Camera dei deputati - XV Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Rapporti Internazionali
Titolo: Incontro del Presidente della Commissione Affari esteri, on. Umberto Ranieri con il Vice Ambasciatore della Gran Bretagna in Italia, Min. Alastair Mc-Phail ¿ Roma 10 marzo 2008
Serie: Documentazione per l'attività internazionale    Numero: 43
Data: 10/03/2008


 

 

Camera dei deputati

XV LEGISLATURA

 

 

 

 

 

SERVIZIO RAPPORTI INTERNAZIONALI

Documentazione per l’attività internazionale

 

 

 

 

 

 

 

 

Incontro del Presidente della Commissione Affari esteri, on. Umberto Ranieri con il Vice Ambasciatore della Gran Bretagna in Italia, Min. Alastair Mc-Phail

 

Roma, 10 marzo 2008

 

 

 

 

 

 

 

n. 43

 

 

10 marzo 2008

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Consigliere Capo Servizio

Mirella Cassarino (Tel. 9330)

Consigliere parlamentare

Cristina De Cesare (Tel. 4410)

Documentarista

Andrea Micozzi (Tel. 3874)

Segretario

Daniela Vachez (Tel. 9515)

 

 

I dossier dei servizi e degli uffici della Camera sono destinati alle esigenze di documentazione interna per l’attività degli organi parlamentari e dei parlamentari.

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I N D I C E

 

 

1.  Appunto per il Presidente Ranieri  sul caso del cittadino  

iraniano Medhi Kazemi                                                                    Pag.   1

2.  Rapporti parlamentari Italia-Regno Unito                                      “       37

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


appunto per il Presidente Ranieri sul caso del cittadino iraniano Medhi Kazemi

(10 marzo 2008)

 

 

            Il 25 febbraio c.a. il capo di gabinetto del Ministro degli Esteri, D’Alema, Ambasciatore Ferdinando Nelli, ha avuto un colloquio telefonico con l’incaricato di affari a Roma del Regno Unito, Alistair McPhail, in merito alla vicenda del cittadino iraniano Mehdi Kazemi, che rischia di essere deportato dall’Europa in Iran.

            Kazemi, che ha chiesto diritto di asilo politico da parte delle autorità britanniche, finora rifiutato, rischia di subire una condanna per omosessualità (che in Iran è punita anche con la pena di morte) se costretto a ritornare in Iran.

            L’Ambasciatore Nelli Feroci, che ha precisato di parlare a nome del Ministro D’Alema, ha rivolto un appello alle autorità britanniche, facendo valere considerazioni di carattere umanitario, affinché possano riconsiderare il caso, concedendo l’asilo politico – comunque rinunciando al provvedimento di espulsione. 

 

Sulla vicenda il 6 marzo 2008 circa 50 deputati europei (primi firmatari i radicali del Gruppo Alde Marco Cappato e Marco Pannella) hanno sottoscritto una lettera – appello alle autorità europee per salvare la vita al ragazzo 19enne iraniano che rischia di essere deportato in Iran. La lettera aperta - Appello è indirizzata al Commissario Europeo Franco Frattini, al Primo Ministro sloveno Janes Jansa, Presidente di turno dell’Unione europea, al Primo Ministro del Regno Unito, Gordon Brown, a Jan Peter Balkenende, Primo Ministro olandese ed a Hans-Gert Poettering, Presidente del Parlamento Europeo. I firmatari sono appartenenti a quasi tutti i Gruppi politici presso il Parlamento europeo.

Nell’appello (allegato 1) si chiede che vengano applicate le garanzie di protezione per persone che rischiano la pena di morte nel loro paese, a partire dal rispetto delle direttive europee che impongono agli Stati membri il riconoscimento dello Status di rifugiato a coloro che necessitano di protezione internazionale

 

            Si segnala che sulla vicenda del cittadino iraniano Mehdi Kazemi il Senatore Francesco Martone (RC-Sinistra europea) ha presentato il 28 febbraio 2008 una interrogazione a risposta scritta, di cui si allega il testo (allegato 2).

            Si allega, altresì, una scheda di approfondimento sul Rapporto per il 2007 di Amnesty International sui diritti umani, per la parte che attiene all’Iran (allegato 3). Si ricorda che il 17 luglio 2007 il Comitato per i diritti umani della III Commissione della Camera dei deputati ha svolto un’audizione dei rappresentanti di Amnesty International sui contenuti del Rapporto per l'anno 2007.

Si fa inoltre presente che una delle Sessioni della I riunione del Gruppo interparlamentare Italia-Iran (15-16 ottobre 2008) è stata dedicata al tema de  “La tutela dei diritti umani e il rispetto delle diversità culturali” (allegato 4 – resoconto dei lavori).

 


                                                                                              ALLEGATO 1

 

 

Bruxelles, 5 mars 2008

Open Letter - Appeal to:


- Franco FRATTINI, EU Commissioner on Freedom, Security and Justice

- Janes JANSA, Prime Minister, Slovenian Presidency

- Gordon BROWN, Prime Minister of the United Kingdom

- Jan Peter BALKENENDE, Prime Minister of the Netherlands

- Hans-Gert POETTERING, President of the European Parliament

 

 

Dear Commissioner, Dear Prime Ministers, Dear President,

we would like to express our serious concern regarding the fate of Medhi Kazemi, a 19 years old gay Iranian citizen who has requested asylum in the United Kingdom and had his application turned down. Fearing deportation, he fled to the Netherlands, where he applied for asylum. Dutch authorities are right now examining his request and deciding on the basis of EU law on whether to send him back to the UK - leaving to UK authorities the final decision on his possible deportation to Iran while not using the possibility foreseen by art. 3 (Chapter II) of the Dublin Regulation.

As you will be aware, Iranian authorities routinely detain, torture and execute homosexuals. Medhi’s partner has already been executed, while his father has threatened him with death. Article 3 of the European Convention on Human rights, as well as the Charter of Fundamental Rights and international human rights law, prohibit the removal, expulsion or extradition of persons to countries where there is a serious risk that he or she would be subjected to the death penalty, torture or other inhuman or degrading treatment or punishment, whereas EU law recognises sexual orientation as a ground for Member States to grant asylum. It is not understandable, nor acceptable, that the EU or its Member States apply European and national laws and procedures in a way resulting in the expulsion of persons to third countries that would persecute or kill tem, furthermore in violation of European and international human rights obligations.

 

We consequently appeal to you to find a common European solution to ensure that Medhi Kazemi is granted asylum or international protection on the EU soil and not sent back to Iran, where he would be executed, hereby ensuring that article 3 of the ECHR is fully respected by all European authorities and notably, in this case, by the UK.

 

We also ask you to take action to avoid that similar situations do not happen in the future.

Regards,



 

                                                                                              ALLEGATO 2

Atto Senato Interrogazionearispostascritta 4-03371
presentata dal Senatore FRANCESCO MARTONE
martedì 26 febbraio 2008 nella seduta n.281

MARTONE - Al Ministro degli affari esteri - Premesso che:

il Presidente iraniano Ahmadinejad aveva affermato che gli omosessuali non sono perseguitati nel suo Paese in quanto non esistono. L'aveva detto durante la visita negli USA alla Columbia University meno di tre mesi fa. Ma un gay di 20 anni è stato impiccato il 5 dicembre 2007 con l'accusa di violenza sessuale su tre ragazzini quando aveva appena 13 anni. Non è bastata la sospensione dell'esecuzione decretata dalla magistratura e il ritiro della denuncia delle parti civili. Neppure la mobilitazione internazionale è servita per salvarlo. Quella stessa mobilitazione che nell'agosto 2007 evitò la pena di morte alla lesbica iraniana a rischio di espulsione dall'Inghilterra, è fallita quando si è trattato di fermare la mano del boia;

Makwan, arrestato sei anni dopo i reati contestati, è salito sul patibolo nel carcere di Kermanshah, nell'ovest dell'Iran. Un'esecuzione frettolosa, secondo quanto scrive il quotidiano "Etemad Melli". La famiglia è stata avvertita un'ora dopo perché andasse a prelevare il corpo. E all'impiccagione non era presente nemmeno il suo avvocato, Said Eqbali. Secondo testimoni, dopo essere stato arrestato nella cittadina dove risiedeva, Paveh, Makwan era stato umiliato venendo portato in giro per le strade sopra un asino;

la sodomia è uno dei reati per i quali nella Repubblica islamica è prevista la pena di morte. La legge è ambigua, poiché non vi è discriminante tra la violenza carnale e gli atti consensuali. Diverse organizzazioni internazionali per i diritti umani, tuttavia, come Human Rights Watch, che ha reso noto il caso di Makwan, hanno denunciato le esecuzioni di giovani condannati solo perché omosessuali. La condanna a morte, inoltre, è applicata in Iran anche nei confronti di minorenni, o di persone che erano minorenni all'epoca dei reati contestati, e questo è il caso di Makwan;

durante il mese di agosto 2007 anche il Ministro degli affari esteri italiano Massimo D'Alema aveva manifestato preoccupazione a Teheran per il fatto che l'omosessualità figurasse tra i capi d'accusa contro alcuni dei molti impiccati, anche in pubblico, nei mesi passati;

per cercare di salvare la vita di Makwan si era mobilitata nei giorni scorsi in Italia anche l'organizzazione Gruppo Everyone. Ma tutto è stato inutile. Il 15 novembre 2007 il Capo dell'apparato giudiziario, l'ayatollah conservatore moderato Mahmud Hashemi Shahrudi, aveva sospeso l'esecuzione di Makwan chiedendo un nuovo giudizio. Ma l'impiccagione è avvenuta comunque, in modo evidentemente affrettato;

l'esecuzione infatti, che doveva aver luogo nel parco Shahid Kazemi di Paveh, dove il giovane avrebbe commesso gli atti contestati, è avvenuta nel cortile del carcere di Kermanshah. "Mi avevano detto" ha sottolineato l'avvocato Eqbali "che il riesame del caso avrebbe richiesto due mesi. Invece Makwan è stato impiccato dopo nemmeno un mese",

si chiede di sapere quali iniziative di competenza il Governo italiano intenda adottare sia a livello internazionale che nei confronti del Governo iraniano affinché cessi tale barbarie. (4-03371)


 

                                                                                              ALLEGATO 3

 

Scheda di approfondimento

 

I DIRITTI UMANI IN IRAN: IL RAPPORTO ANNUALE 2007
DI AMNESTY INTERNATIONAL

 

Il Rapporto Annuale 2007 di Amnesty International denuncia un deterioramento della situazione dei diritti umani in Iran nonché crescenti restrizioni alle libertà di espressione e di associazione. Emerge che decine di prigionieri politici, compresi prigionieri di coscienza, hanno continuato a scontare pene detentive comminate in seguito a processi iniqui celebratisi nel corso degli anni precedenti. Durante l’anno sono stati eseguiti migliaia di nuovi arresti, per la maggior parte durante o dopo dimostrazioni. Difensori dei diritti umani, tra cui giornalisti, studenti e avvocati, figurano tra quanti sono stati detenuti arbitrariamente senza accesso alla famiglia o alla tutela legale. La tortura, specialmente durante la detenzione in attesa di processo, ha continuato a essere pratica comune. Almeno 177 persone sono state messe a morte. La pena di morte è imposta per una varietà di reati che comprendono il traffico di droga, la rapina a mano armata, l’omicidio, la violenza politica e i reati sessuali. In seguito a proteste nazionali e internazionali, sono state sospese o revocate le condanne alla pena di morte per alcune donne e per alcuni prigionieri minorenni alla data del presunto reato; alcuni sono stati condannati a morte al termine di un secondo processo. Risale al 5 dicembre 2007 la notizia dell’impiccagione di un curdo iraniano, di 21 anni, Makwan Muludzadeh, giustiziato dopo 8 anni per lo stupro commesso quando era minorenne ai danni di tre coetanei che, durante il processo, avevano ritirato le accuse. In sua difesa si era mosse organizzazioni come Human Rights Watch, Amnesty e il Gruppo Everyone. Secondo il Comunicato di Amnesty, l’esecuzione di Muludzadeh è la sesta esecuzione di un minorenne dall’inizio del 2007. L’Iran è il paese che dal 1990 ha assassinato il maggior numero di minorenni all’epoca del reato, 28 in totale.

