Camera dei deputati - XV Legislatura - Dossier di documentazione
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Autore: | Servizio Rapporti Internazionali |
Titolo: | L'attività dei Gruppi di collaborazione parlamentare nella XV legislatura |
Serie: | Documentazione per l'attività internazionale Numero: 25 |
Data: | 27/11/2007 |
L’attività dei Gruppi
di collaborazione parlamentare nella XV legislatura
Documentazione per l’attività internazionale
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XV legislatura |
Indice
§ Nota illustrativa ........................................................................................ pag. 1
2. Resoconto dei lavori
§ VII Riunione della Grande Commissione Italia – Russia, Palazzo Montecitorio, Sala della Lupa, 25 – 26 settembre 2006 (resoconto stenografico)............................................................................................. “ 7
§ III Seminario Italo – Turco, Palazzo Montecitorio, Sala del Mappamondo, 4-7 dicembre 2006................................................................................... “ 35
§ IV Riunione del Gruppo parlamentare di collaborazione Italia – Egitto, Il Cairo, 4 giugno 2007.............................................................................. “ 51
§ VIII Riunione della Grande Commissione Italia – Russia, Mosca – San Pietroburgo, 13- 15 giugno 2007.......................................................... “ 67
§ XIII Riunione del Gruppo di cooperazione parlamentare Italia – Spagna, Madrid, 18 – 19 giugno 2007 ............................................................... “ 73
§ I Riunione del Gruppo di lavoro interparlamentare Italia – Iran, Roma, 15 – 16 ottobre 2007 (resoconto stenografico) ....................................... “ 89
§ II Riunione della Commissione di cooperazione parlamentare Italia – Cina, Roma, 17 ottobre 2007 ................................................................ “ 149
1. I PROTOCOLLI DI COLLABORAZIONE PARLAMENTARE
NOTA ILLUSTRATIVA
Nel corso delle ultime Legislature si è andata consolidando l'esigenza di definire e strutturare in maniera più compiuta le diverse tipologie di collaborazione parlamentare, in modo da poter programmare lo svolgimento di lavori congiunti ed individuare le forme più idonee per promuovere, definire e raggiungere gli obiettivi della collaborazione parlamentare. Lo strumento principale a cui è stato affidato il compito di definire e strutturare il programma di collaborazione tra la Camera dei Deputati e le varie Assemblee è stato il Protocollo di collaborazione parlamentare che, oltre a segnare un momento di alta intesa politica, pone le basi per trasformare tale intesa in collaborazione concreta.
Il Protocollo prevede, di norma, la costituzione di apposite Commissioni o Gruppi di collaborazione parlamentare, composti da parlamentari di ambedue le Assemblee designati dai Presidenti, spesso previsti nei Protocolli stessi. La Presidenza delle delegazioni spetta ai Presidenti delle rispettive Assemblee, ai Vicepresidenti, ai membri dell’Ufficio di Presidenza, ai Presidenti di Commissione o ad altri parlamentari di riconosciuta autorevolezza.
Tali organi si riuniscono periodicamente ed alternativamente presso una delle due Assemblee firmatarie del relativo protocollo, al fine di discutere questioni di comune interesse.
La scelta dei temi solitamente ricade su argomenti settoriali, legati all’attualità politica e legislativa, sia interna che internazionale. In alcuni casi è previsto il trattamento di temi definiti, quali l'integrazione europea ovvero il dialogo tra le civiltà. All'iniziativa politica vera e propria, si può affiancare anche lo svolgimento di eventi culturali e artistici, allo scopo di promuovere una maggiore conoscenza reciproca.
Dall’avvio della XV Legislatura fino ad oggi (novembre 2007) si sono quindi svolte, a Roma, presso la Camera dei deputati, le seguenti riunioni in attuazione dei Protocolli di cooperazione parlamentare: la riunione della Grande Commissione italo-russa nel settembre 2006; il III Seminario italo-turco nel dicembre 2006; la I riunione del Gruppo di cooperazione Italia-Iran (15-16 ottobre 2007) e del Gruppo di cooperazione Italia-Cina (17-18 ottobre 2007).
Si sono inoltre svolte, all’estero, le riunioni del Gruppo di cooperazione parlamentare Italia-Egitto (maggio 2007) , Italia-Spagna (giugno 2007), e la VIII riunione della Grande Commissione italo-russa (giugno 2007).
Nell’ottobre 2006 la Camera dei deputati ha inoltre ospitato la I Riunione del Gruppo Italia-Venezuela ed il Seminario di approfondimento (la relativa sintesi dei lavori sarà pubblicata in un fascicolo a parte)
Giova infine ricordare che i Protocolli siglati sono attualmente pari a 22, articolati per aree geografiche secondo il seguente prospetto:
Quadro di riepilogo per aree geografiche |
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AFRICA |
5 |
AMERICHE |
6 |
ASIA |
5 |
EUROPA |
6 |
TOTALE |
22 |
2. RESOCONTO DEI LAVORI
Resoconto dei lavori della
VII riunione della Grande Commissione
Roma, 25-26 settembre 2006
Saluto del Presidente della Camera dei deputati, Fausto Bertinotti
La Camera dei deputati è lieta di ospitare i lavori della VII Riunione della Grande Commissione parlamentare di collaborazione con la Duma di Stato della Federazione russa.
La cooperazione parlamentare con la Duma di Stato costituisce una scelta prioritaria nell’ambito delle attività internazionali promosse dalla Camera e non casualmente si apre oggi il primo grande incontro internazionale dopo il recente avvio della XV Legislatura, a testimonianza della simpatia e della reciproca fiducia che legano i nostri due popoli e le loro rispettive rappresentanze parlamentari.
In questi anni l’istituzionalizzazione della Grande Commissione ha consentito – attraverso le successive riunioni a cadenza annuale – un costante sviluppo delle nostre relazioni parlamentari, e quindi un rafforzamento dei vincoli profondi che uniscono i nostri due Paesi.
In tale quadro desidero ricordare che insieme al Protocollo è stato siglato anche un Memorandum tra le Amministrazioni della Camera dei deputati italiana e della Duma di Stato russa, che istituisce un sistema stabile di scambi e di contatti a livello amministrativo.
La Grande Commissione è divenuta sempre più una sede nella quale dibattere ed approfondire utilmente le grandi scelte di politica legislativa che accomunano i nostri due Paesi. Oggi e domani verranno discusse insieme, con spirito di condivisione e collaborazione, importanti tematiche quali le “Prospettive della collaborazione tra Unione europea e Russia”, “Le politiche energetiche” e “Le questioni sociali”: si tratta di argomenti di fondamentale importanza sia sul piano nazionale che su quello europeo e mondiale.
Come parlamentari condividiamo l’obiettivo di dare una risposta democratica alla globalizzazione del mondo, garantendo una forte correlazione tra modernità e giustizia. Questa risposta deve nascere sul terreno di una forte cooperazione internazionale, partendo dalla consapevolezza che i processi di mondializzazione non esigono soltanto l’armonizzazione delle regole che disciplinano la vita economica ed i commerci, ma implicano la promozione, al tempo stesso, dei valori fondamentali di equità e di solidarietà che sono parte integrante della nostra cultura.
Auguro quindi a tutti voi buon lavoro ed auspico che la collaborazione tra i nostri Parlamenti possa proseguire nel quadro degli eccellenti rapporti tra i nostri Paesi, che trovano le loro radici antiche e profonde nella grande cultura russa ed italiana: penso alla speciale ”affezione per l’Italia” (Toska po’ Italii) che attraversa tutta la letteratura russa, da Gogol a Dostoevskij, da Turgenev a Gorki.
Indirizzo di saluto del Vicepresidente della Camera dei deputati, Giulio Tremonti
Giulio TREMONTI, Vicepresidente della Camera dei deputati, nonché Presidente della parte italiana della Grande Commissione Italia-Russia. Ci si innamora di Roma molto lentamente, a poco a poco, ma è per tutta la vita. Così, nel 1837, Nicolaj Gogol scriveva ad un amico russo. Il rapporto è bilaterale, va anche dall’Italia alla Russia. È reciproca meraviglia.
Reciproca meraviglia è il nome della memorabile esposizione sui secolari rapporti culturali, soprattutto relativi alla pittura, tra i nostri due Paesi. Una mostra che è stata allestita tra il 2004 e il 2005.
Passando dal campo culturale a quello politico, sono davvero lieto di formulare l’indirizzo di saluto per l’inizio dei lavori di questa VII riunione della Grande Commissione italo-russa.
Una Commissione che, in sei anni di attività, ha esaminato tutti i grandi temi, politici, economici e sociali, su cui si forma l’agenda dei legislatori russi e italiani. Che senso ha questo incontro? Un senso antico, che però va continuamente riaffermato, ed è il senso della centralità della politica su altri valori, quali l’economia e il mercato. Noi crediamo che sia centrale la politica, e vogliamo anche ribadire la centralità dei parlamenti. I rapporti internazionali sono storicamente rapporti di carattere verticale, laterale, multilaterale; ora si sta affermando sullo scenario politico un nuovo tipo di rapporti, quello tra i parlamenti. Questo non si sviluppa in senso verticale, ma in senso orizzontale. Prevede la circolazione di materiali legislativi, e quindi politici e civili, da un parlamento all’altro, formando un piano che ha un rilievo politico pari almeno a quello verticale e tradizionale. Si chiama con una formula riduttiva “diplomazia parlamentare”, ma credo che possa essere qualcosa di più e di diverso.
I nostri lavori sono articolati in tre sessioni. La prima riguarda le prospettive della collaborazione Russia-Europa; la seconda le politiche delle risorse energetiche, la terza sfida demografica. Una novità nell’ordine dei lavori prevede che le sessioni siano introdotte da una relazione a carattere tecnico (a sua volta seguita da una relazione politica per parte, ed infine il dibattito).
Sul primo tema, il rapporto tra la Russia e l’Europa, è stato scritto: “qui a noi è stato dato dal destino di aprire una finestra sull’Europa” – la citazione è Puskin, e riguarda San Pietroburgo. Il rapporto che noi vediamo tra Russia ed Europa, tra Europa e Russia, è un rapporto dialettico di enorme intensità politica, di enorme rilievo, è una di quelle curve su cui si sviluppa la storia.
Il secondo tema, relativo all’energia, è un tema di particolare rilievo per quanto riguarda l’Italia e l’Europa, e presenta aspetti anche critici. L’attuale UE inizia la sua storia dopo la guerra, sul principio di unificare le politiche energetiche dal carbone all’energia atomica. Oggi, parlare di coesione dell’Europa attraverso l’energia è inattuale, si sono sviluppate politiche nazionali, hanno trovato spazio forti rapporti bilaterali, come quello in essere, tra l’Italia e la Russia. È dunque un tema sul quale sarà utile un franco scambio di opinioni.
Terzo tema, quello della sfida demografica. Ci permette di discutere sui valori sociali, sui princìpi, sul disegno che noi pensiamo debba essere impresso alle nostre società. È un problema critico per molti paesi, critico per certi versi per l’Italia e critico per altri versi per la Russia. È anche su questo che noi pensiamo di sviluppare un’importante discussione.
Indirizzo di saluto della Vicepresidente della Duma di Stato, Liubov Sliska
Liubov SLISKA, Vicepresidente della Duma, nonché Presidente della parte russa della Grande Commissione Italia-Russia. La riunione della Grande Commissione è un’occasione per rafforzare i rapporti bilaterali, ed è per questo che è importante improntare il nostro dialogo ad una comune franchezza. Fra i nostri due Paesi si è instaurato un partenariato strategico, la cui importanza è stata testimoniata dal fatto che il Primo Ministro Prodi ha scelto proprio la Russia come meta del suo primo viaggio all’estero. Anche i rapporti tra Russia e Ue stanno conoscendo una sempre maggiore intensità, come testimoniano le road maps di cooperazione fissate nei precedenti vertici. Nel 2007 scadrà l’attuale accordo di partenariato. La Russia ha inoltre la presidenza del G8 nel 2006, il cui vertice, tenutosi a San Pietroburgo in luglio, è stato incentrato sui temi energetici e della sicurezza globale. Anche i temi all’OdG della VII riunione testimoniano la volontà di confrontarsi, di accettare un approccio coordinato di fronte alle sfide maggiori che ci minacciano. Nessuno può risolvere da solo problemi come quello dell’immigrazione illegale, è necessario trovare politiche comuni.
I Sessione: Russia-Europa: Le prospettive della collaborazione
Lucio CARACCIOLO, Direttore della rivista italiana di Geopolitica Limes. Grazie, Presidente. Grazie dell’opportunità di offrire ai lavori di questa Commissione il mio personale punto di vista di osservatore italiano sui rapporti russo-europei e russo-italiani in particolare. Il mio punto di partenza è che il nostro futuro di italiani e di europei dipende largamente dalla Russia, dal tipo di rapporti tra noi e voi. Questa può apparire un’ovvietà, ma non lo è, vi assicuro, nel dibattito pubblico italiano. Perché penso questo? Per almeno quattro ovvie ragioni. La prima è che abbiamo – parlo come italiano - di fronte a noi il principale paese di cultura europea che non fa parte dell’Unione Europea. Il secondo motivo è che abbiamo di fronte a noi la principale potenza energetica del mondo, il primo esportatore al mondo di gas e il secondo di petrolio, tra l’altro con quantità strategicamente importanti per il nostro paese. Terza ragione: abbiamo di fronte una grande potenza nucleare, certo non l’Unione Sovietica, ma pur sempre un Paese che ha circa 18 mila testate atomiche e 631 missili balistici intercontinentali. Quarta ed ultima ragione: abbiamo di fronte il più vasto Stato al mondo, che confina con l’Unione Europea, - ed anzi vi mantiene l’enclave di Kaliningrad – e che spazia fino all’Oceano Artico ed all’Oceano Pacifico. Basta questo per renderci conto dell’importanza dei temi che trattiamo. I rapporti tra noi e voi sono rapporti che devono essere contestualizzati nella storia e nella geografia. Vorrei dire che il peso del passato conta, ed è molto più pesante di quello che noi talvolta pensiamo sia. È vero, sono passati ormai 17 anni dalla caduta del Muro di Berlino e 15 dalla fine dell’esperienza sovietica, ma l’eredità e la mentalità della guerra fredda non sono del tutto superate. Certamente i nostri rapporti sono più aperti e franchi di quanto non potessero essere ai tempi della guerra fredda, eppure quel passato certamente pesa. Lo vediamo nei nostri rapporti, lo vediamo nei rapporti tra le ex superpotenze rivali, Stati Uniti e Russia, che specialmente negli ultimi tempi si sono un po’ annuvolati, e lo vediamo anche nei rapporti fra europei e Russia. Uso volutamente il plurale, europei, perché a mio avviso la sostanza delle nostre relazioni è bilaterale, ovvero tra Italia e Russia, e non passa per l’Unione Europea, la quale non è ancora un vero e proprio soggetto geopolitico autonomo, e a mio avviso, non riuscirà mai a diventarlo. Che cosa è accaduto recentemente nell’Unione Europea? È accaduto che la nostra comunità si è allargata soprattutto verso la Russia, parallelamente all’allargamento dell’alleanza atlantica. Si è così prodotta una comunità di Paesi europei molto più nordica, molto più baltica, di quanto non fosse fino al 2004. Questo dal punto di vista geografico. Dal punto di vista geopolitico, questo insieme di Paesi, avendo inglobato alcune ex repubbliche sovietiche, Lettonia, Lituania, Estonia, ed alcuni paesi ex satelliti dell’Unione Sovietica, tra cui soprattutto la Polonia, è evidentemente marcato da questa esperienza passata. Risulta quindi molto più russofobo di quanto non possiamo essere noi o di quanto non lo siano i Paesi che hanno sempre fatto parte, che hanno fondato l’Unione Europea o prima ancora la Comunità europea. Questo evidentemente complica le nostre relazioni e ci obbliga a riflettere maggiormente, ad intensificare il dialogo, perché se facciamo finta che l’Unione Europea si sia semplicemente allargata da un punto di vista spaziale per restare sostanzialmente quella che era prima dal punto di vista geopolitico, compiamo un grosso errore. Certamente il passato dei rapporti fra Italia e Unione Sovietica meriterebbe di essere trattato in un’intera conferenza, se non altro per quei rapporti privilegiati che intercorrevano fra il nostro partito comunista e quello sovietico e che sono continuati, specialmente a livello finanziario, fino alla fine dell’Unione Sovietica. Ma andrebbero analizzati anche i rapporti fra le nostre principali corporations, (come FIAT, ed ENI), e l’Unione Sovietica, prima, ed ora la Russia.
L’interesse fondamentale dell’Italia, ma direi anche del resto dell’Europa, è quello di una Russia stabile e prospera; questo significa tener conto della dimensione storica, della Federazione russa, delle sue origini, del carattere del suo potere, e quindi anche del cosiddetto “centralismo russo”. Contrariamente a quello che molti di noi potrebbero sperare, la Russia non potrà diventare una democrazia di tipo occidentale, sarà piuttosto una democrazia alla russa, che è una cosa un po’ diversa. Per usare le parole del Presidente Putin, la Russia non sarà mai la seconda edizione degli Stati Uniti o della Gran Bretagna. Questo è un equivoco che negli anni novanta ha molto pesato nei nostri rapporti e credo anche nei rapporti russo-americani, perché si era creata al di là dell’Atlantico l’aspettativa, soprattutto sotto la presidenza di Boris Eltsin, che la Russia stesse sostanzialmente omologandosi al nostro sistema politico. Ma questo era falso allora ed è falso anche oggi. È quindi utile e interessante discutere senza pregiudizi di come i nostri diversi sistemi possano condizionare i rapporti politici ed economici tra i nostri paesi. L’interesse ad una Russia stabile e prospera significa per prima cosa riconoscere l’esistenza di questo grande Stato alla frontiera dell’UE e consentire il suo sviluppo, possibilmente agevolarlo. Abbiamo un interesse ad integrare la Russia in uno spazio economico e di sicurezza comune, e dal punto di vista italiano direi anche che questo spazio economico e di sicurezza comune dovrebbe accentuare pure la dimensione centro-europea e mediterranea, e non solo quella baltica o nordica unicamente, come traspare anche negli ultimi documenti pubblicati dalla Commissione europea. Faccio un esempio molto concreto, i trasporti. Da questo punto di vista siamo molto indietro. Noi in Italia stiamo discutendo da tempo immemorabile intorno ai corridoi transeuropei, e in particolare sul corridoio 5, che per noi è un corridoio strategico perché attraversa la parte più ricca del nostro paese, il settentrione, proveniendo dalla penisola iberica e per arrivare fino a Kiev. La questione che pongo è questa: perché questo corridoio non dovrebbe arrivare oltre che a Kiev, anche fino a Mosca? Questo potrebbe essere un terreno d’iniziativa comune italiana e russa.
Un secondo aspetto al quale noi siamo particolarmente interessati nel rapporto con la Russia è la lotta comune alla criminalità organizzata. Sappiamo che gran parte dei flussi di traffici clandestini che raggiungono l’Italia provengono dall’Asia centrale, attraversando in qualche modo il territorio della Federazione russa o i territori di Paesi limitrofi. Faccio l’esempio molto sintetico di un piccolo territorio di cui in Russia si parla molto e in Italia poco, la Transnistria. Questa non si può assoggettare ad alcun controllo, dal momento che si è resa indipendente de facto dalla Repubblica di Moldavia. In Transnistria si incontra la criminalità organizzata di vari Paesi, tra cui anche i nostri, essendosi lì stabilito un accordo di interessi assai preoccupante. Vi cito solo un dato: il 70 per cento delle armi che vengono impiegate in questo momento nelle guerre africane passano per la Transnistria. L’alternativa alla stabilità e alla prosperità della Russia, e quindi anche alla stabilità e alla prosperità dei nostri rapporti bilaterali, non può che essere il caos. Ma questa è evidentemente la peggiore delle ipotesi possibili. Per poter sviluppare fino in fondo le potenzialità che ci sono nei nostri rapporti, e che immagino saranno discusse nei prossimi giorni, noi dovremmo aumentare il livello della conoscenza reciproca. Cito un solo esempio. Praticamente non esistono importanti scambi a livello universitario, e questo è un grave problema. Vi sono - voi li conoscete molto bene - i problemi legati ai visti che limitano la possibilità di viaggiare e di scambiarsi opinioni, esperienze. Solo aumentando questa conoscenza, incentivando tutti gli scambi possibili a livello culturale, di media, di informazione, possiamo eliminare i pregiudizi ed i ricordi negativi, e pertanto costruire insieme il futuro che crediamo di meritare.
Alexander GUROV, Componente del Comitato per la sicurezza della Duma di Stato nonché componente della parte russa della Grande Commissione Italia-Russia. L’Italia influisce molto sul nostro atteggiamento nei confronti dell’Ue. I nostri legami sono stretti anche sul piano umanitario, come testimonia la solidarietà italiana durante i fatti di Beslan. Nel 2003 la partnership Russia-Ue era impostata soprattutto a livello economico. Ora vorremmo che questa cooperazione venisse estesa anche ai campi della scienza e della cultura. Naturalmente non saranno trascurati i temi relativi alla sicurezza. Nel mondo attuale un quarto della popolazione è immigrata, e questo fenomeno è legato a sua volta ad altri problemi: diffusione di malattie, povertà diffusa, criminalità. In Russia sono presenti circa 4 milioni di immigrati cinesi. Di questi sappiamo poco o niente. Ogni anno circa 10 milioni di immigrati russofoni raggiungono l’Ue, ma di questi, uno solo proviene dalla Federazione. Eppure sono considerati tutti russi! E non dobbiamo dimenticare i 10 milioni di rom sparsi in tutta Europa, che dopo secoli non sono ancora integrati nella popolazione europea. La sicurezza è un tema su cui dobbiamo trovare una cooperazione, le scelte unilaterali non pagano. Basti analizzare la situazione in Afghanistan. Da quando la NATO ha preso il posto della Russia nel controllo dei confini, la produzione di oppio è aumentata in maniera vertiginosa. Anche la Convenzione contro il terrorismo nucleare è stata sottoscritta da 107 Stati, ma solo 5 l’hanno ratificata e sarebbero state necessarie 22 ratifiche. Senza la cooperazione è insomma impossibile un’azione incisiva a difesa della sicurezza. Oggi tutto il mondo è allarmato per la situazione in Iran, ma non sono state prese misure riguardo all’azione USA in Iraq. È pertanto necessario che sia trovata una definizione a livello internazionale per i fenomeni di terrorismo, ed in questo Ue e Russia potrebbero già trovare un campo di dibattito e di azione. Purtroppo siamo sempre in ritardo di almeno quindici anni rispetto al mondo criminale, e se non verranno trovate nuove forme di cooperazione, questo gap non sarà mai colmato. Nel mondo esistono 1,3 milioni di persone che sono analfabete, un esercito sterminato di cui la criminalità si serve per assoldare le proprie reclute.
Pietro MARCENARO, Componente della Commissione Affari esteri nonché componente della parte italiana della Grande Commissione Italia-Russia. L’insieme delle relazioni tra UE e Russia si colloca all’interno di un più vasto contesto mondiale, interessato da collegamenti e interazioni tra i protagonisti istituzionali, economici e sociali. La complessità comporta allora di considerare tali relazioni non in modo isolato, bensì in maniera coordinata.
Lo scenario globale conosce un’incessante evoluzione, e la stabilità delle relazioni internazionali è messa continuamente in forse.
Alla crisi del sistema bipolare che, nel bene e nel male, aveva retto il mondo nel secondo dopoguerra, non è seguito un nuovo equilibrio.
In queste settimane siamo di fronte alla crisi di un’illusione: quella di potere affrontare in orgogliosa solitudine i nuovi problemi di governo del mondo che la globalizzazione da un lato e il terrorismo dall’altro pongono. Ma se l’unilateralismo è in crisi e spinge tutti – a partire dall’amministrazione USA – a cercare nuove vie, è necessario avere ben presente quanto incerta, ardua, e costellata di difficili problemi, sia la strada del multilateralismo.
È in questo quadro che si colloca il rapporto tra Russia e Unione Europea.
È questione al tempo stesso di valori e di interessi: l’Europa non dispone e non disporrà da sola del peso sufficiente per un rapporto paritario con gli Stati Uniti. Solo un nuovo equilibrio multipolare, che veda la crescita e l’affermazione di una pluralità di soggetti economici e politici, e un conseguente bilanciamento dei poteri, è la condizione realistica di un nuovo multilateralismo. Di questa possibilità sono condizioni essenziali sia lo sviluppo dell’Europa come soggetto politico, sia l’affermazione della Russia come protagonista economico e politico sulla scena mondiale. Condizioni entrambe tutt’altro che acquisite o consolidate. E tuttavia la politica dell’Italia muove da queste convinzioni, e anche per questo assegna un così grande rilievo strategico allo sviluppo del partenariato e della cooperazione tra Russia e Unione Europea.
Abbiamo già detto quale sia l’importanza dell’affermazione dell’Unione Europea come soggetto politico dotato di poteri e competenze effettive.
Com’è noto, l’esito negativo dei referendum sul Trattato costituzionale in Francia e Olanda ha aperto una lunga fase di riflessione sul futuro dell’Europa. Inoltre il processo di allargamento già realizzato da un lato, i nuovi ingressi che diventeranno operativi in un breve volgere di tempo, come quelli di Romania e Bulgaria, dall’altro, sono destinati a produrre novità significative.
Lo stesso dibattito sugli ulteriori allargamenti dovrebbe interessare gli interlocutori russi: quali sono i possibili effetti dell’eventuale allargamento alla Turchia o all’area balcanica? E fino a che punto la dilatazione fino al limite massimo della dimensione territoriale è compatibile con una effettiva integrazione e con la costruzione di un soggetto capace di una azione politica unitaria?
In altri termini, quale UE si misurerà con i partner internazionali, a partire proprio dalla Russia? Si tratterà di una UE i cui processi decisionali sono riconducibili ad un unico indirizzo politico, oppure no? Una UE che procede ancora con il metodo dell’unanimità nel Consiglio per la maggior parte delle questioni, oppure no? Una UE che si muove ancora secondo il metodo del “dittatore benevolo” (per usare un’espressione di Fitoussi) oppure in cui si è radicato e realizzato il criterio della responsabilità politica e della sovranità popolare alla base del patto istitutivo? Sarà un’Europa capace di confrontarsi operativamente con gli Stati membri e i loro Parlamenti per un’applicazione condivisa del principio di sussidiarietà?
Questi interrogativi, intorno ai quali ruota la qualità della costruzione politica europea, riguardano in primo luogo i cittadini europei e le risposte più efficaci che possono essere date alle loro domande e ai loro problemi. Ma essi riguardano al tempo stesso, com’è evidente, il resto del mondo: la costruzione di un nuovo soggetto politico europeo è, infatti, uno dei tasselli che può contribuire ad un governo più efficace del nuovo mondo nel quale viviamo.
Anche per lo sviluppo della cooperazione tra Russia e Unione Europea avranno un rilievo importante le decisioni che, in coincidenza col turno di presidenza tedesca che parte nel 2007, saranno prese a proposito della Costituzione Europea. Sarebbe importante per la Russia avere come interlocutore un’Unione Europea alla quale fossero riconosciute dai Paesi membri competenze in materia di politica estera, di difesa, e anche di politica economica.
D’altronde
questo favorirebbe l’espressione di una strategia comune dell’insieme
dell’Unione Europea per quanto riguarda le relazioni con
In questa cornice credo che valga la pena di accennare a quali siano le prospettive dei rapporti tra UE e Russia. L’agenda che esse hanno in comune è davvero straordinariamente ampia per quantità e qualità. Commissione europea e governo russo hanno istituito non meno di 40 gruppi di dialogo bilaterale su specifici ambiti d’intervento.
Del
resto la stessa dimensione dell’ambasciata russa a Bruxelles, tra le più grandi
ambasciate russe nel mondo, con diplomatici ed esperti su ogni questione
concernente il processo di integrazione europea, testimonia quale sia
l’importanza che
D’altra parte alcuni dati sono da soli sufficienti a chiarire quale sia, per entrambi i soggetti, l’importanza della cooperazione: due terzi del petrolio e gas russi sono esportati in Europa, circa un quarto dei consumi di energia dell’UE dipende dalla Russia. L’UE è il più importante partner d’affari della Russia, contando su più della metà del commercio estero della Russia e della maggioranza dei suoi investimenti esteri.
La
Russia intende essere un partner importante, su un piano di pari dignità con la
UE, e persegue specifici e concreti interessi (oltre a quelli strettamente
economici, ci sono, ad esempio, quelli relativi alla libertà di movimento nella
UE dei propri cittadini). E tuttavia
Per un’Unione Europea che considera quello dei valori e delle regole un campo essenziale, questa situazione può avere determinato l’insorgere di preoccupazioni e difficoltà, nonostante i grandi interessi economici e strategici – a partire dall’esigenza di garantirsi gli approvvigionamenti energetici necessari – nel consolidare i rapporti di collaborazione.
La
principale base giuridica delle relazioni bilaterali tra l’Unione europea e
L’Accordo, che fissa i principali obiettivi comuni, copre le seguenti aree:
· commercio e cooperazione economica;
· cooperazione nel campo delle scienze, dell’energia, dell’ambiente, dei trasporti e in altri settori civili;
· dialogo politico;
· giustizia e affari interni.
L’Accordo istituisce in particolare un dialogo politico regolare a diversi livelli, prevedendo vertici semestrali a livello di Capi di Stato e di Governo, consigli di cooperazione annuali a livello ministeriale, comitati di cooperazione a livello di alti funzionari ogni qual volta sia necessario. Inoltre, è stato istituito un comitato parlamentare misto tra membri del Parlamento europeo e della Duma russa che si incontrano su base regolare.
UE e Russia hanno poi adottato nel 2005 quattro road maps, una per ognuno degli spazi comuni già individuati nel 2003 (spazio economico; libertà, sicurezza e giustizia; sicurezza esterna; ricerca e istruzione).
Vogliamo rilevare l’importanza delle decisioni adottate nel 2005: attraverso di esse Russia e UE hanno scelto di affrontare quello che molti osservatori e studiosi avevano descritto come uno stato latente di difficoltà, caratterizzato da un divario eccessivo tra la retorica delle dichiarazioni finali dei summit e la capacità di affrontare e risolvere con reciproca fiducia e capacità di comprensione gli aspetti concreti delle loro relazioni.
Si è parlato a più riprese di una contraddizione tra una posizione dell’UE più attenta alla coerenza dei principi e dei valori, e di una posizione russa più sensibile al piano degli interessi e orientata alla realpolitik.
Con l’intesa del 2005 UE e Russia tendono a superare questa polarizzazione e ad individuare e mettere in pratica, tra valori e interessi, un nuovo equilibrio.
È su questa base che è stato possibile sottoscrivere nello scorso mese di maggio a Soci gli accordi sul regime dei visti e sul rimpatrio dei clandestini, e realizzare una maggiore convergenza sul tema delle forniture energetiche che pure aveva costituito materia di polemica nelle settimane precedenti.
L’implementazione delle road maps è il terreno sul quale è possibile costruire su basi più solide il rinnovo dell’Accordo di partenariato e di cooperazione, la cui scadenza è fissata a partire dal novembre 2007. Il confronto su questo rinnovo - che è già cominciato – sarà al centro nel prossimo futuro dei rapporti bilaterali. Il nuovo accordo sarà senz’altro volto a fissare obiettivi ancor più ambiziosi per le relazioni UE-Russia.
Dai
dati ad oggi noti emerge che
La definizione di un quadro per le relazioni UE-Russia dopo il 2007 è stato tra l’altro affrontata anche in occasione di un incontro svoltosi il 17 marzo 2006 fra il Presidente della Commissione, Barroso, e il Presidente della Federazione russa, Putin. L’incontro, che si è svolto nella prospettiva del G8 di San Pietroburgo, si è focalizzato in particolare sugli aspetti della sicurezza energetica, che costituisce una delle priorità della presidenza russa del G8.
Di questi aspetti dovrà evidentemente tenersi conto in vista del rinnovo dell’accordo tra UE e Russia.
Una
variabile esterna di grandissimo rilievo che influisce fortemente sulla
prospettiva della cooperazione tra UE e Russia è costituita dall’ingresso della
Russia nel WTO, il cui esito si è prolungato più di quanto previsto nel 1993.
Il ritardo ha costituito un freno per lo sviluppo delle relazioni commerciali
tra UE e Russia, forse posponendo così a tempo indefinito le trattative sulla
creazione di un’area di libero scambio, uno degli obiettivi più ambiziosi
previsti dall’ACP.
Certo
se il rinnovo dell’Accordo di partenariato e cooperazione potesse avvenire,
essendo chiari da un lato le decisioni dell’Europa per quanto riguarda
Cari colleghi, care amiche, cari amici, queste due giornate di lavoro e di reciproca conoscenza costituiscono un’occasione importante. Il dialogo e il confronto sono la via per avviare la soluzione di molti problemi, soprattutto quando il dialogo interessa direttamente i parlamenti, ovvero la sede propria della rappresentanza popolare, in cui si radicano le rispettive culture, esperienze e valori.
DIBATTITO
Liubov SLISKA, Vicepresidente della Duma di Stato nonché Presidente della parte russa della Grande Commissione Italia-Russia. La produzione di oppio è una tragedia incombente sul mondo. Le nostre posizioni non sono spesso così distanti da quelle europee di quanto potrebbe sembrare a prima vista. È più difficile dialogare con gli USA, che vorrebbero imporre condizioni capestro alla Russia per l’accesso al WTO. Anche la Georgia sta ostacolando il nostro accesso all’organizzazione.
Volevo inoltre chiedere al signor Caracciolo da dove ha preso i dati in base ai quali dalla Transnistria proverrebbe il 50% delle armi destinate in Africa.
Lucio CARACCIOLO, Direttore della rivista italiana di Geopolitica Limes., Secondo le fonti NATO, il 70% delle armi presenti in Africa proviene dalla Transnistria.
Serghey GLOTOV, Vicepresidente del Comitato di Stato per il Regolamento e l’Organizzazione del lavoro della Duma di Stato nonché componente della parte russa della Grande Commissione Italia-Russia. Vorrei fare una domanda all’onorevole Marcenaro. Lei dice che la Federazione russa non vuole entrare nell’Unione Europea e seguire tutte le norme. Io vorrei citare alcuni dati. Nel 2005 l’interscambio tra la Russia e l’Unione Europea era a 59 milardi di dollari, nel 2004 era a 125 miliardi di dollari e adesso è di 159. Quindi c’è stata una crescita europea. Per quanto riguarda l’Unione Europea, il 50 per cento delle esportazioni riguarda l’Unione Europea, e la Russia occupa il terzo posto dopo gli Stati Uniti e la Cina nell’interscambio con l’Unione Europea. Però non è che ci attendono proprio a braccia aperte nell’Unione Europea, noi bussiamo alla porta ma non ci aprono.
Una domanda al professor Lucio Caracciolo. Prof. Caracciolo, Lei sostiene che la guerra fredda condiziona ancora i rapporti tra Russia ed Europa. Tuttavia grandi progressi sono stati compiuti dalla stipula del primo trattato di cooperazione. L’interscambio ha compiuto dei progressi incredibili. La guerra fredda sarebbe un retaggio nei confronti dei rapporti tra Russia ed Italia? Dal passato che Lei ha citato sembrerebbe proprio di no. Semmai, potrebbe giocare un ruolo negativo nei rapporti tra Russia e Germania. Ma non si tratta piuttosto di retorica, che di politica? E come giudica, Lei, il posizionamento di missili in Polonia da parte della NATO? La NATO si sta avvicinando sempre più alle nostre frontiere.
Pietro MARCENARO, Componente della Commissione Affari esteri nonché componente della parte italiana della Grande Commissione Italia-Russia.La Russia è un Paese bifronte, proteso sia nei confronti dell’Europa che nei confronti dell’Asia. Non deve integrarsi nell’Ue, non è in atto nessun programma di allargamento. Pertanto i rapporti vanno instaurati sulla base del realismo, il dialogo deve porsi dei limiti e, soprattutto, deve essere il più pragmatico possibile.
Alexander FOMENKO, Componente del Comitato per la cultura della Duma di Stato nonché componente della parte russa della Grande Commissione Italia-Russia. La guerra fredda può risultare un ostacolo solo se ne conserva la mentalità. Oggi si è sviluppata un’intesa cordiale tra Francia, Germania e Russia, Paesi che una volta erano su fronti opposti. Anche se dal punto di vista geografico l’Europa - come ha detto Paul Valery - è una sorta di istmo nel continente europeo, dal punto di vista culturale e politico è molto di più da duemila anni. Purtroppo l’Europa di Bruxelles dimentica spesso la propria missione religiosa, ma non si può rispettare gli altri senza rispettare la propria cultura, le proprie origini. Sergio Romano ha chiamato il suo libro La pace perduta, e possiamo riordinare questo caos solo comprendendo che il mondo può essere unito solo se molteplice. Non siamo nel 18° secolo, non siamo nel 900, dobbiamo lasciar perdere l’Illuminismo, l’idea di creare un’unica unità, ma riconoscere il pluralismo nella prassi religiosa, nella prassi economica, che esiste nei paesi non occidentali. In questo senso, la posizione molto ponderata dell’Italia per quanto riguarda la situazione dell’energia atomica dell’Iran è proprio la testimonianza del fatto che voi riconoscete questo pluralismo culturale. Vorrei dire che sono d’accordo con il signor Caracciolo, sul fatto che sta crescendo il ruolo dei paesi della vecchia Europa dopo l’allargamento dell’Unione Europea; ma il fatto è che i paesi poveri dell’Europa, dell’Unione Europea, erano poveri anche prima dell’adesione, anzi lo erano anche prima della seconda guerra mondiale. La loro povertà non era legata al socialismo o al capitalismo, ma ad una complesso di cause. Forse dobbiamo riconoscere che la cultura definisce la politica e la politica definisce l’economia e non viceversa. Oggi quindi si può immaginare una leadership a livello globale solo se detenuta da una molteplicità di soggetti. Per quanto riguarda invece la Transnistria, l’OSCE non ha trovato prove del contrabbando di armi, e comunque la popolazione, che ha votato la secessione dalla Moldova, non percepisce i dividendi di questo traffico. Dopo il riconoscimento dell’indipendenza del Kosovo, deve arrivare anche quello della Transnistria. Vi sono crisi regionali che si stanno trascinando all’infinito perché non si vuole riconoscere l’evidenza dei fatti. Lo stesso vale per il Nagorni-Karabah. Non si possono contrastare simili eventi e qualsiasi tentativo di rimediarvi è un fallimento. Sono fatti che hanno avuto luogo, e basta.
Iacopo VENIER, Componente della Commissione Affari esteri nonché componente della parte italiana della Grande Commissione Italia-Russia. Darei il benvenuto ai nostri ospiti. Riprenderei un concetto espresso dal Presidente Tremonti per iniziare questa riunione, che è una riunione interparlamentare su cui noi vogliamo investire molto e che ha una caratteristica di grande utilità. Proprio perché parlamentare, consente infatti di rappresentare una pluralità di voci, di posizioni e di opinioni, e ovviamente non impegna. L’altro invito che accolgo volentieri è quello della nostra copresidente, che ci ha invitato ad essere molto chiari ed espliciti nel riferire le nostri opinioni su un tema che io non fatico a dire storico. Siamo in una nuova fase delle relazioni internazionali: dentro questa fase, la relazione tra Europa e Russia deve entrare in una nuova dimensione. Noi abbiamo conosciuto storicamente diverse relazioni tra l’Europa e la Russia. È giusto ricordare, come ha fatto Caracciolo, che non si può prescindere da quello che è stato l’evento che ha cambiato la geopolitica mondiale: la fine dell’Unione Sovietica. Per esempio, per una parte del mondo politico, non solo italiano, si ricordava la storia del partito comunista italiano: chiaramente Mosca e la Russia, si sono rivelate un punto di riferimento o di confronto, e le relazioni tra i nostri popoli sono state anche mediate, costruite, istruite da associazioni di amicizia, alcune delle quali si sono trasformate, ma hanno saputo trovare nuove motivazioni e restare uno dei canali di relazione culturale tra il nostro paese e la Russia. Oggi siamo in un momento, lo diceva già il collega Marcenaro nella sua relazione, in cui si discute sulla possibilità di dichiarare conclusa, o comunque di trovare un’alternativa, a quella nuova guerra che si è aperta dopo la fine della guerra fredda e che ha avuto la sua accelerazione profonda dopo l’11 settembre di cinque anni fa. Io credo che dal punto di vista russo non si possa non vedere come negli ultimi anni gli Stati Uniti, e in parte anche l’Unione Europea, abbiano compiuto atti nei confronti della Federazione russa sicuramente da non considerare amichevoli, o comunque di considerare discutibili, nella costruzione di quella partnership strategica, ovvero, di nuova relazione tra gli Stati Uniti e la nuova Russia. In questo senso io credo che noi dobbiamo riflettere sul concetto di sicurezza globale, e su come questa non possa che venire da una nuova fase del multipolarismo. Sia l’Europa che la Russia, io credo, si stanno interrogando su come essere adeguati in una fase che veda la trasformazione dell’Europa in un soggetto politico. Questo nuovo multipolarismo dovrebbe a nostro avviso concludere la fase dell’unipolarismo, che ha visto la crisi della struttura fondamentale del governo mondiale, ovvero le Nazioni Unite. Dico questo perché credo che anche noi come parlamentari dobbiamo esplicitare la nostra prospettiva entro cui vediamo la costruzione dell’Europa. Noi abbiamo un compito come italiani, quello appunto di costruire un continente - l’Europa - che abbia una relazione positiva, ma anche dialettica, con i principali partners che abbiamo intorno a noi. Oggi discutiamo con la Russia, ma certamente per l’Italia anche la relazione con il Medio Oriente o con l’Africa, sono fondamentali. Liberarsi dai retaggi della guerra fredda significa anche pensare come l’Europa, la Russia, la Cina, l’India, ovvero i grandi protagonisti della nuova fase della globalizzazione, possano trovare un nuovo equilibrio, in alternativa ad un confronto aggressivo per il controllo delle risorse, e fornendo un nuovo stimolo e fondamento alla creazione di un nuovo diritto internazionale. Io credo che questo sia un compito che noi abbiamo e vada declinato poi nella concretezza delle discussioni che avremo domani come sul tema dell’energia, dove la partnership tra Europa e Russia, non solo tra venditori e compratori di energia, ma più in generale tra due soggetti che devono essere parte di un mercato stabile dell’energia mondiale, non possa che essere uno degli elementi di stabilizzazione del quadro internazionale.
Anch’io sono convinto che siamo alla vigilia di una nuova fase storica, con un nuovo assetto del mondo. La sicurezza in futuro avrà la sua base in un sistema multipolare.
Giulio TREMONTI, Vicepresidente della Camera dei deputati nonché Presidente della parte italiana della Grande Commissione Italia-Russia. Dai tempi in cui ho iniziato a presenziare i vertici G7-G8 in qualità di Ministro per l’economia, molte cose sono cambiate. All’inizio la Russia era semplicemente un partner audito. Oggi è un membro G8 a tutti gli effetti e quest’anno ha ospitato per la prima volta il G8 governativo. Si tratta di un passaggio fondamentale. Per quanto riguarda il WTO, trovo assurdo che sia presente la Cina e non la Russia. Far entrare la Cina alle condizioni attuali è stata una vera pazzia, ma visto che è stata compiuta, perché si vorrebbe escludere la Russia? L’Ue sta cercando una nuova dimensione dopo l’allargamento, ma difetta in dinamismo. In realtà, non è che il nostro continente sia riuscito a dominare il fenomeno della globalizzazione, ma è successo piuttosto il contrario. Manca ancora un assetto politico definitivo, l’Ue assomiglia ad un cantiere aperto.
II Sessione: Politiche delle risorse energetiche
Marilde PROVERA, Componente della Commissione Affari esteri e componente della parte italiana della Grande Commissione Italia-Russia.Come si è potuto sentire nella sessione di lavoro precedente, di questa 7^ riunione della “Grande Commissione Italia Russia”, il problema della sicurezza dell’approvvigionamento energetico e il possesso delle sue fonti sono un fatto determinante nelle strategie di un Paese, quindi anche dell’Italia e dell’Europa. In questi recenti anni, ed ancora ai giorni nostri, guerre economiche e militari si sono scatenate per garantire ad alcuni più possibilità di accesso alle fonti e renderne sicure le vie di collegamento delle stesse con i Paesi consumatori.
Sono convinta che un più alto ruolo della politica nel determinare i necessari giusti equilibri che garantiscano a tutti l’accesso alle risorse fondamentali per migliorare le proprie condizioni, e il giusto riconoscimento a tutti del valore dei beni detenuti e/o prodotti, possa essere una via che costruisce una possibilità di pacificazione dei popoli nel riconoscimento reciproco.
Le relazioni fra Italia e Russia possono diventare un passo in tale direzione.
Il petrolio e il gas resteranno ancora per diverso tempo le materie prime dalle quali l’Europa occidentale trarrà la maggior parte della propria energia. Come rilevato dall'Autorità per l’energia elettrica e il gas nell'ambito della relazione annuale sullo stato dei servizi e sull’attività svolta, lo scenario energetico internazionale continua ad essere caratterizzato da prezzi degli idrocarburi crescenti e molto volatili, e la domanda è ben lungi dallo stabilizzarsi e, tanto meno, dal diminuire.
Il prezzo del petrolio, da cui dipende il nostro sistema energetico, ha raggiunto quotazioni più che triplicate rispetto alla media degli anni novanta. Le tensioni sui mercati petroliferi internazionali, particolarmente accentuate nel corso del 2005, hanno interessato anche i primi mesi del 2006.
La “diplomazia delle pipeline” e la diversificazione delle fonti di approvvigionamento restano la strategia più sicura, ma la ricerca di una special relationship con la Russia resta indispensabile, come indispensabile è rilevare e convenire con la Russia anche su una politica di risparmi energetici mondiali e di diversificazione delle fonti di produzione energetica al fine di rendere il patrimonio di combustibili il più duraturo possibile e evitando di esasperarne i costi e contribuendo a realizzare gli obiettivi di tutela ambientale convenuti nel protocollo di Kyoto.
I prezzi alti e instabili dell’energia sono il principale rischio per la crescita dell’economia mondiale. Nell’anno in corso abbiamo assistito ad un’impennata dei prezzi degli idrocarburi dovuta, in particolare, a tali motivi:
§ Uragani abbattutisi sul Golfo del Messico nel 2005 che hanno fatto abbassare la produzione di petrolio;
§ Tensioni politiche in Iran e Nigeria, instabilità in tutto il Medio Oriente;
§ Contenzioso aperto dall’Ucraina verso la Russia;
§ Crescente fabbisogno energetico da parte di economie in forte ascesa (India e Cina).
L’Unione Europea è una delle aree che più è soggetta alle crisi di prezzo del petrolio o di un’imprevista interruzione del gas (la diatriba sul prezzo del gas che ha opposto Russia ed Ucraina ha dimostrato quanto gracile sia la possibilità di contare sul gas proveniente dall’Europa orientale con l’attuale rete di gasdotti). Bruxelles, però, dispone di scarsa capacità di manovra e di influenza su simili eventi. Gli stati europei agiscono ancora in ordine sparso sul mercato e la mancanza di precise competenze in materia impediscono all’Ue di mobilitare mezzi e strumenti adeguati. La diversità delle fonti di approvvigionamento resta ancora la migliore garanzia della sicurezza nelle forniture di gas e petrolio, anche se la sicurezza energetica dell’Unione non può fare a meno di una speciale relationship con il più importante esportatore di idrocarburi e di gas verso l’Europa: la Russia di Putin.
Una precisa iniziativa sulle questioni energetiche tra Italia e Russia può essere di stimolo a produrre più efficaci e stabili rapporti anche tra la Russia e l’insieme dell’Unione Europea, specie se si agirà in sintonia con le prime indicazioni che ne verranno.
Secondo il Libro Verde sulla sicurezza dell’approvvigionamento energetico, pubblicato nel 2001 dalla Commissione, la dipendenza energetica dell’Unione, da qui al 2030, può raggiungere il 70% (il 90% per il petrolio l’80% per il gas). Le preoccupazioni di Bruxelles sono principalmente due: come assicurarsi adeguate forniture energetiche nel lungo termine e come rispondere a improvvisi rialzi di prezzo delle materia prime energetiche.
L’Unione intende reagire in tre fronti. Il primo sta nel cercare di ridurre la propria dipendenza dalle importazioni, puntando sul risparmio e sull’efficienza energetica, sulla tecnologia per rendere più pulito l’utilizzo degli idrocarburi, sulla sicurezza degli impianti nucleari, sull’utilizzo di fonti energetiche alternative e rinnovabili, sul completamento di un vero e proprio mercato interno dell’energia. A questo proposito va richiamata con soddisfazione l’approvazione di una direttiva sull’efficienza energetica che aiuterà l’Europa a risparmiare energia e a ridurre la sua dipendenza dal petrolio. La direttiva richiede agli stati membri di risparmiare ogni anno, per 9 anni, almeno l’1% del consumo di energia dell’anno precedente. In futuro, pertanto, l’Ue sarà chiamata a tradurre in realtà sia la strategia di Lisbona, intesa a rendere più efficiente l’economia nel suo complesso, sia il rispetto ambientale fissato dal Trattato di Kyoto.
La seconda linea di condotta consiste in quella che si potrebbe definire “la diplomazia delle pipeline”: diversificare al massimo le fonti di approvvigionamento e rafforzare le relazioni con i paesi strategicamente più importanti per assicurare che siano realizzate le infrastrutture di trasporto del gas e del petrolio verso l’Europa.
La terza, infine, considerata la vulnerabilità dell’Europa verso possibili “shock” del prezzo del petrolio, consiste in una serie di proposte per aumentare la trasparenza del mercato e la capacità di prevedere i prezzi delle materie prime energetiche, e istituendo al tempo stesso un preciso meccanismo di reazione alle crisi di prezzo attraverso l’utilizzo coordinato delle scorte.
Resta irrinunciabile la necessità di una special relationship energetica con Mosca, perché la metà delle importazioni di gas naturale e un quarto delle importazioni petrolifere dell’Unione europea provengono dai giacimenti della Russia.
Bruxelles ha già istituito con Mosca, dal 2000, un dialogo permanente per affrontare alcuni temi che stanno a cuore a entrambi gli interlocutori: garantire la sicurezza della domanda e dell’offerta, sviluppare il risparmio energetico, razionalizzare la produzione e le infrastrutture di trasporto, rendere il contesto generale degli investimenti in Russia più trasparente, stabile e prevedibile per gli investitori europei, per i quali si prevede un ruolo di primo piano nei progetti di rinnovo delle infrastrutture di trasporto degli idrocarburi nel continente.
Al G8 di luglio, tenutosi sotto la presidenza russa, Putin ha posto al centro della discussione la sicurezza delle forniture energetiche, richiamando la necessità di una strategia che assicuri al mondo energia in modo affidabile e a prezzi ragionevoli. È stata inoltre sottolineata dalle parti l’esigenza che il settore energetico sia regolato dalle leggi di mercato, sia sviluppato il risparmio energetico, salvaguardato l’ambiente.
Le condizioni specifiche italiane sia di consumo che di posizionamento geografico, pongono il nostro Paese in una situazione di interesse primario nello sviluppo di relazioni energetiche con la Russia nel quadro delle indicazioni europee.
La tematica della sicurezza degli approvvigionamenti viene ripresa nel nuovo Libro verde pubblicato dalla commissione europea nel giugno 2005: Una strategia europea per un’energia sostenibile, competitiva e sicura[1] in un più ampio contesto rivolto a promuovere la concorrenza nel mercato interno e la compatibilità ambientale. Le strategie individuate dalla Commissione europea per affrontare la problematica si articolano su più fronti ed hanno un interesse specifico per i nostri 2 Paesi, specie nell’ottica del preservare le risorse primarie e l’ambiente:
1) riduzione del fabbisogno attraverso interventi di efficienza energetica;
2) sviluppo di fonti energetiche locali e delle rinnovabili;
3) ricerca e innovazione tecnologica nel settore energetico che possono vedere interessanti collaborazioni fra Italia e Russia;
4) diversificazione delle aree di importazione di fonti fossili;
5) istituzione di un quadro di riferimento adatto a promuovere gli investimenti nelle infrastrutture di approvvigionamento e fornitura dell’energia;
6) assunzione di strumenti di verifica della coerenza delle scelte energetiche dei singoli paesi membri con l’interesse generale e di sicurezza degli approvvigionamenti dell’Unione europea nel suo insieme;
7) adozione di efficaci strumenti di solidarietà tra i paesi membri per affrontare le emergenze;
8) attuazione di una politica esterna unitaria rivolta a un costruttivo dialogo con i paesi produttori e di transito dell’energia.
Come si sottolinea nel documento conclusivo dell’Indagine conoscitiva sulle prospettive degli assetti proprietari delle imprese energetiche e i prezzi dell’energia in Italia, approvato dalla X Commissione Attività produttive, commercio e turismo della Camera il 9 febbraio 2006 il settore energetico nazionale italiano appare ancora connotato da forti elementi di criticità sul piano della sicurezza degli approvvigionamenti.
Per quanto attiene al settore del gas naturale, la Commissione ha rilevato che nel nuovo scenario internazionale, caratterizzato da recenti turbolenze geopolitiche (come già ricordato:in Ucraina, Iran e Nigeria) che influenzano le dinamiche del mercato, il dato che emerge con maggiore evidenza è senz'altro la crescente e rilevante dipendenza del sistema energetico nazionale dagli approvvigionamenti di gas naturale. Ciò ci pone di fronte al problema della credibilità dei fornitori, cioè di come concretamente si possano avere le necessarie garanzie di stabilità delle forniture e dei prezzi. Questo è stato un grande problema nell’inverno 2005 a fronte delle turbolenze internazionali come quelle verificatesi tra la Federazione russa e l'Ucraina.
Il nostro Paese necessita, oltre alla costruzione, quanto mai urgente, di nuovi terminali di rigassificazione di gas naturale liquefatto (GNL), di un tempestivo adeguamento dei gasdotti internazionali, con particolare riferimento anche ai collegamenti con la Russia.
Dalla citata indagine conoscitiva è emerso che fra il 2005 e il 2013 il fabbisogno di importazione di gas aumenterà di circa 20 miliardi di mc, di cui 12 imputabili alla crescita della domanda e 8 derivanti dalla contrazione delle produzioni nazionali, e potrebbe anche rivelarsi superiore in ragione di una eventuale prosecuzione del fenomeno dell'export di elettricità.
Quanto alla prospettiva di medio periodo nel settore elettrico e del gas, la Commissione rileva che:
1) l'obiettivo è fare dell'Italia un vero e proprio hub del gas nel Mediterraneo, un'area di transito e non solo di consumo per le nuove forniture di gas provenienti dalle aree di produzione del Caspio, del Medio Oriente e del Nord Africa, destinate a soddisfare il fabbisogno crescente dell'Europa Centrale e Settentrionale, con tutti vantaggi conseguenti in termini di riduzione dei prezzi e sicurezza degli approvvigionamenti;
2) a tal fine è richiesto un quadro normativo e regolatorio stabile e certo, atto a rassicurare gli investitori circa la tempistica e i costi per la realizzazione delle infrastrutture, nonché l'attivazione di interventi di potenziamento della rete di trasporto, oltre che l’attivazione di nuove interconnessioni con gli altri paesi europei capaci di operare in controflusso (Sud-Nord).
Il governo italiano si è espresso in favore dell’ingresso di Gazprom nel mercato nazionale; infatti, sono in corso trattative tra l’azienda di idrocarburi russa e l’Eni, secondo la quale consentire l’accesso ai russi significherebbe favorire la concorrenza nel settore energetico. Secondo quanto riportato dalla stampa in questi giorni (Corriere della Sera del 13 settembre 2006) Eni e Gazprom starebbero per firmare un accordo storico che riguarderà “l’intera catena produttiva, dall’estrazione alla commercializzazione del petrolio, gas, elettricità. In sostanza, mentre dovrebbe essere concesso a Gazprom l’accesso al mercato italiano, all’ENI sarà permesso di impiegare le proprie tecnologie ed il proprio know-how nelle c.d. attività di upstream (esplorazione e produzione).
Per quanto riguarda il GASDOTTO RUSSIA-TURCHIA (BLUE STREAM)esso collega la Russia alla Turchia attraversando il Mar Nero. È stato realizzato da Gazprom, ENI e Botas (compagnia di stato turca) ed è stata inaugurato nel 2005. Rifornirà l’Italia meridionale di gas russo e sono previste derivazioni del tratto Turchia-Italia nei Paesi balcanici. La sua costruzione, come si sa, è stata avversata dagli USA, che desiderano assicurarsi tutte le pipelines dell’area caspica non russa alla Turchia.
Come si vede alcuni primi passi sono in atto. Come detto in premessa, una impegnata collaborazione fra i nostri due Paesi, attenta ai diritti umani e alla salvaguardia ambientale può segnare importanti sviluppi non solo economici ma anche di pace.
Serghey GLOTOV, Vicepresidente del Comitato per il Regolamento e l’Organizzazione del lavoro della Duma di Stato nonché componente della Grande Commissione Italia-Russia. Confidiamo in una prossima intesa tra ENI e Gazprom che possa assicurare all’Italia le forniture di cui ha bisogno e permettere alla nostra società statale di operare nel mercato italiano. Abbiamo sempre facilitato l’ingresso degli operatori italiani in Russia e siamo in grado di garantire questa cooperazione almeno fino al 2018. Davvero teniamo le porte aperte ai vostri operatori e vogliamo – come già accaduto in passato – operare insieme in progetti di esplorazione e sfruttamento (upstream). Anche il gasdotto che collega la Russia e la Turchia attraverso il Mar Nero è nato attraverso una joint-venture tra italiani e russi (Blue Strem). Non siamo affatto contrari alla partecipazione dell’Italia ai procedimenti estrattivi ed alla riparazione delle infrastrutture petrolifere. L’Ue, a differenza dell’Italia, sta chiudendo le porte alla Russia. Invece in Russia ci sono almeno 40 regioni che hanno rapporti diretti con l’Italia. La diffidenza economica è un retaggio della guerra fredda. La Russia mantiene sempre i suoi impegni, anche a costo di rimetterci economicamente.
DIBATTITO
Angelo COMPAGNON, Componente della Commissione Lavoro Pubblico e privato nonchè componente della parte italiana della Grande Commissione Italia-Russia. Anch’io ufficialmente saluto anche se lo abbiamo fatto ieri, i colleghi di questa commissione. Io volevo fare un intervento per quanto attiene all’energia sull’intervento di Glotov, ma anche in generale capire un po’ se questa commissione può effettivamente incidere sui problemi che stanno di fronte a noi, di fronte al nostro paese e alla Russia. All’inizio la Presidente Sliska aveva chiesto giustamente - io sono d’accordo – chiarezza perché una commissione come questa, essendo una Commissione parlamentare, evidentemente ha un ruolo diverso da quello del governo. Dalle prime due giornate abbiamo colto quanti siano i problemi che ci interessano e uniscono gli sforzi dei nostri paesi. Il problema dell’energia è legato alle problematiche che ieri sono state toccate ed abbiamo visto che Italia e Russia hanno - per aspetti anche diversi - punti d’incontro. Ieri, mi hanno colpito alcuni interventi dei colleghi russi rispetto all’immigrazione, alla criminalità, al problema della droga. Sono tutti problemi che abbiamo anche noi in Italia. L’integrazione è per noi in questo momento un problema grandissimo e si può constatare ogni giorno nel nostro paese, al di là del suo impatto globale. La criminalità è supportata spesso da un’integrazione non riuscita e da un’immigrazione malgestita. Si è evidenziato che fra di noi componenti di questa Commissione, indubbiamente e logicamente ci sono delle visioni diverse, veniamo da una culture e modi di intendere la politica differenti; però credo che il senso di responsabilità in questo caso debba prevalere e quindi tutti insieme dobbiamo ricercare il sistema di incidere veramente sui problemi che ci accomunano. Mi riferisco ad esempio all’intervento svolto ieri dal collega, che ha fatto un’affermazione molto precisa e allo stesso tempo preoccupante, circa le centinaia di migliaia di quintali di droga che stanno per entrare sul mercato mondiale ed europeo. L’affermazione, se non vado errato, è stata quella per cui se ci fossimo “noi” - era rivolto criticamente agli americani – su quei confini, questo non sarebbe successo o non succederebbe. Il problema delle alleanze è un problema delicato che sicuramente non compete a questa Commissione, però deve farci rendere conto che non ci possono essere posizioni che vadano a discapito della sicurezza dei nostri paesi. Un altro aspetto sottolineato ieri, rispetto al quale non ho sentito risposta, concernente lo sviluppo dei nostri paesi, è quello citato da Caracciolo per quanto attiene al Corridoio 5, quello che dovrebbe attraversare l’Europa ed arrivare a Kiev. Il Corridoio 5, come tutti i corridoi, come tutta la grande viabilità, è fondamentale per lo sviluppo dei paesi. Caracciolo aveva detto perché Kiev e non Mosca? Ora, consapevoli del fatto che i corridoi sono sinonimo di investimenti da parte dei paesi che percorrono questa scelta e credendo anch’io molto nel rapporto con la Russia, volevo sapere se questa proposta poteva essere presa in considerazione. Su questi aspetti si collega evidentemente anche il problema dell’energia all’ordine del giorno della seduta di oggi. Il tema dell’energia è per noi, diversamente dalla Russia un problema vitale, perché noi non abbiamo fonti energetiche, le dobbiamo acquistare. Qui in Italia è stata fatta la scelta dell’abbandono del nucleare; ora non entriamo o meglio io non entro nel merito se fosse giusto o sbagliato, mantengo la mia posizione, come ce l’ho adesso.
Per l’Italia anche se dalla Russia sono state date garanzie, il problema da risolvere è costituito dalla diversificazione delle fonti di approvvigionamento, diversificazione che non può avere che effetti positivi sui prezzi. L’Europa è in una fase di allargamento e, che come voi ben sapete, non ci vede d’amore e d’accordo su tutto. È stata allargata a 25 paesi, qualcuno dice in tempi giusti, qualcuno dice in maniera troppo affrettata, però mi pare che, al di là delle regole che l’Europa richiede per l’adesione, non prendere in considerazione la possibilità che un paese importante come la Russia non possa entrare nell’Europa mi pare una cosa veramente da non prendere neanche in considerazione. Magari avvenisse, perché il futuro è quello. Personalmente ritengo che se l’Europa deve essere un’Europa allargata non ci possono essere dei veti se non per motivi profondi e dimostrati. Io faccio un appunto che è mio personale: se c’è la possibilità che entri in Europa la Turchia, ed ho grosse perplessità che questo avvenga perché non ipotizzare un allargamento alla Russia? Voi capite chi metterei al primo posto per un’eventuale adesione. Tornando ai rapporti tra Italia e Russia Non nascondiamo che permangono difficoltà oggettive, forti.
I rapporti non sempre sono rapporti che producono risultati, però essendo noi spogliati dal ruolo di governo potremo in qualche modo, con grande equilibrio e responsabilità, magari affrontando i problemi anche in maniera diversa rispetto all’ufficialità che sempre accompagnano questi incontri, cercare di andare veramente fino in fondo. Io sono neofita di questa Commissione, come del Parlamento, e non so negli anni passati quante volte questa Grande Commissione annualmente si incontrava. Ho colto però che in effetti ci sono molti punti di incontro con alcuni di voi, e c’è grande responsabilità e volontà di affrontare realisticamente i problemi ferme restando le nostre posizioni e i nostri ruoli. Io auspico e questo è il senso del mio intervento, che può essere un po’ uscito dal tema specifico dell’energia, o quanto meno non ha toccato soltanto l’energia, io auspico che veramente dai lavori della Grande Commissione si possano trarre le utilità maggiori nell’interesse dei nostri paesi.
Nikolay KONDRATENKO, Componente del Comitato per le Questioni agrarie della Duma di Stato, nonché componente della parte russa della Grande Commissione Italia-Russia. Gentili colleghi, gentile Presidente, gentile onorevole Compagnon, un terzo dell’umanità soffre soprattutto, secondo i dati dell’ONU, per la mancanza di proteine. Senza proteine le donne non possono partorire e i bambini non crescono. Ma di questo problema si parla poco. Tutti gli altri problemi rispetto a questo non sono così importanti. La soluzione è legata alla conservazione dell’uomo sulla terra e di tutto ciò che c’è di vivo sulla terra. Tutte le questioni sono collegate, c’è una interdipendenza, nessuno può dire che non esiste il problema della produzione di energia, non vorrei che voi pensaste che vorremmo solo trovare lo sbocco per il nostro gas, per il nostro petrolio, che è stato un dono di Dio per noi. Bisognerebbe dire che una delle culle della civiltà, cioè l’Italia, ha solo il 3-5 per cento del proprio petrolio e solo il 14 per cento del gas. Potremo noi sopravvivere solo aiutandoci reciprocamente.
Per quanto riguarda gli idrocarburi, certo non basteranno a lungo e quindi dobbiamo trovare altre fonti di energia. Ma le spese per un chilowatt di energia, per le energie alternative, sono molto più alte rispetto alle centrali nucleari. Non potremo quindi secondo me rinunciare all’energia nucleare ed anche per quanto riguarda il sapere scientifico, non sono al momento state scoperte altre fonti di energia. L’energia nucleare comunque è stata già utilizzata dall’uomo, vogliamo e dobbiamo seguire anche questa strada, delle centrali nucleari. Al tempo stesso bisogna cambiare tante cose nel mondo, dobbiamo garantire che non ci saranno più le guerre, dobbiamo avere la garanzia che il mondo sia giusto e che sia sconfitto il terrorismo.
