis, comma 3, del D.L. 30 settembre 2003, n. 269).
Il comma 2-quater del medesimo articolo 1 del decreto-legge n. 209 del 2002 ha inoltre modificato la disciplina relativa alla deducibilità delle variazioni della riserva sinistri da parte delle imprese assicuratrici esercenti l’assicurazione nei rami danni. La deduzione viene limitata al 90 per cento della variazione per la parte riferibile alla componente di lungo periodo (considerandosi tale il 50 per cento della medesima riserva sinistri). La parte eccedente è deducibile in quote costanti nei nove esercizi successivi.
Una particolare disciplina fiscale per l’ammortamento dei beni strumentali delle imprese operanti nella distribuzione e nel trasporto di gas ed energia elettrica è stata introdotta nel corso del 2005, dapprima in via transitoria – con riferimento al solo periodo d’imposta in corso – dall’articolo 11-quater D.L. 30 settembre 2005, n. 203, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 248 del 2005, indi in forma permanente dall’articolo 1, commi da 325 a 328, della L. 23 dicembre 2005, n. 266, che ha introdotto nel testo unico delle imposte sui redditi il nuovo articolo 102-bis. La nuova disciplina prevede che per la determinazione degli ammortamenti, in luogo dell’applicazione dei coefficienti previsti secondo la disciplina generale, sia fatto riferimento alla vita utile dei beni, così come è determinata dall’autorità di regolazione del settore (Autorità per l’energia elettrica e il gas). Ne consegue la riduzione della quota annua di ammortamento fiscalmente deducibile. Viene altresì esclusa la facoltà di ricorrere all’ammortamento anticipato o accelerato. Per i beni utilizzati in locazione finanziaria (leasing), in conformità al trattamento contabile previsto dai princìpi contabili internazionali (IAS), è previsto che la deduzione delle quote di ammortamento spetti all’impresa utilizzatrice, mentre alla formazione del reddito dell’impresa concedente concorrono esclusivamente i proventi impliciti nei canoni di locazione determinati, in ciascun esercizio, in base al piano di ammortamento finanziario.
Nel quadro dell’attuazione della delega per la riforma del sistema previdenziale, il decreto legislativo 5 dicembre 2005, n. 252, ha ridisciplinato l’ordinamento delle forme pensionistiche complementari, intervenendo anche su aspetti relativi al regime tributario delle contribuzioni versate ai fondi e delle prestazioni da essi erogate; è rimasta invece sostanzialmente confermata la vigente disciplina relativa alla tassazione dei risultati della gestione dei patrimoni dei fondi medesimi (v. scheda Regime fiscale dei fondi pensione). Questa disciplina entrerà in vigore dal 1° gennaio 2008.
Alcuni interventi hanno riguardato le imposte sostitutive sui redditi di capitale, la cui disciplina era stata oggetto di riordino mediante il decreto legislativo 1° aprile 1996, n. 239.
Relativamente alle plusvalenze derivanti dalla cessione di strumenti finanziari (cosiddetti capital gains), con l’articolo 9 del D.L. 25 settembre 2001, n. 350, si è provveduto alla soppressione del cosiddetto equalizzatore, meccanismo complesso e di non agevole applicazione che era stato concepito al fine di rendere finanziariamente equivalente la tassazione fondata sul criterio del realizzo (regime della dichiarazione e regime del risparmio amministrato), con quella anticipata in base al criterio del maturato, propria del regime del risparmio gestito. Per altro, l’efficacia del D.M. 4 agosto 2000, che ne disponeva l’operatività a decorrere dal 1° gennaio 2001, era stata sospesa con ordinanza del tribunale amministrativo del Lazio 3 agosto 2001, n. 4971, motivata in relazione al fatto che il meccanismo avrebbe assoggettato a tassazione anche profitti puramente virtuali.
Successivamente, con l’articolo 41, comma 4, del D.L. 30 settembre 2003, n. 269, è stato abolito anche il cosiddetto “piccolo equalizzatore”, previsto al medesimo fine per la tassazione degli interessi e degli altri proventi delle obbligazioni e titoli similari senza cedola ("zero coupon").
L’articolo 10 del D.L. 25 settembre 2001, n. 350, allo scopo di favorire l’accesso degli investitori esteri alle emissioni obbligazionarie italiane, riducendo quindi il costo del finanziamento per gli emittenti, ha esteso l’esenzione dall’imposta sugli interessi dei titoli di Stato o su quelli dei titoli obbligazionari emessi dai grandi emittenti – precedentemente applicabile solo ai soggetti esteri residenti in uno Stato con cui esista una convenzione per evitare la doppia imposizione sul reddito – a tutti i soggetti non residenti, con eccezione di quelli residenti in Stati o territori a regime fiscale privilegiato. Successivamente, l’articolo 41, comma 1, del D.L. 30 settembre 2003, n. 269, ha ridotto l’efficacia di quest’ultima eccezione, ammettendo all’esenzione anche i soggetti residenti in Stati o territori a regime fiscale privilegiato, purché rientrino nel novero di quelli che garantiscono lo scambio di informazioni con l’amministrazione finanziaria italiana.
L’articolo 41-bis, commi 1 e 2, del D.L. 30 settembre 2003, n. 269, è intervenuto sulla disciplina dell’imposta sostitutiva sui redditi di capitale corrisposti in dipendenza di contratti di assicurazione sulla vita e di capitalizzazione, nonché sui redditi delle prestazioni pensionistiche complementari, provvedendo all’equiparazione del regime tributario dei contratti stipulati con imprese estererispetto a quelli stipulati con imprese residenti. In particolare, è stato esteso alle imprese comunitarie operanti in regime di libera prestazione di servizi l’obbligo di sostituzione tributaria – direttamente o tramite rappresentante fiscale – sui redditi percepiti da soggetti residenti in Italia non esercenti attività d'impresa; il regime dichiarativo è stato mantenuto invece per i soli redditi di capitale percepiti fuori del territorio dello Stato senza l'intervento del sostituto d'imposta.
Altre imposte sostitutive introdotte o prorogate hanno avuto ad oggetto operazioni di adeguamento dei valori contabili di determinati beni iscritti nei bilanci delle imprese. Così, sono state più volte prorogate le disposizioni agevolative per la rivalutazione dei beni d’impresa già previste dalla L. 21 novembre 2000, n. 342 (L. 28 dicembre 2001, n. 448, art. 3; beneficio parzialmente prorogato dal D.L. 24 dicembre 2002, n. 282, art. 2, indi dalla L. 24 dicembre 2003, n. 350, art. 2, co. 25).
Nel medesimo ambito sono state introdotte imposte sostitutive per:
§ l’affrancamento di riserve e fondi in sospensione d’imposta: L. 28 dicembre 2001, n. 448, art. 4 (prorogata dal D.L. 24 dicembre 2002, n. 282, art. 3, co. 1); la stessa misura è stata nuovamente riproposta dai commi 473-478 dell’articolo 1 della L. 30 dicembre 2004, n. 311 (per importi iscritti in bilancio al 31 dicembre 2004);
§ l’aggiornamento del valore di partecipazioni non negoziate: L. 28 dicembre 2001, n. 448, art. 5 (prorogata dal D.L. 24 settembre 2002, n. 209, art. 4, co. 3, e dal D.L. 24 dicembre 2002, n. 282, art. 2; termine riaperto, per i beni posseduti al 1° gennaio 2005, dall’art. 11-quaterdecies del D.L. 30 settembre 2005, n. 203);
§ la rideterminazione del valore d’acquisto di terreni edificabili: L. 28 dicembre 2001, n. 448, art. 7 (prorogata dal D.L. 24 settembre 2002, n. 209, art. 4, co. 3, e dal D.L. 24 dicembre 2002, n. 282, art. 2; termine riaperto, per i beni posseduti al 1° gennaio 2005, dall’art. 11-quaterdecies del D.L. 30 settembre 2005, n. 203);
Le misure concernenti la rivalutazione dei beni delle imprese, delle partecipazioni e delle aree fabbricabili (estesa in questa circostanza anche ai beni-merce) iscritte a bilancio nell’esercizio 2004 sono state da ultimo riproposte dalla L. 23 dicembre 2005, n. 266, articolo 1, commi 469-476.
L’articolo 1, comma 496, della medesima legge n. 266 del 2005, nel contesto di un’operazione volta a far emergere i valori effettivi delle compravendite immobiliari, ha previsto un’imposta sostitutiva sulle plusvalenze da cessioni di immobili acquistati o costruiti da non più di cinque anni e di terreni suscettibili di utilizzazione edificatoria.
Le agevolazioni fiscali sono utilizzate dal legislatore per concedere benefìci economici a categorie di soggetti considerati meritevoli di tutela. Possono essere concesse mediante crediti d’imposta[41], esenzioni, riduzione delle aliquote d’imposta, riconoscimento di deduzioni o detrazioni.
Nel corso della XIV legislatura, oltre al proseguimento di alcuni interventi avviati nella legislatura precedente, sono stati concessi, tra gli altri, i seguenti crediti d’imposta:
§ credito d’imposta in favore delle imprese agricole che effettuano nuovi investimenti nel settore della produzione, commercializzazione e trasformazione dei prodotti agricoli (articolo 11 del D.L. 8 luglio 2002, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 2002, n. 178). Si tratta di un’estensione del credito d’imposta introdotto dall'articolo 8 della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (credito d’imposta per investimenti nelle aree svantaggiate), valida su tutto il territorio nazionale e operante negli anni 2002, 2003 e 2004;
§ credito d’imposta per i giovani imprenditori agricoli che accedono al premio di primo insediamento, di cui al regolamento (CE) n. 1257/1999. Il credito d’imposta, riconosciuto fino a 5.000 euro annui, si applica nel periodo 2006-2010 (articolo 3 del D.Lgs. 29 marzo 2004, n. 99, e successive modificazioni);
§ credito d’imposta in favore delle microimprese e delle piccole e medie imprese che partecipano a processi di concentrazione, pari al 50 per cento delle spese sostenute per studi e consulenze relativi alle operazioni di concentrazione stesse (articolo 9 del D.L. 14 marzo 2005, n. 35, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 maggio 2005, n. 80). Il credito d’imposta si applica negli anni 2005, 2006 e 2007. L’articolo 1, comma 419, della legge 23 dicembre 2005, n. 266 (legge finanziaria per il 2006), ha esteso questo credito d’imposta agli imprenditori agricoli;
§ premio di concentrazione, consistente in un credito d’imposta, in favore delle microimprese e delle piccole e medie imprese risultanti da processi di concentrazione e aggregazione (articolo 2 del D.L. 17 giugno 2005, n. 106, convertito, con modificazioni, dalla legge 31 luglio 2005, n. 156). Il premio, che si applica per gli anni 2005, 2006 e 2007, è commisurato ai valori della produzione netta, risultanti dalle dichiarazioni, presentate agli effetti dell’IRAP, da tutte le imprese che partecipano alla concentrazione o all’aggregazione.
Si segnalano inoltre le seguenti agevolazioni concesse in forma diversa dal credito d’imposta:
§ esclusione dall’imposizione sul reddito d’impresa o di lavoro autonomo del 50 per cento del volume degli investimenti in beni strumentali realizzati nel periodo d’imposta in corso alla data di entrata in vigore della legge e nel periodo d’imposta successivo, in eccedenza rispetto alla media degli investimenti realizzati nei cinque periodi di imposta precedenti. L'incentivo (c.d. Tremonti-bis) si applica anche alle spese sostenute per servizi, utilizzabili dal personale, di assistenza negli asili nido per i bambini di età inferiore a tre anni, e alle spese sostenute per la formazione e l'aggiornamento del personale (articolo 4 della legge 18 ottobre 2001, n. 383);
§ detassazione degli investimenti in ricerca e sviluppo, tecnologia digitale, partecipazione a fiere all’estero[42], quotazione in borsa, stage aziendali per studenti. L’agevolazione (c.d. tecno-Tremonti) si applica nel primo periodo d'imposta successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore della relativa disposizione (articolo 1 del D.L. 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326);
§ esenzione, ai fini delle imposte dirette, del 90 per cento del reddito di lavoro dipendente o autonomo dei ricercatori residenti all’estero che rientrano in Italia. I suddetti redditi non concorrono alla formazione del valore della produzione netta, ai fini IRAP. L'incentivo si applica per tre periodi d’imposta, a decorrere dal rientro in Italia (articolo 3 dello stesso decreto-legge).
Due importanti agevolazioni fiscali concesse, nella forma di crediti d’imposta, nella XIII legislatura sono state ridisciplinate e hanno continuato a trovare applicazione nel corso della XIV legislatura:
§ credito d’imposta per incremento dell’occupazione in favore dei datori di lavoro che assumono nuovi dipendenti con contratto a tempo indeterminato, ad incremento dell'organico (articolo 7 della legge 23 dicembre 2000, n. 388, legge finanziaria per il 2001, successivamente ridisciplinato dall’articolo 63 della legge 23 dicembre 2002, n. 289). Ai sensi del D.M. 1° agosto 2002[43], per poter fruire del credito d’imposta è necessario presentare, prima dell’assunzione del lavoratore, apposita istanza all’Agenzia delle entrate, allo scopo di consentire il controllo della spesa relativa al credito d’imposta. L’agevolazione, valida su tutto il territorio nazionale, si applica fino al 31 dicembre 2006 (v. scheda Credito d’imposta per i neo-assunti, nel dossier relativo alla Commissione Bilancio);
§ credito d’imposta per investimenti nelle aree svantaggiate (c.d. Tremonti sud), in favore dei titolari di reddito d’impresa che effettuano investimenti nelle aree svantaggiate espressamente indicate (articolo 8 della legge 23 dicembre 2000, n. 388, legge finanziaria per il 2001, successivamente più volte modificato). L’articolo 10 del D.L. 8 luglio 2002, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 2002, n. 178, ha introdotto l’obbligo di preventiva istanza all’Agenzia delle entrate, per consentire il controllo della spesa. L’agevolazione si applica fino al 31 dicembre 2006 (v. scheda Credito di imposta per gli investimenti, nel dossier relativo alla Commissione Bilancio).
A fine di controllo della spesa, l’articolo 5 del D.L. 8 luglio 2002, n. 138, ha stabilito che i crediti d’imposta concessi dalle vigenti disposizioni di legge possano essere fruiti entro i limiti degli oneri finanziari previsti in relazione alle disposizioni medesime (da rideterminarsi con la legge finanziaria, a decorrere dall’anno 2003). Pertanto, i soggetti interessati hanno diritto al credito d’imposta fino all'esaurimento delle risorse finanziarie disponibili: l'avvenuto esaurimento è comunicato con decreto interdirigenziale pubblicato nella Gazzetta ufficiale. La definizione della data iniziale per l’applicazione di queste disposizioni e delle modalità per il controllo dei relativi flussi è rimessa a decreti di natura non regolamentare del Ministro dell'economia e delle finanze[44].
Per i crediti d’imposta successivamente istituiti è stata quindi prevista l’applicazione di queste disposizioni o di equivalenti procedure (concessione del credito su previa istanza all’Agenzia delle entrate) volte ad assicurare che l’erogazione del beneficio sia contenuta nei limiti dell’onere finanziario annualmente prestabilito.
Misure agevolative di carattere indiretto sono state altresì adottate in favore delle organizzazioni non lucrative di utilità sociale (ONLUS) e di altri soggetti, operanti nei settori dell’assistenza, della ricerca e della tutela dei beni culturali.
Così, l’articolo 14 del D.L. 14 marzo 2005, n. 35, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 maggio 2005, n. 80, ha esteso alla totalità dei contribuenti la possibilità di dedurre dal reddito le erogazioni liberali effettuate in favore delle ONLUS e di altri soggetti espressamente indicati[45]. In precedenza la deduzione era ammessa esclusivamente per le donazioni effettuate da persone fisiche titolari di reddito d’impresa e da soggetti passivi dell’imposta sul reddito delle società (IRES), mentre per le persone fisiche non titolari di reddito d’impresa era prevista la misura meno favorevole della detrazione[46].
La deduzione è ammessa nel limite del 10 per cento del reddito complessivo dichiarato e, comunque, nella misura massima complessiva di 70.000 euro annui.
Lo stesso articolo 14, comma 7, lettera a), ha inoltre introdotto, parimenti per le persone fisiche non titolari di reddito d’impresa, la possibilità di dedurre dal reddito le erogazioni liberali effettuate in favore di università, fondazioni universitarie, istituzioni universitarie pubbliche, enti di ricerca pubblici, enti di ricerca vigilati dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, compresi l'Istituto superiore di sanità e l'Istituto superiore per la prevenzione e la sicurezza del lavoro, nonché degli enti parco regionali e nazionali. Tale deduzione non è subordinata a limiti d’importo.
Contestualmente, è stata estesa, in favore delle persone fisiche titolari di reddito d’impresa e dei soggetti passivi dell’imposta sul reddito delle società (IRES), lapossibilità di dedurre dal reddito le erogazioni liberali effettuate in favore delle ONLUS e di altri soggetti espressamente indicati[47]. La deduzione è ammessa nel limite del 10 per cento del reddito complessivo dichiarato e, comunque, nella misura massima complessiva di 70.000 euro annui. In precedenza la deduzione era ammessa entro limiti più ristretti[48].
Con vari interventi legislativi[49] è stato inoltre eliminato il limite d’importo (2 per cento del reddito d’impresa dichiarato) per la deduzione delle erogazioni liberali per il finanziamento della ricerca in favore delle università e delle istituzioni universitarie ed è stata estesa tale possibilità di deduzione alle erogazioni liberali con la stessa finalità, in favore di fondazioni universitarie, enti di ricerca pubblici, fondazioni e associazioni, regolarmente riconosciute a norma del D.P.R. 10 febbraio 2000, n. 361, aventi per oggetto statutario lo svolgimento o la promozione di attività di ricerca scientifica, individuate con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, adottato su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca e del Ministro della salute, ovvero degli enti di ricerca vigilati dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, compresi l'Istituto superiore di sanità e l'Istituto superiore per la prevenzione e la sicurezza del lavoro, nonché degli enti parco regionali e nazionali.
Infine, la legge 23 dicembre 2005, n. 266 (legge finanziaria per il 2006), all’articolo 1, commi da 337 a 340, ha introdotto – in via sperimentale per l’anno 2006 – la facoltà di destinare al finanziamento di attività sociali e di ricerca una quota pari al 5 per mille dell’imposta sul reddito delle persone fisiche (v. scheda Destinazione del 5 per mille dell’IRPEF).
Non ha invece subìto modificazioni la disciplina legislativa riguardante la destinazione dell’8 per mille, prevista dalla legge 20 maggio 1985, n. 222: sono state invece adottate disposizioni relative all’utilizzazione della quota di esso spettante alla diretta gestione dello Stato (v. scheda L’8 per mille IRPEF di competenza statale, nel dossier relativo alla Commissione Bilancio).
Durante tutta la XIV legislatura è stata prorogata l’efficacia delle disposizioni relative alle detrazioni per interventi di ristrutturazioni edilizie.
Tale detrazione era stata introdotta dall’articolo 1 della legge 27 dicembre 1997, n. 449 (provvedimento collegato alla legge finanziaria per il 1998), con validità temporale per gli anni 1998 e 1999, ma è stata periodicamente riconfermata, senza soluzione di continuità, sino al 31 dicembre 2006[50]. Tra gli interventi in materia si ricorda in particolare l’articolo 2, comma 5, della legge 27 dicembre 2002, n. 289 (legge finanziaria per il 2003), con il quale la detrazione è stata ridisciplinata nei seguenti punti:
§ riduzione dell’importo massimo delle spese ammesse a fruire della detrazioneda 77.468,53 a 48.000 euro;
§ ampliamento della tipologia degli interventi ammessi alla detrazione, con inserimento di quelli volti alla bonifica dall'amianto;
§ precisazione circa la spettanza della detrazione in caso di trasferimento per atto inter vivos o mortis causa;
§ possibilità di ripartizione della detrazione in un minor numero di rate per i soggetti di età non inferiore a 75 e a 80 anni.
Un’ulteriore agevolazione, per il periodo 1° gennaio 2000-31 dicembre 2005, è consistita nell’applicazione dell’imposta sul valore aggiunto con aliquota ridotta del 10 per cento sulle prestazioni aventi ad oggetto interventi di recupero del patrimonio edilizio[51]. Tale riduzione non è stata prorogata oltre il suddetto periodo; in conseguenza di ciò, l’articolo 1, comma 121, della legge 23 dicembre 2005, n. 266 (legge finanziaria per il 2006), ha elevato dal 36 al 41 per cento la percentuale di spesa ammessa in detrazione dalle imposte dirette.
Una misura agevolativa intesa a favorire l’ammodernamento dei veicoli a motore circolanti, sia per il sostegno dell’industria e sia per promuovere la sostituzione con mezzi meno inquinanti, è stata introdotta dall’articolo 2 del D.L. 8 luglio 2002, n. 138, che ha previsto incentivi per la demolizione di autoveicoli, la cui efficacia, dapprima limitata al 31 dicembre 2002, è stata poi prorogata al 31 marzo 2003 dal D.L. 13 gennaio 2003, n. 2. A quest’effetto è stata concessa l’esenzione dalla tassa automobilistica, per tre annualità, nonché dall'imposta provinciale di trascrizione, dall'imposta di bollo e dagli emolumenti spettanti agli uffici del Pubblico registro automobilistico, relativamente alle formalità connesse agli atti di acquisto, in favore degli acquirenti di autoveicoli nuovi, di potenza non superiore a 85 Kw e conformi alle direttive CE sull'inquinamento, a condizione che al momento dell'acquisto fosse consegnato al venditore un autoveicolo non conforme alla direttiva 91/441/CEE del Consiglio, del 26 giugno 1991 e successive, sull'inquinamento, che il venditore avrebbe provveduto ad avviare alla demolizione. Le stesse agevolazioni – esclusa l'esenzione relativa alla tassa automobilistica – erano concesse alle medesime condizioni per l’acquisto di autoveicoli usati, purché garantiti per un anno e sottoposti a specifica revisione.
In materia di imposta sul valore aggiunto, con il D.P.R. 12 aprile 2001, n. 222 sono state adottate alcune misure di semplificazione degli adempimenti contabili per le imprese minori (con elevazione del limite di volume d’affari da 360 milioni a 600 milioni di lire (euro 309.874,14) per le imprese aventi per oggetto prestazioni di servizi e per gli esercenti arti e professioni). Adeguamenti alla disciplina di fatturazione delle operazioni – con la previsione della possibilità di emissione di fattura elettronica – sono stati operati dal D.Lgs. 20 febbraio 2004, n. 52, in attuazione della direttiva 2001/115/CE. Nel contesto dell’operazione di definizione agevolata di violazioni tributarie realizzata dalla manovra finanziaria per il 2003, l’articolo 5 del D.L. 24 dicembre 2002, n. 282, ha previsto una misura di sanatoria e chiusura delle partite IVA inattive riferita all’anno 2002 e ai precedenti.
In attuazione della direttiva 2002/38/CE, con il D.Lgs. 1° agosto 2003, n. 273, è stata specificata la disciplina della territorialità dell’imposta relativamente ai servizi di radiodiffusione, televisione e ai servizi prestati tramite mezzi elettronici.
Deve segnalarsi, tra le misure di agevolazione fiscale, la prosecuzione dell’applicazione dell’aliquota ridotta del 10 per cento per le ristrutturazioni edilizie, introdotta dall’articolo 7, comma 1, lettera b), della L. 23 dicembre 1999, n. 488, reiteratamente prorogata, da ultimo fino al 31 dicembre 2005 dall’articolo 14-bis, comma 1, lettera c), del D.L. 24 dicembre 2003, n. 355[52].
Con gli articoli da 6 a 10 del D.L. 25 settembre 2001, n. 351[53], è stato determinato il regime tributario dei fondi comuni d’investimento immobiliare, agli effetti delle imposte sui redditi e dell’imposta sul valore aggiunto (v. scheda Regime fiscale dei fondi immobiliari). In particolare, agli effetti dell’IVA, la società di gestione è dichiarata soggetto passivo relativamente alle operazioni dei fondi immobiliari da essa istituiti: essa, quindi, determina e liquida separatamente l'imposta dovuta per ciascun fondo. Una disciplina di favore è stata infine istituita per gli apporti ai fondi predetti, quando siano costituiti da più immobili prevalentemente locati. Misure specifiche riguardano l’applicazione delle imposte di registro, ipotecarie e catastali.
Una misura speciale di esenzione dall’IVA è stata altresì introdotta dall’articolo 2, comma 6, sesto periodo, del medesimo D.L. 25 settembre 2001, n. 351, per le locazioni di immobili pubblici, ceduti a società di cartolarizzazione, in favore dello Stato e di enti pubblici territoriali e altri soggetti pubblici.
L’articolo 10 del D.L. 30 dicembre 2004, n. 315, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 2005, n. 21, in relazione al maremoto che aveva colpito il sud-est asiatico nel mese di dicembre 2004, ha stabilito che gli importi destinati, mediante i cosiddetti “short message service” (in acronimo: SMS), agli aiuti alle popolazioni colpite sono esclusi dal campo di applicazione dell'imposta sul valore aggiunto (IVA)[54].
È stata invece disposta l’esclusione dell’aliquota ridotta per le radiodiffusioni e trasmissioni pornografiche (L. 23 dicembre 2005, n. 266, art. 1, co. 467: contestualmente è stata introdotta dal co. 466 un’addizionale sull’imposta sui redditi derivanti dal commercio di materiale pornografico o di incitamento alla violenza: v. capitolo Le imposte dirette).
L’articolo 10, comma 1, lettera b), del D.L. 14 marzo 2005, n. 35, ha definitivamente esteso ai produttori agricoli che nel corso dell'anno solare precedente abbiano realizzato un volume d'affari superiore a quaranta milioni di lire (euro 20.658,28) l’applicazione del regime speciale forfetario, che era stata per altro sempre prorogata fin dal 1998 (da ultimo per l’intero anno 2005 dalla L. 30 dicembre 2004, n. 311, co. 506). Lo stesso articolo 10 ha apportato altre modificazioni al predetto regime speciale e, al comma 3, ha disposto la rideterminazione delle percentuali di compensazione, al fine di assicurare maggiori entrate pari a 20 milioni di euro annui (eseguita con D.M. econ. e pol. agr. 23 dicembre 2005, pubblicato nella Gazzetta ufficiale n. 304 del 31 dicembre 2005). L’articolo 2, comma 7, della L. 24 dicembre 2003, n. 350, ha altresì consentito l’applicazione del medesimo regime di determinazione dell’IVA alle attività connesse a quelle agricole (manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione che abbiano ad oggetto prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall'allevamento di animali) nonché alle attività di fornitura di beni e servizi con risorse dell’azienda agricola.
La disciplina relativa alle cessioni di rottami ferrosi, carta da macero e analoghi materiali di scarto è stata modificata dall’articolo 35 del D.L. 30 settembre 2003, n. 269, che ha introdotto il meccanismo del “reverse-charge”, per cui debitore d’imposta è il cessionario, con obbligo di fatturazione generalizzato da parte del cedente senza addebito dell’imposta e conseguente obbligo del cessionario di integrare la fattura stessa con l’ammontare dell’imposta.
L’articolo 19 del D.L. 30 settembre 2003, n. 269, aveva previsto inoltre, in favore dei consumatori, la facoltà di destinare l’1 per cento dell’IVA sugli acquisti ad associazioni, organizzazioni ed enti che svolgono attività etiche (cosiddetta de-tax). La disposizione – tendente a introdurre un meccanismo contemplato anche nella delega legislativa per la riforma del sistema fiscale statale[55] – non ha tuttavia trovato attuazione mediante il previsto regolamento ministeriale.
Misure per prevenire l’evasione o l’elusione sono state introdotte, infine, dalla L. 30 dicembre 2004, n. 311, articolo 1, commi 378-386: tali disposizioni disciplinano procedure volte, in particolare, a contrastare le frodi realizzate mediante l’importazione di autoveicoli di provenienza comunitaria, le cessioni all’esportazione e, in genere, le cessioni realizzate a prezzo inferiore al normale. Al medesimo fine, l’articolo 2, comma 1, del D.L. 30 settembre 2005, n. 203, ha abilitato l’amministrazione finanziaria ad eseguire il controllo dei versamenti dell’IVA anche prima della presentazione della dichiarazione annuale (analoga misura è contenuta, ai commi 10-11, per le imposte dirette e il versamento delle ritenute da parte dei sostituti d’imposta).
Nel settore delle imposte di fabbricazione e di consumo, alcune disposizioni hanno interessato direttamente la misura dell’imposizione, o attraverso la diretta modificazione degli importi, oppure attraverso la previsione di un obiettivo finanziario e la remissione dell’intervento modificativo a successivo provvedimento dell’amministrazione.
Così, le accise sui prodotti alcolici sono state aumentate dapprima dalla L. 24 dicembre 2003, n. 350, articolo 2, commi 55-56, indi con il D.L. 14 marzo 2005, n. 35, articolo 10, comma 2 (che prevedeva altresì un successivo aumento da eseguirsi provvedimento del direttore dell’Agenzia delle Dogane). Reiterati interventi hanno riguardato l’imposta di consumo sui tabacchi lavorati (L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 21, co. 8-9; L. 24 dicembre 2003, n. 350, art. 2, co. 62; L. 30 dicembre 2004, n. 311, co. 485), ovvero l’importo di base sul quale essa è calcolata (D.L. 30 gennaio 2004, n. 24, art. 4, in attuazione della direttiva 2002/10/CE; D.L. 7 luglio 2005, n. 168, art. 2, co. 8), nonché la periodicità della rilevazione, da annuale divenuta dapprima semestrale (D.L. 7 luglio 2005, n. 168, art. 2, co. 6-7), indi trimestrale (L. 23 dicembre 2005, n. 266, art. 1, co. 550). La L. 30 dicembre 2004, n. 311, articolo 1, comma 486, ha consentito altresì di determinare in via amministrativa il prezzo minimo di vendita delle sigarette[56].
Per quanto riguarda le accise sui carburanti e sugli olî minerali, l’aumento dell’imposta sulla fabbricazione della benzina è stato disposto per la copertura dell’onere derivante dal rinnovo contrattuale dei lavoratori del trasporto pubblico locale (D.L. 24 dicembre 2003, n. 355, art. 23, co. 3; un ulteriore incremento allo stesso fine è stato disposto dal D.L. 21 febbraio 2005, n. 16, art. 1, co. 9, mentre il successivo co. 10 ha stabilito il rimborso della maggiore imposta agli autotrasportatori). L’articolo 1, comma 116, della L. 23 dicembre 2005, n. 266, ha aumentato l’aliquota dell’imposta di consumo sugli olî lubrificanti[57].
L’articolo 1, comma 514, della L. 30 dicembre 2004, n. 311, ha invece abrogato il comma 4 dell’articolo 8 della L. 23 dicembre 1998, n. 448, che disponeva l’aumento delle accise sugli olî minerali dal 1° gennaio 2005. Tale misura è stata determinata dal fatto che, in ragione dell’andamento del mercato internazionale degli idrocarburi, non erano stati realizzati gli aumenti annuali previsti per il graduale raggiungimento del nuovo livello di tassazione, reiteratamente sospesi dal 1999 fino al 2004 (da ultimo, art. 1, co. 513, della citata L. n. 311 del 2004).
In precedenza, nel medesimo ambito, con il D.P.R. 26 ottobre 2001, n. 416, era stato emanato il regolamento per la tassa sulle emissioni di anidride solforosa e ossidi di azoto, istituita dall'articolo 17, comma 29, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, applicata ai grandi impianti di combustione destinati alla produzione di energia, con eccezione di quelli che utilizzano direttamente i prodotti di combustione in procedimenti di fabbricazione.
Tra le disposizioni agevolative prorogate (da ultimo dalla L. 23 dicembre 2005, n. 266, co. 115, fino al 31 dicembre 2006) si richiamano quelle riferite a:
§ riduzione di aliquota sulle emulsioni stabilizzate di olî da gas o di olio combustibile denso con acqua;
§ riduzione di aliquota sul gas metano per uso industriale, nonché sul gas metano per uso civile in talune aree geografiche;
§ riduzione di aliquota su gasolio e GPL per uso di riscaldamento in talune aree geografiche;
§ credito d’imposta per reti di teleriscaldamento con biomasse ed energia geotermica;
§ esenzione da accisa per il gasolio destinato alle coltivazioni sotto serra;
§ contingenti di gasolio per autotrazione in esenzione da accisa destinati alle province di Udine e Trieste.
Era stata altresì prorogata, con importi decrescenti, fino al 31 dicembre 2004 (L. 30 dicembre 2004, n. 311, art. 1, co. 515-517) l’agevolazione sul gasolio per autotrazione stabilita dall’articolo 1, comma 1, del D.L. 26 settembre 2000, n. 265, e dal D.M. 19 marzo 2001 (pubblicato nella Gazzetta ufficiale n. 70 del 24 marzo 2001) in favore degli autotrasportatori.
Infine, la L. 30 dicembre 2004, n. 311, articolo 1, comma 521, ha confermato l’esenzione dall’accisa in favore di un contingente di biodiesel da prodursi nell’ambito di un programma della durata di sei anni, il cui termine iniziale era stato differito dall’articolo 19, comma 6, della legge 27 dicembre 2002, n. 289, indi fissato al 1° gennaio 2005 dal comma 520 dell’articolo 1 della medesima L. n. 311 del 2004.
Per quanto riguarda le procedure doganali, può segnalarsi che l’articolo 1 del D.L. 14 marzo 2005, n. 35, ha disposto la riorganizzazione delle procedure di sdoganamento delle merci nei porti (disposizione estesa a tutte le operazioni di sdoganamento del D.L. 30 settembre 2005, n. 203, art. 2, co. 4). Non risulta essere stato finora emanato il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, che doveva provvedere alla semplificazione e al coordinamento dei procedimenti.
Nel corso della legislatura sono state soppresse alcune imposte.
In particolare, l’articolo 8 della L. 28 dicembre 2001, n. 448, ha anticipato al 1° gennaio 2002 la cessazione dell’imposta comunale sull’incremento di valore degli immobili (INVIM), che sarebbe stata dovuta fino al 31 dicembre 2003, limitatamente all'incremento di valore maturato fino al 31 dicembre 1992, a norma dell'articolo 17 del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504.
È stata soppressa dagli articoli da 13 a 17 della L. 18 ottobre 2001, n. 383, l’imposta sulle successioni e donazioni, la cui applicazione era stata già limitata alla parte del valore della quota o del legato che superasse i 350 milioni di lire dall'articolo 69 della L. 21 novembre 2000, n. 342, che ne aveva altresì ridotto le aliquote e la base imponibile, adottando altresì il principio della proporzionalità in luogo di quello della progressività.
Le donazioni rimangono soggette all'imposta di registro qualora ricorrano entrambe le seguenti condizioni:
a) che il beneficiario non sia legato al dante causa da un rapporto di coniugio, di discendenza in linea retta o di parentela entro il quarto grado;
b) che il valore della quota spettante a ciascun beneficiario superi l'importo di lire 350 milioni (euro 180.759,91).
L’imposta è applicata sul valore dei beni donati eccedente quest’importo, nella misura stabilita dalla vigente tariffa, in relazione alle diverse tipologie di beni, per gli atti traslativi a titolo oneroso.
Nel contesto di un’operazione di generale riordino della disciplina, volta al rilancio della nautica da diporto e del turismo nautico, è stata altresì soppressa la tassa di stazionamento per navi e imbarcazioni da diporto (L. 8 luglio 2003, n. 172, art. 15).
Sono state invece oggetto d’intervento, mediante aumento della tariffa, l’imposta di bollo (D.L. 12 luglio 2004, n. 168, art. 1-bis, co. 10; L. 30 dicembre 2004, n. 311, art. 1, co. 300; D.L. 31 gennaio 2005, n. 7, allegato, e D.M. economia 24 maggio 2005, pubblicato nella Gazzetta ufficiale 28 maggio 2005, n. 123) e l’imposta di registro (L. 30 dicembre 2004, n. 311, co. 300, e D.M. economia 24 maggio 2005, pubblicato nella Gazzetta ufficiale 28 maggio 2005, n. 123). Relativamente a quest’ultima e alle imposte ipotecaria e catastale è stata altresì disposta la rivalutazione dei moltiplicatori (L. 24 dicembre 2003, n. 350, art. 2, co. 63; un’ulteriore rivalutazione, per i beni immobili diversi dalla prima casa di abitazione, ha operato il D.L. 12 luglio 2004, n. 168, art. 1-bis, co. 7-8).
Sono state adottate in quest’ambito alcune misure agevolative, fra cui possono richiamarsi:
§ l’eliminazione della tassa di concessione e dell’imposta di bollo sui brevetti, disposta dalla L. 23 dicembre 2005, n. 266, art. 1, co. 351-352;
§ l’assoggettamento a imposta di registro in misura fissa per gli atti volti alla ricomposizione di azienda agricola a mezzo di contratto di affitto (D.Lgs. 29 marzo 2004, n. 99, art. 10) e la previsione di analoga agevolazione per taluni atti connessi all’attività cinematografica (D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 28, art. 25, co. 1);
Sembra rivestire particolare rilievo, in quest’ambito, la disposizione che consente di liquidare l’imposta di registro per le cessioni di immobili fra persone fisiche assumendo come imponibile il valore catastale (L. 23 dicembre 2005, n. 266, art. 1, co. 497). Questa possibilità è stata prevista con la manovra finanziaria per il 2006, nel contesto di interventi volti a far emergere l’effettivo valore dei trasferimenti immobiliari, dopo che – nella precedente manovra finanziaria – erano state introdotte disposizioni destinate a promuovere, con l’intervento dei comuni, una parziale revisione dei classamenti catastali degli immobili urbani (per microzone e per singole unità immobiliari: L. 30 dicembre 2004, n. 311, art. 1, co. 335-337 e 339) nonché misure antievasive sui contratti di locazione, fra l’altro escludendosi l’accertamento – agli effetti sia dell’imposta di registro, sia delle imposte sui redditi – a condizione che l’ammontare del canone dichiarato non sia inferiore a un decimo del valore catastale (L. 30 dicembre 2004, n. 311, art. 1, co. 341-343; al medesimo fine il co. 346 dichiara nulli i contratti di locazione di unità immobiliari non registrati)[58].
L’esenzione da imposte indirette è stata infine disposta:
§ per i trasferimenti di terreni agricoli a coltivatori diretti e ad imprenditori agricoli a titolo principale in zone montane (L. 28 dicembre 2001, n. 448, art. 52, comma 21);
§ per le dismissioni immobiliari operate dai comuni, anche mediante cartolarizzazioni (L. 30 dicembre 2004, n. 311, art. 1, co. 275);
§ per atti di trasferimento a titolo gratuito in favore di università, fondazioni universitarie, enti di ricerca, fondazioni e associazioni operanti nella ricerca ed enti parco (L. 23 dicembre 2005, n. 266, art. 1, co. 354).
Accanto a una lunga serie di interventi sull’organizzazione del lotto e delle altre scommesse nonché sulla gestione degli apparecchi da giuoco e intrattenimento, allo scopo di rafforzare la vigilanza amministrativa sul loro esercizio e impedire l’evasione fiscale e le pratiche illecite (v. capitolo Giuochi e scommesse), si sono avuti interventi di carattere prettamente tributario, consistenti nell’aumento dell’imponibile forfetario per l’imposta sugli apparecchi da divertimento e intrattenimento (L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 22, co. 4), nell’elevazione dell’aliquota dell’imposta sulle scommesse (L. 30 dicembre 2004, n. 311, art. 1, co. 284) e dell’aliquota dell’imposta sulle scommesse ippiche (D.L. 30 settembre 2005, n. 203, art. 11-quinquiesdecies, co. 12) nonché nell’ aumento della ritenuta unica sul lotto (L. 30 dicembre 2004, n. 311, art. 1, co. 488).
Misure volte a rafforzare i poteri di accertamento da parte dell’amministrazione finanziaria agli effetti dell’IRPEF e dell’IVA sono state adottate, in particolare, con la L. 30 dicembre 2004, n. 311, articolo 1, commi da 402 a 406. Le modificazioni introdotte riguardano, in particolare, la possibilità di rivolgere ai contribuenti invito a comparire per fornire dati e notizie, l’uso degli elementi acquisiti agli effetti delle rettifiche e degli accertamenti, le richieste di dati, notizie e documenti a banche, Poste, intermediari e soggetti che prestano servizi finanziari; è stata altresì integrata la determinazione degli elementi che consentono di stabilire l’esistenza di violazioni fiscali, ed esteso l’oggetto dell’accertamento, nel quale viene compresa anche l’imposta non versata. Successivamente, l’articolo 2, commi 8 e 9, del D.L. 30 settembre 2005, n. 203, ha disposto l’utilizzabilità dei dati acquisiti per l’accertamento delle accise agli effetti dell’accertamento presuntivo delle imposte dirette e dell’IVA.
Al medesimo fine, si è inteso incentivare la partecipazione dei comuni all’accertamento, prevedendo che siano loro assegnate quote del maggior gettito riscosso sulla base degli elementi da essi forniti (D.L. 30 settembre 2005, n. 203, art. 1).
Fra gli strumenti impiegati per la determinazione dell’imponibile hanno assunto una funzione sempre più rilevante gli studi di settore[59].
Nel corso della legislatura sono state emanate alcune disposizioni relative alla loro revisione. Essa è stata prevista dapprima dal D.L. 30 settembre 2003, n. 269, art. 23, co. 1, con finalità di controllo delle tendenze inflative rilevate in occasione del passaggio alla nuova moneta dell’euro, per i settori in cui si fossero manifestate o fossero in atto abnormi dinamiche di aumento dei prezzi. Per altro, tale operazione non risulta essere stata condotta a termine; il controllo dei prezzi nella filiera agroalimentare da parte della Guardia di finanza è stato quindi nuovamente disposto dall’articolo 2 del D.L. 9 settembre 2005, n. 182.
Finalità più propriamente tributarie riveste invece la revisione quadriennale disposta in via generale per i medesimi studi dall’articolo 1, commi da 399 a 401, della L. 30 dicembre 2004, n. 311, la quale, ai commi da 407 a 411, ne ha altresì disciplinato l’impiego a fine di accertamento. Tale possibilità è estesa, nei riguardi dei soggetti che esercitano attività d’impresa in regime di contabilità ordinaria, nonché degli esercenti arti o professioni, anche al caso in cui emergano, nel periodo d’imposta da accertare, significative situazioni di incoerenza rispetto agli indici di natura economica, finanziaria o patrimoniale stabiliti con provvedimento del direttore dell’Agenzia delle entrate. La possibilità di adeguamento alle risultanze degli studi di settore senza sanzioni e interessi, nel primo anno di applicazione, è stata altresì estesa ai periodi precedenti e riferita anche all’imposta regionale sulle attività produttive. In questo caso dev’essere tuttavia versata una maggiorazione del 3 per cento calcolata sulla differenza tra ricavi e compensi derivanti dall’applicazione degli studi e quelle annotati nelle scritture contabili, quando tale differenza sia superiore al 10 per cento.
All’ambito dell’accertamento può ricondursi – pur con caratteristiche speciali – l’istituto del concordato preventivo, contemplato in varie forme nella legislazione degli ultimi anni.
Una prima forma di concordato triennale, prevista dall’articolo 6 della L. 27 dicembre 2002, n. 289, non ha tuttavia trovato realizzazione per la mancata emanazione del regolamento ministeriale attuativo. In forma sperimentale, un concordato preventivo biennale riferito agli anni 2003 e 2004 è stato quindi introdotto dall’articolo 33 del D.L. 30 settembre 2003, n. 269.
La L. 30 dicembre 2004, n. 311, articolo 1, commi da 387 a 398, ha poi disciplinato l’istituto della pianificazione fiscale concordata triennale, destinata a entrare in funzione dal 2005. Tuttavia, questa disciplina è stata sostituita dalla programmazione fiscale triennale, prevista dalla L. 23 dicembre 2005, n. 266, articolo 1, commi da 499 a 509 e 519-520, con decorrenza dal periodo fiscale 2006 (v. scheda La programmazione fiscale triennale). Lo stesso articolo, al comma 368, lettera a), ha prefigurato la possibilità di concordare la tassazione di distretto (riferita a tributi statali e locali) per le imprese aderenti ai distretti industriali, rimettendone la disciplina a un emanando decreto ministeriale.
La disciplina della riscossione era stata oggetto di una riforma, attuata nel corso del 1999 con diversi provvedimenti legislativi delegati. Permanevano tuttavia diversi problemi, riguardanti sia il sistema di remunerazione dei concessionari, sia più in generale l’attuazione delle nuove forme organizzative.
A taluni di questi problemi si è inteso ovviare nella XIV legislatura con misure specifiche come quelle relative agli affidamenti temporanei e alle proroghe delle concessioni, previste dall’articolo 3, comma 13-bis, del D.L. 8 luglio 2002, n. 138, unitamente a misure volte al potenziamento del servizio di riscossione, indi con la proroga delle concessioni, disposta fino al 31 dicembre 2006 (L. 30 dicembre 2004, n. 311, art. 1, co. 427).
La soluzione scelta da ultimo è consistita tuttavia nell’integrale riforma del sistema di riscossione (v. scheda La riforma della riscossione), la quale prevede il superamento dell’attuale sistema di concessionari per circoscrizioni territoriali e l’attribuzione della funzione all’Agenzia delle entrate, che la eserciterà mediante la società Riscossione SpA, all’uopo costituita (D.L. 30 settembre 2005, n. 203, art. 3). Tale società dovrà operare dal 1° ottobre 2006: è stata quindi corrispondentemente ridotta la durata della proroga delle preesistenti concessioni.
Fra le misure intervenute sulla disciplina sostanziale dell’attività di riscossione, si segnalano l’introduzione della facoltà di esperire azioni cautelari e conservative da parte del concessionario (L. 30 dicembre 2004, n. 311, art. 1, co. 415) e la possibilità di transazione su somme iscritte a ruolo, prevista dapprima dal D.L. 8 luglio 2002, n. 138, articolo 3, comma 3, e poi inserita nell’ambito delle riformate procedure concorsuali con gli articoli 146 e 151 del D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5. L’articolo 3, comma 40, del D.L. n. 203 del 2005, testé citato, è intervenuto inoltre sulle procedure di espropriazione forzata, da un lato estendendo all’espropriazione del quinto degli stipendi la procedura esecutiva semplificata già prevista per il pignoramento di fitti o pigioni (anche nell’intento di ridurre i procedimenti giurisdizionali civili aventi ad oggetto pignoramenti presso terzi), dall’altro elevando (da 1540 a 8000 euro) l’importo complessivo del credito per il quale il concessionario della riscossione può promuovere la procedura di espropriazione immobiliare. Il successivo comma 41, con interpretazione autentica dell’articolo 86 del D.P.R. n. 602 del 1973, relativo al fermo dei beni mobili registrati, ha stabilito che – fino all’emanazione del previsto decreto ministeriale attuativo – il fermo può essere eseguito dal concessionario sui veicoli a motore nel rispetto delle disposizioni, relative alle modalità di iscrizione e di cancellazione e agli effetti dello stesso, contenute nel decreto del Ministro delle finanze 7 settembre 1998, n. 503[60].
Misure di carattere specifico in materia di discarico per inesigibilità sono state invece emanate con il D.L. 24 settembre 2002, n. 209, articolo 4, comma 2, e successivamente con la L. 30 dicembre 2004, n. 311, articolo 1, comma 416, che ha prolungato i termini per la consegna dei ruoli, la cui mancanza è causa di perdita del diritto al discarico.
Nel corso della legislatura sono state adottate numerose misure di sanatoria e di definizione agevolata di violazioni tributarie.
In occasione dell’introduzione dell’euro, vennero adottate misure volte a favorire l’emersione delle attività detenute all’estero, con pagamento – in denaro o mediante sottoscrizione di appositi titoli di Stato – di una somma in origine stabilita nel 2,5 per cento dell’importo rimpatriato, estinzione dei reati di omessa o infedele dichiarazione e delle sanzioni amministrative per violazioni tributarie, contributive e valutarie nonché preclusione dell’attività di accertamento (cosiddetto “scudo fiscale”: D.L. 25 settembre 2001, n. 350, artt. 11-21, prorogato con D.L. 22 febbraio 2002, n. 12; termini riaperti dal D.L. 24 dicembre 2002, n. 282, art. 5-bis, co. 1, con aumento di aliquota, e prorogati dallo stesso decreto, artt. da 6 a 6-quinquies, senza aumento di aliquota; nuovamente prorogato dal D.L. 24 giugno 2003, n. 143, art. 2, con riduzione dell’aliquota).
La L. 18 ottobre 2001, n. 383, ha introdotto iniziative volte all’emersione dell’economia sommersa, in particolare dell’impiego di lavoro irregolare con inadempimento degli obblighi fiscale e previdenziali. A quest’effetto sono stati previsti l’adesione a un programma di emersione, valido anche come concordato tributario, e il pagamento di un’imposta sostitutiva sull’incremento del reddito imponibile da questo derivante.
Nel contesto della manovra finanziaria per il 2003, la L. 27 dicembre 2002, n. 289, ha introdotto numerose formule di sanatoria di violazioni tributarie:
§ definizione automatica di redditi d’impresa e di lavoro autonomo per gli anni pregressi (art. 7: dichiarazioni presentate entro il 31 ottobre 2002; termine prorogato al 31 dicembre 2002 dalla L. 24 dicembre 2003, n. 350, art. 2, co. 44);
§ integrazione degli imponibili dichiarati per gli anni pregressi (art. 8: dichiarazioni presentate entro il 31 ottobre 2002; termine prorogato al 31 dicembre 2002 dalla L. 24 dicembre 2003, n. 350, art. 2, co. 44);
§ definizione automatica per imposte sui redditi, sostitutive e IVA (art. 9: dichiarazioni da presentarsi entro il 31 ottobre 2002; termine prorogato al 31 dicembre 2002 dalla L. 24 dicembre 2003, n. 350, art. 2, co. 44);
In tutti questi casi è consentita altresì la regolarizzazione delle scritture contabili: art. 14 (e art. 2, co. 47, della L. 24 dicembre 2003, n. 350). Contestualmente, sono prorogati di due anni i termini per l’accertamento nei riguardi dei soggetti che non si siano avvalsi delle misure di sanatoria: art. 10 [proroga confermata per il 2002 dall’art. 2, co. 44, lettera f), della L. 24 dicembre 2003, n. 350].
§ definizione dei ritardati od omessi versamenti (art. 9-bis, aggiunto dall'art. 5-bis del D.L. 24 dicembre 2002, n. 282: versamenti riferiti a dichiarazioni presentate entro il 31 ottobre 2002; termine prorogato al 1° gennaio 2004 dalla L. 24 dicembre 2003, n. 350, art. 2, co. 44);
§ chiusura delle liti fiscali pendenti mediante pagamento in misura ridotta (art. 16: liti pendenti al 1° gennaio 2003; termine prorogato al 30 ottobre 2003 dalla L. 24 dicembre 2003, n. 350, art. 2, co. 49);
La stessa legge n. 289 del 2002 ha consentito altresì la definizione agevolata di:
§ imposte di registro, ipotecaria, catastale, successioni, donazioni, INVIM (art. 11: atti formati e scritture registrate entro il 30 novembre 2002; termine prorogato al 30 settembre 2003 dalla L. 24 dicembre 2003, n. 350, art. 2, co. 46);
§ carichi di ruoli emessi o affidati ai concessionari entro il 30 giugno 1999 (art. 12; poi estesa fino al 30 giugno 2001: D.L. 24 giugno 2003, n. 143);
§ avvisi e altri atti di accertamento non definiti entro il 1° gennaio 2003 (art. 15; termine prorogato al 1° gennaio 2004: L. 24 dicembre 2003, n. 350, art. 2, co. 48);
§ canone di abbonamento per le radio-audizioni e affissioni di manifesti politici (violazioni commesse rispettivamente fino al 31 dicembre e al 30 novembre 2002: art. 17).
L’articolo 13 facoltizzava regioni, province e comuni a prevedere analoghe agevolazioni per la definizione dei tributi propri (v. anche capitolo I tributi regionali e locali).
Misure per la definizione agevolata delle violazioni relative alla tassa automobilistica commesse entro il 31 dicembre 2001 sono state inoltre introdotte dall’articolo 5-quinquies del D.L. 24 dicembre 2002, n. 282.
L’articolo 5 dello stesso D.L. n. 282 del 2002 ha consentito altresì la sanatoria e chiusura delle partite IVA inattive riferita all’anno 2002 e ai precedenti.
In connessione con la programmazione fiscale triennale da essa introdotta, la L. 23 dicembre 2005, n. 266, articolo 1, commi da 510 a 518, ha previsto infine la possibilità di adeguamento dei redditi d’impresa o di lavoro autonomo riferiti agli anni 2003 e 2004.
Il dibattito politico sulle misure di condono tributario ha opposto divergenti opinioni. Da un lato si sono rilevate la sottesa finalità generale di emersione di base imponibile e l’utilità di regolarizzare situazioni preesistenti (rientro dei capitali, emersione del lavoro nero), nonché l’esigenza di ridurre il contenzioso anche in vista della riforma prefigurata dalla legge di delega per la riforma del sistema fiscale statale (per altro attuata soltanto nella parte relativa all’imposizione sui redditi, in particolare con la riforma della tassazione dei redditi d’impresa, cui erano riferibili numerose delle norme di condono sopra descritte). Di contro si è osservato come i provvedimenti di sanatoria, adottati per conseguire entrate immediate, rechino solo temporaneo beneficio al bilancio pubblico, ostacolando invece il regolare funzionamento delle attività di accertamento e riscossione e indebolendo lo spirito di legalità presso i contribuenti.
Il sistema sanzionatorio tributario era stato oggetto di complessiva riforma nel corso della XIII legislatura.
Relativamente alle sanzioni penali, sulla base della delega legislativa conferita dall’articolo 9 della L. 25 giugno 1999, n. 205, il D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, aveva infatti introdotto una nuova disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto.
In materia di sanzioni amministrative, in attuazione della delega conferita dall'articolo 3, comma 133, lettera q), della L. 23 dicembre 1996, n. 662, erano stati invece emanati i seguenti decreti legislativi:
§ decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, recante le disposizioni generali in materia di sanzioni amministrative per le violazioni di norme tributarie;
§ decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471, concernente la riforma delle sanzioni tributarie non penali in materia di imposte dirette, di imposta sul valore aggiunto e di riscossione dei tributi;
§ decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 473, che provvedeva alla revisione delle sanzioni amministrative in materia di tributi sugli affari, sulla produzione e sui consumi, nonché di altri tributi indiretti.
Nel corso della XIV legislatura si sono avuti alcuni interventi puntuali sulla materia.
Una disposizione di portata generale è stata introdotta dall’articolo 1, comma 1, del D.L. 17 giugno 2005, n. 106, che, intervenendo sulla formulazione dell’articolo 10 della L. 27 luglio 2000, n. 212 (Statuto dei diritti del contribuente), ha precisato il significato della disposizione, la quale vieta di sanzionare violazioni dipendenti da “obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull'àmbito di applicazione della norma tributaria”: la modificazione introdotta ha chiarito che non integra tale presupposto la pendenza di un giudizio sulla legittimità della norma tributaria.
Un ulteriore intervento integrativo delle disposizioni di principio in materia di sanzioni è stato operato dall’articolo 7 del D.L. 30 settembre 2003, n. 269, il quale ha stabilito che le sanzioni amministrative relative al rapporto fiscale proprio di società o enti con personalità giuridica sono esclusivamente a carico della persona giuridica. Tale disposizione deroga al principio stabilito nell’articolo 2, comma 2, del citato decreto legislativo n. 472 del 1997, secondo cui la sanzione amministrativa tributaria è riferibile alla persona fisica che ha commesso o concorso a commettere la violazione. Con ciò – in parziale attuazione del principio contenuto anche nella delega legislativa per la riforma del sistema fiscale statale [L. 7 aprile 2003, n. 80, art. 2, comma 1, lettera l): “la sanzione fiscale amministrativa si concentra sul soggetto che ha tratto effettivo beneficio dalla violazione”] – si è inteso ovviare ai problemi applicativi e pratici sollevati dalla disposizione, adottando la soluzione consistente nel sanzionare la persona giuridica, secondo un indirizzo affermatosi in diversi ordinamenti e introdotto nell’ordinamento italiano dal decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231 (Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche).
L’articolo 12, comma 2, della legge 28 dicembre 2001, n. 448, intervenendo sull’articolo 2 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, ha ridefinito l’oggetto della competenza della giurisdizione tributaria, precedentemente individuato in base a un elenco non tassativo di tributi.
La nuova formulazione assegna al giudice tributario tutte le controversie aventi ad oggetto i tributi di ogni genere e specie comunque denominati, compresi quelli regionali, provinciali e comunali e il contributo per il Servizio sanitario nazionale, nonché le sovrimposte e le addizionali, le sanzioni amministrative, comunque irrogate da uffici finanziari, gli interessi e ogni altro accessorio. Restano escluse soltanto le controversie riguardanti gli atti dell’esecuzione forzata tributaria. È altresì confermata la giurisdizione sulle controversie in materia catastale, mentre, con disposizione innovativa, si prevede che il giudice tributario risolva in via incidentale ogni questione da cui dipende la decisione delle controversie rientranti nella propria giurisdizione, fatta eccezione per le questioni in materia di querela di falso e sullo stato o la capacità delle persone, diversa dalla capacità di stare in giudizio.
Con successivo intervento operato dall’articolo 3-bis del D.L. 30 settembre 2005, n. 203, tale competenza è stata ulteriormente specificata ed estesa con l’attribuirsi ad essa la cognizione delle controversie in materia di canoni per l’occupazione di spazi e aree pubbliche, per lo scarico e la depurazione delle acque reflue, per lo smaltimento dei rifiuti urbani, di imposta comunale o canone sulla pubblicità e di diritti sulle pubbliche affissioni.
Relativamente all’organizzazione della giurisdizione tributaria, un primo intervento è stato operato dall’art. 16-quater del D.L. 28 dicembre 2001, n. 452, che – analogamente a quanto previsto dalla L. 21 luglio 2000, n. 205, per i Consigli di presidenza della giustizia amministrativa e della Corte dei conti – ha modificato la composizione del Consiglio di presidenza della giustizia tributaria, prevedendo che undici componenti siano eletti dai giudici tributari, i restanti dalle Camere, in ragione di due per ciascuna, a maggioranza assoluta dei propri componenti.
In vista della scadenza del termine novennale di durata in carica dei componenti delle commissioni tributarie – che il 31 marzo 2005 avrebbe interessato circa 4600 giudici[61] – e della complessità del procedimento stabilito dalla legge per il conferimento degli incarichi e delle sedi, con il D.L. 29 novembre 2004, n. 282, art. 8, è stata prorogata di un anno la durata in carica dei giudici.
Infine, l’articolo 3-bis del D.L. 30 settembre 2005, n. 203, ha riformato la disciplina della nomina dei componenti delle commissioni tributarie, della loro durata in carica e dell’assegnazione degli incarichi.
Confermati la natura onoraria dell’ufficio, che non costituisce in nessun caso rapporto di pubblico impiego, e il limite di età, stabilito nel compimento del settantacinquesimo anno, si è stabilito che i presidenti di sezione, i vice presidenti e i componenti delle commissioni tributarie provinciali e regionali non possono essere assegnati alla stessa sezione della medesima commissione per più di cinque anni consecutivi. Ai componenti delle commissioni tributarie in servizio possono essere assegnati un diverso incarico ovvero il medesimo incarico presso diversa sede sulla base di domanda e successiva valutazione da parte del Consiglio di presidenza della giustizia tributaria in base a criteri e punteggi determinati dalla legge, tenendo conto delle qualità personali dimostrate. I posti rimasti vacanti al termine dei concorsi riservati ai componenti in servizio sono coperti mediante concorso pubblico.
Lo stesso provvedimento ha introdotto modificazioni in materia di procedura e di assistenza tecnica nel processo tributario. Da ultimo, il D.L. 30 dicembre 2005, n. 273, articolo 18, comma 4-ter, a fini di razionalizzazione e risparmio di spesa, ha disposto la revisione del numero dei componenti e delle sezioni delle Commissioni tributarie.
La nuova ripartizione delle competenze fra lo Stato e gli altri enti che costituiscono la Repubblica, introdotta dalla riforma operata con la legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione), ha comportato l’assegnazione di conseguenti poteri in materia di entrata e di spesa agli enti territoriali (regioni, province, comuni, città metropolitane) e di correlate funzioni normative, da esercitarsi nel quadro definito dalla legislazione statale. Tale assetto di rapporti, nel quale a ciascun ente è riconosciuta autonomia finanziaria entro i limiti necessari a mantenere l’unitarietà dell’ordinamento e la solidarietà tra le articolazioni territoriali della Repubblica, si riassume nella formula del “federalismo fiscale”.
Per quanto specificamente attiene alla materia tributaria, esso si esplica – secondo le previsioni dell’articolo 119 della Costituzione – nella titolarità di tributi ed entrate propri dei suddetti enti territoriali e nella disponibilità di compartecipazioni al gettito di tributi erariali riferibile al loro territorio. La disciplina normativa dei primi è rimessa agli enti medesimi, che possono definirne tutti gli elementi fondamentali (soggetti passivi, basi imponibili, territorialità, aliquote, riscossione, accertamento), nel quadro generale stabilito dalla legge dello Stato, cui resta altresì riservato il contenzioso; le seconde rimangono invece soggette alla competenza legislativa statale, salvi gli aspetti che questa ritenga di demandare all’ente destinatario del gettito.
A quest’ultimo regime sono altresì soggetti i tributi statali il cui gettito è interamente rimesso a regioni, province e comuni. Tali tributi – che sul piano logico costituiscono residuo del sistema antecedente il nuovo assetto delle competenze costituzionali – hanno in realtà importanza rilevantissima per la finanza delle regioni e degli enti locali, soprattutto in mancanza di effettiva realizzazione di un sistema di tributi propri, per il quale manca finora il presupposto costituito dalla legge statale destinata a definire i princìpi del sistema.
Attualmente, le principali fonti di entrata tributaria delle regioni a statuto ordinario e degli enti locali sono quindi costituite da:
§ addizionali a tributi statali (addizionali regionale e comunale all’imposta sui redditi delle persone fisiche; addizionale all’imposta di consumo sul gas metano, addizionale comunale e provinciale sul consumo di energia elettrica, addizionale comunale sui diritti d’imbarco di passeggeri su aeromobili);
§ quote di partecipazione al gettito di tributi statali (imposta sul valore aggiunto; imposta di fabbricazione sulle benzine);
§ destinazione alle regioni e agli enti locali dell’intero gettito di tributi disciplinati dalla legge statale, con la possibilità di determinazione delle aliquote – entro limiti prefissati – da parte della regione o dell’ente locale (fra le principali: imposta regionale sulle attività produttive; imposta comunale sugli immobili; tassa automobilistica regionale, imposta provinciale di trascrizione per gli autoveicoli).
Disposizioni particolari sono previste per le cinque regioni a statuto speciale. Per queste infatti, titolari di maggiori competenze legislative e amministrative fin dalla loro costituzione, la principale fonte di finanziamento è costituita da quote di compartecipazione ai tributi erariali. Ogni statuto elenca le imposte erariali una quota percentuale delle quali è attribuita alla regione, le aliquote eventualmente differenziate per ciascuna imposta, la base di computo, le modalità di attribuzione. Le compartecipazioni dunque possono essere considerati “tributi propri” solo relativamente alla destinazione del gettito e non anche per quanto riguarda la loro disciplina.
Nel corso della XIV legislatura non sono state adottate le misure legislative necessarie per l’attuazione del federalismo fiscale. Per lo svolgimento delle attività conoscitive a ciò richieste, l’articolo 3, comma 1, lettera b) della legge finanziaria per il 2003 ha istituito un’Alta Commissione di studio con il compito di indicare al Governo i princìpi generali del coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, sulla base di un accordo da raggiungersi nella Conferenza unificata tra Stato, regioni ed enti locali sui meccanismi strutturali del federalismo fiscale. La Commissione ha predisposto una relazione sull’attività da essa svolta, segnalando tuttavia come il mancato raggiungimento dell’accordo sui meccanismi strutturali del federalismo fiscale presso la Conferenza unificata tra Stato, regioni ed enti locali avesse impedito di informare le ipotesi delineate a criteri definiti in quella sede politica. Il termine per la conclusione dei lavori della Commissione è stato da ultimo prorogato al 30 settembre 2006 dall'articolo 4-ter del D.L. 30 dicembre 2005, n. 273, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 febbraio 2006, n. 51.
Per ulteriori approfondimenti su questo tema si rinvia ai capitoli Art. 119 Cost.: il federalismo fiscale e Verso il federalismo fiscale, nel dossier relativo alla Commissione Bilancio.
Con riferimento alla generalità dei tributi propri di regioni, province e comuni, si segnala infine che la legge n. 289 del 2002 (legge finanziaria per il 2003), all’articolo 13, ha conferito agli enti medesimi la facoltà di emettere – nelle forme proprie di ciascun ente – norme per la definizione agevolata di obblighi tributari precedentemente non adempiuti dai contribuenti, riducendo l’importo delle imposte e tasse da questi dovute nonché escludendo o riducendo i relativi interessi e sanzioni. La disposizione medesima precisa che per tributi propri degli enti territoriali s’intendono in questo caso i tributi la cui titolarità giuridica e il cui gettito siano integralmente attribuiti ai richiamati enti.
Contestualmente all’istituzione dell’Alta Commissione di studio, l’articolo 3, comma 1, lettera a), della legge 27 dicembre 2002, n. 289, ha disposto la sospensione della possibilità per le regioni di disporre maggiorazioni dell’addizionale regionale all’imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF) e dell’aliquota dell’imposta regionale sulle attività produttive (IRAP)[62]. Gli aumenti eventualmente deliberati dopo il 29 settembre 2002 sono stati sospesi, fino a quando non venisse raggiunto un raccordo tra Stato, regioni ed enti locali sull’attuazione del federalismo fiscale.