Due persone (un uomo e una donna) sono state lapidate a morte nonostante una moratoria sulla lapidazione annunciata dalla magistratura nel 2002. Altre rimanevano in attesa di esecuzione tramite lapidazione. I difensori dei diritti umani iraniani hanno lanciato una campagna per salvare 9 donne e due uomini condannati alla lapidazione e per abolire la lapidazione per legge. A fine anno almeno tre delle 11 sentenze di lapidazione erano state cassate.

Le minoranze etniche e religiose sono rimaste soggette a leggi e pratiche discriminatorie che hanno continuato a essere fonte di disordine sociale e politico.

Membri di minoranze religiose iraniane sono state detenuti o ripetutamente attaccati a causa della loro fede.

I Difensori dei diritti umani hanno subito crescenti restrizioni al loro lavoro e hanno continuato a essere a rischio di ritorsioni. A gennaio, fonti hanno riferito che il ministero dell’Interno stava preparando misure finalizzate a limitare le attività delle organizzazioni non governative accusate di ricevere sovvenzioni da «fonti esterne ed interne problematiche che mirano a rovesciare il sistema». Gli studenti, che continuano a rappresentare una parte politica attiva della società, sono finiti frequentemente nel mirino anche con arresti arbitrari e il diniego del diritto allo studio durante il nuovo anno accademico. Ad agosto, il Ministero dell’Interno ha vietato le attività del Centro per i difensori dei diritti umani (CDHR), gestito dal Premio Nobel per la Pace Shirin Ebadi e da altri avvocati, sostenendo che non aveva una licenza. A settembre, il Ministero dell’Interno ha dichiarato che sarebbe stato emanato un permesso «se fossero stati apportati cambiamenti allo statuto del centro». Nel mese di marzo Abdolfattah Soltani, avvocato e co-fondatore del CDHR, è stato rilasciato su cauzione. In seguito è stato condannato a 5 anni di carcere per «divulgazione di documenti confidenziali» e «propaganda contro il sistema». A fine anno la sentenza era all’esame della Corte d’Appello.

Di recente le Università iraniane sono state teatro di diverse manifestazioni contro il potere. Solo pochi giorni fa, la polizia  aveva effettuato decine di arresti all’Università di Teheran nei confronti di studenti sospettati di “voler organizzare un’assemblea illegale”. Il 9 dicembre centinaia di studenti hanno manifestato per protestare contro la detenzione dei loro compagni.  Il Centro per i difensori dei diritti umani (CDHR) nel suo rapporto dello scorso novembre sostiene che il governo di Ahmadinejad ha accentuato la repressione nei confronti di studenti, insegnanti e sindacalisti.

La tortura ha continuato a essere pratica comune in molte prigioni e centri di detenzione, in particolare nella fase investigativa e precedente il processo, quando ai detenuti è negato l’accesso a un avvocato difensore per periodi indefiniti. Secondo quanto riferito, almeno sette persone sono morte durante la custodia, alcuni in circostanze in cui torture, maltrattamenti e il diniego di cure mediche potrebbero essere stati fattori determinanti.

Sono state eseguite almeno due amputazioni e una persona è stata sottoposta all’estrazione degli occhi. La fustigazione è rimasta una punizione comune.

Le libertà di espressione e di associazione sono risultate sempre più compromesse. L’accesso a Internet è stato maggiormente limitato e controllato. Giornalisti e blogger sono stati detenuti e condannati al carcere o alla fustigazione e almeno 11 quotidiani sono stati chiusi. I parenti dei detenuti o di coloro che erano ricercati dalla polizia sono rimasti a rischio di vessazioni e intimidazioni. Sindacalisti indipendenti hanno subito ritorsioni e alcuni accademici, come Ramin Jahanbegloo, sono stati detenuti o rimossi dall’incarico.


                                                                                     ALLEGATO 4

I RIUNIONE DEL GRUPPO INTERPARLAMENTARE ITALIA-IRAN

CAMERA DEI DEPUTATI, 15-16 OTTOBRE 2007

 

III SESSIONE: “La tutela dei diritti umani e il rispetto delle diversità culturali”

RESOCONTO DEI LAVORI

 

ENRICO BUEMI, Onorevole, rappresentante Italia. Do la parola al collega Pietro Marcenaro, presidente del Comitato permanente per i diritti umani della Commissione affari esteri della Camera dei deputati, per la sua relazione.

PIETRO MARCENARO, Presidente del Comitato permanente per i diritti umani della Commissione affari esteri della Camera dei deputati. Grazie, signor presidente. Ringrazio per questo invito e saluto la delegazione iraniana che ho il piacere di incontrare con voi.

La mia sarà una relazione sufficientemente breve. Non pretendo di affrontare e di dirimere questioni sulle quali esiste da tempo un confronto aperto fra i nostri Paesi e che sono, per tante ragioni – culturali, ideologiche ed anche politiche – questioni controverse, sulle quali si confrontano e si misurano posizioni diverse, che non pretendo di arbitrare o di risolvere attraverso una breve relazione in questa sede.

Mi limiterò ad affrontare alcune questioni, partendo in primo luogo da un punto che ha rappresentato – in particolare nel corso dell’ultimo anno, ma anche in precedenza – uno dei principali campi d’iniziativa del Parlamento e del Governo italiano sulla questione dei diritti umani. Mi riferisco, in particolare, all’iniziativa sul tema della pena di morte, che ha visto l’Italia protagonista in ambito internazionale con una proposta che, ancora in questi giorni e in queste ore, si svolge nella sede delle Nazioni Unite. Essa punta alla presentazione e all’approvazione, presso l’Assemblea generale delle Nazioni Unite, di una risoluzione per una moratoria universale delle esecuzioni delle pene capitali nel mondo. 

Naturalmente so che questo è un argomento controverso, ma intendo spiegare semplicemente le ragioni per le quali l’Italia, nel corso di quest’anno, ha fatto di tale proposta un punto di caratterizzazione della sua iniziativa politica internazionale nel campo dei diritti umani.

Come i colleghi italiani sicuramente sanno, ma lo dico anche ai colleghi iraniani, questa iniziativa è partita dal Parlamento italiano, dove su questa materia si è avuta una larghissima – direi unanime – convergenza tra maggioranza e opposizione. Su questa base si è sviluppata un’iniziativa che ha coinvolto prima gli altri Paesi dell’Unione europea e poi altri Paesi nel mondo. 

Il 19 dicembre del 2006 l’Italia ha presentato all’Assemblea generale delle Nazioni Unite una dichiarazione sull’abolizione della pena di morte e sull’introduzione di una moratoria delle esecuzioni capitali. Questa dichiarazione è stata sottoscritta, ad oggi, da 97 Paesi ed è la base sulla quale l’Italia fonda la sua proposta di risoluzione. 

Questa iniziativa dell’Italia è partita anzitutto – ma non solo – da una convinzione profonda sulle ragioni morali e umanitarie che sostengono l’abolizione della pena di morte, le quali hanno un profondo radicamento nella cultura e nella storia del nostro Paese, nonché nella cultura e nella storia europea, essendosi affermate nell’insieme dello scenario europeo. Parlo non solo dei Paesi dell’Unione Europea, ma anche di tutti i 47 Paesi che compongono il Consiglio d’Europa, nei quali la pena di morte non esiste più.

Questa iniziativa nasce però anche dal fatto che la propensione all’abolizione della pena di morte va ben al di là dell’Europa: nel mondo tale tendenza ed il favore verso la moratoria delle esecuzioni capitali si sono progressivamente estesi. Via via, nel corso degli anni, i Paesi che non eseguono o che non adottano più sentenze di morte, che cioè non eseguono più la pena capitale, sono ormai arrivati a 129. Sono rimasti solo 68 i Paesi nei quali la pena di morte viene eseguita.

Nel corso degli anni abbiamo assistito anche ad una riduzione drastica del numero delle esecuzioni capitali. Solo nel corso degli anni più recenti siamo passati da circa 6.000 esecuzioni capitali (certificate dalle organizzazioni internazionali che cercano di documentare questi problemi) a un numero molto ridotto, che nel 2006 ha raggiunto e non ha superato le 1.591 (parlo delle condanne formalmente riconosciute). Il novanta per cento delle esecuzioni capitali che avvengono nel mondo sono comminate in 6 Paesi: la Cina (che è il Paese che più di ogni altro addotta questa misura), l’Iran, gli Stati Uniti, il Pakistan, il Sudan e l’Iraq. In questi sei Paesi si registra oltre il 90 per cento delle esecuzioni capitali che avvengono nel mondo.

Per quanto riguarda l’Iran – ma voi conoscete sicuramente il dato molto meglio di me, lo dico semplicemente come elemento di documentazione – da quanto sostengono le organizzazioni per i diritti umani che si occupano di questo tema, nel corso del 2006 le esecuzioni capitali sarebbero aumentate (viene indicato il numero di esecuzioni avvenute in 177 unità). Questo numero va trattato – come tutti i numeri, in questi casi – come un numero di riferimento fornito dalle organizzazioni dei diritti umani. 

Noi siamo impegnati in questa battaglia e difendiamo lo strumento della moratoria perché pensiamo che, non trattandosi di una decisione irrevocabile, essa permetta una valutazione delle conseguenze.