Ma io vorrei soffermarmi sull’interdipendenza tra l’energia e le proteine e sul destino dei contadini. Io lavoro da 50 anni nell’agricoltura in una delle regioni più avanzate da questo punto di vista, e la crescita continua dei prezzi dell’energia è un fattore negativo, soprattutto per l’agricoltura. L’uomo ha bisogno di pane, carne, uova, e qualsiasi crescita del prezzo dell’energia riguarda poi anche il prodotto finale e rende la produzione agricola in molti paesi poco efficace. Talvolta non vale la pena di produrre. Devo dire che nel nostro paese non c’è un’attenzione adeguata a questo problema, spesso anzi c’è un’attenzione pari a zero. E’ la terza volta che vengo in Italia, e guardo sempre con attenzione la situazione dei contadini in Italia. Anche da voi, il governo, il Parlamento, non sanno affrontare in modo giusto il problema della produzione dei prodotti alimentari: se c’è un peggioramento delle condizioni di vita del contadino è una tragedia nazionale. Se diminuisce la produzione agricola, è una tragedia nazionale. Voi tutti capite benissimo che senza prodotti alimentari noi non possiamo andare avanti. Se tutti i contadini devono vivere tenendo conto dei prezzi dei prodotti energetici mondiali, la maggior parte di essi morirà, non potrà sopravvivere.
Abbiamo diritto di ridurre i volumi della produzione agricola? un terzo delle persone abitanti del mondo soffre la fame. No, assolutamente. Non abbiamo il diritto di fare la produzione geneticamente modificata, perché i bambini non crescono bene con tali prodotti. Noi invece è proprio in questa strada che stiamo andando. Volevo distribuire del materiale che avevo, ho parlato all’Assemblea parlamentare dei dodici paesi del Mar Nero, perché Mar Nero e Mediterraneo sono vicini e i problemi sono abbastanza vicini a voi. Ho parlato lì, appunto, e volevo distribuire il materiale in modo che sia chiara la situazione della produzione alimentare sia nel nostro paese che nel vostro. Se prendiamo i dati statistici dobbiamo notare che ogni governo dovrebbe trovare un meccanismo adatto per il proprio paese per risolvere il problema della produzione degli alimenti: noi non possiamo assolutamente ridurre tale produzione altrimenti ci costerà molto caro. Avete ricevuto queste tabelle, avete visto quale è la produzione per ettaro, in ogni tipo di territorio, ad esempio in base a quante piogge vi sono, abbiamo visto questi due grafici, le curve del grafico.
Bisogna difendere i contadini, quest’attività risente negativamente di diversi fattori, che vanno dai cambiamenti climatici alle politiche adottate. Non va dimenticato che finché ci sarà agricoltura ci sarà benessere. Concludo dicendo che i rapporti fra i nostri due popoli, comunque, non possono che essere positivi, dal momento che ci sono molte affinità di carattere. Ma in Europa dovete imparare a rispettarci, perché non vogliamo essere umiliati.
Domenico BENEDETTI VALENTINI, Vicepresidente della Commissione Affari costituzionali nonché componente della parte italiana della Grande Commissione Italia-Russia. Voglio ringraziare sentitamente l’on. Kondratenko sia per il contenuto del suo diffuso intervento, sia per la passione coniugata, peraltro, con grande buon senso. Tra l’altro, l’On. collega ci ha ricordato (solo un’analisi affrettata può considerare il suo intervento fuori tema) che sulla produzione agricola si scaricano sempre i costi che provengono da altri settori, come quello industriale e principalmente quello energetico. Inoltre mi permetto di dire che il tema riguarda – sia pure fatte le debite dimensioni – tutti i paesi del nostro pianeta. Personalmente ritengo che in Italia in particolare, chiunque andrà al governo, dovrà risolvere tre problemi principali: l’approvvigionamento energetico, il rientro dal debito pubblico ed una quota significativa di produzione agricola. Quindi, come vede, onorevole collega, lei è in buona compagnia nel sostenere questa tesi. Io dico paradossalmente che si fa finta di governare se non si affrontano e risolvono in buona misura questi tre formidabili problemi. Ma lei è stato gradevole nella sua relazione, perché ha aperto in qualche modo anche una finestra culturale e ideologica alle nostre riflessioni, che potrebbero coinvolgere tutti i variegati settori delle nostre due autorevoli delegazioni. Per quanto attiene alla mia esperienza personale, posso solo che si rischia di veder scomparire la cultura dell’olivo, uno dei prodotti più tipici del nostro Paese ed uno degli elementi base della nostra alimentazione.
III Sessione: Politiche sociali di fronte alla sfida demografica
Massimo LIVI BACCI, Professore di Demografia presso l’Università di Firenze.Vorrei esprimere l’auspicio, prima di cominciare il mio intervento, che venga formata una Grande Commissione Italia-Russia anche al Senato. Tra circa 40 anni, la quota della popolazione europea su scala mondiale scenderà al 7%. Il ciclo di espansione demografica dell’Europa è quindi in netto calo. Basti considerare che nel XX secolo, nonostante le guerre, la popolazione era salita da 400 milioni (inizio del Novecento) a 550 milioni (1950). La popolazione è quindi salita da 550 a 700 milioni nella seconda metà del secolo scorso. Senza l’apporto dell’immigrazione, la popolazione europea scenderà fino a 600 milioni nel 2050, in una generale diminuzione della natalità (questo si registra in particolare nei Paesi del Mediterraneo, quali l’Italia e la Spagna. Anche la Russia segue questo trend e la sua popolazione sta diminuendo sensibilmente). È ipotizzabile che la popolazione russa possa scendere a 100 milioni nei prossimi venti anni. L’Italia in futuro assisterà ad una netta diminuzione della popolazione di età compresa tra 20 e 40 anni, la più importante dal punto di vista della produzione.
Il tema che oggi introduco è un tema tecnico e politico insieme, e vorrei ricordare che l’Europa, ed io parlo qui dell’Europa dei testi di geografia della mia infanzia, era un’Europa che andava dall’Atlantico agli Urali, si diceva allora, ma la potremmo far arrivare fino a Vladivostok senza nessun problema. L’Europa ha conosciuto un ciclo di crescita che inizia con la rivoluzione industriale, e che ha portato le popolazioni del continente a moltiplicarsi per cinque volte, più o meno, nei duecento anni trascorsi. È un ciclo che, ricordo, ha visto crescere l’importanza e il peso demografico dell’Europa fin dall’inizio del secolo scorso. Alla vigilia della prima guerra mondiale l’Europa contava per il 28 per cento all’incirca della popolazione mondiale, nel 1950 il peso sulla popolazione mondiale era sceso al 23 per cento, oggi è intorno al 13 per cento. Se le previsioni delle Nazioni Unite si avvicineranno alla realtà, tra 44 anni, nel 2050, il peso dell’Europa dovrebbe essere ridotto al 7 per cento. Questo ci dimostra anche il fatto che non solo il ciclo di espansione demografica dell’Europa si è spento negli ultimi anni, ma anche che questo trend continuerà nel futuro e che il suo peso nella popolazione e nello scenario mondiale è in fortissima diminuzione.
Ricordo anche che nella prima metà del secolo scorso, tra il 1900 e il 1950, nonostante due guerre mondiali, nonostante le perdite subite dalle popolazioni europee, nonostante la grave crisi e la grave carestia in Unione Sovietica degli anni trenta, la guerra civile e le sue stragi in Spagna, nonostante lo sterminio degli ebrei e dei rom, la popolazione del continente era aumentata di un terzo, da 400 a 450 milioni, e di un altro 40 per cento, di un altro terzo, diciamo da 500 milioni a 730 milioni, è aumentata negli ultimi 50 anni, nel secondo cinquantennio del ventesimo secolo. Se guardiamo di nuovo al futuro, sappiamo che qualora non vi fosse una robusta immigrazione nel continente la popolazione europea diminuirebbe dai 730 milioni di oggi ai 600 milioni nel 2050. Queste cifre ci danno l’idea della grande rivoluzione che si sta compiendo e che si è compiuta nel nostro Continente.
Un altro fenomeno caratterizza l’Europa, che per secoli è stata – come dire – esportatrice di risorse umane, grosso modo dal momento della scoperta dell’America fino alla metà del secolo scorso: a partire dagli anni settanta diventa invece paese, continente, di importazione di risorse umane, diventa continente di immigrazione. Un enorme cambiamento che si è cominciato a produrre sottilmente negli anni settanta e che oggi è diventato un fenomeno di massa. Questo è un altro fenomeno da tenere presente, che condiziona il nostro presente e condizionerà il nostro futuro. Quali siano le cause di questo rallentamento prima, e di questa inversione di tendenza della popolazione europea, dopo sono note a tutti. Io, in questa sede, le ricordo solo di passaggio: la causa principale, come sapete, è la forte diminuzione della natalità, diminuzione che ha radici storiche, ma nella seconda metà del secolo scorso si è avuto un ulteriore declino, mentre all’indomani della seconda guerra mondiale o nei decenni successivi alla seconda guerra mondiale tutti i paesi europei avevano un equilibrio dal punto di vista riproduttivo, il numero di figli per coppia o per donna superava i due, quei due necessari per sostituire una generazione con quella successiva.
A partire dagli anni settanta, diciamo dove prima, dove dopo, grosso modo, è andata producendosi una forte diminuzione della natalità. In questa forte diminuzione della natalità l’Europa mediterranea, e quindi l’Italia, è purtroppo all’avanguardia. Ma non si tratta solo di Italia e di Spagna, anche la Germania e anche altri paesi europei come la Russia, i colleghi lo sanno molto bene, ha seguito purtroppo questa tendenza e oggi i livelli riproduttivi della Russia sono grosso modo simili a quelli dell’Italia. Questa diminuzione delle nascite si riflette ovviamente e gradualmente nell’afflusso dei giovani nel mondo del lavoro, e la società sta mutando radicalmente la sua struttura per età. Infatti non è solo il problema della riduzione della popolazione, è che questa riduzione avviene con uno stravolgimento, una rivoluzione nella struttura per età. Questo comporta quindi un fortissimo invecchiamento, fortissimo sbilanciamento nelle strutture per età. Vi faccio un piccolo esempio numerico che riguarda il nostro paese. Nei prossimi vent’anni la popolazione più produttiva del paese, quella che tra venti e quaranta anni, a cui si affida l’innovazione del dinamismo economico, le nuove conoscenze, le nuove tecnologie e anche la riproduzione, dal momento che sono i venti-quarantenni che poi fanno i figli, diminuirà di circa un terzo. Ovvero passera, in cifre assolute, da 16 milioni e mezzo a 11 milioni e mezzo. Nello stesso tempo aumentano fortemente gli anziani, tutti noi siamo estremamente consapevoli di questo fenomeno e allora questo ci porta ai tre grandi problemi sociali attuali del nostro continente, (la Russia, oltre a questo, ne ha un quarto, che è il problema dell’altissima mortalità soprattutto tra gli uomini).
Il primo dei tre grandi problemi che ho citato, è quello della natalità, oggi estremamente depressa. Vi si deve fare fronte cercando politiche sociali che in qualche modo allevino il costo dei figli per la tipica coppia, con incentivi fiscali, con i bonus, con trasferimenti, ma anche con altri provvedimenti che non necessariamente tocchino le casse dello Stato. Il secondo grande problema è l’immigrazione, questo è forse il problema dei problemi. Il grande mutamento sociologico in Europa del ventunesimo secolo è l’afflusso migratorio, forse di questo fenomeno i colleghi amici russi ancora non si sono resi completamente conto nel loro paese, ma certamente l’Europa strutturalmente sta diventando paese di immigrazione e non potrebbe essere altrimenti.
Il terzo problema è ovviamente la riforma dello stato sociale. I paesi dell’Europa occidentale hanno creato sistemi di protezione sociale, di previdenza sociale, con regole abbastanza generose a partire dagli anni cinquanta e sessanta, e si poteva essere generosi in quel periodo di forte crescita economica, di demografia relativamente giovane, nel senso che erano molti quelli che affluivano nelle forze di lavoro e che quindi potevano pagare contributi alle casse dello Stato, ma erano pochi quelli che ne ricevevano i benefici perché gli anziani erano pochi, i titolari di pensione erano pochi, il sistema sanitario era meno esteso di oggi, era un periodo nel quale si potevano costruire sistemi generosi. Ma questi sistemi generosi si sono trovati alle strette quando la demografia ha cambiato le carte in tavola. Se la qualità della vita si deteriora, il paese non può che avere dei problemi. E questo riguarda anche i paesi ricchi. Siamo abituati anno dopo anno a guadagnare in aspettativa di vita, perfino si sente dire che potremmo diventare tutti centenari: spero che questo non avvenga, ma se avverrà, può avvenire solo conservando qualità di vita, livelli di vita e livelli di sistemi sanitari molto efficienti e inclusivi. La nostra lunga aspettativa di vita nei paesi occidentali si deve a sistemi sanitari che, pur criticabili quanto si vuole, sono inclusivi, sono aperti a tutti, hanno una qualità media molto alta e quindi ci permettono di prolungare la nostra vita. Se si entrasse in una lunga crisi economica, se si entrasse in una lunga lotta per accaparrarsi le scarse risorse dello Stato e se i sistemi sanitari non venissero adeguatamente finanziati, l’aspettativa di vita diminuirebbe anche nei paesi ricchi. Aggiungo poi, sotto il fronte del futuro dell’immigrazione, che dovrà essere considerato è il problema delle seconde e delle terze generazioni e dell’integrazione: ricordo che far venire immigrati è una cosa relativamente semplice anche perché arrivano per conto loro, anche se noi mettiamo le barricate, ma integrare le seconde e le terze generazioni non è un fatto naturale. È un fatto che necessita di risorse. L’immigrato apporta ricchezza ma necessita di risorse per la sua integrazione. Questo è punto non tecnico, ma politico, che mi sento di porre all’attenzione di voi tutti.
Nikolay KOVALEV, Presidente del Comitato per le questioni dei reduci e veterani della Duma di Stato nonché componente della Grande Commissione Italia- Russia. Grazie, signor Presidente, signore e signori. L’intervento che mi ha preceduto mi ha fatto pensare che il mio intervento, praticamente, può ridursi dopo questa premessa a due tesi. La prima tesi – come ha detto Kondratenko – è che la causa della situazione demografica del mondo è l’assenza di proteine. Potremmo chiudere la questone se tutto fosse così semplice, ma tutto invece è estremamente complesso e complicato, e tutte le tendenze che caratterizzano la catastrofe demografica in Russia sono caratteristiche anche per i paesi dell’occidente. Tutti i problemi che abbiamo noi li avete anche voi, nostri colleghi; e lo dico avendo un atteggiamento particolare per l’Italia. Noi amiamo l’Italia, siamo innamorati di questo popolo estremamente cordiale e i problemi che noi incontriamo li vorremo risolvere insieme con voi. Alcuni esempi: un unico gruppo interparlamentare che esiste da dieci anni è proprio il nostro gruppo, la Grande Commissione Italia-Russia: non esiste nel mondo un altro esempio come quello della nostra Commissione. Questa è una bellissima notizia però ci obbliga a lavorare molto. I problemi demografici, come ha detto il professor Livi Bacci, sono molto complessi, sono molteplici e nessuno sa come risolverli: una serie di professori, di specialisti in demografia, lavorano in questo ramo, ma le soluzioni non ci sono, nessuno le ha trovate. Ecco perché in Russia esistono adesso alcuni progetti nazionali annunciati dal presidente Putin, e la Duma di Stato ha cominciato a elaborare le leggi per questo programma. Alcune leggi sono già state approvate. Quali sono i nostri scopi? Prima di tutto l’aumento della natalità, quindi il miglioramento della salute della popolazione.
Come possiamo raggiungere tale scopo? Solo grazie alla politica della casa, la casa per tutti, accessibile a tutti. Gli specialisti di demografia parlano di un indice statistico della natalità: per i paesi occidentali questo indice è molto preoccupante. Per esempio in Germania e in Giappone è 1,4; in Italia, Grecia e Russia 1,3; noi, l’Italia e la Russia, a parte le differenze di territorio e delle condizioni di vita, per quanto riguarda l’indice di natalità siamo allo stesso livello; in Polonia questo indice è di 1,2, ancora più basso. La Cina merita un discorso a parte. Vorrei raccontare cosa mi ha detto un cinese quando sono stato in Cina: “Sapete perché nel mondo bevete una bottiglia in tre? Perché il quarto è un cinese!”. In Cina questo indice supera tre volte quello europeo. Quindi le previsioni per il futuro certo non sono molto positive: nel 2005 la popolazione della Germania da 82,4 diventerà 73,6 milioni, in Giappone da 127,4 fino a 99,9 milioni, in Spagna da 40,3 a 35,6 milioni.
Io spero che in Italia queste previsioni siano sbagliate, perché le cifre che riguardano l’Italia, su questo documento, non sono granché positive. Certo la popolazione di un paese non dipende solo dalla natalità, ma anche dall’immigrazione, dalla durata della vita, dalle prospettive di vita. In Russia, per esempio, abbiamo la nostra specificità: l’alcolismo, le malattie veneree, la povertà diffusa, una forte immigrazione. Purtroppo non c’è per ora nulla di buono da sperare. Il presidente della Russia ha più volte parlato di questo argomento, sottolineando che la Russia perde circa un milione di suoi cittadini all’anno, una cifra che ci fa rabbrividire. I nostri dati statistici dicono che nei primi quattro mesi di quest’anno la popolazione è diminuita ancora di 200 mila unità, un calo quasi fisiologico, e queste persone sono morte non perché erano anziane! Secondo l’opinione degli esperti internazionali, per il 2050 la quantità della popolazione in Russia diminuirà fino a 111 milioni di persone. Quindi gli esperti prevedono la diminuzione della durata della vita fino a 38 anni: questa catastrofe richiede misure eccezionali. Nei paesi occidentali forse le prospettive non sono così catastrofiche, però certo non possiamo essere ottimisti neanche lì. Come uno specialista di demografia ha detto, i bambini non sono di moda in Europa: il calo di natalità, la denatalità, si sentono anche tra la popolazione giovane, piena di vita, piena di forze. Uno specialista americano sottolinea che, proprio a causa della denatalità, la popolazione invecchierà sempre più velocemente, i consumi si ridurranno, ci saranno mancanze di forze lavoro, non ci sarà più la base di tassazione per lo Stato, bisognerà ridurre il sistema pensionistico e alzare l’età della pensione. Tutti noi dobbiamo pensare e riflettere di fronte a queste previsioni, perché riguardano la maggioranza dei paesi del mondo. Rispetto all’Europa, negli Stati Uniti, per esempio, i dati sono migliori: 2,1 è l’indice di natalità per coppia, però, se vediamo più in profondità, anche questo indice non è granché positivo, perché per gli americani bianchi e per gli afroamericani l’indice è più o meno uguale (1,9). L’indice medio cresce grazie agli ispanici, e quindi grazie a loro, gli USA sono sulla soglia di cambiamenti etnici e culturali notevoli. Invece in Europa la voglia di far nascere i bambini si riduce. Quali sono le cause? Le cause sono collegate soprattutto al livello, alla crescita della civiltà e della democrazia. Io pronuncio questa frase e inorridisco. La crisi demografica è legata alla civiltà e alla democrazia. Infatti gli esperti citano l’egoismo di una persona che ha un certo livello di vita materiale, per cui è più importante fare carriera, sposarsi tardi, ecc.. Ci sono poi molti divorzi, l’emancipazione delle donne, l’uso dei contraccettivi. Tutti fattori che non vanno nella direzione di una maggiore natalità. Paradossalmente, le donne che si trovano in condizioni umane più difficili partoriscono di più e nonostante la povertà, le prospettive di malattie dei bambini, continuano a partorire. Le tesi che sentiamo sono queste: bisogna avere tanti bambini, ma non bisogna preoccuparsi di ogni bambino: Allah gli ha dato la vita, Allah li farà vivere, e poi, se vorrà, li riprenderà; forse con questo si spiega la calma a noi incomprensibile, la calma delle madri dei kamikaze palestinesi, kamikaze che vanno a morire per un mito. Se nella famiglia c’è un bambino solo, come nella maggioranza delle famiglie europee, allora quali sono le possibilità di far crescere la natalità? Mi sembra che queste possibilità non ci siano, perché si dice che gli stipendi sono bassi, le tasse sono alte, i bambini non si fanno perché costano troppo. Un livello alto di welfare non contribuisce alla crescita della natalità. Si deve anche considerare che prima si cercava di fare più bambini, che poi nella vecchiaia avrebbero aiutato i genitori (così era in Russia una volta): adesso invece a questo dovrebbe pensare lo Stato. Per conservare un bilancio in ordine, allora tutti noi dovremo accettare un flusso migratorio dagli altri paesi, legale o illegale che sia. Ma questo è un argomento di un’altra discussione molto ampia. Volevo solo dire che la presenza degli immigrati porta delle conseguenze estremamente negative, perché la maggioranza di questi immigrati si sentono come ospiti, si sentono in modo temporaneo su questo territorio e da qui nascono tante conseguenze negative.
Molto brevemente, in Russia naturalmente, potrei individuare tre gruppi che hanno un certo comportamento demografico. Primo: la classe media. La classe media che vive a Mosca, o a San Pietroburgo e che ha un modo di vita occidentale. Queste persone vorrebbero prima di tutto fare carriera, aver successo e quindi pensare alla creazione della famiglia. Finiscono cos’ spesso per non avere figli. Secondo tipo: famiglie povere, cittadine. Non stanno molto bene economicamente, vorrebbero avere bambini ma non possono averli perché non potrebbero nutrirli. Terzo tipo: popolazione rurale. Soprattutto nella parte del Sud della Federazione russa, la natalità è superiore alla mortalità, perché la psicologia della visione della povertà e della ricchezza è diversa. Nelle regioni del Caucaso, secondo le tradizioni, le famiglie, anche se povere, comunque preferiscono far nascere bambini che poi aiuteranno la famiglia. Dei tre gruppi citati, quello più numeroso è il secondo, la popolazione povera: i cittadini, che vorrebbero avere bambini ma non possono averli, anche se hanno un alto tasso di istruzione.
Volevo dire inoltre alcune cose sulla Germania, la cui situazione conosco abbastanza bene. Quando, nella seconda metà del ventesimo secolo, la Germania ha risolto il problema della mancanza delle forze lavoro grazie all’immigrazione dalla Turchia, dall’inizio i tedeschi e la loro elite politica erano soddisfatti. La prima generazione degli immigrati si è adattata alle esigenze della società tedesca, si è integrata benissimo in questa società. La seconda generazione ha fatto lo stesso, invece la terza e quarta generazione si sono chiuse, hanno dimostrato la loro competitività in alcune branche dell’economia e hanno deciso di vivere secondo i costumi del loro paese. Questo ha provocato la reazione tedesca. Adesso, infatti, in Germania c’è lo slogan: “Germania per i tedeschi”. Questo certo fa nascere problemi socio-culturali che attendono tutti nel prossimo futuro e richiederanno risorse, sia politiche che finanziarie, per risolverli. Non abbiamo nessun altra strada, non abbiamo nessuna scelta, siamo assolutamente condannati a dover risolvere questo problema.
Vorrei ora ritornare al tema della cooperazione internazionale. Cosa dobbiamo fare? Aumentare la fiducia reciproca, perché da noi la popolazione dice a noi deputati che non si può per esempio collaborare con gli americani e anche con gli europei: è estremamente difficile, perché la Russia viene continuamente ingannata, ci promettono una cosa e poi queste promesse non vengono mantenute. Adesso c’è la tesi, in Russia, che l’America non sia un partner strategico, che abbia solo i compagni di strada, insieme a questi compagni di strada gli americani raggiungono alcuni scopi per poi lasciarli da parte e proseguire per la loro strada. C’è questa tesi e noi, nella nostra vita politica, dobbiamo tenerne conto. Allora vorrei che tutti noi ci facessimo una domanda: “Perché, per esempio, non abbiamo ancora trovato un’unica definizione del terrorismo?” Non possiamo andare avanti nella lotta al terrorismo se ciascun paese ha una propria definizione. Perché non riusciamo ad elaborare un unico ordine di arresto, perché le persone che hanno rubato i soldi in Russia vivono tranquillamente all’estero e non sono obbligate a restituire il maltolto? Queste le domande che io vi pongo, sono le domande che a noi pongono i nostri concittadini, quando noi parliamo della cooperazione strategica con l’Europa, o parliamo di una casa comune con l’Unione europea. Dobbiamo quindi elaborare dei criteri comuni, per esempio, per la concessione dell’asilo politico. Gli esperti dell’Unione Europea avevano proposto di compilare entro il 2010 un elenco di terzi paesi nei confronti dei quali non sia possibile chiedere il diritto di asilo. Questo per arrivare a degli accordi-quadro per unificare la legislazione, e stabilire un concetto comune di democrazia. Secondo me non possiamo aspettare tanto, le circostanze ci costringeranno ad agire molto prima e la Federazione russa è pronta ad agire insieme con l’Europa, e tanto più con l’Italia.
Roberto MARONI, Componente della Commissione Affari esteri nonché componente della parte italiana della Grande Commissione Italia-Russia. Un saluto ai colleghi della delegazione russa e un ringraziamento al Presidente Tremonti che ha voluto incaricarmi di svolgere questa relazione sulla situazione del welfare state in Italia e in Europa, alla luce delle interessanti informazioni e analisi che il professor Livi Bacci ha fatto qui oggi. In effetti, negli ultimi decenni in Italia e in Europa ci sono stati grandi cambiamenti dal punto di vista sociale. In primo luogo si è verificata quella che viene definita la rivoluzione demografica, con la crisi della natalità e l’invecchiamento della popolazione, ed a questa si è aggiunto un rallentamento nello sviluppo economico. Il mix di questi tre fattori ha determinato per tutti i Governi europei la necessità di rivedere il sistema di protezione sociale, passando da quella che molti studiosi hanno definito la golden age alla silver age, cioè da una situazione in cui a tutti i cittadini veniva garantita ogni prestazione sociale senza badare ai costi, in tema di sanità, in tema di pensioni, in tema di sostegno economico, ad una età d’argento, diciamo così, in cui i governi vogliono continuare a garantire ai propri cittadini il massimo dei livelli di prestazioni, ma tenendo conto anche dei costi che queste prestazioni hanno. Tutto ciò ha determinato una serie di riforme che i vari governi hanno messo in campo a partire dagli anni novanta e anche un intervento dell’Unione Europea.
Ogni riforma comporta naturalmente delle difficoltà per i governi, dei costi in termini politici, e tutto ciò è aggravato e reso ancora più pesante dal fatto che su queste materie, pensioni, politiche sociali, immigrazione, l’Europa, l’Unione Europea non ha una competenza specifica ma la competenza rimane ai singoli governi. Questo permette ai governi forse di definire meglio il proprio intervento, ma li rende più responsabili nei confronti dei propri cittadini elettori e rende più difficile ogni riforma. In questi settori, in particolare, l’Europa si limita a definire quello che si chiama “il metodo di coordinamento aperto” cioè suggerisce, propone agli stati membri degli interventi lasciando loro però la responsabilità. È vero che ha definito un modello sociale europeo descritto in una serie di libri verdi, quello sulla crisi demografica, quello sul lavoro, quello sull’inclusione sociale, ma la responsabilità alla fine rimane dei singoli governi. Non c’è dubbio che su questi temi tutti i governi, di qualunque colore essi siano, si devono confrontare, noi l’abbiamo fatto nel governo che è durato per cinque anni nella precedente legislatura, abbiamo fatto le analisi e abbiamo anche suggerito delle proposte, delle proposte. Queste possono cambiare, possono piacere o non piacere, ma sulla necessità di fare degli interventi credo che anche il governo attuale non possa non essere d’accordo. Su questi quattro argomenti in particolare si è concentrata l’attenzione di tutti i paesi europei e anche dell’Italia. Un mercato del lavoro che non era efficace, efficiente, e che quindi comportava esclusione sociale, un sistema previdenziale che non era più sostenibile sul piano finanziario, un sistema di welfare di politiche sociali che doveva essere più orientato, da una parte, a sostenere la natalità, e, dall’altra, a fare i conti con chi, a causa del notevole invecchiamento della popolazione, non era più in condizione di badare a se stesso.
Tutto il tema della non-autosufficienza, ovvero delle persone che non sono più sufficienti a se stesse e che per l’età non hanno più una famiglia che può badare a loro, e, infine, il tema citato dal collega Kovalev, l’immigrazione. Su questi quattro capitoli noi abbiamo effettuato anche degli interventi di riforma molto importanti e molto costosi dal punto di vista politico, ma assolutamente necessari. Si discute in questi mesi, con un nuovo governo, una nuova maggioranza, se siano riforme da modificare, da, cioè, abrogare, da sostituire con altre. Naturalmente la responsabilità è loro, legittima, del governo e della maggioranza, ma credo che le motivazioni per cui il governo precedente ha effettuato queste riforme siano ancora valide. Per quanto riguarda le politiche del lavoro, al di là delle ricette date, il tema che pone l’Europa è quello di coniugare flessibilità e sicurezza, ovvero saper creare quella che con un termine inglese si chiama flexsicurity, e che consiste nel garantire maggiori opportunità ai giovani ma anche ai lavoratori anziani, quelli che hanno più di cinquant’anni, nonché nel garantire sicurezza sociale in termini di sanità, di sostegno, quando si perde il posto di lavoro, e soprattutto un trattamento economico adeguato quando il lavoratore va in pensione.
Tema collegato a questi è la lotta al lavoro nero. L’Italia è purtroppo in cima alla classifica negativa del lavoro nero in Europa, subito dopo la Grecia. L’OCSE calcola che in Italia ci sia circa un 30 per cento del prodotto interno lordo sottratto all’economia reale, circa 400 miliardi di euro ogni anno. E una ricchezza sottratta al paese che, se fosse recuperata, potrebbe servire proprio per finanziare sistemi di sicurezza sociale. Non è facile combattere il lavoro nero, ma questa è stata una delle priorità del governo precedente e sono lieto che sia anche naturalmente una priorità del governo attuale. Sul sistema previdenziale, qualunque siano le soluzioni, l’obiettivo che pone l’Unione Europea e che la rivoluzione demografica pone all’Italia è uno solo: come aumentare l’età pensionabile. Si può fare su base volontaria, offrendo un sistema di incentivazione al lavoratore, si può fare in modo obbligatorio portando il limite dell’età in cui si va in pensione da 60 a 65. Si può decidere che l’età pensionabile delle donne, che in Italia è più bassa di quella degli uomini, venga alzata, visto che le donne vivono più a lungo degli uomini, almeno in Italia, e non si capisce perché, qualcuno potrebbe dire, hanno la possibilità di andare in pensione prima. Ma al di là di questo, il tema su cui ci stiamo esercitando è come alzare l’età pensionabile, visto che nei paesi occidentali, in Europa e in Italia, fortunatamente assistiamo ad un innalzamento della aspettativa di vita, come ha detto Livi Bacci, che per le donne è di 83 anni e per gli uomini di 77.
Sulle politiche sociali, come ho detto, gli argomenti di riflessione sono due: il sostegno alla natalità e le politiche a sostegno della non-autosufficienza per gli anziani. Sotto il primo profilo, sono tanti i motivi per cui si fanno pochi figli: la carriera – come ha detto il collega Kovalev –, le condizioni economiche, il lavoro precario, la mancanza di una casa. L’Italia, insieme agli altri paesi europei, ha speso molto in politiche di sostegno alla natalità, anche se poi i risultati non sono stati immediatamente percepibili: l’indice di natalità (1,3) è ancora molto basso. Il sostegno alla natalità è comunque la strada da seguire, per fare questo bisogna però avere risorse a disposizione: se si vogliono dare soldi a chi fa figli, come fa il governo francese o come ha fatto il governo italiano, bisogna avere risorse a disposizione e in un momento di crescita debole questo è il problema numero uno. Quanto alle politiche a sostegno della non autosufficienza per le persone che, andate in pensione a 60-65 anni, vivono fino a 80-85-90 anni, bisogna considerare che tali persone hanno problemi ed esigenze diverse rispetto alle persone attive, ma soprattutto problemi ed esigenze nuove rispetto a quelle che la società italiana ed europea era abituata ad affrontare fino a pochi decenni fa.
Infine, l’immigrazione. Tema molto vasto, molto complesso, molto impegnativo su cui si danno e si sono date risposte diverse, spesso viziate anche da un atteggiamento ideologico. Le questioni sono due. La prima, come garantire una lotta vera alla immigrazione clandestina, una lotta efficace soprattutto per quei paesi che, come l’Italia, sono facilmente accessibili dal Mediterraneo per i paesi del Maghreb e dell’Africa nel suo complesso. La seconda, come garantire a quei cittadini extracomunitari che vengono in Italia e in Europa la massima integrazione possibile nella società. Il raggiungimento di tale obiettivo è complicato anche da differenze culturali, religiose, che non sempre rendono agevole l’integrazione, ma noi crediamo ed abbiamo creduto, e l’abbiamo anche messo come principio nella legge di riforma sull’immigrazione, che il primo strumento per garantire l’integrazione nella società sia un lavoro regolare. Pertanto, abbiamo subordinato l’ingresso di cittadini extracomunitari in Italia all’ottenimento di un regolare contratto di lavoro. Questo può rendere complicato il processo di verifica, ma garantisce il massimo dell’integrazione sociale.
Questi sono i temi su cui la riflessione in Italia è avvenuta e continuerà anche nei prossimi mesi. Concludo riprendendo il tema iniziale: il ruolo dell’Europa. Oggi l’Europa fa da giudice nei confronti dei paesi membri, li stimola, li corregge, dà indicazioni ma non fa da arbitro regolatore. Ogni paese è responsabile delle proprie politiche e, io credo, e non solo io naturalmente, che fino a che l’Europa non raggiungerà uno stadio maturo di evoluzione politica, cioè non sarà in grado di fare ciò che nei paesi federali i governi federali fanno, ogni Paese non sarà in grado di dare una risposta efficace a questi problemi. Mi auguro che il rapporto tra l’Unione Europa e i singoli paesi, tra l’Unione Europa e la Russia, possa evolvere proprio in questa direzione anche se sono piuttosto pessimista sul fatto che si possa fare in tempi molto brevi.
DIBATTITO
Nina OSTANINA, Vicepresidente del Comitato per le Questioni delle donne, della famiglia e dei bambini della Duma di Stato nonché componente della Grande Commissione Italia-Russia. La situazione nel nostro Paese è gravissima. A fronte di un brusco calo delle nascite, si assiste ad una crescita delle morti per vari motivi. Le famiglie non possono o non vogliono permettersi più di un figlio. Fino a poco tempo fa, la crisi demografica era compensata dai flussi migratori provenienti dalla Bielorussia e dell’Ucraina (c.d. “riserva russa”), ma oggi anche questi flussi si stanno esaurendo, lasciando la Russia alle prese con un problema sempre più grave. Come se ciò non bastasse, dobbiamo affrontare il problema dei bambini cosiddetti non voluti, o bambini orfani, che produce o può produrre il commercio illegale di bambini. Dal 2001, circa 65.000 bambini sono stati portati via della Russia, ma noi abbiamo posto più volte in seno alla Duma la questione del controllo dell’educazione dei bambini nelle famiglie all’estero. Non accettiamo inoltre che all’estero si facciano un’immagine distorta del nostro Paese come è successo con la Romania, un Paese dove esiste il commercio dei bambini. Credo che negli accordi bilaterali debba essere inserita una clausola di controllo sulla vita dei bambini adottati!
Marilde PROVERA, Componente della Commissione Affari esteri nonché componente della parte italiana della Grande Commissione Italia-Russia. Io penso che il problema demografico non sia tanto legato a un fatto di quantità, ma a un problema di qualità della vita; se guardiamo il fenomeno storicamente, vediamo che la capacità demografica di un paese tende a crescere quando migliorano le condizioni interne della vita. L’Italia, è stato ricordato anche dai miei colleghi e dal professor Livi Bacci prima, continua a porsi problemi riguardo la riforma pensionistica. Siccome tra nove anni il problema della riforma pensionistica pubblica sarà di per sé concluso, perché automaticamente passeremo dal vecchio regime retributivo al nuovo regime contributivo, e cominceremo ad avere un altro problema, che sarà costituito dalla nuova povertà di chi andrà in pensione con pensioni estremamente più basse rispetto ad oggi. Lo Stato italiano si dovrà quindi porre un problema di sostenere, di aiutare persone che avranno poche risorse per continuare a vivere. Questo peggiorerà complessivamente la situazione di tutto il paese e abbasserà, lo vedremo, così come è successo in tutti gli altri Paesi, la durata della vita di una persona, dal momento che gli mancheranno le risorse.
Liubov SLISKA, Vicepresidente della Duma nonché Presidente della parte russa della Grande Commissione Italia-Russia. Questi temi saranno ripresi nella prossima riunione. Ringrazio dell’accoglienza ricevuta e colgo l’occasione per invitare lei, Presidente Tremonti, a compiere una visita in Russia secondo le modalità che riterrà più opportune. Vorrei inoltre sollecitare il Parlamento italiano a ratificare tre trattati internazionali stipulati con la Russia ed a cui noi attribuiamo grande valore: l’ Accordo sulla cooperazione nella lotta alla criminalità; l’Accordo sugli studi della lingua italiana in Russia e della lingua russa in Italia; il Protocollo sulla cooperazione nel settore della conservazione dei beni culturali.
Roma, 5 dicembre 2006
5 dicembre 2006
Apre i lavori l’Alto Rappresentante per la parte italiana, on. Valentina Aprea.
Care Colleghe e Colleghi,
è per me un grande onore ed un sentito piacere porgervi oggi il benvenuto al III Seminario parlamentare italo-turco, portandovi i saluti del Presidente della Camera dei deputati, Fausto Bertinotti, e degli altri deputati incaricati di seguire le iniziative di cooperazione tra le nostre due Assemblee legislative.
Saluto quindi la delegazione turaca, per la quale sono presenti gli onorevoli Zeynep KARAHAN USLU, Taner YILDIZ, Fatma SAHIN, Mehmet Faruk BAYRAK e Mehmet Ziya YERGOK.
Il Presidente della Camera ci ha infatti designato a questo delicato incarico e l’intenzione è quella di lavorare al meglio in questi anni per poter proseguire lungo il cammino fin qui intrapreso. Ciò tanto più in una fase quale quella attuale, in cui il processo di adesione della Turchia all’Unione europea è giunto ad una fase cruciale ed i rapporti tra i nostri due Paesi necessitano di uno slancio ancora maggiore e di una attenzione profonda sui temi di maggiore rilievo in tale contesto.
L’Italia sente una particolare vicinanza con la Turchia, culla di storia e di civiltà, luogo di incontro e dialogo tra culture e religioni diverse, ancor più in un momento storico quale quello attuale in cui abbiamo sempre maggiore consapevolezza dell’importanza di tale interscambio.
A partire dalla sigla del Protocollo e dallo svolgimento del primo Seminario, organizzato nel giugno 2005, questa sede di confronto e di approfondimento sta contribuendo sempre più ad un proficuo e concreto slancio alle relazioni parlamentari tra l’Italia e la Turchia, nella direzione di una loro crescente intensità e stabilità.
Il Protocollo si caratterizza infatti per la rivendicazione della centralità dell’istituzione parlamentare e per l’affermazione della comune fede nei valori di libertà, democrazia e tolleranza, nonché per il richiamo alla prospettiva di adesione della Turchia all’Unione europea. Sul piano operativo, esso si propone di favorire lo scambio di esperienze ed il rafforzamento del dialogo politico, la formazione di posizioni convergenti presso le Assemblee internazionali, lo sviluppo della cooperazione euromediterranea, ma anche lo scambio periodico di funzionari e studenti e l’organizzazione di iniziative culturali ed artistiche, con particolare riguardo al miglioramento della conoscenza reciproca tra le giovani generazioni.
I due Seminari italo-turchi finora svolti hanno posto in rilievo il significativo contributo che tali forme di interscambio possono offrire all’ulteriore consolidamento dei già eccellenti rapporti bilaterali esistenti tra Italia e Turchia.
Sempre più diffusa è la consapevolezza del ruolo fondamentale che la diplomazia parlamentare può svolgere, quale strumento atto a promuovere lo scambio di opinioni e di esperienze, anche attraverso il rafforzamento del dialogo tra le diverse culture. Ad una “richiesta di rappresentatività” che emerge con sempre maggiore forza nei diversi settori, si sta rispondendo con un reale consolidamento della dimensione internazionale dei Parlamenti. Al tempo stesso, proprio l’aumento che si registra in tali attività, sta contribuendo al rilancio ed all’ammodernamento delle funzioni delle nostre istituzioni rappresentative ed a forme più marcate di aggregazione su base regionale.
In tale contesto, è quanto mai positivo il fatto che le stesse relazioni parlamentari tra l’Italia e la Turchia siano divenute nel tempo sempre più intense e costanti, sul piano bilaterale come su quello multilaterale. Sul piano multilaterale, le delegazioni italiana e turca si incontrano regolarmente presso le Assemblee del Consiglio d’Europa, della NATO, dove la Turchia svolge attualmente la funzione di Vicepresidente dell’Assemblea, della UEO e dell’OSCE, nonché presso la più recente Assemblea parlamentare euro-mediterranea, nel cui ambito la Camera dei deputati ha la presidenza della Commissione sociale e culturale. Dal punto di vista bilaterale, vi è un proficuo scambio di visite e vivaci e frequenti incontri tra le omologhe Commissioni parlamentari per gli affari esteri e quelli europei.
Accanto a questa numerose sono state le iniziative – anche sul versante governativo, economico e culturale – volte a promuovere sedi di confronto e di approfondimento su temi di interesse comune, nella direzione di un sempre maggiore rafforzamento delle relazioni tra l’Italia e la Turchia.
Tra queste vorrei ricordare due eventi cui sono di recente intervenuta ed in cui è emersa - ancora una volta - la stretta attività di cooperazione e di interscambio in atto tra i nostri due Paesi: il 10 ottobre scorso, ha avuto luogo il Secondo Tavolo geografico sulla Turchia, promosso ed organizzato dal Ministero degli Affari esteri, che ha riunito i più alti esponenti del Governo italiano, l’Ambasciatore della Turchia in Italia ed il nostro Ambasciatore in Turchia, insieme ad imprenditori, rappresentanti dei Dicasteri, degli enti di promozione culturale e commerciale.
Successivamente, l’8 novembre 2006 ha avuto luogo il Forum Italia-Turchia, in cui è stato ricordato tra l’altro il Cento Cinquantesimo anniversario delle relazioni tra i nostri due Paesi ed a cui erano presenti, per la Turchia, il Ministro degli esteri della Turchia Gul e l’onorevole Uslu e, per l’Italia, il Ministro degli esteri D’Alema ed il Ministro delle comunicazioni Gentiloni .
In tutte queste sedi sono stati evidenziati unanimemente i legami che uniscono i nostri due Paesi. In questo quadro, vorrei ad esempio ricordare il crescente interscambio che si è registrato tra l’Italia e la Turchia, a partire dal 2000, nel volume globale degli scambi economici e l’importanza primaria svolta dal settore culturale nelle relazioni bilaterali tra i nostri due Paesi. La stessa partecipazione della Turchia alla missione UNIFIL in Libano, dopo la crisi dello scorso agosto, costituisce un importante elemento di comune sentire nel contesto internazionale ed è a tutti noti l’importante posizione stabilizzatrice della Turchia nella regione medio-orientale. Al tempo stesso, la stessa Europa è ormai consapevole si poter avere un futuro se saprà essere potenza di pace nel Mediterraneo.
L’intenzione oggi è quindi quella di rendere sempre più stabili e forti le relazioni parlamentari tra le nostre due Assemblee legislative, di approfondire le numerose questioni di comune interesse, nonchè di rafforzare i vincoli di amicizia tra Italia e Turchia instaurando un solido rapporto di collaborazione professionale e personale.
I temi che abbiamo individuato insieme per questo Terzo Seminario parlamentare sono tutti accomunati della volontà di rendere i nostri Paesi più vicini su temi di cruciale rilievo per la società, promuovendo forme strutturate di dialogo e di interscambio e la realizzazione di iniziative concrete. Il tema della società dell’informazione, ad esempio, può essere inteso nelle sue varie sfaccettature e manifestazioni, ma è innegabile la sua funzione di “rendere più vicini” i popoli tra loro, anche se non confinanti geograficamente, oltre che i cittadini con la società e con le istituzioni. Iniziative come l’e-learning vanno ad esempio in tale direzione ed in questa sede potremo fermarci a ragionarci ed a discuterne insieme. Lo stesso possiamo dire per l’interscambio commerciale – che necessariamente passa da una conoscenza ed una collaborazione reciproca sotto il profilo culturale – così come il settore delle politiche energetiche e della sicurezza dell’approvvigionamento.
Su tutti questi aspetti l’auspicio è di poter lavorare, partendo da questa sede di confronto, con sinergia e determinazione per raggiungere l’obiettivo di una piena interrelazione – in tutti i campi - tra i nostri due Paesi anche in vista dell’adesione della Turchia nell’Unione europea.
Il nostro Paese è infatti convinto che l’entrata in Europa potrà rappresentare un fondamentale elemento di arricchimento dal punto di vista culturale della sicurezza della regione. La Turchia è infatti legata all’Europa sin dal 1963, quando ad Ankara fu firmato l’accordo di associazione con l’allora esistente Comunità Economica Europea. La Turchia fa altresì parte della NATO sin dal 1952. E’ dunque più di mezzo secolo che le prospettive di sicurezza e sviluppo della Turchia sono inserite nel quadro dell’integrazione euro-atlantica. L’inestricabile intreccio delle civiltà mediterranee ne fa una componente essenziale della realtà geopolitica europea.
Certo, la fase attuale vede qualche rischio di rallentamento in sede comunitaria: proprio ora occorrerà quindi dimostrare un forte impegno su una serie di settori e questioni ritenuti prioritari, compiendo gli ultimi ma importanti sforzi richiamati dall’Unione europea. Non va quindi dimenticato che l’obiettivo è vicino ed è nostra intenzione – come Paese e, in questa sede, come Parlamento – assicurare ogni forma di cooperazione possibile per consentire l’entrata della Turchia nell’Unione europea. E’ quindi compito e responsabilità di tutti noi riuscire a valorizzare il dialogo e lo scambio di esperienze reciproco, come da ultimo evidenziato anche dal Papa in occasione della visita in Turchia.
L’Italia e la Turchia, poste entrambe al centro del Mediterraneo non solo sotto il profilo geografico ma anche sotto l’aspetto storico e culturale, sono infatti chiamate a svolgere un ruolo di primo piano per raccogliere le sfide comuni del terzo Millennio e per fare del Bacino del Mediterraneo un’area di pace, sicurezza e stabilità.
Lascio ora la parola all’on. Zeynep Uslu, Presidente della parte turca.
USLU Siamo particolarmente soddisfatti del livello dei rapporti bilaterali raggiunti. La cooperazione può essere ulteriormente rafforzata ed i nostri incontri sono stati sempre positivi. Italia e Turchia condividono una comune identità mediterranea, la loro storia parla di tradizioni condivise, di intensi scambi culturali. L’Italia sostiene l’ingresso della Turchia nell’Ue e la Turchia si sta adeguando pazientemente all’aquis comunitario. Quello che conta, è che vogliamo essere membri a pieno titolo. L’ingresso della Turchia sarebbe la risposta più efficace a tutti coloro che giudicano gli elementi di diversità del nostro Paese più importanti di tutto. Il Papa è stato accolto con calore, questo dimostra che esiste un desiderio di apertura e conoscenza reciproca.
Prima sessione: Politiche per favorire l’attrazione degli investimenti esteri e per lo sviluppo dell’interscambio commerciale
CICU L’accoglienza riservata al Papa è un elemento estremamente positivo. Per quanto riguarda i progressi fatti dalla Turchia in direzione dell’Ue, cito il capo negoziatore turco, Babacan, il quale ha affermato che la Turchia ha compiuto grandi progressi negli ultimi quattro anni grazie agli investimenti esteri. Molte sono le imprese italiane che stanno cogliendo queste opportunità.
Per quanto concerne la disciplina normativa italiana in materia di internazionalizzazione, la legge 31 marzo 2005, n. 56,costituisce il più recente quadro giuridico di riferimento definito per promuovere interventi a sostegno dell’internazionalizzazione del sistema produttivo italiano.
Come si afferma nella relazione al disegno di legge originario, l’obiettivo della legge è quello di rendere più sinergica l’azione svolta dai soggetti pubblici e privati operanti all’estero, per la tutela del made in Italy e per la promozione degli interessi italiani all'estero avuto riguardo anche alle iniziative in ambito culturale, turistico e di valorizzazione delle comunità di affari di origine italiana.
Il provvedimento si colloca infatti nell’ambito del processo di riforma del sistema di sostegno pubblico all’internazionalizzazione in quanto, a fronte del decentramento, dell’ampliamento dell’autonomia delle regioni e degli enti locali e del coinvolgimento di numerosi soggetti (pubblici e privati) nelle attività di sostegno all’internazionalizzazione, si propone di evitare “un’eccessiva polverizzazione e disorganicità degli interventi e degli strumenti, integrando e coordinando le azioni dei diversi soggetti coinvolti in una logica di “sistema Paese”.
La costituzione di sportelli unici all’estero - i cosiddetti Sportelli Italia – prevista dalla legge, è volta a creare strutture in grado di consentire una più efficace azione dei soggetti pubblici e privati operanti nel comparto e di garantire una maggior coerenza delle attività di promozione e di sostegno all’internazionalizzazione con gli obiettivi di politica internazionale del Governo, assume un peculiare rilievo nell’ottica di un rafforzamento della diplomazia economica.
Nell’ambito delle più recenti iniziative normative adottate per la valorizzazione del settore, va altresì richiamata l’istituzione – disposta dal decreto-legge n. 181 del 2006, n. 181 – del Ministero del commercio internazionale quale Ministero autonomo, le cui competenze rientravano in precedenza nell’ambito di quello delle attività produttive.
Per quanto concerne la politica di attrazione degli investimenti esteri in Italia, si segnala che con il recente decreto-legge competitività è stata prevista la costituzione di un Comitato interministeriale con il compito di coordinare le iniziative volte ad aumentare la capacità dell'Italia di attrarre gli investimenti esteri e il personale fornito di alta qualificazione, con particolare attenzione alle aree sottoutilizzate. La disposizione, pertanto, ha lo scopo di attrarre non soltanto capitali di investimento ma anche personale di alto profilo professionale e culturale.
Il Comitato, quindi, nell’ambito dell’attività di attrazione degli investimenti, definisce la strategia e fissa gli obiettivi generali che saranno attuati da Sviluppo Italia. A tale società, invece, sono affidate funzioni di agenzia nazionale per l'attrazione degli investimenti e lo sviluppo d'impresa
Passando ai rapporti economici tra l’Italia e la Turchia, va in primo luogo evidenziata la loro crescente solidità ed intensificazione. A partire dall’anno 2000 si e’ registrato un costante, consistente incremento nel volume globale degli scambi tra Italia e Turchia che nel 2005 hanno raggiunto la cifra record di 13,1 miliardi di dollari, con un incremento sul 2004 del 13%. Nel I semestre del 2006 l’ICE ha segnalato un volume di interscambio complessivo pari a 7.3 miliardi di dollari.
Restano comunque grandi potenzialità che possiamo insieme esplorare e valorizzare sia dal punto di vista merceologico che di investimenti diretti. Al contempo forte è il rilievo in tale ambito delle infrastrutture di collegamento da attuare nel Mediterraneo lungo direttrici Italia-Turchia (quali gasdotti, oleodotti, “autostrade del mare”).
Un contributo importante in tale ambito è dato sicuramente dall’attività del Monitoring Committee bilaterale per la promozione dell’interscambio, istituita nel 2004, che terrà la prossima sessione nella primavera del 2007 a latere dell’evento di immagine “Made in Italy” previsto ad Istanbul, che costituirà un momento imoprtante.
Per quanto riguarda l’Italia, l’export verso la Turchia, pur se in costante incremento, è ancora concentrato su settori specifici – specie la meccanica - nei quali cresce la concorrenza asiatica; per noi sarà quindi importante diversificare la nostra penetrazione commerciale estendendola a nuovi settori ed al contempo favorire l’insediamento delle PMI. Attualmente l’ICE sta infatti concentrando le proprie iniziative su 13 settori, quali energia, ambiente, restauro, biotecnologie.
Quanto alle esportazioni turche verso l’Italia, si è registrato un incremento del 20,49%, raggiungendo un valore pari a 5,6 miliardi di dollari. In particolare, sono aumentate le voci relative all’abbigliamento, ai tessuti, ai prodotti petroliferi raffinati, ai prodotti siderurgici, agli apparecchi per uso domestico, agli autoveicoli.
L’intenzione per l’Italia è quella di valorizzare sempre più tale interscambio, in primo luogo con un’ulteriore corrente di investimenti diretti che possa consolidare nel tempo il flusso commerciale bilaterale superando la crescente concorrenzialità del mercato.
L’intenzione è quindi quella di lavorare insieme per definire strumenti ed indirizzi volti a rafforzare e ad integrare ulteriormente – seguendo il trend degli ultimi anni – l’interrelazione commerciale tra Italia e Turchia. I rapporti non solo economici ma anche culturali e scientifici si stanno muovendo nella direzione di un crescente interscambio e di una sempre più marcata stabilità. L’Italia e la Turchia hanno infatti molti elementi comuni, a partire dalla collocazione geografica che assegna loro la naturale funzione di “ponte” tra l’Europa e l’area del Mediterraneo e del Medio Oriente, funzione che siamo chiamati – in primo luogo come Parlamenti - a valorizzare ed a promuovere con incisività e convinzione.
SAHIN La Turchia ha compiuto grandi progressi in campo economico, guadagnando posizioni nei rankings mondiali per quanto riguarda la capacità di attrarre investimenti dall’estero (dal 50mo al 35mo posto) e per quanto riguarda l’affidabilità del suo contesto giuridico-economico (dal 29 posto al 13 posto). Il mercato turco, pertanto, si sta confermando pieno di attrattive. Le ragioni del nostro successo sono racchiuse nei termini stabilità, liberismo, ottimismo. Vogliamo infondere sicurezza. Per fare un esempio, fino a poco tempo fa per creare un’azienda era necessario depositare 50.000 dollari. Oggi questo versamento non è più necessario. Naturalmente il nostro sistema non è esente da difetti, e ci stiamo impegnando per eliminare ogni impedimento allo sviluppo. Ci sentiamo molto vicini all’Italia ed auspichiamo che i nostri rapporti commerciali possano svilupparsi ulteriormente.
BELTRANDI Abbiamo sempre sostenuto l’adesione della Turchia all’Ue. Ma dobbiamo ammettere che è l’Europa ad avere bisogno della Turchia, piuttosto che il contrario, ed è questo il motivo per cui il cammino di adesione incontra tante difficoltà. La Turchia finirebbe per imporre un nuovo rigore all’Europa, ha messo in atto grandi riforme, riforme che potrebbero essere di esempio anche all’Italia. Il nostro Ministro al Commercio Estero, Bonino, sta svolgendo un ruolo importante per sviluppare le relazioni economiche.
BAYRAK Vorrei parlarvi delle vaste opportunità di investimento che offre la mia regione, l’Analolia orientale, per il cui sviluppo è stato predisposto il piano GAP (South-Eastern Anatolian Project). Il GAP è un piano vasto che spazia in vari settori, dalla costruzione di impianti all’agricoltura. Le nove province interessate comprendono un territorio vasto quanto il BENELUX, ed abitato da 7 milioni di abitanti. Il reddito delle province assomma al 10% del PIL. Le prospettive di investimento più interessanti riguardano la produzione di energia, ma anche il settore agricolo è molto interessante ed ha fatto registrare una crescita delle esportazioni nel 2005 pari a +223%. Particolarmente sviluppati sono le colture biologiche, l’olivo e la vite. Ugualmente interessanti sono i settori dell’estrazione (marmo) e delle cure termali. Anche in considerazione che i salari sono bassi, le opportunità di investimento per gli operatori stranieri non dovrebbero mancare.
USLU L’Italia è un punto di riferimento essenziale per le politiche volte a favorire gli investimenti. Abbiamo bisogno di nuove quote di transito per gli autotrasportatori. Vorrei inoltre ricordare la visita di un imprenditore ed uomo politico italiano in Turchia, Riccardo Illy, alla guida di una delegazione di imprenditori.
AIRAGHI A differenza della Turchia, l’Italia non riesce ad attrarre capitali dall’estero con la stessa facilità. La carta degli incentivi fiscali giocata dalla Turchia sicuramente ha avuto degli ottimi effetti, ma, in prospettiva, l’ingresso del Paese nell’Ue finirà per far sparire tali vantaggi. Non potendo avvalersi degli stessi mezzi della Turchia, l’Italia si sta adoperando nella strada della semplificazione fiscale.
Seconda sessione: La società dell’informazione
SASSO Negli ultimi anni il panorama industriale del mondo sviluppato si è trasformato. La liberalizzazione delle telecomunicazioni, l’esplosione di Internet e il carattere sempre più a rete dell’economia e della società vanno tutte nella stessa direzione, ovvero verso quella che è viene chiamata la nascita della “società dell’informazione”. E’ quindi agli occhi di tutto la centralità e la rilevanza di tale tema per tutti gli aspetti ed i risvolti che può avere e per le sue evoluzioni future. La società dell’informazione viene definita come un contesto socio-economico in cui la nuove tecnologie informatiche e telecomunicative (ICT) assumono un ruolo fondamentale nello sviluppo delle attività umane. Gran parte delle informazioni e delle conoscenze del genere umano può essere ormai riprodotta o generata in modo digitale (messaggi, immagini, testi, musica, filmati eccetera) in modo impensabile fino a qualche tempo fa. Sotto il profilo delle politiche e degli interventi normativi adottati – in sede comunitaria come in ambito nazionale – per promuovere e regolamentare il settore giova in primo luogo ricordare come uno sviluppo riuscito della società dell’informazione europea è al centro “dell’obiettivo di Lisbona”. Com’è noto, infatti, il Consiglio europeo di Lisbona del marzo 2000 si è posto quale obiettivo strategico per il decennio successivo quello di "diventare l'economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo, in grado di realizzare una crescita economica sostenibile con nuovi e migliori posti di lavoro e una maggiore coesione sociale." In tale contesto, come evidenziato di recente nella Comunicazione della Commissione del 19 novembre 2004 dal titolo “Le sfide per la società dell’informazione europea oltre il 2005” l’Unione europea ha individuato una serie di obiettivi da raggiungere al fine di diventare l’economia più dinamica e competitività del mondo entro il 2010.
Dal 2000 sono state adottate diverse iniziative in sede comunitaria volte a rendere accessibili alle famiglie le comunicazioni a banda larga ad alta velocità, per espandere i servizi di commercio elettronico e per fornire servizi pubblici in linea. Le tecnologie dell’informazione e della comunicazione non solo rappresentano un importante settore economico, che produce circa il 6% della ricchezza dell’UE misurata in termini di prodotto interno lordo (PIL), ma sono anche una tecnologia di supporto essenziale che favorisce l’efficienza e la competitività di tutti i settori manifatturieri e dei servizi. Per questo motivo, le iniziative suddette hanno definito i seguenti obiettivi: le aziende e i cittadini devono avere accesso a un’infrastruttura di comunicazione dai costi contenuti e di livello mondiale e a un’ampia gamma di servizi; ogni cittadino deve essere in possesso delle competenze necessarie per vivere e lavorare nella nuova società dell’informazione; l’apprendimento permanente deve svolgere un ruolo di primo piano quale componente fondamentale del modello sociale europeo.
A livello nazionale, nel 2001 è stato nominato in Italia, per la prima volta, un Ministro per l’innovazione e le tecnologie, incaricato di esercitare le funzioni “nelle materie dell’innovazione tecnologica, dello sviluppo della Società dell’informazione, nonché delle connesse innovazioni per le amministrazioni pubbliche, i cittadini e le imprese”.
Gli obiettivi generali definiti sulla materia si sviluppano in particolare lungo tre direttrici di intervento: (i) la trasformazione della pubblica amministrazione tramite le tecnologie dell’informazione e della comunicazione (e-Government), avendo come modello una pubblica amministrazione orientata all’utente, cittadino ed impresa, fornitrice di moderni servizi, con cui sia facile operare; (ii) la realizzazione di interventi nel “sistema Paese” per l’innovazione e lo sviluppo della Società dell’informazione, che agiscono sul capitale umano, sulle norme e sulle infrastrutture e in generale in materia di politica industriale e finanziaria, e sono orientati a creare le condizioni e i prerequisiti per il diffondersi dell’innovazione e l’affermarsi della Società dell’informazione; (iii) l’azione internazionale, che ha portato il Governo Italiano ad assumere, nell’ambito del G8, la responsabilità dell’iniziativa “e-Government per lo sviluppo”: un programma di cooperazione internazionale per la digitalizzazione delle pubbliche amministrazioni nei Paesi in via di sviluppo.
L’azione internazionale è inoltre volta a fare in modo che le tematiche della Società dell’informazione assumano sempre maggiore centralità nell’agenda internazionale e dell’Unione europea.
Attenzione è stata poi posta con specifiche disposizioni per garantire il diritto di accesso ai servizi informatici e telematici della pubblica amministrazione e ai servizi di pubblica utilità da parte delle persone disabili. La legge tutela e garantisce, in particolare, il diritto di accesso ai servizi informatici e telematici della pubblica amministrazione e ai servizi di pubblica utilità da parte delle persone disabili, in ottemperanza principio di uguaglianza sancito dall’articolo 3 della Costituzione.
Anche per quanto attiene alla tutela dei minori nella programmazione televisiva, sono state definite in Italia di recente (2004 e 2005) alcune norme specifiche con l’adozione, tra l’altro, di un Codice di autoregolamentazione “TV e minori”. Si prevede, in particolare, un sostanziale inasprimento delle pene, delle procedure sanzionatorie, nonché l’introduzione di specifici obblighi di tutela e garanzia dei minori a carico delle emittenti, con particolare riferimento alla programmazione in determinate fasce orarie, alle trasmissioni specificamente dedicate ai minori e ai contenuti dei messaggi pubblicitari. L’armonico sviluppo fisico, psichico e morale del minore è considerato infatti dall’ordinamento nazionale un principio fondamentale del sistema radiotelevisivo; è stata quindi vietata la trasmissione di programmi che possano nuocere allo sviluppo fisico, psichico o morale dei minori; è stato previsto che il servizio pubblico generale radiotelevisivo, garantisca, oltre alle trasmissioni di intrattenimento per i minori, un numero adeguato di ore di trasmissioni televisive e radiofoniche dedicate all’educazione, all’informazione, alla formazione, alla promozione culturale.
Giova poi menzionare il già citato progetto “e-Government per lo sviluppo”, inoltre, su cui l’Italia pone una particolare attenzione, è nato nell’ambito del G8 di Genova (svoltosi nel luglio 2001) con l’obiettivo di assistere i Paesi in via di sviluppo o con economie in transizione nel modernizzare le proprie pubbliche amministrazioni realizzando progetti concreti con l’ausilio delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione per favorire una più veloce crescita economica e democratica.
Per la sua stessa natura, quindi, la società dell’informazione va oltre i confini tradizionali ed il ruolo delle tecnologie dell’informazione e delle comunicazioni per l’accelerazione del progresso tecnico e la modernizzazione dell’economia è evidente per tutti: l’importante sarà saperne sfruttare le potenzialità ma al tempo stesso coniugarla con altre esigenze fondamentali di tutela quali la tutela della privacy, dei minori, la questione della sicurezza delle reti.
Ciò ad esempio in settori quale quello dell’e-learning: la cooperazione interuniversitaria tra Italia e Turchia è infatti già intensa, come dimostrano le dichiarazioni e le intese raggiunte per dare vita ad uno spazio comune dell’Istruzione superiore nel Mediterraneo e per la creazione ad Ankara di un Centro di alta formazione e ricerca nel settore giuridico, in collaborazione con l’Università la Sapienza di Roma. Nel corso della visita del Presidente della Repubblica Ciampi a novembre scorso, la Conferenza dei Rettori Italiani ha inoltre finalizzato con l’omologo ente turco YÖK (Consiglio per l’istruzione superiore) una significativa intesa di principio per aprire la strada ad una serie di collaborazioni tra Università italiane e turche nel settore dello scambio di studenti, di docenti, e didattica. Accordi di collaborazione interuniversitaria sono in atto anche tra altre Università. Il numero degli studenti turchi nelle Università italiane è però attualmente molto limitato, superando di poco le 100 unità. Utilizzare accanto a queste iniziative gli strumenti dell’e-learning potrebbe essere quindi un buon volano per un crescente sviluppo dell’interscambio tra studenti, quale fondamento per uno studio ed una conoscenza reciproca delle realtà dei due Paesi ponendo così le basi per un reale dialogo tra culture e tra civiltà.
YERGOK Si stanno verificando grandi cambiamenti nel settore delle tecnologie ed anche la società si sta rimodellando per diventare una “società dell’informazione”. Gli obiettivi sono diventati due, a livello globale: essere in grado di realizzare tutte le innovazioni, permettere che delle tecnologie si avvalga la società nel suo complesso. Nel secolo scorso si sono realizzati sviluppi imprevedibili, ed è necessario continuare questo sviluppo per assicurare anche in futuro il benessere ai nostri cittadini, dal momento che le ITC stanno condizionando qualsiasi aspetto economico e sociale. La Turchia aspira ad essere un Paese all’avanguardia in questo campo. Anche noi, come l’Ue, aspiriamo a diventare un Paese leader nell’innovazione informatica e tecnologica. In particolare, sono state create numerose banche dati ed il Parlamento ha varato una legge sulla firma elettronica. Oggi contiamo più di 600.000 richieste di informazione per via informatica.