La sospensione è stata confermata fino al 31 dicembre 2004 dall’articolo 2, comma 21, della legge 24 dicembre 2003, n. 350 (legge finanziaria per il 2004), indi prorogata al 31 dicembre 2006 dall’articolo 1, comma 51, della legge 30 dicembre 2004, n. 311 (legge finanziaria per il 2005). L’articolo 1, comma 165, della legge 23 dicembre 2005, n. 266 (legge finanziaria per il 2006) ha ulteriormente prorogato il blocco fino al 31 dicembre 2006[63].
Con la stessa legge n. 311 del 2004, articolo 1, commi 61, 174 e 175, è stata inoltre introdotta una deroga alla sospensione degli aumenti.
In particolare, per le regioni che abbiano presentato nuovi disavanzi nella spesa sanitaria, il comma 174 prevede la possibilità che il presidente della regione, in qualità di commissario ad acta, possa adottare, nell’ambito dei provvedimenti necessari al ripianamento del deficit, gli aumenti delle aliquote IRPEF e IRAP, oggetto della sospensione sopra richiamata.
Il successivo comma 175, al medesimo fine di assicurare la copertura dei disavanzi del settore sanitario, consente alle regioni di deliberare la ripresa o l’inizio della decorrenza degli aumenti delle aliquote IRPEF e IRAP, destinandone il gettito esclusivamente al ripiano del disavanzo della spesa sanitaria corrente. La deroga al blocco delle aliquote è ammessa anche per la copertura di disavanzi relativi all’anno 2004.
Da ultimo, l’articolo 1, comma 277, della legge n. 266 del 2005 (legge finanziaria per il 2006), novellando l’articolo 1, comma 174, della stessa legge n. 311 del 2004, ha previsto che, qualora il commissario ad acta non adotti i provvedimenti necessari al ripianamento del disavanzo entro il 31 maggio, nella regione interessata, per l’anno d’imposta 2006, l’addizionale si applichi nella misura massima prevista dalla vigente normativa.
Per approfondimenti si vedano anche le schede Le addizionali regionali (nel presente fascicolo) e Blocco addizionali e maggiorazione IRAP nel dossier relativo alla Commissione bilancio.
Relativamente all’imposta regionale sulle attività produttive (IRAP), l’obiettivo politico del Governo nel corso della XIV legislatura era espresso nel criterio di delega contenuto nell’articolo 8 della L. 7 aprile 2003, n. 80, che richiedeva la graduale eliminazione dell'imposta, partendo dall’esclusione del costo del lavoro dalla base imponibile, con precedenza per i soggetti con una prevalente incidenza di esso rispetto agli altri costi, e semplificazione della base imponibile. Quest’obiettivo non è stato realizzato, se non attraverso misure parziali, fra cui si segnalano:
§ l’accrescimento della misura delle deduzioni, operato intervenendo sia sugli importi delle deduzioni medesime, sia sui limiti di base imponibile cui ne è condizionata l’applicazione (L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 5, co. 2, e L. 30 dicembre 2004, n. 311, art. 1, co. 347):
base imponibile |
dal 2000 (L. n. 388 |
dal 2003 (L. n. 289 del 2002) |
dal 2005 (L. n. 311 del 2004) |
Fino a euro 180.759,91 |
5164,57 |
7.500 |
8.000 |
Da euro 180.759,92 a euro 180.811,56 |
3.873,43 |
|
|
Da euro 180.759,92 a euro 180.834,91 |
|
5.625 |
|
Da euro 180.759,92 a euro 180.839,91 |
|
|
6.000 |
Da euro 180.811,57 a euro 180.863,21 |
2.582,28 |
|
|
Da euro 180.834,92 a euro 180.909,91 |
|
3.750 |
|
Da euro 180.839,92 a euro 180.919,91 |
|
|
4.000 |
da euro 180.863,22 a euro 180.914,85 |
1.291,14 |
|
|
da euro 180.909,92 a euro 180.984,91 |
|
1.875 |
|
da euro 180.919,92 a euro 180.999,91 |
|
|
2.000 |
§ la deducibilità delle spese per il personale assunto con contratto di formazione e lavoro (L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 5, co. 2) e per il personale addetto a ricerca e sviluppo (L. 30 dicembre 2004, n. 311, art. 1, co. 347);
§ la deducibilità del costo delle nuove assunzioni, prevista per ciascun periodo d’imposta fino al 2008 relativamente al costo del personale assunto in aggiunta al numero medio dei lavoratori occupati nel periodo d’imposta precedente (L. 30 dicembre 2004, n. 311, art. 1, co. 347, modificato dal D.L. 14 marzo 2005, n. 35, art. 11-ter); maggiori deduzioni per le nuove assunzioni nelle aree sottoutilizzate sono state disposte dallo stesso articolo 11-ter del D.L. 14 marzo 2005, n. 35.
Nel settore agricolo, si è verificata la riduzione dell’aliquota transitoria per i soggetti operanti nel settore agricolo e per le cooperative della piccola pesca (portata dal 2,5 all’1,9 per cento dall’art. 9, co. 7, della L. 28 dicembre 2001, n. 448): tale regime transitorio è stato da ultimo prorogato al 31 dicembre 2005 dall’articolo 1, comma 118, della L. 23 dicembre 2005, n. 266.
Una modifica della base imponibile dell’IRAP, volta all’acquisizione di maggior gettito, è stata invece realizzata a carico delle banche e degli enti finanziari, eliminando dal calcolo della base imponibile le riprese e le rettifiche di valore su crediti nonché gli accantonamenti per rischi (D.L. 12 luglio 2004, n. 168, art. 2, co. 2 e 3: l’efficacia della misura è stata differita al successivo periodo d’imposta dall’art. 3 del D.L. 29 novembre 2004, n. 282). Analoga misura è stata adottata per le imprese di assicurazione (D.L. 30 settembre 2005, n. 203, art. 6, co. 1).
Si ricorda infine che, in pendenza del giudizio instaurato dinnanzi alla Corte di giustizia delle Comunità europee circa la compatibilità del tributo con l’ordinamento comunitario[64], con l’articolo 1 del D.L. 17 giugno 2005, n. 106, sono state adottate misure temporanee per assicurare il versamento dell’IRAP nel 2005.
La sanatoria delle disposizioni regionali in materia di tassa automobilistica e IRAP
La Corte costituzionale, con le sentenze n. 296, n. 297 e n. 311 del 2003, aveva dichiarato l’illegittimità di interventi operati da leggi regionali in materia di IRAP e di tassa automobilistica, rilevando che, sebbene il gettito di questi tributi sia interamente devoluto alle regioni, la loro disciplina spetta alla competenza legislativa statale, con le sole eccezioni da questa espressamente autorizzate in favore delle regioni. Per ovviare alla situazione determinatasi, l’articolo 2, commi 21 e 22, della legge n. 350 del 2003 (legge finanziaria per il 2004), nelle more del completamento dei lavori dell’Alta Commissione di studio per il federalismo fiscale, ha concesso la sanatoria per le disposizioni adottate dalle medesime regioni in materia di tassa automobilistica e di IRAP, in difformità dai poteri attribuiti in materia dalla normativa statale, conferendo ad esse retroattivamente temporanea efficacia fino al periodo d’imposta decorrente dal 1° gennaio 2007 e prescrivendo che entro lo stesso termine le suddette regioni debbano rendere conformi alla normativa statale le disposizioni adottate relativamente alla tassa automobilistica[65].
L’articolo 1, comma 61, della legge n. 311 del 2004 (legge finanziaria per il 2005 ha confermato la sanatoria per le disposizioni delle leggi regionali in materia di tassa automobilistica e IRAP emanate in violazione dei limiti della potestà legislativa delle regioni, implicitamente estendendola anche alle leggi regionali promulgate prima del 1° gennaio 2004, ancorché non sottoposte al giudizio della Corte costituzionale. Restano in ogni caso fermi gli effetti sospensivi derivanti dal blocco degli aumenti delle aliquote IRAP.
Nel corso della XIV legislatura la disciplina in materia di imposta comunale sugli immobili (ICI) è stata oggetto di numerosi interventi legislativi, che tuttavia non hanno modificato la struttura e la disciplina generale del tributo.
In particolare tali interventi hanno comportato:
1) proroghe dei termini per l’accertamento e la liquidazione dell’imposta;
2) norme d’interpretazione autentica in materia di esenzione dal pagamento dell’imposta;
3) attribuzione ai comuni della possibilità di introdurre riduzioni dell’imposta a titolo di agevolazione.
Per ovviare a difficoltà operative degli enti locali impositori, sono state più volte concesse proroghe del termine ordinario per la liquidazione e l’accertamento dell’ICI[66], in deroga all’articolo 3, comma 3, della legge 27 luglio 2000, n. 212 (Statuto dei diritti del contribuente), secondo cui i termini di prescrizione e di decadenza per gli accertamenti d’imposta non possono essere prorogati.
L’articolo 27, comma 9, della legge 28 dicembre 2001, n. 448 (legge finanziaria per il 2002) ha prorogato al 31 dicembre 2002 il termine per la liquidazione e l’accertamento dell’ICI (a seguito dei controlli delle dichiarazioni e delle denunce) limitatamente alle annualità d’imposta 1998 e successive[67].
Analoghe disposizioni di proroga dei termini per la liquidazione e l’accertamento dell’ICI sono contenute nelle leggi finanziarie degli anni successivi. In particolare:
§ l’articolo 31, comma 16, della legge 27 dicembre 2002, n. 289 (legge finanziaria per il 2003) ha prorogato i predetti termini al 31 dicembre 2003, con riferimento alle annualità d’imposta 1998 e successive;
§ l’articolo 2, comma 33, della legge 24 dicembre 2003, n. 350 (legge finanziaria per il 2004) ha prorogato i predetti termini al 31 dicembre 2004, con riferimento alle annualità d’imposta 1999 e successive;
§ l’articolo 1, comma 67, della legge 30 dicembre 2004, n. 311 (legge finanziaria per il 2005) ha prorogato i soli termini di accertamento al 31 dicembre 2005, con riferimento alle annualità d’imposta 2000 e successive; successivamente l’articolo 1-quater del decreto-legge 30 dicembre 2004, n. 314, convertito, con modificazioni, dalla legge 1° marzo 2005, n. 26, ha prorogato al 31 dicembre 2005 anche i termini per la liquidazione, con riferimento alle medesime annualità d’imposta.
L’articolo 31, comma 18, della citata legge n. 289 del 2002 (legge finanziaria per il 2003) reca una norma d’interpretazione autentica dell’articolo 7, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, il quale dichiara esenti dall’ICI – se destinati esclusivamente a compiti istituzionali – gli immobili posseduti dallo Stato, dalle regioni, dalle province, dai comuni, dalle comunità montane, dai consorzi fra i richiamati enti, nonché gli immobili posseduti dalle unità sanitarie locali, dalle istituzioni sanitarie pubbliche, dalle camere di commercio.
La disposizione interpretativa ha precisato che l’esenzione risulta applicabile, oltre che agli immobili posseduti dai consorzi tra gli enti territoriali, anche agli immobili posseduti dai consorzi tra enti territoriali e gli altri enti non territoriali individualmente esenti dall’ICI in base al medesimo articolo 7.
Un’ulteriore norma interpretativa in materia di ICI è contenuta nell’articolo 7, comma 2-bis, del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248, secondo cui l’esenzione disposta dall’articolo 7, comma 1, lettera i), del decreto legislativo n. 504 del 1992 in favore degli immobili utilizzati da enti non commerciali e destinati esclusivamente allo svolgimento di attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive, nonché allo svolgimento di attività di religione o di culto, s’intende applicabile alle predette attività a prescindere dalla natura eventualmente commerciale delle stesse.
Successivamente, l’articolo 1, comma 133, della legge 23 dicembre 2005, n. 266 (legge finanziaria per il 2006) ha dichiarato che la disposizione non comporta rimborso o restituzione di imposte relativamente ai pagamenti effettuati prima della data di entrata in vigore della legge di conversione del suddetto decreto.
Infine, l’articolo 11-quaterdecies, comma 16, del già citato decreto-legge n. 203 del 2005, con norma d’interpretazione autentica dell’articolo 2, comma 1, lettera b), del medesimo decreto legislativo n. 504 del 1992, ha specificato la definizione di area fabbricabile, chiarendo che deve intendersi per tale qualunque area utilizzabile a scopo edificatorio in base allo strumento urbanistico generale, indipendentemente dall’adozione dei relativi strumenti attuativi.
Alcune disposizioni hanno attribuito ai comuni la facoltà di stabilire, a titolo di agevolazione, aliquote ridotte o l’esenzione dall’ICI per determinate fattispecie. In particolare:
§ l’articolo 3, comma 6, del decreto legge 13 settembre 2004, n. 240, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 novembre 2004, n. 269, ha previsto la possibilità per i comuni di deliberare aliquote agevolate o l'esenzione totale dall'ICI relativamente agli alloggi oggetto di tutte le speciali tipologie di contratti di locazione individuate dall’articolo 2 del medesimo decreto, destinate ai soggetti in situazione di disagio abitativo;
§ in maniera analoga, l’articolo 2, comma 2, del decreto-legge 1° febbraio 2006, n. 23, convertito con modificazioni, dalla legge 3 marzo 2006, n. 86, ha attribuito a tutti i comuni la facoltà di concedere esenzioni o riduzioni dell’ICI per l’anno fiscale 2006 a favore dei proprietari degli immobili locati ai soggetti in condizioni disagiate definite dall’articolo 1 del medesimo decreto (nucleo familiare comprendente persone ultrasessantacinquenni o portatori di handicap gravi, che non dispongono di altra abitazione o di redditi sufficienti ad accedere alla locazione di un nuovo immobile), ovvero ai proprietari che sospendono volontariamente per l'anno 2006 le procedure esecutive di rilascio degli immobili locati nei confronti dei conduttori che si trovino in specifiche ulteriori condizioni di disagio (nucleo familiare comprendente almeno un figlio di età inferiore ai tre anni o almeno due figli minorenni fiscalmente a carico, ovvero componenti affetti da malattie invalidanti o che non ne consentono il trasferimento, purché non dispongano di altra abitazione, né di redditi sufficienti ad accedere alla locazione di un nuovo immobile; spese mediche documentate superiori al 10 per cento del reddito annuo netto complessivo);
§ l’articolo 5-bis, comma 4, del decreto-legge 27 maggio 2005, n. 86, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 luglio 2005, n. 148, ha consentito poi ai comuni di ridurre, anche al di sotto del limite minimo previsto dalla legislazione vigente, le aliquote ICI stabilite per gli immobili adibiti ad abitazione principale del proprietario, a condizione che resti invariato il gettito totale dell’imposta e previo contestuale incremento delle aliquote da applicare alle aree edificabili, anche in deroga al limite massimo previsto dalla legislazione vigente;
§ l’articolo 1, comma 593, della legge 23 dicembre 2005, n. 266 (legge finanziaria per il 2006) prevede infine che, al fine di promuovere gli insediamenti turistici di qualità indicati al medesimo articolo 1, comma 583, i comuni interessati possano, fra l’altro, accordare l’esenzione ovvero l’applicazione di riduzioni o detrazioni dall’ICI.
L’articolo 15, comma 2, della legge 18 ottobre 2001, n. 383, ha previsto, a fine di semplificazione, che la presentazione della dichiarazione di avvenuta successione riguardante beni immobili esenta gli eredi o legatari dall’obbligo di presentare la dichiarazione di variazione agli effetti dell’ICI, in luogo della quale gli uffici fiscali trasmettono copia della dichiarazione di successione ai comuni in cui sono ubicati gli immobili.
Nell’ambito delle misure di sanatoria edilizia contenute nell’articolo 32, commi da 25 a 43, del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, la presentazione della denunzia ai fini ICI, se effettuata nei termini ivi previsti, è stata dichiarata equivalente a titolo abitativo edilizio in sanatoria, al pari del pagamento degli oneri di concessione, della denuncia in catasto, e, se dovute, delle denunzie ai fini della tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani e per l’occupazione del suolo pubblico. Successivamente, l’articolo 2, comma 41, della legge 24 dicembre 2003, n. 350 (legge finanziaria per il 2004) ha stabilito le modalità per il pagamento dell’imposta comunale sugli immobili (ICI) relativa ai fabbricati oggetto della regolarizzazione degli illeciti edilizi.
In materia di accertamento e riscossione, l’articolo 7, comma 2-bis, del decreto-legge 31 gennaio 2005, n. 7, convertito, con modificazioni, dalla legge 31 marzo 2005, n. 43, ha prescritto ai concessionari del servizio nazionale della riscossione di dichiarare l’importo delle somme, riscosse a titolo di ICI, che, a decorrere dall’anno 1993, non sia stato possibile attribuire ai comuni (ad esempio per errori del contribuente nella compilazione del bollettino di versamento). La determinazione delle modalità attuative e del sistema di versamento e di impiego delle predette somme è rimessa a decreto del Ministero dell’economia e delle finanze, d’intesa con l’Associazione nazionale dei comuni italiani (ANCI)[68].
Il comma 2-ter dello stesso articolo, relativamente alla predisposizione di strumenti informativi per agevolare gli accertamenti da parte dei comuni, ha trasferito all’Associazione nazionale dei comuni italiani (ANCI) il compito di organizzare le attività strumentali per la prosecuzione dei servizi volti alla fornitura di strumenti conoscitivi per l’accertamento e per agevolare i processi telematici di integrazione nella pubblica amministrazione, attribuendo alla medesima associazione il contributo dell’0,6 per mille del gettito dell’imposta, a carico dei soggetti che provvedono alla riscossione, già spettante per i medesimi fini al Consorzio nazionale dei concessionari della riscossione (CNC).
Fra i provvedimenti che hanno interessato gli altri tributi di competenza di comuni e province, si segnalano quelli riguardanti la tassa per la rimozione e lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani (TARSU), l’imposta comunale sulla pubblicità e il diritto sulle pubbliche affissioni nonché l’addizionale comunale e provinciale all’IRPEF. Un nuovo tributo di applicazione particolare è inoltre l’addizionale comunale sui diritti di imbarco, di cui beneficiano i soli comuni prossimi ad installazioni aeroportuali.
Le misure adottate nella XIV legislatura relativamente alla tassa per la rimozione e lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani (TARSU)[69] si sono innestate sulla disciplina dettata dal decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22 (c.d. decreto Ronchi), che prevedeva la soppressione della tassa e l'istituzione di una tariffa a copertura dei costi di gestione dello smaltimento dei rifiuti solidi urbani, a decorrere dal 1° gennaio 1999. Tale termine, dopo un primo differimento al 1° gennaio 2000 (articolo 31, comma 7, della legge 23 dicembre 1998, n. 448), è stato ulteriormente modificato dall’articolo 33 della legge 23 dicembre 1999, n. 488 (legge finanziaria per il 2000). In particolare, la disposizione ha previsto che i comuni debbano adottare la tariffa entro termini diversificati in ragione della popolazione o del grado di copertura dei costi del servizio registrato nel 1999[70]. Nel corso della XIV legislatura tali termini sono stati reiteratamente prorogati, da ultimo dall’articolo 1, comma 134, della legge 23 dicembre 2005 n. 266 (legge finanziaria per il 2006), che ha elevato a sette anni il termine per l’adozione della tariffa da parte dei comuni che raggiungessero nel 1999 un grado di copertura dei costi superiore all'85 per cento; il termine è stato parimenti elevato a sette anni per i comuni che abbiano raggiunto un grado di copertura dei costi tra il 55 e l’85 per cento.
La disciplina della tariffa per la gestione dei rifiuti urbani è ora contenuta nell’articolo 238 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), che riproduce sostanzialmente le disposizioni dell’abrogato articolo 49 del decreto legislativo n. 22 del 1997, sopra citato.
L’articolo 10 della legge 28 dicembre 2001, n. 448 (legge finanziaria per il 2002) ha introdotto alcune modifiche alla disciplina dell’imposta sulla pubblicità e dei diritti sulle pubbliche affissioni. In particolare, il termine per la deliberazione delle imposte da applicare nell’anno seguente – prima stabilito nel 31 ottobre di ciascun anno – è stato differito al 31 marzo successivo, assumendo per oggetto le imposte dell’anno in corso; è stata poi estesa a tutti i comuni la facoltà – già prevista per i soli comuni con popolazione superiore a 30 mila abitanti – di suddividere il territorio in zone, agli effetti dell’imposta, individuando una zona alla quale applicare una maggiorazione dell’imposta fino al 150 per cento; è stata concessa esenzione dall’imposta sulle insegne di esercizio di attività commerciali e di produzione di beni o servizi, di superficie complessiva non superiore a cinque metri quadrati, in favore delle insegne che contraddistinguono la sede ove si svolge l’attività cui si riferiscono[71]; sono state stabilite le misure che i comuni devono adottare per il contrasto della pubblicità abusiva (adozione di uno specifico piano; definizione bonaria di accertamenti e contenzioso).
L’articolo 5-bis del decreto-legge 28 dicembre 2001, n. 452, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 2002, n. 16, ha inoltre stabilito l’esenzione dall’imposta per i veicoli, di proprietà dell’impresa o adibiti ai trasporti per suo conto, recanti l’indicazione del marchio, della ragione sociale e dell’indirizzo dell’impresa, purché rispondente a determinati requisiti.
L’articolo 17, comma 2, della legge 27 dicembre 2002, n. 289 (legge finanziaria per il 2003) ha concesso la possibilità di sanare, in qualunque ordine e grado di giudizio nonché in sede di riscossione, le violazioni ripetute e continuate delle norme in materia di affissioni e pubblicità commesse fino al 30 novembre 2002 mediante affissioni di manifesti politici entro il limite un’imposta pari a 750 euro per il complesso delle violazioni commesse e ripetute per anno e per provincia.
L’articolo 1, comma 128, della legge 23 dicembre 2005, n. 266 (legge finanziaria per il 2006) ha concesso l’esenzione dall’imposta comunale sulla pubblicità per la pubblicità realizzata dalle associazioni e società sportive dilettantistiche negli impianti con capienza inferiore a tremila posti, purché rivolta all’interno degli impianti medesimi.
Alcune misure legislative hanno invece interessato il canone per l’installazione dei mezzi pubblicitari, previsto dall’articolo 62 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, che i comuni possono adottare in alternativa all’imposta comunale sulla pubblicità. In particolare:
§ l’articolo 10 della legge n. 448 del 2001 (legge finanziaria per il 2002) ha modificato l’articolo 62 del decreto legislativo n. 446 del 1997 prevedendo che il canone non possa eccedere di oltre il 25 per cento gli importi deliberati per l’imposta comunale sulla pubblicità nell’anno solare antecedente l’adozione della delibera di sostituzione dell’imposta comunale sulla pubblicità con il canone;
§ l’articolo 2-bis del decreto-legge 22 febbraio 2002, n. 13, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 2002, n. 75, ha previsto che il canone non sia dovuto per le insegne di esercizio delle attività commerciali e di produzione di beni o servizi di superficie complessiva non superiore a cinque metri quadrati;
§ l’articolo 7-octies del decreto-legge 31 gennaio 2005, n. 7, convertito, con modificazioni, dalla legge 31 marzo 2005, n. 43, ha consentito ai comuni di rideterminare, ove occorra, la misura del canone secondo le disposizioni del descritto articolo 62 del decreto legislativo n. 446 del 1997; si prevede inoltre che a decorrere dall’esercizio 2006, la rideterminazione tenga conto della rivalutazione annuale sulla base dell’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati rilevato dall’ISTAT.
Le misure legislative adottate nella XIV legislatura in materia di addizionali comunale e provinciale all’IRPEF[72] hanno in primo luogo riguardato la reiterazione e l’integrazione del regime transitorio previsto dall’articolo 67 della legge 23 dicembre 2000, n. 388, per quel che concerne la parte di aliquota dell’addizionale di compartecipazione da definirsi a livello nazionale[73]. In secondo luogo, alcune disposizioni hanno previsto la sospensione degli effetti degli aumenti deliberati dai comuni dell’altra parte dell’aliquota, facoltativa e variabile, la cui applicazione è rimessa a ciascun comune[74].
In particolare, per quanto attiene al primo aspetto:
§ l’articolo 25, comma 5, della legge n. 448 del 2001 (legge finanziaria per il 2002) ha esteso anche all’anno 2003 la compartecipazione al gettito dell’IRPEF inizialmente prevista dall’articolo 67 della legge n. 388 del 2000 per il solo anno 2002;
§ l’articolo 31, comma 8, della legge n. 289 del 2002 (legge finanziaria per il 2003) ha aumentato la compartecipazione, per l’anno 2003, dal 4,5 per cento al 6,5 per cento; la medesima disposizione ha altresì istituito, per lo stesso anno 2003, una compartecipazione al gettito dell’IRPEF anche per le province, nella misura dell’1 per cento, in tutto analoga a quella già attuata per i comuni;
La compartecipazione dei comuni e delle province al gettito dell’IRPEF è stata poi confermata per gli anni 2004, 2005 e 2006 (rispettivamente legge 24 dicembre 2003, n. 350, art. 2, co. 18; legge 30 dicembre 2004, n. 311, art. 1, co. 65; legge 23 dicembre 2005, n. 266, art. 1, co. 152).
Con riferimento alla sospensione degli aumenti dell’addizionale, si ricorda che:
§ l’articolo 3, comma 1, della legge n. 289 del 2002 ha disposto, tra le altre cose, la sospensione degli aumenti dell’addizionale comunale all’IRPEF deliberati dopo il 29 settembre 2002 fino a quando non fosse intervenuto un accordo in sede di Conferenza unificata tra Stato regioni ed enti locali sui meccanismi strutturali del federalismo fiscale;
§ l’articolo 1, comma 51, della legge n. 311 del 2004 ha prorogato il blocco fino al 31 dicembre 2006. La disposizione prevede comunque, per i comuni che non se ne siano avvalsi in precedenza di aumentare l’aliquota dell’addizionale all’IRPEF per il triennio 2005-2007. Gli effetti di tali aumenti rimarranno comunque sospesi, in forza della disposizione, fino al 31 dicembre 2006.
Mette conto infine ricordare che la già illustrata agevolazione che i comuni possono concedere ai proprietari di immobili locati a conduttori in condizioni di particolare disagio abitativo, in forza dell’articolo 2 del decreto-legge n. 23 del 2006, può riguardare anche l’addizionale comunale all’IRPEF.
L’articolo 2, comma 11, della legge 24 dicembre 2003, n. 350 (legge finanziaria per il 2004) ha istituito per l’anno 2004 un’imposta addizionale sui diritti d’imbarco dei passeggeri sugli aeromobili, destinata in parte ai comuni nel cui territorio ricade il sedime aeroportuale, ovvero il cui territorio confina con esso, e in parte al finanziamento di misure volte alla prevenzione e al contrasto della criminalità e al potenziamento della sicurezza nelle strutture aeroportuali e nelle principali stazioni ferroviarie. In base alla disposizione, l’imposta addizionale, pari a 1 euro per ogni passeggero imbarcato, doveva essere versata all'entrata del bilancio dello Stato, per la successiva riassegnazione - per la parte eccedente una quota di 30 milioni di euro riservata al Ministero dell’economia - in un apposito fondo unico, istituito presso il Ministero dell’interno, che per il 20 per cento viene ripartito tra i comuni, in base a determinati criteri, e per l’80 per cento viene destinato alle altre misure sopra descritte[75].
Successivamente, l’articolo 7-quater del decreto-legge 29 marzo 2004, n. 80, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 maggio 2004, n. 140, ha reso permanente l’imposta comunale addizionale sui diritti d’imbarco dei passeggeri, istituita dalla legge finanziaria per il solo 2004. L’articolo 6-sexies del decreto-legge n. 7 del 2005 ne ha poi incrementato la misura di un euro, destinando tuttavia il maggior gettito al Fondo speciale per il sostegno del reddito e dell'occupazione e della riconversione e riqualificazione del personale del settore del trasporto aereo[76].
Da ultimo, l’articolo 11-septies del decreto legge n. 203 del 2005 ha trasferito in un apposito fondo istituito presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti la quota dell’addizionale attualmente riservata al Ministero dell’economia – pari a 30 milioni di euro – al fine di compensare l’ENAV dei costi sostenuti per garantire la sicurezza ai propri impianti e per garantire la sicurezza operativa.
Infine, l’articolo 2, comma 39, della legge 24 dicembre 2003, n. 350 (legge finanziaria per il 2004) è intervenuto sull’addizionali comunale e provinciale sull’energia elettrica[77] estendendone l’applicazione alle fatturazioni, anche d'acconto, effettuate non solo dalle imprese distributrici, compresi i grossisti, ma anche dalle imprese produttrici.
ENTRATE FINALI PER CATEGORIE |
2002 |
2003 |
2004 |
2005 |
2006 |
||||||||
(Dati di competenza – Accertamenti) |
Prev. |
Cons. |
% |
Prev. |
Cons. |
% |
Prev. |
Cons. |
% |
Prev. Assest. |
% |
L. Bil. |
% |
I - IMPOSTE SUL PATRIMONIO E SUL REDDITO |
178.530 |
181.206 |
46,1 |
185.411 |
189.000 |
45,1 |
185.455 |
191.970 |
45,0 |
188.497 |
46,0 |
197.780 |
47,2 |
II - TASSE E IMPOSTE SUGLI AFFARI |
118.755 |
120.449 |
30,7 |
124.548 |
133.832 |
31,9 |
133.048 |
137.846 |
32,3 |
135.912 |
33,2 |
139.206 |
33,2 |
III IMPOSTE SULLA PRODUZIONE, CONSUMI E DOGANE |
26.901 |
26.737 |
6,8 |
28.239 |
28.598 |
6,8 |
27.440 |
27.904 |
6,5 |
29.640 |
7,2 |
29.093 |
6,9 |
IV – MONOPOLI |
8.126 |
7.888 |
2,0 |
8.308 |
8.056 |
1,9 |
9.112 |
8.726 |
2,0 |
9.457 |
2,3 |
9.816 |
2,3 |
V - LOTTO, LOTTERIE E ATTIVITÀ DI GIUOCO |
10.158 |
9.027 |
2,3 |
9.201 |
7.922 |
1,9 |
9.901 |
13.617 |
3,2 |
11.530 |
2,8 |
12.177 |
2,9 |
TOTALE ENTRATE TRIBUTARIE |
342.470 |
345.307 |
87,9 |
355.707 |
367.408 |
87,6 |
364.956 |
380.063 |
89,1 |
375.036 |
91,5 |
388.072 |
92,7 |
VI - PROVENTI SPECIALI |
612 |
670 |
0,2 |
667 |
630 |
0,2 |
703 |
650 |
0,2 |
618 |
0,2 |
495 |
0,1 |
VII - PROVENTI DEI SERVIZI PUBBLICI MINORI |
4.212 |
6.235 |
1,6 |
4.717 |
7.861 |
1,9 |
7.135 |
6.098 |
1,4 |
6.776 |
1,7 |
6.890 |
1,6 |
VIII – PROVENTI DEI BENI DELLO STATO |
377 |
380 |
0,1 |
419 |
304 |
0,1 |
442 |
443 |
0,1 |
653 |
0,2 |
392 |
0,1 |
IX - PRODOTTI NETTI DI AZIENDE AUTONOME E UTILI DI GESTIONE |
3.140 |
2.590 |
0,7 |
2.526 |
2.564 |
0,6 |
2.426 |
3.013 |
0,7 |
2.426 |
0,6 |
3.842 |
0,9 |
X - INTERESSI SU ANTICIPAZIONI E CREDITI VARI DEL TESORO |
6.193 |
9.568 |
2,4 |
2.306 |
5.420 |
1,3 |
2.334 |
5.197 |
1,2 |
3.932 |
1,0 |
4.200 |
1,0 |
XI - RECUPERI, RIMBORSI E CONTRIBUTI |
12.188 |
16.493 |
4,2 |
12.619 |
15.659 |
3,7 |
13.521 |
18.421 |
4,3 |
9.597 |
2,3 |
10.905 |
2,6 |
XII - PARTITE COMPENSATIVE NELLA SPESA |
1.961 |
1.678 |
0,4 |
2.004 |
1.712 |
0,4 |
2.004 |
1.893 |
0,4 |
1.847 |
0,5 |
2.006 |
0,5 |
TOTALE ENTRATE EXTRATRIBUTARIE |
28.683 |
37.614 |
9,6 |
25.258 |
34.150 |
8,1 |
28.565 |
35.715 |
8,4 |
25.849 |
6,3 |
28.730 |
6,9 |
XIII - VENDITA DI BENI ED AFFRANCAZIONE DI CANONI |
5.615 |
9.086 |
2,3 |
6.641 |
17.022 |
4,1 |
14.116 |
10.664 |
2,5 |
8.008 |
2,0 |
1.008 |
0,2 |
XIV - AMMORTAMENTO DI BENI PATRIMONIALI |
774 |
611 |
0,2 |
782 |
163 |
0,0 |
795 |
163 |
0,0 |
833 |
0,2 |
840 |
0,2 |
XV - RIMBORSO DI ANTICIPAZIONI E CREDITI VARI DEL TESORO |
81 |
184 |
0,0 |
1.098 |
764 |
0,2 |
201 |
165 |
0,0 |
101 |
0,0 |
26 |
0,0 |
TOTALE ALIENAZIONE ED AMMORTAMENTO DI BENI PATRIMONIALI E RISCOSSIONE CREDITI |
6.470 |
9.881 |
2,5 |
8.521 |
17.949 |
4,3 |
15.112 |
10.992 |
2,6 |
8.942 |
2,2 |
1.874 |
0,4 |
TOTALE ENTRATE FINALI |
377.623 |
392.802 |
100,0 |
389.486 |
419.507 |
100,0 |
408.633 |
426.770 |
100,0 |
409.827 |
100,0 |
418.676 |
100,0 |
PRINCIPALI IMPOSTE |
2002 |
2003 |
2004 |
2005 |
2006 |
||||||||
(Dati di competenza – Accertamenti) |
Prev. |
Cons. |
% |
Prev. |
Cons. |
% |
Prev. |
Cons. |
% |
Prev. Assest. |
% |
L. Bil. |
% |
ENTRATE TRIBUTARIE |
342.470 |
345.307 |
100 |
355.707 |
367.408 |
100 |
364.956 |
380.062 |
100,0 |
375.037 |
100 |
388.071 |
100,0 |
di cui: |
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
IRPEF |
129.387 |
128.598 |
37,2 |
127.951 |
132.081 |
35,9 |
133.816 |
134.108 |
35,3 |
145.650 |
38,8 |
143.418 |
37,0 |
IRPEG |
30.565 |
31.578 |
9,1 |
30.361 |
30.364 |
8,3 |
28.289 |
30.374 |
8,0 |
27.604 |
7,4 |
37.512 |
9,7 |
ILOR |
585 |
850 |
0,2 |
269 |
500 |
0,1 |
143 |
355 |
0,1 |
531 |
0,1 |
165 |
0,0 |
IMPOSTE SOSTITUTIVE |
16.010 |
17.151 |
5,0 |
14.988 |
15.919 |
4,3 |
14.803 |
17.018 |
4,5 |
12.381 |
3,3 |
12.411 |
3,2 |
RITENUTE A TITOLO DI IMPOSTA DEFINITIVA |
745 |
836 |
0,2 |
748 |
819 |
0,2 |
843 |
852 |
0,2 |
829 |
0,2 |
848 |
0,2 |
IVA, di cui |
97.964 |
98.720 |
28,6 |
102.019 |
105.392 |
28,7 |
104.874 |
107.113 |
28,2 |
112.161 |
29,9 |
115.354 |
29,7 |
- SCAMBI INTERNI ED INTRACOMUNITARI |
86.614 |
87.461 |
25,3 |
91.259 |
94.242 |
25,7 |
93.209 |
95.324 |
25,1 |
99.232 |
26,5 |
102.290 |
26,4 |
- IMPORTAZIONE |
11.350 |
11.259 |
3,3 |
10.760 |
11.150 |
3,0 |
11.665 |
11.789 |
3,1 |
12.929 |
3,4 |
13.064 |
3,4 |
ALTRI INTROITI DIRETTI |
1.099 |
2.045 |
0,6 |
1.056 |
1.427 |
0,4 |
1.927 |
1.853 |
0,5 |
1.039 |
0,3 |
1.984 |
0,5 |
CONDONI E SANARIE, di cui: |
140 |
155 |
0,0 |
11.803 |
11.281 |
3,1 |
8.493 |
8.830 |
2,3 |
514 |
0,1 |
1.782 |
0,5 |
- SU TRIBUTI DIRETTI |
140 |
148 |
0,0 |
10.038 |
7.892 |
2,1 |
5.635 |
7.409 |
1,9 |
464 |
0,1 |
1.442 |
0,4 |
-SU TRIBUTI INDIRETTI |
0 |
7 |
0,0 |
1.765 |
3.389 |
0,9 |
2.858 |
1.421 |
0,4 |
50 |
0,0 |
340 |
0,1 |
LOTTO, LOTTERIE E GIUOCHI |
10.158 |
9.027 |
2,6 |
9.200 |
7.922 |
2,2 |
9.900 |
13.617 |
3,6 |
11.530 |
3,1 |
12.177 |
3,1 |
ACCISA E IMPOSTA ERARIALE DI CONSUMO SU: |
26.790 |
26.596 |
7,7 |
28.139 |
28.430 |
7,7 |
27.271 |
27.670 |
7,3 |
29.554 |
7,9 |
29.012 |
7,5 |
- OLII MINERALI |
20.450 |
21.381 |
6,2 |
22.134 |
21.916 |
6,0 |
21.241 |
21.467 |
5,6 |
23.005 |
6,1 |
22.701 |
5,8 |
- ALTRI PRODOTTI |
6.340 |
5.215 |
1,5 |
6.005 |
6.514 |
1,8 |
6.030 |
6.203 |
1,6 |
6.549 |
1,7 |
6.311 |
1,6 |
IMPOSTE SUI GENERI DI MONOPOLIO |
8.122 |
7.877 |
2,3 |
8.306 |
8.052 |
2,2 |
9.101 |
8.725 |
2,3 |
9.454 |
2,5 |
9.814 |
2,5 |
IMPOSTE SUGLI AFFARI |
1.139 |
1.260 |
0,4 |
1.101 |
1.265 |
0,3 |
1.205 |
1.235 |
0,3 |
1.546 |
0,4 |
1.430 |
0,4 |
ALTRI TRIBUTI INDIRETTI |
19.767 |
20.613 |
6,0 |
19.766 |
23.956 |
6,5 |
24.291 |
28.313 |
7,4 |
22.244 |
5,9 |
22.164 |
5,7 |
Fonte: Rendiconto generale dello Stato (per gli anni 2002-2004); Disegno di legge di assestamento (anno 2005); Bilancio di previsione (anno 2006).
Cap. |
Entrate tributarie erariali |
2001 |
2002 |
2003 |
2004 |
2005 |
1023 |
Irpef- IRE |
123.625 |
123.316 |
127.788 |
131.213 |
135.697 |
1024 |
IRPEG – IRES |
32.758 |
30.185 |
28.682 |
28.335 |
33.918 |
1026 |
Imposta sostitutiva |
9.017 |
9.231 |
7.542 |
6.916 |
6.863 |
1027 |
Ritenuta utili |
251 |
317 |
267 |
315 |
492 |
1028 |
Ritenuta capitali |
485 |
517 |
538 |
536 |
540 |
1034 |
Imposte sostitutive redditi capitale e plusvalenze |
6.275 |
3.745 |
3.212 |
3.751 |
1.361 |
1182 |
Imposta sostitutiva rivalutazione dei beni |
5.041 |
1.592 |
1.361 |
3.675 |
728 |
- |
Altre imposte dirette |
1.441 |
4.750 |
3.799 |
4.247 |
3.459 |
|
TOTALE IMPOSTE DIRETTE |
178.893 |
173.653 |
173.189 |
178.988 |
183.058 |
1201 |
Imposte di registro |
3.585 |
4.201 |
4.186 |
4.427 |
4.758 |
1203 |
IVA, di cui: |
91.966 |
95.515 |
98.864 |
101.710 |
106.179 |
1203/1 |
- IVA su scambi interni |
80.224 |
84.256 |
87.714 |
89.921 |
93.686 |
1203/2 |
- IVA su importazioni |
11.742 |
11.259 |
11.150 |
11.789 |
12.493 |
1205 |
Bollo |
4.070 |
3.971 |
3.998 |
5.220 |
4.661 |
1208 |
Assicurazioni |
2.440 |
2.525 |
2.654 |
3.116 |
2.811 |
1210 |
Ipotecaria |
1.028 |
1.243 |
1.248 |
1.227 |
1.406 |
1216 |
Canoni abbonamento |
1.389 |
1.404 |
1.462 |
1.502 |
1.520 |
1217 |
Concessioni governative |
1.081 |
898 |
1.135 |
1.119 |
1.232 |
1218 |
Tasse automobilistiche |
432 |
294 |
467 |
484 |
545 |
1230 |
Imposta sugli spettacolo e sulle case da gioco |
n.d. |
56 |
68 |
108 |
66 |
1233 |
INVIM |
863 |
190 |
103 |
47 |
22 |
1239 |
Successioni e donazioni |
1.010 |
719 |
336 |
148 |
79 |
1243 |
Diritti catastali e di scritturato |
555 |
663 |
662 |
648 |
924 |
1401 |
Imposta di fabbricazione sugli spiriti |
581 |
563 |
574 |
571 |
590 |
1409 |
Imposta di fabbricazione sugli oli minerali |
19.604 |
19.912 |
21.131 |
20.752 |
21.221 |
1410 |
Imposta di fabbricazione sui gas incondensabili |
582 |
617 |
644 |
585 |
635 |
1411 |
Imposta sull’energia elettrica e addizionali |
1.120 |
1.097 |
1.201 |
1.198 |
1.126 |
1421 |
Imposta di consumo sul gas metano |
3.624 |
2.861 |
3.960 |
3.682 |
4.051 |
1431 |
Imposta di consumo sugli oli lubrificanti |
400 |
366 |
389 |
351 |
341 |
1601 |
Imposta di consumo sui tabacchi |
7.456 |
7.871 |
8.047 |
8.720 |
8.903 |
1801 |
Proventi del Lotto |
7.340 |
7.863 |
6.938 |
11.689 |
7.343 |
- |
Altre imposte indirette |
2.722 |
7.223 |
9.917 |
12.453 |
6.992 |
|
TOTALE IMPOSTE INDIRETTE |
154.886 |
159.996 |
167.984 |
180.954 |
177.286 |
|
TOTALE ENTRATE TRIBUTARIE |
333.779 |
333.649 |
341.173 |
359.942 |
360.344 |
Entrate tributarie degli enti territoriali |
2001 |
2002 |
2003 |
2004 |
2005 |
Addizionale regionale IRPEF-IRE |
4.430 |
4.975 |
6.166 |
6.741 |
6.430 |
Addizionale comunale IRPEF-IRE |
715 |
1.096 |
1.571 |
1.615 |
1.555 |
IRAP |
31.287 |
32.072 |
33.590 |
33.384 |
35.995 |
(Dati di competenza – Accertamenti).
Elaborazione del Servizio Studi sui “Bollettini sulle entrate tributarie” del Ministero dell’economia e delle finanze, Dipartimento per le politiche fiscali.
Il settore dei giuochi e delle scommesse è stato oggetto di numerosi interventi legislativi nella XIV legislatura.
Nel contesto del riordinamento delle funzioni statali in materia di organizzazione e gestione dei giuochi, delle scommesse e dei concorsi a premi e le relative risorse, disposto dall'articolo 12 della legge 18 ottobre 2001, n. 383, la competenza in materia di giochi, scommesse e concorsi pronostici è stata riunita in un unico soggetto, individuato nell’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato (AAMS). Ad essa sono stati attribuiti i compiti precedentemente esercitati dall’Agenzia delle entrate, mentre i giochi e le scommesse sportive di competenza del CONI e dell’UNIRE sono attribuiti all’AAMS in regime di concessione (v. scheda Funzioni statali su giuochi e scommesse).
Vari interventi hanno riguardato la disciplina degli apparecchi da intrattenimento, allo scopo di contrastarne l’uso illegale e di ricuperare gettito tributario su tali attività (v. scheda Gli apparecchi da intrattenimento). In particolare, sono state modificate le caratteristiche di tali apparecchi e le disposizioni circa il regime autorizzatorio cui ne sono sottoposte la produzione, l’importazione e la gestione. L’introduzione di un sistema di collegamento telematico in rete è destinata a consentirne il controllo remoto per prevenire frodi e pratiche di evasione fiscale. Correlativamente è stato rivisto e meglio articolato il sistema delle sanzioni e sono state adeguate le modalità di pagamento delle imposte dovute, anche con l’ausilio delle medesime reti telematiche di gestione degli apparecchi. Da ultimo sono state elaborate disposizioni atte a contrastare il giuoco illegale tramite la rete internet, attraverso il coinvolgimento dei fornitori dei servizi di rete.
Le manovre di finanza pubblica hanno inoltre previsto numerose disposizioni atte ad incrementare il gettito erariale derivante dal lotto, sia attraverso l’aumento del prezzo dei biglietti e dell’ammontare della ritenuta sulle vincite, sia mediante l’estensione della rete di raccolta e l’istituzione di nuove estrazioni (ruota nazionale, combinazione dell’estratto determinato, ulteriore estrazione infrasettimanale). Contestualmente sono state introdotte misure intese a favorire la partecipazione e ad equilibrare il rapporto fra somme giocate e premi distribuiti, come l’adeguamento del valore dei premi e un rilevante incremento dell’importo massimo della vincita.
Provvedimenti di adeguamento dei prezzi hanno interessato anche le lotterie ad estrazione differita e istantanea; in tale ambito, la legge 30 dicembre 2004, n. 311 (articolo 1, commi da 290 a 294 sono state adottate anche misure per la regolamentazione dei giuochi con partecipazione a distanza (c.d. giuoco telematico), a tutela dei giocatori e per contrastare il giuoco illegale con il danno erariale che ne proviene.
Per approfondimenti si rinvia alla scheda Lotto e lotterie.
Relativamente alle scommesse e ai concorsi pronostici (v. scheda Concorsi pronostici e scommesse), oltre a interventi sugli importi minimi delle giocate, più rilevanti modificazioni sono state disposte nell’ambito della legge finanziaria per il 2005 (legge n. 311 del 2004, art. 1, co. 281-287). Fra l’altro, sono state riorganizzate le modalità di finanziamento ordinario del Comitato olimpico nazionale italiano (CONI), eliminando le quote spettanti a quest’ente sugli incassi ed è stata conseguentemente rideterminata la ripartizione delle poste di giuoco, incrementando in particolare la misura dell’imposta su di esse gravante. È stato altresì disposto il riordino delle scommesse (escluso il settore ippico), poi attuato in via regolamentare con il decreto ministeriale 1° marzo 2006, n. 111.
La ridefinizione delle condizioni economiche delle concessioni per la raccolta delle scommesse ippiche e sportive, eseguita in base all’articolo 8 del decreto-legge 28 dicembre 2001, n. 452, ha comportato alcuni problemi applicativi, per ovviare ai quali il legislatore ha disposto la riapertura dei termini per l’adesione da parte dei concessionari (che altrimenti sarebbero incorsi nella revoca della concessione), unitamente a misure di agevolazione per il versamento rateale delle somme dovute.
Fra gli interventi disposti, da ultimo, con il decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203, deve ricordarsi la disposizione che introduce la possibilità di raccolta del lotto, del concorso pronostici enalotto, dei concorsi pronostici su base sportiva, delle scommesse a totalizzatore e della nuova scommessa ippica “Nuova Tris nazionale” attraverso mezzi a distanza (internet, televisione digitale, terrestre e satellitare, telefonia fissa e mobile).
Proventi derivanti all’erario dal settore dei giuochi
(Valori espressi in euro)
|
2001 |
2002 |
2003 |
2004 |
2005 |
|
|
|
|
|
|
Lotto |
1.763.111.804 |
2.451.507.194 |
1.564.531.274 |
4.919.073.548 |
2.424.731.096 |
SuperEnalotto |
1.320.224.234 |
1.181.992.546 |
1.099.539.416 |
976.217.531 |
1.054.089.925 |
Tris |
50.184.053 |
44.253.513 |
60.223.099 |
53.605.063 |
50.324.987 |
Bingo (1) |
0 |
156.822.706 |
251.485.831 |
308.341.087 |
310.521.000 |
Formula 101 (2) |
3.709.911 |
1.432.795 |
1.104.627 |
0 |
0 |
|
|
|
|
|
|
Scommesse ippiche |
129.892.469 |
133.290.898 |
135.657.206 |
103.030.323 |
99.150.360 |
Scommesse sportive |
60.603.202 |
67.279.491 |
69.482.976 |
63.064.147 |
151.578.636 |
Altre scommesse |
1.360.380 |
1.352.672 |
1.237.427 |
986.328 |
1.809.547 |
Scommesse a totalizzatore |
0 |
0 |
0 |
0 |
11.707.524 |
|
|
|
|
|
|
Lotterie tradizionali |
15.576.512 |
20.342.517 |
15.781.300 |
23.656.276 |
16.938.876 |
Lotterie istantanee |
74.990.926 |
104.264.031 |
98.154.676 |
176.249.899 |
408.931.352 |
|
|
|
|
|
|
Totale concorsi pronostici |
242.783.329 |
173.295.303 |
151.221.259 |
134.822.128 |
106.376.466 |
Totip |
16.521.058 |
12.276.699 |
8.804.038 |
6.890.486 |
6.335.987 |
|
|
|
|
|
|
Apparecchi da divertimento ed intrattenimento |
0 |
0 |
139.852.443 |
512.955.319 |
1.514.046.325 |
|
|
|
|
|
|
TOTALE |
3.678.957.878 |
4.348.110.365 |
3.597.075.572 |
7.278.892.135 |
6.156.542.081 |
Fonte: Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato
NOTE:
(1) Il Bingo è stato avviato nel dicembre 2001 e l'utile erariale per tale mese è incluso nel valore riportato per l'anno 2002.
(2) La Formula 101 è stata soppressa nel 2004.
(3) Nel corso del 2003 sono stati soppressi Totobingol (febbraio) e Totosei (luglio) ed è stato avviato (agosto) il concorso pronostico denominato "Il 9".
La più rilevante attività amministrativa di carattere straordinario svolta nel corso della legislatura in materia di gestione dei beni dello Stato ha riguardato la ricognizione e la stima del patrimonio immobiliare dello Stato e degli enti pubblici, in vista delle operazioni di valorizzazione e dismissione previste dal decreto-legge 25 settembre 2001, n. 351, e dalle misure successivamente intervenute al medesimo riguardo (per le quali v. capitolo L’alienazione di immobili pubblici).
Per quanto attiene più propriamente ai beni demaniali, deve richiamarsi il disposto dell’articolo 32 del decreto-legge D.L. 30 settembre 2003, n. 269, articolo 32, il quale, al comma 21, ha disposto l’incremento dei canoni di concessione di aree del demanio marittimo per finalità turistico-ricreative, per cooperative di pescatori, per cantieri e altre attività di costruzione, manutenzione e demolizione di mezzi navali e aerei, rimettendone l’esecuzione a decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze.
Il successivo comma 22 (così come sostituito dall'art. 2, co. 53, della L. 24 dicembre 2003, n. 350) ha richiesto il conseguimento di maggiori entrate non inferiori a 140 milioni di euro, a decorrere dal 1° gennaio 2004, stabilendo il termine per l’emanazione dell’apposito decreto interministeriale nel 30 giugno 2004. Ha disposto altresì che, in caso di mancata adozione del decreto, i canoni per la concessione d'uso fossero rideterminati, con effetto dal 1° gennaio 2004, nella misura prevista dalle tabelle allegate al decreto del Ministro dei trasporti e della navigazione 5 agosto 1998, n. 342, con rivalutazione nella misura del 300 per cento.
Il termine è stato più volte differito, per lo svolgimento di accertamenti tecnici – con la partecipazione delle regioni e delle rappresentanze degli operatori – anche in relazione al numero, all'estensione e alle tipologie delle concessioni esistenti nonché ai fenomeni di abusivismo[78]. Da ultimo, esso è stato stabilito nel 15 dicembre 2005 dall'articolo 3-ter del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248. Per altro, trascorso tale termine, la prevista rideterminazione non risulta essere operante.
I canoni sono stati comunque rideterminati annualmente secondo le modalità ordinarie, da ultimo con il decreto del direttore generale per le infrastrutture della navigazione marittima e interna 28 novembre 2005 (pubblicato nella Gazzetta ufficiale 27 febbraio 2006, n. 48), che – sulla base degli indici ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati e degli indici dei prezzi dei prodotti industriali – ha disposto l’incremento del 2,85 per cento per l’anno 2006.
Nel corso della XIV legislatura è proseguito, con maggiore impulso, il processo di valorizzazione e dismissione degli immobili dello Stato e degli enti pubblici avviato durante la XIII legislatura.
Il primo provvedimento in materia è stato il D.L. 23 settembre 2001, n. 351, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 novembre 2001, n. 410, il quale, al capo I (articoli 1-4), contiene una serie di disposizioni in materia di privatizzazione e valorizzazione del patrimonio immobiliare pubblico.
I primi tre articoli del citato decreto-legge introducono una nuova procedura di dismissione, la cartolarizzazione (v. scheda Cartolarizzazioni di immobili pubblici), mediante la quale attività non agevolmente negoziabili, quali gli immobili di proprietà pubblica, sono convertite in strumenti finanziari più facilmente collocabili sui mercati.
In particolare, gli immobili sono trasferiti ad una o più società (c.d. società veicolo), appositamente costituite, che ne finanziano l'acquisto attraverso l’emissione di titoli o mediante finanziamenti acquisiti da terzi. La società veicolo versa agli enti che hanno ceduto gli immobili, a titolo di prezzo iniziale, l’importo raccolto attraverso tali operazioni. Essa gestisce gli immobili e li rivende sul mercato. I flussi derivanti dalla gestione e dalla vendita degli immobili sono utilizzati per il rimborso del debito e dei relativi oneri accessori. L'eventuale residuo è retrocesso come prezzo differito all'originario titolare del diritto di proprietà. Per la rivendita degli immobili oggetto di cartolarizzazione, il legislatore ha privilegiato l’acquisto da parte dei conduttori, ai quali sono state riconosciute apposite agevolazioni.
Sono state sinora realizzate due operazioni di cartolarizzazione denominate SCIP 1 e SCIP 2.
Un altro strumento utilizzato nella XIV legislatura è la costituzione di fondi comuni d’investimento immobiliare. L’articolo 4 dello stesso D.L. n. 351 del 2001[79] ha autorizzato la costituzione di questo tipo di fondi, ai quali vengono trasferiti o conferiti, dietro pagamento di un corrispettivo ai precedenti proprietari, beni immobili, ad uso diverso da quello residenziale, appartenenti allo Stato, all'Amministrazione autonoma dei Monopoli di Stato e agli enti pubblici non territoriali. Tali immobili sono concessi in locazione all’Agenzia del demanio, la quale li assegna ai soggetti che li avevano precedentemente in uso; gli utilizzatori pagano un canone all’Agenzia medesima, la quale, a sua volta, lo riversa al fondo. Le quote del fondo sono collocate sul mercato.
In attuazione di queste norme sono stati costituiti due fondi immobiliari: Fondo immobili pubblici (FIP) e Patrimonio Uno.
Al Fondo immobili pubblici (FIP), costituito nel corso dell’anno 2004 e gestito dalla società Investire Immobiliare Sgr, è stata trasferita la proprietà di alcuni immobili appositamente individuati, di proprietà, tra gli altri di INPS, INPDAP e INAIL, per un valore complessivo di 2.987 milioni di euro. Successivamente gli stessi immobili sono stati concessi in locazione all’Agenzia del demanio per l’assegnazione ai precedenti utilizzatori. Le quote del fondo sono state infine collocate presso investitori qualificati nel luglio del 2005[80].
Il fondo Patrimonio Uno, la cui costituzione (2004) è stata promossa dalla società Patrimonio dello Stato Spa, è stato reso operativo alla fine dell’anno 2005 ed è gestito da BNL Fondi Immobiliari Sgr Spa. A differenza del FIP, nel fondo Patrimonio Uno sono presenti anche immobili non utilizzati direttamente dai precedenti proprietari, ma locati a terzi. Il collocamento delle quote delle fondo è stato completato nel mese di aprile 2006.
Successivamente, l’articolo 7 del D.L. 15 aprile 2002, n. 63, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 giugno 2002, n. 112, ha disposto l’istituzione della società Patrimonio dello Stato Spa, avente lo scopo di valorizzare, gestire e alienare, anche mediante operazioni di cartolarizzazione, il patrimonio dello Stato nonché, secondo quanto stabilito dallo statuto della società, i beni di altri soggetti pubblici. Alla società possono essere trasferiti diritti su beni immobili facenti parte del patrimonio disponibile e indisponibile e del demanio dello Stato o su altri beni compresi nel conto generale del patrimonio dello Stato, e ogni altro diritto costituito a favore dello Stato. Il capitale di tale società è detenuto dal Ministero dell’economia e delle finanze.
Nel corso dell’anno 2004[81] alla società sono stati trasferiti 11 immobili (strutture carcerarie e istituti di pena) per un valore complessivo di circa 21 milioni di euro.
Diversi interventi in materia sono stati poi effettuati mediante il D.L. 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326. In particolare, gli articoli 26 e 28 di tale decreto-legge hanno apportato alcune modificazioni alla disciplina relativa alla dismissione di immobili effettuata mediante cartolarizzazione, a norma degli articoli da 1 a 3 del sopra citato D.L. n. 351 del 2001 (v. scheda Cartolarizzazioni di immobili pubblici). Lo stesso articolo 26 prevede inoltre l’alienazione del patrimonio immobiliare di Rete ferroviaria italiana (RFI) e la dismissione di immobili dell’amministrazione della Difesa (v. scheda Le dismissioni della Difesa, nel dossier relativo alla Commissione Difesa).
L’articolo 27 dello stesso decreto-legge ha introdotto una disciplina per la verifica della sussistenza dell’interesse culturale dei beni appartenenti al patrimonio mobiliare e immobiliare pubblico. Tale verifica è volta ad escludere dall’àmbito delle misure di tutela i beni che le soprintendenze abbiano giudicato privi di interesse culturale. Questi beni, qualora non vi ostino altre ragioni di pubblico interesse, possono essere sdemanializzati e sottoposti a procedure di valorizzazione e dismissione.
L’articolo 29 disciplina la cessione di immobili adibiti o destinati ad uffici pubblici e la loro successiva locazione da parte dell’Agenzia del demanio, la quale li assegna ai soggetti che li avevano precedentemente in uso. La vendita degli immobili in questione viene effettuata dall’Agenzia del demanio a trattativa privata, anche in blocco, previa autorizzazione del Ministero dell’economia e delle finanze. Per l’anno 2004, parte delle entrate rivenienti dalla vendita dev’essere destinata ad un apposito fondo per provvedere alle spese necessarie per la locazione dei suddetti immobili. A decorrere dall’anno 2005, l’importo del fondo è determinato con la legge di bilancio.
L’articolo 30 prevede la costituzione di società di trasformazione urbana che includano, nel proprio ambito di intervento, immobili di proprietà dello Stato e abbiano finalità di valorizzazione, trasformazione, commercializzazione e gestione di tali beni. Alle società di trasformazione urbana potranno partecipare il Ministero dell’economia e delle finanze, attraverso l’Agenzia del demanio, le regioni, le province e le società interamente controllate dallo stesso Ministero.
Infine, l’articolo 11-quinquies del D.L. 30 settembre 2005, n. 203, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248, ha autorizzato l’Agenzia del demanio a vendere a trattativa privata, anche in blocco, gli immobili ad uso non abitativo appartenenti al patrimonio pubblico, compresi, oltre agli immobili della Difesa, anche gli immobili per i quali non sia stato riscontrato l’interesse culturale, a seguito della verifica prescritta dal sopra ricordato articolo 27 del D.L. n. 269 del 2003.
Gli interventi sopra illustrati si riferiscono a procedure di valorizzazione e dismissione applicabili ad ampie categorie di beni pubblici. Nel corso della XIV legislatura sono state inoltre emanate disposizioni relative a più ristrette categorie di beni pubblici. Per completezza di esposizione se ne fornisce l’elenco:
§ articolo 7 del D.L. 24 dicembre 2002, n. 282, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 2003, n. 27, il quale autorizza l’Agenzia del demanio a vendere a trattativa privata, anche in blocco, i beni immobili appartenenti al patrimonio dello Stato espressamente indicati negli allegati A e B al decreto stesso[82];
§ articolo 5-bis del D.L. 24 giugno 2003, n. 143, convertito, con modificazioni, dalla legge 1° agosto 2003, n. 212, relativo all’alienazione delle porzioni di aree appartenenti al patrimonio e al demanio dello Stato che risultino interessate dallo sconfinamento di opere eseguite su fondi attigui di proprietà altrui, in forza di licenze o concessioni edilizie o altri titoli legittimanti tali opere;
§ articolo 26, comma 9-bis, del già citato D.L. n. 269 del 2003, secondo cui l’Agenzia del demanio può essere autorizzata a vendere a trattativa privata, anche in blocco, a Sviluppo Italia Spa beni immobili dello Stato suscettibili di uso turistico[83];
§ articolo 41-bis, comma 6, del già citato D.L. n. 269 del 2003, il quale stabilisce che i beni immobili non strumentali di proprietà dell'Amministrazione autonoma dei Monopoli di Stato sono riconosciuti appartenenti al patrimonio dello Stato e alienati, eventualmente anche a trattativa privata e in blocco[84];
§ articolo 1, comma 433, della legge 30 dicembre 2004, n. 311 (legge finanziaria per il 2005), il quale consente che l’Agenzia del demanio possa essere autorizzata a vendere a trattativa privata, anche in blocco, le quote indivise di beni immobili, i fondi interclusi e i diritti reali su immobili dei quali lo Stato è proprietario o titolare;
§ articolo 1, commi 434-435, della stessa legge n. 311 del 2004, il quale prevede il trasferimento ai comuni, a titolo oneroso, delle aree, appartenenti al demanio e al patrimonio dello Stato, sulle quali i comuni stessi hanno realizzato opere di urbanizzazione. Il trasferimento è subordinato alla presentazione di apposita richiesta da parte del comune;
§ articolo 1, comma 436, della medesima legge n. 311 del 2004, che consente all’Agenzia del demanio di vendere immobili di valore non superiore a 100.000 euro mediante una procedura di invito pubblico ad offrire e, in caso di mancata aggiudicazione, a trattativa privata.
La legge 3 ottobre 2001, n. 366, ha conferito al Governo delega legislativa per la riforma organica della disciplina delle società di capitali e cooperative, la disciplina degli illeciti penali e amministrativi riguardanti le società commerciali, nonché per l’adozione di nuove norme sulla procedura per la definizione dei procedimenti in materia societaria, bancaria e dell’intermediazione finanziaria.
La delega relativa alla riforma della disciplina degli illeciti penali e amministrativi riguardanti le società commerciali è stata separatamente esercitata con il decreto legislativo 11 aprile 2002, n. 61, entrato in vigore il 16 aprile 2002.
Il provvedimento ha sostituito interamente il titolo XI del libro V del codice civile (articoli da 2621 a 2642), contenente le disposizioni penali in materia di società e di consorzi, intervenendo a modificare fattispecie di reato in esso comprese, introducendone di nuove e prevedendo espressamente cause di non punibilità, di estinzione del reato e circostanze attenuanti in casi particolari. Sono state per conseguenza abrogate talune disposizioni contenute nel testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, emanato con decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, e nel testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, emanato con decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, poiché le fattispecie in esse contemplate sono state ricondotte nel codice civile.
La riforma del diritto penale societario appare riconducibile ad alcuni princìpi ispiratori:
§ una forte esigenza deflativa, diretta ad evitare l’intervento penale ogniqualvolta sia ritenuto sufficiente il ricorso ad altre tecniche di tutela (quale l’applicazione di sanzioni amministrative o civili);
§ l’abbandono del modello del “pericolo presunto”: le nuove fattispecie penali, infatti, sono state distinte in reati di condotta, reati di danno e reati di condotta aggravati dalla circostanza che il danno si sia verificato;
§ l’introduzione della responsabilità amministrativa delle società nell’ipotesi in cui il reato sia commesso, nell’interesse della società, da amministratori, direttori generali o liquidatori o da persone sottoposte alla vigilanza di questi ultimi, qualora il fatto sia stato reso possibile dalla loro mancata vigilanza in conformità degli obblighi inerenti alla carica; questa responsabilità si sostanzia nell’’obbligo della società di pagare una sanzione pecuniaria di valore variabile;
§ l’estensione delle qualifiche soggettive attraverso la legalizzazione della figura – di creazione giurisprudenziale – dell’amministratore di fatto;
§ l’introduzione, per molti reati, della procedibilità a querela della persona offesa dal reato;
§ la previsione, in alcune ipotesi, della possibilità di estinguere il reato mediante il risarcimento del danno prima del giudizio o mediante il ripristino dello status quo ante, nonché di una speciale circostanza attenuante qualora i fatti previsti come reato abbiano cagionato un’offesa di particolare tenuità.
Con particolare riferimento al reato di false comunicazioni sociali, le novità più significative introdotte attengono:
§ alla previsione di due distinte fattispecie di reato a seconda che la condotta illecita abbia o meno cagionato un danno patrimoniale ai soci o ai creditori: la prima (articolo 2622) è configurata come delitto e punita con la reclusione da sei mesi a tre anni, la seconda (articolo 2621) come contravvenzione e punita con l’arresto fino ad un anno e sei mesi;
§ alla qualificazione dell’elemento psicologico del reato come dolo specifico: la condotta, infatti, dev’essere stata realizzata con l’intenzione di ingannare i soci e il pubblico e al fine di conseguire per sé o per altri un ingiusto profitto;
§ alla previsione di particolari requisiti di idoneità della condotta;
§ all’accoglimento della cosiddetta clausola di minima rilevanza, anche attraverso la previsione di soglie quantitative.