L’Italia non sta facendo una campagna per l’abolizione della pena di morte, anche se, certo, quella è la nostra prospettiva. Noi oggi sosteniamo la linea della moratoria – che permette di verificare le conseguenze di quello che capita – perché abbiamo la convinzione, che si basa anche su dati empirici ed è confermata dall’esperienza, che l’abolizione delle pena di morte e delle esecuzioni capitali non comporti un aumento della criminalità o di quegli elementi di insicurezza nella vita di un Paese che, molto spesso, vengono invocati come le ragioni per il mantenimento di questa pena. 

Questo è quindi l’obiettivo sul quale il nostro Paese – il nostro Parlamento in primo luogo, ma anche il nostro Governo – è impegnato. Oggi diamo a questa campagna la dimensione e la caratteristica di un invito a sperimentare: non vogliamo attribuirle il significato di una contrapposizione tra visioni, culture e punti di vista diversi, dei quale naturalmente conosciamo l’esistenza. Sottolineando l’obiettivo della moratoria, che viene prima della questione dell’abolizione, puntiamo ad un campo nel quale sia possibile affidare a un processo di verifica e di confronto i successivi passi che potranno poi essere compiuti.  

Parlavo di una ragione umanitaria e di una ragione che, per quanto ci riguarda, è una ragione di principio. Questa seconda ci porta a fare della questione della pena di morte uno dei punti essenziali, diciamo così, di una discussione sul problema dei diritti umani. Non ci nascondiamo – o almeno io non mi nascondo – che vincere la battaglia per mettere al bando la pena di morte significherebbe anche realizzare un progresso importante nella direzione della pace, dello stato di diritto, di una nuova legalità internazionale e che questo risultato, nello scenario mondiale nel quale noi ci muoviamo, darebbe un forte segnale di speranza.

Voglio qui dire che, di fronte agli avvenimenti che scuotono il mondo, emerge con sempre maggiore forza la necessità di affermare, anche gradualmente, il primato di punti comuni, di valori e leggi comuni, di ordinamenti condivisi, di una regolamentazione che sia riconosciuta come legittima da tutti. La parola «legittimità» è molto importante: noi non riusciremo ad affermare insieme punti di vista e culture diverse, una politica dei diritti umani, se non nel quadro della costruzione di un nuovo senso della parola «legittimità», che sia riconosciuta da tutti. Ritornerò su questo punto perché a mio parere è un punto molto importante.  

Voglio qui dire anche che questo problema è ancora maggiore di fronte ai conflitti, alle guerre, al terrorismo e alla violenza che oggi attraversano il mondo. Noi siamo convinti che la moratoria delle esecuzioni capitali  sarebbe un segno di non violenza che avrebbe la possibilità di marcare una controtendenza rispetto alla fase nella quale viviamo.

Nel linguaggio cristiano, a un certo punto delle messa, si pronuncia l’espressione «scambiamoci un segno di pace». A nostro parere la moratoria sulle pene capitali avrebbe anche il significato, in questo momento, di affermare che c’è un mondo nel quale ci si riesce a scambiare un segno di pace.

Ho parlato dei conflitti e delle guerre. Questo è un punto che vorrei sottolineare, perché è un aspetto nuovo, che non eravamo abituati a considerare: il problema dei diritti umani nei conflitti e nelle guerre.

Voi sapete meglio di me che oggi, contrariamente a quanto avveniva nelle guerre tradizionali, le vittime della guerra, in grande maggioranza, sono vittime civili e non più solamente i combattenti diretti. Ci sono le vittime dei bombardamenti, che non sono solo i morti, i feriti, che pure vanno certamente considerati: ci sono anche altre vittime, come i bambini che, nelle situazioni di conflitto, non possono più studiare e non hanno la possibilità di vedersi garantiti i diritti fondamentali.

C’è quindi il problema di come la politica internazionale prende in considerazione queste questioni e di come agisce in relazione ad esse. Molto spesso ci si comporta, nei casi delle missioni internazionali – questo vale per i diversi Paesi – come se le popolazioni presso le quali si interviene fossero popolazioni anonime. Quando avviene un caso nelle nostre città, nei nostri quartieri, nei nostri villaggi, normalmente abbiamo presenti le faccia delle persone coinvolte: le guardiamo in viso e riconosciamo che sono delle persone e non solo dei numeri. Molto spesso, in queste missioni dei conflitti internazionali, si guarda invece a queste città come a città anonime: per questo è più facile bombardare e non preoccuparsi se ci sono o non ci sono vittime civili; per questo il tema dei danni collaterali può essere trattato con tanta superficialità.

Occorre oggi fare entrare nell’azione internazionale una cultura dei diritti umani; ne discutiamo per quanto riguarda il nostro Paese, ma anche l’Europa ne sta discutendo; anche le operazioni di peace-keeping rientrano in questo tipo di impostazione. Porsi questo interrogativo è un altro dei temi molto importanti e nuovi che emergono oggi nel campo dei diritti umani. 

Infine, per concludere questo mio intervento – riservandomi semmai di riprenderlo, se può essere utile, e di rispondere ad eventuali domande – vorrei affrontare un’ultima questione. Parlavo prima della legittimità e del rapporto i tra diritti umani ed il problema della ricostruzione della legittimità, di una legittimazione. Questo è un punto molto importante perché, nonostante possa apparire che la questione dei diritti umani – qui c’è un giurista importante come Luciano Violante –appartenga al campo dei diritti naturali, in realtà non c’è nulla che faccia parte del diritto positivo più della questione dei diritti umani. Soprattutto in un mondo caratterizzato da culture ed esperienze diverse, i diritti umani sono quelli che, insieme, il mondo riconosce come tali.

C’è certamente qualcosa che sta prima, nella nostra coscienza, nella nostra storia, nelle nostre tradizioni, in quello che ci viene dai nostri genitori, dalle nostre convinzioni, delle nostre religioni o dalle nostre credenze laiche, però il problema di ricostruire i diritti umani come frutto di un’intesa fra i diversi popoli e le diverse culture, che convergono sul fatto che esistono alcuni valori ed alcuni princìpi riconosciuti come comuni, non può che essere il risultato di un dialogo, in un mondo in cui nessuno può rivendicare la prevalenza di una cultura o di un punto di vista, in cui nessuno può pensare di esportare la propria convinzione altrove, come se fosse l’unica convinzione possibile.

Non possiamo, però, nemmeno rinunciare alla costruzione di un punto di vista comune: l’alternativa al relativismo non è l’affermazione delle proprie credenze e convinzioni, bensì il dialogo e la costruzione, attraverso questo dialogo, di nuovi punti comuni, che tutti si impegnino a riconoscere e rispettare e che, per questo, diventino le basi di una nuova legittimità, che può essere affermata, sostenuta, applicata e praticata.

Questo, naturalmente, non può che essere un percorso graduale che, in larga misura, passa attraverso le discussioni, il confronto e la rivitalizzazione del ruolo degli organismi internazionali, a partire dalle Nazioni Unite, ma non solo, perché ci sono problemi che riguardano il WTO, altri che riguardano la Banca mondiale eccetera. C’è quindi il problema di come questi temi entrano, in generale, nella visione e nell’azione delle grandi organizzazioni internazionali. C’è poi un problema che riguarda il farli maturare.

Nella discussione iniziata in Italia, e non solo, qualcuno ha prospettato l’idea che si possa immaginare, dopo tanti anni, una nuova Conferenza di Helsinki, anche se, naturalmente, in un contesto molto diverso da quello dell’epoca. Mentre allora c’era il contesto dei grandi blocchi che si confrontavano, di un puro negoziato, ora dovrebbe esservi un contesto che permetta un processo molto più graduale, nel quale, a fianco delle iniziative che avvengono nel quadro delle grandi istituzioni internazionali, ci sia anche un ruolo dei Paesi che, con un’adesione volontaria, si riconoscano nei valori e nei punti comuni, definiti insieme, e che si impegnino a rispettarli.

Finisco dicendo che forse la politica dei diritti umani non ha nemico più insidioso della pratica dei doppi standard, ossia della pratica di chi pensa che i diritti umani possano essere invocati contro i propri avversari e possano invece essere sottaciuti, quando si tratta dei propri amici.

Noi dobbiamo ricostruire una nuova legittimità internazionale, il che vuol dire anche ricostruire un grado di obiettività, di certezza del diritto e di leggi che valgano e siano uguali per tutti. È mia convinzione che, in questo, i parlamenti possano svolgere un ruolo molto importante, perché essi hanno naturalmente la possibilità di avviare un confronto o un’iniziativa che ha qualche condizionamento in meno di quello che hanno i Governi. Non voglio dire che i parlamenti non abbiano condizionamenti o non vivano in un quadro di relazioni, però i parlamenti hanno di fronte a loro una responsabilità meno immediatamente esecutiva. Per questo credo che le relazioni parlamentari possano essere una via efficace – insieme ad altre, naturalmente – di iniziativa in questo campo.

Per quanto riguarda il livello europeo, su questo si sta lavorando con l’idea, ad esempio, di costruire una rete parlamentare sulla questione dei diritti umani, che colleghi i comitati che agiscono su questo punto nei vari Paesi europei. Credo che iniziative di questo tipo potrebbero essere considerate anche in un quadro internazionale più ampio e non solo dentro i recinti della nostra prospettiva europea. Molte grazie.

LUCIANO VIOLANTE, Presidente della Commissione affari costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni. Ringrazio molto il presidente Marcenaro per il quadro che ci ha fatto ed anche per la parte finale del suo intervento, che ha richiamato il ruolo dei parlamenti, nei quali si trovano anche le opposizioni e dove è quindi rappresentata complessivamente la ricchezza politica di un Paese.

Do ora la parola al presidente Moshiri e, a seguire, al collega Kuhkan.

SHAHRYAR MOSHIRI, Onorevole, rappresentante Iran. In nome di Dio onnipotente, abbiamo ascoltato i discorsi del nostro amico, riguardanti questa moratoria e le leggi che sono utili per i diritti dell’uomo. A nostro avviso ciò dipende dalla cultura dei Paesi e da come essi considerano le pene. Per esempio, se pensiamo all’Italia durante i tempi in cui era in vigore la pena di morte, allora la mafia non era così forte. Quando in Italia si eseguiva la pena di morte.

Ai tempi di Mussolini la mafia era meno attiva nel vostro Paese. I mafiosi sono scappati, Al Capone e persone come lui sono andati in America e hanno vissuto là. Dopo la seconda guerra mondiale, invece, in Italia non c’era più la pena di morte e la mafia organizzata ha preso potere in Europa. Forse la pena di morte, quindi, in certi momenti e in certe situazioni, può essere un’alternativa. Non dico che bisogna usare questa alternativa, però essa potrebbe impedire certi atti di violenza. Per esempio, nel nostro caso, nel nostro Paese, essa serve per evitare il traffico della droga o per scoraggiare chi abbia dei piani per commettere atti terroristici. La pena di morte viene usata in questi casi, non certo per un litigio tra due persone per strada. 