BELTRANDI L’insidia maggiore da evitare nello sviluppo tecnologico ed informatico è di vedere escluse fasce di popolazione dai benefici. Il Governo deve intervenire per allontanare tale rischio attraverso progetti normativi ed un costante monitoraggio. Proprio in tale ambito i nostri due Paese sono chiamati a fare di più, in quanto non possono dire di essere all’avanguardia, soprattutto in termini di diffusione. Quindi Italia e Turchia possono cooperare per superare tale svantaggio, come pure le strutture sopranazionali hanno un importante compito da svolgere per garantire a tutti l’accesso alle nuove forme di comunicazione.
MONACO Il volume dell’interscambio tra i nostri due Paesi è in continua crescita, nonostante i nostri problemi ed i nostri ritardi. La molla dell’iniziativa privata sa quindi essere più forte dell’inerzia della Pubblica Amministrazione. Dai nostri scambi di vedute, appare chiaro che tutti noi abbiamo ben chiara la valenza tecnologica, democratica ed economica dell’informatica. In ambito Ue è importante il rispetto dei criteri fissati a Lisbona. Per quanto riguarda i nostri rapporti bilaterali, è importante il dialogo. Come sapete, non tutti in Italia sono convinti del fatto che sia opportuno far aderire la Turchia all’Ue.
BAYRAK Abbiamo compiuto grandi progressi a livello informatico. Siamo arrivati a 15.000.000 di allacci ad Internet. Grazie alla concorrenza di diversi operatori, abbiamo visto una riduzione dei prezzi e popolazione sempre più giovane si accosta all’universo dell’informatica. Ma c’è da dire che i contenuti presenti in Internet non sempre sono condivisibili, soprattutto dal punto di vista morale e per questo abbiamo adottato misure di controllo. Tuttavia non bastano delle sanzioni per arginare questo fenomeno. La Pubblica Amministrazione sta utilizzando ITC ed ha lavorato per favorire, attraverso questo canale, il proprio rapporto con i cittadini. Tre sono i punti principali sui quali si basa lo sviluppo della società nell’era digitale: avere, saper dare e condividere l’informazione.
SAHIN Su Internet è presente molta informazione scorretta e questa deve essere posta sotto controllo. E’ pertanto necessario che ci siano delle regole. Desideriamo condividere la vostra esperienza e le vostre informazioni.
APREA Nella precedente legislatura abbiamo approvato una legge a riguardo. Il tema è purtroppo di attualità in Italia.
AIRAGHI Siete dell’opinione che il vostro Governo stia realizzando le misure necessarie per far raggiungere alla Turchia i criteri di Lisbona?
USLU La Turchia si sta muovendo in tale direzione, e ne è la prova il fatto che il Paese occupa i primi rankings a livello economico, secondo le stime operate dai più accreditati forum e agenzie economiche internazionali. Non bisogna lasciarsi condizionare dagli ostacoli e dalle insidie presenti nell’universo informatico, dal momento che le opportunità che offre sono assai notevoli. In Turchia abbiamo compiuto grandi progressi per avvicinarci all’Europa, ed uno dei risultati più importanti è stata la riforma del codice penale. Condividiamo la stessa area geografica, abbiamo problemi comuni. In Italia è stato fatto molto dagli enti locali e vedrei con molto favore la nascita di collaborazioni a questo livello tra Italia e Turchia.
Terza sessione: Le politiche energetiche nei Paesi del Mediterraneo, con particolare riguardo alle iniziative dell’Union europea in materia di sicurezza energetica ed alla cooperazione tra Italia e Turchia
DEIANATra le maggiori sfide che il Mediterraneo si trova oggi ad affrontare in questa sede vi è sicuramente la questione della sicurezza dell’approvvigionamento energetico. Alle soglie del nuovo Millennio è sempre più sentita, infatti, l’esigenza di assicurare certezze in tale ambito, considerato altresì che il Mediterraneo è area di transito per il 65 per cento delle risorse energetiche necessarie all’Europa e per il 20-25 per cento del commercio mondiale del petrolio. Dinanzi ad uno scenario energetico internazionali che continua ad essere caratterizzato da prezzi degli idrocarburi crescenti e molto volatili si rende necessaria una diversificazione delle fonti energetiche. Secondo numerosi studi, il petrolio ed il gas sono le merci più scambiate nel Medieterraneo, e quello del petrolio, in particolare, costituisce il più grande mercato reale del mondo. In conseguenza della crescita demografica ed economica, si prevede nei prossimi anni un aumento del fabbisogno energetico di tale area. Proprio la Turchia potrebbe diventare il secondo maggior consumatore di energia nel Mediterraneo. Al contempo, è noto come la stessa Turchia – anche per la sua collocazione geografica - costituisce uno snodo prioritario nei flussi di idrocarburi verso l’Europa e l’Italia provenienti da Asia Centrale, Caspio, Iran Golfo Persico, e rappresenta un Paese chiave per l’approvvigionamento energetico dell’intera Europa. I Paesi europei, a loro volta, dipendono in gran misura dall’estero per il proprio fabbisogno energetico. L’Italia, ad esempio, importa il 92% del petrolio e l’82% del gas per i propri consumi, e i suoi principali fornitori sono attualmente Algeria, Libia e Russia (da quest’ultima giunge il 32% delle forniture di gas). Tra le due sponde del Mediterraneo esiste quindi un forte legame di interdipendenza: da un lato l’Europa meridionale si rifornisce principalmente dai paesi mediterranei produttori, dall’altro essi esportano in Europa una quota preponderante dei loro idrocarburi. Per quanto riguarda l’Unione europea nel suo complesso, essa importa più del 50% dei propri consumi energetici: il 45% delle importazioni di petrolio provengono dal Nord Africa e dal Medio Oriente, e un altro 40% arriva dalla Russia. Tali prospettive esigono risposte adeguate non solo dal punto di vista del reperimento delle materie prime, ma anche dal punto di vista della distribuzione. Il petrolio viene trasportato via mare e attraverso gli oleodotti. Il trasporto marittimo in futuro difficilmente potrà aumentare, a causa di varie difficoltà tra cui la necessità di salvaguardare l’equilibrio ecologico del Mediterraneo ed il fatto che gli stretti hanno raggiunto la loro massima capacità operativa. Prospettive migliori le offrono gli oleodotti, soprattutto dopo la recente entrata in funzione della pipeline Baku-Tblisi-Ceyhan (Azerbaijan-Georgia-Turchia) che in futuro potrebbe contare diramazioni nell’area balcanica. Tale nuovo oleodotto si aggiunge al “Blue Stream” (Russia-Turchia) che assicura il passaggio del petrolio attraverso il Mar Nero, mentre altri progetti sono in via di realizzazione per far arrivare in Europa le risorse delle Repubbliche dell’Asia Centrale. Il Mediterraneo sarà quindi lo scacchiere principale su cui si concentreranno le maggiori attenzioni sul tema della sicurezza energetica ed in tale ambito è quanto mai importante promuovere costanti forme di interrelazione a livello governativo come parlamentare, come avviene attualmente con le riunioni periodiche dell’Assemblea parlamentare euro-mediterranea (APEM). Al tempo stesso, mantenere un dialogo parlamentare aperto su questi temi tra Italia e Turchia nell’ambito delle nostre iniziative di cooperazione parlamentare costituisce un passo importante. Questa sede di interscambio parlamentare ci consente di fare il punto anche sui sistemi nomativi nazionali e sulle più recenti politiche di indirizzo su tali tematiche. Passando quindi ad illustrate le principali linee guide seguite in questi anni dall’Italia su tale tematica, giova richiamare il documento conclusivo dell’Indagine conoscitiva sulle prospettive degli assetti proprietari delle imprese energetiche e i prezzi dell’energia in Italia, approvato dalla X Commissione Attività produttive, commercio e turismo della Camera il 9 febbraio 2006 in cui si parte dal fatto che il settore energetico nazionale appare ancora connotato da forti elementi di criticità sul piano della sicurezza degli approvvigionamenti. Come principio generale è stata richiamata l'esigenza di stimolare il riequilibrio del mix dei combustibili (gas, carbone «pulito», fonti rinnovabili) e delle tecnologie nel settore della produzione termoelettrica nonché di perseverare nella direzione di un uso più efficiente dell'energia nei consumi finali. L'obiettivo sarebbe quello di fare dell'Italia un vero e proprio hub del gas nel Mediterraneo, un'area di transito e non solo di consumo per le nuove forniture di gas provenienti dalle aree di produzione del Caspio, del Medio Oriente e del Nord Africa, destinate a soddisfare il fabbisogno crescente dell'Europa Centrale e Settentrionale, con tutti vantaggi conseguenti in termini di riduzione dei prezzi e sicurezza degli approvvigionamenti. A tal fine viene richiesto anzitutto un quadro normativo e regolatorio stabile e certo, atto a rassicurare gli investitori circa la tempistica e i costi per la realizzazione delle infrastrutture, nonché l'attivazione di interventi di potenziamento della rete di trasporto, oltre che nuove interconnessioni con gli altri paesi europei capaci di operare in controflusso. Giova altresì sottolineare in questa sede – come emerso anche nell’ambito del Monitoring Committee italo-turco operante presso il Ministero del commercio con l’estero – l’importanza di intensificare la collaborazione tra i nostri due Paesi – e tra i nostri Parlamenti - nella promozione e utilizzo di tecnologie per la produzione di energie pulite e nel settore ambientale. Uno scambio di vedute e di esperienze su temi quali la qualità delle acque del Mediterraneo e la valorizzazione di forme di produzione “ambientalmente compatibili” sono infatti quanto mai importanti nell’ambito del contesto generale del tema della sicurezza energetica e su questo il ruolo dei Parlamenti può essere sicuramente prezioso.
AIRAGHI Per affrontare il tema al nostro esame, non possiamo non partire da una considerazione fondamentale, recentemente evidenziata anche dall'Autorità per l’energia elettrica e il gas: nessun Paese europeo può incidere, isolatamente, sui mercati del petrolio e del metano, perché il mercato mondiale del petrolio è sensibile a variazioni di spare capacity dell’ordine del milione di barili al giorno. Peraltro, una strategia congiunta dei Paesi europei, che sommano una domanda di oltre 15 milioni di b/g di petrolio e 6 milioni di b/g equivalenti di gas, potrebbe riguardare i fronti dell’offerta e della domanda.
La materia della sicurezza dell’approvvigionamento energetico è stata oggetto di ampia discussione in tutte le maggiori sedi parlamentari internazionali quali, da ultimo, l’Assemblea parlamentare della NATO che ha approvato una risoluzione al riguardo, la riunione delle Camere dei Paesi del dialogo 5 + 5 del Mediterraneo occidentale, la riunione dei Presidenti delle Camere basse dei paesi del G8.
In tale contesto vanno quindi lette le principali iniziative adottate in sede comunitaria per arrivare all’obiettivo fondamentale – enunciato nel Libro verde dell’8 marzo scorso – di una reale “strategia europea per un’energia sostenibile, competitiva e sicura”. Il Libro verde delinea infatti i tre obiettivi fondamentali della futura politica energetica europea: la sostenibilità, la competitività e la sicurezza dell’approvvigionamento.
In tale documento si evidenzia come l’attuale strategia energetica europea, basata su 25 diverse politiche nazionali, rischi di divenire insufficiente in uno scenario energetico caratterizzato dall’aumento dei prezzi del petrolio e del gas, dalla crescita della domanda globale di energia e dall’esaurimento delle riserve di idrocarburi, nonchè dalla forte dipendenza dell’Europa dalle importazioni per coprire il fabbisogno energetico, dalla concentrazione delle riserve in pochi paesi e dal riscaldamento della temperatura della terra a causa delle emissioni di gas a effetto serra.
Quanto ai tre obiettivi prioritari la Commissione specifica che, da una parte, uno sviluppo sostenibile richiede la valorizzazione di fonti rinnovabili di energia competitive, in particolare di combustibili alternativi per il trasporto, ed il mantenimento dell’impegno globale per arrestare i cambiamenti climatici e migliorare la qualità dell’aria a livello locale. In ordine alla competitività, si specifica cheè fondamentale una liberalizzazione del mercato che offra vantaggi ai consumatori e all’intera economia e favorisca allo stesso tempo gli investimenti nell’efficienza energetica, attenuando l’impatto dei prezzi elevati dell’energia a livello internazionale sull’economia e sui cittadini. In merito alla sicurezza dell’approvvigionamento, infine, si evidenzia che per affrontare la crescente dipendenza dalle importazioni, occorre utilizzare maggiormente l’energia locale e rinnovabile competitiva nonchè diversificare le fonti e le vie di approvvigionamento per l’energia importata.
I dibattito sul Libro verde - che è stato altresì oggetto di consultazione pubblica - ha messo in luce due necessità fondamentali: in primo luogo l’individuazione di una visione di fondo dell’attività dell’Unione europea in campo energetico, che le consenta nel prossimo futuro di: reagire con rapidità all’evoluzione internazionale dei mercati tenendo sotto controllo la propria dipendenza energetica dall’esterno; diversificare il mix energetico e le importazioni in maniera da limitare i rischi connessi a fattori politici o ad impennate di prezzi; raggiungere gli obiettivi definiti in relazione ai cambiamenti climatici e giocare un ruolo decisivo nella ricerca globale di nuove soluzioni per le energie rinnovabili; ottenere questi risultati in maniera compatibile con gli obiettivi di crescita economica e dell’occupazione senza danneggiare la competitività dell’industria e il benessere dei cittadini.
In secondo luogo è stata richiamata l’attenzione sulla necessità di completare il mercato interno dell’energia che, sviluppandosi compiutamente e rapidamente, sia in grado di estendere i propri benefici a tutto il sistema produttivo, sia in termini di consumi che di occupazione.
L’intenzione della Commissione europea è quindi quella di presentare nei prossimi mesi - sulla base dei risultati del dibattito sul Libro verde - un ambizioso pacchetto legislativo in materia di energia. In questo quadro, il 19 ottobre scorso ha presentato un piano d'azione per l'efficienza energetica con il quale delinea un quadro di politiche e di misure concrete per conseguire l’obiettivo di risparmiare il 20% del consumo primario di energia nell’Unione europea, entro il 2020.
Il piano propone, infatti, di realizzare nei prossimi sei anni una serie di iniziative finalizzate all'efficienza energetica e all'efficacia economica. Tra queste vi sono interventi per aumentare l'efficienza energetica di elettrodomestici e apparecchiature che utilizzano energia, degli edifici, nel settore dei trasporti e negli impianti di produzione e trasporto di energia. Si manifesta inoltre l’intenzione di proporre norme di efficienza energetica più rigorose, incentivi per i servizi energetici e meccanismi specifici di finanziamento a favore di prodotti più efficienti sotto il profilo energetico. Il piano d'azione riconosce inoltre l'importanza del fattore umano per la riduzione dei consumi di energia e mira perciò ad incoraggiare i cittadini a utilizzare l'energia nel modo più razionale possibile.
Accanto a questi aspetti, come già evidenziato, risulta di importanza strategica la dimensione di politica estera di cui l’Europa dovrà tenere conto per individuare obiettivi e priorità, ed unità di intenti, rivolgendosi in modo particolare ai Paesi del Mediterraneo con cui – com’è noto – è attivo, dalla Dichiarazione di Barcellona del 1995, il Partenariato euro-med che investe i tre volet della sicurezza, delle politiche economiche e degli aspetti socio-culturali.
In ordine alla dimensione esterna della politica energetica dell’UE il 12 ottobre 2006 la Commissione europea ha infatti approvato la comunicazione dal titolo “Le relazioni esterne nel settore dell'energia: dai principi all’azione” in cui si individuano cinque principi cardine: la necessità di una coerenza tra gli aspetti di interni ed esterni della politica energetica e tra la politica energetica e le altre politiche che possono avere ripercussioni sulla stessa, quali le relazioni esterne, il commercio, lo sviluppo, la ricerca e l’ambiente; il fatto che l’Unione europea debba svolgere un ruolo guida nella stesura di accordi e negoziati bilaterali futuri, presso i suoi fornitori abituali, ma anche con altri paesi produttori e consumatori principali; l’esigenza per l’UE di rafforzare la cooperazione energetica con Russia e con i paesi terzi quale priorità assoluta.
Anche nel recente Vertice informale dei Capi di Stato e di Governo dell’UE, che si è tenuto il 20 ottobre scorso a Lahti (Finlandia) uno dei temi centrali è stato quello di come l’Europa debba reagire di fronte alla crescente dipendenza dalle importazioni energetiche e, in particolare, di come definire una linea comune per fornire risposte su base comunitaria.
Giova altresì richiamare il documento dal titolo “Una politica esterna al servizio degli interessi europei in materia d’energia”, recentemente elaborato dalla Commissione e dall'Alto rappresentante, che il Consiglio europeo ha ritenuto una solida base per una politica esterna. In tale ambito si evidenzia in particolare il ruolo prioritario che possono svolgere in tale settore iniziative di cooperazione a livello bilaterale – con Paesi in particolare come la Turchia - regionale e multilaterale.
Il 23 marzo 2006 inoltre il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione con la quale sollecita, alla luce dell’esame del Libro verde della Commissione, una politica energetica europea comune e più ambiziosa rimarcando tra l’altro la necessità di collegare la politica energetica alla politica estera e di sicurezza, mantenendo relazioni intense con i paesi partner principali fornitori di energia dell’UE e avviando un’ampia cooperazione con i paesi grandi consumatori. Da questa breve disamina appare quindi evidente che il tema della sicurezza energetica rappresenta oggi - come nel prossimo futuro - uno degli aspetti prioritari per tutti i Paesi. Al contempo, è ormai chiaro che i paesi europei non sono in grado di affrontare da soli, in ordine sparso, le sfide geopolitiche incombenti nel mondo dell’energia.
Solo unificando gli sforzi e perseguendo una politica coerente – basata in primo luogo sulla dimensione estera e sulla cooperazione - sarà possibile garantire nel lungo periodo quella sicurezza energetica di cui è impensabile fare a meno, ma che si rischia di perdere cercando di inseguire nell’immediato vantaggi unilaterali.
In tale quadro, un intenso scambio di esperienze ed un dialogo costante, a livello bilaterale come multilaterale, tra i Governi e i Parlamenti, dei Paesi dell’area del Mediterraneo potrà rappresentare un fondamentale elemento di sviluppo per le politiche dell’Unione europea così come per quelle dei singoli Stati. Questa sede ne rappresenta un esempio importante.
YILDIZ Le nazioni medio-orientali detengono circa il 65% delle riserve di petrolio. La Turchia è vicina a queste nazioni ed ha un ruolo molto importante nel trasporto degli idrocarburi. Per esseri competitivi in tale settore occorre molto dinamismo, dal momento che si registrano continui mutamenti. Oggi si dibatte sulla necessità o meno di puntare sull’energia nucleare, ma per costruire nuove centrali occorrono anni. Nel frattempo la richiesta di energia sta crescendo a livelli esponenziali ed è punto d’incontro di diversi fattori. Tutti cerchiamo energie alternative al petrolio, ma quando si torna ad affrontare la realtà e soprattutto si cercano di conciliare le esigenze della politica con quelle economiche, il quadro e le aspettative cambiano. Tutti coloro che intendano investire in energie alternative possono trovare opportunità in Turchia. Per quanto riguarda il settore eolico e quello delle biomasse possiamo attirare degli investimenti esteri. Inoltre, a partire dal 2030, il consumo energetico conoscerà un’impennata e la Turchia giocherà un ruolo fondamentale per la sua posizione nella rete dei trasporti. Oggi una quota consistente del petrolio diretto in occidente transita per la penisola anatomica e questo farà della Turchia in futuro un vero e proprio hub del commercio energetico.
AIRAGHI E’ necessario un accordo internazionale almeno per stabilizzare la produzione di petrolio, che è una delle cause principali dell’innalzamento del prezzo. Le variazioni del mercato di petrolio solo dell’ordine di un milione di barili (in più o in meno) al giorno. La NATO, il G8 ed altre organizzazioni internazionali hanno approvato risoluzioni per avviare una maggiore regolarità nella produzione e nella vendita.
DEIANA L’approvvigionamento delle materie prime è una questione legata alla stabilità politica del bacino del Mediterraneo.
APREA Considerato che non vi sono altre richieste di intervento, dichiaro concluso il III Seminario parlamentare Italo-Turco.
Ringrazio tutti i presenti per l’intensa e costruttiva partecipazione. Ritengo che nel corso del Seminario sono stati affrontati temi – quali quelli dell’interscambio commerciale, della società dell’informazione e delle politiche per la sicurezza energetica – che hanno fatto emergere con chiarezza la comune intenzione di rendere i nostri due Paesi più vicini su temi di cruciale rilievo per entrambi, promuovendo forme strutturate di dialogo e la realizzazione di iniziative concrete.
Come già evidenziato in apertura dei nostri lavori, l’Italia e la Turchia, poste entrambe al centro del Mediterraneo non solo sotto il profilo geografico ma anche sotto l’aspetto storico e culturale, sono chiamate a svolgere un ruolo di primo piano per raccogliere le sfide comuni del terzo Millennio e per fare del Bacino del Mediterraneo un’area di pace, sicurezza e stabilità.
Saluto quindi la delegazione dell’Assemblea nazionale turca, dandoci appuntamento al prossimo Seminario che avrà luogo in Turchia nel corso del 2008.
IV Riunione del Gruppo di cooperazione
parlamentare Italia - Egitto
Il Cairo, 4 giugno 2007
IV RIUNIONE DEL GRUPPO DI COOPERAZIONE
PARLAMENTARE ITALIA-EGITTO
Il Cairo, 4 giugno 2007
Il Presidente dell’Assemblea del Popolo della Repubblica araba d’Egitto, Ahmed Fathi Sorour, svolge un intervento di saluto in apertura della riunione, ricordando in primo luogo gli ancestrali legami di amicizia tra i due Paesi, di cui il Gruppo è solo un’espressione. L’Italia rappresenta un importante punto di raccordo tra il mondo arabo e l’Unione europea, e svolge un ruolo importante nell’ambito delle relazioni bilaterali tra i Paesi mediterranei e l’Europa.
Auspica che l’Italia riesca a rafforzare i legami tra il Sud del Mediterraneo e il Medio Oriente, anche al fine di instaurare e migliorare un effettivo dialogo tra le due culture. Ricorda come, ogni volta che si reca in visita in Italia, avverte una forte sensazione di fierezza e di comune orgoglio per la comunanza tra le due civiltà.
Si augura che i lavori di questa riunione possano ancor più rafforzare i vincoli di collaborazione e di amicizia, sempre basati sul reciproco rispetto, e che la riunione termini con una forte unanimità di vedute, soprattutto per quanto riguarda la trattazione del terzo tema (quello sulle sfide del Mediterraneo e alla situazione medio-orientale), che spera venga discusso con grande attenzione, dal momento che tali sfide gettano ombre su molti dei settori in cui il Paese cerca di adoperarsi soprattutto a livello internazionale. Preannuncia quindi che, a causa di concomitanti impegni parlamentari, non potrà assistere all’intera riunione del Gruppo.
Interviene il Presidente Umberto Ranieri, esprimendo il suo grande onore e sentito piacere per essere presente insieme ai colleghi Patrizia Paoletti Tangheroni, Tana de Zulueta, Alì Rashid, e Alessandro Forlani, componenti del Gruppo di cooperazione parlamentare italo-egiziano, che ha l’obiettivo di valorizzare e consolidare i già eccellenti rapporti esistenti tra i due Paesi sotto il profilo politico, economico e, in primo luogo, parlamentare.
Sottolinea come tra l’Italia e l’Egitto, infatti, posti entrambi al centro del Mediterraneo, estistono vincoli non solo geografici, ma anche storici e culturali, in virtù dei quali i due Paesi sono chiamati a svolgere un ruolo di primo piano per raccogliere le sfide comuni dei prossimi anni, facendo del Bacino del Mediterraneo un’area di pace, sicurezza e stabilità.
A partire dalla sigla del Protocollo - il 10 marzo 1999 - e dallo svolgimento della prima riunione del Gruppo di cooperazione, organizzata a Roma nel giugno 2002, il Gruppo di collaborazione ha contribuito in maniera determinante ad un proficuo slancio nelle relazioni parlamentari tra l’Italia e l’Egitto.
Il Protocollo ribadisce infatti l’impegno a sostenere comuni valori di libertà e democrazia e a sviluppare i legami storici e culturali tra i nostri due Paesi.
Ricorda come le tre riunioni del Gruppo italo-egiziano finora svolte abbiano posto in rilievo il significativo contributo che tali forme di interscambio possono offrire all’ulteriore consolidamento dei già eccellenti rapporti bilaterali esistenti tra Italia ed Egitto, e , in tale contesto, quanto sia positivo il fatto che le stesse relazioni parlamentari tra l’Italia e l’Egitto siano divenute nel tempo sempre più intense e costanti, sul piano bilaterale come su quello multilaterale; in tale ambito, le delegazioni si incontrano regolarmente presso l’Assemblea parlamentare euro-mediterranea, per la cui costituzione Italia e Egitto hanno dato un contributo fondamentale ed hanno profuso un forte impegno in questi anni per valorizzarne e svilupparne l’attività ed il ruolo di indirizzo e di interscambio culturale, politico ed economico.
Sottolinea poi come dal punto di vista bilaterale vi sia un proficuo scambio di visite tra Presidenti, come ha dimostrato la recente visita in Egitto del Presidente Bertinotti nel mese di maggio e l’incontro avuto con il Presidente Sorour nell’ottobre scorso a Roma.
Ricorda anche che nella prima metà del 2005 il Vice Segretario Generale delle Nazioni Unite Josè Antonio Ocampo – contando proprio sulle solide relazioni fra i due parlamenti – affidò al Presidente Sorour e all’allora Presidente della Camera, Pierferdinando Casini, il compito di svolgere una consultazione dei Presidenti di assemblee parlamentari di tutto il mondo sulla ipotesi di dare vita ad una iniziativa interparlamentare sulle nuove tecnologie dell’informazione nei e per i Parlamenti.
Rileva come i temi individuati insieme per questa IV Riunione del Gruppo Italia-Egitto sono tutti accomunati della volontà di rendere i due Paesi più vicini su temi di cruciale rilievo per la società nell’attuale contesto internazionale, a cominciare dal tema di politica estera, che investe ambiti di prioritaria importanza, partendo dal presupposto che la sicurezza e’ oggi piu’ che mai reciproca ed interdipendente, a cominciare dallo scacchiere Mediterraneo e medio-orientale. In tale ambito è indubbio il ruolo di “stabilizzatore” dell’area che l’Egitto – così come i Paesi confinanti - è chiamato a svolgere, in un contesto che sarà sempre più multipolare. La stessa Europa, al contempo, avrà un futuro se saprà essere potenza di pace nel Mediterraneo.
Particolare rilievo rivestono anche il tema dell’interscambio e la cooperazione in campo economico commerciale – che necessariamente passa da una conoscenza ed una collaborazione reciproca sotto il profilo politico e culturale – così come il settore dell’istruzione scolastica ed universitaria. Ricorda che, in tale ambito, il 18 giugno prossimo al Cairo si svolgerà la Prima Conferenza dei Ministri dei Paesi mediterranei sull’istruzione secondaria e la ricerca, dalla quale ci si aspettano decisioni importanti circa lo sviluppo delle relazioni interculturali e di effettiva collaborazione nel settore dell’istruzione. Da sempre, infatti, viene sostenuta la cooperazione tra studenti quale strumento fondamentale per consolidare valori comuni tra i giovani delle due sponde del Mediterraneo, realizzando uno spazio euro-mediterraneo di alta formazione e ricerca. Il tema della formazione è considerato centrale nel Mediterraneo, sia in quanto elemento cruciale nel riconoscimento delle differenze, sia in considerazione della necessità dei trasferimenti di know how da Nord verso Sud e viceversa. In questo contesto si colloca la proposta di istituire una Università italo-egiziana, che potrà essere approfondita nel corso delle riunioni del Gruppo di cooperazione parlamentare, partendo dal presupposto che un’università è sopratutto mobilità del sapere e necessità di mettere insieme la ricchezza esistente.
Rinnova quindi i suoi ringraziamenti al Presidente Sorour e al Presidente El Enein per aver organizzato la IV riunione del Gruppo di cooperazione Italia-Egitto e per la calorosa accoglienza riservata alla Delegazione.
Interviene quindi il Presidente della parte egiziana del Gruppo di collaborazione, Mohammed Abou-El Enein che, nel ringraziare i partecipanti alla riunione per la loro presenza, sottolinea come la comunità italiana sia la più presente in Egitto, in diversi ambiti, come dimostrato anche dalle cifre sulla presenza di turisti italiani in Egitto: 3,7 mld. di euro nel 2006, con un totale di 3,5 mld. di euro di investimenti nel settore commerciale. Ricorda come esempio più significativo l’investimento di 1,6 mld. di dollari effettuato dal Gruppo San Paolo di Milano, che nel 2006 ha rilevato più del 40% delle azioni della Banca di Alessandria.
Queste cifre, seppure significative, non corrispondono però, purtroppo, ad una reale diffusione della ricchezza a livello sociale in Egitto, anche se il Governo si è fortemente adoperato in questo senso soprattutto nei settori del turismo, del commercio e dell’energia.
Sottolinea l’impegno assunto dai parlamentari membri del Gruppo affinché si giunga all’istituzione dell’Università italo-egiziana, che tanto potrebbe agevolare il trasferimento di know-how ed accrescere la qualità della formazione.
Ricorda che in questa riunione i temi politici saranno comunque predominanti. Si parlerà di Iran e di Medio Oriente, nella speranza di mettere a punto un’azione concreta, anche per il Darfur, una catastrofe alla quale assiste tutto il mondo.
Dopo aver illustrato l’ordine del giorno della riunione, approvato dal Gruppo, accenna brevemente al tema della prima sessione, “Iniziative per il rafforzamento dell’interscambio e della cooperazione in campo economico tra Italia ed Egitto, con particolare riferimento ai settori delle infrastrutture, dei trasporti, degli investimenti commerciali, del turismo e dell’energia”. Rileva come alcune iniziative a livello governativo in questo contesto siano state ben accolte dalla popolazione egiziana, come ad esempio l’istituzione del Green Corridor, tramite il quale l’Egitto usufruisce in particolare di un canale privilegiato per la produzione e l’esportazione di prodotti agricoli in Italia. Sottolinea l’importanza strategica, a livello commerciale e di collegamento, di Porto Said, punto nevralgico di contatto tra l’Europa, l’Africa e il mondo arabo. Si prospettano quindi maggiori opportunità di cooperazione, che vanno incoraggiate e promosse anche attraverso il consolidamento degli accordi bilaterali e il coordinamento tra le istituzioni parlamentari, con lo scopo di proteggere obiettivi comuni.
Ricorda - tra le altre iniziative assunte - la legge, approvata nel mese scorso, che consente agli investitori esteri di realizzate zone di investimento agevolate in Egitto. Anche nel settore del turismo l’Egitto offre grandi potenzialità agli investitori stranieri, come dimostrano le fiorenti attività del Mar Rosso. Nel settore dell’energia, l’Italia è presente come primo partner assoluto, attraverso le sue maggiori società, che hanno stipulato i contratti più importanti ottenendo agevolazioni dal Governo per quanto riguarda l’estrazione e la commercializzazioni di petrolio, per la ricerca e per l’esportazione.
Il Paese ha bisogno dell’esperienza delle industria italiane anche nel settore del biodiesel, per la cui produzione tanto si sta impegnando intensificando la coltivazione della pianta necessaria a questo tipo di miscela.
Nel settore delle infrastrutture, la costruzione di ferrovie, porti e aeroporti verrà affidata quasi totalmente ad imprese estere e ad investitori stranieri, tra i quali spera ci sarà una forte presenza italiana.
Prende quindi la parola l’on. Alì Rashid, che esprime in primo luogo la sua personale emozione nel trovarsi in una sede dove si sono verificati accadimenti e fatti storici così importanti per il mondo arabo e che hanno segnato l’evolversi dei rapporti tra l’Egitto e l’Europa, l’inizio di un cammino di libertà e di ricerca di un rapporto paritario con il resto del mondo.
In una fase particolarmente delicata delle vicende europee ed internazionali, rileva l’importanza per l’Italia e l’Egitto di trovarsi concordi nel ribadire come la politica euromediterranea – e, segnatamente, il partenariato euromediterraneo, inaugurato dalla Conferenza di Barcellona del 1995 - rappresenti una risorsa fondamentale al fine di contribuire ad affrontare alcune tematiche cruciali per il futuro della Comunità internazionale.
Ricorda che l’Italia ha una tradizionale vocazione mediterranea che la spinge da sempre a sollecitare il dialogo ed il confronto dell’Europa con i Paesi della sponda Sud. Dopo l’allargamento ad Est, la politica mediterranea dell’Unione è divenuta un indispensabile fattore di bilanciamento e di equilibrio, e che l’attuale congiuntura internazionale chiami l’Europa a sviluppare prioritariamente verso il Sud, i paesi mediterranei ed il complesso dei Paesi arabi, la propria politica estera e di sicurezza comune. In questo quadro l’Egitto rappresenta un partner prezioso e insostituibile della politica euromediterranea e proprio in ragione dell’importanza che la cooperazione riveste per i nostri due Paesi, ritiene che la discussione odierna debba poter tracciare un bilancio di tale percorso ed accennare alle prospettive future.
Sebbene negli ultimi anni tale cooperazione si sia dotata di strumenti sicuramente utili e che denotano la volontà di ampliarne il raggio d’azione - ad esempio il varo, alla fine del 2002, del Fondo mediterraneo d’investimento e di partenariato, con l’incarico di gestire i finanziamenti messi a disposizione dalla Banca europea degli investimenti a favore dei Paesi mediterranei o all’Assemblea parlamentare euromediterranea, istituita alla VI Conferenza euromediterranea di Napoli nel dicembre 2003 – sottolinea come la cooperazione euromediterranea abbia raggiunto risultati inferiori alle attese e che occorra avviare una seria azione di rilancio e di rafforzamento dei suoi tratti costitutivi.
E’ infatti sentita la necessità di aprire un capitolo nuovo del partenariato, che faccia emergere quella dimensione politica che sinora è risultata fortemente carente e che ha impedito all’Unione di utilizzare appieno le enormi potenzialità del processo di Barcellona. L'obiettivo della politica estera dell'UE nel Mediterraneo consiste infatti nel sostenere e incoraggiare le riforme politiche, democratiche e socioeconomiche nei paesi partner, al fine di creare insieme uno spazio di prosperità condivisa.
Ritiene che sia venuto il tempo di affermare con chiarezza una comune identità mediterranea andando oltre la nozione di partenariato, parlando apertamente di una politica mediterranea e non più euromediterranea, rilanciando il processo di Barcellona quale quadro di riferimento prioritario e insostituibile delle relazioni tra le due sponde del Mediterraneo, e che a tal fine occorre mettere in campo una strategia concreta imperniata su una serie di iniziative relative a settori prioritari, quali : buon governo, dialogo politico, democrazia e sicurezza, sviluppo, riforme economico-sociali, scambi socio-culturali, educazione e collaborazione in materia di giustizia e di immigrazione.
Sarebbe inoltre necessario individuare delle aree di impegno prioritario e la definizione di gruppi informali di paesi tra i quali attuare forme di cooperazione rafforzata, nella convinzione che forme di cooperazione differenziate possano far avanzare l’intero processo, purché risultino aperte alla partecipazione degli altri Paesi e siano animate da una logica inclusiva e non elitaria.
In questo quadro, l’Action Plan si è rivelato un utile strumento, al quale l’Unione ha già fatto ricorso e che potrebbe essere maggiormente impiegato. Esso infatti consente di tenere conto delle specificità di ciascun Paese ed evita di dover individuare soluzioni uguali per tutti che si rivelano spesso di corto respiro.
Perché questi ed altri progetti
risultino concretamente praticabili crede sia necessario impedire che si
perpetui una ripartizione delle risorse europee fortemente squilibrata:
infatti, negli ultimi anni il rapporto tra i finanziamenti dell’Unione distribuiti
tra i Paesi dell’allargamento ad Est e quelli destinati alla sponda Sud del
Mediterraneo è stato di
Ritiene inoltre che vada coltivata l’ambizione di allargare la politica mediterranea all’intero Medio Oriente, rendendola più inclusiva e flessibile, sottolineando il legame inscindibile tra sicurezza, democrazia, stabilità e prosperità della regione mediterranea, coinvolgendo a tal fine le società civili e dimostrando con i fatti la volontà di migliorare le condizioni di vita delle popolazioni, in modo tale che l’area mediterranea possa effettivamente divenire un attore della globalizzazione nel rispetto delle identità dei Paesi e dei popoli in essa compresi, nella comune convinzione che le diversità non vanno negate o compresse ma arricchite e promosse attraverso il dialogo e la scoperta di valori comuni, quali il rispetto per la vita umana ed il rifiuto della violenza in tutte le sue forme, dal terrorismo alla guerra.
Nel Mediterraneo, infatti, non devono circolare i terroristi ma le idee e le culture come, del resto, è avvenuto per secoli trasformando la regione nella culla di civiltà con rilievo universale. E’ questa anche la strada maestra affinché l’Europa possa divenire effettivamente un attore della politica internazionale. E’ proprio nel Mediterraneo infatti che l’Unione europea deve svolgere un ruolo di primo piano.
Rileva come sia superfluo sottolineare quale straordinario contributo l’Egitto possa fornire al rilancio su basi rinnovate del processo di Barcellona in ragione delle sue peculiarità storiche, culturali e religiose.
Fatte queste brevi premesse di carattere generale, passa quindi a svolgere qualche breve riflessione in ordine alle potenzialità della cooperazione economica tra i due Paesi nell’ambito del più ampio contesto della politica euromediterranea. A tale ultimo riguardo, rileva che il partenariato non sembra aver determinato il decollo degli investimenti nell’area mediterranea come da tutti auspicato, imponendo di convincere i Paesi europei ad aumentare le quote di risorse destinate ai programmi di partenariato, privilegiando i progetti regionali idonei a favorire l’affermazione di una soggettività del lato Sud del mediterraneo secondo un approccio simile a quello integrazionista dell’Unione.
Più nel dettaglio, il tema dell’integrazione e del rilancio della prospettiva euromediterranea potrebbe essere sviluppato individuando delle priorità di maggiore valore strategico, quali: il settore dei trasporti e i corridoi euromediterranei; il mercato del lavoro e l’internazionalizzazione delle imprese e le alleanze industriali.
Nel condividere quanto esposto dalla parte egiziana, sostiene che la creazione di una rete di trasporti moderna ed efficiente che unisca le due sponde del Mediterraneo sia di importanza cruciale, non solo sul piano economico, ma anche sul piano politico e culturale, in quanto ogni relazione effettiva fra popoli e culture è radicata in uno scambio fisico, in una rete di collegamenti fisici, anche in considerazione del fatto che l’attuale rete è ancora in gran parte modellata su una realtà che non esiste più da decenni (in alcuni casi da secoli): quella del colonialismo, e che appare insufficiente a sostenere un dialogo fra le due sponde del Mediterraneo che non sia limitato alle elite politiche (da una parte) e ai diseredati sulle carrette del mare, dall’altra, e che coinvolga – su un terreno paritario - le società che fioriscono sulle due sponde, e quindi le rispettive classi medie.
A tale proposito, rivolge un appello ai colleghi presenti affinché si adoperino nel trovare una soluzione al fenomeno dell’immigrazione, fardello che pesa sulla coscienza di tutti in modo insostenibile. Ricorda il gran numero di immigrati che nel tentativo di attraversare il Mediterraneo, vengono inghiottiti dalle sue acque e si dichiara molto addolorato nel constatare il gran numero di giovani immigrati, una volta raggiunta la loro destinazione, si rivelino assolutamente impreparati al mercato del lavoro che finiscono per trovare e si trovino così a dover svolgere i lavori più umili o diventino facile preda delle organizzazioni malavitose. E’ questa una questione che va affrontata con la massima preoccupazione.
In ordine al mercato del lavoro, si limita a rilevare come anche per motivi di sicurezza internazionale, i paesi delle due sponde del Mediterraneo debbano insieme creare le condizioni perché i flussi migratori da Sud verso Nord si trasformino, segnando il passaggio verso un flusso di manodopera fisiologico e funzionale ad obiettivi di sviluppo, intensificando gli sforzi affinché l’Europa si doti di una politica comune in materia di immigrazione. In tale ambito, ricorda peraltro la recente firma dell’Accordo tra i nostri Paesi che prevede il rafforzamento della cooperazione per il rimpatrio in Egitto degli immigrati clandestini, che si è aggiunto a quello firmato con l'Egitto nel 2005 nel settore del lavoro e della formazione, che consente di far meglio corrispondere la domanda di lavoro in Italia con una più qualificata e selezionata offerta di lavoro in Egitto, facilitando in tal modo l'immigrazione regolare.
Relativamente ai profili dell’internazionalizzazione delle imprese, sottolinea l’esigenza di incentivare con tutti gli strumenti disponibili le alleanze industriali, particolarmente quelle di carattere strategico, cioè gli accordi a lungo termine fra imprese delle due sponde del Mediterraneo volte a realizzare congiuntamente attività strategiche (produzione, R&S, commercializzazione).
Sottolinea come le esperienze fin qui realizzate si dimostrino positive e promettenti per entrambi i partner: per le imprese del nord per gli effetti sulla competitività sui mercati tradizionali grazie ai vantaggi in termini di costo e per la crescita della quota di mercato locale; per l’impresa del sud per la crescita dell’attività (studi empirici parlano di percentuali comprese fra il 50% e il 100%), per l’opportunità di acquisire nicchie di competitività e nuove competenze. In tale contesto, sarebbe opportuno un intervento sia a livello parlamentare che governativo per garantire un reddito minimo salariale.
Nella prospettiva dello smantellamento del sistema tariffario, le alleanze mirano all’accesso diretto al mercato estero da parte di imprese del Sud e quindi ad opportunità concrete di sviluppo occupazionale. In questa luce assume infine un ruolo decisivo il sistema creditizio, posto che quello dei paesi della riva Sud è ancora inadeguato. In questo ambito, al fine di incoraggiare il settore privato e sviluppare gli investimenti, sarebbe auspicabile la trasformazione del Fondo euromediterraneo di investimenti e partenariato in una vera e propria Banca euromediterranea di sviluppo, così come previsto peraltro da una risoluzione del Parlamento europeo del 15 marzo 2007.
Per quanto concerne, da ultimo, le relazioni economiche bilaterali, ricorda come già oggi la cooperazione economica tra Italia ed Egitto sia molto intensa. L’interscambio commerciale ha infatti dimensioni rilevanti, posto che il nostro paese risulta costantemente al secondo posto nel mondo come mercato di sbocco delle esportazioni egiziane( anche se dal 2003 al 2005 la quota è scesa dal 14 al 10,6%) mentre per quanto riguarda le importazioni dell’Egitto , l’Italia si colloca stabilmente al quinto posto, occupando una quota che oscilla intorno al 6,5%.
L'Egitto inoltre nel
Assicura che l’impegno da parte italiana nel raggiungimento di tutti questi obiettivi sarà prioritario e costante, nella convinzione che sia esigenza comune quella di raggiungere l’obiettivo di contribuire alla prosperità economica dei due paesi, e invita la parte egiziana a considerare la Commissione esteri della Camera e il gruppo di collaborazione come strumenti privilegiati nel conseguimento di tali obiettivi.
Da ultimo, rileva come si profilino
interessanti prospettive e sinergie anche nel settore energetico, essendo le
imprese italiane attive in loco interessate al piano del Governo egiziano volto
a promuovere l’accelerazione dello sviluppo dell’estrazione del gas naturale,
nonché nel settore turistico, che dopo la tensione successiva all’11 settembre
Elementi che accomunano i due Paesi sono presenti anche nel settore del turismo nella direzione di una crescente valorizzazione delle bellezze naturali e al contempo di tutela dei profili ambientali.
Interviene quindi il Presidente Mohammed Abou-El Enein che, nell’esprimere apprezzamento per la relazione dell’on. Rashid, concorda sulla necessità di riattivare in modo efficace il partenariato euro-mediterraneo, anche in vista di un miglioramento degli obiettivi, finora non sufficienti, raggiunti dall’accordo di Barcellona.
Ritiene che al fine di garantire ai flussi migratori sbocchi occupazionali migliori degli attuali, occorre creare nuove opportunità di lavoro, individuando sinergie e risorse da localizzare nel Sud del bacino del Mediterraneo.
Prende la parola l’on. Mahmoud Ahmed Abaza, del Partito EI Wefd, che da’ il benvenuto alla delegazione italiana, ricordando come il Palazzo sede dell’Assemblea costituisca per il popolo egiziano il punto di partenza per la storia della democrazia del paese.
Rilevando come il Mediterraneo, per la sua posizione geografica, accomuni le due sponde, non le separa, sottolinea come tra il popolo italiano e quello egiziano esistono e sono sempre esistiti legami molto forti.
Passando al tema dei trasporti e delle infrastrutture, sottolinea il ruolo strategico del Porto di El Said, centro commerciale di rilevanza strategica assoluta, dal momento in cui le industria si stanno trasferendo nel sud-est asiatico al fine di ridistribuire i loro prodotti in tutto il mondo. Anche in questo settore l’esperienza ed il know how degli hub portuali italiani svolgono un ruolo importante al fine di intensificare i rapporti commerciali con il mondo arabo.
Per quanto riguarda il settore del tessile, l’esperienza ed il mercato sono in mano alle industrie italiane, e si augura che le industrie egiziane possano contare per la loro crescita sull’apporto della tecnologia italiana.
Auspica che la politica estera europea, intesa a livello multilaterale, possa in un prossimo futuro giocare un ruolo importante nella risoluzione delle problematiche poste dall’escalation della situazione medio – orientale, e, dopo aver riconosciuto l’importanza del ruolo dell’Italia in questa parte del mondo, che si possa collaborare fattivamente per un esito positivo del Processo di Barcellona
Interviene quindi il Presidente Umberto Ranieri, sottolineando la necessità di dare maggiore concretezza alla cooperazione tra i Paesi, tra il sud del Mediterraneo e l’Europa. Ritiene che anche nel settore strategico dei trasporti non sia accettabile un programma di sviluppo europeo che non tenga nel dovuto conto l’ambito euromediterraneo. E’ necessario attuare una più compiuta e concreta strategia di potenziamento della rete dei trasporti e dell’agricoltura, anche mediante la promozione del Corridoio verde.
L’onorevole El Enein ribadisce l’importanza del porto El Said come punto nevralgico di partenza e di redistribuzione del traffico marittimo in tutto il mondo.
Interviene l’onorevole Tana de Zulueta, che esprime piena condivisione per l’appello lanciato dal collega Alì Rashid sulla questione dell’immigrazione, sfida del secolo, che investe in modo diretto anche i Parlamenti. Rileva, anche nella sua qualità di Presidente della Commissione Cultura dell’Assemblea parlamentare euro-mediterranea, come non sia ancora adeguato il modo in cui questo tema viene affrontato in sede europea. Si augura che si possano apportare correzioni efficaci alla politica europea sull’immigrazione ed esprime i suoi sentimenti di vergogna per i recenti tragici accadimenti di questi giorni (si riferisce al ritrovamento di cadaveri di immigrati abbandonati nelle reti di alcuni pescherecci).
L’on. El Enein concorda con le dichiarazioni appena rese dall’onorevole de Zulueta, di cui sottolinea il coraggio e l’apertura degli interventi che pronuncia nelle varie sedi internazionali, cui ha avuto modo di assistere anche in passato.
Passa quindi ad illustrare brevemente i contenuti della seconda sessione, che ha per oggetto il tema della “Cooperazione nel settore dell’istruzione scolastica ed universitaria: esperienze a confronto e prospettive di interscambio”.
Interviene, per la parte italiana, l’onorevole Patrizia Paoletti Tangheroni, che ricorda preliminarmente con orgoglio di essere figlia di immigranti italiani in Egitto. Attribuisce grande valore alla cultura, come elemento di unione e non di divisione tra i popoli. Tra il popolo egiziano e quello italiano è sempre esistito un filo unificatore, che non si è mai interrotto, caratterizzato da una valenza prevalentemente culturale. Cita a tale proposito alcuni esempi di celebri rappresentanti della cultura italiana, dal matematico Fibonacci a Totò, che in qualche modo hanno partecipato a rafforzare questi legami, da ultima la professoressa Edda Bresciani dell’Università di Pisa, i cui studi hanno contribuito a riportare alla luce le rovine di Sarkada.
Passando ad illustrare la sua relazione, ricorda che la nuova articolazione dei corsi universitari (cosidetto 3+2) e dei relativi titoli è la seguente:
· la laurea triennale, finalizzata ad assicurare un'adeguata padronanza di metodi e contenuti scientifici generali e caratterizzata da un percorso di base comune per gli studenti del primo anno di ciascuna classe di laurea cui farà seguito un percorso metodologico o in alternativa professionalizzante;
· la laurea magistrale (inizialmente denominata specialistica) conseguibile in ulteriori due anni al termine del corso di laurea triennale (3+2), finalizzata a garantire una formazione di livello avanzato per l'esercizio di attività di elevata qualificazione in ambiti specifici;
· il master universitario, annuale di I e II livello (conseguibile cioè dopo la laurea triennale o magistrale), interamente affidato all'autonomia degli atenei, finalizzato all'offerta di formazione aggiuntiva e di aggiornamento professionale;
· la specializzazione, nei soli casi in cui la prevedano specifiche disposizioni legislative o in applicazione di direttive dell'Unione europea; ed in particolare nelle aree degli studi sanitari, della formazione degli insegnanti, della preparazione alle professioni legali;
· il dottorato di ricerca, già riordinato nel 1998 nell’ottica di accentuare l'autonomia degli atenei nell'istituzione dei corsi (attivabili anche in convenzione con soggetti pubblici e privati) e sostituire ad un taglio prevalentemente accademico un orientamento verso la “ricerca di alta qualificazione”, da svolgere anche in ambito non universitario.
In merito alla cooperazione in materia di istruzione tra Italia ed Egitto, ritiene che la forma migliore da attribuire a questo settore sia quella del finanziamento a livello di partenariato euromediterraneo. Ricorda che la Commissione europea ha recentemente stabilito di aumentare almeno del 50 % la proporzione della cooperazione finanziaria a favore dell’istruzione a decorrere dal 2007, parallelamente ad un maggiore impegno dei governi nazionali in termini di investimenti nel settore.
Passa poi ad illustrare un tema più volte affrontato in questa sede e particolarmente sentito nell’ambito delle relazioni bilaterali tra i due paesi, che è quello della possibilità di istituire una università italo-egiziana al Cairo, tema affrontato anche nel corso dell’ultima visita del Presidente Sorour alla Camera dei deputati, dello scorso 26 ottobre.
Tre sono le possibilità percorribili per arrivare alla creazione di questa istituzione: la prima prevede la rimozione degli attuali ostacoli normativi che non consentono per problemi di omologazione dei titoli di studio l’istituzione all’estero di una università italiana, rimozione che richiederebbe tuttavia tempi lunghi per le necessarie modifiche normative e che rischierebbe di creare attese ed ostacoli agli scambi culturali già esistenti; la seconda, che consentirebbe di accorciare di molto i tempi di attuazione del progetto, riguarda la creazione di un consorzio tra università italiane, sul modello di quello già recentemente avviato dall’Italia in Cina; la terza, quella di prevedere lo sviluppo di questa iniziativa nell’ambito del programma Tempus III. Questa sono le prime ipotesi che si potrebbe iniziare a valutare ed a discutere per arrivare a concretizzare l’idea dell’istituzione dell’Università.
Interviene l’on. El Enein, che esprime apprezzamento per l’intervento appena esposto. La cooperazione che l’Egitto richiede all’Italia riveste tante forme ed investe molteplici ambiti. L’Egitto ha bisogno che l’Italia si adoperi per migliorare la formazione professionale del personale qualificato in Egitto (cita come esempio i diplomati dell’Istituto Don Bosco, che il Premier italiano ha visitato mesi fa, esprimendo la volontà di elevare il livello dell’istruzione fornito dall’Istituto). Ricorda che al Cairo sono già operanti alcune università straniere, quella statunitense, quella francese, quella britannica e quella cinese, e ritiene che sia giunto il momento che ne venga finalmente istituita anche una italiana, indipendentemente dalle modalità che sarà necessario seguire.
Prende la parola l’on. Sieda Elham Gneiss, che dopo aver dato il suo personale benvenuto alla delegazione, passa ad illustrare la sua relazione per la parte egiziana sul tema in oggetto. Rileva come in Egitto sia fortemente sentita l’esigenza di potenziare ed accrescere in loco la formazione e la preparazione professionale di personale tecnico; la priorità in questo senso è come sviluppare il livello dell’istruzione anche elementare, accrescerne il livello e la qualità, senza perdere di vista lo stretto collegamento esistente con la emigrazione delle forze lavoro, costituita per la maggior parte da flussi che tornano indietro perché inadeguati a livello professionale.
L’on. Mahmoud Ahmed Abaza, a sua volta, nel concordare circa l’esigenza di dedicare maggiori risorse ed attenzione all’addestramento professionale e al tirocinio, auspica che l’istituzione dell’università italo-egiziana possa colmare le lacune esistenti in tali ambiti e che possa avvenire nei tempi più brevi possibili, ricorrendo laddove possibile anche allo strumento dei trattati bilaterali.
Prende la parola l’on. Iskandar Guirguis Ghattas, che sottolinea l’importanza della cooperazione bilaterale anche riguardo all’istruzione e agli aspetti culturali in genere,sottolineando come l’Italia sia da sempre presente sulla scena politica e culturale egiziana. A tale proposito ricorda l’importante ruolo che nei decenni passati hanno svolto i professori dell’Università Federico II di Napoli per quanto riguarda la formazione dei docenti egiziani. Si dispiace della decisione del governo italiano di diminuire gli stanziamenti per la diffusione della cultura e della lingua italiana all’estero e si augura si possa ripensare a tale riduzione.
L’onorevole El Enein sottolinea l’importanza di riuscire a reperire fondi per la diffusione della lingua italiana all’estero, anche al fine di poter attivare stages di formazione in Italia.
L’onorevole Paoletti Tangheroni ricorda come l’esperienza dell’Istituto Don Bosco sia stata così positiva perché l’istituto ha potuto fin dalla sua istituzione corrispondere con chiarezza ed efficacia ad un bisogno educativo reale, operando in un quadro istituzionale definito. La vera questione che pone la creazione delle università private è quella di garantire effettivamente l’accesso ai migliori. Occorre quindi mettere in opera un meccanismo virtuoso che ne garantisca l’accesso anche a chi è sprovvisto di mezzi. Ritiene che sia preferibile orientarsi verso la scelta di istituti di eccellenza, ai quali aderiscano persone capaci, onde evitare l’insorgere di polemiche sull’opportunità di scegliere il pubblico o il privato che farebbero perdere di vista il vero obiettivo finale, che è quello di promuovere le reali capacità locali.
Ricorda poi che la prossima sede utile per dare un contributo effettivo alla creazione dell’università italo – egiziana potrebbe essere la Conferenza dei Ministri euro-mediterranei dell’istruzione secondaria e della ricerca, che si svolgerà proprio al Cairo il prossimo 18 giugno.
A tale proposito, l’on. Ranieri rileva l’opportunità di informare il Ministro dell’Università e della ricerca italiano, on. Fabio Mussi, della questione, prospettando la possibilità che, a margine della Conferenza, possa svolgersi un incontro a livello bilaterale tra i due Ministri per una prima valutazione concreta.
Da parte sua, l’on. El Enein si impegna ad informare il Ministro egiziano circa la proposta di incontro in quella sede, affinché sia preparato a sostenere la discussione.
Illustra quindi il tema della terza sessione, “Le sfide del Mediterraneo ed il ruolo della diplomazia parlamentare, con particolare riguardo alla situazione dell’area medio-orientale, al Libano ed al Darfur, alle iniziative per la lotta al terrorismo internazionale e per il contrasto alla proliferazione di armi nucleari”, tema politico, molto importante e dibattuto, che si augura venga affrontato in modo diretto e con grande chiarezza, che richiede l’assunzione di una seria presa di posizione per poter accelerare l’adozione di soluzioni concrete.
A tale proposito, chiede in particolare quale sia la posizione del Parlamento italiano in merito alla questione del ritiro dai territori occupati, e sostiene che di fronte all’accresciuta capacità offensiva e distruttiva di alcuni paesi è necessario trovare parole e iniziative capaci di fermare l’escalation della violenza e del terrore, che consentano di uscire da questo tunnel cieco, anche tramite una chiara definizione del ruolo strategico di alcuni paesi, come la Russia.
L’on. Alessandro Forlani si associa a quanto già detto dai colleghi sull’esistenza di antichi e profondi rapporti di amicizia tra l’Italia e l’Egitto, risalenti alla storia antica, che si sono sviluppati nel tempo sempre con attenta reciprocità tra i due popoli. Ricorda il ruolo della Comunità italiana in Egitto: anche oggi l’Italia ricopre un ruolo importante, è il secondo partner commerciale, condivide con l’Egitto interessi comuni legati alla posizione geografica e ai legami culturali.
Riconosce all’Egitto un ruolo importante ai fini della definizione dei conflitti in Medio Oriente; l’Egitto è una grande potenza del mondo arabo e la sua leadership nell’ambito della Lega araba è ovunque riconosciuta, e ci si aspetta quindi che si impegni nella risoluzione di questi conflitti.
Da parte sua, l’Italia è coinvolta ed attenta alle vicende di quella parte del mondo, ed entrambi i Paesi risultano immedesimati nelle iniziative assunte dall’Unione europea per portare a termine il processo di pace.
La ripresa delle tensioni e degli scontri con le forze di pace in Libano, la situazione Iran e in Turchia, in concomitanza con una delicata scadenza elettorale, sono tutti eventi che creano preoccupazione a livello internazionale, e rispetto ai quali l’Egitto, sia nell’ambito della Lega araba che in un quadro di più vasto multilateralismo, risulta coinvolto e disposto ad accelerare gli sforzi di pressione per una soluzione pacifica di tali contrasti.
Per quanto concerne la situazione palestinese, sottolinea che il carattere territoriale, la ripartizione della sovranità e la mancata definizione dei poteri sia alla base del conflitto. Ritiene sia necessario contribuire alla nascita della Stato palestinese e al ritiro di Israele dai territori occupati, e contemporaneamente provvedere al controllo e alla successiva eliminazione degli attentati nei territori israeliani, nonché al riassetto politico e istituzionale dell’Iran, onde garantire una pacifica convivenza delle varie etnie e una ripartizione equa delle risorse.
Le organizzazioni internazionali e l’Italia e l’Unione europea saranno in prima linea nel tentativo di favorire questi processi di stabilizzazione e per garantire la presenza e l’azione di forze che contrastino nell’immediato l’instabilità e la conflittualità permanente dell’area, come le organizzazioni terroristiche ed alcune organizzazioni politiche. Ritiene che tali processi saranno necessariamente in contrasto con che non ha interesse a che nascano due stati confinanti, Israele e la Palestina, e con chi non crede nella possibilità di stabilire un assetto maturo e democratica dell’area.
Conferma la sua fiducia nel ruolo della Lega araba circa la sua capacità di tenere coesi i paesi in uno sforzo comune per affrontare queste sfide, uniti nell’elaborazione di strategie per ottenere nuovi equilibri politici, in questo affiancati dall’Italia e dall’Unione europea.
L’on. El Enein auspica che l’Unione europea e l’Italia, che vanta buone relazioni diplomatiche e politiche con le varie parti in causa, possano effettivamente rivestire un ruolo costruttivo nella soluzione di questi conflitti.
L’on. Abaza sostiene che il Medio Oriente è una realtà estremamente complessa, complicata tra l’altro dai vari sentimenti e credo religiosi, e ricorda che già l’Imperatore Adriano aveva disposto di non intervenire nei conflitti regionali locali; è necessario guardare a questa realtà adottando una visione globale. Si augura che si possa quanto prima tornare alla situazione preesistente al 1967, con la reazione di due Stati autonomi e indipendenti e sostiene che sia necessario un intervento della comunità internazionale affinché il conflitto non si trasformi in guerra di religioni.
Rileva come, tra l’altro, i conflitti interni alle singole nazioni ledano e minino la coesione e l’unanimità nella gestione delle trattative. Auspica che Israele diventi consapevole del fatto che una soluzione esclusivamente militare non è percorribile. E’ interesse vitale dell’Egitto, anche in considerazione della sua posizione geografica, l’elaborazione di nuove soluzioni e strategie di soluzione dei conflitti. Ritiene che l’attuale situazione in Iran sia il simbolo del fallimento del Trattato di non proliferazione.
L’on. Iskandar sostiene che solo una effettiva e fattuale collaborazione tra gli Stati può portare alla risoluzione di queste crisi sia a livello locale che di portata più generale, e ricorda che l’Egitto, in ottemperanza della risoluzione del Consiglio di sicurezza ONU, ha adottato incisive misure per la lotta al terrorismo.
Interviene l’on. Khalil, che sostiene che oggi esistono le condizioni per un franco scambio di opinioni, e che la straordinaria gravità della situazione richieste sforzi straordinari, con un salto di qualità anche nel livello degli interventi e del dibattito parlamentare. Ritiene che il Gruppo di collaborazione possa costituire il nucleo ideale per affrontare in una sede privilegiata queste problematiche.
L’assenza di armi di distruzione di massa è la condizione essenziale per la risoluzione dei conflitti in Medio Oriente, ma dietro questa convinzione non ci sono decisioni conseguenti, e forse la diplomazia parlamentare può svolgere un ruolo utile in questo contesto.
L’on. Mosfata Ahmed Kershi, Vice Presidente della Commissione Affari esteri, ribadisce il diritto dei popoli all’autodeterminazione e sostiene che il terrorismo non può essere relazionato ad una religione o ad una civiltà.
L’on. Hisham Mostafa Khalil, Vice Presidente della Commissione Cultura informazione e Turismo, torna invece a discutere sul tema della cooperazione in ambito culturale, e dichiara che è interesse prioritario del suo paese l’addestramento e la formazione professionale, la creazione di istituti tecnici, per “formare formatori” che parlino italiano e per poter esportare lavoratori qualificati.
In Egitto si è creato un clima assolutamente favorevole per la definizione di accordi di investimento e di collaborazione, ma a garanzia di tutto questo non c’è la necessaria stabilità politica.
Riguardo al tema in discussione, quello della lotta al terrorismo internazionale, auspica la più intensa collaborazione internazionale. Da ultimo, lamenta il fatto che ultimamente in Egitto non si rappresentino più spettacoli teatrali e opere liriche italiane; auspica, a tale riguardo, un interessamento della delegazione italiana.
Prende la parola l’on. Forlani, che concorda sulla comune condivisione delle finalità e delle modalità di raggiungimento della pace finora emerse nel corso del dibattito. Dopo gli accadimenti dell’11 settembre, il terrorismo internazionale è stato spesso ricondotto e ricollegato ad una sorta di scontro culturale, tra civiltà, con aspetti di suggestione di massa che hanno pericolosamente favorito il radicalizzarsi delle diversità, mentre sarebbe auspicabile un approccio più pragmatico a queste questioni, atteggiamento di recente assunto dal Re dell’Arabia Saudita, che ha saputo usare il suo prestigio anche a livello internazionale per mediare tra le opposte fazioni palestinesi.
L’Italia nutre una grande fiducia verso i Paesi arabi come l’Egitto e anche la Siria, sulla quale tuttavia gravano anche ombre e sospetti, e circa il preteso conflitto di civiltà ha sempre pensato fosse un pretesto utilizzato dalle minoranze eversive per mettere in atto i loro propositi destabilizzanti. L’antidoto migliore a tutto questo è la cooperazione culturale ed economica, anche al fine di rimuovere le prevenzioni e le diffidenze sociali e di abbattere le diversità. Auspica che il progetto di istituzione dell’università italo – egiziana trovi sicura realizzazione e riuscita, soprattutto nella sua dimensione post-universitaria, e che consenta un più agevole inserimento professionale nell’aera euromediterranea e che la cooperazione nei vari ambiti possa allentare i pregiudizi e le prevenzioni anche di carattere ideologico.
Sulla quarta sessione, recante il tema “La cooperazione parlamentare tra Italia ed Egitto, anche alla luce della comune partecipazione in fori internazionali quale l’Assemblea parlamentare euro-mediterranea, ed il ruolo delle donne nei processi decisionali” prende la parola l’on. Sieda Elham Gneiss che, nel ricordare l’importanza del contributo delle popolazioni alla crescita democratica, auspica una maggiore collaborazione tra le varie organizzazioni italiane operanti in Egitto e lamenta il ruolo molto limitato delle donne egiziano nelle istituzioni, anche se il Parlamento sta tentando di varare una legge che garantisca una loro maggiore presenza.
L’on. El Enein riconosce l’importanza del ruolo femminile nei più svariati ambiti, ruolo vitale, destinato ad aumentare. La nuova costituzione ha provveduto ad incrementare la rappresentanza femminile nelle varie forme di elezioni dirette previste dall’ordinamento; ciò è stato possibile anche grazie all’impegno della signora Mubarak, sempre attiva ed attenta nei vari contesti sociali.
Prende la parola l’on. Tana de Zulueta, che definisce la problematica della rappresentanza femminile un tema di democrazia sostanziale, riguardo al quale spesso i risultati conseguiti non sono all’altezza dei propositi. Anche le modifiche apportate alla Costituzione in questo senso, per consentire “discriminazioni” a favore delle donne, hanno portato nei fatti a risultati che hanno deluso le attese.
Ricorda che nell’ambito del Partenariato euro-mediterraneo è stato creato il Forum per le donne che si riunì per la prima volta a Napoli nel 2000. Attualmente, in seno all’APEM, opera una Commissione ad hoc sui diritti delle donne, e la recente risoluzione approvata a Tunisi ha stabilito che anche gli uomini debbano farsi carico di questa questione, nella convinzione che sia indispensabile promuovere attivamente il ruolo della donna in tutti i settori.