Gli articoli 2621 e 2622 del codice civile, relativi alle false comunicazioni sociali, hanno subìto modifiche ad opera dell’articolo 30 della legge 28 dicembre 2005, n. 262 (Disposizioni per la tutela del risparmio e la disciplina dei mercati finanziari).
Per quanto attiene alla fattispecie di false comunicazioni sociali, oltre ad un lieve innalzamento dell’ammontare massimo della pena detentiva irrogabile (arresto fino a due anni), vengono stabilite sanzioni amministrative pecuniarie e interdittive applicabili nei casi in cui la punibilità sia esclusa in forza della minima rilevanza e delle soglie quantitative.
Per quanto attiene alla fattispecie di false comunicazioni sociali in danno della società, dei soci o dei creditori, viene invece disposto un consistente aumento di pena (reclusione da due a sei anni) nell’ipotesi in cui il fatto, posto in essere da una società quotata in borsa, abbia cagionato un grave nocumento ai risparmiatori, sulla base di parametri appositamente definiti. Anche per tale ipotesi vengono stabilite sanzioni amministrative pecuniarie e interdittive applicabili nei casi in cui la punibilità sia esclusa in forza della minima rilevanza e delle soglie quantitative.
La stessa legge ha altresì introdotto il delitto di omessa comunicazione del conflitto d’interessi (articolo 31) e raddoppiato le pene applicabili ad altre fattispecie delittuose qualora il fatto riguardi società quotate in borsa (articolo 39, comma 2). È stata inoltre elevata la misura delle sanzioni previste dalla legislazione speciale in materia di vigilanza bancaria, assicurativa e finanziaria e sono state introdotte alcune nuove fattispecie sanzionate penalmente o in via amministrativa.
Per approfondimenti su questo argomento si veda anche la scheda Disciplina degli illeciti societari, nel dossier relativo alla Commissione Giustizia.
Per la parte relativa alla riforma della disciplina delle società, la delega è stata attuata con il decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 6, recante la riforma organica della disciplina delle società di capitali e delle società cooperative, entrato in vigore il 1° gennaio 2004[85].
Per quanto attiene alle società di capitali, la legge di delega richiedeva la semplificazione della disciplina, l’ampliamento degli ambiti dell'autonomia statutaria, la previsione di modelli societari adeguati alle esigenze delle imprese – distintamente per la società a responsabilità limitata e la società per azioni o in accomandita per azioni – e la disciplina dei gruppi di società.
In particolare, per le società a responsabilità limitata si richiedeva un'ampia autonomia statutaria con libertà di forme organizzative, nel rispetto del principio di certezza nei rapporti con i terzi, l’individuazione dei limiti oltre i quali è obbligatorio un controllo legale dei conti, la determinazione di condizioni e limiti per l'emissione e il collocamento di titoli di debito presso operatori qualificati, con divieto di appello diretto al pubblico risparmio e di sollecitazione all'investimento in quote di capitale.
In base a ciò, le nuove norme hanno inteso accentuare l’elemento personale nella disciplina di questa forma di società. Sono state estese le tipologie di conferimenti ammesse, è stato consentito che l’atto costitutivo assegni particolari diritti a singoli soci, e – anche in connessione con la disciplina dei limiti al trasferimento delle quote e al diritto di opzione – è stato esteso il novero delle ipotesi di recesso. Si è correlativamente previsto che i crediti dei soci, quando per la sostanza economica siano assimilabili a conferimenti, siano postergati rispetto alla soddisfazione degli altri creditori.
Più estesi spazi sono stati attribuiti all’autonomia contrattuale circa la scelta degli amministratori, il metodo di amministrazione, le competenze rispettive di questi e dei soci, a questi ultimi essendo riconosciuti più penetranti poteri relativamente al controllo della gestione e all’azione di responsabilità. Sono state semplificate le modalità di convocazione e funzionamento dell’assemblea.
Infine, è stata introdotta la possibilità di emettere titoli di debito, che possono essere tuttavia sottoscritti soltanto da investitori professionali, con garanzia di solvenza a carico dell’intermediario nel caso di trasferimento a investitori non professionali.
Per le società per azioni, si prevedevano un modello di base unitario e regole caratterizzate da un maggiore grado di imperatività nei casi di ricorso al mercato del capitale di rischio. In quest’ipotesi il controllo sull'amministrazione andava distinto dal controllo contabile, affidato a un revisore esterno. Era contemplata la possibilità di costituzione della società da parte di un unico socio, con adeguate garanzie per i creditori. Si prescriveva l’aumento della misura minima del capitale, consentendo la costituzione di patrimoni dedicati ad uno specifico affare; accanto alle azioni, era prevista la possibilità di emettere strumenti finanziari non partecipativi e partecipativi dotati di diversi diritti patrimoniali e amministrativi; si stabiliva l’attenuazione o la rimozione dei limiti quantitativi all’emissione di obbligazioni. In materia di amministrazione e controllo, oltre all’estensione del controllo contabile, si prevedevano, accanto al modello tradizionale, i nuovi modelli dualistico (consiglio di gestione e consiglio di sorveglianza eletto dall'assemblea) e monistico (consiglio di amministrazione avente al proprio interno un comitato per il controllo sulla gestione, composto in maggioranza da amministratori indipendenti non esecutivi).
Le norme di attuazione hanno previsto una semplificazione della fase costitutiva, consentendo la costituzione anche per atto unilaterale (con specifiche regole a tutela dei creditori), intervenendo sulla disciplina delle operazioni compiute nel periodo intercorrente fra la stipulazione dell’atto costitutivo e l’iscrizione nel registro delle imprese e riducendo il termine per tale iscrizione, e consentendo altresì, in pendenza di esso, il trasferimento della posizione di socio mediante cessione del contratto (salvo comunque il divieto di emettere le azioni, a tutela del pubblico dei risparmiatori). La responsabilità per le operazioni compiute prima dell’iscrizione è stata estesa anche ai soci che vi abbiano concorso. Sono state invece ridotte le ipotesi di nullità dell’atto costitutivo. Per quanto riguarda i conferimenti, si è consentito allo statuto di derogare alla proporzionalità fra valore dei conferimenti e numero delle azioni assegnate al socio, confermando tuttavia che il valore dei primi non può essere comunque inferiore all’ammontare complessivo del capitale sociale. Per consentire l’acquisizione di elementi utili all’attività sociale, ma non imputabili a capitale, si è prevista la possibilità di emettere strumenti finanziari (che possono essere destinati anche ai dipendenti) forniti di diritti patrimoniali ovvero anche amministrativi, escluso il voto nell’assemblea generale, ma eventualmente con la possibilità di nominare, in assemblea separata, rappresentanti negli organi sociali. È stata inoltre estesa l’autonomia statutaria nel configurare i differenti diritti conferiti alle categorie di azioni (fra cui sono espressamente contemplate azioni con diversa incidenza nei confronti delle perdite o con diritti correlati ai risultati in un determinato settore dell’attività sociale nonché azioni riscattabili). In generale, si è prevista la possibilità di emettere azioni senza valore nominale, ma di valore ragguagliato al totale delle azioni emesse. È stato consentito di prevedere in via statutaria limiti al trasferimento delle azioni, garantendo tuttavia la libertà di disinvestimento da parte dei soci. Sono state ampliate le cause e ridisciplinate le modalità di recesso, specialmente in quanto alla determinazione del valore della quota. È stata poi introdotta una disciplina per i patti parasociali aventi ad oggetto l’esercizio del diritto di voto o di un’influenza dominante ovvero la limitazione del trasferimento delle azioni. Sono stati quindi disciplinati la durata di tali patti (ovvero il recesso in caso di patto a tempo indeterminato) e gli obblighi di pubblicità nel caso di società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, ferma restando, per le società quotate, la disciplina speciale del testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria.
Per quanto riguarda l’assemblea, si è conferito allo statuto il potere di prevedere forme semplificate di convocazione (quando la società non faccia ricorso al mercato del capitale di rischio) e di attribuire all’organo amministrativo alcune competenze altrimenti spettanti all’assemblea straordinaria. Sono state ridotte alcune maggioranze deliberative ed è stata riorganizzata la disciplina relativa all’invalidità delle deliberazioni, con precisazione dei casi di nullità.
Circa la struttura delle società, la riforma ha introdotto, accanto al modello tradizionale, caratterizzato da un consiglio di amministrazione e un collegio sindacale), due nuovi modelli: 1) dualistico, con un consiglio di gestione, nominato dal consiglio di sorveglianza, a sua volta eletto dall'assemblea; 2) monistico, con un consiglio di amministrazione avente al proprio interno un comitato per il controllo sulla gestione, composto in maggioranza da amministratori indipendenti non esecutivi. In questi modelli è preclusa la possibilità di affidare la gestione a un amministratore unico; il controllo contabile è svolto senza eccezione da un revisore ovvero (obbligatoriamente in caso di ricorso al mercato del capitale di rischio) da una società di revisione. Tale funzione è stata sottratta anche al collegio sindacale del modello tradizionale, che può tuttavia esercitarla, a determinate condizioni, nelle società che non fanno ricorso al mercato del capitale di rischio. Il revisore deve verificare anche la corretta rilevazione delle scritture contabili. Per quanto riguarda la gestione, è stato accresciuto l’elenco delle attribuzioni non delegabili dal consiglio di amministrazione, previsto un periodico obbligo informativo degli amministratori delegati al collegio, anche sulla gestione delle società controllate, e disciplinata – con norme più restrittive soprattutto nei riguardi degli amministratori con deleghe – l’ipotesi di conflitto d’interessi con la conseguente responsabilità. Sono state previste regole volte a garantire la correttezza delle operazioni con parti correlate. La responsabilità degli amministratori è stata estesa anche alla cura dell’adeguato assetto organizzativo, amministrativo e contabile, ed è stata conferita anche a una minoranza qualificata di soci la legittimazione all’esercizio dell’azione sociale di responsabilità. La legittimazione alla denunzia al tribunale in caso di irregolarità è stata altresì estesa all’organo di controllo, mentre per il pubblico ministero essa è stata ristretta alle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, nelle quali sussiste un interesse rilevante alla tutela del pubblico dei risparmiatori. La responsabilità del revisore contabile è stata equiparata a quella dei sindaci, senza limitazioni di natura quantitativa.
Infine, in materia di emissione di obbligazioni, è stato aumentato il limite (fissato nel doppio del capitale sociale, della riserva legale e delle altre riserve disponibili); le obbligazioni emesse oltre tale limite possono essere destinate soltanto a investitori professionali e, qualora siano cedute a soggetti diversi, l’intermediario risponde della solvenza dell’emittente. Sono escluse le obbligazioni garantite da ipoteca; il limite non si applica altresì alle obbligazioni destinate alla quotazione ed emesse da società quotate in mercati regolamentati.
Per le società cooperative (esclusi i consorzi agrari, le banche popolari, le banche di credito cooperativo e gli istituti della cooperazione bancaria in genere), in relazione alla funzione sociale e allo scopo mutualistico di esse, si richiedeva la definizione della cooperazione costituzionalmente riconosciuta in rapporto alle caratteristiche di mutualità prevalente, riservando a questa l'applicazione delle disposizioni fiscali di carattere agevolativo. Nel caso di cooperative diverse da quelle a mutualità prevalente, era prevista una disciplina speciale riferita alla diversa qualità dei soci e degli strumenti emessi; la semplificazione dei procedimenti di trasformazione in società lucrativa, fermo l'obbligo di devolvere il patrimonio ai fondi mutualistici; l’estensione del controllo giudiziario. Era contemplata l’introduzione del gruppo cooperativo.
La riforma – pur conservando un inquadramento normativo unitario per tutte le cooperative – ha quindi individuato il carattere della cooperazione costituzionalmente riconosciuta nella prevalenza quantitativa dell’attività mutualistica con i soci, fermo restando il requisito della non lucratività, riservando a quest’ipotesi le agevolazioni tributarie (mentre gli altri benefìci spettano indistintamente a tutte le cooperative). È stato previsto apposito albo nel quale devono essere iscritte le cooperative a mutualità prevalente; si è enucleata la clausola generale della parità di trattamento nello svolgimento dell’attività mutualistica e si è stabilito che l’atto costitutivo determini se la cooperativa intende agire con terzi. L’emissione di strumenti finanziari è stata consentita a tutte le cooperative (ma quando abbiano la forma di società a responsabilità limitata, il collocamento può avvenire solo presso investitori qualificati), con la previsione di un limite al totale dei voti attribuibili ai soci finanziatori; per le cooperative a mutualità prevalente è stato altresì fissato un limite alla remunerazione degli strumenti finanziari offerti ai soci cooperatori. Ne consegue l’organizzazione delle assemblee speciali dei possessori di tali strumenti.
Eliminata la responsabilità sussidiaria multipla dei soci per le obbligazioni sociali, è stato stabilito il numero minimo di nove soci per la costituzione di una cooperativa, è stata rimessa all’atto costitutivo la disciplina dei requisiti personali, salvo il divieto di partecipazione per chi eserciti imprese concorrenti. È stato previsto l’obbligo di motivare il rigetto di domande di ammissione a socio o di trasferimento della partecipazione. Per favorire le esigenze finanziarie della società, la regola tradizionale della variabilità del capitale è stata integrata con la possibilità di aumenti di capitale a pagamento. Sono state introdotte limitate eccezioni al voto capitario (riferite ai titolari di strumenti finanziari e ai soci imprenditori, oltre a quella già esistente in favore dei soci persone giuridiche), mentre per l’elezione dell’organo di controllo si è conferita all’atto costitutivo la facoltà di attribuire il diritto di voto in relazione al capitale o agli scambi mutualistici. Circa l’amministrazione, sono state regolate le ipotesi di adozione dei modelli dualistico e monistico, previsti limiti alle deleghe che possono essere conferite agli amministratori ed esplicitati i diritti di controllo dei soci sulla gestione. È stato introdotto un meccanismo di garanzia circa l’utilizzazione delle riserve indivisibili per il ripiano di perdite, ed è stata aumentata al 30 per cento la quota annua degli utili da accantonare a riserva legale; si è introdotto un limite alla distribuzioni degli utili e alla divisione delle riserve in relazione a particolari condizioni di indebitamento della società. È stata disciplinata la nozione di gruppo cooperativo paritetico, si sono regolate le ipotesi di perdita della qualifica di cooperativa a mutualità prevalente e di volontaria trasformazione in società lucrativa o consorzio (con previsione di adeguate maggioranze deliberative e disciplina della devoluzione del patrimonio ai fondi mutualistici), nonché di insolvenza, con possibilità di fallimento o di liquidazione coatta amministrativa. Infine, è stata regolata la vigilanza sulle cooperative, introducendosi, accanto alla vigilanza amministrativa che rimane preminente, la possibilità di controllo giudiziario mediante denunzia dei soci al tribunale[86].
La riforma della disciplina del bilancio – oltre al chiarimento delle regole sulla formazione e utilizzazione delle poste del patrimonio netto e alla regolazione del trattamento di varie operazioni finanziarie (fra cui strumenti derivati, pronti contro termine, locazione finanziaria) – prevedeva l’eliminazione delle interferenze prodotte dalla normativa fiscale sul reddito d’impresa; l’impiego dei princìpi contabili internazionali per il bilancio consolidato; la determinazione dei casi in cui fossero ammessi uno schema abbreviato di bilancio e un conto economico semplificato.
È stato quindi introdotto fra i princìpi di redazione del bilancio il riferimento alla funzione economica dell’elemento considerato; si è provveduto a dettare una disciplina specifica per l’iscrizione delle operazioni in valuta e di fattispecie contrattuali innovative di carattere finanziario (strumenti derivati, locazione finanziaria, pronti contro termine). Accanto all’abrogazione della norma che consentiva di effettuare rettifiche di valore esclusivamente in applicazione di norme tributarie, allo scopo di eliminare le interferenze fiscali sul conto economico, è stata disciplinata la rappresentazione delle imposte differite negli schemi di stato patrimoniale e di conto economico. Sono state altresì adottate alcune semplificazioni ulteriori consentite dalla normativa comunitaria per la redazione del bilancio in forma abbreviata da parte delle piccole imprese (purché non emittenti di titoli negoziati in mercati regolamentati). Infine, in attesa dell’adozione dei princìpi contabili internazionali, si è affrontato il problema dell’ammortamento delle immobilizzazioni immateriali, prevedendo che della verifica annuale dei valori sia dato conto nella nota integrativa. È stato infine disciplinato il nuovo istituto del patrimonio destinato ad uno specifico affare, separato giuridicamente e contabilmente dal patrimonio della società.
In materia di trasformazioni, fusioni e scissioni si richiedevano la semplificazione dei procedimenti e il favore per la trasformazione delle società di persone in società di capitali; regole specifiche erano richieste per le fusioni eterogenee e quelle tra società, una delle quali abbia contratto debiti per acquisire il controllo dell'altra. È stata quindi precisata la disciplina delle trasformazioni, stabilendo fra l’altro che l’invalidità non possa essere pronunziata dopo che siano stati adempiuti gli obblighi di pubblicità e prevedendo la trasformazione eterogenea (da consorzio, associazione o fondazione a società di capitali o viceversa) con limiti a tutela della pubblica fede e dell’interesse erariale. Relativamente alle fusioni, la possibilità di partecipare alla fusione è stata estesa anche alle società sottoposte a procedure concorsuali, è stato semplificato il procedimento ed è stata consentita l’approvazione da parte dell’organo amministrativo nel caso di incorporazione di società possedute per almeno il 90 per cento dall’incorporante; più estese misure di semplificazione sono state previste per le società il cui capitale non è rappresentato da azioni, cui non si applicano i vincoli comunitari. Per le scissioni, sono state fra l’altro specificate le modalità di compenso degli azionisti della società scissa.
L’accelerazione e la semplificazione delle procedure di scioglimento e liquidazione si accompagnava – nella legge di delega – alla previsione di condizioni, limiti e modalità per la conservazione dell'eventuale valore dell'impresa. A quest’effetto, le norme delegate, oltre a precisare il momento in cui hanno effetto le cause di scioglimento, hanno previsto la possibilità di un limitato esercizio dell’impresa sociale durante la liquidazione e ammesso la revoca dello stato di liquidazione. Inoltre, è stata disciplinata la predisposizione del bilancio in tale fase.
La disciplina dei gruppi prevedeva princìpi di trasparenza per l’esercizio dell'attività di direzione e di coordinamento. Ciò ha condotto all’inserimento di nuove norme sulla responsabilità della società o ente che esercita la direzione o il coordinamento (anche in base a contratto o clausole statutarie), nei riguardi dei soci o dei creditori della società sottopostavi, per i danni derivanti dalla complessiva attività condotta in violazione dei princìpi di corretta gestione. Sono stati altresì introdotti obblighi di pubblicità e motivazione delle decisioni e cause specifiche di recesso.
Sono stati altresì conformati al nuovo contesto normativo i testi unici delle leggi in materia bancaria e creditizia e delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria: specifici adeguamenti hanno riguardato in particolare la disciplina delle banche cooperative (v. capitolo La disciplina degli intermediari creditizi).
La già citata legge 28 dicembre 2005, n. 262, ha apportato ulteriori modificazioni alla disciplina delle società. È stato esteso al collegio sindacale o corrispondente organo di controllo il potere di promuovere l’azione sociale di responsabilità ed è stato ridotto a un quarantesimo del capitale il quorum per l’esercizio di essa da parte dei soci. È stato precisato il computo del limite per le emissioni obbligazionarie (e si è estesa la garanzia di solvenza dell’intermediario anche a prodotti finanziari diversi, se destinati in origine ai soli investitori professionali).
Per quanto riguarda in particolare le società con azioni quotate in mercati regolamentati, la disciplina del TUF è stata modificata prescrivendo fra l’altro che nell’organo amministrativo siedano almeno un amministratore di minoranza e – nei collegi di maggiori dimensioni – almeno un membro indipendente, che l’organo di controllo sia presieduto dal membro eletto dalla minoranza, e che la CONSOB determini limiti al cumulo degli incarichi per i sindaci o i membri dei corrispondenti organi di controllo, i cui poteri, anche individuali, sono stati accresciuti. Con disposizione per altro criticata sia in sede politica, sia dagli operatori e dalla dottrina è stato imposto il voto segreto per le elezioni alle cariche sociali. È stata introdotta la facoltà di integrazione dell’ordine del giorno dell’assemblea su richiesta di una minoranza di soci, ed è stata prevista una nuova figura di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili societari. Una specifica disciplina regolerà poi l’informazione in materia di attribuzione di azioni a esponenti aziendali, dipendenti o collaboratori. Si è imposta altresì una serie di obblighi informativi a carico delle società nazionali in rapporto di controllo o di collegamento con società aventi sede in Stati esteri che non garantiscono la trasparenza societaria, estendendosi la responsabilità degli esponenti della società italiana controllante al contenuto dei bilanci della società estera controllata. Alla CONSOB sono stati conferiti poteri di vigilanza, nonché il compito di determinare i limiti alla facoltà di controllo di tali imprese estere da parte di società nazionali. Infine, in materia di revisione dei conti, la durata massima dell’incarico è stata stabilita in sei esercizi; esso è rinnovabile una sola volta, e non può essere rinnovato se non dopo almeno un triennio dal precedente, con sostituzione del responsabile della revisione, il quale non può comunque permanere nell’incarico per più di sei anni; sono state stabilite più rigide fattispecie d’incompatibilità sia rispetto alla prestazione di servizi diversi dalla revisione da parte della società o dei suoi esponenti, sia nelle relazioni fra revisori società sottoposte alla revisione (con la previsione di ipotesi di incompatibilità successiva). Sono state rafforzati le funzioni di vigilanza e i poteri sanzionatorî della CONSOB; nel caso della revisione sui bilanci consolidati, è esteso l’ambito di responsabilità del revisore principale; sono inoltre assoggettate agli obblighi di revisione anche le società non quotate che controllano società con azioni quotate e le società sottoposte con queste a comune controllo.
Nuove norme di procedura per le controversie in materia di diritto societario e di intermediazione finanziaria nonché in materia bancaria e creditizia sono state introdotte con il decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5, entrato in vigore il 1° gennaio 2004[87].
Le speciali forme procedurali introdotte hanno inteso caratterizzarsi per speditezza e semplicità di forme, con riduzione dei termini processuali, estensione dei poteri d’iniziativa delle parti e introduzione di procedimenti sommari e cautelari; ulteriori misure hanno inteso agevolare il ricorso all’arbitrato.
Si rinvia a questo proposito alla scheda Il nuovo processo societario, nel dossier relativo alla Commissione Giustizia.
Accanto alle innovazioni introdotte per iniziativa del legislatore nazionale, deve ricordarsi che l’8 ottobre 2004 è entrato in vigore, a tre anni dalla sua adozione, il regolamento (CE) n. 2157/2001, relativo alla società per azioni europea (designata con il nome latino di Societas Europaea o SE).
Alla nuova forma di società per azioni potranno far ricorso, a determinate condizioni, le imprese europee di medio-grandi dimensioni. Lo scopo perseguito con tale mezzo dal legislatore comunitario è quello di superare alcune delle difficoltà di natura giuridica nelle quali incorrevano le società con attività, stabilimenti o capitali multinazionali, soprattutto in conseguenza della necessità di scegliere una forma di società disciplinata da una determinata legislazione nazionale. La SE è stata ideata quindi al fine di consentire alle aziende di Stati membri differenti di fondersi, di formare una holding o una filiale comune senza dover sottostare ai vincoli giuridici derivanti dai diversi ordinamenti degli Stati che compongono l’Unione, e quindi permettendo la realizzazione di investimenti di capitali e ogni operazione commerciale in ambito europeo con uno strumento comunitario identico per tutti i Paesi membri.
Nel disegno del regolamento n. 2157/2001, la società europea attinge la sua disciplina oltre che dalla normativa di fonte comunitaria (costituita dallo stesso regolamento e dalla direttiva 2001/86/CE, che completa lo statuto della società europea per quanto riguarda il coinvolgimento dei lavoratori)[88], anche dalla normativa nazionale dello Stato in cui la società europea colloca la sua sede sociale unitamente all’amministrazione centrale. La disciplina interna richiamata dal regolamento è costituita in parte dalla normativa che regola la società per azioni di diritto nazionale e in parte da disposizioni dettate specificamente per la società europea per assicurare un’attuazione efficace del regolamento, alla cui adozione gli Stati sono obbligati in virtù dello stesso atto. Come specificato dal ventesimo “considerando”, in particolare, il regolamento non verte su settori quali il diritto tributario, il diritto della concorrenza, il diritto della proprietà intellettuale e il diritto fallimentare. Pertanto in tali settori e in altri non contemplati dal regolamento si applicano le disposizioni del diritto degli Stati membri e del diritto comunitario.
La SE è una società azionaria dotata di personalità giuridica caratterizzata dalla limitazione della responsabilità del socio al capitale sottoscritto. È altresì una società transnazionale in quanto prende origine dall’intento di raggruppare due o più imprese costituite secondo la legge di almeno due Stati membri differenti ovvero deriva dalla trasformazione di una preesistente società azionaria già dotata di una struttura transnazionale.
L’appartenenza comunitaria delle società che partecipano alla costituzione della SE è determinata, oltre che dalla costituzione secondo il diritto di uno Stato membro e dalla collocazione della sede sociale sul territorio dello stesso, anche dalla presenza dell’amministrazione centrale della società sul territorio comunitario. È tuttavia possibile derogare al predetto requisito qualora la società “presenti un legame effettivo e continuato con l’economia di uno Stato membro” (art. 5).
Il regolamento prevede quattro modalità di costituzione di una SE:
§ fusione di più società per azioni o società europee delle quali almeno due abbiano sede effettiva in Stati membri differenti (art. 2, par. 1, e art. 3, par. 1);
§ costituzione di una “SE holding” da parte di società per azioni, società europee e società a responsabilità limitata almeno due delle quali abbiano la sede effettiva in Stati membri differenti ovvero abbiano da almeno due anni un’affiliata in uno Stato membro diverso da quello della loro sede effettiva (art. 2, par. 2, e art. 3, par. 1);
§ costituzione di una “SE affiliata” da parte di società (ai sensi dell’art. 48, co. 2, del Trattato CE), società europee o altre entità giuridiche di diritto pubblico o privato, almeno due delle quali abbiano la sede effettiva in Stati membri differenti ovvero abbiano da almeno due anni un’affiliata in uno Stato membro diverso da quello della loro sede effettiva (art. 2, par. 3, e art. 3, par. 1);
§ trasformazione di una società per azioni avente da almeno due anni un’affiliata in uno Stato membro diverso da quello della sua sede effettiva (art. 2, par. 4).
La SE è dotata di un capitale minimo di 120.000 euro (art. 4). Se uno Stato membro prescrive per le società operanti in determinati settori un capitale minimo più elevato, tale norma si applica anche alle SE di tale Stato.
La sede della società europea deve essere situata all’interno della Comunità, nello stesso Stato membro dell’amministrazione centrale (art. 7). Il trasferimento di sede in un altro Stato membro non dà luogo a scioglimento né alla costituzione di una nuova persona giuridica, ma richiede il trasferimento anche della sede effettiva della società. La sede è, inoltre, prescelta quale criterio di collegamento rilevante per la determinazione della legge applicabile per le materie che non sono direttamente disciplinate dal regolamento.
La società europea deve iscriversi in un apposito registro nello Stato membro in cui ha la sede (art. 12) e l’iscrizione forma oggetto di pubblicità conformemente alla prima direttiva societaria. Affinché detta società possa iscriversi devono essere state osservate le disposizioni della direttiva 2001/86/CE in materia di coinvolgimento dei lavoratori.
Relativamente alla sua struttura, la società europea comprende, in ogni caso, un’assemblea generale degli azionisti.
Inoltre:
- se nello statuto si opta per il sistema dualistico, la struttura comprende anche un organo di direzione (nominato dall'organo di vigilanza, a meno che lo Stato membro non stabilisca o non consenta allo Statuto di stabilire che il potere di nomina spetti all’assemblea, in conformità al diritto delle società azionarie con sede nel suo territorio) affiancato ad un organo di vigilanza (nominato dall’assemblea);
- se si opta per il sistema monistico, la struttura comprende anche un organo di amministrazione (nominato dall’assemblea).
La responsabilità dei membri degli organi di direzione, vigilanza e amministrazione è regolata facendo rinvio al diritto dello Stato membro in cui la SE ha sede. Per alcune operazioni è espressamente richiesta l'autorizzazione dell'organo di vigilanza o una delibera dell'organo di amministrazione[89].
In materia di contabilità (articolo 61), e per quanto riguarda lo scioglimento, la liquidazione, l’insolvenza, la cessazione dei pagamenti e le procedure analoghe (articolo 63) il regolamento si limita in sostanza ad un rinvio alla legislazione nazionale.
Per quanto concerne il regime tributario, la SE è trattata come qualsiasi multinazionale, ossia è soggetta al regime fiscale previsto dalla legislazione nazionale applicabile alla società e alle succursali. Le SE sono soggette a imposte e tasse di tutti gli Stati membri in cui hanno sede stabile.
Disposizioni analoghe – conformate alla particolare qualità della forma societaria – sono previste per la società cooperativa europea (SCE) dal regolamento (CE) n. 1435/2003.
La SCE può essere costituita:
- da almeno cinque persone fisiche residenti in almeno due Stati membri;
- da almeno cinque persone fisiche e società, nonché da altre entità giuridiche di diritto pubblico o privato costituite conformemente alla legge di uno Stato membro e che abbiano la sede sociale in almeno due Stati membri diversi o siano soggette alla legge di almeno due Stati membri diversi;
- da società e altre entità giuridiche di diritto pubblico o privato costituite conformemente alla legge di uno Stato membro che siano soggette alla giurisdizione di almeno due Stati membri diversi;
- mediante fusione di cooperative costituite secondo la legge di uno Stato membro e aventi la sede sociale e l'amministrazione centrale nella Comunità, se almeno due di esse sono soggette alla legge di Stati membri diversi;
- mediante trasformazione di una cooperativa, costituita secondo la legge di uno Stato membro ed avente la sede sociale e l'amministrazione centrale nella Comunità, se ha da almeno due anni una filiazione o una succursale soggetti alla legge di un altro Stato membro.
Il capitale minimo è di euro 30.000, suscettibile di aumento mediante ulteriori conferimenti dei soci o ammissione di nuovi soci e di diminuzione – entro il limite minimo stabilito dallo statuto – mediante rimborso totale o parziale dei conferimenti effettuati. Esso è rappresentato da quote, anche fornite di differenti diritti (art. 4); lo statuto può inoltre prevedere l'emissione di titoli diversi dalle quote o di obbligazioni privi di diritto di voto, che possono essere sottoscritti anche da soggetti estranei (art. 64).
Fatte salve le disposizioni obbligatorie previste dalla legislazione nazionale, la disciplina per la destinazione dell’avanzo di esercizio è demandata allo statuto, che deve tuttavia prevedere prioritariamente la costituzione di una riserva legale vincolando la destinazione almeno del 15 per cento dell’avanzo finché non raggiunga la misura del suddetto capitale minimo (art. 65).
L'acquisto della qualità di socio è soggetto all'approvazione dell'organo di direzione o di amministrazione: le decisioni di rifiuto possono essere oggetto di impugnazione dinanzi all'assemblea generale successiva alla domanda di ammissione (art. 14).
Relativamente alle forme di amministrazione, anche la SCE può essere organizzata secondo il sistema dualistico o quello monistico. Le disposizioni sul coinvolgimento dei lavoratori sono contenute nella direttiva 2003/72/CE[90].
I princìpi contabili internazionali denominati “IAS/IFRS” sono princìpi contabili approvati dall’International Accounting Standards Board (IASB) e omologati dal regolamento della Commissione n. 1725/2003 del 29 settembre 2003, ai sensi del regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio n. 1606/2002 del 19 luglio 2002. Essi sono stati introdotti allo scopo di migliorare la confrontabilità dei bilanci societari per accrescere l'efficienza e l'integrazione dei mercati finanziari europei.
Per l’avvicinamento tra le normative nazionali era stata adottata dapprima la direttiva 2001/65/CE, che aveva introdotto nella disciplina dei bilanci societari la nozione di valore equo (“fair value”) per la valutazione degli strumenti finanziari, che comporta la loro iscrizione al "valore di mercato" invece che sulla base del costo storico, ritenuto più adatto a esprimere continuità ma meno efficace nel segnalare, esercizio per esercizio, la reale consistenza dell'impresa e i suoi risultati. Tale direttiva è stata recepita nell’ordinamento italiano con il decreto legislativo 30 dicembre 2003, n. 394, che, con decorrenza dal 1° gennaio 2005, ha disciplinato:
- l’indicazione del valore equo degli strumenti finanziari derivati e delle immobilizzazioni finanziarie nelle note integrative del bilancio di esercizio e del bilancio consolidato e i criteri per la determinazione di tale valore (escluso il caso di redazione del bilancio di esercizio in forma abbreviata);
- le informazioni da inserirsi nelle relazioni sulla gestione allegate al bilancio di esercizio e al bilancio consolidato circa l'uso di strumenti finanziari da parte della società, ove rilevino per la valutazione della situazione patrimoniale e finanziaria e del risultato economico dell'esercizio;
- le corrispondenti disposizioni relative al bilancio d’esercizio e al bilancio consolidato delle banche e degli altri istituti finanziari.
Successivamente, sono stati emanati il regolamento (CE) n. 1606/2002, che ha prescritto dal 1° gennaio 2005 l'uso dei princìpi contabili internazionali nei bilanci consolidati delle società quotate, lasciando agli Stati la facoltà di estendere gli obblighi e la determinazione dei soggetti obbligati, e quindi il regolamento (CE) n. 1725/2003, che ha disposto la formale adozione dei suddetti princìpi lAS nel diritto comunitario[91]. I princìpi adottati sono i seguenti:
- IAS 1: Presentazione del bilancio
- IAS 2: Rimanenze
- IAS 7: Rendiconto finanziario
- IAS 8: Princìpi contabili, cambiamenti nelle stime contabili ed errori
- IAS 10: Fatti intervenuti dopo la data di riferimento del bilancio
- IAS 11: Commesse a lungo termine
- IAS 12: Imposte sul reddito
- IAS 14: Informativa di settore
- IAS 15: Informazioni relative agli effetti delle variazioni dei prezzi
- IAS 16: Immobili, impianti e macchinari
- IAS 17: Leasing
- IAS 18: Ricavi
- IAS 19: Benefìci per i dipendenti
- IAS 20: Contabilizzazione dei contributi pubblici e informativa sull'assistenza pubblica
- IAS 21: Effetti delle variazioni dei cambi delle valute estere
- IAS 22: Aggregazioni di imprese
- IAS 23: Oneri finanziari
- IAS 24: Informativa di bilancio sulle operazioni con parti correlate
- IAS 26: Fondi di previdenza
- IAS 27: Bilancio consolidato e separato
- IAS 28: Partecipazioni in società collegate
- IAS 29: Informazioni contabili in economie iperinflazionate
- IAS 30: Informazioni richieste nel bilancio delle banche e degli istituti finanziari
- IAS 31: Partecipazioni in joint venture
- IAS 32: Strumenti finanziari: esposizione nel bilancio e informazioni integrative
- IAS 33: Utile per azione
- IAS 34: Bilanci intermedi
- IAS 35: Attività destinate a cessare
- IAS 36: Riduzione durevole di valore delle attività
- IAS 37: Accantonamenti, passività e attività potenziali
- IAS 38: - Attività immateriali
- IAS 39: Strumenti finanziari: rilevazione e valutazione
- IAS 40: Investimenti immobiliari
- IAS 41: Agricoltura
L’articolo 5 del citato regolamento n. 1606/2002 rimette agli Stati membri la scelta di consentire o prescrivere:
a) alle società con titoli quotati, obbligate all’uso dei princìpi contabili internazionali per la redazione dei bilanci consolidati, di redigere i loro conti annuali conformemente a tali princìpi;
b) alle società non quotate, di redigere i loro bilanci consolidati o annuali conformemente ai medesimi princìpi contabili.
L’opzione è stata esercitata dall’Italia con il decreto legislativo 28 febbraio 2005, n. 38, che ha disciplinato l’applicazione dei princìpi contabili internazionali (“IAS/IFRS”) ai bilanci di esercizio delle società quotate nonché ai bilanci di esercizio e consolidati di una serie di altre società, con modalità e decorrenze differenti.
Con riferimento ai bilanci di esercizio, per le società quotate, le società aventi strumenti finanziari diffusi tra il pubblico in misura rilevante, le banche e gli intermediari finanziari sottoposti a vigilanza da parte della Banca d’Italia è facoltativa l’adozione dei princìpi IAS fin dal 2005, mentre la loro applicazione obbligatoria decorre dai bilanci relativi all’anno 2006.
Con riferimento ai bilanci consolidati, rimane confermata per gli stessi soggetti (società quotate, società con strumenti finanziari diffusi, banche e altri intermediari) l’applicazione obbligatoria dei princìpi IAS sin dall’esercizio 2005.
Per le società di assicurazione è invece previsto un differente regime, in quanto per tali soggetti l’obbligo di applicazione dei princìpi IAS a partire dal 2005 viene limitato ai soli bilanci consolidati e non ne è previsto l’impiego, neanche in via facoltativa, per i bilanci di esercizio. Dal 2006 il suddetto obbligo si estende anche ai bilanci di esercizio, soltanto per le società che emettono strumenti finanziari quotati e che non redigono il bilancio consolidato.
Infine, per le società diverse dalle precedenti e diverse, inoltre, da quelle che possono redigere il bilancio in forma abbreviata ai sensi dell’articolo 2435-bis del codice civile è prevista la facoltà di redigere il bilancio d’esercizio conformemente ai princìpi IAS a partire dall’esercizio 2005, nel caso in cui queste siano incluse in un bilancio consolidato redatto secondo tali princìpi ovvero optino per l’applicazione dei medesimi nella redazione del proprio bilancio consolidato; negli altri casi, la stessa facoltà potrà essere esercitata dall’esercizio che verrà individuato con decreto interministeriale.
L’adozione dei princìpi contabili internazionali nella redazione dei bilanci di esercizio, per le imprese che li utilizzeranno, interagisce con una serie di questioni di carattere civilistico e fiscale, in quanto il bilancio costituisce il documento di riferimento per la tutela dei creditori, per la distribuzione degli utili conseguiti e per il calcolo delle imposte dovute, in base al principio di derivazione del reddito d’impresa dalle risultanze del bilancio.
In tale ambito, il provvedimento ha introdotto specifici limiti alla distribuzione delle poste del patrimonio netto e degli utili alimentati con le rivalutazioni derivanti dall’applicazione del metodo del valore equo (“fair value”).
Sotto il profilo fiscale, si seguono essenzialmente due criteri: per un verso, viene conservato anche per le società che adottano i princìpi contabili internazionali il principio di derivazione dell’imponibile dalle risultanze di bilancio; per altro verso, compatibilmente con tale principio, si conserva la neutralità dell’imposizione tra le imprese che redigono il bilancio sulla base dei princìpi internazionali e quelle che invece continuano ad applicare i princìpi nazionali.
Nel giugno 2003 è stata infine emanata la direttiva 2003/51/CE, che adegua la quarta e la settima direttiva in tema di contabilità, costituenti il quadro complessivo di riferimento per la contabilità europea. Essa armonizza il quadro normativo e tende a instaurare condizioni di sostanziale parità anche in favore delle imprese non direttamente obbligate all'uso dei princìpi contabili internazionali. Inoltre, consente agli Stati di autorizzare o prescrivere, per l'insieme delle società o per taluni tipi di società, che determinate categorie di attività diverse dagli strumenti finanziari siano valutate ad importi determinati facendo riferimento al valore equo. La delega legislativa per il recepimento di questa direttiva è contenuta nell’allegato B alla legge 18 aprile 2005, n. 62 (Legge comunitaria 2004).
Evoluzione dei mercati finanziari e della loro disciplina: le indagini conoscitive
L’attività parlamentare svolta nella XIV legislatura in materia di disciplina dei mercati finanziari si è dovuta in primo luogo confrontare con l’evoluzione di tali mercati. Ciò ha richiesto quindi uno sforzo conoscitivo a fronte di una realtà che, pur sviluppandosi secondo le tendenze già palesatesi negli anni novanta, ha registrato alcuni significativi elementi di novità.
Come è noto, infatti, lo scorso decennio ha fatto assistere ad un significativo sviluppo dei mercati finanziari. Per quel che riguarda in particolare l’Italia, proprio negli anni novanta si è registrata una prima significativa “finanziarizzazione” dell’economia, assecondata da interventi legislativi come quello che ha condotto alla redazione del testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria (TUF), emanato con il decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58.
Negli ultimi anni a livello internazionale è proseguito tale processo di sviluppo; in particolare hanno trovato conferma le tendenze manifestatesi in precedenza: l’incremento delle risorse finanziarie disponibili; il forte aumento della velocità di circolazione delle stesse; la moltiplicazione delle categorie di strumenti finanziari disponibili (specie nel settore degli strumenti finanziari derivati). A ciò si è accompagnato un significativo sviluppo dell’integrazione dei mercati finanziari europei. Con riferimento a tale specifico aspetto, gli ultimi anni sono stati caratterizzati dal processo di attuazione del Piano d’azione per i servizi finanziari, avviato dalla Commissione dell’Unione europea nel 1999 per conseguire in maniera organica il mercato unico dei servizi finanziari. Al Consiglio europeo di Lisbona del 2000 è stato stabilito che il Piano avrebbe dovuto essere completato entro la fine del 2005. Entro tale termine sono state in effetti emanate 39 delle 42 misure legislative programmate.
A fianco di questo aspetto, si sono registrati alcuni eventi critici di rilevante gravità, che hanno chiamato in causa, in vario modo, la regolazione e le procedure di controllo dei mercati finanziari: la fase recessiva attraversata dall’economia mondiale nel triennio 2001-2003, alcuni rilevanti fallimenti di società straniere come Enron e Worldcom e, in Italia, i casi di dissesto di grandi gruppi (Cirio e Parmalat); la vicenda dei titoli pubblici obbligazionari argentini.
Con riferimento in particolare all’Italia, l’andamento dei mercati finanziari ha seguìto le tendenze mondiali, confermando – nonostante la fase ciclica sopra richiamata e la ridotta crescita dell’economia europea – il ruolo centrale delle attività finanziarie nell’economia nazionale, come risulta dalle tabelle sottostanti riferite a società e titoli azionari quotati e alle attività finanziarie delle famiglie.
Società e titoli azionari quotati |
|||
Anno |
Società quotate a fine anno |
Capitalizzazione
società italiane |
% PIL |
1999 |
264 |
726.566 |
65,6 |
2000 |
291 |
818.384 |
70,2 |
2001 |
288 |
592.319 |
48,6 |
2002 |
288 |
457.992 |
36,3 |
2003 |
271 |
487.446 |
37,5 |
2004 |
269 |
568.901 |
43,1 |
Fonte: Banca d’Italia – Relazione annuale 2004
Attività
finanziarie delle famiglie |
||||||||||||
|
2000 |
2001 |
2002 |
2003 |
2004 |
2005* |
||||||
|
Valore |
% |
Valore |
% |
Valore |
% |
Valore |
% |
Valore |
% |
Valore |
% |
Biglietti e depositi a vista |
384.544 |
14,8 |
403.591 |
16,3 |
433.350 |
17,2 |
481.330 |
16,5 |
513.961 |
16,2 |
529.114 |
15,4 |
Altri depositi |
263.106 |
10,1 |
273.829 |
11,1 |
288.532 |
11,4 |
298.417 |
10,2 |
308.164 |
9,7 |
313.168 |
9,1 |
bancari |
104.732 |
4,0 |
101.244 |
4,1 |
101.248 |
4,0 |
89.738 |
3,1 |
83.530 |
2,6 |
- |
- |
postali |
158.374 |
6,1 |
172.585 |
7,0 |
187.284 |
7,4 |
208.679 |
7,2 |
224.634 |
7,1 |
- |
- |
Titoli a breve termine |
25.118 |
1,0 |
22.292 |
0,9 |
14.209 |
0,5 |
6.516 |
0,2 |
13.358 |
0,4 |
1.134 |
0,0 |
Titoli a medio e a lungo termine |
391.811 |
15,1 |
415.344 |
16,9 |
510.370 |
20,3 |
541.884 |
18,6 |
597.193 |
18,9 |
594.898 |
17,3 |
Quote di fondi comuni |
420.006 |
16,1 |
360.477 |
14,6 |
309.342 |
12,3 |
325.835 |
11,2 |
303.012 |
9,6 |
281.554 |
8,2 |
Azioni e partecipazioni |
530.972 |
20,4 |
382.725 |
15,5 |
351.810 |
14,0 |
567.491 |
19,5 |
686.779 |
21,7 |
900.013 |
26,2 |
Attività sull’estero |
246.375 |
9,5 |
232.843 |
9,2 |
194.049 |
7,7 |
203.814 |
7,0 |
206.779 |
6,5 |
249.657 |
7,3 |
di cui: depositi |
- |
- |
- |
- |
10.180 |
0,4 |
7.950 |
0,3 |
1.360 |
0,0 |
3.079 |
0,1 |
titoli a breve termine |
919 |
0,0 |
889 |
0,0 |
124 |
0,0 |
348 |
0,0 |
335 |
0,0 |
857 |
0,0 |
titoli a medio e a lungo termine |
79.287 |
3,0 |
91.572 |
3,7 |
91.976 |
3,7 |
91.295 |
3,1 |
88.103 |
2,8 |
98.186 |
2,9 |
azioni e partecipazioni |
110.242 |
4,2 |
94.012 |
3,8 |
67.298 |
2,6 |
73.353 |
2,5 |
76.727 |
2,4 |
87.726 |
2,6 |
quote di fondi comuni |
49.708 |
1,9 |
41.492 |
1,7 |
24.469 |
1,0 |
30.868 |
1,1 |
40.254 |
1,3 |
59.809 |
1,7 |
Riserve per premi di assicurazione |
309.552 |
11,9 |
364.540 |
14,8 |
401.911 |
16,0 |
467.177 |
16,1 |
522.256 |
16,5 |
** |
** |
Altre attività finanziarie |
30.184 |
1,1 |
15.370 |
0,7 |
15.094 |
0,6 |
19.146 |
0,7 |
15.831 |
0,5 |
564.912** |
16,5** |
Totale |
2.601.669 |
100,0 |
2.471.011 |
100,0 |
2.518.667 |
100,0 |
2.911.610 |
100,0 |
3.167.333 |
100,0 |
3.434.450 |
100,0 |
Fonte: Banca d’Italia – Relazioni annuali anni 2000-2004
* Bollettino Economico n. 46 (marzo 2006)
** Per il 2005 le riserve per premi di assicurazione sono comprese nelle altre attività finanziarie
A fronte di tali eventi, la Commissione VI (Finanze) della Camera ha svolto un’intensa attività conoscitiva. Essa ha riguardato in primo luogo lo stato di attuazione del testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria (v. scheda Attuazione del testo unico della finanza). L’indagine è stata deliberata il 9 ottobre 2001; il documento conclusivo è stato approvato il 7 aprile 2004. Nel documento si trovano già segnalati alcuni profili che sarebbero presto tornati all’attenzione del legislatore. In particolare, vengono rilevati il progressivo superamento delle demarcazioni tra attività bancaria, mobiliare e assicurativa e la conseguente despecializzazione degli intermediari; la crescita dell’integrazione proprietaria mediante la cessione di quote di capitale tra intermediari e soggetti controllanti; il forte sviluppo di strumenti finanziari a carattere misto. A tale proposito, si sottolinea l’opportunità di adeguare a tale nuova realtà le strutture di vigilanza e le procedure di regolamentazione, anche a motivo della crescente integrazione dei mercati finanziari europei. Al riguardo, le conclusioni dell’indagine ricordano lo sforzo operato in sede comunitaria per l’armonizzazione normativa e il rafforzamento degli strumenti e delle sedi di coordinamento tra gli organismi di vigilanza nazionale. In tal senso viene richiamata la procedura prevista dal rapporto Lamfalussy (v. scheda Procedure europee di regolamentazione) al fine di favorire la convergenza dei sistemi nazionali di vigilanza, coinvolgendo le autorità di ciascuno Stato membro sia nella fase della preparazione sia in quella dell’attuazione della normativa comunitaria in materia. Al medesimo fine è indicata l’opportunità di recepire sollecitamente la direttiva 2003/6/CE del Parlamento europeo e del Consiglio sull’abuso di informazioni privilegiate e le manipolazioni del mercato (il recepimento è successivamente avvenuto con l’articolo 9 della legge comunitaria 2004, la legge 18 aprile 2005, n. 62).
L’attenzione alle dinamiche di sviluppo dei mercati finanziari è testimoniata anche dall’indagine conoscitiva sulla diffusione degli strumenti finanziari derivati. L’indagine è stata deliberata il 23 settembre 2004, allo scopo di verificare l’uso di tali strumenti da parte delle imprese e degli enti pubblici (in particolare comuni e province) e dei fattori di rischio connessi a tale impiego, anche in rapporto a notizie di stampa relative a perdite rilevanti nelle quali sarebbero incorse le piccole e medie imprese, da un lato, e i comuni e le province, dall’altro. Dalle audizioni sono emerse differenti valutazioni sull’entità del fenomeno e sulle possibili cause (è stata in particolare segnalata l’ipotesi che le perdite rilevate siano da attribuirsi, piuttosto che a carenze nella regolamentazione del settore, ad un andamento dei tassi di interesse e dei tassi di cambio opposto rispetto al previsto). La Commissione finanze ha tuttavia svolto solo in parte il programma delle audizioni e non è pervenuta all’approvazione del documento conclusivo[92].
Un’ulteriore area di interesse per la Commissione finanze è stata rappresentata dall’analisi delle conseguenze derivanti dall’insolvenza della Repubblica Argentina, in particolar modo per i risparmiatori nazionali sottoscrittori di titoli del debito pubblico di quello Stato (v. scheda L’insolvenza della Repubblica argentina). A questo proposito la Commissione, nel corso dell’esame di alcune proposte di legge, ha svolto un breve ciclo di audizioni informali.
A seguito dei dissesti finanziari delle società Cirio e Parmalat, le Commissioni VI (Finanze) e X (Attività produttive) della Camera dei deputati, unitamente alle Commissioni 6a (Finanze) e 10a (Industria) del Senato della Repubblica hanno svolto congiuntamente un'indagine conoscitiva sui rapporti tra il sistema delle imprese, i mercati finanziari e la tutela del risparmio.
Mediante quest'indagine le Commissioni hanno inteso verificare, anche attraverso l'analisi dei fatti che hanno portato ai due dissesti sopra menzionati:
1) gli strumenti e i canali di finanziamento delle imprese e il ruolo svolto dalle banche a questo riguardo;
2) le forme di partecipazione delle imprese alla gestione delle banche, gli strumenti e le modalità con cui le banche medesime possono incidere sulla gestione delle imprese, e le conseguenti situazioni di conflitto d'interessi;
3) il funzionamento e il grado d'idoneità del sistema di controlli societari, interni ed esterni;
4) forme e strumenti della vigilanza pubblica rispetto alla situazione finanziaria delle imprese, in un quadro di elevata diversificazione delle fonti di finanziamento, ed efficienza del riparto di competenze in materia di vigilanza sui mercati finanziari tra la Banca d'Italia, la Commissione nazionale per le società e la borsa (CONSOB) e l'Autorità garante della concorrenza e del mercato.
Le conclusioni dell’indagine, approvate dalle Commissioni riunite VI (Finanze) e X (Attività produttive) della Camera nella seduta del 18 marzo 2004, hanno palesato come nel mercato finanziario italiano, pur permanendo i tratti di un sistema fortemente bancocentrico e con accentuati intrecci tra banche e imprese, a partire dall’introduzione dell’euro, si sia registrata una progressiva diversificazione degli strumenti di finanziamento delle imprese, con il crescente ricorso all’emissione di titoli obbligazionari. In altre parole si è passati da un sistema caratterizzato da modalità di finanziamento delle imprese, centrate sull’esercizio del credito a medio termine da parte di istituti specializzati in regime di privilegio legale, ad un contesto di progressiva liberalizzazione con l’emissione di obbligazioni societarie da parte delle imprese con il sostegno delle banche. In tale ricorso al finanziamento obbligazionario da parte delle imprese si è prodotta, secondo i risultati dell’indagine, una diffusa carenza dei vari livelli di controllo. Il documento conclusivo ha pertanto rilevato la necessità di non ostacolare, ma di meglio regolamentare l’emissione di obbligazioni societarie da parte delle imprese e gli altri sistemi di finanziamento esaminati. In particolare:
1) per quel che concerne la tutela del risparmio raccolto dalle imprese, si è segnalata l’esigenza di potenziare l’efficacia dei meccanismi di controllo interni, sia attraverso il rafforzamento del ruolo di controllo degli azionisti di minoranza sia attraverso un maggior coinvolgimento degli investitori istituzionali;
2) è stata sottolineata l’opportunità di garantire la terzietà delle società di revisione, introducendo limiti ulteriori rispetto all’esclusività dell’oggetto sociale di tali società;
3) con riferimento ai rapporti tra banca e impresa, si è osservato che la convergenza di convenienze che si verifica fra le imprese, spinte dall'esigenza di disporre di fonti privilegiate di accesso al credito e ai servizi di finanza d'impresa, e l'alta dirigenza delle banche, interessata a prevenire modificazioni degli assetti di controllo proprietario per preservare la propria posizione di comando, può determinare situazioni in cui la presenza di esponenti di imprese debitrici nei consigli di amministrazione delle società bancarie produce palesi conflitti d'interessi fra il ruolo di gestore della banca, la cui attività dovrebbe tendere a una sana e prudente gestione della stessa, e il ruolo di imprenditore, interessato a diventare beneficiario di credito per la propria azienda. Si è pertanto rilevata l’opportunità di promuovere e, se necessario, imporre la trasparenza dei rapporti di partecipazione al capitale bancario e dei rapporti di finanziamento che legano reciprocamente le banche e le imprese loro azioniste, e di eliminare la possibilità di conflitti di interessi precludendo all'imprenditore che, essendo azionista della banca, sia anche prenditore di credito da parte della stessa, la possibilità, quando l'esposizione debitoria ecceda una data soglia rilevante, di esercitare qualsiasi influenza sulle decisioni riguardanti le scelte d'indirizzo e la gestione della società bancaria.
Infine, dagli elementi di valutazione emersi nel corso dell’indagine è stata fatta derivare l’esigenza di sviluppare il modello di vigilanza per finalità, caratterizzato dalla presenza di più autorità, ciascuna competente per uno degli obiettivi generali della regolamentazione. Infatti, è stato rilevato che il modello della banca universale tende a riproporre il problema dei conflitti d'interessi tra le diverse attività svolte, con rischi sia per i risparmiatori che per la stabilità del sistema. È quindi opportuno insistere sugli strumenti che limitano e segmentano lo svolgimento delle varie attività all'interno delle banche universali. In conseguenza di ciò, anche il sistema di vigilanza e di controllo deve poter correttamente distinguere tra gli obiettivi di fondo della stabilità e della correttezza e trasparenza, per escludere il rischio di subordinare l'obiettivo della correttezza a quello, ben più importante dal punto di vista sistemico, della stabilità.
In linea di principio, si è pertanto auspicato di mantenere alla Banca d'Italia la competenza in materia di stabilità macroeconomica, ossia relativa alla prevenzione di crisi bancarie di portata sistemica, e di stabilità microeconomica, ossia relativa alla conservazione di condizioni di equilibrio economico e patrimoniale a livello dei singoli intermediari finanziari. La CONSOB dovrebbe invece rivestire un potenziato ruolo di protezione degli investitori, da realizzarsi garantendo sia la trasparenza delle informazioni sia la correttezza dei comportamenti degli intermediari, mediante un sensibile rafforzamento dei poteri di tale istituzione. In particolare, è stata segnalata l’esigenza di rafforzarne i poteri d’indagine e di verifica, prevedendo sia la possibilità di avvalersi della Guardia di finanza, sia la facoltà di ottenere le informazioni necessarie dalle altre autorità di vigilanza.
Da ultimo, nell'àmbito delle audizioni dell'indagine è stata affrontata anche la problematica relativa alla definizione di sistemi di tutela dei risparmiatori possessori di titoli obbligazionari o di altri strumenti finanziari soggetti ad insolvenza.
I provvedimenti legislativi della XIV legislatura in materia di regolazione dei mercati finanziari sono intervenuti su alcune delle dinamiche e dei fattori di criticità sopra individuati. La legislazione è stata in primo luogo diretta al recepimento della normativa comunitaria nell’ordinamento interno. Tra gli altri provvedimenti merita poi di essere ricordata la legge sulla tutela del risparmio, il cui iter ha visto impegnate le Camere per tutta la seconda metà della legislatura.
Tra i provvedimenti comunitari recepiti nel nostro ordinamento, una particolare importanza ha assunto l’attuazione della direttiva 2002/87/CE, in materia di vigilanza sui conglomerati finanziari, e della direttiva 2003/6/CE, in materia di abuso d’informazioni privilegiate.
La direttiva 2002/87/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, in materia di vigilanza sui conglomerati finanziari, ha l’obiettivo di rafforzare l’efficienza complessiva dei controlli sulle varie imprese finanziarie appartenenti ad un medesimo “conglomerato finanziario” (ovvero un gruppo articolato in più società), già sottoposte a vigilanza settoriale. La direttiva specifica i criteri quantitativi utili per definire il perimetro del conglomerato; le regole prudenziali applicabili in materia di adeguatezza patrimoniale, di concentrazione dei rischi e di operazioni infragruppo; le modalità di coordinamento fra le autorità che vigilano sulle diverse componenti del conglomerato. La legge 31 ottobre 2003, n. 306 (legge comunitaria 2003) ha delegato il Governo a emanare decreti legislativi per il recepimento. Il D.Lgs. 30 maggio 2005, n. 142, ha dato attuazione alla direttiva nell’ordinamento interno, configurando un sistema di vigilanza supplementare sugli enti creditizi, sulle imprese di assicurazione e sulle imprese d’investimento appartenenti ad un conglomerato finanziario. Tale sistema supplementare non pregiudica l’applicazione delle norme settoriali in materia di vigilanza già previste dagli ordinamenti degli Stati membri.
L'autorità preposta alla vigilanza supplementare sul conglomerato, che assume il nome di “coordinatore”, è individuata sulla base di criteri molto articolati e dettagliati. In sintesi, qualora a capo di un conglomerato finanziario vi sia un'impresa regolamentata, il compito di coordinatore è esercitato dall'autorità competente che ha autorizzato la predetta impresa regolamentata all'esercizio dell'attività; qualora invece a capo di un conglomerato finanziario non vi sia un'impresa regolamentata, il compito di coordinatore è esercitato dall'autorità competente preposta alla vigilanza dell’impresa regolamentata prevalente all’interno del conglomerato.
La direttiva 2003/6/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, sull’abuso di informazioni privilegiate e le manipolazioni del mercato, amplia il novero dei soggetti sottoposti agli obblighi previsti dalla direttiva 89/592/CEE sull’insider trading, nonché le fattispecie che configurano ipotesi di abuso. La nuova disciplina rafforza i poteri di verifica e di sanzione da parte delle autorità di controllo e la cooperazione tra gli Stati membri.
La legge 18 aprile 2005, n. 62 (legge comunitaria 2004), all’articolo 9[93], ha recepito nell’ordinamento interno la direttiva con norme volte a rafforzare l’azione di contrasto dei comportamenti distorsivi del corretto funzionamento dei mercati finanziari. In particolare, le norme di attuazione vanno ad integrare o sostituire la disciplina attualmente prevista dal TUF in materia di comunicazioni al pubblico, abuso di informazioni privilegiate, sanzioni amministrative e poteri della CONSOB. Fra l’altro è introdotta una serie di disposizioni in materia di segreto d’ufficio e di collaborazione tra le autorità, volte a rafforzare la disciplina della cooperazione internazionale, considerata strumento essenziale per un’efficace repressione delle attività illecite (si prevede ad esempio che le informazioni che Banca d’Italia e CONSOB ricevono dalle competenti autorità straniere non possono essere trasmesse ad altre autorità italiane né a terzi senza il consenso dell’autorità che le ha fornite). Vengono poi previsti l’obbligo, a carico degli emittenti, di comunicare al pubblico le informazioni privilegiate; l’obbligo, imposto ai soggetti che possono avere accesso alle informazioni privilegiate, di comunicare alla CONSOB e al pubblico le operazioni da loro effettuate, anche per interposta persona; nonché, per i soggetti che producono o diffondono ricerche e valutazioni, l’obbligo di presentare le informazioni in modo corretto e di rendere nota l’esistenza di conflitti d’interessi. Viene quindi ridefinita la disciplina sanzionatoria riguardante l’abuso di informazioni privilegiate e la manipolazione del mercato. Con riferimento a quest’ultimo aspetto, per quel che concerne l’ambito di applicazione della disciplina, sono puniti secondo la legge italiana gli illeciti commessi in Italia riguardanti strumenti negoziati o per i quali è stata chiesta l’ammissione alla negoziazione in mercati regolamentati italiani o di altri paesi dell’Unione europea. Qualora si tratti di strumenti quotati o per i quali sia stata richiesta la quotazione in un mercato regolamentato italiano la legge nazionale si applica anche ai fatti commessi all’estero. Restano invece escluse dall’applicazione delle disposizioni le operazioni attinenti alla politica monetaria, alla politica valutaria o alla gestione del debito pubblico compiute dallo Stato italiano ovvero da uno Stato membro dell’Unione europea o dal Sistema europeo delle banche centrali; le negoziazioni di azioni proprie effettuate nell’ambito di acquisto di azioni proprie e le operazioni di stabilizzazione di strumenti finanziari che rispettino le condizioni stabilite con regolamento dalla CONSOB. Per quel che concerne la definizione di informazione privilegiata, essa si qualifica come “un’informazione di carattere preciso, che non è stata resa pubblica, concernente, direttamente o indirettamente, uno o più emittenti di strumenti finanziari o uno o più strumenti finanziari, la quale, se resa pubblica, potrebbe influire in modo sensibile sui prezzi di tali strumenti finanziari”. Costituisce abuso di informazioni privilegiate la condotta di chiunque, essendo in possesso di informazioni privilegiate in ragione della sua qualità di membro di organi di amministrazione, direzione o controllo dell’emittente, della partecipazione al capitale dell’emittente, ovvero dell’esercizio di un’attività lavorativa, di una professione, anche pubblica, o di un ufficio:
a) acquista, vende o compie altre operazioni, direttamente o indirettamente, per conto proprio o per conto di terzi, su strumenti finanziari utilizzando le informazioni medesime;
b) comunica tali informazioni ad altri, al di fuori del normale esercizio del lavoro, della professione, della funzione o dell'ufficio;
c) raccomanda o induce altri, sulla base di esse, al compimento di taluna delle operazioni indicate nella lettera a).
Costituisce poi manipolazione del mercato la condotta di chiunque diffonde notizie false o pone in essere operazioni simulate o altri artifizi concretamente idonei a provocare una sensibile alterazione del prezzo di strumenti finanziari. Per le due nuove condotte vengono previste sanzioni penali e amministrative. Le nuove condotte vietate rilevano anche ai fini della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche.
Si individua infine nella CONSOB l’autorità competente a vigilare sull’applicazione delle disposizioni adottate, in coerenza con quanto disposto dall’articolo 11, paragrafo 1, della direttiva 2003/6/CE che prescrive l’individuazione di un’unica autorità di vigilanza per ciascuno Stato membro.
In tale contesto è stata altresì introdotta una disposizione che autorizza la CONSOB ad accedere direttamente, mediante apposita connessione telematica, ai dati contenuti nella Centrale dei rischi della Banca d'Italia[94].
Nel corso della legislatura sono state poi recepite nell’ordinamento interno altre significative direttive comunitarie, destinate a contribuire all’attuazione del piano europeo per i servizi finanziari. Tra queste possono essere ricordate la direttiva 2002/47/CE del Parlamento europeo e del Consiglio (recepita dal decreto legislativo 21 maggio 2004 n. 170) in materia di contratti di garanzia finanziaria, volta a disciplinare il settore con la finalità di assicurare regimi semplici ed efficaci per la conclusione dei contratti, nonché certezza e rapidità nel realizzo delle garanzie in caso di inadempimento (v. scheda Contratti di garanzia finanziaria); la direttiva2002/65/CE del Parlamento europeo e del Consiglio (recepita dal decreto legislativo 19 agosto 2005 n. 190) in tema di commercializzazione a distanza di servizi finanziari ai consumatori, che interviene in materia di informazioni preliminari e diritto di recesso del consumatore nei casi di prestazione a distanza di servizi finanziari e di vendite realizzate attraverso internet (v. scheda Vendita a distanza di servizi finanziari); la direttiva 2001/107/CE (c.d direttiva gestore), che detta una compiuta disciplina delle società di gestione del risparmio e regola il prospetto semplificato, e la direttiva 2001/108/CE (c.d. direttiva prodotto), che amplia le possibilità di investimento dei fondi liberamente commerciabili all’interno dell’Unione. Le due direttive sono state recepite con il decreto legislativo 1° agosto 2003 n. 274 (v. scheda Gestione collettiva del risparmio).
Un notevole impatto sull’ordinamento interno deve essere poi riconosciuto alla direttiva 2001/65/CE(recepita con il decreto legislativo 30 dicembre 2003 n. 394) che,modificando le norme europee in materia di bilanci individuali e consolidati (direttive 78/660/CEE; 83/349/CEE; 86/635/CEE), ha reso applicabile nell’Unione – a partire dai bilanci riferiti al 2004 – il principio contabile IAS n. 39 (Financial Instruments: Recognition and Measurement), che impone la valutazione al valore equo (fair value)di tutti gli strumenti finanziari (v. capitolo I princìpi contabili internazionali).
È stata altresì approvata dalla Camera la proposta di legge Lettieri ed altri n. 3227 (Modifica all'articolo 5 del testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, concernente le attività di consulenza su strumenti finanziari), volta a disciplinare la vigilanza regolamentare sugli analisti finanziari, l’attività di predisposizione e diffusione di studi riguardanti titoli ed emittenti nonché i casi e le modalità di diffusione al pubblico. Tale progetto, trasmesso al Senato, non ha tuttavia conseguito l’approvazione definitiva.