Perché in Cina c’è meno corruzione? Gli Stati Uniti hanno sempre tentato di mentire sulla corruzione in Cina.

In Vietnam, dopo l’indipendenza del Paese, non c’era corruzione, perché chi prendeva delle mazzette e veniva corrotto, veniva condannato. È per questo che nel loro sistema non c’è tanta corruzione. 

Bisogna comunque poter distinguere tra i reati, perché non tutti i reati vengono puniti nella stessa maniera: un conto sono coloro che hanno commesso degli omicidi, un altro chi ha commesso un atto meno grave, che non deve essere giudicato allo stesso modo di chi ha compiuto un reato di terrorismo, di omicidio eccetera.

Noi vogliamo distinguere anche tra coloro che sono in carcere per aver commesso un certo tipo di reato piuttosto che un altro. 

Terremo comunque conto di questa proposta di moratoria, però nel nostro Paese la pena di morte è importante soprattutto per combattere il traffico della droga, perché altrimenti non potremmo controllare il flusso dei contrabbandieri. 

Qualcuno che lavora per anni non guadagna quanto uno che lavora nel campo del traffico della droga in una settimana, però da noi c’è la paura che tali atti che vengono puniti e quindi si evitano tali reati. Secondo me, comunque, la pena deve essere valutata a seconda del reato, il che non può avvenire allo stesso modo in tutti i Paesi. Per ogni Paese bisogna valutare la situazione e i reati che vengono commessi, e le leggi che vengono applicate, a seconda della gravità dei reati. Secondo me è quindi importante salvare la situazione, non salvare coloro che commettono i reati. 

LUCIANO VIOLANTE, Presidente della Commissione affari costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni. Grazie, presidente. Vorrei dire soltanto una cosa sul rapporto tra mafia e fascismo, altrimenti rischiamo di avere qualche equivoco. Non solo nessun mafioso è mai stato condannato a morte dal fascismo, ma il fascismo fece un’operazione di questo genere: mandò al confino, cioè su isole lontane, i piccoli mafiosi e i piccoli contadini legati alla mafia e incorporò invece nel partito nazionale fascista le leve medio-alte della mafia. Questa è la ragione per la quale in quegli anni comportamenti di carattere mafioso si intrecciavano con comportamenti del partito nazionale fascista. Lo dico perché ci sia chiarezza su questo punto.

Se il collega e correlatore Cassola è d’accordo, darei prima la parola al collega Kuhkan, che ha chiesto di parlare.

MOHSEN KUHKAN, Onorevole, rappresentante Iran. Grazie. Caro amico, io vorrei chiedere se mi potete ascoltare e se mi potete dare una risposta. Bisogna chiarire di che cosa si parla, quando si parla dei diritti dell’uomo. Per esempio, se si parla di come reagire a certi reati, allora alcuni gruppi parlamentari possono discutere insieme e parlare di come certi reati possono essere puniti. Da una parte, bisogna guardare ai diritti dell’uomo. Voi dite che vorreste che la pena di morte non ci fosse. Dall’altra parte, parlate di fare la moratoria, per poi per poter abolire la pena capitale più avanti.

Io dico che questi sono discorsi diversi, separati. Sono pronto a discutere, però se si parla dei diritti dell’uomo, bisogna tener conto che i diritti dell’uomo non sono una strada a senso unico, ma a doppio senso di marcia. Si parla della salvezza e della tutela della vita dell’individuo. Quando una persona uccide volontariamente qualcun altro, come viene giudicata questa persona? Dall’altra parte bisogna considerare la persona che è stata uccisa, che è stata vittima: bisogna difendere anche i suoi diritti.

Se una banda della mafia, ad esempio, per decisione di qualcuno, decide di far entrare il crack in Italia e, di conseguenza, di 100 persone – ad esempio, dei figli dei membri del Parlamento italiano – dopo 8 mesi abbiamo i cadaveri. A questo punto, cosa facciamo di una persona del genere, che ha pianificato di togliere la vita a 100 persone? La teniamo in vita? Non gli infliggiamo la pena di morte?

Come diceva anche il signor Moshiri, bisogna fare riferimento alle culture, perché chiaramente, non possiamo pretendere, come lei diceva, che tutte le culture siano uguali, che tutti facciano come noi.

Anche dal punto di vista internazionale, per equità e perché tutti condividano, bisogna fare degli studi più approfonditi, multilaterali, perchè ciascuno capisca. Basta, infatti, che un Paese o due non accettino, per via delle diversità culturali e di mentalità, per ostacolare le decisioni. Penso che lei abbia giustamente detto di seguire questo obiettivo, però i problemi sono diversi: se vogliamo parlare di diritti dell’uomo, come si colloca, rispetto a questo, il tema della pena di morte?

Naturalmente noi pratichiamo la pena di morte perché ci sono delle leggi dietro e i giudici giudicano con grande attenzione: tutto questo avviene prima di comminare la pena di morte. Se alla fine viene emesso questo giudizio, dobbiamo accettarlo. Se parliamo con i nostri giudici e chiediamo loro quale sia il loro obiettivo, essi, come giudici che hanno una grossa responsabilità, rispondono di volere arrivare ad un giudizio equilibrato per far fronte al reato commesso, considerando tutte le circostanze e utilizzando tutti gli strumenti disponibili. Se noi accettiamo questo, facciamo già un passo in avanti.

Possiamo poi parlare di che tipo di reati vengono compiuti da parte delle persone. Non si tratta più di esiliare una persona su un’isola. Forse arriveremo ad una soluzione per cui riterremo che il reato commesso non è più considerato tale da essere punito con una pena di dieci anni di carcere.

Avete fatto riferimento a sei Paesi. In Iran le regole sono ben strutturate e sono molto severe: sono il risultato di un lungo processo. Non c’è un tribunale che può prendere delle decisioni su un reato, infliggendo la pena di morte. Nei nostri tribunali il giudizio su un reato deve essere studiato. Come uomo di legge, vi dico che questi reati vengono studiati e lungamente esaminati. Non possiamo parlare di pena di morte in maniera improvvisata. Noi siamo d’accordo che nessun Paese dovrebbe condannare i suoi aggressori o oppositori politici. Su questo siamo d’accordo e, naturalmente, concordiamo con voi sul fatto che non si debbano condannare gli oppositori a un Governo. Dove si dice, però, che la pena di morte offenderebbe i diritti dell’uomo? Devo dire che, su questo punto, dovremmo discutere.

Nei Paesi islamici, a cui voi avete accennato, queste pene sono menzionate nel Corano e nella Sharia. Per giudicare questi reati, noi esaminiamo tutti i punti che sono nel Corano e in Iran si decide per la pena di morte solo quando ci sono le condizioni. Quando qualcuno uccide una persona involontariamente, magari per un incidente o durante la caccia, non è prevista la pena di morte, che è comminata solo in caso di omicidio volontario. Se il padre di una persona che è stata uccisa perdona l’assassino, il giudice non condanna quest’ultimo, che in questo caso viene liberato e non sta neanche un giorno in carcere. Ma se il padre della persona uccisa chiede che il colpevole venga punito, bisogna che egli venga accontentato.

Nel nostro Paese non si può parlare di pena di morte senza tener conto di questo. Noi teniamo in conto la persona che viene uccisa. La decisione circa l’esecuzione della pena viene data ai familiari, ai parenti e non è lasciata al Governo. Non è un diritto del Governo stabilire se eseguire la pena. Questo per noi è un diritto dell’uomo. Dobbiamo fare riferimento alla legge dell’Islam.

LUCIANO VIOLANTE, Presidente della Commissione affari costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni. La ringrazio. Do ora la parola all’onorevole Arnold Cassola.

ARNOLD CASSOLA, Onorevole, rappresentante Italia. Grazie, presidente Moshiri, presidente Violante, presidente Marcenaro, colleghe e colleghi.

L’indissolubile legame tra pace, sicurezza e sviluppo passa anche attraverso il forte impegno, a livello internazionale e nazionale, per la tutela dei diritti fondamentali. Come Parlamento, quindi, dobbiamo attrezzarci a svolgere un ruolo sempre più incisivo in tale ambito, trovando il giusto equilibrio tra le diverse esigenze presenti e rafforzando il ruolo che la diplomazia parlamentare può svolgere in questo contesto.

Adesso, la tutela dei diritti umani, la tolleranza fra i popoli ed il rispetto della diversità altrui sono un pilastro fondamentale della politica dell’Unione Europea, tant’è vero che l’Unione Europea si fonda sui princìpi di libertà, democrazia, rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali, che essa ha formalizzato a Nizza nel 1999 con la propria Carta dei diritti fondamentali.

Il motto dell’Unione Europea è inoltre proprio «uniti nella diversità», dove l’accento è messo sulla diversità. 

L’Italia, che è uno dei Paesi fondatori dell’Unione Europea, sottoscrive a pieno titolo questa politica europea per quanto riguarda la tutela dei diritti umani e il rispetto delle diversità esistenti. La stessa Costituzione italiana prevede che non vi siano discriminazioni di nessun tipo. Essa recita infatti: «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali». In Italia, onde tutelare queste minoranze – come per esempio la minoranza francofona in Val d’Aosta, quella germanofona in Alto Adige, la comunità ladina e via dicendo – la Costituzione prevede che vi siano regioni autonome fondate sul pieno rispetto per la lingua, la cultura, il modo di vita e le diversità locali. 

In effetti, anch’io sono un italiano diverso, in quanto sono nato a Malta, ho doppia cittadinanza (maltese e italiana) e la mia lingua madre è il maltese, la mia seconda lingua è l’inglese e l’italiano è solo la mia terza lingua. Anche se sono un italiano nato all’estero, la Costituzione italiana mi riconosce giustamente pieni diritti, proprio come quelli riservati agli italiani in Italia. 

Adesso siamo nell’era della globalizzazione e crediamo fermamente che in quest’era il rispetto dei diritti umani vada esteso a tutti i Paesi del mondo. 

Naturalmente la libertà di espressione non si può limitare e la libertà di espressione delle idee politiche di ciascun individuo è in cima alla lista delle nostre priorità. Continuiamo a lavorare sodo affinché il pluralismo politico, religioso e il diritto di ogni individuo ad esprimere liberamente il proprio pensiero, sia esteso a tutti i Paesi del mondo. Per noi non è quindi accettabile che il diverso sia reso vittima a causa della propria diversità: questo vale anche per chi ha un orientamento sessuale diverso dal nostro; non possiamo accettare che tali persone debbano essere incriminate, messe in carcere e magari anche condannate a morte per la loro diversità.