Rileva che il processo di Barcellona – cui in molti avevano riposto grandi speranze - non ha dato i risultati attesi soprattutto in ambito economico. I tanti conflitti tuttora insoluti continuano a pregiudicare la creazione di un’area di pace mediterranea, e che gli scambi culturali hanno risentito degli ostacoli alla libera circolazione e alla libertà di movimento.
Nel ribadire l’importanza del dialogo tra le culture, sottolinea il comune sentire tra le due Assemblee parlamentari dell’Italia e dell’Egitto, che dovrebbe consentire di divenire co-promotori di iniziative concrete di interscambio culturali - come avvenuto ad esempio per il progetto Horizon 2020 sulla tutela ambientale del Mar Mediterraneo - da realizzare anche attraverso la creazione dell’università italo – egiziana o anche euromediterranea, e che abbiano come obiettivo anche la protezione e la sicurezza delle acque del Mediterraneo.
Il dialogo culturale non può di certo costituire l’unica forma di collaborazione utilizzabile su cui puntare visto che gli altri due volet del Partenariato sono rimasti indietro, ma sicuramente resta uno strumento importante e da rafforzare. In tale ambito sono sempre più necessarie iniziative concrete di cui l’odierna riunione e la proposta di costituire una Università italo-egiziana sono un esempio.
Il Presidente Ranieri ringrazia per l’ospitalità e per l’accoglienza riservata alla delegazione italiana e assume l’impegno di procedere nella direzione di un crescente consolidamento della collaborazione parlamentare tra le due assemblee nei vari ambiti esaminati. Coglie altresì l’occasione per salutare con cordialità e riconoscenza l’ambasciatore Badini, prossimo a lasciare l’incarico.
Il Presidente El Enein si dichiara orgoglioso per il livello della discussione raggiunto e per l’importanza dei temi trattati, che hanno riscosso unanime consenso e messo a fuoco l’utilità delle azioni finora adottate nelle varie sedi internazionali. Auspica un forte accrescimento del ruolo della donna in ambito politico e diplomatico e che il rispetto per le diversità culturali e religiose non pregiudichi le possibilità di sviluppo del dialogo in tutte le sue forme.
VIII Riunione della Grande Commissione Italia - Russia
Mosca, 13 – 15 giugno 2007
RESOCONTO DEI LAVORI DELLA
VIII RIUNIONE DELLA GRANDE COMMISSIONE
ITALIA-RUSSIA
Mosca, 13 – 15 giugno 2007
I lavori sono stati aperti dagli indirizzi di saluto dei Presidenti delle Camere basse dei due Paesi, Gryzlov e Bertinotti, e dei Co-Presidenti della Grande Commissione, Sliska e Tremonti. Sia da parte italiana che russa, e’ stata unanimemente evidenziata l’utilita’ della diplomazia parlamentare ai fini dello sviluppo della cooperazione bilaterale e, piu’ in generale, delle relazioni internazionali: l’approfondimento congiunto delle questioni di rilevante attualita’ costituisce infatti un importante strumento di dialogo complementare (rispetto a quello intergovernativo), suscettibile di aiutare gli Stati a decidere con maggiore consapevolezza ed efficacia. Ne sono testimonianza i risultati dei pregressi incontri, che hanno consentito di promuovere un fruttuoso scambio di opinioni e di esperienze sul piano politico-legislativo.
Se la firma del Protocollo di collaborazione ha costituito la pietra miliare per lo sviluppo di relazioni costanti tra i due Parlamenti, queste ultime non si sono limitate alla Grande Commissione, ma si sono allargate a molti altri incontri tra le rispettive Commissioni di settore, favorendo la realizzazione di progetti comuni che spaziano dall’ambito culturale a quello economico. Come evidenziato dal Presidente Bertinotti, l’Italia ha sviluppato con la Russia un “rapporto privilegiato” a tutto campo che si intende valorizzare evitando atteggiamenti dogmatici e supponenti, ma al tempo stesso senza alcuna preclusione.
I lavori della VIII Riunione si sono sviluppati in quattro sessioni, concentrandosi su quattro temi di grande attualita’ e rilevanza politica: Sicurezza globale ed europea. La questione della fiducia nel settore militare nel dialogo Russia-NATO; Rapporti Russia-UE. Prospettive di partenariato strategico sullo sfondo dei problemi congiunturali attuali; Il ruolo della legislazione nella crescita di un’economia libera e socialmente responsabile; Il dibattito critico sulla storia recente.
Con riferimento al primo argomento, il Presidente della Commissione Esteri della Duma, Kosachev, ha ripercorso brevemente gli ultimi cinquant’anni di storia delle relazioni internazionali per evidenziare le cause e gli effetti - a suo giudizio - delle attuali tensioni nei rapporti NATO-Russia. Dopo una prima fase di artificiale stabilita’ (il primo decennio della guerra fredda) fondata sul principio dell’equilibrio delle forze e del contenimento reciproco, si e’ passati ad un secondo periodo (anni Novanta) caratterizzato da una forte instabilita’ e dal prevalere di singoli interessi nazionali. Ad esso e’ seguito il terzo ciclo, quello attuale, in cui la Russia ha riconquistato un ruolo di attore globale suscettibile di partecipare attivamente alla costruzione ed alla difesa della sicurezza collettiva. Nel frattempo, i percorsi seguiti da Mosca e dai suoi “partners”, in particolare dagli Stati Uniti, sono stati - a suo giudizio - sensibilmente diversi: mentre la Federazione ha ridotto radicalmente la propria presenza militare al di fuori dei suoi confini, rispettando gli obblighi assunti in base agli accordi internazionali, l’America ha aumentato a dismisura le spese militari, ha promosso l’allargamento della NATO ad Est ed ora intende dislocare parti dello scudo antimissilistico in Polonia e nella Repubblica Ceca.
Secondo Kosachev, il processo si e’ sviluppato in un quadro di generale appiattimento delle posizione europee su quelle di Washington e di costante strumentalizzazione delle reazioni russe. Per evitare una nociva ripresa della "corsa agli armamenti" suscettibile di innescare una nuova guerra fredda, si impone urgentemente il rilancio del dialogo su basi nuove e piu’ paritarie, la disponibilita’ russa alla cooperazione rappresentando una condizione necessaria ma non sufficiente. A questo proposito, egli ha formulato una serie di proposte quali il rafforzamento del Consiglio NATO-Russia e la rivitalizzazione dell’OSCE affinché diventi un foro di riflessione credibile in materia di sicurezza europea, eventualmente anche energetica.
Da parte italiana, il deputato Compagnon ha esordito con una nota positiva, sottolineando gli ottimi rapporti bilaterali esistenti tra la delegazione del Parlamento della Repubblica italiana e la Delegazione della Duma di Stato presso l’Assemblea della NATO, come confermato dalla recente firma (lo scorso 2 aprile a Roma) di un memorandum di cooperazione parlamentare volto a sostenere gli sforzi congiunti nell’ambito della lotta al terrorismo internazionale ed alla diffusione delle armi di distruzione di massa, nonche’ nei settori della cooperazione militare e della pianificazione dell’emergenza civile. Quanto al dibattito internazionale sulla sicurezza globale (con riferimento non solo allo scudo spaziale, ma anche ai teatri di conflitto ed al narcotraffico), Compagnon ha indicato nel circuito multilaterale la sede più appropriata per la soluzione di eventuali contrasti. A questo proposito, pur nelle rispettive differenze di approccio, l’Alleanza Atlantica e la Federazione condividono molti punti di vista sulla natura della minaccia terroristica e sui modi per affrontarla, sussistendo una fiducia reciproca che si traduce in varie forme di cooperazione. Da parte sua, l’Italia sostiene fortemente le relazione NATO-Russia e in forza del suo canale privilegiato con Mosca intende favorire l’instaurarsi di quel clima di solidarieta’ che e’ necessario per la composizione della crisi.
Si è quindi svolto un dibattito con interventi dei deputati Benedetti Valentini, Provera e Tremonti per la parte italiana e del deputato Kosachev per la parte russa. Il deputato Benedetti Valentini ha in particolare sottolineato come l’aumento delle spese militari da parte americana sia conseguenza di un momento di grande instabilità connesso ad eventi che hanno messo a rischio la sicurezza internazionale.
Concorda con il collega Kosachev in merito alla grande attenzione che l’Unione europea ha dedicato all’allargamento, senza valutare con la stessa considerazione i problemi legati al partner russo che è invece sempre più strategico e rappresenta un elemento di stabilizzazione a fronte della grande crescita della Cina.
Il deputato Provera ha sottolineato come possa essere interessante approfondire la collaborazione Italia-Russia sui sistemi satellitari che hanno un uso sia militare che civile nel campo della tecnologia.
Il deputato Kosachev ha ritenuto interessante la cooperazione nel campo spaziale, la quale dovrebbe prevenire la militarizzazione unilaterale dello spazio; sotto questo profilo il sistema russo è aperto ed integrabile ad ogni forma di collaborazione.
Il Presidente della parte italiana della Grande Commissione, Giulio Tremonti ha concluso sottolineando i numerosi elementi di dialogo emersi dal vertice di Heilingendamm: è necessario infatti creare una nuova base di fiducia ed incrementare lo scambio reciproco di informazioni e contatti. Ritiene interessante l’ipotesi formulata dal collega Kosachev in merito alla possibilità per l’OSCE di divenire un forum di discussione, superando gli attuali limiti che ne caratterizzano l’attività.
La seconda sessione e’ stata dedicata alle relazioni euro-russe sullo sfondo dei problemi congiunturali. Pur ribadendo l’importanza politico-economica attribuita al partenariato con l’Unione Europea, il deputato Klimov ha esordito esprimendo preoccupazione per l’andamento dell’articolato rapporto con Bruxelles, evidenziando le notevoli difficoltà che ostacolano l’avvio del negoziato per il nuovo Accordo. Dopo aver evidenziato la mancanza di unitarieta’ e di coerenza da parte europea (veto polacco, questione estone) e la persistente tendenza ad applicare doppi “standard” nell’approccio alle questioni sensibili (diritti umani), egli ha tuttavia posto in risalto la comune eredita’ storico-culturale ed il carattere strategico dei rapporti euro-russi, il cui sviluppo e’ suscettibile non solo di consolidare una collaborazione mutuamente vantaggiosa, ma anche di assurgere a modello per altri simili processi nell’odierno mondo globalizzato. Il Vice-Presidente della Duma, Sliska, ha inoltre sottolineato gli esiti positivi del recente Vertice di Samara, che ha permesso di esaminare le cause dei persistenti elementi di divisione, consentendo di esprimere l’interesse condiviso a contrastare nuove indesiderate fratture all'interno dello spazio comune.
Da parte italiana, il deputato Marcenaro ha ricordato che un aspetto fondamentale per la realizzazione del nuovo Accordo di Partenariato e Cooperazione e’ quello concernente il settore energetico, su cui si e’ ormai consolidata una chiara convergenza di vedute (prevedibilita’ dei mercati, reciproca dipendenza tra fornitori e consumatori e protezione delle infrastrutture). Diversamente, i temi sui quali il confronto si presenta più difficile sono quelli più specificamente politici (lo“ spazio di libertà, sicurezza e giustizia” e lo “spazio di sicurezza esterna”), mentre la situazione dei diritti umani nella Federazione continua ad essere motivo di preoccupazione per l’Europa e di irritazione per Mosca. Partendo dalla premessa che non sia realistico pensare a un rapporto tra l’Europa e la Russia incentrato solo sugli interessi, Marcenaro ha sottolineato la necessita’ di porre i problemi nella giusta ottica, riconoscendo la specificita’ di ciascun Paese ed evitando posizioni dogmatiche frutto di interessi individuali. Nello stesso tempo, i grandi principi democratici e libertari devono, nelle sue parole, rappresentare il comune denominatore per qualsiasi collaborazione ed il punto di partenza per affermare un nuovo multilateralismo di cui la Russia sia protagonista a pieno titolo.
Il terzo tema all’ordine del giorno e’ stato il ruolo della legislazione nella crescita di un’economia libera e responsabile. A questo proposito, il deputato Medvedev ha innanzitutto evidenziato il forte sviluppo economico nazionale registrato dal 2000 (aumento del PIL, delle riserve bancarie, degli investimenti esteri, consolidamento del bilancio), in contrapposizione al crollo finanziario degli anni Novanta in cui un mercato completamente libero (a suo dire anarchico) era visto come unica possibilita’ di riuscita. Partendo da questa premessa, egli ha descritto le condizioni necessarie per garantire un percorso di crescita sostenibile e responsabile che, pur tenendo conto delle specificita’ nazionali (sistema-Paese), puo’ costituire una valida base di confronto e di dialogo multilaterale. Evocando il recente discorso alla Nazione di Putin, Medvedev ha attirato l’attenzione dei colleghi sulla responsabilita’ delle Assemblee legislative nel creare condizioni fiscali, doganali ed amministrative piu’ rispondenti alle esigenze del mercato e piu’ eque rispetto ai diversi strati sociali. D’altro canto, lo sviluppo dei settori innovativi e la lotta alla corruzione rappresentano settori in cui lo Stato puo’ e deve intervenire, al pari di quello demografico e della sfera immigratoria. In sostanza, il ruolo attivo dello Stato non significa dirigere l’economia, bensi’ operare la’ dove interessi sensibili (energia atomica, industria bellica) e la perequazione sociale impongono una visione piu’ ampia ed avveduta.
Partendo dalla premessa che il ruolo della politica nella crescita economica dipende dal quadro storico ed istituzionale considerato, il Presidente della parte italiana della Grande Commissione , Giulio Tremonti ha evidenziato le differenze esistenti tra il contesto europeo e quello russo, nonche’ i difetti di entrambi i sistemi: mentre l’Europa elabora un’eccessiva quantita’ di regolamenti atti a sviluppare una economia liberale e trasparente, la Russia rafforza un protezionismo statale che finisce col falsare le regole del libero mercato, risultando entrambe in controtendenza rispetto agli impulsi globalizzatori odierni. Per facilitare le sinergie e promuovere un’economia aperta, il legislatore e’ chiamato ad elaborare strategie non invasive di stimolo dei settori produttivi (tasse ed investimenti), con una visione di insieme che sappia sfruttare opportunamente le esperienze degli altri Paesi. Quanto alla giustizia sociale, una politica economica responsabile deve coinvolgere tutte le strutture attive della società civile, non limitandosi all’apparato statale od alle grandi società, occorre infatti pensare ad investimenti anche nel terzo settore ed è necessario stimolare i cittadini ad utilizzare parte delle risorse destinate al prelievo fiscale per scopi ben determinati (5 per mille per le organizzazioni non governative).
La quarta sessione e’ stata dedicata al dibattito sulla storia recente. La parte russa - che aveva fortemente auspicato l’inserimento del tema nell’agenda dei lavori - ha espresso forte preoccupazione per le tendenze revisioniste di alcuni Paesi dell’Europa orientale volte a modificare il significato dei risultati della II Guerra Mondiale. Secondo il Presidente Sliska, si tratta di un fenomeno pericoloso ed inaccettabile, soprattutto se esso si afferma sullo sfondo di una intenzionale politica di discriminazione delle popolazioni russofone. Il rispetto per la memoria storica e per le sepolture di guerra dovrebbe condurre alla denuncia - ad esempio - delle iniziative estoni concernenti il monumento al “Milite Ignoto”, mentre i rigurgiti neo-nazisti nelle Repubbliche Baltiche dovrebbero essere fermamente condannati. Negli stessi termini si e’ espresso anche il deputato Fomenko, secondo cui l’Europa peccherebbe talora di “miope opportunismo” cercando di interpretare accadimenti passati e presenti secondo criteri autoreferenziali che mal si conciliano con la diversita’ del mondo circostante e che impediscono lo sviluppo di un confronto storico-politico costruttivo.
Da parte italiana, il deputato Venier ha lamentato una generale tendenza europea a ribaltare giudizi e memorie su cui si basano le società contemporanee, piegando l’analisi storica ad interessi politici contingenti e rendendola ostaggio di speculazioni che finiscono col fomentare un aspro dibattito nelle sedi parlamentari, cosi’ come in quelle diplomatiche. Pur essendo legittimata ad affrontare ogni questione, la politica ha il dovere di sviluppare discussioni costruttive basate su fonti certe e finalizzate ad una migliore comprensione degli avvenimenti fondamentali del secolo scorso. La storia del ‘900 è stata la storia di una tragica ma al tempo stesso ambiziosa lotta tra grandi idee, la cui analisi investe le fondamenta delle nostre democrazie e merita pertanto un approccio ponderato e responsabile. Difendere l’autonomia della ricerca dalla strumentalizzazione politica è dunque la condizione necessaria per un dibattito utile, la cui realizzazione impone che la storia torni presto luogo di studio, momento di confronto scientifico dove non si scontrino solo opinioni ma riferimenti a fatti ed a documenti.
La Riunione si e’ conclusa con l’approvazione della proposta italiana di concludere i lavori della Grande Commissione con l’elaborazione di un documento finale, a partire dalla prossima riunione, da sottoporre all’attenzione dei rispetti Governi come utile strumento di discussione e di approfondimento nazionale ed internazionale.
XII Riunione del Gruppo di cooperazione
parlamentare Italia – Spagna
Madrid, 18-19 giugno 2007
XII RIUNIONE DEL GRUPPO DI COOPERAZIONE
PARLAMENTARE ITALIA – SPAGNA
Madrid, 18-19 giugno 2007
Lunedì 18 giugno 2007
L’On. IGNACIO GIL LÁZARO, Presidente della parte spagnola del Gruppo, apre i lavori della XII Riunione del Gruppo di cooperazione parlamentare Italia – Spagna. Nel dare il benvenuto alla delegazione italiana ricorda come la parte italiana sia quasi completamente rinnovata rispetto alle precedenti riunioni e presenta i parlamentari spagnoli presenti alla riunione.
Prende quindi la parola l’On. CARLO LEONI, Presidente della delegazione italiana, che nell’auspicare che lo svolgimento della Riunione possa ulteriormente consolidare i già forti e solidi legami di amicizia e collaborazione tra le due parti sia nell’ambito delle relazioni multilaterali (ricorda a tale proposito le rispettive rappresentanze parlamentari nelle delegazioni presso le Assemblee internazionali, quali il Consiglio d’Europa e l’Unione dell’Europa occidentale) che bilaterali, riafferma l’esigenza che l’Unione europea possa nel tempo assurgere a ruolo di effettivo soggetto politico, e che possa giocare un ruolo essenziale anche nella lotta al terrorismo internazionale.
Ricorda che sono presenti, per la parte italiana, gli onorevoli Alberto Burgio, Marco Lion, Antonio Mereu, Enzo Raisi, Massimo Romagnoli, Federica Rossi Gasparrini e Lanfranco Turci, e, sottolinea l’importante ruolo che questo Gruppo di collaborazione ha svolto negli anni, fin dalla firma del relativo protocollo istitutivo, siglato nel 1997, valorizzando e rafforzando anche sotto il profilo parlamentare i già eccellenti rapporti politici ed economici esistenti tra l’Italia e la Spagna. Entrambi i Paesi, situati nel cuore del Mediterraneo, condividono infatti, non solo sotto il profilo geografico, ma anche sotto l’aspetto storico e culturale, la comune volontà di sostenere il processo di integrazione europea e di promuovere in questo stesso ambito sedi di confronto e di approfondimento su temi di comune interesse, quali la lotta al terrorismo e alla povertà, la difesa della democrazia e dei diritti umani.
Sottolinea inoltre il ruolo primario sostenuto da Italia e Spagna nell’ambito del Partenariato euro-mediterraneo e nel relativo processo di rafforzamento del dialogo tra culture e civiltà, componente essenziale della realtà geopolitica europea.
Auspica infine che su tutte queste tematiche i lavori della Riunione del Gruppo di collaborazione potranno contribuire a rendere sempre più forti e stabili le relazioni parlamentari, ma anche professionali e personali tra i componenti del Gruppo e tra le due Assemblee legislative, e ringrazia calorosamente per l’accoglienza riservata alla delegazione italiana.
Il Presidente IGNACIO GIL LÁZARO dichiara quindi aperta la I Sessione dei lavori, durante la quale verrà dibattuto il tema “La modernizzazione delle Amministrazioni pubbliche”.
Prende la parola l’on. Jordi Xuclá i Costa, che, insieme all’on. Margarita Uría Etxebarría, è relatore per la parte spagnola. Ricorda in primo luogo che in Spagna esistono tre livelli attraverso i quali si esplica l’attività dell’Amministrazione pubblica: il primo è quello dell’Amministrazione generale dello Stato, nei confronti della quale esprime l’auspicio di un suo continuo e progressivo aggiornamento e miglioramento; il secondo livello è quello delle Comunità autonome, che in Spagna costituiscono la massima espressione del processo di decentralizzazione iniziato con la riforma costituzionale del 1978, che ha introdotto il diritto di accesso all’autonomia in modo progressivo. In Spagna ci sono diciassette comunità autonome e due città autonome in territorio africano[2], ed è ancora oggi in corso un intenso processo di aggiornamento del loro modello di autonomia e del rispettivo contenuto politico; il terzo livello è quello dell’Amministrazione locale, che gode di ampia autonomia, con un vasto ambito di competenze anche a livello municipale.
Ogni comunità autonoma gode di specifici sistemi organizzativi. Ricorda che, ad esempio, in Catalogna, sua terra di origine, esiste un livello intermedio di autonomia: vi sono infatti quarantuno comarcas, ossia circoscrizioni, con corrispondenti modelli organizzativi.
A coordinare ed assicurare i necessari livelli di raccordo tra i diversi ambiti amministrativi e il Ministero della Pubblica Amministrazione.
Interviene quindi l’on. Margarita Uría Etxebarría, che ricorda i due recenti interventi normativi che hanno interessato la materia: l’approvazione del c.d. statuto del funzionario pubblico e la nuova legge sull’accesso elettronico dei cittadini alla pubblica amministrazione. Sottolinea a tale ultimo riguardo quanto sia importante e necessario il ricorso alle nuove tecnologie per garantire una reale modernizzazione delle strutture pubbliche ed un efficace coordinamento della loro azione amministrativa. E’ stata a tal fine di recente introdotta “Rete 60”, una struttura informatica che raccorda e coordina le comunità autonome tra di loro e con l’amministrazione centrale, e che si propone come obiettivo l’eliminazione effettiva di venti milioni di documenti cartacei, che dovranno essere informatizzati e resi fruibili tramite il semplice ricorso ad internet.
Nel contempo si sta provvedendo affinché si semplifichino più di cento procedure amministrative che i cittadini devono attualmente ancora “subire” e che creano malcontento nell’opinione pubblica, nella consapevolezza che comunque anche l’utilizzo non controllato di internet e delle sue potenzialità può provocare ingorghi e dispersioni anche a livello di comprensione dei contenuti. A tale proposito è stata recentemente approvata una legge sulla protezione dei dati personali che, a suo giudizio, anche se criticata da più parti, risulta sufficientemente adeguata e ben strutturata.
Rileva come l’introduzione delle nuove tecnologie informatiche anche in Parlamento ne abbia già da qualche anno semplificato e accelerato l’attività e la funzionalità[3]. Stessi risultati saranno ottenuti in ambito amministrativo ricorrendo ad una maggiore e più diffusa informatizzazione delle strutture esistenti, e più di trecento servizi potranno essere semplificati. Già ora è possibile accedere al portale di accesso di tutti i servizi forniti dall’amministrazione centrale semplicemente collegandosi all’indirizzo pag. 060.ES.
E’ inoltre possibile consultare via internet la propria posizione riguardo alla patente a punti, i concorsi pubblici, e si sta lavorando per introdurre la scheda sanitaria elettronica, che permetterebbe di conoscere la storia clinica e la spesa sanitaria relativamente ad ogni singolo cittadino, ma che al contempo creerebbe grandi problemi per quanto concerne la tutela della riservatezza dei dati personali, questione questa che si pone con eguale serietà per tutte le procedure informatizzate. In un futuro piuttosto prossimo crede che comunque sarà possibile informatizzare più di trecento servizi (ad esempio, il domicilio fiscale, l’Irpef, il casellario giudiziale, etc.), e ricorda che la legge fissa al dicembre 2009 il termine per garantire al cittadino l’accesso diretto a tutte le amministrazioni, consentendogli di relazionarsi con la pubblica amministrazione attraverso adeguati servizi elettronici. A tal fine è già stato reso operante lo sportello unico per la pubblica amministrazione (legge n. 30/1992), che tra l’altro permette al cittadino, mediante la creazione di una banca di dati personali, di non dover fornire ulteriormente le informazioni già rese in precedenza.
L’on. Margarita Uría Etxebarría si sofferma quindi a ricordare ulteriori importanti interventi normativi che hanno di recente ristrutturato il settore dell’amministrazione pubblica, tra i quali: l’adeguamento (ancora in corso di approvazione) dei contratti del settore pubblico alla direttiva UE 2004/18, che prevede l’eliminazione delle discriminazioni nelle aggiudicazioni degli appalti pubblici e la loro conseguente trasparenza, anche in ottemperanza delle numerose sentenze della Corte di giustizia europea; l’approvazione del c.d. Statuto del funzionario pubblico, che ha innovato rispetto al precedente assetto normativo risalente al 1984, e che comunque ancora non è riuscito a porre rimedio alla mancanza di pianificazione nella gestione delle risorse umane, alla eccessiva mobilità dei funzionari pubblici e alle carenze in merito ad uno ancora scarso ricorso alla valutazione dei meriti. Altri settori ancora da riformare sono le norme in materia di mobilità degli impiegati pubblici; l’approvazione di un relativo codice di comportamento e di norme a garanzia e a tutela delle pari opportunità.
In merito a quest’ultima tematica, rileva come negli ultimi anni si siano registrate importanti conquiste nell’ambito del lavoro, con particolare riferimento ad alcune funzioni pubbliche (come ad esempio quelle giudiziarie), mediante l’introduzione di modifiche normative che hanno consentito un miglior raccordo tra i tempi di vita (soprattutto, di vita familiare) e i tempi di lavoro.
Il Presidente della parte italiana del Gruppo di collaborazione, on. Carlo Leoni, dà quindi la parola all’onorevole Lanfranco Turci, relatore per la parte italiana, che sottolinea, in premessa, come sull’odierna edizione del quotidiano spagnolo “El Mundo” sia pubblicato un articolo che riporta le dichiarazioni congiunte dei ministri Sevilla e Niccolais sul tema della riforma della pubblica amministrazione; entrambi i ministri concordano sul comune principio che un’amministrazione pubblica ben organizzata e funzionante costituisca un elemento di importante coesione sociale e di competitività.
Passa quindi ad illustrare la sua relazione. Ricorda che negli anni ’90 è stato impresso un forte impulso al processo di ammodernamento della pubblica amministrazione in Italia, nel quadro di un ampio disegno di riforma che ha visto, da un lato, il conferimento alle regioni e agli enti locali di numerosi compiti e funzioni amministrative in precedenza svolte dallo Stato, dall’altro una corrispondente riorganizzazione degli apparati amministrativi statali. Richiama, in particolare, la legge n. 59 del 1997, che ha costituito il principale strumento normativo attraverso il quale si è proceduto al trasferimento e all’“alleggerimento” delle funzioni statali che si è ritenuto non dovessero essere ulteriormente esercitate a livello centrale. Successivamente, con la revisione della Costituzione approvata nel 2001, che ha ridefinito i rapporti tra Stato, regioni ed enti locali, il processo riformatore avviato dalla legge n. 59 del 1997, basato sul modello del federalismo amministrativo, ha trovato una prima sistemazione a livello costituzionale, anch’essa ritenuta, però – quasi unanimemente – ancora non soddisfacente.
Nel processo di riforma complessiva del settore pubblico avviato sin dai primi anni ‘90 si inserisce anche la riforma dei meccanismi di controllo e monitoraggio dei costi, dei rendimenti e dei risultati delle attività svolte dalle pubbliche amministrazioni, (D. Lgs. n. 286 del 1999). Tali procedimenti di semplificazione dell’azione amministrativa non hanno comunque consentito il conseguimento dei risultati sperati e il giudizio, anche degli osservatori internazionali, sulla amministrazione pubblica italiana resta comunque negativo; l’Italia si colloca al di sotto della media europea per quanto riguarda l’efficienza del suo apparato pubblico e per i costi e i tempi della sua azione amministrativa e la pubblica amministrazione e’ comunemente ancora percepita come un fattore di debolezza del sistema produttivo e della sua competitività.
Sempre riconducibile alle deleghe conferite dalla legge n. 59 del 1997 è poi l’ulteriore passo nel processo di privatizzazione del regime di impiego dei dipendenti pubblici, con particolare riferimento all’estensione ai dirigenti generali della disciplina privatistica del rapporto di lavoro e alla loro responsabilizzazione (D.Lgs. n. 80 del 1998). A tale proposito rileva come resti comunque in generale carente la cultura della valutazione dell’efficienza e del rendimento delle strutture e dei dipendenti pubblici, nonché l’applicazione di criteri meritocratici nei trattamenti economici.
Passando quindi al tema della modernizzazione e dell’informatizzazione dell’amministrazione pubblica, ricorda come, con la legge n. 15 del 2005, siano state apportate rilevanti modifiche alla disciplina generale dell’attività amministrativa, regolata principalmente dalla legge n. 241 del 1990.
Il tema della “società dell’informazione” e dell’amministrazione digitale ha infatti caratterizzato significativamente le politiche legislative dei primi anni 2000, fino ad arrivare alla nomina, per la prima volta nel 2001, di un ministro senza portafoglio per l’innovazione e le tecnologie, con la creazione di un apposito Dipartimento presso la Presidenza del Consiglio e l’istituzione di un Comitato dei ministri per la Società dell’informazione, e la graduale introduzione e ridefinizione di strumenti e procedurecon l’obiettivo di riorganizzare la pubblica amministrazione al fine della sua progressiva digitalizzazione e del miglioramento dei servizi offerti.
Particolare attenzione è stata prestata negli ultimi anni al tema della semplificazione quale strumento per ridurre lo stock delle leggi vigenti, e le due leggi di semplificazione adottate nel 2003 e nel 2005 (quest’ultima denominata “norma taglialeggi”, secondo la quale si dovrebbe pervenire all’abrogazione generalizzata delle disposizioni legislative statali anteriori al 1° gennaio 1970, salvo quelle ritenute indispensabili dal Governo), hanno determinato un nuovo orientamento del processo avviato nel 1999, spostandone l’asse dalla semplificazione dei procedimenti amministrativi al riassetto normativo ed alla codificazione.
Nel Governo attualmente in carica, il ministro per le riforme e le innovazioni nella pubblica amministrazione, prof. Luigi Niccolais, ha riassunto nelle sue competenze le funzioni che sono state in passato attribuite al ministro per la funzione pubblica e a quello per l’innovazione e le tecnologie, con l’intento di porre l’innovazione tecnologica come elemento essenziale per la riorganizzazione del lavoro della pubblica amministrazione, per il miglioramento della qualità dei servizi resi ai cittadini e alle imprese anche attraverso la semplificazione degli adempimenti amministrativi, per la riduzione dei costi della macchina amministrativa, per l’aumento dell’efficienza degli uffici e delle strutture pubbliche. In tale ottica è stato presentato alla Camera (dove attualmente risulta in corso di esame da parte dell’Assemblea), un disegno di legge in materia di Modernizzazione, efficienza delle Amministrazioni pubbliche e riduzione degli oneri burocratici per i cittadini e per le imprese (A.C. 2161), che si colloca nel quadro dell’azione intrapresa con il cosiddetto decreto Bersani sulle liberalizzazioni.
Tra le numerose misure previste dal citato provvedimento, di particolare rilievo è quella che pone a carico delle amministrazioni pubbliche l’obbligo di indennizzare l’utente per il ritardo dovuto all’inosservanza dei termini per la conclusione dei procedimenti. Le pubbliche amministrazioni sono inoltre obbligate a definire e a rendere disponibile la documentazione richiesta a corredo di ciascuna istanza e i relativi moduli e formulari.
Ricorda infine brevemente i
contenuti del piano d'azione e-Government presentato il 25 aprile 2006
dalla Commissione europea, quale parte integrante dell'iniziativa i2010 per l'occupazione e la crescita
nella società dell'informazione. La Commissione rileva in particolare come gli
Stati membri dell'UE siano chiamati ad attuare piani più ambiziosi per
sfruttare le tecnologie dell'informazione e delle comunicazioni (ITC) al fine
di trarne pieno vantaggio. Secondo
Il Presidente della parte spagnola, on. Ignacio Gil Lázaro, ringrazia e dichiara aperto il dibattito.
Interviene l’on. Enzo Raisi, che chiede ai colleghi spagnoli se nel loro Paese esista già una maggiore mobilità tra funzionari e pubblici statali e locali e come si concilia la garanzia di accesso alla pubblica amministrazione con la molteplicità e diversità delle lingue locali.
Risponde l’on. Jordi Xuclá I Costa, che ricorda che l’interoperatività tra i vari livelli di amministrazione pubblica è già garantita dal c.d. sportello (o registro) unico e che per accedere ai vari ruoli di funzionari amministrativi (statali, regionali e locali) è necessario essere in possesso di requisiti diversi. Per quanto riguarda la lingua, sottolinea che qualsiasi cittadino è in grado di parlare castigliano e spagnolo, oltre ad un idioma locale “ufficiale”, necessario in alcuni territori per l’accesso ai ruoli della pubblica amministrazione.
Interviene quindi l’on. Massimo Romagnoli, che chiede se gli spagnoli residenti all’estero godano già del pieno riconoscimento dei loro diritti.
L’on. Jordi Xuclá I Costa, ricordando come questo argomento rientri nei temi che verranno dibattuti nella successiva sessione sulla politica dell’immigrazione, sottolinea che anche in questo ambito lo sportello unico ha contribuito in modo determinante ad annullare il concetto di “periferia” e ad uniformare l’azione amministrativa.
Prende la parola il Presidente Carlo Leoni, che chiede se anche in Spagna, similmente a quanto avviene in Italia, alla diversità delle consultazioni elettorali corrispondano sistemi elettorali diversi, e se si stia assistendo al rafforzamento delle Autorità indipendenti.
Risponde l’on. Jordi Xuclá I Costa, che sottolinea come anche in Spagna il dibattito sulla riforma elettorale sia particolarmente vivace e ricorda come ogni comunità autonoma abbia un suo sistema elettorale autonomo, su base proporzionale, tranne la Catalogna, che “funziona” con legge elettorale nazionale. Per quanto attiene agli organismi di regolamentazione, anche in Spagna si sta assistendo ad un loro progressivo rafforzamento, anche se la loro “politicizzazione” suscita preoccupazione e perplessità.
Prende quindi la parola l’on. Carlos Aragonés Mendiguchia, che evidenzia come, a suo parere, l’Italia è stata e resta un Paese “centralista”, diversamente dal caso spagnolo, che ha visto progressivamente affermarsi, a seguito della caduta del regime franchista centralizzato, l’estensione all’intero territorio nazionale del progresso di decentralizzazione.
L’onorevole Enzo Raisi sottolinea come l’Italia, che ha una storia antica ma non come stato unitario, sia il Paese dei municipi, non delle regioni, entità locali “aritificialmente” create negli anni ’70, e ricorda come l’italiano sia l’unica lingua ufficiale, pur riconoscendo l’esistenza di una molteplicità di dialetti.
L’on. Lanfranco Turci ricorda la sua decennale esperienza come Presidente della Regione Emilia Romagna. Le Regioni in Italia, a suo parere, soffrono per il potere, in alcuni casi, dei grandi municipi e, in più, per la complessità e la problematicità dei rapporti tra Nord e Sud, problema quest’ultimo che ha a che fare con l’ancora insoluta questione meridionale. Il Mezzogiorno è a tutt’oggi al di sotto di tanti standard nazionali di sviluppo, e questo provoca ancora una grande sofferenza anche a livello nazionale.
Passando quindi alla questione della mobilità statale, ricorda come questa in Italia riguardi in prevalenza le posizioni apicali dell’amministrazione pubblica e sostiene che sarà necessario regolamentare con legge la mobilità volontaria, considerando che il reclutamento degli impiegati pubblici avviene soprattutto al Sud. Il problema non è spostare l’impiegato, ma evitare duplicazioni e sovrapposizioni, cercando di fare in modo che le esigenze di funzionalità del settore pubblico rispondano più ai cittadini che non ai dipendenti stessi. Chiede poi quale sia in Spagna il ruolo e il peso dei sindacati nel settore del pubblico impiego.
L’on. Uría Etxebarría risponde, dichiarando che pur non essendo in possesso di dati precisi sulla presenza delle organizzazioni sindacali e sulla loro capacità di pressione nel settore pubblico, il sindacalismo funziona in misura maggiore nell’ambito della pubblica amministrazione che non nel settore privato.
Interviene l’on. Federica Rossi Gasparrini che, ricordando come l’on. Jordi abbia poc’anzi dichiarato che l’accesso a livello elettronico alla pubblica amministrazione sia considerato un obiettivo primario, si chiede come si pensa di “acculturare”, di rendere capaci gli utilizzatori, per consentirgli di accedere agli atti della pubblica amministrazione mediante i supporti informatici.
L’On. Jordi risponde ricordando come già le nuove generazioni siano ormai abbastanza autonome rispetto a questo e si tratterà, nel tempo, di promuovere l’utilizzo delle nuove tecnologie riconoscendo tale strumento come un diritto, non come un obbligo. Alla successiva domanda dell’on. Rossi Gasparrini, sull’esistenza o meno di un piano per favorire l’accesso informatico alla P.A, l’on. Aragones replica dichiarando che il Ministero per le nuove tecnologie ancora non è stato in grado di predisporne uno sufficientemente efficace e pervasivo.
L’on. Antonio Mereu sostiene che il vero ruolo della P.A. è quello di riuscire a dare servizi e chiede come si sia provveduto in Spagna per mantenere l’efficienza dei servizi informatici, se esistano agevolazioni per i cittadini e come si intervenga a livello governativo laddove la P.A. non risponda nei tempi e nei modi richiesti.
L’.on. Jordi risponde ricordando che in Spagna è previsto che, a partire dal 2009, tutte le amministrazioni pubbliche dovranno essere in grado di rispondere ai cittadini utilizzando esclusivamente le nuove tecnologie. Tutto ciò renderà necessario il ricorso ad un maggior sistema di controlli esterni, e l’operato dei funzionari pubblici dovrà essere vagliato anche tramite l’utilizzo di appositi “auditorias”.
L’on. Gil Lazaro dichiara quindi conclusa la prima sessione dei lavori. La seconda sessione, sulle politiche dell’immigrazione, si apre con la relazione dell’on. Maria Carmen Sanchez Diaz, che ricorda come anche in Spagna l’immigrazione clandestina sia uno dei problemi, delle emergenze, da affrontare con maggior impegno e serietà: sulle coste spagnole (soprattutto a Cadice), giungono in continuazione immigrati e il loro arrivo improvviso e massivo provoca un forte impatto sulla popolazione locale. L’Italia e la Spagna sono Paesi geograficamente predisposti ad accogliere, in ogni modo, i flussi migratori, in gran parte provenienti dall’Africa e dall’America latina. La Spagna poi, grazie anche alla sua recente e grande crescita economica, costituisce una meta privilegiata soprattutto per l’immigrazione che origina dai Paesi dell’Europa centro - orientale, anche se si tratta di un fenomeno universale e che investe in qualche misura i Paesi che garantiscono aspettative di reddito e speranze di vita migliori rispetto ai Paesi di origine. Lo Stretto di Gibilterra, poi, è divenuto lo scenario privilegiato dei grandi flussi migratori dall’Africa.
Ricorda come negli anni ’80 siano emigrati dalla Spagna ben sei milioni di connazionali; ritiene che l’emigrazione legale sia un fenomeno positivo, che contribuisce ad una più equa distribuzione della ricchezza e regolamenta in qualche modo la crescita demografica.
La Commissione europea ha di recente pubblicato un documento sul bilancio della situazione sociale nella UE, in cui è stata sottolineata l’importanza dei flussi migratori anche riguardo alla stabilizzazione della crescita demografica e alla redistribuzione dei costi dello stato sociale.
In Spagna è possibile entrare legalmente per coloro che nel paese di provenienza hanno già un contratto regolare di lavoro, o che lo richiedano per motivi di ricongiungimento familiare, sempre nel rispetto di contingenti annualmente stabiliti.
In assenza di tali presupposti, è previsto il rimpatrio. L’immigrazione regolare ha portato all’emersione dei fenomeni illegali collegati all’economia sommersa e i cittadini stranieri regolamentari si sono gradualmente trasformati in contribuenti, anche grazie agli sforzi compiuti dal governo per rendere possibile una loro effettiva integrazione, attraverso “piani strategici di cittadinanza”, finalizzati ad evitare situazioni di marginalizzazione sociale.
Resta comunque drammatica la situazione creata dall’immigrazione clandestina, che ha richiesto l’istituzione di un sistema di vigilanza che non è comunque riuscito a controllare e monitorare tutti i vari punti di approdo. Questo non è un problema solo nazionale, ma deve essere inquadrato e gestito a livello europeo. Occorre migliorare i rapporti diplomatici con i paesi di origine dell’emigrazione clandestina, rafforzare i controlli e la protezione delle frontiere, eliminare le mafie che traggono vantaggi economici dalla sua gestione e le condizioni iniziali di povertà e di fame, che provocano tali flussi incontrollabili.
Il Governo spagnolo ha di recente approvato un Piano per l’Africa, chiedendo investimenti ed aiuti all’Ue, triplicando gli stanziamenti a favore dell’Africa sub-sahariana, promuovendo l’adozione di misure più severe e mirate riguardo al controllo delle frontiere e alla salvaguardia dei diritti civili, anche tramite una collaborazione più efficace con le ONG e la Croce rossa.
Prende quindi la parola l’on. Enzo Raisi, relatore per la parte italiana, che sottolinea come in Spagna l’emigrazione sia di preferenza proveniente dai territori delle ex colonie, mentre in Italia esistono ben 190 diverse comunità di immigrati, concentrate per il 64% nel nord del Paese.
Rileva poi come particolare allarme destino i ripetuti sbarchi sulle coste italiane di clandestini, anche se si deve rilevare che solamente il 10% degli ingressi avviene via mare; il 15% riguarda gli ingressi effettuati in maniera fraudolenta via terra, e il 75% di irregolari è costituito dagli overstayer, ossia da persone che attraversano legalmente il confine con un visto valido (prevalentemente di tipo turistico) e poi si trattengono nel nostro Paese.
Introduce poi una personale riflessione, sul ruolo che Spagna e Italia dovrebbero assumere come finestra, come osservatori privilegiati sui flussi migratori provenienti dall’Africa, e dovrebbero iniziare a considerare l’immigrazione non come un semplice fattore congiunturale, come un fisiologico fenomeno di fuga dalla povertà, ma anche e soprattutto come un’occasione per soddisfare esigenze strutturali interne al proprio mercato del lavoro, anche se questo tipo di immigrazione offre manodopera poco qualificata e con un costo sociale di cui le imprese non vogliono farsi carico.
Per quanto attiene poi alla ricaduta dell’immigrazione a livello di sicurezza sociale, com’è stato affermato anche da parte governativa, i dati dell'ultima regolarizzazione dimostrano come la grande maggioranza dei clandestini non sia fatta di delinquenti, bensì di donne e uomini che sono spesso vittime di sfruttamento nel mercato della prostituzione e in quello del lavoro nero. Tuttavia, il degrado dell'immigrazione clandestina contribuisce pesantemente alla delittuosità complessiva nel nostro Paese. Una alta incidenza di stranieri si riscontra, per esempio, nelle persone denunciate, che nel 2005 sono per il 33,41% soggetti di nazionalità non italiana. Tutto ciò determina allarme sociale e colloca il tema delle politiche dell’immigrazione fra quelli a maggiore impatto sull’opinione pubblica italiana.
Ricorda che le linee generali delle politiche pubbliche in materia di immigrazione extracomunitaria in Italia, fissate dalla legge 6 marzo 1998, n. 40, Disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero (la cosiddetta “legge Turco - Napolitano”), sono state successivamente consolidate nel decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, Testo unico sull’immigrazione e sulla condizione dello straniero.
Il testo unico interviene in entrambi gli ambiti principali del diritto dell’immigrazione: il diritto dell’immigrazionein senso stretto, concernente la gestione nel suo complesso del fenomeno migratorio: la definizione di regole di ingresso, di soggiorno, di controllo, di stabilizzazione dei migranti ed anche la repressione delle violazioni a tali regole; e il diritto dell’integrazione, che riguarda l’estensione, in misura più o meno ampia, ai migranti dei diritti propri dei cittadini (diritti civili, sociali, politici).
I princìpi fondamentali che sono alla base del testo unico sono essenzialmente tre: la programmazione dei flussi migratori e il contrasto all’immigrazione clandestina (per quanto riguarda il diritto dell’immigrazione); la concessione di una ampia serie di diritti volti all’integrazione degli stranieri regolari (diritto dell’integrazione).
La legge 30 luglio 2002, n. 189, recante Modifica alla normativa in materia di immigrazione e di asilo (la cosiddetta legge “Bossi - Fini”), mantenendo sostanzialmente inalterato nel complesso la struttura generale del testo unico, ne ha modificato la parte relativa alla gestione dell’immigrazione, non toccando, se non in minima parte, quella riguardante i diritti dei lavoratori immigrati.
Tra le principali innovazioni, ricorda l’introduzione del contratto di soggiorno per lavoro, volto a rendere più stretto il legame tra l’integrazione dello straniero e il suo effettivo inserimento nel mondo del lavoro.
L’approvazione della legge 189 è stata accompagnata da una regolarizzazione dei lavoratori immigrati non ufficiali che ha registrato la presentazione di 700 mila domande e la regolarizzazione di ben 630 mila lavoratori stranieri. Si tratta della più ampia regolarizzazione di lavoratori immigrati nel nostro Paese, di dimensioni paragonabili a quella avvenuta in Spagna nel 2005.
Attualmente, la riforma della disciplina dell’immigrazione è uno dei temi al centro del dibattito politico. Recentemente il Governo ha approvato, su proposta del Ministro dell’interno, Giuliano Amato, e del Ministro della solidarietà sociale, Paolo Ferrero, un disegno di legge per la modifica del testo unico in materia dell’immigrazione.
Il disegno di legge consiste in una delega al Governo, da esercitare entro 12 mesi dall’entrata in vigore e non prima del gennaio 2008, volta a modificare il testo unico del 1998. I punti qualificanti del progetto sono:
§ programmazione triennale delle quote di ingresso annuali, in luogo della definizione annuale delle quote tramite i “decreti flussi”;
§ predisposizione di liste di lavoratori stranieri nei Paesi di origine (una sorta di sistema di collocamento all’estero);
§ reintroduzione degli ingressi per l’inserimento nel mondo del lavoro tramite sponsor che si impegnino finanziariamente per gli immigrati. E’ prevista inoltre la possibilità per l’immigrato di “autosponsorizzarsi”, cioé di fornire egli stesso prove di adeguate risorse finanziarie al fine di ottenere il premesso di soggiorno per ricerca di lavoro;
§ semplificazione delle procedure per il rilascio del visto di ingresso e per il rilascio e rinnovo del permesso di soggiorno;
§ concessione dell’esercizio del diritto di voto alle elezioni amministrative per gli stranieri soggiornanti di lungo periodo;
§ previsione di misure volte a rendere effettivi i rimpatri, anche attraverso forme di rimpatrio volontario;
§ rimodulazione delle sanzioni correlate alla violazione delle disposizioni in materia di immigrazione in relazione alla gravità e alla reiterazione delle violazioni;
§ superamento del sistema dei centri di permanenza temporanea e assistenza (CPTA);
§ potenziamento delle misure volte all’inserimento degli stranieri regolari, con particolare riguardo ai minori.
Ricorda infine che nella Conferenza di Rabat che ha avuto luogo nel 2006 – cui la Spagna ha contribuito attivamente insieme a Francia e Marocco - è stato proposto un programma di lavoro su due temi fondamentali: il trattamento di flussi migratori attraverso una gestione concertata del movimento di persone e la lotta al traffico dei migranti, e che alla fine del 2007 è previsto lo svolgimento della Conferenza dei ministri euro-med sui temi dell’immigrazione: sarà questo un momento importante e sarebbe quindi di particolare interesse poter individuare posizioni comuni tra Spagna ed Italia da poter sviluppare in vista di tale Conferenza e dei prossimi incontri in ambito euro-mediterraneo.
L’on. Aragones che ricorda le recenti proteste suscitate per l’abbassamento dei salari provocato dall’ingresso degli immigrati nel mercato del lavoro spagnolo. Italia e Spagna condividono un tradizionale atteggiamento “cattolico” di accoglienza verso l’immigrazione; non esiste xenofobia, anche se verso alcune minoranze, come ad esempio i nomadi, i gitani, si rilevano atteggiamenti ai limiti del razzismo, mentre, di contro, non esistono problemi di alcun tipo nei confronti degli immigrati dall’America latina. Ci sono invece problemi con la popolazione di confessione islamica, mentre nei confronti degli immigrati africani rileva come l’immigrazione stagionale dalle Canarie arrivi a toccare preoccupanti picchi invernali.
L’on. Sanchez afferma che la xenofobia non è un fenomeno diffuso, anche se l’immigrazione dall’Europa dell’Est sta creando problemi a livello di sicurezza sociale. A fronte dell’aumento degli stanziamenti pubblici per una migliore politica sociale e per l’”adozione di piani strategici di cittadinanza” (da 7 a 200 milioni di euro nel 2007), lamenta la quasi totale assenza delle aziende private, che comunque sono i soggetti che principalmente hanno beneficiato dei vantaggi offerti dall’immigrazione.
Prende la parola l’on. Alberto Burgio, che definisce l’immigrazione un processo di rilevanza europea, che richiede quindi l’individuazione di risposte concertate a livello comunitario. Sottolinea una importante dissonanza tra la normativa vigente e quella di modifica proposta dall’attuale Governo, e che consiste nella reale capacità di verifica della regolarità del contratto di lavoro in possesso del lavoratore al momento del suo ingresso, e che porta quindi ad una quantificazione errata del numero dei clandestini. Risulta difficile procedere all’accertamento dei requisiti necessari per l’ingresso per quei lavoratori che si occupano di servizi o di cura di persone, il cui sponsor non garantisce un sufficiente carattere di ufficialità. Ritiene sarebbe necessario implementare gi uffici di collocamento nei paesi di origine.
Fa presente come si tratti di un fenomeno inarrestabile, irreversibile, e ritiene non condivisibile l’atteggiamento di chi si illude di poter reagire negando tale situazione di emergenza, senza provare a governarla. Esprime quindi critiche a quella parte dello schieramento politico e dei media che specula sugli aspetti di xenofobia, soprattutto se collegati a fenomeni di grave criminalità. L’immigrazione va valutata anche in considerazione delle sue ripercussioni positive sullo stato sociale, i suoi effetti benefici si fanno sentire sul nostro sistema previdenziale e sul mercato del lavoro, e anche il tasso di natalità non sarebbe lo stesso.
Esprime quindi i suoi dubbi circa la percentuale del 33,41% di soggetti di nazionalità non italiana tra le persone denunciate nel 2005, riportata nella relazione dell’on. Raisi e che a suo parere è un dato dubbio e fuorviante, in quanto in questo dato si confondono diversi fenomeni: non si tiene nella giusta considerazione il fatto che la denuncia è un’altra cosa rispetto ad una condanna, e la popolazione immigrata è più soggetta ai controlli in quanto più riconoscibile; dal numero delle denunce non è stato inoltre scorporato il dato sulla violazione delle leggi sull’immigrazione.
L’onorevole Gil Lazaro dà quindi la parola all’on. Rafael Hernando Fraile, che attribuisce al tema dell’immigrazione una grande importanza, così come importanti dovrebbero essere le soluzioni proposte. Ricorda che la Spagna è il primo paese in ambito UE come numero di immigranti accolti, e che nel 2005 sono stati regolarizzati 600mila immigranti, fino ad arrivare a 1.200.000 (di cui solo 50mila con regolare contratto di lavoro) dell’ultimo anno.
Segnala come sia cambiata anche la tipologia di lavoratore migrante: negli anni passati si trattava quasi esclusivamente di popolazione giovane che trovava lavoro soprattutto in agricoltura, mentre oggi migrano anche intere famiglie, spinte anche dalle garanzie offerte dallo stato sociale e dalla speranza di poter usufruire dei servizi assistenziali e sociali. Questo crea inevitabilmente disagi tra la popolazione autoctona. È necessario quindi stabilire requisiti più restrittivi per consentire l’accesso ai servizi offerti dallo stato sociale, primo fra tutti un effettivo controllo della regolarità del contratto di lavoro, anche al fine di far emergere i fenomeni collegati all’economia sommersa, autentico mercato del lavoro parallelo che in Spagna e in Italia è ancora presente in modo preoccupante.
Bisogna anche favorire il ritorno periodico del lavoratore nel suo paese di origine, il che consentirebbe anche un vantaggioso scambio economico di risorse, tramite le rimesse dei migranti. Sottolinea come l’emigrazione dall’America latina sia da sempre più integrata in Spagna rispetto agli altri paesi europei, mentre si hanno ancora problemi a livello sociale per quanto riguarda l’immigrazione proveniente dall’Europa dell’Est e dall’Africa.
Interviene quindi l’on. Rafael Ramon, che ricorda che l’aumento demografico in Spagna, dovuto alla presenza degli immigrati sudamericani e centroamericani, porta anche alla conseguente saturazione dei servizi pubblici, del sistema sanitario ed educativo, con conseguenti sentimenti di xenofobia, elevando la conflittualità sociale, e mettendo a rischio il livello di sicurezza. Conclude ringraziando l’Italia per l’aiuto offerto durante la crisi provocata dall’eccezionale flusso migratorio di recente registrato dalle Canarie (l’Italia ha fornito una nave ed un aereo, nell’ambito del progetto FRONTEX).
Prende la parola l’on. Raisi, per una replica all’on. Burgio. Sostiene che alla base della differenza di vedute in materia non andrebbe posto un contrasto ideologico tra chi vorrebbe chiudere le frontiere e che invece vorrebbe garantire condizioni di tutela agli immigrati. Ritiene si tratti di un questione esclusivamente pragmatica e che il livello di integrazione vada valutato anche a seconda dei paesi di origine e con riguardo alle quote previste per legge. Auspica che si possa agire ricorrendo in misura minore all’ideologia e dando invece maggior rilevanza a misure concrete che possano incidere fattivamente su un fenomeno così consustanziale alla realtà attuale.
Interviene quindi l’on. Massimo Romagnoli, che ricorda come questo sia un tema per lui particolarmente sentito, essendo stato eletto dagli italiani all’Estero in Europa (circoscrizione Estero – Europa). In Spagna sono presenti 56mila italiani di provenienza dall’America latina che, per ottenere il certificato di residenza, necessitano di un documento di identità valido; a tale proposito sollecita un intervento normativo affinché il certificato AIRE rilasciato dai nostri consolati possa essere riconosciuto valido a tutti gli effetti.
Il consigliere La Rosa, dell’Ambasciata d’Italia a Madrid, che assiste ai lavori in rappresentanza dell’ambasciatore Pasquale Terracciano, ringrazia l’on. Ramon per aver ricordato la collaborazione la Spagna e l’Esercito e la Marina italiani sul fronte del controllo dell’immigrazione dalle Canarie (pattugliamento FRONTEX), ed assicura all’on. Romagnoli il suo interessamento per quanto riguarda il riconoscimento in territorio nazionale spagnolo dei documenti rilasciati dai consolati italiani all’estero.
Il Presidente Gil Lazaro dichiara quindi conclusa la seconda sessione dei lavori.
Martedì, 19 giugno 2007
L’on. Gil Lazaro dà la parola all’on. Maria Jesus Sainz Garcia, relatrice per la terza sessione, “Politiche per la famiglia e l’uguaglianza”, che nell’introdurre la sua relazione, sottolinea come la tutela effettiva di tali principi, ossia la salute, la famiglia, le pari opportunità e l’uguaglianza, sia ancora un ideale lontano da raggiungere.
Nell’ambito del mercato del lavoro, rileva come a tutt’oggi sia maggiore la capacità degli uomini di raggiungere posizioni di vertice e di direzione, mentre per le donne ancora sussistono difficoltà oggettive di conciliazione tra la vita familiare e quella lavorativa. Anche in Spagna le donne a parità di posizione lavorativa percepiscono una retribuzione inferiore e sopportano oneri familiari più gravosi.
A titolo di esempio, sussiste ancora una incompatibilità tra le vacanze scolastiche e le ferie dal lavoro e le donne, che tradizionalmente hanno una doppia funzione, e che quindi lavorano e si occupano di persone “non autonome”, sono i soggetti “passivi” che più soffrono di questa situazione. Anche a livello di responsabilità le donne sopportano oneri supplementari, considerate anche le difficoltà di raccordo tra i tempi di vita, familiare e personale, e di lavoro. Ricorda peraltro che la nuova legge approvata dall’attuale Governo spagnolo ha favorito l’ingresso nel mondo del lavoro di due milioni di donne.
Ritiene sia necessario diffondere una nuova idea di corresponsabilità, per ripartire in modo equilibrato le responsabilità derivanti dalla gestione della famiglia, e al contempo impegnarsi per garantire la creazione ed una agevole fruizione di servizi che agevolino la vita familiare, contestualmente migliorando gli orari di lavoro e coordinandoli con quelli scolastici, raddoppiando il periodo di permesso già previsto per l’allattamento e prevedendo congedi parentali anche per i padri, garantendo incentivi e sgravi fiscali per i figli a carico. Si tratterebbe di cercare di risolvere i problemi quotidiani delle famiglie attraverso il miglioramento dei servizi pubblici, conciliazione questa che non può prescindere da un raggiungimento effettivo dell’eguaglianza di genere.
Ricorda la legge approvata nel 2005 contro la violenza di genere, fenomeno che rappresenta un autentico peso sociale, frutto di una mentalità sbagliata ma che risulta difficile da cambiare. La violenza di genere ha fatto registrare nel 2006 sessantotto vittime (donne uccise) e trentasette nel primo semestre del 2007. La legge non ha contribuito a far diminuire il numero delle vittime e gli interventi proposti (allontanamento delle donne vittime di violenza, reddito di reinserimento, rapidità dei processi e revoca della patria potestà) non hanno dato i risultati sperati.
Per quanto riguarda invece la legge sull’uguaglianza, sulle pari opportunità, rileva come non ci sia stata la stessa unanimità, poiché è risultata di difficile comprensione l’imposizione di percentuali come criterio di valutazione di eventuali discriminazioni. Ritiene sarebbe più utile promuovere invece misure che portino ad un graduale cambiamento di mentalità, senza ricorrere ad imposizioni ma facendo ricorso alla libera scelta, soprattutto nella politica.
Prende quindi la parola l’on. Federica Rossi Gasparrini, relatrice per la parte italiana, che, nel condividere totalmente la relazione della collega spagnola, afferma la necessità di un riequilibrio nel livello di rappresentanza delle donne in politica, tentativo già esperito in Italia con la legge sulle c.d. “quote rosa”, che prevedeva una quota obbligatoria di presenza femminile in tutte le liste elettorali e nei consigli di amministrazione degli enti pubblici.
Si è comunque trattato di un’esperienza breve, limitata ad un’unica consultazione elettorale (tra l’altro, amministrativa); successivamente la Corte costituzionale ha infatti dichiarato l’illegittimità della norma, in quanto “discriminante” riguardo alle pari opportunità.
Anche in Italia il tentativo di conciliare i tempi di vita con quelli di lavoro (spesso per corrispondere appieno alle esigenze di gestione del nucleo familiare le donne sono costrette a rinunciare al lavoro) risulta difficile e faticoso per le donne (su 58 milioni di abitanti, 15 milioni sono donne in età lavorativa e 8 milioni sono casalinghe).
E’ quanto mai necessario un riequilibrio fra i ruoli, che preveda la possibilità di un reinserimento nel mondo del lavoro anche dopo percorsi di vita anche brevi (ad es., una maternità), ma si registrano carenze anche per quanto riguarda la formazione e la riqualificazione.
L’Unione europea ha indicato le politiche ritenute necessarie in materia di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, ed efficaci per fronteggiare i cambiamenti demografici, dovuti ai bassi tassi di natalità e all’invecchiamento della popolazione[4], ed è necessario ormai tentare un collegamento effettivo tra le politiche UE e quelle nazionali, per affrontare in modo efficace le nuove problematiche poste in essere dai problemi della denatalità, dell’emergenza abitativa e dalla famiglia, in tutte le sue varie accezioni.
Si augura che dall’incontro con i colleghi del Gruppo di collaborazione parlamentare possa nascere un confronto produttivo, ricco anche di possibili soluzioni non solo politiche ma anche di buone prassi e di posizioni comuni da assumere nelle diverse sedi.
Replica quindi l’on. Maria Jesus Sainz Garcia, che sottolinea come in Spagna, grazie alla recente normativa sulla rappresentanza delle donne in politica, la percentuale di presenza femminile si attesta oggi al 36%. E’ in corso un ampio dibattito sul riconoscimento giuridico anche della funzione sociale svolta dalle casalinghe, si pensa di introdurre un salario e di garantire aiuti alle donne che non lavorano, commisurati soprattutto al numero di figli.
L’on. Rossi Gasparrini evidenzia che la legge spagnola del 2007 sull’uguaglianza, al titolo I, indica come possibile causa di discriminazione “la maternità e l’assunzione di obblighi familiari”. Ritiene importante che si sia “ufficializzato” in un testo di legge che la maternità possa essere discriminante nei confronti delle donne.
L’on. Maria Jesus Sainz Garcia concorda, ribadendo che spesso la maternità è un ostacolo nel mondo del lavoro, e che l’uomo non si è ancora reso co-partecipe nella gestione degli obblighi derivanti da queste situazioni.
Prende la parola l’on. Carlo Leoni ricordando come anche in Italia questi sono argomenti che suscitano un vivace dibattito, sia a livello politico che nell’opinione pubblica, a partire dalla riforma del diritto di famiglia, intrapresa negli anni ’70, ad oggi, con la modifica all’art. 51 Cost. del 2003. Resta comunque sempre aperta la discussione su una modifica legislativa che fissi le quote di rappresentanza femminile nella vita politica, che rischia tuttavia di essere vista anche dalle donne come concessione e non come autonoma affermazione. In Parlamento c’è una bassa rappresentanza femminile (il 17,3% alla Camera, il 13,7% al Senato).
Sottolinea la necessità che la famiglia, intesa come rete di protezione sociale, venga supportata ed appoggiata dallo stato sociale, che deve essere sempre più presente ed efficace.
Interviene l’on. Enzo Raisi, che dichiara che il problema dell’eguaglianza nel mondo del lavoro è generazionale e culturale, destinato ad evolversi con il succedersi delle generazioni. Nell’affermare l’assurdità della diversità di retribuzione tra i sessi, a parità di posizione, chiede ai colleghi spagnoli un approfondimento sulla drammatica situazione della violenza di genere, così diffusa in Spagna.
L’on. Aragones sostiene che a tale riguardo sia eccessiva anche la risonanza mediatica che viene riservata agli episodi di violenza sulle donne e ritiene che sarebbe auspicabile un atteggiamento di maggior prudenza.
Prende quindi la parola il Presidente della parte spagnola, Gil Lazaro, che dichiara conclusi i lavori della Riunione e, nell’introdurre il Presidente del Congresso spagnolo, Manuel Marin, ringrazia i colleghi presenti, sottolineando come la “storia” consolidata di questo gruppo di collaborazione parlamentare produca sempre, come anche in questo caso, un ottimo livello di dibattito e di interscambio anche personale. Porge i suoi più sentiti ringraziamenti alla delegazione italiana, agli Uffici della Camera che hanno supportato il lavoro della delegazione, e ai rappresentanti dell’Ambasciata italiana in Spagna.
Interviene il Presidente della parte italiana, on. Carlo Leoni, che si dimostra soddisfatto per l’intenso lavoro svolto dal gruppo, tra l’altro quasi completamente rinnovato nella sua composizione rispetto alla precedente, e ringrazia per l’eccellente accoglienza riservata alla delegazione. Ricorda la vicinanza a vari livelli tra Italia e Spagna e rinnova la sua fiducia nel ruolo rilevante della diplomazia parlamentare, importanza confermata anche dalla presenza del Presidente del Congresso, intervenuto per portare il suo contributo ai lavori della riunione.
Il Presidente del Congresso, Manuel Marin, nel ringraziare i partecipanti alla riunione, ricorda i tradizionali rapporti di solida amicizia con la Camera, ripresi anche dopo il rinnovo in Italia delle Camere e del Governo. Definisce fluide e intense le relazioni politiche con il Governo italiano e ricorda la sua recente visita al Senato, in occasione della celebrazione del cinquantesimo anniversario della firma del Trattato di Roma, e successivamente a Verona per prendere parte al Foro Italia – Spagna.
Nei diversi forum ai quali ha preso parte si sono andate definendo le linee dell’agenda del Consiglio europeo, che vede la Spagna allineata rispetto alle proposte del governo tedesco anche per quanto riguarda la discussione del Trattato costituzionale.
L’Italia e la Spagna condividono numerosi interessi e contribuiscono insieme alla soluzione di tante emergenze, tra le quali quella costituita dall’immigrazione clandestina, per la quale auspica un intervento anche a livello comunitario; in questo ambito, si augura che il FRONTEX non rimanga una iniziativa esclusivamente bilaterale.
Ricorda la sua personale amicizia con il Ministro Bonino e il suo appoggio all’on. Marco Pannella per quanto riguarda la sua iniziativa per la moratoria contro la pena di morte. Nel ribadire la sua anche personale soddisfazione per lo svolgimento dei lavori del Gruppo di collaborazione, saluta con grande cordialità tutti i colleghi presenti.