Per affrontare e prevenire dissesti finanziari del tipo di quelli che sono stati oggetto dell’indagine conoscitiva da ultimo citata, nella seconda metà della XIV legislatura sono stati presentati numerosi progetti di legge, di iniziativa parlamentare e governativa.
Dopo un lungo iter legislativo, che ha visto l’unificazione di tali progetti, è stata approvata la legge 28 dicembre 2005, n. 262, recante disposizioni per la tutela del risparmio e la disciplina dei mercati finanziari[95], che, riprendendo e svolgendo i temi dell’indagine, si è proposta l’obiettivo di raggiungere un più elevato grado di tutela dei risparmiatori e degli investitori.
Fra le disposizioni che incidono sull’operatività dei mercati finanziari possono ricordarsi:
§ la previsione della determinazione di condizioni da parte della Banca d’Italia per l’assunzione di attività di rischio da parte delle banche nei confronti di propri esponenti, soggetti che detengono in esse partecipazioni rilevanti o altri soggetti che siano in grado di influire sulla loro amministrazione;
§ l’estensione dell’ambito di applicazione della disciplina sull’autorizzazione per l’assunzione di obbligazioni da parte degli esponenti bancari nei riguardi della banca stessa;
§ l’abolizione dell’esenzione dagli obblighi informativi e dal prospetto per i prodotti finanziari non azionari emessi da banche e per i prodotti assicurativi
§ le disposizioni volte ad assicurare la conoscibilità dei rapporti fra le società italiane quotate o ad azionariato diffuso e le società estere controllate, controllanti o collegate, aventi sede in Stati che non garantiscono la trasparenza societaria;
§ il conferimento di delega legislativa per l’emanazione di una disciplina volta a prevenire i conflitti d’interessi nella gestione dei patrimoni di organismi d’investimento collettivo del risparmio (OICR), prodotti assicurativi e di previdenza complementare, nonché nella gestione di portafogli su base individuale per conto di terzi;
§ l’attribuzione alla Banca d’Italia del potere di emanare una disciplina per la separazione delle strutture organizzative deputate alla prestazione dei diversi servizi d’investimento presso le banche e gli altri intermediari finanziari, con la comminatoria di apposite sanzioni;
§ l’intervento sulla disciplina della circolazione dei prodotti finanziari, prevedendosi fra l’altro che, in caso di successiva cessione di prodotti finanziari, destinati originariamente a soli investitori professionali, ad acquirenti che non siano investitori professionali, l’investitore professionale cedente debba garantire la solvenza dell’emittente per un anno dalla data dell’emissione, tranne che nell’ipotesi in cui l’intermediario abbia consegnato all’acquirente un documento recante le informazioni stabilite dalla CONSOB;
§ il conferimento di delega legislativa per il recepimento della direttiva 2003/71/CE relativa al prospetto per l’offerta pubblica o l’ammissione alla negoziazione di strumenti finanziari;
§ le modificazioni al testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, realizzate intervenendo sui seguenti aspetti: adeguatezza dei prodotti finanziari collocati rispetto al profilo del cliente; disciplina dell’albo dei promotori finanziari; quotazione di prodotti finanziari emessi dalla società di gestione di un mercato regolamentato; regole e limiti per la quotazione di prodotti emessi da determinati tipi di società; procedimento per le decisioni di ammissione, esclusione e sospensione di strumenti e operatori dalle negoziazioni in mercati regolamentati; poteri informativi e cautelari della CONSOB; obbligo di dichiarazione dei conflitti d’interessi da parte dei produttori e diffusori di ricerche; vigilanza sulle informazioni relative all’adesione a codici di comportamento; disciplina della finanza etica; individuazione e poteri del dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili societari;
§ la disciplina degli obblighi d’informazione al mercato cui devono sottostare le società con azioni quotate che deliberino piani di attribuzione di azioni a esponenti societari o dipendenti (stock options);
§ il raddoppio delle sanzioni penali previste dal testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, dalla legge n. 576 del 1982 e dal decreto legislativo n. 124 del 1993, rispettivamente concernenti la vigilanza sulle assicurazioni e sui fondi pensione, nonché da taluni articoli del codice civile limitatamente alle violazioni riguardanti società con titoli quotati o diffusi fra il pubblico in misura rilevante, nonché la quintuplicazione delle sanzioni amministrative pecuniarie previste nei medesimi testi unici e leggi;
§ il conferimento al Governo di una delega legislativa per l’introduzione di una disciplina riguardante le sanzioni accessorie per le violazioni sanzionate a norma del testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, della legge n. 576 del 1982 e del decreto legislativo n. 124 del 1993.
Ispirandosi al modello di vigilanza per finalità, fondato sulla distinzione tra obiettivi di stabilità del sistema bancario e finanziario e obiettivi di trasparenza e di correttezza dei comportamenti degli intermediari, la medesima legge ha inoltre previsto il riassetto di alcune competenze delle autorità pubbliche di vigilanza. (v. capitolo La vigilanza sul settore bancario).
Con riferimento alla disciplina legislativa della Commissione nazionale per le società e la borsa (CONSOB) devono essere anche registrate le modifiche apportate al sistema di finanziamento di tale autorità dalla legge finanziaria per il 2006 (legge 23 dicembre 2005, n. 266). L’articolo 1, comma 65, di tale legge ha disposto che, a decorrere dal 2007, le spese di funzionamento della CONSOB, così come quelle dell’Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici, dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e della COVIP, siano finanziate “dal mercato di competenza” per la parte non coperta da finanziamento a carico del bilancio dello Stato. Si prevede poi che l’entità della contribuzione sia determinata con propria deliberazione da ciascuna Autorità, nel rispetto dei limiti massimi stabiliti dalla legge. Le contribuzioni sono versate direttamente alle medesime Autorità. Con le stesse deliberazioni delle Autorità sono fissati anche i termini e le modalità di versamento delle contribuzioni. Le deliberazioni sono sottoposte per l’approvazione al Presidente del Consiglio dei ministri che, sentito il Ministro dell’economia e delle finanze, provvede con proprio decreto entro venti giorni dal ricevimento: qualora entro tale termine non siano state formulate osservazioni, le deliberazioni adottate dalle Autorità divengono comunque esecutive.
Oltre alla produzione normativa comunitaria già recepita nel nostro ordinamento, la Comunità ha approvato un’altra serie di importanti misure nel settore finanziario, alle quali l’ordinamento interno deve ancora adeguarsi.
Nel corso del 2003 è stata approvata la direttiva 2003/71/CE, relativa al prospetto da pubblicare per l’offerta pubblica o l’ammissione alla negoziazione di strumenti finanziari[96].
La direttiva 2004/25/CE, in materia di offerte pubbliche di acquisto (OPA), disciplina condizioni e procedure delle OPA obbligatorie e volontarie e rappresenta un passo importante per lo sviluppo di un mercato europeo del controllo societario (v. scheda Direttiva sull’OPA). I punti salienti della direttiva riguardano: i) la disciplina dell’OPA obbligatoria e del prezzo al quale essa deve essere promossa; ii) il divieto per l’organo amministrativo della società bersaglio di adottare qualsiasi misura difensiva senza il consenso degli azionisti; iii) l’inefficacia, durante l’offerta o successivamente, di alcune misure che possono ostacolare l’assunzione e l’esercizio del controllo da parte dell’offerente; iv) la possibilità per gli Stati membri di non applicare le disposizioni sub ii) e iii), consentendo tuttavia alle società di assoggettarvisi volontariamente; v) la previsione di diritti e obblighi di acquisto quando, in seguito a un’OPA, l’offerente detenga una partecipazione quasi totalitaria[97].
Nell’aprile del 2004 il Consiglio e il Parlamento europeo hanno approvato la direttiva 2004/39/CEsulla revisione della disciplina in materia di servizi di investimento nel settore dei valori mobiliari (v. scheda Direttiva sui servizi d’investimento). Le finalità di tale normativa consistono nella definizione dei presìdi necessari per meglio tutelare gli investitori e assicurare la corretta formazione dei prezzi dei titoli dopo la soppressione dell’obbligo di concentrazione degli scambi nei mercati regolamentati. È ora riconosciuta la possibilità di effettuare gli scambi anche attraverso la compensazione degli ordini di acquisto e di vendita da parte degli intermediari al loro interno (cosiddetta internalizzazione). In questo caso, le banche e le imprese di investimento che si avvalgono di tale possibilità sono obbligate a comunicare al mercato i prezzi ai quali sono disposte a negoziare i titoli, quando trattino ordini di controvalore non superiore ai tagli medi di mercato[98]. Nel corso del 2004 è stata anche approvata la direttiva 2004/109/CE, sull’armonizzazione degli obblighi di trasparenza ai quali sono tenuti gli emittenti di valori mobiliari ammessi alla negoziazione in un mercato regolamentato[99].
Nell’ultimo quinquennio, il sistema bancario ha proseguito il processo di riassetto iniziato negli anni novanta dello scorso secolo, caratterizzato da alcune tendenze: la liberalizzazione della costituzione di banche e dell’apertura degli sportelli; il superamento del ruolo pubblico predominante nel settore, attraverso la legge 30 luglio 1990, n. 218 (cosiddetta legge Amato) e la costituzione delle fondazioni bancarie; la despecializzazione dell’attività degli intermediari sancita dal testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia (TUB), emanato con il decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385. Tale processo è stato promosso anche dallo sviluppo dell’integrazione europea nel settore, con la formazione del mercato unico europeo dei servizi bancari e la totale liberalizzazione dei movimenti di capitali.
Inoltre, a seguito dell’avvio della terza fase dell’Unione economica e monetaria e dell’introduzione dell’euro, la compressione dei margini unitari, indotta dalla concorrenza e dal processo di convergenza dei tassi d’interesse italiani verso i valori medi europei, ha sollecitato la concentrazione del sistema.
Tutti questi fattori hanno indotto una trasformazione profonda nel sistema bancario, che ormai è caratterizzato da un grado di concentrazione analogo a quello degli altri paesi europei e dalla quotazione in borsa della maggior parte delle banche.
Gli interventi legislativi in materia, nel corso della XIV legislatura, hanno interessato sia il profilo dell’assetto delle autorità di vigilanza sul settore, sia la disciplina e l’assetto degli intermediari creditizi che, infine, la regolamentazione dell’attività degli intermediari creditizi medesimi. In parte, la legislazione in materia è stata volta al recepimento della normativa comunitaria nell’ordinamento interno.
In particolare, l’assetto delle autorità di vigilanza nel settore creditizio è stato significativamente modificato dalla legge 28 dicembre 2005, n. 262, recante disposizioni in materia di tutela del risparmio e mercati finanziari.
L’iter legislativo della legge n. 262 del 2005, testé citata, è stato preceduto da un articolato lavoro istruttorio, nel quale si è inserita l’indagine conoscitiva sui rapporti tra il sistema delle imprese, i mercati finanziari e la tutela del risparmio svolta dalle Commissioni VI (Finanze) e X (Attività produttive) della Camera dei deputati nonché 6a (Finanze) e 10a (Industria) del Senato della Repubblica, a seguito dei dissesti finanziari delle società Cirio e Parmalat.
Come già si è detto nella parte relativa ai mercati finanziari (v. capitolo La disciplina dei mercati finanziari), con riguardo particolare alla disciplina del settore bancario, le Commissioni hanno inteso verificare gli strumenti e i canali di finanziamento delle imprese e il ruolo svolto dalle banche a questo riguardo; le forme di partecipazione delle imprese alla gestione delle banche, con particolare attenzione alla loro influenza sulle scelte relative al merito di credito, gli strumenti e le modalità con cui le banche medesime possono incidere sulla gestione delle imprese, le situazioni di conflitto d'interessi che possono derivarne e i rimedi atti a prevenire o regolare tali conflitti.
Inoltre, per quel che concerne in particolare la vigilanza pubblica sul settore, si è inteso vagliare l'efficienza dell'esistente riparto di competenze in materia di vigilanza sui mercati finanziari tra la Banca d'Italia, la Commissione nazionale per le società e la borsa (CONSOB) e l'Autorità garante della concorrenza e del mercato.
Nelle conclusioni dell’indagine – deliberate nella seduta del 18 marzo 2004 – le Commissioni riunite VI e X della Camera hanno ravvisato, con riguardo alla riforma delle funzioni di vigilanza pubblica, la necessità di un intervento di riassetto, motivandola in ragione di tre fondamentali elementi emersi nel corso dell'indagine.
In primo luogo, a livello europeo è in atto un processo di convergenza delle funzioni di vigilanza, che ha già realizzato l'unificazione del mercato dei valori mobiliari e condurrà, entro un periodo assai breve, ad un mercato unico dei servizi finanziari; tale circostanza pone, sul piano interno, il problema d'introdurre adeguati correttivi all'attuale frammentazione delle competenze in materia. In secondo luogo, la struttura finanziaria del mercato si caratterizza, in misura sempre maggiore, per una marcata integrazione fra le varie attività di credito e per la conseguente despecializzazione degli intermediari nonché per una diversa composizione dell'offerta di prodotti finanziari. Un terzo elemento riguarda infine la nuova composizione dei portafogli dei nuclei familiari, nei quali è drasticamente diminuito il peso dei depositi bancari e dei titoli di Stato ed è nettamente aumentata l'incidenza di attività finanziarie di mercato.
Da tali elementi di valutazione è stata fatta derivare l’esigenza di sviluppare il modello di vigilanza per finalità, caratterizzato dalla presenza di più autorità, ciascuna competente per uno degli obiettivi generali della regolamentazione. In linea di principio, si è pertanto auspicato di mantenere alla Banca d'Italia la competenza in materia di stabilità macroeconomica, ossia relativa alla prevenzione di crisi bancarie di portata sistemica, e di stabilità microeconomica, ossia relativa alla conservazione di condizioni di equilibrio economico e patrimoniale a livello dei singoli intermediari finanziari. La CONSOB dovrebbe invece rivestire un potenziato ruolo di protezione degli investitori, da realizzarsi garantendo sia la trasparenza delle informazioni, sia la correttezza dei comportamenti degli intermediari, mediante un sensibile rafforzamento dei poteri di tale istituzione. Si è ritenuto, inoltre, che un coerente recepimento del modello di vigilanza per finalità richiedesse l’estensione delle competenze dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato al settore bancario, per tener conto del potenziale conflitto tra la funzione di tutela della stabilità e quella di tutela della concorrenza nell'ambito del settore creditizio.
Con riguardo alla disciplina delle autorità, è stato ritenuto necessario garantire una ripartizione chiara ed efficiente delle funzioni loro affidate, anche valutando l'opportunità di ridurne il numero, al fine di limitare la frammentazione delle competenze, semplificare i controlli e agevolare l'individuazione dell'ambito delle relative responsabilità.
Con riguardo alle disposizioni che incidono sull’assetto e sui poteri delle autorità pubbliche di vigilanza, la legge 28 dicembre 2005, n. 262 sembra volgersi al modello di vigilanza per finalità, fondato sulla distinzione fra obiettivi di stabilità del sistema bancario e finanziario e obiettivi di trasparenza e di correttezza dei comportamenti degli intermediari.
Sotto tale profilo, la novità più rilevante consiste nel riassetto delle competenze in materia di concorrenza nel settore bancario fra Banca d’Italia e Autorità garante della concorrenza e del mercato. In particolare, l’articolo 19 stabilisce che per le operazioni di acquisizione indicate nell’articolo 19 del TUB e per le concentrazioni ai sensi della legge 10 ottobre 1990, n. 287, in materia di tutela della concorrenza, che riguardino banche sono necessarie sia l’autorizzazione della Banca d’Italia, sia quella dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato. I provvedimenti di autorizzazione devono essere emanati con un unico atto.
Rilevante è anche la riforma che ha riguardato l’organizzazione di vertice e la struttura del capitale della Banca d’Italia.
Confermandosene la natura di istituto di diritto pubblico, si prevede che la Banca riferisca semestralmente al Parlamento e al Governo; si rafforzano le regole di trasparenza nell’adozione degli atti; vengono definite nuove modalità di formazione della volontà dell’ente, imperniate essenzialmente sul principio di collegialità esercitato nell’ambito del direttorio; è stabilito che il Governatore rimanga in carica per sei anni, con la possibilità di un solo rinnovo; si ordina l’adeguamento dello Statuto della Banca d’Italia entro due mesi; vengono demandate a un regolamento governativo la ridefinizione dell’assetto proprietario e la disciplina delle modalità di trasferimento delle quote di partecipazione al capitale dell’Istituto, in possesso di soggetti diversi dallo Stato o da altri enti pubblici; il trasferimento dovrà intervenire entro tre anni.
Per approfondimenti ulteriori si rinvia alla scheda Il nuovo assetto della Banca d’Italia.
Per quanto riguarda, più in generale, la disciplina dei poteri delle Autorità di vigilanza:
§ si prevede il coordinamento fra le autorità aventi competenze sui mercati finanziari (Banca d’Italia, CONSOB, ISVAP, COVIP, Autorità garante della concorrenza e del mercato), rimettendo ad esse l’individuazione delle forme appropriate;
§ si prescrive la collaborazione fra le suddette autorità, anche attraverso lo scambio d’informazioni, con l’inopponibilità reciproca del segreto d’ufficio;
§ si consente alle autorità di avvalersi del Corpo della Guardia di finanza, stabilendo che tutti i dati e le notizie da questo acquisiti siano coperti da segreto d’ufficio e comunicati esclusivamente alle autorità competenti;
§ si disciplinano i procedimenti per l’adozione di atti regolamentari e generali e di provvedimenti individuali da parte della Banca d’Italia, della CONSOB, dell’ISVAP e della COVIP. Per i primi è prescritta la motivazione con riferimento alle scelte di regolazione o vigilanza, è richiesta una relazione sulle conseguenze ed è imposta l’osservanza del criterio di proporzionalità. Per i secondi, è prescritta la motivazione, è disposta l’applicabilità dei princìpi della legge n. 241 del 1990 ed è enunziata una disciplina generale circa l’impugnazione in sede giurisdizionale. Per le sanzioni irrogate dalle medesime autorità, nonché dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato, viene esclusa l’oblazione in misura ridotta a norma dell’articolo 16 della legge n. 689 del 1981;
§ si stabilisce che le competenze della Banca d’Italia in materia di trasparenza delle condizioni contrattuali bancarie e le competenze dell’ISVAP in materia di trasparenza relativamente ad alcune forme di assicurazione sulla vita siano esercitate d’intesa con la CONSOB. Si prevede altresì che le competenze in materia di trasparenza sulle forme di previdenza complementare siano esercitate dalla COVIP compatibilmente con le disposizioni in materia di sollecitazione del pubblico risparmio;
§ si trasferiscono alle autorità di vigilanza alcune funzioni e i poteri sanzionatorî attualmente spettanti ai competenti Ministeri;
§ si conferisce al Governo delega legislativa per l’introduzione di procedure di conciliazione e di un conseguente sistema d’indennizzo per le controversie fra risparmiatori e investitori e le banche o gli altri intermediari finanziari circa l’adempimento degli obblighi d’informazione, correttezza e trasparenza, nonché per l’istituzione di un fondo di garanzia volto a indennizzare i danni patrimoniali cagionati a investitori e risparmiatori dalla violazione, accertata con sentenza definitiva, delle norme sull’intermediazione finanziaria;
§ si prescrive l’adozione di un sistema di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari.
La legge istituisce poi una Commissione per la tutela del risparmio, organo collegiale composto da un presidente e due commissari, posto alle dirette dipendenze del Presidente del Consiglio dei ministri. Essa svolge le proprie funzioni d’ufficio o su istanza dei risparmiatori, dando semestralmente ragguaglio al Presidente del Consiglio dei ministri, che riferisce periodicamente ai Presidenti delle Camere.
La produzione legislativa concernente la disciplina degli intermediari creditizi ha registrato nel corso della XIV legislatura il recepimento di alcune direttive comunitarie nell’ordinamento interno.
In particolare, con il decreto legislativo 9 luglio 2004, n. 197, è stata data attuazione alla direttiva 2001/24/CE in materia di risanamento e liquidazione degli enti creditizi. La direttiva disciplina la crisi di banche con succursali in più Stati membri; le finalità che la nuova disciplina si propone sono quelle di assicurare l’unità e l’universalità delle procedure attraverso il principio del riconoscimento reciproco, con specifiche eccezioni, dei provvedimenti di risanamento e liquidazione adottati dall’autorità dello Stato d’origine della banca (v. scheda Direttiva sulle procedure di crisi).
La disciplina degli intermediari creditizi ha poi registrato significative novità che hanno coinvolto, in primo luogo, i rapporti tra enti creditizi e fondazioni bancarie. Numerosi interventi legislativi hanno inciso sul decreto legislativo 17 maggio 1999, n. 153, con riferimento alla procedura di dismissione delle partecipazioni di controllo nelle aziende bancarie da parte delle fondazioni, ai settori d’intervento delle fondazioni stesse e ai loro organi di governo.
Oltre a ciò, mette conto richiamare le modificazioni introdotte nel testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia (TUB), emanato con decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, dai decreti legislativi 6 febbraio 2004, n. 37, e 28 dicembre 2004, n. 310. Gli interventi sopra richiamati recano in particolare disposizioni di coordinamento del testo unico con la riforma del diritto societario operata con i decreti legislativi nn. 5 e 6 del 17 gennaio 2003 (v. capitolo La riforma del diritto societario). L’esigenza di coordinamento si prospettava specialmente con riguardo alla determinazione dei requisiti dei componenti degli organi nei nuovi modelli di amministrazione, alle ipotesi di direzione e coordinamento derivanti da accordi o clausole statutarie, nonché alla disciplina legislativa delle banche cooperative (banche popolari e banche di credito cooperativo).
Nel corso della legislatura è stato anche esaminato il problema del rapporto tra l’attuale configurazione delle attività delle banche popolari e le caratteristiche che l’ordinamento riconosce alle realtà cooperative; è stata quindi valutata la prospettiva di una riforma, anche attraverso l’esame di apposite proposte di legge, il cui iter non ha tuttavia raggiunto la conclusione (v. scheda Ipotesi di riforma delle banche popolari).
Nel corso della XIV legislatura sono state introdotte rilevanti modifiche alla disciplina in materia di fondazioni bancarie prevista dal decreto legislativo 17 maggio 1999, n. 153.
Il decreto legislativo n. 153 del 1999 aveva mutato significativamente l’assetto delle fondazioni. In base ad esso, l’adeguamento degli statuti delle fondazioni alla disciplina individuata dal decreto medesimo avrebbe sancito la definitiva trasformazione delle fondazioni in enti di diritto privato con piena autonomia statutaria e gestionale, in coerenza con quanto previsto dalla legge 30 luglio 1990, n. 218 (c.d. legge Amato).
In particolare, il decreto legislativo prevedeva che le fondazioni fossero tenute a perseguire fini di utilità sociale e di promozione dello sviluppo economico, operando nel rispetto del principio di economicità e gestendo il patrimonio in modo da ottenerne un’adeguata redditività. Venivano indicati alcuni settori rilevanti: ricerca scientifica, istruzione, arte, sanità, conservazione e valorizzazione dei beni culturali e ambientali, assistenza alle categorie sociali più deboli. Per quel che concerne gli organi di governo delle fondazioni, si individuavano tre organi necessari con funzioni, rispettivamente, d’indirizzo, di amministrazione e di controllo. Nell’organo d’indirizzo doveva essere assicurata un’adeguata e qualificata rappresentanza del territorio.
Il decreto prevedeva poi che entro quattro anni dalla sua entrata in vigore (e quindi entro il 15 giugno 2003) le fondazioni dovessero dismettere le partecipazioni di controllo nelle aziende bancarie. Era consentito alle fondazioni di mantenere le partecipazioni per ulteriori due anni oltre il termine; decorso tale ulteriore termine, il compito di provvedere alla dismissione veniva affidato all’autorità di vigilanza (individuata nel Ministero del tesoro e, quindi, nel Ministero dell’economia e delle finanze).
A tale disposizione si accompagnava l’assimilazione del regime fiscale delle fondazioni a quello degli enti non commerciali con l’applicazione dell’IRPEG (ora IRES) con aliquota dimezzata rispetto a quella ordinaria. Tale agevolazione sarebbe venuta meno qualora entro il termine di quattro anni le fondazioni non avessero provveduto alla dismissione delle partecipazioni di controllo nelle aziende bancarie. In altre parole, le fondazioni che si fossero avvalse della facoltà di detenere per ulteriori due anni rispetto al termine del 15 giugno 2003 le partecipazioni di controllo nelle aziende bancarie avrebbero perso l’agevolazione.
L’articolo 11 della legge 28 dicembre 2001, n. 448 (legge finanziaria per il 2002) ha apportato alcune modifiche al decreto legislativo n. 153 del 1999. In particolare:
a) sono stati estesi gli ambiti d’intervento delle fondazioni bancarie, con riferimento a settori caratterizzati da rilevante valenza sociale
b) sono state rafforzate le previsioni in ordine alla rappresentanza degli enti territoriali nell’organo di indirizzo della fondazione: tale partecipazione doveva essere non già “adeguata e qualificata”, come originariamente previsto dal decreto legislativo n. 153 del 1999, ma “prevalente e qualificata”; si sono pure rafforzate le disposizioni in materia di incompatibilità nel senso di prevedere che sia i soggetti ai quali è attribuito il potere di designare i componenti dell’organo di indirizzo, sia i componenti stessi degli organi delle fondazioni non debbono essere destinatari degli interventi delle fondazioni
c) è stato modificato il regime delle partecipazioni delle fondazioni nel capitale delle banche: il divieto di detenere interessenze di controllo è stato esteso dalle ipotesi di controllo individuale ai casi in cui esso sia esercitato congiuntamente da più fondazioni; al tempo stesso, per le fondazioni veniva differitodi tre anni (fino al giugno 2006) il termine per la dismissione della partecipazione nelle banche conferitarie, a condizione che essa venisse affidata, prima del 15 giugno 2003, a una società di gestione del risparmio (SGR) che la gestisse in nome proprio. In tal caso la fondazione avrebbe conservato le descritte agevolazioni fiscali.
Sulla materia è successivamente intervenuta la sentenza della Corte costituzionale 29 settembre 2003, n. 301. La Corte ha ribadito la natura privatistica delle fondazioni bancarie, dichiarando l’illegittimità costituzionale di alcune disposizioni del decreto legislativo n. 153 del 1999 che prevedevano forme d’indirizzo del Ministero del tesoro per la definizione del regime di incompatibilità da parte degli statuti delle fondazioni e nella determinazione dei settori d’intervento. La Corte ha poi dichiarato l’illegittimità costituzionale della disposizioni che attribuivano agli enti territoriali una rappresentanza prevalente negli organi d’indirizzo delle fondazioni bancarie.
È successivamente intervenuto il decreto-legge 24 giugno 2003, n. 143, convertito, con modificazioni, dalla legge 1° agosto 2003, n. 212, che ha prorogato dal 15 giugno 2003 al 31 dicembre 2005 il termine per la dismissione delle partecipazioni di controllo nelle aziende bancarie. Conseguentemente, anche la possibilità di affidare tali partecipazioni a società di gestione del risparmio (con mantenimento dell’agevolazione fiscale) poteva essere esercitata fino al 31 dicembre 2005 e da tale data decorrevano gli ulteriori tre anni di proroga per la dismissione delle partecipazioni affidate. Erano inoltre esonerate dall’obbligo di cessione le fondazioni con patrimonio netto contabile non superiore ai 200 milioni di euro, nonché quelle con sedi operative prevalentemente nelle regioni a statuto speciale.
Con il D.M. 18 maggio 2004, n. 150, il Ministro dell’economia e delle finanze ha emanato un nuovo regolamento, il quale ha previsto che l’organo d’indirizzo della fondazione debba essere composto in via prevalente da rappresentanti di enti, pubblici e privati, espressione delle realtà locali; è stabilita l’incompatibilità tra le funzioni di amministrazione, direzione, indirizzo e controllo presso la fondazione e gli incarichi presso la società bancaria conferitaria o le società da questa controllate o partecipate. La nozione di controllo congiunto su una banca viene circoscritta ai casi in cui più fondazioni, mediante accordi da provare in forma scritta, realizzino una delle situazioni rilevanti ai fini del controllo individuale.
Da ultimo, la legge 28 dicembre 2005, n. 262, recante disposizioni per la tutela del risparmio e la disciplina dei mercati finanziari, ha stabilito che dal 1° gennaio 2006 le fondazioni non possano esercitare il diritto di voto nelle assemblee ordinarie e straordinarie delle società bancarie conferitarie e delle altre società non strumentali da esse partecipate per le azioni eccedenti il 30 per cento del capitale rappresentato da azioni aventi diritto di voto nelle medesime assemblee. Restano escluse dall’applicazione di questa disposizione le fondazioni con patrimonio netto contabile risultante dall'ultimo bilancio approvato non superiore a 200 milioni di euro, nonché quelle con sedi operative prevalentemente in regioni a statuto speciale.
Il decreto legislativo 6 febbraio 2004, n. 37, oltre a modifiche ai decreti legislativi nn. 5 e 6 del 17 gennaio 2003, recanti la riforma del diritto societario, ha operato alcuni interventi di coordinamento tra questa e i testi unici delle leggi in materia bancaria e creditizia e delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria[100]. Il legislatore delegato ha così inteso consentire anche agli intermediari bancari e finanziari di utilizzare le opportunità offerte dal nuovo diritto societario, introducendo nel contempo taluni adattamenti volti a preservare le finalità di vigilanza e la sana e prudente gestione degli intermediari.
I principali interventi sui due testi unici riguardano: la raccolta del risparmio da parte dei soggetti non bancari; gli assetti proprietari delle banche e degli intermediari finanziari e in valori mobiliari; i modelli di amministrazione e controllo.
La normativa sugli assetti proprietari delle banche e degli altri intermediari è stata modificata per preservare l’efficacia dei controlli nel nuovo contesto civilistico, caratterizzato da una più ampia autonomia delle società sia rispetto all’emissione di speciali categorie di azioni con particolari diritti patrimoniali e amministrativi, sia rispetto alla possibilità di assegnare, a fronte di conferimenti non imputabili al capitale, strumenti finanziari che danno diritto di partecipare alla gestione aziendale.
Con riferimento al governo societario delle banche, le modifiche ai testi unici mirano a salvaguardare l’efficacia dei controlli su profili essenziali per la sana e prudente gestione. È stato previsto che, anche nel caso di adozione dei modelli gestionali innovativi (dualistico e monistico), l’organo di controllo svolga la medesima funzione di raccordo con l’autorità di vigilanza attribuita nel modello tradizionale al collegio sindacale, incentrata sulla segnalazione delle irregolarità e delle violazioni rilevate.
Ulteriori interventi hanno riguardato i requisiti di indipendenza degli esponenti aziendali, il controllo contabile, le banche di credito cooperativo, le procedure di crisi e le sanzioni. Con particolare riferimento alle banche di credito cooperativo, il decreto di coordinamento ha precisato che, agli effetti fiscali, la qualificazione di cooperativa a mutualità prevalente ricorre quando i relativi statuti contengano le clausole mutualistiche stabilite dall’articolo 2514 codice civile (limiti alla distribuzione di utili e alla remunerazione degli strumenti finanziari, divieto di distribuire le riserve) e siano rispettati i criteri di operatività prevalente con soci stabiliti dalla Banca d’Italia ai sensi dell’art. 35 del Testo unico bancario.
L’intervento è stato completato dal decreto legislativo 28 dicembre 2004, n. 310, che ha reso applicabile alle banche popolari e alle banche di credito cooperativo la nuova disciplina societaria, purché non incompatibile con aspetti sostanziali della relativa disciplina speciale; ha inoltre apportato al testo unico bancario integrazioni volte ad adeguare la definizione di gruppo bancario e la disciplina concernente gli assetti proprietari delle banche alle nuove previsioni civilistiche in materia di direzione e coordinamento di società.
In particolare, l’articolo 38 del citato decreto legislativo n. 310 del 2004 ha dichiarato inapplicabile alle banche popolari e alle banche di credito cooperativo una serie di disposizioni del codice civile che risultavano confliggenti con la disciplina speciale per tali enti recata dal testo unico bancario (ad esempio in materia di definizione dei caratteri di mutualità).
Si è inoltre previsto che alle sole banche popolari non si applichino le disposizioni del codice civile che disciplinano le caratteristiche della mutualità prevalente (articoli 2512 e 2514 del codice civile) nonché in materia di trasferimento delle quote o azioni (articolo 2530, primo comma).
L’esclusione dall’applicazione delle disposizioni del codice civile da ultimo richiamate per le sole banche popolari conferma la distinzione tra i due modelli di banca cooperativa individuati dal testo unico bancario, fondata sulla diversa intensità del requisito mutualistico. Le banche popolari si connotano in sostanza per un affievolito carattere di mutualità (non vengono perciò applicate le norme del codice relative alla necessaria prevalenza del fine mutualistico), mentre le banche di credito cooperativo sono ricondotte (fatto salvo ovviamente il rispetto dei criteri previsti dal codice civile) alla categoria civilistica delle cooperative “a mutualità prevalente”, in quanto tenute ad adottare nello statuto le clausole che incidono sulla possibilità di distribuire utili e riserve ai soci e di remunerare gli strumenti finanziari offerti in sottoscrizione ai soci stessi, nonché ad osservare i criteri di operatività prevalente con i soci, definiti dalla Banca d’Italia ai sensi dell’articolo 35 del TUB.
La prospettiva di una riforma delle banche popolari è stata in realtà all’attenzione del dibattito parlamentare per tutta la durata della legislatura. Sul tema sono state presentate diverse proposte di legge, abbinate nel corso dell’esame presso la Commissione VI (Finanze) della Camera, che ne ha elaborato un testo unificato, sul quale nella seduta del 18 gennaio 2006 ha deliberato di riferire all’Assemblea. Tali proposte affrontano il problema dell’effettiva riconducibilità delle attività esercitate dalle banche popolari all’ambito della cooperazione, e quindi dell’opportunità di superare lo status giuridico di società cooperativa per azioni a responsabilità limitata, che attualmente connota le banche popolari. In particolare, vengono in questione alcune caratteristiche del modello di banca popolare, quali il voto capitario, la clausola di gradimento, la limitazione quantitativa al possesso di quote da parte dei soci.
Nel corso dell’istruttoria legislativa, la Commissione finanze ha inoltre proceduto ad un’indagine conoscitiva sul settore delle banche popolari. Nel corso dell’indagine, i rappresentanti delle banche popolari hanno tra le altre cose indicato in alcune peculiarità dell’attuale disciplina legislativa delle banche popolari (tra le quali proprio il voto capitario e i limiti alle deleghe e alle quote dei soci) le ragioni del successo di un modello bancario che opera in stretto contatto con il territorio favorendone lo sviluppo[101].
Per approfondimenti si rinvia alla scheda Ipotesi di riforma delle banche popolari.
Un ulteriore intervento è stato operato mediante il decreto legislativo 18 aprile 2006, n. 171, il quale ha enucleato, ai sensi della legge 5 giugno 2003, n. 131 (c.d. legge “la Loggia”), i princìpi fondamentali che dovranno essere rispettati dalle Regioni nell’esercizio della potestà legislativa concorrente in materia di banche a carattere regionale, prevista dall’articolo 117, terzo comma, della Costituzione con riferimento a “casse di risparmio; casse rurali; aziende di credito a carattere regionale; enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale” (v. scheda Princìpi sulle banche regionali).
In materia di attività degli intermediari creditizi mette conto ricordare le direttive 2000/28/CE e 2000/46/CE, recepite con l’articolo 55 della legge 1° marzo 2002 n. 39 (legge comunitaria 2001), concernente gli istituti di moneta elettronica. Le moneta elettronica ha così trovato la sua definizione legislativa come “valore monetario rappresentato da un credito nei confronti dell’emittente che sia memorizzato su un dispositivo elettronico, emesso previa ricezione di fondi di valore non inferiore al valore monetario emesso e accettato come mezzo di pagamento da soggetti diversi dall’emittente”. Le direttive disciplinano inoltre l’emissione della moneta elettronica, riservandola alle banche e agli istituti di moneta elettronica, che svolgono esclusivamente tale attività, salvo la possibilità, nei limiti stabiliti dalla Banca d’Italia, di svolgere altresì attività connesse e strumentali, nonché prestare servizi di pagamento (v. scheda Istituti di moneta elettronica).
Suscettibile di provocare prossimi sviluppi nell’ordinamento interno potrebbe poi risultare l’evoluzione, registratasi nel corso della legislatura, dei lavori del Comitato di Basilea per la vigilanza bancaria[102].
Tale Comitato ha in particolare affrontato il tema della regolamentazione dell’adeguatezza patrimoniale degli enti creditizi, proseguendo i lavori sulla revisione dell’Accordo sul capitale delle banche che costituisce, per le autorità, la base per la modifica delle normative nazionali e, per gli intermediari, il riferimento per adeguare processi e strutture aziendali.
In quest’àmbito, nel giugno 2004, è stato raggiunto il nuovo Accordo sul capitale. L’11 ottobre 2005 è stata approvata la corrispondente proposta di direttiva europea, la quale stabilisce che a partire dal 2007 le nuove regole si applicheranno alle banche e alle imprese di investimento che operano nei Paesi dell’Unione. Entro la fine del 2006, gli Stati membri sono tenuti ad introdurre la regolamentazione nazionale necessaria per dare applicazione alla nuova normativa[103].
La nuova disciplina prevede modalità di calcolo dei requisiti patrimoniali a fronte del rischio di credito secondo il metodo fondato sui rating interni.
L’applicazione della disciplina presuppone un elevato grado di convergenza dei criteri operativi e di cooperazione tra autorità, posto che le regole sui requisiti minimi di capitale (primo pilastro) e sul processo di controllo prudenziale (secondo pilastro) dovranno essere applicate sia su base consolidata, sia alle filiazioni presenti in ciascun paese; sarà inoltre necessario un più stretto coordinamento riguardo all’informazione al pubblico da richiedere alle banche (terzo pilastro).
Per quanto concerne, in particolare, il primo pilastro, l’accordo interviene sul metodo standardizzato per il calcolo dei requisiti patrimoniali minimi a fronte del rischio di credito; sul metodo dei rating interni per il calcolo dei requisiti patrimoniali minimi a fronte del rischio di credito; sul trattamento prudenziale delle tecniche per la riduzione del rischio di credito e delle cartolarizzazioni; sul calcolo dei requisiti patrimoniali minimi a fronte del rischio operativo.
Oltre ai provvedimenti sopra richiamati, giova segnalare l’attenzione rivolta nel corso della legislatura al problema dell’accesso al credito da parte delle imprese. In tale ottica possono essere collocate le modifiche intervenute in materia di consorzi di garanzia collettiva dei fidi (Confidi)[104]. Su questa materia è in particolare intervenuto l’articolo 13 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni ,dalla legge n. 326 del 2003 (v. scheda Consorzi di garanzia collettiva dei fidi). La finalità che il legislatore si è prefisso con tale intervento legislativo è stata quella di favorire l’accesso delle piccole e medie imprese al credito attraverso il rafforzamento patrimoniale e la crescita dimensionale dei Confidi. In quest’àmbito si è consentita ai Confidi l’utilizzazione dei modelli di banca di credito cooperativo o di intermediario finanziario. È stato inoltre riformato il meccanismo del Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese, che interviene in via sussidiaria rispetto ai Confidi.
Ancora con finalità di potenziamento del sistema creditizio, considerato come elemento indispensabile per la promozione dello sviluppo economico, con particolare riferimento alle regioni meridionali (che hanno conosciuto una significativa crisi di tale settore), la legge 23 dicembre 2005 n. 266 (legge finanziaria per il 2006) ha previsto l’istituzione di una banca per il Mezzogiorno (v. scheda Banca del Mezzogiorno).
Il comma 4-ter dell’articolo 2 del decreto-legge. 14 marzo 2005 n. 35 (Disposizioni urgenti nell'ambito del Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale), convertito, con modificazioni, dalla legge 14 maggio 2005, n. 80, ha previsto, mediante l’inserimento dell’articolo 7-bis nella legge 30 aprile 1999, n. 130, in tema di cartolarizzazione di crediti, disposizioni volte a consentire alle banche italiane di emettere obbligazioni garantite (covered bond), cioè titoli obbligazionari connotati dalla presenza di una garanzia su specifiche categorie di attività della banca emittente.
Tali strumenti, che si collocano fra i mezzi diretti a favorire un più ampio sviluppo del mercato interno e una maggiore apertura dei mercati, presentano fra l’altro il vantaggio di poter essere utilizzati nelle operazioni di rifinanziamento presso la Banca centrale europea.
Per “covered bond” s’intende, nella prassi dei mercati finanziari, un titolo obbligazionario garantito da specifici attivi creditizi[105]. Per quanto concerne il mercato nazionale, già alla fine del 2000 l’Associazione bancaria italiana (ABI) aveva avviato un progetto finalizzato alla predisposizione di un’iniziativa legislativa volta a introdurre nell’ordinamento italiano un nuovo strumento di raccolta di finanziamenti per le banche, che potesse essere competitivo sul crescente mercato internazionale dei titoli obbligazionari.
La disposizione del decreto-legge n. 35 del 2005 sopra richiamata innesta l’emissione di obbligazioni bancarie garantite sulla disciplina concernente le cartolarizzazioni: l’obbligazioneviene cioè emessa con una procedura simile a quella prevista per le cartolarizzazioni.
In un primo momento la banca cede ad una società-veicolo (costituita in base alle previsioni della legge n. 130 del 1999) un portafoglio di attivi creditizi di specifiche categorie (crediti fondiari e ipotecari, crediti verso pubbliche amministrazioni o da esse garantiti). In un secondo momento, la banca emette sul mercato un prestito obbligazionario, ricevendo apposita garanzia dalla società-veicolo (in questo risiede peraltro la differenza sostanziale rispetto alla disciplina delle cartolarizzazioni, in cui non è la società-veicolo ad emettere i titoli, ma l’istituto di credito).
La norma prevede peraltro che sui crediti e i titoli ceduti dalle banche alla società-veicolo venga posto un vincolo di destinazione al soddisfacimento dei diritti, anche ai sensi dell'articolo 1180 del codice civile, dei portatori delle obbligazioni bancarie garantite. In altre parole tali benicostituiscono un “patrimonio separato” non aggredibile dagli altri creditori della banca.
Vengono poi rimesse a regolamento emanato dal Ministro dell'economia e delle finanze, sentita la Banca d'Italia, le disposizioni di attuazione aventi ad oggetto, in particolare, il rapporto massimo tra le obbligazioni oggetto di garanzia e le attività cedute, la tipologia di tali attività e di quelle, dagli equivalenti profili di rischio, utilizzabili per la loro successiva integrazione, nonché le caratteristiche della garanzia prestata per le emissioni dalla società-veicolo cessionaria.
Ulteriori disposizioni di attuazione sono emanate dalla Banca d’Italia, in conformità a deliberazioni del Comitato interministeriale per il credito e il risparmio (CICR). Sono con esse disciplinati fra l’altro i requisiti delle banche emittenti, i criteri che le banche cedenti adottano per la valutazione dei crediti e dei titoli ceduti e le relative modalità di integrazione, nonché i controlli che le banche effettuano per il rispetto degli obblighi previsti dal presente articolo, anche per il tramite di società di revisione allo scopo incaricate.
Si prevede infine che ogni imposta e tassa sia dovuta considerando le operazioni di cessione alla società-veicolo come non effettuate e i crediti e i titoli che hanno formato oggetto di cessione come iscritti nel bilancio della banca cedente, se per le cessioni è pagato un corrispettivo pari all'ultimo valore d’iscrizione in bilancio dei crediti e dei titoli, e se il finanziamento alla società stessa è concesso o garantito dalla medesima banca cedente.
L’articolo 1, comma 368, lettera c), numero 3), della legge 23 dicembre 2005, n. 266 (legge finanziaria per il 2006) ha esteso le suddette disposizioni, relative alle obbligazioni bancarie garantite, anche ai crediti delle banche nei confronti delle imprese facenti parte dei distretti produttivi. Le condizioni per l'estensione vengono stabilite con il predetto regolamento.
Il decreto-legge 25 settembre 2001, n. 351 del 2001, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 novembre 2001, n. 410, ha introdotto misure per favorire lo sviluppo dei fondi che investono esclusivamente o prevalentemente in beni immobili, diritti reali immobiliari e partecipazioni in società immobiliari, prevedendo, tra le altre cose, anche un regime fiscale favorevole per tali fondi (v. scheda Regime fiscale dei fondi immobiliari).
Con il medesimo provvedimento è stata poi modificata la disciplina dei fondi comuni d’investimento dettata dal testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria (TUF), emanato con decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58.
In particolare, con specifico riferimento ai fondi immobiliari, si è previsto che con regolamento del Ministro dell’economia, adottato sentite la Banca d’Italia e la CONSOB, possa essere consentito ai fondi di effettuare successive emissioni di quote, ovvero rimborsi parziali. La ratio della norma dev’essere individuata nella volontà di limitare il rischio connesso all’investimento in tali fondi.
Ad analogo fine risponde la facoltà, riconosciuta ai fondi immobiliari, di assumere prestiti per importi pari almeno al 60 per cento del valore degli immobili, dei diritti reali immobiliari e delle partecipazioni in società immobiliari, e al 20 per cento del valore degli altri beni.
Inoltre, al medesimo regolamento è stata rimessa l’individuazione delle norme atte ad evitare possibili conflitti d’interessi nei casi di cessione o conferimento di beni al fondo chiuso da parte dei soci della società di gestione o delle società facenti parte del gruppo cui essa appartiene, nonché di cessione dei beni del fondo ai soggetti suddetti, prevedendosi l’intervento di esperti indipendenti e fissandosi comunque un limite percentuale rispetto all’ammontare del patrimonio del fondo[106].
È stato altresì consentito ai fondi medesimi di svolgere operazioni di valorizzazione dei beni da essi posseduti.
La legge 17 agosto 2005, n. 166, ha istituito un sistema di prevenzione delle frodi sulle carte di pagamento, prevedendo la creazione e la consultazione di un archivio informatizzato, in cui saranno registrati i dati relativi all'uso fraudolento delle carte di credito e di debito circolanti. L’archivio viene gestito dall’Ufficio centrale antifrode dei mezzi di pagamento (UCAMP), istituito presso il Ministero dell'economia e delle finanze (Dipartimento del Tesoro - Direzione III), che nell’ambito del sistema comunitario posto a protezione dell’euro dalle falsificazioni, istituito con il regolamento (CE) 1338/2001, funge da ufficio centrale italiano per la raccolta e lo scambio, fra organi competenti, dei dati tecnici e statistici delle falsificazioni individuate nel territorio nazionale.
Nel citato archivio vengono censiti:
a) i dati identificativi dei punti vendita e dei legali rappresentanti degli esercizi commerciali nei cui confronti è stato esercitato il diritto di revoca della convenzione che regola la negoziazione delle carte di pagamento per motivi di sicurezza o per condotte fraudolente denunziate all’autorità giudiziaria;
b) i dati identificativi degli eventuali contratti di rinnovo della convenzione stipulati con gli esercenti di cui alla lettera a);
c) i dati identificativi delle transazioni non riconosciute dai titolari delle carte di pagamento ovvero dagli stessi denunziate all’autorità giudiziaria;
d) i dati identificativi relativi agli sportelli automatici fraudolentemente manomessi.
Si prevede che l’UCAMP possa richiedere alla Banca d’Italia l’accesso all’archivio informatizzato degli assegni e delle carte di pagamento irregolari previsto dall’articolo 10-bis della legge 15 dicembre 1990, n. 386, per la consultazione dei dati relativi alle carte di pagamento rubate o smarrite. La Banca d’Italia può a sua volta chiedere all’UCAMP aggregazioni fra i dati contenuti nell’archivio di cui esso è titolare.
Sono demandate alla normativa di attuazione l’individuazione delle società segnalanti, nonché la definizione delle singole voci da comunicare all’archivio a titolo di dati e di informazioni, delle modalità relative all’accesso ai dati e alle informazioni da parte delle forze di polizia, dei termini e delle modalità secondo cui i dati e le informazioni devono essere gestiti, dei parametri che configurano il rischio di frode, delle modalità di attuazione dello scambio dei dati tra l’UCAMP e la Banca d’Italia.
È previsto che, nell’ambito di tale sistema di prevenzione, operi un gruppo di lavoro, avente funzioni consultive, per la trattazione delle questioni attinenti al settore, la cui composizione e funzionamento saranno definite nella normativa di attuazione.
Le principali modificazioni che nel corso della XIV legislatura hanno interessato la disciplina dell’attività assicurativa – con l’eccezione dell’intervento di codificazione della materia in un corpus normativo unico, di cui si dirà più oltre – sono state determinate dal recepimento delle norme comunitarie riguardanti specificamente questo settore o, più largamente, la regolazione delle attività finanziarie.
Il decreto legislativo 17 aprile 2001, n. 239, ha dato attuazione della direttiva 98/78/CE relativa alla vigilanza supplementare sulle imprese di assicurazione appartenenti ad un gruppo assicurativo. Tale vigilanza supplementare è stata affidata all'Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni private e di interesse collettivo (ISVAP) nei confronti delle imprese di assicurazione aventi sede legale nel territorio italiano che siano:
a) controllanti o partecipanti in almeno un'impresa di assicurazione, in un'impresa di assicurazione avente sede legale in uno Stato terzo o in un'impresa di riassicurazione;
b) controllate da un'impresa di partecipazione assicurativa, da un'impresa di assicurazione avente sede legale in uno Stato terzo o da un'impresa di riassicurazione;
c) controllate da un'impresa di partecipazione assicurativa mista.
La disciplina impone l’instaurazione di procedure di controllo interno e consente all’ISVAP di esercitare la vigilanza informativa e di procedere a ispezioni presso le imprese appartenenti al gruppo. Sono previste specifiche disposizioni per il controllo delle operazioni intragruppo, allo scopo di prevenire effetti negativi per la solvibilità dell'impresa di assicurazione o di pregiudizio agli interessi degli assicurati. Dettagliate disposizioni sono poste per il calcolo della solvibilità corretta; viene inoltre regolata la collaborazione con le autorità di vigilanza degli altri Stati comunitari.
Un passo ulteriore è stato compiuto con il decreto legislativo 30 maggio 2005, n. 142, che ha dato attuazione alla direttiva 2002/87/CE relativa alla vigilanza supplementare sugli enti creditizi, sulle imprese di assicurazione e sulle imprese di investimento appartenenti ad un conglomerato finanziario. Tale direttiva ha inteso realizzare un sistema complessivo di vigilanza sui gruppi di imprese operanti in settori regolamentati diversi, individuando i criteri per coordinare le funzioni di vigilanza afferenti ai diversi ambiti di attività. La vigilanza supplementare sulle imprese regolamentate appartenenti a un conglomerato finanziario ha per scopo la salvaguardia della stabilità del conglomerato nel suo complesso e delle imprese, regolamentate e no, che ne fanno parte, nonché la prevenzione degli effetti destabilizzanti sul sistema finanziario che potrebbero derivare dalle difficoltà finanziarie delle imprese medesime. A quest’effetto sono stabiliti i criteri per l’individuazione del coordinatore, i compiti di esso, i poteri e le procedure di scambio di informazioni fra le diverse autorità di vigilanza, nonché gli specifici obblighi delle imprese in materia di requisiti di adeguatezza patrimoniale, concentrazione dei rischi, procedure interne di controllo, operazioni intragruppo. A ciò è stata pertanto adeguata anche la disciplina nazionale riguardante la vigilanza sulle assicurazioni.
Altre direttive europee recepite riguardano:
§ le procedure di risanamento e liquidazione di imprese assicurative, con misure volte ad assicurare la piena efficacia delle procedure in tutta la Comunità (direttiva 2001/17/CEE, attuata con il D.Lgs. 9 aprile 2003, n. 93);
§ l’assicurazione della responsabilità civile risultante dalla circolazione di autoveicoli, in materia di risarcimento per danni a cose o a persone derivanti da sinistri provocati dall'uso di veicoli, assicurati e stazionanti abitualmente in uno Stato membro, avvenuti in uno Stato membro diverso da quello di residenza (direttiva 2000/26/CE, attuata con D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 190): a quest’effetto è stato istituito presso l’ISVAP un centro d’informazione per la raccolta dei dati necessari ed è stata indicata la Concessionaria servizi assicurativi pubblici - Consap Spa come organismo nazionale d’indennizzo;
§ il calcolo del margine di solvibilità delle imprese di assicurazione e i conseguenti provvedimenti di vigilanza (direttive 2002/12/CE e 2002/13/CE, attuate con D.Lgs. 3 novembre 2003, n. 307).
Questi provvedimenti sono poi confluiti nel codice delle assicurazioni, emanato con il decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209, con il quale è stata contestualmente attuata la direttiva 2002/92/CE sull’intermediazione assicurativa, che ha complessivamente riorganizzato la disciplina europea in base ai princìpi di libertà di stabilimento e libera prestazione dei servizi, di concorrenza e di informazione e tutela dei consumatori.
La disciplina che regola la materia assicurativa è stata ordinata e riorganizzata nel nuovo Codice delle assicurazioni private.
L’articolo 4 della legge 29 luglio 2003, n. 229 (Interventi in materia di qualità della regolazione, riassetto normativo e codificazione - Legge di semplificazione 2001) ha conferito delega legislativa al Governo per il riassetto delle disposizioni in materia di assicurazioni. La delega prevedeva il riordinamento e la codificazione della normativa primaria, con la semplificazione della disciplina e la revisione delle funzioni amministrative, avendo riguardo alla tutela dei consumatori e, in generale, dei contraenti più deboli – sia sotto il profilo della trasparenza, sia nelle attività di liquidazione del danno – e alla salvaguardia della concorrenza; la previsione di speciali requisiti di accesso e di esercizio per le società di mutua assicurazione esonerate dal pieno rispetto delle norme comunitarie, nonché per le imprese di riassicurazione; l’armonizzazione della disciplina delle diverse figure di intermediari assicurativi; la riformulazione dell'apparato sanzionatorio e il riassetto della disciplina dei rapporti fra l'autorità di vigilanza di settore e il Governo, in ordine alle procedure di crisi. Era inoltre prescritto l’adeguamento alle disposizioni comunitarie, per altro già eseguito con il recepimento dei numerosi atti normativi adottati nel tempo dall’Unione europea relativamente all’organizzazione e all’attività delle imprese di assicurazione nonché alla vigilanza pubblica su di esse.
Alla delega è stata data attuazione con il decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209 (Codice delle assicurazioni private), nel quale sono state raccolte le disposizioni concernenti sia la disciplina dei contratti, sia la tutela dei contraenti, sia – soprattutto – i requisiti, l’organizzazione e la solvibilità delle imprese di assicurazione e le connesse funzioni pubbliche di vigilanza, già contenuti in una legislazione speciale complessa e spesso disorganica nella successione degli interventi normativi. Per le sue implicazioni sistematiche, la disciplina del contratto di assicurazione è stata mantenuta nel codice civile (articoli da 1882 a 1932).
Talune disposizioni innovative sono state mutuate dall’esperienza oramai consolidata dei testi unici bancario e dell’intermediazione finanziaria. In particolare, si è esteso l’ambito della regolamentazione secondaria attribuita alla potestà normativa dell’autorità indipendente di settore, l’Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni private e di interesse collettivo (ISVAP).
Con lo stesso provvedimento è stata inoltre recepita la direttiva 2002/92/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 dicembre 2002, sull’intermediazione assicurativa, in base alla delega prevista dall’allegato B alla legge 31 ottobre 2003, n. 306 (Disposizioni per l'adempimento di obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle Comunità europee. Legge comunitaria 2003).
Il decreto legislativo è articolato in diciannove titoli. Sono individuati dapprima i soggetti competenti e i princìpi riguardanti la vigilanza ed è raccolta la disciplina relativa all’accesso all’attività assicurativa e al suo esercizio, comprese le regole sulle riserve tecniche, il margine di solvibilità disponibile e la quota di garanzia, con le disposizioni specifiche relative alle mutue assicuratrici (non soggette alle direttive europee) e alle attività di riassicurazione.
Seguono le disposizioni sugli assetti proprietari e sui gruppi assicurativi, quelle relative alla redazione dei bilanci e delle scritture contabili nonché alla revisione contabile. Si ricorda a questo proposito che a norma del decreto legislativo 28 febbraio 2005, n. 38 [Esercizio delle opzioni previste dall'articolo 5 del regolamento (CE) n. 1606/2002 in materia di princìpi contabili internazionali], a partire dall'esercizio chiuso o in corso al 31 dicembre 2005, le società che esercitano imprese di assicurazione e riassicurazione debbono redigere il bilancio consolidato in conformità ai principi contabili internazionali. Le stesse società, ove non debbano redigere il bilancio consolidato, sono tenute a impiegare i medesimi princìpi contabili per il bilancio d’esercizio, dall’esercizio chiuso o in corso al 31 dicembre 2006, qualora emettano strumenti finanziari ammessi alla negoziazione in mercati regolamentati di qualsiasi Stato membro dell'Unione europea.
Sono altresì riunite in appositi titoli le disposizioni riguardanti l’accesso all’attività di intermediazione d’assicurazione e di riassicurazione, il suo esercizio e le regole di comportamento da osservarsi, nonché le norme in materia di assicurazione obbligatoria per i veicoli a motore e i natanti, e quelle – integrative del codice civile – riguardanti la disciplina dei contratti. Sono inoltre enunziate le regole di trasparenza a tutela dei contraenti e degli assicurati e vengono disciplinati i poteri di vigilanza sulle imprese e sugli intermediari (compresa la vigilanza supplementare sulle imprese appartenenti a gruppi assicurativi), le misure di salvaguardia, risanamento e liquidazione, i sistemi d’indennizzo operanti negli àmbiti coperti da assicurazione obbligatoria. Vengono infine stabilite le sanzioni penali e amministrative per le violazioni, le disposizioni tributarie speciali riguardanti l’attività assicurativa e la disciplina relativa ai contributi di vigilanza.
Tra le disposizioni innovative rispetto all’ordinamento previgente si segnalano:
§ l’attribuzione di competenze normative già spettanti alla legge (determinazione del capitale o fondo di garanzia minimo, degli attivi ammessi a copertura delle riserve tecniche, degli schemi di bilancio, metodi di calcolo per la verifica della solvibilità corretta) alla regolamentazione secondaria dell’autorità di vigilanza;
§ alcune semplificazioni di carattere procedimentale (diminuzione del termine per il procedimento di autorizzazione all’esercizio dell’attività);
§ l’introduzione della disciplina per la vigilanza sui gruppi assicurativi e di alcune disposizioni in materia di amministrazione straordinaria e di liquidazione coatta amministrativa, informate alla disciplina analoga contenuta nei testi unici bancario o dell’intermediazione finanziaria;
§ l’integrazione delle disposizioni in materia di assicurazione obbligatoria per i veicoli (risarcimento del terzo trasportato; introduzione di una procedura di risarcimento diretto, risarcimento da parte del Fondo di garanzia per le vittime della strada per i danni prodotti da veicoli posti in circolazione contro la volontà del proprietario, limitatamente ai danni a persone o cose subìti da terzi non trasportati o trasportati contro la propria volontà);
§ l’introduzione di misure a tutela dei contraenti (possibilità di proporre reclami all’ISVAP nei confronti delle imprese di assicurazione e riassicurazione e di intermediari e periti; inversione dell’onere della prova nei giudizi relativi ai danni cagionati al contraente di un contratto di assicurazione sulla vita), nonché di regole di trasparenza delle operazioni e di protezione dell’assicurato (regole di comportamento delle imprese e degli intermediari, attribuzione all’ISVAP del potere di disciplinare i contenuti della nota informativa, previsione di misure cautelari e interdittive nei casi di violazione).
Il sistema sanzionatorio è interamente riorganizzato, riservandosi la sanzione penale alle fattispecie più gravi (abusivo esercizio dell’attività assicurativa; impedimento all’esercizio delle funzioni di vigilanza). Per le altre fattispecie sono previste sanzioni amministrative pecuniarie ovvero sanzioni disciplinari qualora si tratti di soggetti iscritti in registri o albi. Sono destinatari delle sanzioni amministrative pecuniarie le imprese e gli intermediari, ad eccezione delle sanzioni nominatamente irrogate a persone fisiche per violazione dei doveri nei confronti dell’autorità di vigilanza, e salvo che l’impresa non dimostri che il responsabile ha agito con abuso dei doveri d’ufficio e per trarne personale vantaggio.
Sulla disciplina della vigilanza assicurativa sono intervenute altresì talune disposizioni della legge 28 dicembre 2005, n. 262 (Disposizioni per la tutela del risparmio e la disciplina dei mercati finanziari). Questa ha previsto, fra l’altro:
§ forme di coordinamento e collaborazione fra le autorità di vigilanza operanti nel settore finanziario, tra cui l’ISVAP (articoli 20 e 21);
§ l’intesa tra l’ISVAP e la CONSOB per la determinazione delle informazioni supplementari che debbono essere fornite dalle imprese ai contraenti nel caso di assicurazioni sulla durata della vita umana, di nuzialità o natalità, le cui prestazioni siano collegate con quote di organismi d’investimento collettivo del risparmio, fondi interni, ìndici o altri valori di riferimento (articolo 25, comma 2);
§ l’incremento delle sanzioni penali e amministrative (articolo 39);
§ la delega legislativa per la disciplina dei conflitti d’interessi nella gestione dei patrimoni di prodotti assicurativi (articolo 9).
Nel corso dell’esame del provvedimento, anche sulla base di talune osservazioni formulate durante l’indagine conoscitiva sui rapporti tra il sistema delle imprese, i mercati finanziari e la tutela del risparmio, svolta dalle Commissioni riunite VI (Finanze) e X (Attività produttive) della Camera, congiuntamente con le omologhe Commissioni del Senato, era stata considerata l’ipotesi di una complessiva riorganizzazione del sistema delle autorità, in base al principio della vigilanza per funzioni.
Il riciclaggio bancario e finanziario, denominato in sede internazionale money laundering,consiste in un complesso di operazioni attraverso le quali i proventi derivanti da attività illegali, di natura criminale ovvero connesse con lo svolgimento della normale attività imprenditoriale (occultamento di fondi neri costituiti attraverso pratiche di elusione o evasione fiscale) vengono trasformati in fondi utilizzabili liberamente nei settori legali del risparmio, del consumo o dell’investimento.
Gli interventi legislativi in materia nel corso della XIV legislatura si sono innestati su una disciplina già ampia e articolata, contenuta in particolare nel decreto-legge 3 maggio 1991, n. 143, convertito, con modificazioni, dalla legge 5 luglio 1991, n. 197, poi modificato e integrato dai decreti legislativi 26 maggio 1997, n. 153, e 25 settembre 1999, n. 374. Il decreto derivava dal recepimento della direttiva 91/308/CEE in materia di lotta al riciclaggio.
Tale disciplina prevede un sistema di contrasto del riciclaggio articolato su tre meccanismi fondamentali:
1) la canalizzazione delle transazioni più significative attraverso il sistema degli intermediari finanziari;
2) la rilevazione e la gestione dei dati concernenti le operazioni superiori ad una soglia minima (originariamente stabilita in venti milioni di lire) e l'accensione di conti, depositi e rapporti continuativi, attraverso un apposito archivio unico informatico;
3) l'obbligo di segnalare le operazioni ritenute sospette.
A tal fine, sono posti a carico degli intermediari:
§ obblighi di identificazione e registrazione relativamente alle transazioni, anche se frazionate, per importi superiori ai 12.500 euro, nonché con riguardo alla accensione di conti, depositi ed altri rapporti continuativi;
§ l’obbligo di segnalare le operazioni ritenute sospette.
Per effetto delle modifiche introdotte dal decreto legislativo n. 153 del 1997 sopra richiamato, le segnalazioni ritenute fondate, le quali venivano inviate in precedenza al questore del luogo dell'operazione, devono essere trasmesse, anche in via informatica o telematica, all'Ufficio italiano dei cambi (UIC), da parte del titolare dell'attività o dal legale rappresentante ovvero da un delegato. Il medesimo provvedimento ha introdotto, inoltre, specifiche garanzie di riservatezza circa i soggetti e il contenuto delle segnalazioni.
In base alle modifiche del decreto legislativo n. 153 del 1997 si è pertanto avuta una ripartizione in materia di lotta al riciclaggio tra i compiti di analisi e controllo finanziario, affidati all’UIC, e quelli investigativi e repressivi, attribuiti alla Direzione investigativa antimafia (DIA) e al Nucleo speciale di polizia valutaria della Guardia di finanza.
L’UIC può effettuare approfondimenti sulle segnalazioni ad esso trasmesse dagli intermediari, prima d’inviarle agli organi investigativi. A tale scopo, l'Ufficio può avvalersi dell'Anagrafe dei conti e dei depositi, prevista dalla legge n. 413 del 1991, il cui regolamento istitutivo è stato emanato con decreto del Ministero del tesoro 4 agosto 2000, n. 269. Compiuta l’analisi finanziaria delle segnalazioni, l’UIC le trasmette alla Direzione investigativa antimafia e al Nucleo speciale di polizia valutaria della Guardia di finanza, che ne informano il Procuratore nazionale antimafia qualora attengano alla criminalità organizzata, ovvero, secondo una disposizione introdotta dalla legge n. 388 del 2000, le archivia, informandone gli stessi organi investigativi.
Infine, la legge 23 dicembre 2000, n. 388 (legge finanziaria per il 2001) ha disposto, in attuazione della decisione 2000/642/GAI del Consiglio dell'Unione europea, la costituzione dell'unità di informazione finanziaria, presso l'UIC, con il compito di raccogliere e analizzare le informazioni ricevute allo scopo di individuare i collegamenti tra operazioni finanziarie sospette e attività criminali soggiacenti, così da prevenire e combattere il riciclaggio di denaro. Per agevolare l’esercizio di tali compiti, la Direzione investigativa antimafia e il Nucleo speciale di polizia valutaria della Guardia di finanza forniscono all'UIC le notizie in proprio possesso, che siano necessarie per integrare le informazioni da trasmettere alle autorità di altri Stati con analoghe competenze antiriciclaggio.