Della moratoria sulla pena di morte ha già parlato l’onorevole Marcenaro, ma vorrei aggiungere che la Costituzione italiana esclude ogni ipotesi di reintrodurre la pena capitale, anche nelle leggi militari di guerra. Poiché crediamo in una giustizia senza vendetta, l’Italia si è fatta promotrice della moratoria di cui si è già parlato. Fortunatamente la pena di morte è una tematica che sta a cuore a diversi Paesi e, per esempio, il Consiglio d’Europa ha festeggiato la prima giornata contro la pena di morte proprio la settimana scorsa, il 10 ottobre.

Per noi il valore della vita umana è sacro e ogni vita deve essere rispettata, qualsiasi sia la nazionalità.

Capisco benissimo il concetto espresso dal presidente Moshiri sulla pena di morte come deterrente contro i crimini, però l’onorevole Kuhkan ha fatto una domanda precisa, cui vorrei rispondere. Per noi la punizione deve essere giusta, ma non deve essere necessariamente considerata come una vendetta. Pensiamo che un ergastolo – stare tutta la vita in carcere – sia una punizione grandissima per una persona vivente. Se mettiamo a morte un criminale, un mafioso, inoltre, sfortunatamente i giovani che sono morti a causa loro non tornano indietro.

Penso fermamente che sarebbe un grandissimo segnale politico se un Paese così autorevole e importante come l’Iran prendesse l’iniziativa, nella sua regione, a favore della moratoria contro la pena di morte.

Passando ad un’altra tematica, l’Unione Europea è nata dalla cenere di due disastrose guerre mondiali, dove esseri umani di nazionalità diverse si sono ammazzati tra di loro. Oggi, a 50 anni dalla fondazione dell’Unione Europea, tedeschi e francesi (tradizionali nemici), francesi e inglesi (che si facevano la guerra ai tempi di Napoleone), inglesi e spagnoli (che si ammazzavano ai tempi di Elisabetta I), ecco, tutti quanti loro adesso siedono insieme al tavolo dei negoziati per appianare i problemi esistenti.

La tolleranza tra i popoli è un marchio di qualità che ci contraddistingue, come europei, ed è lo stesso spirito di tolleranza che noi auspichiamo per il popolo palestinese e il popolo israeliano, i quali dovrebbero vivere dignitosamente l’uno accanto all’altro, in pace, come due Stati liberi, come due popoli che si rispettano vicendevolmente.

Naturalmente, nel guardare ad un futuro di pace per tutti, nel mondo, non trascuriamo i percorsi dolorosi che la storia ci ha tramandato – e qui sono d’accordissimo con quello che ha detto l’onorevole Kuhkan – e il passato diventa per noi un monito chiaro, affinché non si ripetano i gravissimi errori commessi.

Le guerre del periodo classico, le disuguaglianze del periodo medievale, i conflitti sanguinosi post-rinascimentali, i nazionalismi dell’800, i terribili olocausti del secolo appena passato, la morte quotidiana che colpisce il popolo palestinese ed il popolo israeliano non si possono né scordare, né cancellare dalla nostra memoria. La nostra azione politica presente per un futuro migliore deve essere portata a termine pensando a tutti quelli che hanno sofferto nel passato e che tuttora soffrono ingiustizie e soprusi.

Come possiamo tradurre oggi questi ideali, attraverso l’azione delle nostre istituzioni, non solo parlamentari? Per quanto riguarda il versante internazionale bisogna ricordare che, a livello di Nazioni Unite, nel World Summit del 2005, è stato istituito il Consiglio per i diritti umani, con il compito di promuovere la protezione dei diritti umani a livello internazionale. Nel marzo del 2006, l’Assemblea generale dell’ONU ha votato a larghissima maggioranza una risoluzione che istituisce il nuovo Consiglio dei diritti umani.

Dall’esercizio delle libertà fondamentali nei diversi Paesi dipende il rispetto delle diversità e delle espressioni culturali. Presso la Camera dei deputati italiana, poi, sono state ospitate le riunioni delle commissioni cultura dell’Assemblea parlamentare euro-mediterranea che, fino al 2008, sarà presieduta dalla Camera dei deputati italiana. In tale sede sono stati discussi argomenti come il dialogo tra le civiltà, che possono poi fornire lo spunto su come porre le basi di una cultura comune di pace e di comprensione; il ruolo dei media, dei giornali e della televisione come collegamento tra le società moderne; la valorizzazione di iniziative di interscambio e di cooperazione a livello di scuola, di studenti e di insegnanti, nonché a livello di università e di professori. Noi, come Italia, sosteniamo da sempre la cooperazione tra studenti e la formazione scolastica per capirci a vicenda, perché siamo di culture diverse e quindi non ci conosciamo abbastanza bene.

Se quindi noi inseriamo nei programmi scolastici contenuti letterari, storici, culturali degli altri, come si richiama nel rapporto «Alliance des civilisations» del gruppo delle Nazioni Unite, penso che potremmo fare un passo avanti nel comprenderci e nel capirci meglio.

Il Parlamento italiano ha anche sottolineato, in più sedi, l’importanza del dialogo interculturale, chiedendo anche dei finanziamenti per la ricerca delle radici comuni nel settore culturale, come base per una cooperazione più intensa.

Anche nelle relazioni culturali tra Italia ed Iran abbiamo fatto un lavoro importante comune, ad esempio, nella valorizzazione e conservazione del patrimonio culturale ed archeologico: ne abbiamo parlato un po’ ieri. Ci sono stati uno scambio intensissimo tra docenti, archivisti e bibliotecari, l’allestimento di mostre bellissime ed importantissime, eventi culturali, nonché la previsione di borse di studio e di programmi per studenti.

Permettetemi di concludere con un accenno alla questione del nucleare. Dato che sono un verde, non posso non toccare questa tematica. È ovvio – lo diciamo chiaramente e penso che su questo siano tutti d’accordo – che in merito a questa materia lo stato di diritto (rule of law) deve essere rispettato da tutti. Non possiamo agire con double standards, con il criterio dei doppi pesi e delle doppie misure. Ciò che non varrebbe per l’Iran, non può andare bene per l’India (e penso all’accordo tra Stati Uniti e India), per esempio, ed anche il tono utilizzato dal Ministro francese degli affari esteri, Bernard Kouchner, nei confronti dell’Iran non è accettabile, anche considerato che, il Presidente Sarkozy, proprio il giorno successivo, ha offerto alla Libia di venderle un reattore nucleare per la desalinizzazione dell’acqua di mare. Questo per noi non è accettabile.

Secondo lo stato di diritto, secondo il rule of law, ogni Paese, compreso l’Iran, ha il diritto di utilizzare fonti nucleari per usi civili.

Io sono però un verde e, come tale, mi domando se sia proprio necessario ricorrere al nucleare per produrre energia. Noi riteniamo di no e siamo coerenti in Italia, in Europa e nel mondo, su questa tematica, perché il nucleare ad uso pacifico è pericoloso. Basti pensare al disastro di Chernobyl – la prima cosa che viene in mente – a causa del quale in quella zona ancora oggi nascono vacche, pecore, bambini con due teste, sei gambe e via dicendo. Basti pensare a Three Mile  Island, negli Stati Uniti. Si potrebbe dire che da questi casi sono passati  20 o 30 anni, ma è allora sufficiente pensare a cosa è accaduto 3 mesi fa in Giappone, dove, dopo il terremoto – e anche l’Iran è in una zona altamente sismica – in una centrale di nuovissima generazione, ritenuta sicurissima, 1200 litri di liquido radiattivo sono finiti in  mare e nessuno sa quali saranno gli effetti.

Noi verdi siamo realistici, onorevole Hosseini, e proprio perché siamo realistici pensiamo che con i problemi ecologici ed energetici che il mondo deve affrontare oggi e dovrà affrontare nei prossimi 50 anni, la vera soluzione energetica per il futuro stia nella valorizzazione delle fonti rinnovabili. Come verdi, non solo italiani, ma anche europei  – di cui sono stato Segretario generale per 7 anni – lanciamo quindi una proposta per una cooperazione energetica a larga scala, dappertutto, sulle fonti alternative e rinnovabili al posto del nucleare.

Adesso farò io una domanda a voi parlamentari iraniani. Se l’Europa promettesse aiuti ed investimenti all’Iran per quanto riguarda le fonti energetiche rinnovabili, per il suo fabbisogno, il Governo di Teheran sarebbe disposto a rinunciare al nucleare? Questo sì che sarebbe un passo di estremo coraggio, con cui l’Iran si guadagnerebbe l’ammirazione del mondo. Sareste i primi a dare un insegnamento anche all’Europa e agli Stati Uniti, dando prova di essere pronti a guardare al futuro e ad andare verso le nuove fonti di energia che saranno quelle del futuro. Forse varrebbe la pena di pensare a questa alternativa.

 

LUCIANO VIOLANTE, Presidente della Commissione affari costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni. Grazie onorevole Cassola. Ha chiesto di intervenire nuovamente l’onorevole Kuhkan. Darò poi la parola all’onorevole Buemi.

 

MOHSEN KUHKAN, Onorevole, rappresentante Iran. È vero che uccidendo il colpevole di omicidio, la vittima non torna nuovamente a vivere, ma qui il problema non è quello, il problema è che il reato venga punito.

Per quanto riguarda i diritti dell’uomo, noi abbiamo la sensazione che su certi punti, su certi elementi, voi europei parliate, certe volte, di trentacinque anni fa. Noi parliamo dell’epoca attuale, perché altrimenti dovremmo permettere che si parli anche di 400 anni fa, del Rinascimento. Lasciamo perdere il passato, guardiamo al presente. Nella Repubblica islamica, la nostra Costituzione ha previsto questa legge.

Voi avete parlato delle minoranze. Noi abbiamo persino degli ebrei rappresentati nel nostro Parlamento: non c’è una seduta parlamentare dove non siano presenti dei membri ebrei! Noi abbiamo quindi rispetto verso le regole e per le minoranze. Senz’altro noi desideriamo, speriamo che i palestinesi e gli ebrei vivano nella pacifica convivenza, ma soprattutto bisogna rispettare la democrazia, che sarà sempre rispettata da parte nostra. Se accettiamo che gli ebrei ed i musulmani, attraverso un referendum, hanno scelto i loro responsabili ed i loro leader, e che vogliono convivere, davanti a questo, noi possiamo firmare qualunque legge su questo punto.

Per quanto riguarda gli studenti, senz’altro noi li inviteremo a prendere parte. In questo momento vorremmo invitare anche il Ministro del turismo, per discutere; così come il nostro Ministro della cultura che è venuto in Italia.

Vengo alla sua domanda. Purtroppo alcuni Paesi dell’Europa non hanno una buona reputazione, quanto alle promesse fatte. Anche se nel regime passato abbiamo avuto dei buoni rapporti con alcuni Paesi europei, coi quali abbiamo fatto dei contratti ed assolto ai nostri impegni, ci sono stati anche degli episodi in cui non si è mostrata molta correttezza.