L’on. Gil Lazaro, nel dichiarare ufficialmente conclusi i lavori, sottolinea come questa riunione abbia contribuito a consolidare anche i rapporti personali tra i componenti del gruppo ed auspica che prima della prossima scadenza elettorale, prevista in Spagna per il marzo 2008, sia possibile svolgere la prossima riunione del Gruppo di cooperazione parlamentare Italia-Spagna, portando avanti l’importante legame di amicizia e stima, personale e professionale, che si è creato.
I Riunione del Gruppo di lavoro parlamentare Italia - Iran
Roma, 15 – 16 ottobre 2007
I RIUNIONE DEL GRUPPO DI LAVORO PARLAMENTARE
ITALIA-IRAN
ROMA, 15 – 16 OTTOBRE 2007
15 OTTOBRE 2007
I lavori iniziano alle ore 15,40.
FAUSTO BERTINOTTI, Presidente della Camera dei deputati. Buongiorno a tutti, desidero rivolgere il mio saluto ai Presidenti del gruppo interparlamentare Italia-Iran, Shahryar Moshiri, Presidente della delegazione dell’Assemblea consultiva islamica e Luciano Violante, presidente della Commissione Affari Costituzionali della Camera. Un saluto e un ringraziamento rivolgo agli altri componenti del Gruppo interparlamentare, ai colleghi deputati presenti e a tutti gli intervenuti.
Sono particolarmente lieto di poter dare avvio in questa sede all’attività di cooperazione parlamentare del Gruppo istituito in attuazione del protocollo siglato dai Presidenti delle due assemblee il 6 ottobre 1998, integrato dal successivo Memorandum d’intesa del 25 novembre 2000.
Ritengo infatti che le relazioni parlamentari tra l'Italia e la Repubblica islamica dell'Iran, da tempo caratterizzate da una peculiare intensità, possano trovare ulteriore slancio partendo dalla condivisione dei valori di libertà e di democrazia, che costituiscono la base del protocollo di cooperazione bilaterale. A quei valori occorre richiamarsi con forza nella fase presente, in cui la comunità internazionale è attraversata da conflitti drammatici e le società da preoccupanti segni di disgregazione. In un quadro tanto controverso, due Paesi sono chiamati a svolgere un ruolo importante. Se infatti appare determinante il ruolo dell'Iran nella stabilizzazione dell'area mediorientale, l’Italia è investita dalla sua stessa storia, dalla sua cultura e dalla collocazione geografica ad affermare concretamente la vocazione dell’Europa come forza di pace nel Mediterraneo.
Gli eventi del nostro tempo evidenziano con chiarezza la difficoltà di questa azione e ci dimostrano come per perseguire con successo questo impegno sia necessario recuperare rapidamente terreno di fronte a una crisi della politica che ha investito parte del mondo e le nostre società.
L’obiettivo di evitare l’affermarsi di un conflitto tra religioni e civiltà dagli esiti devastanti non può essere ridotto a una semplice petizione di principio, né essere conseguito attraverso le sole dichiarazioni di intenti.
Per sconfiggere la guerra e il terrorismo, che da un conflitto tra culture e civiltà potrebbero trarre drammatico alimento, è necessario costruire un tempo nuovo della convivenza umana, un progetto di futuro, che solamente la politica nella sua massima espressione può giungere a definire. Ritengo quindi che l’attività del Gruppo interparlamentare che oggi si riunisce per la prima volta abbia una responsabilità speciale: dimostrare con la forza dei fatti e delle idee che il dialogo, l’apertura al confronto e la collaborazione reciproca sono l’unica via per costruire la pace e per privare di argomenti chiunque voglia perseguire la via delle divisioni tra gli uomini e dell’odio fra i popoli, le religioni, le civiltà.
Si tratta di richiamarsi al valore peculiare e più significativo della stessa diplomazia parlamentare, di facilitare lo scambio di idee, la promozione di iniziative congiunte, il dibattito su temi che per loro natura travalicano i confini nazionali e possono trovare soluzione solo nell'ottica della cooperazione internazionale.
I temi che sono all'ordine del giorno della riunione odierna ne costituiscono un chiaro esempio, a cominciare dalla prima sessione dedicata alla lotta contro il narcotraffico.
Quanto alla seconda sessione, l'approdo a una soluzione condivisa della crisi mediorientale che giunga attraverso il negoziato all'unica soluzione possibile, quella di due Stati per due popoli, costituisce una responsabilità assoluta e un obiettivo inderogabile per tutta la comunità internazionale, per risanare senza altro indugio una ferita che segna dolorosamente il presente.
Dare una risposta ai bisogni di pace, di convivenza e di riconoscimento del proprio diritto a edificare e a far vivere il proprio Stato sia al popolo palestinese sia al popolo israeliano è in particolare una necessità storica per chi pensa che la pace sia la principale conquista che la politica debba maturare nel nostro tempo. Sono certo che il dibattito di queste due giornate contribuirà a un costruttivo scambio di opinioni con il contributo di tutti i presenti, dando sostanza concreta a uno dei temi prescelti per lo svolgimento di questa prima riunione del gruppo, ovvero il dialogo tra culture, civiltà e religioni.
Si tratta di affermare e di diffondere l'idea della diversità come fattore di conoscenza, di crescita e di ricchezza anche attraverso la mobilità di giovani studenti, ricercatori e insegnanti, nella prospettiva di relazioni culturali improntate alla fiducia e al reciproco riconoscimento. In questa direzione l'istituzione parlamentare, sede della sovranità popolare ed espressione del pluralismo politico, ha una responsabilità diretta cui non può sottrarsi.
Nel ringraziare i Presidenti e tutti i presenti per la partecipazione a questa prima riunione, formulo a voi tutti il mio più sincero augurio di buon lavoro. Grazie.
LUCIANO VIOLANTE, Presidente della I Commissione Affari costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni. Cari amici, colleghi, mi associo alle parole di benvenuto del Presidente della Camera. Per la Camera dei Deputati italiana sono presenti gli onorevoli Buemi, Cassola, Falomi e Venier. Abbiamo stabilito, Presidente, di scambiarci informazioni su ciascuno, per conoscerci meglio anche dal punto di vista umano, non solo professionale.
Scopo di queste giornate di lavoro è infatti conoscere meglio i nostri Paesi e conoscerci reciprocamente, necessità prioritaria in una fase particolarmente difficile – come sottolineato dal Presidente della Camera –, connessa alle vicende dell'area mediorientale e anche a quelle concernenti la contesa sul nucleare. Sulle questioni dell'area discuteremo domani con la relazione di Lucio Caracciolo, ma l'obiettivo è l’esistenza di due Stati, due popoli, due democrazie. Per quanto riguarda l’altro aspetto, ritengo opportuno sottolineare come nessuno contesti il diritto di ogni Paese alla propria sovranità in materia energetica. L'allegato 2 della Risoluzione dell’ONU 1747 del 24 marzo 2007 sottolinea come non sia in discussione il diritto di ciascun Paese – e naturalmente l’Iran con gli altri – all’autonomia energetica. Il punto riguarda piuttosto il nucleare militare, su cui esiste una contesa. Questo non deve però impedirci di dialogare, di discutere, di conoscerci, di cercare di sciogliere i nodi.
Anche durante la guerra fredda, quando i rapporti erano più tesi, non è venuto meno il dialogo culturale sui grandi temi di politica generale.
L’Iran è un grande Paese, la potenza più stabile della regione, e possiede il 10 per cento di riserve mondiali di petrolio, il 16 per cento di gas naturali, secondo dopo la Russia per il possesso di questi gas.
I consumi energetici salgono del 7 per cento all’anno.
Un dato che pochi conoscono è che nel 2006 l’Iran ha prodotto 100 film, 200 serial televisivi, 2.400 cortometraggi e documentari. Possiede infatti la settima industria cinematografica al mondo, dato di particolare interesse per noi europei.
Abbiamo organizzato il nostro lavoro attorno a tre temi, il primo dei quali riguarda la lotta al traffico di stupefacenti. L’Iran è al primo posto al mondo per sequestro di droga (380 tonnellate all’anno) e al primo posto per numero di vittime appartenenti alle forze di polizia e alle forze armate nella lotta contro il traffico, in quanto la zona dell’Afghanistan più coltivata a papavero è quella del sud, dove la guerra è più intensa e il controllo dello Stato meno presente. Questa zona si trova al confine con l’Iran.
Il secondo tema riguarda gli equilibri geostrategici della regione, su cui ci illuminerà Lucio Caracciolo, uno dei maggiori esperti italiani.
La terza sessione sarà destinata al tema dei diritti umani e delle diversità culturali.
L’ambizione è individuare nella nostra discussione un nucleo comune di diritti umani da salvaguardare in qualunque Paese del mondo, indipendentemente dalle opinioni religiose, dalle strutture politiche, delle tradizioni culturali, nucleo attorno al quale lavorare insieme.
Avremo anche una discussione libera attorno a temi di altro interesse.
Vorrei ringraziare il generale Gualdi e e il generale Sasso, che ci aiutano in particolare sul primo settore essendo tra i massimi esperti italiani, anche operativi, sul traffico di stupefacenti. Ascoltare le loro relazioni sarà per noi un punto di particolare approfondimento e di migliore conoscenza del tema.
Do ora la parola a Shahryar Moshiri, nostro collega di parte iraniana.
SHAHRYAR MOSHIRI, rappresentante Iran. Porgendo i calorosi saluti di amicizia del popolo e del Governo della Repubblica islamica dell’Iran al popolo e al Governo italiano, mi dichiaro pienamente soddisfatto dello svolgimento di questo primo viaggio del Gruppo di lavoro interparlamentare in Italia nella nuova legislatura della Repubblica islamica dell’Iran e della visita nel vostro bellissimo Paese.
I due Paesi, l’Iran e l’Italia, godono di una ricchezza culturale e di una vasta civiltà, che hanno radici nella storia antica.
Come principale manifestazione della democrazia in una società, il Parlamento ha un ruolo decisivo nella diffusione della cultura democratica e dei suoi elementi, ovvero libertà, giustizia e reciproca comprensione.
Il dialogo fra i Parlamenti dei due Paesi diventa molto rilevante soprattutto nelle attuali condizioni critiche, in cui si avvertono molte minacce e sfide imprevedibili.
D’altro canto, il ruolo dei Parlamenti è indispensabile per la realizzazione del dialogo fra le civiltà e le culture e per l’insediamento della società civile mondiale.
Come la Repubblica islamica dell'Iran accettando l'invito esprime la sua piena disponibilità ad approfondire le relazioni e a collaborare con l’Italia in tutti i campi politici, economici, culturali e parlamentari, allo stesso modo anche il Governo italiano ha mostrato la sua seria volontà politica a favore della continuità e dello sviluppo delle collaborazioni con l'Iran. Vorremmo che l'Italia conservasse il suo posto eminente nelle relazioni fra l'Iran e i Paesi europei. Siamo quindi pronti a compiere progressi nelle relazioni con l’Italia, augurandoci che anche il Governo italiano prosegua nel suo costruttivo ruolo di promuovere le relazioni con la Repubblica islamica dell'Iran e di aiutare lo sviluppo delle relazioni dell'Iran con l'Unione Europea. Sebbene finora l'andamento dei contatti parlamentari fra i due Paesi corrisponda alle aspettative, tuttavia esistono terreni di lavoro per un ulteriore sviluppo delle collaborazioni a livello di Commissioni, di gruppi di amicizia e di lavoro.
Nei contenuti del Memorandum d'intesa sulle collaborazioni fra i due Parlamenti, sottoscritto durante il viaggio del Presidente Violante a Teheran, sono previste visite parlamentari di Presidenti e Vicepresidenti delle Commissioni. A breve, dunque, il Presidente della Commissione esteri dell'Assemblea consultiva islamica compierà un viaggio in Italia per avere un confronto con il suo omologo nel Parlamento italiano.
L'Assemblea consultiva islamica sottolinea la collaborazione e la concordia fra le delegazioni parlamentari dei due Paesi nelle Conferenze internazionali e in particolar modo nelle sessioni interparlamentari. Oltre alle Commissioni specialistiche, è pronta a ospitare anche gruppi politici del Parlamento italiano. La collaborazione nel settore di studio e di ricerca fra il Centro studi dell'Assemblea consultiva islamica e il suo omologo centro del Parlamento italiano, sempre nel quadro dei contenuti del siglato Memorandum d'intesa, si rivela molto fruttuosa e utile per il futuro delle relazioni. In base ai principi e agli obiettivi congiunti dei due Paesi, siamo pronti a collaborare con l’Italia nella lotta mondiale contro il terrorismo, il traffico di droga, la criminalità organizzata e altre sfide mondiali. Tali collaborazioni sono sottolineate nel Memorandum d'intesa stipulato fra i due Paesi.
La Repubblica islamica dell'Iran è pronta a partecipare attivamente a questa lotta mondiale. Vorrei ribadire però come le azioni unilaterali e l'esercizio di criteri diversi non soltanto si rivelino inutili, ma rafforzino la complessità e l'ulteriore sviluppo del terrorismo. Riteniamo che le attività relative alla lotta contro il terrorismo debbano essere concentrate nell’ONU e che i criteri mondiali di tale lotta debbano essere oggetto di definizione e di attenzione. Nell’apprezzare le ferme posizioni del Governo italiano sul terrorismo e in particolar modo il riconoscimento del Mujahedin- E Khalq (MKO) come gruppo terroristico, dobbiamo segnalare anticipatamente gli esiti dannosi dei contatti tra elementi di questo gruppo e alcuni parlamentari italiani.
La politica della Repubblica islamica dell'Iran nella regione mediorientale è basata sull'insediamento della stabilità e di una pace duratura e giusta. La Repubblica islamica dell'Iran crede quindi nella distinzione tra il fenomeno del terrorismo e le legittime lotte dei popoli per la liberazione del loro territorio, e nella necessità di cercare la radice delle crisi e delle tensioni della regione non nelle azioni difensive di alcuni indifesi gruppi palestinesi, ma nella politica di repressione, di terrore ed espansionistica del regime israeliano.
Per quanto riguarda l’Iraq, la Repubblica islamica dell’Iran, definendo disastrosi gli avvenimenti correnti in questo Paese, considera il ritiro delle forze occupanti, l’affidamento del compito di stabilire la sicurezza al Governo iracheno e il favorire del dialogo fra tutte le parti nazionali e religiose con l’attiva partecipazione della comunità internazionale, come l’unica via d’uscita, non ritenendo adeguato un approccio basato su soluzioni unilaterali e sperimentali di una o più potenze mondiali, che costano la vita di migliaia di innocenti cittadini iracheni.
LUCIANO VIOLANTE, Presidente della I Commissione Affari costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni. Saluto anche l’ambasciatore che è qui con noi.
La prima Sessione di lavoro è «Il traffico di droga nelle aree di confine con l’Afghanistan». Do la parola al generale Gualdi per introdurci sulla materia.
CARLO GUALDI, Direttore della Direzione Centrale Servizi Antidroga (DCSA). Saluto prima di tutto i Presidenti Violante e Moshiri, l’ambasciatore, che ho già il piacere di conoscere, e tutti gli onorevoli membri del Gruppo di lavoro interparlamentare.
Sono il direttore della Direzione centrale per i servizi antidroga, una struttura composta da tutte le forze di polizia italiane, che si occupa del coordinamento delle forze di polizia nazionali nella lotta al narcotraffico, struttura da cui dipendono gli esperti antidroga nel mondo, fra cui anche alcuni che operano nelle aree di cui oggi ci occupiamo, in particolare un funzionario che attivo a Teheran.
Ho scelto di articolare il lavoro in cinque punti, per lasciare poi spazio a eventuali domande e chiarimenti.
I punti sono lo stato della produzione dell’oppio e dell’eroina in Afghanistan, i flussi di traffico in uscita dall’Afghanistan, l’attività di contrasto nei vari confini dell’Afghanistan, la ricaduta di questo traffico sull’Europa e in particolare sul nostro Paese, i rapporti bilaterali di collaborazione Italia-Iran, molto intensi e proficui nel campo dell’antidroga.
Mi avvarrò di alcuni grafici, che saranno proiettati sullo schermo. Il primo si riferisce alla produzione dell’oppio e dell’eroina in Afghanistan. Si tratta soprattutto di dati dell’United Nations Office on Drugs and Crime (UNODC), l’ufficio delle Nazioni Unite che si occupa di criminalità organizzata e droga.
La produzione di oppio e di eroina in Afghanistan è drammaticamente in crescita. Lo scorso anno, rispetto all’anno precedente la crescita è stata pari a circa il 50 per cento, mentre nei primi nove mesi di quest’anno si rileva un ulteriore aumento del 34 per cento. Il dato più inquietante è che questa offerta proveniente dall’Afghanistan è superiore del 30 per cento alla domanda dei Paesi consumatori. Questo, quindi, ha un fortissimo impatto sul futuro dei consumatori nel mondo occidentale. Naturalmente, questo traffico non è solamente in andata, ovvero dall’Afghanistan verso varie rotte, ma anche in entrata, perché per produrre questa grande quantità di eroina occorrono sostanze chimiche che entrano in Afghanistan. I Paesi alle frontiere devono effettuare un doppio lavoro per controllare questo duplice flusso.
Il 93 per cento dell’oppio, quindi della morfina e dell’eroina, successivamente viene prodotto in Afghanistan.
Di questa grandissima quantità di produzione, il 70 per cento viene lavorato in Afghanistan. Questo è un dato molto inquietante, perché non si tratta di produzione solo di oppio, ma di produzione di eroina. Il rapporto è di 7 : 1, per cui con 8.200 tonnellate di produzione di oppio, considerato che il 70 per cento viene raffinato in Afghanistan, ammontano a circa 820 le tonnellate di eroina e di morfina in uscita dall’Afghanistan.
Il dato ancora più impressionante è che 10.500 tonnellate di sostante chimiche – immaginiamo quanti cargo, quanti spostamenti di mezzi siano necessari – entrano nel Paese per la conversione in eroina.
Per eventuali approfondimenti, vi fornirò il testo dell’intervento, che purtroppo è in italiano, ma potrà essere tradotto in altre lingue.
Il primo punto riguardava quindi la produzione drammaticamente crescente di oppio e di eroina in Afghanistan, mentre il secondo punto riguarda l’uscita dei traffici dall’Afghanistan.
Le fonti UNODC hanno calcolato che una parte veramente inquietante – circa il 53 per cento – è proprio in uscita verso l’Iran, mentre un consistente 32,5 è in uscita verso il Pakistan, il restante verso l’Asia centrale e in piccola misura verso la Cina.
Il controllo di questa produzione vastissima, che richiede un gran ciclo di produzione, è gestito prevalentemente sia per la produzione che per il traffico dai signori della guerra, che, lungo tutta la filiera del traffico, impongono una serie di tassazioni, dai diritti di transito per le sostanze che entrano nel Paese per il taglio a una tassa sui prestiti finanziari, al diritto di esercizio di laboratori e imposte sia sui raccolti stessi, sia sui servizi di protezione imposti.
Tranne la fascia centrale, che è stata dichiarata dall’ONU opium-free e va da Baghlan fino a Paktika al sud, in alcune zone di frontiera si rileva un fortissimo aumento sia della produzione di oppio, sia dei laboratori di eroina e quindi dei traffici. Si tratta della provincia di Faryab, situata a nord, verso lo Stato del centro Asia del Turkmenistan, delle province di Farah e di Nimroz al confine con l’Iran, delle province di Helmand, che da sola produce oppio e eroina più di tutto il resto del mondo, e di Kandahar, entrambe zone di guerra, di Nangarhar al confine con il Pakistan e con le cosiddette aree tribali del Waziristan, dove esiste una fortissima guerriglia, e poi verso nord il Badakhshan e la zona dell'Indukush verso il Tajikistan, altra repubblica asiatica. La Cina ha soltanto 70 chilometri di frontiera, ma è abbastanza permeabile anche per quanto riguarda le sostanze chimiche in entrata.
In questa lastrina sono indicati in azzurro i mercati dell'oppio, i bazar, e in marrone i laboratori. La strada tracciata in rosso è la maggiore via di comunicazione del Paese ed è evidente come sia i bazar dell'oppio che i laboratori si collochino prevalentemente verso il confine. Si nota al centro la zona definita opium-free dall’ONU, in cui non sono stati rilevati laboratori né mercati di sostanze stupefacenti.
Desidero fornire qualche dato concernente i sequestri realizzati in Afghanistan dalle forze di polizia con la collaborazione di esperti antidroga di altri Paesi, in particolare la Gran Bretagna, pilastro per la lotta al traffico di stupefacenti. Si tratta di 49,4 tonnellate di oppio, 3,6 di eroina e a seguire morfina e hashish, quantitativo relativamente ridotto rispetto alla grande produzione.
LUCIANO VIOLANTE, Presidente della I Commissione Affari costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni. Scusi, generale, i sequestri sono stati realizzati in Afghanistan o fuori?
CARLO GUALDI, Direttore della Direzione Centrale Servizi Antidroga (DCSA). Un dato mi sembra molto importante: il guadagno di un contadino è stimato in circa 1.700 dollari statunitensi all'anno, cifra enorme rispetto reddito medio, che spiega la difficoltà di combattere la produzione e la trasformazione di oppio e di eroina in quel Paese.
Abbiamo calcolato alcuni dati con il nostro esperto antidroga e con l’ufficio delle Nazioni Unite, per definire la filiera criminale, ovvero la rete che gestisce i traffici.
Si tratta naturalmente di numeri approssimativi, che però delineano la situazione in Afghanistan. Circa 2,9 milioni di contadini coltivano ed estraggono l’oppio. Esistono 250.000 piccoli mercanti che raccolgono e distribuiscono nei bazar, e un numero più ridotto di grandi mercanti che comprano, trasferiscono l’oppio e lo fanno anche trasformare in eroina nei laboratori che gestiscono. Esiste poi la filiera finalizzata al trasferimento, quindi al trasporto della droga oltre confine.
Il dato economico del problema non compare in lastrina, ma appare molto interessante.
In Afghanistan, un grammo di eroina costa circa 3 dollari statunitensi, laddove in Italia un grammo di eroina nel mercato medio – a Napoli costa meno – costa circa di 65 euro. Quindi nel passaggio da dettaglio a dettaglio il margine di guadagno è assolutamente enorme.
Nell’altra lastrina, nel Paese che vediamo al centro di tutte le rotte, lo scorso anno sono stati smantellati 248 laboratori.
La terza parte del mio intervento riguarda l’uscita dai confini e quindi l’attività di contrasto svolta dagli altri Paesi.
Da quanto constatato finora si rileva un problema di controllo sia del territorio, sia dei traffici all’interno e in uscita dall’Afghanistan, quindi lungo i confini dell’Afghanistan con gli altri Paesi.
Questo è dovuto a molteplici ragioni, quali le popolazioni nomadi, le zone di guerriglia, la permeabilità di alcune frontiere compresa quelle cinese, che è molto piccola ma abbastanza permeabile, le caratteristiche orografiche del territorio e, come rilevato dal presidente Violante, il grande sforzo dei Paesi per contrastare questi traffici, in particolare l’elevato tributo di vite umane da parte dell’Iran.
Sono tre le regioni delle cinque Repubbliche centro asiatiche che confinano con l’Afghanistan: Turkmenistan, Uzbekistan, Tajikistan. L’impatto maggiore viene sopportato dall’Uzbekistan, in cui corre una rotta molto importante che si congiunge con la rotta caucasica conducendo a nord e poi verso occidente. In queste tre Repubbliche asiatiche, già al confine si effettua un notevole sforzo e Paesi come l’Italia supportano economicamente le loro polizie. La rotta è quella del nord, che poi tange con quella balcanica. La direzione è verso nord-ovest con obiettivo la Russia, ma anche i Paesi occidentali, che sono raggiunti attraverso la rotta caucasica. Queste due rotte riguardano l’Uzbekistan, il Tajikistan e poi il Kazakistan, mentre l’ultima verso sud-ovest, che interessa invece il Turkmenistan, dopo aver attraversato il Mar Caspio, si congiunge con la rotta balcanica e quindi va verso occidente.
La rotta primaria sale da Termez, posto di frontiera fra l’Afghanistan e l’Uzbekistan, sino a raggiungere la vecchia rotta della seta, ovvero da Samarcanda-Bukhara arriva a Urgench, e quindi esce dall’Uzbekistan, va verso nord e poi verso occidente.
Potrei citare molte iniziative, ma ragioni di tempo me lo impediscono. Ricordo solo che è stato istituito un Central Asian Regional Information and Cooperation Center (CARIC), che sarà situato ad Almaty in Kazakistan, al quale partecipano tutte le Repubbliche centroasiatiche e anche alcuni Paesi occidentali, fra cui l’Italia. Abbiamo un esperto antidroga a Tashkent, capitale dell’Uzbekistan, e un altro a Kabul, dove è stato inviato pochi mesi fa.
Il confine con la Cina è piccolo, ma si notano molti traffici sia in uscita – soprattutto eroina – sia in entrata, ovvero sostanze chimiche. Il mondo dei precursori è in completa trasformazione: industrie chimiche emergenti stanno assumendo un ruolo primario, sostituendo alcune industrie chimiche occidentali, soprattutto del nord Europa, e uno di questi produttori è sicuramente la Cina.
Il confine con il Pakistan è molto delicato in ragione dell’ampiezza, ma anche del forte stato di guerriglia soprattutto in Waziristan o aree tribali, situata tra il Belucistan e la zona di Kabul.
A nord-est di Kabul c’è il mitico Kaiber Pass, il passo attraversato dagli eserciti passati attraverso l’Afghanistan, e una lunga area di frontiera, in cui le popolazioni sono quasi indefinite e c’è un forte controllo dei talebani sul territorio. Quella del Pakistan è un’area molto delicata. Il Pakistan possiede il grande porto di Karachi, da cui partono anche i cargo. Il confine del Belucistan interessa anche l’Iran. Si tratta quindi di un’area molto difficile e impegnativa dal punto di vista del controllo. Anche in Pakistan abbiamo inviato un esperto antidroga, costituendo quindi una forte cintura di presenze italiane che parte da Mosca e, attraverso Budapest, arriva al centro Asia e poi scende fino a Islamabad, in Pakistan.
Le due grandi direttrici sono il Kyber Pass e la strada che da Jalalabad poco dopo Kabul porta a Peshawar, la prima città che si trova dopo il passo, al di là del confine pakistano.
La seconda grande direttrice è quella a sud, che riguarda le province di Helmand, la maggiore produttrice del mondo dopo l’Afghanistan inteso in senso unitario, e di Kandahar, in cui l’etnia prevalente è quella Pashtun. Si tratta di un confine molto delicato anche per l’Iran, perché è il confine di tre Paesi (Afghanistan, Pakistan e Iran).
Queste rotte vanno verso l’Europa e in questa lastrina sono tracciate la via della seta, in particolare quella meridionale, e la rotta del nord che, attraverso le Repubbliche centroasiatiche, giungono in tutta l’Europa. È opportuno notare come l’Iran sia attraversato da una di queste rotte che parte da Kandahar.
Passando a esaminare la nota situazione dell’Iran attestando il nostro apprezzamento per lo sforzo dell’Iran anche nel sacrificio di vite umane, i dati dell’antidroga iraniano indicano 2,5 milioni di tossicodipendenti coinvolti in questo traffico che attraversa il Paese, molti dei quali colpiti da virus HIV.
In questa lastrina sono anche indicati i rilevanti sequestri realizzati in questo primo periodo dell’anno, secondo i dati forniti dall’esperto antidroga che si trova a Teheran: 9,1 di eroina, 5,6 di morfina, 215 tonnellate di oppio, 55,5 tonnellate di hashish.
Oltre alle tre rotte (del nord, del sud e di Hormozgan) che interessano il Paese, vorrei ricordare, a proposito dell’impegno delle autorità iraniane, il Piano programmatico di contrasto del 2006 per la prevenzione e la riduzione del danno, con il rafforzamento dell’attività di polizia lungo i confini. La presenza di queste popolazioni nomadi ostacola tale attività di contrasto, con i citati risultati all’interno dell’Iran.
La lastrina successiva – utile a noi italiani, perché i signori parlamentari dell’Iran conoscono bene i territori – mostra le difficoltà orografiche e l’attività di risposta anche militare che l’Iran compie lungo le sue frontiere con quattrocento posti di osservazione e trecento chilometri di canali di sbarramento profondi quattro metri e larghi cinque. In occasione di una visita degli esperti antidroga, tra cui anche il nostro, furono rilevati seicentocinquantanove chilometri di terrapieni e duemilaquattrocento chilometri di strade asfaltate, utili a effettuare un migliore controllo del territorio. Si rileva quindi anche un grande sforzo logistico per vigilare meglio su queste frontiere.
Nel 2007 si sono verificati 1400 conflitti a fuoco tra forze di polizia dell'Iran e trafficanti.
L’Italia è interessata a questi traffici meno dell’Europa settentrionale, in particolare del Regno Unito, ma comunque in misura molto rilevante. Quest’anno il dato dei sequestri di eroina in Italia è caratterizzato da un forte aumento – circa il 20 per cento – che fa seguito a una lieve discesa negli ultimi anni, per cui ritorna al punto di partenza. La sovrapproduzione in Afghanistan si traduce in una diminuzione dei prezzi che rende nuovamente appetibile l’eroina sul mercato occidentale. Nonostante la cocaina sia considerata la droga più «adatta» alla nostra società, si rileva questo dato in preoccupante controtendenza che riguarda l’eroina, a causa della diminuzione dei prezzi e del grado di purezza. Sulla base del raccolto di quest’'anno dell’Afghanistan e della qualità del prodotto, le Nazioni Unite e noi come Paese presente nell’area siamo in grado di stimare una crescita della richiesta nei Paesi occidentali, anche in Italia, e un dato di aumento dei decessi per overdose, molti anni invece in diminuzione. Nonostante il miglioramento delle strutture sanitarie in questi anni, il calo dei decessi per tossicodipendenza era infatti dovuto a un minor afflusso di eroina con un minor grado di purezza.
Un’eroina più pura e in maggiore quantità potrebbe anche ripercuotersi sul numero di decessi per overdose.
Siamo quindi fortemente impegnati anche sulla frontiera dell’eroina e non soltanto sul fronte della cocaina. L’Italia è presente in numerose iniziative. In particolare, la mia Direzione centrale ha chiesto e ottenuto di essere capofila del Programma europeo per l’eroina. Gli esperti antidroga sono stati sistemati a cortina, da nord verso sud-est. Il Paese quindi è molto impegnato su questo fronte.
Le aree portuali di Trieste, Ancona e Bari sono quelle maggiormente interessate a questo flusso. In Lombardia, Friuli Venezia Giulia ed Emilia-Romagna si realizzano i maggiori sequestri.
La risposta dell’Italia sul piano internazionale non si limita soltanto all’attività di intelligence attraverso gli esperti e all’attività di contrasto sul territorio o alla partecipazione, pure importante, ai gruppi di lavoro internazionali e allo stanziamento di fondi per sostenere l’UNODC, di cui l’Italia è il maggior Paese donatore, ma ci coinvolge anche come formazione dei Paesi più coinvolti in questo traffico di eroina.
Abbiamo realizzato programmi per le Repubbliche centroasiatiche: Tagikistan quest’anno e Uzbekistan lo scorso anno. L’ultimo punto riguarda i rapporti bilaterali. Ribadisco il grande impegno, sia sul fronte iraniano che sul fronte italiano, su questo drammatico segmento della lotta contro la droga. Qui sono indicate numerose iniziative che, a partire dal 2004, hanno visto un’intensificazione di questo rapporto di collaborazione con scambi di visite reciproche. Nel 2004 si è recata la mia Direzione, poi c'è stata la visita di una delegazione italiana in Iran, un viaggio di studio in Italia di alcuni esperti e medici iraniani nel 2005, un seminario di formazione. In particolare, abbiamo un'attività di formazione per quanto riguarda i cani antidroga. Si tratta di cifre non rilevanti, perché si tratta di un servizio molto costoso e impegnativo. Qualche mese fa, avevo anticipato all'ambasciatore che si sarebbe trattato di tre unità cinofile, mentre adesso siamo arrivati a 7. A gennaio inizierà questo corso e abbiamo già contatti con il servizio antidroga dell'Iran. Previe intese con il Drug controller quotes iraniano, penso di recarmi in Iran per un ulteriore approfondimento degli scambi e delle informazioni.
Credo di potermi interrompere qui. Ribadisco la nostra volontà di collaborare nel miglior modo possibile e più intenso con i colleghi iraniani e l'impegno a continuare e intensificare questo sforzo in futuro. Ringrazio molto e resto a disposizione per eventuali quesiti.
LUCIANO VIOLANTE, Presidente della I Commissione Affari costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni. La ringrazio molto, generale Gualdi. Do la parola al Generale Sasso.
COSIMO SASSO, Direttore della Direzione Investigativa Antimafia (DIA). Desidero innanzitutto ringraziare il Presidente Violante per il gradito invito a partecipare all'incontro odierno, che mi offre l'opportunità di fornire un breve contributo di riflessione sul tema particolarmente importante dell’incidenza del crimine organizzato transnazionale nel traffico delle sostanze stupefacenti.
Porgo anche espressioni di fervidi saluti agli onorevoli parlamentari qui presenti.
Sono il direttore della Direzione Investigativa Antimafia che, al pari della Direzione Centrale dei servizi antidroga, è un organismo a composizione interforze. La mia Direzione è inserita nel Dipartimento della pubblica sicurezza del Ministero dell'interno. Compito assegnato alla Direzione Investigativa Antimafia è porre in essere attività di contrasto, sia di natura preventiva che di investigazione giudiziaria, nei confronti delle organizzazioni criminali di stampo mafioso.
In ragione della specificità funzionale della struttura che ho il privilegio di dirigere, intendo quindi focalizzare, ponendomi anche su un piano di logica consequenzialità rispetto all'intervento del mio collega, il taglio del mio intervento sul sistema delle interazioni espresse dai fenomeni di criminalità organizzata in Italia, mettendo in luce il significativo modello di interoperatività dei vari gruppi, che si dispiega in modo evidente nel mercato degli stupefacenti, ma non manca di trovare applicazione anche in altri settori portanti del vasto spettro delle attività cosiddette mafiose.
Ritengo, infatti, che la comprensione dell’articolato quadro internazionale dei traffici illeciti di droga e delle loro rotte non possa andare disgiunta dall’analisi strutturale del sistema criminale che ne supporta la sofisticata filiera non solo nelle fasi di produzione, di transito e di vendita, ma anche nei paralleli e/o conseguenti livelli di riciclaggio e di reimpiego degli enormi proventi finanziari che ne derivano.
Peraltro, con riguardo a i principali macrofenomeni di matrice mafiosa, si deve sottolineare la generalizzata capacità di stratificare più condotte illecite di alto livello remunerativo, che conferisce ai gruppi criminali di caratura transnazionale l’abilità di supportare rilevanti operazioni non solo nel mercato della droga, ma anche nel traffico delle armi, nella tratta degli esseri umani e nel riciclaggio.
L’analisi globale delle risultanze giudiziarie e investigative non manca di corroborare adeguatamente l’esistenza di un sistema pressoché omogeneo di molteplici attività criminali primarie poste in essere dai principali sodalizi mafiosi, fra le quali spiccano i reati in materia di stupefacenti.
Il quadro investigativo più recente evidenzia sinergie funzionali di tutto rilievo nell’esecuzione delle diverse condotte criminose, mutuando dall’una all’altra non solo l’expertise operativo, ma anche le referenze umane, le sperimentate vie di facilitazione dei traffici e i sistemi di massimizzazione dei profitti nelle operazioni di riciclaggio dei proventi finanziari illeciti.
La catena transnazionale che sorregge i traffici presume logicamente l’esistenza di un significativo e collaudato ciclo operativo ed economico dei sodalizi, che si concreta in un complesso network di servizi criminali. Tale rete funzionale non solo è altamente proattiva e sensibile alle mutevoli esigenze della domanda illecita, ma anche dotata di alte capacità di resilienza e di riconfigurazione, dimostrandosi capace di sfruttare pienamente tutte le vulnerabilità dei sistemi normativi e della generale azione di contrasto.
Per riagganciarmi alle tematiche analiticamente affrontate nell’intervento precedente, possiamo individuare una testimonianza diretta di queste significative capacità evolutive dei circuiti criminali già nel fatto che i tradizionali laboratori afgani per la produzione di droghe si stanno progressivamente trasformando in strutture avanzate e moderne, producendo una maggiore quantità di sostanze più raffinate e potenti.
L’eco del potenziamento della produzione afgana dell’oppio e della sua successiva trasformazione in eroina si nota anche nel nostro Paese, nei recenti significativi sequestri di tale stupefacente portati a segno nei porti adriatici in pregiudizio di cellule terminali di organizzazioni criminali turche, a dimostrazione della rapida propagazione dei fattori di crisi in un sistema mondiale ormai profondamente interconnesso. A questa capacità di adattamento evolutivo del ciclo mafioso sono legate non solo scelte strategiche sempre più efficienti e manageriali, ma anche politiche tese al mantenimento di bassi profili di esposizione, così come la ricerca di configurazioni strutturali più agili e talvolta policentriche, al fine di meglio affrontare, possibilmente all’interno di un quadro relazionale non violento, la forte competitività intrinseca nei mercati illeciti. L’elevatissima redditività di tali mercati, con particolare riferimento a quello delle droghe, non manca però di provocare profonde frizioni fra gruppi contrapposti, che sfociano in catene di gravi delitti contro la persona, finalizzati ad assicurare il predominio di talune fazioni.
Nel significare la pletora dei nefasti effetti criminogeni, direttamente o indirettamente correlati all’elevata incidenza della diffusione degli stupefacenti con i conseguenti danni alla salute pubblica, specie delle giovani generazioni, non può essere sottaciuta la rilevanza essenziale delle ricadute di enorme arricchimento delle consorterie criminali, che ne consolida le capacità, soprattutto alimentando gli assetti finanziari utili ad attuare ulteriori illeciti progetti e ad alterare l’economia legale.
La percezione delle capacità espresse dai sodalizi di matrice mafiosa nell’utilizzare varie condotte, fra cui il traffico di stupefacenti, come strumento di pervasività criminale dei contesti sociali ed economici, è un dato storicamente acquisito nell’esperienza italiana e articolatamente declinato negli istituti giuridici finalizzati al contrasto. Ritengo di poter affermare che il meditato patrimonio giuridico del legislatore italiano in materia di mafie sta progressivamente divenendo un valido modello per la riflessione giuridica di tutti i Paesi, che si trovano ad affrontare le moderne e multiformi sfide del crimine organizzato transnazionale, in un contesto mondiale caratterizzato dalla globalizzazione dei mercati e da sempre più vaste interconnessioni di culture e di popoli. A questo proposito, è doveroso sottolineare l’importanza strategica dei grandi passi che la comunità internazionale ha compiuto nella sempre maggiore consapevolezza delle sfide offerte dal crimine organizzato, concretizzatisi principalmente nella ratifica della Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità organizzata transnazionale, che il nostro Paese ha avuto l’onore di veder nascere a Palermo nel dicembre 2000.
In tale quadro di riferimento internazionalmente condiviso, è possibile affermare che gli sforzi per l’assicurazione della legalità non passano soltanto attraverso la disarticolazione dei traffici illeciti e dei sodalizi che li sorreggono, ma anche, e forse soprattutto, attraverso l’individuazione delle strategie dei centri nodali del network criminale transnazionale e delle vulnerabilità residue del sistema di cooperazione legale internazionale e attraverso la mappatura del ciclo dei flussi finanziari illegali, che sostengono i mercati illeciti o da essi promanano con elevatissimi indici di redditività.
Nella specifica ottica del doppio binario, su cui si devono configurare tutti i percorsi investigativi e di Intelligence, finalizzati alla disarticolazione dei traffici e all’aggressione dei patrimoni criminali, si sviluppa in Italia l’operatività della Direzione Investigativa Antimafia, organismo investigativo a composizione interforze, che trova significativa focalizzazione nella prevenzione e nel contrasto all’infiltrazione mafiosa nel sistema economico e finanziario.
La struttura della DIA prevede un livello centrale e un livello periferico sul territorio attraverso la presenza di alcune unità operative, la maggior parte delle quali dislocate nelle regioni italiane tradizionalmente esposte all’azione delle associazioni criminali di tipo mafioso. La restante parte di queste strutture sul territorio è situata in alcune delle principali città del centro e del nord Italia.
Questo brevissimo inciso sull’architettura della DIA, utile soprattutto per chiarirne le funzionalità agli onorevoli interlocutori stranieri, configura tale struttura come privilegiato osservatorio analitico, capace di integrare efficacemente i patrimoni informativi sui sodalizi endogeni e allogeni di matrice mafiosa operanti sul territorio italiano.
L’integrazione delle informazioni provenienti dalle attività istituzionali autonome o dall’analisi dei riscontri effettuati alla luce delle operazioni delle varie forze di polizia italiane testimonia l’elevato interesse dei gruppi mafiosi per il narcotraffico e parallelamente dà conto anche del ruolo centrale esercitato da taluni macrofenomeni criminali di origine nazionale nello scenario mondiale dei traffici connessi. Mi riferisco in particolare all’associazione criminale denominata ’ndrangheta, costituita dal cluster dei gruppi criminali di matrice mafiosa originari della regione Calabria, che sembra esprimere un’effettiva primazia nei traffici nazionali di stupefacenti, con speciale riferimento alla cocaina, avendo consolidato ormai una forte credibilità sullo scenario criminale mondiale e avendo esteso una rete di stabili relazioni con i cartelli produttori di droga, anche attraverso cellule operanti in Paesi esteri.
L’espansione criminale della criminalità organizzata di origine calabrese vanta significative proiezioni internazionali in diversi Paesi fra i quali la Colombia, il Venezuela, la Bolivia, la Spagna, l’Olanda e altri.
Tali proiezioni garantiscono una forte operatività della ’ndrangheta su settori importanti del mercato mondiale della cocaina, mentre allo stesso tempo il quadro storico e attuale delle investigazioni evidenzia i rapporti con le maggiori organizzazione transnazionali che gestiscono la produzione di stupefacenti sia nei Paesi d’oltreoceano che nell’area mediorientale, così come non mancano i riscontri di stabili saldature fra gruppi calabresi e sodalizi di matrice mafiosa siciliani, campani, pugliesi e anche albanesi.
Il prestigio di cui gode l’organizzazione calabrese sullo scenario mondiale del crimine organizzato costituisce un potente pilastro dell’espansione dell’operatività delle sue cellule in altri Paesi, che diviene progressivamente rilevante nelle rotte del narcotraffico e produce una notevole ricaduta economica di proventi illeciti, reimpiegati in nuovi progetti criminali e nel riciclaggio nell’economia legale sia nazionale che internazionale con effetti di sensibile potenziamento del potere criminale dei gruppi e delle loro capacità di infiltrazione nella sfera sociale.
È opportuno quindi rilevare come la ’ndrangheta abbia progressivamente occupato nello specifico scenario criminale il ruolo una volta ricoperto dall’organizzazione mafiosa siciliana denominata «Cosa nostra».
Non mancano tuttavia prove dell’attuale compromissione di gruppi siciliani nei reati in materia di stupefacenti, così come appaiono significative le joint venture fra gruppi criminali siciliani ed esponenti della criminalità organizzata calabrese nella realizzazione di rilevanti traffici di cocaina, che vedono anche la compartecipazione di soggetti di elevato spessore appartanenti ai cartelli colombiani e di broker internazionali.
I traffici di droga e il controllo delle piazze di spaccio costituiscono un fattore rilevante alla base dei violenti scontri fra i sodalizi operanti nella regione Campania, riconducibili all’agglomerato criminale denominato «camorra» anche in ragione dell’architettura pulviscolare di tale macrofenomeno criminale. Oltre alla pervasiva diffusione dello stupefacente a bassi costi nel territorio campano, si segnalano significative interazioni con esponenti dei sodalizi calabresi e presenze della camorra sul mercato internazionale, finalizzate a stringere rapporti diretti con i cartelli produttori di cocaina in Bolivia e in Colombia. Non mancano proiezioni operative di gruppi camorristici in Spagna, Olanda, Bulgaria, Romania, Albania, Turchia, Marocco e Tunisia. Una funzione maggiormente subordinata, invece, è attribuibile ai gruppi orbitanti nella criminalità organizzata pugliese che, a fronte di un sensibile attivismo nel settore dello smercio di sostanze stupefacenti, è invece tributaria per gli approvvigionamenti dei sodalizi della 'ndrangheta per la cocaina o delle compagini albanesi per quanto attiene l’eroina e la marijuana.
Le modificazioni storiche nel controllo delle rotte dal parte dei gruppi criminali hanno facilitato anche in Italia l’emergere nel narcotraffico di sodalizi albanesi sorretti dall’elevata mobilità dei personaggi apicali e sempre più caratterizzati dalla disponibilità di una rete logistica internazionale, da una sensibile evoluzione della capacità organizzative e da un progressivo potenziamento del sistema di relazioni criminali.
Questa sintetica panoramica tesa a illustrare il peso del crimine organizzato transnazionale operante in Italia nel narcotraffico evidenzia non solo il ruolo del nostro Paese in talune rotte che portano lo stupefacente nel cuore dell’Europa, ma anche l’incidenza delle fasi di reimpiego e di riciclaggio dei narcoproventi nell’economia legale.
L’ampiezza delle condotte criminali correlate ai molteplici traffici illeciti costituisce la riprova della necessità di spazi giuridici più condivisi e di un approccio coordinato a livello internazionale, che preveda non solo il perfezionamento della cooperazione giudiziaria e di polizia per concretizzare idonee contromisure, ma anche uno sforzo comune per impermeabilizzare i sistemi finanziari ed economici dalle infiltrazioni del crimine organizzato e per deprivare i sodalizi dei loro assetti illegalmente costituiti.
Ringrazio per l’attenzione e rimango a disposizione per eventuali richieste di approfondimenti.
LUCIANO VIOLANTE, Presidente della I Commissione Affari costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni. Ringrazio il generale. A questo punto il programma prevederebbe il mio intervento, ma sarebbe l’ennesimo intervento italiano, per cui do la parola all’onorevole Ezzatollah Yusefiyan.
EZZATOLLAH YUSEFIYAN, rappresentante Iran. Grazie, Presidente. Ho ascoltato questo rapporto con profondo interesse. La Repubblica islamica ha affrontato problemi di cui siamo coscienti e che voi conoscete profondamente.
Ho lavorato come giudice e conosco alcuni punti esposti in questo rapporto, ma vorrei porre due domande da parte del mio Governo islamico. Circa tremila nostri giovani, che hanno lavorato e maturato esperienze in questo campo, sono diventati vittime di questi problemi, hanno perso la vita e lasciato per sempre le loro famiglie. Anche molti iraniani sono stati condannati e arrestati. Si rilevano numerosi problemi per il fatto di averli condannati ma di non avere ancora messo in atto queste condanne. Anche questi giovani hanno mogli e figli. Siamo accusati perché in Iran come in altri Paesi i molti arrestati per traffici di droga – moltissimi dei quali giovani con problemi familiari – non sono stati ancora giudicati.
Sono previste gravi punizioni, ma stiamo aspettando per giudicarli. Per noi questo è un grandissimo problema e per questo abbiamo chiuso le frontiere.
Abbiamo tremila vittime, che hanno lavorato per difendere le frontiere. Per adesso, stiamo aspettando a eseguire le condanne per rispettare i diritti internazionali.
Vorremmo chiedere al nostro grande fratello Prodi quale sia il ruolo dell'Unione Europea e conoscerne i sacrifici, perché il Governo islamico ha fatto di tutto per evitare di far passare il traffico della droga. Siamo riconoscenti all’Italia e soprattutto al suo attuale Governo che agisce con coerenza, ma anche l'Italia naturalmente è parte dell'Unione Europea. Vorremmo sapere quindi cosa risponda dinanzi al sacrificio subito dal Governo islamico, laddove avremmo anche potuto lasciar passare il traffico della droga e guadagnare da questo atteggiamento, mentre al contrario abbiamo lottato coraggiosamente. Il nostro Presidente del Consiglio è stato ucciso, 60-70 membri del Parlamento sono stati condannati e uccisi, così come 4.000 civili.
Condanniamo la droga e il suo traffico, perché nell’Islam la droga non è accettata. La Repubblica islamica quindi combatte questo traffico di sostanze stupefacenti, scelta per noi fondamentale.
MOHSEN KUHKAN, rappresentante Iran. In nome di Dio, volevo ringraziare i nostri colleghi. La compravendita delle sostanze stupefacenti è contro la legge islamica. Nel nostro Paese questo traffico costa almeno 60 milioni di dollari. Abbiamo costruito 6.000 chilometri di muro, 260 chilometri di canali, abbiamo creato campi di contrasto. In questa situazione, anche per supportare le persone che combattono sulla nostra frontiera abbiamo speso 50 milioni di dollari, comprando elicotteri, perché vogliamo chiudere questa frontiera.
LUCIANO VIOLANTE, Presidente della I Commissione Affari costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni. Vorrei esprimere alcune considerazioni su questo problema.
Non so quanto sia noto in Europa il ruolo dell’Iran nella lotta al traffico di stupefacenti, che rappresenta uno dei punti essenziali. Oggi in Iran comincia un convegno di due giorni sul traffico di stupefacenti con l’attiva partecipazione dell’Italia, in particolare del magistrato della Direzione Investigativa Antimafia che si occupa dei rapporti tra Italia e Iran.
Finché non c’è la conoscenza e la sensibilità a questo problema, è difficile che l’Unione europea possa intervenire. Scopo di questi incontri è far nascere questa sensibilità e questa conoscenza.
Dai dati in nostro possesso emerge che – il generale Gualdi potrà forse confermarcelo – alcune zone dell’Afghanistan un tempo dedicate alla coltivazione del papavero, avendo migliorato le loro condizioni economiche, hanno ridotto la coltivazione, che si è concentrata in quelle in cui è minore la presenza del Governo e più forti la guerra e la miseria.
Dobbiamo considerare come tra legalità e illegalità le persone scelgano la legalità, ma come nello scontro tra fame e illegalità la fame prevalga su tutto. Ritengo quindi che si possano costruire muri, ma che, senza affrontare alcune questioni presenti sul territorio afgano, sia difficile risolvere questo problema. D’altra parte, mi pare che tutta l’esperienza occidentale indichi come, per quanto terribili possano essere le punizioni – in Iran è prevista la pena di morte per il traffico di stupefacenti –, questo non risolva il problema, laddove è invece necessario intervenire alla fonte. Questa è una questione certamente drammatica.
Negli ultimi mesi sono stati sradicati 15.300 ettari in Afghanistan di coltivazioni, ma questo non ha prodotto risultati rilevanti, perché la coltivazione si è concentrata in altre aree. In Afghanistan esistono programmi per spostare l’economia da quella dell’oppio a cachemire, uva secca, tappeti, pelli, oli essenziali, spezie, ma manca l’energia elettrica. A Kabul credo siano previste tre ore al giorno di energia elettrica. Le imprese non possono quindi lavorare, per cui rischia di essere privilegiata l’impresa criminale piuttosto che le imprese legali.
È necessario quindi intervenire su alcuni dati di fondo che riguardano l’Afghanistan, non l’Iran, e riconoscere lo sforzo che l’Iran sta compiendo nei confronti di questa questione, anche perché, se i dati internazionali sono esatti, il numero di persone che usano stupefacenti è in notevole crescita anche in Iran. Questo passaggio produce problemi. Dai dati in nostro possesso emerge che sostanzialmente il papavero dovrebbe essere sradicato, ma si rileva un meccanismo di corruzione, per cui chi paga riesce a salvare le proprie coltivazioni. Come segnalato da alcuni rapporti internazionali, talvolta accade che l’oppio sequestrato venga poi rivenduto alle stesse organizzazioni del crimine. Il problema presente in Afghanistan deve quindi essere affrontato, senza illudersi di risolverlo soltanto in Iran o in Occidente.
I precursori ci riguardano. Il generale Gualdi rilevava come una parte ormai considerevole sia prodotta in Cina e in India. Si tratta di acido acetico e di cloruro di acetile, sostanze con le quali si raffinano. Ritengo però che una parte provenga anche dai Paesi occidentali. Il controllo del traffico di queste sostanze dovrebbe interessare anche noi ed essere imposto ad altri Paesi, quali la Cina.
In base all’esperienza italiana, la presenza di un forte traffico di stupefacenti produce alterazioni nei processi finanziari e rende necessarie leggi contro il riciclaggio. In Iran è attualmente allo studio una nuova legge contro il money laundering, il riciclaggio. Su questo tipo di azioni, l’esperienza italiana può aiutare, ma appare importante far conoscere chiaramente a tutti i Paesi europei lo sforzo che voi state affrontando e cogliere l’esistenza di problemi che devono essere risolti non fuori dall’Afghanistan, ma su quel territorio cercando di ricostruire un clima che impedisca di sottrarre intere zone a qualunque forma di legalità e di consegnarle nelle mani dei talebani o dei criminali.
Do la parola all’onorevole Antonello Falomi.
ANTONELLO FALOMI, Onorevole, rappresentante Italia. Desidero ringraziare il generale Gualdi e il generale Sasso per le analisi fornite, per le informazioni dettagliate che hanno consentito a questa sessione di svilupparsi.
Vorrei proporre ai nostri ospiti e anche ai relatori alcune riflessioni concernenti il tema della nostra sessione.
Il Presidente Violante citava la relazione tra fame e illegalità rilevando come, di fronte a condizioni di fame, sia difficile scegliere la legalità. Dai dati forniti nelle relazioni introduttive, emerge come la produzione, la trasformazione, l’esportazione dell’eroina evidenzi una crescita molto forte a partire dal 2001. A una fase di caduta ha fatto seguito una fase di consistente ripresa, tanto da determinare una sorta di sovrapproduzione.
Certamente la guerra e tutte le sue conseguenze producono fame, ovvero la situazione descritta dal Presidente Violante. Un ulteriore problema è però connesso alla questione della guerra, del dopoguerra o della situazione attualmente vissuta dall’Afghanistan: un sistema di questa dimensione, che appare parte determinante dell’economia dell’Afghanistan, necessita di un sistema di complicità nei poteri pubblici. Questa crescita non può infatti essere motivata esclusivamente in base al problema della fame, che pure appare rilevantissimo.
Vorrei quindi chiedere se non si rilevi una situazione dei poteri pubblici che consente questo sviluppo abnorme della produzione della droga.
La seconda questione che volevo porre riguarda il problema della strategia di contrasto. Ci è stato fornito un quadro dettagliato degli enormi sforzi compiuti per contrastare questo fenomeno e anche di quelli dell’Iran. Nel valutare i dati forniti, si rileva però una sorta di sproporzione tra i risultati dell’azione di contrasto e la dimensione del problema della produzione di droga in Afghanistan. Il problema risiede proprio in questo divario, in questi risultati che, a fronte di uno sforzo così grande, appaiono modesti, laddove non ponga un problema di strategia di contrasto. In un’economia in cui si rileva infatti un coinvolgimento di milioni di persone nel traffico di droga, la pura azione di contrasto evidentemente non è sufficiente, se non si attivano altre strategie. Poiché una parte rilevante del popolo afgano vive di questa attività, per cambiare la situazione è necessario offrirle un’alternativa.
Se la quantità di denaro speso dall’Occidente, dagli Stati Uniti in Afghanistan per portare avanti una guerra e una guerriglia fosse stata destinata ad altri scopi, avrebbe potuto produrre qualche risultato di riattivazione di un altro tipo di economia.
Credo che il problema di riconvertire rimanga sul tappeto. Mi domando però se esistano altre possibili misure.
La Camera dei Deputati ha votato tempo fa, in un dibattito sulla situazione dell’Afghanistan, un ordine del giorno che chiedeva la possibilità di utilizzare la produzione di droga a scopo farmaceutico. Vorrei sapere se questa prospettiva abbia possibilità di realizzarsi e di produrre risultati, o se questa ipotesi di individuare un’altra strategia di contrasto sia priva di fondamento.
Vorrei sapere inoltre dove finisca la droga sequestrata.
LUCIANO VIOLANTE, Presidente della I Commissione Affari costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni. Per alternare, do la parola a Mehdi Akuchakian
MEHDI AKUCHAKIAN, rappresentante Iran. In nome di Dio, ringraziamo la delegazione italiana per l’interessante rapporto sul traffico di droga.
Dovremmo innanzitutto delineare la situazione dentro e fuori l’Afghanistan. All’interno dell’Afghanistan i problemi della disoccupazione e della fame hanno indotto la maggior parte della popolazione a impegnarsi soltanto sulla droga. Per sopravvivere ha dovuto intessere rapporti con i Talebani.
Otto province dell’Afghanistan sono impegnate nello sfruttamento della droga. Sarebbe opportuno realizzare investimenti per migliorare la situazione ed evitare che la popolazione si occupi solo di questo.
Insieme all’Italia, nostra amica, saremmo pronti ad aiutare l’Afghanistan a investire per risolvere il problema della droga.
Iran e Pakistan vorrebbero controllare le frontiere. La Repubblica islamica ha subito 4.000 perdite per la difesa delle frontiere.
Ogni giorno alle nostre vittime si aggiungono forze di polizia per combattere questo problema.
Desideriamo collaborare con altri Paesi. A parte l'Italia e la Germania che collaborano con noi, altri Paesi ci hanno escluso dalla difesa nel campo della droga. Siamo soli e, come abbiamo ribadito, vorremmo collaborare anche economicamente alla soluzione di questo problema, ma non ce lo permettono.
Vorremmo avere una cooperazione maggiore e che altri Paesi europei ci considerassero nella cooperazione, perché l'Italia non può essere l'unica a impegnarsi in questo problema.
Abbiamo anche effettuato studi sul problema del riciclaggio del denaro sporco e abbiamo degli esperti, ma vorremmo essere presi in considerazione per potere controllare le frontiere, essere aiutati affinché le nostre forze di polizia possano combattere contro questo traffico.
ARNOLD CASSOLA, Onorevole, rappresentante Italia. Vorrei analizzare due punti. Il primo si ricollega a quanto affermato dal Presidente Violante e dall’onorevole Falomi, in merito ai beni essenziali, alla fame. Non solo come italiani ma come Europa, dovremmo realizzare seriamente la riduzione della spesa per gli armamenti, magari riducendola anche del 5 per cento in Europa e destinando quei soldi allo sviluppo, alla cooperazione con Paesi come l’Afghanistan. Questo contribuirebbe molto a diminuire il fenomeno della droga. L'altro punto mi ricollega a quanto evidenziato dal collega Akuchakian. Vorrei sapere infatti cosa penserebbero i colleghi del Parlamento iraniano di una collaborazione non solo dell'Italia, ma dell'Unione Europea in un controllo di polizia civile delle frontiere insieme alla polizia iraniana, afgana e pakistana, ovvero di un lavoro congiunto per pattugliare le frontiere, sforzo enorme, costato il sacrificio di molte vite umane, oltre a risorse ed energie Riunendo le nostre risorse in una missione civile di pattugliamento delle frontiere, si potrebbe limitare l'ampiezza del fenomeno.
LUCIANO VIOLANTE, Presidente della I Commissione Affari costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni. Desidero informare i colleghi che il 2 luglio 2007 la Presidenza portoghese ha presentato il programma per il secondo semestre 2007 in materia di lotta al consumo e al traffico di stupefacenti. In questo quadro, ha stabilito incontri con Russia, Stati Uniti e Iran entro il 12 dicembre 2007, al fine di costruire una posizione dell'Unione Europea sulla questione del traffico di stupefacenti.
Stanno stampando e ora vi arriverà un documento che riguarda specificamente l’Iran, per rispondere alle domande qui formulate.
MOHSEN KUHKAN, rappresentante Iran. Grazie, Presidente. Sull’interessante punto che ha accennato, sappiamo che l’Italia nutre un profondo interesse verso l’Iran.
Dove esiste la povertà, non si può trattare questo argomento con violenza.
Se tutti gli altri Paesi europei condividessero questa visione dell’Italia, gioverebbe molto e cambierebbe anche l’opinione di molti verso di noi.
Nel recente viaggio del Presidente del Parlamento afgano in Iran, ci siamo dichiarati pronti ad aiutarli.
Vorremmo espandere le informazioni sull’istruzione e l’insegnamento anche attraverso eventuali suggerimenti dei nostri amici italiani.
Dopo la cacciata dei talebani, alcuni Paesi si sono dimostrati molto sensibili al problema dell’Afghanistan. Anche l’Iran è stato presente mantenendo 1,5 milioni di afgani. Li abbiamo ospitati nel nostro Paese, li abbiamo aiutati, sono tornati con i soldi nel loro Paese, gli abbiamo garantito una formazione.
I lavoratori sono la parte più debole della società, ma noi li abbiamo accolti e i lavoratori afgani lavorano e guadagnano nel nostro Paese.
In Afghanistan manca la sicurezza e il Governo centrale non ha il controllo del Paese.
Questo non significa che altri Paesi non intendano aiutare l’Afghanistan, ma i Paesi che lo hanno occupato stanno restituendolo nelle mani dei talebani.
Desidero sapere perché invece non intervengano sotto l’aspetto della sicurezza.
Abbiamo dato molto all’Afghanistan, abbiamo combattuto anche i talebani, senza mai avere rapporti con loro.
La Repubblica islamica dell’Iran era l’unico Paese a non riconoscerli, anche quando essi erano al potere.
Per quanto concerne l’ipotesi di una polizia comune, siamo certi della buona volontà degli italiani, però gli afgani stessi non sono sicuri del proprio Governo, per cui forse è necessario avere più polizie, iraniana, italiana, pakistana, afgana, laddove una forza di polizia per il controllo sul posto ci sarebbe di grande aiuto.
ENRICO BUEMI, Onorevole, rappresentante Italia. Vorrei porre ai colleghi iraniani domande che possono anche sembrare crude, ma sulle quali è molto importante conoscere le loro opinioni.
Vorrei innanzitutto conoscere la spiegazione che loro danno rispetto alla minore produzione di droga nel periodo del regime talebano, giacché i dati sono rappresentativi di una forte crescita nel periodo successivo.
Desidererei inoltre conoscere la situazione del consumo interno di droga in Iran, problema scottante anche per l’Italia, perché sono noti i danni provocati dall’uso di queste sostanze. Ritengo che la vicinanza con i Paesi produttori ponga problemi all’Iran.
Vorrei avere inoltre una valutazione dell’effetto delle barriere fisiche realizzate in questi anni e della proporzione fra risorse investite e risultati ottenuti.
Vorrei inoltre chiedervi se, almeno in sede di discussione culturale, se non politica, sia stato posto il problema di una strategia più direttamente collegata agli aspetti del mercato, quindi della domanda e dell’offerta, rispetto alle strategie repressive. I valori provenienti dall’attività illegale del commercio e della produzione di queste sostanze sono infatti talmente sproporzionati rispetto a un eventuale valore legale da far ritenere insufficiente l’azione di contrasto, sebbene meritoriamente impegnata attraverso ingenti sforzi di risorse e sacrifici di vite umane. Come evidenziato dal collega Falomi, i dati riflettono una sproporzione, che induce a porsi il problema di un diverso approccio.
Non ho soluzioni da suggerire, però ritengo doveroso valutare con realismo il limite dell’azione complessiva che stiamo portando avanti. Grazie.
EZZATOLLAH YUSEFIYAN, rappresentante Iran. Vi ringrazio. Il gruppo di lavoro, il workshop è esattamente questo.
Mi chiedete come mai si rilevasse una minore produzione di droga durante il regime dei talebani, ma bisognerebbe chiederlo a coloro che detengono attualmente il potere, perché il regime dei talebani, che comunque erano soggetti estremisti, contrasta violentemente questi fenomeni, giacché ad esempio chi commetteva i furti veniva giustiziato. I talebani garantivano sicurezza sul territorio, per cui godono di prestigio tra la gente.
Per quanto riguarda l’uso degli stupefacenti in Iran, quello che viene trasportato in Iran provoca una guerra alla frontiera. In questo caso, però, non si tratta di povertà, perché trasportano la droga armati, quindi è necessario combatterli con le armi.
In Iran esistono due punti di vista, uno nei riguardi del tossicodipendente, che consideriamo un malato, laddove lo sforzo di diminuire la domanda di droga è diventato anche molto popolare e abbiamo creato centri di recupero, e uno verso lo spacciatore di droga, che per noi è un criminale.
Desidero sottolineare come, senza questi sforzi iraniani, considerando l’aumento della produzione del papavero, il traffico verso il vostro Paese sarebbe stato più rilevante. Il nostro lavoro di contrasto è stato dunque utile, però necessiterebbe di maggior aiuto. Quando arrestiamo gruppi di trafficanti, il prezzo in Europa sale. Il rialzo del prezzo indica che abbiamo contrastato e arrestato dei trafficanti.
Erano state poste anche altre domande sul riciclaggio del denaro sporco. È stato già illustrato in altri interventi come l’articolo 1 della nostra legge imponga per il trafficante di droga il sequestro dei beni e l’arresto. Anche qualora abbia usato la macchina di un’altra persona, questa viene requisita. Blocchiamo completamente i beni delle persone accusate di traffico di droga anche per ostacolare il riciclaggio.
Ogni anno, alla presenza del responsabile dell’Interpool e del responsabile delle Nazioni Unite, bruciamo decine di tonnellate di droga. Non la usiamo neppure per motivi medici proprio per evitare rischi.
L’Iran quindi ha avuto successo con il suo sistema di contrasto, giacché anche i trafficanti di droga riconoscono la sua pericolosità per loro.