Per una sommaria descrizione della dimensione del fenomeno del riciclaggio in Italia, si veda la tabella sottostante, nella quale sono indicate le violazioni degli obblighi di registrazione e identificazione delle operazioni finanziarie accertate negli ultimi anni:
Risultanze in materia di violazioni agli obblighi
previsti dall’articolo 2 del decreto-legge n. 143 del 1991,
rilevate nel corso della complessiva attività della Guardia di finanza
Periodo di riferimento |
Importo complessivo delle violazioni (in euro) |
novembre 2000 – ottobre 2001 |
10.689.702 |
novembre 2001 – ottobre 2002 |
11.166.623 |
novembre 2002 – ottobre 2003 |
7.883.264 |
novembre 2003 – ottobre 2004 |
34.669.945 |
novembre 2004 – ottobre 2005 |
12.984.734 |
Fonte: Relazioni del Ministero dell’economia ai sensi dell’articolo 2, comma 3, del decreto-legge n. 143 del 1991 (doc. LIV) e dati forniti dalla Guardia di finanza
Gli ulteriori sviluppi della normativa in materia nel corso della XIV legislatura sono stati in primo luogo informati all’esigenza di rendere utilizzabili gli strumenti legislativi predisposti per la lotta al riciclaggio anche nell’opera di contrasto del terrorismo internazionale, sotto il profilo finanziario.
In proposito, giova ricordare che l’UIC è stato coinvolto nelle attività del Comitato di sicurezza finanziaria istituito dal decreto-legge 12 ottobre 2001, n. 369, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 dicembre 2001, n. 43, nell'ambito dell'azione contro il terrorismo internazionale, in coordinamento con gli altri Stati e organismi sovranazionali. Infatti, il Comitato è presieduto da un rappresentante del Ministero dell’economia e delle finanze (il Direttore generale del Tesoro), ed è composto da rappresentanti del Ministero degli affari esteri, del Ministero dell’interno, del Ministero della giustizia, della Banca d’Italia, dell’Ufficio italiano dei cambi, della CONSOB, della Guardia di finanza, della Direzione investigativa antimafia, dell’Arma dei carabinieri e della Direzione nazionale antimafia. Il Comitato ha il compito di sorvegliare il funzionamento del sistema di prevenzione e sanzione del finanziamento del terrorismo. Esso è costituito come punto di raccordo fra tutte le amministrazioni e gli enti operanti in questo campo ed è dotato di poteri particolarmente penetranti, fra cui quello di acquisire informazioni in possesso della pubblica amministrazione anche in deroga al segreto d’ufficio.
Al fine poi di rendere applicabile la disciplina antiriciclaggio nella lotta contro il terrorismo, è intervenuto l’articolo 3-ter del decreto-legge 22 febbraio 2002, n. 12 (Misure urgenti in materia di emersione di attività detenute all’estero e di lavoro irregolare), convertito, con modificazioni, dalla legge 23 aprile 2002, n. 73. Tale norma ha infatti esteso anche alla lotta al terrorismo internazionale sul piano finanziario le funzioni attribuite dalla normativa anti-riciclaggio all’UIC e al Nucleo speciale di polizia valutaria della Guardia di finanza.
Per la prevenzione dell’uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio, nel dicembre del 2001 è stata approvata la direttiva 2001/97/CE, che modifica la precedente direttiva 1991/308/CEE. La disciplina amplia il novero dei reati ritenuti presupposto del riciclaggio, introduce misure volte ad assicurare l’identificazione della clientela nelle operazioni a distanza, estende gli obblighi di identificazione e di registrazionedei dati nei confronti di soggetti che, pur non svolgendo attività di natura finanziaria, sono ritenuti esposti a un eventuale coinvolgimento in fatti di riciclaggio (quali, per esempio, i revisori, i notai e altri liberi professionisti legali).
In attuazione della delega conferita dalla legge 3 febbraio 2003, n. 14 (legge comunitaria per il 2002), con il decreto legislativo 20 febbraio 2004, n. 56, è stata recepita la citata direttiva. Il provvedimento estende l’applicazione della disciplina alle società di revisione e ad alcune categorie di liberi professionisti (ragionieri, revisori contabili, dottori commercialisti, notai e avvocati); aggiorna l’indicazione degli intermediari finanziari tenuti agli adempimenti antiriciclaggio per ricomprendervi gli istituti di moneta elettronica; specifica gli obblighi relativi alla pubblica amministrazione e alle società di gestione accentrata di strumenti finanziari, di gestione dei mercati e di gestione dei servizi di liquidazione e dei sistemi di compensazione e garanzia.
In particolare:
§ vengono estesi ai soggetti sopra richiamati gli obblighi di identificazione e conservazione di informazioni e gli obblighi di segnalazione di operazioni sospette già previsti dalla normativa vigente;
§ vengono confermati, per i medesimi soggetti, gli obblighi di identificazione del soggetto che compie la transazione finanziaria;
§ vengono individuati gli intermediari abilitati all’esecuzione dei trasferimenti, di denaro contante, di libretti di deposito bancari o postali al portatore e di titoli al portatore, in valuta italiana o estera, di valore superiore a 12.500 euro;
§ vengono previste forme di collaborazione tra l’UIC e le altre autorità competenti in materia di antiriciclaggio, anche straniere;
§ viene introdotta la possibilità – precedentemente esclusa – di oblazione (ossia di pagamento in misura ridotta a norma dell’articolo 16 della legge 24 novembre 1981, n. 689) per le violazioni meno gravi della legge antiriciclaggio, e vengono innovativamente previste sanzioni pecuniarie minime per le violazioni degli obblighi di limitazione del trasferimento di denaro contante o di titoli al portatore nonché per quelle relative all’omessa segnalazione di operazioni finanziarie sospette;
§ viene stabilito il principio dell’immediata contestazione delle violazioni in materia di riciclaggio da parte della competente autorità amministrativa;
§ viene ridotto da 1.549,37 a 1.000 euro il limite di valore delle giocate oltre il quale i gestori delle case da giuoco sono tenuti agli obblighi di identificazione e registrazione per gli acquisti e i cambi di fiches o di altri mezzi di giuoco.
Sono inoltre previste sanzioni amministrative applicabili ai soggetti che non ottemperano ai vari obblighi informativi previsti dalla normativa. Infine, ancora in funzione antiriciclaggio, viene prescritta l’estinzione obbligatoria a cura del portatore, entro il 31 gennaio 2005, dei libretti bancari e postali al portatore il cui saldo sia superiore al limite di 12.500 euro[107].
Da ultimo, l’articolo 21 della legge 25 gennaio 2006, n. 29 (legge comunitaria 2005) è intervenuto sull’articolo 2, comma 1, del decreto legislativo 20 febbraio 2004, n. 56, al fine di aggiungere un’ulteriore categoria all'elenco dei soggetti, ivi indicati, ai quali si applicano gli obblighi di identificazione e conservazione delle informazioni previsti per la prevenzione del riciclaggio dei proventi di attività illecite. Tali obblighi sono stati estesi anche a ogni altro soggetto che rende i servizi forniti da revisori contabili, periti, consulenti e altri soggetti che svolgono attività in materia di amministrazione, contabilità e tributi.
L’articolo 22 della medesima legge n. 29 del 2006 delega inoltre il Governo a dare attuazione alla direttiva 2005/60/CE, relativa alla prevenzione dell’uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo.
Questa direttiva mira a estendere la vigilanza, fin qui diretta soltanto verso i soggetti che riciclano denaro, alla categoria più ampia dei soggetti che finanziano il terrorismo. Ne consegue l'importanza di nuovi obblighi per l'identificazione, diversi e più complessi di quelli previsti dalla direttiva 1991/308/CEE, che impongono anche l'adeguata verifica dell'identità del cliente e del titolare effettivo sulla base di documenti, dati o informazioni ottenuti da una fonte affidabile e indipendente, unitamente a informazioni sullo scopo e sulla prevista natura del rapporto d'affari. L'obbligo di adeguata verifica della clientela è rafforzato sulla base della valutazione del rischio insito nelle situazioni che per la loro natura possono presentare un rischio più elevato di riciclaggio o finanziamento del terrorismo (concetto di gradualità delle misure). Sussiste inoltre per gli enti creditizi e finanziari la necessità di disporre di sistemi efficaci, anche elettronici, proporzionati alla dimensione e alla natura degli affari, per poter rispondere pienamente e rapidamente alle richieste di informazioni riguardanti gli eventuali rapporti di affari intrattenuti con determinate persone e al connesso obbligo di conservare i dati, i documenti e le informazioni per un determinato periodo, decorrente dalla fine del rapporto di affari o, in altri casi, dall'esecuzione dell'operazione. Innovativa è anche l'attenzione che deve essere posta nell’adempimento degli obblighi di segnalazione con riguardo ad ogni attività sospettata di connessione con il riciclaggio o con il finanziamento del terrorismo. In particolare, dovranno essere osservate le operazioni complesse o di importo insolitamente elevato, nonché tutti gli schemi insoliti di operazioni che non hanno un fine economico evidente o uno scopo chiaramente lecito. Tra le misure di esecuzione, oltre alle verifiche della clientela e alla segnalazione di casi sospetti, sono previste procedure di controllo interno, di valutazione e gestione del rischio e di garanzia dell'osservanza di tutte le disposizioni da parte del personale dipendente dagli enti su cui ricadono gli obblighi di identificazione e di segnalazione.
La delega legislativa per il recepimento, contenuta nel citato articolo 22 della legge n. 29 del 2006, prescrive quindi l’estensione delle misure di prevenzione contro il riciclaggio di denaro al contrasto del finanziamento al terrorismo; la previsione di misure idonee per attuare il congelamento dei fondi e delle risorse economiche, inclusa la possibilità di affidare a un’autorità pubblica l’amministrazione e la gestione delle risorse economiche congelate; l’estensione delle disposizioni della direttiva ai soggetti compresi nella normativa italiana antiriciclaggio; il mantenimento delle più rigide disposizioni nazionali in materia di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo.
Sul decreto legislativo n. 56 del 2004 è quindi intervenuto l’articolo 5-sexies del decreto-legge 31 gennaio 2005, n. 7, convertito, con modificazioni, dalla legge 31 marzo 2005, n. 43, che ha differito al 15 gennaio 2008, nei confronti delle case da giuoco a controllo pubblico, l’applicazione della disciplina in materia di prevenzione dell’uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività illecite.
In materia di riciclaggio vertono infine alcune disposizioni contenute nella legge 23 dicembre 2005 n. 266 (legge finanziaria per il 2006): in particolare, il comma 385 dell’articolo 1 destina al Fondo per la prevenzione dell’usura, previsto dall’articolo 15 della legge 7 marzo 1996, n. 108, i proventi di una serie di sanzioni, tra cui sono comprese anche le sanzioni previste dall’articolo 7 del decreto legislativo n. 56 del 2004. Inoltre, il comma 387 del medesimo articolo 1 consente che l’esercizio delle funzioni attribuite al Ministero dell’economia e delle finanze in materia di sanzioni antiriciclaggio, riscossione delle medesime e contenzioso possano essere delegate dalla Direzione V del Dipartimento del Tesoro del Ministero dell’economia e delle finanze, a cui fanno capo, alle direzioni provinciali dei servizi vari.
Fra gli interventi di carattere tributario adottati in materia agricola possono richiamarsi in generale alcune disposizioni contenute nel D.Lgs. 18 maggio 2001, n. 228 (Orientamento e modernizzazione del settore agricolo), che hanno specificato la qualificazione delle società come imprenditori agricoli (art. 10) e confermato la spettanza delle agevolazioni tributarie e creditizie ai soci di società di persone esercenti attività agricole, in possesso della qualifica di coltivatore diretto o di imprenditore agricolo a titolo principale (art. 9). Successivamente, l’articolo 2, comma 4, del D.Lgs. 29 marzo 2004, n. 99 (Disposizioni in materia di soggetti e attività, integrità aziendale e semplificazione amministrativa in agricoltura) ha esteso alle società di persone, cooperative e di capitali, che esercitino attività agricola e di cui facciano parte imprenditori agricoli professionali le agevolazioni previste in favore dei coltivatori diretti in materia di imposte indirette, unitamente ad altre agevolazioni fiscali in materia agricola.
In materia di disciplina fiscale dell’impresa agricola è intervenuto altresì l’articolo 2, comma 6, della legge 24 dicembre 2003, n. 350 (legge finanziaria per il 2004), che ha modificato il regime fiscale delle attività agricole, per quanto riguarda le imposte dirette, al fine di renderlo coerente con le modifiche introdotte dal citato D.Lgs. n. 228 del 2001, n. 228, e con la definizione di imprenditore agricolo (articolo 2135 cod. civ.) e di attività agricole.
L’articolo 2, comma 6, lettera a), della legge n. 350 del 2003 ha innanzitutto modificato l’articolo 32 del testo unico delle imposte sui redditi (TUIR), contenente i criteri per la determinazione del reddito agrario[108] e la definizione delle attività agricole. La modifica apportata ha ampliato la definizione di attività agricole connesse ricomprendendovi le attività dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione, ancorché non svolte sul terreno, di prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall’allevamento di animali[109].
Lo stesso articolo (lettera b) del comma 6) ha riformato il trattamento fiscale delle attività agricole che non rientrano nei limiti quantitativi posti dall’articolo 32 del TUIR. Tali attività – che, anche se non organizzate in forma di impresa, erano in precedenza soggette a tassazione ordinaria, per la parte corrispondente all’eccedenza – sono ora considerate produttive di reddito d’impresa. La disposizione ha introdotto nel TUIR un nuovo articolo 56-bis, il quale disciplina un sistema di tassazione forfetaria per i redditi che eccedono i suddetti limiti. Il regime forfetario può essere applicato esclusivamente agli imprenditori individuali e agli enti non commerciali residenti nel territorio dello Stato e il contribuente ha facoltà di non avvalersi del regime stesso. I criteri di determinazione forfetaria del reddito si applicano anche per la determinazione del reddito derivante dall’attività di impresa non esercitata abitualmente, nel caso in cui l’attività stessa sia connessa con l’attività agricola ed ecceda i predetti limiti quantitativi (articolo 71, comma 2-bis, del TUIR, introdotto dall’articolo 2 della legge n. 350 del 2003).
Tra le misure agevolative può richiamarsi in particolare l’estensione del credito d’imposta per nuovi investimenti alle imprese agricole che effettuano, in tutto il territorio nazionale, nuovi investimenti, nelle forme ammesse dall’ordinamento comunitario, nel settore della produzione, commercializzazione e trasformazione dei prodotti agricoli (D.L. 8 luglio 2002, n. 138, art. 11).
In materia di imposizione indiretta, l’articolo 10, comma 1, lettera b), del D.L. 14 marzo 2005, n. 35, relativamente all’imposta sul valore aggiunto, ha definitivamente esteso ai produttori agricoli che nel corso dell'anno solare precedente abbiano realizzato un volume d'affari superiore a quaranta milioni di lire (euro 20.658,28) l’applicazione del regime speciale forfetario, che era stata per altro sempre prorogata fin dal 1998 (da ultimo per l’intero anno 2005 dalla L. 30 dicembre 2004, n. 311, art. 1, co. 506). Lo stesso articolo 10 ha apportato altre modificazioni al predetto regime speciale e, al comma 3, ha disposto la rideterminazione delle percentuali di compensazione, al fine di assicurare maggiori entrate pari a 20 milioni di euro annui[110]. L’articolo 2, comma 7, della L. 24 dicembre 2003, n. 350, ha altresì consentito l’applicazione del medesimo regime di determinazione dell’IVA alle attività connesse a quelle agricole (manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione che abbiano ad oggetto prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall'allevamento di animali) nonché alle attività di fornitura di beni e servizi con risorse dell’azienda agricola.
Fra le misure volte a favorire la formazione e l’ampliamento dell’azienda agricola si richiama l’esenzione da imposte di registro, ipotecaria, catastale, di bollo e di ogni altro genere, disposta in favore dei trasferimenti di terreni agricoli a coltivatori diretti e ad imprenditori agricoli a titolo principale in zone montane dall’articolo 52, comma 21, della L. 28 dicembre 2001, n. 448.
Infine, per quanto riguarda l’imposta regionale sulle attività produttive (IRAP), si ricorda la riduzione dell’aliquota transitoria per i soggetti operanti nel settore agricolo e per le cooperative della piccola pesca (portata dal 2,5 all’1,9 per cento dall’articolo 9, comma 7, della L. 28 dicembre 2001, n. 448): tale regime transitorio è stato da ultimo prorogato al 31 dicembre 2005 dall’articolo 1, comma 118, della L. 23 dicembre 2005, n. 266.
Durante la XIV legislatura si sono registrati interventi in materia di società cooperative, sia per quanto riguarda la disciplina civilistica, sia per quanto riguarda quella fiscale.
L’articolo 5 della legge 3 ottobre 2001, n. 366 (Delega al Governo per la riforma del diritto societario) ha previsto i criteri per la riforma della disciplina civilistica, richiedendo fra l’altro la definizione della cooperazione costituzionalmente riconosciuta e riservando ad essa l'applicazione delle disposizioni fiscali di carattere agevolativo. La modifica delle disposizioni del codice civile è stata attuata con il decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 6 (si veda il capitolo sulla riforma del diritto societario). In tale ambito, il nuovo articolo 223-duodecies delle disposizioni per l’attuazione del codice civile e disposizioni transitorie stabilisce che le agevolazioni fiscali previste da leggi speciali si applicano esclusivamente alle società cooperative a mutualità prevalente, come definite dall’articolo 2512 del codice civile[111].
Per quanto riguarda il diritto tributario, le società cooperative erano soggette all’imposta sul reddito delle persone giuridiche (IRPEG), che – con la riforma dell’imposizione sulle persone giuridiche attuata dal D.Lgs. 12 dicembre 2003, n. 344 – è stata sostituita dall’imposta sul reddito delle società (IRES): pertanto, la nuova disciplina (v. capitolo Le imposte dirette) si applica anche alle società cooperative.
Disposizioni specifiche sul trattamento fiscale di questo tipo di società sono state introdotte dall’articolo 6 del D.L. 15 aprile 2002, n. 63, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 giugno 2002, n. 112, e successivamente dall’articolo 1, commi 460-466, della legge 30 dicembre 2004, n. 311 (legge finanziaria per il 2005).
Il citato D.L. n. 63 del 2002 ha previsto le seguenti misure a carattere definitivo:
§ conferma dell’esenzione dalle imposte dirette per la quota di utili netti destinati a riserva minima obbligatoria;
§ non concorrenza dei ristorni[112], se destinati ad aumento di capitale, alla formazione del reddito imponibile e del valore della produzione netta ai fini dell’IRAP, e assoggettamento degli stessi, al momento della distribuzione, all’imposta sostitutiva del 12,50 per cento;
§ applicazione di una ritenuta a titolo d’imposta[113], nella misura del 12,50 per cento, sugli interessi corrisposti dalle società cooperative e loro consorzi ai propri soci persone fisiche, in relazione a finanziamenti che rientrano in determinati limiti.
Lo stesso decreto-legge ha inoltre dettato misure a carattere transitorio, “in attesa di un più compiuto riordino del trattamento tributario delle società cooperative e loro consorzi”, in coerenza con quanto stabilito dalla citata legge di delega n. 366 del 2001.
Tali misure transitorie, applicabili per i due periodi d'imposta successivi a quello in corso al 31 dicembre 2001, consistevano:
§ nel parziale assoggettamento a tassazione degli utili delle società cooperative e dei loro consorzi destinati a riserva indivisibile[114];
§ nella limitazione delle agevolazioni fiscali previste dagli articoli 10 e 11 del D.P.R. n. 601 del 1973, in favore, rispettivamente, delle cooperative agricole e della piccola pesca e delle cooperative di produzione e di lavoro[115].
Le misure transitorie sopra ricordate non si applicano alle cooperative sociali previste dalla legge n. 381 del 1991.
Successivamente l’articolo 1, commi da 460 a 466, della legge 30 dicembre 2004, n. 311 (legge finanziaria per il 2005), è intervenuto sulla stessa materia introducendo misure definitive (applicabili a decorrere dai periodi d’imposta successivi a quello in corso al 31 dicembre 2003[116]) analoghe a quelle di carattere transitorio contenute nel D.L. n. 63 del 2002.
La citata legge n. 311 del 2004 prende atto della distinzione tra cooperative a mutualità prevalente e cooperative diverse da queste, introdotta dalla riforma del diritto societario. Per la prima categoria conferma, in misura più favorevole al contribuente[117], il parziale assoggettamento a tassazione degli utili destinati a riserva indivisibile. Conferma inoltre, negli stessi termini, la limitazione delle agevolazioni fiscali concesse dagli articoli 10 e 11 del D.P.R. n. 601 del 1973.
Gli utili destinati a riserva indivisibile delle società cooperative e loro consorzi, diverse da quelle a mutualità prevalente, sono assoggettati a tassazione in misura superiore[118] rispetto agli utili delle società rientranti nella prima categoria.
Le disposizioni sopra illustrate, come quelle del D.L. n. 63 del 2002, non si applicano alle cooperative sociali disciplinate dalla legge n. 381 del 1991.
È stato infine posto un limite alla deducibilità degli interessi passivi corrisposti dalle società cooperative e loro consorzi sulle somme versate dai soci persone fisiche[119].
Con gli articoli da 6 a 10 del D.L. 25 settembre 2001, n. 351[120], è stato determinato il regime tributario dei fondi comuni d’investimento immobiliare, agli effetti delle imposte sui redditi e dell’imposta sul valore aggiunto.
Tali fondi non sono soggetti alle imposte sui redditi e all'imposta regionale sulle attività produttive (IRAP), mentre le ritenute operate sui redditi di capitale sono a titolo d'imposta. Non si applicano in ogni caso le ritenute riferite agli interessi dei conti correnti, depositi, certificati di deposito e buoni fruttiferi e agli interessi o proventi di taluni strumenti, operazioni finanziarie e organismi di investimento collettivo del risparmio. Alle cessioni e ai conferimenti ai suddetti fondi si applicano le norme antielusive previste dall'articolo 37-bis del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600.
Correlativamente, sono assoggettati a tassazione i redditi percepiti dall'investitore, mediante applicazione di una ritenuta del 12,5 per cento da parte della società di gestione. La ritenuta è calcolata sull'ammontare dei proventi riferibili a ciascuna quota risultanti dai rendiconti periodici e sulla differenza fra il valore di liquidazione o riscatto e il costo di acquisto o sottoscrizione; essa è operata a titolo di acconto nei confronti degli imprenditori individuali (se le partecipazioni sono relative all'impresa commerciale), delle società di persone commerciali, delle società di capitali ed enti commerciali residenti, delle stabili organizzazioni in Italia di società non residenti; negli altri casi è operata a titolo d’imposta. Per gli organismi d’investimento collettivo del risparmio (compresi gli stessi fondi immobiliari) e i fondi pensione, il reddito è incluso nel loro risultato di gestione imponibile. Per conseguenza, agli investitori non spettano crediti d’imposta. Speciali disposizioni regolano l’applicazione della ritenuta nel caso in cui le quote dei fondi siano immesse in un sistema di deposito accentrato. La nuova disciplina tende quindi a evitare il fenomeno della doppia imposizione trasferendo la tassazione al momento della percezione del reddito da parte dell’investitore.
Per quanto riguarda l’imposta sul valore aggiunto, la società di gestione è dichiarata soggetto passivo per le cessioni di beni e le prestazioni di servizi relative alle operazioni dei fondi immobiliari da essa istituiti. L'imposta è determinata e liquidata separatamente dall'imposta dovuta per l'attività della società ed è applicata distintamente per ciascun fondo (sulla base di contabilità separate). Una speciale disciplina sui rimborsi – con facoltà di ricorrere alternativamente alla compensazione o alla cessione del credito d’imposta – è prevista al fine di evitare la formazione di crediti d’ingente ammontare difficilmente recuperabili. Gli apporti costituiti da una pluralità di immobili prevalentemente locati al momento dell'apporto sono assimilati ai conferimenti di aziende o rami d'azienda, sia agli effetti dell’IVA, da cui rimangono esenti, sia agli effetti delle imposte di registro, ipotecaria e catastale, dovute in misura fissa.
Sono stati infine esclusi dall’obbligo di registrazione gli atti relativi all’istituzione di fondi comuni d’investimento immobiliare, alla sottoscrizione e al rimborso delle quote, anche in sede di liquidazione, e all’emissione ed estinzione dei relativi certificati. Per gli atti comportanti l'alienazione di immobili dello Stato, di enti previdenziali pubblici, di regioni, di enti locali o loro consorzi, nei quali i fondi intervengono come parte acquirente, le imposte di registro, ipotecarie e catastali sono dovute nella misura fissa di un milione di lire (euro 516,46) per ciascuna imposta.
Con il decreto legislativo 5 dicembre 2005, n. 252 (Riforma delle forme pensionistiche complementari), emanato in attuazione della delega legislativa conferita dalla legge 23 agosto 2004, n. 243, è stato riordinato il sistema della previdenza complementare, anche con riferimento al trattamento fiscale. Le nuove disposizioni entreranno in vigore il 1° gennaio 2008: pertanto, fino a tale data il trattamento fiscale della previdenza complementare continuerà ad essere disciplinato dalla normativa previgente, riformata, da ultimo, nella XIII legislatura con il decreto legislativo 18 febbraio 2000, n. 47[121].
I principali aspetti di carattere tributario sui quali è intervenuto il citato D.Lgs. n. 252 del 2005 sono:
§ modifica dei limiti alla deducibilità fiscale della contribuzione alle forme pensionistiche complementari.
Ai sensi dell’articolo 8, comma 4, del D.Lgs. n. 252 del 2005, i contributi, sia volontari sia obbligatori, saranno deducibili dal reddito complessivo per un importo non superiore a 5.164,57 euro. La vigente disciplina, entro tale importo fisso che costituisce il limite massimo di deducibilità, stabilisce anche un limite percentuale (12 per cento del reddito complessivo) e, per i lavoratori dipendenti, un ulteriore limite pari al doppio della quota di trattamento di fine rapporto (TFR) destinata alle forme pensionistiche complementari[122].
La nuova disciplina (art. 10, co. 1) eleva altresì al 4 per cento (6 per cento per le imprese con meno di 50 addetti) la quota dell’ammontare del TFR annualmente destinato a forme pensionistiche complementari deducibile dal reddito d’impresa, a fronte di un limite attualmente fissato nella misura del 3 per cento[123].
§ modifica delle modalità di tassazione delle prestazioni pensionistiche complementari.
Secondo l’articolo 11, comma 6, del D.Lgs. n. 252 del 2005, indipendentemente dalla forma di erogazione (periodica o capitale), alle prestazioni si applicherà una ritenuta a titolo d’imposta nella misura del 15 per cento, ridotta di 0,30 punti percentuali per ogni anno di partecipazione alla forma pensionistica compreso tra il sedicesimo e il trentacinquesimo. Dalla base imponibile dovranno essere dedotti i redditi già assoggettati a imposta e, per le prestazioni periodiche, anche i redditi derivanti dai rendimenti delle prestazioni stesse, se determinabili[124].
Ai sensi della disciplina attualmente vigente, le prestazioni erogate in forma periodica sono soggette a tassazione ordinaria e concorrono alla formazione del reddito imponibile, al netto dei redditi già assoggettati a tassazione e di quelli derivanti dai rendimenti delle prestazioni stesse, se determinabili[125]. Le prestazioni erogate in forma di capitale sono invece assoggettate a tassazione separata, così come il trattamento di fine rapporto[126].
§ conferma dell’applicazione di un’imposta sostitutiva, nella misura dell’11 per cento, ai redditi conseguiti dai fondi pensione[127].
L’articolo 17 del D.Lgs. n. 252 del 2005 dispone l’applicazione di un’imposta sostitutiva, con l’aliquota dell’11 per cento, sul risultato netto di ciascun esercizio, come già previsto dalla disciplina precedente[128].
L’articolo 1, commi da 337 a 340, della legge 23 dicembre 2005, n. 266 (legge finanziaria per il 2006) ha istituito un apposito Fondo in cui far confluire una quota pari al 5 per mille dell'imposta sul reddito delle persone fisiche, da destinare al perseguimento delle seguenti finalità:
§ sostegno del volontariato e delle altre organizzazioni non lucrative di utilità sociale (ONLUS), delle associazioni di promozione sociale iscritte nei registri nazionale, regionale e provinciale, delle associazioni e fondazioni riconosciute che operano in determinati settori[129];
§ finanziamento della ricerca scientifica e dell'università;
§ finanziamento della ricerca sanitaria;
§ attività sociali svolte dal comune di residenza del contribuente.
In base al testo della legge finanziaria, la destinazione dell’5 per mille è limitata all’anno 2006[130] ed è a titolo iniziale e sperimentale.
La destinazione del 5 per mille è aggiuntiva rispetto alla destinazione dell'8 per mille a scopi di interesse sociale o di carattere umanitario, a diretta gestione statale, e di carattere religioso, a diretta gestione della Chiesa cattolica, prevista dall’articolo 47 della legge 20 maggio 1985, n. 222[131].
L’articolo 1, commi da 499 a 509, della legge 23 dicembre 2005, n. 266 (legge finanziaria per il 2006), ha introdotto l'istituto della programmazione fiscale, che sostituisce la pianificazione fiscale concordata, disciplinata dall’articolo 1, commi da 387 a 398, della legge 30 dicembre 2004, n. 311 (legge finanziaria per il 2005), abrogati dal successivo comma 519.
La programmazione fiscale copre il triennio 2006-2008 e riguarda, con alcune esclusioni, i titolari di redditi d'impresa e di lavoro autonomo (esercenti arti e professioni) cui si applicano gli studi di settore[132] o, in mancanza, i parametri[133] per il periodo d’imposta in corso al 1° gennaio 2004. Non sono tuttavia ammessi alla programmazione fiscale i soggetti per i quali sussistano cause di esclusione o di inapplicabilità degli studi di settore o dei parametri, ovvero che svolgono dal 1° gennaio 2005 un’attività diversa da quella esercitata nell’anno 2004; non sono altresì ammessi coloro che abbiano omesso di presentare la dichiarazione dei redditi o la dichiarazione ai fini dell’imposta sul valore aggiunto per il 2004, ovvero che abbiano presentato una dichiarazione con dati insufficienti per l’elaborazione della proposta individuale di programmazione, o infine che abbiano omesso di comunicare i dati rilevanti per l’applicazione degli studi di settore o dei parametri. L’eventuale notifica di taluni atti relativi al procedimento di accertamento delle imposte sui redditi, dell’IVA o dell’IRAP[134] non determina l’esclusione del contribuente, ma pone a suo carico l’onere di richiedere la formulazione di una proposta di programmazione.
L’individuazione delle singole categorie di contribuenti, nei cui riguardi trova progressivamente applicazione, nel corso del triennio, la programmazione fiscale, è rimessa a decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, che può altresì rideterminare i periodi d’imposta a tal fine rilevanti.
L'Agenzia delle entrate, sulla base di elaborazioni operate dall’anagrafe tributaria, determina preventivamente, per ciascun contribuente, la base imponibile caratteristica dell’attività svolta per il triennio interessato, con esclusione degli eventuali componenti positivi o negativi di reddito di carattere straordinario, e su questa base formula la propria proposta. L’adesione del contribuente alla programmazione fiscale si perfeziona, ferma restando la congruità dei ricavi o dei compensi alle risultanze degli studi di settore o dei parametri per ciascun periodo d’imposta, con l’accettazione degli importi proposti. La proposta, eventualmente definita in contraddittorio con il contribuente (nel solo caso in cui questi documenti l’erroneità dei dati contabili e strutturali presi a base), può essere accettata dal contribuente entro il 16 ottobre 2006. L’efficacia dell’adesione viene meno qualora nel corso del triennio varii l’attività effettivamente esercitata, con effetto dal periodo d’imposta nel corso del quale si verifichi la variazione.
L’adesione alla programmazione fiscale determina innanzitutto in via preventiva, per un triennio, la base imponibile caratteristica dell’attività svolta, comportando, nel contempo, la riduzione dell’imposizione fiscale e contributiva per gli importi eccedenti la base imponibile programmata. In particolare, sono ridotte di 4 punti le aliquote IRPEF (esclusa l’aliquota minima) e IRES, mentre l’IRAP e i contributi previdenziali si applicano esclusivamente per la parte di base imponibile programmata. Agli effetti dell’IVA, il contribuente assolve ordinariamente a tutti gli obblighi formali e sostanziali; all’ammontare degli eventuali maggiori ricavi o compensi da dichiarare rispetto a quelli risultanti dalle scritture contabili si applica, tenendo conto dell’esistenza di operazioni non soggette ad imposta ovvero soggette a regimi speciali, l’aliquota media risultante dal rapporto tra l’imposta relativa alle operazioni imponibili, diminuita di quella relativa alle cessioni di beni ammortizzabili, e il volume d’affari dichiarato.
Rimangono conseguentemente inibiti alcuni poteri di accertamento e di rettifica dell’amministrazione finanziaria, limitatamente alla base imponibile caratteristica dei redditi d’impresa e di lavoro autonomo. In caso di divergenza tra gli importi risultanti dalle dichiarazioni e quelli oggetto di programmazione, ovvero di mancato adeguamento agli studi di settore o ai parametri, è previsto l’accertamento parziale in ragione del reddito oggetto della programmazione nonché, per l’imposta sul valore aggiunto, in ragione del volume d’affari corrispondente ai ricavi o compensi caratteristici a base della stessa.
In caso di inadempimento degli obblighi inerenti all’istituto da parte del contribuente, ritornano applicabili, per il periodo d’imposta in cui ciò si sia verificato, alcuni poteri di accertamento e rettifica. Ove siano constatati taluni reati tributari, viene meno ogni limitazione a tali poteri. Qualora siano constatate difformità o violazioni riferite al periodo d’imposta 2004, ovvero relative ai dati ed elementi comunicati dal contribuente e presi a base della proposta formulata dall’amministrazione finanziaria, il contribuente decade dai benefìci per l’intero triennio.
A norma dei successivi commi da 510 a 518, contestualmente alla proposta per la programmazione ne viene presentata anche una per la definizione del biennio 2003-2004, relativamente alle dichiarazioni presentate entro il 31 ottobre 2005. Tale proposta di adeguamento è valida ai fini dell'imposta sui redditi (limitatamente ai redditi d’impresa e di lavoro autonomo), dell'IVA e dell'IRAP. Essa prevede l'applicazione di un'imposta sostitutiva sui maggiori ricavi o compensi indicati nella proposta di adeguamento dall'Agenzia delle entrate e il pagamento dell’IVA sui medesimi con l’aliquota media appositamente calcolata. Il versamento degli importi così definiti (non inferiori a 3.000 euro per le società di capitali e a 1.500 euro per gli altri soggetti) dev’essere effettuato entro il 16 ottobre del primo anno di applicazione della programmazione fiscale. Per importi elevati è ammesso il versamento rateale.
L'articolo 3 del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248, ha disposto la riforma del sistema nazionale di riscossione dei tributi, con la soppressione del sistema di affidamento in concessione a privati e l'attribuzione del servizio ad una società di nuova costituzione comunque a maggioranza pubblica.
La legge n. 337 del 1998 aveva conferito al Governo delega legislativa per il riordino della disciplina relativa alla riscossione in base ai seguenti princìpi:
§ limitazione dell'attività dei concessionari, quanto ai tributi erariali, alla riscossione mediante ruolo, correlativamente alla previsione di ampliamento della facoltà di ricorso ai servizi dei concessionari da parte degli enti locali;
§ affidamento della riscossione mediante ruolo delle entrate proprie dello Stato, degli enti territoriali minori e degli enti pubblici, anche previdenziali, ai concessionari; fissazione della durata massima delle concessioni in dieci anni, e previsione dell’esercizio dell’attività mediante società per azioni aventi specifici requisiti di professionalità, tecnici e finanziari;
§ riconoscimento alle predette società, in via parallela o collaterale al servizio di riscossione, della facoltà di svolgere ulteriori attività economiche, quali il supporto delle attività tributarie e di gestione patrimoniale degli enti diversi dallo Stato;
§ previsione della possibilità, per le società concessionarie, di esercitare l'attività di recupero crediti secondo le ordinarie procedure civilistiche;
§ facoltà di versamento diretto dei tributi da parte dei contribuenti anche mediante delega ai concessionari, al fine di aumentare i canali di riscossione per favorire gli adempimenti degli stessi contribuenti;
§ possibilità, per gli enti diversi dallo Stato, di affidare ai concessionari la riscossione di tutte le proprie entrate, anche di natura non tributaria, mediante procedure ad evidenza pubblica;
§ abrogazione dell'istituto del cosiddetto «obbligo del non riscosso per riscosso», al fine di evitare di far gravare sui concessionari gli oneri finanziari connessi all'obbligo di anticipazione;
§ ridefinizione degli ambiti territoriali da affidare alla competenza dei singoli concessionari, secondo il criterio dell'estensione almeno provinciale;
§ nuova regolamentazione dei meccanismi di retribuzione del servizio di riscossione, in base a criteri definiti, come il collegamento del corrispettivo a parametri definiti;
§ introduzione di un meccanismo di salvaguardia del risultato economico delle singole gestioni dell'ultimo biennio precedente, tenendo conto dei maggiori ricavi della riscossione mediante ruolo e dei minori costi di gestione derivanti dall'applicazione della nuova disciplina della riscossione;
§ obbligo, per i concessionari, di utilizzare sistemi informativi collegati fra loro e con quelli dell'amministrazione finanziaria e procedure informatiche uniformi per l'espletamento degli adempimenti amministrativo-contabili contemplati dalla legge;
§ revisione delle sanzioni amministrative a carico dei concessionari, anche al fine di potenziarne l'efficacia deterrente per le violazioni diverse dagli omessi o tardivi versamenti.
La delega è stata attuata con i seguenti decreti legislativi:
§ il D.Lgs. 22 febbraio 1999, n. 37, ha introdotto i versamenti mediante delega al concessionario ed eliminato l’obbligo del non riscosso per riscosso;
§ il D.Lgs. 26 febbraio 1999, n. 46, novellando il decreto del Presidente della Repubblica n. 602 del 1973, ha provveduto al riordino della disciplina della riscossione mediante ruolo, tra l'altro sostituendo la qualifica di «esattore» con quella di «concessionario»;
§ il D.Lgs. 13 aprile 1999, n. 112, ha provveduto al riordino complessivo del servizio nazionale della riscossione, prevedendo altresì, all'articolo 57[135], che il servizio della riscossione rimanesse affidato fino al 31 dicembre 2004 (termine prorogato al 31 dicembre 2006 dal comma 427 dell'articolo 1 della legge n. 311 del 2004) ai soggetti che alla data del 1° luglio 1999 lo gestivano in qualità di commissari governativi.
I decreti legislativi n. 326 del 1999 e n. 193 del 2001 hanno dettato disposizioni integrative e correttive.
In materia di compensi ai concessionari della riscossione, l'articolo 17 del D.Lgs. n. 112 del 1999 aveva stabilito che essi fossero determinati in base ad una percentuale (aggio) da applicare alle somme iscritte a ruolo ed effettivamente riscosse. L’importo complessivo dell’aggio doveva essere ripartito tra il debitore e l’ente creditore, in modo che la quota a carico del contribuente non fosse superiore al 4,65 per cento della somma iscritta a ruolo. La definizione della misura dell’aggio e delle modalità di erogazione per i ruoli emessi da uffici statali era rimessa a decreti del Ministro dell’economia e delle finanze[136] dovevano essere definiti la misura dell'aggio e le modalità della sua erogazione per i ruoli emessi da uffici statali (mentre per gli altri ruoli l'aggio viene trattenuto dal concessionario all'atto del riversamento delle somme riscosse all'ente impositore).
Tuttavia, accanto a questa disciplina hanno trovato attuazione disposizioni transitorie specificamente previste per ciascuno degli anni interessati.
In particolare, l’articolo 3 del decreto-legge n. 138 del 2002 ha previsto una disciplina transitoria per gli anni 2002 e 2003 (la quale abrogava e sostituiva una disciplina transitoria precedentemente disciplinata dal decreto-legge n. 452 del 2001), stabilendo che, per il biennio 2002-2003, la remunerazione spettante ai concessionari fosse composta da un’indennità fissa (370 milioni di euro per il 2002 e a 335 milioni di euro per il 2003), e da un’indennità variabile, in misura correlata al conseguimento di obiettivi minimi, consistenti in una maggiore riscossione rispetto al 2001 pari a 520 milioni di euro nel 2002 e a 1.040 milioni di euro nel 2003; il mancato conseguimento comportava una penalizzazione. Successivamente l’articolo 3 del decreto-legge n. 143 del 2003 ha introdotto un’ulteriore disposizione transitoria, determinando la nuova misura dei compensi per l’anno 2003 in 550 milioni di euro, in sostituzione sia delle suddette indennità fisse e variabili, sia dell’aggio previsto in caso di definizione agevolata dei carichi di ruolo a norma dell’articolo 12, comma 2, della legge 27 dicembre 2002, n. 289.
Infine, l'articolo 4, comma 118, della legge 24 dicembre 2003, n. 350 (legge finanziaria per il 2004) ha previsto la remunerazione forfetaria dei concessionari e dei commissari della riscossione per l’anno 2004 (poi estesa agli anni 2005 e 2006 dall’art. 3, co. 37, del D.L. n. 203 del 2005), destinandovi un importo pari a 470 milioni di euro, in luogo dell'aggio per i ruoli emessi da uffici statali e di quello dovuto per la definizione agevolata dei carichi di ruolo.
La riforma delineata dall’articolo 3 del decreto-legge n. 203 del 2005 origina da una valutazione complessivamente negativa circa l’efficienza dell’esistente sistema di riscossione, che – secondo le stime ministeriali – avrebbe realizzato nel triennio 2000-2002 la riscossione effettiva di importi pari al 7,5 per cento dell’ammontare netto riscuotibile dei ruoli (3 miliardi di euro su 40 miliardi), a fronte di una spesa annua di circa 600 milioni di euro[137].
La nuova disciplina prevede la soppressione del vigente sistema di affidamento in concessione del servizio nazionale della riscossione dei tributi, a decorrere dal 1° ottobre 2006 e l'attribuzione delle funzioni relative alla riscossione nazionale all'Agenzia delle entrate, che le esercita tramite una nuova società, denominata "Riscossione Spa"[138], costituita dall'Agenzia predetta unitamente all'Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS), con un capitale di 150 milioni di euro[139]; la partecipazione pubblica al capitale, anche dopo l’ingresso di soci privati secondo quanto esposto di seguito, non potrà mai essere inferiore al 51 per cento; la maggioranza dei membri del consiglio di amministrazione dovrà essere costituita da dirigenti di vertice dei due soggetti pubblici istitutori, mentre il presidente del collegio sindacale sarà scelto tra i magistrati della Corte dei conti. L’Agenzia esercita altresì il controllo sull’efficacia e sull’efficienza del servizio.
La società Riscossione Spa potrà esercitare – senza obbligo di cauzione – l'attività di riscossione mediante ruolo e di quella di riscossione delle entrate prevista dall'articolo 4 del D.Lgs. n. 237 del 1997 (concernente tributi, sanzioni e altre somme già riscosse dai servizi autonomi di cassa degli uffici dipendenti dal Dipartimento delle entrate), nonché ulteriori attività – quali la riscossione spontanea, la liquidazione e l’accertamento delle entrate degli enti pubblici, anche territoriali, e delle società da essi partecipate – da assegnarsi mediante procedure di gara ad evidenza pubblica. Attraverso la stipulazione di appositi contratti di servizio, essa potrà svolgere altresì attività strumentali a quelle dell'Agenzia delle entrate, potendo in tale ipotesi assumere finanziamenti e svolgere le connesse operazioni finanziarie.
È statuita una specifica disciplina per il passaggio dei carichi dai precedenti concessionari al nuovo soggetto. Per agevolare tale passaggio, è stata prevista inoltre la possibilità che Riscossione Spa acquisti quote non inferiori al 51 per cento del capitale delle società concessionarie (ovvero il ramo d’azienda delle banche che hanno gestito direttamente l'attività di riscossione), a condizione che il cedente acquisti a sua volta una partecipazione al capitale sociale di essa[140]. Tuttavia, entro il 31 dicembre 2010 i soci pubblici dovranno riacquistare tali partecipazioni, nonché le azioni eventualmente ancora detenute da soggetti privati nelle società ex concessionarie non interamente partecipate. Successivamente, le azioni di Riscossione Spa possedute dai soci pubblici potranno essere cedute a soci privati, scelti secondo regole di evidenza pubblica, comunque entro la misura massima del 49 per cento del capitale.
Per le proprie attività, la società potrà avvalersi anche di personale dell'Agenzia delle entrate e dell'INPS e fare ricorso alle società per azioni da essa eventualmente partecipate ex concessionarie. Potranno essere inoltre instaurate forme di cooperazione tra Riscossione Spa e il Corpo della Guardia di finanza.
È confermato l’obbligo di presentazione di una relazione annuale del Ministro dell'economia e delle finanzeal Parlamento sullo stato della riscossione.
Infine, dal 1° ottobre 2006 il Consorzio nazionale concessionari (CNC) è trasformato in società per azioni.
La nuova società deve adempiere i suoi compiti senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. Essa è anzi tenuta ad adottare idonee iniziative dirette al contenimento degli oneri relativi all'attività di riscossione coattiva. Tuttavia, a garanzia dell’occupazione, è stabilito che i dipendenti delle società concessionarie non partecipate da Riscossione Spa, già in servizio alla data del 31 dicembre 2004 con contratto a tempo indeterminato e ancora in servizio alla data del 1° ottobre 2006, siano trasferiti a quest’ultima in base alla valutazione delle sue esigenze operative, con garanzia di mantenimento della posizione giuridica, economica e previdenziale maturata e con riconoscimento dei benefìci economici previsti dal rinnovo contrattuale in corso per il settore del credito. La stessa garanzia è conferita ai dipendenti delle società acquistate da Riscossione Spa nonché al personale in servizio presso l’associazione nazionale fra i concessionari del servizio di riscossione o il consorzio o le società da esso partecipate, che è trasferito presso la Riscossione Spa ovvero presso il costituendo Consorzio nazionale concessionari Spa Inoltre, sino al 31 dicembre 2010 non è ammesso trasferimento senza consenso in altra sede posta fuori dalla provincia.
Per la remunerazione dell’attività svolta da Riscossione Spa e dalle società da essa partecipate si applicherà, nel biennio 2007-2008, il sistema previsto dall’articolo 4, commi 118 e 119, della legge n. 350 del 2003 (per i ruoli emessi da uffici statali, remunerazione secondo importo forfetario; per gli altri ruoli, aggio sulle somme riscosse). Dal 2009 Riscossione Spa sarà invece remunerata integralmente ad aggio ai sensi dell'articolo 17 del D.Lgs. n. 112 del 1999.
A seguito della sospensione disposta dall’articolo 3, comma 1, lettera a),della legge n. 289 del 2002, fra l’altro, per gli aumenti delle addizionali regionali all’IRPEF, il quadro della politica fiscale delle regioni – eccettuati i provvedimenti per il ripiano dei disavanzi del servizio sanitario regionale – è fermo agli aumenti delle aliquote deliberati prima del 29 settembre 2002 (v. scheda Blocco addizionali e maggiorazione IRAP nel dossier relativo alla Commissione bilancio).
Si sono avvalse della facoltà di incrementare l’aliquota dell’addizionale le regioni Lombardia, Marche, Piemonte, Puglia, Umbria e Veneto.
Si ricorda che l’aliquota dell’addizionale regionale all’IRPEF (istituita dall’articolo 50 del decreto legislativo 15 dicembre 1997 n. 446, e inizialmente fissata nello 0,50) è determinata su tutto il territorio nazionale nello 0,90% dall‘articolo 3 del decreto legislativo 18 febbraio 2000, n. 56. Ciascuna regione può maggiorare l'aliquota fino all’1,4% con proprio provvedimento, da pubblicare nella Gazzetta ufficiale non oltre il 30 novembre dell'anno precedente a quello cui l'addizionale si riferisce.
In Lombardia, Marche e Veneto l’aliquota è determinata per scaglioni di reddito. In Piemonte e in Umbria l’aumento (rispettivamente all’1,40% e all’1,10%) si applica soltanto ai redditi superiori ad una certa soglia; in Puglia, infine l’aliquota è unica (1,40% per il solo esercizio 2002, ridotta poi all’1,10% nel 2003, è ulteriormente ridotta allo 0,90% a decorrere dal 2005).
Addizionale regionale all’IRPEF Aumenti deliberati prima del 30 settembre 2002
A decorrere dall’esercizio finanziario 2002: § Lombardia – aliquote differenziate per tre scaglioni di reddito: 1,2% (fino a 10.329,14 euro) 1,3% (da 10.329,14 fino a 69.721,68 euro) 1,4% (oltre 69.721,68 euro) § Marche – aliquote differenziate per quattro scaglioni di reddito: 0,9% (fino a 15.493,71 euro) 1,91%, 3,6%; 4% (oltre 69.721,68 euro) - dall’esercizio 2004 la seconda aliquota è stata abbassata a 1,4%. Dall’esercizio 2005 vengono rideterminate sia le aliquote che gli scaglioni che diventano tre: 0,9% (fino a 15.000 euro), 1,2% e 1,4% (oltre 31.000 euro) § Piemonte – aliquota al 1,4 % tranne che per i redditi inferiori a 10.329,14 euro per i quali l’aliquota è allo 0,9% § Puglia – un’unica aliquota fissata a 1,4% viene applicata nel solo esercizio 2002. Dall’esercizio finanziario 2003 è ridotta all’1,1% e dall’esercizio 2005 è ulteriormente ridotta allo 0,9% § Umbria – l’aumento riguarda esclusivamente i redditi superiori a 10.329,14 euro (poi 15.000 dal 2003); l’aliquota è fissata a 1,1% § Veneto – aliquote differenziate per quattro scaglioni di reddito: 1,2% (fino a 10.329,14 euro) 1,3% e 1,4% (limite massimo rispettivamente 15.493,71 e 69.721,68 euro) e 1,9% (oltre 69.721,68 euro). Dall’esercizio 2004 vengono rideterminate le aliquote e gli scaglioni: 1,2% (fino a 15.000 euro) 1,3% e 1,4 (oltre 29.000 euro). Dall’esercizio 2005 viene ulteriormente ridotta l’aliquota per i redditi più bassi: 0,9% fino a 29.000 euro; è confermata l’aliquota allo 1,4% per i redditi superiori a 29.000 (con aliquota diversa e rapportata al reddito nella fascia di passaggio da 29.001 a 29.147)
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Con riguardo all’aliquota dell’addizionale regionale all’IRPEF, è intervenuta recentemente la sentenza della Corte costituzionale n. 2 del 2006, resa in un giudizio in via incidentale che aveva ad oggetto le aliquote dell’addizionale regionale all’IRPEF nella regione Marche. Le eccezioni di costituzionalità sollevate nel giudizio sono state rigettate dalla Corte.
In primo luogo, si eccepiva che la regione Marche avesse confermato per l’anno 2003 le aliquote del 2002 stabilite con legge regionale n. 35 del 2001, eccedenti il limite del 1,4% stabilito dalla normativa statale. Secondo la Corte, le aliquote applicate nell’esercizio 2003 sono legittime in quanto la legge regionale è stata approvata anteriormente al 29 settembre 2002, e inoltre, per il 2002, la normativa statale consentiva il superamento del limite dell’1,4% (art. 4, comma 3-bis, del D.L. n. 347 del 2001).
In secondo luogo, era stata contestata alla regione Marche la strutturazione dell’addizione IRPEF in più aliquote per scaglioni di reddito: le aliquote sono infatti differenziate per quattro scaglioni di reddito: 0,9% (fino a 15.493,71 euro), 1,91%, 3,6% e 4% (oltre 69.721,68 euro). In proposito, la Corte ha affermato che la normativa statale, attraverso la dizione di “aliquota”, consente al legislatore regionale di realizzare le maggiorazioni non solo attraverso un’unica aliquota proporzionale, ma anche attraverso aliquote progressive, non potendosi d’altronde individuare nella Costituzione una riserva esclusiva di competenza legislativa dello Stato in tema di progressività dei tributi.
Successivamente al 29 settembre 2002, alcune regioni (Calabria, Molise, Campania e Liguria) hanno deliberato aumenti dell’aliquota dell’addizionale IRPEF destinati alla copertura dei disavanzi sanitari, ai sensi dell’articolo 1, comma 175, della legge 30 dicembre 2004, n. 311.
Addizionale regionale all’IRPEF Aumenti deliberati in deroga alla sospensione, per il ripiano dei disavanzi del servizio sanitario regionale
§ Calabria – un’unica aliquota fissata a 1,4% a decorrere dall’esercizio 2003 § Molise – a decorrere dall’esercizio 2005, un’unica aliquota fissata all’1,20% § Campania – a decorrere dall’esercizio 2006, aliquote differenziate per tre scaglioni di reddito: 1,10% fino a 12.5000 euro, 1,20% aliquota intermedia e 1,40% per i redditi superiori a 15.000 euro. Fanno eccezione i redditi fino a 15 mila euro prodotti da pensione e abitazione principale, per i quali l’aliquota è fissata al minimo (0,90%) § Liguria - a decorrere dall’esercizio 2006, aliquote differenziate per tre scaglioni di reddito: minima 0,90% per i redditi fino a 13.000 euro, 1,25% da 13 mila a 20.000 euro e 1,40% oltre i 20.000 euro. |
Contestualmente alla misura riguardante le addizionali all’IRPEF, è stata disposta anche la sospensione degli aumenti delle aliquote dell’IRAP deliberati prima del 29 settembre 2002.
Prima di tale termine, soltanto la regione Marche aveva aumentato dello 0,9% l’aliquota ordinaria.
Si ricorda che, ai sensi del D.Lgs. n. 446 del 1997 (che ha istituito l’imposta), le regioni hanno la facoltà di variare fino ad un massimo di un punto percentuale l’aliquota ordinaria dell’imposta, fissata in misura pari a 4,25%, a decorrere dal 30 dicembre 1999. Le regioni possono inoltre differenziare quella variazione per settori di attività e per categorie di soggetti passivi; l’aliquota – per alcuna categoria di soggetti o settore di attività – non può comunque superare il 5,25%.
Altre regioni hanno modificato la sola aliquota relativa alle banche, società finanziarie e di assicurazione: tale aliquota risulta stabilita nel 5,25% in Lombardia, Veneto, Molise e Sicilia (la quale estende questa aliquota anche alle imprese di raffinazione dei prodotti petroliferi), e in Toscana al 4,40%[141].
A decorrere dal 2006 la regione Campania usufruisce della deroga al blocco per il ripiano dei disavanzi regionali relativi alla sanità e ha portato l’aliquota ordinaria al 4,55%.
Il riordinamento delle funzioni statali in materia di organizzazione e gestione dei giuochi, delle scommesse e dei concorsi a premi e le relative risorse è stato disposto dall'articolo 12 della legge 18 ottobre 2001, n. 383, che lo ha demandato a regolamenti di delegificazione, prescrivendo la razionalizzazione delle competenze e la loro attribuzione a una struttura unitaria, da individuarsi in un organismo esistente ovvero da istituire in forma di agenzia (ai sensi degli articoli 8 e 9 del decreto legislativo n. 300 del 1999). È stata inoltre rimessa a regolamenti ministeriali la disciplina dei giuochi, delle scommesse e dei concorsi a premi, mentre la determinazione delle loro modalità tecniche è stata attribuita alla competenza di decreti dirigenziali.
Su questa base, il D.P.R. 24 gennaio 2002, n. 33, ha affidato all’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato (AAMS) le funzioni statali in materia di giuochi di abilità, concorsi pronostici e scommesse, comprese quelle relative alla gestione delle relative entrate, già esercitate dall’Agenzia delle entrate.
Successivamente, l’articolo 4 del D.L. 8 luglio 2002, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 2002, n. 178, ha trasferito all’Amministrazione autonoma dei monopoli dello Stato (AAMS) tutte le funzioni in materia di organizzazione ed esercizio dei giuochi, scommesse e concorsi pronostici, riconducendo, in sostanza alla competenza dell’Amministrazione autonoma dei Monopoli di Stato le funzioni già svolte dal CONI. Tuttavia, a quest’ultimo e all’UNIRE è stata conservata la titolarità delle funzioni concernenti giuochi, scommesse e concorsi pronostici connessi a manifestazioni sportive (Totocalcio, Totosei, Totogol, Totobingol e scommesse sportive), mentre le funzioni di organizzazione ed esercizio sono state attribuite in concessione all’AAMS. La disposizione ha previsto, inoltre, che fossero trasferite allo Stato, a titolo gratuito, le azioni possedute dal CONI in società operanti nel settore di attività considerato.
Per assicurare il coordinamento tra i due enti, la determinazione degli indirizzi strategici per l’organizzazione e la gestione dei giuochi, delle scommesse e dei concorsi pronostici è stata attribuita al Comitato generale dei giuochi, previsto dall’articolo 3 della legge 10 agosto 1988, n. 357, nella nuova composizione da stabilirsi con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, prevedendo comunque la partecipazione, in qualità di membri di diritto, di un rappresentante del Ministero per i beni e le attività culturali e del presidente del CONI o di suo delegato.
Il D.P.R. n. 33 del 2002 sembrava aver demandato interamente all’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato la gestione delle competenze statali in materia.
Successivamente, tuttavia, il regolamento per la semplificazione degli adempimenti relativi all'imposta unica sui concorsi pronostici e sulle scommesse, emanato con D.P.R. 8 marzo 2002, n. 66, in attuazione dell'articolo 6 del D.Lgs. n. 504 del 1998, ha attribuito all’Agenzia delle entrate le funzioni ad essa riferite.
Si è quindi reso necessario un intervento chiarificatore, operato dall’articolo 8 del D.L. 24 dicembre 2002, n. 282, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 2003, n. 27. Esso ha specificato che le funzioni statali concernenti le entrate in materia di giuochi di abilità, concorsi pronostici e scommesse, esercitate dall’Amministrazione autonoma dei Monopoli di Stato, si riferiscono alle entrate non tributarie, incluse quelle per quote di prelievo, mentre continuano ad essere attribuite all’Agenzia delle entrate l'amministrazione, la riscossione e il contenzioso concernenti le entrate tributarie riferite alla medesima materia. Ha tuttavia disposto che le stesse funzioni dell'Amministrazione finanziaria in materia di amministrazione, riscossione e contenzioso delle entrate tributarie riferite ai giochi, anche di abilità, ai concorsi pronostici, alle scommesse e agli apparecchi da divertimento e intrattenimento siano esercitate dall'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato dal 1° aprile 2003.
Da ultimo, il decreto legislativo 3 luglio 2003, n. 173, recante la riorganizzazione del Ministero dell’economia e delle finanze ai sensi della legge n. 137 del 2002, novellando l’articolo 25 del decreto legislativo n. 300 del 1999 ha confermato che l'Amministrazione autonoma dei Monopoli di Stato svolge le funzioni attribuite al Ministero dell'economia e delle finanze in materia di giuochi, scommesse e concorsi pronostici, comprese quelle riguardanti i relativi tributi, fatta eccezione per le imposte dirette e l'imposta sul valore aggiunto, nonché in materia di amministrazione, riscossione e contenzioso concernenti le accise sui tabacchi lavorati[142]
Con il D.P.R. 15 dicembre 2003, n. 385, è stato emanato il regolamento di organizzazione dell’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato.
Nella XIV legislatura numerosi provvedimenti legislativi sono intervenuti sulla disciplina degli apparecchi da intrattenimento e da giuoco d'abilità, contenuta in particolare nel testo unico delle leggi di pubblica sicurezza (TULPS), approvato con R.D. 18 giugno 1931, n. 773, al fine di contrarne l'uso illegale e l’evasione fiscale a questo connessa.
Una prima modificazione della normativa è stata disposta dall’articolo 22 della legge 27 dicembre 2002, n. 289, poi integrata dall’articolo 39 del D.L. 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 326 del 2003, e, da ultimo, ridefinita dall’articolo 1, commi 525-547, della legge 23 dicembre 2005, n. 266.
Le richiamate disposizioni sono intervenute sotto diversi profili:
§ hanno introdotto una nuova definizione e classificazione degli apparecchi e congegni idonei per il giuoco lecito, modificando, fra l’altro, l’importo massimo delle giocate e dei premi;
§ hanno modificato il regime autorizzatorio, prescrivendo a produttori, importatori e gestori degli apparecchi di chiedere il rilascio di nulla osta da parte dell’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato;
§ hanno modificato le sanzioni penali per l’installazione e l’uso degli apparecchi da giuoco d’azzardo;
§ hanno previsto una nuova disciplina per il pagamento dell’imposta sugli intrattenimenti relativa agli apparecchi e congegni idonei per il giuoco lecito, stabilendone la determinazione sulla base di un imponibile medio forfetario annuo ed eliminando, quindi, la previsione per cui l'imposta avrebbe dovuto venire assolta attraverso l'acquisto di schede magnetiche a deconto;
§ hanno stabilito che, entro il 31 dicembre 2003 (termine prorogato al 31 ottobre 2004 dall’articolo 39, comma 5, del D.L. n. 269 del 2003), siano istituite una o più reti per la gestione telematica degli apparecchi da giuoco lecito, anche mediante apparecchi videoterminali, al fine di consentirne il controllo a distanza. In attuazione di questa disposizione con decreto del Ministro del Ministro dell’economia e delle finanze 12 marzo 2004, n. 86, è stato emanato il regolamento concernente disposizioni per la gestione telematica degli apparecchi da divertimento e intrattenimento.
Per quanto riguarda il regime degli apparecchi e congegni idonei per il giuoco lecito, le richiamate disposizioni hanno sostituito o novellato parzialmente l’articolo 110 del TULPS. In particolar modo sono state progressivamente ridefinite le caratteristiche degli apparecchi da giuoco che consentono vincite in denaro (comma 6) e di quelli da semplice intrattenimento o che erogano premii costituiti da oggetti di modico valore (comma 7)[143].
La disciplina, come modificata, da ultimo, dalla legge 23 dicembre 2005, n. 266, determina le caratteristiche degli apparecchi da giuoco lecito con vincite in denaro (collegamento alla rete telematica, introduzione di moneta metallica ovvero con appositi strumenti di pagamento elettronico, presenza di elementi di abilità o intrattenimento, oltre all'elemento aleatorio, costo per partita non superiore a 1 euro, partite con durata minima non inferiore a 4 secondi, vincite in denaro, di valore unitario non superiore a 100 euro, vincite non inferiori al 75 per cento delle somme giocate, su un ciclo complessivo di non più di 140.000 partite, divieto di riproduzione del giuoco del poker), nonché la previsione di un nuovo tipo di apparecchi VLT (Video Lottery Terminal), per i quali un regolamento del Ministero dell’economia e delle finanze dovrà fissare il prelievo erariale unico (PREU), la cui aliquota dovrà essere compresa tra l’8 e il 12 per cento delle somme giocate. Con provvedimenti da emanarsi entro il 1° luglio 2006, l’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato disciplinerà l’installazione degli apparecchi esclusivamente in luoghi dotati di connessione alla rete telematica e stabilirà il canone di concessione nella misura dello 0,8 per cento delle somme giocate (invece del precedente 0,3 per cento); il prelievo erariale unico per gli apparecchi con vincite in denaro sarà fissato nel 12 per cento delle somme giocate (invece del precedente 13,50 per cento).
I commi da 540 a 547 dell’articolo 1 della stessa legge n. 266 del 2005, modificando l'articolo 110 del TULPS, hanno altresì eseguito un’estesa revisione dell'apparato sanzionatorio nel settore dei giuochi, anche in relazione al maggior numero di apparecchi cui tale sistema sanzionatorio risulta applicabile.
I commi 535 e 536 contengono invece disposizioni volte a contrastare il giuoco illegale esercitato per via telematica. In particolare si stabilisce che l’Amministrazione autonoma dei Monopoli di Stato segnali ai fornitori di connettività alla rete internet, ovvero ai gestori di altre reti telematiche o di telecomunicazione o agli operatori che mediante esse forniscono servizi telematici, i casi in cui, attraverso tali reti, siano offerti giuochi, scommesse o concorsi pronostici con vincite in denaro che siano illegali, mancando delle concessioni, autorizzazioni, licenze o altri titoli previsti dalla legge. I destinatari delle segnalazioni sono obbligati a adottare misure tecniche atte a impedire l'utilizzazione delle reti per lo svolgimento di giuochi, scommesse o concorsi pronostici illeciti.
Le disposizioni per l’applicazione delle norme illustrate sono state emanate dal direttore dell’Amministrazione autonoma dei Monopoli di Stato con provvedimento del 7 febbraio 2006 (pubblicato nella Gazzetta ufficiale del 13 febbraio 2006, n. 36). In particolare è previsto che l’Amministrazione autonoma dei Monopoli di Stato comunichi ai fornitori di servizi di rete l'elenco degli operatori non autorizzati, stabilendo i termini entro i quali essi sono tenuti a interrompere la prestazione dei propri servizi nei riguardi di questi ultimi. L’elenco degli operatori non autorizzati è pubblicato anche nel sito internet della predetta Amministrazione (www.aams.it). In caso di violazione è prevista la sanzione amministrativa pecuniaria da 30.000 a 180.000 euro.
Per quanto riguarda il giuoco del lotto, l’articolo 9 del D.L. n. 452 del 2001, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 16 del 2002, oltre a prevedere un’estrazione straordinaria in lire per il 31 dicembre 2001, ha stabilito gli importi della giocata minima (1 euro) e massima (200 euro) e disciplinato le modalità del pagamento delle vincite (presso il raccoglitore per importi fino a 2.300 euro, da 2.300 a 10.500 euro mediante prenotazione presso qualsiasi punto, oltre 10.500 euro direttamente presso il concessionario). Sono stati altresì definiti gli importi delle schede prepagate da impiegarsi per il lotto telefonico, la cui raccolta è stata tuttavia poi sospesa dal 4 luglio 2005, a causa della sua rilevata diseconomicità, con decreto del direttore dell’Amministrazione autonoma dei Monopoli di Stato (AAMS) 7 giugno 2005 (pubblicato nella Gazzetta ufficiale 17 giugno 2005, n. 139).