In questa stessa riunione noi vi invitiamo a venire da noi. A volte, alcuni fanno delle promesse, ma poi rimandano il loro adempimento.

Per quanto riguarda, ad esempio, l’energia nucleare, noi ne facciamo un uso diverso dal vostro: nell’agricoltura, per esempio, o nell’individuazione delle malattie, nella diagnostica. È una tecnologia che viene comunque presa in considerazione, naturalmente, con grande riguardo, con grande attenzione.

La vita dell’uomo deve essere oggi al passo con quello che succede nella tecnologia. Oggi c’è l’uno per cento di probabilità che succeda qualcosa di negativo nell’uso della tecnologia, però, in generale, non guardiamo soltanto agli aspetti negativi, ma guardiamo anche a tutti i fatti positivi che ne vengono. 

C’è un altro punto che vorrei sottolineare per quanto riguarda la pena di morte. Voi parlate della pace, dell’amicizia eccetera. Questi sono però fatti diversi.

Prendiamo il caso dei crimini organizzati. È necessario pensare alla famiglia. Se qualcuno uccide mio figlio ed io so che il suo assassino sta girando su un’isola, divertendosi, anche se non esce dall’isola dov’è esiliato, il mio rancore non viene soddisfatto. Essendo successo un fatto del genere, nell’individuo che ha perso un figlio, la sposa o lo sposo resterà il rancore e costui sarà così affetto dal dolore per tutta la vita. Se quindi consideriamo veramente tutto, non possiamo dare una ricetta generale per tutti i reati, valida in tutto il mondo. 

Possiamo considerare insieme i reati politici. Non pensiamo solo alla pena di morte. Se guardiamo tutti i reati singolarmente, ci accorgeremo che la pena di morte viene utilizzata soltanto per alcuni reati specifici.

LUCIANO VIOLANTE, Presidente della Commissione affari costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni. La ringrazio. Do la parola all’onorevole Buemi.

ENRICO BUEMI, Onorevole, rappresentante Italia. Signor presidente, credo che siamo tutti consapevoli del fatto che siamo figli del nostro passato, della nostra cultura, della nostra tradizione e che quindi ci portiamo dietro questa storia individuale e collettiva anche nel presente. Certamente non possiamo cambiare improvvisamente, ma abbiamo il dovere – io credo – di concorrere a cambiare, secondo quella visione sempre più collettiva che ci unisce.  

Se è questo lo spirito – e il mio spirito è questo – credo di capire le ragioni dei colleghi, quando sostengono la necessità di misure gravi, definitive, però mi interrogo su quella cultura del passato di cui parlavo prima. Mia madre mi diceva che la vita umana è nelle mani di Dio. Ho qualche difficoltà rispetto a questa visione che mia madre mi ha tramandato – sicuramente questo non vuole essere un’offesa alla sensibilità religiosa di ognuno – ma non sempre vedo Dio presente nel mondo.

Lo dico a quelli che ritengono che ci sia una presenza così importante nel mondo: penso che l’uomo non si possa sostituire a Dio. Intanto perché l’uomo sbaglia, anche quello che giudica, e poi perché – uso parole di altri e non mie – la vita degli esseri umani è stata data agli esseri umani da Dio. I problemi nel mondo, però, ci sono, non c’è dubbio che ci siano, e ci sono molti uomini che si macchiano di gravissimi delitti, contro cui la società e le istituzioni devono mettere in campo misure efficaci. Vorrei allora che facessimo una discussione sulla efficacia delle misure.

Dal punto di vista morale, vi ho dato la mia risposta sulla pena di morte: ve l’ho data da laico che però non nasconde le sue radici. Mia madre, fino a quando è morta, portava il fazzoletto come lo portano le vostre donne ancora oggi, quindi non siamo distanti, dal punto di vista della storia, della cultura che ci accomuna. Tuttavia, dobbiamo pensare all’efficacia delle misure e allora, se guardiamo il mondo, vediamo che le misure più drastiche spesso producono fatti altrettanto gravi. Il primo è che l’uomo sbaglia ed anche chi giudica sbaglia: l’errore giudiziario è sempre presente. In secondo luogo c’è anche l’uso della pena come strumento di lotta politica, come strumento di prevaricazione di un uomo sull’altro. Dobbiamo cercare, allora, di affrontare questa questione dal punto di vista dei risultati. 

Ieri vi ho fatto una domanda, imbarazzante anche per me, quando parlavamo di droga e delle quantità di droga che si sono prodotte in Afghanistan nel periodo talebano, nel periodo precedente e successivo. Se avevano ragione i talebani, allora togliamo la libertà, togliamo il pluralismo, ammazziamo anche chi passa col rosso perché, guardate, passare con la macchina quando il semaforo è rosso è come prendere una pistola a tamburo, infilarci un solo proiettile e mettersi a sparare: si può passare col rosso senza investire nessuno, così come si può sparare senza colpire nessuno, perché non c’è proiettile. Se però il proiettile c’è, o se passa qualcuno…

Questa è la questione che io pongo ai colleghi italiani, ma che credo riguardi anche gli amici iraniani: dovremmo ridiscutere anche di quale debba essere il peso della sanzione nella società moderna, e rispetto a quali reati. L’uso della pena come deterrente è un fatto fondamentale, però bisogna vedere il risultato.

C’è però un’altra questione a monte, lo dico con altrettanta franchezza: il processo che porta alla sentenza. Come garantiamo che il giudice – che, almeno nella nostra cultura giuridica, deve essere autonomo da tutto il resto, dal potere esecutivo e dal potere politico – possa formarsi un’idea precisa sulla responsabilità dell’imputato? Come può avvenire questo se, ad esempio, la difesa non è efficace e forte, o non è altrettanto forte quanto l’accusa, in modo tale che il giudice – che non è Dio,  ma un essere umano come noi – possa formarsi il più giusto convincimento possibile?

Voi avete detto ieri che nei tribunali che giudicano i reati per cui è prevista la pena di morte non c’è un giudice solo, bensì un collegio di giudici. Questo è un fatto importante, però io credo che anzitutto debbano essere garantite una reale efficacia della difesa, una reale difesa dell’imputato. Questo problema non c’è soltanto in Iran, ma c’è anche in Italia e c’è anche – molto di più – negli Stati Uniti, che sono – o almeno vengono indicati come – il Paese della democrazia. 

Ragionare intorno alla moratoria della pena di morte è un punto importante, che si ricollega anche alla discussione che abbiamo fatto questa mattina sui rapporti politici e strategici internazionali. Io credo che, se l’Iran avesse la forza e la volontà di muoversi in quella direzione, questo rappresenterebbe un titolo di credito fortissimo a favore del popolo iraniano e della leadership iraniana. Solo questo atto sarebbe un colpo decisivo e fondamentale all’immagine che si dà dell’attuale Iran, rappresentato come uno Stato crudele con una leadership fondamentalista. Non si tratta qui di cancellare la pena di morte dalla legislazione iraniana, come diceva qualcun’altro poc’anzi, ma di mettere in campo un ragionamento per verificare se non ci possono essere strade diverse per conseguire risultati magari migliori.

Non voglio farla lunga: gli Stati Uniti hanno la pena di morte e sono tra gli Stati che la utilizzano con una certa – non dico intensità – frequenza, oltre ad  avere pene pesanti per altri reati. Ciononostante la criminalità negli Stati Uniti è in fortissimo aumento e credo che in Europa non ci sia la percezione di insicurezza che c’è negli Stati Uniti, pur considerate tutte le debolezze dell’Europa.

Credo che vada percorsa una strada diversa. Ad esempio, in materia di droga, voi dite che la pena di morte ci vuole perché il contrasto alla produzione ed al traffico della droga ha bisogno di strumenti fortissimi. Perché si produce e si contrabbanda droga? Per questioni ideali o politiche? Forse anche per questioni politiche, ma lo scopo principale è il guadagno. Allora bisogna colpire il guadagno.

Per certe mentalità o personalità è più forte la deterrenza di una vita passata nella povertà, in carcere, rispetto ad una vita conclusa, perché ogni giorno di quella vita passata in carcere è un giorno in cui si fa i conti con la propria difficoltà, con la propria povertà, con la propria privazione di libertà e di affetti e con la riprovazione sociale. Colpire i patrimoni e prendere la ricchezza che è stata accumulata con il traffico della droga è quindi la sanzione più forte, è la pena più forte, oltre a sanzioni molto severe dal punto di vista della privazione della libertà, perché ovviamente non possono essere presi e rimessi in libertà il giorno dopo.

So che è un argomento complicato, so che gli amici iraniani ascoltano, ma hanno anche i loro condizionamenti e problemi. C’è poi anche l’opinione pubblica, di cui dobbiamo tenere conto tutti quanti: in Italia, in Iran e nel mondo.

Sono mosso da un forte spirito di amicizia ed ho grande comprensione per i problemi che l’Iran sta affrontando in questo momento, compreso quello dell’energia, rispetto alla quale mi differenzio dal collega dei Verdi. Ritengo infatti che l’energia civile nucleare rappresenti un momento di autonomia, sia per i Paesi produttori di petrolio, sia per quelli che non sono produttori di petrolio, come l’Italia. C’è, certamente, un problema di sicurezza e c’è bisogno di investire molto nelle tecnologie ma, come ben sappiamo, anche altri sistemi di produzione di energia inquinano, distruggono il mondo eccetera, quindi si tratta di scegliere il meno peggio. Come in materia di sanzioni, dobbiamo scegliere il meno peggio. Dobbiamo avere il coraggio di affrontare questo problema anche in una dimensione più globale.

L’azione di contrasto non è efficace se ci sono squilibri, perché è come con l’acqua, che va nella direzione in cui è meno ostacolata.

Anche facendo delle politiche molto rigide non si ottiene il risultato principale, cioè quello di impedire che si realizzi un certo comportamento, a meno di accontentarsi che quel comportamento si sposti da casa nostra a casa d’altri. Certo, ogni Paese governa i suoi problemi, però una visione più globale dei problemi del mondo ci aiuterebbe anche a risolvere queste grandi tragedie della droga, del terrorismo ed anche della fame e dello squilibrio economico e sociale, che in molte parti del mondo, nessuna esclusa, esistono ancora.

LUCIANO VIOLANTE, Presidente della Commissione affari costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni. Do la parola all’onorevole Akuchakian.

MEHDI AKUCHAKIAN, Onorevole, rappresentante Iran. In nome di Dio onnipotente, ho ascoltato con interesse e vorrei soffermarmi su due punti.