JACOPO VENIER, Onorevole, rappresentante Italia. Il Presidente Violante ci chiedeva di presentarci, aspetto importante anche perché rappresentiamo qui un pluralismo politico e culturale – personalmente sono un esponente del gruppo dei Comunisti Italiani –, che si traduce anche in diversi giudizi e proposte sul tema della politica internazionale e in particolare della lotta al traffico e alla diffusione degli stupefacenti. Ritengo errato valutare la questione della droga e della sua terribile ricaduta sul prezzo pagato dall’Iran senza considerare il contesto di questa diffusione, in cui due Paesi, l'Afghanistan e l’Iraq, sono stati oggetto di un’invasione da parte di truppe dei Paesi occidentali. Per quanto riguarda l'Afghanistan, questa presenza internazionale, giustificata con un obiettivo di stabilizzazione, di lotta al terrorismo e di diffusione della democrazia e dello sviluppo dei diritti umani, sta comportando come oggetto – si rivela opportuna la scelta di questa importante caratterizzazione per la nostra prima sessione – l'esplosione di un problema che coinvolge tutti gli altri. La droga infatti non ha solo come effetti i danni sui tossicodipendenti e l'accumulazione di capitali illeciti, ma è anche un importante strumento di finanziamento di organizzazioni criminali e terroriste, come rilevato dai rappresentanti delle nostre agenzie di contrasto contro l'organizzazione del traffico della droga.
Ritengo opportuno esplicitare questo punto effettuando un bilancio degli esiti di quella guerra, di quella presenza, e considerando come non sia credibile che questo tipo di produzione avvenga senza la connivenza delle autorità che oggi governano formalmente a Kabul.
È stato formulato un giudizio che condivido, in base al quale il Governo afgano non controlla parte del suo territorio e non ha autorevolezza anche perché è in parte composto da soggetti collusi con il traffico internazionale di stupefacenti. Questo è un elemento di giudizio politico di cui ovviamente mi assumo una responsabilità di gruppo parlamentare.
Anche se realizzassimo la migliore integrazione nella lotta al traffico di stupefacenti tra l'Italia e l’Iran e riuscissimo ad aiutare l’Iran nel suo sforzo di bloccare la frontiera con Afghanistan e con il Pakistan, non avremmo risolto problema, perché, come ci è stato spiegato, avremmo solo deviato il traffico rispetto ad altre rotte di produzione e di arrivo in Europa. Per contrastare la produzione abbiamo bisogno di politiche che stabilizzino quel Paese.
Chiederei quindi ai nostri interlocutori che tipo di investimento politico l’Iran sia disponibile a effettuare nella stabilizzazione dell’Afghanistan. Sono già stati citati il contributo dell’Iran nella protezione di milioni di profughi afgani all'epoca del regime talebano e la collaborazione anche con le nostre forze armate. Esiste infatti una storica collaborazione tra i servizi di sicurezza italiani e iraniani, connessa anche con la situazione in Afghanistan.
Nel nostro Parlamento abbiamo discusso l'ipotesi di una Conferenza internazionale di pace sull’Afghanistan che coinvolga tutti gli attori della regione, legata anche alla questione del traffico di droga. Senza affrontare questa questione non possiamo infatti affrontare il fatto che l'Afghanistan si stia trasformando in un Paese basato sulla produzione di oppio e che questo determini un accumulo di ricchezza criminale che condiziona l'intero mercato finanziario mondiale, perché assume una dimensione tale da ricadere su tutte le economie.
L'appello che ci viene dalla nostra controparte iraniana a esprimere una posizione europea deve suscitare interrogativi in noi italiani riguardo alla posizione frastagliata dell’Europa. Sono lieto del riconoscimento tributato alla posizione italiana come utile nel dialogo anche sugli aspetti politici più generali, cui hanno fatto riferimento il Presidente Violante e il Presidente della Camera Bertinotti, però dobbiamo chiedere che ogni posizione rispetto a quei passaggi sia seguita anche da una posizione europea diversa da quella attuale, che mi sembra molto disattenta, se non distante dai problemi della Repubblica dell’Iran.
Ritengo che, anche rispetto alle posizioni espresse dal Presidente Moshiri, il problema sia evitare l’uso di un diverso sistema di valutazione, affrontando insieme a tutti gli interlocutori con realismo, pragmatismo e lungimiranza il problema di una stabilizzazione dell'area, che coinvolge prima di tutto la lotta ai traffici criminali e la fine delle guerre.
LUCIANO VIOLANTE, Presidente della I Commissione Affari costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni. Grazie, onorevole Venier. Se non ci sono colleghi di parte iraniana che intendono intervenire, chiederei ai generali Gualdi e Sasso di sintetizzare alcune conclusioni.
CARLO GUALDI, Direttore della Direzione Centrale Servizi Antidroga (DCSA). Naturalmente sotto il profilo tecnico, perché non mi sfugge l’esistenza di un problema politico e strategico molto più ampio, sede naturale per una soluzione certamente più vasta di quella tecnica.
Presumo che i parlamentari si riferissero all'atteggiamento politico dell'Europa. Da un punto di vista strettamente tecnico, esistono numerosi programmi europei, ai quali partecipiamo, che, soprattutto nel campo dell’intelligence, compiono un ottimo lavoro, utile a ottenere i risultati prima citati. In particolare, facevo cenno a questo gruppo europeo che si occupa di intelligence nel campo dell'eroina, in particolare con la criminalità turca. Abbiamo la presidenza di questo gruppo e i risultati sono sicuramente molto importanti. Sono particolarmente soddisfatto dei rapporti dell’attività bilaterale, perchè è più diretta e sicuramente il rapporto con l’Afghanistan per noi dell’antidroga italiana è strategico e conduce a risultati eccellenti.
Per quanto concerne le ragioni di questo aumento della produzione e del traffico dall’Afghanistan, ribadisco quelle evidenziate e note quali la guerra e l’atteggiamento dell’autorità locale. Confermo l’esistenza di un forte livello di corruzione, che rappresenta uno dei grandi problemi. Sottolineo tuttavia come, insieme a questo aumento spropositato soprattutto nella fascia meridionale, quindi Helmand in particolare, tredici regioni siano state dichiarate libere dall’oppio.
Quindi certamente l’attività svolta in quelle ragioni si è rivelata importante anche se non definitiva in termini di prodotto assoluto.
In merito ai quantitativi di produzione negli anni e in particolare al picco di diminuzione nel 2001, sotto il regime talebano, in realtà il consumo e la produzione sono stati in linea di massima stabili fino al 2005, nel decennio 1994-2004, con un picco maggiore nel ’99.
Il calo del 2001 e l’aumento di questi ultimi due anni appaiono estremamente rilevanti. Il picco di discesa è spiegabile con un regime molto fermo, completamente contrario alla produzione e al traffico e molto netto nella punizione dei colpevoli.
È opportuno evidenziare però come l’oppio impieghi circa un paio d’anni prima di giungere sotto forma di eroina sul nostro mercato. Secondo notizie di intelligence, è dunque probabile che nel 2001, oltre a questa politica drastica, ci sia stato un accantonamento di oppio, poi immesso sul mercato in un momento successivo, una sorta di piccolo tesoro.
Sulla cooperazione Italia-Iran è stato detto molto, per cui confermo che si tratta di una cooperazione eccellente, sempre da implementare, che in campo europeo e probabilmente anche internazionale rappresenta un modello ideale, un vanto per l’Iran e anche per l’Italia.
Concordo sulla necessità di investimenti nel campo della polizia recuperando risorse ovunque. Certamente, lo sforzo per potenziare le forze di polizia sia alle frontiere, sia all’interno dell’Iran è molto forte. Convengo quindi con l’onorevole Cassola sul fatto che gli investimenti di polizia non siano mai sufficienti e debbano essere recuperate risorse in ogni possibile direzione.
Il nostro sforzo di collaborazione come Unione europea è effettivamente molto forte sul piano dell’intelligence, ma non può esserlo altrettanto sul piano militare. L’intervento dell’Unione europea alle frontiere è quindi molto ridotto, ma è necessario immaginare lo sforzo militare che questo produrrebbe, giacché non sarebbe un’attività di polizia tradizionale, ma un lavoro di intelligence o un intervento militare che comporterebbe una presenza militare sul posto.
In merito alla necessità di informazioni in comune, questa è l’attività di intelligence, giacché appare molto importante raccogliere informazioni da più parti e poi immediatamente trasmetterle alle altre parti interessate. Anche qui, grazie all’attenzione iraniana, il nostro esperto antidroga realizza una produttiva attività di scambio di informazioni, che si annovera tra le più soddisfacenti in tutto lo scacchiere mondiale. Il rapporto di rapidità informativa è molto soddisfacente e il nostro esperto funge da tramite con buona parte dell’Unione Europea, perché è un referente considerato privilegiato, aspetto che fa molto piacere.
Le barriere fisiche svolgono un’ottima attività di interdizione, perché trasporto significa anche passaggio carovaniero, che in esse trova un primo ostacolo. Naturalmente, il grande flusso che passa via mare scavalca queste barriere fisiche, però sul piano della difesa militare terrestre esse si rivelano un ottimo provvedimento. Esso è costato tantissimo in termini di sacrifici anche economici dell’Iran, ma ha una ricaduta positiva sui Paesi della domanda, quindi prevalentemente i Paesi occidentali, ma anche sullo stesso Iran. Il problema dell’Afghanistan è infatti un problema di destabilizzazione, che investe quindi certamente l’Europa, ma anche l’Iran, che collabora con noi perseguendo una situazione stabilizzata e una riduzione dell’offerta della produzione sia in termini di oppio, che in termini di eroina.
COSIMO SASSO, Direttore della Direzione Investigativa Antimafia (DIA). Ritengo che il generale Gualdi abbia evidenziato molti aspetti che attengono a questo delicato tema del traffico di stupefacenti, in particolare anche con riferimento all’area afgana dell’Iran. In qualità di Direttore di un organismo investigativo, mi limito soltanto a sottolineare nuovamente come il particolare fenomeno sia ormai unanimemente considerato transnazionale, come le rotte mostrate sulle slide hanno evidenziato, e a rimarcare la necessità di affrontarlo su un piano di effettiva cooperazione internazionale, sia da un punto di vista giudiziario, sia da un punto di vista di polizia. Indubbiamente, sono stati compiuti progressi. Ritengo che, a cominciare dall’Unione europea, esistano lacune da colmare, con riferimento anche ad aspetti del diritto sostanziale, cosicché uniformando le legislazioni a livello internazionale, si possano avere strumenti per un’effettiva cooperazione. Come direttore di un organismo investigativo, mi preme sottolineare l’esigenza che questi incontri servano anche a realizzare una proficua ed effettiva cooperazione internazionale. Grazie.
LUCIANO VIOLANTE, Presidente della I Commissione Affari costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni. Do la parola all’onorevole Hosseini.
SEYED MOHAMMAD MIR HOSSEINI, rappresentante Iran. Grazie. Considero questo incontro molto interessante, ma vorrei aggiungere due considerazioni. Le parti qui presenti convengono su molti punti riguardanti la droga, però è necessario realizzare una collaborazione comune. Sappiamo quali sono i Paesi che dovrebbero partecipare a questa collaborazione e che in Afghanistan la povertà è un fondamentale dato economico, politico e di sicurezza.
In questa nostra riunione è importante capirci e valutare gli esiti ottenuti. Dobbiamo cominciare a collaborare insieme per avere idee comuni e cominciare a gettare le basi. Ad esempio, è stata citata la polizia comune, ma in Afghanistan possiamo avere un ruolo anche politico o sociale, realizzare progetti di formazione o economici. Oggi e durante i prossimi incontri parlamentari valuteremo come individuare sempre nuove vie di collaborazione.
L’Iran ha compiuto ogni sforzo sia economico sia di vite umane per contrastare il traffico di droga, però chiediamo all’Europa di aiutarci.
Mi chiedo se l’Europa abbia mai riflettuto su cosa le accadrebbe, se l’Iran un giorno non potesse più combattere contro il traffico, se abbia pensato di collaborare politicamente, economicamente, culturalmente e socialmente con l’Iran. Grazie.
MOHSEN KUHKAN, rappresentante Iran. È doveroso sottolineare come spesso ci sia stato proposto, in cambio del permesso dell’Iran di trasportare la droga, di non venderne neppure un grammo di droga nel nostro Paese. Trasporterebbero attraverso il nostro Paese senza però vendere in esso. Non abbiamo mai considerato questa proposta. Per noi un iraniano è come un italiano, quindi non intendiamo sacrificare gli europei per la nostra popolazione.
LUCIANO VIOLANTE, Presidente della I Commissione Affari costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni. Termina qui la nostra seduta di oggi. A vostro nome vorrei ringraziare gli interpreti che hanno svolto un lavoro straordinario e difficile, perché molti di noi hanno parlato velocemente.
I lavori terminano alle ore 18,20.
16 ottobre 2007
I lavori iniziano alle ore 9,50.
LUCIANO VIOLANTE, Presidente della Commissione affari costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni. Riprendiamo ora i nostri lavori. Informo gli ospiti che ieri erano assenti che abbiamo tenuto una sessione molto interessante sul problema del traffico degli stupefacenti, di cui abbiamo continuato a parlare nel corso del pranzo offertoci dall’ambasciatore iraniano a Roma. Come sapete, l’Iran è particolarmente colpito dall’incremento di questa produzione nel sud dell’Afghanistan.
Oggi apriamo la seconda sessione, dal titolo: «La situazione nell’area mediorientale e il ruolo dell’Unione europea». Abbiamo chiesto a Lucio Caracciolo, direttore di Limes – la più autorevole rivista italiana di geopolitica – di intervenire con una relazione. Lo ringraziamo molto per essere qui.
Al mio fianco c’è anche l’ambasciatore italiano a Teheran, Roberto Toscano, che ringrazio molto per essere stato uno degli artefici dei rapporti tra il nostro Paese e l’Iran, nonché per la sua presenza di oggi.
Do la parola a Lucio Caracciolo per la sua relazione.
LUCIO CARACCIOLO, Direttore di Limes. Grazie, presidente. Parlare della situazione odierna in Medio Oriente significa riferirsi soprattutto a quello che è stato provocato dagli interventi americani in Afghanistan nel 2001 e in Iraq nel 2003 e di come la crisi possa evolvere nei prossimi anni.
La mia unica certezza è che la carta geopolitica del Medio Oriente, tra due o tre anni, sarà molto diversa da quella attuale. Non sono in grado di dire quale sarà, ma certamente siamo in una fase di crisi, intesa come discontinuità rispetto al passato. Le ragioni di questa crisi – e delle guerre in corso, a diverso livello di intensità, nella regione – stanno nel fatto che l’attuale Amministrazione americana ha deciso, dopo il 2001, che occorresse costruire, come si dice, un «nuovo Medio Oriente», più affine agli interessi ed ai valori degli Stati Uniti d’America.
Questo progetto – credo possiamo dirlo con una certa serenità – è fallito: gli Stati Uniti, da una parte, sono alle prese con la socializzazione delle perdite e, quindi, con la loro distribuzione, in termini di sconfitta, fra amici, alleati e forze disponibili – su questo tornerò in seguito, perché si tratta soprattutto di noi europei – e, dall’altra, cercano di inventare un modo per uscire, non tanto dalla crisi mediorientale, quanto dal Medio Oriente tout court.
Se c’è stato un argomento presente in modo costante, negli ultimi mesi, nel dibattito interno americano – in parte anche pubblico – è quello inerente il modo per liberarsi dalla palude in cui ci si è invischiati. Non vogliono perdere tutto il proprio tempo con il mondo islamico e con il Medio Oriente, perché ci sono problemi più importanti da affrontare, come la Cina, e non possono occuparsi di Iraq o di Afghanistan per troppo tempo.
Gli americani che la pensano come il Vicepresidente Cheney non sono pochi, non tanto nell’Amministrazione, quanto nell’élite americana: non si tratta solo di una parte dell’élite repubblicana, ma anche di molti Democratici (si sbagliano coloro che, in Italia o altrove, pensano che i Democratici abbiano un’agenda più moderata, più pacifica, più passiva. Non so chi vincerà le elezioni ma, certamente, con questo Congresso e con il futuro Presidente, eventualmente democratico, avremo un’agenda americana semmai ancora più attiva rispetto a quella attuale). Dicevo che questa parte dell’élite americana pensa che il modo più congruo per mettere un punto – o forse un punto e virgola – alla questione mediorientale sia quello di attaccare l’Iran.
Questo perché, a differenza che per le campagne in Afghanistan e in Iraq, questa volta l’America, antitutto, non dovrebbe concordare alcunché con nessuno, nel senso che si tratterebbe di un’azione unilaterale. Anche se con qualche appoggio – più o meno sotterraneo – britannico e israeliano, fondamentalmente si avrebbe un attacco unilaterale americano, e non c’è quindi bisogno di mediare con nessuno: l’America decide da sé.
In secondo luogo l’America non dovrebbe mettere gli stivali per terra, il che non vuol dire che, eventualmente, non ci sarebbero operazioni di terra – ci saranno – ma che esse non sarebbero strategiche e non mirerebbero alla conquista e ancor meno al controllo di pezzi di territorio iraniano.
In terzo luogo l’America – o almeno quella sua parte che pensa possibile e, anzi, necessaria, una guerra all’Iran per chiudere la partita mediorientale – è convinta che la vittoria sia assicurata, che dopo qualche settimana di bombardamenti aeronavali, di operazioni di commandos, di distruzione non solo di tutti i siti nucleari, ma anche di tutte le infrastrutture militari iraniane e forse anche di qualcos’altro, l’America possa dichiarare – questa volta, sì – «missione compiuta» e passare all’ordine del giorno.
In questo momento, in questi mesi – e ancora per un certo periodo di tempo, immagino non lunghissimo – queste idee si stanno discutendo in America, nei luoghi deputati. Francamente non ho la possibilità, ovviamente, di stabilire se si affermerà questa visione o se, invece, se ne affermerà una più moderata, più disponibile al negoziato e, soprattutto, molto più restia ad ingaggiare ancora le forze armate americane che, anche dal punto di vista morale, oltre che dal punto di vista materiale, vivono il momento forse più basso della loro storia.
Si tratta comunque di un’ipotesi realistica con cui tutti dobbiamo fare i conti – certamente voi più di noi, ma anche noi italiani ed europei – e non di un’ipotesi astratta: si tratta di pianificazioni concrete, di ragionamenti con una propria logica interna, che a noi può non piacere, che possiamo trovare anzi repellente, ma che tuttavia esiste.
Riguardo a quali siano le possibili alternative e le possibili conseguenze, probabilmente io sono più interessato ad ascoltare voi di quanto voi siate interessati ad ascoltare me, ma provo a darvi qualche breve elemento analitico.
L’unica alternativa solida che vedo all’ipotesi che la partita sul nucleare iraniano finisca prima o poi in guerra è quello di un negoziato diretto e complessivo tra Stati Uniti ed Iran. Non un negoziato sui singoli dossier, quindi, come per esempio sull’Iraq o sull’Afghanistan; e non un negoziato tra partner che, alla fine, non possono scambiarsi nulla di decisivo, come noi europei e l’Iran, ma tra i due nemici o competitori, ossia tra l’Iran e gli Stati Uniti.
Evidentemente questo richiede una doppia disponibilità, da parte americana e da parte iraniana, a mettere tutto sul tavolo e a dirsi in faccia quello che si vuole dall’altro.
Noi sappiamo che, anche negli anni più duri del confronto tra Iran e America, dei canali riservati si sono mantenuti e che sopra e sotto il tavolo sono passate alcune idee, anche se francamente – ma voi ne sapete più di me – mi pare che recentemente molti di questi canali si siano inariditi. La possibilità di un negoziato complessivo fra Stati Uniti ed Iran – in cui, evidentemente, i russi, gli europei ed altri possono avere un ruolo, ma non certamente decisivo – è comunque ancora sul tavolo, perché effettivamente è l’unica alternativa ad uno scontro.
È del tutto evidente, anche se l’America intende chiudere la partita mediorientale, non la può lasciare allo stato attuale. Questo è il punto di partenza e forse anche il punto di arrivo di qualsiasi approccio americano: paradossalmente, ma non troppo, gli Stati Uniti hanno posto le condizioni di un’egemonia iraniana nella regione, liquidando prima i Taliban in Afghanistan e poi Saddam Hussein in Iraq. Ciò ha determinato un vuoto di potere e il caos, nella regione che va dal Golfo Persico all’Hindukush, e ha riscritto completamente l’equazione di potenza nella regione mediorientale, in termini sfavorevoli agli americani.
La premessa, dal punto di vista americano, è che questo ordine non debba essere mantenuto. Per questo bisogna punire l’Iran: per impedire che consolidi una posizione da grande potenza regionale. Evidentemente l’America non può nemmeno immaginare di ritirarsi completamente dalla regione, per varie ragioni, tra cui anche, ma non esclusivamente, quelle di carattere energetico. Ciò comporterà, per i prossimi anni o decenni, una certa presenza militare in Iraq, quale che sia l’assetto futuro di quel che resta di questo Paese.
Non a caso in Iraq l’attenzione americana si è concentrata, negli ultimi mesi, sulla provincia dell’Al Anbar che, come sappiamo, è quella che possiede le principali risorse strategico-petrolifere ancora non sfruttate che potrebbero fare dell’Iraq un produttore petrolifero pari, se non addirittura superiore, all’Arabia Saudita. È evidente che le riserve petrolifere dell’Al Anbar sono assolutamente strategiche in una fase come questa in cui ci si interroga sulla disponibilità di idrocarburi per il nostro sviluppo. Queste sono le premesse, se non il punto di arrivo.
In questo contesto – verrò poi rapidamente a noi – l’America sta costruendo un fronte, in campo arabo-sunnita, destinato a sostenere la sua idea di «vittoria» in Medio Oriente in chiave anti-iraniana ed anti-sciita. La stessa vicenda palestinese, secondo me, è da leggere in questa chiave: le pressioni israeliane su Israele, in queste settimane, affinché produca un qualche compromesso che possa evitare il fallimento della Conferenza di Washington, non derivano da un qualche interesse specifico americano alla nascita di uno Stato palestinese, ma derivano dalla necessità, per gli americani, di dare al fronte arabo-sunnita qualcosa sulla Palestina, in modo da calmare le rispettive opinioni pubbliche in caso di attacco all’Iran. Né di più, né di meno.
Concludo su di noi. Ho l’impressione, ma posso sbagliarmi, che in caso di attacco americano all’Iran, la reazione dei Governi europei, come anche della maggior parte dei Governi mediorientali, in particolare dei Governi arabo-sunniti, non sarà particolarmente negativa, al di là della retorica, della propaganda e delle formule.
Si è creata, a livello di élite, un’immagine molto negativa dell’Iran, rappresentata come una potenza aggressiva e minacciosa per il resto del mondo e in particolare per i nostri interessi in Medio Oriente. Questa immagine, quantomeno a livello di élite politiche, può avere una certa influenza sull’atteggiamento che i Governi dei vari Paesi assumerebbero in caso di guerra o nel momento in cui la crisi, in un modo o in un altro, arrivasse ad un punto di svolta.
Nella stessa Europa, Paesi certamente non smodatamente filoamericani – mi riferisco in particolare ai Governi, ma non solo – vedono nell’inasprimento delle sanzioni un passo inevitabile da compiere e sanno bene, perché ce lo insegna la storia, che le sanzioni o non servono a niente, o servono a fare la guerra. Non siamo stupidi e sappiamo che le sanzioni hanno in genere questo doppio sbocco: chi appoggia le sanzioni è consapevole del fatto che, specialmente da parte di questa Amministrazione americana, esse sono intese anche come ultimo passo prima di una decisione finale, in una direzione o nell’altra.
Direi che il nostro Paese, l’Italia, è fra i pochissimi Paesi europei che, in caso di precipitazione della crisi, cercherebbero di mantenere una posizione critica ed avversa all’ipotesi di una vera e propria guerra contro l’Iran. Mi pare che, almeno fino ad oggi, questa sia stata la posizione italiana: non credo possa mutare nel giro dei prossimi mesi. Ho anche l’impressione, però – ma spero di sbagliarmi – che questa sia una posizione minoritaria nell’ambito dell’Unione Europea. Penso alle scelte non solo della Francia – che, soprattutto per impedire un asse tedesco-americano, sta evidentemente pencolando verso Bush – ma persino di Governi non ideologicamente filo-americani (come quello spagnolo) che, secondo me, hanno una posizione più dura della nostra rispetto alla questione iraniana. Ovviamente non parlo della Gran Bretagna e nemmeno della Germania.
Chiudo ora sulla Russia. Noi sappiamo che i russi conducono da tempo un gioco molto ambiguo nei vostri confronti e direi che la gestione-non gestione di Bushehr è emblematica di questa ambiguità. Credo anche che i russi siano ben consapevoli che, per noi europei, il gas iraniano è l’unica vera alternativa strategica, in prospettiva, rispetto a quello russo. Facendo due più due, arrivo quindi alla conclusione che nemmeno i russi si strapperebbero i capelli, in caso di attacco americano. Anzitutto perché evidentemente i prezzi del petrolio, per un tempo indeterminato, schizzerebbero ben oltre i 100 dollari a barile, il che sarebbe una manna per un grande produttore come la Russia; e in secondo luogo perché pensano che, in questo modo, per un certo periodo di anni, si toglierebbe di mezzo l’ipotesi di un’alternativa gassifera iraniana alla Russia.
Credo di non aver dipinto un quadro particolarmente brillante, né ottimista, ma credo sia giusto cercare di dirsi fra noi come stanno le cose, anche perché avete fatto un lungo viaggio dall’Iran e credo che non abbiate voglia di perdere il vostro tempo. Naturalmente io ho cercato di offrirvi un punto di vista esterno, ma voi avete tutti gli elementi per giudicare la situazione dall’Iran. Quello che trovo abbastanza importante è che si discuta apertamente di questa crisi, che ci si confronti su come risolverla in modo pacifico e che si abbia comunque sempre consapevolezza dei termini abbastanza drammatici di questa partita. Grazie.
LUCIANO VIOLANTE, Presidente della Commissione affari costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni. Ringrazio molto il direttore Caracciolo, che ha svolto una relazione preoccupante – devo dire – e molto interessante sulla situazione. A questo punto darei la parola al collega di parte iraniana, onorevole Mohsen Kuhkan, per sentire la sua opinione su questa relazione e, in generale, le sue valutazioni sulla situazione mediorientale. Prima di dare la parola all’onorevole Falomi, mi permetterò poi di chiedere all’ambasciatore Toscano se vuole intervenire.
MOHSEN KUHKAN, Onorevole, rappresentante Iran. In nome di Dio ringrazio il signor Caracciolo, che ho ascoltato con grande interesse. Egli ha accennato alla necessità di essere realisti, il che è una cosa giustissima. Ciò che è veramente importante è fare una valutazione corretta del passato: prendere delle decisioni senza tenere in considerazione il passato ci farebbe fuorviare dalla realtà.
Il signor Caracciolo ci ha dato dei pareri importanti ed anche le informazioni che noi possediamo sono sulla stessa linea. Accennerò ad alcuni punti e vi prego di ascoltarmi.
Lei ha detto che gli americani vorrebbero imporre la loro posizione anche ai propri amici europei e che gli Stati Uniti hanno intenzione di restare. Credo di aver capito bene, ma forse dopo chiederò ulteriori spiegazioni.
Vorrei dirle chiaramente e molto direttamente che noi sappiamo, dai responsabili del nostro Paese, che esiste questa visione della Repubblica islamica. In realtà noi non abbiamo desiderio di aggredire altri Paesi e rispettiamo le regole internazionali. La nostra Repubblica islamica si basa sui regolamenti e noi siamo responsabili di fare rispettare le regole e le leggi. Siccome è stato più volte affermato e ribadito il contrario, desidero invece affermare con forza che non vogliamo aggredire alcun Paese. Se qualcuno ha accennato in passato a questo, ha sbagliato: noi non vogliamo ampliarci, voglio davvero confermarlo e ribadirlo. Noi non abbiamo nessun interesse ad aggredire altri Paesi, non è nella nostra mente.
Il punto è però la difesa: non vogliamo aggredire, ma allo stesso tempo abbiamo l’esigenza di difenderci e dobbiamo farlo. Vorrei farvi ripensare al periodo in cui Saddam ci ha aggredito con dodici eserciti e disponendo di difese da tutti i punti di vista, proprio nel momento in cui in Iran era stato appena abolito il regime dittatoriale, non c’era un esercito realmente stabile e i gruppi terroristici all’interno avevano il pieno potere, forse nel momento più difficile e più negativo, quindi, ossia nei primi mesi dopo la vittoria della Repubblica islamica. Ebbene, nei primi giorni abbiamo solamente difeso i nostri territori, a conferma della nostra visione, cui vi ho già accennato. Dopo alcuni anni di resistenza, avete visto a che punto siamo arrivati. Gli eserciti che hanno aggredito noi, dopo tanto tempo, hanno aggredito anche il Kuwait e ne hanno occupato il territorio.
La nostra visione è invece sempre stata quella della difesa, nei tanti anni in cui abbiamo avuto questi nemici, che hanno ucciso il nostro popolo e il nostro esercito. Con questa guerra l’Iraq ha causato danni all’Iran per un ammontare di 1.000 miliardi di dollari. Ebbene, noi potevamo approfittare di quel che ci è successo, ma non l’abbiamo fatto. Voi sapete anche che in quel momento l’Iran era veramente isolato, e accusava l’Iraq e Saddam.
Lei ha detto che gli americani hanno tolto di mezzo i talebani, ma io vorrei sottolineare che gli americani hanno creato i talebani: dietro le quinte, gli americani si sono accordati con i ricchi e i potenti che stavano dentro Al Qaeda e, con l’aiuto di alcuni Paesi, hanno governato in Afghanistan. Noi non abbiamo mai riconosciuto i talebani e non abbiamo mai pensato di accordarci, né di avere relazioni con loro. Voglio dunque sottolineare, in primo luogo, che noi non siamo assolutamente degli aggressori e, in secondo luogo, che noi siamo per la nostra difesa.
Se gli americani intendono aggredirci, se pensano di fare da noi quello che hanno fatto in Afghanistan, possono solo sognarselo, perché noi ci difenderemo. Noi abbiamo degli esperti e degli eserciti preparati: non pensino quindi di fare con noi quello che hanno fatto in Afghanistan, perché noi ci difenderemo.
Per quanto riguarda i delitti perpetrati dagli aggressori americani, la nostra strategia è la seguente: se loro ci infliggono un colpo, la Repubblica islamica infliggerà due colpi. Ve lo dico con grande sicurezza: se noi subiremo un colpo, loro ne subiranno due. Comunque sia, noi non vogliamo espanderci, né vogliamo aggredire i diritti degli altri, ma se ci sarà un’aggressione nei nostri confronti, noi ci difenderemo con tutte le forze.
Soprattutto noi diciamo che abbiamo un’arma al cui confronto l’arma atomica non è nulla. Nei trentatré giorni della guerra nel Libano, questo Paese si è potuto difendere dal regime sionista. Hezbollah è un gruppo militare che il Libano ha accettato all’interno del proprio Governo e che difende le forze interne.
Noi siamo contro la guerra, non la desideriamo e operiamo affinché non ci sia, affinché non ci siano dei danni alle persone, alla nostra popolazione.
Come lei ha accennato, la loro scusa adesso è l’energia atomica. Tutte le nostre porte sono aperte e vogliamo assolutamente evitare che la scusa dell’energia atomica – l’unica scusa che loro hanno – ricada su di noi. Tra gli esperti, il signor Al Baradei, che ha fatto molteplici viaggi in Iran, ha dichiarato che noi non abbiamo alcun programma per approfittare di questa tecnologia per fare delle aggressioni.
Lei ha giustamente detto che – naturalmente io la lodo molto per la sua sintesi e per il suo punto di vista – c’è l’intenzione di diffondere un’immagine negativa dell’Iran.
Come lei ha detto, gli iraniani hanno invitato molte volte i Paesi europei, e soprattutto i Paesi amici come l’Italia. Noi siamo aperti: lo abbiamo detto tante volte e lo ribadiamo anche ora. L’ultima volta abbiamo dichiarato tutto questo al signor Solana, per chiarire, e gli abbiamo chiesto che cosa vi preoccupi. Egli ha risposto che c’è la preoccupazione per la costruzione dell’energia atomica.
Noi abbiamo invitato voi europei, voi italiani, a venire da noi, ad investire insieme a noi, non come i russi, che ci hanno proposto di dar loro i nostri soldi, con cui loro avrebbero lavorato per poi darci l’energia, come lei ha detto, accennando a Bushehr. Se c’è un punto su cui ci siamo espressi chiaramente è che noi non vogliamo la protezione della Russia. Noi sappiamo chiaramente quello che vogliamo fare.
Una delle proposte che devono essere chiarite è che noi siamo pronti – in tutti i campi dove abbiamo investito sull’energia – a far partecipare voi europei, e l’Italia, che per me è il nostro più grande amico. Se un giorno l’Italia e il Governo italiano si dichiarassero pronti ad investire insieme all’Iran su questa energia, siate sicuri che quel giorno il Governo e il Parlamento italiani sarebbero accolti il più positivamente possibile. Cos’altro potremmo fare, oltre ad invitarvi a venite a dirigerci? Questo significa invitarvi a venire a decidere, a vedere quello che stiamo facendo.
Questa preoccupazione può allora essere eliminata e quindi, se non ci sono altri problemi, credetemi, quella dell’energia è una scusa che stanno creando loro, che sono contrari a questa cosa, che voi e noi conosciamo benissimo. Noi siamo fermi.
Questa è l’indipendenza che stiamo creando, l’indipendenza del nostro Paese. Noi abbiamo ottimi rapporti di amicizia, soprattutto con i Paesi europei.
L’ultimo punto che vorrei ribadire concerne i rapporti che oggi esistono nei confronti degli americani. Lei l’ha accennato, si tratta di colloqui aperti, non soltanto sull’Afghanistan e sull’Iraq. Ebbene, vorrei soffermarmi sulle condizioni necessarie per realizzare questi colloqui. In primo luogo, questi dovrebbero avvenire a Roma, per esempio. Noi non vogliamo porre condizioni, né loro devono metterne, perché è inutile parlare di posizioni superiori e inferiori.
Veniamo ai nostri punti chiave: abbiamo mostrato di essere indipendenti, dal punto di vista politico e, in un eventuale faccia a faccia, non entreremmo in queste questioni. Se il nostro Presidente della Repubblica ha accettato di parlare con il signor Bush – è la stessa cosa cui accennava lei – perché dovrebbe parlare di Afghanistan ed Iraq? Loro vorrebbero esporre il loro punto di vista. Noi volevamo far vedere che vogliamo guardare positivamente i diritti dell’uomo.
Come è stato accennato anche ieri, per quanto riguarda la tutela dal traffico della droga, noi difendiamo tutti, non importa che si tratti di un iraniano, un tedesco, un europeo: per noi la responsabilità è la stessa. Noi stiamo agendo fermamente e con tutta la nostra forza contro tale traffico di droga: per noi è uguale che si tratti di un europeo o di un iraniano. Fino ad oggi abbiamo perso più di 3000 unità di polizia per la difesa dei territori, laddove, se avessimo voluto, concedendo il transito della droga, avremmo invece potuto avere moltissimi proventi di denaro. Quando il nostro Governo islamico li ha arrestati e sono stati accusati, hanno detto che noi stavamo facendo questo al fine di esercitare pressioni politiche, per obbligare i vostri Governi a mettersi al tavolo dei negoziati. In Iran non diamo nemmeno il permesso di transito.
Voi siete informati anche sulla situazione dell’Afghanistan e avete sentito le affermazioni del signor Karzai, il Presidente del Parlamento afghano, che è venuto in Iran e ha detto che, tra i Paesi vicini, il Governo e il popolo dell’Iran hanno collaborato con loro. Due milioni di afghani – che sono i più poveri tra i lavoratori – sono in Iran e stanno lavorando per far fronte alle difficoltà economiche delle loro famiglie. Noi abbiamo aiutato gli afghani. Anche gli amici italiani hanno fatto riferimento, proprio nella sessione di ieri, alla nostra collaborazione. Lo ha fatto anche il signor ambasciatore qui presente, che ha già visto la situazione. Per noi la vita di un individuo è importantissima. La domanda è: per voi, Paesi occupanti, chi è responsabile per la vita di un individuo?
Fino a quando non c’era un Governo legale in Afghanistan, non se ne poteva parlare, ma adesso che c’è questo Governo, così come in Iraq, per noi è importante la tutela della vita degli individui, di chiunque: per noi è importante che si difenda la vita. Noi difendiamo la vita degli individui. Se anche vi sono delle sessioni con gli americani in Iraq, noi abbiamo sempre guardato alla tutela della vita dell’individuo.
Va bene, Saddam non c’è più ma, secondo le informazioni che voi e noi abbiamo, si verificano ancora degli attentati. È vero che Saddam non c’è più, ma stanno ancora seguendo il suo pensiero. Non si devono eliminare le persone: noi crediamo che se si elimina il pensiero di Saddam e di Al Qaeda, dei talebani, e non lo si lascia sviluppare, il Medio Oriente vivrà una situazione migliore.
La ringrazio per la sua relazione, che apprezzo profondamente. La nostra speranza è sempre che gli americani agiscano con una visione più intelligente, ma sappiamo anche che essi possono cominciare ad aggredirci. In quel caso, devo dire che vi sarà un danno per tutti quanti. Già adesso c’è questo embargo, da cui loro si aspettano – lo so benissimo – un lungo periodo di danni per noi. Noi abbiamo però dei partner, che naturalmente subiranno a loro volta tale danno economico. In ogni caso cercheremo di far entrare le nostre importazioni in altri modi.
Per noi è importante la vostra visione europea, che apprezziamo: vorremmo avere una cooperazione con voi, che so agite indipendentemente dal pensiero americano. Sono felice di aver avuto oggi questa occasione di parlare. Mi scuso se mi sono dilungato troppo.
LUCIANO VIOLANTE, Presidente della Commissione affari costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni. La ringrazio molto. Il suo intervento è stato molto interessante. Prima di dare la parola all’onorevole Falomi, chiedo adesso all’ambasciatore Toscano di intervenire.
ROBERTO TOSCANO, Ambasciatore italiano in Iran. La ringrazio Presidente, sarò molto breve, perché sono qui in qualità di ospite e non voglio togliere spazio al giusto protagonismo dei partecipanti.
Per prima cosa, vorrei dire che dobbiamo essere molto grati a Lucio Caracciolo per avere impostato con tanta chiarezza i termini della questione; conoscendolo, sappiamo che il suo contributo – in termini di lucidità e realismo – è essenziale per poi avviare un dibattito. Non solo dovremmo essergli grati, ma dovremmo anche seguire il suo consiglio ed impostare questa discussione, non tanto sulle rispettive posizioni, che più o meno conosciamo, quanto su come meglio cercare di evitare il peggio, se mi permettete il gioco di parole. Come è apparso chiaro dalla sua esposizione, infatti, il peggio è possibile e tale peggio porterebbe danni a tutti, come è stato detto dall’onorevole Kuhkan.
Se questo è vero, la prima cosa che dobbiamo fare è cercare di non sottovalutare il pericolo. La mia impressione è che oggi anche a Teheran – forse con un po’ di ritardo – si sia arrivati a capire che il pericolo c’è. La seconda cosa, il secondo consiglio che si potrebbe formulare, è di impostare correttamente il metodo per affrontare la questione.
Certo possiamo parlare di princìpi, possiamo parlare di diritti, possiamo parlare anche di storia, ma a volte la storia – se è vissuta non come storia, ma come memoria – non contribuisce alla soluzione dei problemi, bensì li complica. È vero, infatti, che a Teheran si parla molto del colpo di Stato contro Mossadegh del 1953 e della guerra 1980-1988, quando effettivamente l’Iran, di fronte ad una chiarissima aggressione, è stato abbandonato praticamente da tutti. A Washington si sentono invece nominare il 1979 ed i 440 giorni di prigionia degli ostaggi nell’ambasciata americana. Questa storia non ci aiuta.
Il problema è questo, quindi: dobbiamo parlare di diritti oppure possiamo formulare la questione domandandoci che cosa risponda oggi al vostro interesse nazionale?
Credo che oggi sia nell’interesse nazionale dell’Iran non tanto presentare una deterrenza – è ovviamente normale dire cosa succederebbe se veniste attaccati: lo fanno tutti ed è legittimo che lo facciate anche voi iraniani – quanto piuttosto decidere che cosa, sul piano politico e diplomatico, potrebbe scongiurare l’ipotesi di un attacco, nell’interesse di tutti.
Direi che da un punto di vista empirico bisognerebbe anche fare il conto degli alleati e dei non alleati. Credo che a Teheran, su questo, si dovrebbe ricavare un indicazione preoccupante, perché non è aumentando il numero dei nemici che aumenta l’onore, se posso permettermi di fare un riferimento che noi conosciamo. In questo momento l’Iran, con l’opportuna politica, dovrebbe cercare di aumentare il numero degli amici.
Infine, occorre che, una volta che si sia deciso che cosa è meglio fare, lo si faccia in fretta. In questo vedo un problema molto serio, perché sono molto consapevole del fatto che il dibattito politico a Teheran è profondo e reale, anche su questi temi: stanno crescendo delle proposte di negoziato e forse anche di compromesso, che non sono però ancora emerse. Il problema è, però, se questa evoluzione politica avverrà in tempo, perché dall’altra parte notiamo segni di impazienza. Sarebbe tragico se le decisioni giuste venissero prese nei tempi sbagliati. Agli amici iraniani diciamo quindi di decidere, di riflettere sulla base dell’interesse nazionale, ma di fare in fretta, perché i prossimi mesi saranno molto pericolosi. In questo sono molto d’accordo con l’amico Lucio Caracciolo.
LUCIANO VIOLANTE, Presidente della Commissione affari costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni. La ringrazio, ambasciatore Toscano. Do ora la parola all’onorevole Falomi.
ANTONELLO FALOMI, Onorevole, rappresentante Italia. Grazie, presidente. Credo che Lucio Caracciolo ci abbia descritto con brutale chiarezza il possibile esito del confronto in atto negli Stati Uniti sul futuro del Medio Oriente. È uno scenario drammatico, ma io ritengo che non sia uno scenario inevitabile.
Il ruolo della politica deve essere giocato fino in fondo e, in questo quadro, lo stesso deve accadere per il ruolo dell’Europa, nonostante la sua debolezza e la sua difficoltà ad affrontare questi temi.
Certo, noi sappiamo che il contesto entro cui oggi si pone il tema del ruolo dell’Unione Europea nei confronti della situazione del Medio Oriente si presenta al tempo stesso molto complicato e con delle potenzialità positive. Ovviamente, le complicazioni sorgono dall’intrecciarsi di due processi che coinvolgono l’Europa, da un lato, e il Medio Oriente, dall’altro.
Da un lato, nell’ambito del processo di allargamento dell’Unione Europea, l’ingresso di nuovi Paesi ha reso più acuto il contrasto – tradizionale, nella politica estera europea – tra quanti auspicano una maggiore autonomia dagli Stati Uniti, pur nel quadro di forti relazioni transatlantiche, e quanti invece ritengono necessaria la piena e preventiva condivisione, da parte americana, di qualsiasi iniziativa europea.
Il secondo elemento di difficoltà sta nel complicarsi dell’agenda politica mediorientale: accanto ai vecchi capitoli, ve ne sono di nuovi (l’Afghanistan, l’Iraq, il Libano, l’Iran, il conflitto interno ai palestinesi) che rendono ancora più aggrovigliata la matassa. È del tutto evidente che questa nuova complessità si può fronteggiare, a mio avviso, solo con un salto di qualità del ruolo esercitato dall’Unione Europea nella situazione mediorientale. I vecchi strumenti di intervento, a mio avviso, non appaiono sufficienti per fronteggiare la situazione.
In passato l’Europa ha certamente svolto un ruolo importante nel far maturare nella comunità internazionale posizioni che hanno costituito – e costituiscono tuttora – un pilastro importante di un processo capace di porre fine all’era dei conflitti e della guerra in Medio Oriente. Mi riferisco, ad esempio, alla posizione «Due popoli, due Stati» – favorevole al diritto palestinese all’autodeterminazione e al diritto di Israele all’esistenza – che venne anticipata sin dal 1980, con la Dichiarazione di Venezia.
Altri piccoli passi sono stati compiuti con l’ingresso dell’Unione Europea nel quartetto, con la nomina di un rappresentante speciale dell’Unione europea per il Medio Oriente, con l’avvio della politica di vicinato e con la presenza a Gaza – credo sia l’unico caso di presenza internazionale – di una missione di monitoraggio, sul confine egiziano a Rafah. Un’iniziativa nuova e positiva in Medio Oriente, a mio avviso, è stato il ruolo assunto dall’Unione Europea nella presenza di una missione militare di interposizione lungo la frontiera israelo-libanese, che ha consentito la cessazione della guerra tra i due Paesi.
L’impasse in cui si trova oggi la situazione politica libanese certifica tuttavia l’insufficienza di una presenza militare di interposizione, in assenza di una nuova strategia complessiva dell’Unione europea in Medio Oriente. È intanto necessario che maturi su scala europea – il che non è ancora accaduto – la consapevolezza che la questione mediorientale deve costituire il principale progetto della politica estera europea. L’Europa deve, cioè, considerare il Medio Oriente come il suo nuovo e più importante vicino, perché la sua dipendenza energetica dal Medio Oriente è forte, perché sul territorio europeo vivono 20 milioni di musulmani (e i nuovi flussi migratori faranno crescere ulteriormente questa presenza), perché il terrorismo fondamentalista islamico sta estendendo la sua presenza e la sua capacità di minaccia nei confronti dell’Europa, ma soprattutto perché, nonostante il quadro della situazione mediorientale sia più complicato, il momento attuale può essere più favorevole – non è detto che lo sia – ad un rafforzamento significativo del ruolo dell’Unione Europea in Medio Oriente.
La strategia unipolare e unilaterale dell’amministrazione Bush sta vivendo una crisi profonda: lo diceva anche Caracciolo, che ha parlato di fallimento di quella linea. Tale fallimento è sotto gli occhi di tutti. La strategia della guerra ha seminato soltanto lutti e rovine, senza risolvere alcun problema ed ha reso ancora più difficile la loro situazione. È del tutto evidente che l’opzione militare non è un’opzione; a mio avviso, la consapevolezza di questo è cresciuta.
Occorre che l’Europa metta in campo una nuova strategia, basata innanzitutto su una nuova visione di se stessa; essa non deve continuare ad essere una fortezza continentale, ma deve anzi diventare un’Europa aperta verso l’esterno e proiettata, a sud, verso il mediterraneo e il Medio Oriente. L’Europa deve cioè essere capace di dotarsi di una strategia comune per il Medio Oriente e di affrontare i diversi conflitti che lo scuotono in una logica regionale più ampia; occorre che si definisca un assetto di sicurezza dell’intera regione, che va costruito e gestito coinvolgendo i principali attori internazionali, insieme agli attori locali.
Qui si colloca, a mio parere, il tema del nucleare dell’Iran. Dobbiamo scongiurare che si riveda lo stesso film già visto per l’Iraq, magari con qualche variante; penso al film che prevede la denuncia della presenza di armi di distruzione di massa, l’avvio delle attività di ispezione (ai cui risultati non si dà però poi retta), l’intervento armato fuori da ogni regola di legalità internazionale e l’esautoramento del Consiglio di sicurezza dell’ONU. Penso che, se prevalesse l’opzione bellica, tutte le crisi in atto nel Medio Oriente esploderebbero in modo devastante, non solo per l’intera regione, ma per la stessa sicurezza dell’Europa.
Solo la strada del negoziato può superare la contraddizione tra il rifiuto di un Iran dotato di capacità militare nucleare e il rifiuto, dopo la sanguinosa e disastrosa esperienza irachena, di un nuovo conflitto armato contro l’Iran. Nel corso di questo negoziato le carte devono essere messe in tavola con franchezza: il diritto al nucleare civile, il riconoscimento del ruolo di potenza regionale, nessuna azione da parte dell’Occidente per far cambiare il regime interno all’Iran. Su questi temi l’Europa e l’Occidente devono offrire chiare rassicurazioni, se si vuole intavolare una trattativa. In cambio l’Iran deve rinunciare ad ogni idea di nucleare militare, offrendo precise garanzie.
È importante che in loco, come suggerisce Al Baradei, vi sia una rete di controllori. Questo è possibile nella misura in cui si sviluppi e si consolidi un clima di dialogo e i canali del negoziato rimangono aperti. Completare il piano di lavoro messo a punto da Al Baradei sarebbe un significativo progresso.
Vengo ora alla questione delle sanzioni o delle nuove sanzioni. La domanda è se le minacce di nuove sanzioni servano per sostenere il negoziato. Io non sono convinto che esse porterebbero a risultati efficaci e rimane comunque essenziale che, in questa materia, il Consiglio di sicurezza dell’ONU rimanga l’unico titolato a prendere decisioni. L’alternativa alla guerra sta nel tenere aperti i canali del negoziato sulla questione del nucleare iraniano. Il modello negoziale – sostenuto da Al Baradei – della doppia sospensione, in contemporanea, da un lato, delle sanzioni e, dall’altro, dell’arricchimento dell’uranio, può rimanere un importante punto di riferimento per dare tempo ai negoziati di svilupparsi.
Tali negoziati sarebbero certamente più efficaci se si sviluppassero in un quadro di iniziative tese a liberare l’intero Medio Oriente dalle armi di distruzione di massa.
L’Iran deve sapere che, se vuole dotarsi di armi nucleari, l’intera regione mediorientale sarebbe investita da un processo di proliferazione della capacità nucleare: agli attori nucleari esistenti nell’area se ne aggiungerebbero degli altri. Non è così irrealistico. Non a caso si parla del pericolo che un’atomica sunnita possa essere contrapposta all’atomica sciita. Si tratterebbe di scenari devastanti.
L’Europa non può, di fronte alla complessità dei problemi, rassegnarsi al peggio, ossia alla fine di ogni prospettiva di pace in Medio Oriente, nonché alla fine di ogni prospettiva di sviluppo economico dell’Europa, di cui è nota la fragilità in materia energetica.
Credo quindi sia importante che in questa fase l’Europa riprenda una capacità di iniziativa. Sappiamo delle divisioni che attraversano l’Europa, ma credo che l’Italia, per quello che può, debba fare ogni sforzo perché i canali del negoziato rimangano aperti e perché venga scongiurata l’idea di una nuova opzione militare in Medio Oriente. Grazie.
LUCIANO VIOLANTE, Presidente della Commissione affari costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni. La ringrazio molto, onorevole Falomi. Mi sembra che anche dal suo intervento emerga l’utilità di un dialogo parlamentare proprio su questa materia.
Vi è la possibilità, per gli altri colleghi, di intervenire. Do la parola a Mohsen Kuhkan.
MOHSEN KUHKAN, Onorevole, rappresentante Iran. Noi siamo felici del punto di vista dell’ambasciatore Toscano, il quale ritiene necessario che noi iraniani agiamo, in qualche modo, sebbene nemmeno noi sappiamo quali iniziative intraprendere. Altri amici ritengono che ogni cosa vada fatta secondo le leggi e i regolamenti: l’Agenzia dovrebbe eseguire i propri compiti e gli altri Paesi europei amici – e l’Italia in particolare – dovrebbero dirci cosa dobbiamo fare.
A mio avviso la prima cosa da fare è avere colloqui aperti e rapporti chiari. Gli europei hanno un interesse verso i problemi del Medio Oriente – come sosteneva, molto giustamente, l’onorevole Falomi – e anch’essi sarebbero danneggiati, se succedesse qualcosa di peggiore.
Gli americani e gli inglesi pensavano di eliminare con i bombardamenti i talebani che hanno governato tanti anni in Afghanistan e, per esempio, hanno bloccato tutti col problema della droga.
Questa preoccupazione costante non ci aiuta: bisogna affrontare giustamente i fatti e, in primo luogo, avere delle informazioni corrette. Onorevole Falomi, nel Medio Oriente non si parla di energia sunnita o sciita.
Adesso c’è il problema del regime sionista, che ha l’atomica. I sunniti non hanno parlato di questo. Purtroppo tutto quello che voi sapete dalle informazioni che sono pervenute in Europa non è corretto. Ribadisco che noi siamo pronti, dove fosse possibile, ad eliminare le minacce atomiche. Ci rendiamo disponibili a questo perché – come ho detto mille volte – crediamo sia importante la difesa della vita di un giovane, di qualunque Paese egli sia. Per questo non abbiamo mai accettato e non accetteremo mai che il flusso della droga attraversi i nostri Paesi: denunceremo anzi sempre questo problema.
Anche se tutto il mondo avrà l’energia atomica, noi non l’avremo mai, perché è contro la nostra ideologia. Secondo la nostra religione, noi siamo addirittura contro i dirottamenti aerei. Non abbiamo mai dirottato aerei, proprio per questa ragione. Siamo contrari a tutte queste azioni e non abbiamo mai permesso ad alcun dirottatore di portare un aereo nel nostro Paese.
L’ambasciatore ha parlato della storia. Certo, dobbiamo tornare alla storia e guardare agli elementi positivi, trascurando i problemi. Dobbiamo imparare dalle cose positive della nostra storia: dobbiamo guardarla e non possiamo dimenticarla. È chiaro che non possiamo avere una visione per cliché della storia passata, per poi creare una storia futura con gli stessi cliché del passato, però dobbiamo imparare da essa e tenerla presente.
Noi siamo aperti a parlare, a discutere, a partecipare ai colloqui e non vogliamo assolutamente farvi preoccupare. Non c’è motivo di preoccuparsi. Vi stiamo infatti facendo vedere che siamo pronti e che non vogliamo vi preoccupiate.
LUCIANO VIOLANTE, Presidente della Commissione affari costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni. La ringrazio. Do la parola all’onorevole Venier.
IACOPO VENIER, Onorevole, rappresentante Italia. Mi scuso per essere arrivato un po’ in ritardo, ma Roma – o almeno la strada che ho percorso – era bloccata. Anche questo è frutto di un dispendio energetico superiore al necessario, nelle nostre società.
Ha fatto bene l’ambasciatore Toscano a richiamarci ad un sano realismo, perché ci sono due modi per affrontare le questioni riguardanti il Medio Oriente: o attraverso una discussione basata sul diritto e sui princìpi, oppure attraverso una discussione basata sugli interessi e sulle strategie future.
Se dovessimo parlare di princìpi, credo che il primo principio a cui richiamarci è quello della legalità internazionale, sistematicamente violata in tutta l’area mediorientale, senza grandi reazioni. Non sto parlando solo delle violazioni fondamentali legate alla nascita dello Stato di Palestina – e quindi alla questione delle questioni, per la risoluzione delle vicende mediorientali – ma addirittura delle umiliazioni che hanno subito le Nazioni Unite con la guerra in Iraq e in Afghanistan, che sono state altrettanti colpi mortali all’idea di una politica basata sui princìpi.
Siccome il tema di oggi non era solo la questione iraniana, vorrei dire due cose sulla questione palestinese, che io ritengo fondamentale. In merito, c’è stata una difficoltà di relazioni politiche con l’Iran, rispetto ad alcune affermazioni fatte del Presidente Ahmadinejad – che noi, anche politicamente, riteniamo inaccettabili – che, per polemica nei confronti delle azioni dello Stato di Israele, ha addirittura messo in discussione il dramma storico dell’olocausto. Noi, come Paese, come forze politiche italiane, ci attestiamo sulla posizione «Due popoli, due Stati», che è stata richiamata dall’onorevole Falomi.
Bisogna dire, però, che è importante riconoscere il fatto che la legittimità della presenza dello Stato di Israele è una legittimità storica, acquisita, indiscutibile: essa va tutelata e deriva da una risoluzione delle Nazioni Unite. Non possiamo dimenticarci il terreno dei princìpi e della legittimità. Quella legittimità deriva da una risoluzione che prevedeva la nascita non di uno, ma di due Stati: lo Stato di Israele e lo Stato di Palestina. Fino a quando non avremo risolto questo aspetto fondamentale connesso alla legittimità, questo sarà un problema anche per lo Stato di Israele, non solo per la questione mediorientale in generale.
Ritornare sul piano del diritto significa anche fare l’interesse dell’Europa. Qual è l’interesse materiale dell’Europa ad avere un Medio Oriente in queste condizioni, ambasciatore Toscano? Qual è l’interesse ad avere un progetto come quello americano del «Nuovo Medio Oriente», un progetto di distruzione e ricostruzione dell’intera area mediorientale sulla base dei problemi energetici degli Stati Uniti d’America e non dell’Europa? Qual è l’interesse del nostro Paese, in termini di sicurezza, a una politica statunitense in Medio Oriente che ha moltiplicato le infezioni terroristiche, gli estremismi, i fondamentalismi e, soprattutto, una avversione radicale a tutto ciò che è chiamato Occidente, che diventa fatto culturale e di senso comune in larghissime parti della popolazione, non solo nelle leadership politiche? Questo conta anche dal punto di vista dello sviluppo delle relazioni commerciali, dell’intrecciarsi degli interessi materiali ed anche economici dei nostri Paesi.
Sto quindi affrontando i problemi, non dal punto di vista dei princìpi o delle idealità, ma riferendomi a qual è il nostro compito in questa fase. Quando l’Italia, col suo Governo, viene nelle commissioni parlamentari a dire che la guerra contro l’Iran sarebbe una catastrofe e che noi dobbiamo sostenere le sanzioni perché siamo parte della Comunità europea (la quale ha preso questa decisione, di cui noi vediamo tutti i limiti, consapevoli che non rappresenta la soluzione del problema), noi ci riconosciamo in questa politica, non solo dal punto di vista del principio, ma anche dal punto di vista dell’interesse.
Vorrei allora dire che noi dobbiamo invece affrontare questa questione uscendo dalla rappresentazione caricaturale di una nuova crisi gestita nel solco delle crisi precedenti (jugoslava, irachena o afghana). Dobbiamo cioè smascherare e far emergere gli interessi fondamentali, anche per poter parlare con la nostra opinione pubblica e spiegare realisticamente quali sono le nostre posizioni. Il nostro punto di partenza deve essere il riconoscimento del diritto allo sviluppo dell’energia nucleare civile, noi che siamo un Paese che ha definitivamente abbandonato – i nostri colleghi iraniani devono saperlo – la tecnologia nucleare, anche se oggi è in corso un nuovo dibattito. Il problema dell’energia nucleare è anche quello della difficile divisione tra nucleare civile e nucleare militare, la quale fu una delle ragioni per cui il popolo italiano votò contro il proseguimento delle ricerche in questo campo.
Riconoscere questa legittimità significa anche riconoscere il ruolo dell’Iran nella regione e prendere atto del fatto che, in assenza di una stabilità iraniana, non è possibile affrontare e risolvere i disastri provocati in Medio Oriente dalle azioni statunitensi e di alcuni Paesi europei, compreso il nostro (per una fase che si è conclusa con questa legislatura).
Prima di concludere, vorrei fare un elenco delle questioni ancora aperte in Medio Oriente: abbiamo la questione palestinese (che è la questione delle questioni), la questione libanese, la questione del terrorismo (nel contrasto del quale bisogna ricordare che l’Iran è un partner fondamentale e che la destabilizzazione della statualità iraniana significherebbe una moltiplicazione per mille di un pericolo che oggi viene soprattutto da parte sunnita; anche questo è un dato reale: non dimentichiamo, infatti, che le organizzazioni come Al Qaeda o altre che hanno agito sul piano terroristico sono in gran parte organizzazioni sunnite), la questione irachena (compresa la situazione drammatica che si sta aprendo tra Turchia e Kurdistan, la zona nord dell’Iraq) e, infine, la questione afghana, che abbiamo affrontato ieri.
Ebbene, tutte queste questioni rendono necessaria una partnership con un Iran stabile. Noi non possiamo accettare – questo è un punto di interesse, non di principio – una distruzione della statualità iraniana, da cui deriverebbe una moltiplicazione per mille dei pericoli per l’Europa, sul piano economico, sul piano politico e sul piano della sicurezza.
Ognuno di noi può poi compiere le proprie considerazioni sul piano dei principi e della politica internazionale, che dovrebbe essere basata sulla pace, anche se purtroppo oggi è invece la guerra ad essere lo strumento fondamentale, a livello internazionale, per affrontare i temi che abbiamo di fronte.
Detto questo, ritengo anche che, sul piano della nostra interlocuzione, sia importante agire ciascuno al proprio livello. Noi siamo in una sede parlamentare, quindi abbiamo bisogno di un’interlocuzione di tipo politico.
Molte delle questioni che sono state qui poste hanno però una forte pregnanza di governo, per cui è importante che questo confronto ci porti a sollecitare anche il nostro Governo e porti poi le autorità preposte a tradurre in atti politici la necessità, che è qui stata evidenziata, di intensificare le relazioni tra i Governi stessi. Non basta dirci che siamo amici: bisogna anche verificare insieme come facciamo un percorso. Forse questo non è di competenza diretta di una sede parlamentare, però è importante che questa esigenza si sia manifestata. Ritengo molto utile questo tipo di riunioni che ci offrono un ulteriore canale di relazione, da affiancare a quelli esistenti, nella chiarezza delle responsabilità.
Vorremmo poter realizzare ciò che ci viene chiesto dai nostri interlocutori, sebbene non sia nelle nostre possibilità istituzionali, in virtù della divisione dei poteri vigente nel nostro Paese e nella nostra struttura istituzionale.
LUCIANO VIOLANTE, Presidente della Commissione affari costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni. Forse si potrebbero utilizzare gli strumenti parlamentari. Alla fine di questa discussione, potremmo vederci tra noi e preparare un’interpellanza, per capire quali possano essere gli orientamenti del Governo su questa materia. Lo stesso testo potrebbe essere firmato dai colleghi di Camera e Senato che fanno parte di questo gruppo di amicizia, anche per poter avere una risposta del Governo sui temi che qui sono stati posti, individuando quindi qualche strumento – senza andare al voto, il che potrebbe aprire anche dei problemi di natura diversa – parlamentare sul quale ci sia un orientamento comune tra i soggetti qui presenti.
Do ora la parola al collega Mirzaei.
GHOLAMREZA MIRZAEI, Rappresentante Iran. In nome di Dio, ringrazio per aver chiarito così bene queste questioni inerenti l’Iran.
Il signor ambasciatore ha fatto riferimento alla storia, ma lasciamo perdere la storia. Guardiamo ad un aspetto chiaro, che da ieri abbiamo puntualizzato diverse volte, e cerchiamo di arrivare alla realtà. C’è la realtà degli Stati Uniti che vorrebbero aggredirci e, accanto a questa, ci sono delle altre realtà, tra cui una delle più grandi è che anche l’America può essere danneggiata, che anch’essa è vulnerabile. Anche se l’America mettesse da parte l’Iran, sembra che toccherà a un altro Paese.
Anche l’Europa corre dei pericoli, in caso vi sia questa azione: se l’America farà queste cose, ne avrà anche dei danni. L’America ha potuto eliminare Saddam in Iraq, ma il fatto è che l’America aveva essa stessa rafforzato Saddam, anche se il popolo non stava con lui. In Afghanistan sono gli stessi americani che hanno creato, rafforzato e sviluppato i talebani, con i quali sono ancora in rapporto; anche coloro che si sono susseguiti, anche questi sono ancora sotto gli americani.
La realtà dell’Iran è molto diversa. Noi abbiamo un Governo affidabile, che è sempre stato consapevole della propria politica, in questi 28 anni. L’altro punto realistico è che gli Stati Uniti vivono solo di queste cose, di questi espedienti e quindi, se un Paese non si difende davanti a questo atteggiamento degli Stati Uniti, il futuro non ci sarà per nessun Paese. Coloro che nel futuro scriveranno la storia giudicheranno che l’Iran, almeno l’Iran si è difeso ed ha anche difeso il mondo.
Noi crediamo che l’Europa debba difendere la democrazia – il che è importante – per esempio nell’Iraq, nel Libano, nell’Afghanistan e dovunque: essa deve approfittare dei mezzi che ha per mettere a punto la democrazia. Penso che ci sarà una soluzione a queste controversie; allora l’Europa avrà finalmente difeso la democrazia e i problemi dell’Europa saranno risolti.
LUCIANO VIOLANTE, Presidente della Commissione affari costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni. Do la parola all’onorevole Hosseini.
SEYED MOHAMMAD MIR HOSSEINI, Rappresentante Iran. Nel nome di Dio, vi ringrazio per tutto quello che è stato detto. Ho preso degli appunti su ciò che vorrei dire.
Il primo punto riguarda il fatto che, per vari motivi, i musulmani conoscono l’Occidente molto meglio di quanto l’Occidente conosca l’Oriente. L’Occidente deve fare di tutto per conoscere l’Islam e i musulmani così come sono e non come loro credono che siano, anche nel suo proprio interesse. L’Occidente sta pagando il fatto di non conoscere l’Islam. Noi tutti viviamo in un unico mondo quindi conoscerci è nell’interesse di tutti.
In secondo luogo, l’importanza del Medio Oriente non concerne solo il gas e il petrolio. Tra i motivi per cui il Medio Oriente è importante ci sono le idee politiche, che stanno crescendo e sono delle sfide per le ideologie occidentali. Noi crediamo di dover parlare non soltanto di petrolio e gas. Così si risolveranno molti problemi che proprio l’Occidente ha creato, anche a livello internazionale.
Molte delle idee politiche del Medio Oriente sono ideologie religiose. Purtroppo l’Occidente non conosce bene l’Islam o forse non ci pensa. Non voglio paragonare la politica occidentale alla politica islamica e dire che l’una è contro l’altra: secondo me ci sono anche molti punti in comune tra queste due idee, tra questi due punti di vista. Comunque il Medio Oriente è molto importante.