Un ulteriore e più esteso intervento è stato operato dall’articolo 1, commi da 488 a 494, della legge n. 311 del 2004 (legge finanziaria per il 2005). In particolare:
§ le precedenti ritenute sulle vincite (nella misura del 3 per cento) sono state unificate ed elevate al 6 per cento;
§ è stata istituita una nuova "ruota nazionale" con estrazione a Roma;
§ è stato adeguato il valore dei premi, con introduzione di una nuova combinazione denominata "estratto determinato";
§ è stato rideterminato in 6 milioni di euro l'importo massimo del premio a cui può dar luogo ogni scontrino di giocata;
§ è stata consentita un’ulteriore estrazione settimanale del lotto abbinata al concorso Enalotto[144].
Con decreto del direttore dell’AAMS 12 dicembre 2003 (pubblicato nella Gazzetta ufficiale 2 gennaio 2004, n. 1), sono state emanate disposizioni per disciplinare l’attribuzione delle concessioni per le ricevitorie, allo scopo di estendere la rete di raccolta del giuoco del lotto, correlativamente all’allargamento della rete telematica operato dalla società concessionaria. In quest’ambito, l’articolo 80, comma 40, della legge n. 289 del 2002 (legge finanziaria per il 2003) ha soppresso il requisito della distanza minima di 200 metri fra le ricevitorie del lotto gestite da rivenditori di generi di monopolio e le ricevitorie gestite da ex dipendenti del lotto.
Nell’ambito della definizione delle modalità di raccolta del lotto e di altre forme di giuoco e scommessa mediante mezzi a distanza (internet, televisione digitale, terrestre e satellitare, telefonia fissa e mobile), l’articolo 11-quinquiesdecies del decreto-legge n. 203 del 2005, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 248 del 2005, ha previsto la possibilità di estrazione giornaliera della ruota nazionale del lotto e di effettuazione giornaliera del concorso pronostici enalotto.
I commi da 290 a 294 dell’articolo 1 della legge n. 311 del 2004 (legge finanziaria per il 2005) riguardano invece la regolamentazione di giuochi e lotterie con partecipazione a distanza (cosiddetto giuoco telematico). In particolare, a tutela della fede pubblica e per il contrasto del giuoco illegale è rimesso all’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato (AAMS) il compito di definire i mezzi di pagamento specifici a questi destinati e di regolarne la gestione, anche mediante una società costituita a questo fine dal Ministero dell'economia oppure parte di soggetti privati individuati con procedura ad evidenza pubblica. La stessa AAMS disciplina le lotterie, di carattere istantaneo e no, con partecipazione a distanza, definendo criteri di gestione e ripartizione percentuale della posta di gioco relativamente all'Erario, ai giocatori e ai soggetti terzi[145]. L’organizzazione di giuochi a distanza può essere esercitata anche a livello europeo, previo accordo con le autorità dei singoli Stati membri dell’Unione.
Il D.L. n. 452 del 2001, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 16 del 2002, all’articolo 10, ha fissato il prezzo di vendita dei biglietti delle lotterie nazionali ad estrazione differita e delle lotterie ad estrazione istantanea, indette dal 1° gennaio 2002, rispettivamente, in 3 euro e in 1,50 euro.
Per altro, i prezzi relativi alle lotterie ad estrazione istantanea sono stati determinati, da ultimo, con decreto del direttore generale dell’AAMS 29 marzo 2006 (pubblicato nella Gazzetta ufficiale 2 maggio 2006, n. 100), secondo cui dal 1° giugno 2006 il prezzo dei biglietti delle lotterie ad estrazione istantanea sarà compreso tra euro 0,50 ed euro 10.
Relativamente al giuoco del bingo si richiama la proroga dei termini per il collaudo delle sale, disposta dall’articolo 15-bis del D.L. n. 452 del 2001, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 16 del 2002, e dall’articolo 1, comma 5-bis del D.L. n. 138 del 2002, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 178 del 2002.
Sono state avanzate – ma non hanno conseguito definitiva approvazione – proposte intese a permettere l’installazione di apparecchi da divertimento e intrattenimento, biliardi, biliardini e apparecchi similari nelle sale bingo, mediante abrogazione della disposizione del decreto del Ministro delle finanze n. 29 del 2000, che vieta lo svolgimento del gioco del bingo in sale dedicate all'esercizio di altri giochi e comunque collegate con locali nei quali siano installati tali apparecchi.
Per quanto riguarda il concorso pronostico Enalotto, l’articolo 15 del D.L. n. 452 del 2001, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 16 del 2002, ha eliminato il limite al cosiddetto jackpot per le vincite di prima e seconda categoria, sopprimendo le assegnazioni a favore dei montepremi delle categorie minori in caso di premi non assegnati per mancanza di vincitori. L’articolo 14 ha invece rideterminato il compenso dovuto al ricevitore nell’8 per cento del costo per colonna.
L’articolo 4 del D.L. n. 138 del 2002, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 178 del 2002, ha fissato nella stessa misura il compenso dovuto al ricevitore per i concorsi pronostici Totocalcio, Totogol, Totosei, Totobingol e Totip.
Con varie disposizioni sono stati modificati gli importi delle giocate minime o delle poste unitarie per concorsi pronostici e scommesse:
§ il D.L. n. 452 del 2001, articoli da 11 a 13, per le scommesse «Formula 101», i concorsi pronostici (Totocalcio, Totogol, Totobingol, Totosei, etc.), le scommesse a totalizzatore e a quota fissa, la scommessa tris e quelle assimilabili;
§ il D.L. n. 203 del 2005, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 248 del 2005, articolo 11-quinquiesdecies, comma 9, per le scommesse diverse da quelle sulle corse dei cavalli; inoltre, la stessa disposizione ha rimesso a provvedimento del Ministero dell’economia e delle finanze – Amministrazione autonoma dei Monopoli di Stato (sentita l'UNIRE per le scommesse sulle corse dei cavalli) il potere di variare la posta unitaria per qualunque tipo di scommessa.
L’articolo 1, commi da 281 a 287, della legge n. 311 del 2004 (legge finanziaria per il 2005), ha riorganizzato complessivamente la ripartizione dei proventi di concorsi pronostici e scommesse su eventi diversi dalle corse di cavalli, al fine di ridisciplinare le modalità del finanziamento ordinario del Comitato olimpico nazionale italiano (CONI). In particolare, è stata destinata a quest’ente, per il finanziamento dello sport, una quota delle entrate erariali ed extraerariali derivanti dai concorsi pronostici su base sportiva, da scommesse, lotto ed enalotto, bingo, apparecchi da divertimento e intrattenimento, lotterie ad estrazione istantanea e differita e da giuochi similari successivamente istituiti. Sono state quindi eliminate le quote spettanti al CONI sugli incassi relativi, rispettivamente, ai concorsi pronostici e alle scommesse.
La ripartizione della posta di giuoco dei concorsi pronostici è stata invece rideterminata, con l'obiettivo di assicurare un incremento della raccolta, aumentando sia la quota destinata al montepremi, sia quella destinata all'imposta unica:
|
D.M. n. 179/2003 |
L. n. 311/2004 |
Aggio al punto di vendita |
8% |
8% |
Montepremi |
34,65%; |
50% |
Contributo CONI |
18,77%; |
- |
Contributo all'Istituto per il credito sportivo |
2,45%; |
2,45%; |
Imposta unica |
30,42% |
33,84% |
Contributo alle spese di gestione di AAMS |
5,71% |
5,71% |
L'aliquota dell'imposta unica sulle scommesse a quota fissa su eventi diversi dalle corse dei cavalli è stata determinata nella misura del 33 per cento della quota di prelievo stabilita per ciascuna scommessa.
Analoga operazione è stata eseguita circa la ripartizione della posta unitaria di giuoco delle scommesse a totalizzatore su eventi diversi dalle corse dei cavalli, aumentando l'imposta unica a discapito della quota residua (destinata a finalità sociali e culturali ai sensi dell’articolo 16, comma 2, lettera b), della legge n. 133 del 1999):
|
D.M. n. 278/1999 |
L. n. 311/2004 |
Disponibile a vincite |
57% |
57% |
Aggio al luogo di vendita autorizzato |
8% |
8% |
Imposta unica |
6,75% |
20% |
Contributo spese complessive di gestione |
5,71% |
5,71% |
Fondo speciale di riserva |
2,54% |
2,54% |
Quota residua per finalità sociali o culturali |
20% |
6,75% |
Il comma 286 ha disposto il riordino delle scommesse su eventi sportivi diversi dalle corse dei cavalli e su eventi non sportivi, anche con riguardo al contenzioso e alla ripartizione dei proventi. Vi si è provveduto con il decreto del ministro dell’economia e delle finanze 1° marzo 2006, n. 111 (Norme concernenti la disciplina delle scommesse a quota fissa su eventi sportivi diversi dalle corse dei cavalli e su eventi non sportivi).
Sono state altresì previste la riorganizzazione del sistema di distribuzione delle scommesse a quota fissa su eventi diversi dalle corse dei cavalli e su eventi non sportivi, la semplificazione del sistema di trasmissione delle scommesse al totalizzatore nazionale mediante operatori accreditati e regolati da apposita convenzione con l’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato (AAMS).
È stata infine ridefinita la posta unitaria per le scommesse a libro sulle corse dei cavalli, ossia delle scommesse raccolte e riportate sul libro dell'agenzia ippica o dell'allibratore, con indicazione della quota di vincita previamente concordata con lo scommettitore per ciascuna giocata. La posta unitaria è stata stabilita nella misura di un euro (in luogo dei 3 precedenti), ma rimane fermo che l’importo complessivo di ciascuna scommessa non può essere inferiore a 3 euro.
Per quanto riguarda la raccolta delle scommesse[146], l’articolo 8 del D.L. n. 452 del 2001, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 16 del 2002, ha disposto la ridefinizione delle condizioni economiche delle concessioni per il servizio di raccolta delle scommesse ippiche e sportive e la riattribuzione delle concessioni rinnovate. Con il decreto 6 giugno 2002 (pubblicato nella Gazzetta ufficiale 15 giugno 2002, n. 139)[147], è stato quindi determinato, fra l’altro, l’ammontare del corrispettivo annuo dovuto al CONI a titolo di minimo garantito dai concessionari di ogni provincia per la raccolta delle scommesse sportive, con la previsione di incrementi annuali in misura pari all'aumento percentuale del volume di giuoco raccolto nell'anno precedente.
Per il pagamento delle quote di prelievo maturate e non versate da parte dei concessionari, erano stabiliti termini entro l’anno 2002. Tuttavia, in favore dei concessionari delle scommesse ippiche i quali non avessero tempestivamente aderito alle ridefinite condizioni economiche, l’articolo 8 del D.L. n. 147 del 2003, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 200 del 2003, ha previsto la riapertura del termine per l’adesione (fissato al 31 ottobre 2003), unitamente a misure di agevolazione per il versamento delle quote di prelievo, delle imposte e delle somme dovute a titolo di minimo garantito, contestualmente sospendendo l’efficacia dei provvedimenti di cessazione dei rapporti di concessione adottati per la mancata adesione alle nuove condizioni economiche.
Le stesse disposizioni sono state estese ai concessionari delle scommesse sportive dall’articolo 39, comma 12-bis, del D.L. n. 269 del 2003, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 326 del 2003. Poiché quest’estensione era intervenuta assai tardivamente, un’ulteriore riapertura del termine per l’adesione in favore dei concessionari delle scommesse sportive – portato al 31 gennaio 2004 – è stata disposta dall’articolo 4, comma 194, della legge n. 350 del 2003 (legge finanziaria per il 2004), che ha altresì adeguato a quest’effetto il meccanismo di definizione agevolata delle somme da essi dovute, estendendo altresì la rateizzazione ai concessionari che avevano tempestivamente aderito alle nuove condizioni economiche.
Per ovviare a rilievi avanzati dalla Commissione europea circa il regime delle concessioni di servizi per la gestione delle scommesse sportive, l’articolo 14-ter del D.L. n. 35 del 2005, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 80 del 2005, ha abrogato alcune disposizioni limitatrici della possibilità di ottenere concessioni da parte di società di capitali. È stato così estesa a tutte le società di capitali, indipendentemente dalla natura giuridica dei soci (persone fisiche, società di persone o società di capitali), la facoltà di ottenere concessioni per l’esercizio delle scommesse sulle corse dei cavalli, nonché per quello delle scommesse su competizioni sportive organizzate dal CONI. Si è altresì specificato che l'attività di raccolta e accettazione delle scommesse ippiche e sportive può essere esercitata dal concessionario con mezzi sia propri, sia di terzi, comunque nei limiti previsti per la conduzione dell'esercizio per mezzo di rappresentante.
Sulla materia è intervenuto da ultimo l’articolo 11-quinquiesdecies del D.L. n. 203 del 2005, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 248 del 2005, che ha previsto la raccolta dei giuochi a distanza, mediante internet, la televisione digitale, terrestre e satellitare, nonché attraverso la telefonia fissa e mobile, rimettendo la definizione delle regole di raccolta e dei mezzi di pagamento utilizzabili a provvedimento del Ministero dell’economia e delle finanze – Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato. Questa nuova forma di raccolta potrà riguardare sia il lotto, l’Enalotto, i concorsi pronostici su base sportiva, le scommesse a totalizzatore e la nuova scommessa ippica a totalizzatore sulle corse dei cavalli denominata “Vincente nazionale” e “Accoppiata nazionale”, sia le scommesse, il bingo e le lotterie[148].
Lo stesso articolo ha disposto un meccanismo sperimentale di variazione dell’aggio correlato al livello di raccolta conseguito nell'anno precedente, e ha previsto la definizione di formule di giuoco opzionali complementari all’enalotto e al lotto[149]. Infine, a ciascun affidatario delle concessioni per le scommesse sulle corse di cavalli, a totalizzatore e a quota fissa su competizioni sportive è stato consentito di aprire tre sportelli distaccati, presso sedi diverse dai locali nei quali si effettua già la raccolta delle scommesse, purché ubicati nella stessa regione.
Il D.L. 23 settembre 2001, n. 351, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 novembre 2001, n. 410, allo scopo di semplificare le modalità di dismissione di beni immobili, ha introdotto una procedura di privatizzazione del patrimonio immobiliare pubblico articolata essenzialmente in due passaggi.
In primo luogo, è stata affidata all’Agenzia del demanio la ricognizione:
1) dei beni immobili di proprietà dello Stato, distinti tra beni demaniali e beni facenti parte del patrimonio disponibile e indisponibile;
2) dei beni immobili di proprietà degli enti pubblici non territoriali;
3) dei beni immobili non strumentali in precedenza attribuiti a società a totale partecipazione pubblica, riconosciuti di proprietà dello Stato;
4) dei beni immobili di proprietà dello Stato ubicati all’estero.
I decreti adottati dall’Agenzia del demanio hanno valore dichiarativo della proprietà.
La ricognizione è estesa anche ai beni di regioni, province, comuni e altri enti locali che ne facciano richiesta e ai beni utilizzati per uso pubblico, ininterrottamente da oltre venti anni, con il consenso del proprietario.
In secondo luogo si è previsto il ricorso alla tecnica della cartolarizzazione attraverso il trasferimento degli immobili da cedere alle società veicolo.
La cartolarizzazione è una tecnica finanziaria intesa a consentire la conversione di attività non agevolmente negoziabili, quali gli immobili di proprietà pubblica, in strumenti finanziari più facilmente collocabili sui mercati.
In particolare, gli immobili sono trasferiti ad una o più società a responsabilità limitata (c.d. società veicolo), appositamente costituite[150], che ne finanziano l'acquisto attraverso l’emissione di titoli o mediante finanziamenti acquisiti da terzi.
La società veicolo versa l’importo raccolto attraverso tali operazioni, a titolo di “prezzo iniziale”, agli enti che hanno ceduto gli immobili.
Per ogni operazione di cartolarizzazione sono individuati, con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, i beni immobili destinati al soddisfacimento dei diritti dei portatori dei titoli e dei concedenti i finanziamenti. Tali beni e ogni altro diritto acquisito nell’ambito dell’operazione costituiscono patrimonio separato a tutti gli effetti da quello della società veicolo e da quello delle altre operazioni. Delle obbligazioni nei confronti dei portatori dei titoli, dei soggetti concedenti i finanziamenti e di ogni altro creditore, risponde esclusivamente il patrimonio separato (c.d. principio della “segregazione”).
La società veicolo gestisce gli immobili e li rivende sul mercato. I flussi derivanti dalla gestione e dalla vendita degli immobili sono utilizzati per il rimborso del debito e degli interessi e oneri accessori, delle commissioni ai soggetti terzi e degli altri costi.
L'eventuale residuo costituisce il cosiddetto prezzo "differito" da retrocedere all'originario titolare del diritto di proprietà.
In attuazione del D.L. n. 351 del 2001 sono state finora realizzate due operazioni di cartolarizzazione, indicate come SCIP 1 e SCIP 2,principalmente riferite agli immobili degli enti previdenziali.
L’operazione SCIP 1 è stata avviata nel dicembre 2001 con la cessione di 27.250 unità ad uso residenziale e di 262 immobili ad uso commerciale, per un valore lordo complessivo inizialmente valutato in 5.100 milioni di euro e poi rideterminato in 3.830 milioni di euro[151], da parte di sette enti previdenziali pubblici (Enpals, Inail, Inpai, Inpdap, Inps, Ipost e Ipsema) alla società veicolo (SCIP), costituita ad hoc.
Secondo i dati riportati nella relazione del Governo al Parlamento (presentata nel mese di novembre 2004, relativa al primo semestre 2004 - doc. CL, n. 7), a fronte della cessione degli immobili, la società SCIP ha corrisposto agli enti cedenti il ricavo, al netto delle spese, di due emissioni di titoli rispettivamente di 1.000 e 1.300 milioni di euro, per un ammontare complessivo di 2.300 milioni di euro.
Gli incassi delle rivendite degli immobili sul mercato da parte di SCIP 1 ammontano a 2.365 milioni di euro per l’anno 2002 e a 1.009 milioni di euro per l’anno 2003. Nel corso dell’anno 2004 si è registrato un incasso di 345 milioni di euro, mentre nel primo semestre del 2005 sono stati incassati 48 milioni di euro. Al 30 giugno 2005 risultavano invendute ulteriori 364 unità residenziali per un controvalore di circa 48 milioni di euro[152]. Le vendite sono tuttora in corso.
Come comunicato dal Ministero dell’economia e delle finanze il 23 dicembre 2003, il ricavato delle vendite degli immobili ha permesso a SCIP di rimborsare interamente la prima serie di titoli nel dicembre 2002 e la seconda serie nel dicembre 2003.
L’operazione SCIP 2 è stata avviata nel dicembre 2002 con la cessione di 53.241 unità ad uso residenziale e di 9.639 unità immobiliari ad uso commerciale, per un valore lordo complessivo pari a circa 7.787 milioni di euro, da parte dei medesimi enti previdenziali pubblici e dello Stato alla società veicolo (SCIP). A fronte della cessione degli immobili, la società SCIP ha corrisposto ai soggetti cedenti, al netto delle spese, il ricavo di cinque emissioni di titoli per un ammontare complessivo di 6.637 milioni di euro. I problemi incontrati dall’operazione[153] hanno causato un rallentamento delle vendite, che ha reso necessaria la ristrutturazione del debito di SCIP 2, effettuata nel mese di aprile 2005 mediante l’emissione di tre nuove serie di titoli per un ammontare complessivo di 4.370 milioni di euro[154].
Dopo la sopra ricordata fase di stallo registrata nel 2004, le vendite effettuate nel 2005 hanno comportato ricavi per complessivi 605 milioni di euro, nel primo semestre,e 632 milioni di euro, nel secondo semestre. Al 31 dicembre 2005 risultavano invendute circa 33.080 unità immobiliari, di cui 25.500 unità residenziali occupate, 1.900 unità residenziali libere, 4.442 unità non residenziali occupate e 1.243 unità non residenziali libere[155].
Una terza operazione di cartolarizzazione (SCIP 3), avente ad oggetto immobili del Ministero della difesa, non più utili ai fini istituzionali, è stata avviata ai sensi dell’articolo 1, comma 443, della legge 30 dicembre 2004, n. 311 (legge finanziaria per il 2005) (v. scheda Le dismissioni della Difesa, nel dossier relativo alla Commissione Difesa). Si è proceduto finora soltanto all’individuazione dei beni immobili da dismettere, mediante il decreto del Direttore generale dei lavori e del demanio del Ministero della difesa, di concerto con il direttore dell'Agenzia del demanio, del 28 febbraio 2005 (pubblicato nella Gazzetta ufficiale 20 giugno 2005, n. 141).
Le procedure per la vendita delle unità immobiliari residenziali sono disciplinate dall’articolo 3 del citato D.L. n. 351 del 2001, nonché dai decreti ministeriali, di natura non regolamentare, del Ministro dell’economia, che trasferiscono i beni immobili alle società veicolo. Oltre che alle operazioni di cartolarizzazione poste in essere in attuazione del D.L. n. 351 del 2001, queste procedure si applicano alle alienazioni di beni immobili di proprietà degli enti previdenziali pubblici, anche se ricompresi in precedenti programmi straordinari di alienazione[156], purché tali immobili non siano stati ancora venduti alla data del 31 ottobre 2001.
In favore dei conduttori delle unità immobiliari è riconosciuto il diritto di opzione per l’acquisto, con possibilità, in caso di reddito familiare inferiore a determinati limiti, di accendere un mutuo a tasso agevolato finalizzato all’acquisto stesso. Ai conduttori ultrasessantacinquenni è consentito anche l’acquisto del solo diritto di usufrutto. In tal caso viene alienata la nuda proprietà.
Il prezzo di vendita delle unità immobiliari è determinato sulla base delle valutazioni correnti di mercato, prendendo a riferimento i prezzi effettivi di compravendite di unità immobiliari aventi caratteristiche analoghe. L’esatta determinazione del prezzo di vendita di ciascuna unità immobiliare può essere affidata all’Agenzia del territorio e a società aventi particolare esperienza nel settore immobiliare[157].
Le unità immobiliari sono offerte in opzione ai conduttori al prezzo di mercato, determinato nei modi indicati, diminuito del 30 per cento. I conduttori possono godere di un’ulteriore riduzione del prezzo se acquistano, a mezzo di mandato collettivo, un numero di unità immobiliari che rappresenta almeno l'80 per cento delle unità complessive dell'immobile, al netto di quelle libere. Uno sconto di minore entità è riconosciuto ai conduttori che acquistano, a mezzo di mandato collettivo, un numero di unità immobiliari che rappresenta almeno il 50 per cento, ma meno dell'80 per cento, delle unità complessive dell'immobile, al netto di quelle libere[158].
Le unità immobiliari libere e quelle per le quali i conduttori non hanno esercitato il diritto di opzione per l’acquisto sono poste in vendita al miglior offerente, individuato con procedura competitiva, come disciplinata dai decreti che trasferiscono i beni immobili alle società veicolo.
Nel caso di aggiudicazione dell’unità immobiliare ad un prezzo inferiore a quello di esercizio dell’opzione, ai conduttori è riconosciuto il diritto di prelazione per l’acquisto al prezzo determinato in sede di asta.
I diritti dei conduttori, che spettano anche ai familiari e agli eredi conviventi, sono riconosciuti alla seguenti condizioni:
- i conduttori devono essere in regola con il pagamento dei canoni e degli oneri accessori;
- non deve essere stata accertata l’irregolarità della locazione;
- i conduttori o gli altri membri conviventi del nucleo familiare non possono essere proprietari di altra abitazione adeguata alle esigenze del nucleo familiare nel comune di residenza.
L’articolo 7-bis del D.L. 30 settembre 2005, n. 203, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248, ha esteso i diritti spettanti ai conduttori ai seguenti soggetti:
- occupanti di unità immobiliari ad uso residenziale degli enti previdenziali i quali erano privi del titolo alla data di entrata in vigore del citato D.L. n. 351 del 2001 (26 settembre 2001);
- conduttori in base ad assegnazione irregolare avvenuta entro la suddetta data.
Le unità immobiliari acquistate per effetto dell’esercizio del diritto di opzione e di prelazione non possono essere alienate (a pena di nullità dell’atto) prima che siano trascorsi cinque anni dalla data dell’acquisto.
Una disciplina particolare è dettata per gli immobili di pregio. Tali immobili sono individuati, su proposta dell’Agenzia del territorio, dai decreti che trasferiscono gli immobili alle società veicolo. Sono in ogni caso considerati di pregio gli immobili situati nei centri storici urbani, ad eccezione di quelli, espressamente indicati nei suddetti decreti su proposta della medesima Agenzia, che versano in stato di degrado e per i quali sono necessari interventi di restauro e di risanamento conservativo, ovvero di ristrutturazione edilizia.
A differenza delle altre unità immobiliari ad uso residenziale, per gli immobili di pregio:
§ non è concesso ai conduttori, che esercitano il diritto di opzione, lo sconto del 30 per cento sul prezzo, né gli ulteriori abbattimenti riconosciuti per l’acquisto a mezzo di mandato collettivo;
§ non è prevista la nullità degli atti di alienazione posti in essere prima che siano trascorsi cinque anni dalla data dell’acquisto, quando questo è stato effettuato in seguito all’esercizio del diritto di opzione o di prelazione.
L’individuazione degli immobili di pregio è stata oggetto di controversie tra i conduttori e il Ministero dell’economia, con presentazione di ricorsi agli organi di giustizia amministrativa. In materia è stata inoltre presentata una proposta di legge[159] diretta ad abrogare la disciplina speciale relativa alla cartolarizzazione degli immobili di pregio. A tale eventualità il Governo si è dichiarato contrario per le conseguenze di carattere finanziario che l’abrogazione avrebbe comportato[160].
A questo proposito si ricorda che due immobili siti in Roma, nei pressi del Colosseo, inizialmente considerati di pregio, sono stati esclusi dalle operazioni di cartolarizzazione[161], per evitare che fossero venduti alle condizioni agevolate previste dal D.L. n. 351 del 2001, dopo che il giudice amministrativo aveva negato la sussistenza della qualifica di pregio.
Il momento al quale fare riferimento per la determinazione del prezzo di vendita delle unità immobiliari ad uso residenziale non di pregio, per le quali i conduttori abbiano manifestato volontà di acquisto (indipendentemente dal ricevimento di un’apposita offerta), nel periodo compreso tra il 26 settembre e il 31 ottobre 2001, è stato oggetto di una serie di interventi normativi tra loro contrastanti[162], che si sono conclusi con l’emanazione di un apposito decreto-legge[163]. In base alla normativa vigente, nei casi in cui la volontà di acquisto sia stata manifestata nei termini sopra indicati, a mezzo di lettera raccomandata con avviso di ricevimento, la determinazione del prezzo e delle condizioni di vendita delle unità immobiliari oggetto della norma deve essere effettuata con riferimento ai valori del mese di ottobre 2001. Il D.L. n. 41 del 2004 ha inoltre riconosciuto agli acquirenti degli immobili già venduti alla data della sua entrata in vigore il diritto al rimborso del maggior prezzo eventualmente pagato[164].
L’incertezza conseguente alla citata successione di interventi normativi ha di fatto bloccato le operazioni di vendita per quasi un anno ed ha comportato la sopra ricordata ristrutturazione del programma esecutivo dell’operazione SCIP 2.
Anche la disciplina per la vendita delle unità immobiliari ad uso diverso da quello residenziale è contenuta nell’articolo 3 del D.L. n. 351 del 2001, con le successive modificazioni, tra le quali si segnala in particolare l’articolo 26 del D.L. 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326.
Ai conduttori delle unità immobiliari ad uso diverso da quello residenziale è riconosciuto il diritto di opzione per l’acquisto in forma individuale al prezzo di mercato. Non è prevista la riduzione del 30 per cento, riconosciuta ai conduttori acquirenti di unità immobiliari ad uso residenziale non di pregio.
Nell’ipotesi di vendita in blocco, i conduttori di unità immobiliari ad uso diverso da quello residenziale hanno diritto di opzione a mezzo di mandato collettivo, a condizione che questo sia conferito da conduttori che rappresentino il 100 per cento delle unità facenti parte del blocco oggetto di vendita.
Nel caso di aggiudicazione dell’unità immobiliare ad un prezzo inferiore a quello di esercizio dell’opzione, anche ai conduttori di unità immobiliari ad uso diverso da quello residenziale è riconosciuto il diritto di prelazione per l’acquisto al prezzo determinato in sede di asta. Il diritto di prelazione eventualmente spettante ai sensi di legge ai conduttori delle singole unità immobiliari suddette può essere esercitato unicamente in caso di vendita frazionata degli immobili.
Per gli acquirenti di immobili ad uso diverso da quello residenziale non è stabilita nullità degli atti di disposizione posti in essere prima che siano trascorsi cinque anni dalla data dell’acquisto.
Il citato articolo 3 del D.L. n. 351 del 2001, in seguito alle modifiche introdotte dall’articolo 28 del D.L. n. 269 del 2003, disciplina inoltre la cessione di terreni pubblici. Agli affittuari dei terreni è riconosciuto il diritto di opzione al prezzo di mercato, diminuito del 30 per cento. Particolari condizioni sono riconosciute agli affittuari coltivatori diretti o imprenditori agricoli che esercitano il diritto di opzione per l'acquisto.
Per ulteriori approfondimenti sul tema della cartolarizzazione degli immobili pubblici si rinvia alla relazione della Corte dei conti n. 4/2006/G dell’11 aprile 2006, recante “Analisi dei risultati delle cartolarizzazioni” (capitolo 7).
Con l'indagine conoscitiva sull’attuazione del testo unico della finanza, il cui documento conclusivo è stato approvato nella seduta del 7 aprile 2004, la Commissione VI (Finanze) ha inteso, a quattro anni dall’adozione del D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, procedere all’analisi e alla valutazione dell'assetto della normativa italiana alla luce dei numerosi e importanti mutamenti intervenuti nella struttura dei mercati finanziari e del processo di integrazione europea.
Nel corso dell'indagine sono state in particolare affrontate le questioni connesse ad alcuni istituti o categorie problematiche. In particolare :
a) l'attività di vigilanza e della regolamentazione;
b) il sistema sanzionatorio;
c) i controlli societari, con particolare riferimento alla revisione contabile;
d) alcuni profili direttamente connessi alla vicenda Enron, con particolare riferimento al trattamento contabile di determinate operazioni e trasferimenti e all'analisi finanziaria;
e) gli istituti di tutela delle minoranze;
f) l'OPA;
g) i patti parasociali;
h) i mercati regolamentati.
Per quel che concerne le attività di vigilanza, il documento conclusivo dell’indagine si è soffermato sull’esigenza di aggiornare il sistema normativo in materia all’evoluzione dei mercati finanziari e al processo di integrazione monetaria e finanziaria a livello europeo. In proposito è stata giudicata non realistica né utile la prospettiva di creazione di un’unica Autorità di vigilanza a livello europeo. La creazione di una simile autorità risulterebbe infatti in contrasto con il criterio fin qui seguìto dalle autorità comunitarie, ispirato al metodo dell’armonizzazione minima. Le conclusioni dell’indagine hanno valutato invece con favore il proseguimento del processo di armonizzazione normativa in materia e il rafforzamento degli strumenti e delle sedi di coordinamento e di cooperazione tra gli organismi di vigilanza nazionale. In tal senso, un modello da seguire è stato indicato nelle procedure previste dal rapporto Lamfalussy (v. scheda Procedure europee di regolamentazione). Con riferimento ai fattori di evoluzione del mercato suscettibili di rappresentare elementi di criticità per l’operato delle autorità di vigilanza, è stata indicata la crescita delle integrazioni proprietarie e il forte sviluppo di strumenti finanziari “misti” (quali ad esempio il conto-fondo, risultante dall’abbinamento tra conto corrente bancario e fondo comune di investimento, che consentono in modo automatico investimenti in quote di fondo comune). In quest’ambito le conclusioni dell’indagine hanno segnalato la necessità di provvedere, al di là del controllo sull’attuazione delle disposizioni del TUF, oggetto dell’indagine stessa, ad un ripensamento del sistema delle autorità indipendenti, al fine di individuare le opportune forme di coordinamento nella fase decisionale tra le autorità esistenti. È stato inoltre affrontato il problema dell’eventuale inefficienza della vigilanza quando ad un’unica autorità sia affidata la funzione di tutelare obiettivi potenzialmente confliggenti.
Le conclusioni dell’indagine si sono poi soffermate sull’opportunità, per quel che riguarda l’assetto della regolamentazione in materia, di rafforzare la tendenza ad una normazione legislativa che si concentri sui princìpi e sulle regole generali, con la conseguente attribuzione di competenze normative alle competenti autorità di settore e di spazi per l’autoregolamentazione.
Con riferimento al sistema sanzionatorio, le conclusioni hanno rilevato che il TUF risulta conferire uno spazio forse eccessivo alle sanzioni penali rispetto a quello delle sanzioni amministrative. In proposito, le sanzioni amministrative sono state infatti giudicate dotate di una maggiore efficacia deterrente, specie se inserite in un sistema che ponga le responsabilità non solo in capo agli individui ma anche alle società e agli enti operanti nel settore dell’intermediazione finanziaria.
A tale proposito si poneva l’esigenza di adeguare alla direttiva europea 2003/6/CE la normativa italiana in materia di abusi di mercato, che, da un lato, definiva condotta come fattispecie penale, precludendo la sanzione amministrativa, e, dall’altro lato, configurava il reato con una definizione estremamente restrittiva. Il recepimento è stato successivamente operato con l’articolo 9 della legge 18 aprile 2005, n. 62 (legge comunitaria 2004).
Con riferimento al sistema dei controlli societari e della revisione contabile, è stata in primo luogo sottolineata l’esigenza di operare una riflessione sulla ripartizione di competenze tra collegio sindacale (ovvero, in base alle previsioni della riforma del diritto societario, il consiglio di sorveglianza, nel modello dualista, o gli “amministratori indipendenti” nel modello monista: v. capitolo La riforma del diritto societario e società di revisione. Con riferimento specifico ai controlli interni, si è rilevata l’esigenza di un chiarimento normativo circa l’applicabilità della previsione del TUF in materia di rappresentanza delle minoranze nel collegio sindacale agli amministratori indipendenti e al consiglio di sorveglianza. Su questa materia è successivamente intervenuto l’articolo 2 della legge 28 dicembre 2005, n. 262 (Tutela del risparmio e mercati finanziari).
Per quel che concerne invece l’operato delle società di revisione, anche in conseguenza dello scandalo Enron, le conclusioni dell’indagine hanno sottolineato l’esigenza di una migliore definizione delle modalità per il conferimento dell’incarico alla società di revisione e per il conferimento alle medesime società di compiti diversi da quelli di revisione, nonché di un miglior regime di pubblicità dei compensi corrisposti dalla società sottoposta a revisione alla società stessa. Anche a questo riguardo è poi intervenuto l’articolo 18 della testé citata legge n. 262 del 2005.
Analoghe valutazioni sono state compiute con riferimento all’operato degli analisti finanziari: anche in questo caso è stata infatti evidenziata l’opportunità di pervenire ad una migliore tutela dei risparmiatori sotto il profilo della comunicazione al pubblico dell’esistenza delle situazioni di conflitto di interesse.
Le conclusioni dell’indagine hanno poi riscontrato una scarsa applicazione dei nuovi istituti di partecipazione e tutela delle minoranze azionarie, che costituivano peraltro uno dei punti qualificanti del TUF. Le cause di tale fenomeno sono state individuate in motivi di ordine culturale. Al tempo stesso si è osservato che la nuova disciplina non agevolerebbe l’utilizzo dei poteri concessi alla minoranza per effetto della complessità ovvero dell’onerosità di alcuni adempimenti previsti (si è fatto ad esempio riferimento all’opportunità di uno snellimento dell’iter procedurale di convocazione dell’assemblea). D’altra parte, da molti dei soggetti intervenuti nelle audizioni, è emersa la preoccupazione di un utilizzo strumentale dei poteri attribuiti alla minoranza azionaria.
È stata al contrario osservata una significativa applicazione delle disposizioni in materia di offerta pubblica di acquisto (OPA). In proposito, è stato rilevato che le disposizioni in materia si sono dimostrate coerenti con lo scopo che si prefiggevano, vale a dire quello di accrescere il grado di contendibilità delle società quotate nei mercati regolamentati, rafforzando nel contempo le garanzie a tutela degli azionisti di minoranza. Con riferimento specifico poi all’OPA obbligatoria – ricordato che il disegno sotteso all’adozione di regole in materia ispirate al sistema inglese sembra corrispondere alla richiesta di un assetto di mercato ispirato al modello delle public companies, e che, tuttavia, la trasposizione di un simile modello nel nostro Paese senza un’accurata valutazione delle peculiarità del sistema vigente non ha avvantaggiato la diffusione di tale assetto societario – è stato comunque rilevato che la disciplina sull’argomento ha consentito di rendere più efficiente il mercato di capitali. Per quel che concerne infine la determinazione del prezzo, si è convenuto sull’opportunità di non renderlo troppo oneroso per evitare di ostacolare il ricambio del controllo societario.
Sulla base del mandato ricevuto dal Consiglio Ecofin nel maggio 2002, il Comitato economico e finanziario[165] ha redatto un rapporto che propone modifiche in materia di regolamentazione, vigilanza e stabilità finanziaria nell’Unione europea; il rapporto è stato approvato dal Consiglio Ecofin del 3 dicembre 2002.
Lo schema di regolamentazione si articola in quattro diversi livelli.
Il primo livello riguarda l’elaborazione della legislazione primaria. Come previsto dal Trattato CE, la Commissione elabora le proposte di regolamento e di direttiva, che si limitano a stabilire i principi generali della regolamentazione.
Al secondo livello è demandata la predisposizione della normativa secondaria per l’attuazione delle disposizioni di primo livello. Al riguardo, è previsto un più ampio ricorso alla “procedura di comitologia”, che trova il suo fondamento nell’articolo 202 del Trattato CE, secondo la quale la Commissione elabora la regolamentazione secondaria con l’assistenza di comitati distinti per i settori bancario, mobiliare e assicurativo, formati da rappresentanti dei Ministeri dell’economia e delle finanze.
Il terzo livello vede l’intervento di comitati tecnici, ai quali spetta, da un lato, una funzione di consulenza nei confronti della Commissione per l’elaborazione delle proposte legislative e regolamentari in materia di servizi finanziari; dall’altro, una funzione di coordinamento delle autorità nazionali ai fini del recepimento nei rispettivi ordinamenti della disciplina comunitaria e per l’esercizio della vigilanza.
L’attività di quarto livello è dedicata alla verifica dell’attuazione della regolamentazione comunitaria. Vengono rafforzati i poteri della Commissione, che controlla l’osservanza della normativa da parte degli Stati membri e promuove l’azione legale nei confronti di quelli inadempienti.
Il Consiglio Ecofin ha infine istituito il Comitato per i servizi finanziari, composto da rappresentanti dei Ministri dell’economia e delle finanze, con il compito di assistere il Consiglio nella definizione della strategia di lungo termine per il settore dei servizi finanziari in Europa, nell’analisi dei rischi immediati per i mercati finanziari (come il finanziamento del terrorismo) e nel controllo sull’attuazione della strategia stessa, senza tuttavia interferire con il processo legislativo.
La crisi economica e finanziaria dell’Argentina, maturata nella seconda metà degli anni ‘90, è stata causata da vari fattori. Alla caduta della produzione, iniziata nel 1998 in conseguenza delle difficoltà di accesso ai mercati finanziari internazionali, successivamente alla crisi russa, e del calo dei prezzi delle materie prime, che rappresentavano oltre un terzo delle esportazioni del paese, fece seguito una progressiva perdita di competitività, derivante dall’ingente apprezzamento della valuta statunitense, cui era rigidamente ancorato il peso argentino, e dal forte deprezzamento, nella stessa area economica, del real brasiliano. La blanda disciplina di bilancio, in uno con la flessione dell’attività sopra descritta, provocando il rapido deterioramento dei conti pubblici, determinò un forte rialzo dei premi al rischio sul debito pubblico, di guisa che l’incremento dei tassi d’interesse a breve aggravava, nel 2001, una situazione economica già compromessa. Il 23 dicembre 2001 la Repubblica argentina dichiarò una moratoria sul servizio del debito estero, sospendendo il pagamento degli interessi sul debito pubblico, eil rimborso dei capitali per i titoli in scadenza. Il successivo 3 gennaio 2002 il Governo argentino non ha provveduto al pagamento della cedola (10%) di un prestito con scadenza nell’anno 2007, mettendo così in atto la moratoria; alla fine di febbraio non rimborsò il capitale del primo prestito in scadenza.
Per quanto riguarda l’esposizione dei principali sistemi bancari verso l’Argentina, gli Stati Uniti sono risultati i più esposti, con una percentuale del 28,3 del totale, seguìti dalla Spagna (24,5), dalla Germania (8,9) e dal Regno Unito (8,5); l’Italia è risultata esposta per una percentuale dell’8,3% del totale[166].
Secondo le stime operate dall’Associazione bancaria italiana su dati riferiti al 31 dicembre 2001, il controvalore di obbligazioni emesse da enti pubblici argentini detenuto da investitori italiani era di 14.056,624 milioni di euro.
Di questi, 13.236,465 milioni rappresentavano il controvalore nominale nei conti amministrati dagli intermediari professionali, mentre 820,159 milioni rappresentavano il controvalore nominale nei conti gestiti. In aggiunta, le banche avevano nei conti propri titoli per un controvalore nominale di 473,242 milioni di euro, che faceva aumentare l’esposizione totale del sistema in titoli argentini a 14.529,866 milioni di euro.
Con riguardo alla posizione dei singoli investitori privati, si calcola, secondo le stime sopra citate, che il controvalore nominale medio di titoli argentini da essi detenuti risultasse pari a circa 37.000 euro, e che fossero circa 20.000 gli investitori privati il cui portafoglio risultasse composto di titoli argentini per un controvalore superiore alla metà del portafoglio stesso.
La Commissione VI (Finanze) della Camera, nel corso della XIV legislatura, ha proceduto ad alcune audizioni informali che hanno consentito di raccogliere le istanze dei diversi soggetti coinvolti e di esaminare le iniziative assunte con riferimento a tale vicenda.
In particolare, le associazioni dei consumatori hanno rilevato l’esigenza di assicurare un eguale trattamento tra tutti i creditori coinvolti, garantendo per tutti l’integrale restituzione del patrimonio versato, sia pure attraverso un abbassamento delle cedole ed un allungamento delle scadenze.
Le medesime associazioni hanno inoltre ravvisato una responsabilità degli intermediari finanziari e bancari nel nocumento economico subìto da un consistente numero di risparmiatori: essi avrebbero indirizzato significative quote di risparmio verso i titoli del debito pubblico argentino senza provvedere nella misura dovuta alle necessarie informazioni.
Tra le iniziative assunte, mette conto ricordare che, a livello nazionale, l’Associazione bancaria italiana ha costituito un gruppo ristretto, denominato “Task force titoli sulla crisi Argentina”, con la partecipazione di banche le quali rappresentano circa il 75% del sistema bancario italiano per quota di mercato detenuta. L’intervento del sistema bancario mira in particolare a perseguire la parità di trattamento degli investitori italiani con gli investitori esteri, a conseguire il rimborso del capitale investito e a ottenere la rappresentanza del sistema bancario italiano nelle sedi competenti per la ristrutturazione del debito argentino.
Nel gennaio 2005 la Repubblica argentina ha presentato un’offerta di scambio relativa ai propri titoli, per reintegrare almeno in parte i possessori e riguadagnare l’accesso ai mercati finanziari internazionali.
In particolare, la Repubblica argentina offriva, in cambio dei precedenti titoli del debito pubblico argentino, tre nuove tipologie di obbligazioni, obbligazioni par, discount e quasi-par, alle quali veniva annesso uno strumento finanziario denominato titolo PIL. Le obbligazioni par prevedono un rimborso integrale del capitale entro il 2038 (con pagamento dei soli interessi sul prestito fino al settembre 2029). Le obbligazioni discount prevedono invece un rimborso entro il 2033 (con pagamento dei soli interessi sul prestito fino al 2024). Le obbligazioni quasi-par vengono invece offerte in scambio agli investitori che detengono obbligazioni per controvalore nominale superiore ai 350.000 dollari, e prevedono solo l’emissione in titoli in peso argentino oltre ad essere rette esclusivamente dalla legge argentina: esse pertanto non presentavano interesse per gli investitori italiani. Lo strumento finanziario titolo PIL dovrebbe invece garantire ai risparmiatori una maggiore remunerazione mediante il riconoscimento di pagamenti in sola linea interessi calcolati sulla differenza, se positiva, tra gli incrementi del PIL in termini reali e il PIL di base prefissato e indicato nel documento di offerta.
I rappresentanti della “Task force titoli sulla crisi argentina”, nel corso dell’audizione informale del 12 gennaio 2005 presso la Commissione finanze, hanno rilevato come l’offerta pubblica di scambio comportasse termini particolarmente onerosi per gli obbligazionisti italiani[167].
Il termine per aderire all’offerta pubblica di scambio scadeva il 25 febbraio 2005. Hanno aderito all’offerta pubblica di scambio risparmiatori detentori del 76,07 per cento dei titoli interessati. In Italia, tuttavia, l’adesione è stata complessivamente modesta, nella misura corrispondente al 27,8 per cento del valore di 14,5 miliardi di euro rappresentato dai titoli posseduti da investitori nazionali. La Task Force ha quindi deciso di ricorrere all’arbitrato internazionale dell’ICSID (International Centre for the Settlement of Investment Disputes), organismo della Banca mondiale competente in materia di controversie tra investitori e Stati sovrani, per ottenere la restituzione delle somme versate dai risparmiatori italiani.
Sulla vicenda dei titoli pubblici argentini si sono registrate numerose iniziative parlamentari. In particolare, il 13 luglio 2004 la Camera approvò il progetto di legge istitutivo di una Commissione d’inchiesta che avrebbe dovuto occuparsi anche di tale questione (A.C. 4568 e abb.: Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sulle eventuali responsabilità politiche per gli episodi di dissesto finanziario delle imprese del gruppo Parmalat, del gruppo Cirio e della Giacomelli Spa, nonché sulle modalità di diffusione di titoli pubblici argentini presso i risparmiatori italiani nel periodo 1998-2003). Tuttavia, il progetto di legge non è stato approvato in via definitiva dal Senato.
Sulle modalità d’indennizzo dei risparmiatori coinvolti sono state poi presentate alcune proposte di legge (in particolare A.C. 4669 e 4703), il cui iter parlamentare non si è tuttavia concluso. Al medesimo riguardo, l’articolo 1, commi da 343 a 345, della legge n. 266 del 2005 (legge finanziaria per il 2006) ha istituito, nello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze, un fondo per l’indennizzo dei risparmiatori che, investendo sul mercato finanziario, sono rimasti vittime di frodi finanziarie e che hanno sofferto un danno ingiusto non altrimenti risarcito. L’indennizzo è esteso ai risparmiatori danneggiati a seguito dell’insolvenza della Repubblica argentina.
Il fondo è alimentato dall’importo dei conti correnti e dei rapporti bancari definiti come dormienti all’interno del sistema bancario e del comparto assicurativo e finanziario. La nozione di “conto o rapporto dormiente” e le modalità della rilevazione dei conti e rapporti così definiti dovranno essere determinate con regolamento governativo.
Inoltre, con l’intento di ovviare a consimili future evenienze, nell’articolo 27, commi 1 e 2, della legge 28 dicembre 2005, n. 262 (Tutela del risparmio e disciplina dei mercati finanziari), sono state inserite due deleghe al Governo in materia di procedure di conciliazione e di arbitrato e di indennizzo in favore degli investitori e dei risparmiatori. In particolare la delega di cui al comma 1 prevede l’istituzione di una procedura di conciliazione e di arbitrato da svolgere dinanzi alla CONSOB per la decisione di controversie insorte fra i risparmiatori o gli investitori (esclusi gli investitori professionali) circa l’adempimento degli obblighi di informazione, correttezza e trasparenza previsti nei rapporti contrattuali con la clientela. Nel caso in cui la CONSOB accerti l’inadempimento di tali obblighi, viene previsto un indennizzo in favore dei risparmiatori e degli investitori da parte delle banche o degli intermediari finanziari responsabili. Rimane comunque fermo il diritto di azione dinanzi agli organi della giurisdizione ordinaria, anche per il risarcimento del danno in misura maggiore rispetto all’indennizzo. Il comma 2 delega poi il Governo ad adottare uno o più decreti legislativi per l’istituzione di un fondo di garanzia per i risparmiatori e gli investitori: il fondo è destinato all’indennizzo dei danni patrimoniali causati dalla violazione, accertata con sentenza passata in giudicato, delle norme in materia di disciplina degli intermediari di cui alla parte seconda del testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria (decreto legislativo n. 58 del 1998), detratto l'ammontare dell'indennizzo previsto dal comma 1 dello stesso articolo 27 eventualmente erogato al soggetto danneggiato e gli importi dallo stesso comunque percepiti a titolo di risarcimento. Il fondo viene alimentato esclusivamente con il versamento della metà degli importi delle sanzioni irrogate per la violazione delle norme in materia di disciplina degli intermediari finanziari di cui alla parte seconda del citato testo unico.
La direttiva CE 6 giugno 2002, n. 47, in materia di contratti di garanzia finanziaria, tende ad assicurare regimi semplici ed efficaci per la conclusione di contratti di garanzia finanziaria, nonché certezza e rapidità nel realizzo delle garanzie in caso di inadempimento o di sottoposizione del debitore a una procedura di insolvenza. A tali fini, si vieta agli Stati membri di subordinare la validità dei contratti di garanzia al rispetto di requisiti formali e si prevedono alcune rilevanti deroghe ai princìpi delle procedure nazionali di realizzo delle garanzie, ordinarie e concorsuali. I contratti considerati dalla direttiva sono quelli che prevedono una garanzia sul contante o su strumenti finanziari mediante costituzione di pegno o trasferimento della proprietà. La disciplina rafforza ed estende sostanzialmente a tutte le transazioni la protezione dei contratti di garanzia finanziaria già prevista dalla direttiva 98/26/CE (cosiddetta settlement finality), il cui regime di tutela si applica esclusivamente alle garanzie prestate nell’ambito dei sistemi di pagamento e di liquidazione dei titoli e in favore delle banche centrali del Sistema europeo di banche centrali.
La legge 3 febbraio 2003, n. 14 (legge comunitaria 2002), ha delegato il Governo ad adottare decreti legislativi per il recepimento della direttiva. Il D.Lgs. 21 maggio 2004, n. 170, ha attuato la direttiva introducendo una autonoma disciplina dei contratti di garanzia finanziaria, che si aggiunge al regime generale delle garanzie previsto nel codice civile. La nuova disciplina delinea regimi semplificati per la conclusione di tali contratti nonché meccanismi che assicurano certezza e rapidità nell’escussione delle garanzie. L’ambito di applicazione della normativa si riferisce ai contratti di pegno e di cessione di credito o trasferimento della proprietà con funzione di garanzia, compreso il contratto di pronti contro termine, di cui siano parte autorità pubbliche, banche centrali, soggetti finanziari o, a condizione che la controparte rientri in una di dette categorie, anche soggetti non finanziari diversi dalle persone fisiche.
La direttiva 2002/65/CE, in tema di commercializzazione a distanza di servizi finanziari ai consumatori, disciplina sostanzialmente le informazioni preliminari e il diritto di recesso del consumatore, quali regole che si applicano anche alle vendite realizzate attraverso internet, per le quali una normativa di carattere generale è stata dettata dalla direttiva 2000/31/CE sul commercio elettronico. L’insieme di informazioni da fornire al cliente prima della conclusione di un contratto a distanza integra quelle richieste dalle altre direttive comunitarie e dalle norme nazionali che disciplinano la prestazione di servizi finanziari.
La legge 31 ottobre 2003, n. 306 (legge comunitaria 2003) ha delegato il Governo a emanare decreti legislativi per il recepimento della direttiva, che è stata attuata nell’ordinamento interno dal D.Lgs. 19 agosto 2005, n. 190. Tra le novità introdotte per quanto concerne le vendite al dettaglio di servizi bancari, d'investimento o assicurativi, realizzate per mezzo di strumenti a distanza (quali telefono, fax, internet, etc.) figura il diritto del consumatore di recedere dal contratto senza penali e senza dover indicare il motivo entro i quattordici giorni successivi alla sua stipulazione. Il fornitore che contravviene alle norme previste dal decreto, ovvero che ostacola l'esercizio del diritto di recesso da parte del consumatore ovvero non rimborsa al consumatore le somme da questo eventualmente pagate, è punito con una sanzione amministrativa pecuniaria.
Nel dicembre del 2001 sono stati approvati due provvedimenti di modifica della direttiva CEE 20 dicembre 1985, n. 611 in materia di organismi di investimento collettivo in valori mobiliari (OICVM): la cosiddetta “direttiva Gestore” (direttiva 2001/107/CE), che detta una compiuta disciplina delle società di gestione e regola il prospetto semplificato, e la cosiddetta “direttiva Prodotto” (direttiva 2001/108/CE), che amplia le possibilità di investimento dei fondi liberamente commerciabili all’interno dell’Unione.
La “direttiva Gestore” subordina il rilascio dell’autorizzazione alle società di gestione a condizioni analoghe a quelle previste nel settore dei servizi di investimento (capitale minimo, requisiti di esponenti aziendali e soci, adeguatezza organizzativa); prevede un coefficiente patrimoniale commisurato alla dimensione dei patrimoni gestiti; riconosce alle società la possibilità di prestare, in aggiunta al servizio di gestione collettiva del risparmio, quello di gestione su base individuale e taluni servizi accessori (consulenza in materia di investimenti, custodia e amministrazione di parti di OICVM).
La “direttiva Prodotto” abbandona il criterio dell’armonizzazione di singole tipologie di fondi e riconosce la possibilità di creare organismi di investimento collettivo del risparmio che possono investire in molteplici attività finanziarie (valori mobiliari, quote di altri OICVM aperti, depositi bancari, strumenti del mercato monetario, prodotti derivati).
La legge comunitaria 2002 (legge 3 febbraio 2003, n. 14) ha, tra l’altro, delegato il Governo ad adeguare la disciplina nazionale a tali direttive, che sono state attuate nell’ordinamento interno con il D.Lgs. 1° agosto 2003, n. 274.
Il decreto modifica alcune disposizioni del testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, emanato con D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, per adeguarlo alla nuova disciplina comunitaria. Le principali innovazioni riguardano: una più ampia facoltà per le società di gestione del risparmio (SGR) di delegare proprie funzioni a soggetti terzi, secondo modalità che evitino tuttavia lo svuotamento della società e ferma restando la responsabilità per l’operato dei delegati; la possibilità per le società di gestione autorizzate in un paese membro dell’Unione europea di operare, in regime di mutuo riconoscimento, in altri paesi comunitari; l’individuazione dei servizi accessori (la consulenza in materia di investimenti in strumenti finanziari e la custodia e amministrazione di quote di fondi comuni di propria istituzione) esercitabili dalle SGR insieme con l’attività di gestione individuale di patrimoni; norme specifiche per le società d’investimento a capitale variabile (Sicav) che designano una società di gestione per la gestione del proprio patrimonio.
Ulteriori modifiche sono state introdotte in materia di gestione collettiva del risparmio al fine di accrescere la flessibilità operativa riconosciuta alle SGR e di abbreviare i tempi di accesso al mercato. I termini per l’approvazione dei regolamenti di gestione dei fondi sono stati ridotti da quattro a tre mesi; la Banca d’Italia, in base all’oggetto dell’investimento, alla categoria di investitori o alle regole di funzionamento del fondo, individua le ipotesi in cui i regolamenti di gestione si intendono approvati in via generale; alla banca depositaria può essere attribuito il compito di calcolare il valore della quota dei fondi comuni.
Sulla medesima materia è intervenuto anche il decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, oltre a modificare il regime tributario dei fondi immobiliari e dei fondi comuni che investono in società quotate di piccola e media capitalizzazione, rendendolo più incentivante, ha previsto l’istituzione dell’assemblea dei partecipanti dei fondi chiusi, disciplinandone i compiti e il funzionamento (art. 41-bis, co. 7). Con riguardo a tale assemblea, le nuove disposizioni stabiliscono i quorum e le materie sulle quali essa può deliberare: la sostituzione della società di gestione, la richiesta di ammissione a quotazione delle quote del fondo, la modifica delle politiche di gestione e le altre materie individuate con regolamento del Ministro dell’economia e delle finanze.
La direttiva 2004/25/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, che interviene in tema di offerte pubbliche di acquisto (OPA), costituisce un aspetto essenziale del Piano d'azione per i servizi finanziari. Il Consiglio europeo di Lisbona del marzo 2000 aveva annoverato tale atto fra le misure prioritarie da adottare per l'integrazione dei mercati finanziari europei entro il 2005. La direttiva è volta a istituire linee direttrici minime per lo svolgimento di OPA laddove i titoli di società disciplinati dalle leggi degli Stati membri sono ammessi alla negoziazione su un mercato regolamentato. Essa mira altresì a fornire un adeguato livello di protezione ai possessori di titoli in seno alla Comunità, istituendo un quadro di princìpi comuni e di requisiti generali che gli Stati membri devono attuare attraverso norme più dettagliate, conformemente ai rispettivi sistemi nazionali e contesti culturali.
La direttiva prevede misure di coordinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative, dei codici deontologici o di altre disposizioni degli Stati membri, comprese le disposizioni adottate da organizzazioni ufficialmente abilitate a regolamentare i mercati (qui di seguito denominate "regole"), concernenti le OPA su titoli di una società disciplinati dal diritto di uno Stato membro, qualora la totalità o una parte di tali titoli sia ammessa alla negoziazione su un mercato regolamentato ai sensi della direttiva 93/22/CEE in uno o più Stati membri.
La direttiva non si applica alle OPA su titoli emessi da società aventi quale fine l'investimento collettivo di capitali raccolti presso il pubblico, il cui funzionamento sia soggetto al principio della ripartizione dei rischi e le cui quote, su richiesta dei possessori, vengono riacquistate o rimborsate - direttamente o indirettamente - a carico degli attivi di tali società. Gli atti o le operazioni compiuti da queste società per garantire che il valore di borsa delle loro quote non varii in modo significativo rispetto al loro valore d'inventario netto sono considerati equivalenti a un tale riscatto o rimborso.
Infine, la direttiva non si applica alle OPA su titoli emessi dalle banche centrali degli Stati membri.
Tra i princìpi generali individuati dalla direttiva e che gli Stati sono chiamati a rispettare, possiamo ricordare:
§ parità di trattamento per tutti i possessori di titoli della società emittente; qualora una persona acquisisca il controllo di una società, gli altri possessori devono essere tutelati;
§ i destinatari dell'offerta devono ricevere in tempo utile un documento d'offerta contenente le informazioni necessarie per decidere con cognizione di causa; nella sua funzione di consigliere dei possessori di titoli, l'organo d’amministrazione della società emittente deve esprimere il suo parere circa le ripercussioni dell'offerta sull’occupazione e sulle condizioni lavorative della società;
§ l'organo d'amministrazione o di direzione della società emittente deve agire nell'interesse della società nel suo insieme e non deve negare ai possessori di titoli la possibilità di decidere sul merito dell'offerta;
§ non devono crearsi mercati fittizi per i titoli della società emittente, della società offerente o di qualsiasi altra società interessata dall'offerta, suscettibili di dar luogo al rialzo o al ribasso artificiale delle quotazioni dei titoli e di turbare il normale funzionamento del mercato;
§ un offerente annunzia un'offerta solo dopo essersi assicurato di poter fare fronte pienamente ad ogni impegno in materia di corrispettivo in contanti, se così prevede l'offerta, e dopo aver adottato tutte le misure ragionevoli per assicurare il soddisfacimento degli impegni in materia di corrispettivi di altra natura;
§ la società emittente non dev’essere ostacolata nelle sue attività oltre un ragionevole lasso di tempo per effetto di un'offerta sui suoi titoli.
Gli Stati membri possono stabilire condizioni supplementari o disposizioni più rigorose di quelle previste dalla direttiva per regolamentare le offerte.
La direttiva prevede per l’organo amministrativo della società bersaglio il divieto di adottare misure difensive di qualsiasi natura senza il consenso degli azionisti, e sancisce l’inefficacia, durante l’offerta o successivamente, di alcune misure che possono ostacolare l’assunzione e l’esercizio del controllo da parte dell’offerente; nondimeno, autorizza gli Stati membri a non applicare queste disposizioni, consentendo tuttavia alle società di assoggettarvisi volontariamente;
Gli Stati membri debbono designare l'autorità o le autorità competenti per la vigilanza su un'offerta. Le autorità designate sono enti pubblici, associazioni o organismi privati riconosciuti dall'ordinamento nazionale o da autorità pubbliche espressamente abilitate a tal fine dall'ordinamento nazionale. Gli Stati membri informano la Commissione sulle designazioni. Gli Stati verificano che tali autorità esercitino le loro funzioni in modo imparziale e indipendente rispetto a tutte le parti dell'offerta.
L'autorità competente per la vigilanza dell'offerta è quella dello Stato membro in cui la società emittente ha la propria sede sociale, qualora i titoli di tale società siano ammessi alla negoziazione sul mercato regolamentato di tale Stato membro. In tutti gli altri casi (titoli non ammessi alla negoziazione ovvero ammessi alla negoziazione su vari mercati regolamentati o altro) la direttiva consente di definire l'autorità competente per la vigilanza.
Gli Stati membri verificano che tutte le persone che svolgono o hanno svolto attività lavorativa presso le rispettive autorità di vigilanza siano tenute al segreto d’ufficio.
Le autorità di vigilanza e le autorità incaricate di controllare i mercati di capitali cooperano e si scambiano informazioni. Tali informazioni sono coperte dal segreto d’ufficio.
A tutela degli azionisti di minoranza è stabilito che, qualora una persona fisica o giuridica, a seguito di un'acquisizione effettuata da essa stessa o da persone che agiscono di concerto con essa, possieda titoli di una società che le conferiscono una determinata percentuale dei diritti di voto e pertanto il controllo di tale società, tale persona deve rivolgere, entro un termine predefinito, a tutti i possessori di titoli un’offerta d’acquisto della loro intera quota di partecipazione ad un prezzo equo.
L'obbligo di presentare una tale offerta decade qualora il controllo sia stato acquisito a seguito di un'offerta volontaria rivolta a tutti i possessori di titoli per la totalità delle loro partecipazioni.
La percentuale di diritti di voto che conferisce il controllo e le relative modalità di calcolo della ponderazione sono fissate dalla normativa dello Stato membro nel quale la società ha la sua sede sociale.
Le autorità di vigilanza possono essere autorizzate dagli Stati membri a modificare il "prezzo equo" secondo circostanze e criteri chiaramente determinati. Tale decisione dev’essere motivata e resa pubblica.
L'offerente può proporre vari tipi di corrispettivo, nella fattispecie titoli, contanti o una combinazione dei due. Qualora non si tratti di titoli liquidi ammessi alla negoziazione in un mercato regolamentato, l'offerta deve comprendere, almeno come alternativa, un corrispettivo in contanti.
Gli Stati membri possono prevedere che un corrispettivo in contanti debba essere offerto in ogni caso, almeno a titolo di opzione.
Gli Stati membri verificano che la decisione di fare un'offerta sia resa immediatamente pubblica e che l'autorità di vigilanza ne sia informata. Essi verificano altresì che l'offerente rediga e renda pubblico in tempo utile un documento d'offerta contenente le informazioni necessarie affinché i possessori di titoli della società emittente possano decidere sulle offerte con piena cognizione di causa.
La direttiva prescrive le indicazioni minime che il documento d'offerta deve contenere, nella fattispecie: il contenuto dell'offerta, l'identità dell'offerente, il corrispettivo offerto, la percentuale o il numero massimo e minimo di titoli che l'offerente si impegna ad acquisire nonché le condizioni alle quali l'offerta è subordinata, le intenzioni dell'offerente in relazione ai programmi futuri della società emittente, il termine per l'accettazione e l'ordinamento nazionale cui è soggetto il contratto.
La direttiva prevede l'obbligo di informare dettagliatamente i dipendenti o i rappresentanti della società emittente. Estende altresì alla società offerente l'obbligo di informare o consultare i dipendenti. L'informazione e la consultazione dei lavoratori debbono essere conformi alle disposizioni nazionali pertinenti e alle varie disposizioni comunitarie in materia, quali la direttiva 94/45/CE concernente l'istituzione di un comitato aziendale europeo, la direttiva 98/59/CE relativa ai licenziamenti collettivi e la direttiva 2002/14/CE relativa all'informazione e alla consultazione dei lavoratori.
Il termine entro il quale l'offerta dev’essere accettata non può essere inferiore a due settimane né superiore a dieci settimane, decorrenti dalla data di pubblicazione dei documenti di offerta. In taluni casi, gli Stati membri possono prevedere una proroga oltre le dieci settimane.
In base alla direttiva, gli Stati membri provvedono ad emanare norme per lo svolgimento delle offerte, disciplinando almeno i seguenti aspetti:
§ decadenza dell'offerta;
§ revisione delle offerte;
§ offerte concorrenti;
§ pubblicazione dei risultati delle offerte;
§ irrevocabilità delle offerte e condizioni ammesse.
La direttiva prevede poi un dispositivo di "cessione obbligatoria" che permette a un azionista di maggioranza di esigere che gli azionisti di minoranza gli vendano i loro titoli. Gli Stati membri devono garantire che un offerente possa esigere che tutti i restanti possessori di titoli gli vendano tali titoli ad un prezzo equo.