In primo luogo, ci sono delle differenze nell’affrontare certi reati con la pena di morte. Se voi viaggiate, vedete che in certi Paesi, ai semafori, non c’è polizia: in Italia, per esempio, ci sono i vigili che controllano, perché c’è la volontà che la polizia abbia una presenza fisica, ma in Svizzera, a Berna in particolare, questo non avviene. Noi non possiamo decidere dove la polizia debba stare con la pattuglia e dove con le armi: bisogna adeguarsi alle diverse società e vedere le situazioni, considerando le diverse condizioni.

Per esempio, ci sono realtà dove i reati sono così pochi da poter essere affrontati senza prevedere questa pena, ma ci sono altre realtà, come da noi, dove abbiamo una frontiera di 1000 chilometri con l’Afghanistan, dove non abbiamo altra scelta, come ha detto il signor Moshiri, che punire usando la pena di morte, altrimenti avremmo la droga in tutti i Paesi, non solo da noi.

Il secondo punto concerne il modo in cui si guarda al problema. Certe volte si dice che la pena di morte toglie la vita ad un individuo, ma altri la considerano da un altro punto di vista. Per esempio, quando c’è stata la febbre della mucca pazza che, con questi microbi, ha ucciso parecchie persone, la soluzione è stata uccidere gli animali malati. Noi non consideriamo un uomo soltanto come un individuo, ma valutiamo anche il suo comportamento, la sua mentalità, il suo pensiero e, se è un uomo che sta facendo del male a migliaia di persone, ne teniamo conto.

Lei considererebbe un individuo come un essere umano se, per esempio, avesse ucciso 20 bambini? Lo considererebbe ancora un individuo, un essere umano? Che facciamo di lui? Lo teniamo per il futuro? Che cosa ci darà nel futuro? Penso quindi che sia una questione di punti di vista. Io non difendo la pena di morte. Se uccidono un piccolo uccello davanti a me, io mi sento male; tuttavia, occorre intraprendere certe strade, per garantire la salute e per la pulizia della società.

Naturalmente le culture sono diverse: ci sono differenze anche tra Europa e America, nonostante l’America siano culturalmente più vicine. Anche rispetto all’Oriente è così: ci sono delle differenze. Permetteteci di avere una visione diversa e non guardate a questo come a una violenza, ma pensate che noi consideriamo questo individuo un microbo pericoloso, che per noi è importante eliminare.

Ci sono state anche delle persone alle quali è stata data la possibilità di essere liberate per poco tempo ed esse hanno di nuovo commesso dei crimini. Non si deve permettere questo a delle persone che trafficano droga e che commettono crimini enormi. Per noi non sono esseri umani.

Un uccello nel quale entra un microbo, anche se è bello, deve essere eliminato per evitare che ne vengano in seguito eliminati migliaia. Per noi è dunque importante che un individuo che ha portato della violenza subisca una sanzione del genere, perché questo evita che moltissimi altri reati si ripetano nel tempo. 

So di un uomo che, vicino a noi, è stato condannato; quando i suoi amici, che erano con lui, hanno visto ciò, hanno cambiato il loro modo di vivere e la loro condizione di vita.

Secondo noi ogni caso deve essere valutato in quanto situazione individuale e non si può parlare in generale.

Riteniamo che questo abbia evitato altri pericoli, ma questo non è un fatto matematico, non pensiamo cha valga dappertutto, come il fatto che 2 più 2 fa 4. È  un fatto molto più complicato, molto più strutturato.

Anche noi non desideriamo che vi sia la pena di morte. Devo ribadire quanto hanno detto i nostri colleghi, ossia che ci sono dei processi lunghissimi e che si fa di tutto per evitare questa pena. Laddove però si valuti che, per la sicurezza della nostra società, è inevitabile arrivare a questo, a quel punto dobbiamo decidere. Grazie. 

LUCIANO VIOLANTE, Presidente della Commissione affari costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni. Do la parola all’onorevole Hosseini.

SEYED MOHAMMAD MIR HOSSEINI, Rappresentante Iran. In nome di Dio, siccome mi rendo conto che è rimasto poco tempo, vorrei ribadire un punto sul quale siamo d’accordo tutti, ossia che bisognerebbe che vi fosse una pena, una sanzione capace di prevenire un ulteriore reato. Tutto quello che abbiamo detto.

Quella che riguarda la pena di morte non è una decisione, ma deve essere ben studiata, considerando anche tutti i fattori umani e psicologici. Prima di decidere di togliere questo tipo di pena, dobbiamo fare studiare il tema dagli esperti.

Voi dicevate che sono 68 i Paesi che utilizzano ancora la pena di morte, ovvero i Paesi islamici. Ebbene, è importante sapere che tipo di pena si può infliggere.

L’altro punto riguarda i diritti dell’uomo e i diritti dei Governi. Abbiamo parlato di diversi aspetti e vorrei aggiungere un’osservazione. Uno dei diritti che i Paesi hanno è quello di difendersi dal terrorismo, ma noi, per quanto riguarda la lotta al terrorismo, abbiamo delle critiche da fare all’Europa, perché c’è un’organizzazione che compie atti terroristici, che sia gli americani, sia gli europei, hanno considerato come un’organizzazione terroristica – mi riferisco all’MKO (Mujahedin-e Khalq Organization) – che però agisce tranquillamente e liberamente. Noi critichiamo i Paesi europei che lasciano che l’MKO possa essere liberamente attiva. Bisogna dunque considerare anche questo punto.

Abbiamo parlato del nucleare e dell’ambiente. È vero, ci sono delle situazioni in cui c’è un pericolo, com’è vero che anche un’automobile può creare dei pericoli, perché qualche volta, facendo un’incidente, può uccidere delle persone. Dovremmo allora evitare che ci siano automobili in giro? Allo stesso modo, anche un terremoto può verificarsi.

Nella nostra Repubblica islamica noi abbiamo delle tecnologie molto aggiornate – le più recenti – ed usiamo ogni tipo di tecnologia per evitare che l’ambiente venga danneggiato.

Rispondendo poi a quanto diceva prima un collega, un altro punto a cui vorrei accennare è ancora legato alla conoscenza dell’Oriente da parte dell’Occidente: 1400 anni fa la religione islamica conosceva benissimo i diritti dell’uomo durante la guerra. Questo dovrebbe essere sviluppato e conosciuto. Avete parlato dei bambini e delle donne, ma nell’Islam si dice addirittura che anche i soldati, quando combattono, non hanno colpa. L’Islam ha previsto già da 1400 anni i diritti umani durante la guerra, non soltanto per i bambini e per la comunità civile, ma anche per i soldati: tutte cose che oggi non sono previste.

Inoltre nell’Islam, durante la guerra, non possiamo nemmeno danneggiare i campi coltivati del nostro nemico e non dobbiamo avvelenare la sua acqua: addirittura questo era previsto dall’Islam di 1400 anni fa! Mentre adesso ci sono le armi chimiche, all’epoca si diceva che non bisognava avvelenare l’acqua del nemico. Noi abbiamo quindi previsto i diritti umani nelle guerre già da allora. Quando Maometto ha vinto la guerra, ha detto che nessun musulmano può danneggiare le donne, i bambini e gli anziani. Questo, infatti, era il diritto della popolazione durante la guerra, che allora, già allora, veniva rispettato dalla comunità musulmana.

Forse conoscete il nostro primo Imam, Amir al Muminin, che è stato un martire e fu ucciso. Prima di morire, aveva chiesto di essere colpito una volta sola e non più volte, in modo che, se non fosse morto al primo colpo, avrebbe perdonato l’aggressore.

Se veramente l’Occidente cercasse di conoscere l’Islam, scoprirebbe che noi abbiamo anche molti aspetti ricchi ed importanti nella nostra Sharia, nelle nostre leggi musulmane, e vedrebbe così anche come siamo vicini, sotto certi aspetti. 

LUCIANO VIOLANTE, Presidente della Commissione affari costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni. La prego di concludere il suo intervento, cui seguirà quello dell’onorevole Marcenaro. Alle ore 14,00 inizieranno i nostri lavori d’Aula, mentre voi dovete fare colazione ed andare poi a Firenze.

 

SEYED MOHAMMAD MIR HOSSEINI, Rappresentante Iran. Volevo dire solo che quello che lei ha raccontato della sua mamma è stato molto interessante per noi. Noi portiamo rispetto per sua madre che portava il fazzoletto: questa storia ci ha toccato molto.

Noi non possiamo avere questo comportamento. Una volta ci si comportava in un certo modo, poi abbiamo capito che si sbagliava. Noi abbiamo dei limiti, non possiamo decidere unilateralmente e dobbiamo quindi  rifare delle ricerche, parlare, decidere, e trovare una strada che danneggi meno, che sia il meno peggio. 

LUCIANO VIOLANTE, Presidente della Commissione affari costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni. Do la parola all’onorevole Marcenaro per le sue conclusioni.

PIETRO MARCENARO, Presidente del Comitato permanente per i diritti umani della Commissione affari esteri della Camera dei deputati. Ringrazio molto per il dibattito. Mi limiterò solamente ad alcune considerazioni e vorrei partire da quanto ha detto prima il collega Hosseini.

Quando noi sosteniamo che bisogna lavorare per individuare dei punti comuni, che costruiscano le condizioni di una nuova legittimità internazionale basata sul riconoscimento dei diritti umani, lo facciamo nella convinzione che in ciascuna delle nostre storie esistano i materiali che possiamo ritrovare e che possono aiutarci nel futuro. Nel nostro passato, come nel vostro, ci sono questi materiali: non è vero che i diritti umani appartengono solo ad una parte del mondo, perché questa tradizione sta in tutte le storie, in tutte le culture. Il problema di oggi consiste nel ritrovarla e nel farne il materiale di una ricerca e di un lavoro comuni, naturalmente insieme all’analisi dei cambiamenti e dei nuovi problemi che ci sono nel mondo in cui viviamo.

In questo c’è un punto molto delicato, perché ciascuno di noi è geloso della propria sovranità nazionale e pensa di avere il diritto di decidere a casa propria, ma dobbiamo domandarci se, nel mondo globale di oggi, questo sia davvero sufficiente. O se invece non dobbiamo rinunciare ciascuno a qualche parte della sua possibilità di decidere a casa propria, per metterla in comune e costruire le condizioni di un diritto internazionale nel quale tutti ci riconosciamo.

Come si fa a decidere insieme sulle cose che riguardano tutti, nel mondo contemporaneo? Questo è il grande problema di oggi, a mio parere, e riguarda il tema dei diritti umani.

In secondo luogo, sulla questione della pena di morte, vorrei dire al collega Akuchakian che, secondo me, ci vuole maggiore cautela, perché se noi consideriamo che si tratta di un problema di microbi, allora con i microbi è necessaria la prevenzione e se noi dovessimo entrare in quell’ordine di idee di pensare che ci sono i microbi nella società, dovremmo cercarli prima che compiano i delitti, ed eliminarli prima, ma in che strada ci metteremmo, se questa fosse la logica che noi dovessimo scegliere? Per questo io penso che ci voglia molta cautela prima di paragonare gli uomini ai microbi. Penso che ci vogliano molta cautela e molta attenzione.