Alcuni statunitensi credono che il Medio Oriente debba essere lasciato perdere, per andare verso la Cina e verso la Russia. Forse hanno ragione, però gli Stati Uniti e l’Occidente stanno in Iraq anche per la Cina e per le loro intenzioni verso la Russia. Gli americani, infatti, si occupano di Medio Oriente e di Iraq anche per rapportarsi alla Cina e la Russia. L’importanza del Medio Oriente per l’Occidente e per gli Stati Uniti rimarrà sempre. Gli Stati Uniti fanno una guerra psicologica, perché hanno una forza di propaganda internazionale tramite i media internazionali. Noi crediamo che le persone intelligenti nel mondo non debbano permettere agli statunitensi di diffondere queste idee.
L’ambasciatore Toscano ha detto che dobbiamo essere realistici. Anche io credo che essere realistici sia la soluzione, ma vorrei dire una cosa sulla visione realistica. Alcuni pensano che l’Iran stia cercando di diventare la maggior potenza regionale. Un tempo l’Iran voleva questo, ma adesso non più, perché lo è, non cerca di diventarlo. L’Europa deve accettare che l’Iran è una potenza importante della zona e che stia cercando di essere uno dei Paesi più forti. Se prima cercava di diventare un Paese importante della zona, adesso lo è: l’Occidente deve essere realistico ed anche accettare il fatto che l’Iran ha già l’energia nucleare, che l’Iran ha già superato le proprie frontiere, che l’Iran è forte, è un Paese molto forte ed anche molto stabile.
Per quanto riguarda il rapporto tra la Russia e l’Iran, forse il nostro gas è veramente l’alternativa al gas russo, ma la Russia e l’Iran possono avere anche interessi strategici comuni. L’Iran e la Russia si trovano in una posizione tale da poter avere anche strategie ed interessi comuni, che possono avere molte forme, tra cui può esserci proprio la collaborazione nucleare.
Si è parlato anche del dialogo diretto tra gli Stati Uniti e l’Iran. Credo che noi dobbiamo accettare che questa è una delle strade, ma non è l’unica: non dobbiamo pensare che questo dialogo diretto sia l’unica soluzione. Un’altra strada è la collaborazione stretta dell’Italia con i Paesi del Medio Oriente, specialmente con un Paese come l’Iran.
Un’altro tema che è stato toccato, è la sospensione dell’arricchimento. Per noi iraniani è inutile dare prova di una cosa che già abbiamo provato: abbiamo fatto la sospensione per parecchio tempo e non abbiamo avuto la risposta sperata. Per quanto tempo sospendiamo? Quante volte sospendiamo? Di che cosa parliamo, se già una volta abbiamo ceduto su questo discorso? E poi noi sull’energia nucleare siamo arrivati a dei livelli tali che non possiamo tornare indietro e non possiamo più parlare di sospensione: siamo già un Paese con l’energia nucleare, quindi bisogna essere realistici. Il problema nucleare iraniano non è solo del Governo: è anche una richiesta del popolo, che vuole avere l’energia nucleare pacifica. Nessuno può contraddire un popolo intero.
Il signor Venier ha osservato inoltre che il Medio Oriente, rispetto al diritto internazionale o non è presente o è debole. Se questo è vero, uno dei principi del diritto internazionale sta nel rispettare la democrazia ed il voto. Noi crediamo che il popolo palestinese debba votare ed esprimere le proprie idee e che tutte le popolazioni che vivono in quelle zone debbano partecipare ad una votazione, ad un referendum, per decidere come vogliono governare quella zona.
Si è poi parlato dei sunniti. Noi crediamo che il terrorismo ed i terroristi non abbiano religione, ma che abbiano approfittato della religione. Un giorno possono essere cristiani, un altro giorno mettersi l’abito sciita, e un altro ancora quello sunnita. I terroristi non hanno una religione. Noi non vediamo i terroristi come fedeli a una religione. Se li combattiamo come musulmani o come sciiti, come cristiani o come sunniti, commettiamo un errore.
In ultimo, voglio fare una domanda. Gli europei hanno pensato al fatto che avrebbero maggior interesse a fare amicizia e collaborare con un Iran potente quale è adesso? Se loro accettassero di collaborare con un Paese forte, otterrebbero molto di più che contrastando un Iran potente. Grazie.
LUCIANO VIOLANTE, Presidente della Commissione affari costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni. Sono stati posti problemi di un certo peso. La nostra tabella di marcia impone adesso di dare la parola a Lucio Caracciolo per le conclusioni, a meno che non ci siano interventi di altri colleghi. Faremo poi una breve pausa, dopo la quale affronteremo l’ultima sessione, quella sui diritti umani. Verrà l’onorevole Marcenaro per farci la relazione introduttiva. Prego, signor Caracciolo.
LUCIO CARACCIOLO, Direttore di Limes. Signor presidente, ovviamente non ho nessuna conclusione da fare, ma qualche considerazione sulla base di quanto detto.
Mi pare che siamo tutti d’accordo sul fatto che esiste una tendenza – un piano inclinato – che, se non venisse interrotta in qualche punto, produrrà uno scontro. Non so quale potrà esser l’esito di questo scontro, anche se sono sicuro che in quel caso l’Iran si difenderebbe al suo meglio. La questione è allora se vogliamo invertire questa tendenza o se accettiamo che questo piano inclinato produca il risultato che, inevitabilmente, prima o poi produrrà.
Dal punto di vista non solo di una parte dell’élite americana, ma – io credo – ormai anche di una parte importante delle élite europee, non si pensa più di poter invertire questo percorso; o meglio, si stanno cercando le giustificazioni, le spiegazioni e le tecniche per gestirlo al meglio.
Un passaggio è rappresentato dalle sanzioni fuori dal regime del Consiglio di sicurezza. Non credo sia irrilevante che un Paese come la Francia, che ha sempre avuto una concezione sacrale del Consiglio di sicurezza, si stia ormai da tempo adattando all’idea che – non solo, ma anche – sul caso dell’Iran ci si debba muovere fuori dal Consiglio di sicurezza, perché al suo interno ci sono delle potenze che, magari per motivi tattici, potrebbero bloccare delle risoluzioni più dure contro l’Iran. È quindi inutile farsi illusioni su questo. Non siamo in un regime angelicato in cui ci sono delle regole che vanno rispettate. Le potenze principali dell’Occidente hanno fatto una scelta che può portare ad uno scontro, anche se non inevitabilmente.
È stato detto che l’Iran non vuole aggredire nessuno: io non ne dubito, ne sono anzi perfettamente convinto. Il problema è che molti, nel mondo, sono invece convinti che l’Iran voglia aggredire qualcuno. Siccome in politica non contano le intenzioni, ma le percezioni delle intenzioni e, quindi, le loro conseguenze, quello che voi pensate è del tutto ininfluente: quello che conta, dal punto di vista dell’eventuale azione o non azione, è quello che pensano gli altri. Credo che sarebbe allora il caso, forse, che vi domandaste come mai siete riusciti a far pensare agli altri quello che pensano.
Che cosa può produrre questa inversione di rotta? Evidentemente o una decisione personale del presidente Bush di demandare questo problema al suo successore. Recentemente ho letto, non ricordo dove, il riferimento ad una conversazione privata del Presidente americano, durante la quale Bush diceva di non poter demandare la soluzione di questo problema al suo successore, perché quest’ultimo non lo avrebbe risolto.
Penso che su questo, come su altre cose, Bush si sbagli, perché probabilmente il suo successore avrebbe una posizione anche più dura della sua, ma è possibile – e dunque bisogna prendere in considerazione quest’ipotesi – che sia lui stesso a decidere e quindi, sostanzialmente, abbiamo qualche mese di fronte a noi, non anni.
Soprattutto per le pressioni dei militari americani è possibile che alla fine Bush non decida per un attacco che, sottolineo, non sarebbe un attacco mirato, ma punterebbe a distruggere la potenza iraniana una volta per tutte, a riportare l’Iran indietro di qualche decennio. È però possibile che Bush calcoli che i rischi di questa avventura sono tali da impedire questa evenienza.
C’è poi un’altra lobby – quella israeliana – che, paradossalmente, in questo momento non vuole la guerra all’Iran, per il semplice motivo che gli israeliani sarebbero le cavie di questo esperimento. Mentre gli americani sono abbastanza sicuri di non poter essere distrutti dall’Iran, Israele, pur sapendo che forse l’Iran non può distruggerlo, sa che può certamente infliggergli dei danni serissimi, sia direttamente, sia – più probabilmente – indirettamente (penso a Hezbollah e non solo).
Queste due lobby (militare e israeliana) decisamente non ininfluenti, quindi, pur non escludendo affatto l’ipotesi di uno scontro, lavorano in questo momento per impedirlo o per ritardarlo. Come cercano di impedirlo? Sicuramente attraverso un inasprimento delle sanzioni, che si tradurrebbe innanzitutto in due cose: il blocco delle importazioni di benzina e dei prodotti petroliferi raffinati e sanzioni simboliche che facciano perdere la faccia al nemico, come il boicottaggio dell’Iran in sede di grandi manifestazioni internazionali, sportive o di altro genere. Questo nella speranza, a mio avviso infondata, che tutto ciò provochi in Iran, se non un cambio di regime, qualcosa di molto simile, come ad esempio un cambio di qualcuno dei leader, ben sapendo che, a seguito di sanzioni così dure, non resterebbe che l’opzione militare.
Un’ultima questione ci riguarda direttamente. Come dicevo, noi europei abbiamo un influsso limitato su questo problema. Una delle varie differenze rispetto alla questione irachena, quando una parte notevole dell’Europa – quasi tutte le opinioni pubbliche e due Governi importanti come quello francese e quello tedesco – si oppose alla guerra, è che questa volta non ci saranno grandi opposizioni alla guerra, se la guerra dovesse esserci, perché vi si arriverà quasi senza doverlo decidere. Il meccanismo che si è messo in moto – per questo parlo di piano inclinato – non implica una decisione particolare, ma la creazione di dati di fatto successivi, graduali, tra i quali sarebbero una parte fondamentale le sanzioni più dure, di cui dicevo prima. Alla fine, ci sveglieremo una mattina e scopriremo che c’è la guerra.
Il nostro margine d’azione, come vi dicevo, è molto limitato, per le ragioni fattuali di cui sopra, ma anche per ragioni culturali nostre, che ci portano ad essere d’accordo con gli americani anche quando non lo siamo. In molti casi abbiamo condotto delle guerre in cui non credevamo affatto, o facciamo delle campagne in cui non crediamo particolarmente, solo perché riteniamo che sia più importante stare comunque con gli americani. È una scelta discutibile, ma è una scelta.
Credo che per invertire questa tendenza serviranno i militari, paradossalmente serviranno gli israeliani, serviranno le opinioni pubbliche più moderate e attente, soprattutto al loro futuro e alla qualità della loro vita futura.
Servirà però qualcosa anche da parte iraniana, perché immaginare che l’Iran continui a dire e a fare quello che dice e fa, significa immaginare che l’Iran abbia un qualche interesse a partecipare allo scivolamento verso uno scontro, cosa che di per sé è perfettamente legittima, ma andrebbe argomentata.
LUCIANO VIOLANTE, Presidente della Commissione affari costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni. Do la parola a Mehdi Akuchakian.
MEHDI AKUCHAKIAN, Rappresentante Iran. In nome di Dio potente, io cercherò soltanto di accennare velocemente ad alcuni punti.
Il primo riguarda la Palestina. Questo è un tema che ci riporta a 60 anni fa, mentre la nostra nascita risale soltanto a 28 anni fa. Se vogliamo parlarne, il problema della Palestina non ha riguardato il Governo islamico, perché data da tempo prima. Il problema della Palestina deve essere risolto radicalmente. Questo non risolverà i problemi. Fino a che non risolveremo alcuni problemi dei profughi della Palestina – che sono dispersi in tutto il territorio – e finché non saranno delineate le frontiere, così come tutte le conferenze tenute finora non hanno portato a delle soluzioni, nemmeno le conferenze che ci saranno nel futuro ne daranno.
Noi sappiamo che l’America, attraverso queste conferenze, spera di ottenere un successo nella politica estera del signor Bush, ma fino ad ora ciò non ha dato delle soluzioni, soprattutto in Iraq, per esempio, o durante la guerra dei 33 giorni in Libano. In realtà, neanche aiutare Olmert ha portato a delle soluzioni. Durante queste conferenze, per esempio, non c’è stata la presenza di Hamas: esse non possono quindi portare ad una soluzione.
Anche per quanto riguarda i colloqui con gli italiani inerenti il problema dell’Afghanistan, fino a che non ci saranno la collaborazione ed il coinvolgimento dei gruppi afghani, tale problema non si potrà risolvere. L’Unione Europea, per esempio, ha portato degli aiuti dal punto di vista economico-commerciale, ma finora, anche nei suoi discorsi, politicamente ha soltanto seguito l’America. Nel 1975, Clinton disse che mentre l’Europa e i suoi leader stavano ancora dormendo, loro avevano salvato l’Europa da un'altra guerra.
Ora l’America è onnipotente e l’Europa ha un ruolo secondario: questo non porta certamente ad una soluzione. Se ci sarà una guerra nella zona, nella regione, l’Europa ne sopporterà le conseguenze negative, mentre gli americani, che sono lontani dalla regione, quindi non ne avranno dei danni materiali, perché gli europei conoscono il Medio Oriente, conoscono le sue culture, le sue civiltà, mentre gli statunitensi ne sono ben lontani. Noi diciamo che bisognerebbe avere una soluzione per entrambe le parti, per l’Europa e per l’Iran. Questo frutto avrà anche una ripercussione sull’Europa.
Gli americani non possono venire a bombardare i nostri siti importanti: questo sarebbe l’inizio di un’aggressione, che non credo sarebbe facile portare a termine e che costituirebbe un pericolo per tutti i Paesi dell’Europa, anche se naturalmente il danno maggiore lo subirebbe l’Iran.
L’Europa, in questo contesto, dovrebbe essere più energica e mostrare una certa forza. Che la Francia abbia cambiato rotta rappresenta un danno per l’Europa, che dovrebbe invece essere più unita e seguire le proprie ideologie.
L’Iran ha anche dimostrato che vuole aprirsi ad un atteggiamento di concretezza. Noi non vogliamo la guerra, che non appartiene alla nostra religione, né alla nostra ideologia; se però saremo aggrediti, dovremo difenderci con tutte le forze.
Il signor ambasciatore che si trova in Iran ha visto e può ribadire che noi iraniani siamo diversi dagli arabi: gli iraniani sono pacifici, amano il loro Paese, sono istruiti e non sono mai stati propensi alle guerre. Se voi studiate la nostra storia degli ultimi 300 anni, vedrete che non abbiamo mai iniziato alcuna guerra.
Noi vogliamo discutere con voi. Non abbiamo mai detto di voler costruire la bomba atomica e collaboriamo con l’Agenzia atomica, che sta ispezionando e controllando tutti i nostri siti nucleari. Anche se creassimo la bomba nucleare, chi dovremmo aggredire? Cosa dovremmo fare? Chi dovremmo colpire? Secondo me questa è una scusa utilizzata dagli Stati Uniti, che noi dovremmo togliere loro. Vi ringrazio.
MOHSEN KUHKAN, Onorevole, rappresentante Iran. Dirò solo due frasi, perché è tardi. Capisco il sentimento del signor Caracciolo, che è preoccupato che succeda qualcosa, e che anche una sola persona possa perdere la vita in quello che potrebbe accadere. Il suo è un sentimento nobile ed anche noi capiamo che è molto importante. Come diceva lei, però, in Europa ci sono delle élite che seguono l’America. Ci dite, allora, che cosa dovremmo fare?
Rispetto all’energia nucleare, noi stiamo confrontandoci, l’Agenzia è presente e fa tutti i controlli, ma non possiamo intervenire e dire cosa debbano fare gli altri.
Qui stiamo parlando con i nostri amici, con i parlamentari italiani. Voi avete cominciato quello che pensate sia logico e lo state portando avanti. Noi vi ringraziamo.
Coloro la cui esistenza non è legale, non cercano la stabilità e devono comunque creare dei diversivi per attirare l’attenzione. Gli Stati Uniti hanno attirato l’attenzione su una cosa falsa, ma non credo che Israele abbia paura che, se gli Stati Uniti attaccano l’Iran, l’Iran attaccherà Israele. Non è vero che Israele teme questo e sono anzi gli israeliani a voler attaccarci: non è vero che Israele non vuole la guerra. Noi abbiamo risposto a quello che hanno detto gli israeliani, dicendo che, se loro ci attaccassero, anche noi li attaccheremmo, com’è naturale.
Abbiamo deciso che, nei confronti degli americani, non saremo mai i primi ad attaccare; se però loro facessero questo passo falso, noi risponderemo con due colpi per ogni loro colpo. Noi speriamo che anche il signor Caracciolo stia tranquillo e che non dorma trovando la guerra al risveglio. Le guerre ci sono di notte, non alla mattina: di solito la guerra si fa di sera. Noi speriamo di non vedere la guerra né all’ora di pranzo, né alla sera, né alla mattina al risveglio.
ENRICO BUEMI, Onorevole, rappresentante Italia. Questa sessione si conclude qui. Adesso ci sarà un quarto d’ora di coffee break e riprenderemo poi i lavori con la relazione dell’onorevole Marcenaro.
I lavori, sospesi alle ore 11,45, riprendono alle ore 12,00.
ENRICO BUEMI, Onorevole, rappresentante Italia. Do la parola al collega Pietro Marcenaro, presidente del Comitato permanente per i diritti umani della Commissione affari esteri della Camera dei deputati, per la sua relazione.
PIETRO MARCENARO, Presidente del Comitato permanente per i diritti umani della Commissione affari esteri della Camera dei deputati. Grazie, signor presidente. Ringrazio per questo invito e saluto la delegazione iraniana che ho il piacere di incontrare con voi.
La mia sarà una relazione sufficientemente breve. Non pretendo di affrontare e di dirimere questioni sulle quali esiste da tempo un confronto aperto fra i nostri Paesi e che sono, per tante ragioni – culturali, ideologiche ed anche politiche – questioni controverse, sulle quali si confrontano e si misurano posizioni diverse, che non pretendo di arbitrare o di risolvere attraverso una breve relazione in questa sede.
Mi limiterò ad affrontare alcune questioni, partendo in primo luogo da un punto che ha rappresentato – in particolare nel corso dell’ultimo anno, ma anche in precedenza – uno dei principali campi d’iniziativa del Parlamento e del Governo italiano sulla questione dei diritti umani. Mi riferisco, in particolare, all’iniziativa sul tema della pena di morte, che ha visto l’Italia protagonista in ambito internazionale con una proposta che, ancora in questi giorni e in queste ore, si svolge nella sede delle Nazioni Unite. Essa punta alla presentazione e all’approvazione, presso l’Assemblea generale delle Nazioni Unite, di una risoluzione per una moratoria universale delle esecuzioni delle pene capitali nel mondo.
Naturalmente so che questo è un argomento controverso, ma intendo spiegare semplicemente le ragioni per le quali l’Italia, nel corso di quest’anno, ha fatto di tale proposta un punto di caratterizzazione della sua iniziativa politica internazionale nel campo dei diritti umani.
Come i colleghi italiani sicuramente sanno, ma lo dico anche ai colleghi iraniani, questa iniziativa è partita dal Parlamento italiano, dove su questa materia si è avuta una larghissima – direi unanime – convergenza tra maggioranza e opposizione. Su questa base si è sviluppata un’iniziativa che ha coinvolto prima gli altri Paesi dell’Unione europea e poi altri Paesi nel mondo.
Il 19 dicembre del 2006 l’Italia ha presentato all’Assemblea generale delle Nazioni Unite una dichiarazione sull’abolizione della pena di morte e sull’introduzione di una moratoria delle esecuzioni capitali. Questa dichiarazione è stata sottoscritta, ad oggi, da 97 Paesi ed è la base sulla quale l’Italia fonda la sua proposta di risoluzione.
Questa iniziativa dell’Italia è partita anzitutto – ma non solo – da una convinzione profonda sulle ragioni morali e umanitarie che sostengono l’abolizione della pena di morte, le quali hanno un profondo radicamento nella cultura e nella storia del nostro Paese, nonché nella cultura e nella storia europea, essendosi affermate nell’insieme dello scenario europeo. Parlo non solo dei Paesi dell’Unione Europea, ma anche di tutti i 47 Paesi che compongono il Consiglio d’Europa, nei quali la pena di morte non esiste più.
Questa iniziativa nasce però anche dal fatto che la propensione all’abolizione della pena di morte va ben al di là dell’Europa: nel mondo tale tendenza ed il favore verso la moratoria delle esecuzioni capitali si sono progressivamente estesi. Via via, nel corso degli anni, i Paesi che non eseguono o che non adottano più sentenze di morte, che cioè non eseguono più la pena capitale, sono ormai arrivati a 129. Sono rimasti solo 68 i Paesi nei quali la pena di morte viene eseguita.
Nel corso degli anni abbiamo assistito anche ad una riduzione drastica del numero delle esecuzioni capitali. Solo nel corso degli anni più recenti siamo passati da circa 6.000 esecuzioni capitali (certificate dalle organizzazioni internazionali che cercano di documentare questi problemi) a un numero molto ridotto, che nel 2006 ha raggiunto e non ha superato le 1.591 (parlo delle condanne formalmente riconosciute). Il novanta per cento delle esecuzioni capitali che avvengono nel mondo sono comminate in 6 Paesi: la Cina (che è il Paese che più di ogni altro addotta questa misura), l’Iran, gli Stati Uniti, il Pakistan, il Sudan e l’Iraq. In questi sei Paesi si registra oltre il 90 per cento delle esecuzioni capitali che avvengono nel mondo.
Per quanto riguarda l’Iran – ma voi conoscete sicuramente il dato molto meglio di me, lo dico semplicemente come elemento di documentazione – da quanto sostengono le organizzazioni per i diritti umani che si occupano di questo tema, nel corso del 2006 le esecuzioni capitali sarebbero aumentate (viene indicato il numero di esecuzioni avvenute in 177 unità). Questo numero va trattato – come tutti i numeri, in questi casi – come un numero di riferimento fornito dalle organizzazioni dei diritti umani.
Noi siamo impegnati in questa battaglia e difendiamo lo strumento della moratoria perché pensiamo che, non trattandosi di una decisione irrevocabile, essa permetta una valutazione delle conseguenze.
L’Italia non sta facendo una campagna per l’abolizione della pena di morte, anche se, certo, quella è la nostra prospettiva. Noi oggi sosteniamo la linea della moratoria – che permette di verificare le conseguenze di quello che capita – perché abbiamo la convinzione, che si basa anche su dati empirici ed è confermata dall’esperienza, che l’abolizione delle pena di morte e delle esecuzioni capitali non comporti un aumento della criminalità o di quegli elementi di insicurezza nella vita di un Paese che, molto spesso, vengono invocati come le ragioni per il mantenimento di questa pena.
Questo è quindi l’obiettivo sul quale il nostro Paese – il nostro Parlamento in primo luogo, ma anche il nostro Governo – è impegnato. Oggi diamo a questa campagna la dimensione e la caratteristica di un invito a sperimentare: non vogliamo attribuirle il significato di una contrapposizione tra visioni, culture e punti di vista diversi, dei quale naturalmente conosciamo l’esistenza. Sottolineando l’obiettivo della moratoria, che viene prima della questione dell’abolizione, puntiamo ad un campo nel quale sia possibile affidare a un processo di verifica e di confronto i successivi passi che potranno poi essere compiuti.
Parlavo di una ragione umanitaria e di una ragione che, per quanto ci riguarda, è una ragione di principio. Questa seconda ci porta a fare della questione della pena di morte uno dei punti essenziali, diciamo così, di una discussione sul problema dei diritti umani. Non ci nascondiamo – o almeno io non mi nascondo – che vincere la battaglia per mettere al bando la pena di morte significherebbe anche realizzare un progresso importante nella direzione della pace, dello stato di diritto, di una nuova legalità internazionale e che questo risultato, nello scenario mondiale nel quale noi ci muoviamo, darebbe un forte segnale di speranza.
Voglio qui dire che, di fronte agli avvenimenti che scuotono il mondo, emerge con sempre maggiore forza la necessità di affermare, anche gradualmente, il primato di punti comuni, di valori e leggi comuni, di ordinamenti condivisi, di una regolamentazione che sia riconosciuta come legittima da tutti. La parola «legittimità» è molto importante: noi non riusciremo ad affermare insieme punti di vista e culture diverse, una politica dei diritti umani, se non nel quadro della costruzione di un nuovo senso della parola «legittimità», che sia riconosciuta da tutti. Ritornerò su questo punto perché a mio parere è un punto molto importante.
Voglio qui dire anche che questo problema è ancora maggiore di fronte ai conflitti, alle guerre, al terrorismo e alla violenza che oggi attraversano il mondo. Noi siamo convinti che la moratoria delle esecuzioni capitali sarebbe un segno di non violenza che avrebbe la possibilità di marcare una controtendenza rispetto alla fase nella quale viviamo.
Nel linguaggio cristiano, a un certo punto delle messa, si pronuncia l’espressione «scambiamoci un segno di pace». A nostro parere la moratoria sulle pene capitali avrebbe anche il significato, in questo momento, di affermare che c’è un mondo nel quale ci si riesce a scambiare un segno di pace.
Ho parlato dei conflitti e delle guerre. Questo è un punto che vorrei sottolineare, perché è un aspetto nuovo, che non eravamo abituati a considerare: il problema dei diritti umani nei conflitti e nelle guerre.
Voi sapete meglio di me che oggi, contrariamente a quanto avveniva nelle guerre tradizionali, le vittime della guerra, in grande maggioranza, sono vittime civili e non più solamente i combattenti diretti. Ci sono le vittime dei bombardamenti, che non sono solo i morti, i feriti, che pure vanno certamente considerati: ci sono anche altre vittime, come i bambini che, nelle situazioni di conflitto, non possono più studiare e non hanno la possibilità di vedersi garantiti i diritti fondamentali.
C’è quindi il problema di come la politica internazionale prende in considerazione queste questioni e di come agisce in relazione ad esse. Molto spesso ci si comporta, nei casi delle missioni internazionali – questo vale per i diversi Paesi – come se le popolazioni presso le quali si interviene fossero popolazioni anonime. Quando avviene un caso nelle nostre città, nei nostri quartieri, nei nostri villaggi, normalmente abbiamo presenti le faccia delle persone coinvolte: le guardiamo in viso e riconosciamo che sono delle persone e non solo dei numeri. Molto spesso, in queste missioni dei conflitti internazionali, si guarda invece a queste città come a città anonime: per questo è più facile bombardare e non preoccuparsi se ci sono o non ci sono vittime civili; per questo il tema dei danni collaterali può essere trattato con tanta superficialità.
Occorre oggi fare entrare nell’azione internazionale una cultura dei diritti umani; ne discutiamo per quanto riguarda il nostro Paese, ma anche l’Europa ne sta discutendo; anche le operazioni di peace-keeping rientrano in questo tipo di impostazione. Porsi questo interrogativo è un altro dei temi molto importanti e nuovi che emergono oggi nel campo dei diritti umani.
Infine, per concludere questo mio intervento – riservandomi semmai di riprenderlo, se può essere utile, e di rispondere ad eventuali domande – vorrei affrontare un’ultima questione. Parlavo prima della legittimità e del rapporto i tra diritti umani ed il problema della ricostruzione della legittimità, di una legittimazione. Questo è un punto molto importante perché, nonostante possa apparire che la questione dei diritti umani – qui c’è un giurista importante come Luciano Violante –appartenga al campo dei diritti naturali, in realtà non c’è nulla che faccia parte del diritto positivo più della questione dei diritti umani. Soprattutto in un mondo caratterizzato da culture ed esperienze diverse, i diritti umani sono quelli che, insieme, il mondo riconosce come tali.
C’è certamente qualcosa che sta prima, nella nostra coscienza, nella nostra storia, nelle nostre tradizioni, in quello che ci viene dai nostri genitori, dalle nostre convinzioni, delle nostre religioni o dalle nostre credenze laiche, però il problema di ricostruire i diritti umani come frutto di un’intesa fra i diversi popoli e le diverse culture, che convergono sul fatto che esistono alcuni valori ed alcuni princìpi riconosciuti come comuni, non può che essere il risultato di un dialogo, in un mondo in cui nessuno può rivendicare la prevalenza di una cultura o di un punto di vista, in cui nessuno può pensare di esportare la propria convinzione altrove, come se fosse l’unica convinzione possibile.
Non possiamo, però, nemmeno rinunciare alla costruzione di un punto di vista comune: l’alternativa al relativismo non è l’affermazione delle proprie credenze e convinzioni, bensì il dialogo e la costruzione, attraverso questo dialogo, di nuovi punti comuni, che tutti si impegnino a riconoscere e rispettare e che, per questo, diventino le basi di una nuova legittimità, che può essere affermata, sostenuta, applicata e praticata.
Questo, naturalmente, non può che essere un percorso graduale che, in larga misura, passa attraverso le discussioni, il confronto e la rivitalizzazione del ruolo degli organismi internazionali, a partire dalle Nazioni Unite, ma non solo, perché ci sono problemi che riguardano il WTO, altri che riguardano la Banca mondiale eccetera. C’è quindi il problema di come questi temi entrano, in generale, nella visione e nell’azione delle grandi organizzazioni internazionali. C’è poi un problema che riguarda il farli maturare.
Nella discussione iniziata in Italia, e non solo, qualcuno ha prospettato l’idea che si possa immaginare, dopo tanti anni, una nuova Conferenza di Helsinki, anche se, naturalmente, in un contesto molto diverso da quello dell’epoca. Mentre allora c’era il contesto dei grandi blocchi che si confrontavano, di un puro negoziato, ora dovrebbe esservi un contesto che permetta un processo molto più graduale, nel quale, a fianco delle iniziative che avvengono nel quadro delle grandi istituzioni internazionali, ci sia anche un ruolo dei Paesi che, con un’adesione volontaria, si riconoscano nei valori e nei punti comuni, definiti insieme, e che si impegnino a rispettarli.
Finisco dicendo che forse la politica dei diritti umani non ha nemico più insidioso della pratica dei doppi standard, ossia della pratica di chi pensa che i diritti umani possano essere invocati contro i propri avversari e possano invece essere sottaciuti, quando si tratta dei propri amici.
Noi dobbiamo ricostruire una nuova legittimità internazionale, il che vuol dire anche ricostruire un grado di obiettività, di certezza del diritto e di leggi che valgano e siano uguali per tutti. È mia convinzione che, in questo, i parlamenti possano svolgere un ruolo molto importante, perché essi hanno naturalmente la possibilità di avviare un confronto o un’iniziativa che ha qualche condizionamento in meno di quello che hanno i Governi. Non voglio dire che i parlamenti non abbiano condizionamenti o non vivano in un quadro di relazioni, però i parlamenti hanno di fronte a loro una responsabilità meno immediatamente esecutiva. Per questo credo che le relazioni parlamentari possano essere una via efficace – insieme ad altre, naturalmente – di iniziativa in questo campo.
Per quanto riguarda il livello europeo, su questo si sta lavorando con l’idea, ad esempio, di costruire una rete parlamentare sulla questione dei diritti umani, che colleghi i comitati che agiscono su questo punto nei vari Paesi europei. Credo che iniziative di questo tipo potrebbero essere considerate anche in un quadro internazionale più ampio e non solo dentro i recinti della nostra prospettiva europea. Molte grazie.
LUCIANO VIOLANTE, Presidente della Commissione affari costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni. Ringrazio molto il presidente Marcenaro per il quadro che ci ha fatto ed anche per la parte finale del suo intervento, che ha richiamato il ruolo dei parlamenti, nei quali si trovano anche le opposizioni e dove è quindi rappresentata complessivamente la ricchezza politica di un Paese.
Do ora la parola al presidente Moshiri e, a seguire, al collega Kuhkan.
SHAHRYAR MOSHIRI, Onorevole, rappresentante Iran. In nome di Dio onnipotente, abbiamo ascoltato i discorsi del nostro amico, riguardanti questa moratoria e le leggi che sono utili per i diritti dell’uomo. A nostro avviso ciò dipende dalla cultura dei Paesi e da come essi considerano le pene. Per esempio, se pensiamo all’Italia durante i tempi in cui era in vigore la pena di morte, allora la mafia non era così forte. Quando in Italia si eseguiva la pena di morte.
Ai tempi di Mussolini la mafia era meno attiva nel vostro Paese. I mafiosi sono scappati, Al Capone e persone come lui sono andati in America e hanno vissuto là. Dopo la seconda guerra mondiale, invece, in Italia non c’era più la pena di morte e la mafia organizzata ha preso potere in Europa. Forse la pena di morte, quindi, in certi momenti e in certe situazioni, può essere un’alternativa. Non dico che bisogna usare questa alternativa, però essa potrebbe impedire certi atti di violenza. Per esempio, nel nostro caso, nel nostro Paese, essa serve per evitare il traffico della droga o per scoraggiare chi abbia dei piani per commettere atti terroristici. La pena di morte viene usata in questi casi, non certo per un litigio tra due persone per strada.
Perché in Cina c’è meno corruzione? Gli Stati Uniti hanno sempre tentato di mentire sulla corruzione in Cina.
In Vietnam, dopo l’indipendenza del Paese, non c’era corruzione, perché chi prendeva delle mazzette e veniva corrotto, veniva condannato. È per questo che nel loro sistema non c’è tanta corruzione.
Bisogna comunque poter distinguere tra i reati, perché non tutti i reati vengono puniti nella stessa maniera: un conto sono coloro che hanno commesso degli omicidi, un altro chi ha commesso un atto meno grave, che non deve essere giudicato allo stesso modo di chi ha compiuto un reato di terrorismo, di omicidio eccetera.
Noi vogliamo distinguere anche tra coloro che sono in carcere per aver commesso un certo tipo di reato piuttosto che un altro.
Terremo comunque conto di questa proposta di moratoria, però nel nostro Paese la pena di morte è importante soprattutto per combattere il traffico della droga, perché altrimenti non potremmo controllare il flusso dei contrabbandieri.
Qualcuno che lavora per anni non guadagna quanto uno che lavora nel campo del traffico della droga in una settimana, però da noi c’è la paura che tali atti che vengono puniti e quindi si evitano tali reati. Secondo me, comunque, la pena deve essere valutata a seconda del reato, il che non può avvenire allo stesso modo in tutti i Paesi. Per ogni Paese bisogna valutare la situazione e i reati che vengono commessi, e le leggi che vengono applicate, a seconda della gravità dei reati. Secondo me è quindi importante salvare la situazione, non salvare coloro che commettono i reati.
LUCIANO VIOLANTE, Presidente della Commissione affari costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni. Grazie, presidente. Vorrei dire soltanto una cosa sul rapporto tra mafia e fascismo, altrimenti rischiamo di avere qualche equivoco. Non solo nessun mafioso è mai stato condannato a morte dal fascismo, ma il fascismo fece un’operazione di questo genere: mandò al confino, cioè su isole lontane, i piccoli mafiosi e i piccoli contadini legati alla mafia e incorporò invece nel partito nazionale fascista le leve medio-alte della mafia. Questa è la ragione per la quale in quegli anni comportamenti di carattere mafioso si intrecciavano con comportamenti del partito nazionale fascista. Lo dico perché ci sia chiarezza su questo punto.
Se il collega e correlatore Cassola è d’accordo, darei prima la parola al collega Kuhkan, che ha chiesto di parlare.
MOHSEN KUHKAN, Onorevole, rappresentante Iran. Grazie. Caro amico, io vorrei chiedere se mi potete ascoltare e se mi potete dare una risposta. Bisogna chiarire di che cosa si parla, quando si parla dei diritti dell’uomo. Per esempio, se si parla di come reagire a certi reati, allora alcuni gruppi parlamentari possono discutere insieme e parlare di come certi reati possono essere puniti. Da una parte, bisogna guardare ai diritti dell’uomo. Voi dite che vorreste che la pena di morte non ci fosse. Dall’altra parte, parlate di fare la moratoria, per poi per poter abolire la pena capitale più avanti.
Io dico che questi sono discorsi diversi, separati. Sono pronto a discutere, però se si parla dei diritti dell’uomo, bisogna tener conto che i diritti dell’uomo non sono una strada a senso unico, ma a doppio senso di marcia. Si parla della salvezza e della tutela della vita dell’individuo. Quando una persona uccide volontariamente qualcun altro, come viene giudicata questa persona? Dall’altra parte bisogna considerare la persona che è stata uccisa, che è stata vittima: bisogna difendere anche i suoi diritti.
Se una banda della mafia, ad esempio, per decisione di qualcuno, decide di far entrare il crack in Italia e, di conseguenza, di 100 persone – ad esempio, dei figli dei membri del Parlamento italiano – dopo 8 mesi abbiamo i cadaveri. A questo punto, cosa facciamo di una persona del genere, che ha pianificato di togliere la vita a 100 persone? La teniamo in vita? Non gli infliggiamo la pena di morte?
Come diceva anche il signor Moshiri, bisogna fare riferimento alle culture, perché chiaramente, non possiamo pretendere, come lei diceva, che tutte le culture siano uguali, che tutti facciano come noi.
Anche dal punto di vista internazionale, per equità e perché tutti condividano, bisogna fare degli studi più approfonditi, multilaterali, perchè ciascuno capisca. Basta, infatti, che un Paese o due non accettino, per via delle diversità culturali e di mentalità, per ostacolare le decisioni. Penso che lei abbia giustamente detto di seguire questo obiettivo, però i problemi sono diversi: se vogliamo parlare di diritti dell’uomo, come si colloca, rispetto a questo, il tema della pena di morte?
Naturalmente noi pratichiamo la pena di morte perché ci sono delle leggi dietro e i giudici giudicano con grande attenzione: tutto questo avviene prima di comminare la pena di morte. Se alla fine viene emesso questo giudizio, dobbiamo accettarlo. Se parliamo con i nostri giudici e chiediamo loro quale sia il loro obiettivo, essi, come giudici che hanno una grossa responsabilità, rispondono di volere arrivare ad un giudizio equilibrato per far fronte al reato commesso, considerando tutte le circostanze e utilizzando tutti gli strumenti disponibili. Se noi accettiamo questo, facciamo già un passo in avanti.
Possiamo poi parlare di che tipo di reati vengono compiuti da parte delle persone. Non si tratta più di esiliare una persona su un’isola. Forse arriveremo ad una soluzione per cui riterremo che il reato commesso non è più considerato tale da essere punito con una pena di dieci anni di carcere.
Avete fatto riferimento a sei Paesi. In Iran le regole sono ben strutturate e sono molto severe: sono il risultato di un lungo processo. Non c’è un tribunale che può prendere delle decisioni su un reato, infliggendo la pena di morte. Nei nostri tribunali il giudizio su un reato deve essere studiato. Come uomo di legge, vi dico che questi reati vengono studiati e lungamente esaminati. Non possiamo parlare di pena di morte in maniera improvvisata. Noi siamo d’accordo che nessun Paese dovrebbe condannare i suoi aggressori o oppositori politici. Su questo siamo d’accordo e, naturalmente, concordiamo con voi sul fatto che non si debbano condannare gli oppositori a un Governo. Dove si dice, però, che la pena di morte offenderebbe i diritti dell’uomo? Devo dire che, su questo punto, dovremmo discutere.
Nei Paesi islamici, a cui voi avete accennato, queste pene sono menzionate nel Corano e nella Sharia. Per giudicare questi reati, noi esaminiamo tutti i punti che sono nel Corano e in Iran si decide per la pena di morte solo quando ci sono le condizioni. Quando qualcuno uccide una persona involontariamente, magari per un incidente o durante la caccia, non è prevista la pena di morte, che è comminata solo in caso di omicidio volontario. Se il padre di una persona che è stata uccisa perdona l’assassino, il giudice non condanna quest’ultimo, che in questo caso viene liberato e non sta neanche un giorno in carcere. Ma se il padre della persona uccisa chiede che il colpevole venga punito, bisogna che egli venga accontentato.
Nel nostro Paese non si può parlare di pena di morte senza tener conto di questo. Noi teniamo in conto la persona che viene uccisa. La decisione circa l’esecuzione della pena viene data ai familiari, ai parenti e non è lasciata al Governo. Non è un diritto del Governo stabilire se eseguire la pena. Questo per noi è un diritto dell’uomo. Dobbiamo fare riferimento alla legge dell’Islam.
LUCIANO VIOLANTE, Presidente della Commissione affari costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni. La ringrazio. Do ora la parola all’onorevole Arnold Cassola.
ARNOLD CASSOLA, Onorevole, rappresentante Italia. Grazie, presidente Moshiri, presidente Violante, presidente Marcenaro, colleghe e colleghi.
L’indissolubile legame tra pace, sicurezza e sviluppo passa anche attraverso il forte impegno, a livello internazionale e nazionale, per la tutela dei diritti fondamentali. Come Parlamento, quindi, dobbiamo attrezzarci a svolgere un ruolo sempre più incisivo in tale ambito, trovando il giusto equilibrio tra le diverse esigenze presenti e rafforzando il ruolo che la diplomazia parlamentare può svolgere in questo contesto.
Adesso, la tutela dei diritti umani, la tolleranza fra i popoli ed il rispetto della diversità altrui sono un pilastro fondamentale della politica dell’Unione Europea, tant’è vero che l’Unione Europea si fonda sui princìpi di libertà, democrazia, rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali, che essa ha formalizzato a Nizza nel 1999 con la propria Carta dei diritti fondamentali.
Il motto dell’Unione Europea è inoltre proprio «uniti nella diversità», dove l’accento è messo sulla diversità.
L’Italia, che è uno dei Paesi fondatori dell’Unione Europea, sottoscrive a pieno titolo questa politica europea per quanto riguarda la tutela dei diritti umani e il rispetto delle diversità esistenti. La stessa Costituzione italiana prevede che non vi siano discriminazioni di nessun tipo. Essa recita infatti: «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali». In Italia, onde tutelare queste minoranze – come per esempio la minoranza francofona in Val d’Aosta, quella germanofona in Alto Adige, la comunità ladina e via dicendo – la Costituzione prevede che vi siano regioni autonome fondate sul pieno rispetto per la lingua, la cultura, il modo di vita e le diversità locali.
In effetti, anch’io sono un italiano diverso, in quanto sono nato a Malta, ho doppia cittadinanza (maltese e italiana) e la mia lingua madre è il maltese, la mia seconda lingua è l’inglese e l’italiano è solo la mia terza lingua. Anche se sono un italiano nato all’estero, la Costituzione italiana mi riconosce giustamente pieni diritti, proprio come quelli riservati agli italiani in Italia.
Adesso siamo nell’era della globalizzazione e crediamo fermamente che in quest’era il rispetto dei diritti umani vada esteso a tutti i Paesi del mondo.
Naturalmente la libertà di espressione non si può limitare e la libertà di espressione delle idee politiche di ciascun individuo è in cima alla lista delle nostre priorità. Continuiamo a lavorare sodo affinché il pluralismo politico, religioso e il diritto di ogni individuo ad esprimere liberamente il proprio pensiero, sia esteso a tutti i Paesi del mondo. Per noi non è quindi accettabile che il diverso sia reso vittima a causa della propria diversità: questo vale anche per chi ha un orientamento sessuale diverso dal nostro; non possiamo accettare che tali persone debbano essere incriminate, messe in carcere e magari anche condannate a morte per la loro diversità.
Della moratoria sulla pena di morte ha già parlato l’onorevole Marcenaro, ma vorrei aggiungere che la Costituzione italiana esclude ogni ipotesi di reintrodurre la pena capitale, anche nelle leggi militari di guerra. Poiché crediamo in una giustizia senza vendetta, l’Italia si è fatta promotrice della moratoria di cui si è già parlato. Fortunatamente la pena di morte è una tematica che sta a cuore a diversi Paesi e, per esempio, il Consiglio d’Europa ha festeggiato la prima giornata contro la pena di morte proprio la settimana scorsa, il 10 ottobre.
Per noi il valore della vita umana è sacro e ogni vita deve essere rispettata, qualsiasi sia la nazionalità.
Capisco benissimo il concetto espresso dal presidente Moshiri sulla pena di morte come deterrente contro i crimini, però l’onorevole Kuhkan ha fatto una domanda precisa, cui vorrei rispondere. Per noi la punizione deve essere giusta, ma non deve essere necessariamente considerata come una vendetta. Pensiamo che un ergastolo – stare tutta la vita in carcere – sia una punizione grandissima per una persona vivente. Se mettiamo a morte un criminale, un mafioso, inoltre, sfortunatamente i giovani che sono morti a causa loro non tornano indietro.
Penso fermamente che sarebbe un grandissimo segnale politico se un Paese così autorevole e importante come l’Iran prendesse l’iniziativa, nella sua regione, a favore della moratoria contro la pena di morte.
Passando ad un’altra tematica, l’Unione Europea è nata dalla cenere di due disastrose guerre mondiali, dove esseri umani di nazionalità diverse si sono ammazzati tra di loro. Oggi, a 50 anni dalla fondazione dell’Unione Europea, tedeschi e francesi (tradizionali nemici), francesi e inglesi (che si facevano la guerra ai tempi di Napoleone), inglesi e spagnoli (che si ammazzavano ai tempi di Elisabetta I), ecco, tutti quanti loro adesso siedono insieme al tavolo dei negoziati per appianare i problemi esistenti.
La tolleranza tra i popoli è un marchio di qualità che ci contraddistingue, come europei, ed è lo stesso spirito di tolleranza che noi auspichiamo per il popolo palestinese e il popolo israeliano, i quali dovrebbero vivere dignitosamente l’uno accanto all’altro, in pace, come due Stati liberi, come due popoli che si rispettano vicendevolmente.
Naturalmente, nel guardare ad un futuro di pace per tutti, nel mondo, non trascuriamo i percorsi dolorosi che la storia ci ha tramandato – e qui sono d’accordissimo con quello che ha detto l’onorevole Kuhkan – e il passato diventa per noi un monito chiaro, affinché non si ripetano i gravissimi errori commessi.
Le guerre del periodo classico, le disuguaglianze del periodo medievale, i conflitti sanguinosi post-rinascimentali, i nazionalismi dell’800, i terribili olocausti del secolo appena passato, la morte quotidiana che colpisce il popolo palestinese ed il popolo israeliano non si possono né scordare, né cancellare dalla nostra memoria. La nostra azione politica presente per un futuro migliore deve essere portata a termine pensando a tutti quelli che hanno sofferto nel passato e che tuttora soffrono ingiustizie e soprusi.
Come possiamo tradurre oggi questi ideali, attraverso l’azione delle nostre istituzioni, non solo parlamentari? Per quanto riguarda il versante internazionale bisogna ricordare che, a livello di Nazioni Unite, nel World Summit del 2005, è stato istituito il Consiglio per i diritti umani, con il compito di promuovere la protezione dei diritti umani a livello internazionale. Nel marzo del 2006, l’Assemblea generale dell’ONU ha votato a larghissima maggioranza una risoluzione che istituisce il nuovo Consiglio dei diritti umani.
Dall’esercizio delle libertà fondamentali nei diversi Paesi dipende il rispetto delle diversità e delle espressioni culturali. Presso la Camera dei deputati italiana, poi, sono state ospitate le riunioni delle commissioni cultura dell’Assemblea parlamentare euro-mediterranea che, fino al 2008, sarà presieduta dalla Camera dei deputati italiana. In tale sede sono stati discussi argomenti come il dialogo tra le civiltà, che possono poi fornire lo spunto su come porre le basi di una cultura comune di pace e di comprensione; il ruolo dei media, dei giornali e della televisione come collegamento tra le società moderne; la valorizzazione di iniziative di interscambio e di cooperazione a livello di scuola, di studenti e di insegnanti, nonché a livello di università e di professori. Noi, come Italia, sosteniamo da sempre la cooperazione tra studenti e la formazione scolastica per capirci a vicenda, perché siamo di culture diverse e quindi non ci conosciamo abbastanza bene.
Se quindi noi inseriamo nei programmi scolastici contenuti letterari, storici, culturali degli altri, come si richiama nel rapporto «Alliance des civilisations» del gruppo delle Nazioni Unite, penso che potremmo fare un passo avanti nel comprenderci e nel capirci meglio.
Il Parlamento italiano ha anche sottolineato, in più sedi, l’importanza del dialogo interculturale, chiedendo anche dei finanziamenti per la ricerca delle radici comuni nel settore culturale, come base per una cooperazione più intensa.
Anche nelle relazioni culturali tra Italia ed Iran abbiamo fatto un lavoro importante comune, ad esempio, nella valorizzazione e conservazione del patrimonio culturale ed archeologico: ne abbiamo parlato un po’ ieri. Ci sono stati uno scambio intensissimo tra docenti, archivisti e bibliotecari, l’allestimento di mostre bellissime ed importantissime, eventi culturali, nonché la previsione di borse di studio e di programmi per studenti.
Permettetemi di concludere con un accenno alla questione del nucleare. Dato che sono un verde, non posso non toccare questa tematica. È ovvio – lo diciamo chiaramente e penso che su questo siano tutti d’accordo – che in merito a questa materia lo stato di diritto (rule of law) deve essere rispettato da tutti. Non possiamo agire con double standards, con il criterio dei doppi pesi e delle doppie misure. Ciò che non varrebbe per l’Iran, non può andare bene per l’India (e penso all’accordo tra Stati Uniti e India), per esempio, ed anche il tono utilizzato dal Ministro francese degli affari esteri, Bernard Kouchner, nei confronti dell’Iran non è accettabile, anche considerato che, il Presidente Sarkozy, proprio il giorno successivo, ha offerto alla Libia di venderle un reattore nucleare per la desalinizzazione dell’acqua di mare. Questo per noi non è accettabile.
Secondo lo stato di diritto, secondo il rule of law, ogni Paese, compreso l’Iran, ha il diritto di utilizzare fonti nucleari per usi civili.
Io sono però un verde e, come tale, mi domando se sia proprio necessario ricorrere al nucleare per produrre energia. Noi riteniamo di no e siamo coerenti in Italia, in Europa e nel mondo, su questa tematica, perché il nucleare ad uso pacifico è pericoloso. Basti pensare al disastro di Chernobyl – la prima cosa che viene in mente – a causa del quale in quella zona ancora oggi nascono vacche, pecore, bambini con due teste, sei gambe e via dicendo. Basti pensare a Three Mile Island, negli Stati Uniti. Si potrebbe dire che da questi casi sono passati 20 o 30 anni, ma è allora sufficiente pensare a cosa è accaduto 3 mesi fa in Giappone, dove, dopo il terremoto – e anche l’Iran è in una zona altamente sismica – in una centrale di nuovissima generazione, ritenuta sicurissima, 1200 litri di liquido radiattivo sono finiti in mare e nessuno sa quali saranno gli effetti.
Noi verdi siamo realistici, onorevole Hosseini, e proprio perché siamo realistici pensiamo che con i problemi ecologici ed energetici che il mondo deve affrontare oggi e dovrà affrontare nei prossimi 50 anni, la vera soluzione energetica per il futuro stia nella valorizzazione delle fonti rinnovabili. Come verdi, non solo italiani, ma anche europei – di cui sono stato Segretario generale per 7 anni – lanciamo quindi una proposta per una cooperazione energetica a larga scala, dappertutto, sulle fonti alternative e rinnovabili al posto del nucleare.
Adesso farò io una domanda a voi parlamentari iraniani. Se l’Europa promettesse aiuti ed investimenti all’Iran per quanto riguarda le fonti energetiche rinnovabili, per il suo fabbisogno, il Governo di Teheran sarebbe disposto a rinunciare al nucleare? Questo sì che sarebbe un passo di estremo coraggio, con cui l’Iran si guadagnerebbe l’ammirazione del mondo. Sareste i primi a dare un insegnamento anche all’Europa e agli Stati Uniti, dando prova di essere pronti a guardare al futuro e ad andare verso le nuove fonti di energia che saranno quelle del futuro. Forse varrebbe la pena di pensare a questa alternativa.
LUCIANO VIOLANTE, Presidente della Commissione affari costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni. Grazie onorevole Cassola. Ha chiesto di intervenire nuovamente l’onorevole Kuhkan. Darò poi la parola all’onorevole Buemi.
MOHSEN KUHKAN, Onorevole, rappresentante Iran. È vero che uccidendo il colpevole di omicidio, la vittima non torna nuovamente a vivere, ma qui il problema non è quello, il problema è che il reato venga punito.
Per quanto riguarda i diritti dell’uomo, noi abbiamo la sensazione che su certi punti, su certi elementi, voi europei parliate, certe volte, di trentacinque anni fa. Noi parliamo dell’epoca attuale, perché altrimenti dovremmo permettere che si parli anche di 400 anni fa, del Rinascimento. Lasciamo perdere il passato, guardiamo al presente. Nella Repubblica islamica, la nostra Costituzione ha previsto questa legge.
Voi avete parlato delle minoranze. Noi abbiamo persino degli ebrei rappresentati nel nostro Parlamento: non c’è una seduta parlamentare dove non siano presenti dei membri ebrei! Noi abbiamo quindi rispetto verso le regole e per le minoranze. Senz’altro noi desideriamo, speriamo che i palestinesi e gli ebrei vivano nella pacifica convivenza, ma soprattutto bisogna rispettare la democrazia, che sarà sempre rispettata da parte nostra. Se accettiamo che gli ebrei ed i musulmani, attraverso un referendum, hanno scelto i loro responsabili ed i loro leader, e che vogliono convivere, davanti a questo, noi possiamo firmare qualunque legge su questo punto.
Per quanto riguarda gli studenti, senz’altro noi li inviteremo a prendere parte. In questo momento vorremmo invitare anche il Ministro del turismo, per discutere; così come il nostro Ministro della cultura che è venuto in Italia.
Vengo alla sua domanda. Purtroppo alcuni Paesi dell’Europa non hanno una buona reputazione, quanto alle promesse fatte. Anche se nel regime passato abbiamo avuto dei buoni rapporti con alcuni Paesi europei, coi quali abbiamo fatto dei contratti ed assolto ai nostri impegni, ci sono stati anche degli episodi in cui non si è mostrata molta correttezza.
In questa stessa riunione noi vi invitiamo a venire da noi. A volte, alcuni fanno delle promesse, ma poi rimandano il loro adempimento.
Per quanto riguarda, ad esempio, l’energia nucleare, noi ne facciamo un uso diverso dal vostro: nell’agricoltura, per esempio, o nell’individuazione delle malattie, nella diagnostica. È una tecnologia che viene comunque presa in considerazione, naturalmente, con grande riguardo, con grande attenzione.
La vita dell’uomo deve essere oggi al passo con quello che succede nella tecnologia. Oggi c’è l’uno per cento di probabilità che succeda qualcosa di negativo nell’uso della tecnologia, però, in generale, non guardiamo soltanto agli aspetti negativi, ma guardiamo anche a tutti i fatti positivi che ne vengono.
C’è un altro punto che vorrei sottolineare per quanto riguarda la pena di morte. Voi parlate della pace, dell’amicizia eccetera. Questi sono però fatti diversi.
Prendiamo il caso dei crimini organizzati. È necessario pensare alla famiglia. Se qualcuno uccide mio figlio ed io so che il suo assassino sta girando su un’isola, divertendosi, anche se non esce dall’isola dov’è esiliato, il mio rancore non viene soddisfatto. Essendo successo un fatto del genere, nell’individuo che ha perso un figlio, la sposa o lo sposo resterà il rancore e costui sarà così affetto dal dolore per tutta la vita. Se quindi consideriamo veramente tutto, non possiamo dare una ricetta generale per tutti i reati, valida in tutto il mondo.
Possiamo considerare insieme i reati politici. Non pensiamo solo alla pena di morte. Se guardiamo tutti i reati singolarmente, ci accorgeremo che la pena di morte viene utilizzata soltanto per alcuni reati specifici.
LUCIANO VIOLANTE, Presidente della Commissione affari costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni. La ringrazio. Do la parola all’onorevole Buemi.
ENRICO BUEMI, Onorevole, rappresentante Italia. Signor presidente, credo che siamo tutti consapevoli del fatto che siamo figli del nostro passato, della nostra cultura, della nostra tradizione e che quindi ci portiamo dietro questa storia individuale e collettiva anche nel presente. Certamente non possiamo cambiare improvvisamente, ma abbiamo il dovere – io credo – di concorrere a cambiare, secondo quella visione sempre più collettiva che ci unisce.
Se è questo lo spirito – e il mio spirito è questo – credo di capire le ragioni dei colleghi, quando sostengono la necessità di misure gravi, definitive, però mi interrogo su quella cultura del passato di cui parlavo prima. Mia madre mi diceva che la vita umana è nelle mani di Dio. Ho qualche difficoltà rispetto a questa visione che mia madre mi ha tramandato – sicuramente questo non vuole essere un’offesa alla sensibilità religiosa di ognuno – ma non sempre vedo Dio presente nel mondo.
Lo dico a quelli che ritengono che ci sia una presenza così importante nel mondo: penso che l’uomo non si possa sostituire a Dio. Intanto perché l’uomo sbaglia, anche quello che giudica, e poi perché – uso parole di altri e non mie – la vita degli esseri umani è stata data agli esseri umani da Dio. I problemi nel mondo, però, ci sono, non c’è dubbio che ci siano, e ci sono molti uomini che si macchiano di gravissimi delitti, contro cui la società e le istituzioni devono mettere in campo misure efficaci. Vorrei allora che facessimo una discussione sulla efficacia delle misure.
Dal punto di vista morale, vi ho dato la mia risposta sulla pena di morte: ve l’ho data da laico che però non nasconde le sue radici. Mia madre, fino a quando è morta, portava il fazzoletto come lo portano le vostre donne ancora oggi, quindi non siamo distanti, dal punto di vista della storia, della cultura che ci accomuna. Tuttavia, dobbiamo pensare all’efficacia delle misure e allora, se guardiamo il mondo, vediamo che le misure più drastiche spesso producono fatti altrettanto gravi. Il primo è che l’uomo sbaglia ed anche chi giudica sbaglia: l’errore giudiziario è sempre presente. In secondo luogo c’è anche l’uso della pena come strumento di lotta politica, come strumento di prevaricazione di un uomo sull’altro. Dobbiamo cercare, allora, di affrontare questa questione dal punto di vista dei risultati.
Ieri vi ho fatto una domanda, imbarazzante anche per me, quando parlavamo di droga e delle quantità di droga che si sono prodotte in Afghanistan nel periodo talebano, nel periodo precedente e successivo. Se avevano ragione i talebani, allora togliamo la libertà, togliamo il pluralismo, ammazziamo anche chi passa col rosso perché, guardate, passare con la macchina quando il semaforo è rosso è come prendere una pistola a tamburo, infilarci un solo proiettile e mettersi a sparare: si può passare col rosso senza investire nessuno, così come si può sparare senza colpire nessuno, perché non c’è proiettile. Se però il proiettile c’è, o se passa qualcuno…
Questa è la questione che io pongo ai colleghi italiani, ma che credo riguardi anche gli amici iraniani: dovremmo ridiscutere anche di quale debba essere il peso della sanzione nella società moderna, e rispetto a quali reati. L’uso della pena come deterrente è un fatto fondamentale, però bisogna vedere il risultato.
C’è però un’altra questione a monte, lo dico con altrettanta franchezza: il processo che porta alla sentenza. Come garantiamo che il giudice – che, almeno nella nostra cultura giuridica, deve essere autonomo da tutto il resto, dal potere esecutivo e dal potere politico – possa formarsi un’idea precisa sulla responsabilità dell’imputato? Come può avvenire questo se, ad esempio, la difesa non è efficace e forte, o non è altrettanto forte quanto l’accusa, in modo tale che il giudice – che non è Dio, ma un essere umano come noi – possa formarsi il più giusto convincimento possibile?
Voi avete detto ieri che nei tribunali che giudicano i reati per cui è prevista la pena di morte non c’è un giudice solo, bensì un collegio di giudici. Questo è un fatto importante, però io credo che anzitutto debbano essere garantite una reale efficacia della difesa, una reale difesa dell’imputato. Questo problema non c’è soltanto in Iran, ma c’è anche in Italia e c’è anche – molto di più – negli Stati Uniti, che sono – o almeno vengono indicati come – il Paese della democrazia.
Ragionare intorno alla moratoria della pena di morte è un punto importante, che si ricollega anche alla discussione che abbiamo fatto questa mattina sui rapporti politici e strategici internazionali. Io credo che, se l’Iran avesse la forza e la volontà di muoversi in quella direzione, questo rappresenterebbe un titolo di credito fortissimo a favore del popolo iraniano e della leadership iraniana. Solo questo atto sarebbe un colpo decisivo e fondamentale all’immagine che si dà dell’attuale Iran, rappresentato come uno Stato crudele con una leadership fondamentalista. Non si tratta qui di cancellare la pena di morte dalla legislazione iraniana, come diceva qualcun’altro poc’anzi, ma di mettere in campo un ragionamento per verificare se non ci possono essere strade diverse per conseguire risultati magari migliori.
Non voglio farla lunga: gli Stati Uniti hanno la pena di morte e sono tra gli Stati che la utilizzano con una certa – non dico intensità – frequenza, oltre ad avere pene pesanti per altri reati. Ciononostante la criminalità negli Stati Uniti è in fortissimo aumento e credo che in Europa non ci sia la percezione di insicurezza che c’è negli Stati Uniti, pur considerate tutte le debolezze dell’Europa.
Credo che vada percorsa una strada diversa. Ad esempio, in materia di droga, voi dite che la pena di morte ci vuole perché il contrasto alla produzione ed al traffico della droga ha bisogno di strumenti fortissimi. Perché si produce e si contrabbanda droga? Per questioni ideali o politiche? Forse anche per questioni politiche, ma lo scopo principale è il guadagno. Allora bisogna colpire il guadagno.
Per certe mentalità o personalità è più forte la deterrenza di una vita passata nella povertà, in carcere, rispetto ad una vita conclusa, perché ogni giorno di quella vita passata in carcere è un giorno in cui si fa i conti con la propria difficoltà, con la propria povertà, con la propria privazione di libertà e di affetti e con la riprovazione sociale. Colpire i patrimoni e prendere la ricchezza che è stata accumulata con il traffico della droga è quindi la sanzione più forte, è la pena più forte, oltre a sanzioni molto severe dal punto di vista della privazione della libertà, perché ovviamente non possono essere presi e rimessi in libertà il giorno dopo.
So che è un argomento complicato, so che gli amici iraniani ascoltano, ma hanno anche i loro condizionamenti e problemi. C’è poi anche l’opinione pubblica, di cui dobbiamo tenere conto tutti quanti: in Italia, in Iran e nel mondo.
Sono mosso da un forte spirito di amicizia ed ho grande comprensione per i problemi che l’Iran sta affrontando in questo momento, compreso quello dell’energia, rispetto alla quale mi differenzio dal collega dei Verdi. Ritengo infatti che l’energia civile nucleare rappresenti un momento di autonomia, sia per i Paesi produttori di petrolio, sia per quelli che non sono produttori di petrolio, come l’Italia. C’è, certamente, un problema di sicurezza e c’è bisogno di investire molto nelle tecnologie ma, come ben sappiamo, anche altri sistemi di produzione di energia inquinano, distruggono il mondo eccetera, quindi si tratta di scegliere il meno peggio. Come in materia di sanzioni, dobbiamo scegliere il meno peggio. Dobbiamo avere il coraggio di affrontare questo problema anche in una dimensione più globale.
L’azione di contrasto non è efficace se ci sono squilibri, perché è come con l’acqua, che va nella direzione in cui è meno ostacolata.
Anche facendo delle politiche molto rigide non si ottiene il risultato principale, cioè quello di impedire che si realizzi un certo comportamento, a meno di accontentarsi che quel comportamento si sposti da casa nostra a casa d’altri. Certo, ogni Paese governa i suoi problemi, però una visione più globale dei problemi del mondo ci aiuterebbe anche a risolvere queste grandi tragedie della droga, del terrorismo ed anche della fame e dello squilibrio economico e sociale, che in molte parti del mondo, nessuna esclusa, esistono ancora.
LUCIANO VIOLANTE, Presidente della Commissione affari costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni. Do la parola all’onorevole Akuchakian.
MEHDI AKUCHAKIAN, Onorevole, rappresentante Iran. In nome di Dio onnipotente, ho ascoltato con interesse e vorrei soffermarmi su due punti.
In primo luogo, ci sono delle differenze nell’affrontare certi reati con la pena di morte. Se voi viaggiate, vedete che in certi Paesi, ai semafori, non c’è polizia: in Italia, per esempio, ci sono i vigili che controllano, perché c’è la volontà che la polizia abbia una presenza fisica, ma in Svizzera, a Berna in particolare, questo non avviene. Noi non possiamo decidere dove la polizia debba stare con la pattuglia e dove con le armi: bisogna adeguarsi alle diverse società e vedere le situazioni, considerando le diverse condizioni.
Per esempio, ci sono realtà dove i reati sono così pochi da poter essere affrontati senza prevedere questa pena, ma ci sono altre realtà, come da noi, dove abbiamo una frontiera di 1000 chilometri con l’Afghanistan, dove non abbiamo altra scelta, come ha detto il signor Moshiri, che punire usando la pena di morte, altrimenti avremmo la droga in tutti i Paesi, non solo da noi.
Il secondo punto concerne il modo in cui si guarda al problema. Certe volte si dice che la pena di morte toglie la vita ad un individuo, ma altri la considerano da un altro punto di vista. Per esempio, quando c’è stata la febbre della mucca pazza che, con questi microbi, ha ucciso parecchie persone, la soluzione è stata uccidere gli animali malati. Noi non consideriamo un uomo soltanto come un individuo, ma valutiamo anche il suo comportamento, la sua mentalità, il suo pensiero e, se è un uomo che sta facendo del male a migliaia di persone, ne teniamo conto.
Lei considererebbe un individuo come un essere umano se, per esempio, avesse ucciso 20 bambini? Lo considererebbe ancora un individuo, un essere umano? Che facciamo di lui? Lo teniamo per il futuro? Che cosa ci darà nel futuro? Penso quindi che sia una questione di punti di vista. Io non difendo la pena di morte. Se uccidono un piccolo uccello davanti a me, io mi sento male; tuttavia, occorre intraprendere certe strade, per garantire la salute e per la pulizia della società.