Gli Stati membri introducono questo diritto in uno dei due casi seguenti:
1) qualora l'offerente detenga almeno il 90% dei diritti di voto della società emittente. Gli Stati membri possono fissare una soglia più alta a condizione che non superi il 95% del capitale che conferisce il diritto di voto e il 95% dei diritti di voto;
2) qualora, a seguito dell'accettazione dell'offerta, l'offerente abbia acquisito - o si sia fermamente impegnato per contratto ad acquisire - titoli che rappresentano almeno il 90% del capitale che conferisce il diritto di voto della società emittente e il 90% dei diritti di voto oggetto dell'offerta.
L'offerente che intende esercitare il diritto di ricorrere alla cessione obbligatoria deve farlo entro tre mesi dalla scadenza del termine per l'accettazione dell'offerta.
La cessione obbligatoria è combinata con un diritto di "riscatto obbligatorio" che, a seguito di un'OPA, consente agli azionisti minoritari di costringere un azionista fortemente maggioritario a riacquistare i loro titoli ad un prezzo equo.
Una clausola di revisione prevede che la Commissione possa proporre una modifica del testo dopo cinque anni dal termine di recepimento in base all’esperienza acquisita nel quadro della sua applicazione.
A questo fine, gli Stati membri forniscono ogni anno alla Commissione informazioni sulle OPA relative a società i cui titoli sono ammessi alla negoziazione sui loro mercati regolamentati.
Il termine per il recepimento della direttiva 2004/25/CE è stabilito nel 20 maggio 2006. La delega legislativa a questo fine è contenuta nell’allegato B alla legge 18 aprile 2005, n. 62 (legge comunitaria 2004). Il recepimento dovrebbe comportare modificazioni al testo unico delle leggi sull’intermediazione finanziaria, approvato con decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, che già prevede una disciplina dell’OPA.
La direttiva 2004/39/CE interviene in tema di mercati degli strumenti finanziari, recando modificazioni alle direttive 85/611/CEE, 93/6/CEE e 2000/12/CE e abrogando la direttiva 93/22/CEE. La direttiva è composta da 73 articoli.
Le norme contenute nella direttiva 2004/39/CE costituiscono un passo importante verso la costruzione di un mercato azionario europeo integrato, consentendo alle imprese d’investimento di godere effettivamente di un "passaporto unico" e agli investitori di beneficiare del medesimo livello di protezione in qualsiasi sistema europeo d’intermediazione mobiliare.
La direttiva 2004/39/CE inoltre cerca di stabilire per la prima volta un quadro regolamentare completo che regola l'esecuzione delle transazioni degli investitori da parte dei mercati regolamentati, dei sistemi di negoziazione alternativi e degli intermediari (imprese di investimento), che operano in qualità di internalizzatori.
Le principali innovazioni previste dalla direttiva 2004/39/CE riguardano tre diverse aree: l’ambito di applicabilità della normativa, la disciplina dell’offerta di servizi di negoziazione e il regime di trasparenza delle condizioni di mercato.
In relazione all’applicabilità della normativa, la direttiva estende la portata della regolamentazione, espandendo sia l'elenco dei servizi finanziari soggetti (con l'inclusione dell'attività di consulenza agli investimenti, ma mantenendo alla ricerca e all'analisi finanziaria la qualifica di servizi accessori), sia l'elenco degli strumenti finanziari che sono oggetto della prestazione di servizi d’investimento (includendovi anche strumenti derivati su merci e su crediti liquidati per cassa).
Con riferimento alla disciplina dell’offerta di servizi di negoziazione, si introduce la distinzione tra mercati regolamentati, sistemi multilaterali di negoziazione (Multilateral Trading Facilities – MTF) e intermediari autorizzati, eventualmente operanti in qualità di "internalizzatori sistematici".
Le definizioni dei tre istituti sono le seguenti:
§ mercato regolamentato è un "sistema multilaterale, amministrato e/o gestito dal gestore del mercato, che consente o facilita l'incontro – al suo interno e in base alle sue regole non discrezionali – di interessi multipli di acquisto e di vendita di terzi relativi a strumenti finanziari, in modo da dare luogo a contratti relativi a strumenti finanziari ammessi alla negoziazione conformemente alle sue regole e/o ai suoi sistemi, e che è autorizzato e funziona regolarmente";
§ sistema multilaterale di negoziazione è un "sistema multilaterale gestito da un'impresa di investimento o da un gestore del mercato che consente l'incontro – al suo interno e in base a regole non discrezionali – di interessi multipli di acquisto e di vendita di terzi relativi a strumenti finanziari, in modo da dare luogo a contratti";
§ internalizzatore sistematico è "un'impresa di investimento che in modo organizzato, frequente e sistematico negozia per conto proprio eseguendo gli ordini del cliente al di fuori di un mercato regolamentato o di un sistema multilaterale di negoziazione".
La direttiva 2004/39/CE esclude che i singoli paesi membri possano imporre il vincolo (cosiddetto “obbligo di concentrazione”) che gli scambi su titoli quotati in un mercato regolamentato avvengano esclusivamente presso mercati regolamentati; consente invece che tali scambi possano avvenire anche in sistemi multilaterali di negoziazione o a cura di internalizzatori sistematici. In Italia l’obbligo di concentrazione è attualmente previsto, con alcune eccezioni, solo per i titoli azionari quotati su un mercato regolamentato e limitatamente agli orari di funzionamento di almeno uno dei mercati regolamentati in cui il titolo è negoziato.
Per quanto riguarda le regole di gestione degli ordini della clientela, l'articolo 21 prescrive che essi siano eseguiti alle condizioni più favorevoli per il cliente, "tenuto conto del prezzo, dei costi, della rapidità e della probabilità di esecuzione e di regolamento, delle dimensioni, della natura, dell'ordine o di qualsiasi altra considerazione pertinente ai fini della sua esecuzione". Nella gestione degli ordini dei clienti, le imprese d’investimento dovranno applicare "procedure e dispositivi che assicurino un'esecuzione rapida, equa ed efficiente di tali ordini rispetto ad altri ordini di clienti e agli interessi di negoziazione della stessa impresa", rispettando la priorità temporale della loro ricezione. Nella scelta della sede (trading venue) in cui dare attuazione all’ordine, le imprese d’investimento dovranno valutarne la capacità di offrire i migliori risultati possibili per il cliente, in considerazione dei tipi di ordine che essa utilizza e dei tipi di cliente che essa serve, e dimostrare di averla utilizzata per un certo periodo di tempo e di valutarla periodicamente. Fattori dei quali tenere conto per giudicare la bontà di una sede saranno: prezzo, liquidità, commissioni e altri costi, dimensione tipica dell'ordine, caratteristiche prevalenti delle controparti, capacità di condurre a termine scambi e di liquidarli.
Per quanto riguarda i requisiti di trasparenza, gli articoli 27 e 28 sono dedicati agli obblighi di trasparenza degli internalizzatori sistematici. Questi, quando negoziano quantitativi inferiori alla dimensione ordinaria del mercato, sono tenuti a pubblicare quotazioni irrevocabili per le azioni ammesse alla negoziazione nei mercati regolamentati per le quali esiste un mercato liquido. Le quotazioni devono essere pubblicate con regolarità e continuità durante il normale orario di contrattazione e possono essere ritirate solo in condizioni di mercato eccezionali. Le quotazioni devono essere accessibili da parte dei partecipanti al mercato a condizioni commerciali ragionevoli.
Per assicurare la trasparenza post-negoziazione (articolo 28), gli internalizzatori devono rendere pubblici il volume e il prezzo delle operazioni svolte e il momento nel quale sono state concluse. Tali informazioni sono pubblicate per quanto possibile immediatamente, a condizioni commerciali ragionevoli e in modo da essere facilmente accessibili agli altri partecipanti al mercato, tramite un mercato regolamentato dove lo strumento è quotato oppure tramite un sistema multilaterale di negoziazione nel quale è trattato o ancora tramite i servizi di un terzo o tramite dispositivi propri.
Gli articoli 29 e 30 disciplinano gli obblighi di trasparenza ex ante e ex post dei sistemi multilaterali di negoziazione. Questi (o meglio le imprese d’investimento e i gestori di mercato che li gestiscono) devono rendere pubblici i prezzi correnti di acquisto e di vendita e lo spessore del mercato a tali prezzi tramite i loro sistemi, se relativi ad azioni quotate in un mercato regolamentato, a condizioni commerciali ragionevoli e in modo continuo durante il normale orario di contrattazione. Essi possono essere esentati da tale obbligo se le operazioni riguardano volumi elevati rispetto alle dimensioni normali del mercato. Per quanto riguarda l'informativa ex post, i sistemi multilaterali di negoziazione devono rendere pubblici il prezzo, il volume e il momento di esecuzione delle operazioni concluse su azioni quotate in un mercato regolamentato, a condizioni commerciali ragionevoli e per quanto possibile in tempo reale. Questo requisito non si applica alle negoziazioni eseguite in un sistema multilaterale di negoziazione le cui informazioni siano rese pubbliche nell'ambito dei sistemi di un mercato regolamentato.
Gli articoli 44 e 45 disciplinano gli obblighi di trasparenza ex ante ed ex post relativamente ai mercati regolamentati. Questi devono rendere pubblici i prezzi correnti di acquisto e di vendita e la profondità del mercato a tali prezzi, a condizioni commerciali ragionevoli e in modo continuo durante il normale orario di contrattazione. Per quanto riguarda la trasparenza ex post, i mercati regolamentati devono rendere pubblici il prezzo, il volume e la data di esecuzione delle operazioni concluse riguardanti le azioni ammesse alla negoziazione, a condizioni commerciali ragionevoli e per quanto possibile in tempo reale. I mercati regolamentati possono essere autorizzati a differire la pubblicazione dei dettagli delle operazioni in base al loro tipo o alle loro dimensioni. In particolare l'autorità competente può autorizzare a differire la pubblicazione quando le operazioni sono di dimensioni elevate se raffrontate alle dimensioni delle operazioni, normalmente negoziate sul mercato, aventi ad oggetto le stesse azioni o categorie di azioni.
Il termine di recepimento della direttiva è fissato al 30 aprile 2006 (24 mesi dalla data della sua entrata in vigore).
La direttiva è stata inserita nell’allegato B alla legge 18 aprile 2005 n. 62 (legge comunitaria 2004), così delegandosi il Governo a provvedere, entro diciotto mesi dall’entrata in vigore della legge, al suo recepimento nell’ordinamento interno.
L’articolo 19 della legge 28 dicembre 2005, n. 262, ha significativamente modificato l’organizzazione della Banca d’Italia.
L’intervento legislativo si è concentrato essenzialmente su tre aspetti:
§ l’indipendenza e la trasparenza nelle decisioni della Banca;
§ la struttura di governo interna dell’Istituto;
§ l’assetto proprietario della Banca.
Dopo aver riaffermato, al comma 1, l’inserimento dell’Istituto nel Sistema europeo delle Banche centrali (SEBC)[168], l’articolo 19, al comma 3, stabilisce che le disposizioni normative nazionali, di rango primario e secondario, devono assicurare alla Banca d’Italia e ai componenti dei suoi organi l’indipendenza richiesta dalla normativa comunitaria.
Ai sensi del comma 4, inoltre, la Banca d’Italia, nell’esercizio delle proprie funzioni, con particolare riferimento a quelle di vigilanza, è tenuta ad operare nel rispetto del principio di trasparenza, inteso come “naturale complemento” dell’indipendenza dell’autorità di vigilanza.
Lo stesso comma 4 impone alla Banca d’Italia di riferire semestralmente sulla propria attività al Parlamento e al Governo[169].
Il comma 5 dispone che gli atti emessi dagli organi della Banca d’Italia debbano avere forma scritta e debbano essere motivati, indicando i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’Amministrazione in base all’articolo 3, comma 1, della legge 7 agosto 1990, n. 241, in tema di procedimento amministrativo.
La norma amplia quanto già previsto dall’articolo 4, commi 2 e 3, del TUB, i quali prevedono che la Banca d’Italia determini e renda pubblici previamente i princìpi e i criteri dell’attività di vigilanza e che siano indicati i motivi delle decisioni e pubblicati i provvedimenti aventi carattere generale, applicandosi, in quanto compatibili le disposizioni della citata legge n. 241 del 1990.
Lo stesso comma 5 prescrive inoltre che debba essere redatto apposito verbale delle riunioni degli organi collegiali, al fine di consentire la trasparenza e la sindacabilità del processo decisionale.
Il comma 6 trasferisce al Direttorio la competenza ad adottare i provvedimenti aventi rilevanza esterna già rientranti nella competenza del Governatore e quella relativa agli atti adottati su sua delega. Tale disposizione non si applica, comunque, alle decisioni rientranti nelle attribuzioni del Sistema europeo di banche centrali. Agli atti del Direttorio si applica quanto previsto dal comma 5, che impone la forma scritta, la motivazione e la redazione di verbale della riunione in cui l’atto è adottato. Si stabilisce che le deliberazioni del Direttorio sono adottate a maggioranza, in caso di parità dei voti prevalendo il voto del Governatore.
Ai sensi dell’articolo 5 dello Statuto della Banca d’Italia, i poteri dell'Istituto risiedono:
a) nell'assemblea generale dei partecipanti;
b) nel Consiglio superiore e nel Comitato del Consiglio superiore;
c) nel direttorio, costituito dal Governatore, dal Direttore generale e da due Vice Direttori generali.
Il comma 7 dell’articolo 19 ha limitato a sei anni il mandato del Governatore, con la possibilità di un solo rinnovo.
L’intervento normativo ha introdotto, come è noto, una significativa discontinuità nella struttura di governo interna della Banca d’Italia che, nell’assetto previgente, si caratterizzava per la mancanza di un limite temporale alla durata del Governatore nella carica.
Gli altri membri del Direttorio durano in carica sei anni, con la possibilità di un solo rinnovo.
In sede di prima applicazione, i membri del Direttorio in carica, diversi dal Governatore, verranno a cessare dall’ufficio secondo una articolazione delle scadenze disciplinata dallo statuto dell’Istituto, compresa in un periodo comunque non superiore ai cinque anni.
Ai sensi del comma 8, la nomina del Governatore è disposta con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, sentito il parere del Consiglio superiore della Banca d’Italia.
Tale procedimento si applica anche per la revoca del Governatore, nei casi previsti dall’articolo 14, paragrafo 2, del Protocollo sullo statuto del Sistema europeo di banche centrali e della Banca centrale europea, secondo cui il governatore di una banca centrale nazionale può essere sollevato dall’incarico solo se non soddisfa più le condizioni necessarie per l’esercizio delle sue funzioni o se si è reso colpevole di gravi mancanze.
Il comma 9 dispone l’adeguamento dello Statuto della Banca d’Italia alle nuove disposizioni entro due mesi dalla data della loro entrata in vigore. Entro il medesimo termine, lo Statuto della Banca d’Italia dovrà essere adeguato ridefinendo le competenze del Consiglio superiore al fine di attribuire allo stesso anche funzioni di vigilanza e controllo all’interno della Banca d’Italia.
Le modifiche debbono essere deliberate dall’assemblea straordinaria dei partecipanti e approvate con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, previa deliberazione del Consiglio dei ministri. Esse non sono state finora adottate.
Con riferimento all’assetto proprietario della Banca, deve essere in primo luogo ricordato che il comma 2 del citato articolo 19 conferma la natura della Banca d’Italia quale istituto di diritto pubblico, già affermata dall’articolo 20 del decreto-legge 12 marzo 1936, n. 375, recante disposizioni per la difesa del risparmio e per la disciplina della funzione creditizia, convertito dalla legge 7 marzo 1938, n. 141.
Il successivo comma 10 dell’articolo 19 affida a un regolamento governativo il compito di ridefinire l’assetto proprietario della Banca d’Italia e di disciplinare le modalità di trasferimento delle quote di partecipazione al capitale della Banca d’Italia in possesso di soggetti diversi dallo Stato o da altri enti pubblici, entro tre anni dalla data di entrata in vigore della legge. La finalità di tale regolamento dovrebbe pertanto essere quella di rafforzare la natura pubblicistica dell’ente.
In proposito mette conto ricordare che l’individuazione della natura giuridica della Banca d’Italia risulta operazione non semplice, non solo perché nell’ordinamento della Banca coesistono componenti tipicamente privatistiche, come lo svolgimento di funzioni “bancarie” ai sensi dell’articolo 1 dello Statuto, ed elementi pubblicistici, quali lo svolgimento di funzioni nell’interesse della collettività con l’esercizio di poteri amministrativi attribuiti ex lege, ma anche per l’attuale struttura proprietaria dell’Istituto.
Con riferimento a tale aspetto, il legislatore del 1936 stabilì infatti che il capitale della Banca fosse di trecento milioni di lire e fosse rappresentato da trecentomila quote di mille lire ciascuna interamente versate. Ai fini della tutela del pubblico credito e dalla continuità d’indirizzo dell'Istituto di emissione, le quote di partecipazione al capitale sono nominative e possono appartenere solamente a:
a) casse di risparmio;
b) istituti di credito di diritto pubblico e banche di interesse nazionale;
c) istituti di previdenza;
d) istituti di assicurazione.
Il processo di trasformazione delle banche pubbliche in società per azioni, che si è verificato nel corso negli anni ’90 del secolo passato ad opera della legge 30 luglio 1990, n. 218, ha influito – di fatto – sulla titolarità delle quote di partecipazione al capitale della Banca d’Italia.
In particolare, il D.P.R. 6 marzo 1992 (pubblicato nella Gazzetta ufficiale 30 marzo 1992, n. 75) ha aggiunto all’articolo 3 dello Statuto della Banca d’Italia una disposizione secondo la quale le quote di partecipazione possono essere cedute, previo consenso del Consiglio superiore, solamente da uno ad altro ente compreso nelle categorie sopra indicate, assicurandosi in ogni caso la permanenza della partecipazione maggioritaria al capitale della Banca da parte di enti pubblici o di società la maggioranza delle cui azioni con diritto di voto sia posseduta da enti pubblici.
Da ultimo, l’articolo 27 del decreto legislativo 17 maggio 1999, n. 153, ha quindi disciplinato la partecipazione al capitale della Banca d’Italia da parte delle fondazioni bancarie, enti di diritto privato che avevano effettuato il conferimento delle aziende bancarie alle società nate dal processo di trasformazione delle banche pubbliche.
Nella tabella seguente è indicata l’attuale composizione del capitale dell’Istituto.
Banca d’Italia
Partecipanti al capitale
Ente partecipante |
Numero quote |
Numero voti |
Banca Intesa S.p.A. |
66.035 |
50 |
UniCredito Italiano S.p.A. |
32.902 |
50 |
Sanpaolo IMI S.p.A. |
25.000 |
50 |
Banco di Sicilia S.p.A. |
19.028 |
42 |
Assicurazioni Generali S.p.A. |
19.000 |
42 |
Cassa di Risparmio in Bologna S.p.A. |
18.602 |
41 |
INPS |
15.000 |
34 |
Capitalia, Società per Azioni |
14.282 |
32 |
Banca Carige S.p.A. – Cassa di Risparmio di Genova e Imperia |
11.869 |
27 |
Banca Nazionale del Lavoro S.p.A. |
8.500 |
21 |
Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.A. |
7.500 |
19 |
Cassa di Risparmio di Biella e Vercelli S.p.A. |
6.300 |
16 |
Cassa di Risparmio di Parma e Piacenza S.p.A. |
6.094 |
16 |
Cassa di Risparmio di Firenze S.p.A. |
5.556 |
15 |
Fondiaria – SAI S.p.A. |
4.000 |
12 |
RAS – Riunione Adriatica di Sicurtà |
4.000 |
12 |
Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo S.p.A. |
3.610 |
11 |
Cassa di Risparmio di Lucca S.p.A. |
3.227 |
10 |
Cassa di Risparmio di Asti S.p.A. |
2.800 |
9 |
Cassa di Risparmio di Venezia S.p.A. |
2.626 |
9 |
Banca delle Marche S.p.A. |
2.459 |
8 |
INAIL |
2.000 |
8 |
Milano Assicurazioni |
2.000 |
8 |
Friulcassa S.p.A. – Cassa di Risparmio Regionale |
1.869 |
7 |
Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia S.p.A. |
1.126 |
6 |
Cassa di Risparmio di Ferrara S.p.A. |
949 |
5 |
Cassa di Risparmio di Alessandria S.p.A. |
873 |
5 |
Cassa di Risparmio di Ravenna S.p.A. |
769 |
5 |
Cassa di Risparmio di Fossano S.p.A. |
750 |
5 |
Cassa di Risparmio di Prato S.p.A. |
687 |
5 |
Unibanca S.p.A. |
675 |
5 |
Cassa di Risparmio di Ascoli Piceno S.p.A. |
653 |
5 |
Cassa di Risparmio di S. Miniato S.p.A. |
652 |
5 |
Banca Regionale Europea S.p.A. |
609 |
5 |
Cassa dei Risparmi di Forlì S.p.A. |
605 |
5 |
Banca Carime S.p.A. |
500 |
5 |
Società Reale Mutua Assicurazioni |
500 |
5 |
Cassa di Risparmio di Fabriano e Cupramontana S.p.A. |
480 |
4 |
Cassa di Risparmio di Terni e Narni S.p.A. |
463 |
4 |
Cassa di Risparmio di Rimini S.p.A. – CARIM |
393 |
3 |
Cassa di Risparmio di Bolzano S.p.A. |
377 |
3 |
Cassa di Risparmio di Bra S.p.A. |
329 |
3 |
Cassa di Risparmio di Foligno S.p.A. |
315 |
3 |
Cassa di Risparmio di Cento S.p.A. |
311 |
3 |
CARISPAQ - Cassa di Risparmio della Provincia dell’Aquila S.p.A. |
300 |
3 |
Cassa di Risparmio della Spezia S.p.A. |
266 |
2 |
Cassa di Risparmio della Provincia di Viterbo S.p.A. |
251 |
2 |
Cassa di Risparmio di Orvieto S.p.A. |
237 |
2 |
Cassa di Risparmio di Città di Castello S.p.A. |
228 |
2 |
Banca Cassa di Risparmio di Savigliano S.p.A. |
200 |
2 |
Cassa di Risparmio di Volterra S.p.A. |
194 |
1 |
Cassa di Risparmio della Provincia di Chieti S.p.A. |
151 |
1 |
Banca Cassa di Risparmio di Tortona S.p.A. |
150 |
1 |
Banca CRV Cassa di Risparmio di Vignola S.p.A. |
130 |
1 |
BIPOP CARIRE, Società per Azioni |
130 |
1 |
Cassa di Risparmio di Fermo S.p.A. |
130 |
1 |
Cassa di Risparmio di Savona S.p.A. |
123 |
1 |
TERCAS - Cassa di Risparmio della Provincia di Teramo S.p.A. |
115 |
1 |
Cassa di Risparmio di Civitavecchia S.p.A. |
111 |
1 |
CARIFANO - Cassa di Risparmio di Fano S.p.A. |
101 |
1 |
Cassa di Risparmio di Carrara S.p.A. |
101 |
1 |
CARILO - Cassa di Risparmio di Loreto S.p.A. |
100 |
1 |
Cassa di Risparmio di Mirandola S.p.A. |
100 |
1 |
Cassa di Risparmio di Spoleto S.p.A. |
100 |
1 |
Cassa di Risparmio della Repubblica di S. Marino S.p.A. |
36 |
- |
Banca CARIPE S.p.A. |
8 |
- |
Banca Monte di Parma S.p.A. |
8 |
- |
Cassa di Risparmio di Rieti S.p.A. |
8 |
- |
Cassa di Risparmio di Saluzzo S.p.A. |
4 |
- |
Banca del monte di Lucca S.p.A. |
2 |
- |
|
|
|
Quote interessate da operazioni societarie |
441 |
- |
|
|
|
TOTALI |
300.000 |
665 |
Fonte: sito internet della Banca d’Italia (12 maggio 2006).
La legge 3 febbraio 2003, n. 14 (legge comunitaria 2002) ha delegato il Governo ad adottare decreti legislativi per il recepimento delle direttive in materia di risanamento e liquidazione degli enti creditizi (direttiva CE 4 aprile 2001, n. 24), che disciplina le crisi di banche con succursali in più Stati membri. Nell’ambito dei criteri di delega è stato previsto il coordinamento tra la disciplina delle crisi contenuta nei testi unici delle leggi in materia bancaria e creditizia (TUB) nonché delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria (TUF) e le disposizioni sulla responsabilità amministrativa delle persone giuridiche recate dal D.Lgs. 8 giugno 2001, n. 231.
Con il D.Lgs. 9 luglio 2004, n. 197, la direttiva è stata recepita nell’ordinamento interno. Le nuova norme sono dirette ad assicurare l’unità e l’universalità delle procedure attraverso il principio del riconoscimento reciproco dei provvedimenti di risanamento e liquidazione adottati dall’autorità dello Stato d’origine della banca e l’applicazione della relativa disciplina. Sono previste specifiche eccezioni (ad esempio, in materia di rapporti di lavoro, diritti su beni e strumenti finanziari, accordi di novazione e compensazione).
A tali fini, il decreto introduce nel TUB apposite previsioni dedicate alle procedure di risanamento e liquidazione delle banche operanti in ambito comunitario, allo scambio d’informazioni tra autorità di vigilanza degli Stati comunitari, al regime di pubblicità degli atti e di informazione dei terzi.
In particolare, l'articolo 2 introduce nel titolo IV del TUB la nuova sezione III-bis, costituita dagli articoli da 95-bis a 95-septies. Tra le altre cose viene stabilito il riconoscimento nell'ordinamento italiano dei provvedimenti disposti nello Stato di origine della banca comunitaria. Viene altresì prevista l'efficacia extraterritoriale dei provvedimenti di amministrazione straordinaria, compresa la sospensione dei pagamenti, di gestione provvisoria e di liquidazione coatta amministrativa nei confronti di banche italiane operanti in altro Stato comunitario (a tal fine risulta comunque necessario il concorso di una disciplina speculare dello Stato ospitante, che riconosca il provvedimento italiano). Viene poi introdotto un obbligo d’informazione da parte della Banca d’Italia, in favore dello Stato comunitario ospitante, circa l'apertura di una procedura di rigore nei confronti di una banca italiana, e sono stabiliti tempi e modalità dell'informativa medesima.
L’articolo 9 del decreto, inoltre, sostituendo il comma 6 dell'articolo 107 del TUB, assoggetta gli intermediari finanziari non bancari ad alcune disposizioni dallo stesso recate, qualora tali intermediari siano stati autorizzati all’esercizio dei servizi d’investimento ovvero abbiano acquisito fondi con obbligo di rimborso per un ammontare superiore al patrimonio.
Con il medesimo provvedimento legislativo è stato effettuato, in attuazione di specifici criteri di delega, il coordinamento della disciplina delle crisi contenuta nei testi unici bancario e della finanza con il D.Lgs. 8 giugno 2001, n. 231, concernente la responsabilità degli enti per illeciti amministrativi dipendenti da reato. Il coordinamento prevede specifiche forme di raccordo tra l’autorità giudiziaria e la Banca d’Italia, cui è attribuito il compito di dare esecuzione alla sentenza irrevocabile del giudice penale che applichi a una banca una delle sanzioni interdittive di maggiore gravità previste dal D.Lgs. n. 231 del 2001, attraverso le misure previste dal titolo IV del testo unico bancario.
Nel corso della XIV legislatura sono state presentate diverse proposte di legge tendenti ad operare una riforma della disciplina delle banche popolari.
La disciplina delle banche popolari è attualmente contenuta negli articoli da 29 a 32 del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia (TUB), emanato con decreto legislativo 1° settembre 1993 n. 385.
In particolare l’articolo 29 stabilisce che le banche popolari sono costituite in forma di società cooperativa per azioni a responsabilità limitata. Il comma 4 precisa inoltre che alle banche popolari non si applicano le disposizioni del decreto legislativo 14 dicembre 1947, n. 1577 (noto come legge Basevi), in materia di cooperazione. In tal senso, il TUB ha recepito l’orientamento giurisprudenziale – già emerso in precedenza – che escludeva la possibilità di ricondurre le banche popolari nell’ambito della disciplina generale sulla cooperazione (si veda ad esempio la sentenza della Corte di cassazione 26 novembre 1985, n. 5887).
In ciò le banche popolari si distinguono dalle banche di credito cooperativo che, anch’esse costituite, ai sensi dell’articolo 33 del TUB, in forma di società cooperativa per azioni a responsabilità limitata, hanno più intensamente conservato il carattere di mutualità derivante dalla loro origine storica (le banche di credito cooperativo sono succedute alle casse rurali e artigiane).
Tale carattere è stato confermato dal decreto legislativo 2 agosto 2002, n. 220, il quale, intervenendo in materia di vigilanza sugli enti cooperativi, ha stabilito all’articolo 18 che, fatte salve le competenze della Banca d’Italia, le banche di credito cooperativo sono assoggettate alla disciplina dei controlli degli enti cooperativi attribuiti all’autorità governativa, limitatamente al rispetto delle disposizioni richiamate dall’articolo 21, comma 3, della legge 31 gennaio 1992, n. 59, in materia, tra l’altro, di relazione degli amministratori e dei sindaci, rivalutazione delle quote e numero dei soci, rimborsi del sovrapprezzo versato al momento dell’ammissione nella società, fondi mutualistici per la promozione e lo sviluppo della cooperazione. Nel medesimo senso è intervenuto da ultimo il decreto legislativo 6 febbraio 2004, n. 37, recante modifiche e integrazioni alla riforma del diritto societario, il quale ha stabilito che, ai fini delle disposizioni fiscali di carattere agevolativo, sono considerate cooperative a carattere di mutualità prevalente le banche di credito cooperativo che rispettano i requisiti di mutualità prevalente stabiliti dall’articolo 2514 del codice civile[170].
Il TUB riserva comunque alle banche popolari una disciplina peculiare. Si ricordano in particolare:
§ il principio del voto capitario, posto dall’articolo 30 del TUB, in base al quale ciascun socio, a prescindere dal numero e dal valore delle azioni detenute, dispone di un solo voto;
§ il limite al possesso di azioni della banca: in base al comma 2 dell’articolo 30 nessun socio può detenere azioni in misura superiore allo 0,50% del capitale sociale. Tale limite non si applica agli organismi d’investimento collettivo in valori mobiliari (OICVM), per i quali valgono i limiti previsti dalla disciplina prevista per ciascuno di essi;
§ la previsione di un numero minimo di soci: in base al comma 4 dell’articolo 30 il numero minimo dei soci non può essere inferiore a duecento;
§ l’istituto del gradimento, previsto dal comma 5 dell’articolo 30, per cui il consiglio di amministrazione può rigettare la domanda di ammissione a socio, motivando il rigetto con riferimento all’interesse della società, alle prescrizioni statutarie e allo spirito della forma cooperativa. Contro il rigetto può essere fatto ricorso al collegio dei probiviri.
L’articolo 31 del TUB attribuisce infine alla Banca d’Italia la facoltà di autorizzare le trasformazioni di banche popolari in società per azioni per esigenze di rafforzamento patrimoniale ovvero a fini di razionalizzazione del sistema.
Le banche popolari, al pari delle banche di credito cooperativo, non sono state interessate dalla riforma del diritto societario attuata nel corso della legislatura (v. capitolo La riforma del diritto societario). L’articolo 5, comma 3, della legge 3 ottobre 2001, n. 366 (Delega al Governo per la riforma del diritto societario) ha infatti esplicitamente escluso dall’ambito di applicazione delle disposizioni in essa contenute – per quanto concerne il riordino del sistema delle società cooperative – le banche popolari, le banche di credito cooperativo e gli istituti della cooperazione bancaria in genere, prevedendo che ad essi continuassero ad applicarsi le norme vigenti, salva l'emanazione di norme di mero coordinamento non incidenti su profili di carattere sostanziale della relativa disciplina.
Tuttavia, durante l’esame del disegno di legge di delega, nella seduta del 2 agosto 2001, l’Assemblea della Camera dei deputati approvò l'ordine del giorno Jannone n. 9/1137/5 – su cui il Governo si era rimesso all’Assemblea – impegnando l’esecutivo ad assumere le necessarie iniziative al fine di prevedere la possibilità di trasformare le banche popolari quotate nei mercati regolamentati in società per azioni di diritto speciale, consentendo all'autonomia statutaria di fissare limiti al possesso azionario, al voto proporzionale e alle deleghe di voto, all'interno di limiti massimi fissati dal legislatore, e prevedendo altresì maggioranze particolarmente qualificate per le successive modifiche statutarie dei predetti limiti.
Proprio per osservanza del criterio di delega sopra richiamato, sulla disciplina delle banche popolari è intervenuto il decreto legislativo 28 dicembre 2004, n. 310, che ha coordinato il testo unico bancario con la sopravvenuta riforma del diritto societario.
Infatti, l’articolo 38 di tale decreto legislativo ha reso inapplicabile alle banche popolari e alle banche di credito cooperativo una serie di disposizioni del codice civile (come modificate dalla riforma del diritto societario attuata con il decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 6) concernenti, tra le altre cose, l’obbligo di dare evidenza contabile, nella nota integrativa al bilancio della cooperativa, ai parametri che documentano la condizione di mutualità prevalente (art. 2513)[171], le modalità di trasferimento delle quote tra soci di una cooperativa (art. 2530), i limiti al diritto di voto dei soci cooperatori (art. 2538 secondo e terzo comma)[172].
La medesima disposizione ha reso inoltre inapplicabile, per le sole banche popolari, tra le altre, le disposizioni dell’articolo 2512 del codice civile, in materia di definizione delle società cooperative a mutualità prevalente[173], e quelle dell’articolo 2514 del codice civile, in materia di requisiti cui debbono sottostare le cooperative a mutualità prevalente[174].
In altre parole, per un verso le disposizioni sopra richiamate hanno confermato la disciplina speciale delle banche cooperative rispetto alla riforma del diritto societario che ha investito anche il sistema della cooperazione, per altro verso, hanno ribadito il carattere di mutualità affievolita delle banche popolari, anche rispetto alle banche di credito cooperativo.
Tra le proposte di legge presentate nel corso della XIV legislatura in materia di riforma delle banche popolari (A.C. 2273, 2599, 2619, 2875, 3065), varie convergono nel segnalare – quali indicatori dell’inadeguatezza della vigente disciplina – la persistente limitazione al diritto di voto dei soci, descritto come un unicum nel panorama creditizio mondiale, e gli “strumenti obsoleti” costituiti dal voto capitario e dalla clausola di gradimento, che rappresenterebbero un disincentivo all’investimento nelle banche stesse, sminuendo l’appetibilità dei relativi titoli. Viene addotta inoltre l’esigenza di favorire la confluenza di una maggiore quota di risparmio “popolare” e “istituzionale” nel capitale di queste banche, anche attribuendo agli investitori che rappresentano tale risparmio (investitori “istituzionali” e compagnie d’assicurazione esercenti il ramo vita) una più incisiva possibilità di controllo sulla gestione. Ciò si tradurrebbe, ad esempio, nel diverso regime previsto per le quote azionarie detenute dagli organismi d’investimento collettivo in valori mobiliari, manifestandosi un più accentuato favor per la possibilità che tali soggetti detengano quote elevate di capitale sociale. Si tratterebbe, in altre parole, di favorire la trasformazione delle banche popolari nella direzione del modello della public company.
Si tratta di aspetti emersi anche nel corso dell’indagine conoscitiva che la Commissione VI (Finanze) ha svolto sul settore delle banche popolari nel corso dell’esame delle proposte di legge sopra richiamate. Nel corso delle audizioni è stata peraltro ravvisata, da parte di alcuni dei soggetti intervenuti (e in particolare da parte dei rappresentanti dell’Associazione nazionale fra le banche popolari) la funzionalità di alcune delle sopra richiamate caratteristiche delle banche popolari (il voto capitario, il limite al possesso azionario) per la realizzazione di un modello bancario che rappresenti uno strumento di democrazia economica in stretto rapporto con il territorio e al servizio delle famiglie e delle piccole e medie imprese. La peculiare disciplina delle banche popolari assicurerebbe, secondo tale interpretazione, la realizzazione di un simile modello anche in misura maggiore di un assetto proprietario di public company, in cui la proprietà risulterebbe più “anonima”, a causa del coinvolgimento dei fondi d’investimento e di altri investitori istituzionali.
Nel corso della legislatura la disciplina italiana delle banche popolari è stata oggetto di attenzione anche da parte delle autorità comunitarie. Il 15 ottobre 2003 la Commissione europea ha infatti avviato il primo stadio della procedura d’infrazione, inviando all’Italia una lettera di messa in mora concernente la legislazione in materia di banche popolari, prevista dal testo unico bancario.
La Commissione ha preso in considerazione, in particolare, i seguenti aspetti:
1) la costituzione delle banche popolari in forma di società cooperativa per azioni a responsabilità limitata;
2) la disponibilità di un voto per ciascun socio, indipendentemente dalla percentuale di azioni possedute;
3) il limite al possesso azionario, per ciascun socio, nella misura dello 0,5% del capitale sociale, ad eccezione degli organismi d’investimento collettivo in valori mobiliari;
4) il requisito di un numero di soci non inferiore a 200;
5) l’approvazione della qualità di socio da parte del consiglio di amministrazione.
La lettera di messa in mora sosteneva che tali norme, poiché rendono più difficile o poco conveniente l’acquisto di azioni delle banche popolari, potrebbero costituire una violazione del diritto comunitario, in particolare dell’articolo 43 (in materia di libertà di stabilimento) e dell’articolo 56 (in materia di circolazione dei capitali) del trattato istitutivo della Comunità europea. La Commissione riconosce che, a norma del trattato, particolari ragioni d’interesse generale potrebbero giustificare l’introduzione o il mantenimento di ostacoli all’esercizio delle libertà di stabilimento e di circolazione dei capitali. Nel caso in esame, secondo la Commissione, l’unica giustificazione delle limitazioni imposte potrebbe essere il fatto che le banche popolari sono costituite in forma di società cooperativa. In quanto società cooperative esse dovrebbero almeno in parte essere governate con spirito mutualistico, inteso come volontà dei soci di procurarsi tramite la società beni e servizi a condizioni più favorevoli di quelle praticate dal mercato.
Il 12 gennaio 2006 la Commissione, preso atto dei chiarimenti forniti dal Governo italiano, ha rinunziato a proseguire la procedura d’infrazione. In particolare, la Commissione ha ritenuto che la particolare disciplina delle banche popolari risulta giustificata dalla loro natura cooperativa. La Commissione ha quindi ribadito che non risulta tuttavia sufficiente la configurazione delle banche popolari come cooperative de jure per giustificarne la particolare disciplina; tali enti debbono infatti rivestire natura cooperativa de facto, vale a dire caratterizzarsi per un’attività che si risolva in primo luogo nei confronti dei soci. La Commissione al riguardo ha comunque concluso che si può ritenere che le banche popolari soddisfino anche tale specifico requisito, sulla base dei chiarimenti forniti dalle autorità italiane, le quali hanno dimostrato come i soci “utilizzatori” continuino a rappresentare la maggioranza degli azionisti sia nelle banche popolari quotate, sia in quelle non quotate.
Il 18 gennaio 2006 la Commissione VI (Finanze) della Camera ha concluso l’esame in sede referente dei progetti di legge abbinati nn. 2273-2599-2619-2875-3065, approvando un testo unificato.
Il testo approvato dalla Commissione conferma alcune caratteristiche dell’attuale disciplina della banche popolari. In particolare, vengono confermati il principio del voto capitario e il numero minimo dei soci.
Rispetto alla normativa vigente, il limite al possesso di azioni da parte di un singolo socio viene elevato dallo 0,50 per cento all’1 per cento. Si prevede inoltre per gli organismi di investimento collettivo del risparmio e i fondi pensione che sono gestiti da un medesimo gestore, italiano o estero, la possibilità di detenere fino al 10 per cento del capitale sociale. Tuttavia, le SICAV, le compagnie di assicurazione esercenti il ramo vita, le banche e le fondazioni bancarie possono detenere complessivamente una quota non superiore al 30 per cento del capitale della banca. Viene poi modificato l’istituto del gradimento attraverso l’introduzione di una regola di silenzio-assenso, per cui la domanda di ammissione di un nuovo socio s’intende accolta qualora entro sessanta giorni non venga comunicata al domicilio dell’aspirante socio la contraria determinazione del consiglio di amministrazione.
Infine, sono dichiarate nulle le disposizioni statutarie che pongono limiti alla trasferibilità delle azioni delle banche popolari che siano quotate in mercati regolamentati.
Il testo unificato approvato dalla Commissione finanze non è stato discusso dall’Assemblea.
L’articolo 117, terzo comma, della Costituzione individua tra le materie di legislazione concorrente, quelle relative alle casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale; enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale[175].
Il decreto legislativo 18 aprile 2006, n. 171, in attuazione della delega conferita dall’articolo 1 della legge 5 giugno 2003, n. 131 (c.d. legge La Loggia)[176], ha operato la ricognizione dei princìpi fondamentali in materia di casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito di carattere regionale, enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale.
Viene esplicitamente esclusa dall'ambìto del decreto la regolamentazione in materia di vigilanza sulle banche, compresa la disciplina delle crisi contenuta nel titolo IV del testo unico bancario (TUB), emanato con decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, in quanto riconducibile a materie, quali quelle della moneta, alla tutela del risparmio e dei mercati finanziari e del sistema valutario, rientranti nella competenza esclusiva dello Stato ai sensi dell’articolo 117, secondo comma, della Costituzione.
Il decreto chiarisce quindi che la potestà legislativa concorrente delle regioni si esercita con riferimento alle banche di carattere regionale.
Le caratteristiche distintive della banca a carattere regionale sono:
a) l'ubicazione della sede e delle succursali nel territorio di una stessa regione;
b) la localizzazione regionale della sua operatività;
c) ove la banca appartenga a un gruppo bancario, la circostanza che anche le altre componenti bancarie del gruppo e la capogruppo presentino carattere regionale (l’esercizio di una marginale operatività al di fuori del territorio della regione non fa tuttavia venir meno il carattere regionale dell’istituto).
Il riconoscimento della localizzazione regionale dell'operatività viene demandato a una determinazione della Banca d'Italia, in conformità alle deliberazioni del Comitato interministeriale per il credito e il risparmio (CICR).
La determinazione dovrà avvenire sulla base di criteri che tengano conto:
a) delle caratteristiche dell'attività della banca;
b) dell'effettivo legame dell'operatività aziendale con il territorio regionale.
Si prevede che le materie che la legge regionale può disciplinare siano:
a) l'istituzione di un albo delle banche a carattere regionale;
b) l'adozione, previo parere vincolante della Banca d'Italia a fini di vigilanza, dei provvedimenti relativi all'autorizzazione all'attività bancaria, alle modifiche statutarie, comprese quelle dipendenti da trasformazioni, fusioni e scissioni;
c) le modalità di verifica dei requisiti di esperienza e onorabilità degli esponenti aziendali.
La legge 1º marzo 2002, n. 39 (legge comunitaria 2001), all’articolo 55, ha dato attuazione alle direttive 2000/28/CE e 2000/46/CE in materia di moneta elettronica e di istituti di moneta elettronica (Imel), attraverso apposite integrazioni al testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia (TUB).
Ai sensi dell’articolo 1 della citata direttiva 2000/46/CE, si definisce moneta elettronica “un valore monetario rappresentato da un credito nei confronti dell’emittente che sia memorizzato su un dispositivo elettronico, emesso previa ricezione di fondi di valore non inferiore al valore monetario emesso e accettato come mezzo di pagamento da soggetti diversi dall’emittente” (art. 1, co. 2, lett. h-ter, TUB). La moneta elettronica costituisce, in sostanza, un surrogato elettronico di monete metalliche e banconote, destinato ad effettuare pagamenti di importo limitato, mediante il trasferimento di fondi da persona a persona in modo scritturale, ma senza supporto fisico. Essa si distingue da altri sistemi di pagamento di uso corrente in quanto, a differenza delle carte di pagamento tradizionali, il valore monetario è direttamente incluso nell’oggetto virtuale, per cui il pagamento non presuppone alcuna registrazione da conto a conto e il possesso di moneta elettronica non richiede che l’utente sia titolare di un conto bancario.
L’articolo 55 introduce nel TUB l’articolo 114-bis che riserva l’emissione di moneta elettronica soltanto alle banche e agli “istituti di moneta elettronica”. Questi ultimi vengono definiti come qualsiasi impresa non bancaria che svolga, in via esclusiva, l’attività di emissione di moneta elettronica. Le attività degli istituti di moneta elettronica risultano limitate all’emissione di moneta elettronica, mediante trasformazione immediata dei fondi ricevuti, salva la possibilità, nei limiti stabiliti dalla Banca d’Italia, di svolgere altresì attività connesse e strumentali, nonché di prestare servizi di pagamento: tra queste, la gestione di moneta elettronica attraverso lo svolgimento di funzioni operative o altre funzioni accessorie connesse con l'emissione di moneta elettronica, nonché la memorizzazione di dati su un dispositivo elettronico per conto di altre imprese o enti pubblici. Risulta invece preclusa agli Imel l’attività di concessione del credito e la detenzione di partecipazioni in altre imprese, salvo che queste svolgano funzioni operative o altre funzioni accessorie riguardanti la moneta elettronica. Il ricordato articolo 114-bis del TUB dispone che presso la Banca d’Italia venga istituito apposito albo nel quale sono registrati gli istituti di moneta elettronica italiani e le succursali in Italia di quelli aventi sede legale in uno Stato comunitario o extracomunitario. Per la configurazione del sistema dei controlli, la normativa richiama le disposizioni del testo unico bancario in materia di vigilanza regolamentare, informativa e ispettiva nonché la disciplina delle crisi (eccetto quella relativa ai sistemi di garanzia dei depositanti).
Ai sensi dell'articolo 29 della legge 5 ottobre 1991, n. 317, si considerano consorzi e cooperative di garanzia collettiva dei fidi (Confidi) i consorzi, le società consortili e le cooperative che abbiano come scopi sociali:
1) attività di prestazione di garanzie collettive al fine di favorire la concessione di finanziamenti da parte di aziende e istituti di credito, di società di leasing, di società di cessione di crediti d’imprese e di enti parabancari alle piccole imprese associate;
2) attività di informazione, consulenza, assistenza alle imprese consorziate per il reperimento e il migliore utilizzo delle fonti finanziarie, nonché le prestazioni dei servizi per migliorare la gestione finanziaria delle stesse imprese.
I Confidi, quindi, si configurano come organismi finalizzati ad agevolare l'accesso al credito da parte delle piccole e medie imprese, offrendo alle banche delle garanzie che in genere coprono il 50 per cento dell'entità del prestito erogato.
Ai sensi dell'articolo 155, comma 4, del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia (TUB), emanato con D.Lgs. 1° settembre 1993, n. 385, i consorzi di garanzia collettiva dei fidi, di I e II grado, anche costituiti sotto forma di società cooperativa o consortile, ed esercenti le suddette attività, sono iscritti in un'apposita sezione dell'elenco generale degli intermediari previsto dall'articolo 106, comma 1, del medesimo testo unico.
L’articolo 13 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, disciplina l’attività di garanzia collettiva dei fidi, con la finalità di favorire l’accesso al credito delle piccole e medie imprese attraverso il rafforzamento patrimoniale e la crescita dimensionale dei Confidi. In particolare:
§ viene previsto il rafforzamento patrimoniale dei Confidi, in termini sia di requisiti patrimoniali minimi, sia di incentivazione alle fusioni e aggregazioni;
§ viene prevista una complessiva riforma del Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese [legge 23 dicembre 1996, n. 662, articolo 2, comma 100, comma 1, lettera a)] al fine di creare un sistema nazionale di garanzia articolato su due livelli: un primo livello (garanzia diretta) riservato ai Confidi e agli altri garanti che operano sul territorio, un secondo livello (controgaranzia) affidato al Fondo;
§ viene favorita l'evoluzione dei Confidi consentendo, nel rispetto dei princìpi del vigente ordinamento bancario e creditizio, l'utilizzazione dei modelli di banca di credito cooperativo o di intermediario finanziario iscritto nell'elenco speciale previsto dall'articolo 107 del TUB. A tal fine, viene prevista la possibilità che l'attività di garanzia collettiva dei fidi venga svolta anche da banche, secondo il modello delle banche cooperative;
§ ai fini dell'evoluzione dei Confidi verso il modello di intermediario finanziario iscritto nell'elenco speciale previsto dall'articolo 107 del TUB, vengono disciplinate due categorie di Confidi:
a) Confidi "minori", iscritti in un'apposita sezione dell'articolo 106 e la cui operatività resterebbe sostanzialmente limitata a quella attuale (garanzia collettiva dei fidi);
b) intermediari iscritti nell'elenco speciale di cui all'articolo 107 del testo unico, che possono esercitare, prevalentemente in favore dei soci, oltre alla garanzia collettiva dei fidi (che rimarrebbe comunque l'attività prevalente) anche alcune attività di garanzia nei confronti dello Stato e di gestione di fondi pubblici di agevolazione.
L’articolo 1, comma 368, lettera c), numero 5), della legge 23 dicembre 2005, n. 266 (legge finanziaria 2006), ha poi stabilito, al fine di favorire l'accesso al credito e il finanziamento dei distretti produttivi e delle imprese che ne fanno parte, che il Ministro dell'economia e delle finanze adotta o propone le misure occorrenti per assicurare il riconoscimento della garanzia prestata dai Confidi quale strumento di attenuazione del rischio di credito ai fini del calcolo dei requisiti patrimoniali degli enti creditizi, in vista del recepimento del Nuovo accordo di Basilea, nonché per favorire il rafforzamento patrimoniale dei Confidi e la loro operatività.
L’articolo 1, comma 237, della legge 30 dicembre 2004, n. 311 (legge finanziaria per il 2005) aveva attribuito al Consiglio nazionale delle ricerche il compito di costituire un osservatorio sul mercato creditizio regionale procedendo, d’intesa con le corrispondenti strutture di ricerca delle amministrazioni regionali, all’elaborazione di studi di fattibilità per favorire la creazione di banche a carattere regionale; a tale fine, era stata autorizzata la spesa di 500.000 euro a decorrere dal 2005.
L’articolo 1, commi da 376 a 378, della legge 23 dicembre 2005, n. 266 (legge finanziaria per il 2006) ha previsto la costituzione della "Banca del Mezzogiorno", organizzata in forma di società per azioni, al cui capitale partecipa lo Stato, quale soggetto fondatore, e il cui obiettivo è quello di sostenere lo sviluppo economico dell’Italia meridionale.
Secondo la relazione governativa al disegno di legge finanziaria per il 2006 (A.S. 3613), la disposizione è diretta a creare una banca radicata nel territorio meridionale, espressione della classe imprenditoriale locale, che sia in grado di praticare "una politica selettiva del credito volta a incoraggiare le imprese meritevoli facendo così da volano per l'avvio di un circolo virtuoso che rilanci lo sviluppo del territorio stesso".
L’istituzione del comitato promotore, cui viene affidato il compito di realizzare l’iniziativa, e l'individuazione degli elementi caratterizzanti la Banca sono demandati a decreto del Ministro dell’economia e delle finanze. È disposto, comunque, che la futura disciplina dovrà essere coerente con la normativa comunitaria in materia, nonché con le disposizioni del decreto legislativo 1º settembre 1993, n. 385, recante il testo unico bancario (TUB).
Il comitato promotore è stato costituito con D.M. 2 marzo 2006.
Lo statuto della futura Banca del Mezzogiorno dovrà essere ispirato ai princìpi già contenuti negli statuti dei banchi meridionali e insulari.
Per quanto concerne il capitale della Banca, si prevede:
§ che i soci fondatori saranno prevalentemente soggetti pubblici, e specificamente lo Stato, le regioni, le province, i comuni, le camere di commercio; a questi si aggiungono altri enti e organismi (anche privati, si suppone);
§ che, nonostante la natura pubblica dei principali soci fondatori, il capitale dovrà essere in maggioranza privato. Il capitale, inoltre, dovrà essere aperto all’azionariato popolare diffuso, secondo le ordinarie procedure e con criteri di trasparenza;
§ che sia riservato un privilegio patrimoniale in favore dei vecchi soci dei banchi meridionali.
La nuova Banca dovrà inoltre provvedere all’acquisizione di marchi e denominazioni di rami di azienda già appartenuti ai banchi meridionali e insulari. L'acquisizione, da realizzarsi ricorrendo a offerte pubbliche (che si prescrive debbano essere “trasparenti”), dovrà essere effettuata entro i limiti delle necessità operative della stessa Banca.
Viene poi prefigurato un ruolo per la Banca del Mezzogiorno nelle politiche di sviluppo delle aree sottoutilizzate. In particolare, si prevede che la Banca possa accedere, secondo le modalità dettate dall’emanando decreto ministeriale, ai fondi e ai finanziamenti internazionali, con particolare riferimento alle risorse per lo sviluppo delle aree sottoutilizzate prestate da organismi sopranazionali.
Il comma 378 autorizza la spesa di 5 milioni di euro per l'apporto al capitale della banca da parte dello Stato quale socio fondatore.
La legge 23 dicembre 2005, n. 267, recante l’approvazione del bilancio dello Stato per l’anno 2006, secondo la ripartizione operata dal decreto del Ministro dell’economia e delle finanze 29 dicembre 2005 (pubblicato nel supplemento ordinario alla Gazzetta ufficiale 30 dicembre 2005, n. 303), iscrive il relativo capitolo 7285 nello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze, nell’unità previsionale di base 3.2.3.31 (Altri investimenti).
Questioni all’esame delle istituzioni dell’Unione europea
(a cura dell'Ufficio Rapporti con l'Unione europea)
Le prospettive finanziarie stabiliscono, in relazione alle priorità politiche da esse individuate, il quadro delle grandi categorie di spesa del bilancio dell’Unione europea, indicando il massimale e la composizione delle spese prevedibili per ogni categoria nell’intero periodo di riferimento e in ciascuno degli anni in esso ricompresi. L’adozione delle prospettive finanziarie, che non è espressamente prevista dal Trattato CE, è operata - a partire dal 1988 - mediante la conclusione di un accordo interistituzionale tra Parlamento europeo, Consiglio e Commissione. Le risorse proprie sono i mezzi di finanziamento dell’Unione. Il Consiglio, deliberando all’unanimità su proposta della Commissione e previa consultazione del Parlamento europeo, stabilisce le disposizioni relative al sistema delle risorse proprie della Comunità di cui raccomanda l’adozione da parte degli Stati membri, in conformità delle loro rispettive norme costituzionali. Le prospettive finanziarie e ilsistema di risorse proprie in vigore sono state adottate per il periodo 2000-2006 e scadono il 31 dicembre 2006. |
Il 4 aprile 2006 Parlamento europeo, Consiglio e Commissione europea hanno raggiunto un accordo sulle prospettive finanziarie e sulle risorse proprie 2007-2013. al termine di un negoziato complesso, caratterizzato da forti divergenze tra istituzioni europee e soprattutto tra Stati membri in merito al volume complessivo del bilancio dell’UE, nonché alle priorità politiche e ai relativi stanziamenti. L’intesa dovrà ora essere trasfusa in un accordo interistituzionale approvato formalmente dalle tre istituzioni.
Il Comitato dei Rappresentanti permanenti degli Stati membri presso l’UE (Coreper) ha raggiunto il 12 aprile, sulla base dell’intesa raggiunta il 4 aprile, un accordo di principio che sarà adottato dal Consiglio dell’UE senza dibattito in una delle sue prossime riunioni. La Commissione per i bilanci del Parlamento europeo ha approvato il 24 aprile 2006 una relazione e una proposta di risoluzione con la quale si propone di approvare l’accordo del 4 aprile. La proposta di risoluzione sarà esaminata dall’Assemblea il 17 maggio 2006.
Sulla base dell'accordo raggiunto il 4 aprile 2006,il massimale medio delle spese dell’UE per il 2007-2013 è fissato all’1,048% del reddito nazionale lordo (RNL) europeo in stanziamenti di impegno (pari a 864,316 miliardi di euro) e all' 1 % in stanziamenti di pagamento (pari a 820,780 miliardi di euro).
L’accordo prevede, inoltre, una clausola di riesame –volta a consentire una verifica, alla fine del 2009, del funzionamento delle prospettive finanziarie da parte della Commissione europea, cui dovrà essere associato il Parlamento europeo (che sarà rinnovato a seguito delle elezioni europee previste per il giugno del 2009).
L'accordo stabilisce, infine:
- l’aumento di 2,5 miliardi di euro, al di fuori del massimale delle prospettive finanziarie, delle riserve del fondo di garanzia della Banca europea per gli investimenti finalizzato a sostenere interventi nel settore della ricerca e sviluppo, reti transeuropee e piccole e medie imprese;
- una maggiore responsabilizzazione degli Stati membri nella gestione dei fondi comunitari;
- il miglioramento dell'esecuzione dei programmi e del bilancio UE attraverso l’inclusione di appositi principi nel regolamento finanziario.
Il Consiglio europeo del 15-16 dicembre 2005, dopo un lungo negoziato sulle proposte presentate dalla Commissione nel febbraio 2004,aveva raggiunto un compromesso tra gli Stati membri sul nuovo quadro finanziario e sul sistema di risorse proprie dell’Unione europea per il periodo 2007-2013. Il 18 gennaio 2006 il Parlamento europeo avevaperò respinto l’accordo definito dal Consiglio europeo, ribadendo la propria posizione negoziale precedentemente affermata in una risoluzione dell'8 giugno 2005.
L’intesa raggiunta il 4 aprile ha modificato il compromesso definito dal Consiglio europeo di dicembre 2005, prevedendo in particolare:
- l’innalzamento del massimale complessivo di spesa delle prospettive finanziarie di circa 2 miliardi di euro (da 862,36 a 864,316 in impegni);
- lo spostamento, all’interno delle prospettive finanziarie, di stanziamenti a favore di settori relativi all’agenda di Lisbona pari a circa 2 miliardi di euro.
|
Totale 2007-2013 (mld di euro in stanziamenti di impegno) |
Accordo definitivo |
864,316 |
% RNL |
1,048% |
Consiglio europeo |
862.363 |
% RNL |
1,045% |
Proposta Commissione |
1.025.035 |
% RNL |
1,24% |
Posizione Parlamento |
974.839 |
% RNL |
1,18% |
Sulla base dell’accordo raggiunto il 4 aprile la ripartizione degli stanziamenti di impegno tra le varie rubriche per il periodo 2007-2013 dovrebbe essere la seguente:
ACCORDO FINALE SULLE PROSPETTIVE FINANZIARIE 2007-2013 |
|
Rubrica |
Stanziamenti in miliardi di euro |
Rubrica 1A: competitività per la crescita e l'occupazione |
74, 098 |
Rubrica 1B: coesione per la crescita |
308,041 |
Rubrica 2: conservazione e gestione delle risorse naturali (comprese le spese agricole). |
371,344 |
Rubrica 3A: libertà, sicurezza e giustizia. |
6,630 |
Rubrica 3B: cittadinanza |
4,140 |
Rubrica 4: l'UE come partner mondiale |
49,463 |
Rubrica 5: amministrazione |
49,800 |
Rubrica 6: compensazioni |
0,800 |
Totale |
864,316 |
La Camera dei deputati ha seguito attivamente e costantemente il negoziato sulle prospettive finanziarie 2007-2013, attraverso diversi strumenti e procedure.
In particolare, le Commissioni V e XIV hanno svolto a partire da marzo 2004 un’indagine conoscitiva sulle prospettive finanziarie e sulla politica di coesione, nell'ambito della quale sono stati auditi, tra gli altri, il Ministro degli esteri e il Vice ministro dell'economia e delle finanze, gli europarlamentari italiani membri della Commissione temporanea per le prospettive finanziarie e il Commissario europeo responsabile per la politica regionale Hübner.
Specifici impegni al Governo in merito al negoziato sulle prospettive finanziarie sono inoltre contenuti nelle risoluzioni approvate dalla Camera in esito all’esame delle relazioni sulla partecipazione dell’Italia all’Unione europea per l’anno 2003 e per l’anno 2004, nonché nella risoluzione approvata a conclusione dell’esame del programma di lavoro per il 2005 della Commissione europea e del programma operativo annuale per il 2005 del Consiglio.
Le questioni relative alle prospettive finanziarie 2007-2013 hanno inoltre costituito oggetto di approfondimento nell’ambito di riunioni ed incontri interparlamentari cui hanno partecipato delegazioni della Camera dei deputati.
Il Consiglio europeo di Lisbona del marzo 2000 ha definito una serie di azioni volte a far sì che entro il 2010 l’Unione europea consegua l’obiettivo di diventare l’economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo, in grado di realizzare una crescita economica sostenibile con nuovi e migliori posti di lavoro e una maggiore coesione sociale.
Gli obiettivi della strategia - rilanciati nella revisione intermedia della primavera 2005, che ha riorientato le priorità verso la crescita e l’occupazione - consistono in:
§ migliorare le politiche in materia di società dell’informazione e di ricerca e sviluppo tecnologico;
§ modernizzare il modello sociale europeo;
§ promuovere un contesto economico sano e prospettive di crescita favorevoli applicando un’adeguata combinazione di politiche macroeconomiche;
§ integrare pienamente la dimensione ambientale nelle politiche per lo sviluppo.
Il Consiglio europeo di Lisbona, inoltre, ha previsto che il Consiglio europeo si riunisca ogni primavera, sulla base di una relazione annuale della Commissione, per valutare lo stato di attuazione della strategia.
Con la revisione intermedia si è inteso anche coinvolgere tutte le forze interessate (Parlamenti, autorità locali, parti sociali e società civile) nella migliore realizzazione della strategia, che è stata orientata in un ciclo triennale.
La Commissione ha presentato le linee direttrici integrate per la crescita e l’occupazione per il periodo 2005-2008, approvate dal Consiglio europeo di giugno 2005.
Sulla base delle linee direttrici, gli Stati membri hanno definito programmi di riforma nazionali, che sono stati oggetto di consultazione con le parti interessate e successivamente esaminati dalla Commissione europea.
Come complemento dei programmi nazionali di riforma, a luglio 2005 la Commissione ha presentato una comunicazione sul programma comunitario di Lisbona 2005-2008 relativo alle azioni da intraprendere a livello comunitario a favore della crescita e dell’occupazione.
Il Consiglio europeo di primavera del 23 e 24 marzo 2006, accogliendo favorevolmente la relazione annuale presentata dalla Commissione sui progressi nell’attuazione della strategia di Lisbona rinnovata, ha convenuto quanto segue:
§ definizione di settori specifici per azioni prioritarie da attuare entro la fine del 2007:
- aumentare gli investimenti nella ricerca e nell’innovazione;
- liberare il potenziale delle imprese, in particolare delle piccole e medie imprese;
- accrescere le opportunità di lavoro per le categorie prioritarie (giovani, donne, lavoratori anziani, immigrati legali e minoranze etniche);
§ definizione di una nuova politica energetica per l’Europa;
§ misure che devono essere assunte a tutti i livelli per mantenere lo slancio in tutti i pilastri del partenariato per la crescita e l’occupazione.
Il 16 febbraio 2006 il Parlamento europeo ha approvato in prima lettura – con 394 voti favorevoli, 215 contrari e 33 astensioni – la relazione predisposta dall’on. Evelyne Gebhardt (Partito socialista europeo) sulla proposta di direttiva relativa ai servizi nel mercato interno (COM(2004)2) (cosiddetta “direttiva Bolkenstein”).
La proposta, che segue la procedura di codecisione, è stata presentata dalla Commissione il 13 gennaio 2004 e si inserisce nel processo di riforme economiche varato dal Consiglio europeo di Lisbona (23-24 marzo 2000) al fine di fare dell’Unione europea, entro il 2010, l’economia basata sulla conoscenza più competitiva e più dinamica del mondo.
L’obiettivo della proposta è quello di stabilire un quadro giuridico che elimini gli ostacoli alla libertà di stabilimento dei prestatori di servizi ed alla libera circolazione dei servizi tra Stati membri.
La proposta iniziale della Commissione – che aveva sollevato in tutti i gruppi politici del Parlamento europeo preoccupazioni sui possibili rischi di riduzione dell’acquis comunitario nel settore sociale – è stata sostanzialmente modificata dall’esame parlamentare.
Il testo approvato dal Parlamento europeo ribadisce l’obiettivo della proposta iniziale relativamente alla liberalizzazione dei servizi, sottolineando al contempo la necessità di assicurare un elevato livello di qualità dei servizi stessi. E’ stabilito, inoltre, che la direttiva non pregiudica le disposizioni comunitarie in materia di concorrenza e aiuti di Stato.
L’esame del Parlamento europeo si è focalizzato, in particolare, su alcuni punti controversi:
§ campo di applicazione (art. 2): relativamente a questo aspetto, il testo adottato dal Parlamento europeo ribadisce quanto previsto nella proposta della Commissione, ovvero l’esclusione dei servizi di interesse generale. A questo riguardo gli Stati membri restano liberi di definire, conformemente al diritto comunitario, quelli che essi considerano servizi d'interesse generale, nonché di determinare le modalità di organizzazione e di finanziamento di tali servizi e gli obblighi specifici cui essi devono sottostare. La direttiva si applica, tuttavia, ai servizi di interesse economico generale, ovvero ai servizi che corrispondono ad un’attività economica e sono aperti alla concorrenza quali i servizi postali, i servizi di trasmissione, distribuzione e fornitura di energia elettrica e di gas o i servizi di distribuzione e di fornitura idrica. Oltre a tutta una serie di settori indicati espressamente nel testo adottato dal Parlamento europeo, sono inoltre escluse dal campo di applicazione della direttiva le materie disciplinate da disposizioni comunitarie specifiche come quelle sul distacco dei lavoratori, l’esercizio delle attività televisive o le qualifiche professionali;
§ principio del Paese di origine (art. 16): la formulazione iniziale prevedeva la possibilità per un prestatore di fornire i propri servizi in uno Stato membro diverso da quello di appartenenza unicamente in base alla legislazione dello Stato membro di origine. Il Parlamento europeo ha sostituito questo principio con quello della “libera circolazione dei servizi” in base al quale per la fornitura dei servizi si applica la legislazione del paese in cui essi vengono effettivamente prestati. Inoltre, si fa obbligo agli Stati membri di rispettare il diritto del prestatore di fornire i propri servizi liberamente sul suo territorio senza imporre requisiti discriminatori, ingiustificati e sproporzionati tranne che per motivi di pubblica sicurezza, protezione dell'ambiente e sanità pubblica;
§ distacco dei lavoratori (artt. 24 e 25): il Parlamento europeo ha soppresso le disposizioni relative al distacco dei lavoratori, ritenendo che questa questione ricada nel campo di applicazione della direttiva 96/71/CE relativa al distacco di lavoratori nell’ambito di una disciplina di servizi.