Vorrei dire che le cose stanno cambiando. Faccio l’esempio di un grande Paese: nelle scorse settimane, negli scorsi mesi, la Repubblica popolare cinese, cioè il Paese che è di gran lunga il primo Paese al mondo per le esecuzioni capitali, ha preso delle decisioni molto importanti. Loro non la chiamano ancora moratoria ma, quando un Paese toglie il potere di condannare a morte ai tribunali locali e lo accentra solo nel tribunale nazionale, quando dà l’indicazione di non eseguire più le condanne a morte, anche quelle pronunciate, se non in casi di estrema ed assoluta necessità, per un Paese che esegue migliaia di condanne a morte, questo vuol dire che sta succedendo qualcosa. Nessuno può pensare che in un Paese di più di un miliardo di abitanti siano alcune decine di esecuzioni capitali, di condanne a morte, a determinare la sicurezza, l’ordine e la tranquillità rispetto ai pur gravi problemi.

Per questo noi sosteniamo la proposta della moratoria: perché pensiamo che attraverso quella proposta si possa dimostrare che ci sono altre vie ed altre soluzioni.

Vorrei ancora dire quanto segue: non è vero che la pena di morte riguarda i Paesi islamici, intanto perché ci sono Paesi non islamici – penso in primo luogo agli Stati Uniti – che applicano la pena di morte; e in secondo luogo perché ci sono Paesi islamici che non la applicano più. Il Marocco non applica più la pena di morte dal 1983, ed è un Paese sunnita. L’Azerbaigian, che è un Paese a totalità di religione sciita, ha abolito la pena di morte dal suo codice penale, come sapete bene perché è un Paese a cui siete molto vicini, per frontiere, per comunanza, per partecipazione. La Turchia, che è un Paese islamico, ha anch’essa abolito la pena di morte. Quindi anche nel mondo islamico esistono Paesi che hanno fatto scelte diverse. 

Vorrei dire soltanto ancora un’ultima cosa. In un famoso discorso tenuto nel marzo del 1848 all’Assemblea costituente francese – quella che segnò il passaggio dall’impero prima, dalla monarchia poi, alla repubblica – Victor Hugo, un grande intellettuale europeo e un uomo di profonde convinzioni religiose, disse: «L’irrevocabile appartiene a Dio». Il punto è che la condanna a morte fa parte dell’irrevocabile e Victor Hugo diceva che quando gli uomini rubano a Dio l’irrevocabile e lo mettono nelle loro leggi, mettono su queste leggi un peso che esse non sono in grado di sopportare e che, prima o poi, ne mina l’equilibrio. 

Lo dico perché anche nella tradizione europea – che è solo una delle tradizioni, pari alla vostra, con la stessa legittimità, né maggiore, né minore – esistono profondi motivi spirituali, oltre che politici, alla base della nostra posizione sulla pena di morte. Non esiste solo una valutazione di opportunità, che pure è molto importante, ma esistono anche forti radici spirituali. Non lo dico per convincervi, ma perché nella discussione e nel confronto teniate conto, perché ciascuno di noi tenga conto non solo che tutti abbiamo radici e abbiamo la politica, ma che abbiamo anche una spiritualità che muove e ispira le nostre posizioni e i nostri comportamenti. 

Penso che ricordarlo sempre aiuti e non ostacoli il dialogo. Sono infatti convinto che il dialogo sia più forte se le convinzioni profonde si manifestano e si confrontano e non se invece viene solo illusoriamente ridotto alla sua facciata utilitaristica. Grazie.

 LUCIANO VIOLANTE, Presidente della Commissione affari costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni. Colleghi, abbiamo così finito i nostri due giorni di lavoro. Naturalmente non è nelle nostre intenzioni condizionare o dare pareri sulle politiche del vostro Paese. Siamo legati da rapporti di amicizia e di questo si tratta. Abbiamo aumentato la nostra conoscenza nei vostri confronti, forse anche voi avete acquisito qualche elemento in più sul nostro modo di vedere le cose e sappiamo che dal confronto tra persone in buona fede, che hanno interessi, obiettivi e storie diverse, può nascere, senza dubbio, qualcosa di buono per il mondo, per il nostro Paese e per il vostro Paese. 

Voglio aggiungere solo un piccolissimo argomento alle questioni che sono state affrontate e che già è stato in parte trattato, tanto dal presidente Marcenaro, quanto da altri colleghi che sono intervenuti.

Bisogna valutare che voi avete già una forma di moratoria sulla pena di morte perché, quando le condanne sono state pronunciate, la massima autorità del potere giudiziario può ancora decidere di non eseguirle. Questo è l’inizio di una valutazione che potrebbe anche essere considerata sulla strada della moratoria. Poi valuterete voi cosa è più utile e cosa è più giusto nel contesto in cui vi trovate, per carità. 

Probabilmente avremo poi una seconda tappa di questi colloqui in Iran e valuteremo in che termini effettuarli, anche in relazione alle vostre elezioni politiche. 

Sono stati due giorni di lavoro positivo, vi ringrazio molto e ci rivedremo. Do ora la parola al presidente Moshiri per un saluto finale. 

MOHSEN KUHKAN, Onorevole, rappresentante Iran. Vorrei invitarla a Teheran, insieme al gruppo di amici. Più in là vi manderò questo invito per iscritto. 

Vorrei proporre di fare assieme una cosa bella. Cerchiamo di illustrarvi le nostre motivazioni sulla pena di morte e di fare un referendum e presentarlo nel mondo. 

SHAHRYAR MOSHIRI, Onorevole, rappresentante Iran. Vi ringrazio per l’ospitalità così cordiale che ci avete riservato e per il tempo che avete messo a nostra disposizione. Speriamo che questa cooperazione si protragga nel tempo. Non siamo tutti uguali nelle opinioni, gli esseri non sono tutti uguali, ma ciò fa sì che ci sia uno sviluppo nell’individuo, anche se vediamo una serie di cose da un punto di vista diverso, poiché ogni Paese ha una sua legge.

Vi auguro una bella giornata e mi auguro una cooperazione tra i due Parlamenti italiano e iraniano. 

LUCIANO VIOLANTE, Presidente della Commissione affari costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni. Un grazie di cuore da parte di tutti quanti noi alle interpreti che hanno fatto un lavoro straordinario e faticosissimo: vi siamo davvero molto grati perché credo che senza di voi non ci saremmo capiti. 

 


Rapporti parlamentari

 Italia-Regno Unito

 

 

Incontri bilaterali

 

Il 14 novembre 2006, il Presidente della Camera, On. Fausto Bertinotti, ha incontrato l’Ambasciatore del Regno Unito in Italia, Edward Chapiln.

Nel corso dell’incontro sono state affrontate le tematiche del futuro dell’Europa e del ruolo dei Parlamenti, delle missioni internazionali di pace e delle priorità del Governo italiano nei principali settori dell’economia anche alla luce delle osservazioni dl Fondo monetario internazionale.

 

Incontri delle Commissioni

 

Il 21 dicembre 2007, il Presidente della Commissione Affari esteri, on. Umberto Ranieri, ha incontrato l’Ambasciatore del Regno Unito in Italia, Edward Chapiln.

Il 25 ottobre 2007, il Presidente della Commissione Affari esteri, on. Umberto Ranieri, ha incontrato il Vice Capo Missione dell’Ambasciata britannica in Italia, Min. Alastair Mc Phail.

Il Vice Capo Missione dell’Ambasciata britannica in Italia, Min. Alastair Mc Phail, ha espresso l’auspicio di poter incrementare le occasioni di incontro tra i due Parlamenti soprattutto a livello di Commissioni parlamentari. E’ stato quindi affrontato il problema della situazione nei Balcani e nel Kosovo, che rappresenta una questione di grande importanza sulla quale è stato espresso l’auspicio di poter giungere ad una soluzione condivisa. Infine, si è parlato dell’ingresso della Turchia nell’Unione europea e delle difficoltà di far comprendere agli inglesi l’importanza del Trattato europeo, soprattutto in considerazione della tradizionale Costituzione “non scritta” del Regno Unito.

Il 28 febbraio 2007, la Commissione Difesa ha ricevuto la visita di una delegazione del Comitato Difesa della Camera dei comuni della Gran Bretagna.

Al centro dell’incontro le questioni relative al ruolo ed al futuro della NATO, tema su cui il Comitato Difesa inglese è particolarmente impegnato, essendo stato incaricato di svolgere un’indagine conoscitiva specifica.

Il Presidente della Commissione Affari esteri, on. Umberto Ranieri, ha incontrato a Londra, il 10 novembre 2006, il Presidente della Commissione Affari esteri della House of Commons, Michael Gapes.

 

Cooperazione multilaterale

 

Il Regno Unito prende parte alla cooperazione parlamentare nell'ambito dell'Unione Europea e del Partenariato Euromediterraneo. Invia, inoltre, delegazioni alle Assemblee parlamentari del Consiglio d'Europa, dell'UEO, della NATO (il cui Segretario Generale è David Hobes, inglese, dal 1° gennaio 2008), dell'OSCE e partecipa al Patto di stabilità per l'Europa sud-orientale.

Partecipa alla dimensione parlamentare del G8 ed ha ospitato la IV riunione dei Presidenti delle Camere dei paesi membri del G8, svoltasi a Glasgow dal 16 al 18 settembre 2005.

I parlamentari inglesi, italiani e statunitensi si riuniscono inoltre con cadenza periodica in occasione delle riunioni del “Portofino Dialogues”, organizzate da Roger Casale, ex Presidente del Gruppo parlamentare di amicizia italo-britannica. L’ultima riunione si è svolta a Londra ai primi di novembre 2007.

Il Vice Presidente della Camera, on. Pierluigi Castagnetti, ha partecipato alla VI riunione dei Presidenti delle Camere Basse G8 che si e’ tenuto a Berlino dal 7 al 9 settembre 2007. Alla riunione ha preso parte anche lo Speaker della Camera dei Comuni inglese, Michael Martin.

Le onn. Joyce Anelay e Jill Pitkeathley (Camera dei Lords) hanno partecipato ai lavori della “Conferenza mondiale delle donne parlamentari per la tutela dell’infanzia e dell’adolescenza” (Roma, 17-18 ottobre 2004).

 

Unione Interparlamentare

 

La sezione bilaterale di amicizia Italia-Gran Bretagna e Irlanda dell'Unione Interparlamentare è stata presieduta, nella XV legislatura, dall'on. Valdo Spini (Ulivo).

 

 

Disegni di legge di ratifica di trattati internazionali all’esame del Parlamento

 

Non vi sono disegni di legge di ratifica di trattati internazionali riguardanti il Regno Unito attualmente all’esame del Parlamento.