Naturalmente le culture sono diverse: ci sono differenze anche tra Europa e America, nonostante l’America siano culturalmente più vicine. Anche rispetto all’Oriente è così: ci sono delle differenze. Permetteteci di avere una visione diversa e non guardate a questo come a una violenza, ma pensate che noi consideriamo questo individuo un microbo pericoloso, che per noi è importante eliminare.
Ci sono state anche delle persone alle quali è stata data la possibilità di essere liberate per poco tempo ed esse hanno di nuovo commesso dei crimini. Non si deve permettere questo a delle persone che trafficano droga e che commettono crimini enormi. Per noi non sono esseri umani.
Un uccello nel quale entra un microbo, anche se è bello, deve essere eliminato per evitare che ne vengano in seguito eliminati migliaia. Per noi è dunque importante che un individuo che ha portato della violenza subisca una sanzione del genere, perché questo evita che moltissimi altri reati si ripetano nel tempo.
So di un uomo che, vicino a noi, è stato condannato; quando i suoi amici, che erano con lui, hanno visto ciò, hanno cambiato il loro modo di vivere e la loro condizione di vita.
Secondo noi ogni caso deve essere valutato in quanto situazione individuale e non si può parlare in generale.
Riteniamo che questo abbia evitato altri pericoli, ma questo non è un fatto matematico, non pensiamo cha valga dappertutto, come il fatto che 2 più 2 fa 4. È un fatto molto più complicato, molto più strutturato.
Anche noi non desideriamo che vi sia la pena di morte. Devo ribadire quanto hanno detto i nostri colleghi, ossia che ci sono dei processi lunghissimi e che si fa di tutto per evitare questa pena. Laddove però si valuti che, per la sicurezza della nostra società, è inevitabile arrivare a questo, a quel punto dobbiamo decidere. Grazie.
LUCIANO VIOLANTE, Presidente della Commissione affari costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni. Do la parola all’onorevole Hosseini.
SEYED MOHAMMAD MIR HOSSEINI, Rappresentante Iran. In nome di Dio, siccome mi rendo conto che è rimasto poco tempo, vorrei ribadire un punto sul quale siamo d’accordo tutti, ossia che bisognerebbe che vi fosse una pena, una sanzione capace di prevenire un ulteriore reato. Tutto quello che abbiamo detto.
Quella che riguarda la pena di morte non è una decisione, ma deve essere ben studiata, considerando anche tutti i fattori umani e psicologici. Prima di decidere di togliere questo tipo di pena, dobbiamo fare studiare il tema dagli esperti.
Voi dicevate che sono 68 i Paesi che utilizzano ancora la pena di morte, ovvero i Paesi islamici. Ebbene, è importante sapere che tipo di pena si può infliggere.
L’altro punto riguarda i diritti dell’uomo e i diritti dei Governi. Abbiamo parlato di diversi aspetti e vorrei aggiungere un’osservazione. Uno dei diritti che i Paesi hanno è quello di difendersi dal terrorismo, ma noi, per quanto riguarda la lotta al terrorismo, abbiamo delle critiche da fare all’Europa, perché c’è un’organizzazione che compie atti terroristici, che sia gli americani, sia gli europei, hanno considerato come un’organizzazione terroristica – mi riferisco all’MKO (Mujahedin-e Khalq Organization) – che però agisce tranquillamente e liberamente. Noi critichiamo i Paesi europei che lasciano che l’MKO possa essere liberamente attiva. Bisogna dunque considerare anche questo punto.
Abbiamo parlato del nucleare e dell’ambiente. È vero, ci sono delle situazioni in cui c’è un pericolo, com’è vero che anche un’automobile può creare dei pericoli, perché qualche volta, facendo un incidente, può uccidere delle persone. Dovremmo allora evitare che ci siano automobili in giro? Allo stesso modo, anche un terremoto può verificarsi.
Nella nostra Repubblica islamica noi abbiamo delle tecnologie molto aggiornate – le più recenti – ed usiamo ogni tipo di tecnologia per evitare che l’ambiente venga danneggiato.
Rispondendo poi a quanto diceva prima un collega, un altro punto a cui vorrei accennare è ancora legato alla conoscenza dell’Oriente da parte dell’Occidente: 1400 anni fa la religione islamica conosceva benissimo i diritti dell’uomo durante la guerra. Questo dovrebbe essere sviluppato e conosciuto. Avete parlato dei bambini e delle donne, ma nell’Islam si dice addirittura che anche i soldati, quando combattono, non hanno colpa. L’Islam ha previsto già da 1400 anni i diritti umani durante la guerra, non soltanto per i bambini e per la comunità civile, ma anche per i soldati: tutte cose che oggi non sono previste.
Inoltre nell’Islam, durante la guerra, non possiamo nemmeno danneggiare i campi coltivati del nostro nemico e non dobbiamo avvelenare la sua acqua: addirittura questo era previsto dall’Islam di 1400 anni fa! Mentre adesso ci sono le armi chimiche, all’epoca si diceva che non bisognava avvelenare l’acqua del nemico. Noi abbiamo quindi previsto i diritti umani nelle guerre già da allora. Quando Maometto ha vinto la guerra, ha detto che nessun musulmano può danneggiare le donne, i bambini e gli anziani. Questo, infatti, era il diritto della popolazione durante la guerra, che allora, già allora, veniva rispettato dalla comunità musulmana.
Forse conoscete il nostro primo Imam, Amir al Muminin, che è stato un martire e fu ucciso. Prima di morire, aveva chiesto di essere colpito una volta sola e non più volte, in modo che, se non fosse morto al primo colpo, avrebbe perdonato l’aggressore.
Se veramente l’Occidente cercasse di conoscere l’Islam, scoprirebbe che noi abbiamo anche molti aspetti ricchi ed importanti nella nostra Sharia, nelle nostre leggi musulmane, e vedrebbe così anche come siamo vicini, sotto certi aspetti.
LUCIANO VIOLANTE, Presidente della Commissione affari costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni. La prego di concludere il suo intervento, cui seguirà quello dell’onorevole Marcenaro. Alle ore 14,00 inizieranno i nostri lavori d’Aula, mentre voi dovete fare colazione ed andare poi a Firenze.
SEYED MOHAMMAD MIR HOSSEINI, Rappresentante Iran. Volevo dire solo che quello che lei ha raccontato della sua mamma è stato molto interessante per noi. Noi portiamo rispetto per sua madre che portava il fazzoletto: questa storia ci ha toccato molto.
Noi non possiamo avere questo comportamento. Una volta ci si comportava in un certo modo, poi abbiamo capito che si sbagliava. Noi abbiamo dei limiti, non possiamo decidere unilateralmente e dobbiamo quindi rifare delle ricerche, parlare, decidere, e trovare una strada che danneggi meno, che sia il meno peggio.
LUCIANO VIOLANTE, Presidente della Commissione affari costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni. Do la parola all’onorevole Marcenaro per le sue conclusioni.
PIETRO MARCENARO, Presidente del Comitato permanente per i diritti umani della Commissione affari esteri della Camera dei deputati. Ringrazio molto per il dibattito. Mi limiterò solamente ad alcune considerazioni e vorrei partire da quanto ha detto prima il collega Hosseini.
Quando noi sosteniamo che bisogna lavorare per individuare dei punti comuni, che costruiscano le condizioni di una nuova legittimità internazionale basata sul riconoscimento dei diritti umani, lo facciamo nella convinzione che in ciascuna delle nostre storie esistano i materiali che possiamo ritrovare e che possono aiutarci nel futuro. Nel nostro passato, come nel vostro, ci sono questi materiali: non è vero che i diritti umani appartengono solo ad una parte del mondo, perché questa tradizione sta in tutte le storie, in tutte le culture. Il problema di oggi consiste nel ritrovarla e nel farne il materiale di una ricerca e di un lavoro comuni, naturalmente insieme all’analisi dei cambiamenti e dei nuovi problemi che ci sono nel mondo in cui viviamo.
In questo c’è un punto molto delicato, perché ciascuno di noi è geloso della propria sovranità nazionale e pensa di avere il diritto di decidere a casa propria, ma dobbiamo domandarci se, nel mondo globale di oggi, questo sia davvero sufficiente. O se invece non dobbiamo rinunciare ciascuno a qualche parte della sua possibilità di decidere a casa propria, per metterla in comune e costruire le condizioni di un diritto internazionale nel quale tutti ci riconosciamo.
Come si fa a decidere insieme sulle cose che riguardano tutti, nel mondo contemporaneo? Questo è il grande problema di oggi, a mio parere, e riguarda il tema dei diritti umani.
In secondo luogo, sulla questione della pena di morte, vorrei dire al collega Akuchakian che, secondo me, ci vuole maggiore cautela, perché se noi consideriamo che si tratta di un problema di microbi, allora con i microbi è necessaria la prevenzione e se noi dovessimo entrare in quell’ordine di idee di pensare che ci sono i microbi nella società, dovremmo cercarli prima che compiano i delitti, ed eliminarli prima, ma in che strada ci metteremmo, se questa fosse la logica che noi dovessimo scegliere? Per questo io penso che ci voglia molta cautela prima di paragonare gli uomini ai microbi. Penso che ci vogliano molta cautela e molta attenzione.
Vorrei dire che le cose stanno cambiando. Faccio l’esempio di un grande Paese: nelle scorse settimane, negli scorsi mesi, la Repubblica popolare cinese, cioè il Paese che è di gran lunga il primo Paese al mondo per le esecuzioni capitali, ha preso delle decisioni molto importanti. Loro non la chiamano ancora moratoria ma, quando un Paese toglie il potere di condannare a morte ai tribunali locali e lo accentra solo nel tribunale nazionale, quando dà l’indicazione di non eseguire più le condanne a morte, anche quelle pronunciate, se non in casi di estrema ed assoluta necessità, per un Paese che esegue migliaia di condanne a morte, questo vuol dire che sta succedendo qualcosa. Nessuno può pensare che in un Paese di più di un miliardo di abitanti siano alcune decine di esecuzioni capitali, di condanne a morte, a determinare la sicurezza, l’ordine e la tranquillità rispetto ai pur gravi problemi.
Per questo noi sosteniamo la proposta della moratoria: perché pensiamo che attraverso quella proposta si possa dimostrare che ci sono altre vie ed altre soluzioni.
Vorrei ancora dire quanto segue: non è vero che la pena di morte riguarda i Paesi islamici, intanto perché ci sono Paesi non islamici – penso in primo luogo agli Stati Uniti – che applicano la pena di morte; e in secondo luogo perché ci sono Paesi islamici che non la applicano più. Il Marocco non applica più la pena di morte dal 1983, ed è un Paese sunnita. L’Azerbaigian, che è un Paese a totalità di religione sciita, ha abolito la pena di morte dal suo codice penale, come sapete bene perché è un Paese a cui siete molto vicini, per frontiere, per comunanza, per partecipazione. La Turchia, che è un Paese islamico, ha anch’essa abolito la pena di morte. Quindi anche nel mondo islamico esistono Paesi che hanno fatto scelte diverse.
Vorrei dire soltanto ancora un’ultima cosa. In un famoso discorso tenuto nel marzo del 1848 all’Assemblea costituente francese – quella che segnò il passaggio dall’impero prima, dalla monarchia poi, alla repubblica – Victor Hugo, un grande intellettuale europeo e un uomo di profonde convinzioni religiose, disse: «L’irrevocabile appartiene a Dio». Il punto è che la condanna a morte fa parte dell’irrevocabile e Victor Hugo diceva che quando gli uomini rubano a Dio l’irrevocabile e lo mettono nelle loro leggi, mettono su queste leggi un peso che esse non sono in grado di sopportare e che, prima o poi, ne mina l’equilibrio.
Lo dico perché anche nella tradizione europea – che è solo una delle tradizioni, pari alla vostra, con la stessa legittimità, né maggiore, né minore – esistono profondi motivi spirituali, oltre che politici, alla base della nostra posizione sulla pena di morte. Non esiste solo una valutazione di opportunità, che pure è molto importante, ma esistono anche forti radici spirituali. Non lo dico per convincervi, ma perché nella discussione e nel confronto teniate conto, perché ciascuno di noi tenga conto non solo che tutti abbiamo radici e abbiamo la politica, ma che abbiamo anche una spiritualità che muove e ispira le nostre posizioni e i nostri comportamenti.
Penso che ricordarlo sempre aiuti e non ostacoli il dialogo. Sono infatti convinto che il dialogo sia più forte se le convinzioni profonde si manifestano e si confrontano e non se invece viene solo illusoriamente ridotto alla sua facciata utilitaristica. Grazie.
LUCIANO VIOLANTE, Presidente della Commissione affari costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni. Colleghi, abbiamo così finito i nostri due giorni di lavoro. Naturalmente non è nelle nostre intenzioni condizionare o dare pareri sulle politiche del vostro Paese. Siamo legati da rapporti di amicizia e di questo si tratta. Abbiamo aumentato la nostra conoscenza nei vostri confronti, forse anche voi avete acquisito qualche elemento in più sul nostro modo di vedere le cose e sappiamo che dal confronto tra persone in buona fede, che hanno interessi, obiettivi e storie diverse, può nascere, senza dubbio, qualcosa di buono per il mondo, per il nostro Paese e per il vostro Paese.
Voglio aggiungere solo un piccolissimo argomento alle questioni che sono state affrontate e che già è stato in parte trattato, tanto dal presidente Marcenaro, quanto da altri colleghi che sono intervenuti.
Bisogna valutare che voi avete già una forma di moratoria sulla pena di morte perché, quando le condanne sono state pronunciate, la massima autorità del potere giudiziario può ancora decidere di non eseguirle. Questo è l’inizio di una valutazione che potrebbe anche essere considerata sulla strada della moratoria. Poi valuterete voi cosa è più utile e cosa è più giusto nel contesto in cui vi trovate, per carità.
Probabilmente avremo poi una seconda tappa di questi colloqui in Iran e valuteremo in che termini effettuarli, anche in relazione alle vostre elezioni politiche.
Sono stati due giorni di lavoro positivo, vi ringrazio molto e ci rivedremo. Do ora la parola al presidente Moshiri per un saluto finale.
MOHSEN KUHKAN, Onorevole, rappresentante Iran. Vorrei invitarla a Teheran, insieme al gruppo di amici. Più in là vi manderò questo invito per iscritto.
Vorrei proporre di fare assieme una cosa bella. Cerchiamo di illustrarvi le nostre motivazioni sulla pena di morte e di fare un referendum e presentarlo nel mondo.
SHAHRYAR MOSHIRI, Onorevole, rappresentante Iran. Vi ringrazio per l’ospitalità così cordiale che ci avete riservato e per il tempo che avete messo a nostra disposizione. Speriamo che questa cooperazione si protragga nel tempo. Non siamo tutti uguali nelle opinioni, gli esseri non sono tutti uguali, ma ciò fa sì che ci sia uno sviluppo nell’individuo, anche se vediamo una serie di cose da un punto di vista diverso, poiché ogni Paese ha una sua legge.
Vi auguro una bella giornata e mi auguro una cooperazione tra i due Parlamenti italiano e iraniano.
LUCIANO VIOLANTE, Presidente della Commissione affari costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni. Un grazie di cuore da parte di tutti quanti noi alle interpreti che hanno fatto un lavoro straordinario e faticosissimo: vi siamo davvero molto grati perché credo che senza di voi non ci saremmo capiti.
I lavori terminano alle ore 13,50.
RESOCONTO DELLA II RIUNIONE DELLA COMMISSIONE DI COOPERAZIONE PARLAMENTARE ITALIA-CINA
(Roma, 17 ottobre 2007)
RESOCONTO DELLA II RIUNIONE DELLA COMMISSIONE
DI COOPERAZIONE PARLAMENTARE ITALIA-CINA
(Roma, 17 ottobre 2007)
Presidenza del Presidente Pier Ferdinando C asini
I SESSIONE.I RAPPORTI POLITICI ED ECONOMICI TRA UE E CINA
PIER FERDINANDO CASINI, Presidente della parte italiana della Commissione di cooperazione parlamentare Italia-Cina, nonché Presidente dell’Unione Interparlamentare e Presidente della Fondazione della Camera dei deputati. Onorevole Chen Guangyi, Onorevole Yang Guoliang, Colleghi della delegazione cinese, Colleghe e Colleghi, anche a nome dei colleghi Francesco Colucci, Fulvia Bandoli, Marco Boato, Pierfrancesco Gamba, Paola Goisis, Giuseppe Ossorio, Erminio Angelo Quartiani e Franco Russo, componenti la parte italiana della Commissione, sono particolarmente lieto di dare il benvenuto nella sede della Camera dei Deputati alla delegazione cinese, guidata dall’amico Chen Guangyi, che accolse la delegazione italiana in occasione della prima riunione, svoltasi in Cina nel 2005, e dall’amico Yang Guoliang.
Prendono l’avvio oggi i lavori della seconda riunione della Commissione parlamentare di collaborazione italo-cinese, costituita in attuazione del protocollo bilaterale di collaborazione tra le due Assemblee siglato nel 2001, nel corso della XIII legislatura.Con la firma dell’Accordo istitutivo della Commissione si è voluto segnare l’inizio di una nuova e fattiva collaborazione tra i nostri due Parlamenti, nonché tra Italia e Cina. L’Accordo prevede, infatti, che la Commissione si riunisca con cadenza periodica, alternativamente nella Repubblica Popolare di Cina e nella Repubblica Italiana, per lo scambio di esperienze e il dialogo su temi di interesse comune.
Cina ed Italia sono Paesi tra loro diversissimi per storia, tradizioni, cultura. L’Italia è un piccolo paese con quasi 60 milioni di abitanti, a fronte di un miliardo e 300 milioni di cinesi, ed un territorio che è pari ad un trentaduesimo del territorio cinese, del continente cinese, eppure tra i nostri due Paesi c’è una tradizione di amicizia e di scambi reciproci, non solo commerciali ma anche culturali, che affonda le sue radici indietro nei secoli. Nel Medioevo, quando gli europei sentivano il bisogno di apprendere qualcosa sulla Cina, leggevano “Il Milione”, diario di viaggio di Marco Polo, che narra di questa nazione che appare ancora oggi misteriosa e perciò carica di fascino agli occhi di noi occidentali. Quattrocento anni fa Padre Matteo Ricci, conosciuto in Cina come Li Madou, aprì un nuovo capitolo nella storia degli scambi culturali tra la Cina e l’Occidente. Le lettere ed i diari di Ricci diedero agli occidentali una precisa conoscenza della Cina e la sua Mappa Completa del Mondo diede ai cinesi un quadro complessivo della conformazione del globo terrestre.
Venendo ad oggi, non posso non ricordare con orgoglio che l’italiano è la terza lingua straniera studiata in Cina. Questo testimonia il grande interesse che nel Vostro Paese si nutre per la nostra cultura, che rappresenta un importante settore di cooperazione. Nel 2006 si è ribadita la centralità della cooperazione culturale nell’ambito delle relazioni italo-cinesi: è stato infatti l’“Anno dell’Italia in Cina”, una grande vetrina di manifestazioni ed eventi italiani (concerti, mostre, esposizioni, convegni e seminari) di altissimo profilo culturale ed artistico. Altro importante indice di amicizia è rappresentato dalla presenza in Italia di una numerosa – e laboriosa - comunità cinese. Obiettivo dell’incontro odierno è quindi il rafforzamento delle relazioni parlamentari nel quadro delle già eccellenti relazioni che intercorrono tra i nostri Paesi.
Italia e Cina cooperano già in svariate organizzazioni multilaterali; in particolare, le nostre Assemblee si trovano a cooperare nell’ASEP, il versante parlamentaredel dialogo euroasiatico (ASEM). La stessa Camera dei deputati ha ospitato nell’ottobre 2002, a Venezia, la IV Riunione dei giovani parlamentari della fondazione euroasiatica, dedicata ai temi della mobilità e della globalizzazione, con particolare riferimento alle migrazioni internazionali ed allo sviluppo economico locale.
Vorrei ricordare, inoltre, che i rapporti bilaterali tra Italia e Cina hanno registrato negli ultimi anni un progresso significativo in termini di qualità e intensità a partire dalla visita in Italia nel maggio 2005 del Primo Ministro cinese, Wen Jiabao, che ebbi il piacere di incontrare qui come Presidente della Camera. Si è giunti quindi ad un partenariato strategico tra Italia e Cina e si è rafforzata la partnership italo-cinese articolata principalmente su quattro pilastri: cultura, economia, ambiente e sanità. Alla visita di Wen Jiabao seguì la visita di Stato in Cina del Presidente della Repubblica italiana dell’epoca Carlo Azeglio Ciampi, nel dicembre 2004, cui fece seguito quella del Ministro per gli Affari Esteri cinese Li Zhaoxing nel marzo 2005.
Lo scambio di visite è proseguito nella attuale legislatura: la prima visita all’estero del Presidente del Consiglio Romano Prodi, nel settembre 2006, ha riguardato proprio la Cina; ad essa ha fatto seguito quella del Ministro per gli Affari Esteri, Massimo D’Alema, nel novembre 2006. Io stesso, appena eletto Presidente dell’Unione Interparlamentare, mi recai ad Hong Kong nel dicembre 2005 – all’epoca ero ancora Presidente di questa Camera – per presiedere i lavori della Conferenza parlamentare sul WTO, svoltasi a latere della VI riunione ministeriale, e in tale occasione incontrai la Vice Presidente della dell’Assemblea Nazionale, Wuyun Qimuge, che avevo ricevuto qui alla Camera nelnovembre 2004. Nello scorso mese di agosto ho effettuato un viaggio nel Vostro meraviglioso Paese, nel corso del quale ho avuto modo di visitare, tra l’altro, Pechino e Shangai. In tutte queste occasioni ho ricevuto una calorosa accoglienza da parte degli amici cinesi ed è stata costantemente sottolineata l’esigenza di intensificare non solo i rapporti parlamentari, ma anche tra regioni e con i partiti politici italiani.
Venendo alla riunione odierna, desidero sottolineare l’importanza dei temi scelti. Ci occuperemo, in primo luogo, dei rapporti politici ed economici fra Unione Europea e Cina, che sono in continua evoluzione e destinati ad intensificarsi e rafforzarsi.Attualmente le relazioni tra l’UE e la Cina si svolgono sotto tre titoli principali: dialogo politico, inclusi i diritti umani; relazioni economiche e commerciali; cooperazione. Una quarta area è emersa di recente con riferimento ai dialoghi settoriali ed agli accordi in oltre in 20 aree diverse che vanno dalla protezione ambientale alla scienza e tecnologia e dalla politica industriale alla istruzione e la cultura. Ed è proprio l’ambiente, o meglio, come coniugare lo sviluppo industriale con la salvaguardia dell’ambiente, il nostro secondo tema di discussione. Ci si trova nella necessità di prevedere un assetto post-Kyoto, che rimedi, almeno in parte, agli errori del passato e predisponga un piano che limiti le emissioni di carbonio consentendo al contempo lo sviluppo. Si tratta di una problematica che pone alle Nazioni Unite una nuova sfida e che rappresenterà per queste, già a partire dalla Conferenza delle Parti del prossimo dicembre, l’occasione per dimostrare se siano realmente in grado di farsi interpreti degli interessi e delle necessità primarie dei popoli. Con l’ultimo tema, “La tutela legislativa delle minoranze etniche”, affrontiamo tematica quanto mai aperta nella società moderna, che si fa sempre più multietnica ed in cui il problema dell’integrazione delle minoranze investe la sensibilità di tutti e la nostra responsabilità di legislatori. Infine, vorrei rivolgere un sincero augurio ai colleghi della delegazione cinese: sono in corso, infatti, i lavori del diciassettesimo congresso del Partito, iniziati lo scorso 15 ottobre. Le decisioni che si stanno assumendo in quella sede non potranno non interessare l’intero pianeta. Un vivo augurio per un brillante esito dei lavori. Con l’auspicio che l’incontro di oggi rappresenti l’occasione per intensificare e rafforzare ulteriormente i rapporti tra i nostri Paesi, apro i lavori della Seconda riunione della Commissione di collaborazione italo-cinese e do la parola al collegaChen Guangyi, che guida la delegazione dell’Assemblea Nazionale cinese.
CHEN GUANGYI, Presidente della parte cinese della Commissione parlamentare di collaborazione Italia-Cina, nonché Presidente della Commissione affari Cinesi d’Oltremare e Presidente del Gruppo di Amicizia Cina-Italia. L’incontro è un’importante occasione per rafforzare la cooperazione politica a tutti i livelli e rafforzare la fiducia e la comprensione reciproche. Questa di Roma è la II riunione della Commissione di collaborazione parlamentare tra Italia e Cina. Nel corso della riunione precedente, tenutasi a Pechino nel 2005, sono state esaminate molte questioni e la discussione è stata calorosa e proficua. In quell’occasione, in particolare, è stata riscontrata l’utilità della discussione e della conoscenza reciproca. Il Presidente Casini ha inoltre avuto modo di visitare la Cina recentemente in qualità di Presidente dell’UIP. Nella nostra delegazione ci sono esperti delle varie questioni che saranno trattate. Sono convinto che, con l’appoggio del Presidente Bertinotti e del Presidente Casini, potremo avere un pieno successo anche in questa riunione.
Concordo pienamente con quanto affermato dal Presidente Casini: la Cina e l’Italia sono Paesi amici, la cui amicizia risale a tempi remoti. Dal 1970, anno in cui sono iniziati i rapporti diplomatici, le nostre relazioni hanno conosciuto fasi felici e proficue. Negli anni recenti sono stati frequenti gli scambi di visite. Nel 2004 è stato creato un partenariato strategico e creato un comitato intergovernativo. La visita del Presidente della Repubblica, Ciampi, nel 2004, e del Primo Ministro, Prodi, nel 2006, hanno ulteriormente migliorato i nostri rapporti. Oggi l’Ue è il primo partner commerciale per la Cina. L’interscambio ammonta a 270 miliardi di dollari (+25% rispetto all’anno precedente). Il volume dell’interscambio tra Italia e Cina ammonta a 24 miliardi di dollari (+36% rispetto all’anno precedente). Nel 1970 l’interscambio tra i nostri due Paesi era pari a 100 milioni di dollari. Nei primi otto mesi del 2007, l’interscambio è stato pari a 20,8 miliardi di dollari, che fanno dell’Italia il quarto partner commerciale in ambito Ue. L’Italia è il quinto investitore in Cina, sempre in ambito Ue. Ue e Cina intrattengono rapporti dal 1975 ed è stata riconosciuta di recente la necessità di fissare un incontro periodico. Nel 2004 è stato inoltre stabilito di dare vita ad un partenariato ed attualmente sono in corso i negoziati.
La Cina appoggia il processo di integrazione in corso in Ue ed auspica un suo ruolo più incisivo in campo internazionale. Auspichiamo, inoltre, la fine del bando al commercio delle armi. Oggi 76 Paesi hanno riconosciuto l’economia di mercato attualmente presente in Cina, economia che l’ha resa il secondo partner commerciale dell’Ue. Confidiamo nel fatto che, in futuro, questi rapporti possano essere ulteriormente intensificati. Sono passati 29 anni da quanto sono state introdotte le riforme di Deng Xiaoping che hanno dato alla Cina una nuova forma per lo sviluppo del socialismo. Da allora la crescita è stata impetuosa. Il volume dell’import-export è passato da 20,6 miliardi di dollari a 1760, 7 miliardi di dollari. La popolazione povera è scesa drasticamente da 250 a 20 milioni. Anche nel 2007 la crescita è stata vicina al 10%. Nonostante tale sviluppo, la Cina resta ancora un grande paese in via di sviluppo. Con 2.000 dollari di reddito pro capite annui, non rientra fra i primi centro Paesi in ordine di ricchezza. Pertanto, dobbiamo ancora compiere grandi sforzi per raggiungere i Paesi a fascia di reddito media. In questi giorni è in corso nel nostro Paese il XVII Congresso del PCC, il cui obiettivo è quello di incitare il popolo cinese a progredire economicamente.
Poniamo anche grande attenzione allo sviluppo del sistema giuridico. In tale ambito, sono state più di 200 le leggi recentemente elaborate dall’Assemblea del Popolo. Stiamo mettendo a punto un programma per garantire le autonomie e le minoranze etniche. La nostra Costituzione garantisce le libertà ed i diritti dei cittadini e la Cina ha aderito a tutte le convenzioni internazionali riguardanti le donne, i minorenni e gli anziani. Sono state create leggi per conciliare il sistema socialista con le libertà individuale.
La questione di Taiwan riguarda il sentimento nazionale e gli interessi fondamentali della Cina. Taiwan è parte del territorio cinese e noi vogliamo favorire una riunificazione pacifica sulla base del principio “un Paese, due sistemi”. Inoltre, la questione di Taiwan riguarda la stabilità di tutta la regione, ed al momento la situazione nello stretto è assai grave e in via di peggioramento. Il motivo principale è dato dal fatto che Taiwan è in procinto di modificare la propria Costituzione per arrivare all’indipendenza ed all’adesione all’ONU. In parole povere, vogliono separare Taiwan dal territorio cinese. La 66ma Assemblea delle Nazioni Unite ha già rifiutato di appoggiare l’indipendenza di Taiwan per la quindicesima volta. La maggior parte del mondo, pertanto, si oppone all’indipendenza dell’isola, ma questo non basta a spegnere le ambizioni del Governo di Taiwan. Sia ben chiaro che su tale questione la Cina non è disposta a negoziare e non accetterà la separazione da Taiwan, in alcun modo. Ogni tentativo sarà destinato a fallire. Ringraziamo quindi il Governo italiano per l’appoggio che ci sta dando.
Relativamente alla questione del Tibet, speriamo i deputati italiani conoscano la verità sulle ambizioni secessioniste del governo del Dalai Lama. Il nostro Governo intrattiene rapporti con il Dalai Lama, anche se questi non riconosce che il Tibet è parte del territorio della Cina. Vorrebbe dare vita ad una “grande regione tibetana” estesa anche alle province limitrofe. Nel complesso, si tratta di un territorio pari a 2.000.000 di Kmq, ovvero un quinto della Repubblica Popolare. Inoltre il Dalai Lama non riconosce il nostro sistema politico. Per tali motivi, non possiamo accettare la sua propaganda e la sua azione. Speriamo che non sia più ricevuto dal Parlamento italiano e non sia più ricevuto ed appoggiato a livello ufficiale. Abbiamo migliorato i collegamenti tra il Tibet ed il resto della Cina con nuovi voli aerei ed una ferrovia. Speriamo che i nostri colleghi italiani possano visitare presto il Tibet per constatare i progressi fatti.
CASINI Alcune delle vostre visioni non le condividiamo, ad ogni modo tra amici veri non bisogna avere paura delle differenze reciproche.
GAMBA, Relatore per la parte italiana.Nel contesto della globalizzazione, che ha visto l’intensificarsi delle relazioni tra l’Unione europea ed i Paesi terzi, particolare interesse meritano i rapporti con la Cina, per la fitta rete di scambi commerciali, culturali e politici, che si è andata consolidando nel corso degli ultimi decenni. I versanti della collaborazione tra Europa e Cina sono molteplici: essa, infatti, è finalizzata sia ad intensificare i rapporti commerciali ed i flussi di investimenti, nell’ottica di una cooperazione strategica sulla scena internazionale, sia a realizzare un’effettiva tutela del mercato europeo, sia infine ad aiutare la Cina ad affrontare le nuove sfide sul fronte della sostenibilità, tanto ambientale quanto sociale.
Com’è noto, la base giuridica dei rapporti tra UE e Cina è tuttora rappresentata dall’Accordo di Cooperazione e Commercio firmato nel 1985, che, in sostituzione di un precedente accordo del 1978, copre le relazioni economiche e commerciali nonché i programmi di cooperazione UE-Cina. Parallelamente, il dialogo politico, formalizzato nel 1994 e rafforzato mediante uno scambio di lettere nel giugno 2002, si è articolato nel corso degli anni in una serie regolare di incontri a diversi livelli (ministri degli affari esteri, capi missione, alti funzionari). Vertici a livello di Capi di Stato si tengono annualmente a partire dall’aprile 1998. Da ultimo, nel corso del Vertice bilaterale, tenutosi a Helsinki il 9 settembre 2006, UE e Cina hanno deciso di avviare i negoziati per un accordo quadro di partenariato e cooperazione, che possa ampliare la natura puramente commerciale delle relazioni con Pechino ad altri importanti settori di cooperazione, quali immigrazione, lotta al terrorismo, tutela dei diritti umani, non proliferazione nucleare.
La complessiva strategia dell’Unione europea nei confronti della Cina è stata definita, a partire dal 1995, da una serie di comunicazioni: mi soffermo, in particolare, su quella del settembre 2003 “Un partenariato sempre più maturo – sfide e interessi comuni nell’ambito delle relazioni UE-Cina”, con la quale l’Unione Europea ha posto le basi per una cooperazione più stretta. Sono stati così individuati quattro settori prioritari per le iniziative future: l’integrazione della Cina nella comunità internazionale; il sostegno alla transizione della Cina verso una società aperta; l’integrazione della Cina nell’economia mondiale; il rafforzamento dell’immagine dell’Unione Europea in Cina. In tale contesto, va collocata l’adozione della successiva comunicazione del 24 ottobre 2006 “UE – Cina: maggiori responsabilità nell'ambito di un partenariato più forte”, con la quale la Commissione europea ha delineato un ambizioso programma di lavoro per le future relazioni UE-Cina, in risposta al riaffermarsi di tale Paese come potenza economica e politica mondiale. Dalla comunicazione emerge che la strategia dell'UE nei confronti della Cina rimane incentrata sull'impegno e sul partenariato strategico. L'iniziativa definisce un'impostazione globale, imperniata sul sostegno alla transizione della Cina verso una società più aperta e pluralistica; sullo sviluppo sostenibile, compresa la cooperazione con la Cina per le questioni energetiche, i cambiamenti climatici e lo sviluppo internazionale; sul commercio e le relazioni economiche, il rafforzamento della cooperazione bilaterale, anche in campo scientifico e tecnologico, e la migrazione; sulla promozione della sicurezza internazionale nell'Asia orientale e nel resto del mondo ed una cooperazione più vasta in materia di non proliferazione. Completa la strategia un documento programmatico sul commercio e gli investimenti tra l’UE e la Cina, che individua determinate priorità, tra cui spicca l’attuazione da parte della Cina degli obblighi OMC, la lotta al trasferimento forzato di tecnologia, alla pirateria e alla contraffazione, la riforma del sistema bancario cinese e l’utilizzazione - se necessario - di misure antidumping e sovvenzioni. Del resto, come evidenziato anche dal Commissario per le relazioni esterne e la politica di vicinato, Benita Ferrero-Waldner, all’indomani dell’adozione della comunicazione, per far fronte ai principali problemi dell'Europa - come i cambiamenti climatici, la crescita economica, la migrazione e la sicurezza internazionale – è necessario sfruttare appieno il potenziale offerto da un rapporto dinamico con la Cina, unendo le forze per trovare insieme una soluzione ai problemi mondiali attuali.
A fronte di questo quadro generale, è necessario soffermarsi su alcuni aspetti specifici, primo fra tutti quello dei rapporti commerciali. Al riguardo, desidero sottolineare che la politica commerciale dell’Unione europea verso i paesi terzi in generale, pur essendo sostanzialmente finalizzata a favorire lo sviluppo del commercio mondiale, attraverso l’abolizione progressiva delle restrizioni agli scambi e la riduzione delle barriere tariffarie, prevede altresì meccanismi di tutela, in grado di assicurare il rispetto delle regole di concorrenza tra imprese che operano nel commercio internazionale. In merito al primo aspetto, ricordo come l’Unione europea sia il primo partner commerciale della Cina dal 2004 e rimanga uno dei maggiori investitori stranieri nel Paese. Reciprocamente, la Cina è divenuta, a partire dal 2002, il secondo partner commerciale non europeo dell’UE dopo gli Stati Uniti. Inoltre, un dato interessante riguarda gli scambi bilaterali tra l’UE e la Cina, che risultano aumentati di circa 60 volte dal 1978 al 2006, raggiungendo un volume di 254 miliardi di euro nel 2006.
L’UE ha sostenuto la Cina nel processo di adesione all’Organizzazione mondiale del commercio (OMC), conclusosi nel 2001, dopo 15 anni di negoziati. L’accordo bilaterale UE-Cina firmato a Pechino a maggio del 2000, insieme all’accordo bilaterale Stati Uniti-Cina del novembre 1999, hanno rappresento le pietre miliari del processo di adesione all’OMC. A questo proposito, segnalo che nel 2004 è stato avviato un importante programma di cooperazione tra Unione Europea e Cina per fornire sostegno all’integrazione del paese nell’economia mondiale. Il programma, co-finanziato (con 15 miliardi di euro dall’UE e 5 dalla Cina) per la durata di cinque anni, ha l’obiettivo di assistere il governo cinese nell’attuazione degli obblighi derivanti dall’adesione all’OMC, attraverso sessioni di formazione, elaborazione di studi di impatto, analisi e ricerche, individuazione di soluzioni personalizzate per problemi specifici.
L’Unione Europea intende inoltre sostenere la Cina nell’adeguamento alle regole del commercio internazionale, anche attraverso lo sviluppo di diversi dialoghi settoriali in aree economiche ritenute prioritarie, quali quella commerciale, della concorrenza, della politica industriale e della tutela di diritti di proprietà intellettuale. In merito al secondo versante, quello cioè della tutela della concorrenza nel contesto del commercio internazionale, invece, mi preme sottolineare che i meccanismi di tutela, predisposti dall’Unione Europea, hanno la finalità di rimuovere gli effetti distorsivi delle operazioni di concorrenza sleale da parte di imprese dei Paesi terzi, ripristinando un’effettiva concorrenza sul mercato comunitario. A tal fine, l’Unione si muove essenzialmente attraverso misure antidumping e di salvaguardia. Le prime vengono adottate allorché siano importati, da parte di imprese di paesi terzi, nell’ambito del mercato dell’Unione Europea, prodotti a prezzi inferiori al prezzo di vendita sul mercato d’origine della merce. Qualora si verifichi la sussistenza di tali condizioni, la Commissione propone l’applicazione di dazi a tutte le imprese esportatrici del Paese da cui proviene la merce in dumping. Le misure di salvaguardia, invece, vengono attivate in presenza di un grave danno alle imprese comunitarie, derivante da sensibili alterazioni del mercato, principalmente causate da improvvisi e consistenti flussi di importazioni, tali da non permettere ai produttori dell’UE di riorganizzare la produzione per contrastarne l’impatto. Tali misure sono state di recente usate anche nei confronti della Cina, ma sono in via di superamento grazie alla costante attività di collaborazione tra la Commissione europea e le autorità di questo Paese. In particolare, a partire dal gennaio 2005, con la scadenza dell’accordo OMC “Multi fibre” relativo ai tessili ed all’abbigliamento e la conseguente eliminazione dei contingenti sulle importazioni del settore, è stato registrato un aumento incontrollato delle esportazioni cinesi nel territorio dell’Unione europea. La Commissione ha, quindi, fatto ricorso agli strumenti previsti dalla normativa comunitaria, consentendo l’applicazione delle clausole di salvaguardia.
Come già evidenziato, preziosa si è rivelata la cooperazione con le autorità cinesi: si è, infatti, tempestivamente attivato un meccanismo di contatti costanti tra il Commissario per il commercio estero, Peter Mandelson, e il ministro cinese per il commercio estero, che hanno portato a risolvere la questione in via negoziale, attraverso l’accordo del 10 giugno 2005. Con tale accordo l’Unione europea e la Cina hanno stabilito limiti alle importazioni tessili dalla Cina nel mercato comunitario fino al dicembre 2007 per dieci categorie individuate come rilevanti, prevedendo tassi transitori di crescita delle esportazioni cinesi nel territorio dell’UE per il periodo 2005-2007. La collaborazione Unione Europea-Cina non si è fermata a questa soluzione, ma ha verificato la possibilità di individuare strumenti migliori: il 9 ottobre 2007 il Commissario europeo e il ministro cinese hanno concordato di instaurare un sistema di monitoraggio congiunto nel settore tessile, che opererà nel corso del 2008. Tale sistema prevede una doppia sorveglianza, sia per quanto riguarda le autorizzazioni all’esportazione rilasciate in Cina sia per quanto riguarda l’importazione dei beni nell’Unione europea, permettendo di rilevare qualsiasi improvviso aumento delle esportazioni cinesi tessili nell’UE e di attivare, quindi, rapidamente misure di salvaguardia.
Altra questione specifica, su cui intendo soffermarmi, è quella dei diritti umani. Anche in questo campo, il dialogo Unione Europea-Cina si è rivelato proficuo. Il rispetto dei diritti umani è stato, infatti, uno dei temi principali delle relazioni con il Paese asiatico, a partire dai fatti di piazza Tian’anmen del 1989. Il dialogo formale, proseguito con alterne vicende a partire dal 1996, trova oggi una sede costante di confronto nelle riunioni che si tengono due volte l’anno e che si incentrano su questioni quali: la pena di morte, le condizioni di reclusione, la cooperazione con gli organismi ONU per la difesa dei diritti umani, la ratifica della Convenzione internazionale dell’ONU sui diritti civili e politici, la libertà di espressione, associazione e religione e il rispetto dei diritti delle minoranze. Da ultimo, nell’ambito dell’incontro del 15 e 16 maggio scorsi, l’Unione Europea ha manifestato la propria preoccupazione per diversi aspetti della situazione dei diritti umani in Cina, tra i quali la mancanza di processi equi e l’alto numero di condanne a morte. In via generale, comunque il Consiglio ha riconosciuto come la Cina abbia compiuto notevoli progressi per lo sviluppo socioeconomico e per il rafforzamento dello Stato di diritto, esortando al contempo il Paese a garantire un'effettiva attuazione di siffatte misure. Anche il Parlamento europeo si è espresso sull’argomento, in una risoluzione del 6 settembre 2007, rilevando l'esigenza di rafforzare e migliorare considerevolmente il dialogo Unione Europea-Cina sui diritti umani e sottolineando che la situazione dei diritti umani in Cina richiede tuttora notevole attenzione. A tal fine, invita la Cina e l'UE a moltiplicare le occasioni di scambio reciproco di informazioni e strategie sulla difesa dei diritti umani, osservando che una sempre maggiore domanda di democrazia e diritti umani proviene dalla stessa popolazione cinese. In ogni caso, il Parlamento ritiene prioritario mantenere un collegamento tra le politiche commerciali dell’Unione ed il dialogo sui diritti umani di modo che una valutazione di tale situazione diventi pregiudiziale al perfezionamento del nuovo accordo quadro di cooperazione e partenariato. Per quanto riguarda, poi, nello specifico, la questione della pena di morte, ricordo che l’UE è da sempre attiva sullo scenario internazionale per favorirne l’abolizione. Da ultimo, il 18 giugno 2007, il Consiglio ha dato mandato alla Presidenza di turno dell’Unione europea di elaborare e presentare, in cooperazione con l'Italia, all'Assemblea generale delle Nazioni Unite un testo di risoluzione su una moratoria internazionale in materia di pena di morte, il cui progetto dovrebbe essere presentato in questi giorni. In conclusione, ricordo che nella scorsa legislatura la XIV Commissione Politiche dell’Unione europea ha svolto un’indagine conoscitiva sulle iniziative comunitarie per rafforzare la competitività del sistema produttivo europeo, anche alla luce dei crescenti rapporti commerciali tra Europa e Asia. Come evidenzia anche il documento conclusivo dell’indagine, approvato in quella occasione (22 settembre 2005), ritengo necessario che a fronte della dimensione epocale dei mutamenti nella struttura dell'economia mondiale, avviati con l’espansione delle economie asiatiche, l'Europa dovrebbe adoperarsi affinché lo sviluppo economico di tali Paesi si coniughi con una parallela crescita delle tutele sociali, subordinando il dialogo con essi al rispetto dei diritti umani, dei diritti dei lavoratori, di tutela dell'ambiente, ed intervenendo, laddove necessario, a difesa dei marchi e a tutela della qualità dei prodotti europei. Peraltro, l'allargato insieme di relazioni commerciali, derivante dai nuovi assetti economici mondiali, contiene notevoli opportunità di crescita anche per i Paesi europei, che appare indispensabile cogliere.
La Cina ha, infatti, raddoppiato il proprio prodotto interno lordo negli ultimi dieci anni, fenomeno mai verificatosi prima in un periodo di tempo così breve. Inoltre, su una popolazione di 1 miliardo e 300 milioni di persone, vi è una classe media di circa 400 milioni di persone, che risultano avere uno stile di vita proprio della cosiddetta “società affluente”, in grado quindi di acquistare beni di consumo in misura notevole. Si tratta pertanto di un mercato, con una significativa capacità di acquisto, paragonabile a quello di una larga fetta dell’Europa o degli Stati Uniti. A tal fine, la transizione storica attuale sembra postulare una riorganizzazione complessiva della divisione internazionale del lavoro, nella quale l'Europa dovrebbe realizzare una trasformazione del proprio modello di specializzazione verso settori (quali ad esempio, quelli degli aerei, treni, telefoni cellulari, strumenti ottici di precisione, biotecnologie) in grado di generare domanda presso gli stessi paesi emergenti, i cui elevati potenziali di reddito possono rappresentare un importante volano per la crescita delle economie europee.
YANG GUOLIANG, Relatore per la parte cinese.Taiwan vuole cambiare la Costituzione. Il referendum e le elezioni politiche sono previste a breve. Il Dalai Lama non è un semplice leader religioso, ma un politico che si batte per separare il Tibet dal resto della Cina. Speriamo che possa abbandonare tali posizioni. La Cina sa di poter contare sul sostegno dell’Italia, che considera il Tibet parte del territorio cinese. Italia e Cina hanno ottimi rapporti e potrebbero essere di esempio per altri Paesi. In ambito internazionale, entrambi i Paesi sono a favore del multilateralismo, del ruolo delle Nazioni Unite. In ambito economico, tra Cina e Italia esistono interessi comuni, dettati dal fatto che le loro due economie sono complementari. Dobbiamo rendere la nostra partnership più solida e duratura. La conoscenza reciproca non può che giovare alla cooperazione. La crescita della Cina dipende dalla vastità del suo mercato interno, ma anche dal fatto che ha saputo aprirsi verso i mercati esteri. L’intensificazione e l’aumento del commercio bilaterale non possono che giovare ad entrambe le parti. Obiettivo della Cina è lo sviluppo pacifico, in quadro globale contraddistinto dalla stabilità.
CASINI Onorevoli colleghi, ho il piacere di annunciarvi che il Commissario europeo per le relazioni esterne, signora Benita Ferrero-Waldner, oggi alla Camera per un’audizione presso la Commissione Affari esteri, verrà a porgerci un saluto questo pomeriggio. Si tratta di un atto di cortesia da parte del Commissario, pertanto, non essendovi obiezioni, ritenga possa rimanere così stabilito.
Presidenza dell’onorevole Marco Boato
II SESSIONE.AMBIENTE E POLITICHE DI SVILUPPO INDUSTRIALE
JIANG CHENGSONG, Relatore per la parte cinese.Negli ultimi venti anni la crescita della Cina è stata di un 10% medio annuo. Questo ha comportato il fatto che il Paese sia affetto da tutti i problemi legati all’industrializzazione, primo fra tutti, l’inquinamento, che in Cina ha raggiunti livelli notevoli, per quanto riguarda sia i fiumi che l’aria nelle metropoli. Accanto a questi danni, dobbiamo affrontare anche il problema delle piogge acide, dell’inquinamento costiero e nucleare. Le riserve forestali hanno conosciuto una rilevante diminuzione. Il quadro che si prospetta in futuro, almeno dal punto di vista ambientale, non è incoraggiante, dal momento che nei prossimi 15 anni è prevista una crescita costante della popolazione ed un raddoppio dell’economia nel suo complesso. Abbiamo deciso di fronteggiare il problema ponendo la massima attenzione su alcuni aspetti: uguale attenzione nei confronti dello sviluppo e della protezione ambientale; predisposizione di una legislazione adeguata e impiego delle tecnologie più efficaci a disposizione; stanziamento di mezzi finanziari adeguati, vigilanza sui fenomeni e sul rispetto delle leggi, valutazione dell’impatto dello sviluppo sull’ambiente e valutazione.
Fino al 2010 abbiamo intenzione di frenare l’inquinamento e di porre il massimo impegno nella ricostruzione dell’ambiente preesistente. In tal senso, per fare un esempio, è stato deciso di portare dal 18,2% al 20% l’estensione delle aree forestali. Inoltre l’1,5% del PIL sarà destinato alla salvaguardia dell’ambiente. Lo sforzo per adeguare la legislazione è perseguito sia a livello centrale sia a livello locale. Nel 2006 la crescita del PIL cinese si è aggirata intorno al 10%, ma nello stesso arco di tempo i consumi di energia sono aumentati solo del 6%. Sensibili diminuzioni si sono verificate anche nelle emissioni di anidride carbonica. A Pechino, rispetto a dieci anni fa, i giorni di inquinamento atmosferico a livelli critici si sono praticamente dimezzati. Le priorità, l’impegno del Governo cinese in materia di salvaguardia ambientale sono stati ribaditi anche nel corso dell’ultimo Vertice APEC tenutosi a Sidney in settembre.
La Cina aspira ad una piena indipendenza in campo energetico, dal momento che può disporre di riserve di carbone e petrolio. Grande attenzione viene inoltre rivolta alle fonti di energia rinnovabile, ma resta ancora molto da fare in questo settore, nel quale la Cina dovrà impegnarsi molto per sfruttare a pieno le proprie potenzialità. Al momento, comunque, in campo energetico le priorità della Cina sono costituite dallo sfruttamento dei bacini carboniferi e dal risparmio energetico.
QUARTIANI, Relatore per la parte italiana.Nel 2005 la Commissione europea ha definito per la prima volta un approccio integrato alla politica industriale basato su un programma di lavoro concreto di iniziative orizzontali e settoriali e diretto a garantire un mercato interno efficiente e mercati aperti e concorrenziali nel mondo e rispondere alle sfide ambientali; nello stesso anno la Commissione ha rivisto la strategia per lo sviluppo sostenibile adottata nel 2001.Nell’ambito della politica europea per lo sviluppo sostenibile, l’Italia, nel 2002, ha approvato la “Strategia d'azione ambientale per lo sviluppo sostenibile in Italia”, che conferma la volontà nazionale di conformarsi al nuovo cammino europeo e internazionale a favore della sostenibilità. L’impegno dell’Italia per lo sviluppo sostenibile è stato recentemente ribadito nel Rapporto 2007 (redatto nell’ambito della Strategia europea per lo sviluppo sostenibile) “quale fattore prioritario di scelta anche al fine di ridurre le disomogeneità territoriali”.
Specifiche misure per dare concreta attuazione al principio dello sviluppo sostenibile sono state, da ultimo, adottate con la legge finanziaria 2007. Tale provvedimento, da un lato, ha istituito un nuovo fondo per lo sviluppo sostenibile allo scopo di finanziare progetti per la sostenibilità ambientale di settori economico-produttivi o aree geografiche, l'educazione e l'informazione ambientale e progetti internazionali di cooperazione ambientale sostenibile; dall’altro, ha dedicato particolare attenzione al settore dell’energia e a quello dei trasporti, dando in particolare impulso ai programmi di mobilità sostenibile e agli incentivi ai biocarburanti. La medesima legge finanziaria ha inoltre istituito un Fondo rotativo per l'erogazione di finanziamenti a tasso agevolato per l’incentivazione di misure per l’attuazione del Protocollo di Kyoto, ratificato dall’Italia nel 2002. Il perseguimento degli obiettivi di riduzione delle emissioni previsti dal Protocollo rappresenta, infatti, uno dei pilastri delle attuali politiche nazionali e comunitarie per lo sviluppo sostenibile. In proposito, si sottolinea come le tematiche relative ai cambiamenti climatici siano state recentemente al centro del dibattito parlamentare. Nel mese di settembre l’Assemblea della Camera ha discusso una relazione predisposta dalla Commissione Ambiente a seguito di un’intensa attività istruttoria, nel corso della quale sono state svolte numerose audizioni di rappresentanti del Governo, esponenti del mondo economico, scientifico, delle istituzioni locali, delle associazioni ambientaliste, del mondo imprenditoriale e della ricerca. La relazione della Commissione Ambiente ha, in particolare, sottolineato l'importanza, per l'Italia, di affrontare un cambiamento radicale delle politiche nazionali, assumendo gli interventi in materia di cambiamenti climatici come un «pilastro» degli indirizzi politici generali, in modo da dotarsi di una politica economico-energetica stabile e di lungo periodo, oltre che robusta e strutturata, capace di dare risposte positive alla necessità di combattere i cambiamenti climatici e, al tempo stesso, di gestire in modo eco-efficiente - e a prezzi adeguati - le risorse energetiche. Essa ha individuato gli obiettivi primari dell'elaborazione di un DPEF e di una manovra finanziaria politicamente all'altezza della sfida posta dai cambiamenti climatici e coerenti con il principio fondamentale di sostenibilità ambientale, nonché la necessità di riesaminare l'intera organizzazione dello Stato e della Pubblica Amministrazione, anche sotto il profilo della sostenibilità ambientale, valorizzare i processi di partecipazione democratica al riguardo e coinvolgere, nella definizione delle linee di intervento per la protezione del clima, tutti i diversi livelli istituzionali della Repubblica, le componenti economico-sociali e i cittadini, sulla base dei principi di sussidiarietà verticale e orizzontale. Gli orientamenti e le proposte contenute nella relazione sono stati confermati nella risoluzione approvata al termine del dibattito, quali impegni nei confronti del Governo ai fini della definizione delle politiche a livello nazionale e internazionale in tema di cambiamenti climatici e delle future iniziative anche di carattere normativo. Un fondamentale ruolo ai fini della riduzione delle emissioni e della realizzazione dei principi di sostenibilità ambientale è attribuito, nella politica nazionale e comunitaria, da un lato, alle fonti energetiche rinnovabili, dall’altro al risparmio e all’efficienza energetica nei consumi.
Con riferimento al primo profilo, il principale sistema di incentivazione è rappresentato dal meccanismo dei cosiddetti “certificati verdi” che si traduce nell’obbligo, posto a carico dei produttori ed importatori di energia elettrica prodotta da fonti non rinnovabili, di immettere nella rete elettrica, a decorrere dal 2002, una quota minima di elettricità prodotta da impianti alimentati a fonti rinnovabili entrati in esercizio dopo il 1999. Nella produzione normativa più recente, specifiche disposizioni per incentivare la produzione di energia da fonti rinnovabili sono state introdotte nella legge finanziaria 2007. Con riferimento al secondo profilo, si richiama, in primo luogo, il meccanismo dei cosiddetti “certificati bianchi” - ovvero la creazione di un mercato dei titoli di efficienza energetica, attestanti gli interventi realizzati – la cui regolazione attuativa e gestione spettano all’Autorità per l’energia elettrica e il gas.
Si ricordano, inoltre, le specifiche disposizioni contenute nella finanziaria 2007 e, in particolare, gli incentivi per la rottamazione degli autoveicoli, le agevolazioni fiscali in materia di efficienza energetica dell’edilizia, i contributi per la promozione di una nuova edilizia a rilevante risparmio energetico, per la sostituzione degli elettrodomestici, nonché, sul fronte delle imprese, per la sostituzione di apparecchi illuminanti e per motori industriali ad alta efficienza. Oggetto di particolare attenzione da parte della normativa più recente, quale strumento per contribuire allo sviluppo sostenibile, è inoltre il tema della sostenibilità dei consumi. In proposito, si richiama in particolare il Piano d’azione nazionale per la sostenibilità ambientale dei consumi della P.A. anch’esso previsto dalla finanziaria 2007. L’obiettivo di tale piano è promuovere presso gli enti pubblici la diffusione del Green Public Procurement (GPP), ovvero una politica di acquisti verdi da parte della Pubblica amministrazione, che prevede quindi anche criteri ambientali e sociali nella scelta di prodotti o servizi. Il già richiamato Rapporto del 2007 si sofferma inoltre sulla rilevanza del sostegno dei processi di miglioramento delle performance ambientali presso le piccole e medie imprese e presso le imprese artigiane, nonché sulla promozione di prodotti eco-compatibili. Un fondamentale pilastro per realizzare gli obiettivi di sostenibilità ambientale è, inoltre, individuato nella legislazione di protezione ambientale, sottoposta nel 2006 ad una massiccia opera di revisione e coordinamento con il cosiddetto codice ambientale.
Si richiamano in particolare: a) gli strumenti, di derivazione comunitaria, volti a prevenire il deterioramento dell’ambiente nei processi produttivi, e in particolare la valutazione ambientale di specifici progetti (valutazione d’impatto ambientale, VIA) e di piani e programmi (valutazione ambientale strategica, VAS), nonché l’autorizzazione integrata ambientale (IPPC) che sostituisce ad ogni effetto ogni altra autorizzazione, visto, nulla osta o parere in materia ambientale per le attività industriali di maggiore dimensione e rilievo dal punto di vista dell’impatto sull’ambiente; b) la disciplina del danno ambientale, anch’essa di derivazione comunitaria che si affianca alle varie discipline sanzionatorie settoriali, previste a corollario di un articolato sistema di controlli, prevalentemente gestito dalle agenzie ambientali (APAT, ARPA e APPA).
Le disposizioni del codice ambientale sono attualmente oggetto di una rilevante opera di correzione ed integrazione, anche al fine di garantire un miglior recepimento delle direttive comunitarie. Si segnala in proposito che nell’ultimo provvedimento correttivo del codice ambientale, attualmente all’esame della Commissione ambiente per l’espressione del parere, il principio dello sviluppo sostenibile viene esplicitamente richiamato tra i principi generali del diritto ambientale, quale principio informatore di ogni attività umana giuridicamente rilevante e principio ispiratore dell’attività della pubblica amministrazione. Un cenno, infine, merita il ruolo della ricerca scientifica. In proposito, come indicato nel citato Rapporto del 2007, si segnala che lo sviluppo sostenibile – inteso sia come elemento trasversale, nell’ambito dell’integrazione tra politica della ricerca, dell’ambiente e dell’energia, sia in modo specifico nell’ambito di azioni direttamente finalizzate ad una migliore tutela dell’ambiente, al risparmio energetico e alla produzione di energia pulita – rappresenta uno degli obiettivi strategici del Programma Nazionale di Ricerca 2005-2007.
III SESSIONE:LA TUTELA LEGISLATIVA DELLE MINORANZE ETNICHE
RUSSO, Relatore per la parte italiana.Il nostro Paese ha dedicato, nel dopoguerra, una particolare attenzione alla tutela dei diritti umani, inserendo un’apposita norma nella Costituzione (art. 6). Ma anche a livello internazionale è stata dedicata particolare attenzione al tema, dal momento che esistono degli strumenti varati dalle Nazioni Unite. Anche l’adesione dell’Italia alle principali istituzioni internazionali ha trovato una traduzione normativa nel quadro costituzionale (art. 11). Quello che mi preme sottolineare è il fatto che il nostro Paese ha regolarizzato i diritti delle minoranze anche con trattati internazionali bilaterali. Ed in questo senso, l’Italia ha una sua tipicità. Basti qui ricordare gli accordi De Gasperi-Gruber (1946), per citare l’esempio più significativo, accordi che hanno sancito la tutela dell’insegnamento della lingua tedesca, il rispetto dei cognomi tedeschi, l’autonomia amministrativa.
Le minoranze avevano fatto precedentemente appello all’Austria, per difendere i proprio diritti, è questo ha fatto sì che si giungesse alla stipula di un accordo internazionale. Ma i rapporti con la minoranza di lingua tedesca non sono i soli ad essere stati risolti con un trattato. Abbiamo anche una minoranza di lingua slovena ed una minoranza italiana in Croazia. Per definire le questioni attinenti a tali due minoranze è stato firmato il Trattato di Osimo (1975) con l’allora Repubblica di Jugoslavia. Ritengo pertanto sottolineare quanto siano importanti le relazioni internazionali bilaterali per tutelare le minoranze. Questo, accompagnato alle particolari disposizioni normative presenti nella Costituzione e già citate, fanno sì che la lingua, la cultura, l’autonomia amministrativa delle minoranze sia doppiamente tutelata.
Presidenza del Presidente Pier Ferdinando Casini
CASINI Onorevoli Colleghi, in attesa del Commissario europeo per le Relazioni Esterne, signora Benita Ferrero-Waldner, do la parola al collega cinese Wang Xueping.
WANG XUEPING, Relatore per la parte cinese. La Cina è un Paese con diverse nazionalità. Il Governo centrale riconosce 56 etnie. Secondo i dati anagrafici del 2000, la popolazione delle minoranze si aggira intorno ai cento milioni di unità. La Cina ha adottato un modello basato sull’autonoma amministrativa.
CASINI Sono costretto ad interrompere il collega Wang perché ci ha raggiunti il Commissario europeo per le Relazioni Esterne, signora Benita Ferrero-Waldner, alla quale vorrei cedere la parola.
FERRERO-WALDNER Sono particolarmente lieta di porgere il mio saluto ai componenti della Commissione di collaborazione parlamentare italo-cinese, riuniti oggi per partecipare al secondo incontro. e sono lieta di intervenire proprio nel corso della sessione dei lavori dedicata alla tutela delle minoranze linguistiche. Vorrei infatti ricordare come siano state risolte, e in modo efficace, in Europa i problemi delle minoranze nel dopoguerra. In particolare, vorrei rammentare che i problemi della minoranza di lingua tedesca sono stati in gran parte risolti attraverso la creazione di un provincia autonoma, ma non si è trattato di una conquista facile. Le principali differenze da colmare erano di natura economica. Si è quindi trattato di un processo lungo e delicato, ma possiamo dire che oggi si tratta di una delle zone più ricche d’Italia e d’Europa. Ritengo pertanto che si tratti di un buon modello.
CASINI Ringrazio il Commissario Ferrero-Waldner e riprendiamo i nostri lavori.
WANG XUEPING, Relatore per la parte cinese. Sono stati stabiliti 155 organi amministrativi e 44 minoranze etniche hanno già fissato le loro rappresentanze (71% della popolazione totale). Gli organi amministrativi sono basati su un’assemblea ed un esecutivo. Hanno potere legislativo, con particolare riguardo a temi economici e sociali. Presso l’Assemblea del Popolo, la quota riservata alle minoranze è pari al 13,8%. Particolare attenzione è dedicata al fatto che le minoranze possano usare il loro linguaggio. Il sistema basato sulle autonomie gioca un ruolo fondamentale nel sistema democratico socialista. Il principio generale è quello di coniugare la salvaguardia dell’unità del Paese con i diritti delle diverse etnie, a cui deve essere garantita la crescita economica. Negli ultimi anni sono stati compiuti notevoli progressi nel benessere delle minoranze.
BOATO Lei a quale etnia appartiene?
WANG XUEPING, Relatore per la parte cinese.Dell’etnia “Li”. Conta circa 1.800.000 persone.
CASINI Al termine dei lavori, vorrei esprimere un ringraziamento a tutti i presenti, con particolare riguardo alla delegazione cinese, che il prossimo anno ci ha invitati a visitare la Cina. Sono stati trattati diversi argomenti, e non sempre si è avuta piena sintonia tra le parti. Com’è noto, in Italia è presente una grande sensibilità per la questione dei diritti umani, della difesa delle libertà di espressione e religiosa. Ma vorrei anche precisare che, riguardo alle questioni di Taiwan e Tibet, nessun politico italiano, di qualunque parte politica, è disposto a mettere in dubbio l’integrità territoriale della Cina. Abbiamo anche ricordato e confermato l’ottimo andamento dei rapporti bilaterali. In tema di relazioni parlamentari, vorrei ricordare che l’accordo stipulato nel 2002 prevede anche una forma di cooperazione tra le due Assemblee che potrebbe trovare espressione attraverso stages di formazione o scambi di visite tra funzionari. Il 2008 sarà un anno molto importante per la Cina, dal momento che saranno organizzati a Pechino, per la prima volta nella storia del vostro Paese, i giochi olimpici. Vi auguriamo un grande successo!
CHEN GUANGYI Avere divergenze di opinioni è un fatto normale, importante è scambiarsi le opinioni. Solo attraverso il confronto è possibile trovare dei punti di convergenza. Ringrazio il Presidente Casini per le sue affermazioni riguardo a Taiwan. Questa riunione ha costituito una testimonianza dell’importanza della diplomazia parlamentare un quadro di rapporti che sta conoscendo una fase di particolare dinamismo. Vorrei inoltre invitare i colleghi italiani a visitare il Tibet per rendersi conto di persone dei progressi compiuti.
[1] Reso pubblico dalla Commissione europea l'8 marzo 2006.
[2] Si fa riferimento alle città di Ceuta e di Melilla, in territorio marocchino.
[3] A tale proposito, si segnala che, a conclusione dei lavori della Riunione, è stata effettuata una visita guidata della sede del Congresso spagnolo, e la delegazione italiana ha potuto constatare come i banchi dell’Aula del Congresso siano tutti completamente informatizzati.
[4] A tale proposito, ricorda i seguenti provvedimenti adottati in ambito comunitario:
- Conclusioni del Consiglio europeo di Lisbona, 23-24 marzo 2000
- Comunicazione del 12 ottobre 2006 della Commissione “Il futuro demografico dell’Europa”
- Risoluzione del Consiglio Occupazione del 22 febbraio 2007
- Creazione di un’alleanza per la famiglia deliberata l’8-9 marzo 2007 dal Consiglio europeo
- Parere adottato il 14 marzo 2007 dal Comitato economico e sociale “La famiglia e l’evoluzione demografica”
- Comunicazione del 10 maggio 2007 della Commissione “Promuovere la solidarietà fra le generazioni”.