Il 4 aprile 2006 la Commissione ha presentato una proposta modificata che riprende in larga misura il testo adottato in prima lettura dal PE, in particolare per quanto riguarda la soppressione del principio del Paese di origine e la sua sostituzione con quello relativo alla libera circolazione dei servizi, nonché l’inclusione dei servizi di interesse economico generale nel campo di applicazione della direttiva proposta. La Commissione ha, inoltre, deciso di escludere dal campo di applicazione della direttiva proposta una serie di servizi, fra cui i servizi sanitari, alcuni dei quali saranno oggetto di iniziative specifiche.
Nella stessa data la Commissione ha presentato una comunicazione relativa agli “Orientamenti riguardanti il distacco dei lavoratori effettuato nell’ambito di una prestazione di servizi” al fine di facilitare l’applicazione della citata direttiva 96/71/CE.
Il testo modificato della proposta sarà ora trasmesso al Consiglio che, nelle intenzioni della Presidenza austriaca, dovrebbe raggiungere un accordo politico nel mese di giugno.
La Camera dei deputati ha promosso una serie di iniziative dedicate all’esame della proposta di direttiva, anche al fine di definire una posizione italiana da difendere nelle opportune sedi europee.
La proposta è stata esaminata dalle Commissioni riunite X (Attività produttive) e XIV (Politiche dell’Unione europea) che hanno anche proceduto all’audizione congiunta di eurodeputati italiani e rappresentanti del Governo.
In conclusione dei lavori, il 25 gennaio 2006, le Commissioni hanno adottato un documento finale con il quale si invita il Governo ad adoperarsi nelle competenti sedi decisionali comunitarie affinché la proposta di direttiva si configuri come un atto giuridico “quadro” senza la previsione di norme di dettaglio, preveda l’elencazione puntuale dei settori a cui si applica, definisca meglio il principio del paese di origine per scongiurare forme di dumping sociale ed eviti il rischio di intaccare i sistemi nazionali volti ad assicurare un’alta qualità dei servizi e la tutela dei consumatori.
Presso la Corte di giustizia delle Comunità europee è in corso una causa sulla compatibilità dell’imposta regionale sulle attività produttive (IRAP) con il divieto posto agli Stati membri dalla direttiva 77/388/CE (“sesta direttiva IVA”) di fissare imposte sulle cifre d’affari diverse dall’IVA (Causa C-475/03). La causa è stata proposta in via pregiudiziale dalla Commissione tributaria di Cremona.
L’Avvocato generale Stix-Hackl il 14 marzo 2006 ha depositato davanti alla Corte le proprie conclusioni in cui, come il suo predecessore, conclude che l’Irap sarebbe incompatibile con la disciplina IVA.
La Corte adotterà la sentenza in una delle prossime settimane.
La Commissione ha costituito nel 2004 un gruppo di esperti per l’elaborazione di una proposta legislativa volta a definire una base imponibile comune consolidata per le società (CCCTB – Common corporate consolidated tax base). Con una comunicazione (COM(2006)157) presentata il 5 aprile scorso, la Commissione ha dato conto dello stato dei lavori in seno al gruppo e del calendario per le prossime attività. In particolare, la Commissione preannuncia la presentazione, entro il 2008, della proposta legislativa che dovrebbe definire un nucleo di regole comuni per determinare il reddito imponibile delle imprese che svolgono la loro attività in vari paesi dell’Unione, ferma restando la sovranità degli Stati membri di fissare autonomamente le aliquote fiscali.
Il 1° dicembre 2005 la Commissione europea ha presentato il Libro bianco sulla politica comunitaria nel settore dei servizi finanziari 2005-2010 (COM(2005)629).
Il Libro bianco è in attesa di esame da parte del Parlamento europeo e del Consiglio.
[1] Sent. n. 320 del 2002 (esclusione dell’uso del servizi postale per il deposito degli atti ai fini della costituzione in giudizio nel processo tributario); sent. n. 328 del 2002 (mancata rivalutazione della base di calcolo delle plusvalenze su terreni acquistati per effetto di successione o donazione, agli effetti dell’imposta sui redditi); sent. n. 332 del 2002 (norma che poneva a carico di chi agisca per la ripetizione di talune imposte, indebitamente corrisposte, l'onere di provare che il loro peso economico non è stato trasferito su altri soggetti); sent. n. 202 del 2003 (imposta di registro sugli atti dell’autorità giudiziaria relativi all’adempimento degli oneri di mantenimento, istruzione ed educazione nell’ambito dei rapporti fra genitori e figli); sent. n. 345 del 2003 (esclusione degli immobili di proprietà di enti pubblici dalle agevolazioni previste agli effetti dell’ICI per gli immobili d’interesse storico); sent. n. 274 del 2005 (spese a carico della parte che le ha anticipate, in caso di estinzione del giudizio per definizione delle pendenze tributarie o per qualsiasi altra ipotesi di cessazione della materia del contendere); sent. n. 320 del 2005 (esclusione del rimborso di imposte già pagate, in presenza di disposizione interpretativa che retroattivamente le dichiara non dovute).
[2] Per violazione dell’art. 24 Cost.: sent. n. 360 del 2003 (differimento di 60 giorni, ai fini delle notificazioni, dell’efficacia delle variazioni dell'indirizzo del contribuente, non risultanti dalla dichiarazione annuale); sent. 280 del 2005 (mancanza di termine, fissato a pena di decadenza, entro il quale il concessionario deve notificare al contribuente la cartella di pagamento delle imposte liquidate mediante procedure automatizzate).
[3] Sulla questione era stata approvata dalla Commissione VI (Finanze) della Camera, nella seduta del 13 ottobre 2004, la risoluzione Benvenuto ed altri n. 7-00481 (che impegnava il Governo ad adottare iniziative normative volte ad escludere l'erogazione di rimborsi di crediti d'imposta in favore di contribuenti che, dopo essersi avvalsi dello strumento della definizione automatica, abbiano richiesto, nelle medesime dichiarazioni oggetto della definizione, il rimborso a titolo di maggior IVA versata a fronte di fatture relative ad operazioni inesistenti); la stessa Commissione aveva iniziato l’esame della proposta di legge Benvenuto ed altri n. 4831 (Modifiche all’articolo 9 della legge 27 dicembre 2002, n. 289, ai fini dell’esclusione dal condono tributario delle fatture per operazioni inesistenti e delle fatture “autoprodotte”).
[4] Si veda a questo proposito la Relazione sull’attività svolta dall’Alta Commissione per la definizione dei meccanismi strutturali del federalismo fiscale, pp. 25-39.
[5] Recepita con D.Lgs. 18 aprile 2005, n. 84.
[6] Recepita con D.Lgs. 30 maggio 2005, n. 143.
[7] Termine di recepimento: 1° gennaio 2005. La delega legislativa per il recepimento è contenuta nell’allegato B alla L. 25 gennaio 2006, n. 29 (Legge comunitaria 2005).
[8] Introdotte e disciplinate rispettivamente dal regolamento (CE) n. 2157/2001 del Consiglio, con la direttiva 2001/86/CE, e dal regolamento (CE) n. 1435/2003 del Consiglio, con la direttiva 2003/72/CE.
[9] Le conseguenti misure di applicazione sono state disposte con regolamento (CE) n. 1925/2004 della Commissione.
[10] La frode carosello sfrutta il regime di esenzione IVA previsto per le transazioni intracomunitarie nel seguente modo: una cosiddetta “società intermedia” (A) effettua una fornitura di merci intracomunitaria esente ad una “società fittizia” (B) residente in un altro Stato membro. La società (B) acquista le merci senza pagare l’IVA e poi effettua una fornitura nazionale ad una terza società (C), denominata “broker”. La “società fittizia” incassa l’IVA sulle vendite fatte al “broker”, ma non versa l’IVA all’Erario e scompare. Il “broker” (C) chiede il rimborso dell’IVA sugli acquisti effettuati presso B. Di conseguenza, la perdita finanziaria per l’Erario è pari all’IVA pagata da C a B. In seguito, la società C può dichiarare una fornitura intracomunitaria esente alla società (A) e quest’ultima può, a sua volta, effettuare una fornitura intracomunitaria esente a (B) ed il ciclo della frode si ripete (onde l’appellativo di “frode carosello”). Per sviare le indagini della pubblica autorità, le merci vengono spesso fornite da (B) a (C) tramite società intermediarie, consapevoli o no, denominate “società cuscinetto”.
[11] Un’ulteriore relazione sulla cooperazione in materia di IVA è stata presentata il 16 aprile 2004 [COM (2004) 260].
[12] Recepita con D.Lgs. 20 febbraio 2004, n. 52.
[13] Direttiva recepita con D.Lgs. 1° agosto 2003, n. 273. Misure di attuazione in materia di cooperazione amministrativa sono state emanate con il regolamento (CE) n. 792/2002 del Consiglio.
[14] Recepita con D.Lgs. 15 dicembre 2005, n. 294.
[15] Attuata dall’art. 4 del D.L. 30 gennaio 2004, n. 24, convertito, con modificazioni, dalla L. 31 marzo 2004, n. 87.
[16] Termine per il recepimento: 31 dicembre 2003. La delega legislativa per il recepimento è contenuta nell’allegato B alla L. 18 aprile 2005, n. 62 (Legge comunitaria 2004).
[17] Recepita con D.Lgs. 9 aprile 2003, n. 69. Le nuove modalità di applicazione, adeguate con la direttiva 2002/94/CE della Commissione, sono state recepite con D.M. 22 luglio 2005, n. 179.
[18] Termine di recepimento: 1° gennaio 2005. Si veda il D.Lgs. 19 settembre 2005, n. 215.
[19] Sui nuovi programmi Fiscalis 2013 e Dogane 2013 si veda la comunicazione della Commissione COM (2005) 111 del 6 aprile 2005.
[20] L’organizzazione del Ministero è stata definita con i seguenti regolamenti di delegificazione: D.P.R. 20 febbraio 1998, n. 38; D.P.R. 28 aprile 1998, n. 154; D.P.R. 22 marzo 2001, n. 147; D.P.R. 26 marzo 2001, n. 107; D.P.R. 1° agosto 2002, n. 202.
[21] Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 18 aprile 2005, l'Agenzia è stata sottoposta al controllo alla Corte dei conti, ai sensi dell'articolo 12 della legge 21 marzo 1958, n. 259. Sull’organizzazione e sull’attività dell’Agenzia del demanio si vedano anche le informazioni rese dal suo direttore alla Commissione Finanze della Camera nell’audizione del 19 luglio 2005.
[22] Sull’argomento il sottosegretario di Stato per l’economia e le finanze Armosino ha riferito alla Commissione finanze della Camera nella seduta dell’11 marzo 2004; la stessa Commissione, in varie audizioni informali, ha ascoltato i rappresentanti dell’Agenzia del territorio, di enti locali e organizzazioni di categoria.
[23] Il modello unico informatico catastale da utilizzarsi a quest’effetto è stato approvato con provvedimento del direttore dell’Agenzia del territorio 22 marzo 2005 (pubblicato nella Gazzetta ufficiale 4 aprile 2005, n. 77). Con altro provvedimento in pari data (pubblicato nella Gazzetta ufficiale 25 marzo 2005, n. 70) sono stati definiti termini, condizioni e modalità di presentazione.
[24] Disposizioni correttive e integrative sono state poi adottate con il decreto legislativo 18 novembre 2005, n. 247.
[25] La rimodulazione era diretta a contrastare il fenomeno del c.d. drenaggio fiscale (fiscal drag), ossia l’aumento della pressione fiscale dovuto, in ragione della progressività dell’IRPEF, a incrementi meramente nominali dei redditi (risultanti nel semplice mantenimento del valore reale dei redditi medesimi in presenza di inflazione).
[26] Gli effetti dei due “moduli” della riforma dell’IRPEF sono esaminati nel Rapporto annuale dell’ISTAT – La situazione del Paese nel 2004, sezione: L’impatto redistributivo della riforma dell’Irpef (pp. 64-71).
[27] È previsto un incremento dell’importo della deduzione pari a:
- 4.500 euro se alla formazione del reddito complessivo concorrono redditi di lavoro dipendente o assimilati (esclusi i redditi da pensione);
- 4.000 euro se alla formazione del reddito complessivo concorrono redditi da pensione e assegni equiparati;
- 1.500 euro se alla formazione del reddito complessivo concorrono redditi di lavoro autonomo o di impresa minore.
Gli incrementi sopra riportati non sono cumulabili tra loro.
[28] La deduzione spetta in ragione del rapporto tra l’importo di 26.000 euro, aumentato degli oneri deducibili e diminuito del reddito complessivo, e un importo di 26.000 euro. Essa può venire essere usufruita per intero ovvero in parte, a seconda del risultato di tale rapporto. In particolare:
- se il rapporto è uguale o maggiore di uno, la deduzione compete per l’intero ammontare;
- se il rapporto è uguale ad un numero compreso tra zero e uno, la deduzione spetterà in proporzione al risultato ottenuto:
- se il rapporto è zero o minore, la deduzione non spetta.
[29] Al riguardo, la circolare dell’Agenzia delle entrate n. 2/E del 2003 sottolinea che il riconoscimento di tali detrazioni risponde a finalità in parte diverse da quelle perseguite dalle disposizioni previgenti. In particolare, mentre le detrazioni contemplate dalle precedenti disposizioni erano destinate al riconoscimento, ancorché in misura forfetaria, delle spese sostenute per la produzione dei redditi, le nuove detrazioni tendono invece al mantenimento della progressività dell’imposizione.
[30] La clausola di salvaguardia è stata prorogata:
- per l’anno 2004 dall’articolo 2, comma 12, della legge 24 dicembre 2003, n. 350 (legge finanziaria per il 2004);
- per l’anno 2005 dall’articolo 1, comma 352, della legge 30 dicembre 2004, n. 311 (legge finanziari per il 2005), con estensione alla disciplina antecedente l’introduzione del “secondo modulo” della riforma dell’IRPEF;
- per l’anno 2006 dall’articolo 1, comma 124, della legge 23 dicembre 2005, n. 266 (legge finanziaria per il 2006).
La clausola di salvaguardia era esplicitamente prevista anche all’articolo 3, lettera f), della legge n. 80 del 2003, recante la delega per la riforma del sistema fiscale statale.
[31] Si ricorda che per deduzioni s’intendono gli importi che si possono sottrarre dal reddito complessivo, con un beneficio rapportato all'aliquota marginale raggiunta dal contribuente. Esse operano pertanto in modo diverso rispetto alle detrazioni, che invece vengono sottratte direttamente dall'imposta lorda dovuta.
[32] L'articolo 433 del codice civile prevede che all'obbligo di prestare gli alimenti siano tenuti nell'ordine:
1) il coniuge;
2) i figli legittimi o legittimati o naturali o adottivi, e, in loro mancanza, i discendenti prossimi anche naturali;
3) i genitori e, in loro mancanza, gli ascendenti prossimi, anche naturali; gli adottanti;
4) i generi e le nuore;
5) il suocero e la suocera;
6) i fratelli e le sorelle germani o unilaterali, con precedenza dei germani sugli unilaterali.
[33] Le deduzioni spettano per la parte corrispondente al rapporto tra l’ammontare di 78.000 euro, a cui occorre aggiungere l'importo delle deduzioni e degli oneri deducibili, e quindi sottrarre il reddito complessivo, e l’importo di 78.000 euro. Se il rapporto è maggiore o uguale a 1, la deduzione compete per intero; se il rapporto è pari a zero o minore, la deduzione non compete; se il rapporto è compreso tra zero ed 1, la deduzione spetta in misura proporzionale a tale rapporto.
[34] L’acconto dovuto per il 2006 è stabilito nella misura del 120 per cento dell'addizionale che si sarebbe determinata applicando le relative disposizioni nel periodo d'imposta precedente.
[35] Riforma dell'imposizione sul reddito delle società, a norma dell'articolo 4 della legge 7 aprile 2003, n. 80. L’articolo 1 del decreto legislativo n. 344 del 2003 novella numerose disposizioni del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, Testo unico delle imposte sui redditi (TUIR), provvedendo nel contempo alla rinumerazione e alla ricollocazione degli articoli, nonché alla modifica della suddivisione interna del medesimo testo unico.
[36] Tali utili costituiscono infatti la base imponibile dell’imposta sui redditi della società, ma sono anche un reddito imponibile per il soggetto che li riceve. Con il credito d’imposta si consentiva al socio di recuperare l’IRPEG pagata dalla società.
[37] La disciplina è stata modificata dall’articolo 5 del D.L. 30 settembre 2005, n. 203, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248.
[38] Per la disciplina di tale istituto relativamente ai soggetti IRPEF si vedano gli articoli 58 e 64 del TUIR.
[39] In confronto alla disciplina previgente è stato aumentato il tetto massimo di detraibilità dell’imposta pagata all’estero, in quanto il limite attuale è costituito dal rapporto tra lo stesso numeratore (il reddito prodotto all’estero) e un denominatore che potrebbe essere inferiore (il reddito complessivo al netto delle perdite, rispetto allo stesso reddito al lordo delle perdite).
[40] Poi modificati dall’art. 41-bis del D.L. 30 settembre 2003, n. 269, dall’art. 3, comma 122, della L. 24 dicembre 2003, n. 350, dall'art. 3-quater, comma 1, del D.L. 3 agosto 2004, n. 220, e dall’art. 1, co. 481, della L. 23 dicembre 2005, n. 266.
[41] Il credito d’imposta consiste in una riduzione del debito d’imposta.
[42] L’agevolazione per la partecipazione a fiere all’estero è stata giudicata incompatibile con il diritto comunitario [decisione della Commissione C (2004) 4746 del 14 dicembre 2004].
[43] Il D.M. 1° agosto 2002, pubblicato nella Gazzetta ufficiale 8 agosto 2002, n. 183, dà attuazione all’articolo 5 del D.L. 8 luglio 2002, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 2002, n. 178.
[44] A ciò si è provveduto con i decreti ministeriali 1° agosto 2002 (Gazzetta ufficiale del 6 agosto 2002, n. 183) e 7 febbraio 2003 (Gazzetta ufficiale del 12 febbraio 2003, n. 35).
[45] Gli altri soggetti che possono ricevere erogazioni liberali deducibili sono:
- le associazioni di promozione sociale, iscritte nel registro nazionale di cui all’articolo 7, della legge n. 383 del 2000. Sono considerate associazioni di promozione sociale le associazioni riconosciute e non riconosciute, i movimenti, i gruppi e i loro coordinamenti o federazioni costituiti al fine di svolgere attività di utilità sociale a favore di associati o di terzi, senza finalità di lucro e nel pieno rispetto della libertà e dignità degli associati;
- le fondazioni e associazioni riconosciute aventi per oggetto statutario la tutela, promozione e la valorizzazione dei beni di interesse artistico, storico, e paesaggistico di cui al D.Lgs. n. 42 del 2004;
- le fondazioni e associazioni riconosciute aventi per scopo statutario lo svolgimento o la promozione di attività di ricerca scientifica, individuate con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze e del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca.
[46] La detrazione d’imposta nella misura del 19 per cento, prevista dall’articolo 15, comma 1, lettera i-bis), del testo unico delle imposte sui redditi (TUIR) approvato con D.P.R. n. 917 del 1986, rimane comunque applicabile in alternativa alla deduzione.
[47] Si tratta dei medesimi soggetti indicati con riferimento alla corrispondente misura riguardante le persone fisiche non titolari di reddito d’impresa.
[48] Il comma 2 dell’articolo 100 del TUIR – tuttora applicabile, in alternativa a quanto disposto dall’articolo 14 del D.L. n. 35 del 2005 – consente la deduzione dal reddito, fra l’altro, delle erogazioni liberali in denaro a favore delle ONLUS, per importo non superiore a 2.065,83 euro o al 2 per cento del reddito d'impresa dichiarato [lettera h)] e delle erogazioni liberali in denaro a favore di associazioni di promozione sociale, per importo non superiore a 1.549,37 euro o al 2 per cento del reddito d’impresa dichiarato [lettera l)].
[49] L’articolo 14, comma 7, lettera b), del D.L. n. 35 del 2005 ha sostituto la lettera c) dell’articolo 100, comma 2, del TUIR. Successivamente l’articolo 1, comma 355, ha abrogato la ricordata disposizione del TUIR e il precedente comma 353 dello stesso articolo 1 ha disciplinato la fattispecie in maniera non del tutto coincidente con la disposizione abrogata.
[50] Si veda, da ultimo, l’articolo 1, comma 121, della legge 23 dicembre 2005, n. 266 (legge finanziaria per il 2006).
[51] Si veda l’articolo all'articolo 7, comma 1, della legge 23 dicembre 1999, n. 488 (legge finanziaria per il 2000) e successive modificazioni e integrazioni.
[52] Il comma 121 dell’art. 1 della L. 23 dicembre 2005, n. 266, ha invece prorogato per l’intero anno 2006 le misure agevolative, consistenti in detrazioni dall’imposta sui redditi (in misura da ultimo stabilita al 41 per cento), riferite agli interventi di recupero del patrimonio edilizio eseguiti dai proprietari ovvero da imprese di costruzione e cooperative edilizie (disposizione introdotta dall’art. 1 della L. 27 dicembre 1997, n. 449, ed estesa dall’art. 9, co. 2, della L. 28 dicembre 2001, n. 448).
[53] Poi modificati dall’art. 41-bis del D.L. 30 settembre 2003, n. 269, dall’art. 3, comma 122, della L. 24 dicembre 2003, n. 350, dall'art. 3-quater, comma 1, del D.L. 3 agosto 2004, n. 220, e dall’art. 1, co. 481, della L. 23 dicembre 2005, n. 266.
[54] Con la risoluzione n. 124/E del 12 agosto 2005, l’Agenzia delle entrate, sulla base di istanza di interpello, ha riconosciuto la non imponibilità ai fini IVA anche alle erogazioni liberali in favore di una ONLUS per la ricerca scientifica sulle malattie genetiche effettuate tramite SMS telefonico, sulla base del conferimento di mandato con rappresentanza, a titolo gratuito (ex articolo 1704 del codice civile), alla società telefonica per la raccolta dei fondi, cosicché quest'ultima agisca esclusivamente come tramite fra il privato cittadino donatore e l’ONLUS donataria.
[55] Legge 7 aprile 2003, n. 80, art. 5, co. 1, lettera h).
[56] La disposizione è stata eseguita con provvedimenti del direttore generale dell'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato: decreto 25 luglio 2005, pubblicato nella Gazzetta ufficiale n. 177 del 1° agosto 2005; decreto 6 aprile 2006, pubblicato nella Gazzetta ufficiale n. 89 del 15 aprile 2006. – La Commissione europea ha segnalato come provvedimenti di determinazione amministrativa del prezzo minimo di vendita di taluni beni possano risultare incompatibili con il diritto comunitario (comunicato IP/06/483 del 10 aprile 2006).
[57] L’art. 6 del D.L. 28 dicembre 2001, n. 452, aveva disposto la soppressione dell'imposta di consumo sugli olî lubrificanti (oggetto di contenzioso con l’Unione europea), contestualmente all’introduzione di un contributo di riciclaggio e di risanamento ambientale gravante sui medesimi. Non essendo stato emanato il regolamento d’attuazione cui era subordinata l’efficacia delle suddette disposizioni, ed essendosi frattanto modificata la normativa comunitaria, la disposizione citata nel testo ha confermato l’applicabilità della suddetta imposta di consumo, elevandone la misura.
[58] Per quanto riguarda le questioni attinenti all’organizzazione del catasto e al trasferimento delle funzioni ai comuni, si veda il capitolo L’Amministrazione finanziaria.
[59] Gli studi di settore, introdotti dall’articolo 62-bis del D.L. 30 agosto 1993, n. 331, sono strumenti diretti a facilitare la ricostruzione induttiva dei redditi d’impresa e di lavoro autonomo attraverso la determinazione di funzioni di ricavo e compenso per gruppi omogenei di contribuenti operanti nello stesso settore di attività.
Ciascuno studio di settore risulta, in particolare, costituito da tante funzioni di ricavo e di compenso quanti sono i gruppi omogenei di contribuenti nei quali sono stati suddivisi tutti coloro che operano nello stesso settore di attività. La derivazione della funzione di ricavo prende le mosse dall’elaborazione di un’ampia struttura informativa attinente ai dati contabili ed extracontabili dei contribuenti, pervenendo alla determinazione di indici statistici specifici per ogni categoria economica, ai quali è possibile ragguagliare la situazione del singolo contribuente.
Gli studi di settore sono approvati con decreti ministeriali e sono soggetti a revisione periodica.
[60] La disposizione conferma l’interpretazione adottata nella circolare del Ministero delle finanze n. 221/E del 24 novembre 1999, secondo cui, a seguito dell’abrogazione dell'articolo 91-bis del D.P.R. n. 602 del 1973 e della trasfusione del suo contenuto nel nuovo articolo 86, nelle more dell'emanazione del decreto previsto dal comma 4 di quest’ultimo, continua ad applicarsi il precedente regolamento di attuazione, in quanto compatibile.
[61] Relazione sull'andamento dell'attività degli organi di giurisdizione tributaria (Anno 2003), presentata dal Ministro dell’economia e delle finanze (doc. CLV, n. 4), pp. 40-41. Il problema era già segnalato nelle relazioni per l’anno 2001 (doc. CLV, n. 3, pp. 64-65) e per l’anno 2002 (doc. CLV, n. 2, pp. 44-45).
[62] Come si dirà più oltre, con la medesima disposizione è stata anche sospesa la facoltà, concessa ai comuni, di aumentare la parte variabile dell’aliquota dell’addizionale comunale all’IRPEF.
[63] La disposizione inserita nella legge finanziaria per il 2006 si è resa necessaria al fine di rendere inequivoca l’interpretazione delle disposizioni in materia introdotte dalla legge n. 311 del 2004. Infatti l’articolo 1 comma 51, di quest’ultima prorogava al 31 dicembre 2006 la sospensione disposta dall’articolo 3, comma 1, della legge n. 289 del 2002 (da riferirsi quindi alle addizionali regionale e comunale all’IRPEF e all’aliquota IRAP), mentre l’articolo 1, comma 61, della medesima legge prorogava la sospensione degli aumenti dell’addizionale regionale all’IRPEF e dell’aliquota IRAP soltanto fino al 31 dicembre 2005.
[64] Si tratta della causa C-475/03, pendente dinnanzi alla Corte di giustizia delle Comunità europee, relativamente alla quale – dopo le precedenti conclusioni del 17 maggio 2005 – il 14 marzo 2006 sono state presentate nuove conclusioni dell’avvocato generale Christine Stix-Hackl.
[65] La Corte costituzionale ha chiarito l’ambito di efficacia di questa sanatoria con la sentenza n. 455 del 2005, con cui ha dichiarato illegittimo l’ampliamento delle esenzioni dalla tassa automobilistica, previsto dalla legge della regione Liguria 4 febbraio 2005, n. 3, in quanto la sanatoria «vale a consentire l’applicazione delle sole disposizioni legislative che le regioni hanno promulgato prima della data di entrata in vigore della stessa legge n. 350 del 2003, e cioè prima del 1° gennaio 2004. Il “periodo d’imposta decorrente dal 1° gennaio 2007” vale solo ad individuare il termine fino al quale viene attribuita efficacia alle disposizioni regionali non conformi promulgate entro il 31 dicembre 2003».
[66] Il termine per la liquidazione e l’accertamento dell’ICI è posto dall’articolo 11 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, nel 31 dicembre del secondo anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione o la denunzia.
[67] Una disposizione di proroga era già contenuta nell’articolo 18, comma 4, della legge n. 388 del 2000 (finanziaria per il 2001), che aveva prorogato al 31 dicembre 2001 i termini per la liquidazione e l’accertamento dell’ICI limitatamente alle annualità d’imposta 1995 e successive.
[68] Alla determinazione si è provveduto con decreto del capo del Dipartimento per le politiche fiscali 22 novembre 2005 (pubblicato nella Gazzetta ufficiale 17 gennaio 2006, n. 13).
[69] La TARSU è disciplinata dal decreto legislativo 15 novembre 1993 n. 507 (Capo III, articoli 58-81), e successive modificazioni. La tassa è dovuta per il servizio di smaltimento, raccolta, cernita, trasporto, trattamento, ammasso, deposito e discarica sul suolo e nel suolo dei rifiuti solidi urbani interni, e dei rifiuti ad essi equiparati, effettuato nell'ambito di tutto il territorio comunale. Il soggetto passivo obbligato alla corresponsione della tassa è colui che occupa oppure detiene i locali o le aree scoperte interessate al tributo.
[70] I termini temporali previsti sono quelli indicati dall’articolo 11 del decreto del Presidente della Repubblica del 27 aprile 1999, n. 158, per quel che concerne il periodo transitorio entro il quale gli enti locali sono tenuti a raggiungere la piena copertura dei costi attraverso la tariffa. In particolare: a) tre anni per i comuni che abbiano raggiunto nell'anno 1999 un grado di copertura dei costi superiore all'85%; b) cinque anni per i comuni che abbiano raggiunto un grado di copertura dei costi tra il 55 e l'85%; c) otto anni per i comuni che abbiano raggiunto un grado di copertura dei costi inferiore al 55%; d)otto anni per i comuni che abbiano un numero di abitanti fino a 5000, qualunque sia il grado di copertura dei costi raggiunto nel 1999.
[71] Le modalità di rimborso integrale da parte dello Stato per la diminuzione di entrata derivante dall’esenzione sono state definite con il decreto del Ministro dell’economia 7 gennaio 2003.
[72] L’addizionale comunale all’IRPEF, istituita dal decreto legislativo 28 settembre 1998, n. 360, è composta di un’aliquota divisa in due parti: un’aliquota base di compartecipazione, fissata con decreto del Ministero dell’economia e delle finanze in misura uguale per tutti i comuni, con corrispondente riduzione delle aliquote erariali; un’ulteriore aliquota, facoltativa e variabile, in quanto la sua applicazione è rimessa a ciascun comune, che ne determina la misura nei limiti fissati dalla legge. La legge 13 maggio 1999, n. 133, ha poi previsto che l’addizionale all’IRPEF riguardi non solo i comuni, ma anche le province, stabilendo che l’aliquota base di compartecipazione comprenda, indicandole distintamente, oltre che l’addizionale comunale, anche quella provinciale.
[73] Non essendo stato adottato il decreto del Ministro dell’economia chiamato a definire la “parte fissa” dell’aliquota, l’articolo 67 della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (legge finanziaria per il 2001) ha previsto, esclusivamente per l’anno 2002, a favore dei comuni delle regioni a statuto ordinario una compartecipazione al gettito dell’IRPEF in una misura parti al 4,5 per cento di quanto riscosso.
[74] Tale blocco si è accompagnato al blocco delle maggiorazioni dell’addizionale regionale IRPEF e dell’aliquota dell’IRAP cui si è fatto riferimento sopra.
[75] Il fondo è ripartito sulla base del “rispettivo traffico aeroportuale”, secondo le seguenti modalità:
a) il 20 per cento del fondo è ripartito tra i comuni del sedime aeroportuale e con lo stesso confinante secondo la media delle seguenti due percentuali:
- percentuale di superficie del territorio comunale inglobata nel recinto aeroportuale sul totale del sedime;
- percentuale della superficie totale del comune nel limite massimo di 100 chilometri quadrati;
b) l’80 per cento del fondo, come detto, è destinato al finanziamento di misure volte alla prevenzione e al contrasto della criminalità e al potenziamento della sicurezza nelle strutture aeroportuali e nelle principali stazioni ferroviarie, al fine di pervenire ad efficaci misure di tutela dell’incolumità delle persone e delle strutture.
[76] Istituito presso l’INPS dall’articolo 1-ter del decreto-legge 5 ottobre 2004, n. 249, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 dicembre 2004, n. 291.
[77] Istituita dal decreto-legge n. 511 del 1988, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 20 del 1989.
[78] A questo fine erano state approvate dalla Commissione VI (Finanze) della Camera, nella seduta del 17 giugno 2004, le risoluzioni Conte ed altri n. 7-00396 e Benvenuto ed altri n. 7-00442, in un testo unificato.
[79] Modificato dall’articolo 4 del D.L. 12 luglio 2004, n. 168, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2004, n. 191.
[80] Per ulteriori approfondimenti sul FIP e, in generale, sulle operazioni di cartolarizzazione, si rinvia alla Relazione della Corte dei conti n. 4/2006/G dell’11 aprile 2006 - Indagine sui risultati delle cartolarizzazioni (paragrafo 7.7).
[81] D.M. 17 febbraio 2004, pubblicato nella Gazzetta ufficiale 21 aprile 2004, n. 93.
[82] L’allegato A al citato D.L. n. 282 del 2002 contiene un elenco di beni dello Stato siti in Milano, Roma e Napoli, mentre l’allegato B si riferisce a beni precedentemente di proprietà dell’Ente tabacchi italiani (ETI), siti in diversi comuni italiani.
[83] La sopra citata disposizione non ha ancora avuto attuazione. Si ricorda comunque che nell’ambito di Sviluppo Italia Spa le iniziative nel settore turistico sono affidate alla società controllata Italia Turismo Spa, partecipata al 49 per cento da soci privati: IFIL Investissements S.a., Banca Intesa e Gruppo Marcegaglia.
[84] Gli immobili sono stati individuati con decreto del direttore dell’Agenzia del demanio del 1° dicembre 2003, modificato dal decreto 21 novembre 2005, e con decreto 21 novembre 2005.
Con successivi decreti del direttore generale del Dipartimento del tesoro (10 dicembre 2003 e 1° dicembre 2005), l'Agenzia del demanio è stata autorizzata a vendere alla Società Fintecna - Finanziaria per i settori industriale e dei servizi S.p.a., con sede in Roma, taluni immobili di proprietà dello Stato, tra i quali gli immobili qui considerati.
[85] Modifiche e integrazioni sono state successivamente apportate dal decreto legislativo 6 febbraio 2004, n. 37, che ha provveduto altresì all’adeguamento del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, e al testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58. Ulteriori correzioni e integrazioni sono state apportate dal decreto legislativo 28 dicembre 2004, n. 310.
[86] Al riordino della vigilanza sulle cooperative si era provveduto con il D.Lgs. 2 agosto 2002, n. 220, emanato in attuazione della delega legislativa conferita dall'articolo 7, comma 1, della L. 3 aprile 2001, n. 142. 1. La vigilanza su tutte le forme di società cooperative e loro consorzi, gruppi cooperativi, società di mutuo soccorso ed enti mutualistici, consorzi agrari e piccole società cooperative (complessivamente denominati enti cooperativi) è attribuita al Ministero delle attività produttive. Essa è esercitata mediante revisioni cooperative almeno biennali e ispezioni straordinarie e riguarda l'accertamento dei requisiti mutualistici, nonché la regolarità della gestione. Per gli enti cooperativi e i loro consorzi, con un valore della produzione superiore a 60 milioni di euro o con riserve indivisibili superiori a 4 milioni di euro o con prestiti o conferimenti di soci finanziatori superiori a 2 milioni di euro, è prescritta la certificazione annuale del bilancio per opera di una società di revisione abilitata. Sono altresì disciplinati i provvedimenti sanzionatorî ministeriali e l’Albo nazionale degli enti cooperativi.
[87] Modifiche e integrazioni sono state successivamente apportate dai decreti legislativi 6 febbraio 2004, n. 37, e 28 dicembre 2004, n. 310.
[88] Recepita con il decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 188.
[89] Si tratta di:
- progetti di investimento che superano una data percentuale del capitale sottoscritto;
- creazione, acquisizione, cessione o liquidazione di imprese, stabilimenti o sezioni di stabilimenti qualora il prezzo di acquisto o il ricavato della vendita sia superiore ad una data percentuale del capitale sottoscritto;
- ricorso al credito, concessione di crediti, emissione di titoli obbligazionari e ripresa o garanzia di obbligazione di terzi, se l'operazione globale è superiore ad una data percentuale del capitale sottoscritto;
- stipulazione di contratti di fornitura e di prestazione quando il loro ammontare globale è superiore ad una data percentuale della cifra d'affari dell'ultimo esercizio commerciale.
[90] La delega legislativa per il recepimento è contenuta nell’allegato B alla legge 18 aprile 2005, n. 62.
[91] Modificato dai regolamenti n. 707/2004, n. 2086/2004, n. 2236/2004, n. 2237/2004, n. 2238/2004, n. 211/2005, n. 1073/2005, n. 1751/2005, n. 1864/2005, n. 1910/2005, n. 2106/2005, n. 108/2006 e n. 708/2006.
[92] Sullo stesso oggetto si è rivolta anche l’attenzione dell’Ispettorato generale di finanza presso la Ragioneria generale dello Stato: Relazione sul lavoro compiuto dall’Ispettorato generale di finanza e sull’attività del sistema delle ragionerie nell’esercizio finanziario 2005, cap. 2.4 (pp. 45-48). Per quanto riguarda l’operatività delle banche in derivati su crediti, la Banca d’Italia ha prescritto l’adozione di idonei assetti organizzativi, processi operativi e sistema di controllo dei rischi, richiedendo inoltre la comunicazione di determinate operazioni da parte delle banche medesime (comunicato e disposizioni pubblicate nella Gazzetta ufficiale 21 aprile 2006, n. 93).
[93] La legge n. 306 del 2003 (legge comunitaria 2003) aveva delegato il Governo a emanare decreti legislativi per il recepimento. Tuttavia, la delega legislativa non è stata esercitata.
[94] La Centrale dei rischi della Banca d’Italia, disciplinata dalla delibera del CICR del 29 marzo 1994, è un archivio informatico che censisce dati relativi, sostanzialmente, alle insolvenze e alle posizioni di rischio della clientela bancaria, consultabile dalle banche e dagli intermediari finanziari che utilizzano le informazioni ivi contenute ai fini della valutazione del merito di credito.
[95] L’articolo 34-quater del decreto-legge 10 gennaio 2006, n. 4, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 marzo 2006, n. 80, ha rinviato al 17 maggio 2006 l’inizio dell’applicazione di alcune disposizioni ovvero, ove previste, dall'emanazione delle relative disposizioni di attuazione da parte della Commissione nazionale per le società e la borsa (CONSOB) e dell'Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni private e di interesse collettivo (ISVAP), disponendo altresì che le disposizioni regolamentari e di carattere generale per l’attuazione della legge n. 262 del 2005 siano adottate dalla CONSOB entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della medesima legge.
[96] La delega legislativa per il recepimento è contenuta nell’articolo 12 della legge 28 dicembre 2005, n. 262. Disposizioni regolamentari sono state inoltre emanate dalla CONSOB con la deliberazione 29 novembre 2005, n. 15232 (pubblicata nella Gazzetta ufficiale 14 dicembre 2005, n. 290).
[97] La delega legislativa per il recepimento è contenuta nell’articolo 1 e allegato B alla legge 18 aprile 2005, n. 62, con le modificazioni apportate dall’articolo 16 della legge 25 gennaio 2006, n. 29.
[98] La delega legislativa per il recepimento è contenuta nel medesimo articolo 1 e allegato B alla citata legge n. 62 del 2005, con le modificazioni apportate dall’articolo 16 della legge n. 29 del 2006.
[99] La delega legislativa per il recepimento è contenuta nell’articolo 1 e allegato B della legge 25 gennaio 2006, n. 29.
[100] Rispettivamente emanati con decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, e con decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58.
[101] Audizione del Presidente dell’Associazione nazionale fra le banche popolari: seduta del 24 ottobre 2002.
[102] Il Comitato di Basilea, costituito nel 1974, è formato dai rappresentanti delle banche centrali e delle autorità di vigilanza bancaria di numerosi Stati (Belgio, Canada, Francia, Germania, Italia, Giappone, Lussemburgo, Paesi Bassi, Spagna, Svezia, Confederazione elvetica, Gran Bretagna e Stati Uniti), e costituisce una sede di cooperazione internazionale per le materie attinenti alla vigilanza sull’attività delle banche. Le funzioni di segreteria sono svolte dalla Banca per i regolamenti internazionali con sede in Basilea. Il Comitato non adotta provvedimenti aventi valore giuridico, ma formula criteri generali, regole di condotta e princìpi volti a realizzare le più efficaci prassi di vigilanza, che le singole autorità nazionali sono invitate ad adottare, con gli adattamenti necessari, secondo i rispettivi ordinamenti. In tal modo il Comitato promuove la convergenza nelle pratiche di vigilanza attraverso l’utilizzazione di princìpi comuni.
Il primo Accordo di Basilea, elaborato nel 1988, consiste in un sistema comune di valutazione del capitale e del rischio di credito, adottato a fini di vigilanza bancaria non solo dagli Stati partecipanti al Comitato, ma sostanzialmente in quasi tutti gli Stati in cui esistono banche operanti sui mercati internazionali. Il testo della formulazione riveduta dell’Accordo (detta Basilea II), adottata nel 2004, si può rinvenire, anche in traduzione italiana, nel sito internet della Banca dei regolamenti internazionali (www.bis.org).
[103] Proposta di direttiva sull’adeguatezza patrimoniale delle imprese d’investimento e degli enti creditizi [documento n. 12890/05 del Consiglio – fascicoli 2004/0155 (COD) e 2004/0159 (COD)]. – La Banca d’Italia ha reso pubbliche le proposte di normativa secondaria per l’attuazione dell’accordo, ai fini della consultazione dei destinatari (www.bancaditalia.it).
[104] Ai sensi dell'articolo 29 della legge 5 ottobre 1991, n. 317, si considerano consorzi e cooperative di garanzia collettiva fidi (Confidi) i consorzi, le società consortili e le cooperative che abbiano come scopi sociali:
- attività di prestazione di garanzie collettive al fine di favorire la concessione di finanziamenti da parte di aziende e istituti di credito, di società di leasing, di società di cessione di crediti di imprese e di enti parabancari alle piccole imprese associate;
- attività di informazione, consulenza, assistenza alle imprese consorziate per il reperimento e il migliore utilizzo delle fonti finanziarie, nonché le prestazioni dei servizi per migliorare la gestione finanziaria delle stesse imprese.
I Confidi, quindi, si configurano come organismi finalizzati ad agevolare l'accesso al credito alle piccole e medie imprese, offrendo alle banche delle garanzie che in genere coprono il 50% dell'entità del prestito erogato.
[105] A livello internazionale, i tre modelli di covered bond attualmente dominanti sul mercato sono lo Pfandbrief tedesco, l’obligation foncière francese e la cédula hipotecaria spagnola.
[106] Il regolamento recante norme per la determinazione dei criteri generali cui debbono essere uniformati i fondi comuni d’investimento è stato approvato con decreto ministeriale 24 maggio 1999, n. 228, come modificato dai successivi decreti ministeriali 31 gennaio 2003, n. 47, e 14 ottobre 2005, n. 256.
[107] L’efficacia della disposizione che sanziona la violazione del limite è stata per altro differita al 1° luglio 2005 dall’articolo 6-novies del decreto-legge 30 dicembre 2004, n. 314, convertito, con modificazioni, dalla legge 1° marzo 2005, n. 26.
[108] Il reddito agrario è costituito dalla parte del reddito medio ordinario dei terreni imputabile al capitale d'esercizio e al lavoro di organizzazione impiegati, nei limiti della potenzialità del terreno, nell'esercizio di attività agricole su di esso. Il reddito agrario va imputato al soggetto che esercita l’impresa agricola.
[109] La normativa precedente considerava attività agricole connesse quelle dirette alla manipolazione, trasformazione e alienazione di prodotti agricoli e zootecnici, ancorché non svolte sul terreno, che rientrassero nell'esercizio normale dell'agricoltura secondo la tecnica che lo governa e che avessero per oggetto prodotti ottenuti per almeno la metà dal terreno e dagli animali allevati su di esso.
[110] La rideterminazione è stata eseguita con decreto dei ministri dell’economia e delle finanze e delle politiche agricole 23 dicembre 2005, pubblicato nella Gazzetta ufficiale n. 304 del 31 dicembre 2005.
[111] L’art. 2512 cod. civ. stabilisce che sono società cooperative a mutualità prevalente, in ragione del tipo di scambio mutualistico, quelle che:
1) svolgono la loro attività prevalentemente in favore dei soci, consumatori o utenti di beni o servizi;
2) si avvalgono prevalentemente, nello svolgimento della loro attività, delle prestazioni lavorative dei soci;
3) si avvalgono prevalentemente, nello svolgimento della loro attività, degli apporti di beni o servizi da parte dei soci.
Le società cooperative a mutualità prevalente si iscrivono in un apposito albo, presso il quale depositano annualmente i propri bilanci.
[112] Si tratta, in particolare:
a) delle somme attribuite ai soci delle cooperative di produzione e lavoro, sotto forma di integrazione retributiva, in misura non superiore al 30 per cento dei trattamenti retributivi complessivi (articolo 3 della legge n. 142 del 2001);
b) delle somme attribuite dalle cooperative e loro consorzi ai propri soci, a titolo di restituzione di una parte del prezzo dei beni e servizi acquistati o di maggiore compenso per i conferimenti effettuati (articolo 12 del D.P.R. n. 601 del 1973).
[113] In precedenza tale ritenuta era applicata a titolo di acconto.
[114] La quota di utili, destinati a riserva indivisibile, soggetti a tassazione è stata fissata:
- nel 61 per cento della quota eccedente la riserva minima obbligatoria, per la generalità delle cooperative e loro consorzi;
- nel 40 per cento della quota eccedente la riserva minima obbligatoria, per le cooperative agricole e della piccola pesca e loro consorzi.
Ai sensi della disciplina previgente (articolo 12 della legge n. 904 del 1977) le riserve indivisibili non concorrevano, nella loro totalità, alla formazione del reddito imponibile.
[115] I citati articoli del D.P.R. n. 601 del 1973 disciplinano uno speciale regime di esenzione dalle imposte dirette per i redditi riferibili, in maniera diretta o indiretta, al lavoro prestato o ai terreni dei soci delle cooperative agricole, della piccola pesca e di produzione e di lavoro. In conseguenza delle nuove disposizioni, tali esenzioni non si applicano alle cooperative agricole e della piccola pesca, per la quota di utili destinati a riserva indivisibile assoggettata a tassazione, né alle cooperative di produzione e di lavoro, salvo che per la quota di reddito conseguente all’indeducibilità dell’IRAP.
[116] La decorrenza dell’applicazione delle disposizioni contenute nella legge n. 311 del 2004 si ricollega alla scadenza delle misure transitorie contenute nel D.L. n. 63 del 2002.
[117] La quota di utili, destinati a riserva indivisibile, soggetti a tassazione è fissata:
- nel 30 per cento della quota eccedente la riserva minima obbligatoria, per la generalità delle cooperative e loro consorzi;
- nel 20 per cento della quota eccedente la riserva minima obbligatoria, per le cooperative agricole e della piccola pesca e loro consorzi.
[118] La quota di utili, destinati a riserva indivisibile, soggetti a tassazione è fissata nella misura del 70 per cento della quota eccedente la riserva minima obbligatoria.
[119] Tale limite è stabilito nella misura minima degli interessi spettanti ai detentori dei buoni postali fruttiferi, aumentata dello 0,90 per cento.
[120] Poi modificati dall’art. 41-bis del D.L. 30 settembre 2003, n. 269, dall’art. 3, comma 122, della L. 24 dicembre 2003, n. 350, dall'art. 3-quater, comma 1, del D.L. 3 agosto 2004, n. 220, e dall’art. 1, co. 481, della L. 23 dicembre 2005, n. 266.
[121] Recante “Riforma della disciplina fiscale della previdenza complementare, a norma dell'articolo 3 della legge 13 maggio 1999, n. 133”.
[122] Articolo 10, comma 1, lettera e-bis), del testo unico delle imposte sui redditi (TUIR), approvato con D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917.
[123] Articolo 105, comma 3, del TUIR.
[124] Un analogo regime si applica (articolo 14, comma 3, del D.Lgs. n. 252 del 2005) alle somme percepite nei casi di riscatto della posizione pensionistica individuale per cessazione del rapporto di lavoro, per invalidità o morte del lavoratore. La ritenuta a titolo d’imposta è invece fissata nella misura del 23 per cento sulle somme percepite nei casi di riscatto della posizione pensionistica individuale per cause diverse dalle precedenti (articolo 14, comma 4).
[125] Articolo 52 del TUIR.
[126] Articolo 17, comma 1, lettera a-bis), del TUIR.
[127] L’articolo 1, comma 2, lettera i), della legge di delega n. 243 del 2004 aveva delegato il Governo a rivedere la tassazione dei rendimenti delle attività delle forme pensionistiche, rendendone più favorevole il trattamento in ragione della finalità pensionistica. In realtà, il trattamento fiscale dei rendimenti delle attività delle forme pensionistiche non ha subìto modifiche sostanziali rispetto a quanto precedentemente previsto.
[128] Articolo 14 del decreto legislativo 21 aprile 1993, n. 124.
[129] I settori nei quali devono operare le sopra indicate associazioni e fondazioni riconosciute sono: assistenza sociale e socio-sanitaria; assistenza sanitaria; beneficenza; istruzione; formazione; sport dilettantistico; tutela, promozione e valorizzazione delle cose d'interesse artistico e storico; tutela e valorizzazione della natura e dell'ambiente, con esclusione dell'attività; esercitata abitualmente, di raccolta e riciclaggio dei rifiuti urbani, speciali e pericolosi; promozione della cultura e dell'arte; tutela dei diritti civili; ricerca scientifica di particolare interesse sociale svolta direttamente da fondazioni ovvero da esse affidata ad università, enti di ricerca e altre fondazioni.
[130] L’articolo 31, comma 2, del D.L. 30 dicembre 2005, n. 273, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 febbraio 2006, n. 51, ha specificato che la disposizione illustrata, riferita all'anno finanziario 2006, si applica al periodo d’imposta 2005.
[131] Rispetto alla disciplina della quota relativa all’8 per mille, la disposizione in esame non contempla il caso di “scelta non espressa”. Ne consegue che soltanto la quota di reddito specificamente destinata da ciascun contribuente sarà assegnata ad una delle quattro tipologie sopra indicate. Invece, a norma dell’articolo 47 della legge n. 222 del 1985, la quota dell’8 per mille viene ripartita complessivamente sulla base delle percentuali risultanti dalle scelte espresse.
[132] Gli studi di settore, introdotti dall’articolo 62-bis del D.L. 30 agosto 1993, n. 331, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 ottobre 1993, n. 427, sono strumenti diretti a facilitare la ricostruzione induttiva dei redditi d’impresa e di lavoro autonomo.
Ciascuno studio di settore risulta, in particolare, costituito da tante funzioni di ricavo e di compenso quanti sono i gruppi omogenei di contribuenti nei quali sono stati suddivisi tutti coloro che operano nello stesso settore di attività. La derivazione della funzione di ricavo prende le mosse dall’elaborazione di un’ampia struttura informativa attinente ai dati contabili ed extracontabili dei contribuenti, pervenendo alla determinazione di indici statistici specifici per ogni categoria economica, ai quali è possibile ragguagliare la situazione del singolo contribuente.
Gli studi di settore sono approvati con decreti ministeriali e sono soggetti a revisione periodica.
[133] Ai sensi dell’articolo 3, commi 181-189, della legge 28 dicembre 1995, n. 549 (legge finanziaria per il 1996), il Ministero delle finanze elabora parametri in base ai quali determinare i ricavi, i compensi e il volume d'affari fondatamente attribuibili al contribuente in base alle caratteristiche e alle condizioni di esercizio dell’attività svolta. Tali parametri sono applicabili ai contribuenti per i quali non risultino approvati gli studi di settore. L’elaborazione dei parametri è regolata dal D.P.C.M. 29 gennaio 1996 (pubblicato nel supplemento ordinario alla Gazzetta ufficiale 31 gennaio 1996, n. 25) e successive modificazioni.
[134] Si tratta, in particolare, dei seguenti atti:
- processi verbali di constatazione con esito positivo;
- avvisi di accertamento o rettifica;
- inviti al contraddittorio previsti dall’articolo 5 del D.Lgs. 19 giugno 1997, n. 218.
[135] Poi modificato dai decreti-legge n. 138 del 2002, art. 3, e n. 209 del 2002, art. 4.
[136] La misura del rimborso delle spese relative alle procedure esecutive è stata stabilita con D.M. 21 novembre 2000 (Gazzetta ufficiale 6 febbraio 2001, n. 30); la misura della remunerazione del servizio di riscossione tramite ruolo è stata stabilita con D.M. 4 agosto 2000 (Gazzetta ufficiale 29 agosto 2000, n. 201).
[137] Relazione sullo stato del servizio di riscossione dei tributi - Anno 2003 (Doc. CLXIX, n. 3), pp. 16-17. Si veda anche la relazione governativa al disegno di legge di conversione del decreto-legge n. 203 del 2005 (A.S. 3617).
[138] Nel territorio della Regione siciliana, con riguardo alle entrate non spettanti a quest’ultima, le funzioni relative alla riscossione saranno svolte dall’Agenzia delle entrate mediante Riscossione S.p.A. ovvero altra società per azioni a maggioranza pubblica.
[139] La società Riscossione SpA, con sede legale in Roma, via M. Carucci 85, è stata costituita il 27 ottobre 2005 e iscritta nel registro delle imprese il successivo 31 ottobre. Con l’atto costitutivo è stato adottato lo statuto che ne specifica l’organizzazione.
[140] Sulle procedure in corso per la valutazione e l’acquisto delle quote, nonché sulla consistenza del personale, ha dato ragguaglio il direttore dell'Agenzia delle entrate nell’audizione svoltasi presso la Commissione finanze della Camera nella seduta del 25 gennaio 2006.
[141] L’aliquota IRAP per banche, altri enti finanziari e imprese di assicurazione, inizialmente fissata al 5,4% (per il 2000), portata successivamente al 5% (anno 2001) quindi al 4,75% (anno 2002) ed infine abbassata al 4,25% a decorrere dal 2003.
[142] Giova ricordare a questo riguardo che l’ETI S.p.A (ex Ente tabacchi italiani) è stato ceduto nel 2003 per un importo lordo pari a euro 2.325,2 milioni (euro 2.314,5 netti).
[143] L’articolo 1, comma 502, della L. 30 dicembre 2004, n. 311, ha prescritto inoltre che i requisiti tecnici dei sistemi elettronici di identificazione e controllo degli apparecchi da intrattenimento, delle schede di giuoco, intese come l'insieme di tutte le componenti hardware e software del congegno stesso, e dei documenti attestanti il rilascio dei nulla osta siano definiti dal Ministero dell'economia e delle finanze - Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato, in modo tale da assicurarne la controllabilità a distanza, anche in forma riservata.
[144] La terza estrazione settimanale è stata istituita in via sperimentale con decreto del direttore generale dell’Amministrazione autonoma dei Monopoli di Stato 9 giugno 2005 (pubblicato nella Gazzetta ufficiale 18 giugno 2005, n. 140).
[145] Le misure per la regolamentazione della raccolta a distanza delle scommesse, del bingo e delle lotterie sono state emanate con decreto del direttore generale dell’AAMS 21 marzo 2006 (pubblicato nella Gazzetta ufficiale 24 marzo 2006, n. 70).
[146] A norma dell’articolo 3, comma 229, della legge n. 549 del 1995, l'organizzazione e l'esercizio delle scommesse a totalizzatore e a quota fissa riservate al CONI sulle competizioni sportive organizzate o svolte sotto il suo controllo possono essere affidati in concessione a persone fisiche, società ed enti che offrano adeguate garanzie. Ai sensi del successivo comma 230, con il D.M. 2 giugno 1998, n. 174, è stato emanato il regolamento recante norme per l'organizzazione e l'esercizio delle scommesse a totalizzatore e a quota fissa su competizioni sportive organizzate dal CONI, successivamente modificato dal D.M. 12 luglio 2000, n. 231.
[147] Modificato e integrato dal decreto 2 agosto 2002 (pubblicato nella Gazzetta ufficiale 10 agosto 2002, n. 187.
[148] Per queste ultime si è provveduto con decreto del direttore generale dell’AAMS 21 marzo 2006 (Misure per la regolamentazione della raccolta a distanza delle scommesse, del bingo e delle lotterie – Pubblicato nella Gazzetta ufficiale 24 marzo 2006, n. 70).
[149] Con decreto del direttore generale dell’AAMS 9 marzo 2006 (pubblicato nella Gazzetta ufficiale 21 marzo 2006, n. 67) è stata istituita la formula di giuoco opzionale denominata SuperStar, complementare al concorso pronostici Enalotto.
[150] Le società veicolo, ai sensi dell’articolo 2 del D.L. n. 351 del 2001, sono società a responsabilità limitata con capitale iniziale di 10.000 euro, aventi ad oggetto esclusivo la realizzazione di una o più operazioni di cartolarizzazione dei proventi derivanti dalla dismissione del patrimonio immobiliare dello Stato e degli altri enti pubblici. Le società possono essere costituite anche con atto unilaterale del Ministero dell'economia e delle finanze.
[151] Si vedano le relazioni del Governo al Parlamento doc. CL, n. 3 (trasmessa il 14 gennaio 2003) e doc. CL, n. 4 (trasmessa il 2 aprile 2003).
[152] Dato riportato nella relazione del Governo al Parlamento (trasmessa il 27 aprile 2006 e relativa al primo semestre 2005 - doc. CL, n. 9). La relazione della Corte dei conti n. 4/2006/G dell’11 aprile 2006, pag. 191, concernente l’indagine sui risultati delle cartolarizzazioni, indica tuttavia in 1.283 gli immobili residenziali invenduti alla data del 31 ottobre 2005 (pari al 4,7% del portafoglio originario).
[153] Tra le difficoltà sopravvenute nell’operazione si possono ricordare gli interventi normativi (articolo 26 del D.L. n. 269 del 2003 e il D.L. n. 41 del 2004) che hanno modificato, nel corso dell’esecuzione, la disciplina relativa alla rivendita degli immobili oggetto della cartolarizzazione.
[154] Si veda il D.M. 18 aprile 2005 (pubblicato nella Gazzetta ufficiale n. 116 del 20 maggio 2005).
[155] Dati riportati nelle relazioni del Governo al Parlamento, trasmesse nel mese di aprile 2006, e relative al primo semestre 2005 (doc. CL, n. 9) e al secondo semestre 2005 (doc. CL, n. 10).
[156] Si tratta dei programmi disposti dall’articolo 7 del D.L. 28 marzo 1997, n. 79, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 maggio 1997, n. 140.
[157] Per quanto riguarda la determinazione del prezzo delle unità immobiliari ad uso residenziale non di pregio, per le quali i conduttori abbiano manifestato la volontà di acquisto mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento tra il 26 settembre e il 31 ottobre 2001, si veda infra.
[158] L’entità degli sconti per l’acquisto a mezzo di mandato collettivo è determinata dai decreti ministeriali di trasferimento degli immobili alle società veicolo, mentre la legge si limita a stabilire che lo sconto per l’acquisto effettuato da almeno il 50 per cento (ma meno dell’80 per cento) dei conduttori non può essere superiore all’8 per cento. Generalmente lo sconto per l’acquisto effettuato da almeno l’80 per cento dei conduttori non supera il 15 per cento. Si segnala che, nel fissare tali sconti, i decreti ministeriali favoriscono gli acquisti di un numero maggiore di unità immobiliari in cifra assoluta.
[159] Proposta di legge Cennamo ed altri n. 5478. La proposta è stata esaminata dalla Commissione VI (Finanze) della Camera nel periodo giugno-ottobre 2005.
[160] Si veda in particolare l’audizione del Sottosegretario di Stato per l’economia e le finanze on. Armosino presso la Commissione di vigilanza sugli enti previdenziali, nella seduta del 6 aprile 2005.
[161] Articolo 11-quinquies, comma 7, del D.L. 30 settembre 2005, n. 203, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248.
[162] Si tratta delle seguenti norme:
- articolo 3, comma 20, secondo periodo, del D.L. n. 351 del 2001, come modificato dalla legge di conversione n. 410 del 2001, il quale ha riconosciuto il diritto dei conduttori sopra indicati di acquistare alle condizioni in vigore nel mese di ottobre 2001;
- articolo 29, comma 9, del D.L. n. 269 del 2003, il quale ha abrogato l’articolo 3, comma 20, secondo periodo, del D.L. n. 351 del 2001;
- articolo 3, comma 134, della legge 24 dicembre 2003, n. 350 (legge finanziaria per il 2004), il quale ha reintrodotto la disposizione già contenuta nell’articolo 3, comma 20, secondo periodo, del D.L. n. 351 del 2001.
[163] D.L. 23 febbraio 2004, n. 41, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 aprile 2004, n. 104, recante “Disposizioni in materia di determinazione del prezzo di vendita di immobili pubblici oggetto di cartolarizzazione”.
[164] Le operazioni di rimborso sono state disciplinate dal D.M. 20 aprile 2005 (pubblicato nella Gazzetta ufficiale 3 giugno 2005, n. 127) e avrebbero dovuto essere completate entro il 31 dicembre 2005.
[165] Il Comitato economico e finanziario è l’organismo comunitario chiamato a seguire la situazione economica e finanziaria degli Stati membri della Comunità e a riferirne regolarmente all’Ecofin e alla Commissione. Il Comitato deve inoltre contribuire alla formulazione delle decisioni richieste dalla procedura di deficit eccessivo.
[166] Dati forniti dall’Associazione bancaria italiana nel corso dell’audizione tenuta il 30 maggio 2003 presso la VI Commissione (Finanze) della Camera dei deputati.
[167] Sull’argomento è intervenuto anche il Ministro dell’economia e delle finanze nella seduta della Commissione finanze della Camera del 13 gennaio 2005.
[168] Conforme al disposto dell’articolo 2 del decreto legislativo 10 marzo 1998, n. 43, contenente le norme per l’adeguamento dell'ordinamento nazionale alle disposizioni del trattato istitutivo della Comunità europea in materia di politica monetaria e di Sistema europeo delle banche centrali.
[169] Sull’attività della Banca vertono inoltre:
a) la relazione sull’esercizio annuale dell’Istituto, che il Governatore della Banca d’Italia presenta all’Assemblea generale dei partecipanti al capitale;
b) la relazione sull'attività di vigilanza, che la Banca d’Italia deve pubblicare annualmente in base all’’articolo 4, comma 4, del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia (TUB), emanato con decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385.
[170] L’articolo 2514 del codice civile determina i requisiti delle cooperative a mutualità prevalente. Per potersi considerare tali, esse debbono prevedere nei propri statuti:
a) il divieto di distribuire i dividendi in misura superiore all'interesse massimo dei buoni postali fruttiferi, aumentato di due punti e mezzo rispetto al capitale effettivamente versato;
b) il divieto di remunerare gli strumenti finanziari offerti in sottoscrizione ai soci cooperatori in misura superiore a due punti rispetto al limite massimo previsto per i dividendi;
c) il divieto di distribuire le riserve fra i soci cooperatori;
d) l'obbligo di devoluzione, in caso di scioglimento della società, dell'intero patrimonio sociale, dedotto soltanto il capitale sociale e i dividendi eventualmente maturati, ai fondi mutualistici per la promozione e lo sviluppo della cooperazione.
[171] L’articolo 2513 del codice civile individua i seguenti parametri per la documentazione della condizione di mutualità prevalente: a) i ricavi dalle vendite dei beni e dalle prestazioni di servizi verso i soci superiori al cinquanta per cento del totale dei ricavi delle vendite e delle prestazioni; b) il costo del lavoro dei soci superiore al cinquanta per cento del totale del costo del lavoro; c) il costo della produzione per servizi ricevuti dai soci ovvero per beni conferiti dai soci superiore al cinquanta per cento del totale dei costi dei servizi.
[172] Il secondo e terzo comma dell’articolo 2538 prevedono che l'atto costitutivo determina i limiti al diritto di voto degli strumenti finanziari offerti in sottoscrizione ai soci cooperatori; i soci persone giuridiche possono avere diritto a più di un voto ma a non più di cinque.
[173] L’articolo 2512 definisce come cooperative a mutualità prevalente le società che 1) svolgono la loro attività prevalentemente in favore dei soci, consumatori o utenti di beni o servizi 2) si avvalgono prevalentemente, nello svolgimento della loro attività, delle prestazioni lavorative dei soci 3) si avvalgono prevalentemente, nello svolgimento della loro attività, degli apporti di beni o servizi da parte dei soci.
[174] L’articolo 2514 prevede, per le cooperative a mutualità prevalente: a) il divieto di distribuire i dividendi in misura superiore all’interesse massimo dei buoni postali fruttiferi aumentato di due punti e mezzo rispetto al capitale effettivamente versato b) il divieto di remunerare gli strumenti finanziari offerti in sottoscrizione ai soci cooperatori in misura superiore a due punti rispetto al limite massimo previsto per i dividendi c) il divieto di distribuire le risorse tra i soci cooperatori d) l’obbligo di devolvere, in caso di scioglimento della società, l’intero patrimonio sociale, dedotti soltanto il capitale sociale e i dividendi eventualmente maturati ai fondi mutualistici per la promozione e lo sviluppo della cooperazione
[175] La medesima disposizione costituzionale precisa che nelle materie di legislazione concorrente la potestà legislativa spetta alle Regioni, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato.
[176] L’articolo 1, comma 4, della citata legge n. 131 del 2003 che, in attesa dell’entrata in vigore delle leggi con le quali il Parlamento definirà i nuovi princìpi fondamentali, il Governo è delegato ad adottare, entro tre anni dalla data di entrata in vigore della legge, uno o più decreti legislativi meramente ricognitivi dei princìpi fondamentali che si traggono dalle leggi vigenti.